Oggi il supplemento
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
MOBY DICK
Camera e Senato sollevano un conflitto di attribuzione con la Cassazione
SEDICI PAGINE e di h DI ARTI c a n o cr E CULTURA
Anche il Parlamento deve portare l’acqua a Eluana
di Ferdinando Adornato
di Luisa Santolini l caso di Eluana Englaro sta coinvolgendo tutti: tribunali, Parlamento, associazioni, media e, soprattutto. le coscienze di tutti i cittadini. Trattamento sanitario, accanimento terapeutico, volontà del paziente, capacità di intendere e di volere, dignità della persona, idratazione e alimentazione artificiali, testamento biologico, eutanasia, separazione dei poteri, sistemi costituzionali occidentali, fondamentale principio della separazione dei poteri, potere legislativo e potere giudiziario, norme per via meramente giurisprudenziale, separazione tra legislazione e giurisdizione, vuoto legislativo, atto legislativo innovativo dell’ordinamento normativo vigente, legittimità costituzionale, conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale, prerogative costituzionale del Parlamento….. Credo che un comune cittadino, che non è tenuto a capire il linguaggio tecnico e spesso astruso della giurisprudenze e della politica, faccia non poca fatica a capire i concetti qui sopra riportati e faccia non poca fatica a rendersi conto che si tratta di questioni vitali che riguardano non situazioni astratte e lontane, ma che hanno a che fare con la sua libertà e con il concetto che tutti abbiamo dello Stato che è uno Stato di diritto e non certo uno Stato autoritario.
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I PIANI SEGRETI DELLA LEGA
9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80719
È al cen tro della sc ena politica. Cerc a il dialogo c on l’opposizione e sembra più affidabile di Berlusconi. Si prepara a non essere più solo un “partito del Nord”. Con un progetto ambizioso: la leadership del centrodestra
Cosa hanno in mente alle pagine 2 ee 3 Panebianco boccia il disegno Tremonti-Gelmini
ARRIVEDERCI A MARTEDÌ Come altri quotidiani anche liberal non esce la domenica e il lunedì. L’appuntamento con i lettori è dunque per martedì 22 luglio
«Sos Università: solo tagli senza alcun progetto»
se gu e a p ag in a 7
Il presidente dei senatori del Pdl: «Csm cloaca»
La gaffe di Gasparri fa infuriare tutti
Dove si deciderà la vittoria
Obama-McCain: sono cinque gli Stati ”rischiatutto”
di Rossano Salini
di Francesco Capozza
di Stuart Rothenberg
La “scure” di Tremonti si abbatte anche sull’università. E il mondo accademico risponde con una protesta che, per il momento, rimane al livello verbale, ma ben presto dovrebbe trasformarsi in uno stato d’agitazione generale.
Bufera sul presidente dei senatori del Pdl, Gasparri che a Radio Radicale ha affermato: «La cloaca del Csm correntizzato, partitizzato e parcellizzato è uno scandalo che offende gli italiani».
Colorado, Virginia, Ohio, Nevada e Michigan saranno decisivi per la corsa alla Casa Bianca. Bush vinse in Nevada nel 2004 con il 50,5% dei voti e nel 2000 col 49,5% Clinton se lo aggiudicò due volte per poco.
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pagina 4 SABATO 19 LUGLIO 2008 • EURO 1,00 • ANNO XIII •
NUMERO
136 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
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Non basta dettare l’agenda, ora Bossi e i suoi puntano a erodere il consenso del Pdl
Operazione leadership di Errico Novi
ROMA. «A gennaio, si parte a gennaio». Berlusconi mette finalmente fretta al Pdl. Al partito che non c’è. Nel frattanto che i proconsoli Verdini e La Russa litigano su tempi e modi della fusione, la Lega avanza impetuosa. Detta l’agenda del governo.Tiene agganciato il Pd al tavolo delle riforme. E Silvio capisce che di qui a qualche mese sarà anche peggio. «Alle amministrative del 2009 e alle regionali dell’anno successivo tra noi e il Pdl ci sarà un utile spirito di competizione», dice il presidente leghista della commissione Ambiente Angelo Alessandri. E la gara promette sorprese. Il Carroccio si radica sempre più, ha scuole di formazione per i dirigenti, coopta in Parlamento una trentina tra sindaci e vicesindaci di comuni medio-piccoli. «Il Pdl è bloccato invece dal fatto che non esiste», si permette di notare Alessandri, «e rischiamo di perdere treni importanti: in Emilia per esempio abbiamo superato, come Lega, il 9 per cento. Se anche gli alleati fossero pronti potremmo strappare altre roccaforti importanti alla sinistra. E invece loro a nove mesi dalla sfida hanno ancora tutti i coordinatori locali da definire. Se partono a gennaio passeranno la campagna elettorale per le amministrative a discutere degli organismi dirigenti».
Detta in parole povere il colosso Forza Italia-An può ridursi al rango di zavorra. Berlusconi si è fatto un’idea chiara del peso del
Carroccio. Si è convinto che in prospettiva avere un radicamento forte può consentire ai leghisti di lanciare la scalata alla leadership della coalizione. In termini politici va già come va. E con un così netto vantaggio in termini di radicamento può succedere di tutto. Intanto l’abilità del Senatùr e di
Gli azzurri si illudono ancora che la Lega sia sotto il ricatto di Veltroni.
È chiaro che Bossi si rammarica per qualche provvedimento poco gradito al suo elettorato. L’iniezione di danaro in Alitalia, per esempio, ottenuta in buona parte (oltre 200 milioni)
mo, amministrative ed europee. Ecco la competizione interna, è questa la spinta che Bossi avverte per lanciare l’assalto al cielo. Intanto può permettersi, come ha fatto ieri, di ridurre al solo Roberto Maroni la delegazione leghista ai Consigli dei ministri convocati sotto il Vesuvio. Piccoli segnali di una leale ma spietata concorrenza.
Hanno più radicamento. E lanciano la sfida per le amministrative e le europee del 2009. Berlusconi fiuta il pericolo e accelera sulla fusione con An. Ma la Lega non ha scelta: se non vuole soccombere deve espandersi Robeto Calderoli porta ogni giorno nuovi frutti. Ieri anche Giorgio Napolitano ha dovuto assecondare la ridefinizione dell’agenda in chiave padana e ha chiesto «la piena applicazione del Titolo V». È l’ultimo passo prima che il federalismo diventi ineluttabile. Forti di un inarrivabile pragmatismo, colonnelli bossiani come il capogruppo Roberto Cota si consentono qualche lezione di buoncostume politico al Pd: «Piuttosto che alzare barricate sulla riforma della giustizia Veltroni entri nel merito e dica come può essere realizzata». Il Senatùr acquista ogni giorno maggiore centralità. E intende limitare i provvedimenti sgraditi al popolo padano. L’unico modo per riuscirci è modificare i rapporti di forza elettorali con il Pdl. Intanto si prepara a sfrattare dal Veneto l’azzurro Galan
con il sacrificio del fondo di solidarietà per le imprese. Risorse sottratte soprattutto al Nord. «E nei giorni scorsi li abbiamo visti eccome i musi lunghi dei deputati leghisti per la forzatura del Lodo Alfano», raccolta Daniele Marantelli, parlamentare del Pd molto amico del Senatùr. Come rimediare? Semplice: modificare progressivamente i rapporti di forza elettorali con il Pdl. È l’unica strada per impedire che passino le decisioni indigeste al popolo padano. Una straordinaria motivazione, non c’è dubbio, in vista delle sfide dell’anno prossi-
Il parere dell’uomo dei sondaggi
«Guadagnerà molti voti se chiuderà l’intesa con il Pd» colloquio con Nando Pagnoncelli di Francesco Rositano
Tra il Carroccio e il Popolo della libertà ci sono molti punti di distacco. Non gli stessi del 14 aprile, però: i sondaggi danno Bossi sopra il 10 per cento. A Umberto interessa salvaguardare il patrimonio acquisito. Ma in questo caso vale una delle regole auree dell’economia: non si può stare fermi, se non ci si vuole contrarre bisogna crescere per forza. E consapevole di questa naturale dinamica il vertice leghista sa di non poter più tornare alla dimensione tribale di qualche anno fa. «Ai miei capi non mi stanco mai di ripeterlo», dice ancora Marantelli, «non è possibile pensare che per noi voti la parte cultuelevata ralmente dell’elettorato e con
ROMA. Il bottino è già sostanzioso - sarebbe al 10% - ma la Lega potrebbe crescere ancora. Per Nando Pagnoncelli, presidente ed amministratore delegato del’istituto demoscopico Ipsos, essa dovrebbe continuare a proporsi come partito di lotta e di governo. E cercare anche il contributo dell’opposizione per portare a casa una riforma cara ai suoi elettori: quella sul federalismo. «Dopo quindici anni di muro contro muro gli elettori pensano che le riforme vadano concordate. D’altra parte, fino ad oggi, i partiti che non hanno cercato l’intesa su temi di interesse comune, alle prove successive, si sono ritrovati sconfitti». Qual è il margine di crescita del partito di Umberto Bossi? I rapporti di forza, per quanto la Lega stia crescendo, sono
Bossi ci siano quelli con l’anello al naso».Tanto più che il Carroccio gode di un enorme vantaggio: è percepito tuttora come estraneo alla casta nonostante abbia 87 eletti in Parlamento, 4 ministri, 4 presidenti di commissione, e occupi posti chiave nella macchina del potere, dal cda Rai (Bianchi Clerici) all’Inail (Marco Fabio Sartori è stato appena indicato come nuovo presidente). Miracolo dovuto alla capacità di Bossi e Calderoli di distinguersi dal potentissimo alleato senza mai far saltare il tavolo.
Salvo casi in cui la tensione arriva a livelli insopportabili. In Veneto per esempio i leghisti danno per scontato che la carica di governatore nel 2010 toccherà a uno dei loro. A non farsene una ragione è Giancarlo Galan, intenzionato ad andarsene non prima di aver dato battaglia. «In diverse zone di quella regione alle ultime politiche siamo stati il primo partito», ricorda Alessandri. In realtà Berlusconi ha già dato il placet. Galan continuerà a sferragliare da solo. E quando comincia a vacillare la periferia dell’impero ogni allarme è giustificato. ancora a favore del Pdl. Quindi è ancora difficile rovesciare questa situazione numerica. Per ora siamo ancora lontani da appuntamenti elettorali importanti. È vero ci sono le europee, ma non hanno molto peso dal punto di vista della governabilità del nostro paese. Poi il suo successo è sganciato da appuntamenti precisi e si è costruito non certamente da oggi. Quali sono i suoi punti di forza? Ci sono due elementi da considerare: il primo è l’elemento protesta di cui si parla molto ed importante. E trova nella Lega risposte soddisfacenti da strati crescenti di elettori, anche in regioni tradizionalmente non leghiste. Lo abbiamo visto alle ultime elezioni, in Emilia Romagna, dove la Lega non era così forte e crescente. Ma non è solo protesta. Bisognerebbe a mio pare-
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Berlusconi regna ma il Senatùr e Tremonti governano
Moriremo demo-leghisti? di Enrico Cisnetto oriremo demo-leghisti? Si sa che quando tutti urlano, Umberto Bossi abbassa i toni per farsi sentire meglio. E non c’è dubbio che nel deserto del Berlusconi IV, l’unica novità politica – se proprio dobbiamo trovarne una – è questo “attivismo moderato”della Lega. Di fronte alle solite boutade (vedi quella sul prezzo del petrolio) e ai soliti strilli da perseguitato del Cavaliere, emerge una Lega iperattiva e responsabilizzata. Con un Bossi pronto a convincere il Cavaliere a fare marcia indietro sul “blocca processi”, con un Calderoli fortissimamente impegnato nella sua opera di ecologia legislativa (“abbiamo tagliato 6.000 leggi, ne abbiamo fatto un falò”), con un Maroni che fa uno scatto in avanti sulle impronte digitali ai Rom, e al contempo lascia aperti spazi negoziali sia con le altre forze della maggioranza che con l’opposizione. Insomma, una “tranquilla forza di governo”, che addirittura rinuncia al suo storico antieuropeismo rustico per lanciarsi in un augura-
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sarà solo fiscale, ma anche politico. Per capire meglio di cosa si tratta, è il caso di tornare alla bozza presentata dallo stesso ministro dell’Economia al “Parlamento del Nord” nel maggio dell’anno scorso, quando un iperattivo Tremonti introdusse le linee guida della riforma: primo, pochi e precisi compiti assegnati allo Stato centrale (principio delle “competenze statali chiuse” o “numerus clausus”), con tutte le altre competenze attribuite per default alle regioni. Secondo principio, quello che prevede il ribaltamento dei flussi di spesa: non sarà più lo Stato ad aver titolarità delle grandi imposte, bensì le regioni. Inoltre, alle regioni spetterà una parte preponderante dell’Irpef, una percentuale sull’Iva, tutto il gettito generato dalle accise, dai giochi e dai monopoli di Stato (sigarette e tabacchi in testa).
Una rivoluzione, dunque, che rischia di stravolgere completamente l’assetto dello Stato, fino a metterne in discussione l’unità. Dal punto di vista istituzionale, infatti, c’è il rischio che il progetto bossiano-tremontiano crei i presupposti per un modello statale che discrimina le diverse regioni e i loro cittadini, mentre sotto il profilo della finanza pubblica, le entrate dell’amministrazione centrale sarebbero sottoposte ad un colossale esproprio, con conseguenze del tutto imprevedibili dal punto di vista della sostenibilità (si pensi al debito pubblico). In questo senso c’è il sospetto, per usare un eufemismo, che l’attivismo di Tremonti di questi mesi, i suoi“mille e non più mille”su un nuovo 1929 (che non c’è e non ci sarà, come dimostra la decisione di due giorni fa del Fondo Monetario di alzare le stime sul pil mondiale, degli Usa e di Eurolandia) siano un passaggio preparatorio al grande stravolgimento che il federalismo fiscale comporterà nella finanza statale. Agitando spettri più mediatici che reali (come il grande complotto degli speculatori mondiali), inserendosi nel novero dei “puristi di Bruxelles” e predicando il rispetto filologico degli obblighi di bilancio imposti da Maastricht, Tremonti starebbe così mettendo le mani avanti per preparare la grande “rivoluzione d’ottobre”, che vedrà la Lega in prima fila a riscuotere la sua cambiale elettorale numero uno. Sotto questa luce si capirebbe meglio la politica di bilancio fortemente restrittiva che emerge dalla manovra economica triennale appena presentata: servirebbe a mettere fieno in cascina prima di lanciare la “rivoluzione federalista”. Dunque, toccherà aspettare l’autunno perché la maggioranza getti la maschera. A quel punto, probabilmente, il gioco delle parti terminerà. La Lega uscirà allo scoperto, e un Berlusconi redivivo tornerà ad essere (o ad aspirare ad essere) l’erede designato del grande centro democristiano.Tutto tornerà come prima. Sempre che, nel frattempo, lo spazio politico del centro-destra non sia andato esaurito. (www.enricocisnetto.it)
È questa la fotografia dei primi sessanta giorni, dopo l’estate si potrà verificherà se la situazione sarà confermata o meno
re considerare anche il fatto che laddove la Lega governa i singoli comuni - sto parlando di comuni piccoli o medi - nella fascia pedemontana della Lombardia o del Veneto, assolve un ruolo amministrativo fondamentale o copre un vuoto lasciato da altri partiti. Qui ha una grande relazione con il territorio, ha una grande capacità di ascolto, fa quello che facevano i grandi partiti dal dopoguerra agli anni Ottanta: dà risposte concrete ai cittadini dei piccoli e medi comuni. In termini di capitalizzazione si possono fare previsioni? Può valersi di questa duplice caratteristica: da un lato è il partito che di più incarna la protesta e quindi raccoglie il grande malcontento di questa fase specifica. Dall’altra non è solo questo: è il partito che laddove è presente ha dato delle risposte concrete alla popolazione locale. Quanto questo si traduca in un numero
non possiamo ancora prevederlo. È chiaro che si trova in una posizione espansiva che è direttamente legata al livello di radicamento tra la gente. La politica, infatti, non si fa in tv, ma in mezzo alla gente. Ma se riuscisse a trovare un accordo con l’opposizione sul federalismo, potrebbe crescere ancora? Teoricamente sì perché con le ultime elezioni si è aperta una stagione cosiddetta del dialogo, una stagione che è stata sostenuta da un consenso molto largo. Ovviamente non totalitario. Questa stagione del dialogo apparentemente si è interrotta per le questioni legate alla giustizia. Si è determinata un’aspettativa per certi versi disattesa. Il dialogo, però, non è un buonismo tout court: il dialogo è accompagnato da consenso. E, dopo tante lacerazioni, il federalismo potrebbe essere il punto da cui ripartire.
le messaggio di solidarietà al Trattato di Lisbona (“alla fine non ci opporremo alla ratifica”). Così, in questa “fase due”del Berlusconi IV, emersa a soli 65 giorni dal voto di fiducia delle Camere al nuovo esecutivo, ciò che salta agli occhi è una Lega“moderata”, in forte contrapposizione con un presidente del Consiglio che “rimanda a settembre” tutti i dossier più scottanti, (spazzatura napoletana, crisi Alitalia, declino economico, riforma della giustizia), mentre la sua centralità mediatica è messa in crisi da un Tremonti ogni giorno più padrone della scena, sia nella veste (che gli è tradizionalmente propria) di grande ministro alla Colbert, sia in quella (parzialmente inedita e di certo più pericolosa per il Cav.) di nuovo Richelieu.
Dunque un Berlusconi che regna, e un asse Bossi-Tremonti che governa: è questa la fotografia attuale dei primi 60 giorni del nuovo esecutivo. Ma durerà? E’ una formazione a tre punte che rimarrà uguale a se stessa“ad libitum”, oppure è solo un assetto variabile, pre-vacanziero, destinato a mutare, e non di poco, dopo le ferie, quando l’attività di governo entrerà nel vivo, e tutti i dossier più caldi dovranno essere affrontati di petto? In particolare, ci piacerebbe capire se la novità del “Berlusconi ombra”(di se stesso), di un Cavaliere con il freno a mano tirato che rimanda le grandi scelte, sia dovuto a una scelta tattica temporanea (frenare lo strabordante spazio che la Lega si sta prendendo), oppure se sia invece una strategia precisa di “contenimento”di Bossi e delle sue aspirazioni federaliste. La verità si saprà in autunno. Dopo l’estate, infatti, il fronte Tremonti-Bossi entrerà a gamba tesa nel processo di riforma federale dello Stato: che non
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Panebianco boccia il disegno Tremonti-Gelmini
Sos Università «Il governo propone solo tagli senza alcun progetto di rilancio» colloquio con Angelo Panebianco di Rossano Salini
ROMA. La “scure” di Tremonti si abbatte anche sull’università. E il mondo accademico risponde con una protesta che, per il momento, rimane al livello verbale, ma ben presto dovrebbe trasformarsi in uno stato d’agitazione generale. La Conferenza dei rettori parla addirittura di “rischio tracollo” del sistema universitario, e già si parla di “sciopero delle lezioni”. Ma il vero problema, secondo l’editorialista del Corriere della Sera, Angelo Panebianco, non è quello dei tagli dal punto di vista
finanziario, bensì l’assenza di un progetto per il rilancio di un’università che da anni langue in uno stato di degrado. Professor Panebianco, cosa non va nelle norme della Finanziaria che riguardano il mondo dell’università? Il problema è presto detto: ci sono solo tagli. In questo modo ci si limita a una semplice riduzione di risorse. Da quel che capisco, i tagli non sono infatti accompagnati da un’alternativa, da un’offerta forte di riorganizzazione del sistema. È solo una questione di calcoli. Viene però introdotta la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazioni: non è una buona alternativa? Avrebbe potuto esserlo, nel caso in cui le università, nell’eventuale passaggio a fondazioni, fossero state libere da condizionamenti. Ma in realtà si è capito che le fondazioni sarebbero vincolate ancora alle regole del sistema pubblico: a quel punto la fondazione diventa un bluff. In che senso le università sarebbero vincolate? Per esempio, un’uni-
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Per il professor Angelo Panebianco nel passaggio da università a fondazione non c’è la possibilità di differenziare gli stipendi per i docenti, che dovrebbe essere invece un’arma fondamentale per attirare i migliori
invece un’arma fondamentale per attirare i professori migliori. Qual è dunque la conseguenza di queste scelte? Il problema è che i tagli sono indifferenziati, e non tengono conto del merito. Gli atenei invece non sono tutti uguali: alcuni hanno ampiamente sforato i tetti di spesa, mentre altri hanno gestito bene le proprie risorse. Questi tagli non premiano chi ha fatto una buona amministrazione; anzi, puniscono tutti, e così facendo si punisce soprattutto chi ha fatto bene. Si manda ancora una volta un segnale che è tipico del nostro Paese: essere virtuosi non conviene. I tagli generalizzati sono ingiusti proprio per questo, perché non premiano i virtuosi e sostanzial-
so di fare quello che scuola e università non hanno mai fatto. Arrivati al limite l’Economia dice: ora faccio io. Ma la contro-domanda è: perché il ministero dell’Economia non ha elaborato insieme ai ministeri competenti le proposte? Ci sono delle specificità dell’università che devono essere prese in considerazione, se si vuole migliorare il rendimento. Se il problema è tagliare e basta, e quale sia l’impatto sul rendimento non ci interessa, il risultato sarà un rendimento nettamene più basso. E un basso rendimento non mi pare sia conveniente, nemmeno in termini puramente economici. Per capire chi sono i virtuosi è necessario però affrontare il nodo della valutazione: come stabilire criteri certi? I tentativi di valutazione messi in atto fino ad oggi hanno dimostrato una grande debolezza. Le classifiche che vengono pubblicate sono totalmente inaffidabili, perché la valutazione – ed è questo il nodo fondamentale – viene fatta solo sulle quantità. Per esempio: un’università può essere definita migliore in base al numero studenti-docenti. Ma questo può derivare dal fatto che quell’università attira poco! Allora quella diventa un’università ben classificata perché è un’università peggiore: proprio l’essere peggiore la premia. Una valutazione basata su criteri quantitativi e numerici ha effetti devastanti sulla qualità. Mentre invece bisogna premiare la qualità, che si misura sulla base della preparazione dei docenti e degli studenti.
Non condivido la protesta dei rettori, perché sembra proteggere lo status quo. Hanno ragione a protestare, ma dovrebbero proporre un disegno alternativo
versità che decidesse di diventare fondazione non avrebbe però la possibilità di regolare ed eventualmente aumentare le tasse in base alle proprie scelte. Questo significa passare a un sistema privato ma senza averne i vantaggi. Mi pare anche che nel passaggio a fondazione non ci sia la possibilità di differenziare gli stipendi per i docenti, che dovrebbe essere
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mente giustificano l’atteggiamento opposto. Quindi niente tagli? Non dico che non si debba tagliare. Io non condivido, ad esempio, la protesta dei rettori, perché mi sembra che vogliano proteggere lo status quo. Hanno ragione a protestare, ma solo se hanno una proposta alternativa. I tagli, se necessari, devono essere fatti, perché i conti devono tornare; ma bisognava tagliare incentivando a essere virtuosi, anche nell’uso delle risorse. Questo mi pare che non ci sia. Però, sul peso dei tagli, viene il sospetto che l’Economia abbia deci-
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Il nuovo decreto è poco efficace e penalizza anche gli atenei virtuosi
Fondazioni, solo un bluff di Tommaso Agasisti l recente D.L. n. 112 contiene alcune disposizioni che incidono, in misura anche rilevante, sul sistema universitario. In particolare, le norme principali riguardano tre aspetti: (1) il blocco del turnover nell’assunzione di personale a tempo indeterminato, (2) la conseguente riduzione di fondi per il finanziamento ordinario (Ffo) delle università, (3) la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazioni di diritto privato. Il blocco del turnover appare una norma in forte controtendenza rispetto al processo di conferimento di maggiore autonomia alle università: impedire agli atenei di utilizzare liberamente le proprie risorse per l’assunzione a tempo indeterminato del proprio personale docente sembra configurare un ritorno della regolazione centrale in un sistema dove, invece, l’autonomia appare oramai un principio irrinunciabile. La legge attualmente vigente (legge 27 dicembre 1997, n. 449) impone un limite di buon senso, prevedendo che la spesa per assegni fissi per il personale non possa eccedere il 90% del trasferimento di Ffo annuale; in altre parole, le università non possono spendere in stipendi più del 90% delle risorse trasferite dallo Stato. Molte università hanno oltrepassato questo limite, generando di fatto una rigidità dei loro bilanci che appare insostenibile. La stessa legge 449/97 prevedeva che, in caso di superamento della soglia del 90% del Ffo, scattasse un blocco automatico per le nuove assunzioni; tuttavia, poco è stato fatto dal lato dei controlli. La norma contenuta nel DL n. 112 probabilmente vuole porre un rimedio a questo fenomeno, ma le modalità pratiche appaiono generiche e inefficaci, perché si applicano a tutti gli atenei in modo indifferenziato. Nei fatti, il provvedimento penalizza non le università che hanno speso male negli ultimi anni, ma quelle virtuose; quelle in cui i costi del personale hanno una incidenza limitata sui bilanci. Questi atenei, che pure avrebbero la possibilità di assumere nuovo personale, con politiche di sviluppo anche mirate, si trovano invece limitate nella propria capacità di spesa.
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Parliamo del presente dell’università: cosa non va, e cosa c’è alla base del basso rendimento attuale? Innanzitutto il “3+2”: bisognerebbe fare una seria discussione su questo, e avere il coraggio di dire, una volta per tutte, che si è fatto un bel pasticcio. Proviamo a pensare ad esempio alla laurea triennale: che cosa sia la tesi nella triennale nessuno lo sa. In certe facoltà la si tratta come una tesi normale, al che non si capisce come possa un povero disgraziato a farsi 22 o 23 esami e in più una tesi, rimanendo in tre anni. Eppure non viene eliminata, per il semplice motivo che bisogna vendere alle famiglie che quella è una laurea, con tutta la ritualità del caso, come la discussione e tutto il resto. Si finge che sia una laurea. Qual è la chiave del rilancio, secondo lei? La chiave, come ho avuto modo di dire recentemente, è passare dagli esami in uscita agli esami in entrata: questa è una soluzione che vale sia per università che per la scuola superiore. Solo così, infatti, si obbligheranno studenti e famiglie a scegliere quelle scuole che permettano un’adeguata preparazione, senza la quale non potrebbero accedere agli atenei migliori. E gli atenei potrebbero finalmente selezionare gli studenti, e quindi poi offrire un’offerta migliore, imporre il vincolo di presenza, pretendere tasse più alte, passare eventualmente ai prestiti d’onore, il tutto su una popolazione selezionata e frequentante. (dal quotidiano online www.ilsussidiario.net)
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ti otterranno una riduzione del proprio finanziamento, esattamente proporzionale a quella degli atenei che hanno speso in modo dissennato. Si dovrebbero differenziare i criteri di riduzione delle risorse statali destinate alle università, tagliando di più agli atenei che hanno speso male e mantenendo invece stabili i livelli di finanziamento delle università “virtuose”. Il problema diviene così quello di definire i criteri migliori per effettuare questa selezione. Se anche le forme di protesta riuscissero a evitare i tagli quest’anno, che ne sarebbe l’anno prossimo? E l’anno ancora venturo? Ipotizzare una reiterazione negli anni della protesta, per avere qualche milione di euro in più all’anno (su un fondo di oltre 7 miliardi di euro) sembra una strada francamente poco produttiva. Se si cominciasse a ragionare su criteri di spesa ritenuti “virtuosi”il dibattito sarebbe più costruttivo.
Infine, la possibilità di trasformare gli atenei in fondazioni private può rappresentare uno stimolo al ripensamento di alcuni problemi delle nostre università. Questa proposta è stata avanzata, negli anni scorsi, da numerosi accademici nonché da vari esponenti politici di destra e di sinistra; è dunque ragionevole ipotizzare che questa idea abbia alcuni aspetti positivi. Così non è, chiaramente, per coloro che vedono nella trasformazione in fondazioni lo “smantellamento dell’università”; per essi infatti qualunque provvedimento in questa direzione sarebbe lesivo della natura “pubblica” dell’istruzione. I vantaggi che si potrebbero ottenere dalla trasformazione in fondazione sono, fondamentalmente, quelli di una maggiore flessibilità nella gestione e di un coinvolgimento di soggetti terzi, pubblici e privati, al finanziamento degli atenei. Occorre però non nascondersi dietro un dito: non è sufficiente ipotizzare la soluzione delle fondazioni per risolvere i vari problemi del sistema universitario, che rimangono aperti: modalità di reclutamento dei docenti, sistemi incentivanti di finanziamento per le performance della produttività scientifica, valutazione della qualità della didattica e della ricerca, ecc. Allo stesso tempo, occorre riconoscere che la trasformazione in fondazioni potrebbe rappresentare, per le università più intraprendenti, la prima opportunità per differenziarsi, ricercando una maggiore autonomia qualità.
Quando si (ri)comincerà a puntare su qualità didattica, ricerca e reale rilancio delle strutture?
Il ragionamento si lega anche con il tema dei tagli finanziari. Il fatto che all’orizzonte si profilasse una riduzione dei finanziamenti statali per gli atenei era ampiamente prevedibile e, sotto il profilo della dinamica della spesa pubblica, si tratta di una prospettiva ineludibile anche per il prossimo futuro. In tutti i paesi industrializzati il trend in atto è quello di un contenimento della spesa pubblica nel settore universitario.Tale trend è giustificato sia dalle politiche restrittive di finanza pubblica comuni a tutti i paesi europei (e non solo); sia dalla natura di “investimento”dell’istruzione universitaria che rende opportuno un aumento dei contributi degli studenti sotto forma di maggiori tasse. I laureati, infatti, ottengono benefici in termini di migliori retribuzioni e di migliore status sociale che giustificano una loro ampia partecipazione ai costi della propria istruzione. Inoltre, i paragoni con i livelli di spesa degli altri paesi europei sono inutili: nessuno ha un debito pubblico come il nostro, e l’esigenza di risanare la spesa pubblica richiede di effettuare tagli in tutti i settori, compreso quello universitario. Richiedere più spesa pubblica, oppure richiedere di non includere il comparto universitario nei tagli, appare inutile e irrealistico. Il problema, dal punto di vista della finanza pubblica non è “se” tagliare, ma “come” e “quanto”. Se sul “quanto”ovviamente è il dibattito politico che deve guidare le scelte, sul “come” la norma desta qualche perplessità. Infatti, ipotizzare un taglio lineare che colpisce tutti gli atenei indiscriminatamente significa definire un incentivo perverso: gli atenei che hanno speso meglio negli anni preceden-
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Per concludere, ritengo dunque che il DL. n. 112 contenga, tutti assieme, elementi ineludibili (il contenimento della spesa pubblica), elementi discutibili e negativi (il blocco indiscriminato del turnover), ed elementi potenzialmente positivi (la possibilità di trasformare gli atenei in fondazioni). La natura del provvedimento, però, è di natura finanziaria e come tale deve essere trattato; la vera discussione non può limitarsi ai soldi e alle regole amministrative, ma deve concentrarsi sugli aspetti “core”, come la qualità di didattica, ricerca, gestione delle proprie attività, rilevanza internazionale dei nostri atenei, valutazione dei docenti e delle strutture. Quando si (ri)comincerà a parlare e riformare, in relazione a questi aspetti? Il timore è che, a forza di decidere (il governo) o di lamentarsi (le università) avendo a mente solo la questione delle risorse finanziarie, si dimentichi che l’università è un’altra cosa. Ricercatore Politecnico di Milano (dal quotidiano online www.ilsussidiario.net)
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politica
Il presidente del senatori del Pdl a Radio Radicale. Inevitabili i commenti (durissimi) di maggioranza e opposizione
Gaffe di Gasparri: «Csm cloaca» di Francesco Capozza
ROMA. Bufera sul presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri che ieri, in un’intervista a Radio Radicale, ha affermato: «La cloaca del Csm correntizzato, partitizzato e parcellizzato è uno scandalo che offende gli italiani». L’ex ministro aennino ha proseguito dicendo che «come presidente dei senatori del Pdl, reputo prioritaria un’equilibrata riforma della giustizia. L’obbligatorietà dell’azione penale è un feticcio teorico, perché poi sono i magistrati a decidere quali processi fare e quali non fare». Ancora: «La separazione delle carriere è un’esigenza prioritaria per restituire maggiore trasparenza alla giustizia, la depoliticizzazione della magistratura è una necessità democratica. Quella seria e laboriosa composta dalla maggioranza dei magistrati - è la prima vittima di quattro guitti che usano le toghe per un’azione di militanza politica, che occupano militarmente il Csm e che non giovano a un’immagine della magistratura oggi fortemente incrinata». Sembra essere un fiume in piena Gasparri, forse non ha nemmeno pensato alla polemica che pochi minuti dopo ha innescato, con il biasimo pressoché unanime delle opposizioni e della magistratura e persino con qualche presa di distanza di colleghi di partito. Una reazione fortissima di censura è arrivata a stretto giro dal presidente dell’Anm Luca Palamara che in merito alle dichiarazioni ha commentato: «I giudici non si faranno trascinare sul terreno dell’invettiva volgare e qualunquista, ma di fronte ai tentativi ormai chiari di delegittimare l’intera magistratura, difenderanno strenuamente la loro indipendenza». Più caustico il professore e avvocato Carlo Federico Grosso, in passato vice presidente del Csm: «Un colpo di sole che non mi pare proprio meriti commenti».
Sul fronte delle opposizioni l’aria che tira è intrisa di biasimo e indignazione, laconico il ministro della Giustizia del governo-ombra, l’esponente del Pd Lanfranco Tenaglia, che a Gasparri replica: «Il vero scandalo sono le dichiarazioni di Gasparri, che dimostrano una totale mancanza di senso e di rispetto delle istituzioni. Criticare l’altrui operato è legittimo, ma la denigrazione intacca lo stesso equilibrio fra i poteri dello Stato». Anche dall’Unione di centro arriva un commento sdegnato da parte del vicepresidente dei deputati, l’avvocato Michele Vietti, che invita «la maggioranza a censurare gli insulti di Gasparri al Csm; se dovessimo valutare la riforma della giustizia annunciata da Berlusconi sulla base delle sgangherate dichiarazioni del senatore Gasparri, dovremo chiudere il discorso ancor prima di averlo aperto». Imbarazzo dal Pdl, i cui più autorevoli esponenti si trincerano dietro un no-comment che sa più di accusa che non di difesa del capogruppo Gasparri, solo la sua vice al Senato, Laura Bianconi, si lancia in una difesa quasi d’ufficio: «La sinistra si appiglia ad un’espressione forte del presidente Gasparri che ha il solo scopo di porre l’accento sullo scandalo di un manipolo di magistrati politicizzati che ha occupato il Csm e rappresenta un degrado per l’intero ordine giudiziario. Proprio per questo motivo diventa sempre più urgente una riforma organica della giu-
Insulti al governo e alla signora Reggiani
Rom: convegno choc nella capitale colloquio con Roberta Angelilli di Antonella Giuli
ROMA. Tira una brutta aria
stizia. Si tratta di problemi che hanno radici antiche tuttavia mai come oggi l’immagine della magistratura è scesa così in basso». Perfino Clemente Mastella, che dopo l’esperienza da Guardasigilli è tornato ad esercitare le sue funzioni di segretario di partito (fuori dal Parlamento), e che da qualche tempo ha deciso di tenere un atteggiamento di basso profilo nei confronti delle beghe politiche ha commentato: «Come non ho condiviso i toni triviali e la logica dell’insulto andati in scena nella manifestazione di Piazza Navona, allo stesso modo non posso assolutamente condividere le espressioni incommentabili di Maurizio Gasparri, ancor più gravi in quanto pronunciate non da un comico ma da un rappresentante della vita istituzionale del Paese. Gasparri non dimentichi che presidente del Csm è il presidente della Repubblica, al quale va la mia personale solidarietà, come pure all’intero organo di autogoverno della magistratura e al suo vice presidente Nicola Mancino», è stato il monito dell’ex ministro della Giustizia del governo Prodi.
Per l’ex ministro di An, la magistratura oggi è «partitizzata. Uno scandalo che offende gli italiani»
Il gelo da parte del suo partito e da tutta la maggioranza, ha poi costretto Gasparri ad un brusco dietro front. In serata è stata diramata una nota in cui il capogruppo del Pdl a palazzo Madama ha precisato che «in riferimento al ruolo del Csm, non intendevo denigrare l’istituzione in quanto tale o chi ne ha la guida operativa. L’espressione, che può essere apparsa indubbiamente eccessiva estrapolata da un vivace contraddittorio radiofonico nel corso del quale sono stato pesantemente ingiuriato con offese inaudite, era collegata alle note polemiche con taluni esponenti del Csm che recentemente hanno assunto iniziative tali da alimentare un acceso dibattito anche in riferimento ai compiti e ai limiti delle diverse istituzioni». Ci viene da tirare un sospiro di sollievo perché, almeno per una volta, non è stato affermato che sono i giornalisti che «interpretano male e mettono in bocca ad altri parole mai pronunciate».
nella rappresentanza italiana della Commissione europea. In una una tavola rotonda dal titolo ”giornata rom: all’insegna del dialogo interculturale in Europa”, organizzata due giorni fa dall’Istituzione comunitaria che fa capo a Barroso in un’afosa aula della facoltà di Fisica nell’università La Sapienza di Roma, sono volate parole molto grosse. «Senz’altro destinate a imbarazzare e trascinarsi dietro dubbi, domande e polemiche», si legge sull’agenzia di stampa ”Inedita” che ha seguito per intero l’evento. Qualche esempio? Insulti al governo, al ministro degli Interni e addirittura una frase a dir poco imbarazzante pronunciata da un relatore sulla signora Reggiani: «Voi italiani dovete farle un monumento con una corona d’oro e di diamanti perché così si sono potuti criminalizzare tutti i rom». Mentre il direttore dell’ufficio italiano della Commissione europea Dastoli rimaneva defilato, si sono scatenate le polemiche di molti eurodeputati. Ne abbiamo parlato con il capodelegazione di An al Parlamento europeo, Roberta Angelilli. Onorevole, la ”questione rom” continua a infuocare la politica come ”le piazze”... Purtroppo sì, ma durante un incontro istituzionale organizzato da un’istituzione super partes come la Commissione europea, non dovrebbero poter volare insulti come quelli indirizzati ieri pomeriggio nei confronti del governo. Mi aspettavo un comportamento più severo e istituzionale da parte del direttore Dastoli. Non si possono liquidare insulti e parolacce come un civile e democratico scambio di idee. E le parole sulla signora Reggiani?
Quella frase mi ha profondamente ferito anzitutto come donna. Non è consentito a nessuno fare battute o simili illazioni su un caso così tragico dove una donna è stata prima violentata e poi uccisa. Pare siano volati insulti anche alla moderatrice del convegno, la collega Manganaro del Sole24Ore, la cui colpa, a detta dei partecipanti, era quella di lavorare in un “giornalaccio pagato da Confindustria”. E che qualcuno abbia definito Maroni come un “ministro di polizia di un esecutivo di fascisti”... Frasi incommentabili. Insomma un convegno a dir poco imbarazzante... Sinceramente mi sarei aspettata una gestione diversa di questo convegno. Mi sono battuta per aggiungere nella strategia europea sui minori la questione dei bambini rom che vivono una situazione di gravissima emergenza umanitaria e sanitaria. E ho sempre organizzato audizioni aperte a 360 gradi. Questa volta non è andata proprio così. Anche ieri mattina, durante un incontro a porte chiuse nella sede della Commissione europea, sono volate parole grosse contro il governo e anche qualche insulto alla sottoscritta, approfittando della mia assenza. La politica europea riuscirà a fare luce e a dare un giusto indirizzo sulla “questione rom”? Bisogna smetterla con le polemiche politiche e con questa impostazione ideologica. E’ arrivato il momento di passare ai fatti e assicurare, tra le altre cose, a settembre, ai minori rom il diritto alla scolarizzazione e un piano per le vaccinazioni.
bioetica
19 luglio 2008 • pagina 7
Camera e Senato sollevano un conflitto di attribuzione con la Cassazione
Anche il Parlamento deve portare l’acqua a Eluana di Luisa Santolini segue dalla prima Parole difficili e concetti complicati davanti ai quali si rischia che il comune lettore interessato alle vicende parlamentari rinunci a capire, delegando in qualche modo ad altri o meglio agli addetti ai lavori il compito di districare l’ingarbugliata matassa. Non è così e siccome si tratta di questioni vitali, una presa di coscienza collettiva è quanto mai urgente e necessaria, e dunque abbiamo il dovere di spiegare in parole semplici il nodo della questione. Tutti i giornali ne parlano e dunque vale la pena che anche questo quotidiano torni sull’argomento già ampiamente trattato e faccia intendere come si stiano evolvendo le cose. Come è noto Eluana Englaro, in stato vegetativo da 16 anni, con un pronunciamento della
“Scienza e Vita” la prima ”sentenza capitale” nella storia dell’Italia repubblicana. Migliaia e migliaia di persone si sono mobilitate per impedire questo gesto, associazioni laiche e cattoliche, credenti e non credenti, televisioni e giornali di tutti gli orientamenti, esperti giuristi e medici, vescovi e docenti universitari, eminenti ex presidenti della Corte Costituzionale o ex Presidenti della Repubblica, si stanno muovendo cercando di argomentare le loro posizioni a favore o contro. Una corsa contro il tempo perché il papà di Eluana vuole procedere a tutti i costi e nel più breve tempo possibile.
In questo clima è maturata la decisione di attivare al Senato e alla Camera le procedure necessarie per sollevare un eventuale conflitto di attribuzione davanti alla Corte CostituzioUna corsa contro il tempo perchè il papà di Eluana vuole procedere a tutti i costi e velocemente per dar corso alla sentenza di Milano
Corte d’Appello di Milano, che si rifà ad una sentenza della Cassazione dell’anno scorso, potrà essere privata della alimentazione e della idratazione, che avvengono con un sondino, e quindi condotta a morte in quanto il suo stato è irreversibile e in quanto avrebbe espresso questa volontà quando era in grado di intendere e di volere.
Sono ormai giorni e giorni che esperti di tutte le discipline discutono su questa tragica decisione sollecitata da anni dal padre di Eluana. Sarebbe il primo caso di eutanasia del nostro Paese e per dirla con
nale tra il Senato (e la Camera) e la Corte di Cassazione per invasione da parte di quest’ultima nella sfera di poteri attribuiti costituzionalmente al Parlamento. In altre parole il potere di scrivere e varare le leggi è solo del Parlamento, i magistrati hanno il dovere di farle applicare e di tutelare i cittadini davanti a una loro distorta interpretazione, ma non possono in nessun modo sostituirsi ai poteri vigenti facendo atti sostanzialmente legislativi con la scusa di un vuoto legislativo che esiste in Italia sulla questione. È come se avessero detto: siccome il Parlamento non ha fatto una legge a tal
proposito (va ricordato che durante tutta la scorsa legislatura è stato fortissimo il dibattito in Senato tra chi proponeva il testamento biologico e chi vi si opponeva con tutte le forze perché lo prefigurava come anticamera della eutanasia; dunque se non c’è una legge è per una ragione ben precisa non per una distrazione ) ci pensiamo noi a colmare tale vuoto e diamo le norme in base alle quali è consentito “sospendere il trattamento” (alias togliere la vita) ad una persona anche se non è un malato terminale come è il caso di Eluana. Da qui la decisione del Senato e della Camera di sollevare il problema rispettivamente lunedì e mercoledì della prossima settimana. Vedremo cosa succederà; intanto registriamo che sia al Senato che alla Camera la richiesta è stata trasversale e firmata da parlamentari di tut-
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Nella scorsa legislatura è stato fortissimo il dibattito a Palazzo Madama tra chi proponeva il testamento biologico e chi vi si opponeva prefigurandolo come anticamera dell’eutanasia
Sia al Senato che alla Camera la richiesta di attivare le procedure necessarie per sollevare un eventuale conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale è stata trasversale
ti i gruppi. Il linguaggio come dicevo all’inizio è astruso, ma i cittadini devono sapere che si sta facendo una battaglia di civiltà e di giustizia, perché il diritto, per essere tale, deve avere come bussola la difesa dei più deboli (i forti si difendono da soli con la forza della loro forza) e non può essere usato come una clava per affermare principi che stravolgono la Costituzione, il vivere civile e l’Ordinamento costituito.
Nel frattempo anche la società civile si è mossa e sia a Milano che a Roma continuano le iniziative per portare nelle Piazze simbolo di queste
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L’appello è a tutti i lettori di farsi parte attiva di un movimento che si ispiri al principio della indisponibilità della vita e ai principi della libertà e della solidarietà
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città bottiglie di acqua per Eluana. Da qui l’appello a tutti i lettori di questo giornale di farsi parte attiva di un movimento che si ispiri al principio della indisponibilità della vita e ai principi della libertà, della solidarietà e della responsabilità rettamente intesi. Cosa dire di fronte alla testimonianza di Salvatore Crisafulli a cui era stato più volte diagnosticato lo stato di vegetativo permanente e che dopo due anni di coma si è risvegliato ed ora vuole “gridare a tutto il mondo il mio straziante e silenzioso urlo: questa sentenza di morte emessa nei confronti di Eluana è una sentenza agghiacciante. Durante il mio stato veAnche la società civile si è mossa e sia a Milano che a Roma continuano le iniziative per portare nelle Piazze simbolo di queste città bottiglie di acqua per Eluana
getativo sentivo di avere fame e sete, sentivo ma nessuno mi capiva. Capivo cosa mi succedeva intorno ma non potevo parlare o muovermi, imprigionato nel mio corpo. Sentivo i medici dire che ero un vegetale e che i miei movimenti oculari erano casuali e invece sentivo irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la mia voglia di vivere”. Possibile che il dubbio non possa fermare chi staccherà quel sondino? Se Eluana sarà portata a morire di fame e di sete si aprirà una nuova era cinica e crudele: facciamo tutto quanto è possibile perchè questo non accada.
pensieri
pagina 8 • 19 luglio 2008
È diventato uno spauracchio per ogni riforma
Vade retro referendum di Massimo Tosti er chi avesse la memoria corta, i referendum abrogativi – per un ventennio abbondante – hanno rappresentato una prassi. Gli elettori venivano chiamati a esprimere il proprio parere sulle materie più improbabili: una volta (nel 1990) si votò sui pesticidi, un’altra (nel 1993) si abolì il ministero dell’Agricoltura (rinato come l’araba fenice sotto altro nome), un’altra ancora (nel 1997) sulle “golden share” (un oggetto misterioso per la maggioranza dei cittadini), e un’altra ancora (nel 2003) sul passaggio degli elettrodotti sul territorio. Ci sono stati periodi bulimici nei quali i comitati per i referendum (per lo più promossi dai radicali) raccoglievano le firme su dieci (o venti, o trenta) argomenti alla volta. Fra un pesticida e l’altro, naturalmente, ci sono stati ri-
P
chiami alle urne che hanno mobilitato le passioni più profonde dell’opinione pubblica: fu il caso del divorzio (nel 1974), dell’aborto (1981), delle leggi elettorali e del sistema elettorale (1991 e 1993). Ma l’abuso dei referendum ha finito per stancare l’opinione pubblica, e in molti casi non è stato raggiunto il quorum necessario (il 50 per cento degli aventi diritto al voto) con il risultato di vanificare
ti che si fermarono però a un passo dal fatidico 50 per cento (49,6); la sfangò – più o meno alla stessa maniera – la legge sull’Ordine dei giornalisti, salvando una delle Caste (quella che ci riguarda direttamente) esistenti nel nostro Paese. Adesso c’è un’altra Casta (quella, per così dire, principale) che si agita parecchio per scongiurare il parere degli elettori. Nella primavera dell’anno prossimo si dovrebbe votare per l’abolizione della legge elettorale vigente (il cosiddetto “porcellum”). Sarebbe ineluttabile: Già indetto dalla Corte di Cassazione per la primavera appena trascorsa, è saltato a causa della fine prematura della legislatura. Ma i plenipotenziari dei vari partiti (me-
Dalla giustizia al federalismo: per tutti i dossier l’unica ansia dei partiti è evitare che si pronuncino gli elettori maggioranze quasi bulgare che avrebbero cassato leggi sgradite alla stragrande maggioranza dei cittadini: nel 1999 la quota proporzionale nel sistema elettorale per la Camera fu bocciata dal 91,5 per cento dei votan-
no, per fortuna, di quelli presenti in parlamento fino a tre mesi e mezzo fa) sono al lavoro per imbastire una nuova legge che renda inutile il referendum. E questo era già previsto e, in qualche modo, scontato. Ma ci sono altri temi scottanti sui quali l’atteggiamento dei partiti è fortemente condizionato dal rischio di una successiva procedura referendaria. I progetti della maggioranza sulla riforma della Giustizia e sul federalismo risentono di questa paura. Ormai anche l’opposizione (fatta eccezione per Di Pietro, che nell’aula di Montecitorio, e nei comizi di piazza Navona indossa di nuovo – almeno metaforicamente – la toga riposta in naftalina nel 1994) ammette che si debba fare qualcosa per ridare certezza del diritto (penale e, soprattut-
to, civile) a un Paese messo in ginocchio dalla lentezza biblica dei processi e dalle frequenti esondazioni del potere giudiziario. Anche le legittime aspirazioni federali della Lega trovano consensi fra i riformatori del centrosinistra. Ma – in un caso e nell’altro – si mira a un accordo che scongiuri la ribellione di altre caste con il conseguente spauracchio del referendum. La discussione, l’approfondimento e il consenso fra maggioranza e opposizione sono, naturalmente, auspicabili. Ma è altrettanto auspicabile che l’obiettivo sia quello di migliorare i progetti di riforma e non – più miseramente – quello di evitare il confronto con gli elettori, allargando il fosso che già divide il cosiddetto Paese legale dal Paese reale. Accordi sì, inciuci no.
Da Sydney Benedetto XVI invita a non slegare libertà e verità
Il Papa conquista anche gli anglicani mare non significa nascondere la verità. Con queste parole, rilasciate ad Avvenire, il vescovo anglicano ausiliare di Sidney monsignor Robert Forsyth coglie in pieno l’essenza del viaggio australiano di Benedetto XVI. Fermezza e speranza. Il mondo non è più abituato ad associare queste due parole, si è diffusa una sorta di incapacità ad aderire alla verità si è smarrita la voglia di ricerca del vero, del bello e del bene. Il cardinale Camillo Ruini spiega a Il Foglio (17 luglio 2008) «che la testimonianza cristiana non può ridursi al dialogo né essere condizionata nei suoi contenuti dal consenso» e che «tra i credenti, e a volte nel clero stesso, manca la consapevolezza della forza decisiva della parola di Dio. La Chiesa non può cambiare certe posizioni proprio perché ritiene che siano espressione di quella verità che non le appartiene e da cui essa stessa viene giudicata. D’altra parte, è altrettanto fondamentale l’istanza di carità. Al di fuori di un’ottica cristiana questo è più difficile da intendere. Il cristianesimo dice di amare i nemici e così mostra di non essere un’ideologia, che invece contrappone sempre amico e nemico. Il cristiano vuole sempre proporre la verità con carità».
A
La sintonia con Benedetto XVI e con la Giornata Mondiale della Gioventù 2008 è profonda. Nel primo discorso di Barangaroo, il Papa ha con franchezza detto ai giovani che
di Andrea Capaccioni ci si può sentire inadeguati, come lo sono stati gli apostoli, e nello stesso tempo santi. Basta cercare, anche “a tentoni” aggiunge, e riconoscere che la strada che indica Dio è quella giusta. La Chiesa «come casa vostra» è pronta ad accogliere. Una Chiesa che si riconosce anche peccatrice (il mea culpa per i casi di pedofilia emersi anche tra ecclesiastici australiani) ma che non per questo è meno fedele alla sua missione. Il Papa esorta i giovani a diffidare da chi separa libertà e tolleranza dalla verità. Nel suo discorso inserisce poi una breve ma lucida analisi del secolarismo: un’ideologia strisciante, apparentemente portatrice di equilibrio e
Il vescovo anglicano ausiliare di Sidney monsignor Forsyth ha colto l’essenza del viaggio di Benedetto XVI relazioni corrette. Non è così. «Vi sono molti, oggi», scrive Benedetto XVI «i quali pretendono che Dio debba essere lasciato ‘in panchina’e che la religione e la fede, per quanto accettabili sul piano individuale, debbano essere o escluse dalla vita pubblica o utilizzate solo per perseguire limitati scopi pragmatici. [...]Se Dio è irrilevante nella vita pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio, e il dibattito e la politica riguardanti il bene comune saranno condotti più alla luce delle conseguenze che a dei principi radicati nella verità». Ma Dio c’è e agisce attraverso la Chiesa che ha il compito di ricordare che «quando Dio viene eclis-
sato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il ‘bene’ comincia a svanire». In questo modo è comprensibile anche la lettura ecologista del discorso del Papa. Diversi gli spunti sulle «ferite che segnano la superficie della terra: l’erosione, la deforestazione, lo sperpero delle risorse minerali e marine per alimentare un insaziabile consumismo».
Queste riflessioni nascono poi da un fatto personalissimo che il Papa stesso svela. Nel corso di un viaggio che lo ha molto provato, Ratzinger parla di apprensioni probabilmente riferite alle difficoltà che incontra negli spostamenti, egli ha potuto riscoprire la bellezza dei paesaggi che potevano essere ammirati dal finestrino dell’aereo. Alla bellezza del Creato però spesso si contrappone la volontà di violenza di un certo modo di intendere i rapporti con la natura. Quando l’uomo decide di sostituirsi a Dio può succedere anche che ciò che è “buono” può apparire minaccioso e pertanto intervenire per modificarlo se non distruggerlo. «La creazione di Dio» conclude il Papa «è unica ed è buona». «Le preoccupazioni per la non violenza, lo sviluppo sostenibile, la giustizia e la pace, la cura del nostro ambiente sono di vitale importanza per l’umanità.Tutto ciò non può però essere compreso a prescindere da una profonda riflessione sull’innata dignità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, una dignità che è conferita da Dio stesso e perciò inviolabile. Il nostro mondo si è stancato dell’avidità, dello sfruttamento e della divisione, del tedio di falsi idoli e di risposte parziali, e della pena di false promesse».
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parole
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Il presidente Gianni Petrucci ha dimostrato poca sensibilità sulla vicenda Tibet: «I regolamenti non lo consentono...»
L’insostenibile leggerezza del Coni di Aldo Forbice iovedì scorso si doveva svolgere una manifestazione, promossa da Amnesty Internazional, davanti alla sede dell’ambasciata cinese di Roma. Ma, all’ultimo momento, i dirigenti dell’organizzazione umanitaria sono stati avvertiti che la prefettura non concedeva l’autorizzazione per i soliti “motivi di ordine pubblico”. È evidente che l’ambasciatore della Repubblica popolare cinese si era dato molto da fare per impedire “fastidiose” contestazioni da parte di un’organizzazione che in Cina è vietato persino cercare su internet perché il suo sito è stato cancellato.
G
Alla manifestazione aveva aderito anche Zapping, la trasmissione radiofonica che conduco, che sta per terminare una campagna su “Olimpiadi e diritti umani in Cina” (ha raccolto 70mila firme in quattro mesi). Amnesty, a quel punto, ha indetto una conferenza stampa nella sua sede per fare un bilancio della sua campagna e delle iniziative di solidarietà portate avanti a favore dei difensori dei diritti umani incarcerati in Cina. Ed ha chiesto un incontro con l’ambasciatore, senza ottenere risposta, per la consegna di tutte le adesioni e di altri documenti. Ai giornalisti è stato illustrato tutto il materiale filmato, fotografico, la raccolta di firme ma anche un’interessante “Guida per l’atleta informato”: un depliant che sarà consegnato a tutti gli atleti italiani che si recheranno a Pechino, con tutte le notizie essenziali di tipo turistico (comprese le “lezioni di bacchette”), ma anche quelle relative ai diritti umani: la pena di morte, le detenzioni arbitrarie e i maltrattamenti, la libertà d’espressione vilipesa, la persecuzione dei difensori dei diritti umani, i diritti violati, i divieti su internet. La “Guida” è stata realizzata, dopo una serie di incontri con i responsabili del Coni che hanno acconsentito a consegnarla agli atleti. Forse però i dirigenti di Amnesty farebbero bene, da qui alla partenza dei nostri atleti per Pechino (la seconda o la terza rappresentanza per consistenza numerica), a controllare che effettivamente i depliant gialli vadano nelle mani degli atleti. L’impressione è che i “control-
Il presidente del Coni, Gianni Petrucci, insieme con il ginnasta Igor Cassina, uno degli atleti più rappresentativi della spedizione azzurra a Pechino 2008
lori” italiani censurino il materiale di informazione per paura che lo facciano i cinesi nelle ispezioni all’aeroporto, oppure negli alberghi o all’interno degli impianti sportivi. In quest’ultimo caso si teme che gli atleti rischino l’espulsione, in base ai nuovi rigidi regolamenti delle autorità cinesi concordate col Cio (il Comitato olimpico internazionale).
Del resto, la settimana scorsa proprio il presidente del Coni, Gianni Petrucci, si è precipitato dal palco della presidenza di un convegno alla Fnsi, su informazione e Olimpiadi, per cercare di impedire che un giornalista sportivo consegnas-
no; mi guarderò in giro e mi comporterò di conseguenza». Ma il presidente del Coni ci è sembrato piuttosto infastidito da questo apprezzabile, umanissimo, intervento. Ed ha ricordato che Amnesty International aveva chiesto un gesto di solidarietà, un segnale, un simbolo (un braccialetto rosso?) di solidarietà con la lotta dei tibetani, che caratterizzasse la nostra rappresentanza sportiva, ma – ha osservato – «non potevamo accogliere quella proposta perché i regolamenti non lo consentono…». Sarebbe facile rispondere a Petrucci che quando mai i “regolamenti” hanno previsto forme di contestazioni o critiche, anche le più
Amnesty ha realizzato una ”Guida per l’atleta informato” da consegnare agli azzurri che parteciperanno a Pechino 2008 con una serie di notizie su divieti, maltrattamenti e violazioni se a un notissimo atleta italiano una bandiera del Tibet. Per ovvie ragioni non riveliamo il nome dell’atleta che abbiamo apprezzato molto perché, nel suo breve intervento, ha detto: «Io prendo in consegna questa bandiera che terrò in Italia. Sono felice di essere un atleta. E le Olimpiadi di Pechino rappresentano una grande opportunità professionale per me e spero di portare a casa una medaglia. Non posso dimenticare però che sono un essere uma-
moderate? Forse però era possibile escogitare una qualche forma di solidarietà con i tibetani in lotta (275 morti, 1300 feriti, oltre 8mila arrestati solo nel marzo scorso, oltre a centinaia di condanne, comprese una decina di ergastoli), in linea con i regolamenti.
Bisognava forse negoziare con Liu Qui, il potentissimo presidente del comitato organizzatore delle Olimpiadi (Bocog), coinvolgendo anche il
Coi, un organismo presieduto da Jacques Rogge («eletto con i voti dell’Asia, portati dalla Cina», ha denunciato qualche giorno fa Pietro Mennea, l’ex primatista del mondo dei 200 metri). Il discutibile Rogge, per la verità, non ha mai elevato in sette anni (cioè dal 2001, anno di assegnazione dei giochi olimpici a Pechino), alcuna protesta e tanto meno minacce di fronte alle clamorose inadempienze cinesi.
Il Cio è stato definito dai suoi critici un “Comitato d’affari”e negli ultimi anni si è molto screditato nel giudizio delle organizzazioni sportive nazionali di tutto il mondo. Com’è noto, la situazione dei diritti umani è tutt’altro che migliorata in Cina, con la sola eccezione (ma, ovviamente è tutta da verificare) della pena di morte. Il regime comunista ha deciso l’anno scorso di accentrare nella Corte suprema del popolo le sentenze capitali definitive comminate dai tribunali. Tutto questo dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) ridurre di almeno il 10 per cento il numero delle esecuzioni, ma chi potrà verificare tutto questo se la pena di morte è ancora un segreto di Stato, nel senso che le cifre delle esecuzioni sono rigidamente tenute riservate? La situazione complessiva, fa notare Paolo Pobbiati, presidente di Amnesty Italia, in realtà è molto peggiorata: prima non si conosceva la persecuzione dei difenso-
ri dei diritti umani; abbiamo visto l’escalation della repressione sui tibetani e sulle altre minoranze etniche e religiose; non era nota neppure la rigida censura su internet, le centinaia di arresti di internauti cinesi e il rigido controllo del lavoro dei giornalisti stranieri. Ora vengono imprigionati anche centinaia di cittadini cinesi che protestano quasi quotidianamente contro i soprusi del potere pubblico e politico, contro le arbitrarie demolizioni di case per far posto a impianti e attrezzature olimpiche. Persino gruppi di attivisti che hanno presentato petizioni, cioè lettere di denuncia – come si faceva già ai tempi degli imperatori cinesi – alle autorità., sono stati arrestati.
Ma il regime non sente ragioni per realizzare l’obiettivo di presentare l’immagine di modernità della Cina sulla platea mondiale. L’8 agosto si apriranno le Olimpiadi più spettacolari della lunga storia di questa competizione mondiale (solo quella serata costerà 200 milioni di euro). La Cina celebrerà, insieme all’apertura dei Giochi olimpici 2008, i suoi 5000 anni di storia. Bush, Sarkozy, Berlusconi e gli altri capi di Stato e di governo ne sono consapevoli e, in un certo modo, ne sono “complici”. I diritti umani? Possono aspettare: magari ne riparliamo alle prossime Olimpiadi in un’altra parte del mondo.
mondo
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WASHINGTON. È sicuramen-
Colorado, Virginia, Ohio, Nevada e Michigan: la partita si gioca qui
te troppo presto per capire chi sarà il vincitore della corsa alla Casa Bianca; certamente non si è potuto prevederlo con largo anticipo e resta da capire se si potrà prevedere entro poche settimane o se rimarrà invece incerto da qui al giorno delle elezioni. Ma se la gara rimanesse aperta fino alla fine, bisogna tenere d’occhio quei quattro o cinque Stati che potrebbero risultare determinanti e dunque rivelare chi occuperà prossimamente la Stanza Ovale. Questi sono: Colorado, Virginia, Ohio, Nevada e Michigan. Chiariamo una cosa: non sto dicendo che questi sono gli Stati in cui la corsa sarà più serrata. Ma letti nel loro insieme sono in grado di dirci se il senatore Barack Obama (Illinois) sia stato rafforzato dagli Stati “portati in dote” da John Kerry e Al Gore, così da guadagnare almeno 270 voti elettorali o se il Senatore McCain (Arizona) abbia mantenuto in-
Kerry se lo aggiudicò per 5,708 voti su 2.6 milioni. Il Penn State è decisamente in bilico, ma quello sul quale McCain rischia ragionevolmente di scivolare è il Michigan. Anzi, al momento nessuno punterebbe su una sua vittoria lì. Ma non bisogna dare retta ai rumors e sondaggi, perché il Michigan ha qualcosa che nessuno degli altri due Stati ha: un governatore democratico debole e un umore sociale disperato, provocato da un’economia decimata. Lo Stato versa in condizioni critiche da talmente tanto tempo – e decisamente da prima del crollo recente dell’economia – che gli elettori potrebbero davvero aver voglia di provare un governo nuovo, come quello che promette McCain. Ricapitolando: tenete d’occhio Colorado, Virginia, Ohio, Nevada e Michigan mentre guardate e leggete i sondaggi.Vi daranno più informazioni che i numeri nazionali.
5 Stati ”rischiatutto” per Obama e McCain di Stuart Rothenberg tegra la “coalizione”del collegio elettorale di George W. Bush del 2000 e del 2004 o se sia stato capace di compensare una o due perdite con uno Stato, elettoralmente parlando, democratico.
Colorado e Virginia sono nella lista perché - benché abbiano sostenuto entrambi le due elezioni di Bush - tendono maggiormente a spostarsi in favore di Obama. Non in modo uguale: sondaggi alla mano, al momento Obama rosicchia terreno in Colorado e corre alla pari con McCain in Virginia, dove - va segnalato i valori del Gop sono davvero ben radicati. Eppure, nonostante la tensione democratica-obamiana del Colorado, non è affatto possibile escludere un rovesciamento dei sondaggi e ipotizzare un netto ribaltamento della situazione: ovvero l’assegnazione del Colorado a McCain e della Virginia a Obama. E questo perché la speranza di vittoria del candidato democratico sta tutta ai margini: nelle elites dei sofisticati elettori bianchi che dalle ultime amministrative del 2006 hanno guadagnato terreno e che oggi sono attratti dal messaggio Change, we can believe in. Ma inutile nasconderlo: amministrative e presidenziali sono due “gare” punto diverse e non sovrapponibili come “umore” della gente. Dunque, se Obama non riuscisse a imporsi in uno dei due Stati, i suoi conti rischierebbero di non tornare. Ancora più rilevante sarebbe l’ipotesi di un paio di vittorie di McCain, indice non solo di sostanziali passi avanti per i repubblicani tra giugno e novembre, ma soprattutto un brutto segno per Obama a livello nazionale. Non è invece una novità l’inserimento dell’Ohio nella top five elettorale: John Kerry lo perse per 118 voti, e se avesse mantenuto il Buckeye State (soprannome dell’Ohio, il buckeye è un albero) ora sarebbe in gara per essere rieletto. Det-
to questo, i Rep in questi ultimi 18/24 mesi hanno avuto seri problemi in Ohio, perdendo tutte le cariche più importanti sia al Senato che al Congresso. La crisi economica ha fatto il resto, aprendo alla spinta positivista di Obama. Ne deriva che se McCain riuscisse a mantenere il Buckeye repubblicano, cià testimonierebbe i limiti dell’appello di Obama, sia verso i cosiddetti Reagan democrats, sia - più in generale - verso gli indecisi. Il Nevada ha dimostrato di essere uno degli Stati più competitivi nelle passate sfide per la Casa Bianca, quindi diventa automaticamente un leader indiscusso delle elezioni presidenziali 2008. Roccaforte conservatrice e repubblicana, lo Stato conta anche un’importante enclave di ispanici, sindacalisti e democratici moderati. Bush vinse in Nevada nel 2004 con il 50,5 percento dei voti e nel 2000 col 49,5 percento. Bill Clinton lo vinse due volte, anche se di pochissimo. Se Obama si aggiudicherà il Nevada è probabile che si porterà a casa anche altri Stati a tendenza Rep. e potrebbe dunque diventare il prossimo presidente degli Stati Uniti.
Bush vinse in Nevada nel 2004 con il 50,5% dei voti e nel 2000 col 49,5%. Bill Clinton se lo aggiudicò due volte, anche se di pochissimo. E adesso lo Stato a chi andrà?
Infine c’è il Michigan, probabilmente la miglior chance di McCain di aggiudicarsi uno Stato che nelle due ultime elezioni presidenziali ha votato per i democratici. Dato che dunque lo inserisce di diritto in questa breve lista di Stati profetici. Se McCain replicherà il successo dei voti elettorali decisivi di una delle due coalizioni di Bush, non dovrà preoccuparsi del Michigan, della Pennsylvania o del Wisconsin, ognuno dei quali votò per i democratici sia nel 2000 che nel 2004. Ma se Obama si riprenderà gli Stati che Kerry e Al Gore hanno perso, la questione cambia e McCain dovrà estorcerne uno o due che sono sulla lista dei democratici per arrivare ai 270 voti elettorali. Dei tre Stati del Midwest (Wisconsin. Michigan e Pennsylvania), i risultati nel Wisconsin delle ultime due elezioni fanno realisticamente pensare che appoggerà McCain. Dopo tutto, quando Gore e Kerry lo vinsero i margini erano più che ridicoli, basti pensare che
mondo
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Il Kuwait riapre un’ambasciata a Baghdad: la prima dopo l’invasione di Saddam del 1990
Iraq, crocevia del dialogo mediorientale di Antonio Picasso
d i a r i o a notizia che il Kuwait nominerà un nuovo ambasciatore in Iraq, l’ex Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate, il generale Ali al-Mumin, ha il sapore della svolta storica. Non solo per le relazioni tra i due governi, che non si scambiavano credenziali diplomatiche dal 1990, ma per tutto il contesto regionale. La decisione dell’emiro kuwaitiano segue a ruota quella di altri quattro Paesi arabi – Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti e Giordania – oltre che dell’Organizzazione per la Conferenza Islamica (Oci) e anticipa, solo di poco, la riapertura del dialogo fra Baghdad e Il Cairo. A queste si aggiunge l’atteso viaggio in Iraq del premier libanese Siniora. La sequenza dei fatti merita un’attenzione particolare perché indica quanto in Iraq le cose stiano cambiando. Lentamente, questo è certo, ma anche in modo progressivo. Perché se un governo decide di riaprire la sua sede diplomatica in un Paese a rischio, significa che il livello di sicurezza, da parte di quest’ultimo, può essere garantito. Magari non in maniera totale – l’Iraq infatti è ben lontano dall’essere pacificato – tuttavia i presupposti per un futuro miglioramento ci sono. La decisione di questi governi arabo-sunniti poggia però anche su altre motivazioni. Dagli accordi di Doha per la risoluzione della crisi libanese, ma forse anche da prima, con la partecipazione di massa dei governi arabi alla Conferenza di pace di Annapolis (novembre 2007), stiamo assistendo a una nuova e massiccia co-azione diplomatica tra i Paesi di confessione sunnita. Dopo le sedimentate rivalità – per esempio tra Arabia Saudita ed Egitto, oppure tra Libano e Siria – sembra che si sia tornati al dialogo.
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Il fenomeno ha come giustificazione l’obiettivo di reagire a quella che molti considerano una rivalsa sciita in seno all’Islam, dovuta alla crescita politica dell’Iran. Tuttavia non va visto solo in chiave antiTeheran. Anche se i forti legami tra il regime degli ayatollah con le enclave sciite distribuite fra Libano, Penisola arabica, Afghanistan, fino a quella in Algeria, devono aver scosso i governi sunniti. Ma nello specifico caso dell’Iraq, va detto che la scelta appare soprattutto in controtendenza a un processo di estrema precarietà per quanto riguarda la presenza sunnita, locale e straniera, sul territorio nazionale. Già nel 2003, la sicurezza delle sedi diplomatiche arabe a Baghdad era stata messa in discussione. Le operazioni di guerriglia, in particolare
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g i o r n o
Iran, Mottaki apre agli Usa Mentre Kouchner mette in guardia dal farsi aspettative troppo ottimiste rispetto alle aperture di Teheran, il collega iraniano Manouchehr Mottaki ha fatto capire che il suo Paese segue con attenzione e interesse le nuove mosse americane. Ieri ad Ankara, Mottaki, dopo un incontro con il ministro degli Esteri turco Ali Babacan, ha detto di prendere in considerazione lo stabilimento di voli diretti tra Teheran e Washington. I due Stati non intrattengono rapporti diplomatici dal 1979. Per il ministro iraniano la partecipazione Usa ai colloqui sul nucleare di Teheran è un «fatto positivo». È da augurasi - ha detto Mottaki - che il nuovo formato delle trattative si rifletta anche nei suoi contenuti.
Israele, sgominata una cellula di al Qaeda
La decisione segue a ruota quella di altri 4 Paesi arabi: Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e Giordania quelle firmate da “al-Qaeda in Iraq”, provocarono la morte dell’ambasciatore giordano nel 2003 e di quello egiziano, nel 2005. D’altra parte, furono tutti i Paesi arabi a essere obiettivo dell’organizzazione a quei tempi guidata da al-Zarqawi. Di pari passo, il processo di debaathificazione dell’establishment iracheno e la nascente coalizione tra Usa e comunità sciita, da cui nacque il primo governo iracheno post-Saddam, aumentarono le complicazioni. I governi arabi, in primis quello saudita, che avevano sposato la causa dei loro confratelli in armi, si trovarono sempre più isolati. I sunniti iracheni, a loro volta, invisi agli sciiti, lasciati soli da Washington, attaccati da al-Qaeda e compromessi con il precedente regime Baath – quando peraltro nel mondo arabo Saddam Hussein era tutto fuorché apprezzato – si sentirono completamente persi.
Oggi questa insicurezza generale si sta riducendo. Il ritorno della componente sunnita nel governo di unità nazionale presieduto da alMaliki ha segnato l’inizio del processo di reintegrazione nella gestione del Paese. Ne è scaturito il consequenziale contenimento della forte influenza sciita. Siamo alle prime fasi della normalizzazione della politica irachena. Sebbene la guerriglia sia ancora attiva, le forze
Sopra, il primo ministro del Kuwait Nasir Muhammad alAhmad al-Sabah assieme a Nouri al-Maliki, primo ministro iracheno in campo stanno cercando il confronto e la collaborazione nelle sedi istituzionali. Tutto questo ha permesso un ritorno di interesse appunto da parte dei Paesi arabi. La riapertura delle relazioni diplomatiche va interpretata come una ripercussione, nel campo delle relazioni internazionali, di un trend più che positivo della politica interna del Paese.Va detto, in aggiunta, che ciascuna decisione dei singoli governi di riaprire il dialogo con l’Iraq presenta la sua peculiarità. Il gesto del Kuwait è il più importante, ma non possono essere sottovalutati quelli egiziano e giordano. Caso del tutto particolare è quello libanese. In questi giorni è in visita a Baghdad Saad Hariri, il leader sunnita della maggioranza del governo Siniora. Scopo del viaggio preparare l’incontro fra quest’ultimo e al-Maliki. Entrambi gli esecutivi devono destreggiarsi in un precario equilibro fra le comunità religiose che li caratterizzano. Facile pensare, quindi, che Iraq e Libano cerchino un reciproco sostegno. Una postilla. Al-Maliki sta trattando con i sunniti per un compromesso sulla legge per l’amministrazione delle risorse e la spartizione dei proventi derivanti dagli idrocarburi. Non è da escludere che i governi vicini, partner dell’Iraq in sede Opec, vogliano consolidare i rapporti diplomatici anche per ragioni economiche. Analista Ce.S.I.
Per la prima volta cittadini di Gerusalemme vengono accusati di avere contatti con la rete islamista-terrorista. Secondo quanto riferito dai servizi segreti dello Shin Bet, tra gli arrestati vi sarebbe uno studente che aveva intenzione di abbattere l’elicottero su cui si spostava Bush durante la visita in Israele. Tra i giovani, ci sarebbero due arabi con passaporto israeliano studenti all’Università ebraica di Gerusalemme e un palestinese. Tutti vivono nella parte orientale di Gerusalemme. Gli arresti, avvenuti la settimana scorsa, sono stati resi noti ieri.
Cambogia e Thailandia rischiano lo scontro Tra i due Paesi del sud-est asiatico rischia di degenerare la disputa territoriale legata a un tempio induista dichiarato patrimonio storico dell’umanità. Venerdì uno scontro a fuoco tra i militari dei due Paesi è stato disinnescato dall’intervento dei comandi. Nonostante che l’ingresso principale al luogo di culto si trovi sul suolo thailandese, nel 1962 il Tribunale internazionale dell’Aja aveva assegnato le rovine di Preah Vihear, cinque chilometri quadrati di territorio, alla Cambogia. Il primo ministro di Phnom Penh, Hun Sen, in una lettera al suo collega thailandese, ha preteso il ritiro dei militari. Le vere cause dei disordini sono però interne. Elezioni in Cambogia, il 27 luglio Sen cercherà di prolungare un potere che dura da venti anni e tensioni sociali in Thailandia, spingono i gruppi dirigenti dei due Paesi a trovare valvole di sfogo esterne.
Nucleare, nuova fuga in Francia Secondo incidente in un impianto nucleare francese nel giro di pochi giorni. La rottura di una canalizzazione di una centrale di Romans-sur-Ise’re nel dipartimento della Drôme ha provocato la fuoriuscita di materiale radioattivo nell’ambiente. «Le prime analisi mostrano che non vi è alcun impatto ambientale perché le quantità di uranio sono molto deboli, nell’ordine di qualche centinaio di grammi», ha dichiarato Areva, la società colosso del settore proprietaria dell’impianto in questione. La Ue, informata dei fatti, non ha ritenuto necessario inviare una commissione di esperti, come invece accaduto undici giorni fa, quando un incidente simile era accaduto al vicino impianto di Tricastin, situato sempre nel sud-est del Paese e sempre di proprietà di Areva. Ma in quel caso la fuoriuscita di uranio era di 74 chili.
Cina, cresce il nervosismo in vista di Olimpia Pechino mette in guardia gli artisti stranieri dal tentare mostre «live» durante il periodo dei giochi. Nel caso in cui questa norma, apparsa sul sito web del ministro della cultura, dovesse essere violata, l’atto verrà equiparato alla violazione della sicurezza nazionale e punito con almeno due anni di prigione. Si punta cosi ad impedire atti come quello a favore del Tibet fatto “dal vivo” appunto, dalla cantante islandese Bjork in un suo recente concerto in Cina.
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La Convenzione a garanzia delle persone disabili, entrata in vigore lo scorso 3 maggio, è da considerarsi il primo grande Trattato sui diritti umani del XXI secolo
L’ALBA DI UNA NUOVA ERA di Ernesto Capocci li Stati Parti riaffermano che il diritto alla vita è connaturato alla persona umana ed adottano tutte le misure necessarie a garantire l’effettivo godimento di tale diritto da parte delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri». S’intitola diritto alla vita. È l’articolo 10, il più importante, della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata all’unanimità (187 paesi su 187 presenti) dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006, dopo soli cinque anni di lavoro di un comitato speciale - caso più unico che raro, considerato l’alto tasso di burocratizzazione dell’intero sistema della Nazioni Unite - ed entrata in vigore il 3 maggio 2008. Definito come «alba di una nuova era», dall’allora Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, questo testo è considerato a livello internazionale il «primo grande trattato sui
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persone con disabilità: le direttive di cambiamento sociale che permettono a tutti i cittadini, indistintamente, di partecipare alla vita della società in modo ugualitario, e di servire da strumento internazionale e meccanismo di controllo per garantire il rispetto dei diritti umani e civili.
Queste regole, col trascorrere degli anni, si rilevano inadatte a garantire la tutela e la difesa dei diritti dei disabili. Si giunge, così, nel 2001, alla costituzione di un comitato ad hoc, che ha il compito di elaborare la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità: «ciò che abbiamo fatto con la Convenzione - disse il Presidente del Comitato, Don Mackay, il 25 agosto 2006, dopo le otto sessioni di lavoro - è stato esporre chiaramente delle regole, indirizzate ai vari Paesi, affinchè rendano effettivi i diritti che le persone con disabilità già hanno, ma di cui non possono godere».
Il documento sancisce il rispetto per la dignità della persona con handicap diritti umani del XXI secolo» e rappresenta sicuramente l’approdo di un itinerario complesso e articolato da parte delle Nazioni Unite rispetto al tema della disabilità. Del lontano 1971 è la «Dichiarazione sui diritti delle persone con ritardo mentale»; dieci anni dopo, viene strutturato il programma di azione mondiale (1983-1992), a seguito del quale vengono adottate, nel 1993, le Regole standard per l’uguaglianza di opportunità delle
Ha ragione chi afferma che la valenza del documento - che è stato anche il frutto della partecipazione che le organizzazioni delle persone con disabilità hanno assicurato e garantito nel corso del negoziato, primo significativo elemento d’importanza di questo risultato - è di portata storica e si richiama, si legge nelle righe introduttive, «ai principi proclamati dalla Carta delle Nazioni Unite, che riconosce la dignità e i diritti eguali e ina-
lienabili di tutti i membri della famiglia umana come fondamento delle libertà, la giustizia e la pace nel mondo». La Convenzione sancisce il rispetto per la dignità intrinseca della persona disabile, la sua autonomia individuale, comprese: la libertà di compiere le proprie scelte e l’indipendenza delle persone; la non discriminazione; la piena ed effettiva partecipazione e inclusione nella società; il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa; la parità di opportunità; l’accessibilità; la parità tra uomini e donne; il rispetto dello sviluppo delle capacità dei minori con disabilità e il rispetto del diritto dei minori con disabilità a preservare la propria identità.
Il documento definisce persone con disabilità coloro che hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine, che, in interazione con varie barriere, possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri ed ha lo scopo di promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali delle persone con disabilità. Non vengono, con questo testo, introdotti nuovi diritti, ma viene proibita qualsiasi forma di discriminazione nei confronti delle persone disabili, in ogni settore della vita sociale. I paesi che ratificheranno il trattato dovranno eliminare dalle loro legislazioni ogni forma o provvedimento discriminatorio verso le persone disabili e i rispettivi governi si impegneranno a combattere strereotipi e pregiudizi, valorizzando il ruolo e il contributo dei cittadini disabili. Nel docu-
mento viene sancita la piena legittimazione socio-economica delle persone con disabilità, creando le condizioni per una loro effettiva partecipazione in tutti i campi e non si fa leva – e questa è una novità molto significativa - su concetti di tipo assistenziale e caritativo. Si rivoluziona così il vecchio modello medico e assistenziale, che considera la disabilità come malattia, identifica la patologia con la persona, concentra l’intervento sulla cura e sulla protezione sociale.
Si promuove, nei confronti della disabilità, un approccio basato sui diritti umani, che valorizza tutte le diversità umane e sottolinea che la condizione di disabilità non deriva dalle qualità soggettive della persona, ma dal modo con cui la società risponde ad essa, discriminandola in tutti gli ambiti della vita e violando i suoi diritti umani. Gli interventi relativi all’assistenza, dice la Convenzione, devono comunque basarsi su obiettivi di autodeterminazione, autonomia, indipendenza. Si pone quindi al centro dell’intervento dello Stato la persona disabile e l’art. 19 della Convenzione sancisce e proclama il diritto alla vita indipendente, all’assistenza personale autogestita, all’inclusione nella società, rispondendo anche concretamente alle lotte per i diritti civili e umani delle persone portatrici di handicap di un movimento, quello della vita
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persone con disabilità: «allo scopo di realizzare tale diritto senza discriminazioni e su base di pari opportunità - afferma la norma - gli Stati Parti garantiscono un sistema di istruzione inclusivo a tutti i livelli ed un apprendimento continuo lungo tutto l’arco della vita».
indipendente, che nel corso degli ultimi trent’anni, si è diffuso in ogni parte del mondo.
«Gli Stati», afferma il testo, «riconoscono il diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone, e adottano misure efficaci ed adeguate al fine di facilitare il pieno godimento da parte delle persone con disabilità di tale diritto e la loro piena integrazione e partecipazione nella società”, assicurando che le persone con disabilità «abbiano la possibilità di scegliere il proprio luogo di residenza e dove e con chi vivere e non siano obbligate a vivere in una particolare sistemazione» ed «abbiano accesso ad una serie di servizi a domicilio o residenziali e ad altri servizi sociali di sostegno, compresa l’assistenza personale necessaria per consentire loro di vivere nella società e di inserirvisi e impedire che siano isolate o vittime di segregazione»; «assicurando che i servizi e le strutture sociali destinate a tutta la popolazione siano messe a disposizione, su base di uguaglianza con gli altri, delle persone con disabilità e siano adattate ai loro bisogni». Se questo è certamente un punto decisivo rispetto al modo di concepire e trattare il tema della disabilità, sono molti altri gli aspetti di questo testo che meritano di essere sottolineati. Il trattato è volto a «promuovere, proteggere e garantire il rispet-
to completo dei diritti umani e delle libertà fondamentali per le persone disabili» e impegna i Paesi firmatari al rispetto di una serie di misure a favore dei cittadini portatori di handicap.
In particolare, i Paesi sono chiamati ad «astenersi da pratiche discriminatorie» nei confronti dei disabili e devono as-
Gli Stati devono assicurare che «le persone con disabilità non siano escluse dal sistema di istruzione generale in ragione della disabilità e che i minori con disabilità non siano esclusi in ragione della disabilità da una istruzione primaria gratuita libera ed obbligatoria o dall’istruzione secondaria». Questa norma dà una risposta ad un’emergenza, in quanto è tutt’oggi altissima nel mondo la percentuale delle persone portatrici di disabilità che sono escluse dall’istruzione. Per il conseguimento di questi obiettivi, è prevista e indicata la necessaria salvaguardia di diritti: la formazione di una propria famiglia, il diritto alla sanità e quello alla riabilitazione, il diritto di eguaglianza davanti alla legge. Viene individuata come strumento indispensabile per l’attuazione della Convenzione, la cooperazione internazionale, che non è configurata come corollario dell’intervento, ma come necessità primaria, soprattutto in base alla considerazione del numero stimato delle persone disabili che vivono nel mondo, 650 milioni e del fatto che l’80 per cento di queste risiedono nei paesi in via di svi-
La Carta afferma la piena legittimazione socio economica dei disabili sicurare «l’inclusione completa nella società», riconoscendo la disabilità come situazione di esclusione sociale. L’educazione, il lavoro, l’eliminazione delle discriminazioni, la partecipazione alla vita sociale, culturale, politica, sportiva e le altre forme di socializzazione sono le forme previste d’inclusione sociale del soggetto disabile. Gli strumenti che vengono individuati sono l’accessibilità, le pari opportunità, l’eguaglianza in tutti i campi, la necessità di statistiche credibili e scientificamente valide, una chiara definizione di ciò che sono la disabilità e la persona con disabilità. Un altro punto fondamentale della Convenzione riguarda l’educazione. L’articolo 24 riconosce il diritto all’istruzione delle
luppo, situazioni queste che favoriscono e alimentano le forme di disabilità, che aumenta laddove si vive la povertà e il disagio sociale. Un punto per certi versi debole, è la previsione che fa la Convenzione (art. 31) relativamente alla raccolta delle informazioni appropriate, affidando agli Stati Parti il compito di «raccogliere le informazioni appropriate, compresi i dati statistici e i risultati di ricerche, che permettano loro di formulare ed attuare politiche». Probabilmente, un sistema di monitoraggio più stringente relativo all’applicazione della Convenzione, sarebbe stato più adatto e ragionevole. Un altro elemento innovativo della Convenzione riguarda le donne con disabilità, rispetto
alle quali viene evidenziata la doppia discriminazione, determinata dal sesso e dalla disabilità. Un articolo specifico, il 6, è dedicato alle «donne con disabilità» e la questione viene posta anche nel preambolo, nei principi generali, rispetto all’accrescimento della consapevolezza (art.8), rispetto al diritto della donna a non essere sottoposta a sfruttamento, violenza e maltrattamenti (art.16), agli adeguati livelli di vita e protezione sociale (art.28), al diritto alla salute (art.25).
Rispetto a quest’ultimo articolo, c’è pur da registrare la posizione assunta dalla Santa Sede, che non ha inteso ratificare il testo della Convenzione, sottolineando come quest’articolo usa l’espressione «salute sessuale e riproduttiva» e considerando che «in alcuni paesi i servizi sanitari e riproduttivi comprendono l’aborto, negando dunque il diritto alla vita di ogni essere umano, affermato peraltro dall’art. 10 della Convenzione stessa», affermò nel corso del dibattito in Assemblea Generale, Monsignor Celestino Migliore, rappresentante permanente della Santa Sede all’ONU, che definì «tragico, che la stessa Convenzione creata per difendere le persone portatrici di handicap da ogni tipo di discriminazione nell’esercizio dei loro diritti possa essere usata per negare il fondamentale diritto alla vita delle persone disabili non nate», nel caso in cui «un difetto del feto sia una precondizione per offrire o applicare l’aborto. Il potenziale positivo del documento si realizzerà solo quando i provvedimenti legali nazionali e l’implementazione da parte di tutti rispetteranno pienamente l’articolo 10 sul diritto alla vita delle persone disabili». È un punto, questo, che non si può non condividere, considerando l’ambiguità dell’art. 25 della Convenzione e tenendo presente che nei testi e nell’opera di molti organismi delle Nazioni Unite, l’affermazione dei cosiddetti diritti riproduttivi ha funzionato da vera e propria copertura ideologica per le più violente e massicce campagne demografiche degli ultimi decenni e nei Paesi del terzo mondo si è tradotta spesso in una lotta contro la scelta e il diritto di essere madri. Ma tant’è, non si può avere tutto. È già molto - per i tempi che corriamo - che il sistema delle Nazioni Unite sia riuscito ad elaborare e ad adottare un testo che sana nel suo complesso una gravissima situazione di discriminazione ai danni di una minoranza assai consistente di esseri umani.
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I primi 10 articoli del documento delle Nazioni Unite
Ecco la Carta dell’Onu per i diversamente abili Pubblichiamo la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità, adottata dall’Assemblea Generale del Palazzo di vetro il 13 dicembre 2006, entrata in vigore il 3 maggio 2008.
Articolo 1: Scopo 1) Scopo della presente Convenzione è promuovere, proteggere e assicurare il pieno ed eguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità, e promuovere il rispetto per la loro inerente dignità. 2) Le persone con disabilità includono quanti hanno minorazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali a lungo termine che in interazione con varie barriere possono impedire la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri.
Articolo 2: Definizioni Ai fini della presente Convenzione: 1) «Comunicazione» comprende lingue, visualizzazioni di testi, Braille, comunicazione tattile, stampa a grandi caratteri, le fonti multimediali accessibili così come scritti, audio, linguaggio semplice, il lettore umano, le modalità, i mezzi ed i formati comunicativi alternativi e accrescitivi, comprese le tecnologie accessibili della comunicazione e dell’informazione; 2) «Linguaggio» comprende le lingue parlate ed il linguaggio dei segni, come pure altre forme di espressione non verbale;
le, civile o in qualsiasi altro campo. Essa include ogni forma di discriminazione, compreso il rifiuto di un accomodamento ragionevole; 4) «Accomodamento ragionevole» indica le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali; 5) «Progettazione universale» indica la progettazione (e realizzazione) di prodotti, ambienti, programmi e servizi utilizzabili da tutte le persone, nella misura più estesa possibile, senza il bisogno di adattamenti o di progettazioni specializzate. «Progettazione universale» non esclude dispositivi di ausilio per particolari gruppi di persone con disabilità ove siano necessari.
Articolo 3: Principi generali I principi della presente Convenzione sono: 1) Il rispetto per la dignità intrinseca, l’autonomia individuale – compresa la libertà di compiere le proprie scelte – e l’indipendenza delle persone; 2) La non-discriminazione;
Il documento è stato adottato all’unanimità dai 187 Paesi presenti 3) «Discriminazione sulla base della disabilità» indica qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, cultura-
3) La piena ed effettiva partecipazione e inclusione all’interno della società; 4) Il rispetto per la differenza e l’accettazione delle persone con disabilità come parte della diversità umana e dell’umanità stessa; 5) La parità di opportunità; 6) L’accessibilità; 7) La parità tra uomini e donne; 8) Il rispetto per lo sviluppo del-
le capacità dei bambini con disabilità e il rispetto per il diritto dei bambini con disabilità a preservare la propria identità.
Articolo 4: Obblighi generali 1) Gli Stati Parte si impegnano ad assicurare e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza discriminazioni di alcun tipo basate sulla disabilità. A tal fine, gli Stati Parti si impegnano: 1a) Ad adottare tutte le appropriate misure legislative, amministrative e altre misure per realizzare i diritti riconosciuti dalla presente Convenzione; 1b) A prendere tutte le misure appropriate, incluse quelle legislative, per modificare o abrogare qualsiasi legge esistente, regolamento, uso e pratica che costituisca discriminazione nei confronti di persone con disabilità; 1c) A tener conto della protezione e della promozione dei diritti umani delle persone con disabilità in tutte le politiche e in tutti i programmi; 1d) Ad astenersi dall’intraprendere ogni atto o pratica che sia in contrasto con la presente Convenzione e ad assicurare che le autorità pubbliche e le istituzioni agiscano in conformità con la presente Convenzione; 1e) A prendere tutte le misure appropriate per eliminare la discriminazione sulla base della disabilità da parte di ogni persona, organizzazione o impresa privata; 1f) Ad intraprendere o promuovere la ricerca e lo sviluppo di beni, servizi, apparecchiature e attrezzature progettati universalmente, come definito nell’articolo 2 della presente Convenzione, le quali dovrebbero richiedere il minore adattamento possibile ed il costo più basso per venire incontro alle esigenze specifiche delle persone con disabilità, e promuovere la loro disponibilità ed uso, incoraggiare la progettazione universale nell’elaborazione degli standard e delle linee guida;
1g) Ad intraprendere o promuovere ricerche e sviluppo, ed a promuovere la disponibilità e l’uso di nuove tecnologie, incluse tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ausili alla mobilità, dispositivi e tecnologie di ausilio, adatti alle persone con disabilità, dando priorità alle tecnologie dai costi più accessibili; 1h) A fornire alle persone con disabilità informazioni accessibili in merito ad ausili alla mobilità, dispositivi e tecnologie di ausilio, comprese le nuove tecnologie, così pure altre forme di assistenza, servizi di supporto e attrezzature; 1i) A promuovere la formazione di professionisti e personale che lavorino con persone con disabilità sui diritti riconosciuti in questa Convenzione così da meglio fornire l’assistenza e i servizi garantiti da quegli stessi diritti. 2) In merito ai diritti economici, sociali e culturali, ogni Stato Parte si impegna a prendere misure, sino al massimo delle proprie risorse disponibili e, ove necessario, nel quadro della cooperazione internazionale, in vista di conseguire progressivamente la piena realizzazione di tali diritti, senza pregiudizio per gli obblighi contenuti nella presente Convenzione che siano immediatamente applicabili secondo il diritto internazionale. 3) Nello sviluppo e nell’applicazione della legislazione e delle politiche atte ad attuare la pre-
sente Convenzione, come pure negli altri processi decisionali relativi a temi concernenti le persone con disabilità, gli Stati Parti si consulteranno con attenzione e coinvolgeranno attivamente le persone con disabilità, compresi i bambini con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative. 4) Nessuna disposizione della presente Convenzione inficerà qualsiasi provvedimento che sia più efficace per la realizzazione dei diritti delle persone con disabilità e che siano contenuti nella legislazione di uno Stato Parte o nella legislazione internazionale in vigore in quello Stato. Non vi saranno restrizioni o deroghe a qualsiasi dei diritti umani e delle libertà fondamentali riconosciuti o esistenti in ogni Stato Parte alla presente Convenzione ai sensi di legislazioni, convenzioni, regolamenti o consuetudini, con il pretesto che la presente Convenzione non riconosca tali diritti o libertà o che li riconosca in misura inferiore. 5) Le disposizioni della presente Convenzione si estendono a tutte le parti degli Stati federali senza limitazione ed eccezione alcuna.
Articolo 5: Eguaglianza e non discriminazione 1) Gli Stati Parti riconoscono che tutte le persone sono uguali di fronte e secondo la legge ed hanno diritto, senza alcuna discrimi-
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L’ex segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan A sinistra Monsignor Celestino Migliore, rappresentante permanente della Santa Sede all’Onu
nazione, a uguale protezione e uguale beneficio della legge. 2) Gli Stati Parti devono proibire ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilità e garantire alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione legale contro la discriminazione qualunque ne sia il fondamento. 3) Al fine di promuovere l’eguaglianza ed eliminare le discriminazioni, gli Stati Parti prenderanno tutti i provvedimenti appropriati, per assicurare che siano forniti accomodamenti ragionevoli. 4) Misure specifiche che fossero necessarie ad accelerare o conseguire de facto l’eguaglianza delle persone con disabilità non saranno considerate discriminatorie ai sensi della presente Convenzione.
Articolo 6: Donne con disabilità 1) Gli Stati Parti riconoscono che le donne e le ragazze con disabilità sono soggette a discriminazioni multiple e, a questo riguardo, prenderanno misure per assicurare il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte di donne e ragazze con disabilità. 2) Gli Stati Parti prenderanno ogni misura appropriata per assicurare il pieno sviluppo, avanzamento e rafforzamento delle donne, allo scopo di garantire loro l’esercizio e il godimento dei diritti umani e
delle libertà fondamentali enunciate nella presente Convenzione.
Articolo 7: Bambini con disabilità 1) Gli Stati Parti prenderanno ogni misura necessaria ad assicurare il pieno godimento di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali da parte dei bambini con disabilità su base di eguaglianza con gli altri bambini. 2) In tutte le azioni concernenti i bambini con disabilità, il superiore interesse del bambino sarà tenuto prioritariamente in considerazione. 3) Gli Stati Parti garantiranno che i bambini con disabilità abbiano il diritto di esprimere le proprie opinioni liberamente in tutte le questioni che li riguardano, le loro opinioni saranno prese in opportuna considerazione in rapporto alla loro età e maturità, su base di eguaglianza con gli altri bambini, e che sia fornita adeguata assistenza in relazione alla disabilità e all’età allo scopo di realizzare tale diritto.
Articolo 8: Accrescimento della consapevolezza 1) Gli Stati Parti si impegnano ad adottare misure immediate, efficaci ed appropriate allo scopo di: 1a) Sensibilizzare l’insieme della società, anche a livello familiare, riguardo alla situazio-
ne delle persone con disabilità e accrescere il rispetto per i diritti e la dignità delle persone con disabilità; 1b) Combattere gli stereotipi, i pregiudizi e le pratiche dannose relativi alle persone con disabilità, compresi quelli basati sul sesso e l’età, in tutti i campi; 1c)Promuovere la consapevolezza delle capacità e i contributi delle persone con disabilità. 2) Nel quadro delle misure che prendono a questo fine, gli Stati Parti: 2a) Avviano e danno continuità ad efficaci campagne pubbliche di sensibilizzazione in vista di: favorire un atteggiamento recettivo verso i diritti delle
sistema educativo, includendo specialmente tutti i bambini, sin dalla più tenera età, un atteggiamento di rispetto per i diritti delle persone con disabilità; 2c) incoraggiare tutti i mezzi di comunicazione a rappresentare persone con disabilità in modo coerente con gli obiettivi della presente Convenzione; 2d) promuovere programmi di formazione per l’aumento della consapevolezza riguardo alle persone con disabilità e ai diritti delle persone con disabilità.
Articolo 9: Accessibilità 1) Al fine di consentire alle persone con disabilità di vivere in
Un altro elemento innovativo riguarda le donne con disabilità persone con disabilità; promuovere una percezione positiva ed una maggiore consapevolezza sociale nei confronti delle persone con disabilità; promuovere il riconoscimento delle capacità, dei meriti e delle attitudini delle persone con disabilità, ed il loro contributo nei luoghi di lavoro e nel mercato lavorativo; 2b) rafforzare a tutti i livelli del
maniera indipendente e di partecipare pienamente a tutti gli ambiti della vita, gli Stati Parti devono prendere misure appropriate per assicurare alle persone con disabilità, su base di eguaglianza con gli altri, l’accesso all’ambiente fisico, ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione, compresi i sistemi e le tecnologie di informazione e comunicazione, e ad
altre attrezzature e servizi aperti o offerti al pubblico, sia nelle aree urbane che nelle aree rurali. Queste misure, che includono l’identificazione e l’eliminazione di ostacoli e barriere all’accessibilità, si applicheranno, tra l’altro a: 1a) Edifici, strade, trasporti e altre strutture interne ed esterne agli edifici, compresi scuole, alloggi, strutture sanitarie e luoghi di lavoro; 1b) Ai servizi di informazione, comunicazione e altri, compresi i servizi elettronici e quelli di emergenza. 2) Gli Stati Parte inoltre dovranno prendere appropriate misure per: 2a) Sviluppare, promulgare e monitorare l’applicazione degli standard minimi e delle linee guida per l’accessibilità delle strutture e dei servizi aperti o offerti al pubblico; 2b) Assicurare che gli enti privati, i quali forniscono strutture e servizi che sono aperti o offerti al pubblico, tengano conto di tutti gli aspetti dell’accessibilità per le persone con disabilità; 2c) Fornire a tutti coloro che siano interessati alle questioni dell’accessibilità una formazione concernente i problemi di accesso con i quali si confrontano le persone con disabilità; 2d) Dotare le strutture e gli edifici aperti al pubblico di segnali in caratteri Braille e in formati facilmente leggibili e comprensibili; 2e) Mettere a disposizione forme di aiuto da parte di persone o di animali addestrati e servizi di mediazione, incluse guide, lettori e interpreti professionisti esperti nel linguaggio dei segni allo scopo di agevolare l’accessibilità a edifici ed altre strutture aperte al pubblico; 2f) Promuovere altre appropriate forme di assistenza e di sostegno a persone con disabilità per assicurare il loro accesso alle informazioni; 2g) Promuovere l’accesso per le persone con disabilità alle nuove tecnologie ed ai sistemi di informazione e comunicazione, compreso Internet; 2h) Promuovere la progettazione, lo sviluppo, la produzione e la distribuzione di tecnologie e sistemi accessibili di informazione e comunicazioni sin dalle primissime fasi, in modo che tali tecnologie e sistemi divengano accessibili al minor costo.
Articolo 10: Diritto alla vita Gli Stati Parte riaffermano che il diritto alla vita è inerente ad ogni essere umano e prenderanno tutte le misure necessarie ad assicurare l’effettivo godimento di tale diritto da parte delle persone con disabilità su base di eguaglianza con gli altri.
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economia per un accordo. «Non abbiamo ottenuto nulla, né sull’industria né sui servizi», ha detto. Il ministro italiano alle Politiche agricole, Luca Zaia ha minacciato fuoco e fiamme – compreso il veto nazionale – per difendere le produzioni locali dall’eliminazione dei dazi: «Non accetterò che i nostri prodotti siano penalizzati in cambio della riduzione dei dazi sui prodotti industriali». Questo mentre le associazioni agricole europee si avventurano in previsioni apocalittiche: il Vecchio continente rischierebbe di perdere 30 miliardi l’anno e 500mila posti di lavoro.
Lunedì a Ginevra partiranno nel peggiore dei modi le trattative per il Doha Round
Wto, nel gioco dei veti si teme un accordo al ribasso di Maurizio Sgroi una missione impossibile quella di Pascal Lamy. Il direttore generale del Wto deve far digerire ai Paesi occidentali, gli stessi che sovvenzionano l’agricoltura, l’idea di far sparire i dazi su alcune produzioni agricole estere concorrenti. E, contemporaneamente, far digerire agli emergenti, che sovvenzionano le proprie industrie anche tenendo basso il prezzo del petrolio, l’idea di aprire le frontiere a beni e servizi occidentali. E infatti nessun osservatore scommetterebbe un euro sul successo del negoziato che si riaprirà lunedì prossimo a Ginevra, sede del Wto, nella speranza di chiudere una volta per tutte il Doha Round. La sessione iniziata nel 2001 avrebbe dovuto chiudersi nel 2005, ma è rimasta impantanata nel gioco dei veti incrociati che i coinvolgono i 152 Paesi che compongono l’organismo nato sulle ceneri del Gatt. Emblematico al riguardo che ieri i ministri dell’Agricoltura della Ue – su spinta della Francia, presidente di turno dell’Unione – abbiano ritoccato il
È
mandato del caponegoziatore Peter Mandelson. Forti dell’esclusione del riso dai prodotti a dazio zero, i Venticinque hanno imposto al commissario di strappare più concessioni dagli emergenti sui diritti di dogana in materia di industria e sulla protezione delle indicazioni geografiche protette. Alla fine del vertice il sottosegretario francese al Commercio estero, Anne-Marie Idrac, avrebbe apostrofato il commissario con un «non c’è più alcuna possibilità di cambiare qual-
ripete Lamy. Ma senza un’intesa sulla riduzione delle sovvenzioni agricole e dei dazi, difficilmente arriverà a una conclusione il Doha Round.
Peraltro è davvero l’ultima occasione per chiudere la partita, visto che a novembre ci saranno le presidenziali americane e che gli accordi, per essere validi, dovranno essere ratificati dai singoli Paesi. Eppure molti sperano in un’intesa: al G8, nel comunicato finale, si è auspicato la chiusura positiva del Doha
Su spinta di Francia e Italia i Venticinque hanno pubblicamente smentito le aperture fatte dal caponegoziatore Ue, Mandelson: si chiede maggiore reciprocità sui mercati degli emergenti cosa in agricoltura». «Io devo negoziare, ho bisogno di un certo margine di flessibilita», la replica che la dice lunga sul compattezza dell’Europa. L’esito dei negoziati di Ginevra, che dovrebbero durare una settimana, esito è incerto. «Ci sono più del 50 per cento di possibilità di arrivare a un accordo»,
Round, convinti che soltanto un aumento degli scambi internazionali, e quindi una completa liberalizzazione, possa riattivare i consumi e gli investimenti necessari a far ripartire l’economia mondiale. Ma si teme che la cura sia peggio del male. E non si tratta della solita disputa “global versus
local”. Ci sono interessi pratici che spesso contraddicono le (teoriche) posizioni ufficiali. Un caso su tutti è quello dei sussidi americani all’agricoltura. Nel giugno scorso il Congresso Usa ha approvato, malgrado il veto presidenziale, il Farm Bill 2008, che ha stanziato 70 miliardi di dollari per i lavoratori dell’agricoltura. Un chiaro segnale protezionista che contrasta con quanto ripetuto anche in sede di G8. Questo mentre le posizioni ufficiali dell’amministrazione Usa sul negoziato sono improntate a un ragionevole equilibrismo. Come dire: se si raggiunge un accordo bene, anche perché la bozza di intesa prevederebbe che il governo Usa possa mantenere i sussidi agricoli. Sennò, nessuno si strapperà le vesti. L’Ue, come visto, vive il solito psicodramma fra la posizione della Commissione e quella più restrittiva di alcuni Stati membri come Francia e Italia. Il presidente Nicolas Sarkozy ha “scomunicato” il caponegoziatore Peter Mandelson, giudicando «inverosimile» che Bruxelles continui a trattare
Ma la posta in gioco va ben oltre i dazi sulle arance o sul riso. In ballo c’è la ricca torta del mercato di consumo dei Paesi emergenti. Spiega il nostro sottosegretario al Commercio estero, Adolfo Urso: «Si sta realizzando un accordo che lascia ai Paesi emergenti prerogative che non dovrebbero più avere. Non è giusto che Brasile e Cina siano considerati emergenti alla stregua dell’Uganda. È un dovere aprire questi mercati, ma l’accordo prospettato non va in questa direzione». Parliamo di mercati che pesano quasi la metà della popolazione mondiale e che stanno conoscendo un grande sviluppo, seppure a prezzo di un’inflazione galoppante, incoraggiato anche da politiche di sussidio dell’energia. Così non aiuta che il negoziato si sviluppi nel mezzo di una crisi che ha sconvolto i prezzi dei prodotti agricoli e di quelli petroliferi. Le speranze di riuscita, a sentire il premier inglese Gordon Brown, starebbero tutte nelle mani di Lula: «La chiave di un accordo», ha detto, « è il Brasile che trascinerà i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay, ndr)». Sarà. Intanto c’è da fare i conti con una Cina diventata nel 2007 secondo esportatore mondiale (+26 per cento di vendite per un totale di 1.200 miliardi di dollari) subito dopo la Germania ma davanti quindi agli Usa, i primi importatori e oggetto della stragrande maggioranza di procedure per dumping aperte dal Wto (40 su 101). Allo stesso tempo Pechino si protegge rifiutandosi di rivalutare lo yuan e imponendo dazi sulle merci in ingresso. Se si guarda agli altri “emergenti”, si scopre che nel 2007 India, Russia e Brasile hanno avuto una crescita globale del 15 per cento, pari a circa 13.600 miliardi di dollari. Tutto ciò mentre il commercio internazionale ha perso oltre tre punti rispetto al 2006. Come tramutare tutto questo in un accordo rimane un enigma. Malgrado i buoni propositi di Lamy.
economia
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Presentato il rapporto Svimez 2008: l’area cresce un terzo rispetto al Nord. Napolitano: attuare con urgenza il federalismo
Il Sud si allontana dal resto d’Italia di Alessandro D’Amato
d i a r i o ROMA. Sempre più in crisi e staccato dal resto del Paese. E con qualche scarsissima luce, che – visto il trend – rischia di spegnersi molto presto. Questo è il Mezzogiorno che traspare dall’annuale rapporto della Svimez: un quadro preoccupante che spinge il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a chiedere al governo di attuare «con urgenza» l’autonomia finanziaria e la solidarietà, «così da utilizzare nel modo più efficiente le risorse disponibili». Sei anni consecutivi di crescita inferiore rispetto al resto del Paese. Dal 2002 al 2007 il Pil è aumentato al Centro-nord del 6,4 per cento, mentre nel meridione l’incremento è stato di poco meno un terzo (2,4). Lo scorso anno al +2 per cento del Settentrione, l’area ha risposto con un +0,7. Un rallentamento dovuto alla crisi del settore agricolo (-2,2 per cento contro il +1,5 a livello nazionale) e a un commercio stagnante (-0,1). Segnali di vitalità soltanto dalle costruzioni (+1 per cento), alberghi, ristorazione, trasporti e comunicazioni, con un +1,6. «La crescita dell’input di lavoro, misurato nella contabilità nazionale dalle unità standard di lavoro, registrata in Italia nel 2007 (+1 per cento)», si legge nel rapporto Svimez, «ha riguardato il Centro-Nord ma non il Mezzogiorno». Che infatti presenta un tasso negativo (-0,1 per cento), mentre nel Centro-Nord l’aumento è stato dell’1,4, anch’esso però in parziale decelerazione rispetto a quello particolarmente rilevante del 2006 (+1,8). Lieve recupero nella produttività per addetto, grazie all’incremento nei servizi, mentre è ancora deficitario il confronto con il Nord sul versante dell’agricoltura. Comunque il miglioramento – anche se lieve dice lo Svimez – c’è. Il Pil per abitante, evidenzia il rapporto, è pari a 17.482 euro, il 57,5 per cento del centro-nord (30.380 euro), da cui lo separa una differenza di oltre 42 punti percentuali, pari a circa 13mila euro. In termini di crescita, tranne la Calabria tutte le regioni dell’area registrano segni positivi. In testa c’è la Puglia (+2 per cento), seguita da Molise (+1,7), Basilicata (+1,5) e Sardegna (+1,3). Quasi ferme due delle regioni più “pesanti”dal punto di vista demografico: Campania (+0,5) e Sicilia (+0,1). Due le cause principali del fenomeno, secondo lo Svimez: investimenti che rallentano e famiglie che non consumano. «Rilevante» è infatti la frenata degli investimenti fissi lordi dell’area (che hanno fatto segnare nel 2007 un timido +0,5 per cen-
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Draghi: più poteri alle banche centrali L’aumento dell’inflazione, anche se temporaneo, sarà più persistente delle attese. È quanto ha sottolineato il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nel corso del sui discorso alla Whitaker Lecture a Dublino. Per questo, ha spiegato Draghi, occorrono politiche monetarie credibili e manovre tempestive, fondamentali per il contenimento dei prezzi. Per il governatore «vi sono segni di accelerazione dei costi interni di produzione e anche le misure delle aspettative di inflazione a medio-lungo termine indicano la presenza di tensioni». Positiva, dunque, per Draghi la recente decisione della Bce di aumentare i tassi al 4,25 per cento. Il governatore ha poi evidenziato l’importanza di una comunicazione trasparente da parte della banche centrali e dei mercati.
L’Antitrust indaga su quattro banche L’Antitrust ha aperto un procedimento contro Bnl, Monte dei Paschi di Siena, Intesa e Unicredit per verificare le modalità di applicazione della commissione di massimo scoperto nei confronti della clientela. «I procedimenti - si legge in una nota - sono finalizzati ad accertare se i consumatori siano stati informati, in maniera chiara ed esaustiva, sulle modalità di calcolo e sulla natura della commissione di massimo scoperto». Le istruttorie, informa ancora il comunicato, sono state aperte lo scorso 4 luglio in base alle competenze sulle pratiche commerciali scorrette affidate all’Antitrust dal Codice del consumo.
Google e Microsoft deprimono il Nasdaq
Ritorna lo spettro della disoccupazione, crollano gli investimenti e i consumi, cala l’agricoltura to a fronte del + 2,4 del 2006), che testimonia il peggioramento del clima di fiducia delle imprese. Da sette anni la dinamica dei consumi interni è poco più che stagnante (+0,5 per cento), «a conferma», rileva l’associazione, «delle difficoltà delle famiglie meridionali a sostenere il livello di spesa» necessario.
Punto dolente l’occupazione. Negli ultimi sei anni i disoccupati sono scesi di 635mila unità: 285mila hanno trovato un lavoro, 350mila sono “scomparsi”: ufficialmente non cercano né trovano lavoro, in realtà sono entrati nel sommerso. Gli inoccupati sono aumentati di 147mila unità, portando il tasso di disoccupazione reale dall’11 al 28 per cento, a fronte del 6,9 del Centro-Nord. In definitiva il sommerso riguarda in quest’area del Paese circa un lavoratore su 5. Ma dal punto di vista produttivo non tutto va male. Resiste un nucleo di medie imprese dinamiche, anche se in numero relativamente assai ridotto (333, pari all’8,2 per cento del totale nazionale): redditi-
vità superiore a quella dell’area e una dinamica dei principali fondamentali (fatturato, valore aggiunto capitale investito tangibile, investimenti) addirittura migliore dei concorrenti nazionali. Queste realtà ricoprono un ruolo di primo piano, poiché consentono al sistema delle piccole imprese e, talora, anche all’artigianato di «qualità», di affrontare i mercati internazionali. E infatti, di fronte a una media export inferiore detenuta dalle medie imprese meridionali sul totale, queste imprese dinamiche continuano a tirare, determinando un trend in crescita – le esportazioni delle regioni meridionali sono aumentate del 43 per cento nel periodo 2000-2007 – soprattutto verso le nazioni mediterranee non appartenenti alla Ue, con un incremento che supera il 79 per cento e per un valore complessivo superiore ai 4 miliardi di euro. Nonostante questo, «il Sud resta un problema aperto», spiega il presidente di Svimez, Nino Novacco, «ed è fondamentale intervenire subito con politiche strutturali capaci di porre rimedio al problema dei crescenti divari territoriali». Che rischiano di allargarsi, visto che, se il trend dovesse continuare, «in capo a 40 anni il Centro-Nord avrà 5 milioni in più, mentre il Mezzogiorno ne perderà due milioni».
La delusione per le trimestrali di Google e Microsoft trascinano il Nasdaq, il listino dei titoli tecnologici Usa, sul terreno negativo. La nota più dolente riguarda Microsoft. Il titolo ha perso il 5,70 per cento a 25,90 dollari. Microsoft, guidata dall’ad Steve Ballmer, ha chiuso il periodo con un utile netto di 4,3 mld di dollari, pari a 46 cent per azione, contro un profitto di 3,04 mld. Partenza in ribasso anche per il titolo Google che ha perso ad inizio contrattazioni l’ 8,33 per cento a 489 dollari, dopo aver deluso gli analisti riportando utili sotto le attese, sebbene i conti siano risultati in crescita. Le Borse europee non hanno risentito dei venti negativi provenienti dagli States. Le principali piazze europee hanno chiuso in rialzo sostenute dai bancari grazie ai conti trimestrali, migliori delle attese. A Milano lo S&P/Mib e il Mibtel hanno guadagnato rispettivamente l’1,56 per cento a 28100 punti e l’1,32 per cento a 21591 punti. Bene anche il Cac 40 (+1,73 per cento), il Dax e il Ftse 100 (+1,7 per cento).
Industria: calano ordini e fatturato Il fatturato dell’industria è diminuito a maggio del 2,7 per cento nei valori correnti rispetto al corrispondente periodo di un anno prima, dopo l’accelerazione di aprile. Gli ordini affluiti alle imprese sono calati, a loro volta, del 5,3% nello stesso periodo (+4,5 per cento), con la domanda interna a -4,8 per cento e quella estera a -6,2 per cento nel confronto annuale.
Almunia: c’è rischio di stagflazione L’inflazione nell’eurozona potrebbe scendere al 2 per cento nel 2009, ma c’è un rischio stagflazione. Lo stima il commissario Ue per gli Affari monetari, Joaquin Almunia, sul quotidiano finlandese Kauppalehti, secondo cui l’inflazione «dipende solo da cosa accade sui mercati globali. Ma è possibile che nel 2009 l’inflazione potrebbe essere vicina al target Bce», sotto ma vicino al 2 per cento. Per Almunia «c’e’ un rischio stagflazione e sono preoccupato al riguardo, spero che possiamo evitare tale scenario».
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letture
al tempo delle memorie di Benjamin Murmelstein, pubblicate nel 1961 da Il Mulino col titolo Terezin, il ghetto modello di Eichmann (da tempo fuori catalogo), l’editoria italiana è sembrata ignorare la storia del campo di concentramento realizzato dalla Gestapo a Theresienstadt (questo il nome tedesco della fortezza oggi nella Repubblica Ceca), dove tra il 1941 e il 1945 vennero imprigionati circa 144.000 ebrei provenienti principalmente da Austria, Germania, Boemia e Moravia.
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Eppure ingenti raccolte documentarie sono state a disposizione fin dal 1955, da quando cioè Hans Günther Adler riuscì a trovare un editore per il suo corposo Theresienstadt Antlitz einer 1941-1945. Zwangsgemeinschaft, una capillare ricostruzione storica del ghetto (in Germania il libro è stato riedito nel 2005 da Wallstein). Lo stesso Wolf Murmelstein, figlio di Benjamin, ebbe modo di sottolineare il particolare significato di Theresienstadt nel contesto della shoah: «Nell’ambito della politica d’occupazione tedesca della Boemia e Moravia […] non tutti gli ebrei andavano spediti verso est, piuttosto bisognava lasciare immaginare che fosse possibile una loro permanenza nel Paese». Inoltre, alcune tipologie di ebrei presenti nel Reich, per ruoli sociali e rapporti, non potevano scomparire tanto facilmente. C’era dunque la necessità di un «territorio d’insediamento ebraico» dotato di «autogoverno» (tra i Prominenten posti a capo del ghetto ci furono Leo Baeck, Paul Eppstein, Benjamin Murmelstein ed Emil Utitz) capace di distrarre l’opinione pubblica mondiale dal vero obiettivo, la deportazione, facendo leva anche sull’ideale sionista vivo in molti dei “privilegiati” (musicisti, letterati, diplomatici e giuristi) ospiti del ghetto. Theresienstadt divenne così strumento per dissipare le voci sui campi sterminio: dopo avervi girato un film di propaganda, nel giugno 1944 su pressione della Danimarca i nazisti permisero l’accesso al ghetto alla Croce Rossa Internazionale, lasciando intendere che in quel luogo per gli ebrei la vita nell’assoluta scorreva normalità. Di fatto Theresienstadt si trasformò rapidamente in vero campo di concentramento, o di
In due libri tutta la verità sul lager di Theresienstadt
La ”città-prigione” governata dagli ebrei di Vito Punzi
Realizzata nell’attuale Repubblica Ceca, aveva lo scopo di distrarre l’opinione pubblica mondiale dal vero obiettivo: la deportazione passaggio verso Auschwitz e altri campi di sterminio. Ciò non toglie che in quella fortezza boema nel corso di quei quattro terribili anni si sia potuta coltivare la speranza di sopravvivere al male allora imperante. Di come questo poté accadere danno conto, finalmente, due recenti libri, of-
ferti, non a caso, al lettore italiano da due tra gli editori cosiddetti “minori”. Lo studio di Dario Olivieri, provocatorio nel titolo (Hitler regala una città agli ebrei), si distingue per la dettagliata ricostruzione della ricca vita culturale, in particolare musicale consumatasi a Theresienstadt. Arricchito da una preziosa sequenza di foto e da un saggio di Miroslaw Karmy dedicato al «Lager per famiglie» di Birkenau, destinato ad accogliere dal settembre 1943 i deportati provenienti da Theresienstadt, il libro presenta in appendice la discografia dei compositore attivi nel ghetto tra il 1941 e il 1944: tra gli altri vi furono Karel Barman, Pavel Haas, Gideon Klein, Hans Krasa, Ilse Weber ed infine Viktor Ullmann, che nella fortezza boema compose il suo capolavoro, La fortezza di Atlantide. D’altro tenore rispetto alla rigorosa ricerca storica di Olivieri è il volume dedicato da Melissa Müller e Reinhard Piechocki ad Alice Herz-Sommer. Il libro (Alice Herz-Sommer - Ein Garten Eden inmitten der Holle) si presenta infatti come una bellissima e commovente biografia romanzata della grande pianista praghese, amica di Max Brod, Franz Kafka e Felix Weltsch.
Costretta alla deportazione a Theresienstadt insieme al marito Leopold ed al figlio Stephan (prese il nome di Raphael una volta giunto con la madre in Israele, nel marzo 1949), Alice fu protagonista lì di oltre cento concerti e, una volta sopravvissuta, non ebbe timore ad affermare come fosse stata la musica a salvarle la vita. Del resto, la stessa HerzSommer non esitò a definire i quattro anni vissuti nella Praga comunista post-bellica «mille volte peggio che sotto i nazisti». Affermazioni dure, difficili da comprendere, oggi. Eppure, a valorizzare quel poco di bene che, nonostante tutto, fu possibile nell’inferno di Theresienstadt, s’aggiungono le parole di Raphael, inserite come prefazione al libro di Müller e Piechocki: «Retrospettivamente posso affermare, con la coscienza pulita, che la mia infanzia è stata felice e meravigliosa. Non so spiegarmi come mia madre sia riuscita in ciò. […] Il fatto che vi sia riuscita entro i confini di un campo di concentramento nazionalsocialista dev’essere considerato un autentico miracolo».
costume
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Capitale europea della cultura 2008, Liverpool apre le porte ai fan dello storico quartetto
All together a casa dei Beatles di Stefano Bianchi e Liverpool val bene una visita “musically correct”, a maggior ragione se la merita quest’anno che è stata promossa Capitale europea della Cultura (www.liverpool08.com). Col mito dei Beatles in tasca, naturalmente: a partire dallo scalo internazionale ribattezzato John Lennon Airport, con tanto di scultura del chitarrista all’ingresso dell’area partenze. Dal 20 al 26 agosto, quando l’International Beatle Week accoglierà fan e band da mezzo mondo, Liverpool innescherà una sonora reazione a catena fatta di Elvis Meets The Beatles (in cartellone al Cavern Club, dove i Fab Four suonarono 274 volte e conobbero il loro futuro manager, Brian Epstein, dopo il concerto del 9 novembre 1961), Pepperland Orchestra (al Royal Court Theatre) e American English, cover-band niente male che alla Carling Academy si cimenterà nel Gig The Beatles Never Gave : cioè nel concerto a base di Another Day, Imagine, My Sweet Lord, It Don’t Come Easy e altre canzoni che Paul McCartney, John Lennon, George Harrison e Ringo Starr avrebbero di sicuro tenuto nel ‘71 se non si fossero sciolti.
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ben note canzoni) che hanno letteralmente fatto la storia dei Fantastici Quattro. E alla fine, stremati ma felici, dopo aver visitato lo spazio espositivo The Beatles Story in zona Albert Dock, con contorno di “personale” dedicata a Lennon e immancabile sottofondo di Give Peace A Chance; toccato con mano i gloriosi vinili di Probe Record (9 Slater Street) e le stravaganti “memorabilia” del Beatles Shop (31 Mathew Street); fatto un salto al periferico The
world’s greatest Beatles artist”. La ristrutturazione dell’edificio ha indubbiamente dato i suoi frutti: spazi più ampi, l’aggiunta di due piani a livello del tetto e la realizzazione di 110 camere che comprendono le suite Lennon e McCartney: tutta bianca la prima, con tanto d’immacolato pianoforte a coda simile a quello che campeggiava nella villa a Tittenhurts Park, vicino ad Ascot, dove John si mise a suonare Imagine; la seconda, coloratissima e più “pop”, con una gigantografia del Macca ai tempi del Sergente Pepe e arredi dal sapore “vintage”. Ogni camera (si va da 120 sterline per una Luxury, a 650 per la suite), oltre a fornire tv satellitare e connessione a internet, dà l’opportunità di usufruire dello “shopping on line”con accesso agli esclusivi prodotti dell’hotel. Prezzi tutt’altro che abbordabili, d’accordo.
Ma vuoi mettere l’emozione di “dormire dai Beatles”per poi regalarsi un pranzo o una cena non solo nella cosmopolita The Brasserie, ma soprattutto al Blakes Restaurant dedicato a Peter Blake, che nel ‘67 realizzò la copertina del rivoluzionario disco Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band ? Qui, il Lunch Menu parte da 16 sterline. Il momento dell’happy hour, immancabile, va consumato al Bar Four e all’Hari’s Bar, che ripercorre scenograficamente il periodo trascorso dai quattro baronetti in India, alla corte del Maharishi Mahesh Yogi. Lo shopping, invece, lo garantisce la Boutique fornita di ogni “gadget” possibile e immaginabile. E se per caso vi è venuta voglia di sposarvi a Liverpool, fatelo nella “wedding chapel” dell’albergo intitolata Two Of Us come il brano inserito nel ’69 nell’ellepì Let It Be. E “dulcis in fundo”, giusto all’angolo fra Mathew Street e North John Street c’è la rinomata The Gallery che vende quadri originali e riproduzioni (“made by Shannon”, ovviamente) nonché le celeberrime foto scattate negli anni Sessanta da Bill Zygmant. Ottime idee, per sorprendenti regali “last minute”.
Fra le attrazioni, il Magical Mystery Tour in torpedone: due ore alla scoperta di case natìe, scuole e luoghi dei Fab Four. Su tutti Penny Lane e Strawberry Field
E fra una Beatles Convention da tutto esaurito all’Adelphi Hotel, un mercatino delle pulci con scatenate compravendite di dischi rari e il Mathew Street Festival con più di 200 band non solo “diplomate”in Beatles ma anche in soul, blues, country e perfino punk, la settimana devota agliScarafaggi non potrà prescindere dal classico Magical Mystery Tour in torpedone: due ore alla scoperta di case natìe, scuole e luoghi (imprescindibili Penny Lane e Strawberry Field, che diedero i titoli alle
Casbah Coffee Club (8 Hymans Green) inaugurato nel ’59 dalla mamma del primo batterista del gruppo, Pete Best, non rimarrà che scegliere dove trascorrere “beatlesianamente” una o più notti. Basta un nome, Hard Days Night Hotel (www.harddaysnighthotel.com) che equivale a un brivido di piacere. Come l’omonima canzone, fra le più gettonate in assoluto del quartetto.
Il prestigioso palazzo progettato nel 1884 da Thomas C. Clarke ospita da febbraio uno degli alberghi a 4 stelle più “cool” del mondo. L’indirizzo è strategico: 41 di North John Street. Ovvero nel cosiddetto Beatles Quarter, nel cuore della città e a pochi passi dal Cavern Club. Per amanti del lusso e inguaribili nostalgici, l’Hard Days Night mette orgogliosamente in mostra fotografie di Paul, John, George e Ringo, nonché un centinaio di quadri “a tema”dipinti dalla pittrice Shannon, che da queste parti è un’autentica celebrità considerata “the
Dall’alto in basso: la suite bianca dell’Hard Days Night Hotel dedicata a John Lennon, in cui spicca un pianoforte a coda simile a quello su cui nacque Imagine, un salottino dall’arredo vintage e l’omonima stanza d’albergo dedicata a Paul McCartney. Sotto un’immagine della città britannica
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memorie
150 anni fa l’incontro clandestino tra Camillo Benso e Napoleone III alle Terme di Plombières. Nacque lì la svolta decisiva verso il compimento dell’unità d’Italia
Il bagno caldo di Cavour di Massimo Tosti e lo immaginate Berlusconi che in gran segreto raggiunge Sarkozy in una stazione termale francese? Nessuno lo riconosce, neppure una locandiera che lo ospita per una notte alla bell’e meglio, in una stanzetta appena decente. Niente scorte, ovviamente, niente paparazzi, e neppure intercettazioni telefoniche, figuriamoci. Centocinquant’anni fa andò esattamente così: i protagonisti, naturalmente erano altri, ma ricoprivano i medesimi ruoli. Il nostro presidente del Consiglio si chiamava Camillo Benso, ed era conte di Cavour. Il presidente francese era qualcosa di più di un presidente – era un imperatore (anche se poi le differenze, quanto a poteri, erano insignificanti) – e si chiamava Napoleone III. La stazione termale era quella, di gran moda allora, di Plombières, in Lorena, nel nord-est della Francia, quasi ai confini con la Germania. Il 20 e il 21 luglio 1858 quell’incontro riservatissimo fra i numeri uno della Francia e del regno di Sardegna (che aspirava a diventare regno d’Italia) segnò una svolta decisiva verso il compimento della nostra unità nazionale. Merito – senza dubbio – di Cavour, della sua abilità diplomatica, della sua determinazione nel raggiungere gli obiettivi, perfino dei mezzi politicamente scorretti ai quali (talvolta) si affidava.
V
La Prima guerra d’indipendenza – nove anni prima – si era risolta in un fiasco: militare e politico. Niente affatto amato dal re, Cavour era riuscito comunque a guidarne le scelte. Dimenticando il ruolo svolto dai francesi per abbattere la Repubblica Romana, aveva avviato un lento lavoro di riavvicinamento a Parigi, ricorrendo a ogni mezzo per convin-
cere l’imperatore Napoleone III a offrire il proprio patronage alla causa italiana. Si era fatto accettare come alleato nella guerra di Crimea. Quattordici morti nella battaglia della Cernaia erano stati sufficienti per sedersi al Congresso di Parigi nel 1856: un autentico capolavoro. Sergio Romano, ha scritto (nella Storia d’Italia, dal Risorgimento ai nostri giorni): «Pragmatico e sottile, Cavour lasciava spazio agli avvenimenti ed era pronto a coglierne il senso, la direzione. Ma l’obiettivo iniziale era certamente la costituzione di uno Stato omogeneo, limitato alle regioni settentrionali. L’Italia centro-meridionale, dal Lazio alla Sicilia, gli appariva lontana e indecifrabile. Roma, che egli aveva visitato una sola volta, brevemente, l’aveva turbato e indispettito.
Le cose che egli ammirava erano a nord delle Alpi, non a sud dell’Arno. Ma la politica pura, in cui egli era maestro, aveva le sue leggi a cui egli si piegava con la destrezza di un falegname che sa
aveva usato tutto il materiale di cui l’Italia pre-unitaria era provvista: mazziniani, garibaldini, federalisti, clericali e anticlericali. Li aveva blanditi e traditi, incoraggiati e frenati, a seconda delle circostanze, con un gioco diplomatico in cui l’assenza di scrupoli era riscattata dalla tenacia e dall’intelligenza».
Di questo lo accusavano: del cinismo eccessivo (che in politica è spesso una virtù, e non un difetto). Appena pochi mesi prima dell’incontro di Plombières, Giuseppe Mazzini rese pubblica la propria avversione per quei metodi con una lettera aperta a Cavour dai toni violentissimi e sprezzanti. «Prima non mi piacevate, ora vi aborro. Fino ad ora eravate soltanto un nemico, ora siete un nemico vile e indegno». Le frasi successive tocavano un altro punto chiave del dissenso: «Avete piantato in Italia e in Piemonte un dualismo fatale,
Sopra, un’immagine simbolica dell’unità d’Italia (foto piccola) e l’ingresso a Milano di Vittorio Emanuele II e Napoleone III. A sinistra, uno schizzo raffigurante Camillo Benso. A destra, la contessa di Castiglione; il congresso di Pace di Parigi (Cavour è il primo a sinistra), e un altro ritratto di Camillo Benso
Politico determinato e dalla straordinaria abilità diplomatica, il conte era però inviso a Giuseppe Garibaldi, che lo definì «vile corruttore di giovani e nemico indegno»
dare una funzione decorativa al nodo intrattabile del legno con cui lavora. Per realizzare il suo particolare disegno politico
avete corrotto la nostra gioventù con una politica di artifici e di menzogne sostituita ad una politica leale e serena. Fra voi e noi si apre un abisso: noi rappresentiamo l’Italia; voi la vecchia, bramosa, debole ambizione della casa di Savoia. Noi rappresentiamo l’unità nazionale, voi l’ingrandimento territoriale. Noi crediamo nella iniziativa popolare, voi la temete e vi appoggiate alla diplomazia, al consenso dei governi europei». I fatti – insulti a parte – stavano esattamente come li
descriveva Mazzini. La frattura fra i due schieramenti (emersa prima ancora dell’ingresso in politica di Cavour) si era allargata fino a divenire insanabile. Dopo la Prima guerra d’indipendenza l’ideologo repubblicano aveva incoraggiato diverse iniziative insurrezionali, spesso velleitarie, che non avevano prodotto risultati concreti. S’era allontanata, in tal modo, la prospettiva di una guerra di popolo. Viceversa, la sottile tessitura diplomatica del conte di Cavour stava maturando
frutti concreti. Dopo l’intervento nella guerra di Crimea e il Congresso di Parigi, il Piemonte aveva acquistato prestigio internazionale: era un interlocutore delle grandi potenze. Il «consenso dei governi europei» (e, in particolare, della Francia) offriva la concreta opportunità non solo di vendicare lo smacco di Custoza, ma di progettare l’«ingrandimento territoriale» del Piemonte. Una strada diversa, ma praticabile, per puntare all’unità nazionale.
Mazzini era un ideologo (e un sognatore), Cavour un politico, con una visione pragmatica delle cose. «Sui campi di battaglia», aveva detto in parlamento pochi giorni prima di riceve-
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re quelle pesanti critiche, «valgono i battaglioni». Quelli di Napoleone erano certamente in grado di fronteggiare le armate di Francesco Giuseppe. L’obiettivo di Plombières era appunto questo: convincere l’imperatore a scendere in guerra al fianco del Piemonte contro gli austriaci. Il riserbo – in casi del genere – è una condizione indispensabile per raggiungere il risultato. E Cavour fece le cose per bene.
Il re era informato (e non era molto convinto); i ministri erano stati tenuti totalmente all’oscuro. Per evitare che sospettassero qualcosa, il viaggio fu lungo e tortuoso. Cavour lasciò Torino, dopo la chiusura dei la-
vori parlamentari per la pausa estiva, l’11 luglio; arrivò a Ginevra il 13, e di lì ripartì il giorno 18 per Strasburgo, per raggiungere Plombières la sera del giorno successivo.
Il conte, che viaggiava con documenti falsi, non trovò alloggio negli alberghi pieni di turisti. Rischiò di trascorrere la notte per strada, non fosse stato per quella locandiera mossa a compassione. La notte seguente – dopo i primi colloqui con l’imperatore – fu ospitato in un appartamento degno del suo rango. Come tutti i politici di razza, Cavour aveva la capacità di accettare dai propri interlocutori le medesime proposte che lui
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aveva in animo di formulare. Accadde così persino con Napoleone III, che non era uno sprovveduto e – per di più – si riempiva la bocca celebrando la grandeur, erede convinto di quell’altro Napoleone (il primo), che aveva dominato la scena europea pochi decenni prima. Dopo il Congresso di Parigi – che aveva discusso le condizioni di pace dopo la guerra in Crimea – nel quale Cavour s’era accontentato di un ruolo da comprimario (il massimo che potesse sperare il Primo ministro di uno staterello di piccole dimensioni), i contatti con la Francia erano stati mantenuti attraverso canali segretissimi. Costantino Nigra e il medico personale di Napo-
leone III, Henri Conneau (protagonisti di questa diplomazia parallela), facevano la spola fra Parigi e Torino per tenere aperto il filo del dialogo fra Napoleone e Cavour, agevolato anche dalla missione del tutto particolare affidata da Camillo a Virginia Oldoini, moglie del conte Francesco di Castiglione: in una lettera a Luigi Cibrario (datata 21 febbraio 1856) il primo ministro, scrisse di avere arruolato la contessa nelle file dell’imperatore e di averla invitata «a coqueter e a sedurre, ove d’uopo, l’imperatore». L’accordo di massima raggiunto a Plombières (che sarebbe stato poi definito nei particolari dai rispettivi plenipoprevedeva tenziari) una nuova guerra contro l’Austria con l’obiettivo di liberare il territorio italiano dall’occupazione straniera, ma non l’unificazione della Penisola: la guerra non doveva avere in alcun modo un carattere rivoluzionario, e doveva essere provocata dall’Austria. In caso di vittoria, sarebbe stato formato uno Stato dell’Italia Settentrionale con il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, le Legazioni Pontificie e la Romagna. Umbria e Marche, insieme con la Toscana avrebbero formato uno Stato dell’Italia Centrale (la cui corona, questa era la richiesta di Napoleone, sarebbe andata a suo cugino Gerolamo Napoleone). Il Regno delle Due Sicilie non sarebbe stato toccato. Al Papa sarebbe andata la presidenza della confederazione, come compenso per i territori che sarebbero stati sottratti al suo governo diretto.
La Francia avrebbe contribuito alla guerra con duecentomila uomini (e il comando generale per l’Imperatore) e un prestito in denaro al Piemonte, che avrebbe messo in campo centomila uomini. Come contropartita, la Francia chiedeva Nizza e la Savoia. In più, veniva concordato il matrimonio fra la figlia primogenita di Vittorio Emanuele e Gerolamo Bonaparte, futuro re dell’Italia Centrale. Cavour prese tempo riguardo alla ces-
sione di Nizza, e rimise al re ogni decisione riguardo alle nozze della figlia. Da Baden, due giorni dopo l’incontro, Cavour inviò un rapporto dettagliato a Vittorio Emanuele sull’esito positivo della missione. Nelle settimane seguenti, Cavour mise al corrente dei preliminari di accordo i leader moderati della Penisola: Dandolo, Giulini e Visconti Venosta a Milano; Ricasoli, Capponi e Ridolfi a Firenze; Minghetti e Pasolini nelle Legazioni e in Romagna.
Il 1° gennaio del 1859, nel ricevimento offerto al corpo diplomatico, Napoleone III si rivolse all’ambasciatore austriaco con queste parole: «Mi dispiace che i nostri rapporti non siano buoni quanto vorrei, ma vi prego di scrivere a Vienna che i miei personali sentimenti verso l’imperatore sono immutati». Il 10 gennaio Vittorio Emanuele pronunciò in parlamento il celebre discorso del «grido di dolore». La settimana dopo giunsero a Torino il generale Adolphe Niel e Gerolamo Napoleone: il primo per concludere il patto di alleanza con il Piemonte, il secondo per conoscere Maria Clotilde. Il matrimonio fu celebrato il 30 gennaio nel duomo torinese di San Giovanni. La principessa non aveva ancora sedici anni: fino all’ultimo il padre aveva tentato di ostacolare le nozze. Era affezionato alla figlia, e non voleva sentirsi responsabile della sua infelicità futura, andando sposa a un uomo molto più vecchio di lei, grasso, libertino, condannato da un soprannome (Plon-Plon) che non prometteva nulla di buono. Alla fine si rimise alle scelte di lei. Per quanto fosse ancora un’adolescente, Clotilde si mostrò molto giudiziosa, piegandosi alla ragion di Stato. Nei tre mesi seguenti, Cavour ebbe molti motivi di sconforto. Napoleone appariva incerto. Cercava soluzioni diplomatiche che impedissero la guerra, mentre in Piemonte affluivano volontari da tutta Italia, pronti ad imbracciare le armi. Per fortuna, l’inesperienza di Francesco Giuseppe (che non aveva ancora trent’anni) e la sicurezza dei militari che lo circondavano favorirono i disegni di Cavour. L’Austria intimò al Piemonte di disarmare. Cavour respinse le intimazioni. Il 27 aprile Vienna dichiarò la guerra. Che fu vinta sui campi di battaglia, ma conclusa con un armistizio affrettato (voluto da Napoleone III), che deluse le richieste di Cavour. Ma questa è un’altra storia.
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Impronte a tutti dal 2010: ma sarà davvero così utile? INTANTO HA STEMPERATO IL CLIMA POLITICO, MA IL DECRETO MI SEMBRA DAVVERO ESAGERATO
È IMPORTANTE PRENDERE LE IMPRONTE A TUTTI, MA VADA AVANTI LA BATTAGLIA SUI CLANDESTINI
Due misure sulla sicurezza: impronte digitali non più prelevate solo ai rom, ma a tutti e, per giunta, riportate sulla carta d’identità a iniziare dal 2010, e un test antidroga e antialcol per ottenere la patente. La decisione sulle impronte è stata presa, con accordo trasversale tra le parti, nel corso di una votazione notturna nella commissione Bilancio e Finanze della Camera, come emendamento alla manovra finanziaria. Dato il plauso condiviso, la decisione aveva tutte le caratteristiche per essere giudicata salomonica e pacificatrice, in grado cioè di stemperare le polemiche suscitate dal provvedimento del governo in materia di sicurezza, che prevedeva la rilevazione delle impronte ai bambini rom. Eppure, francamente, non credo sia così. Anzi, devo proprio dire questo provvedimento è quanto di più lontano dall’attuazione di un principio giusto e bipartisan. Sembra piuttosto il solito ”salviamo capra e cavoli” alla Berlusconi. Il risultato? Un brutto colpo ai diritti di noi cittadini, sempre più costretti a vivere in un Paese che rischia pericolosamente di diventare un pessimo esempio di Stato di Polizia.
Personalmente non mi sento troppo sconvolto dalla nuova misura in materia di sicurezza adottata dal governo Berlusconi. Non credo infatti sia una così grave violazione della libertà e della privacy dei cittadini, ma al contrario un provvedimento giusto e che finalmente sembra aver spento tutte le infuocate polemiche nate le scorse settimane suil prendere o meno le impronte digitale a tutti i bimbi rom dei campi nomadi. Credo che anche quest’ultima misura sia assolutamente necessaria e a tal proposito ha detto bene il nostro ministro degli Interni Roberto Maroni, che ha dichiarato: «Bene la norma inserita nella manovra che prevede le impronte digitali, a partire dal 2010 sulla carta d’identità per tutti i cittadini ma l’ordinanza su rom resta. Va benissimo ha detto - è una norma che approvo appieno ma che non cambia nulla rispetto all’azione che stiamo facendo adesso per riconoscere e dare un’identità a chi un’identità non ce l’ha». Infatti, va bene tutto ciò che va nella direzione di una maggiore sicurezza per tutti. Una volta capito questo, credo sia più facile abbandonare ogni tentazione di critica sterile.
LA DOMANDA DI DOMANI
FERREI CONTROLLI, INTERCETTAZIONI, IMPRONTE: L’ITALIA ORMAI È DIVENTATA UN GRANDE FRATELLO
Fulvio Turchetti - Padova
Obbligo di certificato medico anche per un solo giorno di malattia. Siete d’accordo? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
Anna Rita Pinti - Roma
Non credo sia proprio buona questa nuova norma che prevede che dal 2010 a noi tutti dovranno essere prese le impronte digitali e inserite (addirittura) sulla carta d’identità. E’vero, in parte, in questo modo, si disinnesca un po’ la bomba della ”questione rom”. E’ vero anche che con questo nuovo decreto Legge sarà più facile espellere i clandestini appesantiti dall’aggravante di clandestinità. Però continuo a pensare che la nuova misura sia davvero esagerata. Oramai l’Italia è diventata la nazione del controllo, delle intercettazioni a ruota libera, e adesso anche delle impronte digitali per schedarci tutti e il prima possibile. Credo che il problema sicurezza vada affrontato in altro modo, senza ledere la sfera privata e con metodi a dir poco invasivi.
L’ORDINE “IMPOSTO” Giustizia e federalismo. Ecco le priorità del governo Berlusconi. Comprensibile la prima, meno la seconda, anche perché se il modello immaginato è quello della Lega Nord, potremmo già dire da subito che non ci piace. Intanto il federalismo non può essere un dazio che, il Paese intero paga alla Lega che, di fatto, principalmente al Senato, è la sola che può condizionare la spedita navigazione del governo Berlusconi. Poi perché l’Italia fonda la propria storia politica, economica e sociale su un modello culturalmente diverso. L’Italia unita, solidale e capace di sentirsi un “unicum”, questo è quello che ci vuole, dove il nord deve rappresentare la punta più avanzata e il sud deve essere vissuto come una grossa opportunità, prima per le nostre imprese e poi per attrarre investimenti esteri. Il federalismo immaginato dalla Lega, a mio avviso, poi dà molte garanzie politiche, alcune reali e altre di facciata, esclusivamente al proprio elettorato,
GHIACCIO BOLLENTE
Il 9 luglio scorso si è sgretolato il braccio ghiacciato che collegava il Perito Moreno, maestoso ghiacciaio della Patagonia, alla terraferma. Il crollo, senz’altro spettacolare, un po’ impensierisce: simili fenomeni dovrebbero verificarsi in estate, mentre ora in Argentina è inverno
”VIA I CROCEFISSI” INTIMANO I SOCIALISTI Prosegue nella casa della sinistra, per opera e merito di tutta l’intellighenzia più attraente e sofisticata, l’attività d’aggiornamento dei programmi e d’innovazione dei valori. La strada indicata, in questi giorni, sulla scia di quella tracciata in terra d’Ispagna, è ”Via i crocefissi dalle istituzioni e viva lo Stato laico, multiculturalista e pluralista”. Liberiamo lo Stato. Basta col vecchio, dal passato non si colgono i valori e le tradizioni. Per essere moderni, superfashion e vincenti nel futuro, è ora di bruciare tutto, di nasconderlo e d’inghiottirlo, in fretta e senza esitazioni. Si può crescere solo cancellando le tracce, i fasti e le vestigia della propria storia, dei propri usi e costumi, ed eliminando ogni ricordo
dai circoli liberal Silvia Paoloni - Lecce
con cui mantenere un impegno assunto in modo da promuovere e allargare il consenso al nord. Non vedo nei modi e nei toni dei leghisti garanzie per il sistema paese, in termini di sussidarietà sia orizzontale che verticale. Immagino su questioni delicate vedi i rifiuti, la sanità, e cosi via, che in parte condizionano principalmente il Sud, chi deciderà e quale prezzo bisognerà di volta in volta pagare per la soluzione dei problemi? Lo scontro tra politica, giustizia e federalismo leghista non possono impedire le vere e grandi riforme di cui il paese necessita. La madre di tutte le riforme ci sembra quella delle istituzioni, attraverso un dialogo serio, costante e costruttivo, con toni e modi da paese democratico ma principalmente civile, rispettoso della volontà popolare ma anche dei ruoli assegnati alle parti dalla carta costituzionale e non da quella “personale”. Vincenzo Inverso
SEGRETARIO ORGANIZZAIVO CIRCOLI LIBERAL
delle proprie origini giudaico-cristiane. E’ questo il modo per avere cittadini vigorosi, sani, abili, appassionati e ammirati. Viva il relativismo, il pensiero debole e lo gnosticismo. Lo dubitavamo da tempo, ma ora ne abbiamo un’altra conferma: la sinistra si fa paladina del regresso, della volgarità e della bassezza, non del progresso. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.
Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)
APPELLO AI QUOTIDIANI: PIÙ CRONACA, MENO GOSSIP Appello ai giornali online (ma anche a quelli cartacei): vi prego, non ci importa proprio niente degli scatti dei vip in questa o quella località balneare. Per piacere: più cronaca, meno gossip.
Amelia Giuliani - Potenza
COMUNICAZIONE PER I CIRCOLI LIBERAL TODI - VENERDÌ 25 LUGLIO 2008 - ORE 11 Prossima riunione dei presidenti e dei coordinatori regionali liberal all’Hotel Bramante di Todi. A seguire, l’inizio dei lavori del seminario Vincenzo Inverso segretario organizzativo circoli liberal
APPUNTAMENTI SEMINARIO DI TODI - VENERDÌ 25 E SABATO 26 LUGLIO 2008 Seminario, ore 12.00, Hotel Bramante, in via Orvietana 48 I lavori del seminario, che vedrà la partecipazione tra gli altri di Casini, Cesa, Buttiglione, Vietti, Volontè, avranno inizio il venerdì a partire dalle ore 12.00 e si chiuderanno per le 14.00 di sabato
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog La canaglia italiana mi ributta alla frontiera Come una bestia da serraglio, la mia volontà e il mio pensiero van su e giù, fra la stretta gabbia formata da queste due parole: partire, lavorare. E la canaglia italiana mi ributta alla frontiera! Quando tornai (dopo la morte) nel mio paese, tornai a mani piene, e fra il mio Paese mi rimisi, e offersi, e sperai, tentai e volli fondare in Italia qualche cosa che fosse arte e volo aperto verso qualche cosa che fosse attesa di nuove forze! Ma niente fu compreso. E il tentativo fu rovinoso. A notte, non chiuderò le imposte per lasciar passar le stelle dietro i vetri della mia stanza. Che posso fare per vincere questo incanto? La vista stessa dell’acqua che scorre mi tratterrà [dal suicidio]. Come un incantesimo io sento ancora non più l’incanto della mia vita, ma l’incanto della vita, che è nelle cose dell’aria, della terra e del cielo! E così ci si rappattuma con l’esistenza, si transige per incanto delle cose eterne, sulle cose strazianti ma transitorie (noi) e non si muore. Eleonora Duse ad Arrigo Boito
IL CASO DI ELUANA E IL SILENZIO DELLA CHIESA Gentile redazione, mentre dalle pagine principali pian piano sta già scomparendo l’interesse per il caso Eluana Englaro, volevo sottoporvi il comportamento latitante della Chiesa Cattolica Italiana. Fatta eccezione per il Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, Monsignor Fisichella, gli altri autorevoli prelati hanno pensato bene di non interessarsi al problema. Questa è l’impressione di un semplice lettore certo, ma dal mio punto di vista il Vaticano non ha fatto una gran bella figura. È ridicolo poi sentire Bagnasco che a distanza di circa una settimana fa sentire la sua voce ripetendo per giunta le stesse parole di Fisichella e non apportando nulla di nuovo. Cosa bisogna pensare allora? Non è la Chiesa che dovrebbe porsi come baluardo a difesa della Vita? Visti i risultati mi sento molto deluso, forse sbaglio ma mi aspettavo un fronte comune ben compatto.
Ludovico Bitetti - Roma
È GIUSTO CHE LA SCUOLA ”RADDRIZZI” GLI STUDENTI Assolutamente sì, è giusto valutare gli studenti anche in base al-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
19 luglio 1374 Muore Francesco Petrarca, scrittore, poeta e umanista italiano 1903 Maurice Garin vince il primo Tour de France 1957 Muore Curzio Malaparte, scrittore, giornalista e diplomatico italiano 1966 Al Campionato mondiale di calcio, la Corea del Nord sconfigge clamorosamente l’Italia eliminandola dal torneo. Per la prima volta una Nazionale asiatica giunge ai quarti di finale 1979 In Nicaragua i ribelli Sandinisti rovesciano la dittatura di Anastasio Somoza Debayle 1992 Palermo: a pochi mesi dalla strage di Capaci, viene ucciso il procuratore della Repubblica Paolo Borsellino 2001 In Ciad viene scoperto un teschio fossile di una specie ancora sconosciuta, chiamata Sahelanthropus tchadensis, o più familiarmente ”Toumaï”. La presentazione ufficiale avverrà tramite la rivista Nature l’11 luglio 2002
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
la condotta. E trovo che questo nuovo ministro della Pubblica istruzione, la signora Mariastella Gelmini, finalmente stia individuando, a poco a poco ma in modo davvero ficcante, i reali punti su cui battere per far ritornare la scuola italiana alla serietà e al valore di un tempo. Ottimo il provvedimento sul ripristino degli esami di riparazione tra luglio e agosto, giustissimo l’aumento di stipendi di tutta la classe docente italiana. E ancora più giusto è iniziare a valutare i nostri studenti anche in base al loro comportamento dentro e fuori della classe durante l’anno scolastico. In epoca di bullismo dilagante, perché ad esempio premiare, promuovendolo, quel ragazzo che magari ha appena la sufficienza in tutte (o quasi) le materie ma che invece, quanto a comportamento, lascia a desiderare? Una bella ”raddrizzata” al carattere degli studenti cosiddetti ”difficili”, ne sono convinto, col tempo farà in modo che si ritorni a rispettare l’istituzione scuola e gli insegnanti che la rappresentano. Cordialmente ringrazio.
Salvatore Spiga – Napoli
PUNTURE L’“Economist” paragona Berlusconi a Nerone. Ma sbaglia imperatore: meglio sarebbe stato paragonarlo a Caligola.
Giancristiano Desiderio
“
L’amore non possiede, né vorrebbe essere posseduto poiché l’amore basta all’amore KAHLIL GIBRAN
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di LA (NON) SCELTA DI ELUANA ENGLARO E così, Eluana Englaro morirà. Ma ciò avverrà non per un suo atto di volontà, bensì per le argomentazioni deduttive di una sentenza. (...) La volontà di questi ammalati, i quali non sono in grado di darsi la morte da soli, viene totalmente disattesa, sulla base della considerazione politica che non esiste una normativa che legittimi l’eutanasia, e sulla scorta della considerazione etica secondo cui la vita ci è stata data ma non ci appartiene del tutto. Il caso di Eluana è diverso. Eluana non ha mai espresso la volontà di non essere nutrita nel caso il suo stato fosse divenuto vegetativo. La sua volontà è stata “dedotta” dal suo carattere e dalle testimonianze di chi la conosceva. Solitamente vediamo i famigliari battersi per il diritto del loro caro all’interruzione delle terapie mediche, e la Chiesa replicare che nessuno è padrone della sua vita. Nel caso di Eluana assistiamo, invece, a delle autorità religiose che difendono il diritto di Eluana a vivere perché non ha mai scelto di morire, contro delle autorità giudiziarie che di fatto autorizzano i famigliari di Eluana a scegliere il suo destino. E’ questo il fatto che non può essere ignorato: Eluana non ha scelto. Sono casi come quello di Eluana che richiamano alla nostra coscienza la necessità di disciplinare il rapporto tra volontà e cure mediche. Cosa c’è di male nel permettere a ciascuno di lasciar detto: «nel caso mi succeda qualcosa voglio che la natura faccia il suo corso, non vorrei mai che delle persone mi imponessero una vita artificiale». Oppure, al contrario: «nel caso mi succeda qualcosa voglio che facciate di tutto per tenermi in vita, perché sono fiducioso nelle possibilità della scienza medica». Bene fa la Chiesa a di-
fendere oggi la persona Eluana. Ma in questi ultimi casi? Si schiererebbe la Chiesa dalla parte delle persone e delle loro scelte?
Riflessioni di un Conservatore riflessionidiunconservatore. blogspot.com
FISCO. LA BEFFA DAI CANTONI Operazione opposta a quella ticinese, attuate dal Consiglio di Stato Zurighese. Con il chiaro intento di migliorare la concorrenzialità fiscale, il Consiglio di Stato ha presentato oggi una revisione della legge tributaria che prevede importanti sgravi sia per i redditi elevati che per quelli bassi, come pure per le famiglie.Verrà ad esempio abbassata l’aliquota massima per i contribuenti più facoltosi, ha spiegato in una conferenza stampa la responsabile delle finanze Ursula Gut (Plr). Ciò dovrebbe migliorare nettamente la posizione del cantone, che negli ultimi anni si è visto sottrarre buoni contribuenti dalle regioni vicine, in particolare nella Svizzera centrale. Sul versante opposto, viene nettamente rialzata la soglia di reddito esentasse, che passerebbe da 6700 a 11300 franchi per le persone sole e da 13\u2032400 a 22\u2032600 franchi per gli sposati. L’esecutivo prevede inoltre deduzioni maggiori per i figli e per le spese sopportate per la loro cura. Per quanto riguarda la sostanza, gli sgravi interessano i grandi patrimoni, con un taglio all’aliquota. E per finire è prevista una compensazione degli effetti del rincaro (per evitare la “progressione a freddo”, il drenaggio fiscale o fiscal drag), una misura che va a beneficio di tutti i contribuenti. Vuoi vedere che su questa misura si sbagliano, ci era parso di capire ieri che si tratta unicamente di una misura contabile.
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