QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Oggi il supplemento
i quaderni di liberal
Dopo lo scambio di ostaggi tra Hezbollah e Gerusalemme
Come aiutare Israele a superare un momento difficile
di e h c a n cro di Ferdinando Adornato
di Daniel Pipes
L’ultima Oriana alle pagine 2 e 3
Per loro niente spazi nazionali
sraele ha vissuto gli ultimi sessant’anni più intensamente di qualsiasi altro Paese al mondo. I suoi momenti più alti – la resurrezione di uno stato bi-millenario nel 1948, la vittoria militare più asimmetrica della storia nel 1967 e lo straordinario salvataggio degli ostaggi di Entebbe nel 1976 – sono dei trionfi di volontà e testimonianza di fortezza spirituale che ispirano il mondo civile. I suoi momenti più bassi sono stati invece caratterizzati dalle umiliazioni che lo Stato ebraico si è autoimposte, dal ritiro unilaterale dal Libano e dall’evacuazione dalla Tomba di Giuseppe, entrambi nel 2000, dal ritiro da Gaza nel 2005, dalla disfatta per mano di Hezbollah nel 2006 e dallo scambio con lo stesso Hezbollah di prigionieri in cambio di salme, avvenuto la scorsa settimana. Un osservatore esterno non può che stupirsi di questo contrasto. Come possono gli autori di esaltanti vittorie disonorarsi ripetutamente in tal modo, apparentemente ignari dell’importanza delle loro azioni? Una spiegazione è rintracciabile con le date. I momenti di maggiore euforia si sono avuti nei primi tre decenni di vita dello Stato, quelli di maggior abbattimento a partire dal 2000. Qualcosa di profondo è cambiato. Lo Stato strategicamente brillante, ma economicamente inadeguato, dei primi tempi è stato rimpiazzato dal suo esatto contrario.
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9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80724
ANTICIPAZIONI Il romanzo postumo della Fallaci: un’autobiografia famigliare che è anche un grande affresco della storia d’Italia
Ecco i diktat da corso d’Italia
Quei ”confinati” Epifani presidenti fa rimpiangere delle Regioni gli accordi separati
se gu e a p ag in a 9
Il pg dà parere favorevole al differimento della pena
Contrada, liberarlo è un atto di giustizia
L’ombra di Cameron sull’Ue
Bruxelles ancora in preda agli incubi inglesi
di Francesco Rositano
di Giuliano Cazzola
di Errico Novi
di Michele Gerace
Possono fregiarsi del titolo di governatore, ma per i presidenti delle Regioni Roma resta lontana. Con la conseguenza di rimanere in una sorta di “esilio”, dorato o forzato che sia.
La Cgil non perde occasione per irrigidire le sue posizioni anche a costo di prendere le distanze dalle organizzazioni consorelle, che fino a oggi hanno assunto una linea di condotta più aperta e flessibile.
Il pg di Napoli Ugo Ricciardi, a seguito dell’ennesima richiesta per Bruno Contrada di differimento della pena o in subordine di arresti domiciliari, ieri ha dato «parere favorevole» alle istanze.
Se le previsioni verranno confermate, nel Regno Unito vinceranno i Conservatori. E David Cameron già promette la formazione del cabinetto più euroscettico di sempre, assestando un bel colpo all’Ue.
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GIOVEDÌ 24 LUGLIO 2008 • EURO 1,00 (10,00
CON I QUADERNI)
• ANNO XIII •
NUMERO
139 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Nel romanzo di Oriana Fallaci la storia del nostro Paese letta attraverso le vicende dei suoi antenati. Il filo rosso della politica e della religione
Storia di un’italiana di Riccardo Paradisi na saga famigliare, uno scavo storico alla ricerca delle proprie radici, un racconto corale che attraversa oltre un secolo di storia italiana, dal 1773 al 1889: Un cappello pieno di ciliegie, che la Rizzoli si appresta a mandare in libreria, è il libro della vita di Oriana Fallaci, il suo testamento, la storia del farsi del suo genio famigliare attraverso le generazioni. Un affresco imponente, un grande quadro animato dove uomini e donne legate ad Oriana dal nesso del sangue vivono, lottano, amano e soffrono in un Paese, l’Italia, che fatica a diventare una Nazione, crocevia di invasioni, di guerre, di miserie e di speranze, palcoscenico di attori piccoli e grandi di quell’ente potentissimo che è la ruota della storia.
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battaglia di Curtatone e Montanara da cui viene sfigurato, di Anastasia ragazza madre e pioniera nel far west dove diventa tenutaria di un bordello, di Caterina, che alla fiera di Rosia, indossa un cappello pieno di ciliege per farsi riconoscere dal futuro sposo Carlo Fallaci. Sono stati necessari alla Fallaci anni di lavoro per trasformare in un grande romanzo storico i destini incrociati di una cronaca fa-
gito si udirà non so quando. Forse quando sarò morta».
Una dichiarazione importante per capire il senso e la pregnanza di un libro che potrebbe essere accolto tra i documenti che contribuiscono alla costruzione di quella che si è solita chiamare l’autobiografia di una nazione. In Italia genere poco praticato, impedito da una coazione seriale alla rimozione di un passato che
se si fossero trasformate in un frutto della mia fantasia». Del resto lo scarto tra la necessità e la possibilità è così sottile che a colmarlo può solo essere l’immaginazione, l’unica funzione dell’anima capace di afferrare il concetto di destino.
Un’idea di cui il libro della Fallaci è percorso sotto le spoglie del caso: «Nel 1773, quando Pietro Leopoldo d’Asburgo Lorena era granduca di Toscana e sua sorella Maria Antonietta regina di Francia corsi il rischio più atroce che possa capitare a chi ama la vita e pur di viverla è pronto a subirne tutte le più catastrofiche conseguenze: il rischio di non nascere». Tutto ciò dunque che accade ai suoi antenati è necessario alla nascita di Oriana: un discorso che vale naturalmente per ognuno di noi e che basterebbe a da solo a spingere allo studio della storia come invitava a fare Foscolo. Il rischio di non nascere Oriana Fallaci lo corre nel 1773, perché l’antenato Carlo Fallaci, figlio di una famiglia religiossissima aveva già deciso di lasciare la
natia Panzano per trasferirsi in America al seguito di Filippo Mazzei incaricato da Thomas Jefferson di portare abili contadini toscani a piantare l’Ulivo e la vite in Virginia. Il destino però decide diversamente e dopo l’incontro mancato con Mazzei e la morte del padre Filippo diventa terziario francescano usando per la disciplina spirituale fruste e digiuni. Alla morte della madre però Carlo si rende conto di non poter vivere senza una donna e dopo avere incaricato il miglior sensale di matrimoni della zona di trovargli una ragazza si sposa con Caterina Zani ventenne di Montalcinello, intelligente, bella, discendente di una famiglia perseguitata a morte dall’inquisizione e dunque per reazione convintamente atea e ferocemente anticlericale. Un impasto quello tra lei e Carlo Fallaci che invece di generare un cortocircuito genera una sintesi felice: Caterina impara a leggere e scrivere in sette mesi e dopo avere finito i libri di Carlo – considerato bibliofilo per il fatto di averne in casa 11 – compra opere di medicina, di agronomia di farmacopea. Ma la storia non conosce il priva-
n’autobiografia famigliare dunque, e molto di più: perchè Oriana si immedesima nei personaggi della sua stirpe che racconta e mette in scena nel libro: sente dentro di sè la memoria delle esperienze e dei sentimenti dei suoi predecessori. che spesso richiamano però anche elementi direttamente autobiografici. Il cancro per esempio viene evocato fin dalle prime pagine e quello che colpisce alcuni suoi avi prefigura quello di Oriana: «Se non fosse stato per il mal dolent, anzi molto dolent, probabilmente non sarebbe mai riuscito a convincerla. Montserrat non avrebbe mai lasciato Barcellona, incontrato Francesco e di nuovo io non sarei nata». Un altro episodio storico raccontato nel libro, che vede protagonista Caterina Zani, la moglie di Carlo Fallaci, capostipite della famiglia, ha come sfondo l’invasione dell’Italia da parte delle truppe
di Napoleone Bonaparte. A Firenze Caterina affronta direttamente Napoleone gridandogli: «Accident’a te alla troia che t’ha partorito! Che statue sei venuto a rubarci, che guerre sei venuto a portarci, uccellaccio rapace?. E poi, sempre nel racconto della Fallaci, Caterina organizza una vera resistenza antifrancese nonostante la presenza di tanti collaborazionisti italiani. È qui che l’autrice stabilisce un legame diretto tra quella resistenza e quella contro i nazisti e i fascisti di cui furono protagonisti i suoi genitori. Osservando invece un ritratto del trisnonno Giobatta, protagonista della parte terza, la Fallaci scrive: «C’è qualcosa in quel volto, in quegli occhi, che mi disturba. Perchè è qualcosa che mi appartiene, in cui mi riconosco e che non mi piace. Il mio rapporto con la morte. Io odio la morte. L’aborro più della sofferenza, più della perfidia, della cretineria, di tutto ciò che rovina il miracolo e la
«Chi nella politica pensa di realizzare l’irraggiungibile sogno di un mondo libero e giusto rischia di patire il non riconosciuto martirio che ha il nome di delusione»
migliare che con la scrittura si trasforma in una fiaba: «La realtà prese a scivolare nell’immaginazione e il vero si unì alIl romanzo infatti è una cronaca l’inventabile poi all’inventato…E famigliare basata sui racconti dei tutti quei nonni, nonne, bisnonni, genitori e dei nonni, su una lunga bisnonne, trisnonni, trisnonne, e faticosa ricerca documentaria arcavoli e arcavole, insomma tutnelle biblioteche italiane ed euro- ti quei miei genitori, diventarono pee, su cimeli di famiglia conser- miei figli. Perché stavolta ero io a vati in una cassapanca cinque- partorire loro, a dargli, anzi ricentesca custodita dai genitori di dargli la vita che essi avevano dato a me». Oriana. Più che un’autocelebrazione – La metafora della gestazione nella Fallaci una vena egotica non è casuale. Oriana Fallaci è morta il 15 settembre del 2006: il datNAPOLEONE tiloscritto del libro, BONAPARTE 648 cartelle che lei A Firenze stessa aveva battuCaterina antenata to a macchina utidi Oriana affronta lizzando una OliNapoleone vetti Lettera 32, gridandogli: viene consegnato «accident’a te. al nipote Edoardo Che statue Perazzi poche setsei venuto timane prima di a rubarci, quella data. che guerre A Edoardo, suo sei venuto unico erede, vena portarci» gono lasciate anche precise disponon è mai mancata – un Cappel- sizioni per la pubblicazione e lo pieno di ciliegie è un lavoro di l’indicazione del titolo. anamnesi teso a illuminare la Nei lunghi anni di lavoro sul suo scena del proprio teatro famiglia- materiale Oriana aveva sviluppare e del più vasto teatro della sto- to con la sua creatura un rapporria italiana. Una storia dell’Italia to simbiotico, materno appunto: rivoluzionaria di Napoleone, «La vigilia della catastrofe (l’11 Mazzini, Garibaldi,Vittorio Ema- settembre 2008) – confessa la nuele II letta attraverso le esi- scrittrice ne La rabbia e l’orgostenze delle figure parentali della glio – pensavo a ben altro: lavorascrittrice come Carlo, che voleva vo al romanzo che chiamo il mio piantare olivi nella Virginia di bambino. Un bambino molto difThomas Jefferson e che invece ficile, molto esigente, la cui gravipiantò il seme dei Fallaci in Italia, danza è durata gran parte della di Francesco, nostromo, negriero mia vita d’adulta, il cui parto è e padre disperato, di Giobatta fe- cominciato grazie alla malattia rito da un razzo austriaco nella che mi ucciderà, e il cui primo va-
non si vuole riconoscere mai appieno come proprio, nelle sue luci come nelle sue ombre. Un documento parziale, che racconta una porzione di Italia, però abbastanza plurale per la diversità e l’opposizione dei tipi che mette in scena da farne uno spaccato storico attendibile «Anche se le storie, ammette Oriana – crebbero con tanto vigore che a un certo punto mi divenne impossibile stabilire se appartenessero ancora alle due voci (del padre e della madre N.d.r.) oppure
Lessico famigliare di una scrittrice sempre contro corrente
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L’orrore della violenza e della prepotenza raccontato da Oriana
«Perchè odio i tiranni e amo la libertà» n cappello pieno di ciliege è un romanzo attraversato da una costante meditazione sull’intreccio tra ideologia, religione e abuso di potere. Una spia del tormentato rapporto con l’autorità che ha sempre avuto Oriana Fallaci ma anche un modo di mettere a tema un nodo stretto della storia italiana, sempre sospesa tra fanatismi opposti e tormentata dall’’incapacità di stabilire un rapporto sereno con l’autorità. Da questi episodi, dalla strumentalizzazione delle idee e della fede religiosa a fini politici, per conculcare la libertà e l’indipendenza di giudizio delle persone nasce, si direbbe geneticamente, l’odio della Fallaci per il totalitarismi. Il romanzo si apre proprio con uno di questi episodi, con la contrapposizione cioè tra il fanatismo religioso della famiglia Fallaci, contadini a Panzano nell’ultimo scorcio del Settecento, e la ribellione del secondogenito Carlo dopo la morte del fratellino Aloiso. «Quanto alla terzogenita, la diciassettenne Violante, non pensava che a farsi monaca e anche nella morte ravvisava un dono dell’altissimo. L’anno precedente era morto Aloiso, il fratellino di quattordici anni. Era morto in modo crudele, ucciso da un’indigestione di fichi divorati per placare la fame accumulata con il digiuno quaresimale e invece di piangere lei aveva sorriso ”Grazie, Signore, d’averlo accolto fra gli angeli”. Lui invece no. Aveva pianto tutte le sue lacrime e quasi cavato gli occhi al Padre Visitatore che, in sintonia con la sorella, già presa a schiaffi per il ringraziamento, era venuta a ringraziarli con queste parole: ”Esultate, esultate, che è volato in cielo prima di commettere colpe gravi”».
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gioia di essere nati. Mi ripugna guardarla, toccarla, annusarla, e non la capisco. Voglio dire non so rassegnarmi alla sua inevitabilità, la sua legittimità, la sua logica. Non so arrendermi al fatto che per vivere si debba morire, che vivere e morire siano due aspetti della medesima realtà, l’uno necessario all’altro, l’uno conseguenza dell’altro. No so piegarmi all’idea che la Vita sia un viaggio verso a morte e nascere una condanna a morte. Eppure l’accetto. Mi inchino al suo potere illimitato e accesa da un cupo interesse la studio...Spinta da un tetro rispetto la corteggio, la sfido, la canto e nei momenti di troppo dolore la invoco. Le chiedo di liberarmi dalla fatica di esistere, la chiamo il regalo dei regali, il farmaco che cura ogni male. Tra me e lei c’è un legame fosco e ambiguo insomma. Un’intesa equivoca e buia. Ed è quel legame che scorgo nel volto, negli occhi di Giobatta. Quell’intesa».
to: le truppe francesi invadono l’italia e la sconvolgono. La Fallaci allora racconta che Caterina, allergica a ogni imposizione, affronta a muso duro Napoleone e lo accusa di essere un predone.
È da questo impasto di ordine e rivolta, di religione e laicità che nasce e cresce l’albero genealogico che conduce alla nostra più vicina Oriana. Il libro mette in scena altre decine di figure parentali, ma qui è già scritto il dna dell’anima della scrittrice – l’afflato per una religione laica della libertà, l’odio per il fanatismo e il totalitarismo, l’impulso alla conoscenza e alla ribellione, l’irrequietudine e il coraggio, un’istintività unita a un’ipersensibilità spesso irrazionale e molto toscana nel suo esito aggressivo. E se c’è un filo rosso nel Cappello pieno di ciliegie è proprio il rapporto tormentato con la religione, del suo uso e soprattutto del suo abuso come strumento di potere. Un rapporto contraddittorio che non è solo caratteristico della famiglia di Oriana Fallaci e di
lei stessa ma anche della nostra gente. Del popolo italiano e della sua lunga storia di illusioni e delusioni, di divisioni anche feroci nate da idee e fedi religiose che si sono spesso tramutate in ideologie e fanatismi. La presunzione fatale che non conduce solo alla perdita della libertà ma anche al cinismo: «Chi nella politica pensa di realizzare l’irraggiungibile sogno di un mondo davvero libero e giusto non si espone solo al pericolo di finire in galera o al capestro. Rischia anche quello di patire il non riconosciuto martirio che ha il nome Delusione. Inaridisce, la delusione. Demolisce. Sia che te la imponga un individuo o un gruppo, sia che te la infligga una speranza o un’idea, t’annienta. Peccato che a fianco dei monumenti del milite Ignoto le piazze di questa terra non offrano mai un monumento al milite deluso». Viene da pensare agli ultimi vent’anni della nostra storia: una fase di cui non si vede ancora la fine. La storia del resto è sempre storia del presente.
Nella p arte sec onda de l libro Oriana Fallaci racconta la storia di Daniello Launaro, padre di Francesco, un pescatore di Livorno rapito dai pirati barbareschi e per vent’anni schiavo ad Algeri come schiavo cristiano. «Ad Algeri i cosiddetti nazareni venivano interrogati tra schiaffi e pedate, li catalogavano, li smistavano a seconda dello stato sociale e su questo stabilivano se valessero o no il prezzo di una taglia...Le donne molto belle finivano negli harem, le meno belle nei postriboli. Quelle brutte e quelle vecchie a far le sguattere o le spazzine. I bambini in case dove crescevano da servi. Gli uomini, qualsiasi età avessero ai lavori forzati...Diciotto ore al giorno, sempre coi ceppi al collo e ai piedi e dormendo nel modo che sappiamo: in fosse chiuse da una grata e fornie di una scala a pioli per scendere e salire...Morivano a migliaia, spesso nel giro di un anno o due. Di rado sopravvivevano a lungo come Daniello». Siamo nel Risorgimento quando invece un altro parente – del ramo materno – della Fallaci, perde il lume della ragione per le ideologie rivoluzionarie e per l’implacabile potere che l’autorità dei messia esercita su quelli da mandare allo sbaraglio: come il suo avo Giobatta: «Anche se in questa fase delle mie molte vite non mi riconosco, non voglio riconoscermi, non l’ho mica dimenticato chi ero quando ero il Giobatta di cui mi vergogno: Gli ultimi giorni di febbraio, ad esempio, il Circolo del Popolo m’affidò l’Operazione-Alberi–della-Libertà: stupidaggine che consisteva nel piantare i soliti alberini dinanzi ai sagrati delle chiese, adornarli con la bandiera rossa il berretto frigio ed esigere che i passanti gli rendessero omaggio. Le donne, facendo un inchino. Gli uomini togliendosi il cappello. Così passavo il mio tempo a controllare che il rituale venisse rispettato, e se non veniva rispettato io punivo. Le donne le costringevo a inginocchiarsi, gli uomini li obbligavo a leccare il tronco: ”Leccalo reazionario della malora, leccalo!».
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politica
PARADOSSI ITALIANI. Si parla tanto di federalismo: ma a differenza degli Usa ai governatori, da Formigoni e Galan fino a Errani e Vendola, è impedito il grande salto nella politica nazionale...
I confinati di Francesco Rositano
ROMA. Dal 2000, con l’elezione diretta del presidente della Regione, possono fregiarsi anche del titolo di governatore. Un riconoscimento formale del loro ruolo politico e amministrativo. E soprattutto del legame con il territorio. Anche perché alcuni di loro hanno dimostrato di avere tutte le carte in regola per fare il grande salto nella politica nazionale. Eppure, in un sistema come quello italiano caratterizzato da un federalismo de facto attualmente monco (non hanno un’autonomia finanziaria), per loro Roma resta lontana. Con la conseguenza che - per scelta o costrizione finiscono per restare in una sorta di ”esilio”. Dorato o forzato che sia, di ”esilio”si tratta.
I nomi sono illustri: Roberto Formigoni, Giancarlo Galan, Antonio Bassolino, Vasco Errani, Nicky Vendola. Vicende diverse, destino comune. Cominciamo dal primo. Il presidente della Giunta lombarda, che in questi tredici anni di permanenza al Pirellone ha acqui-
In alto Roberto Formigoni. Qui sopra Nicky Vendola (a sinistra) e Giancarlo Galan (a destra). Nella pagina a lato Massimo Cacciari, in alto, ed Enzo Ghigo, in basso
sito sempre più forza e visibilità, per due volte sembrava pronto a trasferirsi a Roma. La prima occasione si presenta nel 2006: viene eletto a Palazzo Madama. Ma Romano Prodi batte per un soffio Silvio Berlusconi. Il risultato è che Formigoni cede il suo scranno al Senato e continua il suo lavoro al Nord. Alle ultime elezioni di aprile le cose vanno diversamente. Il Pdl trionfa alle politiche. E Formigoni figura ancora una volta tra gli eletti al Senato. Diverse voci lo danno già in posti chiave del governo, guidato dal capo del suo partito di provenienza. Ma alla fine lo stesso Berlusconi gli chiede di rimanere in Regione per evitare un’altra tornata elettorale poco dopo le politiche. Così viene promosso a vice-presidente di Forza Italia.
Per Antonio Bassolino, invece, le cose vanno diversamente. Il salto a Roma lo fa nel 1998, quando l’allora primo ministro Massimo D’Alema, lo mette a capo del Ministero del Lavoro. Ma nel giugno 1999, poche settimane do-
po l’omicidio D’Antona, suo consulente giuridico, Bassolino decide di abbandonare il mandato di Ministro e torna a Napoli. Nel 2000 si candida alla presidenza della Regione. Dov’è tutt’oggi re incontrastato. Letteralmente un esilio dorato il suo. Impossibilitato a riaffacciarsi sulla scena nazionale – a causa dello scandalo causato dalla gestione dell’emergenza rifiuti, che gli è costata già due rinvii a giudizio – è rimasto arroccato nel suo ”feudo”.
Per Paolo Pombeni, politologo ed editorialista de Il Messaggero, questa situazione di stallo in cui i governatori delle Regioni sono costretti ai margini o condannati a fare i gregari dei grandi leader, ha ragioni storiche. «In Italia - afferma - le Regioni sono un’invenzione recente legata all’idea sbagliata di una specie di propaggine marginale del Governo. Il sistema regionale nasce nel ’75 ma di fatto decolla a metà degli anni Ottanta. Nel frattempo la dirigenza politica si è formata a Roma accanto al Parlamento. Questo ha contribuito a fare in modo che le Regioni non fossero mai viste come un luogo centrale dello sviluppo e della gestione della cosa
Paolo Pombeni: «da noi le Regioni sono un’invenzione legata all’idea sbagliata di una specie di propaggine del Governo. Invece potrebbero essere luogo centrale per lo sviluppo del Paese» pubblica. Di conseguenza, in questo contesto, anche un personaggio che ha una grande esperienza politica - pensiamo a Formigoni, Galan, Errani - e gestisce risorse notevoli, paradossalmente, vale meno di un parlamentare che, alla fine, non ha nessuna responsabilità». Di conseguenza, continua Pombeni, sorge naturale crearsi delle consolazioni «Tutto ciò - aggiunge crea delle piccole aree di in cui ci si gratifica creandosi dei feudi. Una volta i feudi erano i grandi municipi, visto che la nostra tradizione è fortemente municipalista. Oggi, dal momento che le città sono in crisi e risulta più difficile crearsi questi ”regni personali”, tutto si è spostato a livello regionale. Il punto è che questa strategia è perdente. E vedo solo due soluzioni possibili: o Roma si sveglia, approvando questa tanto anelata legge sul federalismo. Oppure, cosa molto più difficile, dovrebbe partire una grande rivolta regionale. Questa è una cosa più difficile perché gli spazi che c’erano a disposizione li ha occupati tutti la Lega».
Alessando Campi, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università di Perugia, attribuisce le responsabilità di quella che definisce «una strozzatura» al sistema politico italiano. «Da noi afferma - è difficile accedere ai piani alti della politica. Per chiunque. E anche i governatori che avrebbero tutti i requisiti per fare il grande salto, rimangono bloccati. È colpa di un sistema politico oltremodo bloccato, vischioso, oligarchico nel quale non c’è circolazione virtuosa delle élites. Poi ci potrebbe essere un’altra spiegazione più legata alla figura dei governatori che sono diventati tutti – da Formigoni a Galan fino a Bassolino – antagonisti del potere centrale. Non è un caso, ad esempio che Formigoni sia entrato in urto con Berlusconi. E questo dipende anche dalla modalità con cui vengono eletti: un presidente di Regione eletto con sistema partitocratrico, imposto dall’alto in qualche modo restava fedele alle formazioni di provenienza. Oggi, che il sistema è cambiato, invece vengono eletti sul territorio, in modo plebiscitario e anche trasversale. E l’effetto
politica
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Parla Massimo Cacciari: «I primi a pagare lo scotto per questa situazione sono i sindaci»
«Il federalismo? Un’utopia.Alla faccia di Bossi» ROMA. Massimo Cacciari, sindaco di Venezia eletto nelle file del Pd, non ha dubbi: fino a quando non si farà una vera e propria riforma in senso federale i presidenti delle Regioni avranno un ruolo di secondo piano. «Tutto - sostiene amaramente - è assolutamente centralistico in questo Paese.Tutto. Alla faccia di Bossi. Insomma, in Italia, sia nello Stato che nei partiti, per fare carriera bisogna stare assolutamente a Roma. Oppure diventare romani come in parte insegna la vicenda ministeriale della Lega». E questo, a suo avviso, è solo negativo. Anche perché i primi a pagarne le conseguenze saranno i Comuni. «La vicenda dei governatori - aggiunge - è ”tarallucci e vin” rispetto alla situazione dei sindaci e degli enti locali che sono ancora più penalizzati». Sindaco, da noi i governatori sono destinati a rimanere in secondo piano? Noi non siamo l’America. Lì, infatti, siamo in presenza di un sistema veramente federale. E politico è molto forte: è come se perdessero la loro appartenenza politica originaria e diventassero amministratori di un territorio all’interno del quale non si preoccupano di entrare in contrasto con il potere politico nazionale. E spesso e volentieri con le aree politiche di appartenenza. E ciò è abbastanza emblematico: basti pensare che in questo momento chi sbuffa con il governo di centro-destra per la questione della Sanità è più di altri Roberto Formigoni. Entrare in contrasto con le linee guida economiche del proprio governo non è che faciliti il passaggio a Roma».
Giovanni Sartori, politologo ed editorialista del Corriere della Sera, fa un paragone tra la realtà italiana dove, afferma, «il federalismo è ancora incompiuto» e quella americana. «Al momento dice - a meno che non si faccia una riforma alla Bossi, i presidenti delle Regioni hanno molta più forza come governatori. D’altra parte, in questo scenario, cosa potrebbero fare se non i gregari a Montecitorio o Palazzo Madama? In America è un’altra storia: se fanno il salto lo fanno da Governatore a presidente della Federazione. Invece qui il salto si fa da governatore a peones di Parlamento. Non hanno mica il titolo di essere altro. Se lo vogliono. lo facciano pure. Sicuramente i voti per essere eletti li trovano. Ma ripeto: non so se a loro convenga».
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Finora abbiamo solo chiacchierato di riforme, ma siamo andati nella direzione opposta. La conseguenza è questa: i sindaci e i presidenti delle regioni hanno un ruolo di secondo piano
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quindi le forze politiche regionali e locali hanno un peso, un ruolo, una responsabilità. Qui invece il sistema è assolutamente centralistico, sia nello Stato che nei partiti. Per cui, in entrambi gli ambiti, per fare carriera bisogna stare assolutamente a Roma. Oppure diventare romani come in parte insegna la vicenda ministeriale della Lega. Il problema rimane questo: in uno Stato assolutamente centralistico che ha chiacchierato di federalismo, andando nella direzione esattamente opposta, perché mai vuole che i sindaci e i presidenti delle regioni abbiano un peso a livello romano? Secondo lei da questa situazione come se ne esce? Lo sa Dio. Sono vent’anni che si parla di federalismo. E si è andati nella direzione esattamente opposta. E pensa che si continuerà ad andare per questa strada? Certo. I segnali sono inequivocabiili. Basta pensare all’Ici. Un’imposta comunale sugli immobili che viene decisa a Roma e si
chiama imposta comunale: è evidente che si continua ad andare nella direzione opposta. Sono assolutamnente realista. Non mi piace chiacchierare. Non mi piace fare demagogia. Tutto qui. In questo modo si continuerà a penalizzare i Comuni Ma non è questione che i Comuni ne soffrono, perché avrebbero altri diecimila motivi per soffire. Il problema è che indica una linea di direzione che è palesemente l’opposto del federalismo. Insomma, una riforma federalistica dell’Ici avrebbe dovuto dire: Comuni io riduco i trasferimenti e tu arrangiati come puoi per l’Ici. Metti il 10 per mille, aggiungila, sottraila. Sei tu autonomo, responsabile. Noi siamo in un regime federalista e questa è una tua imposta. Ma è solo un esempio. Ce ne sarebbero molti altri da fare. Le norme sui lavori pubblici: tutto è assolutamente centralistico in questo Paese.Tutto. Alla faccia di Bossi.
Parla Enzo Ghigo. L’ex presidente del Piemonte spinge su un’autonomia in senso fiscale
«Per ora sono solo dei re con il cappello in mano» ROMA. Enzo Ghigo, oggi siede al Senato tra gli scranni del Pdl, ma da ex governatore del Piemonte sa benissimo cosa significa amministrare una Regione. E in particolare si rende conto di quali siano veramente gli ostacoli che impediscono ai politici locali di fare il salto di qualità. La svolta, a suo avviso, risiede nel federalismo fiscale. «Se le cose rimangono come sono - afferma - i presidenti delle Regioni dovranno sempre ”bussare” a Roma a chiedere soldi. E non avranno mai una vera autonomia». Poi si spinge ancora più lontano: «Certamente sarebbe auspicabile una vera e propria riforma dello Stato con l’istituzione del Senato Federale. A quel punto il ruolo dei governatori non sarebbe più marginale». Senatore, come giudica la situazione degli attuali presidenti di Regione? Prima l’opinione pubblica vedeva i governatori come qualcosa di unico nel panorama politico italiano: a partire dall’elezione diretta, avvenuta a partire dal 2000, hanno acquisito un ruolo di primo piano. Ma oggi questa spinta propulsiva si è arenata. E questo dipende dal fatto che da noi non esiste il federalismo fiscale. I presidenti, attualmente, non hanno una vera e propria autonomia. Faccio un esempio: che autonomia è se, ad esempio, per gestire la sua sanità un amministratore deve chiedere i soldi al governo centrale per fa-
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Senza una novità saranno sempre dei politici di serie B rispetto a chi frequenta le stanze dell’establishment romano
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re questa o quest’altra cosa.? È ovvio che nell’interlocuzione tra chi deve dare e chi deve ricevere, il primo è sempre più forte. Di conseguenza il ruolo politico che il governatore può assumere nel contesto nazionale è depotenziato. È uno che deve sempre anda-
re con il cappello in mano a prendere i soldi dal governo. Di conseguenza anche la sua originalità politica è diminuita: come fa a prendere posizione e a far sentire la sua voce al governo se deve sempre andare da chi sborsa i soldi. Insomma, tenderà sempre a smorzare i toni per evitare scontri controproducenti per il suo territorio. A suo avviso, invece, quanto in questa situazione incidono le dinamiche interne ai partiti? Avendola vissuta sulla mia pelle posso affermare che esiste una forma di lobbismo di categoria. Si dice sempre che un presidente di Regione vale più di un ministro. Ma nei fatti questo non è vero: un presidente di Regione, purtroppo, rimane un politico di serie B. Assistiamo a questo problema: sia del centro-sinistra che di centro-destra, i presidenti di Regione paradossalmente e fanno fatica a veder riconosciuti i propri meriti rispetto a chi frequenta le stanze dell’establishment romano. Quale sarebbe la soluzione? Una vera e propria riforma istituzionale che preveda il Senato Federale. Un tentativo che aveva già provato a fare l’attuale ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli. A quel punto - con questi cambiamenti - il ruolo dei governatori sarebbe decisamente diverso.
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politica
Dopo venti richieste l’ufficio del pg dà parere favorevole al differimento della pena per ragioni di salute
Contrada, liberarlo è un atto di giustizia d i a r i o
di Errico Novi
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ROMA. In gioco, a parte la vita di
Lodo Alfano, Napolitano promulga la legge
Bruno Contrada, c’è un concetto: «L’umana tollerabilità della sofferenza». Qual è il suo limite? Sono costretti a discuterne gli avvocati dell’ex funzionario del Sisde con il giudice di sorveglianza del carcere di Santa Maria Capua Vetere, Daniela Della Pietra, e il Tribunale di sorveglianza di Napoli, presieduto da Angelica Di Giovanni. Può spettare a persone in fondo sole, incapaci di definire un limite così inafferrabile, la decisione del destino di un uomo? Forse no, ma così vuole la legge. Da ieri si è aggiunto il sostituto procuratore generale di Napoli Ugo Ricciardi. A seguito dell’ennesima richiesta di differimento della pena o in subordine di arresti domiciliari, Ricciardi ha dato «parere favorevole» alle istanze. Si è convinto al ventesimo tentativo degli avvocati Giuseppe Lipera e Maria Grazia Coco. E fino al tardo pomeriggio di ieri la camera di consiglio è andata avanti, dopo che i giudici del Tribunale di sorveglianza avevano potuto guardare negli occhi Contrada, cogliere l’impassibilità del suo sguardo nel momento in cui il sostituto procuratore pronunciava il suo nulla osta. E in quegli occhi, in quello sguardo scavato come da referto medico, dovrebbero aver compreso che un uomo non si scompone più quando gli arriva una buona notizia solo se la depressione ha spento in lui tutto quanto c’era da spegnere.
Il presidente della Repubblica ieri ha promulgato il cosidetto lodo Alfano, la legge che sospende i processi penali per le alte cariche dello Stato. L’impianto della legge, si legge in una nota del Quirinale, «è risultato corrispondere ai rilievi formulati dalla Corte Costituzionale ad un testo precedente (il cosidetto ’lodo Schifani’)». La Corte, infatti, non sancì che la norma di sospensione di quei processi dovesse essere adottata con legge costituzionale.
È in ogni caso troppo grande per tutti, questa vicenda, almeno per gli attori attualmente in gioco. Impotenza, sconforto, paura sono anche nelle parole dell’avvocato Lipera: poco prima delle sette di ieri sera ha ricordato che «l’ansia può uccidere» ma che non per questa è scontata la velocità delle sentenze. Sfiducia nella giustizia: a questo si appella anche quel drappello di parlamentari del Pdl che ancora si espongono per sollecitare il differimento della pena. Margherita Boniver avverte che «il caso drammatico dell’ex funzionario del Sisde è diventato per molti italiani emblematico di un certo tipo di persecuzione giudiziaria ignobile e incomprensibile». Si tratta di una figura completamente diversa, certo, eppure non così lontana nel rapporto con la giustizia da quella di Enzo Tortora, di cui è appena ricorso il ventennale della scomparsa, immortalato tra l’altro dalla splendida biografia di Vittorio Pezzuto, Applausi e sputi. Ma poi
Sì del Senato al pacchetto sicurezza Sempre ieri, il Senato ha approvato con 161 voti a favore, 120 contrari e 8 astenuti la conversione definitiva in legge del decreto sulla sicurezza, accogliendo le modifiche apportate dalla Camera il 16 luglio scorso sulla contestata norma blocca processi, che scompare. La terza lettura del provvedimento ha ottenuto il voto favorevole della maggioranza, il voto contrario del Pd e dell’ Idv e l’astensione dell’ Udc. «Finalmente una svolta storica per la tutela e la sicurezza dei cittadini dopo l’impotenza della sinistra». Ha commentato così il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, l’approvazione definitiva di palazzo Madama.
Europee, Nencini: no allo sbarramento
cosa c’è di diverso tra un condannato e l’altro? Nessuna finché si discute dell’umana tollerabilità della sofferenza. E di questo sono finiti a discutere giudici e avvocati di Bruno Contrada. Almeno dal 19 luglio scorso, da quando cioè il magistrato di sorveglianza ha rigettato con queste parole l’ennesimo ricorso: «Quanto all’età avanzata dell’istante, va detto che ben può comprendersi come per un soggetto anzia-
scorso ha scritto ai suoi legali, ha citato le parole del giudice e si è chiesto: «Quando si supera il limite dell’umana tollerabilità? Come si accerta che tale limite è stato o meno superato? Chi deve e può stabilirlo?». Peraltro l’impotenza di fronte a tali quesiti è spiegata anche da un altro deputato del Pdl, Amedeo Labocetta, che ieri nell’aula della Camera ha dato notizia del parere favorevole espresso da Ricciardi: «Sembra che qualcuno finalmente abbia capito che in Italia non è stata reintrodotta la pena di morte». E invece ha ragione il parlamentare campano: senza un intervento risolutore si trasforma la condanna a dieci anni di carcere inflitta a Contrada per concorso esterno in associazione mafiosa (diventata definitiva nel maggio 2007 e da scontare fino all’ottobre 2013, al netto della carcerazione preventiva e degli sconti) in una pena capitale. Non è un caso che Anna Contrada, sorella di Bruno, sia arrivata a rivolgersi al presidente della Cei Angelo Bagnasco: «Si batta, la supplico in ginocchio, anche per la vita di mio fratello, vecchio e afflitto da tanti mali: che gli venga restituita la vita, quel poco di vita che gli rimane».
Finora giudici e avvocati avevano discusso sulla «umana tollerabilità della sofferenza per un uomo anziano affetto da alcune patologie». E l’ex funzionario del Sisde: «Chi può mai stabilire questo limite?» no, affetto da alcune patologie, la privazione della libertà sia vissuta come una sofferenza aggiuntiva ma, secondo giurisprudenza, essa può assumere rilevanza soltanto quando si configuri di entità tale da superare il limite dell’umana tollerabilità». Secondo giurisprudenza, ecco la parola chiave. Il giudice cercava un riferimento, si è sentito almeno fino a quella data incapace di stabilire da sola il limite, e per questo si è affidata a quello che stabilisce la giurisprudenza.
Deve aver compreso che è questo il nodo anche Bruno Contrada. Subito dopo la sentenza del mese
«Siamo contrari alla cancellazione del voto di preferenza per le europee e contrari allo sbarramento». Lo ha dichiarato il segretario del Partito socialista Riccardo Nencini, che ha presentato ieri a Montecitorio la prima campagna pubblica del Ps: domenica prossima i socialisti raccoglieranno firme in tutta Italia «per il ripristino della preferenza e in difesa della Costituzione. Non sappiamo se questa sarà una legislatura costituente - ha aggiunto - in ogni caso si dovrebbe discutere prima di riforme istituzionali e poi, eventualmente, di leggi elettorali. La cancellazione di ogni possibilità di scegliere i propri rappresentanti alla Camera e al Senato ha allargato il solco tra istituzioni e cittadini e indebolito l’autorevolezza del Parlamento».
Lega: riforme avanti tutte insieme Le riforme andranno avanti tutte di pari passo. Lo ha sottolineato il ministro per la Semplificazione legislativa Roberto Calderoli. Il ministro e il leader della Lega Umberto Bossi, incontrando ieri mattina Silvio Berlusconi, hanno stabilito che federalismo, riforme istituzionali e riforma della giustizia «andranno avanti insieme».
Rai, sospesa la riunione del Cda E’ stata sospesa la seduta del Cda Rai che avrebbe dovuto decidere sulla proposta del dg Cappon di trasferire il direttore di Raifiction, Agostino Saccà. I consiglieri di centrodestra presenti - Angelo Maria Petroni e Giovanna Bianchi Clerici - hanno abbandonato la seduta. Mancando il numero legale la riunione è stata dunque sospesa. La proposta del direttore generale prevedeva anche di insediare Fabrizio Del Noce al posto di Saccà.
Frattini: azione politica per Unione del Mediterraneo «L’Italia garantisce pieno sostegno all’Unione per il Mediterraneo, ma chiede un’azione politica che coinvolga pienamente i partner non europei e non si limiti a proposte ”da prendere o lasciare». Lo ha sottolineato il ministro degli Esteri, Franco Frattini, chiudendo alla Farnesina il convegno ”L’Unione per il Mediterraneo, un nuovo ruolo e una nuova opportunita’ per l’Italia”. «Il tema dell’estremismo - ha aggiunto - va affrontato alle radici, c’è una richiesta di cogestione dei processi politici. L’area mediorientale è piena di polveriere che possono esplodere da un momento all’altro. Bisogna fare in modo di intervenire prima che la miccia sia accesa ed elaborare un progetto comune che consenta ai nostri partner di entrare dall’inizio nella gestione dei processi politici».
politica
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Luciano Ciocchetti giudica i primi due mesi della Giunta capitolina
«Ecco perché Alemanno ci ha delusi» colloquio con Luciano Ciocchetti di Francesco Capozza
ROMA. «La gestione Veltroni è stata contraddistinta da molti sprechi, ma non si può dimenticare, nell’analizzare la situazione del bilancio della città, il problema strutturale romano. O Alemanno coinvolge la città e le forze sociali, imprenditoriali e politiche, oppure non andrà lontano, e le incertezze di oggi si ripresenteranno appena finiti i 500 milioni di euro, con l’aggravante dei problemi di cassa che arriveranno da luglio in poi, quando il gettito di entrate fresche dell’Ici non ci sarà più». Queste, le parole di Luciano Ciocchetti, deputato dell’Unione di Centro e candidato sindaco a Roma alle elezioni comunali dello scorso aprile - pronunciate circa un mese fa in occasione del prestito erogato al Campidoglio dal governo. A luglio ci siamo arrivati e, tra l’altro, siamo quasi al cinquantesimo giorno della giunta Alemanno. È quindi ora di fare un bilancio. Per ora il giudizio è sospeso. La macchina capitolina è ferma, le persone messe al vertice sono inesperte, l’apparato burocratico dell’amministrazione comunale – visti i numerosi cambiamenti – stenta a partire. Fino ad ora abbiamo avuto una fortissima presenza, ovunque, a qualsiasi evento, a qualsiasi dibattito sull’amministrazione comunale e non. Del comune, della sua giunta e dei provvedimenti attuati o da attuarsi concretamente si sente poco e nulla. Dal punto di vista economico, per ora il comune sta respirando grazie a quei 500 milioni erogati dal governo, quindi, la mia previsione per luglio è solo slittata all’inizio dell’autunno, quando di soldi “freschi” non ce ne saranno più. Una sola cosa mi piacerebbe capire: se questi 500 milioni sono, come dice il sindaco Alemanno, un aiuto statale o se, come c’è scritto nel decreto 112, sono solo un prestito che, come tutti i prestiti, va restituito. Sempre qualche settimana fa lei aveva invitato Alemanno a fare di Roma un laboratorio politico.
Che risultato ha avuto il suo appello? La lungimiranza che mi aspettavo o che auspicavo non c’è stata e sembra che i primi passi portino in direzione opposta. Io e tutta l’Udc, speravamo in una stagione di dialogo che potesse davvero creare quel “laboratorio politico” che sarebbe stata l’unica soluzione politica
“
Il buco nel bilancio esiste. Il sindaco non ha scelte: se non coinvolge tutte le forze della città non andrà lontano per rilanciare Roma. Invece, da Alemanno e da molti settori della maggioranza, sono arrivati solo tentativi di compravendita per acquisire questo o quel consigliere. D’altronde la tattica è la stessa messa in atto a livello nazionale. Noi dell’Udc abbiamo messo in atto un’opposizione costruttiva, proponendo azioni concrete, come la vendita della quota
”
pubblica – pari al 49% - dell’Acea che consentirebbe al Comune di avere 1,5 miliardi di Euro liquidi per poter sanare il buco di bilancio. Ma la voragine nei conti del Campidoglio c’è o no? Che il buco ci sia è un fatto noto a tutti, se poi si rileggono le mie dichiarazioni rese durante l’ultima campagna elettorale, quando andavo denunciandolo apertamente, si capirà che non era un segreto nemmeno prima dell’avvento di questa amministrazione comunale. Questa voragine, tuttavia, non è dovuta esclusivamente a demeriti dell’amministrazione Rutelli e poi Veltroni come va dicendo Alemanno. È troppo facile passare all’avversario la patata bollente delle colpe. Il buco attuale, superiore a 6 miliardi di Euro, è il risultato dell’ amministrazione sconsiderata degli ultimi trent’anni. Ci sono molte proposte dell’Udc volte a sanare questo deficit mostruoso: oltre alla
Una tre giorni di dibattito dell’Unione di centro per il rilancio della Capitale
Stasera Casini chiude la festa di Roma È stata una tre giorni di festa, ma anche di dibattito politico e di progetti concreti quella organizzata dall’Udc romana e che si conclude stasera alla terrazza RomaEstate del Foro italico. Tre giorni di dibattiti e convegni su temi specifici e salienti per Roma e per il Lazio. L’apertura, martedì scorso, è stata affidata al segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa e all’Luciano Ciocchetti e tra gli ospiti di rilievo che hanno partecipato all’inaugurazione sono intervenuti il Presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Avrebbe dovuto partecipare anche il
sindaco della Capitale, Gianni Alemanno, che però alla fine non ce l’ha fatta. Nella serata di mercoledì si sono alternate personalità del mondo della sanità, per il dibattito “ La sanità nel Lazio: un futuro di interventi importanti”e giovani esponenti della nuova politica italiana – tra cui la giovane deputata del Pd Marianna Madia- per la tavola rotonda “ Giovani e politica: un dialogo possibile?”. Stasera la conclusione con Pier Ferdinando Casini, intervistato da Roberto Arditti, direttore editoriale del quotidiano Il Tempo.
vendita dell’Acea già citata, io e il mio gruppo abbiamo proposto la messa sul mercato di tutti quegli enti in cui il comune ha partecipazioni ma che, in realtà, non c’è nessun motivo per cui le abbia. Anche le farmacie comunali potrebbero essere vendute e privatizzate e il risultato, in termini economici, sarebbe molto interessante. È di oggi la notizia dell’incendio in un campo rom. Il sindaco ha promesso punizioni severe per i responsabili. Fa bene? Alemanno sembra ancora in campagna elettorale. Abbiamo assistito per mesi alle sue esternazioni contro l’immigrazione clandestina e a favore della maggiore sicurezza. Dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita da un pezzo, ha vinto, ora deve governare e trovare quelle soluzioni che ha promesso. Tranne il censimento sugli immigrati che sta facendo la Croce rossa, non s’è visto null’altro che dichiarazioni rassicuranti. Quel 65% dei consensi è destinato presto a diminuire considerevolmente se non si pongono in essere fatti e atti concreti. Le lune di miele, si sa, finiscono presto. In questi giorni e fino a questa sera, alla terrazza RomaEstate del Foro Italico si è svolta la manifestazione “ L’Udc fa sul serio”. Con questo titolo, ovviamente, vi riferite alla politica romana? Sì, con questa manifestazione, dove la festa di partito ed il dibattito politico su cose concrete sono andati di pari passo, abbiamo voluto dimostrare che l’Unione di centro esiste ed è presente con proposte serie, nonostante i numerosi tentativi di screditarci e di comprarci. In questa occasione ci siamo impegnati per offrire risposte su più fronti: dal dibattito sulla Sanità ( uno dei punti dolenti del comune e della regione) a quello su Roma città metropolitana, a cui è intervenuto anche il presidente della Regione Piero Marrazzo. Avevo invitato anche il sindaco ma, evidentemente, avrà avuto altri impegni.
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pensieri
I diktat posti da corso d’Italia su manovra, statali e contratti
La Cgil fa rimpiangere gli accordi separati di Giuliano Cazzola rmai non è più soltanto una questione di toni o di dichiarazioni, ma di atti concreti. La Cgil non perde occasione per irrigidire le sue posizioni anche a costo di prendere le distanze dalle organizzazioni consorelle le quali, fino a oggi, hanno assunto una linea di condotta più aperta e flessibile.
O
A parte il caso – assai concreto – del contratto dei lavoratori del commercio (non sottoscritto dalla federazione di categoria della Cgil), vi sono ormai molti punti di conflitto palese tra la confederazione di Gugliemo Epifani e il governo. La «prima linea» è quella del pubblico impiego: la Funzione pubblica della Cgil contesta il piano Brunetta, attaccandosi all’ammontare degli stanziamenti per i contratti, che sono ritenuti insufficienti. Il sindacato finge di non sapere che è prassi usuale (di cui le federazioni sono complici) stanziare, nella manovra di bilancio, le risorse disponibili, riservandosi poi il governo di adeguare il fabbisogno (lo hanno fat-
nanziaria, nell’anno dei rinnovi, stanzia risorse simboliche, soltanto per riempire la posta di bilancio. Poi ha inizio il negoziato dove si definiscono i costi effettivi, la cui copertura slitta necessariamente alla manovra dell’anno successivo. Il governo Berlusconi ha voluto innovare rispetto a questa prassi, stanziando un congruo ammontare già nella manovra (più di 2,3 miliardi di euro), in vista di una trattativa che deve ancora iniziare, e nella quale potranno essere adottati opportuni correttivi, pur in un contesto in cui i pubblici dipendenti (che hanno avuto negli anni passati incrementi salariali assai superiori a quelli dei privati) sono chiamati a partecipare ai sacrifici richiesti a tutta la pubblica amministrazione. Ma la Cgil non vuole tener conto di tutto ciò e usa il pubblico impiego come testa d’ariete contro il governo. Nello stesso tempo, ristagna il negoziato sulla struttura della contrattazione collettiva. Che si dovesse arrivare a settembre era scontato; ma i passi in avanti sono
MAURIZIO SACCONI Il ministro del Lavoro potrebbe sbloccare l’impasse in atto sulla riforma dei contratti lanciando il suo patto sociale per aiutare le fasce più deboli
to negli anni tutti gli esecutivi) soltanto dopo il negoziato. Questa prassi – invero discutibile – consente ai governi di chiudere le Finanziarie e di rinviare ad altri provvedimenti gli oneri dei rinnovi pubblici. Si spiega così anche il problema degli slittamenti contrattuali, lamentato dai sindacati (anche se in generale non vengono negati gli arretrati). Il circolo vizioso è il seguente: la Fi-
troppo modesti. Soprattutto il negoziato si è incagliato, in modo strumentale, sul problema del tasso di inflazione programmato (che la Confindustria non è aliena a risolvere in maniera equilibrata).
Un appuntamento importante per poter capire e interpretare le mosse di tutti i protagonisti riguarderà l’incontro che il ministro del Lavoro,
Maurizio Sacconi, intende promuovere prima della chiusura estiva e subito dopo il varo della manovra triennale.
A questo proposito si è parlato di un vero e proprio patto sociale su come redistribuire gli effetti della ripresa economica a favore dei lavoratori e dei pensionati. Cisl e Uil sono molto interessate a questo appuntamento; la Cgil nicchia. È veramente singolare la simbiosi in atto tra il Pd e la confederazione rossa (a cui è alleata – paradossalmente – l’Ugl, la prima organizzazione impegnata a manifestare): un processo che lascia scoperte sul piano politico le altre due confederazioni, costringendole in una condizione molto difficile, dal momento che ogni loro atto di responsabilità rischia di essere interpretato con facilità, dalla base forcaiola della sinistra, come un cedimento verso un governo «nemico». Viene da chiedersi a questo punto se sia possibile prefigurare una nuova stagione di accordi separati. Va da sé che la
Serve il via libera della prima sigla italiana per cambiare le regole dei contratti. Ma quando non c’è stato – intesa di San Valentino o Patto per l’Italia – il Paese ne ha tratto benefici
I CONFEDERALI Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti (in primo piano nella foto) pagano l’ostruzionismo di Guglielmo Epifani. Cisl e Uil provano a respingere la simbiosi in atto tra Cgil e Partito democratico
cosa non sarebbe auspicabile, soprattutto quando sono in discussione delle regole e delle procedure all’interno delle quali stipulare i contratti. È vero altresì che i principali processi di innovazione si sono avuti in questo Paese attraverso gli accordi separati. Soffermiamoci soltanto agli ultimi 25 anni: dall’accordo di San Valentino del 1984 (che cominciò a smantellare la sca-
Epifani contesta le scarse risorse per il pubblico impiego non sapendo che ogni governo inserisce in Finanziaria cifre inferiori per poi trattare in una seconda fase
la mobile in quanto costituiva una “fabbrica” dell’inflazione) al Patto per l’Italia del 2002.
Soltanto nel 1992 la Cgil si assunse la responsabilità di stipulare – a fine luglio – un’intesa con il governo Amato che scrisse la parola fine sul vecchio modello contrattuale e aprì la strada al Protocollo del luglio 1993 (l’atto che ha retto e regolato
RENATO BRUNETTA Il ministro della Funzione pubblica e il governo hanno stanziato per il rinnovo degli statali aumenti per 2,3 miliardi di euro, ma per la Cgil non sono ancora sufficienti
fino ad oggi le relazioni industriali). Ma per portare la Cgil alla firma ci volle la determinazione di Bruno Trentin. L’allora segretario non esitò a impiegare tutto il suo prestigio per sottrarre il suo sindacato al veto della Quercia (contro ogni intesa con quel governo, ora pienamente rivalutato) allora diretta da Achille Occhetto. Altri tempi, altri leader.
& parole
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Samir Kuntar, appena rilasciato, bacia un religioso druso durante i festeggiamenti per il suo rientro nella città di montagna di Abey, 8 chilometri a sud di Beirut. Cinque terroristi libanesi ed oltre 200 salme sono stati rilasciati dal governo israeliano in cambio di due soldati uccisi durante gli scontri del 2006
Perché lo “squilibrato” scambio di prigionieri fra Beirut e Gerusalemme può offrire qualche sorpresa...
Chi gioirà per ultimo,Hezbollah o Israele? di Daniel Pipes segue dalla prima
A QUANTO PARE le menti dello spionaggio, i geni militari e i cervelloni politici si sono lanciati nell’alta tecnologia, lasciando lo stato nelle mani di gente mediocre, corrotta e mentalmente miope. Come si può giustificare altrimenti il Consiglio di gabinetto del 29 giugno scorso, durante il quale 22 dei 25 ministri hanno votato a favore del rilascio di 5 terroristi arabi vivi, incluso Samir al-Kuntar, 45 anni - uno psicopatico e il più famoso prigioniero delle carceri israeliane - e di 200 salme? In cambio, Israele ha ottenuto i corpi di due soldati uccisi dagli hezbollah. Perfino il Washington Post si è stupito di questa decisione.
Il primo ministro israeliano Ehud Olmert ha approvato l’accordo perché ciò «porrà fine a questo doloroso episodio», un’allusione al recupero dei corpi dei caduti di guerra e al dolore dei familiari degli ostaggi. Di per sé sono entrambi degli obiettivi onorevoli, ma a che prezzo? Questa distorsione delle priorità mostra come un Paese un tempo strategicamente formidabile sia degenerato in una nazione assolutamente sentimentale, in un governo senza timone dove l’egocentrico egoismo batte la sua ragion d’essere. Gli israeliani, pasciuti con deterrenza e appeasement, sono disorientati. La cosa peggiore è che la sconcertante decisione governativa non ha scatenato alcuna reazione furibonda né in seno al Likud né al-
l’opposizione, né tra le principali istituzioni pubbliche israeliane, ma in generale (con qualche notevole eccezione) sono tutti rimasti silenti. La loro assenza si riflette in un sondaggio condotto dal Tami Steinmetz Center, che rivela come gli israeliani approvino lo scambio con un rapporto di circa 2 a 1. In poche parole, il problema si estende ben oltre la classe politica e tocca tutta la po-
polazione. Dall’altro lato, i vergognosi festeggiamenti per Kuntar, l’assassino di bambini, accolto in Libano alla stregua di un eroe nazionale, con un governo che ha interrotto i lavori per celebrare il suo arrivo e salutato come “un eroico combattente”da parte dell’Autorità palestinese, rivelano quanto sia profonda l’inimicizia libanese nei confronti di Israele e denotano un’immo-
«La scarcerazione di Kuntar pone fine all’obbligo dello Stato ebraico di garantirgli protezione; una volta in Libano è un obiettivo da uccidere. Israele lo prenderà e sarà ammazzato»
ralità che disturba chiunque si occupi dell’anima araba.
L’accordo implica numerose conseguenze negative. Esso incoraggia i terroristi arabi a sequestrare altri soldati israeliani per poi ucciderli; incrementa il prestigio di Hezbollah in Libano e lo legittima a livello internazionale; incoraggia Hamas e rende più problematico il raggiungimento di un accordo per il suo ostaggio israeliano. E per finire, anche se questo episodio sembra irrilevante se paragonato alla questione nucleare iraniana, le due cose sono collegate. Titoli internazionali sulla falsari-
La tv qatariota festeggia in studio il rilascio di Samir Kuntar
Olmert congela i rapporti con Al Jazeera L’UFFICIO
STAMPA governativo (Gop) di Israele non ha preso bene la notizia dei festeggiamenti riservati da Al Jazeera a Samir Kuntar e ha deciso di congelare i rapporti con la rete televisiva del Qatar, nel cui ufficio di Beirut è stato celebrato il pluriomicida libanese liberato la scorsa settimana da Israele nel quadro di uno scambio di prigionieri con gli Hezbollah. Il direttore del Gop, Daniel Seaman, ha detto che Samir Kuntar - uccisore di tre israeliani, tra i quali una bambina di 4 anni alla quale aveva fracassato il cranio in un attacco da lui attuato nel 1979 a Nahariya - è stato accolto e festeggiato come un eroe nella redazione di Beirut di Al Jazeera, «e questo è inaccetabile». «Abbiamo deciso di congelare i rapporti e di sospendere i servizi forniti a Al
Jazeera fino a quando questa non ci avrà dato spiegazioni esaurienti» ha detto Seaman, precisando tuttavia che i giornalisti di questa rete potranno continuare a usufruire del tesserino stampa emesso dal Gop «almeno per il momento». La risposta della tv satellitare qatariota non si è fatta attendere ed è tutta in retromarcia: «Non abbiamo affatto festeggiato Samir. Lo abbiamo ospitato sabato nel programma “Dialogo Aperto”, uno spazio di approfondimento in cui abbiamo coperto la notizia del suo rilascio e dello scambio di prigionieri e salme tra Israele e Hezbollah» di mercoledi scorso, ha detto all’Ansa Ghassan Ben Jiddo, conduttore del programma in questione. «Peccato per quella torta in studio...» ha chiosato il direttore del Gop.
ga di “Israele piange, Hezbollah esulta” confermano l’opinione mediorientale ampiamente diffusa, seppure erronea, che Israele sia una “ragnatela”che può essere distrutta. Può darsi che il recente scambio abbia già offerto all’apocalittica leadership iraniana un ulteriore motivo per brandire le sue armi. O peggio ancora, come osserva Steven Plaut, equiparando «i pluriomicidi di bambini ebrei ai soldati combattenti», lo scambio giustifica in realtà «lo sterminio di massa degli ebrei in nome dell’inferiorità razziale ebraica». Per coloro che hanno a cuore il benessere e la sicurezza di Israele, io propongo due consolazioni. Innanzitutto, Israele continua ad essere un Paese forte che può permettersi degli errori; una stima prevede perfino che esso sopravvivrebbe a un confronto nucleare con l’Iran, contrariamente a quest’ultimo. In secondo luogo, la vicenda Kuntar potrebbe avere una sorpresa a lieto fine. Un alto funzionario israeliano ha detto a David Bedein (editorialista e intellettuale israeliano, ndr) che la scarcerazione di Kuntar pone fine all’obbligo dello Stato ebraico di garantirgli la sua protezione; una volta in Libano, egli è divenuto «un obiettivo da uccidere. Israele lo prenderà e sarà ammazzato (…) i conti verranno regolati». Un secondo alto funzionario ha aggiunto «non possiamo lasciare che questo uomo pensi di potersene andare in giro impunito per l’omicidio di una bambina di 4 anni». Chi riderà per ultimo, Hezbollah o Israele?
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mondo
Se David Cameron vince le prossime elezioni si profila un duro smacco per l’Unione europea
Bruxelles di nuovo in preda agli incubi inglesi di Michele Gerace utto il Regno Unito è in delirio per Publio Elio Traiano Adriano, l’imperatore romano che regnò dal 117 d.C. fino alla fine dei suoi giorni. Pare che a rendere Adriano una star mediatica sia stata la sua capacità di lasciare il segno nella storia e nell’immaginario collettivo della popolazione di Sua Maestà. Sarà per amore o forse per spirito di emulazione verso la biografia di Adriano che oggi David Cameron ha deciso di provare ad incidere sul futuro, oltre che degli inglesi, delle istituzioni e dei cittadini europei. Se le previsioni verranno confermate, i Conservatori vinceranno le prossime elezioni. Cameron è pronto e, avendo già dimostrato di saper volare alto nei sondaggi, non vede l’ora di dimostrare di saper governare. Ciò che desidera è dare una violenta sterzata alla politica, interna ed estera, dei suoi predecessori del New labour fondato da Tony Blair. Sul fronte domestico, l’obiettivo è costruire una società giusta: saper essere «tanto radicali nella riforma della società quanto lo fu Margaret Thatcher nella riforma dell’economia». I Tory, si sa, sono considerati spigolosi e intrattabili e, se vogliono vincere, spetta a Cameron il difficile compito di accreditarsi una volta per tutte come uomo di stato dismettendo i panni del Tory doc. I nuovi Conservatori hanno un piano e hanno promesso che se andranno al governo, formeranno il cabinetto più euroscettico di sempre, assestando un bel colpo alle fragili fondamenta di un’Ue politica ancora scossa dal “grande” rifiuto d’Irlanda.
T
Al momento del voto dei Lord per la ratifica del Trattato, i soli tre «si» provenienti dalle fila dei Conservatori hanno messo Cameron nelle condizioni di poter fare a meno di fingere nel mostrarsi accomodante nei confronti della minoranza eurofila. Risolto il problema all’interno del partito, al leader Tory - che riferendosi al Trattato di Lisbona dichiara con fare ecumenico «non voglio interferire nelle decisioni degli altri Paesi, io rispetto gli altri Stati ma noi chiediamo rispetto per i
David Cameron con Boris Johnson nostri elettori» - non resta che mettersi alla finestra e stare a guardare. Occhi puntati sull’Irlanda, dunque, perchè Cameron sa bene che, per elaborare una efficace strategia d’attacco, occorre prima attendere le mosse dei paesi che ancora devono procedere a ratifica.
La partita dipende interamente da quanto avverrà sullo scacchiere europeo di qui ad un paio d’anni. Intanto, le ipotesi più accreditate sono tre: 1) prima dell’insediamento del nuovo governo conservatore, l’Irlanda riesce a convincere gli altri Stati a demordere dall’idea di procedere con nuove votazioni; 2) insediato il nuovo go-
tandosi di smontarlo pezzo dopo pezzo, si proveranno a dotare di maggiore forza giuridica singole parti di esso. Nel secondo caso, non è del tutto remota la possibilità che a Cameron salti in mente di indire un referendum popolare per revocare la ratifica approvata lo scorso 19 giugno. Venendo alla terza ipotesi, c’è da aspettarsi di tutto. Il ministro degli Esteri ombra, William Hague, ha fatto sapere che in tal caso, di sicuro, «le cose non verranno lasciate come stanno».
Suona come una minaccia e, sebbene non sia ancora chiaro a quali «cose» Hague alludesse, l’affermazione potrebbe na-
Da Londra i Conservatori guardano con attenzione al comportamento irlandese, pronti a mandare all’aria il Trattato europeo e a formare insieme agli ex comunisti un nuovo euro-gruppo verno conservatore, il Trattato non è stato ancora ratificato da tutti gli Stati; 3) insediato il nuovo governo conservatore, tutti e 27 gli Stati membri (Irlanda inclusa), hanno ratificato il Trattato. Qualora si dovesse verificare la prima ipotesi, i Conservatori potranno dirsi soddisfatti senza peraltro aver faticato nel fare la propria parte, poiché non resterà che compilare il referto di morte del Trattato: acconten-
scondere un bluff. Il prefigurarsi di uno scenario in cui tutti gli Stati abbiano già completato l’iter di ratifica metterebbe il neogoverno inglese all’angolo. Perso il sostegno di un nuovo «no» irlandese, Cameron non avrebbe più abbastanza forza per far saltare il tavolo di Lisbona e, suo malgrado, sarebbe costretto a rivedere i propri piani. Iniziando a giocare su un tavolo diverso, potrebbe richiedere una più
ampia facoltà di out-out. Soprattutto in materia di occupazione e affari sociali.
Ma a Bruxelles tutto ha un prezzo, e se Cameron vorrà continuare a percorrere la via del bastian contrario, la sua condotta non rimarrà priva di conseguenze politiche. A cominciare dal subire un taglio netto ai finanziamenti Ue, i Conservatori avranno a che fare con una bella gatta da pelare. E non è tutto. Come se non bastasse, i Tory, al di là di quel che potrà avvenire nei prossimi due anni, hanno intenzione di smarcarsi dal Partito popolare europeo (per quel che riguarda l’Italia, composto da Udc, Forza Italia e Udeur) per formare (secondo rumors ben informati assieme agli ex-comunisti dell’Est), un gruppo separato e distinto. Eccezion fatta dunque per i pochi eurofili che andranno a sedere tra gli indipendenti, i Conservatori doc, fallito il tentativo di emulare l’imperatore Adriano che tanto piace a Londra, non vorranno comunque perdere l’occasione di incidere, seppur marginalmente, sulla vita istituzionale dell’Ue. Chiaro, per quel po’di soddisfazione che gli verrà concessa, di certo non rinunceranno a chiedere per sé dei banchi al Parlamento europeo tutti nuovi: quelli degli euroscettici riuniti. Chissà se la Lega chiederà di entrare a farne parte.
Darfur, il leader del Sudan attacca l’Onu
La sfida di al-Bashir di Vincenzo Faccioli Pintozzi l presidente del Sudan sfida l’opposizione interna e la Corte penale internazionale delle Nazioni Unite e visita il Darfur, la regione massacrata dal genocidio interno di cui alBashir è considerato il mandante. Proprio il tempismo di questo viaggio, che si snoda in due giorni iper-blindati, fa pensare ad una sfida: pochi giorni fa, infatti, il procuratore della Corte Luis Moreno-Ocampo ha presentato una richiesta di arresto nei confronti del presidente, accusato di genocidio e crimini contro l’umanità. Di conseguenza, Omar al-Bashir ha deciso per la prova di forza, confortato dalle massicce manifestazioni a suo favore che si sono svolte nei giorni scorsi nella capitale Khartoum. La tournee’ di alBashir prevede tre tappe nei principali centri del Darfur: El-Fasher, nel nord, sede della forza di pace mista OnuUnione africana; Nyala, nel sud, e El-Geneina, nell’ovest. Alla faccia dell’opposizione Onu. E proprio nella sua prima tappa, il leader africano ha sparato la prima bordata: «I nemici del Sudan ritengono di poter usare il problema del Darfur per distruggere il Paese - ha detto - ma noi non lo permetteremo mai». D’altra parte, il ruolo della Corte internazionale in questa vicenda è contestato anche dall’Unione africana, che ha chiesto un anno di sospensione di ogni possibile procedimento contro il leader sudanese, che potrebbe reagire con la forza ad un blitz Onu. Blitz negato con forza dalla Cina, uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza del Palazzo di vetro, che sostiene da anni il governo al-Bashir - definito da Pechino legittimo e democratico - ed ha interessi commerciali estremamenti rilevanti praticamente in tutto il Sudan. Più volte il dragone asiatico ha impedito qualunque ritorsione contro Khartoum ed il suo padrone, nonostante le 190mila vittime del genocidio ed i milioni di sfollati della regione, che ora si ritrovano in piazza ad applaudire quello che, probabilmente, è il loro killer.
I
mondo
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Venezuela. 272 candidati dell’opposizione estromessi dalle prossime amministrative perché “non idonei”
Chàvez sulle orme di Ahmadinejad e Grillo di Maurizio Stefanini
d i a r i o enezuela: 272 candidati alle prossime amministrative invalidati. Per lo più candidati dell’opposizione, nella stragrande maggioranza dei casi senza alcun problema legale. Impedire l’eleggibilità di condannati in via definitiva dopo due gradi di giudizio per qualsiasi reato è invece la seconda delle proposte su cui Beppe Grillo ha organizzato i VDay, senza dare molta pubblicità al fatto che due gradi di giudizio non costituiscono un attestato di colpevolezza. E senza spiegare chi o cosa dovrebbe intervenire per dichiarare illeggittime le candidature. Confrontiamo ora la proposta con il testo degli articoli 273 e 274 della Costituzione bolivariana del Venezuela voluta da Hugo Chàvez, che recita: «Il Potere Cittadino si esercita attraverso il Consiglio Morale repubblicano integrato dal Difensore del Popolo, il Procuratore Generale e il Controllore Generale della Repubblica… Questi organi hanno a loro carico, in conformità a questa Costituzione e alla legge, prevenire, investigare e sanzionare i fatti che attentino contro l’etica pubblica e la morale amministrativa». Un “Quarto Potere” in più rispetto a quelli tradizionali individuati da Montesquieu, che dichiara di ispirarsi alle idee di Simón Bolívar e che “riciccia” in realtà istituti che lo stesso Bolívar aveva ripreso da modelli istituzionali del passato: gli Efori di Sparta, i Censori di Roma, i terribili Dieci della Repubblica di Venezia.
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Non sono proprio la stessa cosa, l’idea grillina e quella chavista-bolivariana. Grillo vuole, nella sua prima proposta, «limitare a due legislature l’eleggibilità di deputati e senatori»: che è l’esatto contrario del tentativo che Chávez ha fatto, far cambiare quella stessa Costituzione da lui voluta apposta per potersi ricandidare a ripetizione. Però Chávez è un maestro nel rigirare come una frittata gli slogan che nascono dai no global e dall’antipolitica di Europa, piegandoli a strumenti per la costruzione del suo regime. Su tutti la Tobin Tax del Movimernto Attac, da lui tradotta in un sistema di controllo sui movimenti di capitale espressamente diretto a «non lasciare neanche un dollaro ai nemici della Rivoluzione». Così, anche gli slogan alla Grillo ora vengono tradotti in Venezuela in un’ennesima forma di manganello contro l’opposizione. Oggetto: le elezioni amministrative del prossimo 23 novembre, dove verranno rinnovati 23 governatori e 350 sindaci.
d e l
g i o r n o
Rice apre alla Nord Corea sul nucleare Il Segretario di Stato Usa, Condoleezza Rice, e il ministro degli Esteri della Corea del Nord Pak Ui Chun, si sono incontrati a Singapore nell’ambito dei colloqui a sei sul disarmo nucleare della penisola coreana. Si tratta del primo incontro in quattro anni tra i due ministri di Washington e Pyongyang e il primo vertice tra tutti i ministri degli Esteri dei sei Paesi: Stati Uniti, Russia, Giappone, Cina e le due Coree. Prima della riunione, la Rice ha dichiarato che intende fare pressioni su Pyongyang, insieme agli altri quattro ministri, perchè dimostri di aver detto la verità riguardo alle sue passate attività nucleari, accettando il ”protocollo di verifica” messo a punto da Washington.
Aia, Karadzic pronto a difendersi da solo
Il V-Day ricalca la Costituzione venezuelana che di fatto annulla l’opposizione al presidente La volta scorsa, il 31 ottobre 2004, si era votato sotto l’impressione del referendum revocatorio di ferragosto.Tra le accuse dell’opposizione a Chávez di aver truccato il risultato e le denunce sui boicottaggi sistematici di cui stavano diventando vittime i cittadini che si erano arrischiati a depositare la propria firma per chiedere la destituzione del Presidente. Solo il 35% degli elettori si era recato alle urne, e l’alleanza chavista aveva conquistato 22 governatori su 24 e 280 sindaci su 335. Ma da allora due governatori sono passati dal campo di Chávez a quello dei suoi critici, e l’anno scorso il referendum per la già citata riforma costituzionale che avrebbe consentito la rieleggibilità del Presidente è stato perso nel modo più clamoroso.
Attualmente i sondaggi danno agli antichavisti già sei Stati sicuri, e buone possibilità di farcela in almeno altri cinque. Se così fosse, sarebbe un undici a dodici che rivelerebbe un’ulteriore grave perdita di popolarità del presidente. Al contrario, un successo anche minimo gli permetterebbe di sostenere che ha recuperato la fiducia del popolo e di presentare così una nuova proposta di riforma costituzionale per potersi ricandidare nel 2012.
È in questo contesto che la Controlloria Generale ha cominciato a menare fendenti, impedendo a un gran numero di oppositori di presentarsi. E se il paragone con Grillo è virtuale, ben reale è invece l’esempio dell’Iran di Ahmadinejad, alleato “strategico” di Chávez. Iran dove esiste appunto un Consiglio Guardiano della Costituzione che ha appunto il compito di vagliare la “conformità”delle candidature ai valori islamici. L’accusa che ha colpito la maggior parte degli inabilitati è uso indebito di fondi pubblici: una vera provocazione, se si pensa al modo in cui Chávez saccheggia ormai da anni le casse di Stato e società petrolifera Pdvsa senza più alcun controllo. Ma su di lui la Controlloria Generale non trova evidentemente niente da ridire. L’opposizione ha reagito facendo appello al Tribunale Supremo, sulla base del fatto che nessuno degli esclusi aveva ricevuto una domanda definitiva. Ma in pochi si fanno illusioni sulla capacità del Terzo Potere di reagire con maggiore autonomia rispetto al Quarto. «Il codardo Chávez deve dire al Paese che è stato lui a ordinare di inabilitare tutta questa gente» ha detto il governatore dello Stato di Zulia Manuel Rosales, l’unico ad avere il coraggio di sfidare Chávez alle presidenziali del 2006. Qualcuno però si consola sperando che proprio il blitz della Controlloria Generale spingerà l’opposizione a dimenticare le proprie divisioni ed a presentare liste unite.
L’ex leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic si difenderà da solo di fronte al Tribunale penale internazionale dell’Aia (Tpi), seguendo l’esempio dell’ex presidente serbo Slobodan Milosevic e del leader dei radicali serbi, Vojislav Seselj. Lo ha annunciato l’avvocato di Karadzic, Svetozar Vujacic, secondo cui il procedimento di estradizione durerà almeno una settimana. Il massacratore di Srebrenica «avrà una squadra di legali in Serbia che lo assisterà nella difesa, ma sarà lui stesso a difendersi davanti al Tpi come sta ora facendo brillantemente Vojislav Seselj», ha indicato l’avvocato ai giornalisti. Vujacic ha annunciato che venerdì - un giorno prima della scadenza fissata dalla legge - presenterà il ricorso contro il trasferimento del suo cliente all’Aia. Una volta depositato, il ricorso sarà esaminato da una commissione di giudici del Tribunale serbo contro i crimini di guerra, che avranno tre giorni per pronunciarsi. Secondo il portavoce della procura serba, Bruno Vekaric, dato per scontata la bocciatura del ricorso di Karadzic, il trasferimento al Tpi dell’ex leader serbo-bosniaco potrebbe avvenire nel corso del weekend o all’inizio della prossima settimana.
Cina, arrestato il dissidente Du Daobin A pochi giorni dall’inizio delle Olimpiadi di Pechino 2008, le autorità cinesi hanno arrestato il dissidente Du Daobin perché “colpevole di aver violato i termini della libert condizionata. Lo ha reso noto il gruppo Chinese Human Rights Defenders, che denuncia il nuovo episodio del giro di vite della sicurezza alla vigilia delle Olimpaidi che si aprono a Pechino l’8 agosto. Du, 43 anni, è stato condannato a tre anni di carcere nel 2004 per aver scritto 26 articoli sui siti Web cinesi e stranieri nei quali accusava il governo di essere illegittimo, dittatoriale, violento e corrotto. Poco prima della scadenza della pena, Daobin era stato scarcerato e condannato di nuovo a quattro anni di liberta’ condizionata. Ora è accusato di aver scritto un centinaio di articoli per siti stranieri. La settimana scorsa Pechino ha fermato inoltre l’attivista Huang Qi, accusato di possesso illegale di segreti di Stato dopo aver raccolto informazioni sulla costruzione delle scuole crollate durante il terremoto del 12 maggio che ha colpito il Sichuan.
Obama: Gerusalemme capitale di Israele Il candidato Democratico alle presidenziali americane, Barack Obama, ha ribadito che Gerusalemme “sarà la capitale di Israele”. “Continuo a dire che Gerusalemme sara’ la capitale di Israele – ha detto il senatore dell’Illinois a Sderot, città del sud di Israele regolarmente bersaglio di razzi lanciati da militanti palestinesi - l’ho detto prima e lo dirò di nuovo, ma ho anche detto che è una questione dello status finale, che deve essere decisa tramite i negoziati”. La comunita’ internazionale, Stati Uniti inclusi, non riconosce la posizione di Israele secondo cui Gerusalemme e’ la sua “capitale eterna e indivisa”.
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speciale educazione
Socrate
Appena giunte le vacanze, ragazzi di elementari e medie hanno l’opportunità di leggere qualche buon libro. Ne suggeriamo alcuni
QUANDO IL PUPO È IN VACANZA colloquio con Eraldo Affinati di Irene Trentin tare con i miei ragazzi è come misurare la febbre del mondo». Eraldo Affinati, autore fra l’altro di Campo del Sangue (Mondadori 1997), intreccia l’attività di scrittore con quella d’insegnante d’italiano e storia. I ”suoi”ragazzi sono quelli della ”Città dei ragazzi” di Roma, la comunità di accoglienza fondata da monsignor John Patrick Carroll-Abbing, per provvedere all’assistenza, all’educazione sociale e professionale dei ragazzi senza famiglia e a rischio di devianza. «Mi comunicano entusiasmo, energia e speranza», dice. E spiega come insegna la nostra lingua ai ragazzi del Marocco, leggendo brani di Pinocchio e poesie di Ungaretti. Perché i ragazzi fanno fatica a leggere? I ragazzi leggono più degli adulti perché sono obbligati a farlo a scuola. Purtroppo quando la scuola finisce spesso non leggono più. Il fatto che siano abitua-
«S
la dei libri dovrebbero integrarsi. Spetta alla scuola favorire questa integrazione. I computer dovrebbero stare sopra i banchi dei bambini più che nei laboratori, per fare in modo che la scuola riesca ad intercettare questo nuovo linguaggio e impadronirsene in modo da insegnare agli studenti a non lasciarsene dominare. Come invogliare bambini e adolescenti alla lettura? La scuola, soprattutto nel biennio delle superiori, deve fare in modo che un testo scritto non sia sentito come imposizione ma sia individualizzato, così da corrispondere alla personalità e anche ai gusti del bambino o adolescente. Un bravo insegnante dovrebbe essere capace di trasmettere passione e motivazioni interiori, individuando le letture giuste per ciascuno. Se riesce a conoscere a fondo lo scolaro che ha di fronte, capendo i suoi interessi, può riuscire a farlo appassionare. Qual è stato il suo rappor-
«Abituati ai pc, i giovani sviluppano una prassi di lettura frammentaria» ti allo schermo del computer li spinge a una lettura più spontanea ma frammentaria. Finiscono con l’acquisire processi logici diversi, di tipo più associativo che deduttivo. Di certo i ragazzi di oggi hanno una percezione del testo diversa rispetto a quelli di vent’anni fa. Non c’è il rischio che il computer in qualche modo si sostituisca alla cultura dei libri? La cultura dei computer e quel-
to con i libri da bambino e poi da adolescente? Fin da piccolo ho amato molto leggere e ho fatto un percorso individuale. Gli scrittori a cui mi appassionavo diventavano per me dei compagni segreti, amici di viaggio, interlocutori privilegiati che mi hanno fatto poi compagnia durante il resto della mia vita. Quali sono i suoi autori preferiti? Da ragazzo mi sono innamora-
to degli scrittori americani come Ernest Hemingway, William Faulkner, John Rodrigo Dos Passos, Herman Melville. Un altro amore di gioventù sono stati gli scrittori russi Fëdor Dostoevskij e Lev Tolstoj. Il mio primo libro, Veglia d’armi, è dedicato proprio al grande scrittore di Guerra e pace. Negli ultimi anni è stato importante anche Mario Rigoni Stern, di cui ho curato tutta l’opera: per me resta un maestro di vita e letteratura. Un altro scrittore che mi ha insegnato molto è Beppe Fenoglio, per la sua capacità di trasferire l’esperienza di vita in stile. Ho scritto anche un libro, Patto giurato, dedicato alla poesia di Milo de Angelis. C’è un ricordo particolare legato a lei da ragazzo e la lettura? Sono particolarmente affezionato a un viaggio in Russia, dove ho visitato la casa di Tolstoj a Jasnaja Poljana. Sono stato anche sulla tomba di Hemingway a Ketchum, nell’Idaho. A 16 anni restai colpito dalla figura di Nick Adams, alter ego dello stesso Hemingway, ne I 49 racconti dello scrittore statunitense. M’immedesimavo nelle avventure di Nick, viaggiavo assieme a lui.
Che libri consiglia ai più giovani per quest’estate? Per i ragazzi delle medie proporrei le stesse letture che faccio anche ai miei allievi: Il richiamo della foresta di Jack London, Le avventure di Pinocchio di Carlo Collodi e certi racconti di Giovanni Verga, come Rosso Malpelo. Per gli adolescenti consiglio sempre di personalizzare le letture in base al carattere. Un bel libro è La strada di Cormac McCarthy, la storia di un uomo e un bambino, padre e figlio, che spingono un carrello, lungo una strada americana, sulla scena del mondo distrutto da un’apocalisse nucleare. Ma non è per tutti. Lei i ragazzi li conosce bene, insegnando storia e italiano nella Città dei ragazzi, che accoglie i giovani minorenni senza supporto familiare. Crede che una buona lettura possa
aiutarli a rimarginare alcune ferite? Nella comunità ci sono ragazzi dai 14 ai 18 anni, che provengono soprattutto da Paesi in guerra o del Terzo mondo. Sono spesso senza famiglia, orfani. Nella comunità imparano a eleggere un sindaco, a usare la moneta locale, a diventare responsabili. Arrivano qui che spesso non conoscono neppure una parola d’italiano. La lettura ha un grande ruolo educativo. Leggendo riescono ad elaborare meglio il loro passato e gli episodi drammatici della loro vita. Il suo ultimo libro s’intitola proprio La Città dei ragazzi. Quanto c’è di autobiografico? In questo romanzo racconto la mia esperienza di insegnante all’interno della comunità. Il libro è composto da un diario di viaggio in Marocco, fatto per riaccompagnare a casa due scolari fuggiti da bambini, e la sto-
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Nata a fine anni ’70, la collana “C’era non c’era” accese il dibattito sulla letteratura per l’infanzia
Lo scrittore con la valigia di Giuseppe Lisciani era o non c’era il lupo imperiale che voleva diventare re di tutti gli animali?», si chiedeva la quarta di copertina di una delle edizioni – oggi non più in commercio – della collana C’era non c’era. Fu, questa collana, ideata verso la fine degli anni Settanta, ovviamente del secolo scorso, dal sottoscritto assieme a Renato Minore, poeta e scrittore, oltre che critico letterario, e con la amichevole complicità di Gianni Gaspari, critico cinematografico del Tg2. Il titolo della collana era volutamente ambiguo: coniugava la solidità dell’esserci e la volatilità del non esserci o, forse, la letteratura certa degli adulti e quella improbabile dell’infanzia? Ci rivolgemmo, con perfida e sistematica insistenza, agli scrittori italiani per adulti e li provocammo a scrivere brevi storie per bambini. Ditemi: si poteva congegnare macchina più dedicata, per risvegliare, non senza autorevolezza, la vexata quaestio se esista o meno una letteratura per l’infanzia? Va detto subito, anche per dare un indizio sullo spessore dell’iniziativa, che vi aderirono i maggiori scrittori italiani in attività in quegli anni (li elenco nell’ordine in cui mi vengono alla memoria e senza citare i titoli, che sono troppi e troppo lunghi): da Alberto Moravia a Luigi Malerba, da Giuseppe Pontiggia a Mario Tobino, Giovanni Arpino, Alberto Bevilacqua, Ruggero Guarini, Gina Lagorio, Fulvio Tomizza, Raffaele La Capria, Enzo Siciliano, Carlo Bernari, Piero Chiara, Saverio Strati, Antonio Altomonte, Gian Luigi Piccioli, Milena Milani, Luigi Compagnone, Cesare Zavattini, Guglielmo Petroni, Sandra Petrignani, Sergio Zavoli, Luigi Brioschi, Nico Orengo, Silvana Castelli, Giorgio Montefoschi, ed altri ed altri ancora.
«C’
ria di mio padre, anch’egli orfano. È come se io, nel rapporto con questi minorenni svantaggiati, restituissi a lui ciò che non ebbe la fortuna di avere. Come s’intrecciano le due attività di docente e scrittore? Sono due attività legate e complementari. Essere insegnante e scrittore significa condividere la stessa responsabilità verso la parola, nel primo caso orale, nel secondo scritta. Che cosa le insegnano i “suoi”ragazzi? Da loro ricevo più di quello che insegno. Pur non avendo niente, mi comunicano entusiasmo, energia e speranza. Imparo la cultura dei Paesi musulmani, slavi, africani. Ascolto nell’autenticità la storia dei talebani, il dramma della corruzione nel Marocco. E ogni volta per me è come se dovessi misurare la febbre del mondo.
c’è dubbio che l’uno partecipi dell’altro. Questo significa che l’autore di una favola non si è piegato a un genere minore, ma ha attinto a quel fondo segreto che è poi spesso la carta vincente della letteratura e forse, in massima parte, la sua ragione di essere». Rossana Ombres, autrice di Le Belle statuine (Einaudi 1975) e di Bestiario d’amore (Rizzoli 1974, Premio Viareggio di poesia), disse che, per «scrivere libri per l’infanzia [...] non conta essere ragazzi o vecchi», mentre il giovane Nico Orengo, autore di romanzi per adulti e libri per bambini, ristabiliva l’“ordine dell’indistinto”in modo semplice e diretto: «Quando scrivo, tante volte non so se sto facendo una cosa che poi sarà letta da un adulto o da un bambino».
Con queste poche citazioni, ho voluto testimoniare come gli autori della collana C’era non c’era, con una sorta di fedeltà all’ambivalenza del titolo, abbiano pronunciato il primato dell’opera d’arte e la contingenza secondaria del fruitore. Del resto, sono diventati opere per ragazzi Robinson Crusoe di D. De Foe, I viaggi di Gulliver di J. Swift, le Avventure del Barone di Münchausen di R. E. Raspe, che ai ragazzi, in verità, destinati non erano. Come altre destinazioni avevano le fiabe di Perrault, il quale delle sue fiabe è contento e «sa che piacciono ai grandi, il re compreso; sa pure che sono vecchie come il mondo e che, senza dubbio, dureranno fin quando vi saranno nomi sulla terra…» (André Bay, in Fiabe francesi della corte del Re Sole e del secolo XVIII, p. XI). Né era dedicato a fanciulli e ragazzi il viaggio di Italo Calvino nel mondo «tentacolare, aracnoideo» delle fiabe italiane. Per non dire delle opere di Dickens e di altri importanti scrittori. A quanto sembra, non c’erano ieri e non ci sono neanche oggi le condizioni per chiudere la vexata quaestio. Né è sufficiente l’autorità di Benedetto Croce per accettare, come punto fermo, che «Arte per bambini [...] non sarà mai arte vera» (La letteratura della nuova Italia, Laterza 1914).
Scrisse anche Gianni Rodari, che invitammo come gesto di omaggio allo scrittore per ragazzi allora più conosciuto e riconosciuto. E scrissero alcuni personaggi noti che non erano narratori di professione: il politico Giulio Andreotti, l’esperto e divulgatore di scienza Piero Bianucci, il matematico Lucio Forse potrà essere di una qualche utilità Lombardo Radice. Se per qualche riga mi ermeneutica assumere una decisione senza lasciassi prendere dalla sindrome di NarciDall’alto, da sinistra a destra, pietrificarla: sono libri per ragazzi o per so, dovrei dire che questa iniziativa di circa Alberto Moravia, Luigi Malerba, trent’anni fa merita un posticino nella storia bambini tutti i libri a essi destinati, magari Giuseppe Pontiggia, Mario Tobino, italiana della letteratura per ragazzi. Se queanche classificati per età, e tutti i libri a essi Giovanni Arpino, Alberto Bevilacqua, sta esiste, naturalmente!E se non esiste? non destinati ma da essi acquisiti con una Ruggero Guarini, Enzo Siciliano, Chiedemmo, appunto, un parere ad alcuni speciale e meritevole usucapione. I suddetti Gianni Rodari, Nico Orengo. degli autori di C’era non c’era. Moravia libri per ragazzi possono anche essere opeLe foto risalgono all’epoca scrisse che «i narratori per grandi dovrebbere d’arte, ma – perdonate la tautologia – soldella Collana “C’era non c’era” ro cercare di scrivere almeno una volta neltanto se lo sono. E a prescindere dal destinala loro vita per i bambini», per ritrovare «il tario. Mi sembra, questo, un onorevole progusto del raccontare e dell’inventare». Di fatto, Alberto Moravia tocollo in base al quale continuare a dibattere e argomentare a voadombrava una sorta di reciprocità artistico-esistenziale nell’incon- lontà, forse per tutto il tempo a venire. tro tra la letteratura, incarnata dallo scrittore, e l’infanzia. Ne rese ra- E la collana C’era non c’era? Beh, non è morta. Non del tutto, algione, in termini ancora più argomentati, l’intervento di Antonio Al- meno. Continua a vivere, in una sorta di diaspora, nelle varie coltomonte, premio Viareggio 1978 e responsabile dei servizi culturali de lane dell’editore Giunti. Editore di grande sensibilità e finezza, Il Tempo, diretto in quegli anni da Gianni Letta: «Il meraviglioso do- Sergio Giunti, che ha amato C’era non c’era e l’ha presa in gestiovrebbe sempre occupare il fondo segreto della valigia di uno scritto- ne, facendo sopravvivere molti di quei volumi “regalati” ai ragazzi re. Ora, per quante distinzioni più o meno sottili si possano fare tra il da scrittori per adulti: con esiti a volte molto felici, a volte un po’ mondo della favola e il mondo del “meraviglioso” in letteratura, non meno, ma sempre interessanti.
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speciale educazione
Socrate
Guida ai più bei libri dell’estate per genitori a corto di tempo e figli che non sanno come impiegarlo
Le parole che non ti ho letto di Pier Mario Fasanotti rutta bestia l’invidia: Chiara Strazzulla ha 17 anni (ha finito la quinta liceo, è due anni avanti), è siciliana di Ragusa ma vive a Roma. La Einaudi ha pubblicato il suo romanzone (770 pagine, 20 euro) di genere fantasy intitolato Gli eroi del crepuscolo. Se si va su Google e si digita Strazzulla vengono fuori come funghi i siti dell’invidia ammantata da pedagogia: ma come, una casa editrice così “blasonata” manda in libreria l’opera di una ragazzina? E ancora: è diseducativo proporre triti clichè, rincorrere a tutti i costi il successo di Harry Potter della miliardaria signora J.K. Rawling o della saga creata da Licia Troisi (libri editi dalla Mondadori: da molto tempo in vetta alle classifiche). E via (dis)dicendo, quasi in ginocchio sull’altare commemorativo di John R.R. Tolkien, l’autore de Il signore degli anelli (tradotto in 33 lingue), ancora in quella bufera ideologica che deriva dal non sapere se si tratta di un romanzo “di destra” oppure no: e invece l’ideologia non c’entra per nulla, salvo che per coloro che sono
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Le avventure dei Simpson, Kafka a fumetti e tanti emuli nostrani di Harry Potter
convinti che oltre a Calvino e Rodari (di sinistra) ci sia il vuoto o la scemenza.
Chiara Strazzulla è certamente un caso editoriale. Il lancio c’è stato e in grande stile, grazie an-
che ai giornali filo-einaudiani, che non sono pochi. La scrittura è buona e la storia è di quel tipo che ti tiene attaccato alla pagina. Non c’è sciattume, l’autrice non fa il verso al cicaleccio giovanilistico pieno di parolacce e modi
LETTERA DA UN PROFESSORE
PRIMA EDUCARE POI INSEGNARE di Giancristiano Desiderio a scuola non si sa cosa sia. Si tende a dire e a credere che la scuola sia cultura, insegnamento, scienza. Invece, la scuola è prima di tutto semplicità. La migliore definizione credo sia questa: la scuola è scuola. Il fine della scuola è l’educazione o formazione. La scuola è propriamente educazione attraverso la cultura. Dunque, neanche la cultura è un fine, ma solo un mezzo per raggiungere lo scopo davvero nobile del docente: quello di formare. Di dare forma a qualcosa che ancora non ha raggiunto la sua forma completa. Per perseguire questo obiettivo il professore non deve scartare l’idea di essere egli stesso un mezzo o strumento, ossia una maschera e saper
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mischiare serietà e ironia (dove la serietà autentica è il senso dell’ironia). L’educazione riguarda essenzialmente le capacità espressive e critiche e il discernimento del bene e del male: la formazione della volontà. Senza la prima – la buona espressione, un buon vocabolario – non c’è la seconda: il pensiero critico. Ma il vocabolario dei nostri alunni troppo spesso non va al di là di cinquanta parole e la povertà linguistica diventa povertà di pensiero. La scuola è un luogo di mediazione: attraverso la cultura scolastica ci si forma per vivere nella società aperta. Il docente non è solo un magister, ma prima di tutto e soprattutto un educatore. O così dovrebbe essere. Nella realtà dei fatti, invece, il
professore diventa quasi esclusivamente un docente, un magister. È la stessa organizzazione scolastica che sposta il lavoro dell’insegnamento dall’educazione alla scienza. La scuola italiana, infatti, è concepita come una pre-università o come una piccola accademia: nella scuola prevale l’enciclopedismo sull’educazione. Tuttavia, per quanto la scuola sia una università in piccolo, dalla scuola non escono dei “pozzi di scienza” ma ragazzi maggiorenni che non conoscono l’abc. Il fallimento è duplice: sul piano educativo – perché si è rinunciato a formare in partenza – e sul piano del sapere – perché un sapere scientifico che non poggi su una forma è destinato a dissolversi.
di dire consumatissimi. La vicenda s’impernia su due adolescenti che combattono per la salvezza del mondo e di tutte le creature viventi. Da una parte c’è il bene, dall’altra il male. Come aveva fatto Tolkien. Come ha fatto Licia Troisi, la quale, già trentenne, ovviamente possiede una maggior sottigliezza psicologica nell’avvertire il lettore della labilità del confine tra le opposte pulsioni. La luce, le tenebre, la salvezza, il rischio, la paura della morte: sono gli elementi intramontabili della fantasia infantile e adolescenziale. Elementi che si trovano, in modo assai più “splatter”, nei videogiochi. Chi è genitore o comunque conosce i ragazzi, sa perfettamente che gli ingredienti fantastici sono proprio questi. I vampiri, i fantasmi, la morte nelle sue più svariate sembianze sono proiezioni della psiche in età evolutiva.
Fantasy è anche il best seller internazionale Tunnel (Mondadori, 475 pagine,17 euro) di Roderick Gordon e Brian Williams. Autori non giovanissimi che si sono ritrovati, ciascuno con un lavoro diverso alle spalle, con l’intento di scrivere la storia di Will, un ragazzo albino appas-
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sionato di archeologia. Per la sua caratteristica fisica e per la sua indole, Will sta preferibilmente nell’ombra. Fino a che una serie di circostanze lo porterà nei sotterranei di Londra, in un sito oscuro che è anche il suo luogo di nascita. Deve vedersela con le esangui creature che sono i malvagi Styx. Il suo è un percorso iniziatico, quasi una rinascita, assieme al padre che cercava. All’opposto troviamo i comics dei Simpson, editi dalla Rizzoli (11,50 euro). La casa editrice milanese va sulla scia del successo televisivo (il film “Simpson” non era un granchè: difficile assemblare in un unicum vicende che hanno un senso nella loro brevità). Gli ultimi due libri s’intitolano In campeggio e Tutti al mare. Clima estivo, dunque. Nel quale la sgangherata e simpaticissima famiglia di Springfield si muove con la consueta goffaggi-
graphic novel è seducente per chi magari non riesce a cogliere l’aspetto metafisico della vicenda di Gregor Samsa che si sveglia non più umano ma insetto. Se invece si vuole restare sul terreno, anzi “sul campo”, della realtà più giocosa, vale la pena di segnalare la serie di romanzi (nove finora) di Luigi Garlando, editi dalla Piemme (9,90 euro ciascuno): sono ispirati al calcio e tutti hanno come titolone Gol. Otto ragazzi hanno la passione divorante del pallone. Un plot divertente e sapientemente orchestrato dall’autore, già calciatore e oggi giornalista della Gazzetta dello Sport.
cosiddetti “joung adults”, i preadolescenti o adolescenti che sono comprensibilmente stanchi dei libri che si devono leggere in vacanza in base alle direttive dei professori di scuola media. I quali spesso non conoscono la produzione nuova e rimangono avvinghiati ai Malavoglia di Verga o alle Fiabe di Calvino. Docenti che snobbano (non conoscendolo per niente se non attraverso la filmografia) Harry Potter, i Piccoli brividi mondadoriani (considerati di bassa qualità: però fatti bene e con milioni di copie vendute in tutto il mondo) e in genere i romanzi fantasy.
Libri per maschi, ovviamente. Per le ragazzine, senza scivolare in toni sdol-
La Mondadori continua,
Buone alternative per gli adolescenti stanchi dei testi imposti dal prof ne e scorrettezza politica, mostrando a tutto tondo un’America cafona, grassa, inquinante, aggressiva e infantile. Anche in questo caso si agisce sulla proiezione fantastica: il ragazzo, ma anche l’adulto applaude allo strabordante Homer Simpson, sfaticato attivissimo, inconcludente ma capace di ridere di sé, che ama la famiglia ed è riamato dalla moglie (la pazientissima Margie) e dai figli, inclusa quella rompiscatole ma deliziosa Lisa, saputella, ecologista, così attenta ai ruoli che nell’ultima avventura cartacea scrive “cara diaria” e non “caro diario”.
Al senso dell’orrore i giovani lettori possono accostarsi anche con Le metamorfosi di Franz Kafka (Guanda, 14,50 euro). Parliamo del fumetto ispirato alla sublime opera dello scrittore di Praga. L’immediatezza della
cinati, è da proporre StregheMaia Settemisteri e l’enigma dei Sefhyri di Paola Valente (7 euro). L’editore è l’anconetano Raffaello, che in quest’ultimo periodo sta sfornando prodotti ben curati, anche dal punto di vista grafico. La Maia in questione è una pasticciona, dotata però di un potere (sogno di tutti i piccoli lettori) avuto dopo un viaggio archeologico in Armenia. La storia antica (incisioni su roccia e disegni) s’intreccia con avventure familiari. Maia, come molti nostri figli, ha una sorella che è l’opposto di lei, bellissima e educatissima. L’autrice, insegnante veneta, ha una prosa scorrevole anche perché ha l’abitudine di scrivere dopo aver raccontato le sue storie agli alunni: un test che dovrebbero fare in molti. Sempre per la Raffaello, c’è la storia di un simpatico vampiro
(Ottavio…vampiro mica tanto di Elisabetta Cerasi) che fa di tutto per assomigliare agli abitatori dell’oltretomba. Affronta un tema scottante come l’immigrazione Un amico al mare di Ivonne Mesturini: l’arrivo del marocchino Abdul, timido e spaesato, cambia atteggiamenti ed equilibri psicologici all’interno di una compagnia di ragazzini in vacanza. La Raffaello si occupa anche dei più piccoli proponendo un genere che è intramontabile: le filastrocche (L’alfabeto incantato di Marco Moschini). Ma anche quel bellissimo testo classico che è Il mago di Oz di Lyman Frank Baum: ritroviamo lo Spaventapasseri, il Leone Codardo, il Taglialegna di Latta e infine il mago, capostipite di una un’interminabile produzione fantastica. L’editoria italiana ha faticato non poco a proporre testi per i
per fortuna, a tradurre le opere dell’americano Jerry Spinelli, che si è fatto conoscere in Italia con La schiappa, storia di un ragazzo considerato imbranato che invece riesce nella vita (altro sogno giovanile, questo). L’ultimo romanzo di Spinelli, scrittore che vende milioni di copie, è Fuori dal guscio (177 pagine, 12 euro). Una storia di ragazzi con problemi familiari, con assenze dolorose, una vicenda dove ha la meglio l’amicizia. Per le giovani lettrici consigliamo, sempre dello stesso autore, Stargirl, un best seller in America. A quella fascia di età si rivolge anche EL edizioni.Valentina Misgur ha scritto Trovami un giorno. Il sottotitolo riassume bene la vicenda: “Due ragazzi in fuga alla ricerca della felicità”. Scatta il meccanismo dell’identificazione visto che la diciassettenne Elisa avverte prepotentemente un desiderio non più rinviabile, quello di raggiungere un’isola sconosciuta e lì scovare il segreto della sua infanzia. Il classico romanzo di formazione, una storia simbolica che contiene azioni e sentimenti.
Singolare è il romanzo intitolato Tobia di Timothée de Fombelle (San Paolo edizioni, 312 pa-
gine, 16 euro). E appassionante. Tobia è alto appena un millimetro e mezzo e abita nel mondo della grande quercia da secoli. L’albero, e il padre di Tobia lo sa, è una creatura viva, con un’energia vitalissima. La scoperta potrebbe sconvolgere il mondo. Un universo in miniatura accolto con straordinario successo in Francia e poi pubblicato in dodici paesi. Dello stesso autore Gli occhi di Elisha. Sul versante del fantastico-comico, genere difficile e affascinante quando il plot funziona, è Il tristo mietitore di Terry Pratchett, uno degli scrittori più letti nel mondo (Salani, 279 pagine, 15 euro). Una gran folla di zombie in cui il mago Windle Pooms si risveglia nella sua tomba e incontra stranissimi esseri tra cui un certo Arthur, diventato vampiro dopo essere stato morso da un avvocato.Terrore e risate vanno a braccetto.
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economia In basso, a sinistra, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Toccherà a lui e ai suoi uffici trovare la soluzione giuridica migliore per favorire la creazione di una bad company dove allocare debiti ed esuberi di Alitalia. In alto, a destra, il responsabile dello Sviluppo economico, Claudio Scajola, favorevole a quest’ipotesi e da sempre il più ottimista nel governo sul buon esito del piano Passera per la compagnia
Non pochi i dubbi del Tesoro (e di tutta la maggioranza) alle modifiche della Marzano, indispensabili per il piano di Intesa
Alitalia,Passera forza sulla bad company di Francesco Pacifico
ROMA. L’economista Oliviero Baccelli, tra i massimi esperti di trasporto aereo, ha calcolato che dei 188 aerei di Alitalia 59 sono ipotecati e 78 sono in leasing. E che del debito monster da 1,121 miliardi di euro sono direttamente interessati una decina di banche italiane e straniere e circa 8 società di leasing. Giganti internazionali come General electrics. Questi numeri li hanno bene in mente al ministero dell’Economia, soprattutto quando si parla di modifiche alla legge Marzano sui crack aziendali per creare una bad company. Così come ritornano a mo’ di spettro le immagini di un aereo di Alpi Eagleas sequestrato dalla società di gestione dello scalo di Bari (suo creditore). Per Alitalia potrebbe accadere lo stesso. Le modifiche alla Marzano – per avere un commissariamento lampo che porta beni e personale utile nella nuova newco lasciando debiti ed esuberi all’azionista Tesoro – è la condizione sine qua non per realizzare il piano di rilancio e di ricapitalizzazione curato da IntesaSanpaolo. Altrimenti nessuno metterà soldi. Ieri il ministro dello Sviluppo economi-
co, Claudio Scajola, è tornato sull’argomento: «Gli strumenti devono essere ancora definiti e quando qualcuno lavora, bisogna lasciarlo lavorare in silenzio e rispettando il suo lavoro». Eppure dice che una soluzione «è all’orizzonte». Al ministero del Tesoro qualche vecchio funzionario fa notare: «Perché pubblicizzare un giorno sì e l’altro pure un’ipotesi complessa come questa? Di solito queste operazioni si fanno con un decreto, magari da portare in Consiglio dei ministri
nella notte tra il 14 e il 15 agosto». Quasi a dire che forse qualcuno «getta un sasso nello stagno per vedere l’effetto che fa». Per vincere le non poche resistenze che ci sono. L’“azionista” Giulio Tremonti non è di suo contrario a una bad company. E da tempo ha dato mandato all’ufficio legale del ministero di trovare i paletti necessari per evitare la rivalsa dei creditori (il sequestro degli aerei, per esempio) una volta iniziato il commissariamento. Certo, sarebbe felicissimo di
Sul commissariamento lampo Tremonti non è contrario. Ma i suoi uffici faticano a risolvere il nodo dei creditori e le possibili eccezioni della Ue. L’alto costo per lo Stato e il difficile accordo con i sindacati chiudere la partita Alitalia, ma da uomo prudente qual è, sa che è quasi impossibile trovare una quadra alla soluzione.
In via XX Settembre si lavora alacremente a un testo – giocoforza sarà un decreto se Corrado Passera vuole rendere operativo il suo piano da settembre – nel quale non è stato ancora chiarito come facilitare i passaggi di asset dalla vecchia alla nuova compagnia e il tentativo di rinviare il concordato preventivo con i debitori previsti dalla Marzano. Ed è proprio questo il nodo gorghiano da dover tagliare. Il governo non vuole appesantire di debiti la nuova Alitalia,
perché senza un sistema di costi coerente con il fatturato difficilmente decollerà l’operazione. Allo stesso modo è complesso prendersi in carico tra passività dirette, asset in perdita e dipendenti da ricollocare (quanto dovrebbe finire nella bad company) un buco forse vicino ai 900 milioni di euro. Intanto, con i tesoretti che spariscono come le promesse di tagliare le tasse, non ci sono risorse da scialare. In secondo luogo c’è da fare i conti con l’Unione europea. Bruxelles, che ha ribadito che è fuori legge il prestito ponte da 300 milioni, poteva colpire in maniera più incisiva l’Italia, ma per ora non l’ha fatto. Discorso diverso se ci fosse il totale accollamento dei debiti da parte dello Stato. Anche perché le
compagnie straniere più grandi (British, Air France e Lufthansa oltre a Ryanair) spingerebbero, con la pressione dei loro governi, la Commissione a un duro intervento di moral suasion verso Roma. La prima soluzione – e al Tesoro e in Parlamento se ne discute – è quello di trovare un accordo con i creditori finanziari, magari con la promessa di accollarsi in toto i Mengozzi Bond, per 700 milioni in mano al mercato. Ma poi c’è da trovare una quadra politica, che oggi manca. Dietro le critiche al commissariamento del ministro dei Trasporti Altero Matteoli (An) c’è chi vede il timore del suo compagno di partito, e sindaco di Roma Gianni Alemanno, a dover affrontare da solo tutte le ripercussioni dei tagli (diretti o sull’indotto) che per il 90 per cento graveranno su Fiumicino. Le controllate del Tesoro come Fintecna e Finmeccanica non vogliono verdersi rifilare pezzi della vecchia Alitalia. Eppoi ci sono i sindacati: per ora attendono calmi il piano definitivo (i tagli), ma senza una prospettiva, la promessa di riassorbire gli esuberi, non avalleranno mai la macelleria sociale che hanno già messo in conto.
economia
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Il Lingotto sorprende con conti impeccabili: ricavi in crescita del 6,7 per cento e superiori alle stime
Fiat,trimestrale record aspettando la crisi di Vincenzo Bacarani
d i a r i o TORINO. Continua l’effetto Mar-
g i o r n o
Dossier Telecom: Tavaroli era autonomo
chionne. Nonostante il caro-petrolio (che adesso sembra assumere valutazioni meno emotive e lontane dalle speculazioni) e una profonda crisi dell’auto con un crollo delle vendite in Italia e in Europa, la Fiat tiene duro grazie anche al dinamicissimo trend di crescita registrato sul mercato brasiliano. Nel secondo trimestre 2008 il Lingotto ha chiuso con ricavi e risultati di gestione ordinaria addirittura tra i più alti della sua storia. Per la gestione ordinaria ha superato per la prima volta in un trimestre il miliardo di euro portandosi a 1.131 milioni di euro con una crescita di 185 milioni di euro (pari al +19,6 per cento) e un incremento sul margine dei ricavi che ha raggiunto il 6,7 rispetto al 6,2 del 2007.
Risultati lusinghieri che sono frutto della strategia dell’amministratore delegato del gruppo, che è riuscito non soltanto a risanare l’azienda, ma addirittura a rilanciarla sul mercato con una tattica disinvolta e aggressiva. Basti pensare che soltanto sei anni fa la Fiat perdeva un milione di euro al giorno. A tutto questo si devono aggiungere un profondo rinnovamento operato dal big manager ai vertici del gruppo, un rilancio dei vari brand (Fiat, Lancia, Alfa) con prodotti mirati a target predefiniti e una profonda attenzione anche a tutto quello che è fuori dal mercato auto vero e proprio. E qui si parla di veicoli industriali, si parla di New Holland, cioè della cenerentola che sta diventando una vera principessa, una gallina dalle uova d’oro. Ufficialmente il gruppo torinese punta per tutto il 2008 a ricavi per 63 miliardi e a un risultato della gestione ordinaria di 3,4-3,6 miliardi con un utile netto di 2,4-2,6 miliardi e un cash-flow di circa un miliardo. Non solo, per il prossimo anno le stime del gruppo parlano di ricavi per 65 miliardi e di un risultato della gestione ordinaria tra i 4,3 e i 4,5 miliardi di euro. Ma a parte i dati acquisiti e le previsioni ottimistiche, l’Ad del Lingotto sa tuttavia che il periodo aureo per il settore auto sta per concludersi – soprattutto nel Vecchio continente – anche per motivi contingenti Ecco quindi riapparire la classica strategia delle alleanze: si tratta, dicono al Lingotto, di «alleanze mirate al fine di ottimizzare l’impegno di capitale e ridurre i rischi».Tradotto in parole povere, «ci prepariamo al peggio». Anche perché i progetti della casa torinese per il futuro sono pochi.
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Nessun incarico a Giuliano Tavaroli, ex capo della security di Telecom, finalizzato a tutelare l’immagine dell’azienda, la sua credibilità o la sua permanenza nel mercato. Lo ha affermato Marco Tronchetti Provera ascoltato come testimone dai magistrati milanesi nell’ambito dell’inchiesta sui cosiddetti dossier illeciti. «Tavaroli dipendeva dal dottor Castagna - ha spiegato Tronchetti il 27 giugno scorso al pm, Fabio Napoleone - e quando il dottor Castagna ha lasciato l’incarico, il signor Tavaroli ha iniziato a dipendere direttamente dal dottor Buora; non è mai stato un mio riporto diretto».
S&P taglia rating al comune di Roma Il bilancio del Comune di Roma ancora nel mirino delle agenzie di rating, dopo la nomina del sindaco Alemanno a commissario straordinario del governo per la ricognizione della situazione economica-finanziaria. L’agenzia Standard & Poors ha infatti bocciato il rating capitolino, portando il giudizio sull’affidabilità finanziaria del campidoglio da «A+ a A», confermando quindi le prospettive sul rating negative. La decisione dell’agenzia di rating, si legge in un comunicato di S&P, «riflette le maggiori informazioni circa i debiti fuori bilancio, nonché il deterioramento della situazione di cassa del Comune e delle sue municipalizzate, dovuto in particolar modo a notevoli ritardi nei trasferimenti da parte della Regione Lazio. A causare il taglio del rating, che ha conseguenze sugli interessi pagati sul debito, concorre anche «l’analisi condotta da Standard & Poor’s nell’ultimo mese, supportata dai risultati dell’audit effettuato dalla Ragioneria Generale dello Stato».
L’Ad Marchionne non nasconde che il resto del 2008 sarà in salita. Boom in Borsa (+13,71 per cento) Dopo il fenomeno Cinquecento, per quest’anno la casa del Lingotto ha sfornato la nuova Delta e la MiTo, che è un restyling, seppur molto approfondito, della 147. Per i prossimi anni non sono previsti progetti importanti. Lo sbarco in America dell’Alfa Romeo (che verrebbe prodotta in loco e non più commercializzata a malavoglia dalla Chrysler come accaduto in passato) rappresenta oggettivamente un’operazione riservata a un mercato di nicchia. Ecco perché a questo punto le alleanze diventano non solo strategiche, ma possono anche avere una valenza risolutiva dei problemi che affliggono – al di là dei bilanci positivi – la prima industria italiana.
Quindi Bmw da una parte per Alfa Romeo e Mini e l’indiana Tata dall’altra per una joint-venture su vetture popolari e low-cost potrebbero garantire a Fiat una marcia relativamente tranquilla. Lo scorporo del settore auto rimane, per ora, nel libro dei sogni di chi spera in una grande azienda dominante sul mercato. Marchionne nei
Vodafone lancia buy back da 1 mld di sterline giorni scorsi ha voluto sottolineare come pesi «moltissimo la percezione che Fiat sia solo auto». Poi si affretta sempre a dire che un eventuale spin-off non sarebbe un’ipotesi remota. Resta il fatto che, al momento, lo scorporo del settore auto appare abbastanza remoto e in molti a Torino storcono il naso rispetto a questa ipotesi. Ma non ha torto l’Ad di Fiat a sottolineare come l’immagine del gruppo intero sia legata eccessivamente all’auto. E qui non si tratta della classica ritrosìa piemontese di fronte a un’ipotesi suggestiva, perché Marchionne non è nato all’ombra della Mole. Si tratta di una prudenza ben calcolata. Una conferma arriva dalla controllata Cnh Global (macchine agricole New Holland) che, proprio a causa degli aumenti dei prezzi delle materie prime, ha registrato un utile netto di 350 milioni di dollari (più 52 per cento rispetto all’anno precedente) con un fatturato di 5 miliardi e mezzo di dollari: un record. Forse è solo questione di tempi, forse è solo questione di attendere qualche anno, ma alla fine lo scorporo del settore auto può rappresentare davvero una soluzione. Intanto Fiat esplode in Borsa: dopo lo stop per eccesso di rialzo, ha chiuso a 11,862 euro (+13,71 per cento). Resta l’obiettivo dei 17 euro, forti di New Holland e Brasile.
Vodafone ha lanciato «con effetto immediato» un programma di acquisto di azioni proprie del valore di un miliardo di sterline (1,26 miliardi di euro. «Questo - spiega una nota del gruppo di tlc guidato da Vittorio Colao - riflette l’opinione del consiglio di amministrazione secondo cui il prezzo del titolo sottovaluta Vodafone in modo significativo». Vodafone martedì ha lanciato un warning sui risultati e il titolo ha perso il 13,6 per cento.
Il Petrolio cala ma la corsa continua Il mercato del petrolio ha visto da vicino la soglia dei 150 dollari al barile e, non essendo riuscito a romperla quando aveva probabilmente tutto a favore, compresa una buona dose di speculazione, ha dato ampio spazio ai realizzi. Il quadro, seppure davanti a una discesa di oltre 20 dollari in pochissime sedute, non è comunque cambiato nella sostanza. La generale frenata della crescita economica e la marcata riduzione - se non addirittura la cancellazione - delle sovvenzioni pubbliche per l’acquisto di carburanti nei Paesi emergenti sono i fattori alla base del ribasso. L’input negativo è partito due settimane fa dal presidente della Fed, Ben Bernanke, che ha parlato di un’economia Usa in rallentamento. La maggiore preoccupazione del mercato è diventata così quella di un brusco calo dei consumi. Secondo gli esperti, quindi, la corsa del greggio non si fermerà.
Autogrill vince quattro contratti in Usa Autogrill, la società guidata dal presidente, Gilberto Benetton, attraverso la divisione americana HMSHost, si è aggiudicata quattro nuovi contratti, due per la gestione di attività retail nel più grande scalo al mondo per traffico passeggeri, l’aeroporto internazionale Hartsfield-Jackson di Atlanta, e due per i servizi di ristorazione e retail nello scalo internazionale di Mineta San Josè. Secondo le stime del gruppo, si legge in una nota, le due operazioni genereranno un fatturato cumulato di oltre 600 milioni di dollari nel periodo di durata complessivo dei contratti.
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letture L’autore svedese Jan Guillou pubblica questo nuovo romanzo con una società editrice da lui fondata dopo che con le precedenti opere aveva venduto 10 milioni di copie e dovuto dividere i proventi con le grandi case. Madame Terror ruota attorno alla tragedia del sommergibile nucleare russo Kursk, affondato il 12 agosto del 2000 con 118 marinai a bordo; a sinistra un’immagine dell’attentato a Londra del 7 luglio 2005
ROMA. Il terrore, l’autentico terrore, è che fra venti o trent’anni questo romanzo possa finire negli scaffali dei libri di storia. Si intitola Madame Terror, l’autore è Jan Guillou (Corbaccio editore, 422 pagine, 18,60 euro). In copertina si annuncia ai lettori il contenuto: «Una spia venuta dal Nord, un sottomarino russo, una combattente palestinese». La promessa è che si tratta di «una miscela esplosiva. Un thriller mozzafiato». L’inquietudine nasce dalle prime pagine, dal prologo, che racconta la tragedia del sommergibile nucleare russo, Kursk, affondato il 12 agosto del 2000, con 118 marinai a bordo. Quella è una storia vera, rigorosamente vera, come i due aerei che si infilarono nelle Torri gemelle dell’11 settembre 2001, come gli attentati di Londra del 7 luglio 2005, dai quali prende le mosse il romanzo di Guillou.
Prima di scrivere questa storia, Guillou s’era dedicato a thriller storici (del genere – per intenderci – Dan Brown e Codice da Vinci, ambientati nei secoli remoti, con i Templari a farla da protagonisti) che si possono leggere accoccolati in poltrona, con una birra a portata di mano, senza farsi prendere dal panico. Guillou è uno scrittore svedese, abituato a vendere i propri libri in quantità poderose. Ne ha scritti più di trenta, ed è prossimo al traguardo complessivo di 10 milioni di copie. Si è messo in proprio: con una collega, Liza Marklund, ha fondato una casa editrice, perché s’era stancato di lasciare il grosso degli utili a qualcun altro. E – stavolta – ha puntato grosso, con un romanzo (documentatissimo) nel quale racconta le alte (e le basse) strategie dei servizi segreti in tempo di terrorismo globale. Basta arrivare a pagina 20 per leggere una frase che ti si ficca nello stomaco. Mouna al Husseini, una spia di alto livello dell’Olp è a Londra (pochi giorni dopo le bombe nella metropolitana e su un bus a due piani) per partecipare a una riunione indetta dai Servizi di Sua Maestà britannica. Riflette sulla scarsa difesa di cui gode l’edificio in cui
Guillou racconta intrighi internazionali più che verosimili
Il terrore invisibile dello spionaggio di Massimo Tosti si svolgerà l’incontro. «Il mondo era pieno di obiettivi terroristici. Il mondo era anche pieno di obiettivi decisamente migliori di quelli scelti abitualmente dai giovani disadattati del Medio Oriente, e d’ora in avanti dell’Europa Occidentale. Ma il mondo occidentale, e soprattutto gli esperti che avrebbe incontrato fra poco in gran numero proprio in quella sala riunioni che avrebbe offerto un bersaglio tanto facile, avevano un’impareggiabile capacità di sopravvalutare la pericolosità del nemico. Se que-
sto dipendesse da mancanze dei servizi segreti, da ingenuità o dalla volontà di enfatizzare la propria importanza e la necessità di nuovi finanziamenti era impossibile a dirsi». Un crampo allo stomaco. Non per una Mata Hari del XXI secolo, quello nostro, che ha imparato a convivere con l’angoscia. «Aprì la borsetta e controllò per l’ultima volta rossetto e ombretto in un piccolo specchio dalla cornice d’oro, poi si strinse meglio il leggero soprabito italiano e percorse l’ultimo tratto del ponte, per poi girare attorno all’edificio e arrivare all’ingresso di servizio».
Il romanzo thriller ”Madame Terror” ruota attorno alla tragedia del sommergibile russo Kursk: non riuscirono a salvare i marinai o non vollero farlo?
Il prologo non è un corpo estraneo al racconto. Si scopre scorrendo le pagine che la bellissima Mouna è in missione segreta per reclutare tre ingegneri arabi per una missione “impossibile”. I tre dovranno equipaggiare di armi e sistemi di rilevamento sofisticatissimi (in grado di affondare l’intera flotta israeliana) un sommergibile russo acquistato dall’Olp. La chiave del thriller (e il suo epilogo) merita un assoluto riserbo, per non rovinare la sorpresa ai lettori.
Ma l’inquietudine (per gli aspetti border-line di questo romanzo) cresce di pagina in pagina, mano a mano che vengono evocati i personaggi del nostro tempo, protagonisti della guerra – spesso segreta – del terrorismo internazionale, e contro di esso. Dietro le quinte della vicenda narrata si stagliano le figure di Bin Laden, di Bush, di Vladimir Putin, di Gheddafi, di Abu Mazen e di Arafat, di Sharon. E l’epicentro della storia è il Medio Oriente coinvolto in un conflitto senza fine, ma nel quale – di tanto in tanto – si apre lo spiraglio di una possibile trattativa e di una possibile pace. Che si scontra con gli interessi, con le faide, con il fanatismo degli estremisti, con i giochi di ruolo dei servizi di intelligence. Di tutto questo è intriso il racconto di Guillou, maestro del thriller, ma anche scrittore documentatissimo, capace di costruire (o ricostruire) retroscena talmente credibili da apparire veri. Forse perché sono veri. Un dubbio che tormenta il lettore fin dalla ricostruzione della tragedia del Kursk, che tenne con il fiato sospeso mezzo mondo, che si domandava (allora, nell’anno 2000) come mai non si riuscissero a salvare i membri dell’equipaggio che risultavano ancora vivi, dopo l’incidente, ad appena cento metri di profondità, nel mare di Barents. Non riuscirono a salvarli, o non vollero salvarli?
società
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Sempre più in voga tra le grandi Major la moda di affidare i brani delle proprie band agli Arcade del momento come ”Guitar Hero” e ”Rock Band”
Videogames, la nuova Eldorado del rock di Alfredo Marziano
Uno dei primi a capire il business, l’ex discografico americano Strauss Zelnick, che ha messo su un contenitore di musica con oltre 200 brani che il giocatore può ascoltare durante lo svolgimento del gioco
l disco più chiacchierato e venduto del 2008, Viva La Vida dei Coldplay, schizza in testa alle classifiche americane totalizzando 725 mila copie vendute in una settimana (un’enormità, di questi tempi). Nello stesso arco di tempo il videogioco più discusso e politicamente scorretto della storia, Grand Theft Audio IV, polverizza 6 milioni di pezzi portando 500 milioni di dollari nelle casse dei suoi produttori. E’ la nuda forza dell’aritmetica, la sintesi di un confronto impietoso tra un’industria agonizzante e un’altra che veleggia con il vento in poppa. «Come mai l’industria musicale non è stata ancora capace di sfruttare la crescente popolarità di videogiochi come Guitar Hero e Rock Band?», si chiedeva giusto qualche mese fa uno studio di settore condotto dall’istituto americano Forrester Research. «EpPulsanti colorati pure», sottolineava l’analista James e comandi L. McQuivey citando le vendite rea forma cord di quei titoli, «ce ne sarebbe abdi chitarra bastanza per motivare anche il discografico più depresso». Da allora, si potranno usare tra breve per alle major e ai gruppi rock di lungo emulare Joe Perry corso sembra essersi accesa una degli Aerosmith lampadina in testa: Xbox, PlaySta(nelle foto), tion e Wii di Nintendo, ultimamente, riproducendo sembrano appassionarli più di iTui suoi assoli nes. E i fabbricanti dei videogame e i suoi riff musicali di successo, Activision su classici (Guitar Hero) e Mtv Games (Rock dell’hard rock come Band), sono più corteggiati di Steve On” e ”Walk ”Dream Jobs. This Way”. Il gruppo di Boston sarà Uno dei primi a capire da che parte infatti tirava il vento, una volta tanto, è stail protagonista to un ex discografico: il giorno dopo di una versione essere stato licenziato dalla Bmg, l’atematica zienda di cui era amministratore dedel gioco legato, il manager americano Strauss ha venduto finora Zelnick ha investito la liquidazione in una impresa multimediale che og- 16 milioni di copie nel mondo: gi gestisce Take-Two Interactive, ”Guitar Hero” azienda produttrice del succitato
I
Grand Theft Audio IV. Un incredibile fenomeno di (mal)costume, come sostengono fan e detrattori, ma anche un capiente contenitore di musica, con oltre 200 brani musicali, noti e meno noti, che il giocatore può ascoltare sintonizzandosi su una delle immaginarie stazioni radiofoniche che fanno da sfondo alle sue criminose scorribande automobilistiche. E in seguito, se lo desidera, acquistare direttamente dal sito di Amazon. «Un tempo i videogiochi erano un modo di far promozione e vetrina ai nostri artisti, oggi la musica è diventata parte integrante del prodotto e i costruttori accettano di ricompensare etichette e musicisti» spiega soddisfatta Cynthia Sexton, una dirigente americana della Emi, pensando ai lauti compensi sotto forma di royalty. Intanto, sui prati degli stadi in cui si esibisce Vasco Rossi, i fan del rocker di Zocca vengono invitati a ingannare l’attesa giocando a Guitar Hero (sponsor del tour con Nintendo) met-
tendo alla prova la loro abilità virtuale con la sei corde.
Gli stessi pulsanti colorati e comandi a forma di chitarra si potranno usare tra breve per emulare Joe Perry degli Aerosmith, riproducendo i suoi assoli e i suoi riff su classici dell’hard rock come Dream On e Walk This Way. Il gruppo di Boston sarà infatti il protagonista di una versione tematica, “customizzata”, del gioco che ha venduto finora 16 milioni di copie nel mondo. «Abbiamo detto sì», ha spiegato lo stesso Perry, «perché così i ragazzi possono ascoltarsi un po’ di buon rock’n’roll, una musica che non viene più suonata dalle radio». «Tutti oggi si chiedono come fare a vendere la loro musica, come poterci guadagnare ancora qualcosa», aggiunge il pragmatico chitarrista. «Bene, io credo che i videogiochi diventeranno importanti quanto lo erano una volta gli album». Non è il solo a pensarla in questo modo. Si di-
ce che l’anno prossimo i Metallica seguiranno l’esempio degli Aerosmith: e intanto rendono disponibile in download per il nuovo Guitar Hero World Tour, in contemporanea con l’uscita nei negozi, il nuovo album Death Magnetic (nello stesso gioco saranno presenti, per la prima volta, brani originali di Jimi Hendrix). Anche in questo, però, la band californiana non arriva per prima. Lo scorso aprile, i metallari inglesi Def Leppard sono stati i primi a regalare, sul solito Guitar Hero, un’anteprima dal nuovo album Songs From The Sparkle Lounge; mentre il nuovo Rock Band 2, in uscita a settembre, sfoggia come ciliegina sulla torta un inedito dei Guns N’ Roses, antipasto dal lungamente favoleggiato e più volte rimandato Chinese Democracy, a fianco di canzoni di Ac/Dd, Pearl Jam, Metallica, Allman Brothers Band, Motorhead, Devo, Jane’s Addiction, Megadeth e Bob Dylan (una prima assoluta anche per lo scorbutico menestrello di Duluth) più altri 500 brani scaricabili a scelta da Internet entro fine anno. Persino i Beatles, gelosissimi custodi del loro catalogo, potrebbero debuttare su una console prima ancora che su i Tunes: le trattative con Paul McCartney, Ringo Starr,Yoko Ono, Olivia Harrison e con la casa discografica Emi, scrive il Financial Times, sarebbero già ben avviate .
L’industria musicale ha trovato il suo nuovo Eldorado? Antony Bruno del settimanale Billboard, la bibbia del music biz americano, smorza gli entusiasmi: «Guitar Hero e Rock Band hanno avuto un enorme successo sia in termini di vendite che sotto il profilo dell’impatto culturale. Ma un exploit di quelle proporzioni non può durare in eterno, e cercare di ripeterlo sarebbe un’esagerazione. Rinfrescando costantemente i contenuti disponibili, tuttavia, entrambi i titoli si assicurano una rilevanza per i mesi e per gli anni a venire». Saranno i produttori di videogame, si chiede ancora Bruno, i cavalieri senza macchia pronti a salvare l’industria musicale? La sua risposta è prudente e salomonica: «Ovviamente no, da soli i videogiochi non basteranno. Ma sicuramente non saranno neppure una moda passeggera».
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cultura
Amarcord. Gli eserciti di carta in mostra al Museo del fumetto di Lucca fino al 21 settembre
I guerrieri del Corrierino di Mario Bernardi Guardi aricaaa!». Trascinati dall’onda d’urto del possente appello, da un secolo all’altro i soldati si lanciano all’assalto. E, a dispetto di don Abbondio, anche chi il coraggio non ce l’ha, e ha quasi paura di vivere, se lo deve dare. Se ha voglia, quanto meno, di sopravvivere. “Caricaaa!”. E’ il ruggito appassionato di decine e decine di libri di guerra.Tutte le guerre. Anche quelle dei ragazzi, che, pur fatte per gioco, sono terribilmente serie al pari di quelle vere. Lo sapeva Ferenc Molnár che ai suoi eroi adolescenti dedicò I ragazzi della via Pal. E inconsciamente lo sapevamo anche noi che, bambini degli anni Cinquanta, spesso e volentieri giocavamo alla guerra. Chissà, forse avevamo interiorizzato gli echi di quella che i nostri babbi avevano combattuto solo qualche tempo prima. E naturalmente facevamo collezione di soldatini, di piombo e di carta, che impegnavamo in ardimentosi combattimenti. «Caricaaa», gridano ora gli “ Eserciti di carta” del Corriere dei piccoli, in mostra al Museo del Fumetto a Lucca fino al 21 settembre. Il celeberrimo giornalino li propose ai suoi piccoli lettori per dieci anni a partire dal 1959; la Mostra li ha recuperati
«C
nella loro intatta capacità fascinatrice per un’operazione che è nostalgica per quanto ridona agli “amarcord” degli ex-bambini, ma anche culturalmente propositiva. Ai fini di quella “storia dell’immaginario” dove figurine, fumetti, illustrazioni per giornalini, ecc. legittimamente abitano con i loro creatori e i loro cultori (ma spesso il creatore è anche cultore e viceversa).
«Caricaaa!», certo, e anche carico dolce del “tempo ritrovato”. Un “grazie”, dunque, a questi guerrieri colorati, che ritagliavamo dalle pagine del Corrierino e che poi incollavamo su cartoncini rigidi (in genere, le copertine dei vecchi quaderni di scuola): erano davvero i nostri eroi, nelle loro mille, smaglianti divise. Già, i nostri guerrieri, le nostre
che si intrecciano alle riflessioni. Dunque: i bambini e i soldatini. I soldatini, i soldati, la guerra. Quelle storie, quei disegni… Celebravano la guerra? Ci insegnavano ad odiare? Ci indicavano un nemico da colpire? No, semmai ci insegnavano che la guerra c’era sempre stata e che l’importante era farla con onore. Lo imparavamo anche dal nostro giornalino preferito: Il Vittorioso, tipica lettura da maschi. Un settimanale cattolico, nel senso tradizionale, “roccioso”, preconciliare del termine, quindi saldamente ancorato ai valori “di sempre”. Cui davano “forma”fior di disegnatori.
Il gusto dell’avventura, la bellezza dell’amicizia, la lealtà, il coraggio, la generosità, lo spirito di sacrificio, l’impegno per la
fiancati dalla terribile Signora Carlomagno) e il tenero Procopio di Lino Landolfi. Quelle storie che esaltavano il buono e il bello, ma mai in maniera melensa o uggiosamente didascalica, ci piacevano molto, erano un appuntamento settimanale cui non potevamo mancare, rappresentavano, ma davvero e senza un briciolo d’enfasi, un momento importante della nostra crescita. E il Corriere dei Piccoli? Era stato il nostro primo giornalino (insieme a Topolino), poi, crescendo, lo avevamo messo da parte, ma in una casa borghese dove da generazioni entra La Domenica del Corriere, può mancare il Corrierino per i più piccoli? Ovviamente no, e siccome i più piccoli c’erano, ogni tanto gli davamo un’occhiata dall’alto della nostra adolescenza in più acconce letture affaccendata. E gli “Eserciti di carta”, nel ’59, furono una piacevole sorpresa per noi “ginnasiali”che le icone degli eroi ce le avevamo belle lustre nel cuore, grazie proprio alla “lezione di vita” trasmessa dal Vittorioso. Intendiamoci: la tradizione dei soldatini da ritagliare e da incollare veniva da lontano e già da anni mobilitava i bambini esercitandone la fantasia e la manua-
Dopo cinquant’anni tornano a mostrarsi nella loro alta qualità artistica, tavole e disegni di Angelo Nencetti, Giorgio Trevisan, Dino Battaglia, Sergio Toppi e Hugo Pratt guerre, il Corrierino. E questa mostra lucchese, curata con grande perizia da Angelo Nencetti, che, attraverso le “serie” disegnate da Giorgio Trevisan, Dino Battaglia, Sergio Toppi, Hugo Pratt, ci fa fare un bel balzo nel tempo. Quasi cinquant’anni fa. Ovvio il dispendio di memorie
giustizia, la dedizione a una causa, il sentimento della “patria” e quello dell’”umanità”, li imparavamo anche dalle “tavole” illustrate da Fantoni, Giovannini, Caprioli, De Luca, Zeccara, Caesar…, mentre veri e propri amiconi erano i mitici Pippo, Palla e Pertica di Jacovitti (spesso af-
lità. E naturalmente istruendoli: armi e divise resuscitavano scenari storici, consentivano di giocare e di “ripassare”la lezione.
Come abbiamo detto, poi, la fantasia ci metteva del suo in abbondanza e chi maneggiava i guerrieri cartacei li vedeva impegnati in strenue battaglie. A dire il vero, i soldatini nati sul Corriere dei Piccoli nella prima metà degli Anni Venti, non sembravano granché vogliosi di conflitti, ma apparivano eleganti e rigidi, un po’ in posa, stile parata militare, tutti ben rassettati nella loro uniforme linda e perfettamente stirata. Bisognava lavorare senza posa con la fantasia per riempire quella divisa con un corpo e con un cuore, e per vederla alle prese con la polvere, col fango, col sangue. Bene, a partire dal ’59, qualcosa cambia. I soldatini diventano “emozionanti”: se non sono mai stati carta “inerte”, ora più che mai sono “vivi”. Molto più che in passato, la vista gode del disegno accurato,”documentato”, avverte il piacere della precisione “storica” e del “tratto” differenziatore, dunque della specificità dei linguaggi. Segue la “costruzione”– forbici, cartone e colla – degli eserciti di carta; poi, il gioco”, e par quasi che il tatto restituisca immagini palpitanti. Al punto che, in un dispiegato crescendo suggesti-
cultura
24 luglio 2008 • pagina 21 Nella pagina precedente alcune figure illustrate di Hugo Pratt. In questa altre creazioni firmate da Giorgio Trevisan, Dino Battaglia e Sergio Toppi. Il Corriere dei piccoli propose ai lettori i soldatini di carta a partire dal 1959. Un’iniziativa di grande successo che perdurò fino al 1969. Già negli anni ’20 il Corrierino aveva promosso soldatini di carta, ma rispetto ai loro eredi degli anni Sessanta avevano posture rigide e poco inclini alla battaglia
La fantasia ci metteva del suo in abbondanza e chi maneggiava i guerrieri li vedeva impegnati in strenue battaglie. Li incollavamo sui quaderni di scuola: erano i nostri eroi, nelle loro mille smaglianti divise
vo, si possono evocare cavalli scalpitanti, rombanti cannoni, baionette in canna,entusiasmanti fanfare, fieri appelli alla lotta, prodi soldati lanciati all’assalto, perfino gli odori della polvere e della polvere da sparo, perfino le urla di chi cade colpito,fregiando l’ultimo sospiro con un pensiero alla patria e uno alla mamma. Questo “cambiamento” di disegno, segno e intento balza agli occhi nella mostra lucchese. Angelo Nencetti, il curatore, mi dice che lo volle Francesconi, allora direttore del Corrierino. Si trattava di “vedere”la guerra giocandoci, di “combatterla” in forma innocua. Ma i bambini dovevano “sapere”. Ecco allora, le divise non più immacolate come fossero pronte a una sfilata, ma spesso lacere e sporche, perché sui campi di battaglia ci si sporca. Fango e
sangue, per l’appunto. Il che significa verismo, crudezza se necessario. E siccome non ci sono solo figurine, ma piccole “scene”, ecco, ad esempio, il crociato che trasporta il corpo dell’amico con una rosa di frecce nella schiena.
Gli eserciti di carta sono percorsi da una volontà dinamica, si spezzano in fotogrammi.Tutto diventa più movimentato e, insieme, più puntuale, per quanto attiene l’impegno a contestualizzare, a illustrare armati e divise di ogni epoca e paese, ad aprirsi all’attualità a al futuro. Ad esempio, nel 1962, Sergio Toppi dà vita a fantastiche stazioni spaziali e ci fa entrare nella dimensione mondana delle “prime”alla Scala e poi in quella sacra del Concilio Ecumenico, mentre Hugo Pratt attinge alle memorie di una “vita spericolata” (ci fu anche un tentativo, abortito grazie all’inter-
vento dell’energica nonna, di arruolarsi, sedicenne, nelle file della Decima Mas) per disegnare un paginone dedicato alla “sua” Africa, con una ricchissima serie di uniformi coloniali. Ma Pratt “scava” dappertutto: e splendidi sono, ad esempio, i suoi samurai. Quando poi si tuffa in avventure americane, non si accontenta certo dei classici cow-boy o dei “canonici” pellirosse capelluti e pennuti, e così ci fa scoprire indiani pelati come gli irochesi alle prese – siamo nel ‘700 e dintorni – con bruschi trapper “civilizzatori”. Ma anche le tavole del West di Giorgio Trevisan meritano ammirata attenzione, mentre, tra una polemica sul Risorgimento e l’altra, vale la pena dare uno sguardo agli eserciti degli Stati italiani prima dell’Unificazione, disegnati da Dino Battaglia. Comunque, in una Mostra del genere è chiaro che
“si viaggia”dappertutto, ed è bello farlo anche con Sergio Toppi, lanciato verso il Grande Nord, insieme ad irsuti, giganteschi guerrieri vichinghi.
Insomma, questi eserciti di carta sono tutti da vedere. Li apprezzeranno, ovviamente, i patiti del fumetto; ma anche – e perché no? – tanti turisti venuti a riempirsi gli occhi delle “classiche” bellezze di Lucca – c’è più “roba”a Lucca che a Parigi diceva Soffici ai suoi allievi smaniosi di un “bagno” nella Senna – , ma anche “aperti”a quel che possono riservare un Museo del Fumetto e una Mostra intitolata “Caricaaa!” ecc. ecc. ecc. Anche perché – è una cosa che va detta e nessuno si scandalizzi – questi disegni possono sì far arricciare tanti pedanteschi, diffidenti nasi, ma solo sulla base di pregiudizi. Insomma: vogliamo insiste-
re a dire che non sono arte o sono arte “minore”, o magari “da minorati”, le tavole di Battaglia, di Trevisan, di Toppi, di Pratt? O vogliamo riconoscere loro la dignità di un linguaggio sia pure modernissimo, ma con solidi ancoraggi nella tradizione pittorica dei secoli precedenti? Ecco, forse un “esercizio” intelligente potrebbe essere quello di andare in cerca dei “maestri”, quasi sempre “non dichiarati” per una sorta di pudore, confrontando disegni e quadri, da uno stile all’altro, dall’una all’altra battaglia, dall’uno all’altro soldato, nel variare di spazi, tempi, armi, armati ed uniformi. Una bella “caricaaa” all’assalto dei luoghi comuni, per onorare i cent’anni del Corriere dei Piccoli (27 dicembre 1908) e come aperitivo per i cent’anni del Manifesto Futurista (20 febbraio 1909).
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO
LA DOMANDA DEL GIORNO
Stupro anche se la vittima indossa i jeans.E’ giusto? CI SIAMO, UNA SENTENZA GIUSTA E OBIETTIVA: LE ”CINTURE DI CASTITÀ” NON ESISTONO PIÙ
COME MAI STAVOLTA NON ARRIVANO I COMMENTI DELLE SCATENATE ”QUOTE ROSA” PARLAMENTARI?
Finalmente anche la Corte di Cassazione si è resa conto che i jeans non sono la «cintura di castità» del terzo millennio. Infatti sentenzia che i tanto discussi pantaloni non sono «paragonabili» a una specie di cintura di castità «che impedisce i tentativi di qualcuno di poter toccare le parti intime di chi li indossa». Dunque non possono essere considerati un ostacolo a una violenza sessuale. Sono felice che la Cassazione abbia dunque confermato la condanna alla pena (sospesa) di un anno di reclusione inflitta ad un uomo dalla Corte d’appello di Venezia per violenza sessuale. Il caso riguarda una ragazza di appena sedici anni (sedici!) della provincia di Padova che aveva più volte subito «atti di libidine» da parte del convivente della madre. L’uomo, R.P. di 37 anni era stato condannato dalla Corte di Appello di Venezia ad un anno di carcere (in base all’art. 609 bis con pena sospesa e attenuanti riconosciute) perché più volte «con violenza aveva compiuto atti di libidine toccando la ragazzina sul seno, sui fianchi, sul sedere e nelle parti intime, entrando con le mani sotto i pantaloni della donna». Indecente.
Vorrei ricordare che i jeans furono al centro di un’altra sentenza, contestatissima, che la Suprema Corte depositò nel febbraio del 1999, nella quale veniva insinuato il dubbio che la violenza sessuale sarebbe stata più difficile da attuare nel caso in cui la vittima avesse indossato un simile abbigliamento. I giudici, all’epoca, avevano annullato con rinvio la condanna inflitta ad un presunto stupratore, rilevando che i jeans non possono essere sfilati ”nemmeno in parte” se chi li indossa non dà ”una fattiva collaborazione”. Le reazioni, ce le ricordiamo tutti. Specialmente quelle di persone in vista. Come dimenticare la fronda delle quote rosa parlamentari capeggiate dall’allora aennina Alessandra Mussolini, manifestare rumorosamente indossando jeans alla Camera dei deputati? Ecco, posto che secondo me la sentenza che rovescia quella indecente del ’99 è giusta, posto che credo davevro che i jeans non siano una cintura di castità e che se un uomo vuole, riesce a fare violenza nonostante la vittima indossi questo indumento... Mi chiedo: come mai la politica non ha commentato minimamente la sentenza? Troppo impegnata nella solita corsa a commentare altro?
Greta Gatti - Milano
Lorenzo Berti - Firenze
LA DOMANDA DI DOMANI
Siete d’accordo con il trasferimento del gip di Milano Forleo? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
FINALMENTE UN PRECEDENTE GIURIDICO A TUTELA DI TUTTE LE DONNE A SERIO RISCHIO DI MOLESTIE Certo che quella della Cassazione è una sentenza giusta. E rappresenta un precedente importantissimo per tutte quelle donne in jeans che, data invece la precedente sentenza (che nel ’99 stabilì l’esatto opposto) da allora hanno subito ogni tipo di molestia da parte di chi si sentiva al sicuro da qualunque azione penale. Finalmente, da ora in poi, quegli uomini che proprio non riescono a controllarsi dovranno invece trattenersi dal pensare di poter fare il proprio comodo e potranno avere dei seri problemi con la legge. Auguriamoci che questo accada anche in altri Stati. Eviteremo altri casi come quello della sfortunata Federica Squarise.
LA DEMOCRAZIA SENZA PARTITI Con la scomparsa dei partiti politici, avvenuta agli inizi degli anni Novanta, si è andato delineando un sistema bipolare che, invece di costruire il consenso su programmi volti a salvaguardare l’interesse generale del Paese, si è concentrato nel raccogliere il consenso mettendo insieme una serie di interessi particolari. A completamento dell’opera abbiamo anche una legge elettorale che invece di consentire l’elezione dei parlamentari, li nomina. Bisognerebbe spiegare agli italiani che il Parlamento viene eletto dal popolo. In un sistema in cui viene nominato, si rovesciano gli equilibri andando verso la deriva del leaderismo. Essere nominati oggi sta portando sempre più allo svilimento del Parlamento e alla conseguente crisi della politica. Soltanto quando si riuscirà a portare in Parlamento uomini liberi sarà possibile avere partiti forti. Questo meccanismo è frutto di una democrazia senza partiti, fondato da involucri o cartelli elettorali, dove le decisioni vengono prese dall’alto senza rispettare alcun principio di democrazia interna, e mantenendo le rendite del passato. Em-
MANDA... L’ACQUA
Uomini di una tribù dell’India orientale che, armati di lunghi bastoni, pregano Shiva affinché attutisca la siccità mandando un po’ d’acqua a rinfrescare la torrida stagione estiva. Questo rito si celebra ogni anno a maggio, durante una festività induista chiamata “Manda”
LA SPAGNA È MOLTO AVANTI RISPETTO ALL’ITALIA... SUI GAY Il presidente spagnolo Zapatero, allo scorso congresso del Partito socialista di cui è segretario, ha chiarito che lo Stato non deve avere religione: vanno tolti tutti i simboli ed il crocifisso dalle scuole ed uffici pubblici. Dopo il matrimonio gay e questa conquista religiosa, è arrivato in coincidenza un riconoscimento: è spagnolo il gay più bello d’Europa. E’ vero, la Spagna è molto avanti rispetto all’Italia, tanto, ma tanto avanti! Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)
ULTERIORI DIGRESSIONI SUL FAMIGERATO ”NO CAV DAY”
dai circoli liberal Gaia Miani - Roma
giusto, e pertanto detestano il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, non dimenticano proprio la bella esperienza di piazza Navona, a Roma. Lo vedi, sono desiderosi di parlarne e di manifestare ancora. Ci ricordano, trasognati, della regia curata da Antonio Di Pietro con pochi e sapienti tocchi. Degl’invitati d’onore Beppe Grillo, Marco Travaglio, Pancho Pardi, dei baroni dell’Unità e di Flores D’Arcais di Micromega. Delle lumeggiature d’imprevista delicatezza, dei sapidi toni, della sintassi sottile e della lingua delicata e raffinata dei loro begnamini. In tutta onestà, traballa la nostra ferma ritrosia e ci chiediamo: che film hanno visto? Grato dell’attenzione. Distinti saluti.
Quelli che inequivocabilmente sono dalla parte del meglio e del
blematico è l’esempio del lancio di un “partito” dal predellino di una macchina o di chi, in campagna elettorale, si vantava di portare in Parlamento la propria inesperienza. Fare dell’inesperienza un vanto svilisce lo sforzo di quei giovani che, pur non avendo luoghi dove discutere di politica, non avendo più la possibilità di formarsi a causa della mancanza dei partiti e vivendo difficoltà nell’aggregazione per via delle condizioni economico-lavorative in cui versa il Paese, si danno da fare perché concentrati sulle idee e sulla loro realizzazione. Cercare di catalizzare i tanti giovani incontrati in campagna elettorale sarà il primo impegno che in qualità di presidente dei circoli liberal della città di Roma mi sento di assumere. Fare della formazione la base per l’inserimento in politica sono convinto che porterà, se la formazione si ha il coraggio di effettuarla in un contesto così difficile, alla nascita di una nuova classe dirigente che con il rischio e il merito saprà conquistarsi l’attenzione e il rispettoda di chi è più grande di loro. Antonio La Rocchia COORDINATORE CIRCOLO LIBERAL ROMA
Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)
APPUNTAMENTI COMUNICAZIONE CIRCOLI LIBERAL TODI - VENERDÌ 25 LUGLIO 2008 - ORE 11 Prossima riunione dei presidenti e dei coordinatori regionali liberal all’Hotel Bramante di Todi. A seguire, l’inizio dei lavori del seminario Vincenzo Inverso segretario organizzativo circoli liberal
APPUNTAMENTI SEMINARIO DI TODI - VENERDÌ 25 E SABATO 26 LUGLIO 2008 Seminario, ore 12.00, Hotel Bramante, in via Orvietana 48 I lavori del seminario, che vedrà la partecipazione tra gli altri di Casini, Cesa, Buttiglione,Vietti,Volontè, avranno inizio il venerdì a partire dalle ore 12.00 e si chiuderanno per le 14.00 di sabato
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Amico mio, temo tutto e nulla mi consola Amico mio, il sentimento che mi pervade è una grande maledizione per voi e per me. Un modo per richiamare nel mio animo un sentimento dolce sarebbe di pensare che vi vedrò domani; ma qual è il modo per poter contare su questa felicità? Forse la vostra carrozza è rotta; forse vi è successo qualche cosa; forse siete a Chanteloup; insomma temo tutto, e nulla mi consola. Non vi basta aver destato la mia inquietudine, mi accusate anche: dovevo forse scrivervi a Chanteloup? E nell’ultima lettera mi dicevate che forse non ci sareste andato! A cosa serve smascherarvi? Vi emenderete? Vi amerò meno per questo? Buonasera. Oggi non è stata aperta una sola volta la porta che io non abbia avuto un tuffo al cuore; ci sono stati dei momenti in cui ho temuto di sentire il vostro nome, per rimanere poi delusa di non averlo sentito. Tutte queste contraddizioni, tutti questi moti d’animo opposti sono veri, e si spiegano con queste parole: vi amo! Julie de Lespinasse al conte di Guilbert
FINALMENTE È LEGGE IL CRITICATO LODO ALFANO Il Lodo Alfano è legge: a sinistra e nell’opposizione, con l’Idv in testa, la cosa non va giù! In Parlamento allora mettano in cantiere un’altra legge, a seguire la prima: immunità al Premier anche dopo il mandato e finché vive. Non scherzo, se il capo del governo riesce ad attuare il programma elettorale (referendum tra i cittadini per verificarlo), il ”Paese” condoni tutto per tutta la vita. E se le sinistre continuano a parlare, allora si rivedano anche i Patti Lateranensi e si chieda al Papa di concedere l’indulgenza plenaria al Capo del governo: così il condono verrà esteso anche nell’aldilà. Va bene ora? Un’ultima cosa: il Lodo Alfano, al comma 5, licita esattamente: ”La sospensione opera per l’intera durata della carica o della funzione e non è reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura né si applica in caso di successiva investitura in altra delle cariche o delle funzioni”. Non mi è chiaro se si applica nel caso in cui, nella stessa legislatura, il presidente del Consiglio venga eletto a presidente della Repubblica. Infatti Il caso di
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
24 luglio 1783 Nasce Simón Bolívar, generale, patriota e rivoluzionario venezuelano 1847 Dopo 17 mesi di viaggio, Brigham Young guida 148 pionieri Mormoni nella Salt Lake Valley, nella quale verrà fondata Salt Lake City 1908 Londra: Dorando Pietri, stremato dalla fatica, taglia per primo il traguardo della maratona olimpica sorretto da due giudici di gara. Per questo aiuto verrà poi squalificato e perderà la medaglia d’oro 1923 Il Trattato di Losanna, definisce i confini della moderna Turchia, viene firmato in Svizzera da Grecia, Bulgaria e altre nazioni che combatterono la prima guerra mondiale 1943 Seconda guerra mondiale: Inizia l’Operazione Gomorra: aeroplani canadesi e britannici bombardano Amburgo di notte, quelli statunitensi di giorno. Alla fine dell’operazione, in novembre, 9.000 tonnellate di esplosivi avranno ucciso più di 30.000 persone e distrutto 280.000 edifici
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
nuova nomina nel corso della stessa legislatura non è detto che riguardi la stessa carica: in poche parole spero tanto che Berlusconi vada anche al posto di Napolitano e lo faccia senza giudici tra i piedi! Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
il meglio di
L. C. Guerrieri - Teramo
L’OLANDA VIETA IL FUMO (DI SIGARETTA)
POSSIBILE CHE SI POSSA MORIRE DI CIRCONCISIONE? È stato arrestato con l’accusa di «morte come conseguenza di altro delitto e di esercizio abusivo della professione sanitaria» l’uomo nigeriano di ventotto anni che avrebbe eseguito la circoncisione al bimbo di due mesi, morto dissanguato l’altra notte a Bari. Francamente sono rimasta sconvolta dalla notizia e mi chiedo: ma è mai possibile che ancora oggi (e in Italia per giunta!) sia possibile effettuare una circoncisione senza una vera e adeguata assistenza medica su un bimbo di appena due mesi? Ma che razza di cultura può mai essere questa! Non voglio criticare il merito (accetto tutte le tradizioni), ma il metodo. Non si può far morire così un figlio.
Amelia Giuliani - Potenza
PUNTURE «Mia madre tutte le mattine legge i giornali», ha detto Piero Fassino, «e io sono incavolato nero» per le affermazioni di Giuliano Tavaroli. Povero Piero, ha dovuto spiegare tutto alla madre.
“
Giancristiano Desiderio
La paura del pericolo è mille volte più terrificante del pericolo presente DANIEL DEFOE
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
C’è una nube che si addensa minacciosa sulla ridente Olanda, sui canali di Amsterdam, sui suoi rinomati coffee shops e sulle frotte di giovani turisti che ogni anno invadono il Paese dei tulipani. E non è una delle nuvole solite, di quelle dal caratteristico aroma, che si addensano solitamente nei locali della capitale. Al contrario, si tratta di una nube che minaccia di cambiare drasticamente il volto e le abitudini del Paese. Stiamo parlando della legge che vieta il fumo – quello di nicotina – nei locali pubblici, quella legge attiva in Italia dal lontano 2005 e che dal primo luglio di quest’anno è entrata in vigore anche in Olanda. Si fa strada quello che a noi appare come un controsenso pazzesco: in Olanda, dunque, sarà ancora possibile acquistare e consumare hashish e marjuana (non legali ma tolleratissimi) nei locali appositi – che pudicamente si chiamano coffee shops, anche se raramente vi si vede qualcuno con una tazza di caffè - , ma non le sigarette, almeno quelle classiche fatte col tabacco. Bisogna ammettere che la cosa fa un po’ sorridere. Sennonché, si pone un altro problema piuttosto serio: normalmente hashish e marjuana si fumano mischiate con il tabacco. Come si farà ora che il tabacco è vietato? La questione sta turbando i sonni dei gestori dei coffe shops, preoccupati di come reagirà la loro clientela ad un cambiamento di abitudini così drastico. (...) Una cosa, però, per il momento appare certa. Non ci sarà nessuna deroga al divieto di fumo (di nicotina), nemmeno per i coffee shops. La legge si pone come obiettivo quello di ridurre il numero dei dipendenti da nicotina, che oggi in Olanda sono quattro milioni su sedici milioni di abitanti, e il governo sembra intenzionato ad usare il pugno di ferro. E allora qualcuno cer-
ca già di correre ai ripari per non deludere la clientela. Arjan Roskam, proprietario del coffee shop Greenhouse e portavoce dell’Associazione olandese dei rivenditori di Cannabis, non appare preoccupato dal divieto più di tanto. “Fumare cannabis è molto più salutare che fumare tabacco – dichiara – quindi si tratta di una legge giusta. Lentamente ci si sta rendendo conto che il tabacco non è la soluzione giusta. Bisogna fumare cannabis pura”. In linea con le sue opinioni (...) Roskam sta attrezzando la sua Greenhouse con pipe ad acqua e strani vaporizzatori, che consentono di inalare direttamente Thc puro, il principio attivo della cannabis. (...) Nel frattempo la Gran Bretagna traccia il bilancio del suo primo anno di legge antifumo, che ha avuto anche qualche risvolto inaspettato. Quello che si poteva prevedere è che 400mila fumatori hanno detto addio alla sigaretta negli ultimi dodici mesi e che sono aumentati a dismisura i beer gardens, cioè i pub all’aperto. Anche l’offerta dei pub è migliorata: i gestori hanno capito che se vogliono tenersi la gente nel locale, devono metterci un po’ di impegno e quindi via a musica dal vivo, tavoli da poker, karaoke, quiz e serate a tema. (...) Si lamentano, invece, le lavanderie a secco: i pub non sono più gli antri affumicati di una volta e nessuno ha più bisogno di portare l’abito in tintoria. Da quest’anno di divieto di fumo, la Gran Bretagna esce arricchita anche nel vocabolario. Un nuovo termine, infatti, è entrato nell’uso comune. Smirting nasce dalla fusione di smoking e flirting e descrive quel feeling di complicità che nasce fra due persone che si incontrano sulla porta di un locale pubblico per fumare una sigaretta. E che magari, con la scusa di condividere l’accendino...
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PAGINAVENTIQUATTRO
Questo cavaliere è davvero
OSCURO
di Piergiorgio Buschi furia di svolazzare alla cieca nella tetraggine di Gotham City e di trascorrere le afose giornate estive nell’umido clima della spelonca avita, Batman deve aver perduto la testa. Appena sbarcato nelle sale italiane il Cavaliere Oscuro, Christian Bale, corpo e anima dell’uomo pipistrello, fatica a uscire dal personaggio. E così, vendicativo e gotico, ha aggredito madre e sorella in una suite del Dorchester Hotel domenica sera. Un male oscuro chiamato depressione, fanno sapere fonti vicine all’attore. Heath Ledger, suo antagonista nell’ultimo episodio della saga, ha perduto la vita durante le riprese del film, e Bale pare non si sia più ripreso da allora. Fatti che autorizzano a un «pensiero orribile», per citare Batman Begins. Non è che l’eroe pipistrello porta sfiga? Intanto, come dicevamo è uscito ieri in numerose sale italiane, il nuovo capitolo dedicato al personaggio creato da Detective Comics. Nato dalla fervida mente dell’autore di fumetti e pittore statunitense Bob Kane, Batman venne tratteggiato inizialmente come un notturno cavaliere mascherato,astuto e spericolato, che assumeva in sè tratti ispirati ad altri personaggi come Dick Tracy e L’uomo Ombra.
A
Cristopher Nolan, regista anche dell’ antecedente Batman Begins ha restituito credibilità al personaggio dopo che per anni le trasposizioni sul grande schermo avevano svilito gli aspetti più oscuri e bui del personaggio, a vantaggio dei toni fantasy e degli effetti speciali. In questo secondo episodio viene accentuato il carattere tetro ed enigmatico dell’uomo pipistrello che si troverà ad affrontare la recrudescenza di criminalità frutto della guerra senza quartiere scatenatasi tra i criminali per
colmare il vuoto di potere scaturito dalla morte di un boss della malavita di Gotham City.
Al fine di caratterizzare al meglio l’antagonista principale di Batman nel film, per espressa indicazione del director, l’illustrazione del Joker è stata resa sempre meno fumettistica, qualificandolo e rappresentandolo visivamente come un personaggio crudele ed efferato. Ciò che però desta ancora più curiosità e sorpresa è la singolare e macabra intersezione che si è andata via via creando tra il mondo
principali del cast era presente al momento della tragedia in quanto questo tipo di operazioni sono curate dal secondo reparto di regia. Una volta terminate le riprese ed iniziato il battage pubblicitario e la promozione, il coprotagonista del film L’Aussie (australiano) Heath Ledger, splendido interprete del personaggio del Joker, è stato trovato privo di vita nel suo appartamento newyorkese; dopo il primo lancio della notizia da parte delle agenzie si è creata una mistura di incredulità, sgomento e disorientamento. Si propendeva per la macabra ipotesi del suicidio, ma dopo l’autopsia, la tesi ufficiale è stata quella di una intossicazione da antidepressivi e ansiolitici. Rumors hollywoodiani hanno ricondotto la tragedia proprio all’uso di psicofarmaci da parte dell’attore dopo aver spinto troppo in la ’la propria mente ed il proprio fisico al fine di rendere perfetto l’acquerello raffigurante il personaggio del malvagio giullare.
Una serie di eventi ha alimentato l’idea che su ”Batman” si sia abbattuta una «maledizione»: la tragedia di Heath Ledger (legata all’uso di psicofarmaci) e l’arresto per percosse di Christian Bale (stressato dalla fatica a uscire dal personaggio) fantastico da cui proviene il personaggio della Detective ed il mondo reale scandito dalla quotidianità e di cui siamo protagonisti consapevoli. Ma dicevamo che negli ultimi mesi si sono verificati una serie di eventi che suggeriscono l’idea che sul Cavaliere oscuro sia caduta una sorta di maledizione, un concetto che da molti è ritenuto frutto di pura superstizione, da altri come un complesso di concatenate coincidenze che la parte irrazionale della nostra mente tende a trasformare in un dato estremamente concreto. Durante la lavorazione del film un tecnico degli effetti speciali ha perso la vita, il mezzo che trasportava la macchina da presa si è schiantato contro un albero durante una scena di inseguimento con pratogonista l’autovettura del supereroe; nessuno dei membri
Se i l f ascino d el personaggi o aveva facile gioco nell’attrarre gli amanti delle strips cartacee e degli estimatori dei film di genere, lo sviluppo di questa serie di sciagure fungerà ancor più da magnete nei confronti del pubblico che tra l’altro sta già premiando il film con incassi che stanno polverizzando i risultati di botteghino di colossal ben più impegnati. Ciò che ci auguriamo è che chi andrà a vedere il film, non lo farà per un puro istinto voyeuristico, ma nella convinzione e nella speranza di vedere un film gradevole e che faccia evadere almeno per un paio d’ore dalla dura realtà di ogni giorno. .