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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

I retroscena di un conflitto psicologico e politico che si fa sempre più aperto

e di h c a n o cr

La guerra fredda tra Giulio e Silvio

di Ferdinando Adornato

di Errico Novi erché sulla loro intesa grava sempre un’ombra? E perché in fondo Silvio Berlusconi conserva comunque un atteggiamento di rispetto verso Giulio Tremonti, anche quando gli chiede di farsi da parte, di lasciare la carica di ministro? Oggi più che mai l’ambivalenza del rapporto tra il Cavaliere e il suo alter ego accumula un potenziale esplosivo. Ad altri suoi uomini di fiducia il premier ha detto che Tremonti «è diventato troppo indipendente» e che non capisce «a che cosa pensa». Alla successione, forse? È tutto qui il sospetto di Silvio, l’avanzare di un altro candidato alla sua sostituzione? In realtà questa è la storia di una leadership di fatto. Che Tremonti ha costruito con le sue riflessioni, con i saggi dalle vendite record, ma in modo assolutamente complementare a quella di Berlusconi. Giulio non ha e non potrà mai avere un profilo da leader carismatico come il suo capo. Ma è l’uomo che prova a guardare lontano, che si sente legittimato da questa capacità di visione a sviluppare una strategia autonoma. Che poi il suo disegno possa coincidere con l’aspirazione a candidarsi premier è un altro discorso, forse per ora non considerato con sufficiente freddezza nemmeno dallo stesso ministro. Eppure la tensione tra i due diventa ogni giorno più alta. E la politica dei tagli rischia di portarla a un punto di rottura.

P

«Non lasciatevi ingannare» 9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80718

IL PAPA A SYDNEY L’ambiente, l’aborto, la tv, internet, i diritti umani: Il testo del discorso di Benedetto XVI ai ragazzi di tutto il mondo

alle pagine 2 e 3

seg ue a pagin a 5

Ritratto di un leader eclettico

Rimane il giudice ”nemico” del premier

Ieri interrogato per oltre un’ora

Caso Mills, il processo va avanti

Del Turco ha lasciato Regione e Pd

di Ferdinando Milicia

di Francesco Capozza

di Marco Palombi

di Maurizio Stefanini

Nella guerra tra magistratura e premier, i giudici di Milano hanno segnato un punto: sarà infatti il giudice Gandus a giudicare Berlusconi e David Mills imputati di corruzione.

Ottaviano Del Turco si è dimesso da presidente della Regione Abruzzo e dal Pd. Le dimissioni sono state consegnate al presidente del Consiglio abruzzese, Roselli, e in serata a Walter Veltroni.

Al tavolo della Conferenza StatoRegioni per illustrare le linee guida del suo testo sul federalismo fiscale, Calderoli ha voluto chiarire subito l’altro fronte su cui la Lege deve insistere: la sanità.

Dalla lotta armata alla detenzione, dall’apartheid alla rinascita del Sudafrica, il Paese dell’Arcobaleno. Ritratto di Nelson Mandela, nell’anniversario del suo novantesimo compleanno.

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Calderoli media anche tra governo e Regioni

Presentato il federalismo, la Lega “marca” Berlusconi

VENERDÌ 18 LUGLIO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •

NUMERO

135 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

I novant’anni del ”piantagrane” Nelson Mandela

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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prima pagina

Il discorso di Ratzinger davanti alla sterminata folla di ragazzi nella baia di Sydney

«Ribellatevi a un mondo che mette Dio in panchina» ari giovani, quale gioia è potervi salutare qui a Barangaroo, sulle sponde della magnifica baia di Sydney, con il famoso ponte e l’Opera House. Molti di voi sono di questo Paese, dall’interno o dalle dinamiche comunità multiculturali delle città australiane. Altri di voi sono giunti dalle isole sparse dell’Oceania, altri ancora dall’Asia, dal Medio Oriente, dall’Africa e dalle Americhe. Un certo numero di voi, in verità, è arrivato da così lontano quanto me, dall’Europa! Qualunque sia il Paese da cui proveniamo, finalmente siamo qui, a Sydney! […] Ad alcuni di noi può sembrare di essere giunti alla fine del mondo! Per le persone della vostra età, comunque, ogni volo è una prospettiva eccitante. Ma per me, questo volo è stato in qualche misura causa di apprensione. E tuttavia la vista del nostro pianeta dall’alto è stata davvero magnifica. Il luccichio del Mediterraneo, la magnificenza del deserto nordafricano, la lussureggiante foresta dell’Asia, la vastità dell’Oceano Pacifico, l’orizzonte sul quale il sole sorge e cala, il maestoso splendore della bellezza naturale dell’Australia, di cui ho potuto godere nei giorni scorsi; tutto ciò suscita un profondo senso di reverente timore. È come se uno catturasse rapide immagini della storia della creazione raccontata nella Genesi: la luce e le tenebre, il sole e la luna, le acque, la terra e le creature viventi.Tutto ciò è ”buono” agli occhi di Dio (cfr Gn 1,1–2,4). Immersi in simile bellezza, come si potrebbe non far eco alle parole del Salmista nel lodare il Creatore: ”Quanto è grande il tuo nome su tutta la terra”(Sal 8,2)? Ma vi è di più, qualcosa di difficile percezione dall’alto dei

C

di Benedetto XVI cieli: uomini e donne creati niente di meno che ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1,26). Al cuore della meraviglia della creazione ci siamo voi ed io, la famiglia umana ”coronata di gloria e di onore”(cfr Sal 8,6). Quale meraviglia! Con il Salmista sussurriamo: ”Che cosa è l’uomo perché te ne curi?”(cfr Sal 8,5). Introdotti nel silenzio, in uno spirito di gratitudine, nella potenza della santità, noi riflettiamo.

Che cosa scopriamo? Forse con riluttanza giungiamo ad ammettere che vi sono anche delle ferite che segnano la superficie della terra: l’erosione, la deforestazione, lo sperpero delle risorse minerali e marine per alimentare un insaziabile consumismo. Alcuni di voi giungono da isoleStato, la cui esistenza stessa è minacciata dall’aumento dei livelli delle acque; altri da Nazioni che soffrono gli effetti di siccità devastanti. La meravigliosa creazione di Dio viene talvolta sperimentata come una realtà quasi ostile per i suoi custodi, persino come qualcosa di pericoloso. Come può ciò che è ”buono” apparire così minaccioso? E c’è di più. Che dire dell’uomo, del vertice della creazione di Dio? Ogni giorno incontriamo il genio delle conquiste umane. Dai progressi nelle scienze mediche e dalla sapiente applicazione

della tecnologia fino alla creatività riflessa nelle arti, in molti modi cresce costantemente la qualità e la soddisfazione della vita della gente. Anche tra voi vi è una pronta disponibilità ad accogliere le abbondanti opportunità che vi vengono offerte. Alcuni di voi eccellono negli studi, nello sport, nella musica, o nella danza e nel teatro, altri tra voi hanno un acuto senso della giustizia sociale e dell’etica e molti di voi si assumono impegni di servizio e di volonta-

riato. Tutti noi, giovani e vecchi, abbiamo momenti nei quali la bontà innata della persona umana - percepibile forse nel gesto di un piccolo bambino o nella disponibilità di un adulto a perdo-

rite che stanno ad indicare che qualcosa non è a posto. Anche qui nelle nostre vite personali e nelle nostre comunità possiamo incontrare ostilità a volte pericolose; un veleno che minaccia di corrodere ciò che è buono, riplasmare ciò che siamo e distorcere lo scopo per il quale siamo stati creati. Gli esempi abbondano, come voi ben sapete. Fra i più in evidenza vi sono l’abuso di alcool e di droghe, l’esaltazione della violenza e il degrado sessuale, presentati spesso dalla televisione e da internet come divertimento. Mi domando come potrebbe uno che fosse posto faccia a faccia con persone che soffrono realmente violenza e sfruttamento sessuale spiegare che queste tragedie, riprodotte in forma virtua-

Guardatevi dall’esaltazione della violenza e dal degrado sessuale, presentati dalla tv e da internet come divertimento nare - ci riempie di profonda gioia e gratitudine. E tuttavia tali momenti non durano a lungo. Perciò, ancora, riflettiamo. E scopriamo che non soltanto l’ambiente naturale, ma anche quello sociale - l’habitat che ci creiamo noi stessi - ha le sue cicatrici; fe-

ROMA. Benedetto XVI, come al solito, è stato chiaro. E, parlando alle migliaia di giovani che erano a Sydney per il loro raduno mondiale, ha affermato che esiste una sorta di veleno che minaccia di corrodere ciò per cui siamo stati creati: l’abuso di alcool e di droghe, l’esaltazione della violenza, il degrado sessuale, presentati dalla tv e da Internet come divertimento. E così ha invitato i giovani a non lasciarsi ingannare da questi falsi ”idoli”. «Il punto è che i ragazzi - a parte le minoranze che seguono il magistero del Papa - non pensano più che queste cose siano peccato. Conse-

guenza: continueranno a seguire determinati costumi che ormai si sono radicati nella società. In particolare non rinunceranno tanto facilmente al sesso pre-matrimoniale». Lo sostiene Francesco Alberoni, sociologo e docente universitario. «Non lo considerano più un peccato, non ritengono sia più una colpa. D’altra parte il Papa è più preoccupato per altre cose: aborto, disfacimento totale della famiglia, il fatto della scomparsa della pratica e della fede religiosa. E con questi appelli spera comunque di rivitalizzare la chiesa e combattere il relativismo culturale». Professore, qual è a suo avviso l’identità dei giovani di oggi? I nostri giovani sono abbastanza ben cresciuti, fanno le scuole, si divertono quando possono, studiano nei limiti del possibile, non si occupano di politica salvo le minoranze attive. Ormai sono finiti i tempi delle ideologie, in cui si credeva ancora nella rivoluzione marxista


prima pagina le, sono da considerare semplicemente come ”divertimento”.

Vi è anche qualcosa di sinistro che sgorga dal fatto che libertà e tolleranza sono così spesso separate dalla verità. Questo è alimentato dall’idea, oggi ampiamente diffusa, che non vi sia una verità assoluta a guidare le nostre vite. Il relativismo, dando valore in pratica indiscriminatamente a tutto, ha reso l’”esperienza” importante più di tutto. In realtà, le esperienze, staccate da ogni considerazione di ciò che è buono o vero, possono condurre non ad una genuina libertà, bensì ad una confusione morale o intellettuale, ad un indebolimento dei principi, alla perdita dell’autostima e persino alla disperazione.Cari amici, la vita non è governata dalla sorte, non è casuale. La vostra personale esistenza è stata voluta da Dio, benedetta da lui e ad essa è stato dato uno scopo (cfr Gn 1,28)! La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze, per quanto utili molti di tali eventi possano essere. È una ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia. Non lasciatevi ingannare da quanti vedono in voi semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa

diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità. Cristo offre di più! Anzi, offre tutto! Solo lui, che è la Verità, può essere la Via e pertanto anche la Vita. Così la ”via”che gli Apostoli recarono sino ai confini della terra è la vita in Cristo. È la vita della Chiesa. E l’ingresso in questa vita, nella via cristiana, è il Battesimo. Questa sera desidero pertanto ricordare brevemente qualcosa della nostra comprensione del Battesimo, prima di considerare domani lo Spirito Santo. Nel giorno del Battesimo Dio vi ha introdotto nella sua santità (cfr 2 Pt 1,4). Siete stati adottati quali figli e figlie del Padre e siete stati incorporati in Cristo. Siete divenuti abitazione del suo Spirito (cfr 1 Cor 6,19). Perciò, verso la fine del rito del Battesimo, il sacerdote si è rivolto ai vostri genitori e ai partecipanti, e chiamandovi per nome ha detto: ”Sei diventato nuova creatura” (Rito del Battesimo, 99).

Cari amici, a casa, a scuola, all’università, nei luoghi di lavoro e di svago, ricordatevi che siete creature nuove. Come cristiani, voi siete in questo mondo sapendo che Dio ha un volto umano – Gesù Cristo – la ”via” che soddisfa ogni anelito umano, e la ”vita” della quale siamo chiamati a dare testimonianza, camminando sempre nella sua luce (cfr ibid., 100). Il compito di testimone non

L’opinione del sociologo dei movimenti

Ma ormai la maggior parte dei giovani non lo ascolta colloquio con Francesco Alberoni di Francesco Rositano

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è facile.Vi sono molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato ”in panchina” e che la religione e la fede, per quanto accettabili sul piano individuale, debbano essere o escluse dalla vita pubblica o utilizzate solo per perseguire limitati scopi pragmatici. Questa visione secolarizzata tenta di spiegare la vita umana e di plasmare la società con pochi riferimenti o con nessun riferimento al Creatore. Si presenta come una forza neutrale, imparziale e rispettosa di ciascuno. In realtà, come ogni ideologia, il secolarismo impone una visione globale.

tato l’umanità (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2007, 8)? Sappiamo riconoscere che l’innata dignità di ogni individuo poggia sulla sua più profonda identità, quale immagine del Creatore, e che perciò i diritti umani sono universali, basa-

Le preoccupazioni per lo sviluppo sostenibile non oscurino la difesa della sacralità della vita a cominciare dal concepimento

Se Dio è irrilevante nella vita pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio. Ma quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il ”bene”comincia a svanire. Ciò che ostentatamente è stato promosso come umana ingegnosità si è ben presto manifestato come follia, avidità e sfruttamento egoistico. E così ci siamo resi sempre più conto del bisogno di umiltà di fronte alla delicata complessità del mondo di Dio. E che dire del nostro ambiente sociale? Siamo ugualmente vigili quanto ai segni del nostro volgere le spalle alla struttura morale di cui Dio ha do-

che avrebbe portato il Paradiso in terra. I nostri ragazzi seguono la politica, possono abbracciare uno schieramento di destra o di sinistra. Ma la militanza è rimasta a poche minoranze. Sia dal punto di vista politico che religioso. Chi sono i ragazzi che seguono il Papa? Appartengono a movimenti religiosi: Comunione e Liberazione, Rinnovamento nello Spirito, Neo-pentecostali. Poi ci sono i giovani che frequentano le parrocchie. E anche ad altri meno noti: don Gelmini, don Mazzi. Nel mondo ce ne sono migliaia di gruppi dove ci sono i sacerdoti al centro. Ma poi ve ne sono altri guidati da laici. Pensiamo al Rinnovamento nello Spirito guidato da Salvatore Martinez. Martinez può mobilitare tranquillamente 50.000 persone. Ma saranno 50.000 rispetto ai milioni, perché

ti sulla legge naturale, e non qualcosa dipendente da negoziati o da condiscendenza, men che meno da compromesso? E così siamo condotti a riflettere su quale posto hanno nelle nostre società i poveri, i vecchi, gli immigranti, i privi di voce. Come può essere che la violenza domestica tormenti tante madri e bambini? Come può essere che lo spazio umano più mirabile e sacro, il grembo materno, sia diventato luogo di violenza indicibile?Cari amici, la creazione di Dio è unica ed è buona. Le preoccupazioni per la non violenza, lo sviluppo sostenibile, la giustizia e la pace, la cura del nostro ambiente sono di vitale importanza per l’umanità. Tutto ciò non può però essere compreso a prescindere da una profonda riflessione

la maggioranza non fa queste cose: non frequenta la Chiesa, non partecipa a questi incontri. Certamente, ad esempio, il fatto che i giovani di questo raduno fossero meno numerosi degli altri è dovuto al luogo. Se l’avessero fatto a Roma ci sarebbero stati almeno due milioni di persone. Ma a Sydney, in Australia, c’è stata una grande difficoltà ad andare. Benedetto XVI ha fatto un appello preciso ai giovani. Quanto a suo avviso verrà ascoltato? Il Papa si rivolge a tutti i giovani del mondo, invitandoli a non usare alcool, droga, sesso, aborti. Parla a tutti. Poi se i giovani fanno sesso, usano droga è un’altra faccenda. Lui si rivolge a tutti, ma da lui ci va una minoranza, un cerchio ristretto di minoranze attive. Certamente queste problematiche preoccupano il Papa, anche se il primo avversario è il relativismo Se il Pontefice continua a combatterlo

sull’innata dignità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, una dignità che è conferita da Dio stesso e perciò inviolabile. Il nostro mondo si è stancato dell’avidità, dello sfruttamento e della divisione, del tedio di falsi idoli e di risposte parziali, e della pena di false promesse. Il nostro cuore e la nostra mente anelano ad una visione della vita dove regni l’amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l’unità, dove la libertà trovi il proprio significato nella verità, e dove l’identità sia trovata in una comunione rispettosa. Questa è opera dello Spirito Santo! Questa è la speranza offerta dal Vangelo di Gesù Cristo! È per rendere testimonianza a questa realtà che siete stati ricreati nel Battesimo e rafforzati mediante i doni dello Spirito nella Cresima. Sia questo il messaggio che voi portate da Sydney al mondo!

Mi rivolgoora con affetto ai giovani di lingua italiana. Cari amici, anche questa volta avete risposto numerosi al mio invito, nonostante le difficoltà dovute alla distanza. Vi ringrazio, e voglio salutare anche i vostri coetanei che dall’Italia sono spiritualmente uniti a noi.Vi invito a vivere con grande impegno interiore queste giornate: aprite il cuore al dono dello Spirito Santo, per essere rafforzati nella fede e nella capacità di rendere testimonianza al Signore risorto.Arrivederci!

vuol dire che c’è. E in Occidente si è radicato a partire dalla Rivoluzione francese, che ha sviluppato una forte corrente anti-cristiana e anti-cattolica. Prima i giacobini, poi i marxisti: insomma quella che si chiama secolarizzazione e disincantamento dell’io. Quello che è accaduto è questo: la secolarizzazione è andata avanti, ma poi sono finite anche le ideologie. Chi ci crede più alla grande rivoluzione mondiale e proletaria con il Paradiso in terra? Non ci crede più nessuno. E siccome la gente non crede più alle cose forti - una cosa vale l’altra - ecco il relativismo culturale: la mancanza di un’adesione forte ad una fede religiosa o ad un’ideologia. Mentre per i cristiani i valori sono ancora la famiglia, i figli, il matrimonio, niente aborto, niente droga, niente rapporti pre-matrimoniali. Il resto, invece, giudica questi comportamenti assolutamente normali: non li avvertono come peccaminosi. E difficilmente vi rinunceranno.


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politica

Calderoli presenta il federalismo fiscale, media sulla Sanità con le Regioni e con Berlusconi sulla giustizia

I tre fronti della Lega di Marco Palombi i spiace venirvi a parlare proprio oggi con questo contesto climatico». Roberto Calderoli, raccontano i partecipanti, ha esordito così sedendosi al tavolo della Conferenza unificata Stato-Regioni per illustrare le linee guida del suo testo sul federalismo fiscale. Il ministro della Semplificazione ha voluto chiarire subito ai governatori che la pietra dello scandalo non è lui, che il loro scontro con Giulio Tremonti non deve inficiare il vero obiettivo di legislatura della Lega. Il fatto è che sul tavolo c’è un macigno da più di 400 milioni di euro di spesa sanitaria che il ministro dell’Economia si rifiuta di dare alle regioni e questo mette a rischio il sogno del Carroccio, quanto e più della guerra totale sulla giustizia dichiarata dal presidente del Consiglio. I fatti sono semplici: la scorsa Finanziaria fissava in 834 milioni di euro i fondi necessari a evitare l’imposizione di ticket per gli utenti della sanità pubblica, Tremonti e il suo collega del Welfare Maurizio Sacconi (che ha la titolarità della Salute tramite il sottosegretario Fazio) hanno messo sul piatto meno della metà di questa cifra, 400 milioni, senza contare che a parere delle regioni la spesa sanitaria per gli anni 2010 e 2011 è sottostimata per la cifra choc di 9 miliardi di euro. Nulla da fare nemmeno per il tentativo di mediazione tentato dall’assessore al Bilancio lombardo Romano Colozzi: dateci solo 400 milioni, però congeliamo il tutto al giugno 2009 e nel frattempo troviamo una soluzione di merito, tanto più che nel frattempo il federalismo fiscale arriverà a cambiare tutti gli scenari. Risposta del governo: picche.

«M

dì la verità, non andare a dichiarare ai giornalisti che voi i soldi li mettete e noi ci lamentiamo lo stesso. Dì che abbiamo accettato la riforma del Patto di stabilità interno con tagli per quasi 8 miliardi”. Non da meno il ministro: «Questa situazione noi l’abbiamo ereditata dal ‘tuo’ governo Prodi. Nel piano c’è scritto o risorse o ticket e noi possiamo metterne solo la metà. Comunque la scelta dei ticket non l’abbiamo fatta noi». Questa rigidità non è certo piaciuta alle Regioni (e pure gli enti locali, per altri versi, sono sul piede di guerra: per l’Anci i comuni quest’anno perderanno 1,7 miliardi di euro, in gran parte per colpa del nuovo taglio dell’Ici), ma lo sguardo allibito i governatori l’hanno fatto alla lettura di una dichiarazione fatta in aula alla Camera da Tremonti: «Un contributo a ridurre forme anomale di spesa pubblica nel comparto sanitario spero venga anche dalla magistratura e dalla sua azione moralizzatrice», ha detto il ministro. Potrebbe sembrare un greve riferimento alla vicenda Del Turco, ma il titolare dell’Economia puntava in realtà sul suo avversario più pericoloso in questa fase di posizionamento preriforme: Roberto Formigoni. Anche la sanità lombarda, infatti, vanto del Pirellone, è sotto l’occhio “moralizzatore” della magistratura. Non solo lo scandalo del Santa Rita, infatti, turba i sonni della giunta lombarda: è di pochi giorni fa la visita della Gdf al policlinico San Donato di Melegnano con 24 persone sono accusate di truffa aggravata al Sistema sanitario regionale. «Sembra

Degli 834 milioni di euro previsti per evitare il ticket sulla sanità ne sono stati stanziati appena 400

Lo scontro, anche in Conferenza unificata, è stato al calor bianco, col presidente Vasco Errani che ammoniva con tono duro Sacconi: “Adesso che esci

A destra il Senatur, Umberto Bossi, con il premier Silvio Berlusconi. In basso l’udc Bruno Tabacci. Nella pagina a lato una caricatura dei rapporti tra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia

che ci sia un solo ministro che vuole trattare sul federalismo fiscale. E non è Tremonti - commentava al termine della conferenza un amministratore regionale del Pdl – Se continua così il percorso non sarà facile».

Calderoli, il mediatore, ce la sta

comunque mettendo tutta. Ieri, davanti ai governatori e al presidente dell’Anci Leonardo Dominici, ha esposto il suo

“modello Calderoli” per sommi capi: basta con la finanza derivata e cancellazione della “spesa storica”, bisognerà ragionare su costi standard dei servizi. Per le regioni meno ricche, poi, ci sarà un fondo perequativo che copra le differenze tra entrate e spese. Il ministro leghista ha pure annunciato che il governo punta ad “una vera autonomia con tributi propri per regioni e enti locali”e una ridefinizione di competenze in tema di sanità, istruzione, assistenza sociale e, compatibilmente con le privatizzazioni, di trasporto e servizi pubblici locali. Il fatto è che sulla questio-

ne dell’autonomia tributaria le idee nel governo non sembrano essere proprio tutte in linea con quelle accarezzate dai leghisti: per molti le regioni dovrebbero sì poter trattenere quasi tutti gli introiti Iva, ma per il resto accontentarsi delle addizionali e dei premi per chi non sfora i parametri di spesa. Nel merito, insomma, molto da vedere, ma Calderoli ha già illustrato la tempistica: entro la prossima settimana il testo sarà nelle mani di regioni e comuni, così “potremo cominciare a masticarlo già da agosto ed arrivare con un testo condiviso in Consiglio dei ministri a fine settem-

Tabacci: Tremonti e il governo stanno espropriando il Parlamento

«È il ministro delle tre carte» Il federalismo fiscale? «Se si farà, non vedrà certo la luce quest’anno». È il parere di Bruno Tabacci, deputato Udc, in tempi lontani già presidente della Regione Lombardia, che ieri ha sferzato su questo e altro il ministro dell’Economia dal suo scranno di Montecitorio. Eppure Calderoli ha annunciato che si parte a settembre e si chiude a fine anno... Usano il federalismo fiscale come una parola magica che risolve tutti i problemi, ma in profondità non sono andati affatto.Tremonti, dal canto suo, si rende conto che ci vogliono altri tempi per fare una cosa del genere, ma contemporaneamente non vorrebbe andare contro la parolina magica. Ha perfino detto che solo così si potrà restituire un po’ di imposizione fiscale agli italiani… È una sua opinione o ha elementi concreti sulla perplessità di Tremonti? L’altro ieri all’Aspen il suo intervento ha avuto toni cauti. Comunque


politica

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I retroscena di un conflitto psico-politico che agita il futuro del governo

La guerra fredda tra Giulio e Silvio di Errico Novi segue dalla prima

NON NECESSARIAMENTE per le ragioni esposte

bre”. Il federalismo fiscale, infatti, sarà agganciato alla sessione di bilancio e dovrà quindi essere approvato o respinto entro la fine dell’anno. Tertium non datur.

Silvio Berlusconi lo sa bene, per questo ha dichiarato che federalismo e riforma della giustizia andranno di pari passo a partire da settembre: è un abbraccio alla Lega, tentata dal dialogo con le opposizioni, tanto stretto da risultare soffocante. E condito, peraltro, da velate quanto insolite minacce in stile previtiano: “Simul stabunt simul cadunt”, ha chiarito Berlu-

sconi incorrendo nello stesso errore che anni fa valse a Bettino Craxi le reprimende di Alessandro Natta: “Cadent. Si dice cadent”. Il Carroccio, come si sa, non gradisce questi toni e nell’incontro Calderoli-Bossi del pomeriggio si è dovuto precipitare Giulio Tremonti nel tradizionale ruolo di pontiere. Il Carroccio, giudizioso quanto mai in questo periodo, non ha scelto lo scontro: se è necessario fare il federalismo insieme alla riforma della giustizia lo faremo, hanno detto Calderoli e Maroni, vorrà dire che le Camere lavoreranno 24 ore al giorno.

basta vedere i fatti: non c’è ancora niente, è una partita che si giocherà in autunno. Pensi che nel decreto c’è solo una modestissima spesa per finanziare uno studio sull’argomento. Lei ha rimproverato Tremonti di interpretare troppi ruoli. È evidente: è liberista e statalista, liberalizzatore e per lo Stato imprenditore, è un politico di destra che scavalca la sinistra. Questo però è solo il gioco delle tre carte. Ad esempio prima attaccava Padoa Schioppa perché aumentava le tasse e ora lui le alza e non lo dice. Però il ministro si dice disposto al dialogo… Non c’è nessuna disponibilità. E poi su cosa? Alla Camera abbiamo un decreto sostituito da un maxiemendamento su cui è stata posta la fiducia. Di quale modifica dobbiamo discutere? È una cosa vergognosa. È un quadro un po’ cupo. Noi assistiamo a un esproprio del Parlamento: dipingono i passaggi parlamentari come una perdita di tempo, un fastidio a cui sono costretti invece di lavorare. Sappiano però che la dittatura della maggioranza non è sufficiente a garantire una prospettiva democratica al Paese. (m.p.)

da Paolo Cirino Pomicino in una lettera pubblicata sulla Stampa di ieri. Secondo l’ex ministro del Bilancio Tremonti «non può non avere un disegno politico e, visti i suoi provvedimenti, nei quali nessuno può mettere bocca, né Letta né gli altri, dovrà pure spiegarne la sostanza». Il ministro dell’Economia, dice Pomicino, «sta forse giocando una partita politica personale i cui contorni ancora ci sfuggono». Non è il caso di cedere all’interpretazione più dietrologica. Quella secondo cui il ”disegno personale” del Professore di Sondrio consista nell’avvicendamento del Cavaliere. Sarebbe un suicidio. Secondo gli azzurri che meglio conoscono Tremonti la lettura più indovinata porta da un’altra parte. E si inserisce sempre nello schema secondo cui Giulio punta a testa bassa verso gli obiettivi che la sua visione di scenarista gli suggerisce: «Si è convinto che bisogna assestare un colpo mortale al sistema clientelare degli enti locali e degli stessi ministeri», dicono in Forza Italia i pochi che vedono la cosa in positivo, «Tremonti sa che gli sprechi e il saccheggio delle risorse pubbliche incide per almeno il 15 per cento della spesa. Ma la molla che lo spinge più di ogni altra è la certezza di poter abbattere così soprattutto il sistema di gestione familistica di molte Regioni e Comuni amministrati dal centrosinistra».

Sarebbe

solo

questo

ste e andare contro lo sviluppo mettendo le mani nelle tasche dei cittadini oppure diminuire le spese partendo dai privilegi, dagli sprechi e dalle cose inutili». Parole che coincidono con l’interpretazione autentica dei tremontiani. Ma sarà davvero così difficile far cambiare idea al premier? Convincerlo che il responsabile dell’Economia ha dichiarato un’assurda guerra a tutto e a tutti con l’ambizione di strafare e lanciarsi come futuro leader? Sarà davvero così improbabile assegnare a Giulio questo marchio quando in autunno esploderà eventualmente il disagio di un Paese sempre più provato dalla crisi?

Non sarà facile difendersi dalle accuse, per Tremonti. Non gode di buona stampa presso gli altri big azzurri e i suoi recenti exploit editoriali non lo aiutano a rasserenare i rapporti con lo stesso Cavaliere. Da quando riprese il suo posto al governo nel 2005, il Professore di Sondrio ha assunto un atteggiamento obiettivamente diverso dalla maggior parte degli altri dirigenti berlusconiani. Non si limita a recitare il mantra del ”Grazie Silvio” ma parla per proprio conto e per rappresentare gli umori di una parte dell’elettorato di centrodestra. Arriva a contestare apertamente se capita le scelte di Berlusconi, come è avvenuto per la temporanea sovraesposizione della Brambilla. Un caso raro. Aggravato dal successo ottenuto con La paura e la speranza, serbatoio di polemiche tornato utile nell’ultima campagna elettorale. Il suo pessimismo illuminato da soluzioni futuribili non potrà mai coincidere con l’ottimismo imperativo di Silvio. Eppure le sue proposte cominciano a riscuotere consensi sul piano internazionale, da Bruxelles a Osaka.

Il Professore di Sondrio non coltiva, per ora, ambizioni da futuro leader. Ma ai suoi nemici interni non sarà difficile convincere il Cavaliere del contrario

dunque il ”disegno politico personale” del ministro. Nessuna ambizione, almeno per ora, ad acquisire una popolarità che gli consenta di competere con il premier. Ma siamo sicuri che nel Pdl, soprattutto sul versante azzurro, siano tutti impegnati a rassicurare Berlusconi sulla buona fede di Tremonti? È ovvio che in queste ore sta avvenendo esattamente il contrario. Molti leader forzisti, soprattutto di quelli che hanno solide radici nel proprio territorio, comprendono che l’iniziativa di Giulio può colpire anche i loro interessi. La scure recide tutto, indistintamente. E presto si faranno sentire con il Capo, anzi lo stanno già facendo. Gli restituiranno l’altra versione che può intravedersi nelle parole di Pomicino, quella secondo cui il Professore di Sondrio ha lanciato un’opa su Palazzo Chigi.

Finora Berlusconi non tradisce ufficialmente alcuna perplessità: «La scelta di Tremonti è semplice. Siamo un Paese a crescita zero e con un deficit molto elevato, abbiamo solo due strade», ha spiegato ieri, «aumentare le impo-

Tutti elementi che alimentano una strana seppur non inedita tensione con Berlusconi. E che creano una vera e propria diffidenza presso altri esponenti azzurri di altissimo rango. Si addensa la minaccia di una dolorosa replica della caduta del 2004, quando il Cavaliere non resistette alle pressione degli altri big della coalizione, a cominciare da Gianfranco Fini, e decise di licenziare il ministro dell’Economia. Sarebbe una beffa per Giulio. Può scongiurarla con iniziative che vadano incontro alle attese dei redditi medio-bassi, in modo da proteggersi con l’involucro di una inattaccabile popolarità. Ma Tremonti è anche l’uomo del rapporto privilegiato con la Lega: se la tensione tra Palazzo Chigi e il Carroccio dovesse salire, il ministro sarebbe ancora più esposto.


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politica

La Corte d’Appello di Milano respinge la domanda di sostituire il giudice ”nemico” del premier

Caso Mills, il processo va avanti di Ferdinando Milicia a guerra infinita tra la magistratura e il Cavaliere continua. Ieri, però, i giudici di Milano hanno segnato un punto a loro favore in questa lunga contesa fatta di ricorsi, carte bollate, rinvii e udienze senza fine. Sarà, infatti, il giudice Nicoletta Gandus a giudicare Silvio Berlusconi e l’avvocato inglese David Mills imputati di corruzione in atti giudiziari. I magistrati della quinta sezione della Corte d’Appello di Milano hanno respinto l’istanza di ricusazione presentata dai legali del presidente del Consiglio, che giudicavano inopportuna la presenza del giudice dopo le «reiterate manifestazioni di pensiero che appalesavano una inimicizia grave» nei confronti del premier. Alla Gandus, gli avvocati del Cavaliere, Piero Longo e Niccolò Ghedini, contestavano di aver aderito e sottoscritto note e appelli critici sulle leggi in materia di giustizia presentate dal precedente governo Berlusconi. «I documenti che dovrebbero dimostrare l’inimicizia grave tra la dottoressa Gandus e il ricusante», hanno sentenziato i giudici della Corte d’Appello, «sono mere manifestazioni di pensiero relative non a rapporti personali o comportamenti dell’onorevole Silvio Berlusconi, ma semplicemente critiche. L’istanza di ricusazione appare quindi infondata nel merito».

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Brunetta: «Obbligo di certificato medico anche per un solo giorno di malattia»

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Nel respingere l’istanza, il Collegio si è rifatto alla giurisprudenza «costante della Cassazione» che ravvisa l’inimicizia grave tra giudice e imputato solo nei «casi in cui tra questi vi siano fatti concreti e precisi che dimostrino animosità e conflitto». I giudici d’Appello, inoltre, hanno osservato che «sin dall’inizio del processo BerlusconiMills, Gandus non ha più dichiarato alcunché», consapevole che, dal ruolo di magistrato, libero di manifestare il proprio pensiero, «stava per transitare in quello gravemente responsabilizzante di presidente del collegio». Il processo, quindi, dovrebbe riprendere oggi davanti alla decima sezione del tribunale penale di Milano presieduta dal giudice Nicoletta Gandus. Il presidente del Consiglio è accusato di aver comprato due testimonianze dell’avvocato inglese David Mills in due processi in cui il premier era imputato, uno sulla vicenda All Iberian e l’altro su presunte tangenti alla Guardia di Finanza. Ma tutta questa battaglia giudiziaria, tra magistrati da una parte, e governo e premier dall’altra, potrebbe finire in un sol colpo, come una “tempesta in un bicchier d’acqua”. Il Parlamento, infatti, dovrebbe sospendere il procedimento giudiziario. Anche se gli avvocati Longo e Ghedini hanno annunciato l’intenzione di impugnare la sentenza in Cassazione, il processo Berlusconi-Mills è destinato ad essere fermato dal Lodo Alfano, che è in attesa di incassare il via libera definitivo del Parlamento prima dell’estate. Ma in

d i a r i o

La visita del medico fiscale «è sempre obbligatoria anche nelle ipotesi di prognosi di un solo giorno, salvo particolari impedimenti del servizio del personale». Scatta con una circolare firmata ieri dal ministro Renato Brunetta la stretta sulle assenze dei dipendenti pubblici che prevede anche la decurtazione dello stipendio, per i primi dieci giorni di assenza, per malattia o permessi.

Fmi: «Italia fanalino di coda» L’economia globale «è in un momento molto difficile, stretta tra un brusco rallentamento dei consumi in molte economie avanzate e inflazione in aumento ovunque». E per l’Italia le cose vanno meno bene che per gli altri, con il Pil destinato a non aumentare oltre lo 0,5% sia quest’anno che il prossimo. L’allarme è del Fondo monetario internazionale, secondo cui la crescita mondiale «decelererà significativamente nella seconda metà del 2008, prima di recuperare gradualmente nel corso del 2009». Il prodotto globale, in base alle stime aggiornate rese note, salirà del 4,1% quest’anno e del 3,9% il prossimo, con una revisione al rialzo pari rispettivamente allo 0,4 e allo 0,1% rispetto alle stime di aprile.

Unipol, Csm: «Nessun illecito da Clementina Forleo»

questo clima di finto armistizio tra i due poteri dello Stato, legislativo e giudiziario, non sono mancati i commenti sferzanti degli uomini della maggioranza. A cominciare dal deputato e avvocato azzurro, Niccolò Ghedini, che ha parlato di non garanzia di «terzietà» riferendosi alla decisione della Corte d’Appello di Milano. Mentre il presidente dei senatori del PdL, Maurizio Gasparri, ha giocato con l’ironia delle parole ponendosi un interrogativo: «Un magistrato per essere ricusato, dovrebbe picchiare la persona che deve giudicare?». «Francamente», ha aggiunto Gasparri, «dopo aver letto cosa la Gandus ha affermato e scritto sul premier, la decisione di far proseguire il giudizio nei confronti di Berlusconi al magistrato milanese appare sconcertante».

Dura la reazione del PdL. Per Gasparri un magistrato per essere ricusato forse «dovrebbe picchiare la persona che deve giudicare»

Dello stesso parere è stata la dichiarazione di Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori del PdL: «Cosa altro dovrebbe fare un giudice perché sia dimostrata la sua grave inimicizia, forse provare a uccidere l’imputato?». L’unica voce contraria che è arrivata dall’opposizione è stata quella extra-parlamentare, per così dire, dell’ex deputato dei Comunisti italiani, Pino Sgobio. «La levata di scudi di Gasparri e compagnia ha davvero dell’incredibile. Oramai, non c’è limite a nulla. In nessun Paese civile accade ciò che avviene in questi giorni in Italia». «Continuano», ha osservato Sgobio, «a lamentarsi dei giudici. Ma l’immunità non vi bastava? Che vergogna. Hanno imposto l’immunità e continuano a criticare l’operato dei giudici». Insomma, acque agitate prima dell’annunciata tregua “armata” tra magistratura e governo.

Un provvedimento «anomalo», che però non determina «alcuna ipotesi di illecito disciplinare». Con queste parole il Csm ha definito l’ordinanza con cui il gip di Milano, Clementina Forleo, chiese alle Camere l’autorizzazione a utilizzare le intercettazioni disposte nell’ambito delle inchieste sulle scalate alle banche, nelle quali comparivano anche conversazioni di alcuni parlamentari, come D’Alema e Fassino. Così la sezione disciplinare di Palazzo dei Marescialli ha spiegato perché, il 27 giugno scorso, decise di assolvere il giudice milanese dalle accuse che gli erano state rivolte dalla Procura Generale della Cassazione in relazione al caso Unipol.

Doping: il ciclista Riccò positivo all’Epo Finisce l’avventura sulle strade francesi per l’italiano Riccardo “Cobra” Riccò, risultato positivo all’Epo di terza generazione dopo il controllo effettuato al termine della gara a cronometro del Tour de France dell’8 luglio scorso a Cholet. Le indiscrezioni anticipate dal sito de L’Equipe sono state confermate dall’agenzia francese antidoping. Il ciclista della Saunier Duval, vincitore di due tappe in questa edizione della “Grande Boucle”, è stato sospeso dalla corsa a tappe. «La sostanza a cui è stato trovato positivo Riccò è la stessa dei due corridori precedentemente sospesi». Lo ha rivelato Pierre Bordry, direttore dell’Agenzia francese di lotta anti-doping. Sia Moises Duenas che Manuel Beltran erano infatti stati trovati positivi allo stesso tipo di sostanza, ovvero la Cera, un tipo di Epo i cui effetti durano più a lungo.

Petrolio, Scaroni: «In tre anni 1.000 euro di aggravio a famiglia» «A causa del caro petrolio, negli ultimi tre anni le famiglie italiane hanno subito un aggravio dei costi delle bollette pari a mille euro all’anno». A sostenerlo è l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, che si è detto «estremamente preoccupato per l’impatto sui consumatori dei rincari degli idrocarburi che si sono registrati negli ultimi due anni. Se si sommano gli aumenti dei carburanti agli aumenti del gas domestico e a quelli dell’elettricità per la quota prodotta da idrocarburi - ha spiegato Scaroni - l’aggravio per una famiglia media italiana, rispetto al 2005, è di mille euro».


politica ROMA . Ottaviano Del Turco si è dimesso da presidente della Regione Abruzzo. La lettera è stata consegnata dal suo legale, Giuliano Milia, al presidente del Consiglio regionale abruzzese, Marino Roselli. «Il presidente Ottaviano Del Turco, tramite il suo avvocato di fiducia, mi ha fatto pervenire una sua comunicazione in cui rassegna le dimissioni da Presidente della Giunta regionale a partire da oggi», così ha spiegato Marino Roselli a quanti gli domandavano notizie in merito alle ventilate dimissioni del governatore abbruzzese. «Nella sua lettera - ha aggiunto Roselli - Del Turco fa riferimento alla necessità di chiarire la sua posizione senza trascinare l’Istituzione Abruzzo in una vertenza giudiziaria nella quale, ha tenuto a sottolineare il Presidente dimissionario, se ci sono responsabilità sono di natura personale e non collettiva». Oltre alla lettera di dimissioni dalla presidenza della Regione, ieri sera una seconda lettera sarebbe stata recapitata per volere di Del Turco al segretario regionale del Partito democratico, Luciano D’Alfonso, ma indirizzata a Walter Veltroni, per autosospendersi dal Pd. Questa la notizia che chiude una giornata, quella di ieri, iniziata con il primo faccia a faccia tra l’ex governatore, assistito dal suo avvocato, e il gip di Pescara Maria Michela di Fine, il procuratore Nicola Trifuoggi e i due pm Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli.

18 luglio 2008 • pagina 7

Dimissioni recapitate a Veltroni e al presidente del Consiglio d’Abruzzo

Del Turco lascia Regione e Pd di Francesco Capozza

Sulla vicenda Del Turco e sui coinvolgimenti che nelle ultime ore sembrano diventare bipartisan, è intervenuto ieri anche Giuliano Cazzola, vice presidente della Commissione Lavoro della Camera, che è arrivato a definirla un nuovo caso Tortora. Secondo Cazzola i fatti denunciati sono talmente clamorosi da evocare immediatamente la memoria della persecuzione giudiziaria di cui fu vittima il noto presentatore. «Era tanto incredibile che Tortora fosse un affiliato della camorra e uno spacciatore di droga quanto lo è il pensare che una personalità come Del Turco riceva nel suo buen ritiro di Collelongo un imprenditore, si faccia consegnare delle mazzette e lo congedi infilando quattro mele in un sacchetto». Il “ciclone Del Turco” ha varcato anche i confini nazionali: «Dettagli comici, se non fossero così seri» e «è il peggior scandalo della sinistra italiana da anni» titola a tutta pagina l’Economist. Fino a oggi il tabloid britannico non era mai stato così pungente nei confronti di un esponente

L ’ i n t e r r o g a t o r i o è d ur a t o poco più di un’ora. Al termine sono trapelate alcune notizie che fanno ricostruire la posizione dell’ormai ex Presidente abruzzese. Del Turco ha iniziato il suo interrogatorio chiarendo la sua posizione nell’ambito della cosiddetta “tangentopoli abruzzese”. L’avvocato Milia ha confermato che «il presidente ha reso dichiarazioni a sua discolpa, per le quali è stata chiesta la revoca del provvedimento cautelare». Il legale ha poi fatto cenno allo stato di salute dell’ex governatore dichiarando laconicamente che «il

Turco già da oggi potrebbe essere assegnato alle attività lavorative all’interno del carcere e, di conseguenza, potrebbe essere posta fine al suo isolamento. «Nel carcere in questo periodo è stato aperto un laboratorio in cui i detenuti sono impegnati a eseguire dei lavori e delle opere a favore della giostra cavalleresca di Sulmona che si svolgerà a fine luglio», ha proposto il direttore del car-

Ieri il primo faccia a faccia, durato poco più di un’ora, tra l’ex governatore, il gip di Pescara Maria Michela di Fine, il procuratore Nicola Trifuoggi e i due pm Giampiero Di Florio e Giuseppe Bellelli presidente sta bene, come uno che è in carcere». Un passo avanti verso misure di carcerazione meno restrittive è stato poi fatto nella serata di ieri da Sergio Romice, direttore del carcere di Sulmona, dove Del Turco è detenuto in isolamenento. Secondo Romice Del

dei riferimenti». »In questi anni - prosegue il capogruppo del Pdl alla Camera - ho girato l’Italia per fare convegni politici e certamente ho conosciuto molti esponenti della politica locale, ma con i quali non ho mai avuto rapporti che non fossero di natura strettamente politica. L’onorevole Aracu, che stimo, rientra per me in questa categoria. Ribadisco che in Forza Italia non esiste nessuna corrente che faccia riferimento a me e nella quale io svolgerei il ruolo di “protettore” di chicchessia».

cere di massima sicurezza. «Lì, a dipingere, attività che tanto piace e in cui da tempo si diletta, potrebbe finire nelle prossime ore Del Turco. Romice ha voluto anche dare una risposta alle accuse di molti esponenti politici, in particolare a quelle rivolte da Pannel-

la che sul carcere di Sulmona aveva espresso preoccupazioni per i casi di suicidio che ci sono stati nel recente passato: «Ogni suicidio – ha detto il direttore del carcere - è una sconfitta per tutti noi che operiamo nella struttura e che dobbiamo garantire sicurezza e massima tranquillità ai detenuti».

Nella stessa mattinata di ieri gli inquirenti hanno sentito anche l’altro principale indagato di questa nuova tangentopoli, Camillo Cesarone, capogruppo Pd in consiglio regionale, anche lui, come Del Turco, arrestato lunedì mattina. Cesarone, al contrario dell’ex governatore, si è avvalso della facoltà di non rispondere, rimanendo a bocca chiusa per tutto il tempo dell’interrogatorio, durato poco più di venti minuti. A lui è stato concesso da subito di uscire dall’isolamento e, salvo esigenze diverse, rimarrà nel carcere di Chieti. La giornata di ieri è stata poi segnata da una serie di dichiarazioni sul caso Del

Nella lettera destinata a Roselli, Del Turco ha precisato che «se ci sono responsabilità, sono di natura personale». Intanto, tirato in ballo per presunti coinvolgimenti, Fabrizio Cicchitto annuncia querele Turco, visto anche il tentativo di coinvolgimento nella vicenda del capogruppo del Pdl alla camera Fabrizio Cicchitto. Portato in causa insieme al deputato del Pdl Costantino Aracu, Cicchitto ha annunciato querele per diffamazione e ha contestato alla radice una sua funzione di «capocorrente» dentro Forza Italia, tanto meno nella Regione Abruzzo. «A proposito della vicenda abruzzese - ha affermato Cicchitto in una dichiarazione - leggo su alcuni giornali obliqui riferimenti a una mia del tutto inesistente corrente in Forza Italia e, di riflesso, alla mia persona. In questa vicenda posso solo respingere ogni illazione con l’unico strumento a mia disposizione che è la querela per diffamazione, attesa l’equivocità

del centro sinistra italiano, preferendo di gran lunga come bersaglio il Presidente del Consiglio Berlusconi. E proprio lo stesso premier Silvio Berlusconi non si è lasciato sfuggire l’ennesimo dietrofront sulle sue dichiarazioni rese alla stampa nei giorni scorsi in merito al caso Del Turco: «Non ho mai detto che si tratta “solo” di un teorema, non potevo dirlo perché non conosco le accuse. Ho solo espresso l’augurio che si possa arrivare a una conclusione con l’innocenza degli imputati. La realtà è che ogni cento italiani a processo, cinquanta risultano poi essere innocenti». Almeno questa volta il presidente del Consiglio ha evitato di dire che sono i giornalisti che, «come sempre», distorcono e travisano le sue affermazioni.


pensieri & parole

pagina 8 • 18 luglio 2008

I tagli alla Difesa portano al declino dello strumento militare italiano

Il ministro dimezzato di Stranamore rmai è chiaro, a fare le spese dello straordinario sforzo per comprimere il costo della macchina statale avviato dal ministro Tremonti sarà la Difesa, per quanto il collega La Russa abbia il peso politico per cercare di spuntare almeno un poco le forbici di Tremonti. Ignazio La Russa potrebbe probabilmente spostare dal piano economico a quello politico il terreno di confronto, un terreno sicuramente meno difficile, e qualche mossa in questo senso la ha già compiuta, riferendosi alla possibilità del parlamento di intervenire e modificare i provvedimenti proposti dal governo. Ovviamente Tremonti nel suo primo assalto ha spinto al massimo, consapevole di dover poi concedere qualcosa in sede di trattativa. Ma non è una novità il fatto che Tremonti consideri la spesa per la difesa come una delle più improduttive e come un…bersaglio facile. Infatti nella precedente esperienza al Tesoro ebbe buon gioco nel strizzare come un limone la difesa, mentre l’allora ministro Mar-

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tino stava a guardare. Il fatto è che il Ministero dell’Economia questa volta sta facendo molto di più che imporre tagli: sta tentando di imporre una riforma riduttiva delle capacità militari nazionali spogliando delle sue competenze non solo il titolare della difesa, ma anche il governo ed il parlamento. Come poi la Difesa potrà in concreto cercare di ricostruire un modello organizzativo e capacitivo coerente non importa, contano i

al personale, che vuol dire sostanzialmente volontari in ferma breve, la linfa dello strumento militare, tagli agli investimenti ed all’ammodernamento (andando anche a toccare le risorse “esterne” gestite dal ministero dello sviluppo economico) e, soprattutto, una terrificante potatura alle spese di esercizio, ovvero ai soldi che consentono ai militari di addestrarsi, di far uscire in mare le navi, di far volare gli aerei, di andare ai poligoni di tiro, di effettuare la manutenzione e comprare i pezzi di ricambio. Non manca neanche il tentativo di ridurre sostanzialmente, almeno del 25%, gli oneri derivanti dalle missioni internazionali: questo vuol dire chiudere almeno una delle missioni principali in corso. Apparentemente il titolare della Difesa non si è accorto di essere di fatto un ministro..dimezzato. Inizialmente infatti si è impegnato in un braccio di ferro con Maroni per far passare l’impiego dei militari in supporto delle forze

Mentre La Russa si occupava di giustizia e Alleanza nazionale,Tremonti sferrava un attacco a tutto campo saldi di cassa. In nessun paese occidentale si è mai visto niente del genere. E questo è possibile solo perché alla fine alla politica la Difesa interessa poco o niente. Del resto non è un caso se nel programma del PdL non ci fosse una riga che fosse una dedicata ai temi della difesa. Quando si parla di sicurezza ci si riferisce…al poliziotto di quartiere.Tremonti ha sferrato un attacco a tutto campo: tagli

di polizia. Un aiuto né richiesto né voluto dalle forze di polizia e tra l’altro del tutto inopportuno considerando che i soldati sono professionisti e non più soldati di leva e “costano” per di più quanto i poliziotti. Mentre La Russa combatteva questa battaglia, si occupava di giustizia, del partito, degli straordinari dei soldati, Tremonti andava al bersaglio. Si, La Russa ha fatto un buon lavoro, insieme al collega degli esteri, Frattini, per quanto riguarda l’impegno militare italiano in Afghanistan, ma ha perso la prima battaglia finanziaria e di bilancio e non ha visto la“spogliazione” in atto delle sue competenze. Non ha avuto poi appoggio dai suoi due sottosegretari, ai quali non ha delegato praticamente… niente, preferendo casomai farsi rappresentare, in modo invero istituzionalmente non correttissimo….da altre figure. Lo scollamento tra La Russa e Tremonti è apparso in tutta la sua evidenza quando il primo ha presentato alle commissioni di-

fesa la politica del proprio dicastero, auspicando un incremento della spesa per la difesa dall’attuale 1% e spiccioli all’1,25%, sia pure come obiettivo da raggiungere entro il termine della legislatura, a poche stanze di distanza si incominciavano a discutere i super-tagli richiesti dal ministero dell’economia. Indubbiamente è necessario che si arrivi ad una “composizione” di questa dicotomia, mentre anche la difesa si deve, a questo punto, svegliare. Anche se brutale, l’approccio di Tremonti può essere trasformato in una opportunità, quella di sciogliere una serie di nodi che né la politica né tanto meno i militari hanno voluto affrontare in questi anni, lasciando che il problema si incancrenisse. Però bisogna muoversi in fretta. E magari portare la discussione su questi temi al governo e in parlamento, magari anche nel paese, posto che anche ai media la politica e le scelte sulla difesa interessano poco o niente.

Anche ”Società Aperta” guarda con favore al sistema elettorale della Repubblica federale

Se l’Italia parlasse tedesco di Enrico Cisnetto a Società Aperta ha aderito all’iniziativa ”A favore del sistema tedesco”. L’adesione nasce sì dalla condivisione del paper, ma soprattutto dalla storia di un movimento d’opinione come Società Aperta che da tempo invoca la Terza Repubblica guardando all’esperienza tedesca. Fino a invocare un’Assemblea Costituente che potesse suggellare nel più alto dei modi questa opzione. La scelta “tedesca”è basata sulla convinzione che a determinare un assetto politicoistituzionale efficace (la sperimentazione di questi anni ha prodotto risultati eccellenti per il sistema-Germania), adatto alle peculiarità italiane, sia l’insieme di una legge elettorale proporzionale con sbarramento non inferiore al 5%, un’organizzazione dello Stato basata sull’asse tra l’amministrazione centrale e macro-regioni, una forma di governo basata sul cancellierato, un bicameralismo differenziato nelle funzioni, l’istituto della sfiducia costruttiva, il ruolo forte e regolato dei partiti che generano un multipartitismo semplificato, nessuna concessione al leaderismo, e l’equilibrio tra il sistema parlamentare e la capacità di decidere dei governi. Ma c’è un altro e più importante motivo:

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l’estrema preoccupazione per il declino economico, il degrado socio-ambientale, la condizione di default della giustizia e il più complessivo stato di decadenza del Paese. Guardare alla Germania deve servire per difendere l’unità nazionale, oggi minata dalla progressiva perdita di sovranità al Sud e dalle troppo alimentate pulsioni autonomistiche del Nord; far uscire la giustizia italiana da una condizione fallimentare in cui si trova, della quale non si preoccupano né i giustizialisti (di piazza e non) né quelli che estrapolano i fatti loro dai problemi più generali e si occupano solo di quelli; affrontare la strutturalità della nostra crisi economica, che risente del ciclo internazionale ma prescinde dalla congiuntura, considerato che negli ultimi 15 anni abbiamo accumulato un gap misurabile in un punto di Pil all’anno rispetto alla media Ue, e di 2,3 punti annui rispetto all’andamento dell’economia americana. Si pensi invece allo straordinario turnaround compiuto dall’economia e dal capitalismo tedesco, oggi tornati a essere la locomotiva d’Europa per il semplice fatto che la Germania è l’unico Paese continentale che ha capito la globalizzazione e l’ha affrontata nel

Una Grosse Koalition servirebbe anche al nostro Paese per riabilitare la giustizia e superare la crisi economica

modo giusto. C’è riuscita grazie a una politica economica che concilia mercato, libertà di iniziativa e meritocrazia da un lato, e responsabilità, diritto-dovere di indirizzo strategico della politica nelle grandi scelte economiche, dall’altro. Equilibrio, questo, che rappresenta l’unica risposta pragmaticamente positiva e praticabile al vecchio dilemma – vivo solo in Italia – tra statalismo e liberismo mercatista. Ma questi risultati non avrebbero potuto esserci se il sistema politico tedesco non avesse usato lo strumento della “grande coalizione”. Ma la Grosse Koalition cui noi guardiamo come unica risposta possibile al “caso italiano”, è cosa tutta diversa sia dal bipolarismo armato e straccione di ieri che dal bipartitismo schizofrenico di oggi. O almeno quello che sta nella testa di Berlusconi e Veltroni. Noi siamo convinti che non esista un organigramma istituzionale, una legge elettorale e un sistema politico né ideologicamente né tecnicamente migliori di altri. Essi variano a seconda del Dna dei Paesi e delle circostanze storiche: oggi l’impianto tedesco è quello che ci vuole per l’Italia. Ridisegniamo la geografia dei partiti e la mappa delle loro alleanze sulla base di questa linea discriminante: chi parla tedesco, e chi vuole continuare con la Babele delle lingue con cui ci siamo espressi in questi lunghi, maledetti anni di Seconda Repubblica.


politica Più tasse per tutti!

18 luglio 2008 • pagina 9

I tagli all’Università, gli effetti della Robin tax, i servizi pubblici locali faranno aumentare la pressione fiscale

di Gian Luca Galletti è un brutto virus in piazza XX settembre, sede del ministero dell’Economia. Un virus che porta i ministri ad apprezzare le tasse. Capitò al ministro Tommaso PadoaSchioppa che arrivò a definirle bellissime e ad applicarle ogni volta che poteva, oggi capita al ministro Giulio Tremonti, che nel nome della “perequazione tributaria”, fa schizzare la pressione dal 42, 6% del pil al 43,2%. Ma analizziamo nel dettaglio la Finanziaria del ministro Tremonti che fra pochi giorni sarà approvata dalla Camera. Il provvedimento punta principalmente sulla “super tassa” per banche, assicurazioni e petrolieri, la cosiddetta “robin tax, su tagli “lineari” alla spesa pubblica” e sulla riforma dei servizi pubblici locali. Ecco gli effetti:

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Tommaso Padoa-Schioppa, ministro dell’Economia del governo Prodi, arrivò a definirle bellissime e ad applicarle ogni volta che poteva, oggi capita al ministro Giulio Tremonti, che nel nome della “perequazione tributaria”, fa schizzare la pressione dal 42, 6% del pil al 43,2%

ROBIN TAX

Le opposizioni protestano per il non rispetto del regolamento parlamentare

Le società colpite dalla robin tax agiscono in mercati che la dottrina economica definisce “falliti” a causa della presenza di pochi grandi operatori in grado di determinare il prezzo finale senza tenere conto del costo della produzione. È quindi chiaro che la super tassa di Tremonti verrà scaricata sui prezzi finali. Vale a dire che già dai prossimi mesi le bollette di energia, il prezzo della benzina, le assicurazioni e i costi dei servizi bancari aumenteranno a danno dei consumatori cioè delle famiglie italiane.

Il superministro tenta il blitz e in Aula scoppia la bagarre

I TAGLI LINEARI La riduzione della spesa pubblica non è solo necessaria ma è indispensabile. Il nostro Paese è gravato da costi divenuti ormai insostenibili. I tagli lineari, cioè quelli effettuati in maniera proporzionale su tutti i comparti della pubblica amministrazione (Ministeri, Regioni, Enti Locali, amministrazioni periferiche) non sono la risposta corretta. La riduzione della spesa pubblica deve avvenire in maniera selettiva distinguendo la spesa “produttiva” cioè quella buona che produce servizi, socialità, istruzione, sicurezza da quella improduttiva che produce eccesso di burocrazia per i cittadini e le imprese, consulenze date a meri fini di consenso elettorale, inefficienze nella gestio-

ROMA. Blitz di Giulio Tremonti alla Camera ieri mattina. Era da poco iniziata la seduta per discutere della manovra quando il presidente di Montecitorio, Gianfranco Fini, ha annunciato che il governo aveva già depositato il maxiemendamento, interamente sostituitivo del testo, sul quale aveva intenzione di porre la fiducia. A quel punto l’opposizione è insorta contro questa pratica considerata inusuale e non rispettosa del regolamento. Perché tanta fretta? La risposta che circolava nella fila della maggioranza era che il “super ministro “ Tremonti teme un assalto alla diligenza da parte dei colleghi ministri, che si stanno rendendo conto dei sacrifici richiesti dalla manovra, approvata, sì, in 9 minuti e mezzo, ma in effetti sconosciuta. Oggi in Consiglio dei ministri Tremonti vuole evitare di aprire in quella sede una discussione antipatica. Meglio giungere a Napoli a cose fatte. Gli interventi degli esponenti dell’opposizione si sono concentrati tutti sulla procedura. Molto pragmatico Antonio Di Pietro: «Non voglio essere classificato tra i fannulloni di Brunetta, ma non voglio far lavorare il Parlamento per due giorni a vuoto. Basta ipocrisia. Chiedo al ministro - sono le parole di Di Pietro - non di preannunciare la fiducia, ma di chiederla ufficialmente e su questo discutiamo. Risparmiamo due giorni di tempo ed evitiamo al Parlamento di giocare». Anche Bruno Tabacci dell’Udc ha protestato: «Il nostro gruppo era disponibile a ridurre al minimo gli emendamenti. Ma così che discussione generale si fa? Il ministro Tremonti tiene in scacco il Parlamento e decide lui su cosa si discute. Credo che non esistano precedenti”. Alle critiche, come al solito, ha risposto il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, rassicurando che «Il governo ha operato correttamente, rispettando il lavoro del Parlamento e con trasparenza, per cui non si può gridare né allo scandalo né alla vergogna». Subito dopo, lo stesso Vito ha annunciato che il governo porrà la questione di fiducia sul maxiemendamento. «Il ministro Tremonti- dice Vito - è venuto in Aula per illustrare il maxiemendamento e il “preannuncio della fiducia era subordinato alla condizione che non ci fossero troppi emendamenti. I circa ottocento presentati stamattina - ha concluso - hanno fatto maturare la nostra decisione». (f.c.)

ne dei servizi ecc. Certo per tagliare la spesa improduttiva ci vuole forza politica ed amministrativa ma i risultati sono assai diversi. Con il taglio lineare l’effetto sarà quello di scaricare parte dei tagli sulle tariffe oppure procedere ad una riduzione dei servizi. In termini concreti ad esempio i rettori delle università italiane stimano già che dal prossimo anno le rette universitarie cresceranno di circa 100 euro per studente, i Comuni saranno costretti ad aumentare le tariffe degli asili nido o delle scuole materne e così via.

resto dell’Europa con effetti nefasti per i bilanci delle famiglie e delle imprese. Il ministro Tremonti, sotto il ricatto della Lega che nel Nord gestisce gran parte di queste ex municipalizzate, ha attuato una non riforma i cui effetti saranno devastanti. Praticamente invece che liberalizzare i settori interessati affermando come unica modalità di assegnazione delle concessioni la gara pubblica, rilancia la gestione in economia, cioè in-house, e le società miste e non affronta il vero nodo del conflitto di interessi tra comune gestore e comune proprietario. Una cosiffatta riforma avrà un unico risultato quello di fare lievitare, e non di poco, ancora di più le bollette delle famiglie italiane. Il gas, la luce, i rifiuti, l’acqua e altro ancora subiranno incrementi rilevanti grazie al perdurare di regimi di monopolio ed evidenti conflitti di interesse. In conclusione: il ministro Tremonti intervenendo alla Camera nella scorsa legislatura ebbe a sostenere che i governi non possono più fare bene all’economia ma possono ancora fare malissimo. Nulla da dire stavolta con questo provvedimento ha mantenuto la promessa.

La manovra finanziaria, preparata dal ministro Tremonti, produrrà effetti sicuramente negativi sui bilanci familiari

I SERVIZI PUBBLICI LOCALI Il settore dei servizi pubblici locali, quello cioè dell’energia, dell’acqua, dei rifiuti e del gas, e più in generale dei servizi gestiti dal pubblico aventi carattere economico, sono oggi dominati dalle “piccole IRI” di proprietà degli Enti Locali. Queste ultime agendo in un regime di monopolio, essendo nella stragrande maggioranza titolari di concessioni dirette date dagli stessi Comuni per l’esercizio delle attività, producono servizi di bassa qualità a costi molto elevati. Non a caso proprio questi servizi costano in Italia di più che nel


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mondo Il People’s Mujahedin of Iran, conosciuto anche come Pmoi o Mek è nato nel 1965 come movimento (di matrice comunista) contro lo Shah di Persia. Il gruppo ha ufficialmente rinunciato ad ogni forma di violenza nel 2001 e oggi è la principale organizzazione in seno al National Council of Resistance of Iran (Ncri). Due i suoi leader: Massoud e Maryam Rajavi, per la quale c’è un vero culto (vedi le iniziali del nome sui guanti delle giovani donne)

Entro il 31dicembre il controllo delle 18 province passerà sotto Baghdad

Iraq,chi proteggerà i mujahedin dissidenti? di Daniel Pipes n disastro umanitario e strategico sta per profilarsi all’orizzonte, visto che il prossimo 31 dicembre scade il mandato Onu che autorizza la presenza in Iraq delle forze statunitensi. Il destino di circa 3.500 iraniani contrari al regime sarà deciso nel corso dei negoziati sullo stato delle forze tra Washington e Baghdad. Costoro sono membri del Mujahedeen-e Khalq (Mek, chiamato anche Mujahedeen del Popolo dell’Iran, in Europa conosciuto come Pmoi), il principale gruppo di opposizione iraniano.

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Di stanza a Camp Ashraf nell’Iraq centrale, dove è stato loro riconosciuto lo status di “persone protette”in accordo alla Quarta Convenzione di Ginevra, sin dal 2004 essi godono del regime di protezione da parte delle forze militari statunitensi. Conformemente alla Convenzione contro la Tortura del 1984, di cui Washington è firmataria, la scadenza del mandato Onu non estinguerà gli obblighi americani di tutelare i membri del Mek presenti in Iraq. Inoltre, la rete di fiancheggiatori del Mek in seno all’Iran costituisce un impagabile sistema di intelligence. Ad esempio, essa ha messo a nudo le ambizioni nucleari di Teheran e i suoi cari-

chi di ordigni esplosivi improvvisati in Iraq. Nel riconoscere questo aiuto, un documento titolato Memorandum for the Record, redatto dal tenente colonnello Julie S. Norman e datato 24 agosto 2006, ha rilevato che «il Pmoi» ha sempre messo in guardia contro le ingerenze del regime iraniano e ha avuto un ruolo positivo nel mostrare le minacce e i pericoli di simili interventi; la sua rete di intelligence ha fornito un grande contributo a riguardo e in alcune circostanze ha aiutato a salvare la vita di molti soldati Usa».

terroristiche internazionali: «Io direi che ogni organizzazione che ha consegnato il proprio equipaggiamento alla coalizione, ovviamente sta cooperando con noi, e credo che ciò dovrebbe indurre a rivedere se esse siano ancora delle organizzazioni terroristiche oppure no». A partire da allora, un gruppo guidato dall’Fbi e costituito da più agenzie del governo americano ha prosciolto gli iraniani ad Ashraf dalle accuse di terrorismo. Dopo che un tribunale del Regno Unito ha sentenziato che il gruppo non era «implica-

Ma il Mek continua a risultare nella lista redatta dal Dipartimento di Stato, come organizzazione terroristica internazionale (Foreign Terrorist Organization), e probabilmente verrà rimosso a ottobre dal momento che il gruppo non risponde più ai criteri di terrorismo, avendo rinunciato alle attività di eversione e non conducendo operazioni oramai da anni, privo altresì delle capacità di poterlo fare in futuro, e non rappresentando una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti. Il generale Raymond Odierno, presto alla guida delle truppe americane in Iraq, già nel 2003 aveva sollevato dei dubbi in merito all’inserimento del Mek nella lista delle organizzazioni

Il generale Raymond Odierno solleva dubbi sulla permanenza del Pmoi nella lista terroristica già dal 2003 e spinge con costanza per una rapida rimozione e messa in sicurezza di Camp Ashraf to in attività terroristiche», a giugno il governo britannico ha rimosso il Mek dalla sua lista di organizzazioni terroristiche.

L’espulsione del Mek dall’Iraq costituisce la richiesta prioritaria di Teheran rivolta tanto a Baghdad quanto a Washington. Il regime iraniano è fermamente deciso a distruggere il suo principale oppositore e con qualche successo ha esercitato delle pressioni sul governo iracheno per smantellare Camp

Ashraf e consegnare i membri del Mek all’Iran. Anche i politici iracheni favorevoli a Teheran si sono uniti a questa richiesta, inclusi i leader dell’Alleanza irachena unita e il Supremo Consiglio islamico iracheno. Poi, il 9 luglio, il ministro degli Esteri Hoshyar Zebari ha asserito che il governo iracheno aveva deciso di espellere i membri del Mek. L’ambasciatore iraniano in Iraq, Hassan Kezemi-Qomi, ha precisato che il gabinetto iracheno ha trovato un rapido accordo sulla decisione di espellere il Mek dall’I-

raq. Il 6 luglio scorso, il canale televisivo iraniano Jame Jam ha riportato che «le forze militari americane hanno annunciato la loro disponibilità a passare le consegne» di Camp Ashraf a Baghdad, che ha dato al Mek sei mesi di tempo per abbandonare il suo territorio. Se queste notizie dovessero essere vere (e ciò induce a osservare che simili dichiarazioni antecedenti abbiano avuto poca efficacia operativa), esse implicano o la consegna dei disar-

mati abitanti di Ashraf alle forze irachene oppure la loro espulsione in Iran. In entrambi i casi, appare probabile un massacro su vasta scala, sia per procura di Teheran in Iraq che per mano della stessa Teheran. Motivate da un simile successo, le velleità di Teheran in Iraq senza dubbio aumenteranno ulteriormente.

L’amministrazione Bush è silente in merito a questi sviluppi, ma ha il dovere e l’interesse – basati sui suoi impegni umanitari, sugli obblighi di diritti internazionale e sulla necessità di avere alleati contro Teheran – di esigere nell’ambito dei negoziati sullo stato delle forze con Baghdad che i membri del Mek residenti a Camp Ashraf rimangano sotto la tutela dell’esercito statunitense e che siano liberi di lasciare Camp Ashraf. Dopo aver rimosso Mujahedeen-e Khalq dalla lista delle organizzazioni terroristiche straniere, Washington dovrebbe usare il regime nelle paure pressoché patologiche di Teheran, minacciandola di incontrare il gruppo e di appoggiare i suoi tentativi di pubbliche relazioni. Questo è il modo più semplice e più efficace per intimidire la Repubblica islamica di Iran.


mondo

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Tra opinione pubblica nazionale e pressioni alleate, Berlino cerca un ruolo in Afghanistan e pensa alle elezioni 2009

Kabul mina l’asse Merkel-Steinmeier di Katrin Schirner

d i a r i o n un video messo on-line dalle forze armate tedesche, si possono vedere i soldati della Bundeswehr mentre si esercitano in Afghanistan. È la “Forza di reazione rapida” all’opera. Il commento sonoro spiega che per l’Isaf, le forze internazionali di stanza a Kabul, questi militari rappresentano qualcosa di simile a un corpo di vigili del fuoco: commandi che operano quando le truppe regolari sono insufficienti, hanno difficoltà o in casi di attacchi improvvisi. Sempre comunque in operazioni di guerra. Il video mostra anche la grande soddisfazione del comandante Gunnar Bruegner. Per il suo responsabile, «la forza di reazione rapida è l’incarico più interessante che l’esercito tedesco è in grado di offrire in questo momento. Io e miei soldati proviamo gli stessi sentimenti. Una motivazione enorme è alla base del nostro lavoro».

I

Dal primo luglio la Bundeswehr ha il comando della Forza di reazione nel nord dell’Afghanistan. Che in Germania questa novità avrebbe scatenato un dibattito era scontato.Tutte le volte che i tedeschi sono chiamati ad usare le armi sui fronti più caldi del mondo, la polemica divampa. I politici preferendo evitare la questione

le forze politiche tedesche iniziano la preparazione delle elezioni federali del settembre 2009. Si elaborano le liste elettorali e si assegnano le circoscrizioni. Già ora nei dibattiti pubblici i legislatori cercano di evitare la patata bollente afghana. La Bundeswehr continua ad essere presentata ai cittadini come una struttura di “assistenza tecnica” operante in Afghanistan. Di qui il continuo accento posto sulla costruzione di scuole e fontane. I cittadini tedeschi, sentendo puzza di bruciato, intuiscono che qualcosa non torna. Capiscono che da quello che si deciderà a breve dipende il ruolo futuro della Germania. Del resto anche il nord, finora relativamente calmo, sta diventando un vulcano acceso. Se a questo si aggiunge l’agire ondivago del governo il quadro è completo.

I due alleati della coalizione di governo, Spd e Cdu/Csu - sono troppo deboli per imporre le proprie vedute, ma sufficientemente forti per bloccare quelle dell’altro. In politica estera questo è fatale. Siria, Russia, Cina, Afghanistan. Ovunque salta agli occhi la differenza di vedute tra la cancelleria gestita dalla cristiano-democratica Merkel ed il ministero degli Esteri

Il ministro degli Esteri vorrebbe un mandato più robusto per avallare azioni di guerra sul campo

d e l

g i o r n o

Ue, pronte sanzioni contro Mugabe Nuovo giro di vite contro lo Zimbabwe dei Paesi dell’Unione Europea, che il prossimo 22 luglio dovrebbero decidere di rafforzare ulteriormente le sanzioni applicate al regime di Harare. È quanto si apprende da fonti comunitarie. «Un accordo di principio» sul rafforzamento delle sanzioni è stato raggiunto nel corso di una riunione del Coreper, il comitato permanente dei ventisette ambasciatori dell’Ue a Bruxelles. I ministri degli Esteri dovrebbero confermare la decisione in occasione del loro prossimo incontro, in programma martedì a Bruxelles. Rafforzate nel 2007, le attuali misure restrittive già mettono al bando dal territorio europeo 131 persone, i cui beni sono stati congelati. Mugabe e la moglie Grace già figurano su questa lista, a cui dovrebbero essere aggiunte «una quarantina di persone». Si tratterebbe soprattutto di esponenti dell’apparato di sicurezza del regime, ma anche di uomini d’affari vicini a Mugabe. I Ventisette puntano anche ad includere nella black list «alcune società», forse cinque, considerate fondamentali per la sopravvivenza economica del regime.

Nigeria 1/ Attentato in oleodotto Agip Un oleodotto gestito dall’Agip, società del gruppo Eni, di cruciale importanza per l’approvvigionamento di greggio, è stato fatto saltare in aria nel sud del Paese. «La produzione è stata interrotta» ha spiegato un responsabile dell’azienda sotto anonimato. L’esplosione è avvenuta nello stato di Bayelsa. I continui attentati hanno già provocato una riduzione della produzione del 25% in poco più di 2 anni.

Nigeria 2/ Immigrati minacciati di decapitazione Migliaia di nigeriani sono in fuga dalla città di Bonny Island, situata nella ricca regione petrolifera del Delta del Niger, in Nigeria meridionale, dopo che un misterioso gruppo di militanti ha minacciato di decapitare le persone non originarie della zona. Due settimane fa membri di questo gruppo, che ancora non ha rivendicato la strage, avevano ucciso a Bonny Island nove persone tra cui una donna incinta e allertato la popolazione di esere pronti a tornare il 16 luglio per decapitare i non indigeni. Nessuna risposta è ancora stata data dal governo di Umaru Musa, uomo forte del Paese.

Un checkpoint presidiato dalle forze Isaf in Afghanistan. Il cancelliere tedesco Angela Merkel assieme al ministro della Difesa Franz Josef Jung hanno finora affermato che i soldati sarebbero rimasti nel tranquillo nord del Paese. Ogni richiesta di impegnarsi nelle zone di conflitto a sud veniva respinta. Ora però il vento sta cambiando. Il ministro della Difesa, Franz Josef Jung, ha aumentato il contigente di altri mille soldati. Berlino è cosciente che – indipendentemente dall’esito delle elezioni per la Casa Bianca – gli alleati americani non accetteranno ancora la ritrosìa della maggiore potenza europea. I tedeschi dovranno impegnarsi di più. Berlino è certa che il 24 luglio, giorno in cui Barak Obama effettuerà una rapida visita nella capitale tedesca, questo sarà il vero messaggio del candidato democratico. L’esecutivo tedesco rischia quindi di essere preso tra due fuochi. Da una parte gli alleati che pretendono un maggior impegno bellico, dall’altra la propria opinione pubblica che non ne vuole sapere. Il 75 per cento dei tedeschi è infatti contrario all’aumento del contingente. Senza contare che esiste un’ampia maggioranza che vorrebbe il definitivo ritiro della Bundeswehr. Al Bundestag, che in autunno dovrà decidere il rinnovo del mandato, i deputati temono gli effetti di impopolarità di una tale decisione. Il problema è acuito dal fatto che in autunno

Cambogia-Thailandia, sale la tensione

nelle mani del socialdemocratico Steinmeier. Il leader della diplomazia tedesca vorrebbe un mandato più robusto in grado di permettere vere e proprie azioni di guerra ai propri militari. Contrastato su questo dall’ala sinistra del suo stesso partito. La Cdu pur essendo d’accordo con Steinmeier non ne agevola l’azione. I democristiani temono il ripetersi di quanto accaduto nel 2002. Allora l’asso nelle mani di Schroeder è stata proprio la capacità di convincere gli elettori che la Spd, a differenza della Cdu, era il «partito della pace». I democristiani schiacciati sull’immagine di “partito militarista” in quanto favorevoli all’intervento in Iraq, persero tutto il vantaggio inizale. Le conseguenze di quello choc si vedono ancora oggi. Sull’Afghanistan Angela Merkel è talmente prudente che risulta impossibile strapparle ogni commento. La tattica del silenzio totale non potrà però reggere all’infinito. Arriverà il momento in cui i cittadini pretenderanno risposte alle questioni sul tappeto. Soprattutto quando i soldati della “Forza di reazione rapida” finiranno le esercitazioni e inizieranno i combattimenti veri e propri.Tutto lascia prevedere che quel momento arriverà molto presto.

Il primo ministro cambogiano Hun Sen ha dichiarato oggi che le tensioni al confine con la Thailandia stanno “peggiorando”, e ha lanciato un appello per il ritiro delle truppe thailandesi e dei dimostranti che si trovano nell’area. In una lettera al Primo ministro thailandese, Samak Sundaravej, Hun Sen ha detto che i tre giorni in cui le truppe thailandesi sono rimaste posizionate al confine con la Cambogia, nel territorio in cui si trova il tempio di Preah Vihear, hanno complicato le relazioni tra i due Paesi.

Ginevra, arrestato un figlio di Gheddafi Hannibal Gheddafi, uno degli otto figli del presidente libico Muammar Gheddafi, è stato arrestato martedì in un albergo a cinque stelle di Ginevra con l’accusa di aver maltrattato due domestici e da allora è detenuto presso il Palazzo di Giustizia. La notizia è stata confermata giovedì dal suo avvocato, Robert Assael. Il giudice istruttore Michel Alexandre Graber ha incriminato il figlio cadetto di Gheddafi, che in realtà si chiama Motassim Bilal, per lesioni semplici, minacce e costrizione ai danni di due inservienti, una tunisina e un marocchino, che sabato scorso si erano rivolti alla giustizia inoltrando denuncia. Le stesse accuse sono state rivolte alla moglie di Hannibal, incinta di nove mesi, che al momento del fermo è stata colta da malore ed è quindi stata ricoverata all’ospedale universitario di Ginevra.


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speciale approfondimenti

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a caratteristica principale delle relazioni internazionali del Ventunesimo secolo si sta rivelando essere la non-polarità: un mondo dominato non da uno o due o più Stati, ma piuttosto da dozzine di protagonisti che esercitano le diverse tipologie di potere in loro possesso. Ciò rappresenta una deriva di natura tettonica rispetto al passato. Il Ventesimo secolo ha avuto un chiaro inizio multipolare.Tuttavia, dopo quasi cinquant’anni, due guerre mondiali e parecchi conflitti più piccoli, è emerso un sistema bipolare. Poi, con la conclusione della guerra fredda e la fine dell’Unione Sovietica, la bipolarità è stata seguita dalla unipolarità - un sistema internazionale dominato da un’unica potenza, in questo caso gli Stati Uniti. Ma oggi il potere è diffuso e la nascita della non-polarità pone numerose domande importanti. In che cosa differisce la non-polarità da altre forme di ordine internazionale? Come e perché si è materializzata? Quali sono le sue conseguenze più probabili? E come dovrebbero reagire gli Stati Uniti?

L

Un ordine mondiale nuovo Contrariamente alla multipolarità - che coinvolge una pluralità di poli o concentrazioni di potere diversi - un sistema internazionale non-polare si caratterizza con numerosi centri dotati di un potere significativo. In un sistema multipolare, non può esserci il predominio di un singolo potere, altrimenti il sistema diventerebbe unipolare, e le concentrazioni di potere non possono orbitare intorno a due nuclei, altrimenti il sistema diverrebbe bipolare. I sistemi multipolari possono basarsi sulla collaborazione e persino assumere la forma di una concertazione di poteri, nella quale alcune delle maggiori potenze collaborano nel definire le regole del gioco e nel disciplinare coloro che le violano. Possono anche essere molto competitivi, ruotando intorno a un bilanciamento del potere, o conflittuali, una volta che l’equilibrio si sia spezzato. A prima vista, oggi il mondo appare multipolare. Le maggiori potenze - la Cina, l’Unione Europea (Ue), l’India, il Giappone, la Russia e gli Stati Uniti - ospitano appena la metà della popolazione del mondo, rappresentano il 75 per cento del Pil mondiale e l’80 per cento della spesa globale per la difesa. Ma l’apparenza spesso inganna. Nel mondo di oggi emerge una differenza fondamentale rispetto alla multipolarità classica: esistono più centri di potere, molti dei quali non sono Stati nazionali. In effetti, una delle caratteristiche cardinali del sistema internazionale attuale è che gli Stati nazionali hanno perso il monopolio sul potere e, in alcuni campi, anche la loro preminenza. Gli Stati sono l’oggetto di una sfida sferrata dall’alto, da parte di organizzazioni regionali o mondiali; dal basso, dalle milizie; e sui fianchi, da una varietà di organizzazioni non governative (Ong) e aziende. Il potere ora si trova nelle mani di molti e in molti posti diversi. Oltre alle sei maggiori potenze del mondo, vi sono numerose potenze regionali: il Brasile e, discutibilmente, l’Argentina, il Cile, il Messico e il Venezuela in America Latina; la Nigeria e il Sud Africa in Africa; l’Egitto, l’Iran, Israele e l’Arabia Saudita in Medio Oriente; il Pakistan nel Sud Asia; l’Australia, l’Indonesia e la Corea del Sud nell’Asia orientale e in Oceania. Sono parecchie le organizzazioni che dovrebbero trovarsi sulla lista dei centri di potere, incluse quelle mondiali (il Fondo Monetario Internazionale, le Nazioni Unite, la Banca Mondiale), quelle regionali (l’Unione Africana, la Lega degli Stati Arabi, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico, l’Unione Europea, l’Organizzazione degli Stati americani, l’Associazione per la Cooperazione Regionale dell’Asia del Sud), e quelle specialistiche (l’Agenzia Internazionale per l’Energia, l’Opec, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai, l’Organizzazione Mondiale della Sanità). Lo stesso dicasi per gli Stati all’interno di Stati nazionali, come la California o la regione dell’Uttar Pradesh in India e anche città come New York, Sao Paolo e

Secondo l’analista americano è iniziata l’era del declino politico ed economico degli Stati Uniti

BENVENUTI IN UN MONDO NON-POLARE di Richard N. Haass

Gli Stati nazionali stanno perdendo il monopolio del potere e la loro preminenza

Shanghai. Poi vengono le grandi compagnie mondiali, incluse quelle che detengono il primato nel mondo dell’energia, della finanza e della produzione manufatturiera. Altri enti che andrebbero inclusi sono i media globali (Al Jazeera, la Bbc, la Cnn), le milizie (Hamas, Hezbollah, l’esercito di Al Mahdi, i talebani), partiti politici, istituzioni e movimenti religiosi, organizzazioni terroristiche (Al Qaeda), cartelli della droga e Ong di natura più benevola (la Bill and Melinda Gates Foundation, Medici Senza Frontiera, Greenpeace). Il mondo con-

temporaneo è vieppiù caratterizzato da una diffusione, più che da una concentrazione, del potere. In questo mondo, gli Stati Uniti sono, e a lungo rimarranno, la maggiore singola aggregazione di potere. Spendono annualmente oltre 500 miliardi di dollari in spese militari - oltre 700 miliardi di dollari, qualora si includessero le operazioni in Afghanistan e in Iraq - e vantano le forze di terra, aria e mare più capaci del mondo. La loro economia, con un Pil che si aggira sui 14 milioni di miliardi di dollari, è la più grande del mondo. Gli Stati Uniti sono per di più una tra le maggiori fonti di conoscenze (attraverso i film e la televisione), di informazione e di innovazione. Tuttavia, la realtà della forza americana non dovrebbe mascherare il relativo declino della sua posizione nel mondo - e, insieme a questo relativo declino di potere, un declino assoluto di influenza e di indipenden-


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Le maggiori potenze Stati Uniti, Russia, Ue, Cina, India e Giapponeospitano la metà della popolazione del mondo, rappresentano il 75% del Pil mondiale e l’80% della spesa globale per la difesa

za. La quotaparte degli Stati Uniti nelle importazioni mondiali è già scesa al 15 per cento. Sebbene il Pil statunitense rappresenti più del 25 per cento del totale mondiale, tale percentuale è destinata a calare nel tempo, visto il differenziale effettivo e previsto tra il tasso di crescita statunitense e quello dei giganti asiatici e di parecchi altri paesi, molti dei quali stanno crescendo a un tasso che è più del doppio o il triplo di quello degli Stati Uniti. La crescita del Pil è lungi dall’essere la sola indicazione dello scivolamento degli Stati Uniti dalla propria posizione di dominio economico. Un’altra è la crescente diffusione dei fondi sovrani in paesi come la Cina, il Kuwait, la Russia, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Queste concentrazioni di ricchezza sotto il controllo dei governi, e risultanti soprattutto dalle esportazioni di petrolio e di gas, ora arrivano a un totale di circa 3 mila miliardi di dollari all’anno. La loro previsione di crescita è di mille miliardi di dollari all’anno, diventando così una fonte sempre più importante di liquidità per le aziende statunitensi. Gli alti prezzi energetici, alimentati soprattutto dall’impennata nella domanda in Cina e in India, si manterranno tali a lungo, facendo sì che l’entità e la rilevanza di tali fondi continuerà ad aumentare. Stanno spuntando delle borse valori alternative che distolgono le compagnie dalle borse americane e lanciano persino delle offerte pubbliche iniziali (Ipo, Initial Public Offering). Londra, in particolare, è in concorrenza con New York per diventare il centro della finanza mondiale e l’ha già superata nel numero di offerte pubbliche iniziali che ospita. Il dollaro si è indebolito nei confronti dell’euro e della sterlina inglese ed è probabile che diminuisca in valore anche rispetto alle monete asiatiche. La maggior parte delle riserve mondiali di valuta estera sono ora in valute diverse dal dollaro ed è diventato possibile prevedere uno spostamento verso la denominazione del prezzo del petrolio in euro o in un paniere di valute, un passo che riuscirebbe soltanto a lasciare l’economia statunitense in una situazione di maggiore vulnerabilità rispetto all’inflazione e a eventuali crisi valutarie. Il pri-

mato degli Stati Uniti è anche oggetto di sfida in altre sfere, come nell’efficacia militare e nella diplomazia. L’entità della spesa militare non equivale all’entità della capacità militare. L’11 settembre ha dimostrato che un piccolo investimento da parte di terroristi può causare un livello straordinario di perdite, sia umane che materiali. Molti dei pezzi degli armamenti moderni più costosi non risultano particolarmente utili nei conflitti moderni laddove i campi di battaglia tradizionali sono stati sostituiti da zone di combattimento urbane. In ambienti come questi, numeri ingenti di soldati con armature leggere possono risultare anche più efficaci di un piccolo numero di truppe statunitensi altamente addestrate e meglio armate. Il potere e l’influenza sono sempre meno correlate in un ambito di non-polarità. Gli appelli lanciati dagli Stati Uniti affinché gli altri apportino riforme non vengono ascoltati, i programmi di aiuti americani hanno sempre meno ritorni e le sanzioni capeggiate dagli Stati Uniti ottengono minori risultati. Dopo tutto, la Cina ha dimostrato di essere il paese maggiormente capace di influenzare il programma nucleare della Corea del Nord. La capacità di Washington di far pressione su Teheran è stata rafforzata dalla partecipazione di vari paesi dell’Europa occidentale e indebolita dalla riluttanza della Cina e della Russia ad applicare sanzioni all’Iran. Sia Pechino che Mosca hanno diluito gli sforzi internazionali per fare pressione sul governo sudanese affinché ponga fine alla guerra nel Darfur. Nel frattempo, il Pakistan si è ripetutamente mostrato capace di resistere alle richieste americane, così come l’Iran, la Corea del Nord, il Venezuela e lo Zimbabwe. Questa tendenza si è anche estesa al mondo della cultura e dell’informazione. Bollywood produce più film all’anno di Hollywood. Si moltiplicano anche le alternative all’offerta di produzioni e di diffusioni televisive americane. I siti web e i blog di altri paesi rappresentano un’ulteriore concorrenza per le notizie e i commentari di produzione statunitense. La proliferazione delle informazioni è una causa altrettanto valida della non-polarità quanto la proliferazione degli armamenti.

Addio alla unipolarità Charles Krauthammer aveva più ragione di quanto pensasse quando scrisse su queste stesse pagine (su Foreign Affairs, ndr), quasi un ventennio fa, su ciò che egli chiamava «il momento unipolare». All’epoca, il predominio degli Stati Uniti era reale. Ma durò soltanto quindici o venti anni. In termini storici, fu un attimo. La teoria realista tradizionale avrebbe previsto la fine della unipolarità e la nascita di un mondo multipolare. Secondo questa linea di pensiero, le grandi potenze, quando agiscono come loro abitudine, stimolano la concorrenza da parte di altri che le temono o provano del risentimento nei loro confronti. Krauthammer, sottoscrivendo proprio questa teoria, scrisse: «Indubbiamente, la multipolarità, col passare del tempo, arriverà. Forse tra una generazione o due vi saranno delle grandi potenze alla stregua degli Stati Uniti e allora il mondo, nella sua struttura, assomiglierà all’epoca precedente la prima guerra mondiale». Ma questo non è successo. Sebbene vi sia un diffuso anti-americanismo, non è ancora sorta una grande potenza o un insieme di grandi potenze rivali capaci di sfidare gli Stati Uniti. Ciò in parte è dovuto alla troppa disparità tra il potere degli Stati Uniti e quello di un qualunque rivale potenziale. Con il passare del tempo, paesi come la Cina potranno pure avere un Pil paragonabile a quello degli Stati Uniti. Ma proprio nel caso della Cina quasi tutta quella ricchezza verrà necessariamente assorbita per provvedere all’enorme popolazione del paese (gran parte della quale rimarrà povera) e non sarà dunque disponibile per finanziare il suo sviluppo militare o i propri investimenti all’estero. Mantenere la stabilità politica durante un periodo di crescita, tanto dinamica quanto disomogenea, non sarà certo un’impresa facile. L’India si trova ad af-

Gli States saranno ancora una potenza ma questo non nasconde la loro crisi

frontare molti degli stessi problemi demografici ed è anche ulteriormente ostacolata da un eccesso di burocrazia e da una carenza di infrastrutture. Attualmente il Pil dell’Unione Europea è più alto di quello degli Stati Uniti ma la Ue non agisce in modo uniforme come farebbe uno Stato nazionale, né può, né è propensa ad agire in modo dogmatico come le altre grandi potenze della storia. Il Giappone, da parte sua, ha una popolazione che invecchia e decresce, ed è carente di una cultura politica che gli potrebbe permettere di fare la parte di grande potenza. La Russia potrebbe essere meglio predisposta in tal senso, ma la sua economia è tutt’ora principalmente imperniata su culture di derrate commerciali ed è alle prese con minacce interne alla sua unità. Anche il fatto che non sia ancora emersa una classica rivalità tra grandi potenze, e che sia improbabile che sorga nel prossimo futuro, è in parte frutto del comportamento degli Stati Uniti che non hanno stimolato una tale reazione. Con ciò non intendo dire che gli Stati Uniti, sotto la guida di George W. Bush, non abbiano alienato le altre nazioni; lo hanno fatto eccome! Ma non hanno generalmente agito in modo da condurre gli altri Stati alla conclusione che gli Stati Uniti costituiscono una minaccia ai loro interessi nazionali più vitali. I dubbi sulla ragionevolezza e sulla legittimità della politica estera americana sono assai diffusi, ma ciò ha portato più a denunciare il fatto (insieme a un’assenza di collaborazione) che non a fare un’aperta resistenza. Un ulteriore limite al nascere di grandi potenze rivali sta nel fatto che molte delle altre grandi potenze dipendono dal sistema internazionale per il loro benessere economico e per la loro stabilità politica. Dunque non hanno nessuna intenzione di rompere un ordine mondiale che è funzionale ai loro interessi nazionali. Questi interessi sono strettamente collegati al flusso di merci, servizi, persone, energia, investimenti e tecnologie - flussi che svolgono un ruolo fondamentale negli Stati Uniti. L’integrazione nel mondo moderno riduce la competizione e la conflittualità tra grandi potenze. Ma anche se non sono emerse grandi potenze rivali, l’unipolarità è comunque finita. Si delineano tre spiegazioni per questa sua fine. La prima è di natura storica. Gli Stati si sviluppano, migliorano la loro capacità di generare e di imbastire insieme risorse umane, finanziarie e tecnologiche che portano alla produttività e alla prosperità. Lo stesso succede nelle aziende e in altre organizzazioni. L’insorgere di questi nuovi poteri non può essere fermato. Il risultato è un numero ancora maggiore di protagonisti capaci di esercitare la loro influenza a livello regionale o mondiale. Un secondo motivo è la politica degli Stati Uniti. Parafrasando Pogo - l’eroe dei fumetti scritti da Walt Kelly dopo la seconda guerra mondiale abbiamo trovato una spiegazione: il motivo siamo noi. Sia attraverso ciò che è riuscita e ciò che non è riuscita a fare, l’America ha accelerato la nascita di centri di potere alternativi nel mondo e ha indebolito la propria posizione rispetto a questi. La politica energetica statunitense (o la sua assenza) è stata una forza propulsiva verso la fine dell’unipolarità. Rispetto alle prime crisi petrolifere degli anni Settanta, il consumo di petrolio degli Stati Uniti è cresciuto di circa il 20 per cento e, ancora più importante, le importazioni statunitensi di prodotti petroliferi sono più che raddoppiate in volume e quasi raddoppiate come percentuale di consumo. Una tale crescita nella domanda di petrolio estero ha aiutato a fare aumentare il prezzo del greggio da appena sopra i 20 dollari al barile fino agli oltre 100 dollari attuali in meno di un decennio. Ne deriva un enorme spostamento di ricchezza e di influenza verso gli Stati dotati di riserve energetiche. In poche parole, la politica energetica degli Stati Uniti ha aiutato i paesi produttori di petrolio e di gas a emergere come principali centri di potere. Anche la politica economica americana ha fatto la sua parte. Il presidente Lyndon Johnson fu ampiamente criticato per avere allo stesso tempo intrapreso la guerra in Vietnam e aumentato la spesa interna. Il presidente Bush, oltre a combattere costose guerre in Afghanistan e in Iraq, ha permesso che le spese usate a discrezione dal Congresso aumentassero dell’8 per cento l’anno e contemporaneamente ha tagliato le tasse.

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pagina 14 • 18 luglio maggio 2008

speciale approfondimenti

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segue da pagina 13 Il risultato è che la posizione fiscale degli Stati Uniti è calata dalla precedente eccedenza fino ad accumulare un deficit di 100 miliardi di dollari nel 2001. Forse ancora più rilevante risulta essere l’attuale imparabile disavanzo nelle partite correnti, che attualmente è di oltre il 6 per cento del Pil. Questo esercita una pressione verso il basso sul valore del dollaro, stimola l’inflazione e contribuisce a far sì che la ricchezza e il potere si accumuli altrove nel mondo. Anche la guerra in Iraq ha contribuito a sbiadire la posizione degli Stati Uniti nel mondo. Si è rivelata una scelta bellica costosa in termini sia militari, che economici, diplomatici e anche umani. Anni fa lo storico Paul Kennedy propose la sua teoria sull’eccessiva espansione dell’impero (imperial overstretch), basata sul presupposto che gli Stati Uniti avrebbero, prima o poi, conosciuto il declino a causa della loro eccessiva espansione, proprio come era accaduto ad altre grandi potenze del passato. La teoria di Kennedy si rivelò applicabile quasi immediatamente all’Unione Sovietica, ma anche gli Stati Uniti - nonostante tutti i loro meccanismi correttivi e il loro dinamismo - non si sono rivelati immuni a questa tendenza. Il problema non consiste soltanto nel fatto che le forze militari statunitensi impiegheranno una generazione per riprendersi dall’Iraq, bensì che agli Stati Uniti mancano sufficienti risorse militari per continuare a fare quello che fanno in Iraq, per non parlare poi di nuovi eventuali oneri di qualsiasi entità di cui farsi carico altrove. Infine l’attuale mondo non-polare non è semplicemente il risultato della crescita di altri Stati e organizzazioni né dei fallimenti o delle follie della politica statunitense. È anche la conseguenza inevitabile della globalizzazione. La globalizzazione ha aumentato il volume, la velocità e l’importanza dei flussi transfrontalieri di praticamente tutto, dalla droga, alle e-mail, ai gas serra, ai prodotti manifatturieri, alle persone, ai segnali

struire delle risposte collettive e far funzionare le istituzioni. L’incapacità di raggiungere un accordo nei Doha Round dei negoziati commerciali mondiali ne è un esempio eloquente. La non-polarità aumenterà anche il numero di minacce e di vulnerabilità che dovrà affrontare un paese come gli Stati Uniti. Queste minacce possono configurarsi negli Stati carogna, nei gruppi terroristici, nei produttori di energia, qualora decidessero di diminuire la propria produzione, o nelle banche centrali, la cui attività o inattività può creare delle condizioni capaci di influenzare il ruolo e la forza del dollaro Usa. La Federal Reserve potrebbe volere riflettere due volte prima di continuare ad abbassare i tassi d’interesse nel timore che questi possano ulteriormente accelerare l’allontanamento dal dollaro. Esiste anche qualcosa di peggio di una recessione. L’Iran fa proprio al nostro caso. I suoi sforzi per diventare una potenza nucleare sono il risultato della non-polarità. Grazie più che altro all’impennata nei prezzi del petrolio, l’Iran è diventato un’altra significativa concentrazione di potere capace di esercitare la propria influenza in Iraq, in Libano, in Siria, nei Territori palestinesi e oltre, finanche all’interno dell’Opec. Il paese ha a disposizione molte risorse sia tecnologiche che finanziarie oltre ad avere numerosi sbocchi di mercato per le proprie esportazioni di energia. E, grazie alla non-polarità, gli Stati Uniti non possono gestire l’Iran da soli. Piuttosto Washington dipende dal fatto che altri appoggino sanzioni politiche ed economiche o che blocchino l’accesso di Teheran a tecnologie e materiali nucleari. La non-polarità genera non-polarità. Inoltre anche se la non-polarità fosse inevitabile la sua natura non lo è. Parafrasando il teorico di relazioni internazionali Hedley Bull, in un qualsiasi momento dato, la politica globale diventa una miscela di anarchia e di società. Il problema rimane l’equilibrio e le ten-

L’Iran è una minaccia in questo scenario radio-televisivi, ai virus (sia virtuali che reali) e alle armi. La globalizzazione rafforza la non-polarità principalmente in due modi. Il primo è che i flussi transfrontalieri avvengono al di fuori del controllo dei governi e senza che se ne accorgano. Ne risulta che la globalizzazione diluisce l’influenza delle maggiori potenze. Il secondo è che questi stessi flussi spesso rafforzano le capacità di attori non istituzionali, come per esempio gli esportatori di energia (che assistono a uno strabiliante aumento delle loro ricchezze grazie ai pagamenti recepiti dagli importatori), i terroristi (che utilizzano l’internet per reclutare e addestrare, il sistema bancario internazionale per trasferire le proprie risorse e il sistema di trasporti mondiale per spostare la gente), e le 500 aziende di Fortune (che spostano velocemente personale e investimenti). Inoltre, diventa vieppiù evidente che essere lo Stato più potente non significa più avere un quasi monopolio sul potere. Sta diventando sempre più facile che individui o gruppi accumulino e proiettino un potere sostanziale.

Il disturbo non-polare Questo mondo sempre più non-polare porterà quasi esclusivamente conseguenze negative per gli Stati Uniti e anche per la maggior parte del resto del mondo. Aumenteranno le difficoltà di Washington a fare da leader nelle occasioni in cui volesse promuovere risposte collettive a sfide regionali e globali. Una delle ragioni ha a che fare con l’aritmetica. Con tanti più attori in possesso di un potere rilevante che cercano di imporre la propria influenza diventerà più difficile co-

denze. Molto si può e deve essere fatto per formare un mondo non-polare. L’ordine non si crea da sé. Al contrario, lasciato alle proprie forze, un mondo non-polare diventerà sempre più caotico col passare del tempo. L’entropia, in assenza di interventi esterni, presuppone che i sistemi costituiti da un gran numero di attori tendano verso una maggiore aleatorietà e un maggiore disordine. Gli Stati Uniti possono e devono intraprendere dei passi per ridurre le possibilità che un mondo non-polare diventi un calderone di instabilità. Questo non è un appello a favore dell’unilateralismo, ma è un appello affinché gli Stati Uniti mettano un po’ d’ordine a casa propria. La monopolarità è cosa del passato, ma gli Stati Uniti continuano a mantenere una maggiore capacità di altri attori per migliorare la qualità del sistema internazionale. La domanda è se continueranno ad avere tale capacità anche in futuro. L’energia è la questione più importante. Gli attuali livelli di consumo e delle importazioni degli Stati Uniti (in aggiunta al loro impatto negativo sul clima mondiale) alimentano la non-polarità convogliando vaste risorse finanziarie verso i produttori di petrolio e di gas. Una riduzione nei consumi alleggerirebbe la pressione sui prezzi internazionali, diminuirebbe la vulnerabilità degli Stati Uniti rispetto alle manipolazioni di mercato da parte dei fornitori di petrolio e rallenterebbe il ritmo del cambiamento climatico. La buona notizia è che questo si può fare senza arrecare danno all’economia degli Stati Uniti. Altro aspetto cruciale è il rafforzamento della sicurezza interna. Il terrorismo, proprio come la malattia, non può essere estirpato. Ci saranno sempre quelli che non riescono a integrarsi nelle società e che perseguono fini che non si possono realizzare attraverso politiche tradizionali. E, a volte, i terroristi riescono nel loro scopo, nonostante gli sforzi di coloro ai quali è affidata la sicurezza interna. Dunque bisogna fare in modo che la società diventi più reattiva, cosa che richiede adequati finanziamenti e formazione per gli operatori di protezione civile e anche infrastrutture durature. L’obiettivo dovrebbe essere quello di ridurre l’impatto anche degli attacchi riusciti. Vista la loro capacità distruttiva, opporre resistenza all’ulteriore diffusione di armi nucleari e di materiali nucleari non vigilati potrebbe risultare altrettanto importante di qualsiasi altra serie di iniziative. Con la costituzione di banche di uranio arricchito o di combustibili nucleari esauriti, gestite a livello internazionale e atte a mettere a disposizione materiali nucleari sensibili ai diversi Paesi, la comunità internazionale potrebbe aiutare le nazioni a utilizzare l’energia nucleare per produrre elettricità invece di bombe. Ai paesi che po-

Energia e terrorismo sono le questioni più importanti che alimentano la non-polarità trebbero altrimenti sentirsi spinti a sviluppare un proprio programma nucleare, per contrastare quello dei loro vicini, si potrebbe garantire la sicurezza e anche i sistemi difensivi. Si potrebbero anche introdurre robuste sanzioni - occasionalmente sostenute dall’uso delle armi - al fine di influenzare il comportamento di aspiranti potenze nucleari. Anche così, rimane la questione sull’uso della forza militare per distruggere armi biologiche o nucleari. Gli attacchi anticipativi - mirati a bloccare una minaccia imminente - sono una forma ampiamente accettata di autodifesa. Gli attacchi preventivi - attacchi contro le capacità militari,


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Oltre alle sei maggiori potenze mondiali, vi sono nuovi Stati che stanno acquisendo importanza globale, tra cui: il Brasile (nella pagina a sinistra il Cristo Redentore di Rio de Janeiro), l’Arabia Saudita (a lato un’immagine di Dubai) e l’Australia (sotto una veduta di Sydney)

senza alcuna indicazione di un uso imminente - sono un’altra cosa. Non dovrebbero essere esclusi per principio, ma non ci si dovrebbe neanche fare affidamento. Al di là di questioni di fattibilità, gli attacchi preventivi corrono il rischio di rendere un mondo non-polare meno stabile, sia perché potrebbero addirittura incoraggiare la proliferazione (i governi potrebbero considerare lo sviluppo o l’acquisto di armi nucleari un deterrente) e anche perché indebolirebbero l’antica norma contro l’uso della forza per motivi diversi da quelli dell’autodifesa. È anche essenziale condurre una lotta al terrorismo, se si vuole che l’età della non-polarità non si converta nell’alto Medioevo della modernità. Esistono vari modi di indebolire le organizzazioni terroristiche attraverso l’uso dell’intelligence, delle forze dell’ordine e delle capacità militari. Tuttavia a meno che non si faccia qualcosa per ridurre i reclutamenti, questa finisce per essere una carta perdente. I genitori, le figure religiose e i leader politici debbono delegittimare il terro-

investimenti. Tale obiettivo dovrebbe consistere nel creare una Organizzazione Mondiale degli Investimenti, in grado di promuovere flussi di capitali transfrontalieri in modo da minimizzare le possibilità che un «protezionismo anti-investimenti» possa ostacolare le attività che, come il commercio, sono economicamente fruttuose e capaci di erigere un baluardo politico contro l’instabilità. Una siffatta Omi incoraggerebbe la trasparenza tra gli investitori, determinerebbe i casi in cui la sicurezza nazionale può legittimamente giustificare la proibizione o la limitazione degli investimenti esteri, e istituire un meccanismo per la soluzione delle controversie. Infine, è necessario che gli Stati Uniti accrescano la loro capacità di prevenire il fallimento degli Stati e di provvedere alle possibili conseguenze. Un tale progetto richiede la costruzione e il mantenimento di

La globalizzazione ha diluito i poteri degli Usa rismo svergognando coloro che scelgono di sposarne la causa. E, ancora più importante, i governi devono trovare il modo di integrare i giovani emarginati nelle proprie società cosa che non può avvenire in assenza di una opportunità politica ed economica. Il commercio può essere un potente strumento di integrazione. Fornisce agli Stati l’interesse a evitare il conflitto poiché l’instabilità interrompe benefici accordi commerciali che apportano maggiore ricchezza e rafforzano le fondamenta dell’ordine politico nazionale. Inoltre il commercio facilita lo sviluppo e di conseguenza diminuiscono le probabilità di un fallimento dello Stato e dell’alienazione dei propri cittadini. Bisogna estendere la portata dell’Organizzazione Mondiale del Commercio stringendo accordi globali per il futuro che possano ulteriormente ridurre i sussidi, oltre alle barriere tariffarie e non. Nel mondo sviluppato la costruzione dell’appoggio politico nazionale necessario a tali accordi probabilmente richiederà di estendere ulteriormente alcune reti di sicurezza, come i servizi sanitari domiciliari e i fondi pensione, l’assistenza all’istruzione e alla formazione e la garanzia dei salari. Queste riforme delle politiche sociali risultano costose e in alcuni casi ingiustificate (è molto più probabile che la causa della perdita di impiego sia dovuta all’innovazione tecnologica che non alla concorrenza estera), ma vale la pena di prevederle comunque, visto il complessivo valore economico e politico della crescente diffusione di un regime commerciale globalizzato. Un analogo livello d’impegno potrebbe risultare necessario anche per garantire un flusso continuo di

La superpotenza non è poi tanto sola Il multilateralismo sarà essenziale nella gestione di un mondo non-polare.Tuttavia perché riesca, deve essere riformulato in modo da includere attori diversi dalle grandi potenze. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e il G8 (il gruppo di Stati altamente industrializzati) devono essere ricostituiti in modo da riflettere il mondo attuale e non quello del periodo post-bellico. In un recente incontro presso le Nazioni Unite su come meglio coordinare la risposta mondiale alle sfide poste dalla salute pubblica si è trovato un modello. Vi hanno partecipato in blocco rappresentanti governativi, delle agenzie delle Nazioni Unite, delle Ong, delle industrie farmaceutiche, delle fondazioni, delle think-tank e delle università. Un’analoga ampia rappresentanza ha anche partecipato nel 2007 alla Conferenza di Bali sui cambiamenti climatici. Il multilateralismo potrebbe così risultare meno formale e meno complessivo almeno nelle sue fasi iniziali. Si dovranno istituire delle reti di supporto alle organizzazioni. E risulterà sempre più difficile fare in modo che tutti concordino su tutto; invece, gli Stati Uniti dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di stringere accordi con un minor numero di interlocutori e con obiettivi più mirati. In questo caso il commercio potrebbe servire da modello in quanto gli accordi bilaterali e regionali stanno riempiendo il vuoto lasciato dall’incapacità di concludere un accordo commerciale mondiale. La stessa impostazione potrebbe anche funzionare per il cambiamento climatico laddove accordi su alcuni aspetti del problema (diciamo, la deforestazione) o che soltanto coinvolgono alcuni paesi (i maggiori produttori di carbonio, per esempio) risultino fattibili, mentre accordi che risolvono tutti i problemi e che abbracciano tutti i paesi no. Potrebbe essere all’ordine del giorno un multilateralismo à la carte. La non-polarità complica la diplomazia. Un mondo non-polare non soltanto coinvolge un maggior numero di attori ma è carente di strutture fisse maggiormente prevedibili e di relazioni che tendono a definire l’ambito dell’unipolarità, della bipolarità o della multipolarità. In particolare le alleanze perderanno molta della loro rilevanza, magari soltanto perché richiedono minacce, prospettive e obblighi prevedibili che verranno probabilmente tutti meno in un mondo non-polare. Per contro le relazioni diventeranno più selettive e situazionali. Diventerà più difficile classificare altri paesi come alleati o avversari, la collaborazione verterà su alcune questioni e verrà contrastata su altre. Si elargirà un premio sia alla consultazione e alla costruzione di coalizioni sia a una diplomazia che promuova la cooperazione laddove possibile e che faccia da scudo contro le ricadute di inevitabili disaccordi. Gli Stati Uniti non potranno più permettersi il lusso di una politica estera basata sul «o con noi o contro di noi». La non-polarità si rivelerà difficile e pericolosa. Ma la promozione di un più elevato grado di integrazione aiuterà a incentivare la stabilità. La costituzione di un nucleo centrale di governi e di altri attori impegnati a favore di un multilateralismo collaborativo rappresenterebbe un grande passo in avanti. Chiamiamola pure «non-polarità concertata». Certo non eliminerebbe la non-polarità, ma aiuterebbe a gestirla e aumenterebbe le probabilità che il sistema internazionale non si deteriori o disintegri.

Tutti gli imperi subiscono il declino a causa della loro eccessiva espansione una più grande forza militare, dotata di una maggiore capacità per fare fronte al tipo di minacce presenti in Afghanistan e in Iraq. Inoltre ciò renderà anche necessaria l’istituzione di un interlocutore civile alle riserve militari che costituisca un patrimonio di talenti umani capaci di fornire assistenza nello svolgimento di progetti base mirati alla costruzione della nazione (nation-building). Un’assistenza continuativa in ambito economico e militare risulterà di vitale importanza affinché gli Stati più deboli assolvano le loro responsabilità nei confronti dei proprio cittadini e anche dei loro vicini.

(traduzione di Valeria Beltrani) Richard N. Haass è presidente del Council on Foreign Relations © liberal - Council On Foreign Relations-Foreign Affairs 2008


economia

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Lunedì riprendono a Ginevra le trattative sul Doha round, ma un accordo è ancora lontano dall’essere raggiunto

Wto, sfida a colpi di privilegi di Carlo Lottieri passato poco più di un mese dalla chiusura del vertice Fao, ma molte cose sono già cambiate. Benché quasi oscurata dalle polemiche sulla presenza di personaggi imbarazzanti come Robert Mugabe e Mahmoud Ahmadinejad, la grande kermesse romana sulla crisi alimentare aveva cercato di individuare qualche via d’uscita dalle difficoltà presenti. In particolare, seppure con molta prudenza e cautela e con risultati comunque modesti, si era avanzata l’esigenza di modificare la politica agricola dell’Occidente (Unione europea e Stati Uniti, in primis) così da favorire un ampliamento della produzione nel Terzo Mondo. In quella circostanza si era anche affermata l’esigenza di dare più spazio agli Ogm, che possono rappresentare un “moltiplicatore” della produzione e in futuro potrebbero essere un elemento capace di sottrarre il bioetanolo dalle secche dell’assistenzialismo attuale per farne invece un’opzione efficace sul libero mercato.

È

zazione imprenditoriale. È una piccola realtà, che quindi non altera le dinamiche globali, ma che pure indica un modello al quale molti dovrebbero ispirarsi. Chi aveva lasciato Roma portando con sé un pur cauto ottimismo, oggi deve ricredersi di fronte alle polemiche che hanno anticipato l’avvio (da lunedì prossimo) delle trattative al Doha round. Il mondo occidentale sta manifestando fortissime resistenze, per esempio, sull’inserimento nella lista dei prodotti tropicali a dazio zero di specie come il riso, le arance, il pomodoro e le patate.

attraversano il Mediterraneo perché non c’è lavoro nei loro Paesi. Ma altri segnali infelici giungono dai membri del Bric – i brillanti emergenti come Brasile, Russia, India e Cina – i quali hanno chiesto di continuare a essere considerati Paesi in via di sviluppo, al fine di seguitare a godere di sostegni e aiuti. Nonostante il fallimento epocale delle politiche basate sui trasferimenti (che hanno causato politicizzazione, corruzione, trasferimenti di popolazione, abbandono dei campi, ecc.), l’intenzione è quella di proseguire su questa strada.

In prima fila, a combattere questa battaglia di retroguardia, è il nostro Paese. Il ministro Luca Zaia è giunto a sostenere che se le negoziazioni del Wto dovessero produrre tale risultato, «spariranno le risaie dalla Pianura Padana». L’Italia comunque non è sola, perché a impedire le esportazioni verso di noi da parte dei Pae-

Per giunta, si è trovato un facile capro espiatorio da buttare in pasto all’opinione pubblica: lo speculatore. La retorica contro il mercato e la concorrenza esibita a ogni piè sospinto dal ministro Giulio Tremonti interpreta un sentimento diffuso ben al là dei piccoli confini dell’Italietta. In questo senso il “tremontismo”è soltanto la versione locale di un fenomeno più vasto, esattamente come il governo protezionista guidato da Luigi Luzzatti a fine Ottocento interpretò sentimenti diffusi in tutta Europa. In quegli anni, lo statalismo azzoppò l’economia europea (che venne definitivamente superata dagli Stati Uniti) e causò un’emigrazione di massa, ponendo anche le basi per contrasti che condussero poi alla Grande Guerra.

Alto il livello di protezionismo. Le nazioni occidentali vogliono mantenere i dazi su riso e arance. Brasile, Russia, Cina e India puntano a conservare gli aiuti destinati ai Paesi in via di sviluppo

Pur tra molte voci dissonanti e un gran mare di retorica solidarista ed ecologista, a Roma era insomma sembrato possibile avvertire qualche timido segnale riformatore, orientato a modernizzare nel suo insieme la produzione agricola così da riuscire a sfamare il mondo. Un obiettivo realistico qualora si superasse il vincolismo protezionistico che domina tale settore in quasi tutto il mondo. Un’eccezione straordinaria, in tal senso, è la Nuova Zelanda, dove il dirigismo è stato abbandonato da molti anni, l’agricoltura non riceve più sussidi e anche per questo sta conoscendo uno sviluppo sorprendente grazie alla conseguente razionaliz-

si poveri ci sono pure la Francia della destra di Sarkozy e la Spagna della sinistra di Zapatero. Per giunta, Zaia si è detto «sicuro di trovare una posizione di sostegno in seno all’Unione europea.Tutta la partita si giocherà a Ginevra, e il 18 il Consiglio dei ministri definirà un mandato negoziale per il commissario europeo responsabile del Commercio, Peter Mandelson». Non è chiaro come si possa sostenere queste tesi con i prezzi agricoli alle stelle e i barconi di immigrati che ogni giorno

C’è da sperare che oggi il protezionismo di ritorno faccia meno danni, e che proprio l’azione degli speculatori ci aiuti ad uscire dalle secche. Chi oggi compra commodities e ne alza i prezzi (e co-

sa si dovrebbe comprare, oggi, quando il dollaro, le borse e il mattone conoscono queste difficoltà?) sta infatti mandando segnali che iniziano a produrre effetti. Quando i valori sono alti, per esempio, un consumo più oculato emerge spontaneamente. Con il petrolio alle stelle, così, si usa meno l’automobile e soltanto quando è necessario. Per giunta, prezzi elevati inducono ad investire in questi settori: ed è significativo che ora l’agricoltura – anche grazie alla speculazione e ai prezzi attuali – sia tornata un settore interessante in cui mettere capitali. Per di più, lo speculatore è tale quando compra oggi a un prezzo nella convinzione che potrà ottenere, in futuro, molto di più. Il che significa che egli sta ora alzando un prezzo relativamente basso per poi contribuire ad abbassare, quando venderà, il valore di mercato di quel medesimo bene (grano o petrolio che sia) giunto a livelli molto alti. In sostanza, lo speculatore non causa lo squilibrio dei prezzi di mercato, ma nel cercare di trarne beneficio finisce per ridurne le asprezze.

Dopo Roma, insomma, ci si aspettava un po’più di saggezza dai responsabili politici, ma di nuovo si è di fronte a una disillusione. Ma per fortuna sono all’opera quelle forze di mercato che, benché demonizzate da più parti, stanno ponendo le premesse per evoluzioni positive. E così in Alaska potrebbero ripartire le trivellazioni e nuovi massicci investimenti potrebbero egualmente prendere la strada dei campi da arare, delle nuove tecnologie agricole, dell’industria alimentare. Speriamo che questa seconda tendenza sappia aver la meglio sull’irrazionalità dei ceti politici.


edizioni

NOVITÀ IN LIBRERIA

VITTORIO STRADA ETICA DEL TERRORE Da Fëdor Dostoevskij a Thomas Mann

N

el decalogo del terrorismo

il comandamento supremo è «Uccidi». A differenza che in guerra, dove lo scontro col nemico avviene ad armi pari, l’attetato terroristico contro un singolo o un gruppo è asimmetrico, anche quando l’omicidio coincide col suicidio dell’attentatore. L’imperativo categorico «Devi uccidere!» investe però non soltanto il corpo, bensì anche l’anima del terrorista, la sua responsabilità morale. L’assassinio terroristico, se non è prezzolato, viene compiuto in nome di un Valore assoluto, religioso o laico, che legittima chi lo perpetra contro i principi dell’ordine che vuole annientare. Questa problematica ha trovato la sua espressione più intensa e profonda nel terrorismo russo dell’Otto e Novecento, prefigurando situazioni attuali. Attraverso l’analisi di figure, vicende, riflessioni della storia del populismo e del bolscevismo Etica del Terrore illumina in modo nuovo un passato tuttora presente, grazie anche alla lettura di grandi opere letterarie aperte a questo drammatico tema.

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pagine

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mostre

Alla scoperte di tutte le regine d’Egitto: al Grimaldi Forum di Monaco reperti mai esposti prima d’ora in Europa

Cleopatra e le altre di Rossella Fabiani la prima volta che una mostra viene dedicata alle regine d’Egitto. Molti pezzi prestigiosi non sono mai stati esposti prima d’ora in Europa. È il caso della bellissima “principessa d’Abido”, del sontuoso collier d’oro attribuito alla regina Tiy e della colossale statua sempre di questa sovrana, recentemente scoperta a Karnak, che lascia per la prima volta il museo del Cairo. Anche il grande bassorilievo raffigurante Touy, la madre di Ramses II, non era mai uscito dal museo di Toronto. L’Egitto va dunque in scena al Grimaldi Forum del Principato di Monaco con la mostra “Regine d’Egitto”curata da Christiane Ziegler, l’egittologa che ha diretto fino all’anno scorso il Dipartimento Antichità Egizie del Louvre.

È

fluenza anche sulla politica del paese. È il caso della regina Tiy che sembra essere stata una consigliera molto ascoltata dal marito Amenhotep III. Ella intrattenne una corrispondenza diplomatica con i più grandi sovrani dell’epoca. Iahhotep, madre di Amosis, esercitò senza dubbio la propria reggenza in un periodo turbolento.

Hatchepsout è stata una delle poche sovrane con un potere assoluto, prendendo in prestito i titoli e le immagini del faraone. L’esempio nubiano delle “candaci”o regine nere di Meroe, in Sudan, mostra che in alcune epoche si ebbe una significativa divisione del potere nella valle del Nilo. Quasi 300 reperti dell’antico Egitto, pro-

tep III e madre di Akenaton (Amonhotep IV). La statua con il minuscolo seno ricoperto dalle rosette di una tunica impalpabile, realizzata in granito di Assuan, lascia senza respiro, non solo perché è la prima volta che viene esposta al pubblico ma perché la tecnica con la quale la velatura è stata realizzata è straordinaria. Subito a fianco, si può ammirare il reperto di una lettera scritta alla regina Tiy, su tavola di argilla in caratteri cuneiformi, dal re dei Mitanni,Tushratta. Il sovrano chiede che siano mantenuti i rapporti amichevoli, confermando così l’importante ruolo della poliglotta regina della XVIII dinastia. Nello stesso corridoio si trova la testa osiriaca di Hatchepsout, la regina faraone, e una delle rare statue del suo architetto

La mostra si apre con la regina più famosa e si chiude con Tauseret, la sposa reale di Sethi II, che ispirò il famoso romanzo ”La mummia” di Théophile Gautier

L’esposizione si apre con la regina Cleopatra, e si conclude con Tauseret, la grande sposa reale di Sethi II, ispiratrice del romanzo “La mummia” di Théophile Gautier. Si scoprono le molteplici sfaccettature delle sovrane, a partire dal loro status di “madre del re”, “spose del re” e “figlie del re”. Ci si addentra poi nel cuore di uno dei più celebri harem, quello di Gourob, dove vivevano le tante spose secondarie del faraone. Tra queste alcune principesse straniere, sposate per rafforzare le alleanze con i paesi vicini. Nella mostra si incontrano figure femminili egizie in modo assolutamente inedito – spose, madri e figlie di faraoni che hanno influenzato tremila anni della storia d’Egitto – attraverso i ritratti di Cleopatra, Nefertiti, Nefertari, Tiy o Hatshepsut e tante altre sovrane. Come il faraone, anche la madre del re e la sua “grande sposa reale” si distinguevano dal resto dell’umanità per gli emblemi presi a prestito dagli dei. Nelle scene di culto si vedono le regine nell’adempimento dei riti a fianco del faraone. Sintomo di una teologia in cui la sposa reale è solidale al faraone come garante dell’equilibrio del mondo. Particolare è, poi, la rilevanza delle “divine adoratrici del dio Amon”: regine o principesse che videro la loro importanza crescere nel tempo. Nel primo millennio, le sacerdotesse di Amon di Tebe erano la principale autorità religiosa e possedevano immense ricchezze; si votavano al celibato e la successione avveniva per adozione. Alcune regine vennero divinizzate dopo la morte, come nel caso di Ahmes Nefertari. Uno scintillante culto le fu consacrato all’epoca di Ramses, soprattutto nella zona sinistra di Tebe. Spesso viene adorata in compagnia del figlio, il re Amenophis Ier. Le regine avevano una grande in-

venienti dai musei di 15 nazioni, accolgono dunque lo spettatore per un immaginario viaggio sulla barca del dio Rà lungo il sacro Nilo. Sullo sfondo dei Colossi di Memnone costruiti dal faraone Amonhotep III, figlio di Hapou, si incontrano due statue di Sehmet, la dea leonessa, l’unica in grado di proteggere, da malattie e da nemici, la Casa della Vita del faraone che, per questo motivo, ne aveva disposte una per ogni giorno dell’anno. Seguono le tenere rappresentazioni della vita intima dei faraoni immortalate in piccole miniature, gioielli che rendono noti il bacio appassionato tra Akhenaton e la sua sposa, Nefertiti; papiri satirici che ritraggono il faraone vestito da leone mentre gioca a Senet con la sua compagna travestita da gazzella, fino al normale epilogo erotico. Un’opera proveniente dal Museo di Berlino ritrova il suo posto originale di fronte al reperto gemello proveniente dal Museo del Cairo. Dopo secoli di distacco sono riunite di nuovo insieme. Sono le sfingi dell’“Adoratrice Chepenoupet” che portano l’acqua di Amon. Entrambe provengono dal sito archeologico di Karnak, a Luxor (XXV dinastia). Ma non è questa la sola sorpresa. Da solo due anni gli archeologi hanno ritrovato a Karnak, nel sito di Mut, la statua della regina Tiy, moglie del faraone Amonho-

Alcuni dei pezzi in mostra che raffigurano spose, madri e figlie di faraoni in modo inedito. Donne che hanno influenzato 3000 anni di storia d’Egitto, tra cui Nefertiti, Nefertari, Hatshepsut, Tiy e tante altre sovrane

Senenmout con in braccio la principessa Neferura proveniente dal museo di Chicago. E ancora. Dopo avere oltrepassato una serie di colonne si aprono, negli spazi laterali, piccole camere che, come nell’antichità, servono a esporre ogni genere di reperto (magnifico): dai gioielli della regina Neferouptah, uno dei rari tesori ritrovati nelle tombe delle regine d’Egitto, a un magnifico esemplare del gioco del Senet con il quale il defunto soleva intrattenersi mentre aspettava il ritorno dell’anima che, a forma di uccello, aveva preso il volo per riscontrare gli effetti della propria vita.

Attraverso la ricostruzione della tomba della regina Tahoser, la visita termina nella biblioteca di Thèofile Gautier, lo scrittore che, nel romanzo “La Mummia”, ne aveva celebrato la vita ispirandosi ai documenti vergati nel 1834 da Ippolito Rosellini. Rientrando nel XIX secolo, quasi si fosse giunti in una stanza di decompressione, si tolgono gli auricolari che hanno facilitato la comprensione durante la visita mantenendo inalterato il silenzio. La guida, che in geroglifico si identifica con l’immagine di un seme munito di piedi, produrrà i suoi frutti in tutte le persone che avranno l’opportunità di seguire il percorso di questa meravigliosa esposizione.


musica Non sparate sul jazzista

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Grandi musicisti come Louis Armstrong e Jelly Roll Morton suonarono in locali gestiti dalla malavita

di Adriano Mazzoletti uando si parla di grandi musicisti di jazz, Duke Ellington, Charlie Parker, Earl Hines, Louis Armstrong, Miles Davis, Chet Baker, pensiamo soprattutto alla loro creatività senza limiti e al desiderio di far conoscere ed apprezzare la loro musica. Poco esplorata, salvo rari casi, la storia delle loro vite e l’ambiente in cui hanno vissuto e operato. Quali furono ad esempio i rapporti con i loro datori di lavoro, i manager, gli impresari, i discografici, ma anche con il pubblico? Le biografie di molti musicisti sono ricche di episodi, di storie, ma anche di leggende che li vedono protagonisti.

Q

Spesso però i musicisti furono solo le vittime di una vita tutta spesa, prima che il jazz arrivasse ai palcoscenici dei grandi teatri e nelle sale da concerto, sulle pedane dei night club delle metropoli di mezzo mondo. C’è ad esempio la storia di quel cornettista, minacciato di morte perché suo malgrado aveva assistito ad un delitto, così terrorizzato che suonava con le lacrime agli occhi e con un nodo alla gola, sobbalzando ogni volta che un cliente, dalla faccia poco rassicurante, si avvicinava all’orchestra: ma più egli tremava – raccontano le storie del jazz – e più i clienti dei locali erano affascinati dalle sorprendenti note che uscivano dal suo strumento. Ma c’è anche la storia di un altro trombettista ben più famoso, Louis Armstrong che all’inizio della sua carriera fu costretto a firmare un contratto perché in caso contrario quell’impresario gli avrebbe bruciato i baffi con il sigaro. Il contratto venne firmato, ma da quel momento Armstrong andò in giro sempre perfettamente sbarbato. Il Cotton Club di New York e il Grand Terrace di Chicago, due fra i più celebri locali notturni d’America, erano gestiti, il primo da Owdy Madden, uomo di Lucky Luciano, il secondo da Ralph Capone, fratello del più famoso Al. Per anni i rapporti fra gangsters e musicisti, furono, giocoforza, assai stretti. L’unico oggetto di metallo, però che in quegli anni passati alla storia come “l’età del jazz”, i musicisti impugnarono furono solo trombe, tromboni e sassofoni. Il clarinettista

Le biografie di molti musicisti sono ricche di episodi, storie, ma anche leggende che li vedono protagonisti. Nelle foto: sopra Al Capone e Lucky Luciano; sotto da sinistra in senso orario Duke Ellington, Louis Armstrong, Miles Davis, Chet Baker, Earl Hines e Charlie Parker

Benny Goodman fu uno di quei musicisti che passò i primi anni della sua vita di musicista nei night club di Chicago. «Spesso sui quotidiani – racconta – venivano pubblicate le foto di persone trovate morte in qualche garage o in mezzo alla strada. Le conoscevamo molto bene, perché erano i proprietari dei locali dove suonavamo». Un altro clarinettista di Chicago, Milton Mezzrow, per mantenere l’ingaggio in un night club di Al Capone, veniva costretto durante il giorno, ad imbottigliare liquori

Al Capone faceva uscire i clienti dal locale, faceva chiudere le porte e chiedeva di suonare i suoi pezzi preferiti

no lavoro ad una infinità di musicisti, tutte o quasi gestite da gangsters che vi spacciavano la loro liquida mercanzia, proveniente dal Canada, dove non vigeva il proibizionismo, se non addirittura distillata nelle vasche da bagno delle case del South Side abitate da neri e italiani.

di contrabbando. Negli anni Venti in tutti gli Stati Uniti vi erano più di 10mila orchestre di jazz. A Chicago e New York più di mille sale da ballo dava-

miscela micidiale che condusse a morte prematura il cornettista Bix Beiderbecke che ne era affezionato consumatore. Il pianista Jelly Roll Morton

Il famoso “bath room gin”,

quando, negli ultimi anni della sua vita, gestiva un locale a Washington, sembra che dirigesse anche le particolari attività di alcune belle ragazze che frequentavano il locale stesso. Per Jelly Roll tutto era iniziato quando, ancor molto giovane all’inizio del ‘900, suonava ragtime, blues e pagine classiche nelle famose case chiuse di Storyville a New Orleans. Quartiere delle cosiddette “luci rosse” fortemente voluto dal consigliere comunale Joseph Story, che forse non era un gangster, ma secondo Lulu White tenutaria di una di quelle case, che nelle sue memorie, asserisce che si comportava come se lo fosse. Durante l’età del jazz i musicisti erano molto amati e spesso pagati profumatamente. Sembra che il solito Al Capone, a un certo punto della notte, facesse uscire i clienti e chiudere il locale. Poi si sedeva e chiedeva all’orchestra di suonare i suoi pezzi preferiti. Dopo ogni brano regalava ai musicisti mille dollari, che per l’epoca era una fortuna. Anche Duke Ellington fu costretto ad assoggettarsi ai voleri di un impresario-editore, Irving Mills, che pretendeva di firmare come autore con Ellington, tutte le composizioni anche se non avevo scritto una nota. Fu solo negli anni Quaranta, che le cose cominciarono a cambiare.

Il jazz passò gradatamente dai locali notturni alle sale da concerto. Il musicista si trovò spesso di fronte a promoter e impresari senza scrupoli, che, fiutato l’affare, li sfruttavano facendoli esibire ogni sera in una città diversa, anche a migliaia di chilometri di distanza da effettuare in treno o in pullman sempre con l’obbligo di essere al massimo delle loro possibilità espressive. I più deboli iniziarono a far uso di droghe nell’illusione di poter suonare meglio ed essere sempre in forma. Il dramma della droga colpì negli anni Quaranta, una infinità di grandi artisti. Prima di tutti Charlie Parker che morì a soli trentacinque anni dopo aver lasciato al suo “pusher”, non avendo i soldi per pagarlo, i diritti su diverse sue composizioni. Caso unico di uno spacciatore diventato coautore di alcune delle pagine più importanti della musica del ‘900.


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personaggi

Dalla lotta armata alla detenzione, dall’apartheid alla rinascita del Sudafrica. Ritratto di Nelson Mandela, nel giorno dei suoi 90 anni

Il piantagrane di Maurizio Stefanini

hi negli anni Cinquanta si recava a visitare Nelson Mandela nel suo appartamentino di Soweto trovava sulla parete i ritratti di Franklin Delano Roosevelt, Winson Churchill, Stalin e Gandhi, più la presa del Palazzo d’Inverno a Pietrogrado.

C

Aristocratico nipote di re imbrancatosi coi comunisti; capo guerrigliero formatosi sullo studio contemporaneo di Mao, Che Guevara, Clausewitz e Menahem Begin; avversario del potere boero passò i suoi 27 anni di detenzione a imparare l’afrikaans dichiarando la sua ammirazione per i comandanti della guerra di Orange e Transvaal contro gli inglesi; Mandela al processo del 1960 si dichiarò disponibile al partito unico; in quello del 1962 lodò la monarchia tradizionale xhosa; nell’altro del 1964 celebrò il Parlamento inglese; diventato Presidente ha privatizzato a tutto spiano. Questo eclettismo, in altri sarebbe stato irritan-

te. In lui è diventata parte di quel mito che gli ha visto dedicare film, canzoni e francobolli; costruire statue ancora vivo; veder perfino dare il suo nome al ragnetto Stasimopus mandelai. Probabilmente, perché solo un personaggio così eclettico avrebbe potuto tenere assieme senza sangue, e mantenendo al contempo i principi dell’«un uomo un voto» e del «più partiti», un Paese dalle quattro razze e dalle undici lingue ufficiali. Di etnia ufficialmente xhosa ma dai fortissimi tratti boscimani, molto più delle media di un’etnia comunque abbastanza miscelata, il suo stesso volto è un inno alla varietà del Paese Arcobaleno. Come è stato ribattezzato il Sudafrica del post-apartheid. Come già ricordato, il suo bisnonno era un re: Sua Maestà Ngubengcuka, sovrano del popolo Thembu prima della conquista coloniale britannica. Lui veniva da un ramo collaterale escluso dalla successione, ma nondimeno suo padre Gadla Henry Mphakanyiswa, che lo ebbe dalla terza delle sue quattro mogli, era il capo del villaggio di Mvezo. E a Mvezo Nelson Mandela nacque appunto il 18 luglio 1918, mentre in Italia si combatteva sul Piave. Il suo vero nome di battesimo era però Rolihlahla, che significa letteralmente “tirarami”, e in senso traslato “piantagrane” o “rompiscatole”. Forse perché si era già fatto notare per i suoi calci durante la gravidanza, o per i suoi pianti appena nato.

Gli è arrivato il regalo forse più inatteso: gli americani lo hanno tolto ufficialmente dalla loro lista dei gruppi terroristi

Quando però a sette anni iniziò a frequentare la scuola, il missionario metodista che faceva da insegnante non riusciva a pronunciare quel nome, e così lo ribattezzò Nelson, come l’ammiraglio di cui era grande ammiratore. Orfano di padre a nove anni per colpa della tubercolosi, Nelson sarà preso sotto la tutela del reggente Dalindebo, in attesa di poter entrare nel Consiglio Privato a sua volta. Diplomato a 19 anni, va a studiare Diritto a Fort Hare, all’epoca unica università aperta ai neri di tutta l’Africa al sud dell’Equatore. Ma quando il tutore cerca di combinargli un matrimonio non di suo gusto rompe con la società tribale, e a 23 anni se ne va a Johannesburg. Qui è il suo primo approccio alla politica. Costretto per sopravvivere a fare il

Tra i personaggi più eclettici e controversi che ha attraversato il ‘900, Mandela compie oggi 90 anni. Aristocratico nipote di re schieratosi coi comunisti, fu capo guerrigliero e studioso di Mao e Che Guevara; passò i suoi 27 anni di detenzione a imparare l’afrikaans, dichiarando la sua ammirazione per i comandanti della guerra di Orange e Transvaal contro gli inglesi; nel 1960 si dichiarò disponibile al partito unico e nel 1994, diventato Presidente del Sudafrica, attuò una ferrea politica di privatizzazioni guardiano di miniera con una paga misera, si affilia all’African National Congress, e grazie al partito trova un posto da praticante avvocato.

Ma subito dopo aver partecipato a 25 anni alla prima manifestazione, crea una Lega Giovanile fortemente critica verso la linea ufficiale del partito che, fondato nel 1912 sul modello del Congresso indiano, è guidato da una vecchia guardia di aristocratici tribali che va da anni avanti a base di inutili petizioni alla monarchia inglese e vuoti proclami. Mandela è anche influenzato dai comunisti, di molti dei quali è diventato amico all’Università, e che gli hanno fatto conoscere i classici del marxismo. Ma il programma ufficiale della Lega Giovanile rifiuta il comunismo come «ideologia non africana». Con lui cofondatore della Lega Giovanile è Oliver Tambo, assieme al quale poco dopo apre uno studio legale. È il primo nella storia del Sudafrica gestito da avvocati neri, e lo rende famoso proprio mentre la vittoria elettorale del 1948 consegna il potere al Partito Na-

zionale, con la sua ideologia di aparheid duro e puro. Nel 1952 Mandela inizia una campagna di disobbedienza civile di tipo gandhiano, che porta al suo primo arresto. Di nuovo arrestato nel 1956 con l’accusa di alto tradimento, sarà assolto nel 1961.

Nel frattempo ha lasciato la prima moglie, Testimone di Geova, e si è sposato nel 1958 con la 22enne attivista dell’Anc Nomzamo Winifred Zanyiwe Madikizela “Winnie”, che gli darà altre


personaggi

18 luglio 2008 • pagina 21

te lobby interna, cui andranno ministeri importanti. Il 27 aprile 1994 si tengono le elezioni in cui il 62% dei votanti deposita nella scheda il suo nome. Il 10 maggio 1994, a 76 anni, si insedia come primo presidente nero nella storia del Sudafrica. In base agli accordi sulla transizione, De Klerk è il suo vice. L’anno prima i due avevano condiviso il Premio Nobel per la Pace. Sotto molti punti di vista, i cinque anni della Presidenza Mandela sono piuttosto dimessi. E non mancano le critiche: alla corruzione che mostrano i nuovi goveranti dell’Anc; all’inefficienza nell’affrontare la pandemia di Aids e una criminalità sempre più galoppante; alla timidezza che l’ex-prigioniero più famoso del mondo, liberato e vittorioso nella sua battaglia grazie all’appoggio internazionale, mostra di fronte alle emergenze internazionali, rifiutandosi in particolare di prendersi alcuna responsabilità nella tragedia ruandese. Manda invece l’esercito nel confinante Lesotho quando vi scoppia una crisi, ma quello è il cortile di casa…

due figlie oltre ai due maschi e due femmine del primo matrimonio. Ma nel 1961 la saluta, per entrare in clandestinità alla testa della nuova organizzazione armata Umkhoto we Sizwe: “Lancia della Nazione”. Fa le cose coscenziosamente.

Mentre i guerriglieri fanno i primi attentati, lui gira per l’Africa a cercare appoggi. E frequenta pure corsi di addestramento militare: col suo abituale eclettismo, sia nella filo-americana e feudale Etiopia del negus Hailè Selassiè che nell’Algeria socialista di Ahmed Ben Bella. Ma appena torna in patria subito lo prendono. È il 5 agosto 1962: la sua clandestinità è durata in tutto 17 mesi. Il 25 ottobre 1962 gli danno i primi cinque anni di prigione, per aver guidato uno sciopero e per espatrio illegale. Il 12 giugno 1964 per la sua attività di guerrigliero riceve l’ergastolo. Solo perché non vogliono farne un martire evita il capestro. Per ben due volte, nei 27 anni successivi, i servizi segreti sudafricani organizzeranno finte evasioni, apposta per avere la scusa di farlo fuori. Entrambe le volte Nelson fiuta la trappola. Chiuso nel terribile carcere di Robben Island, Mandela passa i primi tredici anni ai lavori forzati. Ma intanto lui è divenuto un simbolo a livello mondiale,

anche se la sua opzione per la lotta armata impedisce ad Amnesty International di adottarlo come prigioniero di coscienza. Nel 1976 il governo gli offre per la prima volta il rilascio, in cambio della rinuncia alla politica o almeno all’opzione della lotta armata. Lui rifiuta. Nel 1977 lo esentano dal lavoro manuale. Dal 1985 iniziano in modo riservatissimo negoziati politici veri.

I frutti si vedranno quando nell’agosto del 1989 diventa presidente Frederik Willem de Klerk, in un momento in cui il collasso del blocco comunista rende ormai superate le vecchie paure su una sovietizzazione del Sudafrica in caso di morte ai neri. Dopo una prima raffica di provvedimenti che in pochi mesi abolisce

l’apartheid e legalizza i partiti politici vietati, l’11 febbraio del 1990 Nelson Mandela torna in libertà. A 72 anni, il suo volto smagrito e dai capelli bianchi è ormai diverso da quello paffutello e con la barba delle foto di 27 anni prima, che hanno continuato a campeggiare in magliette e poster. Ma anche il suo linguaggio di moderazione e conciliazione è una sorpresa, sebbene i comunisti continuino a far parte dell’Anc come un’influen-

In fondo, però, la Presidenza Mandela è memorabile proprio perché si sforza di non esserlo: preferendo alle epurazioni giacobine una Commissione per la Verità in cui chi racconta quel che è successo viene poi perdonato; e l’empowerment per far crescere un ceto imprenditoriale nero, a nazionalizzazioni o espropri; e una politica di amicizia con tutti, da Taiwan a Fidel Castro, piuttosto di scelte troppo nette. Soprattutto, spettacolare differenza rispetto a tanti eroi liberatori del Terzo Mondo poi metamorfosati in eterni satrapi, dopo il primo mandato rifiuta di ricandidarsi. Proprio il suo moderatismo ha portato nel 1992 alla separazione e nel 1996 al divorzio con l’estremista Winnie, coinvolta in gravi scandali e messasi alla testa dell’ala più radicale dell’Anc. Nel giorno del suo ottantesimo compleanno si risposa per la terza volta: con Graça Machel, classe 1945, vedova di un presidente mozambicano morto in un incidente aereo 12 anni prima, e che fa in tempo dunque a essere l’unica donna della storia a essere stata First Lady di due differenti repubbliche. Con la sposina si godrà la pensione, da monumento vivente che ogni tanto si permette di intervenire sull’attualità politica. Ultimamente, anche per unirsi all’ormai generale coro di critiche verso Robert Mugabe: che poteva essere il Mandela dello Zimbabwe, e che per non essersi più voluto ritirare ne è diventato invece il seppellitore. Arrivato a 90 anni, gli è arrivato il regalo forse più inatteso: gli americani lo hanno tolto ufficialmente da una lista di terroristi, in cui lo avevano dimenticato dai tempi della “Lancia della Nazione”.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Napoli: risolta davvero l’emergenza rifiuti? COME AL SOLITO BERLUSCONI USA FRASI A EFFETTO PER DISTOGLIERE L’ATTENZIONE DA ALTRO

MA QUALE EMERGENZA RIFIUTI SUPERATA, QUI SOLO BALLE E BALLE... ANZI, ECOBALLE!

Non è semplice dire (o smentire) che l’emergenza rifiuti di Napoli e della Campania è davvero risolta. Abitando a Milano poi, lo è ancora meno. Quello che però credo è che affermarlo adesso, a soli tre mesi dall’insediamento del nuovo governo Berlusconi, sia quanto meno poco verosimile e, forse, anche un po’ strumentale. Senz’altro Berlusconi con il suo esecutivo si è interessato moltissimo al problema, senz’altro di più (e meglio) del precedente governo Prodi. Ha fatto bene il premier a rispettare la promessa di aprire il primo Consiglio dei ministri proprio a Napoli e ha fatto bene a continuare a visitare la città e il suo hinterland nel tentativo di risolvere l’emergenza. Ma l’affermazione «tutto risolto» mi sembra davvero solo fumo negli occhi, proprio come la vicenda della cordata nazionale che doveva salvare le sorti di Alitalia. Berlusconi, purtroppo, continua a dare sempre la stessa impressione di sempre: frasi a effetto, grandi mosse e manovre sceniche ma solo per acquietare l’opinione pubblica e distrarla da quelle che sono davvero le sue reali intenzioni legate alla giustizia.

Finalmente risolta la grana dei rifiuti campani: verranno trasferiti al nord. Il senatur ha dato l’avallo affinché diverse tonnellate di spazzatura vengano trasferite in Lombardia. Probabilmente l’Umberto è stato favorito nella decisione dalle ecoballe: balla più, balla meno, sempre balle sono. Questi i toni della campagna elettorale: «Ci metteremo di traverso per non far passare i rifiuti». «Non vogliamo la monnezza dei napoletani, ognuno deve smaltire i rifiuti che produce a casa sua». A Mantova arriverà qualche sacchetto, gentilmente ringraziamo. Non c’è da scandalizzarsi nemmeno troppo, d’altro canto sembra che al governo i problemi sappiano risolverli solo spostandoli: spostiamo i rifiuti, spostiamo i rom, spostiamo gli immigrati, spostiamo le tasse… sì perché dei soldi dell’Ici non crediate che si possa fare a meno.Tra poco arriverà la mazzata dei ticket, della sanità e di chissà cos’altro. Vorrà dire che ci sposteremo tutti a casa di Umberto Bossi.

Marco Valensise - Milano

LA DOMANDA DI DOMANI

Impronte digitali prese a tutti a partire dal 2010. Ma è davvero utile? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

Francesco Gerini - Mantova

SOLTANTO TRA MOLTI MESI SI POTRÀ RITENERE IL PROBLEMA RISOLTO All’inizio la frase di Berlusconi «risolta l’emergenza rifiuti a Napoli» poteva sembrare una delle sue solite ”sparate”. Ma a guardarla bene, in effetti, la città ha cambiato volto rispetto agli ultimi mesi e anche alle ultime settimane. Gestita dal sottosegretario Guido Bertolaso, la situazione di crisi sembra davvero avere invertito la tendenza. Ma forse, nonostante ciò che dirà domani Berlusconi, si potrà ritenere l’emergenza superata sul serio soltanto quando il ciclo di smaltimento dei rifiuti a Napoli e in Campania avrà raggiunto un equilibrio tale da scongiurare il rischio che al minimo intoppo la spazzatura torni ad accumularsi per le strade e lungo i vicoli. Per questo i tempi sono lunghi, e lo stesso decreto varato dal governo prevede la realizzazione e la messa a regime dei termovalorizzatori per completare il ciclo dei rifiuti. Staremo a vedere. Cordialmente ringrazio per l’attenzione.

GIUSTIZIA E POLITICA Basta. Sarebbe ora di chiudere l’ennesima polemica tra giustizia e politica, che appare sempre più come un alibi per mascherare le inefficienze reciproche. L’azione del governo Berlusconi parte da un presupposto corretto: la giustizia in Italia presenta grandi e gravi inefficienze. Ma la risposta data è completamente insufficiente. In un momento in cui sarebbe opportuno un esame di coscienza da parte di tutta la classe politica, non si trova niente di meglio che proporre il lodo Alfano, con l’immunità per le principali quattro cariche dello Stato, pensando che questo possa rappresentare una soluzione al problema. Non è neanche un palliativo. Ora, dopo quanto accaduto con la giunta abruzzese, seguendo questa logica, qualcuno potrebbe pensare di proporre l’immunità per i presidenti di Regione, e poi per quelli di Provincia o per i sindaci. E’ ovvio che non si può fare così, alimentando l’impressione che l’unico obiettivo sia quello di tutelare la “casta”della politica. Allo stesso tempo non si può non notare come alcune manifestazioni di piazza, insieme alle prese di posizione del-

RE DELLA FORESTA... NERA

Un cucciolo di leone bianco sbadiglia durante una presentazione alla stampa tedesca dei piccoli leoncini, al giardino zoologico di Schloss. In tutto sono 7 i cuccioli nati al parco, ma la curiosità è che sono stati partoriti da due diverse leonesse lo stesso giorno: il 30 giugno 2008

NOTTI INSONNI PER RUTELLI, FIORONI E LA BINETTI

I BRIGATISTI? PLURIPREMIATI REGISTI

Con il fresco della presente stagione primavera-estate, tutti si coricano, si godono ogni minuto del riposo e dormono d’un sonno profondo almeno fino all’alba. Tutti meno quei modernissimi politici cattolici di Rutelli, Fioroni e la Binetti, s’intende. Dai dico ai pacs, all’aborto, all’orgoglio gay, fino all’eutanasia, alla sperimentazione genetica e al testamento biologico, i Nostri si ritrovano in diverse simpatiche situazioni. Dopo i ripetuti attacci del quotidiano dei vescovi, Avvenire, le loro notti si sono fatte insonni, pensierose e senza fine. Col cuore stretto, ci sentiamo veramente addolorati. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.

In questo momento dell’anno, avevamo proprio bisogno di una grande notizia, di qualcosa di eccezionale che rimettesse in moto le nostre energie e il buonumore. E, da entusiasti lettori, ce l’aspettavamo dal mondo culturale italiano, del quale ci piace da sempre il clima sano e apprezziamo le buone, giuste e chiare decisioni. Un vecchio amico di famiglia ci ha detto che, a Roma, al Fiction fest, è appena stato premiato, dalle mani del direttore, un ex di lotta continua, uno dei terroristi rossi colpevoli della strage di via Fani. Ad alcuno è parsa cosa inopportuna, irragionevole e veramente indecente. Ma no, non può essere, qui la nostra amata sinistra non c’entra niente.

dai circoli liberal Alida Carpineto - Napoli

l’Anm, suonino tanto come uno scudo dietro il quale nascondere la “casta” della magistratura, con i suoi privilegi e le sue invasioni di campo. E in attesa che si risolva questo scontro, restano irrisolti i reali problemi della giustizia, come l’eccessiva durata dei processi. Problemi che determinano un corto circuito nella società italiana sia da un punto di vista etico che culturale, andando ad alimentare il senso di insicurezza e generando la sensazione di un impunità diffusa per chi si macchia di reati. E allora, piuttosto che proporre immunità, bisognerebbe pensare a una profonda riforma organica della giustizia, finalizzata a ridurre il tempo dei processi, favorire la meritocrazia in luogo degli scatti di carriera per anzianità, rispolverando la proposta della separazione delle carriere, riformando il Csm nell’ottica di una razionalizzazione del sistema dei contrappesi al sistema giudiziario. Certo, per una riforma così profonda è indispensabile una politica autorevole. E’ anche su questo che bisogna lavorare. Mario Angiolillo LIBERAL GIOVANI

Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)

Lettera firmata

COMUNICAZIONE PER I CIRCOLI LIBERAL TODI - VENERDÌ 25 LUGLIO 2008 - ORE 11 Prossima riunione dei presidenti e dei coordinatori regionali liberal all’Hotel Bramante di Todi. A seguire, l’inizio dei lavori del seminario Vincenzo Inverso segretario organizzativo circoli liberal

APPUNTAMENTI SEMINARIO DI TODI - VENERDÌ 25 E SABATO 26 LUGLIO 2008 Seminario, ore 12.00, Hotel Bramante, in via Orvietana 48 I lavori del seminario, che vedrà la partecipazione tra gli altri di Casini, Cesa, Buttiglione, Vietti, Volontè, avranno inizio il venerdì a partire dalle ore 12.00 e si chiuderanno per le 14.00 di sabato


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18 luglio

Voglio sentire le paperelle fare ”qua qua” Non ti voglio nascondere quello che provo oggi. Mi sono svegliata con te nell’animo e sulle labbra. Oggi ti amo enormemente. Il mondo intero è scomparso. Ci sei solo tu. Cammino, mi vesto, mangio, scrivo... ma durante tutto il tempo respiro te. A volte sono stata lì lì per telegrafarti che appena Kay mi manda i soldi torno a casa. E’ ancora possibile che lo faccia. Voglio tornare, e sentire le paperelle fare qua, qua, qua! La vita è troppo breve per il nostro amore anche se in tutti questi anni abbiamo trascorso insieme ogni momento. Non posso pensare a te, alla nostra vita, alla nostra adorata vita, a te, tesoro, a niente di te. No, no, no. Prendimi presto tra le tue braccia. Tig è una ragazza stanca e sta piangendo. Ti voglio. Senza di te la vita non è niente. La tua donna Tig. Katherine Mansfield a John Middleton Murray

1942 Seconda guerra mondiale: i tedeschi provano in volo per la prima volta il Messerschmitt Me 262 1968 Guerra del Vietnam: inizia la conferenza di Honolulu tra il presidente americano Lyndon B. Johnson e quello sudvietnamita Nguyen Van Thieu 1976 Montreal: Nadia Comaneci, 14 anni, diventa la prima atleta a ottenere il punteggio perfetto di 10 nel corso della XXI Olimpiade 1994 A Buenos Aires, un’esplosione distrugge un edificio che ospitava diverse organizzazioni ebraiche, uccidendo 96 persone 1997 Viene sviluppato, grazie all’americano Dave Winer il software che darà vita ai blog, oggi forma diffusissima di comunicazione multimediale

PRECISAZIONI «NON HO DISACCORDI CON TREMONTI» Gentile Direttore, ho letto con stupore il titolo “Tremonti sbaglia, il problema non è la speculazione”dato alla mia intervista pubblicata ieri (17 luglio 2008) sul suo giornale che costituisce una evidente forzatura rispetto al contenuto della stessa. Nell’intervista infatti manifestavo condivisione di vedute con il ministro Tremonti sulla gravità della crisi in corso, sulla rilevanza della speculazione finanziaria e sulla impostazione data alla legge finanziaria. L’unico punto sul quale mostravo qualche perplessità riguarda l’effettiva incidenza delle attività speculative sul prezzo del petrolio, la cui elevata valutazione dipende, a mio avviso, da fattori strumentali legati all’accumulo della domanda proveniente dai paesi emergenti. Come vede, è chiaro che da qui a parlare di disaccordo con le tesi del ministro ce ne passa.

Beniamino Quintieri

È evidente che nel titolo ”Tremonti sbaglia, il problema non è

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

la speculazione” le parole ”Tremonti sbaglia” non costituiscono un giudizio assoluto e irreversibile su tutta la linea del ministro, ma sono riferite al tema specifico delle responsabilità della speculazione sul prezzo del petrolio, sul quale il ministro insiste da tempo. Tema specifico sul quale del resto Lei conferma, anche in questa precisazione, i suoi dubbi.

«SONO CONTRO LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE» Egregio Direttore, in relazione all’intervista, da me rilasciata alcune settimane fa al quotidiano liberal e pubblicata in data 17 luglio 2008, con il titolo “In quasi tutta Europa le carriere sono separate”, appare necessaria una precisazione: l’articolo e, in particolare, la sua intitolazione, lasciano intendere che io sia personalmente favorevole alla separazione, nel nostro Paese, delle carriere tra magistratura inquirente e giudicante. In realtà, le mie affermazioni, molto più ampie ed articolate di quanto potrebbe far ritenere, prima faRedazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

cie, il titolo dell’intervista, pongono in evidenza che, a livello comparato, esistono anche alcune realtà statuali, pienamente democratiche, ove non esiste la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri. Preciso, inoltre, che la mia posizione personale è contraria all’ipotesi di introdurre, nel contesto italiano di oggi, una separazione delle carriere tra magistrati, in quanto potrebbe tradursi in una inaccettabile soggezione della magistratura inquirente nei confronti del potere politico.

Prof. Mauro Volpi

Egregio professor Volpi, come Lei correttamente ricorda il titolo riporta esattamente quanto da Lei detto nell’intervista. È vero però che isolato dal contesto il titolo può dare la sensazione che Lei sia favorevole alla separazione delle carriere. Ci fa piacere, dunque, offrirle l’opportunità di precisare il suo pensiero, ferma restando la circostanza obiettiva che in gran parte dei Paesi d’Europa questa separazione esiste. Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di CINQUE ALTERNATIVE A GOOGLE Sembrano ancora irrisolti i problemi che vari blog e website, compreso Files Digest, hanno con l’indice di ricerca di Google. Sull’argomento sono nate molteplici discussioni ed articoli che cercavano soluzioni ed ipotizzavano le cause di una simile situazione. Riassumendo: Google - a quanto sembra - continua ad indicizzare i nuovi contenuti che quotidianamente vengono pubblicati ma, se andiamo a ricercare gli stessi sul motore di ricerca, o non appaiono o occupano posizioni molto defilate. L’ipotesi che fino ad ora ha preso maggiormente piede riguarda il consueto aggiornamento di Google che, puntualmente, avviene in estate; e la contemporanea ricerca, da parte del motore di Mountain View, di nuovi metodi di indicizzazione, soprattutto per quanto riguarda i blog. Aspettando che si muova qualcosa dalla California, noi di Files Digest abbiamo pensato di proporvi 5 metodi di ricerca altrettanto validi ed alternativi a Google. 1. ChaCha (in inglese): il nome non deve ingannare: si tratta, infatti, di un sito web serissimo davvero innovativo per quanto riguarda il metodo di riCollegandovi a cerca. Chacha.com, potremo interagire live con una vera e propria guida (una persona in carne ed ossa!), che si occuperà della nostra ricerca e ci invierà dei risultati concreti, in base alle nostre specificazioni. Unica annotazione: è possibile che, nel caso ci provassimo con la guida, questa ci stia. Ma è comunque contrario alla politica del sito. 2. Ask (in italiano): pur non facendo parte del celebre Triumvirato Google-Yahoo!-Msn, Ask è un motore di ricerca autorevolissimo. La sua forza sta nel suo metodo di ricerca: Ask, infatti, non seleziona i risultati soltanto in base alla popolarità in senso assoluto, ma li

sceglie in base a quella relativa alla particolare categoria della ricerca. Esempio: se digitiamo “software”, il primo sito che ci apparirà sarà Files Digest. 3. StumbleUpon (in inglese): questo motore di ricerca “sociale” consente di votare i vari siti in cui ci imbattiamo e, ricerca dopo ricerca, “impara” quali sono le nostre preferenze e ci restituisce, di volta in volta, risultati sempre più precisi. Non solo: con StumbleUpon è possibile anche condividere le proprie preferenze con altre persone, con il duplice risultato di avere ricerche sempre più mirate ed accedere a contenuti difficilmente riscontrabili con un classico search engine. 4. Technorati (in inglese): avete un blog? Non siete su Technorati? Sparatevi! Scherzi a parte, i blog non sono e non devono essere più considerati “figli di un dio minore” (in America lo sanno bene, in Italia un po’ meno…), poiché possono offrire contenuti di pari qualità se non migliori di quelli offerti dai classici portali. Proprio per questo, una ricerca che non prenda in considerazione i blog non può dirsi sicuramente complete. Qui su Technorati è possibile utilizzare diversi metodi di ricerca (i tag, specialmente), c’è una classifica, si può vedere qualis sono i blog “linkati”ad un determinato argomento, ecc. 5. Rollyo (in inglese): il nome sta per “Roll Your Own Search Engine” e il sito consente proprio di crearsi il proprio motore di ricerca. Su Rollyo è, infatti, possibile fare una ricerca classica, per categorie oppure indicando i website che il motore di ricerca considererà per trovare i risultati. Ps: ci sarebbe un sesto “fratello”, ma è il motore di ricerca di Kevin Federline (ex marito di Britney Spears) e ci vergognavamo un po’ a dirvelo…

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PAGINAVENTIQUATTRO Un mese fa moriva l’autore di ”Il sergente della neve”

Rigoni Stern e gli altri scrittori

IRREGOLARI triste, ma è un fatto naturale che gli ultraottantenni ci lascino. Però la morte di Mario Rigoni Stern è anche un dolore letterario-storiografico. Oggi chi rimane ancora tra quelli in grado di raccontarci in prima persona il secondo conflitto mondiale? È una domanda retorica, intrisa di nostalgia se si pensa a quel sottufficiale degli alpini che dalla natia Asiago partecipò alla disastrosa campagna di Russia. Alpini, e anche poco attrezzati, nelle pianure ucraine.Tutto questo secondo il (molto) presunto genio strategico italiano. Se si legge, per esempio, il bellissimo saggio di Alfio Caruso (Tutti vivi all’assalto, Longanesi) sulla battaglia di Nikolajevka non si fa fatica a immaginare l’oceano che divideva le dichiarazioni belliche dalla vita quotidiana dei soldati italiani. I quali ogni tanto stupivano gli altezzosi alleati tedeschi con il loro coraggio e con una resistenza da epopea.

È

Rigoni Stern andò a Torino nel 1952 con il dattiloscritto de Il sergente nella neve sottobraccio. Alla Einaudi lo guardarono come un marziano: aveva gli scarponi da montagna e proponeva non un romanzo, l’ennesimo, sulla Resistenza, ma un libro “dal fronte”. Che uscì poi nel 1953. Il successo di vendite dura ancora oggi. È diventato un classico. Lo scorso anno la Einaudi, così tanto cambiata rispetto ai tempi diVittorini e Calvino, hanno festeggiato gli 85 anni di Rigoni Stern. E probabilmente lui, uomo dagli occhi tristi e buoni, avrà certamente ricordato la diffidenza con cui l’accolse la critica militante (di sinistra), quella critica che consapevolmente o no rimuoveva l’impegno e la sofferenza dei militari italiani con divisa e baionetta, offrendo invece ottima accoglienza agli eroismi dei partigiani. Vittorini, nel risvolto di copertina de Il sergente nella neve prese le distanze sostenendo che l’autore non era «uno scrittore di vocazione». Ebbe anche a dire poi che il capolavoro di Rigoni Stern era «una piccola Anabasi dialettale». Miopia storico-letteraria. Più tardi fu Piero Chiara a vederci giusto: «Scrittore meno occasionale di quanto non sembri».Vittorini provava fastidio per il dialetto, perlomeno quello che non fosse siciliano? Una frase, diventata famosissima, come «sergentmagiù, ghe rivarem a baita?» (Sergente maggiore, ce la faremo a tornare alle nostre baite) non doveva

di Pier Mario Fasanotti piacergli per niente. Fu la stessa Einaudi a pubblicare obtorto collo il primo dei libri di quello straordinario testimone dell’Olocausto che fu Primo Levi. La sua prima opera uscì dapprima presso una piccolissima casa editrice torinese. Miopia editoriale anche stavolta. Poi il ravvedimento, certo. E a proposito dei pregiudizi, non si può dimenticare Giuseppe Berto, che aveva il peccato originale di non essere di sinistra. L’autore de Il male oscuro fu alquanto bistrattato.

Lontano dai ghiacci russi, ma ugualmente ambientato in un altra distesa, quasi metafisica stavolta non bianca ma gialla, è il romanzo di Mario Tobino Deserto della Libia. Libro cui si è ispirato di recente il regista Mario Monicelli con il suo Le rose del deserto.Tobino era un altro che si diceva non allineato con la sinistra culturale dominante, tanto è vero che fece chiasso quando criticò la legge Basaglia che per incanto chiudeva i manicomi e affidava alla società la colpa,responsabilità e la cura dei malati di mente. Nel suo romanzo“africano”Tobino osserva la pazienza di un arabo che riempie d’acqua un secchio e continua a farlo per ore e ore, fino all’alba. Lo scrittore viareggino in un certo senso lo imita, af-

ni della città di Alba, il primo dei sette racconti “della guerra civile”, fu bocciata da quattro editori. Fu poi Calvino, scrivendo al critico De Robertis, a vantarsi della scoperta di Fenoglio. Rimane il fatto che il primo degli scritti del piemontese fu stroncato, con qualche distinguo, proprio dall’Unità per iniziativa di Davide Lajolo, il quale si chiedeva: «Ma perché descrivere l’occupazione come una carnevalata? I partigiani come soldati di ventura e l’abbandono delle città come una fuga di fronte ai fascisti?». Poco dopo la difesa militar-politica di Lajolo, uscì un altro un altro articolo firmato “Il libraio”, in cui il racconto di Fenoglio veniva definito «un gioco di parole, e di brutte parole…un gioco che può essere facilitato dalla novità che consiste nel fatto di vedere le cose dall’altra sponda».

La seconda guerra mondiale fu per Pier Paolo Pasolini una commistione di dramma nazionale e tragedia familiare. Suo fratello Guido fu ucciso in circostanze misteriose. Si unì alla divisione partigiana Osoppo e assunse il nome di battaglia di Ermes, uno degli amici di Pier Paolo disperso nella campagna di Russia. Tra i vari gruppi della resistenza friulana nascono conflitti intestini. I comunisti delle brigate garibaldine premono per un’annessione del Friuli alla Jugoslavia di Tito, mentre la brigata Osoppo si fa paladina della italianità del Friuli. Guido scrive in proposito a Pier Paolo, perché si impegni, con suoi articoli, a difendere le posizioni della Osoppo. Ma nel febbraio del 1945 Guido viene ucciso, insieme al comando della Osoppo. I fatti avvengono nelle malghe di Porzus: un centinaio di garibaldini si avvicinano fingendosi sbandati, catturano quelli della Osoppo e li passano per le armi. Guido, seppure ferito, riesce a fuggire e viene ospitato da una contadina. Viene trovato dai garibaldini, trascinato fuori e massacrato. Pier Paolo non ha mai scritto un romanzo sul fratello. Ci sono lettere toccanti, però: ”Non so se ci rivedremo, tutto puzza di morte, di fine, di fucilazione.... Tutto puzza di spari, tutto fa nausea, se si pensa che su questa terra cacano quei tali.Vorrei sputare sopra la terra, questa cretina, che continua a mettere fuori erbucce verdi e fiori gialli e celesti, e gemme sugli alberi...”.

Elio Vittorini lo definì ”uno scrittore di vocazione”, ma la critica militante di sinistra è stata diffidente anche con Mario Tobino, Beppe Fenoglio e Giuseppe Berto fidando le sue parole alla sabbia e alla memoria. Tra due condizioni umane estreme: i bambini che giocano sulla sabbia e un’anziana donna abbandonata da tutti.

Tra i testimoni-letterati ci sono anche Nuto Revelli (Mai tardi, La strada del Davai), Giulio Bedeschi con Centomila gavette di ghiaccio, Carlo Sgorlon (edito dalla Mondadori). Beppe Fenoglio attinge alle sue esperienze di partigiano e le attribuisce all’indimenticabile Johnny. Oppure al Milton de L’imboscata. Fenoglio non ebbe un’immediata fortuna editoriale: I ventritre gior-


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