QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Una risposta al “Jerusalem Post” sullo scambio degli ostaggi
Si possono contestare le scelte di Israele?
di e h c a n cro di Ferdinando Adornato
IL RICHIAMO DI NAPOLITANO
di Daniel Pipes osso io, cittadino americano che vive negli Stati Uniti, esprimere la mia opinione sulle decisioni del governo israeliano? Di recente ho mosso delle critiche al governo israeliano per lo scambio effettuato con Hezbollah nell’articolo da me scritto e titolato “Come aiutare Israele a superare un momento difficile”, apparso su liberal il 24 luglio scorso. Al che Yoram Schweitzer, eminente esperto di controterrorismo alla Tel Aviv University, ha messo in discussione l’appropriatezza del mio punto di vista sull’argomento. In un articolo dal titolo Not That Bad a Deal (Quello non è un cattivo accordo) egli ha spiegato ai lettori del Jerusalem Post come “i contenuti e i toni”della mia analisi siano “paternalistici e offensivi, e non tengono conto del fatto che il governo e l’opinione pubblica hanno il diritto di prendere delle decisioni che li riguardino (…) e di assumersi il prezzo derivante”. Egli mi muove altresì delle critiche per aver espresso un’opinione sulle questioni israeliane standomene nel mio “rifugio sicuro a centinaia e centinaia di miglia di distanza”. Schweitzer non spiega chiaramente la logica che si cela dietro il suo risentimento, ma essa suona familiare. Il ragionamento è il seguente: se una persona non vive in Israele, non paga le tasse, non mette a repentaglio la propria vita per strada e non ha dei figli nelle forze armate del proprio Paese, non dovrebbe giudicare con il senno del poi il processo decisionale israeliano.
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9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80729
«Ritrovate insieme la via delle riforme: l’alternativa è il nulla». Il presidente della Repubblica interviene a tutto campo, ammonendo la politica a cambiare strada...
Un vero Capo alle pagine 2 e 3 Il rischio islamico alle porte d’Europa Lettera aperta sul seminario di Todi
s eg ue a pa gi na 11
Stretta sugli assegni sociali, riduzioni alle buste paga
Divisi in politica, uniti nello spirito
Turchia, il caos a due passi
Oltre questo bipolarismo
di Vincenzo Faccioli Pintozzi
di Gennaro Malgieri
di Francesco Rositano
di Sabino Caronia
Cosa succederà in Turchia? Quanto la sentenza della Corte sul futuro dell’Akp influirà sul suo ingresso in Europa? Se lo domandano l’opinione pubblica internazionale, la società turca e il Parlamento europeo.
Ragioni personali mi hanno tenuto lontano dal seminario di Todi. Ma non voglio far mancare il mio contributo all’ampio dibattito dove si è dipanata l’ingarbugliata matassa del bipartitismo che non c’è.
Monta il malcontento contro la manovra economica presentata dal governo. Sotto tiro le norme che riguardano i dipendenti della Pubblica Amministrazione e gli assegni sociali per i pensionati.
Divisi nella politica, Aldo Moro e Ignazio Silone condividevano però un atteggiamento «privato» alla religiosità. E’ soprattutto il concepire la fede come fatto intimo ad avvicinare i due intellettuali.
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MARTEDÌ 29 LUGLIO 2008 • EURO 1,00 (10,00
CON I QUADERNI)
La manovra che divide il Paese
• ANNO XIII •
NUMERO
142 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
Che coppia Ignazio Silone e Aldo Moro!
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Il presidente detta l’agenda delle riforme: ma le prime risposte non sono incoraggianti...
Ora vediamo chi fa l’indiano Ascolteranno Napolitano o riprenderà lo scaricabarile? di Errico Novi
ROMA. Bisogna mettersi d’accordo. Al richiamo del presidente della Repubblica sono tutti sull’attenti. Promettono di impegnarsi nel dialogo. Assicurano anzi di averlo fatto finora con tutta la dedizione di questo mondo. Sono gli stessi – leader di maggioranza e opposizione – che fino a poche ore prima avevano diagnosticato il coma irreversibile della legislatura. Giorgio Napolitano usa un tono severo. Soprattutto perché non risparmia nessuno. Il governo, per l’eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza. Bossi e la Lega per lo scadimento «nella volgarità e nell’ingiuria», per il mancato rispetto «alle istituzioni e ai simboli della Repubblica». Tutte le parti politiche per il «clima convulso di chiusura e di scontro», per la «china pericolosa dell’esasperazione dei rapporti tra maggioranza e opposizione» che blocca anche «le nomine per impor-
Preoccupa perché la risposta è quasi infantile. Perché ci si sarebbe aspettati un minimo di autocritica. Così invece si manifesta un sostanziale rifiuto delle responsabilità. Eppure Napolitano fa di tutto perché ciascuno se le assuma. Ricorda anche che il suo non è certo un ruolo da «colegislatore» e che i suoi interventi sulla sicurezza e la giustizia sono stati concepiti solo per «richiamare il rispetto delle regole». È il Parlamento il luogo d’elezione per trovare le intese sulle riforme, ribadisce. Tutti definiscono il suo intervento alla cerimonia del Ventaglio – tradizionale saluto estivo con la stampa parlamentare – illuminante, provvidenziale. Viene il sospetto che si tratti di un atteggiamento insincero. Che l’egoismo accecante di maggioranza e opposizione impedisca addirittura di prendere sul serio i richiami del Colle. D’altronde Napolitano ha con-
«Siamo su una china pericolsa, il Paese ha bisogno di riforme», dice il Capo dello Stato, che mette all’indice «la stucchevole disputa su chi è più aperto al dialogo». E dopo un minuto, la disputa riparte tanti organi di garanzia», vale a dire per la commissione di Vigilanza sulla Rai. I media, per l’esercizio del diritto di cronaca che spesso, con le intercettazioni, sembra voler soddisfare solo «la curiosità voyeristica del pubblico». Persino la magistratura, seppure indirettamente, quando evoca la necessità di una riforma della giustizia «ai fini di riequilibrio dei rapporti» con la politica. Non manca nessuno. E preoccupa quasi che le reazioni del Pdl (Cicchitto, Capezzone, Lupi) e del Pd (Veltroni, Colaninno) siano tutte così sollecite a definire «giusto» l’intervento di Napolitano, ad assolvere la propria parte e ad attribuire all’avversario la responsabilità del clima rovente.
cesso un margine di ravvedimento. A invitato tutti a utilizzare le prossime settimane come una pausa di riflessione. In modo da ripartire a ottobre con spirito completamente diverso.
Nell’intervento di ieri mattina c’è un estremo tentativo di sollecitare un nuovo tempo della Repubblica. Il Capo dello Stato deve avvertire per l’ennesima volta che «il Paese ha bisogno urgente di innovazione». Si riferisce innanzitutto alle riforme istituzionali. Ma soprattutto chiede una maturità che finora non si è vista né in Parlamento né nelle sue appendici. A questo punto maggioranza e opposizione possono sentirsi messe in mora. Dovessero esibire la stessa improduttiva litigiosità an-
che in autunno, dichiarerebbero la propria assoluta inadeguatezza. Quello che Napolitano non dice ma che probabilmente teme è che l’indugiare nella palude possa rialimentare la fiamma dell’antipolitica. E spezzare definitivamente il rapporto di fiducia con gli elettori. Ha probabilmente ragione Rocco Buttiglione quando nota che a dover recuperare credibilità non è solo quella parte della politica «arrogante e corrotta» ma anche la «magistratura politicizzata» che rischia di alienarsi «il rispetto e il consenso di tutti i cittadini». Seppure in modo implicito, il presidente si è rivolto ieri anche ai giudici. D’altra parte senza la riforma della giustizia la «ridefinizione delle regole» da lui invocata è impossibile. E se la maggioranza rivedesse l’ordinamento giudiziario in modo unilaterale farebbe ripiombare il sistema nella stessa conflittualità in cui si trova ora. Senza considerare che si esporrebbe in pieno al rischio di un referendum, che finirebbe per fare da detonatore ai sentimenti anti-casta.
Tra i richiami di ieri, Napolitano non ha mancato di inserirne uno rivolto alla «stucchevole disputa quotidiana su chi vuole il
Così parlò il Capo dello Stato ROMA. Ecco, in breve, i temi affrontati ieri dal presidente Napolitano nel discorso alla stampa parlamentare in occasione della tradizionale cerimonia del ventaglio. • Riforme. «Piaccia o non piaccia, non c’è alternativa alla ricerca di larghe convergenze. Ho perciò molto apprezzato e lo cito come esempio positivo, l’approccio misurato e aperto all’ascolto con cui è stata avviata l’elaborazione del disegno di legge sul federalismo fiscale. Il muro contro muro rischia di far imboccare al Paese una china pericolosa». • Rispetto dei simboli.Un passaggio è stato dedicato al caso provocato da Umberto Bossi con il suo gesto di spregio all’inno nazionale: «Liberiamoci dalle angustie di una polemica politica che finisce per cadere nella volgarità e nell’ingiuria per il venir meno del rispetto alle istituzioni e ai simboli della Repubblica». • Lodo Alfano. «L’ho firmato indipendentemente dalle pressioni, seguendo i principi della Consulta», ha affermato il presidente «ogni altro atto appartiene alla politica e non può coinvolgere o chiamare in causa il Capo dello Stato. Si stia attenti, da parte di tutti, alle doverose distinzioni di posizioni e di ruoli”. • Intercettazioni. «L’esercizio del diritto di cronaca non può mirare a soddisfare la mera curiosità voyeuristica del pubblico ma deve corrispondere all’esigenza di informare su fatti oggettivamente rilevanti per la collettività». • Decreti e voto di fiducia. «La questione dell’abuso di decreti e voti di fiducia è annosa ma so di poter confidare nell’attività di vigilanza dei presidenti delle Camere». • Organi di garanzia. Il presidente della Repubblica ha poi invocato la ripresa del dialogo anche per evitare parossismi come l’incapacità di scegliere il presidente della commissione di Vigilanza della Rai: «Si metta fine all’esasperazione nei rapporti tra maggioranza e opposizione, che si riflette anche nel non decidere nomine per importanti organi di garanzia».
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Una proposta alla maggioranza per una riforma bipartisan
Cambiamo la giustizia insieme, ma per via costituzionale di Francesco D’Onofrio on vi è dubbio che il passaggio da quella che consideriamo Prima Repubblica a quella che è stata definita quale Seconda Repubblica è stato fortemente influenzato dalla rottura costituzionale concernente i rapporti tra politica e magistratura. Sono ormai trascorsi quindici anni dalla stagione di “Mani Pulite”senza che quella rottura sia mai stata compiutamente sanata ed è per questo che una profonda revisione costituzionale del rapporto fra politica e magistratura costituisce il presupposto di qualunque altra riforma costituzionale, sia questa concernente il cosiddetto federalismo, compresa la questione del bicameralismo, sia essa relativa al rapporto tra parlamento e governo. Sono queste le ragioni che inducono l’Udc, soprattutto in questa stagione della Costituente di Centro, ad affrontare la questione della giustizia con spirito autenticamente costituente, prima che siano affrontate le altre molto importanti riforme costituzionali: non si tratta di un “prima”e “dopo” puramente temporale - come sembra talvolta affermare la Lega Nord - ma di una precedenza ideale prima ancora che temporale, perché non vi è dubbio che anche in uno stato federale, in un diverso sistema bicamerale, in un nuovo rapporto tra parlamento e governo rimarrebbe comunque fondamentale la questione del rapporto tra politica e magistratura.
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dialogo e chi invece lo ostacola». Non ha nemmeno finito di dirlo che il battibecco è ripartito prendendo a pretesto proprio le sue parole. Come inizio è desolante. Ma di sicuro l’ultimo intervento del presidente è un vincolo difficilmente aggirabile. Non potrebbe eluderlo il governo, che si è visto infliggere un nuovo appunto sull’eccessivo ricorso alla decretazione d’urgenza e al voto di fiducia. E al quale Napolitano ha fatto notare che non ci si può muovere a dispetto delle regole, comprese quelle parlamentari almeno fin quando non saranno cambiate.
Certo non potrà fare finta di nulla Bossi, a cui è stato inviato un messaggio chiarissimo. Le parole del Capo dello Stato acquistano peso anche grazie all’attento equilibrio tra le parti, alla ricerca scrupolosa dell’equidistanza, dimostrata dalla notazione positiva riservata a un altro ministro leghista, Roberto Calderoli, di cui ha apprezzato l’approccio «misurato» sul federalismo fiscale. Napolitano non si limita a farsi forte del proprio ruolo, ci mette tutta l’autorevolezza di cui è personalmente capace. Un tono da vero capo. Il punto è capire se gli altri ne sono all’altezza.
Occorre pertanto definire il significato complessivo che questo rapporto aveva durante i lavori dell’Assemblea Costituente del 1946, che concorse a dar vita alla Costituzione attualmente vigente, ma profondamente modificata - senza un disegno complessivo - dal 1948 ad oggi. L’equilibrio costituzionale si è basato non tanto sui singoli istituti - autorizzazione a procedere in giudizio per tutti i parlamentari; obbligatorietà dell’azione penale; ordinamento delle carriere e delle funzioni inquirente e giudicante; composizione e funzioni del Consiglio Superiore della Magistratura; garanzia del diritto di difesa in ogni stato e grado del giudizio; terzietà del giudice rispetto alle parti pubbliche e private in causa; regole specifiche e speciali concernenti lo status di parlamentare, la responsabilità penale del Presidente della Repubblica, del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri; tanto per indicare almeno le più importanti delle disposizioni costituzionali oggi vigenti - quanto su una diversa e fondamentale questione di principio.
Sono trascorsi ormai quindici anni da “Mani Pulite”, ma la rottura istituzionale tra politica e magistratura non è mai stata compiutamente sanata La questione concerneva, e concerne, il problema primordiale del rapporto tra Politica e Magistratura: l’equilibrio generale tra di essi, fondato sul riconoscimento della rilevantissima specificità che essi avevano nella vita politica e costituzionale della rinascente democrazia italiana.
Questo equilibrio va salvaguardato, al di là dei singoli istituti posti di volta in volta a garanzia di questa o
quella specifica funzione o attività. E l’equilibrio costituisce un punto essenziale di identità della democrazia italiana: politica e magistratura traggono la propria fonte di legittimazione da valori costituzionali distinti: per la prima è decisivo il rapporto con la sovranità popolare tipico della politica attraverso l’istituto delle elezioni; per la seconda è fondamentale la specifica competenza professionale della magistratura accertata normalmente attraverso l’istituto del concorso. La nostra costituzione contiene infatti un splicito riconoscimento della autonomia della magistratura, contestualmente al riconoscimento delle autonomie territoriali; delle autonomie culturali; delle autonomie religiose; delle autonomie sociali.
Si tratta di una ispirazione costituzionale che fa del pluralismo delle legittimazioni un tratto essenziale della nostra repubblica democratica, contro ogni tentazione - presente anche alla Costituente - di individuare in una sola fonte di legittimità l’esercizio legale del potere: per l’UDC, soprattutto in questa stagione della Costituente di Centro, l’intransigente difesa di questa ispirazione di fondo costituisce la premessa ed il limite della disponibilità a fare della revisione del rapporto tra politica e magistratura una questione intorno alla quale deve essere ricercata una nuova intesa costituzionale senza i vincoli derivanti dal rapporto di fiducia di ciascun gruppo parlamentare rispetto al governo.
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il caso La Corte Costituzionale prende tempo per deliberarare sulle accuse rivolte all’Akp
Il caos a due passi È in gioco il futuro della Turchia, il rischio islamico alle porte d’Europa di Vincenzo Faccioli Pintozzi osa succederà in Turchia? Quanto la sentenza della Corte suprema sul futuro del Partito Giustizia e Sviluppo (Akp), influirà sul Paese e sul suo ingresso in Europa? Se lo domandano in molti: l’opinione pubblica internazionale, la società turca ed il Parlamento europeo. E con ogni probabilità, a dimostrazione di quanto la questione sia molto poco accademica, la stessa domanda risuona anche negli affollati incontri che seguono la preghiera in moschea in Paesi come il Pakistan e l’Iran. Eppure, mai come oggi, la risposta è avvoltanella nebbia. I sanguinosi attentati che hanno colpito Istanbul hanno il sapore di un ultimatum, che accompagna il Paese davanti ad un bivio immaginario: da una parte, una convivenza sociale dignitosa ma che deve fare i conti con la questione curda e con la crescita dell’integralismo islamico; dall’altra, uno scontro giocato con tutte le armi a disposizione. Bombe com-
C
prese. La sentenza sull’Akp si pone dunque come una sorta di spartiacque per il futuro del Paese. Se i giudici dovessero ritenere il Partito di governo incostituzionale, ed ordinassero al contempo l’interdizione dalla vita politica di 71 suoi dirigenti (compresi il premier Erdogan ed il presidente Gul) si creerebbe un vuoto istituzionale di portata immensa.
parte. In questo caso sarebbe decisivo il ruolo dell’esercito che, idealmente investito dal Padre della Patria Ataturk del ruolo di custode della laicità dello Stato, dovrebbe scegliere fra lo scendere in piazza con i blindati o appoggiare la popolazione imponendo però una transazione di potere. Per ora, il capo dello Stato maggiore delle Forze armate turche ha fornito una linea molto precisa: “Siamo fiduciosi nella magistratura”. Il riferimento è abbastanza chiaro: non si vuole costringere il mondo a digerire un nuovo colpo di Stato militare, per quanto proteso alla salvaguardia della democrazia. Molto meglio che i soldati scendano in campo per difendere una legittima sentenza del più importante organo di giudizio del Paese. Qualora invece i giudici non confermino le istanze del Procuratore generale della Repubblica, che ritiene l’Akp colpevole di fomentare un processo di islamizzazione contrario alla Costituzione nel territorio turco, si creerebbe un attrito fortissimo fra l’intellighenzia turca ed il
La Corte grazia (per ora) primo ministro e presidente rinviando la decisione sull’incostituzionalità del Partito di governo Forte del 47 % delle preferenze conquistate alle elezioni del 2007, i leader dell’Akp potrebbero decidere di ritirarsi dalla scena e leccarsi le ferite per i cinque anni di “squalifica” richiesti dal Procuratore generale di Istanbul.
Oppure, più verosimilmente, potrebbero scegliere di chiamare al proprio fianco la popolazione per dimostrare agli undici giudici costituzionali come la Turchia sia dalla loro
Anche fra i suoi sostenitori si teme il potere delle frange islamiche
Erdogan deve sciogliere le sue ambiguità di Mario Arpino li attentati sono sempre cosa nefasta, ovunque accadano. Tolgono sicurezza, creano instabilità, denunciano problematiche irrisolte. Quando ciò accade in Turchia, sempre più di frequente, la preoccupazione supera i confini nazionali e comincia ad estendersi ai partners, che alla patria di Ataturk guardano come qualcosa di unico nel Medio Oriente. Un Paese con origini e cultura islamica, ma che certamente aveva (e forse ancora ha) tanta voglia di
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Occidente. Un Paese che, almeno nelle città, era riuscito a contemperare le esigenze laiche di uno Stato moderno con le esigenze intime di una religiosità latente che, specie nelle campagne, è ancora sentita. Religiosità che, cosa mai accaduta negli ultimi 80 anni, da qualche tempo sta lentamente assumendo tonalità e sfumature di ispirazione politica. Tutti sappiamo quanto può essere pericoloso l’islam (che di per sé è buono) quando comincia ad assumere connotazione politica.
governo. In questo caso potrebbe profilarsi lo spettro diuna nuova ondata di repressione, come quella che ha condotto alla“scoperta”di Ergenekon, la ’Gladio turca’accusata di voler organizzare un colpo di Stato contro il governo di Erdogan. Lo scorso venerdì, la magistratura turca ha deciso l’avvio del processo contro 86 persone legate alla struttura: il 20 ottobre prossimo.
Questo scenario, che consente di fatto al governo di portare avanti la sua battaglia su temi sensibili come il velo nelle istituzioni pubbliche e la chiusura di fatto del Paese all’influenza dei missionari cristiani, sarebbe un duro colpo anche per Bruxelles. L’Unione europea guarda infatti con un misto di rispetto e fastidio le mosse islamiche dell’esecutivo Erdogan, e vederlo rafforzato dal pronunciamento della Corte non sarebbe di buon auspimato il codice penale sulla falsariga di quello di altre nazioni europee, ha stretto accordi commerciali con molti paesi dell’Unione, ha cercato di ridurre il potere dei militari. Tutto come chiedeva l’Unione. Da un lato, ha dimostrato di voler seguire le indicazioni delle piazze che, ricolme di giovani, reclamavano una Turchia laica, libera e democratica, ma, dall’altro, è scivolato su alcune bucce di banana islamiche che hanno attirato sul governo le occhiute attenzioni dei militari e, sopra tutto, della suprema Corte. Queste bucce, valutate dai laicisti come intenzioni islamizzanti, si chiamano legalizzazione del velo nelle università, luogo di preghiera all’interno del ministero degli esteri, elezione al vertice della Repubblica di un fedele dell’Akp, il presidente Gul, sull’onda del successo popolare. C’è ora, anche tra i numerosi votanti laici per l’Akp, chi ci sta ripensando: e se, al contrario di ciò che assicura Erdogan, si trattasse davvero di un’islamizzazione strisciante?
Diventa cattivo. Erdogan, la cui consorte porta in pubblico il velo, ha condotto il suo partito islamico “moderato”, l’Akp, a vincere le ultime elezioni con oltre il 46% dei voti. Nulla di male, ma certamente, con ciò, è iniziata la “politicizzazione”del credo islamico anche in Turchia. All’inizio, va tutto bene. Erdogan in campo internazionale è apprezzato, ha assicurato la separazione tra istituzioni e credo religioso, si è reso benemerito verso l’Occidente offrendo, con validi risultati, i suoi buoni uffici nel tiepido La Turchia è da sempre, anche nei inizio di dialogo tra Israele e la Siria, momenti di maggiore calma, un Paese ha abolito la pena di morte e ha rifor- in ebollizione. Gli ingredienti che pos-
il caso
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La trasparenza del conflitto istituzionale è già una procedura di stampo occidentale
Comunque lo ”scontro di Stato” avvicina Istanbul all’Ue di Andrea Margelletti l tortuoso sentiero della democrazia turca passa anche da questo riflusso di potere della Corte Costituzionale. Per questo c’è poco di che sorprendersi. Abituati come siamo a vedere nell’esercito il “baluardo laico” che si contrappone alle istanze religiose, congelando il processo di democratizzazione, quanto sta accadendo oggi in Turchia ha molto il sapore del déjà vu. Certo, a una prima occhiata, simili iniziative non possono che apparire anomale, se confrontate con la quotidianità plurisecolare delle democrazie dell’Europa centrale e occidentale.Tuttavia, anche i più accaniti detrattori all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea non possono sottrarsi dall’ammettere che l’intervento della Corte Costituzionale ha molto di diverso da qualsiasi iniziativa manu militari che, in passato, le Forze Armate turche si sono assunte. Infatti, per quanto discutibile possa apparire, una sentenza di un tribunale civile non è un golpe. Ed è per questo che, così facendo, la Turchia si avvicina all’Europa. Quante volte infatti, nei nostri Paesi, la sentenza delle rispettive Corti Supreme nazionali ha suscitato polemiche e divisioni? Quante volte una sua presa di posizione ha fatto da scintilla per accendere gli animi, sia in seno alla classe politica sia nelle menti dell’elettorato? I giudici supremi, agendo in questo modo, sanno provocare un benefico “caos democratico”, che innesca a sua volta un nuovo processo di modernità politica del Paese. In Europa, in ogni suo singolo Stato membro, il ruolo della Corte Costituzionale è sempre stato quello di magistrato supremo, garante della Legge fondamentale e dei principi che la ispirano. Quanto sta accadendo in Turchia – a differenza dei precedenti interventi dell’Esercito – è proprio questo. Le istituzioni democratiche nazionali messe sotto la lente d’ingrandimento di Bruxelles per capire se effettivamente siano tali, stanno cominciando ad agire secondo le loro prerogative. La sorpresa, di fronte agli avvenimenti di Ankara non può che essere di apprezzamento. Perché nel suo lungo cammino di modernizzazione, in cui c’è ancora così tanto da fare – in primis saper controllare una nuova ondata di attentati – quello della Corte è decisamente un passo avanti.
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In alto: il primo ministro Erdogan passa in rassegna i soldati dell’esercito turco, considerati i garanti della laicità dello Stato cio per i colloqui che riguardano l’ingresso di Istanbul nei 27 Paesi membri dell’Ue. Oltre a accogliere o rigettare la richiesta di scioglimento, la Corte potrebbe infine optare per una soluzione intermedia, come privare l’Akp dei finanziamenti pubblici. Questa, forse la scelta più probabile, rappresenta una soluzione di comodo per tutte le parti in causa. Volenti o nolenti, infatti, l’equilibrio instabile che regna oggi in Turchia è preferibile ad uno scontro aperto fra i poteri che compongono lo Stato. Privare l’Akp dei fondi pubblici non costringe nessuno a soluzioni radicali, che in questo momento storico non farebbero altro che danneggiare tutte le parti in causa.
sono trasformarsi in miscela esplosiva sono sempre presenti, e si intrecciano continuamente. Nel calderone c’è ora la guerra al terrorismo, che per i turchi è rappresentato dal Pkk, il partito comunista turco, recentemente oggetto di sonore batoste da parte dei militari, su ordine di Erdogan. E’ poi imminente la rotazione dei principali vertici della Difesa, anche questa ordinaria operazione del governo.
È in atto una caccia senza quartiere ai terroristi di al-Qaeda, cui va ascritto l’attentato al consolato americano di Istambul. E’ anche in corso una campagna governativa contro organizzazioni laiciste estremiste, delle quali alcuni membri, tra cui anche ex militari e poliziotti, sono stati recentemente arrestati. Da ultimo, sta per uscire proprio in questi giorni la sentenza della suprema Corte sullo scioglimento dell’Akp. E’ evidente che, in queste condizioni, l’interesse a destabilizzare può venire da più parti, anche se la “teoria del complotto”, così cara alla stampa italiana, resta l’ipotesi meno probabile. La grande bomba è già pronta, con la miccia innestata. Chi sarà ad accendere il cerino?
Chi sono i giudici che hanno in mano il destino del Paese di Ilaria Ierep a Corte Costituzionale turca è l’organo giudiziario più importante in Turchia. Il corpo è formato da 13 persone: un Presidente, un vicePresidente – entrambi in carica per quattro anni e rieleggibili – e 11 membri. Dall’ottobre 2007, il Presidente della Corte è Hasim Kılıç, classe 1950, formazione da economista. Dal 1974 al 1985 ha svolto la funzione di revisore finanziario presso la Corte dei Conti, per poi esserne eletto membro effettivo per cinque anni. È diventato membro della Corte Costituzionale nel 1990 e per due volte, nel 1999 e nel 2003, ha ricoperto la carica di vice-Presidente. L’attuale vice-Presidente, è Osman Alifeyyaz Paksüt, membro della Corte dal 2005. Secondo l’articolo 146 della Costituzione della Turchia, la Corte Costituzionale è composta da 11 membri regolari e da quattro sostituti. Il Presidente della Repubblica ha il potere decisionale più grande per quanto riguarda le nomine, potendo scegliere nella rosa che ricomprende la Corte di Cassazione, il Consiglio di Stato, la Corte di Cassazione Militare, l’Alta Corte Amministrativa Militare. Gli elementi rimanenti provengono dalla Corte dei Revisori, dall’Alto Consiglio per l’Educazione e dalla lista a disposizione di funzionari amministrativi e avvocati. Gli 11 membri del corpo giudiziario sono sia elementi di recente nomina, sia persone che vi fanno parte dai primi anni Novanta. È questo il caso di Sacit Adalı e di Fulya Kantarcıo\u011Flu, presenti rispettivamente dal 1993 e dal 1995. La Suprema Corte d’Ap-
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pello è rappresentata da Ahmet Akyalçın, da Mehmet Erten e da Cafer Sat. Il settore militare è coperto da Abdullah Necmi Özler e da Serdar Özgüldür. Sevket Apalak e Zehra Ayla Perktas provengono dal Consiglio di Stato. Il novero dei nomi si chiude con Mustafa Yıldırım e Serruh Kaleli. Va ricordato che le norme contenute nella Carta fondamentale turca prevedono un rigido controllo dei programmi e delle attività dei partiti politici, imponendo ad essi il rigoroso rispetto del principio di laicità delle istituzioni. La Corte Costituzionale rappresenta nella Turchia attuale uno dei difensori più accaniti della laicità della Repubblica assieme alle Forze Armate. Nello specifico, i giudici della Corte sostengono in modo deciso che la concezione non confessionale imposta dal Testo Fondamentale costituisca uno dei presupposti indispensabili per il mantenimento del regime democratico, anche in relazione all’esperienza storica del Paese e delle caratteristiche della religione musulmana. La questione della messa al bando di un partito politico in Turchia non è una novità. La Corte turca si è più volte espressa in questo senso, fattore che fa pensare che l’Akp sia effettivamente sull’orlo della chiusura. Con tre sentenze, rispettivamente del 1994, 1998 e 2001, il massimo organo della magistratura turca ha sancito la fine del Partito Democratico, del Partito del Benessere e del Partito della Virtù. Alla luce del contesto istituzionale odierno della Turchia, le decisioni della Corte Costituzionale, che sposano la concezione del doverediritto di un ordinamento democratico di esercitare le sue prerogative, anche attraverso strumenti preventivi, per difendere i valori supremi, hanno finito per svolgere un ruolo di orientamento verso le nuove forze politiche di matrice islamica.
Composta da 13 membri, è l’organo giudiziario più importante del Paese. Insieme ai militari, garantisce la laicità
Analista Ce.S.I. Centro Studi Internazionali
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politica
Stretta sugli assegni sociali, riduzioni alle buste paga per i lavoratori pubblici: i lavoratori contro il governo
La manovra che divide il Paese di Francesco Rositano
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“Famiglia Cristiana” e il masochismo Pd È un Pd fermo al «facciamoci del male» quello descritto nell’editoriale di “Famiglia cristiana” di questa settimana. Su economia e riforme, secondo il settimanale dei paolini il principale partito di opposizione non ha «nessuna idea seria». Invece è preda di «contorcimenti su che cosa fare da grandi». Sul fronte interno il Pd «per non smentire il tipico masochismo della sinistra, si logora in battaglie interne tra Veltroni e D’Alema (ma, scusate, non s’erano già fatte le primarie?)». La conclusione di “Famiglia cristiana” è amara: «L’inerzia politica ci preannuncia un autunno caldo».
Ronconi: «Sulle adozioni, anarchia e marginalizzazione dei cattolici»
onta il malcontento contro la manovra economica presentata dal governo. Sotto tiro, in particolare, le norme che riguardano i dipendenti della Pubblica Amministrazione e gli assegni sociali per i pensionati. Contestata dall’opposizione, invece, la norma conenuta all’articolo 21 del provvedimento che aggraverebbe ancora di più la situazione dei precari.
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Ieri un centinaio di lavoratori della P.A. che aderiscono alle tre sigle dei sindacati di categoria (Cgil,Cisl e Uil) e dei tre istituti previdenziali pubblici (Indpap, Inail e Inps) hanno manifestato davanti a Palazzo Madama con bandiere, fischietti e slogan contro il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta. E in particolare si sono scagliati contro i tagli in busta paga previsti nel decreto manovra. Le parole sono state dure: «Brunetta vuole migliorare la pubblica amministrazione, ma in realtà taglia una montagna di soldi senza ammetterlo», ha sostenuto un dipendente dell’Indpap, aggiungendo che con le misure previste nel decreto «si torna ad una burocrazia di trent’anni fa, che bloccherà la Pubblica amministrazione». Nel mirino dei manifestanti, insieme a Brunetta, c’è anche il ministro dell’Economia Giulio Tremonti: «Stanno smantellando i servizi pubblici, calpestano i diritti dei cittadini, tagliano i salari dei lavoratori: fermiamoli!», hanno scritto i sindacati in un volantino. La protesta dei sindacati ha preso di mira il ministro Renato Brunetta e le sue norme anti-fannulloni, contro i quali i manifestanti hanno intonato slogan e canzoni. «Non siamo fannulloni, siamo lavoratori», «Brunetta sei tu il fannullone, vai a lavorare».
ne. In definitiva - dice ancora Minardi - collegare il diritto a questa prestazione all’aver svolto una attività lavorativa e all’aver versato contributi previdenziali, vuol dire snaturare lo spirito stesso dell’assegno sociale e scardinare uno degli strumenti pensati dal nostro sistema di welfare per far fronte alle situazioni di povertà estrema tra le persone anziane, in particolare le donne pensionate casalinghe, che hanno dedicato la loro vita alla famiglia e alla cura dei figli e dei nipoti. Per questo il nostro sindacato si sta attivando affinché la norma venga modificata ripristinando le precedenti condizioni e la natura assistenziale dell’assegno sociale».
Momenti di tensione anche a Napoli. In questo caso la protesta non era legata a un provvedimento dell’esecutivo, ma alla situazione difficile di un gruppo di immigrati africani che si era arroccato nel Duomo per rivendicare il diritto ad avere un’abitazione, dopo aver perso la loro in seguito ad un incendio. La situazione è sfociata in tafferugli con la polizia. L’assessore alle politiche sociali del Comune di Napoli, Giulio Riccio, (Rifondazione Comunista) ha parlato di pestaggio e criticato l’operato delle forze dell’ordine. «Gli immigrati - ha affermato - che oggi hanno occupato pacificamente il Duomo per chiedere di avere, per un loro diritto, un alloggio dignitoso, sono stati aggrediti e selvaggiamente pestati dalla polizia all’interno della cattedrale. Ad essere testimoni del pestaggio, oltre ai passanti, vi sono anche i giornalisti. Questi fatti verranno confermati dai referti medici.Vanno subito individuati e puniti i responsabili».
Confindustria ”benedice” la norma anti-precari. L’opposizione annuncia battaglia. L’esecutivo: «riguarda pochi casi»
Ai lavoratori del pubblico impiego si sono uniti anche i pensionati. Che contestano la stretta sugli assegni sociali contenuta nella medesima manovra. «È un cane che morde chi è già lacero - ha affermato Mimmo Minardi della segreteria nazionale Fnp-Cisl -. Non si tratta dei requisiti di età o di reddito, che erano condizioni preesistenti, ma dell’allungamento del requisito della residenza, che viene elevato da 5 a 10 anni, nonché della clausola della continuità del lavoro coperto da contribuzione nel territorio nazionale. E in quel continuativo è contenuta la beffa di lavori sempre più precari che, ad litteram, finiranno per non precostituire requisito per la prestazio-
Intanto, in Parlamento la cosiddetta norma antiprecari, che blocca le assunzioni, sembra viaggiare verso una conferma da parte del Senato. Confindustria la ”benedice”, sostenendo che «la misura è in linea con direttiva europea». L’opposizione annuncia battaglia parlamentare. Il segretario del Pd, Walter Veltroni ha chiesto di ritirare l’emendamento che giudica incostituzionale. Ma il governo tira dritto e con il ministro per il Welfare Maurizio Sacconi rassicura: «È di carattere transitorio ed esclusivamente riferito ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto. Riguarda quindi una platea limitata di destinatari, interessati quasi esclusivamente a controversie con la società Poste Italiane».
«Passi il fatto del governo “anarchico” sui principi, ma che la presidente della commissione per l’Infanzia difenda le adozioni anche per i single mentre il sottosegretario per la famiglia Giovanardi assuma una posizione esattamente antitetica è la misura che oltre all’anarchia c’è la confusione e peggio la marginalizzazione dei cattolici». Queste le parole di Maurizio Ronconi (Udc), che continua: «Per una questione di serietà è evidente che non potrebbero convivere in importanti incarichi istituzionali esponenti dello stesso partito e che la pensano in modo diametralmente opposto su questioni inerenti i loro uffici. Vedremo chi dei due avrà il coraggio di assumere le conseguenze di una grave divisione ma la sensazione è che entrambi tra un giorno da leone e una vita da coniglio preferiscano la seconda soluzione».
Saccà, il tribunale dà ragione alla Rai Il Tribunale del lavoro in composizione collegiale ha accolto il reclamo della Rai contro l’ordinanza del giudice del lavoro che aveva reintegrato Agostino Saccà al posto di direttore di Rai Fiction. «La sentenza, comunque, non sposta di nulla la posizione di Saccà - ha commentato il legale di Saccà, Federico Tedeschini - perché fa riferimento a un procedimento disciplinare chiuso con il respingimento, da parte del cda, della proposta di licenziamento. Al punto che avevamo segnalato come il ricorso dell’azienda fosse affetto da improcedibilità per carenza sopravvenuta di interesse. Dunque per noi non cambia nulla».
Capezzone: «Anche il Pd non vuole Orlando alla Vigilanza» «Anche il Pd non vuole la candidatura di Orlando alla guida della Vigilanza, ma ora vorrebbe far ricadere la responsabilità del “no” solo sulle spalle del Pdl». Lo afferma Daniele Capezzone, portavoce di Forza Italia. «Per il Pdl - dice Capezzone - certamente quella resta una candidatura da respingere, di tutta evidenza, perché espressione di una linea estremista e faziosa. Ma il fatto è che anche nel Pd la pensano così. Forse - aggiunge l’esponente del Pdl - è il caso che qualcuno, dal Loft, faccia una telefonata alla sede dell’Idv e dica come stanno davvero le cose... Altrimenti, siamo dinanzi al solito vizio veltroniano del “ma anche”: far cadere la candidatura di Orlando ma anche dire che è solo volontà del Pdl».
Oggi la cerimonia del ventaglio con Fini Oggi alle 12 si svolgerà nella Sala del Mappamondo la tradizionale Cerimonia del Ventaglio, la prima della XVI Legislatura. Il Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, incontrerà i giornalisti dell’Associazione stampa parlamentare per lo scambio di auguri prima della pausa estiva. L’incontro sarà anche l’occasione per affrontare i temi più importanti che hanno caratterizzato l’attività della Camera in questi primi mesi di legislatura e quelli in agenda alla ripresa. La Cerimonia del Ventaglio sarà trasmessa in diretta sul sito internet www.camera.it.
politica icordate Massimo Troisi nel suo ultimo film? L’attore napoletano interpretava il personaggio di un postino avventizio, assunto apposta per portare nel buen retiro italiano di Pablo Neruda la corrispondenza del poeta durante l’esilio dorato in una splendida isola italiana negli anni Cinquanta (alla faccia del comunista perseguitato!). Se quel postino fosse ancora vivo, oggi avrebbe potuto essere assunto stabilmente alle Poste riscuotendo per di più tutti gli arretrati degli stipendi non riscossi come stabile. È l’esito di una giustizia del lavoro tanto «compassionevole» da divenire eversiva. Una giurisprudenza, che non si cura degli effetti economici delle sentenze e ormai consolidata, impone a Poste italiane (ma nel mirino sono anche Alitalia, la Rai e altre aziende) di assumere a tempo indeterminato tutti gli avventizi che – ai sensi delle norme contrattuali di volta in volta vigenti – hanno compiuto dei turni di lavoro (trimestrali o semestrali) mai contestati. Questo è il problema da risolvere dal momento che le Poste (e le altre aziende in analoghe condizioni) non possono sopportare il carico di un imponibile di manodopera (per decine di migliaia di persone) di cui non saprebbero che farsene, per di più sopportando gli oneri di anni di stipendi arretrati (dovuti anche in mancanza di prestazione lavorativa). C’è da dire che mai queste aziende – in generale sotto il controllo pubblico – avrebbero proceduto a tali assunzioni se avessero supposto uno sbocco così devastante.
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Per far fronte a tale situazione, in occasione della fase caotica degli emendamenti (tanti sono stati gli errori) ne è passa-
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Un emendamento figlio della confusione parlamentare e da aggiustare. Ma non del tutto privo di ratio
Favorire i precari, non le assunzioni inutili di Giuliano Cazzola
to uno di impronta draconiana: se un giudice riconosce l’illegittimità di un rapporto a termine, la sanzione per il datore non è più l’assunzione a tempo pieno ma il versamento di una penale variabile tra 2,5 e 6 mensilità. Il fatto è che alla norma è stata data un’efficacia di carattere generale. Tutti i precari che otten-
C’è il rischio di aumentare la flessibilità per lavoratori con poche tutele. Ma assumere a tempo indeterminato, e in blocco, gli stagionali delle Poste è un costo che non possiamo permetterci gano, nei giudizi pendenti, il riconoscimento del loro buon diritto a rivendicare la stabilità,
dovranno accontentarsi di una tutela consistente nel risarcimento del danno attraverso la
Inseriti paletti per l’erogazione (10 anni di lavoro e di permanenza) che potrebbe escludere categorie deboli come le donne
E nel tritacarne finiscono le categorie deboli ROMA. Come per la norma antiprecari, la solita fretta e il surplus dei lavori parlamentari ha prodotto un’altra vittima nella manovra: l’assegno sociale. Stando alle vecchie disposizioni, veniva concesso a chi, dopo i 65 anni e rientrando nei redditi previsti per leggi, aveva soggiornato legalmente per cinque anni. Ma per prevenire i finti ricongiungimenti ad hoc degli extracomunitari, al comma 10 dell’articolo 20 del decreto 112 si previsto che beneficiari saranno soltanto quelli «che abbiano soggiornato legalmente e lavorato legalmente con un reddito almeno pari all’importo dell’assegno sociale, in via continuativa, per almeno 10 anni nel territorio nazionale».
Ma è in questo passaggio che qui insinuano tante incongruenze che potrebbero ledere l’efficacia di quest’istituto. Intanto perché l’assegno sociale è una prestazione di carattere assistenziale che prescinde del tutto dal versamento dei contributi e spetta ai cittadini che si trovino in disagiate condizioni economiche: se la residenza in Italia e la cittadinanza italiana sono condizioni per la concessione e per la conservazione del diritto, dirimente è il reddito, basso, che deve rientrare nei parametri stabiliti per legge. In più i 10 anni di permanenza e lavoro potrebbero impedire che la misura sia concessa a categorie deboli come disoccupati, casalinghe e lavoratori che non
abbiano una storia contributiva pregressa perché impiegati nel sommerso. Oppure scontrarsi con diritto all’assegno sociale che hanno i cittadini Ue e gli stranieri con permesso di soggiorno. Infatti già oggi la perdita della cittadinanza, senza la dimora effettiva in Italia, comporta la revoca dell’assegno. L’attuale formulazione del comma 10, nel tentativo di porre un rimedio a una grave ingiustizia legata al problema dei falsi ricongiungimenti perpetrati dagli extracomunitari soltanto al fine di ottenere l’assegno sociale, potrebbe vanificare lo scopo sociale della provvidenza in esame, ledendo proprio i diritti dei cittadini italiani che la norma vuole tutelare.
corresponsione della penale prevista per i licenziamenti ingiustificati nelle aziende con meno di 16 dipendenti. Non sarebbe stato facile stabilire una disciplina ad hoc per le Poste e le altre società. Ma è questo il compito che dovrà svolgere il Senato per evitare che aumenti il divario nel mercato del lavoro e si continui a gravare di ulteriore flessibilità le figure professionali che già lo sono, mentre non viene affrontato il nodo della rigidità dei settori protetti (chi scrive ha presentato, nella generale indifferenza della maggioranza, un progetto di legge per la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori). L’agitazionismo in cerca d’autore dell’opposizione e dei sindacati, però, è pretestuoso e sterile. La sinistra non riesce a liberarsi della retorica delle precarietà, ma il centrodestra dovrebbe prestare più attenzione. Altrimenti l’opinione pubblica non capirà che il vero scandalo sta nel tentativo di riempire le aziende di mano pubblica (dove c’è sempre molta premura per i precari) di organici inutili.
Ma come si è arrivati a questo punto? La colpa va cercata nell’organizzazione (o meglio nella disorganizzazione) dei lavori della Camera. In pratica, la sola commissione che conta è quella del Bilancio (che si riunisce insieme alle Finanze). Lì confluiscono tutti gli emendamenti (ne sono stati presentati persino da parte del governo). I tempi ristretti non hanno consentito alle due commissioni di districarsi tra i tanti emendamenti presentati ed esaminati. Soprattutto le commissioni Bilancio e Finanze non sono onniscienti e non hanno potuto avvalersi di un parere meditato delle commissioni di merito (Lavoro o Attività produttive), benché tanti articoli del decreto 112 riguardassero proprio le materie di loro competenza. La commissione Lavoro – tanto per citare il caso più clamoroso – non è stata nemmeno messa in grado di formulare il proprio parere. Quando si era riunita per dare quello di sua competenza, l’opposizione ha sollevato l’obiezione – non infondata – che il governo aveva presentato poche ore prima nuovi emendamenti e che c’era la necessità di esaminarli. Così ha ottenuto il rinvio alla settimana dopo, quando, avendo l’esecutivo posta la questione di fiducia, è stato precluso per 24 ore il lavoro delle commissioni. È così che si verificano spiacevoli incidenti di percorso e, al sorgere delle prime difficoltà politiche, la norma contestata si è trovata a non avere né padre né madre. Pur non essendo del tutto sbagliata. Sic transit gloria mundi.
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Il bipartitismo che non c’è
Lettera aperta a Ferdinando Adornato dopo il seminario di Todi
Oltre questo bipolarismo Il deserto del politicantismo ci sta condannando al declino di Gennaro Malgieri aro Ferdinando, in sei anni è stata la prima volta che ho “disertato” il seminario di Todi organizzato dalla Fondazione liberal. Non vi sono state motivazioni politiche a giustificare la mia assenza: tu sai quanto disperato bisogno di confronto io avverta soprattutto con chi dissento, ma che comunque stimo profondamente. Ragioni personali mi hanno tenuto lontano, come ti avevo preannunciato. Ma non voglio far mancare il mio piccolissimo contributo all’ampio ed articolato dibattito che, sotto la tua intelligente regia, si è svolto all’Hotel Bramante dove, mi è parso di capire, si è dipanata l’ingarbugliata matassa del bipartitismo che non c’è. Conosci il mio pensiero al riguardo e credo che i lettori di Liberal lo ricordino: da tempo su questo giornale denuncio la finzione di questo bipartitismo, poiché tanto il Pd quanto il Pdl sono coalizioni mascherate, cartelli elettorali, nonostante gli sforzi soprattutto dei dirigenti del primo di accreditare la tesi contraria. Ma richiamo anche i nostri lettori, forse con una certa ossessione, a guardarsi da questo bipolarismo. E puoi immaginare quanto mi costi essendo per cultura e convinzione incline a ritenere che una democrazia compiuta debba essere imper-
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da un doppio turno per l’elezione dei componenti del Parlamento. Tuttavia, al punto in cui siamo, ragionare di queste cose è pura fantascienza. Restano in piedi, come tu dici, nodi che sembrano inestricabili dai quali non si può prescindere, tanto da parte della maggioranza che dell’opposizione, a meno di non volere l’affossamento totale del nostro Paese. Nodi che bisognerebbe sciogliere in maniera bipartisan e tu mi dirai che anche questo auspicio è fantascientifico. Proviamoci, comunque.
La questione istituzionale, la questione giudiziaria, la questione dell’unità nazionale e la questione della modernizzazione liberale, come tu sostieni, ed io ne convengo, «sono ancora davanti a noi incancrenite dal tempo perduto. E con questo bipolarismo si rischia di perderne altro: per questo dovremmo chiudere la transizione in un clima unitario di ricostruzione nazionale. Ma gli attuali strumenti non ce lo consentono. Perciò è necessario aprire un nuovo tempo della Repubblica». Per farlo, mi permetto di aggiungere, è inutile guardare ai nuovi/vecchi schemi. Bisogna riflettere sui contenuti da te
Servirebbe un profondo ripensamento istituzionale. La mia preferenza è per un sistema presidenzialista o semipresidenzialista niata su un vero, realistico, efficace e comprensibile bipolarismo, in una prima fase, per poi evolvere in un bipartitismo integrale, come negli Stati Uniti o in Gran Bretagna.
Questo schema implica pure un profondo ripensamento istituzionale cui non è estranea la mia preferenza presidenzialista o, in subordine, semipresidenzialista magari corredata
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riassunti, ai quali altri si potrebbero e dovrebbero aggiungere, per articolare una discussione che prescinda dalle casematte partitiche o simil tali. Tu sei impegnato nella costruzione di una Costituente di Centro (francamente mi sfugge il senso, per mia responsabilità naturalmente); altri lo sono nel costruire una sinistra un po’cattolica, un po’ liberale, un po’ solidarista; altri ancora nel dare
corpo al partito-coalizione Pdl, non si bene su quali basi al punto che essendomi molto speso fin dal 2002 per questa prospettiva politica del centrodestra, fatico a comprendere che cosa stia succedendo da quelle parti. È venuto il momento, credo, di mettere da parte gli anatemi e di lavorare ad un percorso costituente, da parte di tutti i soggetti che ci vogliono stare, da quelli formati a quelli in via di formazione, sui contenuti appunto. Poi si troveranno i modi e ci sarà il tempo perché ipotesi di confronto e perfino di un sano antagonismo possa essere praticato ma, finalmente, sulla base di orientamenti comprensibili e non di pregiudizi.
Se non si capisce quali debbano essere i termini della discussione, sulle questioni da te agitate, ma anche e soprattutto sui grandi temi di carattere planetario ai quali la politichetta italiana risulta indecentemente estranea, è perfettamente inutile cercare scorciatoie in possibili (o impossibili) alleanze tra soggetti non ancora definiti e della cui consistenza “ideologica” e culturale si sa ben poco dal momento che nessuno sembra tenere in considerazione l’aspetto programmatico che dovrebbe essere prioritario rispetto all’assetto organizzativo. E’ questo l’ultimo e più inquietante esito di quella malattia del sistema che da oltre mezzo secolo chiamiamo partitocrazia. Non dico qui cosa bisogna fare subito
per uscire dall’impasse, ma auspico semplicemente che le forze politiche, comunque declinate, presenti in Parlamento o fuori da esso, si rendano partecipi di una costruzione valoriale al cui centro i diritti della persona, la sovranità dei popoli, il riconoscimento delle culture e delle identità, la considerazione della diversità delle democrazie, la “guerra” alle emer-
genze planetarie (clima, povertà, malattie endemiche) possano trovare lo spazio adeguato nel tramonto dell’eurocentrismo e dell’euroatlantismo come sistemi geopolitici egemoni, aprendosi alla multipolarità che tanto il primo quanto il secondo non possono che favorire come parti direttamente coinvolte e possibilmente fedeli ai principi etico-culturali che li hanno ispirati al punto di contaminare altre aree del Pianeta della loro visione del mondo, senza per questo imporla in modo improprio. Noi vecchi europei abbiamo un grande compito mentre assistiamo al nostro declino che pure speriamo di arrestare: veder crescere ed accompagnarla la nascita di una nuova civiltà senza più un centro vitale e propulsivo, come sempre è stato nella storia. Il Destino ci ha messo in faccia diritti traditi e doveri espropriati: sono i popoli a farne le spese, non le oligarchie che li governano o li tiranneggiano. Le nostre democrazie europee non so quanto sono in grado di fare per incoraggiare la nascita del nuovo ed integrare il Vecchio Continente nelle straordinarie contaminazioni che giorno dopo giorno stanno facendo esplodere in mille colori le contraddizioni covate lungo tutto il Novecento. Comunque
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Il bipartitismo che non c’è
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Lorenzo Cesa sugli esiti del convegno di liberal
«Finalmente si è riaperto il dialogo politico» colloquio con Lorenzo Cesa di Errico Novi
ROMA. Si può far caso a una coincidenza. Nel resteremo ai margini della comunità internazio-
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Costruiamoli pure i partiti dell’avvenire, ma senza perdere di vista l’essenziale. Soltanto così potranno prendere forma nuove alleanze
so che non possiamo sottrarci al compito che abbiamo davanti. E’ come scrivere una partitura impossibile, come realizzare una rivoluzione pittorica con materiali sconosciuti o non sperimentati, come parlare una lingua senza ancora aver avuto la possibilità di articolare una grammatica. Il mondo nuovo non sta nascendo nell’ambito di una perfezione divina, ma in modo caotico. In esso trovare la strada è sempre più difficile.
C h e c o s a s i g n i f i c a tutto questo per i nuovi/vecchi partiti che si affannano a destrutturarsi e poi a ristrutturarsi ignorando il contesto nel quale dovrebbero muoversi? Non so dare, al momento, una risposta. È per questo che ritorno, come Zarathustra o Dioniso o Cristo a calcare terreni impervi, a soffermarmi davanti ad immagini dolorose, a cercare sorrisi rari nel mondo che ci appartiene comunque, affinché la politica - l’arte più straordinaria ed umanamente elementare torni ad essere ciò che è sempre stata dalla notte dei tempi:
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l’aspirazione alla costruzione di un ordine morale, civile e spirituale. Tutti possiamo concorrere alla realizzazione di questo obiettivo. A patto di abbandonare il deserto del politicantismo per cercare motivazioni più alte. I sopravvissuti del Novecento, tutti noi che abbiamo attraversato la strada e che non abbiamo ancora trovato la “nuova”, come tu speravi in un tuo libro struggente di qualche anno fa, non possiamo fare altro. Costruiamoli pure i partiti dell’avvenire, ma senza perdere di vista l’essenziale. Soltanto così potranno prendere forma nuove alleanze perché l’ordinato svolgimento della vita associata si sviluppi secondo canoni tradizionali e pur sempre nuovi. In politica, del resto, si sa, come in natura nulla si crea e nulla si distrugge. Tutto si modifica, secondo piani che spesso ci sfuggono. Ma noi che crediamo, caro Nando, sappiamo che la politica è soltanto lo strumento di un piano che ci trascende. Non pretendo che tutti condividano, ma noi sì; noi che il deserto lo abbiamo amato e perfino percorso.
convegno organizzato da liberal a Todi l’Udc si è ritrovato al centro del dibattito. E sia durante il seminario svolto nello scorso fine settimana che nella giornata di ieri – grazie all’intervento del presidente della Repubblica – le riforme sono ridiventate l’argomento principale. Quando si deevia dall’ossessiva polemica quotidiana e si cerca di alzare lo sguardo non si può fare a meno di coinvolgere il Centro. Il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa non esita a farlo notare. Adesso è il momento di battersi per non perdere l’inerzia favorevole assicurata da Napolitano. L’Udc è sempre stato il partito del dialogo e ha cercato di tenere distinto il piano istituzionale da quello politico puro. Possiamo dire di essere in piena sintonia con il presidente della Repubblica: l’Italia ha bisogno di riforme, le riforme hanno bisogno di dialogo e di rispetto reciproco tra le forze politiche. Da parte nostra non c’è nessun problema a seguire questa linea anche ora. Credo che abbiamo dato segnali di grande disponibilità sia sui temi legati alla giustizia che sulla sicurezza. Lo abbiamo fatto perché riteniamo che le cose migliori siano quelle a cui contribuiscono tutti. Se ad esempio bisogna affrontare la riforma della giustizia bisogna tenere da parte le polemiche su Silvio Berlusconi. Sarebbe sbagliato farsi condizionare, i casi particolari devono restare tali e non possono diventare pretesto per impedire il confronto e le riforme. Ma davvero qualcosa è cambiato, per l’Udc, tra il convegno di Todi e l’intervento del Capo dello Stato di ieri? Quella di Todi è stata un’ottima occasione per approfondire il confronto tra le varie forze politiche sulle questioni più importanti. E il presidente della Repubblica sta svolgendo nel modo migliore la sua altissima funzione istituzionale. A me interessa poco avere meriti o riconoscimenti, mi interessa solo il risultato: fare delle riforme nell’interesse del Paese. La nostra è una forza politica che si è sempre caratterizzata per due obiettivi: moderazione e dialogo. Verificare che anche la più alta carica dello Stato si muove in questa ottica è per me motivo di grande soddisfazione. Di una cosa si può esser certi: nei prossimi anni di legislatura l’Udc si troverà sempre dalla stessa parte: quella della ragionevolezza e di un confronto costruttivo. E davvero può iniziare un nuovo tempo della Repubblica? Non mi impiccherei alle formule, come ho già detto quello che conta sono i risultati. Io sono convinto che l’Italia senza riforme non abbia futuro: o riusciamo a fare quello che serve per diventare un Paese moderno ed efficiente oppure
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nale. Direi che è una questione di sopravvivenza. Pdl e Pd si trovano per ragioni diverse in una situazione confusa. Nel primo caso vanno stabiliti i rapporti di forza interni, nel secondo è ancora da definire l’identità. La Costituente di centro può avvantaggiarsi di questo per trovare maggiori spazi e adesioni? Me lo auguro. È evidente che le difficoltà dei due partiti finti che sono stati messi in campo sono sempre più visibili. Questo crea senz’altro attenzione al nostro progetto. Forzare l’Italia su un bipartitismo che non fa parte della nostra tradizione politica è destinato a creare tensioni e ingovernabilità. Per questo resto fiducioso sulla prospettiva della Costituente di centro e sul ritorno a un bipolarismo di livello europeo dove a confrontarsi siano due coalizioni omogenee e in grado di governare e non due cartelli elettorali che hanno come unico obiettivo quello di battere la coalizione avversaria. Il Pd si è impegnato a battersi contro una legge per le Europee “liberticida”. Se la maggioranza dovesse andare avanti Udc e Pd potrebbero appellarsi al Quirinale? Certamente seguiremmo questa strada, ma siamo anche pronti a promuovere un referendum per reintrodurre le preferenze. In Italia c’è una pericolosa diminuzione del livello di democrazia e di partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, decidono sempre di più le oligarchie di partito e sempre meno gli elettori. È un trend pericoloso e anomalo che va contrastato. Non si può essere a favore delle preferenze quando si è lontani dalle elezioni e non esserlo quando si affronta la riforma elettorale. Noi parleremo chiaro agli italiani su questo tema. Io non voglio più assumere la responsabilità di decidere chi far venire in Parlamento, voglio invece offrire agli elettori una rosa di nomi tra i quali possano decidere. Con il caso di Eluana Englaro la “biopolitica” fa la sua ricomparsa. Si continuerà a parlare di questi temi o torneranno nell’oblio? Affrontare le questioni eticamente sensibili è sempre più irrinunciabile. La politica dello struzzo non vale. Le questioni vanno affrontate e risolte a viso aperto. Noi abbiamo posizioni estremamente chiare sulla bioetica, sulla difesa della famiglia e sulla vita e non abbiamo alcuna intenzione di barattare i nostri valori. Ovviamente accettiamo laicamente il confronto in Parlamento e le scelte della maggioranza ma proprio per questo siamo pronti a batterci senza esitazione.
Fino a pochi giorni fa il dibattito era ingessato. Dopo il seminario di Todi e grazie a Napolitano, tra noi, il Pdl e il Pd si è rotto il ghiaccio
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mondo A sinistra soldati libanesi presidiano le strade subito dopo l’elezione del presidente Suleiman. Dalla proclamazione sono aumentati in tutto il Paese attentati e atti di violenza riconducibili alle milizie islamiche
lle volte i problemi giungono da dove nessuno se li aspetta. Perché, mentre a Beirut si assiste a una relativa normalizzazione della vita politica, sale la tensione all’interno dei campi profughi palestinesi. Fatto Suleiman presidente e formato il secondo Governo Sinora, gli sforzi del Libano adesso sono concentrati sull’imboccare la strada, per quanto molto difficile, della pacificazione tra tutte le sue componenti partitiche e religiose e della ripresa economica. Il tutto in prospettiva delle elezioni parlamentari del prossimo anno. A rompere gli schemi, però, arriva la notizia dell’uccisione del responsabile militare del gruppo palestinese Jund al-Sham presso il campo di Ein el-Hilweh, il comandante Shehadeh Jawhar. Inizialmente le responsabilità dell’accaduto erano state attribuite ad al-Fatah, il movimento che fa capo direttamente al Presidente Abu Mazen. Una supposizione che aveva suscitato le perplessità di tutti coloro che frequentano il Libano e che conoscono la sua realtà palestinese. Ein elHilweh, infatti, è uno dei luoghi più pericolosi del mondo. Jund al-Sham – da molti il gruppo è classificato come vicino ad al-Qaeda – vi fa letteralmente “il bello e il cattivo tempo”, controllando meticolosamente chi entra e chi esce. Di conseguenza era difficile, anzi impossibile, che qualcuno legato all’Anp po-
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L’uccisione di Jawhar riporta l’attenzione sui gruppi qaedisti nel Paese
La tregua del Libano sconvolta da Fatah di Antonio Picasso tesse arrivare al vertice del gruppo ed eliminarlo fisicamente. Va detto poi che un Abu Mazen tanto impegnato nel processo di pace con Israele non potrebbe nemmeno compromettere al-Fatah in un’operazione simile, macchiandosi le mani di sangue.
Più probabile, quindi, che la paternità della morte di Jawhar venga attribuita a un gruppo ben più pericoloso e ben noto in Libano in questi ultimi mesi: Fatah al-Islam. Nome simile, ma capacità operativa e orientamento politico del tutto differenti rispetto all’al-Fatah che comunemente si pensa. Il gruppo in questione, infatti, aveva ricevuto gli onori della cronaca durante l’estate dello scorso anno, quando riuscì a penetrare nel campo di Narh el-Bared, destabilizzandone gli equilibri interni e tenendo sotto scacco per mesi l’esercito regolare libanese. La sua virulenza fu repressa grazie al carisma dell’allora Capo di Stato Maggiore delle Libanese Armed Forces (Laf), il
Generale Michel Suleiman, che proprio sulla base di quella vittoria si aggiudicò la pole position per l’elezione alla Presidenza della Repubblica. Da quei fatti Fatah al-Islam, anch’esso ritenuto simpatizzante del Jihad – arricchito da componenti extra palestinesi, irachene e siriane – è sotto os-
stendo a uno scontro tra le milizie già presenti nel campo, tra cui Jund al-Sham, che cercano di difendere il loro territorio, e gli uomini di Fatah alIslam, che a loro volta cercano di conquistarlo. Da qui le perplessità che Jawhar sia stato ucciso per commissione dell’Anp, ma che
Fatah al-Islam conta fra i suoi adepti iracheni e siriani legati al jihad, la guerra santa. Il loro operato scuote la relativa calma del Paese dei cedri e crea l’allarme sui profughi palestinesi servazione. Il suo leader, Sharek al-Absi, che si pensava essere stato ucciso durante gli scontri, è fuggito e ora è latitante.
Il gruppo, a sua volta, sta cercando di ripetere l’impresa di Nahr el-Bared in altre realtà del difficile contesto palestinese in Libano. Ein el-Hilweh, il più grande dei 12 campi e dove vi abitano 40mila persone, ne è appunto l’esempio. Da fine marzo, infatti, si sta assi-
invece sia caduto vittima dell’ennesimo regolamento armato fra bande rivali che si contendono il controllo di Ein el-Hilweh. Ma soprattutto, le preoccupazioni di tutti coloro che guardano ai palestinesi rifugiati in Libano con apprensione perché consapevoli dei rischi che questi possono generare.
Una realtà composta da 400mila persone, soggette da sessant’anni esatti, a uno sta-
tus giuridico di precarietà. Il fatto che Beirut riconosca ai palestinesi unicamente la condizione di rifugiati non permette a questi ultimi di stabilizzare la propria vita nel Paese che li ospita. Ne consegue una situazione di indigenza e povertà che rasenta la crisi umanitaria. Nei campi mancano luce, acqua e un sistema fognario degno di questo nome. La mancanza di istruzione per i giovani e di lavoro, inoltre, rende la situazione socialmente esplosiva. E infatti il rappresentante di Hamas in Libano, Osama Saad, si è detto preoccupato per la forza e la libertà con la quale si muovono i gruppi legati ad al-Qaeda, proprio all’interno del di Ein el-Hilweh. Il rischio è che realtà “non autoctone” e che sposano una strategia più integralista e globale, con derive ideologiche che si collegano con il Jihad, per esempio Fatah al-Islam, mettano in discussione la rete di controllo e di sicurezza che i gruppi armati locali hanno invece intessuto in questi anni, nei singoli campi e tra i 12 totali. L’esponente di Hamas chiede, quindi, alle altre fazioni di unificare gli sforzi per limitare l’azione di questi gruppi. La forza politica di Hamas e degli altri poggia sul fatto che la popolazione palestinese non aspira al Jihad, o alla distruzione dell’Occidente, bensì alla nascita di uno Stato palestinese e a tornare nella propria terra. Obiettivo lontano da quello di al-Qaeda e simili.
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Una risposta alle critiche del Jerusalem Post sullo scambio di ostaggi con Hezbollah
Si possono contestare le scelte di Israele? di Daniel Pipes
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Alluvioni in Ucraina: 22 morti e 20mila evacuati E’ di 22 morti, tra cui sei bambini, e 20mila evacuati il bilancio delle violente piogge che hanno colpito nelle ultime ore le regioni occidentali dell’Ucraina. A riferirlo è il ministro delle situazioni di emergenza di Kiev in un comunicato. Nella furia delle tempeste e delle alluvioni, che hanno colpito anche la Romania nordorientale, quindici persone hanno perso la vita nell’Ivano-Frankivsk, regione sudoccidentale, mentre altre sette sono rimaste uccise nella regione di Chernivtsy. Più di 40mila case e 34 mila ettari di terreno sono stati inondati, anche in modo parziale, mentre novecento ponti e centinaia di chilometri di manto stradale sono stati danneggiati.Nel frattempo, il presidente Victor Yushchenko ed il Primo ministro Yulia Tymoshenko hanno visitato le aree del disastro. Da Halych, nella regione di Ivano-Frankivsk, la premier ha commentato: “Ora dobbiamo restare uniti, risolveremo insieme tutti questi problemi”.
Attentati in Iraq, almeno 64 vittime
segue dalla prima n linea di massima, è questo il criterio che sta dietro le posizioni assunte dall’American Israel Public Affairs Committee e da altre istituzioni ebraiche di spicco. Rispetto quella posizione senza però accettarne la sua disciplina. Ribattere a ciò che fanno i governi stranieri è un aspetto fondamentale del mio operato di analista di politica estera americano, che ha lavorato per il dipartimento di Stato e di Giustizia, che è stato membro del consiglio di amministrazione dell’U.S. Institute of Peace, e che come columnist da circa una decina di anni esprime le proprie opinioni. Una rapida rassegna bibliografica mi vede impegnato a pronunciarmi su innumerevoli governi, inclusi quelli britannico, canadese, danese, francese, tedesco, iraniano, nepalese, saudita, sud-coreano, siriano e turco. Ovviamente, io non ho figli arruolati nelle forze armate di tutti questi Paesi, ma valuto gli sviluppi di questi ultimi per contribuire ad una guida accurata del pensiero dei miei lettori. Va osservato che nessun cittadino di questi altri paesi sopramenzionati mi ha mai chiesto di non esprimere alcun commento sui propri affari interni. Ma lo stesso Schweitzer offre consigli ad altri; nel luglio 2005, ad esempio, egli dette istruzioni ai leader musulmani d’Europa di essere “più decisi nel loro rifiuto dell’elemento islamico radicale”. Tutti gli analisti indipendenti lo fanno.
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questo concetto. Il fatto di vivere in un Paese non rende necessariamente una persona più dotta a riguardo. Durante il vertice di Camp David II del 2000, quando Ehud Barak era a capo del governo israeliano ed io non ero d’accordo con le sue linee politiche, più di una volta, le mie critiche suscitarono risposte del genere “come osi indignarti, Barak è il militare più decorato al valore nella storia dello Stato ebraico: e tu chi sei?” Eppure, gli analisti ora generalmente concordano sul fatto che Camp David II abbia dato dei risultati disastrosi per Israele, accelerando la violenza palestinese che ebbe inizio due mesi dopo. È sbagliato ricusare le informazioni, le idee o le analisi sulla base di credenziali. Le opinioni corrette e importanti possono avere qualsiasi derivazione e provenire anche da centinaia e centinaia di miglia di distanza.
In questo spirito, ecco due reazioni inerenti il punto di vista di Schweitzer in merito all’episodio di Samir al-Kuntar. Schweitzer arguisce che “non riuscire a fare tutto il possibile per salvare ogni cittadino o soldato che cade nelle mani del nemico infrangerebbe uno dei precetti fondamentali della società israeliana”. Sono d’accordo sul fatto che salvare i soldati o i loro resti sia una priorità utile a livello operativo e nobile dal punto di vista etico, ma “tutto il possibile” ha i suoi limiti. Ad esempio, un governo non dovrebbe consegnare cittadini vivi ai terroristi in cambio delle salme di soldati. Allo stesso modo, le azioni del governo Olmert della scorsa settimana sono andate ben oltre.
Anche se non pago le tasse in Israele sono legittimato a criticare le scelte del suo governo
Pertanto, Schweitzer ed io possiamo commentare gli sviluppi intorno al mondo, ma se si tratta di Israele, la mia mente dovrebbe liberarsi dei pensieri, la mia lingua dovrebbe diventare silente e la tastiera del mio pc dovrebbe bloccarsi? Niente affatto. Da un punto di vista più profondo, disapprovo l’intero concetto di informazione privilegiata – la posizione, l’età, l’appartenenza etnica, i diplomi universitari, l’esperienza o qualche altra qualità che convalida le opinioni di una persona. Un recente volume dal titolo I Wish I Hadn’t Said That: The Experts Speak – and Get in Wrong! commemora in modo umoristico ed espone
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Un altro particolare: Schweitzer sostiene che “relativamente parlando, il recente scambio con Hezbollah è stato a buon mercato. È discutibile il fatto che il rilascio di Kuntar abbia garantito ogni tipo di vittoria morale per Hezbollah”. Se quell’accordo è stato a buon mercato, tremo al pensiero di come potrebbe essere un accordo a caro prezzo. E, visto che il governo libanese ha interrotto i lavori per celebrare l’arrivo di Kuntar con frivoli festeggiamenti nazionali, negare a Hezbollah una vittoria equivale a una ostinata cecità.
Tre donne kamikaze si sono fatte esplodere ieri tra la folla di una processione sciita a Bagdad e hanno ucciso almeno 28 persone. Altri 92 feriti, tra cui donne e bambini. I fedeli si trovavano nel quartiere di Karrada, nel centro della capitale irachena ed erano in marcia verso Kadhimiyah, a nord, per partecipare alla commemorazione religiosa dedicata al settimo imam sciita Mussa Kadhim, scomparso dodici secoli fa. La celebrazione attira ogni anno oltre un milione di pellegrini. Nel quartiere dove sorge la moschea erano state rafforzate le misure di sicurezza proprio nel timore di attentati. Domenica sette pellegrini sciiti erano stati uccisi da uomini armati a Madin, a sud di Bagdad. Intanto, un nuovo attentato si è verificato a Kirkuk (nord dell’Iraq) dove un’esplosione verificatasi tra la folla che manifestava davanti al comune ha causato diverse vittime. Il bilancio provvisorio è di 36 morti e 130 feriti. L’obiettivo dell’attacco era una manifestazione alla quale partecipavano centinaia di curdi per protestare contro la legge elettorale di recente approvata dal Parlamento.
GB, nascono le “Assicurazioni islamiche” Da ieri i sudditi musulmani di Sua Maestà (circa due milioni di persone) possono fare la polizza auto nel pieno, rigoroso rispetto della legge islamica: basta che si rivolgano a Salaam Halal, una nuova compagnia assicurativa che opera nel pieno rispetto della legge coranica, la sharia. La nuova compagnia non farà investimenti che generano interessi (che per l’islam gli interessi sono una forma di usura) e non considererà neanche “business disdicevoli” come la produzione di bevande alcoliche. Inoltre, i rischi coperti dalla polizza auto non passano dal cliente alla compagnia, ma vengono di fatto sostenuti dal pool dei clienti nel loro insieme, tramite un fondo collettivo che serve per il pagamento dei sinistri. Se a fine anno dovessero riscontrarsi nel fondo risorse in eccesso, i clienti pagheranno di meno per la loro prossima polizza. Questa peculiare struttura finanziario-amministrativo ha un nome preciso in arabo, il takaful.
Manila, migliaia in piazza contro l’Arroyo Decine di migliaia di filippini sono scesi in piazza ieri per chiedere le dimissioni della presidente Gloria Macapagal Arroyo, in coincidenza con il suo discorso al Congresso. Sfidando la pioggia battente e l’ingente dispositivo di sicurezza delle forze dell’ordine, i manifestanti hanno marciato esponendo cartelli e striscioni con le scritte ”Gloria dimettiti” e ”Abbasso Gloria” verso il complesso Batasan Pambansa, dove la Arroyo deve intervenire di fronte alle camere.
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Eccesso di aeroporti, distanze con il mondo del turismo, scarsa produttività e rigidità contrattuale. Come farà Banca Intesa (e chi guiderà la compagnia) a risolvere carenze che sono del sistema Italia?
ALITALIA, I NODI CHE PASSERA NON PUÒ SCIOGLIERE di Andrea Giuricin Il trasporto aereo in Italia è in pieno fermento. E la crisi di Alitalia, che si trascina ormai da più di un decennio, ha sicuramente avuto un impatto rilevante su un settore economico essenziale. Dell’apertura al mercato voluta dalla Ue hanno beneficiato tutti gli Stati europei, ma in particolar modo l’Italia: circa 55 milioni di nuovi passeggeri hanno viaggiato da e per il nostro Paese negli ultimi 10 anni.
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L’entrata di nuovi competitors nel mercato italiano ha evidenziato le debolezze della compagnia di bandiera. Que-
ce una differenziazione che si basa sull’utilizzo degli aeroporti “secondari”. Ryanair utilizza quasi sempre scali “secondari”, mentre Easyjet pone come proprie base i principali scali europei. E la cosa spesso è collegata ai sussidi aeroportuali. La tematica aeroportuale è in stretto collegamento con la concorrenza delle compagnie aeree. Gli aeroporti secondari utilizzano tariffe agevolate e sussidi per i vettori che vogliono investire nello sviluppo dello scalo. Di per sé non sarebbe un problema se questi aeroporti fossero detenuti da privati.
La proliferazione di scali sarebbe utile se non fosse fatta con soldi pubblici st’ultima, in verità, non ha perso passeggeri rispetto all’anno della liberalizzazione, ma quote di mercato; se nel 1997 il vettore trasportava il 50 per cento dei passeggeri, soltanto 10 anni dopo la quota di mercato era scesa al 23 per cento. Si dice che di questo cambiamento abbiano beneficiato soprattutto i vettori a basso costo. Spesso li si considera, con un’eccessiva semplificazione, un’unica categoria. Esiste inve-
Invece le società di gestione aeroportuale sono quasi sempre in mano pubblica. La Commissione europea ha disciplinato questi aiuti di Stato tramite la comunicazione 2005/C 312/01, dove sono espressi gli orientamenti comunitari concernenti il finanziamento degli aeroporti e gli aiuti pubblici di avviamento concessi ai vettori. Negli ultimi anni sono stati erogati sussidi per centinaia di mi-
lioni di euro al fine di promuovere lo sviluppo territoriale tramite l’aumento del traffico aeroportuale. Soldi che non soltanto si sono rilevati inutili, ma anche dannosi per il corretto funzionamento del mercato. Emblematico il caso delle principali rotte tra il continente e la Sardegna, che sono state in regime di onere pubblico di servizio. Quest’ intervento pubblico, lesivo della concorrenza, è stato alquanto fallimentare, poiché gli scali sardi non stati in grado di “catturare” il nuovo traffico generato e offerto dalle compagnie low cost. Una decisione di Bruxelles del 23 Aprile 2007, ha di fatto liberalizzato il mercato da e per la Sardegna. Gli effetti di sono stati immediati e nei primi cinque mesi del 2008 vi è stato un incremento del 13,6 per cento del numero di passeggeri negli aeroporti dell’isola, contro una crescita a livello nazionale del 3,9 per cento.
Un altro caso di parziale fallimento dell’intervento pubblico nella gestione sono gli aeroporti pugliesi. La regione Puglia ha stabilito nel 2007 un aiuto pubblico di 63 milioni di euro in tre anni per “l’attivazione di nuove rotte”. L’aiuto non è incompatibile con la normativa europea, ma tuttavia evidenzia la volontà del decisore politico di sostituirsi al mercato. La gestione pubblica aeroportuale è un grave limite; secondo
studi recenti uno scalo è in grado di essere redditizio con più di 500mila passeggeri l’anno. In Italia gli aeroporti che superano questa soglia sono 28. E poche sono le gestioni che producono utili. Sarebbe necessario ripensare il sistema aeroportuale permettendo l’entrata di logiche di mercato, per evitare lo spreco di risorse pubbliche in sussidi alquanto discutibili, che potrebbero distorcere parzialmente il mercato contro le compagnie tradizionali. Così la privatizzazione di Alitalia va vista nel contesto europeo. La sua crisi riflette l’incapacità della compagnia di adattarsi alle nuove condizioni esistenti. Ed evidenzia la mancanza di coraggio a effettuare le necessarie ristrutturazioni aziendali in un settore che richiede sempre più ai vettori una notevole flessibilità. Nell’ultimo decennio tutti i carrier tradizionali hanno incontrato delle difficoltà, che tuttavia hanno superato tramite riorganizzazioni interne, processi di fusioni o rifocalizzazione del proprio business. Sono i casi, rispettivamente, dei tagli al personale di British Airways, il merger tra Air France e KLM o il riposizionamento di Iberia verso rotte intercontinentali. Negli ultimi mesi, poi, il trasporto aereo deve fare fronte a una nuova sfida: l’aumento del prezzo del carburante. Alitalia, che ha la flotta aerea più vecchia tra le principali compa-
gnie europee, è destinata ad aumentare il proprio gap di competitività. Infatti gli aerei di “nuova generazione” consumano circa il 30 per cento di carburante in meno.
In questo contesto molto difficile, la crisi di Alitalia è sempre più grave. Il processo di privatizzazione, iniziato nel dicembre del 2006 dal governo Prodi è stato colpevolmente molto lento. Nel frattempo la compagnia ha bruciato circa 800 milioni di euro e si ritrova sull’orlo del fallimento. La terza fase di privatizzazione, che vede come advisor IntesaSanpaolo, dovrebbe essere vicina alla conclusione con la creazione di una newco, alla quale verrebbero conferiti gli asset e di una Bad company, alla quale andrebbero i debiti della vecchia Alitalia. La soluzione potrebbe finalmente dire la parola fine al processo di privatizzazione, ma vedrebbe un’ingente perdita di denaro per le casse pubbliche; la liquidazione della BadCo e i relativi esuberi sarebbero a carico dello Stato. La liberalizzazione, i sussidi aeroportuali e la crisi Alitalia possono insegnarci una sola lezione: la gestione pubblica di aziende in un contesto concorrenziale non possono che portare allo spreco di risorse pubbliche. È necessario dunque lasciare spazio al mercato e ridimensionare il ruolo dello Stato.
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e Alitalia non vuole morire deve continuare a essere ambiziosa: non rassegnarsi a una vita da vettore regionale». Lanfranco Senn, professore ordinario di economia regionale alla Bocconi, è categorico: il nuovo piano industriale per la compagnia deve riportare la Magliana a essere un operatore che collega l’Italia al mondo intero. Ma anche il sistema dei trasporti in generale va ripensato: «La fluidità della filiera è fortemente deficitaria, e non riusciamo a soddisfare la forte domanda di connessioni che c’è nel paese. È questo il vero problema da risolvere. Magari rilanciando Malpensa». Professore, ma è proprio necessario salvare Alitalia? Salvarla sì, ma nel senso vero del termine: cioè rilanciandola. Per tornare a prima del 2001, quando ha smesso di fare politiche di mercato e ha cominciato a pensare solo a razionalizzare. Si continua a discutere su costi ed esuberi, ma il vero problema sono rotte e collegamenti. Pensare di sopprimere quella per Shanghai perché in perdita è stato un errore madornale: bisogna invece trovare il modo di renderla profittevole. Una compagnia con ambizioni come quelle del nostro vettore, deve avere il senso della prospettiva. E così si arriva al piano Passera. Spero che sia pieno di collegamenti da tenere e da ripristinare. E che non ci siano rotte da cancellare. Non dobbiamo farci condizionare dalla concorrenza altrui e dalla differenza di costo. Un atto di coraggio sarebbe quello di dire che ad alcuni collegamenti non possiamo rinunciare!
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Per l’economista Senn al settore manca «una prospettiva»
«Non bastano soltanto i tagli» colloquio con Lanfranco Senn di Alessandro D’Amato Non è difficile farlo visti i conti in rosso del vettore? Ci sono le alleanze e le partnership, quando non è possibile andare da soli. Non certo la resa incondizionata. E mi faccia dire un’altra cosa. Prego. Non voglio passare per un irriducibile lumbard, ma in quest’ottica è necessario anche il rilancio di Malpensa, perché il mercato è lì. La questione Malpensa non va posta in alternativa a Fiumicino: Lufthansa quando ha pensato di sbarcare a Milano lo avrebbe utilizzato come hub. Il suo quarto hub. Invece, con Linate la concorrenza c’è, e questo dovrebbe essere oggetto di una decisione da parte della politica. Ma la domanda di trasporto aereo continua a crescere, bisogna espandere la torta e non restringerla. E della fusione con AirOne cosa ne pensa? Non crede ci siano problemi di concorrenza per il monopolio sulla Roma-Milano? Non concordo. Immaginarsi uno spezzatino o la concorrenza selvaggia su
una rotta nazionale non credo sia il non plus ultra: la concorrenza fine a se stessa farebbe morire le compagnie e basta. D’altronde, anche Germania, Spagna e Francia hanno delle compagnie nazionali che servono soprattutto i loro cittadini. Perché noi non dovremmo averne? L’idea che si debba spezzettare senza tener conto delle economie di scala è assurda. Più in generale, quali sono i difetti del nostro trasporto aereo? Il problema più difficile da risolvere è quello dei collegamenti. Il trasporto è un servizio che soddisfa la domanda di connessioni: a questa domanda bisogna rispondere. Invece noi ragioniamo sempre in termini di offerta. È concettualmente sbagliato. E la proliferazione degli aeroporti piccoli non è un problema? No, ma a patto che non si sovrappongano i bacini d’utenza. Se io devo andare a New York dal Nord Italia non posso avere aeroporti che si portino via i clienti a vicenda: due infrastrutture a Milano, una a Verona, Venezia,
Bergamo,Treviso e così via, sono troppi. Quelli piccoli sono adatti al point to point e all’aviazione regionale. Lo dica ai governatori. Vengo da una consulenza per l’amministrazione della Basilicata: anche lì, stanno pensando a un aeroporto a Pisticci: questo ha senso se serve a rendere più agevole il flusso dei turisti verso le coste del Metaponto. Ma non per attrarre i baresi e rubare traffico a Capodichino… Come si dà, attraverso il trasporto, una spinta per il turismo? Vede, c’è da fare un distinguo: i clienti business che arrivano da Tokio, Shanghai, Pechino vogliono arrivare in tempo, avere aeroporti efficienti, una ristorazione di livello, la possibilità di scaricare velocemente le proprie valigie e così via. Oggi questo, mediamente, non lo abbiamo. Anche se c’è da dire che nostri scali sono meglio di Heathrow, anche se non sanno mettersi in mostra. Ecco, dobbiamo dotarci di aeroporti funzionanti il prima possibile come ci sono all’estero. E per il turismo vero e proprio? Manchiamo anche di comfort e di capacità di accoglienza negli aeroporti. Ma quel che è più tragico è il sistema di collegamenti per il turista che è uscito dall’aeroporto: taxi, mezzi pubblici, trasporto su rotaia. Nulla di tutto ciò è fatto a misura di straniero (e a dire il vero, nemmeno di italiano). Insomma, siamo fortemente deficitari nella fluidità della filiera dei trasporti. Quando arriva, lo straniero vuole essere coccolato, e invece si ritrova in un marasma disorganizzato. Questo, dobbiamo considerarlo una priorità.
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I ritardi nell’offerta commerciale e nel marketing, l’assenza di un management adeguato
Una compagnia a servizio di tutti ma non del turismo di Pierre Chiartano iù tour operator e meno compagnia aerea. Più servizi al cliente e non soltanto attenzione sul versante dei collegamenti. Anche perché Alitalia ha sempre mostrato difficoltà a confrontarsi e a rispondere alle esigenze del settore turismo, che pure dovrebbe essere un suo interlocutore naturale. La Magliana è al limite della sopravvivenza, col rischio di vedersi pignorare un suo aeromobile in uno scalo italiano o estero. Ma basterà un accordo industriale con un’altra società, dopo un’eventuale acquisizione, per risalire la china? Oppure sarebbe più utile ripensare il modo di far volare la gente in tempi di globalizzazione? L’abbiamo chiesto a Nicola Costantino, già vice presidente del consorzio Costa Smeralda, ai tempi d’oro dell’Aga Khan. Proprio quell’esperienza portò alla nascita della compagnia Meridiana (in origine Alisarda). Una case history, una lezione che l’Italia pare non aver ancora imparato. L’analisi è abbastanza semplice e chiara. «La mancanza di una cultura di compagnia di servizi, la rigidità contrattuale e un’organizzazione del lavoro poco flessibile, sono state le tare genetiche di Alitalia», comincia Costantino, oggi amministratore delegato di Turisma e impegnato in ambiziosi progetti in Medio Oriente.
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Insomma, Alitalia, nata monopolista, negli anni non ha selezionato un management adeguato, non focalizzando la scel-
gero «vezzeggiandolo», occupandosi di lui anche dopo la discesa dalla scaletta. «C’è stato un tentativo anche da noi con Alitalia team», precisa Costantino, ma è stato soltanto un fuoco di paglia. Organizzare il viaggio con l’auto a noleggio e l’albergo, tanto per cominciare, è questo l’abc del “bravo agente del turismo”con le ali. Da anni lo fanno le altre compagnie, ma non lo ha mai fatto Alitalia. «Ryanair è un bell’esempio di compagnia e tour operator. Chi fa turismo non vende soltanto voli. Sceglie il villaggio vacanza, magari con un corso di golf e fornisce l’auto adeguata ai tuoi gusti, per portarti dalla scaletta alla camera d’albergo. Alitalia da questo punto di vista è nata stanca, viziata dal monopolismo», stigmatizza l’ex braccio destro dell’Aga Khan. Maspes, Nordio e Pavolini, i manager grandi della Magliana, erano «baroni del trasporto aereo», non di una grande compagnia di servizi. Qualche anno fa era nata la Lauda air, dal sogno di un grande campione di Formula Uno che sembrava voler rompere gli schemi delle grandi compagnie di allora. «Era un cambiamento, era sulla strada giusta, ma poi ha dovuto vendere a Ventaglio. A un tour operator, per l’appunto».
Costantino (Ad di Turisma): «Si paga la mentalità rigida dell’operatore logistico» ta degli uomini sul marketing. «Assomigliava più a Trenitalia che a Ryanair», continua, prendendo per esempio il minimo e il massimo esempio di flessibilità nei servizi ai passeggeri, anche se una li spedisce via terra l’altra li fa volare. «Rigidità negli slots e negli orari e una mentalità da operatore logistico e tecnico, hanno viziato il comportamento della compagnia di bandiera che, di fatto, non ha mai operato per la promozione del turismo nazionale». Le compagnie spagnole e francesi per prime incominciarono a dedicarsi al passeg-
Oggi si parla molto dell’AirOne e del contratto d’acquisto miliardario per gli aeromobili di Airbus: si tratta di 24 macchine, con un costo che va dai 172 milioni di dollari del dell’A330-200 ai più di 199 milioni dell’A350. Più opzioni per altri venti
aeromobili. Un impegno finanziario giustificabile soltanto in previsione di una grande fusione. «È una speculazione sul cadavere di Alitalia, che non so quanto bene farà al mercato. Neanche AirOne ha quel tipo d’impostazione che servirebbe», stigmatizza Costantino. In pratica, se la fusione avvenisse, avremo meno concorrenza e biglietti più cari. Se oggi AirOne e Alitalia sono concorrenti, per esempio, sulla Bari-Roma, in caso di fusione avremmo un numero di voli inferiori a un costo superiore. Un bel risultato. L’Aga Khan controllava il pacchetto azionario della compagnia Alisarda fondata nel 1963 – diventata Meridiana nel 1991 – che era dedicata allo sviluppo immobiliare e turistico della Costa Smeralda. Nel 2006 ha inglobato anche Eurofly. Dovremo aspettarci qualcosa di simile anche per una compagnia nazionale, tenendo conto che, oggi, nel mondo un posto di lavoro su 12 è generato dal settore travel&tourism (fonte Wttc). Le previsioni sul pil interno di settore vedono – alla voce consumption – un 2008 con circa 228 miliardi di dollari, un 2009 con una flessione a 217 miliardi e un 2010 ancora in leggero calo (dati Wttc). Dovremo aspettare il 2012 per tornare ai livelli di quest’anno che già non sono entusiasmanti. Quindi il trasporto aereo dovrà essere sempre più integrato nel sistema produttivo italiano: alla voce servizi. E se a Ginevra, alla riunione del Wto non ci si mette d’accordo sui dazi, a Dubai, al forum del World travel and tourism council di aprile, è stato un successo. Milletrecento fra capi di governo, capitani d’industria e media leader hanno collaborato per raggiungere l’obiettivo di uno sviluppo responsabile, cercando di adeguare qualità e offerta su standard veramente globali.
i convegni ROMA Martedì 29 luglio 2008 Adiconsum Il boom dei prezzi petroliferi, e i conseguenti rincari per benzina e diesel, stanno modificando le abitudini di mobilità degli italiani. Se ne discute a margine della nuova guida del consumatore I veicoli alimentati a Gpl: una soluzione economica e rispettosa dell’Ambiente. Tra gli interventi quelli di Paolo Landi, segretario generale Adiconsum, di Rita Caroselli, direttore Assogasliquidi-Federchimica, e di Alessandro Tramontano, direttore del Consorzio Ecogas. ROMA Mercoledì 30 luglio 2008 Palazzo Altieri Si avvicina la prima scadenza utile per decidere il futuro dei conti dormienti. Il prossimo 16 agosto scadranno, infatti, i 180 giorni utili per movimentare i conti rimasti inattivi per almeno 10 anni. Alessandro Rivera, dirigente del Dipartimento del Tesoro del ministero dell’Economia e il direttore generale dell’Abi, Giuseppe Zadra, terranno un incontro per illustrare le più importanti novità, le scadenze da osservare, gli obblighi e le facoltà per il cliente e per le banche. CIVITAVECCHIA Mercoledì 30 luglio 2008 Centrale di Torrevaldiga Prima accensione per la nuova centrale di Torrevaldaliga Nord. Sarà l’occasione per l’Ad di Enel Fulvio Conti, il premier Silvio Berlusconi e il ministro dello Sviluppo, Claudio Scajola per fare il punto sulla situazione energetica italiana. ROMA Giovedì 31 luglio 2008 Palazzo dell’Enea Viene presentato il rapporto Energia e Ambiente 2007 dell’Enea. Con il presidente Luigi Paganetto, lo commentano il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, il presidente dell’Autorità per l’energia, Alessandro Ortis, l’amministratore di Ansaldo Energia, Giuseppe Zampini, e il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola.
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Le attuale piattaforme sono basate sul lungo raggio. Che non c’è più
Grandi manovre per un contratto unico di Vincenzo Bacarani
MERCATO GLOBALE
II fattore pessimismo decisivo alle urne di Gianfranco Polillo
n attesa di conoscere gli sviluppi decisivi della vicenda Alitalia, si fa acceso il clima sul versante occupazione e lavoro. Il contratto unico del settore potrebbe essere un obiettivo, ma non è facile mettere d’accordo undici sigle sindacali suddivise tra piloti, assistenti di volo e personale di terra, A complicare la questione c’è il futuro, e probabile, matrimonio con AirOne che porta con sé un carico di piloti e di altro personale viaggiante. Vero che il rinnovo del contratto piloti è stato firmato un paio di mesi fa ed è vero che i livelli retributivi dei piloti Alitalia e di AirOne sono ormai alla pari, ma c’è il problema dell’anzianità che potrebbe innescare qualche mina vagante. Un esempio: con 4 anni di anzianità un pilota in Alitalia è un co-pilota, in Air One è invece un comandante. Squilibri e contraddizioni che dovranno essere affrontati al più presto.
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Il costo del lavoro, insomma, è e potrebbe essere una spina nel fianco della nuova compagnia, che dovrebbe vedere la luce entro settembre. Lo stesso discorso vale per gli assistenti di volo che sono sul piede di guerra: «In assenza di
certezze», afferma il presidente del sindacato Avia, Antonio Di Vietri, «qui salta tutto». Il problema del personale, e dunque del costo del lavoro in Alitalia, è di notevole portata. Gli stipendi, secondo i sindacati, sono fortemente calati rispetto ad altre compagnie internazionali: 40 per cento in meno di retribuzione rispetto ai piloti di Air France. Diverso il paragone, invece, se si confrontano produttività e utile. A peggiorare le cose il fatto che i contratti erano tarati sul lungo raggio. Quasi scomparso alla Magliana. «Ormai», spiega il coordinatore nazionale della Fim-Cisl piloti, Alessandro Cenci, «Alitalia fa 20 voli di lungo raggio rispetto ai 56 di Klm e ai 100 di Air France. E pensare che la nostra compagnia di bandiera era al quinto posto del mondo nel settore. Ora siamo al trentesimo posto». E il lungo raggio, nella nuova compagnia, sarà implementato soltanto nei prossimi anni. «Il rischio», nota un pilota che vuole restare anonimo, «è che si sta costruendo una compagnia locale con alcune rotte internazionali, in attesa di un matrimonio con Lufhtansa o Air France per supportare l’intercontinentale».
Crollando il lungo raggio, è diventato più complesso applicare l’attuale contratto. Non solo, con 37 velivoli bloccati a terra per risparmiare sui costi (peraltro tutti ipotecati), l’Alitalia riesce a malapena a coprire il 40 per cento dei voli interni, quando Air France copre il 100 per cento e Lufthansa l’ottanta. «Una situazione drammatica», aggiunge Cenci, «e inoltre la presenza del cargo risulta minimale e questo è un errore». «Veniamo», dice Massimo Notaro, presidente dell’Unione piloti, «da un paio d’anni disastrosi in cui non è stato fatto nulla. Di fatto la compagnia è stata congelata. Alitalia ormai perde più di un miliardo e mezzo di euro all’anno». Sugli esuberi dei piloti previsti si sa poco o nulla. Air France ne aveva individuati 500, ma è stata stoppata dai sindacati. «Spinetta voleva cancellare Alitalia», accusa Notaro. Ora però il problema si può ripresentare. Le voci che circolano parlano di 6-7 mila tagli, piloti compresi che se non sono 500 potrebbero essere 495 o 510. Così preoccupa la futura strategia della nuova compagnia. «Perché non investire sul cargo?», si domanda sempre il presidente dell’Unione piloti, «Il servizio passeggeri nel mondo registra aumenti del 6-8 per cento, quello delle merci del 18 per cento.Tutte le grandi compagnie aeree stanno investendo sul cargo. L’Alitalia ormai il cargo non lo fa quasi più». Anche per gli assistenti di volo il futuro sembra nero. Dice Di Vietri dell’Avia: «Contratto unico di settore? Di fronte a questa prospettiva siamo ostili. Contratto unico di categoria? Una chimera, cercare il sacro Graal. Certo, non sarebbe male, ma non mi sembra che oggi sia il momento di parlare di contratto unico nemmeno di categoria. La situazione è drammatica. Abbiamo bocciato il piano di Air France. Ma siamo sicuri di aver fatto bene? Se avessimo accettato, ma con le dovute modifiche, quel progetto, ora con il prestito ponte di 300 milioni di euro avremmo potuto gestire comodamente gli esuberi».
Adesso potrebbe invece arrivare un forte programma di ridimensionamento con una compagnia di bandiera locale in attesa di una partnership europea che la faccia volare. Ma per gli assistenti di volo ci sono alcuni problemi in più. Non soltanto i sempre più frequenti lunghissimi archi d’impegno (si va da 17 a 25 ore, in casi eccezionali con pause di riposo brevi). C’è anche il problema della cassa integrazione. «Non ci sono i soldi», dice Di Vietri, «I dipendenti della Sea sono in cassa e aspettano ancora l’integrazione al reddito. Eppure i dipendenti dalla busta paga e i viaggiatori, con un euro a biglietto, i soldi li hanno versati. Stiamo preparando con gli altri sindacati un documento comune per denunciare questa assurda situazione. Altro che numero di esuberi, qui mancano i soldi».
un’America attonita quella che guarda alla campagna elettorale per le presidenziali. Se Barack Obama, dalle sponde dell’Europa, rilancia il messaggio kennediano, John McCain cerca il Paese più profondo. Il suo compito è difficile: dimostrare che l’eredità di Bush non è da gettare alle ortiche. E che, se innovata, può reggere alla sfida dei nuovi eventi. Perché è questo il punto centrale per decidere il futuro presidente.
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Lo sconcerto nasce dalla caduta di un mito. A partire dagli anni Novanta gli USA erano stati i principali artefici della globalizzazione, e da questo grande fenomeno erano stati premiati. Uno sviluppo più o meno ininterrotto. La più lunga fase di espansione che la storia ricordi. Incrinata dagli avvenimenti dell’11 settembre, ma subito rimessa in moto, nonostante le crisi finanziarie che si erano succedute. La bolla speculativa sulla new economy, quindi quella sugli immobili, erano stati fenomeni passeggeri che non avevano fatto crollare la speranza che le contraddizioni storiche del più forte paese dell’Occidente potessero essere dominate. Ci aveva pensato Alan Greenspan con la sua politica monetaria attenta a non generare scosse nei complessi equilibri finanziari. Un successo senza precedenti, che lo aveva trasformato in un grande maestro. Poi il brusco risveglio. Ed oggi l’America è di nuovo costretta a interrogarsi. Lo fa guardando i cartelli con la scritta “vendita” nelle grandi periferie urbane. Sono le case sottratte a coloro che non possono pagare i mutui. Lo fa scrutando i suoi principali indicatori economici e scoprendo, con sconcerto, che soltanto la debolezza del dollaro attutisce la crisi occupazionale.
Nel frattempo prezzi degli alimentari e del petrolio alle stelle. Lunghe file alle fermate di autobus, che sono troppo pochi per chi era abituato a prendere l’auto per recarsi dalle periferie residenziali al posto di lavoro. Sono in molti che vorrebbero cambiare casa per avvicinarsi. Ma è difficile riposizionare all’indietro le lancette dell’orologio. Lo sviluppo urbano ha seguito un indirizzo diverso. Difficile porvi rimedio. I più poveri sono le maggiori vittime, ma se la crisi continuerà anche il ceto medio subirà dei contraccolpi. Finora ha resistito. Paga il mutuo contratto per il valore di immobile che, nel frattempo, si è deprezzato. Converrebbe lasciare la casa alla banca finanziatrice, e realizzare, a quei prezzi di mercato, qualche buon affare. Se sarà questo lo spirito che prevarrà, la crisi assumerà un profilo ben più preoccupante.
È questo è il sentiment che Obama cerca di intercettare. Lo aiuta il suo tono profetico e le parole d’ordine lanciate. La globalizzazione non è più un buon affare per l’americano medio. Meglio porvi dei freni, ritardando, per esempio, il processo di apertura degli scambi. Una politica di bilancio più in linea con il keynesismo che non con i dettati della scuola di Chicago. Vincerà? Difficile dire. Nel frattempo i riferimenti alla crisi del ’29 diventano sempre più inquietanti. Sarà anche un caso ma di questo si discute in tutto l’Occidente. Non è soltanto Giulio Tremonti a evocare quello spettro, pur con i necessari distinguo. Nel mondo anglosassone ci ha pensato l’Indipendent, subito contrastato dagli storici di quel periodo. In Italia Claudio Scajola ha fatto altrettanto. A dimostrazione di quanto siano incerte le prospettive economiche. E quanto sia necessario non risolvere il tutto con un sorriso di circostanza.
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economia
A fine 2007 asset per 2.900 miliardi di dollari. E destinati a salire
Col greggio schizzano i bottini dei fondi sovrani di Maurizio Sgroi l declino economico dell’Occidente fa rima con l’emergere dei Sovrani d’Oriente. Ossia i Paesi esportatori di merci, petrolio in testa, che a fine 2007 avevano accumulato asset valutati in oltre 9.200 miliardi dollari in Occidente. E che sono destinati a crescere esponenzialmente da qui al prossimo futuro. La gran parte di queste risorse, circa il 60 per cento, sono in mano alle banche centrali. Il resto è suddiviso fra le rispettive compagnia petrolifere, quasi sempre pubbliche, privati investitori e i cosiddetti fondi sovrani, strumenti di investimento governativo che hanno asset, sempre a fine 2007, per circa 2.900 miliardi di dollari su scala globale (670 miliardi solo quelli asiatici).
I
Per dare un’idea delle grandezze in gioco, basti ricordare che il Fondo monetario internazionale ha stimato che il crollo dei subprime e della finanza strutturata – che sta facendo tremare il mondo – provocherà perdite per “appena”945 miliardi di dollari in tutto il mondo. Poco più di un decimo delle riserve accumulate dai Sovrani d’Oriente.Vale a dire i Paesi petroliferi del Golfo, i quelli asiatici che esportano merci, Cina e India in testa, la Russia, alcuni nazioni Nord africane, la Nigeria, l’Indonesia e il Venezuela. La questione, stando così le cose, è diventata un fatto politico. Non stupisce che parecchi analisti si stiano scervellando: una massa enorme di ricchezza, infatti, è in mano a veicoli finanziari di Paesi che – Norvegia a parte – non brillano certo per rispetto delle regole democratiche e del libero mercato. Ma pare abbiano uno spiccato senso degli affari. Gli ultimi a monitorare il fenomeno sono stati gli studiosi del McKinsey Institute, che hanno dedicato un paper allo spostamento del peso economico (e quindi politico) da Occidente a Oriente in quello che chiamano il “turbulent market”. La crisi subprime, fra l’altro, ha spostato moltissime risorse verso Est, complici i rincari petroliferi. Ma soprattutto ha costretto l’a-
ristocrazia finanziaria – le grandi banche Usa ed europee – a chiedere soccorso ai fondi sovrani arabi e asiatici, che non si sono fatti pregare e sono intervenuti pompando liquidità. Oggi Wall Street e Londra sono un po’più arabe e asiatiche. Anche se ancora questi investitori non chiedono posti in Cda e si accontentano dei dividendi, non è detto che non abbiano comunque fatto un affare. Gli studiosi di McKinsey stimano che il costo-opportunità sofferto dai Paesi esportatori a causa
“parcheggio” nelle banche centrali. Anche Giappone e India, che non hanno fondi sovrani, ci stanno pensando su. D’altronde le previsioni di incasso per questi governi sono rosee. Prendete il caso dei Paesi asiatici. Fra il 2006 e il 2007 il totale degli asset si è incrementato del 18 per cento, passando da 3.900 miliardi di dollari agli attuali 4.600 miliardi. Lo stesso livello raggiunto dagli asset dei Paesi esportatori di petrolio. Ciò ha permesso di investire somme rilevanti nell’Occidente
Un terzo degli introiti dei Paesi produttori è mobilitato in questi veicoli finanziari che fanno incetta di partecipazioni in Occidente. Tendenza in aumento se il petrolio resterà sui 100 dollari della propria consuetudine di investire in asset a basso rendimento (tipicamente i titoli del Tesoro Usa) arrivi a superare i 123 miliardi di dollari. Denari che si potrebbero guadagnare se le immense riserve accumulate fossero investite meglio. Per questo sono nati i fondi sovrani, ai quali i governi hanno fornito una gran mole di risorse, sottraendole dal solito
squassato dalla crisi di liquidità dell’ultimo anno. Dal marzo 2007 a giugno 2008, infatti, i fondi sovrani asiatici hanno investito circa 36 miliardi di dollari nelle banche occidentali, mentre i fondi dei Paesi del Golfo circa 23 miliardi.
Il grosso delle “infusioni”di denaro fresco è finito nella casse di Citigroup (17,4 miliardi), Ubs
(9,7 miliardi), Merril Lynch (8,4 miliardi), Barclays (8,4 miliardi) e Morgan Stanley (5 miliardi). Senza contare gli investimenti che questi fondi hanno allocato in alcuni colossi del private equity come Blackstone (3 miliardi), il Carlyle group (1,4 miliardi). Insomma, i gangli del capitalismo occidentale. McKinsey stima che negli ultimi anni da Oriente siano arrivati almeno 450 miliardi di dollari di investimenti totali, fra diretti (come quelli che abbiamo visto) e indiretti (attraverso veicoli come gli hedge fund). Un fiume di denaro che significa ossigeno per il mercato finanziario. Ma a che prezzo? I 2.900 miliardi di asset capitalizzati dai fondi sovrani sono destinati ad aumentare con il crescere delle riserve accumulate dai governi. McKinsey stima, che da qui al 2013, quindi fra appena cinque anni, le riserve dei Paesi esportatori schizzeranno a quota 17.700 miliardi di dollari, se il petrolio si fermerà a quota 70 dollari al barile, per arrivare addirittura a 24.400 miliardi di dollari se il petrolio si fisserà a 100 dollari. Una cifra che equivale quasi al 50 per cento della ricchezza per
allora stipata nei fondi pensione. Il che li renderà uno dei poteri forti del mondo. È facile prevedere, infatti, che questi paesi continueranno a investire in Occidente. Lo fanno da almeno 25 anni. Ma le cose, nel tempo, sono cambiate. La Russia per esempio, con 811 miliardi di asset posseduti all’estero, è diventato il secondo grande player fra gli esportatori di petrolio, dopo gli Emirati Arabi Uniti (964 miliardi di asset) e prima dell’Arabia Saudita (723 miliardi). Una circostanza, osservano gli analisti della McKinsey, che potrebbe preludere a «potenziali motivi non economici e a ramificazioni politiche di questi investimenti». Un rischio al quale se ne sommano altri, a cominciare dalla possibilità che tutta questa liquidità in cerca di impieghi alimenti le bolle speculative che affliggono il mondo.
Ma se davvero da qui a cinque anni le cifre saranno quelle previste nessuno potrà impedire, se non una precisa scelta politica, a una qualunque Gazprom di presentare un’Opa su un qualsiasi colosso petrolifero occidentale, o a un fondo sovrano di comprarsi una grande banca occidentale. Qualcosa è già successo. Pochi giorni fa la banca inglese Barclays, la terza del Paese e alle prese con un sofferto aumento di capitale, ha visto il Qatar, tramite un fondo sovrano e un investimento personale del premier, diventare il suo primo azionista con l’8 per cento, seguito a ruota da investitori di Singapore, Cina e Giappone. Come si vede, se i Sovrani d’Oriente si alleano, l’Occidente, ormai in palese debito d’ossigeno finanziario, non può che finire in saldo. E noi con lui.
economia
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Fallito il blitz di Geronzi, sull’addio al duale si decide domani al patto di sindacato e al consiglio di sorveglianza
Mediobanca, rinviata la resa dei conti di Alessandro D’Amato
d i a r i o ROMA. La guerra di tutti contro tutti in Mediobanca è ufficialmente rinviata a mercoledì. Quando, oltre al direttivo e al patto di sindacato, si terrà anche il consiglio di sorveglianza. Ma dei litigi tra i soci il titolo risente, visto che ieri ha ripiegato (-3,25 per cento), portandosi vicino ai minimi da settembre 2004, segnati già lo scorso luglio.
Ieri l’ incontro del presidente Cesare Geronzi con Alberto Nagel e Renato Pagliaro si è risolto in un nulla di fatto. Anche la presenza del “grande mediatore”Piergaetano Marchetti non è servita: la discussione si è protratta per tutto il pomeriggio e durante la giornata era anche girata la voce che erano allo studio modifiche per il ritorno al sistema monistico di governance, mantenendo però i limiti (nessuna vicepresidenza in Rcs e Generali per Geronzi) nelle controllate pro-
indietro sulla governance, buttando a mare il duale da poco adottato. Due motivi principali: i paletti imposti da Mario Draghi, che impedivano al presidente di assumere altre cariche nelle controllate, e le proteste intorno all’affare Telecom, con la nomina di Bernabé che sta suscitando molte perplessità. Eppoi le “difficoltà gestionali”intorno a Mediobanca, che l’ex numero uno di Capitalia vorrebbe riportare al suo ruolo centrale nelle vicende finanziarie italiane, trovando però poco seguito in Nagel e Pagliaro, più concentrati sul “core business” che nella politica: di qui lo scarso
Difficile che si trovi un armistizio tra il presidente e gli Ad Nagel e Pagliaro. Il titolo va vicino ai minimi
nati a fare il secondo a vita. Difficile comprendere cosa ci sia dietro il cambio di strategia. Di certo potrebbe aver influito l’insofferenza di Profumo nei confronti dei “grandi vecchi” (Geronzi e Bazoli), che così si sarebbero ritrovati, d’un colpo, di nuovo al centro della scena. Ma questo lo sapeva anche prima di dare il suo assenso. Allora è probabile che ad aver influito sia stata la minaccia di dimissioni arrivata dal duo Nagel-Pagliaro in combinato disposto con le voci di un “interessamento” di via Nazionale alla questione. Con tanto di paventata (quanto poco comprensibile) minaccia di inviare gli ispettori a piazzetta Cuccia. Insomma, il segnale è chiaro: Draghi sta con i manager.
Le partite quindi rimangono tutte aperte. Non soltanto quella di Alitalia, ma anche Telecom, dove
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g i o r n o
Fmi: mercati sempre più fragili Il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) nell’aggiornamento del Global Financial Stability Report denuncia che ”I mercati finanziari globali continuano a restare fragili e gli indicatori di rischio sistemico rimangono elevati. Per numerose categorie di prestiti, la qualità del credito ha iniziato a deteriorare con il calo dei prezzi degli immobili e il rallentamento della crescita economica”. L’Fmi, diretto da Domenique Strauss-Kahn, mette in evidenza che ”anche se le banche sono riuscite a portare a termine con successo gli aumenti di capitale, i loro bilanci subiscono nuove pressioni e i loro titoli scendono”.
Corte dei conti: criticità spesa enti locali Le politiche messe in campo per il controllo della spesa delle amministrazioni locali e regionali ”esprimono persistenti criticità destinate a emergere sin dal prossimo anno e con maggiore impatto sugli anni futuri”. Lo rileva la Corte dei conti nella relazione sulla gestione finanziaria delle regioni per gli esercizi 2006-2007. Per la Corte, i risultati delle politiche attuate nel quadro del coordinamento della finanza pubblica ’’volte ad un più severo controllo’’ della spesa e quindi a contenere indebitamento netto e debito pubblico, presentano un ”generale miglioramento rispetto agli andamenti degli anni passati” ma sono presenti delle criticità per il futuro.
L’Enel punta sull’eolico in Grecia Enel ha firmato un accordo con Damco energy (gruppo Copelouzos) e International constructional (gruppo Samaras) per acquisire il 30% con diritto di portare la quota progressivamente all’80%, di una serie di progetti eolici, fino a 1400 mw, in Grecia. L’accordo prevede, inoltre, che Enel abbia una opzione per partecipare allo sviluppo di ulteriori 180 mw in Bulgaria, in una regione nei pressi della Tracia. Questi progetti eolici sono localizzati nelle zone più ventose del Paese, principalmente in Tracia, dove Enel opera già 63 mw, nel Peloponneso e in Evia dove Enel ha in attività16 mw. Enel è oggi il terzo operatore nelle rinnovabili in Grecia con 91,3 mw di capacità installata e 36,1 mw in costruzione il cui completamento è previsto entro fine anno.
Emirates ordina 60 nuovi Airbus
Alessandro Profumo e Cesare Geronzi pri del duale. Anche la proposta di allargare a tre il numero di manager presenti nel nuovo Cda non pare riscontrare i favori dell’”esecutivo” di Mediobanca. In più, e al netto del tentato blitz di Geronzi ormai andato male, si sarebbe convenuto che il cambio di governance necessita tempo. Ipotesi su cui spinge la struttura, per giocare la partita dopo la presentazione dei conti. Anche stavolta, come nella vicenda di Matteo Arpe, il colpo sembrava quasi riuscito: Geronzi pareva aver convinto Alessandro Profumo, il maggior socio di Piazzetta Cuccia alla clamorosa marcia
entusiasmo con cui Mediobanca si è avvicinata all’affare Alitalia. Con l’abbandono del duale sarebbero cadute anche le perplessità di Draghi sui “doppi incarichi” nei Cda delle controllate. Ma per approvarlo ci vorrebbero i due terzi, e senza Unicredit è impossibile che il quorum venga raggiunto.
In ogni caso, per piazzetta Cuccia non tarderà ad arrivare il momento del redde rationem e delle scelte. Perché se non regge l’equilibrio tra Geronzi e la struttura, così è difficile che possano convivere Pagliaro e Nagel, con uno dei due condan-
tra un Fossati che fa la guerra a Franco Bernabé forse con l’appoggio di Bazoli e gli spagnoli di Telefonica forse interessati a portarsi via tutto il piatto, la bandiera dell’italianità trova sostenitori soltanto nel governo in carica (Berlusconi e Tremonti). Così come l’opportunità di una fusione con un “media content” – prospettato proprio dai Fossati nelle poche righe trapelate del piano industriale alternativo – che potrebbe essere, perché no, proprio Mediaset. Per non parlare di Generali e Rcs, dove il predecessore di Geronzi, Gabriele Galateri di Genola, era vicepresidente.
Airbus si aggiudica una nuova maxi commessa da Emirates Airline per 60 aeromobili ”wide body”. La compagnia aerea con base a Dubai, ha firmato una lettera d’intenti per l’acquisto di 30 Airbus A350XWB più 30 A330-300. L’accordo è stato siglato dallo sceicco Ahmed Bin Saeed Al-Maktoum, ceo di Emirates Airline, e Tom Enders, presidente eceo di Airbus, durante la cerimonia di consegna ad Emirates del loro primo A380 tenutasi ieri ad Amburgo. L’accordo di ieri include la conferma per l’acquisto di 30 di questi A350XWB opzionati portando il numero totale degli ordini Emirates per questo modello di aeromobile a quota 100.
Pubblicità, multata la Ryanair Multa alla Ryanair per pubblicità ingannevole sui prezzi dei biglietti aerei. L’Antitrust, presieduta da Antonio Catricalà, ha stabilito che la compagnia dovrà pagare una sanzione pecuniaria di 34.100 euro. Inoltre, considerando le ’’circostanze aggravanti’’, dovute al fatto che l’operatore pubblicitario ’’risulta destinatario di numerosi provvedimenti di ingannevolezza’’, viene inflitta una sanziona pecuniaria di 54.100 euro. Al centro del provvedimento c’e’ una pubblicita’ con cui Ryanair sponsorizza la vendita di biglietti con varie destinazioni ’’a partire da 10 euro’’. Alla somma indicata va pero’ aggiunta un’altra voce, relativa al costo per la prenotazione con carta di credito, che non viene menzionata nella pubblicità.
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mostre
In Trentino Alto Adige, fino a novembre, la settima edizione della biennale itinerante
”Manifesta 7”, il satellite dell’arte orbita in Italia di Angelo Capasso a scena dell’arte contemporanea degli ultimi venti anni ha conosciuto un evidente fenomeno di moltiplicazione di biennali, triennali, quadriennali a carattere globale che celebrano il lavoro più recente di artisti giovani e ne consacrano il successo anche in giovanissima età.
L
Nata in Olanda, a Rotterdam, nel 1996, Manifesta è tra queste, assieme alla Biennale di Venezia e a Documenta, Kassel, la biennale notoriamente più interessante, soprattutto per il suo essere itinerante e quindi una sorta di satellite dell’arte capace di cogliere le tensioni territoriali del vecchio continente e incarnarle in proposte visive. La nuova edizione, Manifesta 7 (visitabile fino al 2 novembre 2008), si è inaugurata questa volta in Italia e si dipana tra quattro città del Trentino Alto Adige (Rovereto, Trento, Fortezza e Bolzano) in cinque sedi suggestive: la novecentesca fabbrica di cacao Peterlini e l’ottocentesca Manifattura di Tabacchi a Rovereto, l’edificio Alumix a Bolzano, il palazzo delle Poste a Trento, e la Fortezza asburgica – una sorta di labirinto che si articola tra le Dolomiti. Questa nuova edizione prevede il coinvolgimento di un progetto aperto con curatori diversi, che sono: Adam Budak, (del Kunsthaus Graz am Landesmuseum Joanneum, Graz); Anselm Franke, (dell’Extra City Center for Contemporary Art di Anversa) e Hila Peleg (curatrice indipendente, Berlino); e il Raqs media collective (Jeebesh Bagchi, Monica Narula & Shuddhabrata Sengupta):
Sopra una veduta aerea dell’allestimento nella città di Fortezza di Manifesta 7. A destra, l’opera esposta a Rovereto ”Polvere su pavimento”, di Igor Eskinja dei boschi e delle foreste del Trentino e le grandi pareti di porfido rosa delle Dolomiti. Le sezioni tematiche che articolano Manifesta 7 denotano delle scelte dal carattere poco scientifico, per una biennale del ventunesimo secolo, ispirate un po’ troppo dalla teatralità nordica dell’ambientazione. Hanno titoli tardoromantici quali: Scenarios alla Fortezza, The Rest of Now a Bolzano, The Soul a Trento, Principle of Hope a Rovereto. Una qua-
La rappresentazione romantica della natura è uno dei punti chiave dell’esposizione, quest’anno suddivisa nelle sezioni ”Scenarios”, ”The Soul”, ”Principle of Hope” e ”The Rest of Now” collettivo di artisti e curatori di Delhi. La Natura è certamente uno dei punti chiave di questa edizione della biennale. Non poteva essere altrimenti, considerato lo scenario d’eccezione in cui s’inserisce: tra il verde
lità evidente è poi quella di incarnare utopie “fredde”, vissute senza passione secondo “il principio della speranza”, e quindi con un sottile filo di pessimismo che getta un’ombra malinconica su gran parte dei
che le numerose opere a carattere “documentativi” realizzate dagli artisti configurano questa biennale come un palcoscenico di messaggi che attingono dalle questioni sociali più scottanti (su tutte: l’omologazione culturale, e la conseguente necessaria riscoperta di una identità sociale, individuale, territoriale), presentate però con genericità e scarsa chiarezza. Questa è soprattutto una biennale aperta alla partecipazione collettiva, onnivora, a volte caotica, dove le scelte dei curatori presentano una loro validità soltanto su singoli lavori. Lo spazio centrale The Soul si apre con una star dell’arte italiana, Luigi Ontani, collocato come punto di partenza del padiglione forse proprio perché nel suo lavoro la questione dell’ibrido e dell’identità è il territorio culturale su cui l’artista lavora dalla fine degli anni Sessanta. Si fa notare nello stesso padiglione anche una area dedicata a Franco Basaglia, cui si deve la ormai superata legge 180/78, e, sempre nello spazio centrale, alcune sale tematiche dedicate a questioni estetiche (la pedagogia della percezione), etiche (i furti di identità, la contraffazione delle immagini) fino ad una strepitosa sala organizzata da Maria Thereza Alves, Jimmie Durham e Michael Taussig dal titolo Museum of European Normality, che passa in rassegna la storia d’Europa e il centro mobile della sua identità, fatto di tentativi di sopprimere le diversità e le minoranze etniche. Certo si tratta di pochi esempi che si disperdono nel mare magnum degli innumerevoli interventi ed eventi (anche collaterali).
Tra i lavori degli artisti più
lavori. Ne è un caso il lavoro video di Deborah Logorio, che recupera un antico progetto dell’azienda Montecatini di unire due laghi artificiali nel Trentino Alto Adige. Nel suo video, alcuni paesi della vallata sono sommersi dalle acque dei due laghi, e lasciano emergere soltanto il campanile di una Chiesa, quasi a segnalare il ritorno alla spiritualità come esigenza del declino eco-ambientale apocalittico fatto a misura
d’uomo. La presenza debordante dei video, come mezzo espressivo è un’altra dominante di Manifesta 7. Purtroppo i video hanno in gran parte il vizio di essere piccoli film sceneggiati (a volte con tanto di attori che recitano) e di aver quasi dimenticato la loro potenzialità di essere il mezzo più rapido e sintetico disponibile sulla scena dei media, così come sono stati celebrati da sempre dalle avanguardie. Sia i video,
giovani si fa notare il video di Libia Castro e Ólafur Ólafsson, che con delicatezza e profonda ironia tocca una questione attualissima per l’Europa intera: la realtà delle badanti, nuova classe di lavoratrici che riportano la nostra civiltà del terziario avanzato al mondo degli affetti e della solidarietà propri della civiltà contadina. È una Europa che ritorna ad essere antica quella di Manifesta. Lo è soprattutto nel padiglione più interessante di tutto l’evento: la Fortezza, dove dalle immagini si ritorna alla voce, al suono, all’esperienza aniconica, alla ricerca forse di una natura primordiale dell’espressione. Il prossimo appuntamento con Manifesta è nel 2010. Principali competitors per Manifesta 8 sono la Polonia (nel corridoio di Danzica) e l’Islanda.
cinema
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Da ”Grace is gone” a ”X-Files”, tutti i film in uscita ad agosto
La fresca estate dei cinecocomeri di Priscilla Del Ninno bitualmente il calendario delle uscite cinematografiche si interrompe bruscamente con l’arrivo del primo caldo: produttori e distributori, e di conseguenza esercenti, affiggono il cartello di chiusura estiva e il cinema, come molte altre attività, sospende i lavori o si limita al minimo indispensabile. Da qualche anno a questa parte, però, finalmente il calendario delle uscite registra una significativa inversione di tendenza che, oltre al merito di offrire al pubblico estivo un’alternativa ad altre forme d’intrattenimento, limita i danni dell’affollamento dei cartelloni autunnali, natalizi e primaverili, consentendo una circolazione più snella ai titoli via via in circolazione, oltre che la valorizzazione di molti prodotti che, nell’ingorgo distributivo invernale, vengono frettolosamente rimpiazzati e dunque costretti a passare inosservati.
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E allora, tanto per venire a un esempio concreto, ha rappresentato un caso da record d’incassi l’uscita a giugno del cinecocomero firmato dai fratelli Vanzina, Un’estate al mare, la risposta estiva al cinepanettone, che dovrebbe aver incoraggiato pubblico e addetti ai lavori a scommettere anche sulla programmazione dei mesi caldi dell’anno. Su questa scia sembrano accodarsi diversi titoli di più o meno imminente proiezione dunque che, dopo gli esordi di giugno e luglio, tra chicche critiche, anteprime spettacolari di puro intrattenimento e documentari d’autore, andranno a scadenzare il carnet distributivo dei mesi vacanzieri. Si comincia allora il 1 agosto, quando la 01 Distribution porterà nelle sale Grace is gone, il film indipendente dell’esordiente James C. Strouse, con John Cusack, titolo pluriblasonato che dalla prima presentazione a oggi ha conquistato il “Premio del pubblico” e per la “Migliore sceneggiatura” al Sundance Film Festival 2007, oltre al “Premio della critica” riconosciutogli al Deauville Film Festival. E non è tutto: per il suo protagonista - promosso in anni di carriera da idolo dei teen-ager ad outsider in pellicole autoprodotte, fino ai blockbuster di Hollywood - questo inedito ruolo drammatico proposto in Grace in gone, (in cui Cusack si cala con grande umanità nelle vesti del padre di due bambine, rimasto vedovo dopo che la moglie, soldatessa Usa, è stata uccisa nel conflitto iracheno), già si parla di una probabile nomination all’Oscar. Lontani invece da ambizioni hollywoodiane, e sempre avvinti dal fascino dell’avventura al limite della sopravvivenza, Louise Osmond e Jerry Rothwell, sostenuti dai produttori de La morte sospesa – la storia di due scalatori nel 1985 alle prese con una impervia scalata sul Siula Grande, nelle Ande peruviane – ripropongono per quest’estate un cinema fatto di omaggi senza retorica alla forza di volontà e allo spirito di sacrificio intestato alle forze e alla bellezza della natura, con Deep Water, un documentario in uscita il 29
agosto, incentrato sul racconto della prima gara di giro intorno al mondo in solitario in barca a vela, del 1968. Di scena, un gruppo di uomini che affrontano il mare aperto senza barche di supporto, senza telefoni satellitari e senza l’ausilio di strumentazione tecnologica, dotati esclusivamente di coraggio, ingegno e abilità individuali. Per la fiction allo stato puro e l’intrattenimento più commercialmente accattivante, invece, occorrerà aspettare il 22 agosto, quando approderà nelle sale Piacere Dave di Brian Robbins, con Eddy Murphy ed Elizabeth Banks. Il film, una commedia a metà strada tra la fantasy disimpegnata e la commedia futuristica, ripropone in un profluvio di effetti visivi e manipolazioni digitali, il connubio tra il camaleontismo di Murphy - tornato dopo un lungo oblio a nuova vita recitativa con le performance multiple del Professore matto e l’ironia beffarda del Dottor Dolittle – e i virtuosismi informatici dei tecnici al servizio delle Major. Nel film, allora, il poliedrico comico interpreta il doppio ruolo di una nave spaziale costruita a sua immagine, e manovrata da un equipaggio di cento minicreature, e quello del Capitano alla guida dell’avveniristica astronave, in giro per una misteriosa quanto bizzarra New York. Alla fantascienza con la lettera maiuscola, invece, provvederà Chris Carter, regista di The X-Files: voglio crederci, che rimette nelle sapienti mani di David Duchovny-Fox Mulder e Gillian Anderson-Dana Scully i misteri e i complotti paranormali che hanno animato diversi anni di serie tv e – a questo punto – ben due capitoli cinematografici. Il primo dato oscuro del film, allora, riguarda proprio la data d’uscita della pellicola, che tra strategie di marketing e slittamenti vari dovrebbe essere il 5 settembre: è sicura, comunque, la distribuzione estiva. E tra segreti e silenzi, l’unica indiscrezione filtrata dagli Studios è che al centro del plot dovrebbero esserci enigmatiche sparizioni legate a strani esperimenti medici, che motivano indagini particolari che implicheranno le difficoltà di mediazione tra fede e scienza.
Data ancora incerta per l’atteso kolossal ”Australia”, pellicola da 120 milioni di dollari firmato da Baz Luhrmann, forse nelle sale tra settembre e novembre
Dall’alto: il cast di Un’estate al mare; Elizabeth Banks ed Eddy Murphy protagonisti di Piacere Dave; alcuni fotogrammi dei film della programmazione estiva: Australia, X-Files: voglio crederci, Grace is gone, La morte Sospesa
Il secondo appuntamento fantascientifico dell’anno sarà quindi con il remake di un classico del genere, del 1951, Ultimatum alla Terra, diretto da Scott Derrikson e interpretato da Keanu Reeves nella parte dell’umanoide Klaatu, (accanto a lui, Katy Bates, John Cleese e Jennifer Connelly), probabilmente disponibile a presentarsi nelle nostre sale non prima della stagione natalizia. Datazione incerta che oscilla da settembre a novembre anche per Australia, infine, attesissimo kolossal da 120 milioni di dollari firmato da Baz Luhrmann, ambientato nel nord del continente alle soglie della seconda guerra mondiale. Il film riunisce il regista di Moulin Rouge alla sua musa, Nicole Kidman, questa volta affiancata da Hugh Jackman.Tanti titoli, insomma, per una lunga stagione di cinema.
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personaggi
Pensieri paralleli. Le affinità elettive tra lo scrittore e il politico
Silone e Moro,che coppia! di Sabino Caronia
uccisione di Moro precedette di poco la morte di Silone nell’anno fatidico che vide anche quella di Paolo VI. Nella Storia di un manoscritto, che si legge in appendice a Severina, Darina Silone scrive: «Durante tutte quelle settimane seguimmo insieme alla televisione, con orrore e sgomento, la tragedia di Moro». E Claudio Marabini sulla Nazione del 24 agosto 1978 riferisce che Silone, vivamente emozionato, nonostante le insistenze, non volle parlare del caso Moro. Ri-
L’
cro” in cui la stessa sorte dell’uomo sulla terra è coinvolta. I compiti dell’ordine economico e politico non vengono affatto nascosti e dissimulati; essi restano anzi preliminari. Ma è utile che gli uomini chiamati ad assolverli sappiano di venire da lontano e di andare lontano».
Come risultava dalle parole di quella prefazione, si trattava di una risposta diversa ma non certo incompatibile con quella cristiana: «La riscoperta dell’eredità cristiana nella rivoluzione sociale dell’epoca
All’indomani della caduta del fascismo, il politico Dc pubblicò un saggio dello scrittore socialista, affermando di voler dialogare con tutti quelli che cercavano di rispondere alla crisi di civiltà spose: «No, non ho nulla da dire. Un combattente ferito non può dire nulla». Sono parole che richiamano alla mente quelle dette nel 1949, poco prima di lasciare definitivamente l’attività politica e lo stesso Partito: «Noi siamo certamente le persone più sconfitte della lotta politica italiana».
A proposito del significato delle parole di Silone è importante ricordare che Aldo Moro nel 1945 pubblicò sulla rivista Studium uno scritto, Ed Egli si nascose di Ignazio Silone, che è la presa d’atto di «una fondamentale convergenza di indirizzi ideali» in nome di una identica volontà di dialogo con gli altri umanesimi che all’indomani della caduta del fascismo si proponevano come risposte, diverse ma non incompatibili con quella cristiana, alla stessa crisi di civiltà che coinvolgeva credenti e non credenti. Lo scritto di Moro, che seguiva di poco due articoli di Silone, Ideologia e politica e Come ricostruire? Appunti per un dialogo tra socialisti e cattolici, apparsi rispettivamente nel febbraio e nel maggio del 1945 su Mercurio, richiamava la prefazione di Ed Egli si nascose: «La rivoluzione della nostra epoca promossa da poliitici ed economisti, prende così le sembianze di un “mistero sa-
moderna resta l’acquisto più importante della nostra coscienza negli ultimi anni». In particolare Moro rivolgeva la sua attenzione al personaggio del frate eretico Gioacchino che predica che Cristo è ancora e sempre in agonia sulla croce per sottolineare uno spirito cristiano innegabile e vivo, facendo un implicito riferimento alla lettera di San Paolo ai Colossesi: «Ora io gioisco delle mie presenti sofferenze e completo in me quel che resta alla passione di Cristo». Dunque, riflettendo sui personaggi del
Sciascia & Co: breve viaggio nella letteratura sul delitto Br
Tra pamphlet, ricostruzioni storiche e romanzi
dramma di Silone, di fronte alla vicenda di quegli uomini che «vengono da lontano e vanno lontano» con la coscienza che Cristo è ancora e sempre in agonia sulla croce, che la sofferenza di Cristo
on sarebbe, affatto, una perdita di tempo fare l’inventario dei libri di romanzo che sono stati scritti sulla vicenda umana di Aldo Moro. E non parlo dei “recensori” del rapimento, da Bo a Moravia, da Eco a Pampaloni, ma di quanti hanno guardato alla figura del presidente democristiano come appunto a un personaggio di romanzo. Ecco, innanzi tutto, L’affaire Moro di Sciascia, molto più di un semplice pamphlet, un’opera aperta, in progresso, in cammino, le cui ambizioni vanno ben al di là delle intenzioni dichiarate. Tra cronaca e memoria fantastica, vanno ricordati, poi i quattro volumi che Maria Fida Moro ha dedicato alla figura del padre, da La casa dei cento Natali, che ha una presentazione di Leonardo Sciascia, a Un Dio simpatico, In viaggio con mio papà, Il sole blu.
N
Senza dimenticare le ingegnose e appassionate pagine di Vittorio Vettori nel suo Diario apocrifo di Aldo Moro prigioniero o quelle di Nicola Terranova in Aldo Moro mi ha detto o anche quelle intense e partecipi di Giorgio Petrocchi in Segnali e messaggi, il bel romanzo di Rosa Irti Rossi, Una visita di primavera, dove si racconta la visita che, in una casa romana a pochi metri da via Fani, nei cinquantacinque giorni dal rapimento all’uccisione di Moro, un’anziana donna fa alla nuora e al figlio. Da ricordare poi, soprattutto per la suggestiva atmosfera, è il romanzo di Francesco Grisi La poltrona nel Tevere.Vivissime erano già le poche pagine de La
strega e il presidente in cui Ferruccio Parazzoli evoca il fantasma dell’insigne uomo politico e che costituiscono la necessaria premessa del recente romanzo Adesso viene la notte dove si immagina uno scenario dostoevskijano nell’appartamento privato del papa. E straordinario è infine il rilievo che assume, sullo sfondo della vicenda narrata, la cronaca tragica dei cinquantacinque giorni in Procedura di Salvatore Mannuzzu, dalla manifestazione sassarese del 17 marzo al primo comunicato delle Br, con la fotografia di Moro col drappo rosso sullo sfondo, al secondo comunicato, al terzo e alla lettera a Cossiga, al comunicato numero 7, annunciante che il prigioniero «era stato suicidato» e il suo corpo gettato «nei fondali limacciosi del lago Duchessa», e alla ridicola caccia al tesoro che ne era seguita, fino alla conclusione della vicenda sarda del protagonista e insieme di quella di Moro.
A me è successo di meditare sull’opportunità di un compiuto inventario dei testi narrativi riguardanti la vicenda Moro quando mi accingevo a scrivere il romanzo L’ultima estate di Moro, quel romanzo che riprende il titolo di un testo teatrale di Ricarda Huch, L’ultima estate. Lo stesso Leonardo Sciascia ha scritto sulla recensione di Pasolini a Favole della dittatura e che ora si può leggere in Nero su nero: «Ho cercato ieri – e fortunatamente ritrovato nel disordine in cui stanno le mie cose – il foglio ingiallito del giornale “La libertà” in cui Pasolini pubblicò il 9 marzo del 1951 un articolo sul mio primo
personaggi
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continua in tutti coloro che servono e patiscono l’ingiustizia, Moro si chiedeva cos’altro si potesse desiderare per il nostro tempo se non la misura delle distanze che pone nella nostra vita l’esigenza implacabile dell’infinito. E al riguardo non si può fare a meno di ricordare le parole di una delle ultime lettere dal carcere: «Carissima, vorrei avere la fede che avete tu e la nonna, per immaginare i cori degli angeli che mi conducono dalla terra al cielo. Ma io sono più rozzo. Ho solo capito in questi giorni cosa voglia dire che bisogna aggiungere la propria sofferenza alla sofferenza di Cristo per la salvezza del mondo».
Sono soprattutto la riservatezza e la discrezione, il pudore dei propri sentimenti religiosi, il concepire la religione come
nale riserbo, Moro osserva: «Anche la vita pubblica del cristiano ha questa singolare struttura, la predilezione dei silenzi, dell’intimità, della personalità».Così si spiega l’attenzione alla religiosità di Pietro Spina, non priva, come scriveva a suo tempo padre Alessandro Scurani in un suo studio, Ignazio Silone: un amore religioso per la giustizia (Edizioni Letture, Milano 1973), di interesse per la «trascendenza divina, le risonanze più intime e private del sacro nella vita dell’uomo», quell’interesse per cui significativa è la confessione fatta in Uscita di sicurezza: «Un sacro rispetto del trascendente ci impedisce di nominarlo invano e di usarlo come una droga».Centrale inoltre è in Moro il motivo della speranza cristiana, quella stessa speranza che è il tema dell’ultimo in-
Sono soprattutto la riservatezza e la discrezione, il pudore dei propri sentimenti religiosi, il concepire la fede come fatto intimo e privato ad avvicinare in modo esplicito i due intellettuali fatto intimo e privato, che avvicinano la spiritualità di Moro a quella di Silone. In uno scritto, Presenza spirituale, pubblicato su Studium nell’ottobre 1946, che è quasi una confidenza personale sfuggita al suo tradizio-
libretto. Un articolo su tre colonne: come se di quell’esile libretto lui avesse parlato sapendo quello che avrei scritto dopo, fino ad oggi. S’intitola Dittatura in fiaba e si chiude con questo concetto, che parlando di me aveva poi ribadito in Passione e ideologia e, l’anno scorso, recensendo Todo modo: «Ma anche questi improvvisi bagliori, queste gocce di sangue rappreso, sono assorbiti nel contesto di questo linguaggio, così puro che il lettore si chiede se per caso il suo stesso contenuto, la dittatura, non sia stato una favola». E si pensi, a proposito del rapporto tra Favole della dittatura e tutto quello che sarebbe stato scritto poi, con particolare riguardo all’Affaire Moro, alla significativa epigrafe di quel primo libro di Sciascia tratta da Parliamo dell’elefante di Longanesi: «Gli storici futuri leggeranno giornali, libri, consulteranno documenti di ogni sorta ma nessuno saprà capire quello che ci è accaduto. Come tramandare ai posteri la faccia di F. quando è in divisa da gerarca e scende dall’automobile?». Sciascia ha detto: «Il giorno della morte di Moro ero in treno. Leggevo La passeggiata di Robert Walser». La confidenza del romanziere siciliano mi aveva subito colpito per la proverbialità della situazione proposta, che sembrava adattarsi mirabilmente all’autore e al suo personaggio, e per la singolare coincidenza che anche a me è accaduto di apprendere la notizia dell’uccisione di Moro mentre ero in treno ed avevo con me un romanzo significativamente allusivo fin dal titolo, Cent’anni di solitudine, quello
stesso romanzo che anche Moro leggeva al momento del sequestro. Del resto, si sa, di ogni cosa si deve dubitare meno che delle coincidenze.
A proposito di coincidenze, non è un caso forse che in L’affaire Moro, attraverso «una tecnica straniante, volta a contraddire l’attesa del lettore e a caricarla in un climax» il romanziere siciliano proceda di divagazione in divagazione, grazie all’uso delle citazioni letterarie, da Pasolini a Borges, a Tommaseo, a Tolstoj, a Poe, e, quando finalmente si decide ad entrare in argomento, lo faccia richiamando quel saggio di Giacomo Debenedetti su Pirandello che era già stato suggestivamente citato da lui all’inizio di Todo modo: «A somiglianza di una celebre definizione che fa dell’universo kantiano una catena di causalità sospesa a un atto di libertà, si potrebbe” dice il maggior critico italiano dei nostri anni – «riassumere l’universo pirandelliano come un diuturno servaggio in un mondo senza musica, sospeso ad una infinita possibilità musicale: all’intatta e appagata musica dell’uomo solo». Credevo di aver ripercorso, à rebours, tutta una catena di causalità; e di essere riapprodato, uomo solo, all’infinita possibilità musicale di certi momenti dell’infanzia, dell’adolescenza: quando nell’estate, in campagna, lungamente mi appartavo in un luogo, che mi fingevo remoto e inaccessibile, di alberi e d’acqua; e tutta la vita, il breve passato e il lunghissimo avvenire, musicalmente si fondevano, e infinitamente, alla libertà del presente. E per
compiuto romanzo dello scrittore abruzzese, Severina. Già nel citato scritto Presenza spirituale si legge: «Certo alimentare di azioni un invisibile corso di storia è un atto di coraggio. Ma appunto la nostra fede non
tante ragioni, non ultima quella di essere nato e per anni vissuto in luoghi pirandelliani, tra personaggi pirandelliani, con traumi pirandelliani (al punto che tra le pagine dello scrittore e la vita che avevo vissuto fin oltre la giovinezza non c’era più scarto e nella memoria e nei sentimenti); per tante ragioni, dunque, rivolgevo nella mente, sempre più precisa (tanto che la trascrivo ora senza controllare), la frase del critico: appunto come frase o tema dell’infinita possibilità musicale di cui disponevo. O, almeno, di cui mi illudevo di disporre».
Anche nell’ultima sua intervista concessa a Domenico Porzio, che si può leggere nel volume mondadoriano Fuoco all’anima, Sciascia torna a ripetere: «Ma il Moro che mi ha interessato è quello che Pirandello chiamerebbe la “creatura”». Per Sciascia il dramma di Moro è il dramma pirandelliano di una verità generata dalla letteratura, come in Il teatro della memoria, scritto non a caso durante i lavori della commissione d’inchiesta sul caso Moro, dove il testo letterario, Come tu mi vuoi, è la chiave di lettura della vicenda reale. In Il teatro della memoria appunto la lettera con cui gli amici di Moro dichiarano di non riconoscerlo è accostata a quella dello smemorato di Collegno per farsi riconoscere dal presunto fratello. Ecco: l’inquisizione e la distruzione della memoria. È ancora lo stesso tema che ritorna come sempre nei romanzi dello scrittore siciliano a partire da Morte dell’inquisitore. (s.c.)
è chiara visione di contorni reali e definiti, ma una profonda tensione dello spirito che sa vedere con altro sguardo che non sia l’umano». E in un articolo sul Giorno del 10 aprile 1977 è detto che «la storia sarebbe estremamente deludente e scoraggiante se non fosse riscattata dall’annuncio sempre presente della salvezza e della speranza» e che compito della politica è quello di «perseguire, con gradualità e limiti certo inevitabili, la salvezza annunciata, ad un tempo luminosamente certa e paurosamente lontana». È la stessa speranza che è testimoniata dalle parole dell’ultima lettera dal carcere dello statista democristiano: «Vorrei capire, con i miei occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo». Ma forse il più importante punto di convergenza tra Moro e Silone si deve riconoscere nel riferimento costante alla dignità dell’uomo e al valore della coscienza, nella fondamentale equazione fra coscienza cristiana e coscienza democratica. È così che nel discorso tenuto il 18 maggio 1974, all’indomani del referendum, Moro poteva implicitamente richiamare il Concilio e quell’Enciclica, Dignitatis humanae, con cui la Chiesa aveva posto la dichiarazione sulla libertà religiosa, il diritto della persona umana alla sua scelta, come un bene in se stesso, un valore che trascende di fatto gli stessi valori di contenuto, come forma stessa del valore. Viene alla mente quel passo de La scuola dei dittatori in cui Silone critica violentemente l’obbedienza civile, l’obbedienza al potere degli uomini di Chiesa sottolineando come, per un eccessivo rispetto del precetto evangelico di dare a Cesare quel che è di Cesare, essi avessero finito molte volte per dare a Cesare anche quello che era di Dio, senza peraltro che tale rinuncia all’eticità dei mezzi avesse portato necessariamente al conseguimento dei fini che essi si proponevano, come nel caso di Hitler, a proposito del quale sono richiamate le parole di Montaigne che ha definito il dittatore «colui che fa abbattere un albero per cogliere una mela».
Come sottolinea Giovan Battista Scagli in un suo intervento, Moro: una politica difficile, pubblicato su Studium all’indomani del rapimento e dell’uccisione dello statista democristiano «Dopo Moro, quello che egli ha fatto, dopo quello che egli ci ha insegnato, pagando di persona, in fatto di civismo, in fatto di distinzione tra ciò che spetta a Cesare e ciò che deve essere dato a Dio, nessun laico in quanto laico ha più nulla da insegnare ai cattolici».
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO
LA DOMANDA DEL GIORNO
È vero che la politica di Berlusconi è di sinistra? SENZA DUBBIO LE POLITICHE DEL PREMIER SONO PIÙ A SINISTRA RISPETTO ALL’OPPOSIZIONE
IN REALTÀ NON CREDO SIA GIUSTO, CERTI PROVVEDIMENTI NON HANNO COLORE
Senza dubbio sì: il governo e questa maggioranza stanno portando avanti politiche più a sinistra dell’opposizione di sinistra. No, non è un paradosso né «il solito show» del presidente del Consiglio (come invece qualche quotidiano di sinistra, ma estrema, ha tentato di insinuare). E i numeri, non le parole, alla fine danno ragione porprio al premier: 41 provvedimenti varati dal governo. Per quanto riguarda la semplificazione c’erano 21.691 leggi in vigore, e il governo ha operato tagli intorno al 30%, eliminando circa 7.00 leggi inattuali e obsolete. Entro fine anno il lavoro proseguirà, e il numero delle leggi vigenti potrà scendere a 13.600, con un taglio del 37%”. Nel 2012 il governo spera così di tagliare la spesa pubblica per una cifra vicina ai 75 miliardi. Poi le 3 riforme per l’autunno: federalismo fiscale, giustizia e legge elettorale per le europee. «Tutte in contemporanea» ha specificato il premier: «Per questo abbiamo iniziato ad affrontare i bisogni delle famiglie deboli». Quali sono? Tasse, sanità, scuola, Ici, sicurezza, rifiuti, Alitalia. Cordialmente ringrazio per l’attenzione. Distinti saluti.
Finalmente l’Italia ha un premier degno di tale nome. E in realtà non credo si possa dire che quelle da lui portate avanti siano politiche di sinistra. Ma neanche di destra. Certe tematiche, certi problemi sociali, semplicemente non hanno colore. Con buona pace della sinistra tutta, Silvio Berlusconi risponde con i fatti ai parolai comunisti. Come dice un comico di Zelig: fatti non pugnette! Emergenza rifiuti, immunità alle alte cariche dello stato, decreto sulla sicurezza, in soli due mesi ha gia infilato nel suo carniere queste importanti prede. In autunno si riprende con la stessa determinazione. Per chi non lo sapesse, per l’ennesima volta è stato dichiarato innocente in un processo istituito a suo carico in Spagna.solo chi nega l’evidenza ed è in malafede non può non constatare che nella magistratura vi è solo odio e accanimento nei suoi confronti per motivi prettamente politici. I giudici sono il braccio armato della sinistra. Ben venga una legge che ne limiti i poteri e che permetta di condannarli quando antepongono la fede politica al giudizio imparziale.
Maurizio Romiti - Cosenza
LA DOMANDA DI DOMANI
Sfida all’elemosina, cosa pensate del pugno duro contro l’accattonaggio? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
Amelia Giuliani - Potenza
BERLUSCONI UOMO E POLITICO DI SINISTRA? HA RAGIONE DI PIETRO: PIÙ CHE ALTRO «SINISTRO» Non avrei mai immaginato di poter dare ragione a Di Pietro, ma in questo caso davvero sì: «Le riforme promesse da Berlusconi non sono riforme di sinistra, ma riforme sinistre fatte da un sinistro personaggio, che vuole dire una cosa e farne un’altra, dire che pensa ai cittadini ma pensa agli affari suoi». Prendiamo ad esempio il caso Alitalia, cos’ha fatto il premier? Ha preso 300 milioni dalle casse dello Stato e ci ha pagato un’azienda, ma a pagare siamo noi. Ha preso i soldi che servivano per la manovra finanziaria e li ha tolti alle forze dell’ordine; decide di spendere soldi per aumentare interventi per i clandestini e si fa una legge in cui dice che non ha più bisogno di controllare come si fanno gli appalti per i Cpt. Insomma, ha ragione Di Pietro: è proprio un «uomo sinistro».
L’ORIGINE DEL LEADERISMO In queste settimane abbiamo assistito alla resa dei conti all’interno di Rifondazione Comunista. Nonostante l’emergenza causata dalla débacle della Sinistra Arcobaleno, tra le mozioni in campo si assiste a una contesa fatta di contestazioni con tanto di carta bollata: è l’ennesima prova che la madre di tutte le riforme è una legge sui partiti. E’ un problema antico che affonda le sue radici nel dibattito all’Assemblea Costituente. Allora si prospettò l’ipotesi, subito respinta senza essere discussa, di inserire, nell’articolo della Costituzione riguardante i partiti politici, l’obbligo di previsione della regolamentazione giuridica. Ci si limitò invece ad affermare che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Per questo motivo i partiti sono inseriti nella costituzione tra i diritti dei cittadini e non all’interno dell’organizzazione costituzionale dello Stato. Di conseguenza le vicende della cosiddetta partitocrazia sono legate alla costitu-
ENIGMA SPAZIALE A 6500 anni luce risplende un anello spaziale che sta facendo scervellare gli astronomi di mezzo mondo: la nebulosa Suwt 2. La struttura infatti farebbe pensare che alla sua origine ci sia una stella che sprigiona gas e polveri. Ma gli esperti non ne hanno mai trovato traccia
L’AMORE CONIUGALE, I BERLUSCONI E I BUFFONI Berlusconi è apparso per mano della consorte, la bella Veronica, in vacanza, nella sua villa in Sardegna. Lo testimonia una serie di scatti dei paparazzi. Le foto ci paiono semplici e chiare, anche se un po’ sfocate. Invece, la nostra sinistra giornalistica e intellettuale ha già aperto un dibattito sui massimi sistemi. Sulla vera natura e incarnazione dell’amore coniugale e sul labile confine tra finzione e realtà. Temi profondi, insomma. E’ proprio questa la ragione per cui la sinistra ci è sempre piaciuta e ci piace ancora tanto.
Pierpaolo Vezzani
UN PENSIERO CRISTIANO-LIBERALE PUÒ ESSERE UNA SFIDA VINCENTE
dai circoli liberal Susanna Bonomo - Perugia
sento di farla: l’Italia non ha bisogno di un altro fiorellino da aggiungere al Partito democratico, ipotesi credo cara a chi non ha più fiducia nelle proprie capacità o a qualche poltronista a tutti i costi. Un polo di centro può vivere autonomamente e presentarsi alternativo ai due nati più o meno frettolosamente senza un’idea forte. Un pensiero guida cristiano-liberale può essere la sfida vincente per i tanti perbene che ci sono in questo paese, bisogna però distinguersi per impegno e coerenza. L’intervento di Cuffaro dovrebbe far riflettere chi ha proposto, più o meno velatamente, di piegarci agli ultimi eventi. Nei momenti difficili c’è bisogno di coraggio: prima si diventa forti e attrattivi, poi si tratta. Cordiali saluti.
Terminato il seminario di Todi, una conclusione, pur parziale, mi
zione materiale. L’accordo “ad excludendum”Veltroberlusconiano delle ultime elezioni, di fatto una riforma costituzionale, ne sono la prova. L’antico mancato riconoscimento istituzionale però ha indebolito e indebolisce i partiti elementi vitali della democrazia. Ma perché allora non affrontare il problema alla radice e si fa finalmente una legge sui partiti che li collochi come una istituzione e ne regoli la vita democraticamente? All’epoca della Costituente non si volle fondare la democrazia nei partiti ed imporre una disciplina interna fondata su regole democratiche stabilite da statuti. Al Pci dal centralismo democratico non poteva stare bene. E’ questa la vera origine dell’insano leaderismo italiano. Solo ai partiti spettava l’onere e l’onore di concorrere alla politica nella conflittualità con metodo democratico e non ai cittadini. All’interno dei partiti la democrazia poteva essere una finzione. Con il crollo del muro di Berlino, se ne sono viste le conseguenze: la politica si basa sulla leadership nella totale confusione dei poteri economici, politici, socio sindacali e mediati-
Dino Mazzoleni Gualdo Tadino (Pg)
ci. Il leaderismo tradizionale antidemocratico del Pci si è riprodotto e ribaltato nell’area moderata. Il cittadino, in particolare i ceti medi, non contano proprio più nulla: si chiede al massimo una firma nei gazebo, una procura in bianco. Un comico mediatico vale più di un milione di persone. Ma che democrazia è questa e che speranze ci sono di riforme che siano tese all’affermazione del bene del Paese e non di gruppi di interesse? Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE
ATTIVAZIONI Il coordinamento regionale della Campania ha attivato un numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio
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opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Restate sempre così: bella e felice Signora, è mai possibile che non debba più rivedervi? Sono arrivato al punto che la vostra assenza rappresenta di già un’enorme privazione per il mio cuore. Quando sono venuto a sapere che rinunciavate a posare e che io ero la causa involontaria di tale decisione, ho avvertito una strana tristezza. Ho voluto scrivervi, malgrado io sia poco propenso a mettere le cose per iscritto. Si finisce quasi sempre per pentirsene. Ma non arrischio nulla, giacché ho ormai preso la mia decisione di donarmi a voi per sempre. Per me, voi non siete più semplicemente una donna che si desidera, ma una donna che si ama per la sua franchezza, per la sua passione, per la sua verde età e per la sua follia! Nel darvi queste spiegazioni ho perso molto, poiché voi siete stata cosi risoluta che ho dovuto sottomettermi all’istante. Mi avete ispirato rispetto e stima profonda. Restate sempre così, e custoditala bene, questa passione che vi rende così bella e così felice. Charles Baudelaire a Marie Daubrun
LASCIATE VIVERE ELUANA ENGLARO Ho visto il bellissimo film Lo scafandro e la farfalla. Commovente la storia di Bauby, che vittima di un ictus reagisce alla sua condizione larvale affidandosi alla memoria e alla fantasia. Certo per lui la medicina ha trovato un modo per comunicare tramite l’occhio e la palpebra. Nel caso di Eluana questo non è ancora avvenuto, ma chi ci vieta di sperare che in un prossimo futuro non si riesca a stabilire un contatto con lei e con tutti quelli che vivono la sua condizione? Ma la mia lettera ha un altro intento. Vorrei denunciare l’anomala situazione che sta attraversando la magistratura italiana. Con la sentenza della Corte d’Appello, il potere giudiziario scavalca il parlamento nel legiferare. Dietro a quella che è la «prima condanna a morte della Repubblica Italiana» (Famiglia Cristiana), vedo un disegno predefinito, ordinato da radicali e laicisti per portare avanti la propria idea di natura umana. In un colpo solo, si ottengono tre risultati. Il primo è il riconoscimento del ”testamento biologico”: la volontà di Eluana è di morire piuttosto che vivere in stato
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
29 luglio 1588 Battaglia di Gravelines: l’Armata Spagnola viene sconfitta da una forza navale inglese comandata da Lord Charles Howard e Sir Francis Drake, al largo della costa di Gravelines, Francia 1805 Nasce Alexis de Tocqueville, filosofo, politico e storico francese 1883 Nasce Benito Mussolini italiano 1890 Muore Vincent van Gogh, pittore olandese 1900 L’anarchico Gaetano Bresci uccide a Monza Umberto I di Savoia, re d’Italia 1957 Viene istituita l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica 1958 Il Congresso degli Stati Uniti crea la National Aeronautics and Space Administration (Nasa) 1981 Lady Diana Spencer sposa Carlo, Principe del Galles 2004 L’Italia abolisce la leva obbligatoria. L’ultimo giorno di naja sarà il 30 giugno 2005
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
vegetativo. Il secondo nasce dal primo: essendo tale volontà ricostruita da testimonianze, il testamento risulta addirittura postumo, quindi conferisce ad altri di decidere per lei. Non serve quindi una legge specifica: basta appellarsi alla sentenza per vedere riconosciuti questi ”diritti”. Il terzo risultato penso verrà formulato con una prossima sentenza: visto che Eluana è condannata a morire di sete, sono sicuro che si introdurrà la possibilità di sedare la povera ragazza in modo da provocarne la morte, quindi autorizzare l’eutanasia. Non si vorrà mica farla soffrire così a lungo come si prospetta e può avvenire? Ecco che introdurremo l’eutanasia in Italia senza bisogno di ricorrere a leggi, dibattiti e scuoter di coscienze. Se la vita di Eluana non è dignitosa, sopprimeremo tutti i malati che non riescono a esprimere la propria consapevolezza? E cosa dovremo fare di tutti i malati mentali che le famiglie abbandonano negli istituti? Se mi capiterà di trovarmi nella stessa situazione, non smettete di nutrirmi e venite a leggermi i numerosi libri che affollano la mia scrivania. Questo è il mio testamento biologico.
Luca Rossetto - Arcade TV
PUNTURE Ha vinto Ferrero. E ora pane e Nutella per tutti.
Giancristiano Desiderio
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Le qualità dell’animo non si acquistano con l’abitudine; si perfezionano solamente BLAISE PASCAL
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di L’AMORE PER LA PATRIA È ANCORA UN VALORE? La nostra Patria nel corso della sua Storia ne ha subito parecchie. Dopo il fulgido esempio di valore militare e di strenua resistenza di fronte al nemico austroungarico e la vittoria del 1918, dopo gli anni del fascismo in cui si sono costruiti monumenti ai caduti ed è stata tenuta alta la Bandiera, la Patria ha subito l’onta della divisione dell’8 settembre ed è stata macchiata dal sangue della Guerra Civile e fratricida. Non è questo il luogo dove discutere più approfonditamente di simili vicende; basti prendere atto che dopo la II Guerra Mondiale l’Italia non è stata più la stessa, ma ha subito il disonore delle divisioni interne, dei progetti comunisti tesi a svendere il territorio nazionale al nemico e all’orrore dell’ideologia comunista e sovietica. Oggi, con la fine della leva militare generalizzata, con l’ignoranza imperante della gioventù, con il totale dispregio di Monumenti lasciati cadere nella dimenticanza e nell’ombra, con le Lapidi, ovvero con la nostra Memoria Storica, lasciate alla distruzione causata dagli eventi atmosferici e ancor di più, su un altro piano, dalla cancellazione del ricordo… si può ancora parlare di Amor di Patria? Purtroppo si deve prendere atto che in questo momento storico ormai Valore e Virtù sono stati lasciati cadere, e che non c’è più freno per chi sputa sul Tricolore. Passi il federalismo nel quadro dell’unità, passino le nuove forme di valorizzazione delle tradizioni locali, del dialetto, dei costumi. Chi nega che ciò sia impossibile, o deleterio? Anzi! Il recupero della Tradizione, anche locale, deve essere considerato
un aspetto positivo. Ma l’Italia non si deve dimenticare! Chi si scorda dei sacrifici compiuti per l’Unità, per vincere le Guerre, per mantenere unita e concorde la Patria… si dimentica colpevolmente anche della sua Storia. Guai!
Il Falco falcodestro.altervista.org
PENA DI MORTE PER I BLOGGER Succede in Iran, dove il parlamento nazionale si appresta a discutere una proposta di legge sull’inasprimento delle pene per alcuni tipi di reato, tra cui “l’apertura di blog e siti che promuovono la corruzione, la prostituzione e l’apostasia”. L’Iran non è nuovo a questo tipo di iniziative (ricordiamo che la pena capitale è prevista anche per l’omosessualità), soprattutto dall’elezione nel 2005 del presidente ultra-conservatore Mahmud Ahmadinejad. Da allora, infatti, le esecuzioni sono aumentate in maniera esponenziale, arrivando a 177 nel 2006 e raggiungendo l’inquietante numero di 317 durante il 2007 (l’Iran, come forse è noto, insieme a Stati Uniti e Cina, non ha firmato la dichiarazione delle Nazioni Unite, promossa dall’Italia, per l’abolizione della pena di morte). I motivi di tanto accanimento nei confronti dei blogger vanno probabilmente attribuiti alla paura che il regime nutre verso le nuove generazioni, spesso molto critiche verso il governo ultra-conservatore. Come più volte denunciato dal Committee to Protect Bloggers, lo stato iraniano è, infatti, tra quelli più attivi nel “perseguire, arrestare ed imprigionare sia blogger che studenti”.
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PAGINAVENTIQUATTRO Il leader della Lega si considera il novello Alberto da Giussano
Il Gattopardo Bossi, e il cavaliere di Giuseppe Baiocchi e l’Italia unita e accentrata intorno a Roma è come il Barbarossa, allora può davvero dormire, a differenza dell’imperatore svevo, sonni più che tranquilli. Infatti l’onorevole Bossi, identificandosi in Alberto da Giussano, si riconosce, se la Storia ha un senso, in un “Cavaliere Inesistente”. Può sembrare un paradosso, ma tutti gli studiosi seri di ogni scuola di pensiero concordano ormai nel ritenere la figura di Alberto da Giussano come una pura invenzione letteraria, scaturita nel Rinascimento per opera dei cronachisti cortigiani dei Visconti e poi amplificata e portata a modello in epoca risorgimentale dai nuovi retori dell’unificazione italiana, ultimi e più celebri il Berchet de “Il giuramento di Pontida”e il Carducci de “La canzone di Legnano”. Quel ripetuto “Vi sovvien…disse Alberto da Giussano…” è del tutto leggendario. E fa parte purtroppo di quel patriottismo retorico, insopportabilmente enfatico, con il quale per tutto l’Ottocento si appiccicarono al processo di unificazione nazionale radici spurie, antenati improbabili, e un pedigree araldico perlomeno disinvolto. Culminato proprio in quell’ “Inno di Mameli” che recita tra l’altro “… Dall’Alpe a Sicilia dovunque è Legnano…”appena prima de “…I bimbi d’Italia si chiaman Balilla…”che tanto dispiace all’attuale ministro per le Riforme.
S
È un vero peccato che la polemica odierna finisca così per svilire e imbalsamare in un derby politico tra nazionalisti paramassonici e padanisti non dissimili una questione culturale che ha una carica straordinaria di modernità, pur a oltre ottocento anni di distanza. Infatti, a ben conoscere, il conflitto con il Barbarossa presenta le caratteristiche uniche e peculiari delle radici autentiche della civiltà contemporanea, perché pone in concreto la questione delle “tre libertà”: la libertà civile ed educativa, la libertà economica, la libertà religiosa.
L’aveva ben compreso l’unico papa inglese della storia bimillenaria della Chiesa, Adriano IV, che, ben prima di Pontida, aveva convocato i liberi comuni del Nord in quel di Anagni (1159) per organizzare, in nome dell’autonomia civile e della libertà religiosa , la resistenza alle pretese assolutistiche di Federico Imperatore. E fu il suo successore, Alessan-
INESISTENTE La figura simbolo del Carroccio sarebbe un’invenzione letteraria, mentre Federico Barbarossa, targato Padania, rischia di diventare un telefumettone paramassonico dro III, (in suo onore i Comuni edificarono poi la città di Alessandria) a guidare per un ventennio il conflitto con il Barbarossa che intanto nominava antipapi e a cascata vescovi a lui docili e fedeli. L’anima della Lega fu allora l’arcivescovo di Milano, San Galdino, “pater pauperum et defensor civitatis”, che persuase il
E LO SPADONE SI AFFLOSCIÒ La statua del guerriero che campeggia in una piazza di Legnano e che divenne il logo prima della nota fabbrica di biciclette e poi del movimento politico di Bossi fu richiesta a gran voce da un infiammato discorso di Giuseppe Garibaldi “per ricordare uno dei fasti più gloriosi della nostra storia,in cui ebbe parte tutta l’Italia….”. La statua venne inaugurata nel 1876, nel settimo centenario della battaglia: ma l’opera in bronzo non era pronta. E la copia in cartapesta, issata sul piedistallo, subì le conseguenze di un dispettoso acquazzone primaverile; il ferreo spadone (celodurista) rivolto al cielo miseramente si afflosciò… Soltanto nell’anno di grazia 1900 finalmente il monumento svettò…
suo popolo alla lotta, anche perché l’Imperatore, nella distruzione della metropoli nel 1162, aveva privato la città del maggior vanto che aveva sino ad allora portato la prosperità di pellegrini e commerci: e cioè le spoglie dei Re Magi, a Milano dal IV secolo, e che, razziate dal Barbarossa, sono da allora onorate nel duomo di Colonia e che una balbettante chiesa ambrosiana ha smesso da tempo di reclamare….
Di tutti questi temi, a loro modo significativamente attuali, non se ne parlerà più: perché la Lega svilirà il Barbarossa a un fumettone paramassonico alla Dan Brown (come è già accaduto per l’infelice serie tv sulle “Cinque Giornate di Milano”); perché così resterà immutabile l’inno di Mameli (una “mediocre marcetta” a giudizio di tutti i musicologi che vedono inutilmente immiserita l’altissima tradizione musicale italiana; e per rendersene conto basta cantarlo a bocca chiusa, come fanno gli spagnoli che, fortunati loro, non hanno un testo ufficiale); perché infine si avvalora il sospetto che, facendo la parte del cattivo e del provocatore estremista, l’onorevole Bossi finisca per conservare e far difendere a tutti i costi proprio gli elementi più caduchi e meno sentiti della simbologia nazionale, rivelandosi magari più che un riformista, il più immaginifico dei Gattopardi.