QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Tra cremazione ed eutanasia il tramonto della nostra civiltà
e di h c a n o cr
Non sappiamo più rispettare la morte: così disprezziamo la vita
di Ferdinando Adornato Una delle più famose foto del ‘29: gli operai sull’Empire State Building. Sotto, un risparmiatore americano protesta per gli attuali crack bancari
di Joseph Bottom imenticare la morte è facile. Basta chiudere una bara silenziosa dietro un muro silenzioso, scrollare le spalle della mente e non guardare indietro, tenendo a distanza malinconia e fantasmi. Ma così facendo, deteriorando consapevolmente la nostra memoria, dimentichiamo assai più che la sola morte. Dimentichiamo che da qualche parte, nei pressi di ogni posto realmente umano, c’è una tomba. Dimentichiamo che la comunione più grande che avviene tra i vivi si realizza solo quando condividiamo un monumento funebre. E dimentichiamo anche noi stessi. Tomba dopo tomba riempiamo la terra di significato. Cremazione dopo cremazione, le ceneri dei nostri genitori si spargono nel vento. E oggi sembriamo decisi a rinunciare a quel significato. Quale cultura può sopravvivere alla perdita di una morte significativa? Senza un orizzonte metafisico, l’esigenza di uno scopo e di un effetto della morte, la vita va avanti stranamente fragile e noiosa. Dove i morti non sopravvivono come fantasmi, i vivi stesi diventano spettrali, una triste ed inutile passaggio attraverso il mondo materiale. Gli psicologi sovente affermano che la funzione dei funerali è consolare chi rimane e porta il lutto.
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LA CRISI AMERICANA L’INFLAZIONE EUROPEA LA RECESSIONE ITALIANA
Costo dei mutui, costo della vita, costo del petrolio: tutto aumenta tranne i salari. E l’autunno si prospetta ancora più caldo di quanto si immaginava...
9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80717
Un nuovo ‘29? alle pagine 2, 3, 4 e 5
s eg ue a pag ina 23
Verso una riforma bipartisan
Pizzetti: no ai ”processi mediatici”
Parla Mauro Volpi del Csm
Intercettazioni, il j’ accuse del Garante
«In quasi tutta Europa le carriere sono separate»
di Francesco Capozza
di Valentina Meliadò
di Guglielmo Malagodi
di Irene Trentin
“Fermatevi e riflettete”. È questo l’accorato appello agli uomini dei media rivolto ieri dal Garante per la protezione dei dati personali, Francesco Pizzetti.
Una differenza che sicuramente esiste tra alcuni ordinamenti, compreso quello italiano e gli altri, riguarda la distinzione tra la carriere dei giudici e quella dei pubblici ministeri.
Le commissioni Bilancio e Finanze della Camera, hanno licenziato il testo della manovra triennale. Sulle carte di identità, dal 2010 dovranno esserci le impronte e la norma sarà valida per tutti.
Mentre maggioranza e opposizione hanno rotto il dialogo sul fronte dell’istruzione il ministro e quello ombra del Pd tentano l’intesa: l’esigenza di cambiare è condivisa da tutti.
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nell’inserto Socrate da pagina 12
Licenziato il testo della manovra triennale
Battuto Maroni, impronte per tutti
GIOVEDÌ 17 LUGLIO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
NUMERO
134 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
Gelmini-Garavaglia: un’intesa per la scuola
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Stanno finendo i decenni fondati sui diritti, comincia un tempo segnato dal primato dei doveri
Un vero cambio d’epoca di Gianfranco Polillo el 2007 il Pil italiano è stato di poco superiore al 2 per cento di quello mondiale. Un piccolo natante nel vasto oceano dell’economia del Pianeta. Bisogna partire da qui per capire la pericolosità di questa crisi e i possibili riflessi sul Belpaese. Col mare calmo l’abilità del timoniere può dare ottimi risultati, ma se i venti rafforzano le debolezze strutturali del piccolo vascello, rendono ardua e perigliosa ogni tipo di navigazione. Meglio allora rifugiarsi in un porto sicuro e attendere che passi la bufera. Se a questo aggiungiamo il fatto che quel po’ di sviluppo realizzato dipende dall’andamento delle esportazioni, mentre il resto – mercato interno, servizi, pubblica amministrazione - è una grande zavorra, il disegno diventa più chiaro. Perché meravigliarsi del crescente pessimismo? Gli ultimi dati disponibili dimostrano che esso è più che motivato. Non alludiamo soltanto alle ultime previsioni di Banca d’Italia (la crescita per il 2007 dello 0,4 per cento), ma all’intreccio perverso tra fenomeni di carattere internazionale e quelli di natura domestica. Dagli Usa la crisi rimbalza e si propaga su tutti i mercati. In Italia la spinta recessiva è rafforzata da elementi endogeni, riflesso delle nostre patologie. Ma quanto è profonda la crisi americana? Questo è il primo dato da considerare. Finora è prevalsa la cautela, unita a forme di autocensura. Un po’ a fin di bene, un po’ per calcoli meno nobili – gli Usa sono i principali finanziatori del Fmi – le grandi istituzioni hanno messo la sordina
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alle loro analisi, sperando che il tempo aggiustasse qualcosa. Ne sono derivate diagnosi tranquillizzanti e una buona dose di morfina. Poi, con il trascorrere dei giorni, si è visto che il paziente non dava segni di miglioramento. E i medici riuniti al capezzale della grandi banche hanno dovuto usare il bisturi: le “odiate”forme di nazionalizzazione. Basterà?
C’è qualcosa che ancora sfugge nelle analisi. Si dice che la crisi dei subprime americani sia pari a un miliardo di dollari. La somma è ingente. Ma, paragonata al “fatturato”del sistema finanziario – diverse volte il Pil mondiale – diventa quasi trascurabile. Al punto che basterebbe una qualche formula assicurativa, in grado di ripartire le perdite su una più vasta platea di players, per scongiurare ulteriori pericoli. Se questo non avviene, le ragioni sono più profonde. Il dato di partenza è lo sviluppo degli ultimi 15 anni. L’economia Usa è cresciuta essenzialmente sul debito: debito dell’Amministrazione, per sostenere la sua politica estera –
le guerre costano – e conservare la pace sociale; debito delle famiglie, spinte a farlo nell’illusione che si potesse vincere ogni forza di gravità. Una politica monetaria accomodante – prima con Greenspan e poi con Bernarke – per non turbare i voleri del Principe. Poi, ecco un brusco risveglio: la montagna di carta è crollata. La crisi dei subprime è stato il sassolino lanciato dall’alto di
imprese, invece di approfittare della destrutturazione del mercato del lavoro per rallentare il ritmo di investimento e di innovazione, avessero fatto il loro dovere. Se i sindacati, invece di resistere sul Piave alle mancate riforme contrattuali avessero svolto la loro funzione di pungolo: inseguendo le imprese sul terreno dello sviluppo produttivo, esigendo, in quel caso, adeguati aumenti contrattuali. Se
L’Italia può poco contro la crisi. Le sue debolezze l’hanno in parte preservata dall’eccesso di speculazioni, ma per difendersi servono quelle riforme rimandate per anni una montagna. La valanga che ha originato, ha travolto ogni sistema di difesa, dimostrando al mondo che il Re era ormai nudo. E questo ha bloccato ogni capacità di reazione. L’Italia, al pari del resto del mondo, assiste con apprensione a questo spettacolo. Può fare poco. La sua relativa “arretratezza” – è stato così anche durante la crisi del ’29 – l’ha posta in parte al riparo degli eccessi speculativi. Ha contenuto le perdite, ma non ha la forza, come non l’hanno gli altri partner, di risalire la china. Una risposta “autarchica” sarebbe teoricamente possibile se il suo mercato interno fosse dinamico e concorrenziale. Se le
Il commissario per l’Expo risponde al ministro
«Tremonti sbaglia, il problema non è la speculazione» colloquio con Beniamino Quintieri di Alessandro D’Amato
la pubblica amministrazione fosse stata davvero civil service invece di baloccarsi con la foresta pietrificata del suo giuridichese. Se la magistratura avesse perseguito l’azione penale con l’intelligenza che si richiede al suo essere “classe dirigente”di questo Paese. Se, infine, la stessa “classe politica” avesse avuto contezza del proprio essere: un vaso di coccio nei grandi equilibri mondiali.
Ma tutto questo non c’è stato. E i venti freddi dell’Atlantico rischiano di determinare un gelo, destinato a durare. Non ci si illuda che sarà facile uscire da questa morsa. Se le cose non cambieranno, dopo eventi sot-
ROMA. «Un nuovo ’29? Io non credo. La crisi c’è, ma non è il caso di drammatizzare». L’economista Beniamino Quintieri, commissario per l’Expo 2015 ed ex presidente dell’lstituto per il commercio estero (Ice), non è d’accordo con il ministro Giulio Tremonti, che ieri, in un’intervista alla Stampa, aveva paventato scenari drammatici per la situazione economica internazionale. Professore, quindi non rischiamo quindi di trovarci a dover fare a breve incetta di generi di prima necessità? Speriamo proprio di no. All’epoca della crisi del ’29 si commisero una serie di errori di gestione che abbiamo imparato a non ripetere: è evidente che la lezione è servita. Non si respira il clima di allora? Non dimentichiamoci che veniamo da dieci anni di espansione: il Pil mondiale è cresciuto del 45 per cento, quello deli Stati Uniti del 25 per
tratti alla nostra volontà, la crisi sarà lunga e difficile. Dovremmo convivere con un tasso di inflazione persistente, cui non sarà possibile rispondere con la semplice parola d’ordine: alziamo i salari, specie dei ceti meno abbienti. È l’Italia che deve cambiare nel suo profondo. A partire dal suo retroterra culturale. Finora abbiamo privilegiato i problemi della domanda.Vale a dire il riflesso, in termini economici, dell’affermazione dei diritti. Diritti dei più deboli, diritti delle donne, diritti della natura. E chi ne ha più ne metta. Oggi, bisogna, invece partire dall’offerta. Vale a dire dai doveri. Doveri dell’imprenditore, cui spetta il compito primario dell’investimento e dell’innovazione: gli animal spirits di cui parlava Schumpeter. Doveri dei lavoratori, che devono produrre, quello che una volta si chiamava plusvalore. Doveri della Pubblica amministrazione che non solo non deve rubare, ma deve trattare il pubblico denaro con il rispetto dovuto. Meglio dei propri averi personali. Doveri dei politici: che si metta fine al proprio ego e ci si misuri con i grandi temi del Paese. Prediche inutili, come era solito ripetere Luigi Einaudi? Forse. Ma se continueranno a prevalere le piccole furbizie non ci sarà speranza di salvezza.
cento. Si tratta di fasi cicliche, in parte fisiologiche: eravamo arrivati al punto più alto della china, ora bisognerà attendere la discesa. Ma la scelta di salvare Fannie Mae e Freddie Mac da parte della Fed e del Tesoro americano è giusta o sbagliata? In merito sono molto dubbioso. Sotto la minaccia di un fallimento, di solito, si tende a intervenire, e posso capire che fare il contrario potrebbe essere controproducente. Ma in questo modo, salvando azionisti e management, si fomenta l’azzardo morale e si dà la sensazione all’esterno di una generale impunità. Si fomenta l’azzardo morale degli operatori. Perfettamente d’accordo. Personalmente, avrei invece aiutato, tra quelli che sono stati colpito dai fallimenti, proprio i consumatori. Non certo chi ha sbagliato o ha fatto il passo più lungo della gamba.
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Lettera da Washington. La situazione non è ancora drammatica ma...
Qui bisogna tornare a Keynes di Arnold Kling lcuni psicologi ritengono che le persone sane tendano a dare delle proprie capacità valutazioni prive di collegamento con la realtà e di come queste sia vista dai loro pari grado. I medici credono che sia una tendenza delle persone depresse, quella che spinge a valutare in maniera maniacale le proprie condizioni. «Realismo depressivo», cosi viene etichettata questa mania. Si può partire da questa definizione per spiegare lo stato alquanto fosco della nostra economia. Un’atmosfera grigia in grado di radicare nelle persone la paura che all’orizzonte si stia profilando un nuovo ’29. Recentemente sono stati tre i colpi più duri subiti dalla nostra economia. Innanzitutto tra la fine del 2001 e la primavera del 2004 il prezzo del petrolio è raddoppiato. Un balzo simile si è avuto nell’estate del 2007. Da allora vi è stato un altro aumento del cinquanta per cento. Tutto ciò ha fatto sì che il prezzo dell’oro nero, dal 2001 a oggi, sia sestuplicato. Secondo l’indice redatto dall’Ufficio federale sulle prospettive degli immobili, il loro valore tra aprile 2007 e aprile 2008 è crollato del 4,64 per cento . Infine il 3 luglio, l’indice di borsa S&P 500, è scivolato di 19 punti rispetto al picco massimo raggiunto il 9 ottobre 2007. Il prezzo attuale del petrolio rappresenta probabilmente la stima più realistica riguardo le forniture di lungo periodo e le condizioni della domanda. Il mercato sembra aver capito da poco che la crescita dei consumi cinesi è reale, mentre l’attesa di un possibile aumento delle forniture non avverrà a breve. Anche i prezzi degli im-
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mobili sembrano andare verso livelli più realistici, seguendo lo spettacolare run-up che si avuto tra il 1999 e il 2006. Questo lasso di tempo ha visto i prezzi degli immobili distanziare ogni anno di più il livello generale dell’inflazione. Il valore degli immobili da un anno all’altro è cresciuto del 6,6 per cento. L’incremento maggiore si è avuto nel 2004/05, con un balzo di 10 punti percentuali. Finalmente la borsa sembra aver preso un’altra tendenza. Il settore dei trasporti ha risentito dell’aumento del prezzo dei carburanti, ed anche il settore dei servizi finanziari è stato coinvolto dal calo del valore delle securities supportato dalle ipoteche sugli immobili. Ora sembra che fino a pochi anni fa noi stessimo vivendo nel Paese della cuccagna. Prezzo del greggio a livelli incredibilmente bassi e prezzi degli immobili a livelli insostenibilmente alti. Come al solito la realtà è più amara.
Un’economia in grado di ripartire ma offuscata da una perdita di autostima. Indispensabile la riallocazione delle risorse
Sono tanti i dipendenti di Indymac, banca americana fallita miseramente, a dover trovare un nuovo lavoro. A sinistra, Giulio Tremonti
Ora si parla di un grande piano anti-speculazione, per fermare la corsa del petrolio. Anche il sovrano dell’Arabia Saudita re Abdullah ha detto che il problema è questo. Invece non credo che sia così. O meglio: se parliamo di mercati finanziari, e della necessità di una nuova regolamentazione transnazionale che permetta di fermare gli abusi sul mercato del credito e delle obbligazioni, allora Tremonti ha ragione. Così come quando parla di una nuova Bretton Woods, anche se con i dovuti distinguo. Però? Il boom dei prezzi delle materie prime non deriva dalla speculazione. E allora da cosa deriva? Dal fatto che si sono affacciati sui mercati un miliardo di nuovi consumatori, i quali lavorano e giustamente vogliono consumare per quello che spendono.
Solo che l’offerta non riesce a stare dietro alla domanda. Questo è il punto. Da qui bisogna partire per risolvere seriamente il problema. Non sono i mercati over the counter i responsabili della crescita del prezzo del petrolio. Anche perché, chi specula di solito compra per rivendere a prezzi più alti… Ma la manovra finanziaria del centrodestra, vista l’attuale situazione economica di difficoltà, non avrebbe potuto essere più espansiva? No, secondo me è stato opportuno scegliere la cautela. Pensare di andare a foraggiare la domanda in una situazione del genere poteva portare più guai che benefici. E poi, noi tendiamo sempre a dimenticare che in Italia di politiche monetarie e fiscali espansive ne abbiamo avute negli anni Settanta e Ottanta. E sotto gli occhi di tutti c’è quanto ne abbiamo ricavato: un debito pubblico dirom-
pente. E poco altro, anzi, quasi nulla di positivo. In questa ottica concordo anche con la prudenza dimostrata dalla Banca centrale europea, che ha giustamente deciso di alzare i tassi. E l’economia reale? Per le banche sale la raccolta, ma continuano a scendere gli impieghi. Secondo lei c’è una crisi di fiducia nei confronti del sistema imprenditoriale, oppure è questo a non chiedere capitale? Credo che sia una diretta conseguenza di quanto sta accadendo in questi mesi, con il rallentamento della crescita economica. Il problema è che oggi molti imprenditori vedono nero, almeno nel breve-medio periodo, e quindi – proprio per questo – restringono gli investimenti. Una fase di stasi. Non chiedono capitali alle banche semplicemente, perché non ne hanno bisogno. È una situazione che si trascinerà ancora per un po’, credo.
Uno studente che soffra di un colpo alla propria autostima, riesce a continuare a lavorare e apprendere. Questo in teoria, gli insegnanti sanno però che in realtà ciò non avviene. Allo stesso modo il riassetto di attività che rappresentano una debacle per l’autostima della nostra economia potrebbe avvenire in un battibaleno. Lavoratori e imprenditori ci sono. Il Paese ha capitali, tecnologie e know-how per la crescita. Comunque una significativa riallocazione delle risorse è indispensabile. Per esempio nel settore edile serve meno mano d’opera. Durante il boom le azioni immobiliari crescevano più rapidamente del tasso dei redditi familiari. Ci vorranno diversi anni affinché l’eccesso delle scorte immobiliari, che alcuni economisti ritengono essere pari a tre milioni di unità, possa essere occupato di nuovo. Le competenze professionali che sembravano utili quattro anni fa, valgono poco o nulla nell’attuale transizione. I tassi di Wall Street non ritorneranno presto ai livelli precedenti il boom. La macroeconomia ortodossa di stampo keynesiano afferma che la cura del pessimismo economico sta nella capacità dei governi di creare illusione. Il Congresso può tagliare le tasse, la Federal Reserve può iniettare moneta nel sistema per fa si che i cittadini abbiano la sensazione che il loro livello di benessere sia in aumento. Quello che il governo non può fare, è credere di riallocare lavoratori nelle nuove industrie in modo da riflettere la nuova realtà di lungo periodo. Il governo non sa se i laureati in una certa disciplina debbano aspettare per trovare occupazione nel loro settore, oppure debbano prendere strade di carriera completamente nuove. Partire dal punto di vista, realistico, di costi sempre più alti dell’energia e di un eccesso di azioni immobiliari, richiede una miriadi di complessi ritocchi, alcuni dei quali saranno ovvi, mentre altri molto meno. Le chance ci sono, ma serviranno diversi anni per completare il periodo di transizione. Università del Maryland consulente dell’American Entreprise Institute
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Tremonti prevede la catastrofe. Ma è un modo per mettere tutti sugli attenti o per costruire un alibi al governo in vista dei tempi duri?
L’autunno caldo di Errico Novi e Marco Palombi
ROMA.
Lungo la strada che Giulio Tremonti intravede c’è il fantasma di un autunno caldo. Di un Paese troppo insofferente per aspettare che il governo trovi soluzioni, che sollevi famiglie e imprese dai loro affanni. Cosa riflettono allora gli occhi del ministro? L’intuizione di una catastrofe insuperabile o la paura per l’impresa troppo ardua? Di certo l’opposizione non concede attenuanti. E propende per la seconda lettura, quella del Tre-
dell’energia, le assicurazioni, la gestione delle autostrade e dei servizi pubblici locali, gli ordini professionali. Tutte categorie che invece al di là dei fuochi d’artificio portano a casa sostanziali vantaggi. Hanno capito che il discorso è: dateci due lire e non vi rompiamo più le scatole».
Dal punto di vista di Bersani dunque accogliere le richieste dei singoli soggetti non può scongiurare né l’impoverimento PIERLUIGI BERSANI generale né l’in«Non ci si può combere dell’aulimitare a osservare tunno caldo. la barca, bisogna «Con i camionisti, governarla. La crisi che senz’altro podarebbe l’occasione nevano problemi di aggredire i settori oggettivi, si è seprotetti e agire sulla guita la via delleva fiscale. Si fa l’automatismo, ai l’esatto contrario, gestori delle autoai garantiti si dice in strade si è concessostanza: dateci due so il riferimento lire e vi lasceremo all’inflazione reatranquilli» le, alle banche non si è tolto il monti in cerca di alibi. Pierluigi massimo scoperto. Dire sì a tutBersani ne fa intanto una que- ti significa preparare il piattino stione di metodo. «Vogliamo fa- per le piccole e medie imprese e re i commentatori o i governan- i sindacati che andranno a rapti? Siamo in una situazione in presentare chi ha il reddito fiscui è difficile fare previsioni. so: è inevitabile che a loro si fiNon si può dire se questa crisi nirà col dire “vi daremo i soldi assomigli a quella del ’29, non se e quando li avremo”. Invece i ancora. Adesso non evoca nes- momenti di crisi suna di quelle precedenti. Ma possono offrire appunto, chi governa deve sì os- una sponda proservare la barca, dopodiché de- prio per aprire i ve cercare di governarla». C’è mercati. In più ci insomma il rischio di ripetere il sono interrogativi quinquennio 2001-2006, quando sul fabbisogno, le Torri gemelle sollevarono l’e- fissato in modo secutivo dal vincolo della con- troppo pessimisticretezza? È questa la sensazio- co: forse perché i ne di Bersani. «Guardiamo alle tagli non sono fatcose concrete. C’è uno tsunami ti bene e ci si preinflattivo pazzesco: la domanda para a tamponare da porsi è chi lo paga. Questa l’errore…». sarebbe l’occasione per aggredire i settori protetti e contem- Ditelo a Calderoporaneamente agire sulla leva li e vi darà tutt’alfiscale, con le detrazioni sui red- tra interpretazioditi fissi e le pensioni». E quali ne. Intanto per il ministro alla settori andrebbero aperti prima Semplificazione normativa degli altri? Bersani li mette in fi- «Tremonti ha ragione a consila: «Il settore bancario, quello derare la crisi gravissima: non
a caso il governo si è premunito con misure molto serie inserite nella Finanziaria anticipata». Seppure soffierà un vento caldo, in autunno, competerà all’Unione europea e agli Stati Uniti intervenire: «Non credo che saremo costretti a interventi ancora più severi, è il sistema internazionale che deve difendersi con azioni comuni, in particolare sul costo dell’energia». Un altro componente del governo come Renato Brunetta preferisce eludere i paragoni inquietanti e spostarsi verso il confronto con i problemi concreti, seppure da una posizione opposta a quella di Bersani: «L’eccesso di pessimismo non serve a nessuno. Io faccio l’economista di mestiere, altri sono pessimisti di carattere e magari per funzione. Fanno bene, perché magari a loro il pessimismo serve per dire qualche no a chi chiede di spendere troppo. Io però da economista devo dire che i fondamentali, tranne l’energia e alcune crisi settoriali come quella dei subprimes, sono buoni: basta fare una buona politica economica. Faccio un esempio: basterebbe che l’Unione europea si presentasse come un unico compratore sui mercati energetici per spuntare prezzi più bassi del 20 o anche
ROBERTO CALDEROLI «Sono d’accordo con Tremonti, la crisi è gravissima: per questo il governo ha adottato misure severe con la Finaziaria. Non credo sia necessaria un’ulteriore stretta in autunno. Spetta all’Ue e agli Usa fronteggiare il costo dell’energia»
30 per cento». L’autunno caldo non è ineluttabile. Basta attrezzarsi per evitarlo. E come per Calderoli, anche il ministro alla
Pubblica amministrazione attribuisce parte dell’onere all’Europa. Non tutto: «L’Italia cresce poco da dodici anni, cioè dall’entrata nella moneta unica. Prima si salvava con la speculazione competitiva: cresceva di più, anche se in maniera drogata, e poteva nascondere le proprie carenze strutturali. Dopo la moneta unica avremmo dovuto realizzare riforme strutturali che non sono state fatte e i risultati si vedono: cresciamo la metà rispetto agli altri Paesi europei, ma questa non mi pare una notizia. La notizia è che il governo, con i suoi provvedimenti, sta cambiando le condizioni strutturali del nostro Paese. Secondo me, in tre-cinque anni, non avremo solo il risanamento ma anche il rilancio dell’economia».
La minaccia c’è se le si va incontro. Lo ricorda Michele Vietti, che riconosce a Tremonti «una straordinaria abilità nell’inventarsi un nemico e nell’allontanare così da sé la respmonsabilità. Prima c’era l’Europa cattiva, ora la mondializzazione. Sarebbe il caso di pen-
RENATO BRUNETTA «Di mestiere io faccio l’economista, altri sono pessimisti di carattere e per funzione, visto che devono dire no a chi chiede di spendere. Noi stiamo intervenendo sulle carenze strutturali che andavano risolte con l’ingresso nella moneta unica»
sare a rispettare gli impegni elettorali: abbassare le tasse e tagliare le spese. Non li si può eludere con l’evocazione del nemico». Certo che l’economia è in crisi, dice il deputato dell’Udc, «come è chiaro che le soluzioni vanno trovate a livello europeo. Ma allora è inutile essere euroscettici. E comunque il problema non si supera facendo finta che l’inflazione sia all’1,7 anziché al 3,5 per cento». Lo spettro c’è ma può essere aggirato anche secondo Leoluca Orlando: «Bisogna confrontarsi con i problemi concreti della vita italiana e nello stesso tempo difendersi con lo scudo europeo, che nel ’29 non esisteva. È chiaro con la Ue non può essere dominata dai burocrati, ma è solo a Bruxelles che si può trovare la soluzione. Senza per questo trascurare il
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Stefano Folli: «Si riparta dalle liberalizzazioni»
«Opposizione responsabile. Oppure sarà il disastro» colloquio con Stefano Folli di Francesco Rositano
governo del Paese, che peraltro si è mostrato in grado di sostenere le richieste dell’Unione».
già fatto due errori clamorosi. Primo: in Italia c’è un problema di domanda interna, di consumi delle famiglie, che è evidenC’è l’ombra dell’alibi, dietro te a chiunque. Lo sforzo da fale cupe previsioni del ministro re quindi doveva essere aliall’Economia, anche secondo mentare questa domanda aiuil democratico Sergio D’Anto- tando i redditi medio-bassi. E ni: «Quelle di Tremonti sono invece Tremonti ha usato 3 miuna suggestione psicologica liardi e mezzo per togliere l’Ici che, a forza di evocare, lui poi a chi i soldi già li aveva ed ha provvede a realizzare. Al di là allentato la stretta sull’evasiodelle battute, che ci sia a livel- ne fiscale da cui si potevano rilo planetario una condizione cavare altri quattro o cinque di difficoltà e di preoccupazio- miliardi. Insomma si poteva fane lo vede anche un bambino. re una manovra redistributiva Il problema è che Tremonti da otto miliardi, altro che dire non è uno studioso, non può che non ci sono i soldi. Il seconevocare problemi, lui deve fa- do errore», dice il parlamentare re una politica economica che del Pd, «è la penalizzazione contrasti la situazione ed è delle zone più povere del Paese, esattamente quello che non quelle che hanno più margini sta facendo. Per rimanere su di crescita e di futuro, attraverquesto terreno in questi mesi so i tagli alle risorse produttive, il ministro dell’Economia ha quelle in conto capitale. Bastano queste due cose a capire che SERGIO D’ANTONI Tremonti invece «Quelle di Tremonti che attenuare la sono suggestioni crisi, la aggrava. psicologiche che, a Il suo duo con forza di evocare, lui Berlusconi è repoi provvede a cessivo: lo era nel realizzare. In Italia 2001-2006, quanc’è un problema di do tutti avevano domanda interna, di avuto l’11 settemconsumi delle bre ma l’Italia famiglie. Bisognava cresceva meno, e alimentare questa lo è ora che tutti domanda aiutando i hanno la crisi inredditi medio-bassi» ternazionale ma noi siamo fermi».
ROMA. Il quadro è fosco e sicuramente non si risolverà nel giro di una legislatura. Stefano Folli, editorialista del Sole 24 ore, è realista. Respinge ogni demagogia e non se la sente di utilizzare l’immagine di un nuovo ’29 per descrive l’attuale situazione economica. Comunque invita gli italiani a prendere coscienza di quello che sta accadendo («è un periodo duro») e a non aspettarsi miracoli. «Sarebbe impensabile - afferma - in un momento di crisi internazionale come questo che si possano alzare gli stipendi e abbassare le tasse». Per questa ragione invita maggioranza e opposizione ad essere responsabili. Il messaggio a Silvio Berlusconi è chiaro: per ora metta da parte la riforma della giustizia e si concentri sulle vere priorità. È diretto anche con gli avversari del premier: non se ne stiano seduti sulla riva del fiume ad aspettare il cadavere della maggioranza. Ma si rendano protagonisti sui terreni in cui potrebbe esserlo: privatizzazioni e federalismo fiscale. Quali saranno gli effetti politici di questa crisi? In questo periodo di stagnazione possiamo chiedere alla politica di fare quello che può, anche se non è possibile fare tutto. Ci sono dei problemi che sono giganteschi e non sono fronteggiabili da un solo governo o dal colore di una maggioranza. Quindi questo quadro dovrebbe indurre tutti ad un maggiore senso di responsabilità. Ad esempio? Credo che un’opposizione responsabile ma severa, dovrebbe guardare di più al fatto che si sta facendo poco e niente per le liberalizzazioni. Non mi sembra, infatti, che sia una priorità del governo. Anche quello che l’esecutivo precedente aveva cominciato a fare sul tema degli enti pubblici è già lettera morta. Un’opposizione intelligente dovrebbe spingere sul piano delle liberalizzazioni perché è qualcosa che serve in questo momento. Tutto quello che può contribuire ad aprire il sistema economico in una situazione di tale difficoltà internazionale deve essere fatto: magari non è risolutivo ma aiuta. Ecco cosa dovrebbe puntare l’opposizione per qualificarsi, piuttosto che gridare al governo che non alza i salari e non abbassa le tasse. Anche perché sarebbe impossibile: non ci sono le risorse, c’è un quadro internazionale realmente drammatico. È vero che è stato fatto tanto populismo in campagna elettorale, ma non ha molto senso imbastire un’altra polemica. A suo avviso cosa accadrà in autunno?
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Bisogna abbandonare l’ottica di chi non fa altro che aspettare il cadavere del governo lungo il fiume. In particolare chi aspetta l’autunno, sperando nella fine della ”luna di miele” e in una perdita di consenso: è un modo di pensare miope. Dobbiamo capire che attualmente non esiste un’altra alternativa di governo a portata di mano. Quindi una politica di questo genere, secondo me, non porterebbe a nulla nemmeno in termini di consenso. Anche perché, alle porte, non ci sono scadenze elettorali prevedibili. Inoltre l’attuale maggioranza ha una sua forza parlamentare e una una ”Grande Coalizione”alla tedesca non penso, per ora, sia nell’ordine delle cose. A suo avviso, invece, sul tema del federalismo sarà possibile trovare un’intesa tra maggioranza ed opposizione? Il federalismo può essere un tema aggregante per il Paese. Apparentemente è disgregante, invece può essere - se concepito in maniera moderna e intelligente - un terreno di incontro di forze politiche. D’altra parte, per il momento, non possono incontrarsi su altri terreni. Quando Berlusconi insiste sulla riforma della giustizia come priorità è chiaro che pone un problema talmente controverso sul quale non c’è alcuna possibilità di convergenza. E questo significa lacerare i rapporti politici. Ecco perché la Lega è contraria a questa strategia, preferendo inserire la riforma della giustizia in un tempo successivo per concentrarsi sul tema del federalismo fiscale. Un tema che potrebbe ricompattare le forze in campo, anche se ci sarebbero diversi punti sui quali discutere. Questo, inoltre, è un argomento strategico sul quale la maggioranza ha bisogno dell’opposizione, la quale ne deve approfittare per ricoprire un ruolo di primo piano. Ripeto: su questo Bossi si dimostra un politico accorto. Mentre Berlusconi, insistendo sulla riforma della giustizia, rischia che ci sia un conflitto permanente con l’opposizione. Come vede, invece, il quadro internazionale? Noi abbiamo bisogno di restare ancorati all’Europa. Degli errori macroscopici di politica economica ci porterebbero fuori dall’Unione. E questa sarebbe l’ultima catastrofe che ci potrebbe capitare. Quindi da questo punto di vista è necessario un appello alla responsabilità nazionale. Questo credo che sia la cosa principale che possiamo fare per noi stessi e per il Paese.
Non ha senso che Berlusconi continui a parlare di giustizia. Perché non si ricomincia dal federalismo?
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politica
Pizzetti contro le impronte ai minori e i processi mediatici
Intercettazioni, il j’accuse del Garante di Francesco Capozza
ROMA. “Fermatevi e riflettete”. È questo l’accorato appello agli uomini dei media rivolto ieri dal Garante per la protezione dei dati personali, Francesco Pizzetti, durante il discorso per la consueta relazione annuale dell’Autorità al Parlamento. Per Pizzetti, che rilancia un tema già affrontato dal presidente dell’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, Corrado Calabrò, ci sono “ troppi processi mediatici, troppa commistione fra realtà e reality”. Che Pizzetti si riferisca ai talk show basati su fatti ed episodi della politica, della vita sociale e delle relazioni interpersonali si fa poca fatica a capirlo. Questi, afferma il Francesco Pizzetti Garante «mettono in piazza, nei moderni fori telematici, vicende spesso anche privatissime». Così, a suo avviso, questa non è informazione, non è trasparenza, non è un servizio che si fa all’opinione pubblica e alla democrazia. Non è giusto, in nome di una trasparenza che diventa prima di tutto spettacolo, e talvolta persino morbosità,“invocare la legittimità di ogni invasione nella sfera più intima delle persone». Non ha mezzi termini Pizzetti nel denunciare la troppo spiccata voglia di guardare nel buco della serratura degli italiani e, in un certo senso, il bisogno continuo di gossip. L’Italia, ha denunciato, è «un Paese che vuole sapere tutto e tutto conoscere, ma nel quale è purtroppo tuttora irrisolto il cortocircuito tra le ragioni della giustizia, dell’informazione e della riservatezza».
È a questo punto della sua relazione che le orecchie delle autorità presenti nella sala si spalancano verso il banco della presidenza da dove sta parlando Pizzetti, non appena, cioè, il Garante introduce un argomento di strettissima attualità: le intercettazioni, e non ha mezzi termini nel definirle “un’anomalia tutta italiana”. «Troppo frequentemente in questi anni - ha detto Pizzetti - le informazioni raccolte durante le indagini giudiziarie sono state oggetto di pubblicazione e di diffusione al di fuori dei processi, fenomeno questo che nella misura e nei modi in cui in molti casi è avvenuto, ha costituito e costituisce indubbiamente un’anomalia». Le intercettazioni, per il Garante della Privacy, oltre ad essere uno strumento d’indagine, sono anche una delle forme più invasive della nostra sfera personale, in quanto «incidono pesantemente su quella libertà di comunicazione che l’art.15 della nostra Costituzione considera un diritto fondamentale, comprimibile solo con atto motivato dall’autorità giudiziaria e con le garanzie stabilite dalla legge». Con queste parole il Garante è entrato a piedi uniti nell’attualità politica, avendole pronunciate proprio nelle stesse ore in cui l’approva-
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zione del Decreto sicurezza e l’ennesima fiducia posta dal governo per approvarlo tenevano banco tra le fila di maggioranza e opposizione. Qualcuno avrà pensato ad un magistrale colpo di fioretto del premier Berlusconi la cui presenza, sebbene assente alla relazione, aleggiava nella sala della Lupa fin dall’inizio. Non è un caso che, scivolando velocemente giù per lo scalone di palazzo Montecitorio, il numero due del Pd Dario Franceschini, abbia laconicamente dichiarato: «un’ottima relazione, è condivisibile quello che ha detto Pizzetti sulle intercettazioni». La ferma presa di posizione sulle intercettazioni sfocia in un monito del Garante agli operatori dell’informazione:“l’eventuale pubblicazione del loro contenuto da parte dei media trova fondamento esclusivamente nel diritto, parimenti costituzionalmente garantito, di cronaca e di informazione”. Questo significa – ha aggiunto il garante- che si devono sempre pienamente rispettare le regole del codice deontologico dei giornalisti, che le informazioni non devono essere raccolte illegittimamente, o con raggiri, che il giornalista deve valutare sempre se sussiste un effettivo interesse della pubblica opinione a conoscere”. Ai molti esponenti dell’opposizione presenti, che pure annuivano in sintonia con quelli della maggioranza, questa parte dell’intervento di Pizzetti è sembrata una difesa d’ufficio del presidente del Consiglio, quasi fumo negli occhi, specialmente quando il Garante ha concluso affondando il coltello nella piaga: “ le persone pubbliche hanno sì una tutela attenuata- ha affermato Pizzettima hanno comunque diritto al rispetto della loro vita strettamente privata”.
In Italia, purtroppo, è irrisolto il cortocircuito tra le ragioni della giustizia, dell’informazione e della riservatezza
Dalla relazione del Garante della Privacy è poi emerso un problema che rischia di minare la sicurezza della collettività: la vulnerabilità delle banche dati della polizia. Secondo Pizzetti, bisogna stare attenti che la “sicurezza federale”, legata alla moltiplicazione sul territorio delle strutture istituzionali competenti in materia di sicurezza, non diventi facilmente espugnabile, e perciò invita il Viminale ad collaborare con l’Autority per attuare una nuova normativa contro l’uso improprio delle intercettazioni. Non tarda ad arrivare la risposta del ministro Maroni che ai giornalisti assiepati all’uscita della sala della Lupa ha detto: ” Non c’è nessuna obiezione da parte nostra a tenere conto delle raccomandazioni del garante”. Con buona pace degli amanti del voyeurismo che aspettavano frementi le tanto chiaccherate intercettazioni osè attribuite al premier e a due sue ministre e che forse, dopo una relazione così forte del Garante, non usciranno più.
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Eluana, Senato porterà il caso alla Consulta Il Senato ha aperto le procedure per sollevare presso la Corte costituzionale un conflitto di attribuzione con la Corte di Cassazione, dopo la sentenza che autorizza la cessazione delle somministrazioni mediche a Eluana Englaro. La decisione è stata presa dalla Giunta del regolamento. Ieri la Giunta per il Regolamento ha accolto la proposta avanzata dal presidente del Senato, Renato Schifani, di deferire alla commissione Affari Costituzionali la questione di un’eventuale conflitto di attribuzione da sollevare davanti alla Consulta tra il Senato e la Corte di Cassazione in merito alla vicenda di Eluana Englaro. Dopo il pronucniamento della Commissione Affari Costituzionali la decisione definitiva, spetterà all’aula di Palazzo Madama. Nei giorni scorsi diversi parlamentari avevano contestato che la decisione sulla ragazza di Lecco fosse stata assunta non in base ad una legge, ma con una sentenza della magistratura. Di qui la richiesta che il potere legislativo, e cioé le Camere, aprissero un conflitto di attribuzione davanti al potere giudiziario (la Corte di Cassazione).
Berlusconi insiste sulla riforma della giustizia «Bisogna assolutamente riformare la giustizia e farlo in modo radicale, dalle fondamenta». Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi, secondo quanto riferito da alcuni presenti, nel corso di un incontro con gli europarlamentari di Forza Italia. Preoccupazione al Csm per le riforme sulla giustizia annunciate dal ministro della Giustizia Alfano, che secondo alcuni togati mettono a rischio l’indipendenza della magistratura; accompagnata dalla delusione per quello che appare come un cambio di rotta del Guardasigilli, che al Csm aveva detto che la priorità era accelerare i processi.
Del Turco: dura ordinanza del Gip Ottaviano Del Turco «promuoveva, costituiva, organizzava e dirigeva l’associazione per delinquere». Lo si legge nell’ordinanza scritta dal Gip Maria Michela Di Fine che ha portato all’arresto del Governatore della Regione Abruzzo, nell’ambito di una inchiesta in cui Del Turco è accusato di associazione per delinquere, concussione e corruzione. Secondo i magistrati, si legge a pagina 20 del documento, Del Turco «imponeva e realizzava un sistema di gestione illegale dei rapporti con le case di cura private, imperniato sulla mancanza di trasparenza, sulla violazione delle leggi e dei principi di imparzialità e buon andamento, sulla incertezza ed arbitrarietà in ordine a tempi, modi e regole in tema di negoziazioni, pagamenti e controlli, in tema di valutazione dell’operato delle cliniche ed altresì caratterizzata dalla imposizione di rapporti privilegiati con l’istituto bancario Deutsche Bank».
Disperso l’alpinista italiano Karl Unterkircher Karl Unterkircher, fra i migliori alpinisti italiani, è disperso sul Nanga Parbat, in Pakistan, a oltre settemila metri d’altezza. Insieme a Simon Kehrer e Walter Nones stava cercando di aprire una via ancora inviolata sulla parete Rakhiot, quando è caduto in un crepaccio. Ore di incertezza di fronte all’impossibilità di soccorrerlo a quell’altitudine. Poi le parole del suo manager Herbert Mussner: «La tragedia è ormai triste realtà, non ci sono più speranze».
Rai: il Cda salva Agostino Saccà Con 4 contrari, 3 a favore e 2 astenuti il Consiglio di amministrazione della Rai ha bocciato la proposta di licenziamento del direttore di Rai Fiction, Agostino Saccà, avanzata dal direttore generale Claudio Cappon a causa delle «gravi violazioni accertate ed al notevolissimo danno d’immagine subito dalla Rai». Saccà era stato sospeso dall’incarico dalla Rai in seguito all’inchiesta nata da intercettazioni telefoniche della procura di Napoli su presunti accordi tra il direttore e Silvio Berlusconi sulla collocazione di aspiranti attrici. Era però tornato in Rai il 3 luglio, grazie all’ordinanza di un giudice del lavoro. Ad astenersi nel voto in Cda sulla proposta di licenziamento sono stati Sandro Curzi e Marco Staderini. Voto contrario da Giuliano Urbani, Gennaro Malgieri, Giovanna Bianchi Clerici, Angelo Maria Petroni. Voto favorevole da Nino Rizzo Nervo, Carlo Rognoni e dal presidente Claudio Petruccioli.
politica
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Licenziato il testo della manovra triennale dalle commissioni Bilancio e Finanze della Camera
Battuto Maroni, impronte per tutti di Guglielmo Malagodi
ROMA. Dopo undici ore di seduta, la commissione Bilancio e Finanze della Camera riunite in seduta congiunta, hanno licenziato il testo della manovra triennale. Quella che ha fatto discutere più a lungo è stata la questione delle impronte digitali: sulle carte di identità, dal 2010 dovranno esserci le impronte del titolare e la norma sarà valida per tutti. Le commissioni hanno esaminato tutti gli emendamenti tranne quelli sull’articolo 60 e quello sul nucleare.Tra le novità, controlli più stretti sulla sanità, mentre per l’abolizione del ticket da 10 euro sulla diagnostica, ci sarà un contributo di 50 milioni del governo alle Regioni. Queste poi dovranno accollarsi risparmi di spesa per coprire la differenza fra quanto finanziato dal governo e le spese complessive che ammonteranno a 834 milioni l’anno. Sulla questione delle impronte digitali è intervenuto anche il Garante della Privacy Francesco Pizzetti con un invito ”alla moderazione” auspicando che si eviti di ricorrere a banche del Dna, cioè al prelievo delle impronte digitali ”secondo criteri discriminatori, specialmente di natura etnica o religiosa”. Anche per Gianfranco Fini l’impegno dell’Autorità è proprio quello di garantire i cittadini «che operano con correttezza nella legalità, ma pretendono giustamente di essere rispettati nei loro diritti, nella loro dignità e riservatezza». Walter Veltroni, da parte sua, si è dichiarato d’accordo sulla decisione di prendere a tutti le impronte digitali e che «per questo non ha alcun senso che vengano prese solo ai rom», chiedendo così che tale misura venga sospesa.
tenuare altre scelte razziste e xenofobe fatte dal governo, ma non é che risolva perché una cosa é la certa identità per tutti, un’altra e riportarci indietro alla dittatura fascista». Ha ripreso corpo anche la tensione tra il nostro governo e quello rumeno. Infatti, reazioni allarmate arrivano da Bucarest, dove il primo ministro Calin Tariceanu ha fatto sapere che «il rispetto dei diritti umani è una priorità. Non possiamo accettare che i cittadini rumeni siano soggetti a pratiche discriminatorie che non rispettano la dignità umana. La gran parte della popolazione rumena che vive in Italia é preoccupata da queste misure».
Sulla norma inserita in Finanziaria che prescrive dal 2010 il rilevamento delle impronte digitali a tutti i cittadini interviene anche il ministro dell’Interno Maroni che, a margine di un incontro all’Unicef con le realtà associative che si occupano dei diritti dei minori ha detto: «questo voto quasi unanime conferma che è giusta la strada intrapresa dal Viminale con il censimento dei campi nomadi». Intanto ieri mattina è arrivato il via libera dalla Camera al decreto legge sulla sicurezza. Con 303 voti favorevoli, 234 contrari e i 35 astenuti corrispondenti ai deputati dell’Unione di Centro, il decreto torna al senato per la conversione in legge prevista entro il 23 luglio. «Oggi l’aula di Montecitorio ha approvato, tra gli altri provvedimenti contenuti nel Decreto legge, misure antimafia che, per qualità, non hanno precedenti recenti», è felice il guardasigilli Angelino Alfano e non fa nulla per nasconderlo. Scettica, invece, sul decreto legge, la posizione dell’Unione di Centro: «la decisione dell’Udc di astenersi nel voto finale sul decreto sicurezza è un segnale ma anche “una richiesta precisa al governo”, così, in una nota, Pier Ferdinando Casini non rinuncia a sottolineare che servono più risorse per le forze dell’ordine, «perché senza mezzi e uomini non si può dare più sicurezza ai cittadini».
Soddisfatto il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini: «Prendo atto che finalmente un’altra nostra proposta è stata accettata»
Positiva anche la reazione del leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini: «Prendo atto che oggi finalmente un’altra delle nostre proposte è stata accettata», ha detto evitando quindi un provvedimento che sarebbe stato razzista e discriminatorio. Di parere diverso si è detto Pino Sgobio, della segreteria nazionale del Pdci, il quale ha dichiarato che «dalla norma bloccaprocessi alle impronte ai rom, dall’aggravante di clandestinità ai militari in città: il decreto legge è la summa reazionaria di questo governo, che con questo provvedimento, fa un solo boccone della civiltà giuridica e democratica del nostro Paese». Ugualmente contrario Antonio Di Pietro, per il quale l’emendamento sulle impronte digitali, anche dopo la modifica, «è una proposta scioccante e provocatoria per at-
Nei prossimi giorni (e il calendario dei lavori parlamentari è fittissimo, nessuno vuole arrivare ad agosto con votazioni ancora pendenti), si saprà se questo piccolo spiraglio di intesa bipartisan apertosi sulla norma riguardante le impronte digitali, sarà stato solo un caso oppure si è aperta una seconda fase nei rapporti tra Pdl e Pd. Con l’Udc corteggiata da entrambi!
Hanno avuto la fiducia, ma hanno “tradito” la sicurezza di Michele Vietti a domanda di sicurezza dei cittadini richiede attenzione e risposte chiare e conseguenti, non minate da alcun pregiudizio di parte. Per questi motivi, l’Unione di centro non ha alzato alcuna barricata contro il decreto legge sulla sicurezza. “Lo valuteremo nel merito”, abbiamo detto; insieme – certo - alle altre iniziative governative, come quelle che – sciaguratamente – tagliano fondi e mezzi alle forze di polizia e agli uffici giudiziari, perché una politica della sicurezza che non vuole essere inutilmente declamatoria è fatta di leggi e di risorse: le une senza le altre lasciano il tempo che trovano. E nel merito abbiamo valutato il decreto-legge, apprezzandolo per quanto è stato possibile, criticandolo dove necessario e quindi proponendo ragionevoli proposte emendative. Abbiamo apprezzato le modifiche al Codice di procedura penale finalizzate ad agevolare l’utilizzo dei riti direttissimo e immediato, le modifiche alla disciplina penale e amministrativa del Codice della strada, le nuove competenze degli enti locali in materia di sicurezza, le modifiche alle misure di prevenzione antimafia. Viceversa, non ci ha convinto sin dall’inizio la confusione tra immigrazione e criminalità, la proposta del reato di immigrazione clandestina contenuta nel disegno di legge all’esame del Senato e quella che nel decreto la anticipa, quell’aggravante attribuita agli immigrati irregolari solo a causa del loro status. La sicurezza dei cittadini è una cosa terribilmente seria e non va agitata come una clava contro chi non ha fatto del male a nessuno, con il rischio – per di più – di alimentare sentimenti di inimicizia nei confronti degli stranieri o, addirittura, nei confronti di cittadini italiani, colpevoli solo di essere di etnia rom. Dunque, abbiamo detto no a misure discriminatorie e inefficaci perché perché pensiamo che una efficace politica contro la immigrazione clandestina deve basarsi su una reale capacità di accoglienza e di integrazione della forza lavoro necessaria alle famiglie e alle imprese italiane, sulla cooperazione con i Paesi d’origine e sulla effettività dell’allontanamento di chi non ha titolo per restare in Italia. Queste le nostre critiche, disposti a confrontarle in Parlamento con tutte le altre forze politiche, di maggioranza e di opposizione. Poi, in Senato, la maggioranza ha cambiato le carte in
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tavola, approvando gli emendamenti blocca-processi. E’ stata dura, ma il Governo ha dovuto riconoscere la impraticabilità e la illegittimità di quelle norme, controproducenti rispetto agli stessi fini del decreto e che avrebbe messo in grave imbarazzo il Capo dello Stato. Dunque il decreto è tornato sui suoi binari, discutibili ma legittimi, e il gruppo dell’Unione di centro era pronto a confrontarsi nel merito. Avremmo potuto votare a favore degli emendamenti con cui il Governo ha sostituito la norma blocca-processi. Avremmo potuto fare qualche passo ancora, nel solo interesse del Paese, dei cittadini, della loro domanda di sicurezza. Lo avremmo potuto fare migliorando ancora la norma sulla cessione di immobili agli immigrati irregolari, riconducendola alla tuttora vigente normativa sulla cessione di fabbricato, e magari destinando i proventi delle eventuali confische alle attività di prevenzione e di repressione del traffico di esseri umani. Avremmo potuto anche potenziare e razionalizzare le nuove norme sulle priorità degli uffici giudiziari. Abbiamo scampato il pericolo di norme irragionevoli e costituzionalmente illegittime, ma tanto hanno ragione di essere le nuove formulazioni delle priorità nello svolgimento dei processi, tanto le loro previsioni non si possono limitare a un lasso di tempo relativamente breve: se è vero che gli uffici giudiziari sono sovraccarichi di procedimenti penali di minimo interesse, gli effetti sanzionatori dei quali saranno interamente assorbiti dall’indulto del 2006, avremmo potuto immaginare un corso verso la prescrizione che – in assenza di atti e manifestazioni di volontà delle parti– avrebbe potuto continuare, così – in fondo – come aveva previsto la circolare Maddalena all’indomani dell’indulto approvato dal Parlamento. Avremmo potuto discutere e approvare questi e altri emendamenti al decreto-legge sulla sicurezza, ma il Governo ha ritenuto di dover strozzare il dibattito. Impediti dal poter dare ulteriori contributi, rivendichiamo il ruolo attivo e propositivo avuto dall’Udc nel miglioramento del testo arrivato dal Senato, a partire dal contributo che abbiamo dato al superamento dello scoglio rappresentato dal blocca-processi, ma continuiamo a segnare la nostra distanza dal metodo e da alcune scelte di merito del Governo, declamatorie e inefficaci.
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giustizia
La riforma sempre più difficile
Oltre alle toghe ora Silvio ha contro la Lega di Errico Novi ome la chiamereste voi? Riforma o guerra? Ieri Berlusconi ha affrontato di nuovo l’argomento giustizia: «Stavolta non mi fermerà nessuno, se l’opposizione non è d’accordo faremo la riforma da soli». Non ci sono dubbi sulla determinazione del premier. Non importa se questa legislatura sarà costituente, se ridisegnerà il rapporto tra maggioranza e opposizione. Dal punto di vista del Cavaliere, deve assolvere a un comandamento: depotenziare i giudici e la loro capacità di interferire con gli altri poteri.
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Ma una riforma si può davvero fare con queste premesse? Non bastava l’ostilità delle toghe. E nemmeno quella di parte dell’opposizione, Pd e Idv. Da ieri Berlusconi ha anche il problema della Lega. Glielo ha fatto intendere Roberto Calderoli: «Il 2008 è un po’ pieno, in calendario ci sono prima il federalismo e il codice delle autonomie», ha detto il ministro alla Semplificazione. Il gioco dei ruoli è chiaro: Bossi e i suoi stavolta vogliono evitare che la contrapposizione estrema comprometta il risultato finale, com’è avvenuto con il referendum del 2006 sulla devolution. Si tratta di un interesse confliggente con quello di Berlusconi. In più c’è un paradosso da far venire le vertigini: la guerra civile fredda in Italia nasce nel ’94 sui temi della giustizia, e ora che sembra venire il tempo della pacificazione è ancora la giustizia ad allungare all’infinito il conflitto.
D’altronde è improbabile che un intervento su un aspetto così importante per la vita pubblica possa andare a buon fine con l’aperto dissenso dell’opposizione. Il Pd ha un torto: la pigrizia con cui continua a considerare la riforma in funzione del gradimento delle toghe. Non si può pensare di innovare senza ledere interessi consolidati. Ma intanto la Lega non vuole prescindere dalla posizione dei democratici. E se pure deciderà di non opporsi alla tabella di marcia del Cavaliere, finirà per indebolire comunque l’azione della maggioranza. Esattamente com’è avvenuto alla vecchia Cdl con il tentativo di riscrivere la seconda parte della Costituzione.
Parla Mauro Volpi della Rete europea dei Consigli di Giustizia
«In quasi tutta Europa le carriere sono separate» colloquio con Mauro Volpi di Valentina Meliadò
ROMA. Una differenza che sicuramente giudice istruttore - scomparsa in Italia esiste tra alcuni ordinamenti, compreso quello italiano, e gli altri, riguarda la distinzione tra giudici e pubblici ministeri, nel senso che in vari ordinamenti i pm hanno una carriera autonoma, separata rispetto a quella dei magistrati e in qualche misura dipendono dal ministro della Giustizia, anche se è garantita la loro autonomia e indipendenza funzionale”. Mauro Volpi, membro per il Csm della Rete Europea dei Consigli di Giustizia e professore di diritto costituzionale all’Università di Perugia, spiega analogie e differenze tra il sistema giudiziario italiano e gli ordinamenti europei. In generale che cosa accomuna e che cosa divide il sistema giudiziario italiano da quelli europei? Ci sono dei principi generali stabiliti dalle Costituzioni che sono relativamente comuni, come quello dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, ma sono naturalmente diverse le modalità attraverso le quali si tende a garantire questo obiettivo. In vari ordinamenti, come ad esempio quello spagnolo, i pubblici ministeri hanno una carriera autonoma, separata rispetto a quella dei magistrati – come loro definiscono i giudici – ma in Spagna c’è ancora la figura del
che in materia penale, investigativa, ha poteri molto rilevanti ed è un magistrato, e le competenze del Csm riguardano solo i giudici, non i pm, a differenza di Italia e Francia. Comunque, nella maggioranza dei Paesi europei c’è separazione tra giudici e pubblici ministeri, ma non mancano ordinamenti come quello
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Nella maggioranza dei Paesi europei c’è separazione tra giudici e pubblici ministeri, solo nell’ordinamento italiano c’è una carriera unitaria
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italiano in cui vi è una carriera unitaria. Una seconda differenza riguarda le competenze dei Consigli Superiori o Consigli di Giustizia (la denominazione varia molto da Paese a Paese), e qui bisogna constatare che negli ultimi 10-15 anni quella che era un’esperienza tipica della Francia, dell’Italia, della Spagna e del Portogallo, dove esiste appunto un Csm, si è estesa a numerosissimi Paesi europei, anche del centro e dell’est -
quindi Paesi di nuova democrazia - e a Paesi del nord Europa, ma con competenze diversificate. C’è una netta distinzione da fare tra un modello definito nord-europeo e quello sud-europeo. Nel primo questi organi hanno competenza soprattutto in materia di organizzazione amministrativa dei tribunali, di cui gestiscono anche il bilancio, quindi hanno competenze che invece in Italia sono in gran parte del ministro di Giustizia. Nel secondo modello, tipico di ordinamenti come quello italiano, spagnolo o francese, i Consigli hanno competenze di tipo più politico, nel senso che gestiscono le carriere dei magistrati, adottano tutti i provvedimenti che riguardano le loro carriere – compresi quelli disciplinari - e hanno via via assunto anche una funzione normativa di secondo grado, cioè elaborano delle circolari, dei regolamenti che danno attuazione alle leggi in materia di giustizia e di ordinamento giudiziario, ed esprimono anche pareri nei confronti del potere politico, in relazione ai provvedimenti normativi che hanno una ricaduta sul sistema o l’ordinamento giudiziario. Ci sono dunque differenze, ma c’è anche il tentativo di arrivare ad un avvicinamento tra le diverse esperienze.
giustizia
In Europa qual è il confine tra l’indipendenza e l’arbitrio della magistratura? Uno dei compiti che normalmente viene attribuito ai Consigli di Giustizia (questa è la denominazione dei Csm che viene usata nell’ambito della rete europea dei Consigli di Giustizia), è quello di controllare l’attività che i magistrati svolgono grazie a due strumenti: le valutazioni di professionalità e l’attribuzione degli incarichi, soprattutto di quelli direttivi che sono i più importanti (presidente di tribunale o di corte, procuratore della repubblica o generale, ecc.), e lo strumento disciplinare. Se un magistrato commette un illecito è soggetto a un giudizio che in alcuni Paesi spetta alla stessa magistratura, mentre in altri, come il nostro, è una sezione del Consiglio Superiore a decidere. Ci sono inoltre differenze nella composizione dei Consigli; il dato prevalente a livello europeo è che almeno la metà dei membri è composta da magistrati, più i componenti di varia natura (quelli che in Italia chiamiamo laici) che possono essere avvocati, professori universitari, esperti (in nord Europa anche sociologi), o rappresentanti della società civile che servono a evitare che ci sia una chiusura corporativa delle magistrature e a garantire che rispondano in qualche modo alla società. L’esigenza è che non siano invece responsabili di fronte al potere politico, perché questo comprometterebbe inevitabilmente l’autonomia e l’indipendenza. Quindi in nessun Paese europeo i magistrati rispondono al Parlamento o al ministero di Giustizia? Se per rispondere si intende che possa essere fatta valere nei loro confronti una responsabilità che incide sulla loro carriera da parte del potere politico, questo non è possibile. È pur vero che in alcuni Paesi dove c’è la separazione tra pubblici ministeri e giudici non dico che ci sia una dipendenza funzionale dei pm, ma
sicuramente c’è una certa dipendenza dal punto di vista della carriera nei confronti del ministro di Giustizia e del potere esecutivo; poi naturalmente dipende anche dalla sensibilità della politica il sapersi rapportare all’autonomia della magistratura, ma il problema più forte che ci poniamo come rete europea è quello del rapporto con la società, cioè di avere una giustizia che sia credibile, efficace ed efficiente rispetto ai cittadini, cosa che spesso da noi viene trascurata perché si parla molto del rapporto tra politica e giustizia, ma il problema più importante è proprio quello del rapporto tra società e giustizia. È vero che in Europa i processi durano meno? Perché?
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Italia sono altre, e ne indico alcune, tra cui la responsabilità del legislatore per quanto riguarda le norme processuali. Il processo penale e quello civile sono diventati due mostri, sono sempre più complessi e c’è un eccesso di complicazione delle regole formali che può portare ad annullare un processo che è arrivato all’ultimo grado di giudizio perché magari, all’inizio, c’è stata una notifica nulla o un atto errato. Poi ci sono un’infinità di riti civili, più di 20 procedure diversificate a seconda della materia, e questo provoca molta perdita di tempo; un ulteriore dato negativo di cui si parla poco è il numero degli avvocati. Ce ne sono circa 180.000, un numero che, rispetto alla popolazione, è più del doppio
Il processo penale e quello civile sono diventati due mostri, c’è un eccesso di complicazione delle regole formali che può portare ad annullare un processo che è arrivato all’ultimo grado di giudizio
Mediamente, almeno nei Paesi che hanno standard di vita simili al nostro, la durata dei processi è notevolmente inferiore, sia nel penale che nel civile, per varie ragioni. Mi prendo subito la parte di responsabilità che riguarda la magistratura e il Consiglio Superiore. Probabilmente occorrono metodi più efficienti, più significativi sia nella designazione dei capiufficio che nelle valutazioni di professionalità, e questa è una cosa che stiamo cercando di fare, perché con la legge Mastella è stato introdotto il principio della temporaneità degli incarichi direttivi e semidirettivi che non possono durare più di 8 anni. La stessa cosa riguarda le valutazioni di professionalità, che devono essere quadriennali per 7 volte e quindi per 28 volte nella carriera di un magistrato, e anche in questo caso, se la valutazione è negativa, può portare alla destituzione. Tuttavia le ragioni principali della lentezza dei processi in
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di altri Paesi europei simili al nostro, e anche questo crea un mercato artificiale delle cause, che tendono a moltiplicarsi proprio perché devono lavorare molti più avvocati di quelli necessari. L’altra ragione della lentezza è lo stato degli uffici, perché la giustizia funziona bene se c’è anche tutta un’attività di supporto, dal personale amministrativo agli strumenti tecnici e tecnologici. Il numero dei magistrati (9.000) è sufficiente? L’organico dovrebbe superare i 10.000, ma quello attuale è un numero adeguato, considerato il volume delle cause e anche degli arretrati che ci sono. In ogni caso ci sarà a breve un concorso per 500 posti. C’è un problema di stanziamenti o di organizzazione dei tribunali? Entrambe le cose. Sicuramente la questione degli stanziamenti è decisiva, ma, ad esempio, la legislazione non ci aiuta
nel recupero delle ingenti somme che derivano proprio dalle condanne. Ci sono milioni di euro che possono essere recuperati ma la legislazione è tale che è difficile. Si dovrebbero studiare delle procedure molto più immediate per poter usufruire di queste somme e magari investirle nello stesso funzionamento della giustizia. Un altro aspetto fondamentale è il costo delle intercettazioni, perché lo Stato si serve di compagnie private a costi di mercato pagando cifre spropositate rispetto ai costi di apposite convenzioni o anche di acquisizione di materiale tecnologico. Qual è la percentuale di Pil destinato alla giustizia in Italia rispetto all’Europa? Non ho dati aggiornatissimi, ma rispetto ai Paesi europei più avanzati la nostra percentuale è inferiore di un terzo o anche di metà. Se da noi, qualche tempo fa, era tra l’1 percento e poco più, in Europa si aggirava tra il 2 e 2,5. In Europa la magistratura è più vicina al comune sentire o le leggi consentono meglio di garantire la certezza della pena? La percezione di insicurezza sociale non si manifesta solo in Italia ed è causata da una criminalità diffusa, invasiva, che i mass media evidenziano molto. In Italia probabilmente c’è stata una produzione alluvionale di leggi e leggine in materia di procedura penale che tendono a complicare notevolmente le cose, e poi c’è la legislazione premiale (riti abbreviati, patteggiamento, legge Gozzini, buona condotta); non dico che questa legislazione sia da abolire perché è indispensabile alla luce del principio costituzionale che tende alla rieducazione dei condannati, tuttavia è chiaro che bisogna saperla applicare bene, e se il legislatore e l’opinione pubblica ritengono che il magistrato debba avere minore discrezionalità nell’applicare questa legislazione allora le leggi devono essere più precise, perché spesso sono fatte male e hanno maglie troppo larghe. L’Europa si basa sul civil law, ma nei Paesi anglosassoni il common law sembra garantire una maggiore certezza del diritto per il fatto che qualunque giudice può creare un precedente senza aspettare che il Parlamento legiferi in una determinata materia. Lei che ne pensa? Ogni ordinamento giuridico non può non tener conto delle caratteristiche storiche, culturali e delle tradizioni specifiche di ogni Paese. Io non credo assolutamente che sarebbe oggi possibile trapiantare in Paesi come l’Italia istituti che sono tipici dell’esperienza del common law, che è un’esperienza plurisecolare, e in realtà, poi, la distanza tra ordinamenti di common e civil law, almeno negli ultimi 50 anni, si è andata riducendo per due ordini di ragioni. Da un lato anche nei Paesi di common law si è sviluppato un diritto scritto, che non è paragonabile a quello dei Paesi di civil law ma fa sì che la libertà del magistrato di creare la norma ed applicarla al caso concreto sia più ridotta di un tempo, e d’altra parte nei Paesi di civil law si sono sviluppati degli istituti che in qualche modo danno al giudice una libertà di interpretazione della norma scritta che è più vicina a quella dei giudici degli ordinamenti di common law.
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BEIRUT. A Beirut lo scambio di prigionieri tra Israele e Hezbollah è presentato come un trionfo nazionale. Ieri i cinque prigionieri rilasciati da Israele sono stati accolti con tutti gli onori dal nuovo presidente, Michel Suleiman. Il coro dei politici libanesi è unanime: Nabih Berri, presidente del parlamento, definisce il rilascio dei prigionieri da parte d’Israele come un riconoscimento del diritto del Libano ad esistere, mentre il Druso Walid Jumblatt, certo non sospetto di simpatie pro-Hezbollah, ritiene che lo scambio di prigionieri e la questione delle Fattorie di Sheeba un fertile territorio di 25 km quadrati posto ai confini tra Siria, Israele e Libano, occupato da Israele dal 1967, siano da tenere ben distinti dall’altra questione che polarizza il dibattito politico di questi giorni in Libano: il disarmo di Hezbollah. Cinque prigionieri sono stati liberati. Quattro sono combattenti di Hezbollah, il quinto è Samir Kontar, che nel 1979 avrebbe ucciso un poliziotto, una giovane madre e la figlia di quattro anni. In cambio, Hezbollah ha restituito i corpi di Ehud Goldwasser e Eldad Regev, i due riservisti la cui cattura aveva scatenato la guerra nel 2006. In Israele, molti hanno posto in dubbio la convenienza di questo scambio, sottolineando l’alto prezzo pagato e il rischio insito nell’aver accettato di mettersi a sedere a tavolino con il nemico. Altri sottolineano, invece, la necessità che ha il governo d’Israele di mostrare interesse per il destino di ognuno dei suoi cittadini. Certo, Hezbollah si mostra trionfante per lo scambio, presentandolo come l’ennesimo trionfo nella lotta contro il nemico di sempre, e come prova della capacità del Partito di Dio di essere il vero difensore dei confini del Libano e dell’integrità dei suoi cittadini. Un argo-
mondo
Dopo la liberazione Hezbollah canta vittoria e il suo disarmo sarà più difficile
L’effetto ostaggi fa tremare Suleiman di Carlo G. Cereti mento particolarmente sentito oggi, quando il principale argomento di discussione è il disarmo delle milizie, il vero nodo gordiano che Fuad Siniora deve
significativo nella storia recente del Libano. Dopo gli scontri di un mese fa, l’accordo di Doha, la conseguente elezione di Michel Suleiman, il Libano si è fi-
Ogni gruppo, ogni fazione tenta d’incrinare il potere dell’altro, di creare divisioni, di meglio posizionarsi in vista della riforma elettorale e dei conseguenti futuri scenari sciogliere prima di ottenere il voto di fiducia del parlamento, previsto per la settimana prossima. Tutto questo s’inserisce in un momento particolarmente
nalmente dato un governo, nel quale l’opposizione ha visto accolta la sua principale richiesta: quella di disporre di una minoranza di blocco composta da
undici ministri. Nel futuro governo siederanno sedici ministri in quota maggioranza, undici in quota minoranza e tre di nomina presidenziale.
All’interno della maggioranza undici ministri fanno capo alla “Corrente del Futuro” guidata da Saad Hariri, due al partito di Walid Jumblatt, uno a testa alle aree di Samir Gagea, Amine Gemayel e al raggruppamento “Kornet Shehwan”. Per l’opposizione, cinque ministeri sono andati ai cristiani di Michel Aoun, tre al partito Amal di Nabih Berri e altrettanti a Hezbollah.
Ritratto di Gerhard Conrad, l’uomo in missione per conto dell’Onu
Dietro lo scambio un mediatore tedesco DIETRO LO SCAMBIO di ieri fra Israele e il partito Hezbollah vi è il lavoro di un agente dei servizi tedeschi del Bnd prestato all’Onu, Gerhard Conrad. Sulla quarantina, molto riservato, Conrad ha imparato l’arabo a Damasco, dove è arrivato nel 1998 sotto copertura diplomatica come rappresentante del Bnd, responsabile anche per il Libano. Secondo una fonte tedesca, Conrad «parla varie lingue, conosce bene Hezbollah e il mondo arabo, ed è dotato d’integrità, ferrea pazienza, nonché capacità diplomatiche e organizzative». Fin dagli anni Novanta, Conrad ha avuto un ruolo negli scambi di prigionieri fra Israele ed Hezbollah, collaborando con i mediatori tedeschi che si sono succeduti, Bernd Schmid-
bauer ed Ernst Uhralu (oggi a capo del Bnd). Tornato nel 2001 in Germania, Conrad ha continuato a partecipare allo sforzo per ottenere notizie sul destino del pilota israeliano Ron Arad, scomparso nel 1986 dopo che il suo aereo fu abbattuto in Libano. Al momento della guerra in Libano dell’estate 2006, l’allora segretario generale dell’Onu Kofi Annan chiese al governo tedesco di prestargli Conrad per condurre i negoziati sulla liberazione degli ostaggi. Lo sforzo di Conrad è infatti condotto per conto dell’Onu, dato che la liberazione di Regev e Goldwasser era fra le richieste della risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che mise fine alla guerra.
Scorrendo la lista si notano alcune apparenti incongruenze: Hezbollah ha nominato tra i suoi un ministro druso,Talal Arslan; Hariri tra i suoi ha nominato uno sciita, Ibrahim Chamseddine. Sembrano essere le prime mosse di una complicata partita a scacchi, destinata a durare a lungo. Ogni gruppo, ogni fazione tenta d’incrinare il potere dell’altro, di creare divisioni, di meglio posizionarsi in vista della riforma elettorale e dei conseguenti futuri scenari. Presto ci troveremo a fare i conti con una situazione politica che non potrà più essere semplicisticamente letta come una diarchia tra una maggioranza filo occidentale ed una minoranza legata alla Siria e all’Iran. Tutto questo in un quadro regionale in continua evoluzione. La nascita dell’Unione del Mediterraneo, fortemente voluta da Sarkozy, rilancia il ruolo dell’Europa nell’area. Accettando di stabilire formali relazioni diplomatiche, la Siria ha mostrato di voler anch’essa sedere al tavolo delle trattative, ma ancora s’ignora la sua reale strategia. Quant’è solido l’asse tra Damasco e Teheran? Quali le vere intenzioni di Ahmadinejad, che oggi si spinge ad immaginare colloqui diretti con gli Stati Uniti? Ancora una volta il Libano sembra essere il proverbiale vaso di coccio tra i vasi di ferro, ma con una differenza: il generale Michel Suleiman, pur cresciuto all’ombra della Siria, nel suo discorso si è dichiarato baluardo dell’indipendenza libanese e della nazione. Le sue prossime mosse dovranno confermare queste affermazioni. In questo quadro l’Italia gioca un ruolo di prima fila. Non è un caso che il maggiore quotidiano libanese in lingua francese abbia dedicato un’intera pagina all’Italia proprio il 14 luglio, giorno della festa della repubblica transalpina.
mondo
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L’intelligence britannica aumenta fondi e uomini destinati al controspionaggio. È la prima volta dal post guerra fredda
James Bond contro il Cremlino di Silvia Marchetti
d i a r i o LONDRA. Giochi di spie, incontri clandestini con i ribelli ceceni, controllo delle infrastrutture petrolifere, coperture diplomatiche fasulle. Sembra di essere tornati in piena guerra fredda, quando il Kgb russo e l’M15 inglese si fronteggiavano senza esclusione di colpi. Invece siamo nella Londra del Terzo Millennio, dove i servizi d’intelligence di Sua Maestà accusano il Cremlino di aver infestato la capitale inglese di spie russe. In Gran Bretagna è ormai caccia aperta agli agenti dell’Fsb (ex-Kgb), ma la Russia non perde occasione per contrattaccare. Nei giorni scorsi Mosca ha accusato un diplomatico dell’ambasciata inglese di usare la sua copertura di direttore dell’ufficio commercio per spiare le mosse del Cremlino e riportare ogni notizia al governo britannico. La stampa russa, citando fonti anonime dell’Fsb, ha rivelato l’identità dello 007 inglese: un certo Chris Bowers, che già negli anni Novanta sarebbe stato operativo nell’Uzbekistan sotto copertura di reporter della Bbc. Le accuse contro Bowers sono pesanti: è colpevole di avere “minato”mol-
to alla sua estradizione. Un niet che avrebbe messo in moto una catena di ritorsioni. L’accusa di spionaggio rivolta a Chris Bowers segue la chiusura di due uffici moscoviti del British Council e l’espulsione da Mosca di altri quattro diplomatici inglesi avvenuta la scorsa primavera, tra cui Andrew Levi, che ricopriva la stessa posizione in ambasciata di Bowers. Una vendetta ben calcolata: Londra a sua volta aveva precedentemente cacciato dal Regno Unito quattro funzionari russi dopo che Mosca si era rifiutata di estradare il possibile assassino di Litvinenko. Insomma, una delicata partita di rappresaglie diplomatiche giocata tra gli apparati d’intelligence dei due Paesi, che rischia di complicarsi. I russi hanno fatto il nome di Chris Bowers dopo che, lunedì scorso, la Bbc Newsnight ha trasmesso un’inchiesta sull’eventuale coinvolgimento del Cremlino nel caso Litvinenko e nel tentato omicidio di un altro dissidente, Boris Berezovsky.Yuri Fedotov, ambasciatore russo a Londra, parlando alla stampa britannica si dice “rammarica-
d e l
g i o r n o
Piano franco-polacco per salvare Trattato Ue Un piano segreto finalizzato allo sblocco del nodo Trattato di Lisbona, dopo la bocciatura del referendum irlandese a firma franco-polacca. A svelare nel dettaglio i termini del piano è il quotidiano Dziennik, secondo cui Varsavia si assumerà la responsabilità di convincere Praga a ratificare il Trattato. A Parigi invece l’onere più gravoso: ribaltare l’esito negativo della consultazione irlandese. L’accordo sarebbe stato messo a punto dal presidente polacco Kaczynski e da quello francese Sarkozy, in occasione della visita del numero uno dell’Eliseo in Polonia, la settimana scorsa. L’intesa prevede anche investimenti francesi del settore automobili in Polonia, e l’impegno da parte della presidenza di turno francese dell’Ue a stringere legami energetici con l’Azerbaigian, alternativa al gas russo per l’Europa auspicata da Varsavia.
Iraq, l’esercito controllerà tutte le province L’Iraq conta di assumere entro la fine dell’anno il controllo diretto dei compiti di sicurezza in tutte le 18 province in cui è suddiviso il Paese. «Puntiamo a farlo entro il 31 dicembre», ha affermato il Consigliere per la sicurezza nazionale iracheno, Muwaffaq al-Rubaie, durante un suo intervento alla cerimonia che ha sancito il passaggio di consegne dalle truppe multinazionali guidate dagli Usa alle forze di sicurezza locali nella provincia di Diwaniyah. Quest’ultima, situata al Sud, è la decima ad assumere la responsabilità diretta del controllo del territorio.
Gmg, Benedetto XVI a Sydney
te operazioni strategiche russe, tra cui il controllo della nuova compagnia petrolifera TNK-BP, frutto di una joint-venture tra un gruppo di miliardari russi e il colosso inglese. L’azienda anglo-russa è una delle maggiori compagnie petrolifere in Russia (tra le top-10 compagnie private al mondo), oltre al mercato domestico copre anche l’Ucraina e rappresenta dunque un asset strategico in termini di rifornimenti energetici. Inevitabile dunque che sia Londra che Mosca vorrebbero estendere il loro dominio sulla TNK-BP (a scapito del partner), aumentando le partecipazioni azionarie. La colpa di Chris Bowers sarebbe stata quella di tramare per assicurare maggiore controllo agli inglesi, a scapito dell’azionista russo. Non solo: secondo l’intelligence moscovita Bowers avrebbe intrattenuto dei rapporti “compromettenti” con i ribelli della Cecenia, altro dossier caldo per il Cremlino.
In Gran Bretagna è caccia aperta agli agenti dell’Fsb (ex-Kgb), ma la Russia contrattacca
I rapporti diplomatici tra Mosca e Londra si fanno così più tesi. Una nuova guerra fredda iniziata con la morte di Alexander Litvinenko, l’ex spia del Kgb uccisa a Londra nel 2006 con una dose di polonio. Litvinenko, critico dell’ex presidente Vladimir Putin e dei suoi metodi da Kgb, era una figura scomoda che gli agenti russi avrebbero deciso di eliminare. L’Inghilterra ha individuato il possibile assassino in Andrei Lugovoi, collaboratore di Litvenenko, ma la Russia non ha mai acconsenti-
to”di queste accuse reciproche e toni da guerra fredda: «Non mi piace la campagna anti-russa organizzata dalla stampa inglese».
Sta di fatto che Londra è tornata a essere il covo preferito dagli agenti dell’ex Kgb. L’M15 denuncia “un’emergenza sicurezza”per via della proliferazione in Gran Bretagna di spie russe. Secondo fonti interni al controspionaggio di Sua Maestà, Londra pullula di agenti dell’Fsb – più di una trentina – che operano nella massima libertà sotto copertura dell’ambasciata e dell’ufficio per il commercio di Mosca. Insomma, «siamo tornati agli stessi livelli della guerra fredda», confessa uno 007 dell’M15 al Guardian. È la prima volta dalla fine della contrapposizione tra i blocchi che gli apparati d’intelligence britannici sono stati costretti ad aumentare le risorse e gli uomini destinati al contro-spionaggio, soprattutto in relazione alle spie russe ma anche cinesi che si muovono nella capitale. Inevitabile dunque che questa nuova guerra tra spie ostacoli le relazioni anglo-russe, già in crisi. Alcuni giorni fa Gordon Brown ha incontrato al summit del G8 il neo-presidente russo Dmitry Medvedev, ma non c’è stato alcun progresso sui dossier più caldi. Il caso Litvinenko, le accuse reciproche di spionaggio e il controllo turbolento della joint-venture petrolifera TNK-BP sono lontani da una qualsiasi soluzione.
Il Papa ha lasciato ieri la casa alle propaggini delle Blu Mountains per trasferirsi a Sydney, dove oggi i pellegrini gli dedicheranno una festa di accoglienza. Il pontefice farà il suo ingresso nella baia di Sydney a bordo di una nave. Sempre oggi confluiranno i città i vari gruppi di pellegrini che da alcuni giorni sono ospitati in varie città del Paese, per incontri di preghiera e catechesi, momenti di aggregazione e amicizia. Per ospitarli sono mobilitate parrocchie cattoliche e scuole, compreso un istituto islamico.
Cina, 1500 arresti per una petizione Circa 1500 persone, giunte a Pechino per presentare petizioni alle autorità, sono state arrestate dalla polizia e deportate nelle province di origine. Lo ha denunciato l’Information centre for human rights and democracy di Hong Kong, aggiungendo che una donna di 54 anni è riuscita a liberarsi ma è precipitata da un ponte, morendo. In Cina la gente usa presentare petizioni alle autorità per chiedere la riparazione di torti subiti e molti si recano a Pechino se non hanno ricevuto soddisfazione a livello locale. Alle autorità provinciali sarebbe stato ora detto d’impedire questi viaggi in vista delle Olimpiadi di Pechino (8-24 agosto).
Al via vertice anglicano di Canterbury Vescovi anglicani provenienti da tutto il mondo stanno per raggiungere la propria patria spirituale, Canterbury (nel sud-est dell’Inghilterra), per partecipare al meeting più atteso che si svolge una volta ogni dieci anni, tre settimane di conferenza sul futuro della comunità anglicana, che si trova sull’orlo dello scisma in seguito alle profonde divergenze sull’ordinazione delle donne a vescovo e sulla questione degli omosessuali. Sono circa 650 i vescovi che prenderanno parte alla Conferenza di Canterbury, presieduta dall’arcivescovo Rowan Williams.
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speciale educazione
Socrate
Mentre maggioranza e opposizione hanno rotto il dialogo il ministro dell’Istruzione e quello ombra del Pd hanno tutte le intenzioni di arrivare a una riforma bipartisan
LE DONNE CHE FECERO L’INTESA colloquio con Mariastella Gelmini e Maria Pia Garavaglia di Irene Trentin ono aperta alle proposte dell’opposizione», dice il ministro Mariastella Gelmini. Che appena nominata a capo del dicastero della Pubblica istruzione aveva dichiarato la possibilità di una riforma bipartisan. Poche settimane dopo, sono arrivate le polemiche per i tagli annunciati dalla manovra finanziaria 2009, che torna a colpire scuola e università. «Vogliono commissariare il ministero della Pubblica istruzione», risponde il ministro ombra del Partito democratico Maria Pia Garavaglia. Che però ribadisce l’apertura del suo partito a una riforma fatta insieme. E sulle priorità ci sono molti punti in comune. E a sorpresa, anche sulle proposte.
«S
Fin da subito avete dichiarato entrambe la volontà di aprire al dialogo per una riforma bipartisan della scuola. Ci sono ancora le condizioni per farlo? GELMINI: Me lo auguro tantissimo. Siamo consapevoli che c’è a tema il futuro stesso del Paese ma già da più parti si avverte la necessità di lavorare insieme sulla scuola. Da parte nostra siamo aperti anche alle proposte dell’opposizione. Il comparto deve rimanere unito pur nel rispetto della diversità dei ruoli. Occorre una grande alleanza tra parti sociali, mondo della scuola, famiglie, studenti. GARAVAGLIA: Il Partito democratico è aperto ad ogni tipo di
discussione, basta che si tratti di una discussione seria e vera. In questo senso, ritengo importante, come ha fatto il ministro Gelmini, all’atto di assumere l’incarico, ribadire che alla scuola italiana non servono discussioni ideologiche e di essere d’accordo con i tanti provvedimenti positivi presi dal ministro Fioroni, quando era titolare del dicastero.
Quali sono le priorità da affrontare nella scuola? GELMINI: Dobbiamo restituire dignità e ruolo agli insegnanti. Stiamo riprendendo in mano una proposta di legge del precedente governo Berlusconi per rivedere lo stato giuridico dei docenti, in modo da legare l’avanzamento della carriera al merito. Sono convinta che la nostra battaglia si debba giocare proprio su questo fronte: la qualità della scuola è necessariamente collegata al merito. Quindi, niente più distribuzione a pioggia ma valorizzare gli istituti e le scuole più meritevoli. GARAVAGLIA: Bisogna riorganizzare la scuola secondaria, dove c’è molto da fare. I più penalizzati sono gli istituti tecnici, dove ci sono troppe ore di lezione e troppo poche di laboratorio, ad esempio. Si tratta di rivedere l’organizzazione didattica e soprattutto la preparazione e la formazione dei docenti. Non basta essere laureati in una materia per poterla insegnare. Le classi di concorso sono obsolete, risalgono ancora
alla vecchia riforma Gentile e non corrispondono più alle nuove esigenze.
Su quali punti del programma si potrebbe lavorare insieme? GELMINI: Le due emergenze sono dispersione scolastica e poi scuola media inferiore e superiore. Il tasso di dispersione scolastica nonostante gli sforzi fatti in questi anni è ancora troppo alto, soprattutto in alcune realtà. Impegnarsi sulla scuola superiore significa riqualificare non solo i licei ma anche gli istituti tecnici e professionali, in modo che possano rilasciare diplomi adeguati al mondo del lavoro. GARAVAGLIA: Dobbiamo iniziare a lavorare insieme nella lotta contro la dispersione scolastica e per attuare nel miglior modo possibile l’obbligo dell’innalzamento scolastico fino a sedici anni, con un biennio da attuare in un liceo o in un istituto tecnico. Suggerirei anche al ministro di riprendere l’idea del nostro governo delle classi Primavera, quelle dei bambini dai tre ai sei anni, in una sorta di passaggio graduale tra la materna e le elementari.
Tra i tagli previsti dalla Finanziaria 2009, molti interventi riguardano proprio scuola e università. GELMINI: I tagli previsti dalla manovra finanziaria serviranno
a reinvestire il 30 per cento dei risparmi nella scuola e in premialità. Tagliare per reinvestire meglio, quindi. Non saranno toccati i finanziamenti destinati alla ricerca né il fondo ordinario previsto per le università. D’altra parte il bilancio del ministero è molto rigido: il 97 per cento dei soldi serve per l’erogazione degli stipendi. Occorre assolutamente una razionalizzazione ma sulle basi del merito. GARAVAGLIA: È inammissibile che un ministro venga commissariato. La manovra finanziaria fa riferimento a un comitato di verifica tecnico-finanziaria di cui fanno parte di diritto anche il ministro dell’Economia e delle Finanze. Questo significa far prevalere criteri economici piuttosto che educativi su un settore così delicato come la scuola. I tagli devono essere
frutto di una verifica precedente, nel pieno rispetto dell’autonomia scolastica. Come si fa a parlare di merito e qualità se non s’investe nella scuola?
Entrambi gli schieramenti sembrano d’accordo sulla necessità di valutare gli insegnanti. È possibile riuscirci? GELMINI: Dobbiamo riconsiderare il concetto di valutazione: non dev’essere punitivo ma misurare il rapporto costi e benefici sia nella scuola che nelle università per innalzare la qualità. C’erano già degli ottimi strumenti di valutazione, l’Invalsi per la scuola primaria e secondaria, il Cnru per università per la valutazione della ricerca. Ri-
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re e della disciplina ma che faciliti l’apprendimento. GARAVAGLIA: Il sistema dei debiti e crediti non ha funzionato bene. I corsi di recupero rischiano di trasformarsi in un peso per le famiglie, che spesso ricorrono a insegnanti privati, mentre dovrebbero essere un diritto e la scuola dovrebbe farsene carico. Credo che gli esami di riparazione po-
Quale è il ruolo di scuole e università private? trebbero aiutare a far chiarezza nelle responsabilità di ciascuno. GELMINI: L’istruzione è solo pubblica, anche se esistono scuole private equiparate. E tutto il servizio pubblico sarà sottoposto a criteri di valutazione. La vera distinzione, quindi, non è tra pubblico e privato, ma tra scuole e università di qualità e non di qualità. GARAVAGLIA: Chiediamo la chiusura dei diplomifici. Anche scuole e università private devono essere sottoposte a un’attenta valutazione perché offrono lo stesso tipo di servizo delle pubbliche.
L’esigenza di cambiare è condivisa da tutti: bisogna lavorare insieme
partiamo da qui, potenziandone e migliorandone il sistema. GARAVAGLIA: Abbiamo degli ottimi strumenti recenti di valutazione nella scuola primaria, come l’Invalsi. Perché non ripartiamo da lì, ricorrendo a dei correttivi se serve, senza continuare a cambiare, perdendo altro tempo? La valutazione sul merito faceva parte anche del nostro programma elettorale. Ci trova pienamente d’accordo.
Tra le proposte che riguardano la scuola primaria, si parla anche del ritorno al maestro unico nel biennio. GELMINI: Per ora si tratta solo di un’ipotesi al vaglio, su cui intendo confrontarmi con le parti sociali e il parlamento. Di certo, oc-
corre razionalizzare gli organici della scuola privilegiando la qualità. Per questo stiamo facendo delle simulazioni per verificare gli effetti della riorganizzazione. In ogni caso la scuola elementare è unica e non va toccata. GARAVAGLIA: In Italia abbiamo un’ottima scuola primaria: siamo i primi in Europa e sesti nel mondo. Consiglierei al ministro di non toccarla. Il problema non è l’insegnante unico, possiamo anche trovarci d’accordo. Il vero nodo è una preparazione adeguata degli insegnanti, soprattutto negli istituti superiori.
La riforma dei cicli in vigore va bene così o va rivista? GELMINI: Ritengo prioritario portare a compimento l’innal-
zamento dell’obbligo scolastico fino a sedici anni, previsto dalla riforma Moratti e ripreso poi dal ministro Fioroni. Dobbiamo dare ai ragazzi che lo scelgano, però, la possibilità di effettuare il biennio dopo le medie anche negli istituti tecnici e professionali per contenere la dispersione scolastica. GARAVAGLIA: È meglio non gravare la scuola in questo momento con altre riforme e controriforme. Meglio non mettere mano sull’organizzazione dei cicli. Concentriamoci su altre priorità. Come rivedere l’organizzazione didattica negli istituti tecnici e professionali.
Cosa non funziona nel sistema di crediti e debiti? Meglio tornare agli esami a settembre? GELMINI: Il sistema di debiti e crediti va migliorato. Se gli studenti hanno insufficienze non gravi, magari in materie come italiano e scienze, possono recuperare anche durante l’estate con i corsi di recupero. Sto pensando anche alla possibilità di ritornare agli esami di riparazione a settembre. Deve prevalere la scuola del rigo-
Cosa possono fare le università italiane per uscire dalla crisi? GELMINI: Ho riproposto la possibilità di trasformare le università in fondazioni. Si tratta di una norma sperimentale nel pieno rispetto dell’autonomia. Così le università potranno dotarsi di un regolamento di diritto privato più agile, oltre a poter ricorrere alla contabilità analitica, evitando il rischio del dissesto finanziario. GARAVAGLIA: Già oggi c’è la possibilità di trasformare le università in fondazioni. Non c’è nessuna novità in questo decreto. È vero che ci potrebbero essere alcuni vantaggi, come la possibilità di detassare i contributi e le liberalità. Ma attenzione, se non si cambiano le regole, le università rimarranno enti pubblici sottoposti alla Corte dei conti.
Come evitare che ci siano università di serie A e di serie B? GELMINI: È certo che questa possibilità potrebbe agevolare
i Politecnici e le università storiche. Ma questo significherà che porremo la nostra massima attenzione sui piccoli atenei che potranno contare su maggiori risorse pubbliche. GARAVAGLIA: Le università più prestigiose finiranno inevitabilmente con l’ottenere maggiori contributi dal territorio e dagli enti privati, mentre quelle minori dovranno appoggiarsi solo sui finanziamenti pubblici. Su cui grava anche la consistente riduzione del fondo di finanziamento ordinario prevista dalla Finanziaria.
I nuovi criteri del concorso per i docenti contribuiranno a contrastare le baronie? GELMINI: La valutazione introdurrà criteri di trasparenza, equità e merito. Ho avanzato proposte per svecchiare gli organici a favore degli under 40, legando lo stipendio ai risultati ottenuti proprio per contrastare questo fenomeno. GARAVAGLIA: Il nostro sforzo dovrà essere diretto a fare in modo che siano fatti rispettare criteri di trasparenza e valore, che sono l’unica modalità per riqualificare le nostre università. Quanto alla baronia, quando diventa malcostume, penso svanisca nel momento in cui l’istituzione universitaria italiana riacquista peso e prestigio. Nel frattempo, occhi aperti sui concorsi.
Come arginare la fuga di “cervelli” all’estero? GELMINI: Il fatto che molti nostri ricercatori si rifugino all’estero dimostra anche che hanno una competenza e una preparazione di qualità, anche se purtroppo non sono abbastanza tutelati nel nostro Paese. E d’altra parte non riusciamo ad offrire attrattive ai ricercatori stranieri. Purtroppo non basta mettere a disposizione finanziamenti per la ricerca. Il vero problema è costituire una sinergia tra enti privati, imprese ed enti pubblici. Su questo c’è la necessità di un progetto unitario, su cui stiamo lavorando. G ARAVAGLIA : Sull’individuazione del problema nella scarsità dei compensi percepiti dai ricercatore i quali spesso preferiscono trasferirsi all’estero, siamo tutti d’accordo. Il punto è trovare ora una ricetta vera in grado di arginare un fenomeno che danneggia veramente tanto il nostro settore di ricerca.
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speciale educazione
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La convergenza sui temi educativi potrà produrre risultati solo se supererà gli schemi corporativi
L’indiscreto fascino dell’inciucio di Giuseppe Bertagna arevano avversità. Possono essere opportunità. Gianbattista Vico insegna sempre qualcosa a chi lo prende sul serio. Le avversità sono quelle note. Si possono riassumere nel commissariamento dell’istruzione e dell’università da parte dell’economia. Se si pensa di poter vincere la febbre qualitativa aumentando le dosi dell’antibiotico non ci sarà guarigione. Fuori di metafora, l’accordo tra maggioranza e opposizione sugli interventi necessari per uscire da questa situazione, sarà efficace solo se scaturirà dalla consapevolezza di dover introdurre cambiamenti profondi, vere e proprie «ri»-forme condivise dell’esistente.
P
Il primo obiettivo su cui maggioranza ed opposizione dovrebbero concordare per non rendere soltanto consociativo il loro incontro si potrebbe, perciò,
re, nello specifico, l’idea che le scuole e le università siano un «affare di stato» ed assumere la corretta e, dal 1948, purtroppo per lo più tradita concezione costituzionale per cui esse sono e devono essere, invece, un «affare di Repubblica». La Repubblica è realtà istituzionale ben più ampia dello Stato. Contiene non solo i comuni, le città metropolitane e le regioni (titolo V della Costituzione), ma anche le comunità religiose (artt. 7 e 8 della Costituzione), le famiglie (artt. 29 e 30), le associazioni volontarie di assistenza (art. 38), i sindacati (art. 39), le imprese (artt. 41 e 46), le libere unioni cooperative (art. 46). In questa prospettiva, la trasformazione delle istituzioni scolastiche e delle università in «fondazioni» e l’orizzonte di un sistema educativo nel quale viga piena parità di trattamento per gli alunni che scelgono la frequenza di «fondazioni» pubbli-
«Aprire le porte ai giovani: basta vantaggi per chi ha già l’età della pensione» identificare in un cambio del quadro concettuale di fondo nel quale sono state finora collocate le politiche formative. Dismette-
che statali e non statali è da percorrere con determinazione. Con determinazione, perché, in questo modo, si valorizzano due
fondamentali consapevolezze. La prima era già stata anticipata dai provvedimenti della legge n. 53/03: far comprendere che alla promozione del Profilo educativo, culturale e professionale dei giovani alla fine del I, del II ciclo, e del III ciclo di istruzione e formazione devono concorrere non soltanto le istituzioni scolastiche e universitarie, con il loro specifico lavoro formativo, ma anche, in maniera diversa, tutti gli altri enti che compongono la Repubblica. La seconda è far comprendere che non solo lo Stato, ma anche le altre ricordate «formazioni sociali» devono investire
tempo, energie e risorse sulle scuole e sulle università, ricevendo in cambio una qualità maggiore che loro stessi possono e devono esigere e controllare.
La seconda strategia su cui maggioranza e opposizione dovrebbero convergere è una conseguenza della prima. Riguarda il prendere sul serio quanto il combinato disposto TitoloV della Costituzione e della legge n. 53/03 aveva cominciato a rendere possibile e che il governo Prodi ha, al contrario, poi reso impossibile. Ovvero allestire un sistema di istruzione statale (licea-
LETTERA DA UN PROFESSORE
LA CLASSE GIOVANILE NON ESISTE di Giancristiano Desiderio hi sono o cosa sono i giovani? Non sono una categoria o una classe sociale a sé stante. Non sono una corporazione o una società nella società i cui problemi vanno affrontati in modo speciale “ascoltando”– come si usa dire – i giovani. L’ascolto che si deve ai giovani - come a chiunque altro: ai bambini, agli adulti, ai vecchi - non è l’ascolto che si deve a una cultura altra e determinata, ma a un mondo in crescita e formazione che ha come suo fine l’umanità. Quelli che si chiamano“i problemi dei giovani”o del“mondo giovanile”sono fatti da subordinare al fine principale: la crescita e formazione dei giovani che devono diventare uomini. L’umanità in formazione dà nuova forza e nuove
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energie, intellettuali e morali, all’umanità già formata. Ma il valore positivo dei giovani sta nella capacità – per dirla con Aristotele – di diventare altro: nuova umanità. È una crescita che comporta sforzi, disciplina, fatiche, rinunce. Ecco perché compito degli adulti non è quello di assecondare i giovani ma quello di permetterne la giusta maturazione. «La gioventù è un momento di transito – scriveva giustamente Salvatore Valitutti nel saggio intitolato I giovani e la cultura del 1987 – Chi la ferma in realtà la distrugge come si distrugge il frutto acerbo sull’albero cogliendolo prima della sua maturazione». La formazione della nuova umanità attraverso l’educazioneè vitale anche per la vi-
ta democratica. Sono, infatti, i regimi autoritari e totalitari che usano i giovani assecondando le loro illusioni e isolando la loro “cultura giovanile” come se fosse una cultura autonoma e compiuta. In questo modo il mondo dei giovani è strumentale alla stabilità e rafforzamento del potere. Nei regimi democratici, invece, i giovani rappresentano la stessa continuità della democrazia: per questa ragione la cosiddetta“cultura giovanile”non può essere isolata e subdolamente considerata autonoma, ma va considerata come umanità crescente, umanità che si deve formare. In questo modo il mondo dei giovani avrà come suo fine e mezzo l’educazione alla libertà.
le e universitario) e un sistema di istruzione e formazione tecnicoprofessionale regionale (secondario e superiore) che siano tra loro di pari dignità educativa e culturale, nonché sempre interconnessi, dai 14 ai 23 anni. Che ce ne facciamo, infatti, di un «sistemino» dell’istruzione e formazione professionale regionale che sia soltanto residuale, destinato ai falliti dei licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali statali e dell’università? Quale pari dignità potrà mai rivendicare un «sistemino» di questo genere? Come possiamo, poi, pensare a indispensabili economie di spesa, se continueremo ad avere, in quello statale, paralleli fra loro, cinque anni di istituti tecnici e cinque anni di istituti professionali, con cervellotiche distinzioni, inventate da apposite commissioni ministeriali al solo scopo di difendere duplicazioni di personale, mantenere l’esistente e tradire il Titolo V della Costituzione? La terza cosa da cambiare e su cui convergere è il superamento della retorica dell’autonomia. Anzitutto, chiare «norme generali» a livello nazionale che indichino i paletti essenziali che tutti devono rispettare nel costruire i loro autonomi percorsi formativi. In secondo luogo, un Sistema Nazionale di Valutazione degno di questo nome e davvero indipendente dal Ministero. La cosa forse peggiore della politica scolastica degli ultimi due anni è stata la sospensione dei provvedimenti varati a questo scopo tra il 2003 e il 2005. Il quarto obiettivo che dovrebbe raccogliere gli impegni comuni di maggioranza e opposizione è il ricambio generazionale. Bisogna inserire nelle scuole e nelle università giovani che abbiano seguito percorsi formativi iniziali diversi da quelli vigenti e che non siano cresciuti con le abitudini degli attuali modi di gestire i processi scolastici e universitari. In questa prospettiva, ben venga, per la scuola, il recupero dello spirito dell’art. 5 della legge n. 53/03 improvvidamente abrogato dal ministro Fioroni, contenuto nel disegno di legge Aprea in discussione in parlamento. E per l’università ben venga il recupero delle norme Moratti sui concorsi. L’importante è che si creino corsie preferenziali per i giovani, non per il mantenimento in servizio di chi ha già l’età della pensione.
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Più che riflettere su ”che cosa fare”, bisogna chiedersi ”che cosa non fare”
Il sogno della riforma genera mostri entre il Pd indugia a prove di frammentazione interna e di divorzio da scomodi ingombranti alleati, le signore dell’istruzione, cioè il ministro vero e quello ombra, Mariastella Gelmini e Mariapia Garavaglia, fanno prove d’intesa bipartisan. Nell’intervista “binaria” che Irene Trentin ha messo a punto per l’inserto Socrate di oggi, le due Marie provano ad essere d’accordo quasi su tutto: sulla necessità di intervenire, in via di priorità, nei confronti della scuola secondaria superiore e del sistema di formazione tecnica e professionale; sul problema della dispersione scolastica; sull’ingresso precoce nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria; sulla permanenza obbligatoria a scuola fino al compimento del sedicesimo anno di età; sulla necessità di colmare il divario tra Nord e Sud; sulla revisione dello stato giuridico degli insegnanti, compresi adeguamento retributivo, formazione e reclutamento; sul principio meritocratico; sull’autonomia; sulla necessità di valutazione sistematica degli istituti scolastici, statali o privati che siano. Che altro? L’intesa bipartisan sembra già sulla linea di partenza. A sostegno, l’on.Valentina Aprea ha annunciato, per parte sua, che la Commissione cultura della Camera, da lei presieduta, avvierà presto «l’esame di due proposte di legge, una di maggioranza e una di opposizione, per convergere verso un testo in cui ci si possa riconoscere tutti…». Cosa fatta, dunque? Armiamoci e partiamo? Allo stato attuale delle cose, la riforma, anche bipartisan, è impossibile oppure inutile (perché inapplicabile). Né il Governo, infatti, né l’opposizione hanno capito che la realtà di oggi, grande e complesso sistema, esige un radicale
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cambiamento del punto di vista per essere osservata o, ancor più, cambiata: è giunto il momento che lo Stato e la politica, invece di chiedersi cosa “fare per la scuola”, si chiedano e capiscano cosa “non fare”.
Tutti vogliono “fare”. Tutti sono d’accordo, ad esempio, sul recupero di professionalità e dignità per l’insegnante, ma nessuno cerca di “capire” la soluzione, perché tutti vogliono “offrirla”: tutti
professionalità ed eccellenza per quanto gli serve e per quanto gli basta, piuttosto che attendere “emanazioni” di competenze decise e organizzate dall’autorità centrale). Per poter agire in maniera sensata e con qualche probabilità di successo, è tempo di sostituire il lento, macchinoso e goffo «pensiero centrale» con l’agilità del «pensiero periferico». Ciò era ben chiaro al filosofo Ugo Spirito, che nel 1973 affermava laconicamente: «Al centro non si può fare nulla e dal centro non bisogna aspettare nulla» (Il fallimento della scuola italiana, Armando, p. 129). Qualche pagina prima, Ugo Spirito aveva suggerito di «guardare alla realtà con altri occhi, rinunciando alla volontà di costruire un sistema uniforme», e aveva caldeggiato «l’invenzione e l’attuazione di una realtà ispirata ai tanti ideali che potranno sorgere negli infiniti centri della vita sociale» (Op. cit., p. 125). Nello stesso anno, l’esperto di politica dell’educazione Giovanni Gozzer – oggi ingiustamente relegato in soffitta – diceva più o meno le stesse cose, ma in un linguaggio meno speculativo e più manageriale. Scriveva Gozzer che «parlare di riforme è pura perdita di tempo»: infatti, «le riforme guidate e controllate dalla mano pubblica [...] sono impossibili, perché nessun organismo socio-politico è oggi in condizione di trovare risposte uniconsensuali a situazioni che hanno infinite risposte e tutte egualmente valide [...] Dall’altro canto, anche se le riforme fossero possibili, nel quadro tradizionale, esse sarebbero inutili [...] perché sarebbe impossibile dare risposta
La chiave di volta per cambiare il sistema è l’insegnante si agitano, pensano, agiscono e progettano, ma sempre in termini di “elargizione”, magari con un «vediamo-chi-se-lomerita». Ecco, allora, sorgere la facile illusione che, dando altro stipendio e altra carriera all’insegnante, si daranno altri destini alla scuola italiana. Ma così non è. Se non si parcellizza il sistema, è pressoché impossibile affrontarne la complessità: deve essere l’insegnante il responsabile artefice del curricolo della “sua” scuola, non come insegnante-paradigma, ma nella sua singolarità, nel suo essere qui e adesso, con il suo agile «pensiero periferico». I programmi emanati dal centro, anche se si chiamano soltanto «indicazioni», sono, oggi, un’autentica sciocchezza. (Mentre esiste già, ad esempio, un «Istituto per le tecnologie didattiche» del Cnr a cui l’insegnante potrebbe e dovrebbe attingere
soddisfacente a tutte le variabili in gioco, quelle prevedibili e quelle non prevedibili» (Il capitale invisibile, Armando 1973). È compatibile con questa linea il suggerimento, che ho più volte replicato su liberal, di una sorta di riforma-non-riforma, che, senza particolari scenografie, prenda coscienza del primato dell’insegnante e che solo in un secondo momento si misuri con problemi di“governance” politico-amministrativa.
L’educazione ha questo di sua natura, di essere costituita da una serie praticamente infinita di fatti esistenziali, progettati e/o gestiti con sapienza da una figura professionale demiurgica. L’insegnante è demiurgo perché fa scaturire continuamente il mondo dall’esperienza sua e dei suoi allievi, i quali sono come la materia «madre del mondo», di cui parlava Platone nel Timeo. L’insegnante è anche lo slancio vitale di Bergson, è la coscienza che penetra nella materia e la organizza. Insomma, bando alle nobili metafore, l’insegnante è la chiave di volta degli accadimenti educativi ed ogni cambiamento, perciò, passa attraverso di lui, si voglia o non si voglia: ed è strategico volerlo. Il coinvolgimento di ogni singolo insegnante come agente primario e decisivo genera adattamenti, parcellizzati e su misura, esprime l’agile «pensiero periferico» di cui parlavo sopra. Se i politici, il ministro in carica e il ministro ombra, il presidente della Commissione cultura e il ministro dell’Economia vogliono smetterla di «emanare dal centro», allora sì, possono ragionevolmente pensare di contribuire all’autonomia del sistema educativo. Nel caso contrario, è grande il rischio di adottare strumenti inadeguati al tempo presente e di generare mostri anziché riforme.
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economia
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uando Maurizio Sacconi e Renato Brunetta cominciarono a illustrare i loro progetti, in tanti si chiesero se i due neoministri ce l’avrebbero fatta a portare a compimento obiettivi tanto ambiziosi. Invece, molte di quelle proposte audaci stanno per terminare, con l’approvazione del decreto n.122, il loro iter legislativo: alla Camera sarà convertito tra qualche giorno (quasi sicuramente con ricorso alla fiducia), poi si passerà al Senato, dove i rapporti sono meno complicati di quelli esistenti a Montecitorio. Il decreto n.122, seppure attraverso un percorso travagliato intessuto di una valanga di emendamenti (compresi quelli aggiuntivi del governo), ha introdotto importanti innovazioni anche in materia di lavoro, in un’ottica di liberalizzazione e deregolazione, quali, tra l’altro, le modifiche alla disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato e dei contratti occasionali di tipo accessorio e dell’apprendistato, alla normativa sull’orario di lavoro.
Altrettanto importanti risultano essere le disposizioni recanti misure di semplificazione in materia di adempimenti obbligatori di natura formale nella gestione dei rapporti di lavoro come l’istituzione del libro unico del lavoro, nonché l’abrogazione di prescrizioni burocratiche gravanti sull’insieme dei datori e dei lavoratori (come l’odiosa procedura in tema di dimissioni volontarie). Tali misure - proprio perché non riducono la tutela dei diritti dei lavoratori, ma semplificano i rapporti di lavoro e la gestione delle imprese - potranno promuovere e diffondere auspicabili processi di collaborazione e di partecipazione. L’opposizione di sinistra (non così l’Udc) ha contestato questi interventi nella loro ispirazione prima ancora che nel merito. È emersa così la vera differenza tra le formazioni moderate e quelle di centrosinistra in materia di lavoro e di welfare: il Pd può anche candidare ed eleggere esponenti di spicco della nomenclatura confindustriale, ma resta prigioniera di una visione nemica dell’impresa, al punto da prefigurare un assetto del diritto del lavoro che vorrebbe costringere le aziende a sottoporsi a vincoli e a procedure (inutilmente) pensate per colpire i casi patologici. In sostanza, è vero che ci sono esempi, purtroppo frequenti, di datori di lavoro che violano i diritti fondamentali dei loro dipendenti. Ma per colpire tali casi la sinistra tende ad imporre anche agli imprenditori onesti (la grande maggioranza) e ai loro dipendenti comportamenti
questo caso, il decreto legge è in sintonia non soltanto col piano industriale del governo, ma addirittura – se ne ricordi la sinistra – col Libro verde sulla spesa pubblica di Tommaso Padoa-Schioppa. Per quanto riguarda il settore del pubblico impiego, il Libro rilevava (al paragrafo 2.4) come le retribuzioni dei dipendenti pubblici fossero aumentate negli ultimi anni a tassi ben superiori rispetto all’inflazione e alla produttività totale dell’economia.
Il tentativo di Sacconi e Brunetta di liberalizzare il sistema
Lavoro, più flessibilità per aumentare i diritti di Giuliano Cazzola inquisitori e vere e proprie vessazioni burocratiche e assurdi adempimenti penalizzanti. È sbagliato e distorcente, invece, un diritto del lavoro fondato su una casistica estrema, in un contesto in cui, invece, le leggi esistono e vengono rispettate nella grande maggioranza dei casi. La sinistra (ecco perché perde le elezioni) ha in mente un mondo del lavoro che esiste soltanto nella sua cultura arretrata, ma non nella realtà. Così è portata a generalizzare fenomeni gravi, ma limitati e minoritari. E per combatterli è
Soltanto la strada della semplificazione può limitare il precariato, incentivando le aziende ad assumere con contratti a tempo indeterminato disposta a caricare il mondo dell’impresa e del lavoro di inutili «gride», che vengono man mano appesantite più se ne riscontra l’inefficacia. Come se bastasse moltiplicare gli adem-
pimenti e amplificare le sanzioni per risolvere i problemi.
In realtà si cerca soltanto di rendere meno gravosa la vita delle imprese e dei lavoratori, dal momento che si è portati a credere – fino a prova contraria – che in generale i rapporti tra datori e lavoratori siano sostanzialmente corretti, collaborativi («complici», ama dire il ministro Sacconi) e non solo fisiologicamente conflittuali. Particolare rilievo spetta poi alle norme riguardanti il riordino del pubblico impiego. Anche in
La proposta di Cazzola e Della Vedova (Pdl) e le aperture di Cisl e Confindustria
Articolo 18, indennità e non reintegro ROMA. Le polemiche che portano alla rottura del fronte sindacale sul Patto per l’Italia sembrano lontane, mentre la rigidità del nostro mercato del lavoro resta alta. Troppi i lacci e lacciuoli, partendo dal famigerato articolo 18, che impone il reintegro nelle imprese sopra i 15 dipendenti in caso di licenziamento. In questa chiave i deputati del Pdl Giuliano Cazzola e Benedetto Della Vedova hanno presentato un disegno di legge per aggiornare questa parte dello Statuto dei lavoratori. Propongono che, a eccezione dei licenziamenti discriminatori, il datore, al posto del reintegro, possa erogare un’indennità risarcitoria pari a 15 mensilità. Per i firmatari del disegno di legge una delle priorità «è la flessibilità in uscita». Anche perché gli attuali vincoli finiscono per spingere le
aziende «verso i contratti a termine, lavoro interinale, collaborazioni coordinate e continuative, se non lavoro nero». Cazzola e Della Vedova però ci tengono a sottolineare che la loro proposta non va nella direzione «della libertà di licenziare. Questa sarebbe comunque impedita dalla stessa Carta Sociale Europea che vuole che i licenziamenti siano giustificati, e quindi sindacabili». Intanto si registrano già i primi placet dalla Cisl e da Confindustria. «Non ho nulla da dire, la proposta è molto ragionevole. Ma se deve creare un nuovo polverone, discutiamone nei tempi dovuti», dice il segretario di via Po, Raffaele Bonanni. «C’è da vincere un fattore più culturale che pratico», nota invece il vicepresidente di viale dell’Astronomia con delega ai rapporti sindacali, Alberto Bombassei.
In merito al solo comparto ministeri si osservava, poi, che vi era ancora poca mobilità (l’80 per cento del personale non ha cambiato neanche una volta ufficio all’interno dello stesso ministero negli ultimi 5 anni) e che esistevano forti eterogeneità nella distribuzione tra centro e periferia, tra dirigenti e non, nonché tra i diversi dicasteri. Il complesso dei redditi da lavoro delle amministrazioni pubbliche – aggiungeva il Libro - è pari all’11 per cento del Pil, dato sostanzialmente in linea con la media dei Paesi dell’Unione Europea a 15. Va però detto che nazioni come Germania, Francia e Spagna hanno ridotto nel corso degli ultimi 5-6 anni il rapporto tra redditi da lavoro e Pil, mentre in Italia è aumentato (era il 10,4 per cento del Pil nel 2000). Quanto poi alle problematiche del turn over, che viene affrontato con rigore dallo stesso decreto legge, il Libro verde traeva un bilancio assai poco lusinghiero delle esperienze compiute. Molto riformismo, dunque, per iniziativa del governo. Ma in Parlamento la maggioranza deve soltanto restare a guardare oppure è bene che prenda ulteriori iniziative? Vi sono sicuramente altri terreni da presidiare. Le pensioni per esempio. Se il governo non ritiene utile mettere troppa carne al fuoco ed evita di occuparsi di problematiche previdenziali, ciò non significa che la legislatura si fermerà a rammendare le solite vecchie calze senza accorgersi che le dinamiche demografiche costringeranno prima o poi (e presto) a rimettere mano ad aspetti delicati del sistema pensionistico, a partire dall’innalzamento dell’età pensionabile in una logica di flessibilità. Analogo discorso vale per la revisione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e con riferimento proprio alla questione della reintegrazione nel posto di lavoro. Fino a quando non si affronterà con equilibrio questo problema, sarà sempre più difficile contrastare il dualismo del mercato del lavoro, in larga parte determinato proprio dalle rigidità in uscita dal rapporto di lavoro.
economia
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Bonanni e Angeletti respingono al mittente l’invito del segretario della Cgil di scendere in piazza contro il governo
Sulla piazza Cisl e Uil isolano Epifani di Vincenzo Bacarani
d i a r i o
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g i o r n o
Abi: a giugno tassi record per i mutui Il tasso sui mutui per l’acquisto di abitazioni schizza a giugno al 5,85 per cento, contro il 5,75 per cento del mese precedente segnando così il valore più alto dal 2002. Il dato è contenuto nel rapporto mensile dell’Abi. Per quanto riguarda i tassi sui prestiti in euro alle società non finanziarie, il valore di giugno è del 5,51 per cento, contro il 5,55 per cento del mese precedente. Da record anche il tasso medio ponderato sul totale dei prestiti a famiglie e società non finanziarie elaborato dall’Abi che, sempre a giugno, si colloca al 6,30 per cento, 7 punti base al di sopra di quanto segnato il mese precedente e 62 punti base al di sopra del valore di giugno 2007. Frenano gli impieghi in euro erogati dalle banche che a giugno 2008 hanno raggiunto il tasso di crescita più basso da un anno, collocandosi all’8,20 per cento, contro l’8,51 per cento di maggio 2008 e il 9,22 per cento di aprile 2008.
Giorgetti, nessuna fiducia al dl fiscale
ROMA. Guglielmo Epifani lancia la sfida a Cisl e Uil e invoca uno sciopero generale unitario contro il governo Berlusconi «che sta sbagliando tutto». Ma la risposta delle due organizzazioni è negativa, almeno per il momento. La Cgil, pressata al suo interno dalla minoranza di sinistra che chiede di scendere in piazza subito anche senza Cisl e Uil se necessario, esce allo scoperto e lo fa tuttavia in modo da non urtare la suscettibilità delle altre due grandi organizzazioni. Anche se non condivide in pieno le loro posizioni tenute sulla strategia sindacale. Epifani ha detto che presto parlerà con il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, e con quello della Uil, Luigi Angeletti. E lo farà presumibilmente nel corso della prossima settimana quando si terrà la riunione della segreteria unitaria. In quella occasione ci sarà un confronto fra le tre confederazioni, il cui esito però non dovrebbe essere sorprendente. Cisl e Uil ritengono non ancora i tempi per intraprendere la strada conflittuale con un governo forte e che si è insediato da pochi mesi. E non è sufficiente per loro il fatto che il leader della Cgil sottolinei di voler prendere le distanze dall’uso della piazza come palcoscenico di una protesta generica e che potrebbe sortire un effetto boomerang. Non a caso il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha chiesto a corso d’Italia «di meditare sull’isolamento in cui si pone». Più semplicemente, per Bonanni e Angeletti non è ancora giunto il momento di una grande mobilitazione contro il governo Berlusconi: e non si sa se e quando arriverà. Ma il leader della Cgil deve pur fa-
Le confederazioni preferiscono trattare con Palazzo Chigi su redditi e sviluppo prima di rompere re i conti con una minoranza interna che continua a premere anche sul fronte della riforma contrattuale. La Fiom di Gianni Rinaldini e le componenti Lavoro e Società e Rete 28 aprile hanno organizzato un’assemblea pubblica il 23 contro la linea ufficiale nel confronto in corso con Confindustria. Una situazione per Epifani non facile e resa anche più difficoltosa dalle posizioni relativamente morbide di Bonanni e Angeletti nei confronti del governo e degli imprenditori. In effetti, l’uso della concertazione, della trattativa come strumenti indispensabili per trovare soluzioni condivise non è mai stato gradito fino in fondo dalla Cgil, salvo che con l’ultimo governo Prodi. È pertanto esplicito il segretario confederale della Cisl, Giorgio Santini: «Noi vorremmo riuscire a costruire un tavolo di confronto con il governo su due temi fondamentali: lo sviluppo e la tutela dei redditi. Senza contare che abbiamo anche il versante della riforma contrattuale che ci sta impegnando con la controparte imprenditoriale». Quindi, secondo Santini, la prossima segreteria unitaria, «come in tutti i Paesi civili», si dovrà adoperare per chiedere al governo un impegno per un serio confronto sulle questioni importanti. «Senza mettere il carro davanti ai buoi», dice citando Bonanni, «Qui siamo in una situazione difficile, pericolosa. Siamo arrivati alla stagflazione, quel mix pericoloso
di recessione, stagnazione e inflazione. La piazza a questo punto potrebbe rappresentare un comodo alibi». Il pericolo, per la Cisl, è che in una situazione economica così difficile il sindacato cada nella tentazione del conflitto senza cercare vie alternative, sottraendosi di conseguenza alle proprie responsabilità. I problemi, invece, vanno affrontati il più in fretta possibile e il governo – sostiene l’esponente della Cisl – deve uscire allo scoperto attraverso un confronto con le parti sociali. «Prima di pensare a scioperare» conclude Santini, «c’è ancora un po’ di strada da fare. E facciamola questa strada». Via Lucullo, dal canto suo, non modifica di una virgola la posizione ufficiale. Per il segretario confederale, Antonio Foccillo, «la linea della Uil è sempre la stessa. Il nostro punto di vista l’abbiamo reso noto anche dopo l’incontro con il governo: nel programma ci sono cose discutibili e che ce ne sono altre accettabili. Aspettiamo per valutare meglio la situazione».
Niente fughe in avanti, niente mobilitazione o autunno caldo dunque. «Finché non faremo un confronto con il governo sulle proposte», prosegue Foccillo, «è inutile programmare o ventilare agitazioni o mobilitazioni». Del resto, lo stesso Epifani ha detto che bisogna aspettare qualche settimana anche perché questo non sembra essere il periodo giusto per proclamare manifestazioni. Ma comunque il sasso nello stagno il leader della Cgil lo ha gettato e può anche darsi che al ritorno dalle ferie possa avere i suoi effetti . «I nostri giudizi», spiega però l’esponente della Uil, «non sono cambiati».
«Il Governo non intende porre la questione di fiducia a Palazzo Madama sul decreto legge fiscale sull’abolizione dell’Ici sulla prima casa, la defiscalizzazione degli straordinari e le misure per la rinegoziazione dei mutui». Lo ha affermato il sottosegretario all’Economia Alberto Giorgetti che conferma «la piena disponibilità al confronto in sede parlamentare». In aula, ieri mattina, dopo gli interventi dei due relatori si è svolta la discussione generale e nel pomeriggio sono iniziati le votazioni sugli articoli e i circa 200 emendamenti presentati.
Bernanke: no al fallimento di Fannie e Freddie Fannie Mae e Freddie Mac sono «adeguatamente capitalizzate e non sono in pericolo di fallimento». Lo ha affermato il presidente della Fed, Ben Bernanke, in un’audizione di fronte alla Commissione Servizi finanziari della Camera dei rappresentanti. Per salvare le due agenzie semipubbliche statunitensi, l’amministrazione Bush e la Fed, hanno offerto lunedì scorso il loro sostegno eventualmente anche con un aumento di capitale. Fannie Mae e Freddie Mac gestiscono circa il 40 per cento dei crediti immobiliari privati negli Stati Uniti. Intanto, Swiss Re ha prestato quasi 10 miliardi di dollari a Fannie Mae e Freddie Mac. La notizia ha fatto precipitare il titolo di Swiss Re in borsa. Secondo il riassicuratore elvetico l’esposizione nei confronti di Freddie Mac ammontava all’inizio di luglio a 5,2 miliardi di dollari, quella nei confronti di Fannie Mae a 4,4 miliardi, per un totale di oltre 9,7 miliardi di franchi, precisa un comunicato agli investitori di Swiss Re.
Il greggio scende a 133 dollari Anche ieri il prezzo del petrolio è calato e a New York il light crude ha perso 6 dollari toccando quota 132,74 dollari al barile. Martedì il greggio aveva perso oltre 10 dollari in meno di un’ora e aveva chiuso in calo di oltre 6 dollari sopra 138 dollari. Le scorte settimanali Usa di petrolio salgono inaspettatamente, facendo calare il prezzo del greggio di 6 dollari sotto quota 133 dollari. Il calo è legato al dato sulle scorte petrolifere settimanali Usa, che avanzano di 3 milioni di barili a 296,9 milioni di barili, contro un atteso calo di 2,1 miloni di barili.
Oggi l’assemblea dell’Anie Si tiene oggi a Milano, presso il Centro Congressi della Fondazione Cariplo, l’assemblea annuale dell’Anie (Federazione nazionale imprese elettrotecniche ed elettroniche). All’appuntamento saranno presenti Guidalberto Guidi (presidente Anie), Emma Marcegaglia (presidente di Confindustria) e il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo.
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letture Una tesi rivoluzionaria per una delle patologie più diffuse
on lasciatevi prendere dal panico, e leggetelo con calma – dalla prima all’ultima pagina – questo libro che potrebbe davvero aiutarvi se vi state già candidando come pazienti di uno psicanalista (non importa di quale scuola) per risolvere il vostro problema, che è poi quello citato in copertina. Il libro si intitola, appunto, Panico; ha un sottotitolo molto esplicativo: “Una ‘bugia’del cervello che può rovinarci la vita”, e due autori: Rosario Sorrentino e Cinzia Tani (il braccio e la mente, verrebbe da dire, tanto per chiarire: Sorrentino è un neurologo di fama internazionale, la Tani è una scrittrice di successo, che si è rivolta al professore per risolvere il suo problema. L’ha risolto, e ha pensato bene di aiutare gli altri con una lunga intervista a Sorrentino (Mondadori editore, 192 pagine, 17,50 euro).
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La tesi di fondo formulata da Sorrentino è abbastanza rivoluzionaria, se è vero come è vero, che da un secolo a questa parte una buona della popolazione mondiale – oltre che dalle proprie patologie, più o meno gravi – è afflitta da una dipendenza da Freud e dai suoi epigoni. In altre parole, ritiene di poter risolvere tutti i propri problemi rivolgendosi a uno psicanalista, come Woody Allen nei suoi film (e nella vita quotidiana). Gli psicanalisti, ha sostenuto Sorrentino in un’intervista, «chiusi nei loro salottini, pretendono dai pazienti la vocazione al dolore, elogiano la sofferenza, criminalizzano i farmaci e sequestrano per 15 o 20 anni una persona che soffre costringendola a parlare della madre, del padre, dei nonni. Questa non è una cura, i pazienti lo devono sapere». Per curare le malattie servono i farmaci, non le chiacchiere. C’è da fidarsi di Sorrentino, considerato ormai il massimo esperto italiano in materia di attacchi di panico: Con l’aiuto del neuroradiologo Stefano Bastianello, è stato il primo al mondo a filmare, con una risonanza magnetica, una crisi di panico nel momento stesso in cui si manifestava, dimostrando che il fenomeno «non è un’invenzione né una stranezza della mente, ma una ”bugia” del cervello, che si accende per convincerci della presenza di un pericolo che non c’è». “fotofobia” La (che è la paura di avere paura) ha origini genetiche, è legata allo stress nelle sue forme più gravi (un lutto, la cessazione traumatica di un rapporto sentimentale, un grave insuccesso), può derivare dall’as-
Quella ”bugia” chiamata panico di Massimo Tosti
sunzione di sostanze stupefacenti (la cocaina e l’hashish) e può essere scatenata anche da fattori ambientali come l’eccessivo affollamento di una sala, o un viaggio in treno o (frequen-
curamente altri fattori che potremmo definire storici. Dopo l’attacco alle Torri Gemelle le crisi di panico hanno avuto un’impennata, che si potrebbe definire ineluttabile o, più banalmente, razionale. L’Organizzazione mondiale della Sanità – in uno studio di pochi anni fa – ha rilevato che un adulto su due soffre di paure (il che è normale) mentre il 12 per cento soffre di fobie (molto meno normale). Il neurologo interviene con i medicinali e aiuta il paziente a farlo uscire
Il neurologo Rosaro Sorrentino in un libro intervista con Cinzia Tani attacca i metodi di psicanalsti e psicoterapeuti tissimo) in aereo. L’eccesso di anidride carbonica nell’aria (che si verifica nei grandi assembramenti) può scatenare l’attacco. Sorrentino lo definisce una sorta di “smog umano”. Contano si-
dal recinto di paura nel quale si trova. Secondo Sorrentino, gli psicanalisti e gli psicoterapeuti tendono a trattenere il paziente all’interno di quel recinto. Il libro (per merito anche delle domande, puntuali ed efficaci, di Cinzia Tani) offre moltissimi esempi e racconta di come siano stati risolti i singoli casi. È chiaro che non basta leggere quel che è capitato agli altri per risolvere il proprio caso personale. Ma la lettura aiuta almeno ad abbozzare una diagnosi, a capire quale potrebbe essere il percorso da compiere e ad affidarsi alle persone giuste. Montagne, il celebre filosofo francese, scrisse – più di quattro secoli fa – ”La paura è la cosa di cui ho più paura”. Tre anni fa è uscito in Italia un altro libro che affrontava lo stesso tema (allargato a tutte le fobie). Il titolo richiamava la battuta di Montagne (Chi ha paura della paura?) e l’autore Christophe André, medico e psichiatra (non psicanalista) offriva – come Sorrentino – ricette di buonsenso per uscire dal tunnel.
In Italia – racconta Sorrentino – oltre due milioni di persone soffrono oggi di attacchi di panico (la fascia più colpita è quella delle donne di età compresa fra i 18 e i 45 anni). Secondo L’Oms nel prossimo futuro questa sindrome sarà uno dei disturbi psichici più diffuso al mondo. Soprattutto (e si capisce il perché) nei Paesi più ricchi. Una volta tanto, i poveri rischiano di meno. Un’altra terapia può essere rappresentata dalla leggerezza. Non drammatizzare. Se può essere utile, ecco una storiella che ha per protagonista Gioacchino Rossini, uomo dotato di grandissimo sense of humour. Una sera, in un salotto (lui presente), la padrona di casa fu invitata a cantare una romanza di un’opera del musicista. Lei si schermì, rivolgendosi al maestro: «Come faccio a cantare davanti a voi? Sapeste che paura ho addosso…». E lui, prontissimo, replicò: «E che dovrei dire io, allora?». Battuta a parte, è il caso di chiarire che la paura è una cosa, il panico un’altra. «La paura - per usare le parole di Sorrentino - è un’emozione che risponde a un pericolo reale: un attentato terroristico, un terremoto, un’aggressione che mette seriamente a rischio la nostra sicurezza e incolumità, eccetera -, mentre il panico si verifica quando - il cervello aziona un sistema di allarme, ma lo fa in modo inutile, dannoso e virtuale, perché l’esperienza che noi viviamo è un’esperienza soggettiva, il pericolo non c’è, anche se tutte le nostre reazioni e i nostri comportamenti sono finalizzati a superare il problema chiedendo aiuto o fuggendo».
musica
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La band di Bristol si esibirà il 19 luglio a Roma presso l’ippodromo delle Capannelle
In volo sul tappeto dei Massive Attack di Giorgio Buschi Suoni liquidi pronti a prendere il volo su tappeti onirici, note disorte che ammiccano alla fantasia e alla lussuria dei sensi. Nella torrida estate romana soffia la brezza inconfondibile dei Massive Attack, che il 19 luglio si esibiranno al Fiesta presso l’ippodromo delle Capannelle a Roma. Dopo quattro anni di assenza dalle scene italiane, il collettivo di Bristol presenterà alcuni dei brani contenuti nel loro lavoro di prossima uscita, il cui titolo dovrebbe essere Weather Underground. I Massive Attack, prodotto fra i più pregiati tra quelli emersi dalla fucina
I
denominato trip-hop, nato all’inizio degli anni Novanta in Inghilterra.
La loro musica è strutturata su una commistione di sonorità che affondano le loro radici nell’elettronica (con un uso ipnotico e psichedelico dei loop) nell’hip hop, nel jazz e nell’house, rallentandone le ritmiche al fine di ottenerne un effetto e una atmosfera avvolgente, rilassante, come si ci si trovasse all’interno di un labirinto di suoni. A un primo impatto le composizioni dei Massive Attack possono sembrare per alcuni versi crepuscolari, oscure, buie, ma ad un ascolto più ponderato e paziente ci si rende conto di come A sinistra questa impressione sia Andrew Mushroom del tutto fuorviante. Vowles, che ha Il gruppo ha all’attivo tratto il suo una produzione in stunomignolo dio piuttosto asciutta (la dal videogioco discografia ufficiale Centipede. In basso consiste in 4 album incii Massive Attack si in studio, escludendo in scena. un album di remix, due Su pressioni colonne sonore ed un della casa greatest hits), frutto di discografica, una ricerca costante e la band accorciò meditata di nuove idee, il proprio nome in senza mai scadere nel ”Massive” durante banale o nell’essere ”aula guerra del Golfo toreferenziale”. I Massive Attack si avvalgono assai di fredi talenti rappresentata dalla comu- quente della collaborazione di artisti nità artistica denominata wild bunch. del calibro di Horace Handy, uno dei principali alfieri del reggae,Tracy Sono considerati (unanimemente) Thorn, cantante degli Everything but assieme ai Portishead, Zero7 e Tricky the girl, passando da nomi altisonan(quest’ ultimo ex componente della ti e membri a tutti gli effetti della stoband, fuoriuscitone per ria del rock e del pop, quali il “duca dissapori con gli altri bianco” David Bowie e del folk-jazz, membri circa il suo come Terry Callier. utilizzo in sede comTra i collaboratori che hanno acpositiva), tra i padri compagnato la band nel suo percorso fondatori del genere musicale, va ricordato anche un Italiano, l’ex leader e cantante degli Almamegretta, Raiz, protagonista di una brillante versione alternativa del singolo Karmacoma.Il primo disco dato alle stampe è datato 1991, si tratta di Blue Lines, accolto da
grande entusiasmo e lodi tanto da parte del pubblico quanto della critica e trainato dai due brani Safe from harm, ma sopratutto Uninfinished symphaty, con la voce di una struggente Sarah Nelson, protagonista anche del relativo videoclip girato con un lungo piano sequenza attraverso i sobborghi degradati di Los Angeles. Il successivo disco conferma la validità del progetto dei ”figli prediletti di Bristol” che con Protection rendono le atmosfere che ammantano i loro dischi ancora più eteree, avvalendosi del contributo del compositore Craig Armstrong.
partecipazione del già citato Bowie, mentre quasi sicure sono le presenze di Elizabeth Fraser, cantante dei Cocteau Twins e dell’ex frontman dei Conosciuto anche con lo pseudonimo di ”3D” Robert Del Naja è tra i padri fondatori del gruppo di Bristol, che è considerato la pietra miliare del cosiddetto genere trip-hop. Un sound caratterizzato cioè da un’originale fusione di hip pop, jazz e house
Il grupp o ha vissuto nel tempo alcuni cambi di line-up, quali la fuoriuscita di Mushroom dopo la pubblicazione del terzo album
Dopo quattro anni di assenza dalle scene italiane, il gruppo presenterà alcuni brani del nuovo album, che probabilmente si intitolerà Weather Underground Mezzanine, forse il loro maggiore successo commerciale (la cui punta di diamante è rappresentata dal brano Teardrop) e di cui consigliamo l’ascolto, nonchè di Daddy G che non ha preso parte al lavoro creativo di 100th hundred window,senza mai però fuoriuscire totalmente dalla formazione, come testimoniato dal tour promozionale dell’album. L’attesa circa il disco Weather Underground è febbrile, sia per il nutrito numero di special guest che lo anima (un’ intervista resa al prestigioso quotidiano The Guardian ha ventilato la
Faith no more e Mr. Bungle Mike Patton) sia per verificare la capacità dei Massive Attack di proseguire in un cammino musicale coraggioso, non avvezzo a compromessi e rivolto verso una costante sperimentazione. Per quanti decideranno di acquistare il biglietto per la data di Roma, possiamo assicurarvi che la performance dal vivo del gruppo non tradirà senza alcun dubbio le aspettative, valendosi di una schiera di musicisti di altissimo livello tanto sul piano del dj-setting quanto della”istituzionale” struttura portante rappresentata da basso, chitarre e batteria.
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personaggi
Carla Bruni sotto esame. Ha guadagnato molti punti come first lady. Ma in Francia i giudizi sul suo ultimo disco non sono lusinghieri. Ecco tre opinioni di chi lo ha ascoltato
Ma è capace a cantare? di Alfredo Marziano omme si de rien n’était, come se niente fosse nel frattempo successo, la première dame di Francia continua a sussurrare al microfono, a strimpellare la chitarra, a scrivere canzoni. Lo ha inciso, il suo nuovo album, a due passi dagli Champs-Elysées, tra un viaggio di rappresentanza e l’altro, scarpe basse e cappelli a tesa larga, a fianco di monsieur le président. A lui ha dedicato Tu es ma came, un passionale blues acustico che paragona l’amore a una droga e che ha sollevato le proteste formali della Colombia per quei riferimenti poco diplomatici alla sua principale voce d’esportazione nel mondo, la coca. È, in fin dei conti, l’unico autentico frisson di questo terzo disco della divina creatura torinese: l’unica increspatura in una calligrafia altrimenti senza sbavature, la sola macchia di colore in un’operina immacolata come la sua protagonista.
C
No Promises, un anno e mezzo fa, era stato un progetto in fondo più avventuroso e stimolante, un adattamento in musica di versi dai grandi poeti di scuola anglosassone e americana, W.B.Yeats ed Emily Dickinson, Dorothy Parker e Christina Georgina Rossetti, sotto la guida e lo sguardo compiacente di Marianne Faithfull: la dama nera a braccetto con la dama bianca. Stavolta, Carlà l’inglese lo rispolvera per una rilettura in punta di dita di un classico dylaniano, You Belong To Me, e viene subito in mente la Scarlett Johansson alle prese con Tom Waits, voce flebile avvolta in un turbine di fascino muliebre che si intrufola sventatamente in un mondo troppo grande e indecifrabile. In fondo arriva
anche Il vecchio e il bambino di gucciniana memoria (in italiano), ed è come assistere a un incontro di boxe tra un peso massimo e un piuma, l’austerità e il pathos della versione originale che scoloriscono nei colori tenui di una innocua filastrocca.
Sono, bisogna dire, i due confronti più impari del disco, i suoi
sto dello scapestrato Michel Houellebecq (eccolo di nuovo, il suo spirito ribelle!) in una eterea La possibilité d’une île, confessa di sentirsi ancora bambina (Je suis une enfant) in un clamoroso terzinato che rimanda ai tempi innocenti del beat anni Sessanta e di Françoise Hardy. Si affida come sempre ai collaboratori giusti, ottimi turnisti di
A Sarkozy ha dedicato Tu es ma came, un passionale blues acustico che paragona l’amore a una droga: unica macchia di colore in un’opera immacolata momenti più deboli. Negli altri dodici titoli la Bruni torna più prudentemente alle atmosfere del suo best seller da due milioni di copie, Qualqu’un m’a dit, e al francese,“la lingua ideale per scrivere, mentre l’inglese e l’italiano lo sono per cantare”. Con la penna ci sa fare: svela pudicamente la sua anima, “un po’ ombrosa e un po’ giocherellona”, riflette nostalgicamente sulla giovinezza che se ne va e sul tempo perduto, adatta un te-
studio e cantautori di antico pelo come Julien Clerc, mentre l’arrangiatore Dominique Blanc
Una sorta di Derrida al femminile
Francard veste con gusto e fantasia da stilista il corpo nudo ed elegante delle canzoni, spazzole
a sensualità si alimenta con l’assenza. E quanto a cifra stilistica le parole di Carla Bruni cantautrice vivono anche loro in regime di assenza, o almeno di indeterminato, con tutte le conseguenze possibili nell’ampio spettro tra languore ed orrore. Ma innanzitutto si guardi la figura. Carla Bruni cantatutrice la si trova sempre in confidenza pericolosa con la chitarra. Segovia aveva un aneddoto sulla nascita della chitarra: una bellissima ninfa inseguita da un satiro invocò l’aiuto del suo protettore, un potente demiurgo. Questo trasformò la ninfa in uno strumento musicale, curve femminili, voce malinconica e un pizzico di isteria. Ma soprattutto uno strumento che è un ricordo di ninfa cantante. Un ricordo, non una presenza, si badi. E dopo si ascolti il suono di Carla Bruni, un suono che è un tutt’uno puntato sul nulla del languore, un fraseggio vocale stilizzato che usa l’alibi del country e del jazz da caminetto da miscelare in dosi imprecisate con l’alibi melanconico dello chansonnier, e sempre di alibi si tratta. E ancora si leggano i titoli dei dischi. Il primo, del 2003, si chiamava Quelqu’un m’a dit: qualcuno mi ha detto. Chi mi ha detto cosa? Non
L Che malinconia,
con lei nasce la “musica debole” di Bruno Giurato
e clarini jazz, steel guitar e mandolini country, armoniche blues ed archi da chanson française del bel tempo che fu. Ecco il valzerino pianistico di Ma jeunesse, il flamenco spensierato di L’amoureuse, la quasi tarantella di Ta tienne, lo swing alla Django di Le temps perdu, il cajun de L’antilope, la ballata rock americana di Note
personaggi
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Perché la Bruni è ormai l’unica vera regina d’Europa
Parigi val bene una messa (cantata) di Roselina Salemi n’altra, al suo posto avrebbe lasciato perdere. Già la vita di una first lady è impossibile: organizzare ricevimenti, partecipare a pranzi ufficiali, liquidare le rivali passate, presenti e future (Sarkò ha fama di essere allegrotto), concedere interviste, chiacchierare con capi di Stato in varie lingue, affascinare George Bush, fare inchini alle regine (poche ormai), vestire con molta attenzione (ma qui il fisico aiuta), figuriamoci poi cantare. Non è un caso che le first lady si dedichino normalmente ad attività benefiche, tagli di nastri, visite a scuole e ospedali, protezione di foche, delfini, scimmie Bonobo e tigri con i denti a sciabola. La produzione di canzonette, per quanto concettuali, per quanto sofisticate, non è una possibilità contemplata. Carla Bruni Sarkozy invece canta, anche se nessuno in Italia l’ha mai presa troppo sul serio, tranne Fiorello che in tempi non sospetti, prima del fulmineo innamoramento con divorzio (di lui) e matrimonio (con lei), pigolava testi incongrui imitandola alla perfezione dai microfoni di “Viva Radiodue”: (Stamaten/ je sono andat/ a comprar/ la mortadel/).
U
grand amour est mort, le malinconiche miniature folk di Déranger les pierres e Salut Marin. Tante citazioni colte e molti quarti musicali di nobiltà, sicuro. Ma è troppo fragile l’impalcatura dell’edificio, voce e chitarra di Carlà non giustificano in sé tanto dispiego di mezzi e tanta spasmodica attenzione mediatica. Pelle troppo diafana e sangue troppo blu, per far vibrare autentiche emozioni.
A destra Carla Bruni con Nicolas Sarkozy; sopra in versione cantante e a sinistra la sua imitazione fatta da Fiorello in ”Viva Radiodue”
sappiamo, me l’ha detto un uccellino, ci raccontavano da piccolini quando non volevano spiegare. Solo dopo la canzone omonima scioglie (in parte) l’enigma in un “qualcuno mi ha detto che mi amavi”.
Il secondo disco è un No promises, un niente promesse, quindi un trionfo dell’ellisse reso anche troppo scoperto dall’uso della lingua inglese. L’ultimo si chiama Comme si de rien n’était, titolo perfetto o almeno perfettamente in stile, che si riflette a volere e a piacere del fruitore su mille vicende biografiche della cantautrice. Un “come se niente fosse”sul doppio binario dell’amore e della gloria (il successo non mi ha cambiata, il matrimonio non mi ha calmierata)? O un elogio alla spontaneità creativa un po’ blasé? O altro? Non sappiamo, ancora, e la preponderanza degli indeterminati tenderebbe a farci innervosire di fronte a un personaggio assai esperto nei codici moderni della liberazione femminile come in quelli in fondo mitici della belle dame sans merci. Nell’ultimo disco c’è il brano La possibilità di un’isola che ricorda il titolo dell’ultimo romanzo di Michael
tarra, l’hanno guardata come una marziana. Un’ex top ha un suo copione: deve andare in giro per il mondo, vagabondare tra le braccia di uomini celebri, farsi notare su barche celebri e poi sposare un industriale, un magnate, un finanziere più o meno celebre con il quale mettere su casa e appendere i tacchi al chiodo. Ora, Carlà i tacchi li ha appesi, porta solo scarpe rasoterra come faceva Nicole Kidman quando era la moglie di Tom Cruise, ma la chitarra no.
Tutto questo produce felici pagine di gossip, perché canta, che cosa vorrà dire nel cd appena uscito, Comme si de rien n’etat, quali messaggi manda, (ma davvero Sarkò è la sua droga? Più mortale dell’eroina afghana, più pericoloso della bianca colombiana?) e meno male che esiste. Mentre le principesse si ritirano a vita privata, Stefania e Carolina di Monaco spariscono dalle cover, Carlo e Camilla si annoiano regalmente e LetiA dispetto del zia Ortiz, mosuccesso ottenuto glie di Felipe di come modella e Spagna, segue come donna, molil protocollo, la to richiesta e vapaparazzabile riamente fidanzaCarlà tiene banco. Non si sottrae. In Francia ta, la musica è sono usciti già tre libri su di lei, sappiamo del sempre stata la colpo di fulmine, dello scambio di frecciate con sua vera passioil ministro della Giustizia Rachida Dati e ovne. Quando ha viamente dell’”operazione disco” seguita dallasciato le passel’Eliseo.Sappiamo che non ci sarà un tour in relle e ha detto molto volgari stadi e altrettanto volgari discoche avrebbe teche. Forse un’ospitata in televisione. Che il ricavato delle vendite finirà a bambini abbanscritto canzoni e donati e popoli depressi. Che molto opportunasuonato la chimente madame canta in francese ( le altre due raccolte erano in inglese) e chissà se le toccherà, per la raHeullebeq. Ma dove lo scrittore dava fondo all’immaginazione gion di Stato, pubblicizzare apocalittica (sette para religiose e un avvenire di solitudine per auto francesi e abbandonare tutti) la signora Bruni gioca il tema su uno stile suo, cioè ancoal suo destino la Lancia Musa: ra lo stile dell’indeterminato: “conosco il tremore dell’essere/ l’econflitto di interessi? sitazione a scomparire”. Persino quando sembra più carnale Mentre Carlà fa da apripiviene fuori pericolosamente reticente come nel brano Déranger les pierres: “Voglio sradicare le pietre/ cambiare il volto alle mie sta a una moderna generazionotti/ fare la pelle al tuo mistero/ e il tempo sono fatti miei”. Anne di first lady, co-conduttrici, che qui, languore e orrore. più che vallette mute, e si avvia , almeno in Francia, ad esMa non siamo i primi a dirlo: Carla Bruni è il prototipo emisere salutata come il nuovo fenomeno musicale, viene da nente della Nuova Specie, la donna che conosce i Diritti e pospensare (esagerando) che, da siede i Segreti. E sa perfettamente come stare in mezzo a due brava narcisista, abbia sposascie sfruttandone le derive e gli indeterminati, come una maeto Sarkò e messo a soqquadro stra di filosofia della traccia, come una Derrida femmina che mezzo mondo soprattutto per non prende sul serio Derrida. Sarebbe a maggior ragione telanciare il suo cd. Sembra ecmibile (sempre per motivi extramusicali) se con quella voce, cessivo, è vero, ma ormai funquella chitarra e quella flemma si mettesse a fare: “Pirulì Piziona soltanto il marketing rulì piangeva”. estremo.
A dispetto del successo ottenuto come modella e come donna, molto richiesta e variamente fidanzata, la musica è sempre stata la sua vera passione
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Giusta la sentenza relativa ai poliziotti di Bolzaneto? UNA SENTENZA ASSURDA. QUANDO SARÀ INTRODOTTO IN ITALIA IL REATO DI TORTURA? Sono abbastanza allibito per il fatto che al processo sui fatti del G8 di Genova nessuno ha potuto essere imputato del reato di tortura. Siamo o no un paese civile? Possibile che per fatti come quelli di Bolzaneto e della scuola Diaz - dove evidentemente sono state sospese le libertà costituzionali - chi ha abusato dei propri poteri di pubblico ufficiale la passi franca? In tutto questo c’è anche un altro paradosso: alcuni colpevoli, a causa dell’indulto, non sconteranno nemmeno un giorno di galera. In ballo non c’è solo la dignità di quelle persone barbaramente picchiate, ma la civiltà di un paese che si dice democratico. È solo un atto di grande ipocrisia battersi e protestare per gli animali che l’estate vengono abbandonati dai propri padroni, se poi - di fronte a fatti del genere - ci si gira dall’altra parte. Urge una seria riflessione.
Vincenzo Rubecci
I POLIZIOTTI NON SONO INFALLIBILI, MA GUAI A MITIZZARE QUEI RIVOLTOSI Penso che le forze dell’ordine non siano assolutamente infallibili. Come tutti gli uomini anche loro
LA DOMANDA DI DOMANI
Risolta davvero l’emergenza rifiuti a Napoli? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
possono sbagliare. Inoltre, in aggiunta, il semplice fatto di possedere un’arma genera una sorta di assurdo delirio di onnipotenza. O più semplicemente si incorre nel cosiddetto abuso d’ufficio. I motivi possono essere diversi: quasi sempre si pensa che le armi siano l’unico modo per distogliere da atti irresponsabili, così ci si fa prendere facilmente la mano. Quello che è accaduto nella caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz rispetta questo copione. Non si può non ammettere, quindi, che i poliziotti hanno sbagliato e hanno tradito la divisa. E anche la collettività, che gli dà fiducia. Ma, anche in questo caso, bisogna fare attenzione. Non dimentichiamo che le stesse persone che - a torto - sono state malmenate erano quelle che nei giorni precedenti a questi spiacevoli fatti, avevano messo a soqquadro la città di Genova, organizzando una preordinata guerriglia urbana. Non mi sto inventando nulla: basta guardare le immagini, le fotografie, i telegiornali di quei giorni per rammentarsene.
Giulio Niero - Frosinone
UMILIAZIONI E DANNI LIQUIDATI CON 10.000 EURO Apprendo con grande soddisfazione che - dopo un incubo lungo 7 anni - il Tribunale di Genova abbia condannato i ministeri della Giustizia e degli Interni a pagare complessivamente circa 4 milioni di euro tra provvisionale e spese legali nel processo per le violenze e soprusi nel carcere di Bolzaneto durante il G8 del 2001. In realtà in un latro paese europeo sarebbe stato assolutamente legittimo pretendere un risarcimento dopo aver subito un danno. Ma in Italia l’effetto sorpresa è sempre dietro l’angolo. Certamente non posso che aggiungere una cosa: possibile che dopo tanti anni di attesa e più di 180 udienze, le vittime dei sorprusi che hanno riportato anche danni fisici irreversibili siano stati liquidati con la modica cifra di 10.000 euro. Cifra che non basta nemmeno per comprare un motorino. Sarebbe sembrato troppo strano archiviare questa brutta storia senza lasciare altri amari in bocca.Purtroppo, anche stavolta ci siamo riusciti: siamo nella top list dell’inciviltà.
FIDUCIA NELLA GIUSTIZIA “Caccia al tesoro di Del Turco”,“Nuova Tangentopoli”, ecc. sono titoli che lasciano, a dir poco, sconcertati gli abruzzesi e i sulmonesi in particolare dove sono tanti i nuovi e vecchi “compagni” di Ottaviano Del Turco. Ma se per quanto riguarda le singole posizioni degli indagati non c’è che da aspettare; per il “fatto”in sé, soprattutto dopo la lunga e dettagliatissima conferenza stampa del Procuratore della Repubblica di Pescara, Nicola Trifuoggi, c’è un brivido che corre lungo la schiena. Un brivido che da gelido diventa di fuoco quando, leggenda la tabella pubblicata ieri da “Italia Oggi” (pag.4), sui redditi degli arrestati, si vede che Vincenzo Maria Angelini e Giancarlo Masciarelli, due professionisti di grande livello, hanno dichiarato nel 2005 75.567 e 74.144 euro, rispettivamente! Tornando al fatto e soprattutto alla vicenda umana e politica di Ottaviano Del Turco, sono in tanti, tantissimi, a credere che, come ha detto all’onorevole Mantini che lo ha visitato nel supercarcere di Sulmona il giorno dopo il suo arresto, riuscirà a dimostrare la sua estraneità. E perché non credergli? D’altro canto l’Avvocato
INGORGO OLIMPICO Le misure di sicurezze previste dalle autorità cinesi per le Olimpiadi stanno creando notevoli problemi ai cittadini che sono costretti a ore di fila per superare i controlli della polizia.
UNA BOTTIGLIA D’ACQUA PER ELUANA Dopo essere sparito dalle tv e dalle piazze che l’avevano addirittura punito con tanto di uova in faccia, Giuliano Ferrara è tonato all’attacco sui temi a lui tanto cari della vita e della morte. Messa da parte per il momemto la battaglia contro l’aborto, il direttore de Il Foglio, solleticato dall’attualità, si è fatto venire in mente un’idea per rilanciare il dibattito sul caso di Eluana Englaro, la ragazza di Lecco entrata in stato vegetativo permanente da sedici anni, dopo un terribile incidente stradale. La proposta di Ferrara è quella di portare in Piazza Duomo a Milano una bottiglia d’acqua per esprimere la propria solidarietà ad una persona che i giudici, a suo avviso, hanno condannato a morire di fame e di sete. Un’ini-
dai circoli liberal Luca Revozzi - Pescara
Taormina, difensore della precedente vicenda di Giancarlo Masciarelli, ha detto “li farò io i nomi dei politici romani nazionali che si recavano in Abruzzo”. Come dire il giro è grosso e le sorprese non mancheranno. La preoccupazione maggiore che assilla tutti gli abruzzesi è che non accada, come nell’altra storiaccia, che l’Abruzzo venga relegato ai margini dei finanziamenti della Unione Europea; o, peggio, che sulla sanità regionale si scarichino ticket e addizionali che metterebbero in ginocchio tutta l’economia regionale. Qualcosa deve essere accaduto. È giusto e civile non emettere sentenze di condanna. La magistratura sta indagando a tutto tondo, così come la Guardia di Finanza cerca riscontri delle “dazioni”. La nostra Costituzione afferma che ogni cittadino ha diritto a 3 gradi di giudizio, e prima della condanna definitiva è da considerarsi innocente. L’arresto è determinato dalle tre canoniche condizioni: reiterazione del reato, pericolo di fuga, inquinamento delle prove. Non rimane che attendere fiduciosi il corso della giustizia. Enzo La Civita COORDINATORE DEI CIRCOLI LIBERAL ABRUZZO
ziativa che ha già riscosso un grande successo e ha trovato insieme laici e cattolici. In molti hanno lasciato la loro bottiglia con bigliettini e preghiere - per Eluana. Anch’io che provo una grande antipatia per Ferrara l’ho fatto. E non perché sia un cattolico. Ma perché la sua proposta è ragionevole. Provocatoria, come nel suo stile, ma ragionevole: infatti non bisogna credere in Dio per capire che è disumano sospendere l’alimentazione e la nutrizione ad una persona. Il suo non è, a mio avviso, ”un papismo” esasperato, ma un atto di civilità. Ferrara ha tutta la mia approvazione. E spero che Piazza Duomo si riempia di bottiglie d’acqua e preghiere. Sarebbe un atto auspicabile: da parte di laici e cattolici. Da gente di destra e di sinistra.
Riccardo Buozzi - Venezia
COMUNICAZIONE PER I CIRCOLI LIBERAL TODI - VENERDÌ 25 LUGLIO 2008 - ORE 11 Prossima riunione dei presidenti e dei coordinatori regionali liberal all’Hotel Bramante di Todi. A seguire, l’inizio dei lavori del seminario Vincenzo Inverso segretario organizzativo circoli liberal
APPUNTAMENTI SEMINARIO DI TODI - VENERDÌ 25 E SABATO 26 LUGLIO 2008 Seminario, ore 12.00, Hotel Bramante, in via Orvietana 48 I lavori del seminario, che vedrà la partecipazione tra gli altri di Casini, Cesa, Buttiglione, Vietti, Volontè, avranno inizio il venerdì a partire dalle ore 12.00 e si chiuderanno per le 14.00 di sabato
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I GIOVANI DEL PAPA
Sei un’artista della finzione Mio Bebè piccolo e capriccioso, me ne sto in casa solo soletto, eccetto l’intellettuale che sta mettendo la carta alle pareti (sfido! La dovrebbe forse mettere sul soffitto o sul pavimento?), e lui non conta. E come ti avevo promesso, fanciullona, ti scrivo per dirti, almeno che sei molto cattiva; eccetto che in una cosa, l’arte di fingere, in cui mi accorgo che sei eccellente. Non ti stupire se la mia calligrafia è un po’ strana. Ci sono due motivi. Il primo è che questo foglio (l’unico che ho a disposizione) è troppo liscio, e la penna ci corre sopra troppo velocemente; il secondo è che ho trovato qui in casa una bottiglia di eccellente Porto, che ho aperto e di cui ho già bevuto la metà. Il terzo motivo è che ci sono solo due motivi e dunque non c’è affatto un terzo motivo. Ciao. Mi vado a buttare a testa in giù dentro un secchio, per riposare lo spirito. Così fanno tutti i grandi uomini, almeno quando hanno: 1. spirito; 2. testa; 3. secchio dove mettere la testa. Sempre tuo. Fernando Pessoa a Ophélia Queiroz
CARA AUTO, QUANTO MI COSTI Da più di un anno giro con un immancabile compagno di viaggio: un bigliettino di carta sul quale annoto tutte le mie spese. Entrate ed uscite. Una schedatura impeccabile di tutte le spese, fondamentale per arrivare alla quarta settimana. Sinceramente ne provo un po’ vergogna: se compro un panino devo rinunciare al caffé. Vado avanti facendo lavori di fortuna. E tirando il più possibile la cinghia. L’ultima privazione è stata l’automobile. Ora che il prezzi della benzina hanno toccato i massimi storici, non ho potuto fare altro che parcheggiarla in un angolo, aspettando tempi migliori. Mi fa specie pensare che avere un auto sia diventato un privilegio. Pennellate di vita personale che pongono una riflessione più profonda: basterà la social card annunciata dal Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, per farmi arrivare a fine mese? La mia risposta è no. Al ministro sinceramente dico di ripensarci. La gente è stanca di essere presa in giro. Quindi gli consiglio una cosa concreta: rimetta la social card in un cassetto e si impegni per garantire dei contratti di lavoro dignitosi.
Romano Pesini
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
17 luglio 1936 - Inizio della Guerra civile spagnola 1945 - Seconda guerra mondiale: Conferenza di Potsdam - A Potsdam, i tre principali capi alleati iniziano l’incontro finale della guerra. L’incontro finirà il 2 agosto 1996 - Al largo della costa di Long Island, il volo TWA 800, un Boeing 747 diretto a Parigi, esplode uccidendo le 230 persone a bordo 1899 -nasce James Cagney, attore statunitense († 1986) 1909 - Alfonso Gatto, poeta, giornalista e scrittore italiano († 1976) 1912 - Aligi Sassu, pittore e scultore italiano († 2000) 1085 - muore Roberto il Guiscardo, condottiero, conte e duca normanno 1928 - Giovanni Giolitti, politico italiano (n. 1842) 1967 - John Coltrane, sassofonista statunitense (n. 1926) 2000 - Aligi Sassu, pittore e scultore italiano (n. 1912)
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
A guardare i numeri la Giornata mondiale della Gioventù di Sydney sembrerebbe un flop assoluto. I giovani, vista la distanza e il costo del biglietto aereo, hanno dovuto rinunciarvi. Anche se in molti hanno fatto di tutto per andarvi. Hanno accettato di fare i volontari, di lavare i piatti, di rinunciare tutto l’anno ai divertimenti in modo da racimolare i soldi per il viaggio. I più critici non hanno timore ad affermare: soldi e tempo sprecato. Poverà gioventù! Eppure bisogna essere lieti che un adulto - in questo caso il leader dei cattolici - abbia ancora autorevolezza e attrattiva nei giovani. Giovani che non hanno più maestri, che non hanno più modelli di riferimento. E si perdono in false speranze. Che finiscono per fare i bulli, per marinare la scuola, per sbirciare tra le gambe della propria insegnante. Non bisogna essere moralisti: a loro non servono solo regole, divieti, chi dica loro cosa fare o non fare. Hanno bisogno di testimoni. Di gente attendibile. E se il Papa è riuscito a farli andare fino a Sydney evidentemente incarna ancora questo ruolo fondamentale.
Rino Nobili
PUNTURE C’è l’accordo: entra Ronaldinho, esce La Russa Giancristiano Desiderio
“
Non sono le idee che mi spaventano, ma le facce che rappresentano le idee LEO LONGANESI
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
Non rispettiamo la morte: così disprezziamo la vita di Joseph Bottom Ma è una teoria che non sta in piedi, perché quelli che soffrono veramente per la perdita di un proprio caro trovano consolazione al pensiero che quel che fanno durante il funerale ha senso non solo per sé stessi, ma anche per i morti. Nessuno pensa che le messe funerarie, ad esempio, siano celebrate solo per consolare i vivi; i fedeli che pregano per i morti in purgatorio, immaginano che ciò che fanno abbia un significato cosmico. Queste riflessioni mi sono venute in mente durante una cerimonia a cui ho preso parte di recente, dove le ceneri di un mio amico sono state cosparse in un ruscello di montagna e lavate via. Forse in una cultura in cui la cremazione fosse un’antica tradizione, questo non avrebbe implicato una negazione della morte, ma qui e adesso, è stata come una distruzione totale: non è rimasto niente della vita, nessun beneficio, nessuna speranza. Non ci sono degli argomenti logici contro la cremazione; anzi ce ne sono a favore: minor costo, igiene, e (in particolare negli Stati Uniti) la mobilità sociale che porta le persone a spostarsi molto, e rende difficile rimanere nei luoghi di nascita e quindi vicino alle tombe degli avi. Qualcuno potrebbe perfino dire che è più poetico avere ceneri sparse su qualche oceano o montagna. Ma i cari vecchi funerali e le care vecchie tombe, erano molto più umani. Ci davano un posto identificabile che potevamo visitare e rappresentavano la continuità. Ognuna corrispondeva al posto dove ossa di generazioni erano ammucchiate, una sull’altra, e creavano un legame famigliare. Nessuna comunità sopravvive a lungo senza tombe in comune, non una famiglia e non di certo una nazione. Pensate al Wawel Castle di Kracovia, o Saint Denis vicino Parigi, dove sono sepolti i corpi di molti re, a Pere Lachaise e altri posti simili.
Questi sono monumenti di storia nazionale. Nessun senso della storia può essere generato spargendo ceneri nell’aria. E riguardo alla possibilità di tenere le ceneri in un urna, va bene per il soggetto di un film comico con protagonista una donna che a furia di spostarsi di città in città , dimentica l’urna con le ceneri del marito in un aeroporto. Il filosofo russo Nicholas Berdyaev nei primi del Novecento negò l’esistenza dell’inferno dicendo di non poter accettare il fatto di poter forse godere dell’eterna felicità mentre alcuni dei suoi cari no, o che anche qualcuno con cui beveva tè , potesse soffrire le pene eterne. Quello che intendeva Berdyaev è che l’amore non ammette l’idea della perdita eterna, perché l’amore vuole unione immortale. Forse la giustizia richiede qualcosa che limiterà l’amore, ma il paragone con la cremazione sembra esatto. Lascia che l’amore abbracci il dolore, come scrisse il poeta Tennyson, perché affoghino insieme. Privando il corpo di un posto fisico, la cremazione ci separa fisicamente dai nostri cari: nessun luogo, nessuna esistenza fisica, niente amore, nessun fantasma. Tutti conoscono una delle più belle storie d’amore occidentali, quella tra Abelardo ed Eloisa, il filosofo medioevale che fu evirato dai suoi nemici, e la sua amata che entrò in convento. Come l’amore li unì in vita, così una tomba di un cimitero parigino unisce i loro resti dopo la morte. Con la cremazione questo non è possibile. Distrugge ogni legame. Io posso ricordare l’amico che ho perduto, ma i miei figli non potranno, perché non avranno nulla che glielo ricordi. Lavato via nel ruscello, lavato via dalla storia, dalla famiglia, dagli amici. Quale cultura può sopravvivere così? direttore di “First Things”
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PAGINAVENTIQUATTRO Una proposta per sensibilizzare le coscienze
Preghiera e digiuno per salvare il di Luca Volontè uis Moreno Ocampo è l’unico uomo che sta nelle diverse Organizzazioni dell’Onu coraggioso, non si accontenta delle denuncie a vanvera, nemmeno delle proteste inconcludenti, ha messo nero su bianco la richiesta e il deferimento alla Corte Penale Internazionale di Omar Hassan Ahmad al Bashir, attuale regnante del Sudan. Perché lo ha fatto? Perché, dopo aver tergiversato per anni, né l’Onu e nemmeno l’Ue, tantomeno l’Unione Africana e la Lega Araba, sono intervenute con forza per porre fine alla tragedia del genocidio in Darfur. Io ci sono andato laggiù, poco più di un anno fa con una missione dell’Unione interparlamentare presieduta dall’onorevole Pier Ferdinando Casini. Ho ben chiari i volti di quegli uomini e donne, ricordo benissimo le marce a vuoto dei tanti uomini di cultura italiani, so benissimo che l’Ue dopo un primo sussulto di disponibilità ad inviare truppe, poi si è fermata. Il massacro, il genocidio sistematico di interi villaggi, soprattutto di uomini e giovinetti da parte dei cavalieri della morte, è proseguito. Solo la falsa ipocrisia di governi occidentali e africani, o solo gli interessi economici di nuove superpotenze dell’economia mondiale, interessate solo ad alcune materie prime e non alla vita degli abitanti del Sudan, ha permesso al regime islamico totalitario di Bashir di proseguire imperterrito nella sua battaglia personale. Genocidio di confine ma anche incitazione alla rivolta in Ciad, altro Governo sulla cui lungimiranza è meglio soprassedere. Ad aggravare la situazione è stata la totale distruzione di sementi e quindi la riduzione grave dei raccolti che, con la mancanza di acqua e la pressoché invariata quantità di aiuti internazionali, sta facendo precipitare il Paese e le popolazioni del Darfur, verso l’ecatombe. Ocampo ha deciso e lanciato il suo ”dado” nel campo, l’unica opportunità ai Paesi Occidentali di poter far valere la ‘propria differenza’ verso regimi totalitari e assassini, si trova nella occasione di assecondare oggi la proposta e il deferimento del ”re” del Sudan alla Corte penale internazionale. Solo sette giorni orsono, i ‘grandi ingessati’ del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, avevano rinunciato, dopo il veto omicida di Russia e Ci-
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DARFUR na, ad agire con misure forti verso il regime di Mugabe,il tiranno dello Zimbawe.
Ieri ancora la Cina ha comunicato tutto il suo disappunto e la sua preoccupazione per la decisione del Procuratore Ocampo verso Bashir. Qualche nazione autorevole, la stessa Ue nel suo complesso, dovrebbe far intendere al Paese dei Mandarini che la ‘grandezza e l’autorevolezza’ di un protagonista dello scacchiere mondiale, non si misura sulla co-
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polare alla richiesta di Ocampo, boicottaggio delle Olimpiadi (ormai fallito) etc. Tutto bene, benissimo, mi permetto di suggerire anche per chi non ha il dono della fede, ma non esclude Dio dalla vita, una iniziativa in più, per nulla arrendevole e per di più audace, la preghiera e il digiuno. Tutta la Bibbia, nonostante le sbilenche critiche di molti laicisti, è costellata da episodi in cui digiuno e preghiera hanno, con l’aiuto di Dio, cambiato le sorti e i destini di popolazioni. Non propongo uno strumento alternativo che sostituisca iniziative politiche presenti e future, affermo che l’agire umano deve contemplare ragionevolmente anche la dimensione, la domanda di aiuto dal Cielo. Il che non diminuisce ma esalta e accresce l’impegno per ogni azione terrena che sbatta in carcere i tiranni e gli omicidi colpevoli delle ecatombe di questi anni, svaluti le nazioni che questi genocidi difendono e, nello stesso tempo, salvi uomini,donne,bambini dalla morte certa. Diversamente, l’Onu e ogni altro organismo internazionale, perderà qualsiasi valore e con esso, verranno bruciate le tante dichiarazioni dei diritti di cui, proprio quest’anno, celebriamo il 60° anniversario.
Ho ben chiari i volti di quegli uomini e donne, ricordo benissimo le marce a vuoto dei tanti uomini di cultura italiani, so benissimo che l’Ue dopo un primo sussulto di disponibilità ad inviare truppe, poi si è fermata... dardia o sull’appoggio ai sanguinari tiranni. Ben altra cifra deve essere chiamata a rappresentare la Cina delle Olimpiadi, non certo commisurabile alla cifra dei morti di fame in Darfur o in Zimbawe che macchiano il presente e il futuro della potente tigre asiatica.
Condivido le preoccupazioni e i timori, le iniziative e le osservazioni di Levy che ieri è voluto intervenire sulle colonne di questo autorevole quotidiano. Ora che fare pero? Raccolta di firme verso i capi di Stato e governo europei, sostegno internazionale e po-
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