2008_07_30

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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Quarant’anni fa l’Enciclica di Paolo VI sul controllo delle nascite

Rileggiamo “Humanae Vitae“ capiremo il mondo di oggi

di e h c a n cro di Ferdinando Adornato

di Michael Novak

IL GOVERNO TRA CONFUSIONE E ARROGANZA

robabilmente l’enciclica Humanae Vitae, scritta da Paolo VI alla fine del luglio 1968 e pubblicata esattamente quarant’anni fa, è il testo che ha generato più “risate”di qualsiasi altro fra quelli della dottrina cattolica. In essa il Papa più discusso della storia previde che controllare le nascite attraverso “metodi artificiali” avrebbe finito per corrompere le persone e distruggere la società. Mirabile dictu: improvvisamente si è rivelato al mondo ciò che era sotto gli occhi di tutti. Una moltitudine di ricerche empiriche ha confermato le previsioni di Paolo VI. Nessuno ha portato avanti queste conclusioni con la sistematicità di Mary Eberstadt nel suo convincente saggio La difesa di Humanae Vitae, pubblicato nell’ultimo numero di First Things, ma il libro del 2002 di George Weigel, The courage to be Catholic, aveva già provocato un ripensamento in materia. Paolo VI fece tre previsioni nel 1968: che i metodi contraccettivi avrebbero reso più semplice l’infedeltà coniugale e continuato ad abbassare i livelli di moralità generale; Di più: che «un uomo che cresce abituato all’uso dei contraccettivi potrebbe dimenticare il rispetto dovuto a una donna, e, ignorando il suo equilibrio fisico e sentimentale, ridurla a mero strumento di soddisfazione dei suoi desideri, smettendo di considerarla la compagna alla quale provvedere con cura e affetto»

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9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80730

Berlusconi di fronte a quattro pasticci: la norma sui precari, il taglio degli assegni sociali, il diktat sulla vigilanza Rai, l’attacco dell’Europa sui Rom. E ieri la maggioranza è andata sotto alla Camera. La colpa sta nel metodo: decidono in pochi, senza discutere con nessuno spesso mescolando autoritarismo e incompetenza...

Soviet Pdl alle pagine 2 e 3

se gu e a p ag in a 4

Lo annuncia Pier Ferdinando Casini

Colloquio con Giulio Andreotti

«Cominciamo la battaglia per le preferenze»

«Gli uffici statali non sono all’altezza»

di Francesco Capozza

di Valentina Meliadò

di Bruno Cortona

di Francesco Cannatà

«Avvieremo una sottoscrizione popolare per reintrodurre le preferenze nella legge elettorale». Lo ha annunciato il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, a margine della direzione nazionale del partito.

Molti ritengono che le leggi, oggi, siano scritte male e risultino inapplicabili perché il legislatore non si avvale più dell’aiuto dei giuristi. Abbiamo chiesto un parere al senatore a vita Giulio Andreotti.

La storia delle Olimpiadi è sempre stata segnata dalla politica internazionale. Dal primo indipendentista irlandese alla Guerra fredda. Ma i Giochi hanno rappresentato anche l’occasione per sanare vecchi conflitti.

Per anni l’Aja si è chiesta se «la leggenda nera del popolo serbo-bosniaco» sarebbe arrivata in aula. Ieri l’estradizione è stata rinviata, ma la cattura di Karadzic ha restituito legittimazione alla giustizia internazionale.

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nell’inserto Occidente a pagina 12

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MERCOLEDÌ 30 LUGLIO 2008 • EURO 1,00 (10,00

Dal 1906 a oggi, tutti i boicottaggi delle Olimpiadi

Pechino 2008: i giochi della politica

CON I QUADERNI)

• ANNO XIII •

NUMERO

143 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

Ma lo ”psichiatra” sarà presto all’Aja

Karadzic, estradizione rinviata

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 30 luglio 2008

prima pagina

Da un’intesa ristretta tra la Lega di Bossi e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti (nella foto con il ministro di An alle Infrastrutture Altero Matteoli) è nata la modifica alla manovra sugli assegni sociali che ora la maggioranza è costretta a rivedere con un emendamento, già annunciato ieri da Vito e Vegas. La modifica impone un ulteriore passaggio a Montecitorio

Decisioni ristrette a pochi. Ritmi compulsivi. Così, dagli assegni sociali al milleproroghe, l’esecutivo è costretto a continue correzioni

Il governo degli “autopasticci“ di Errico Novi

ROMA. La differenza? Semplice: Forza Italia è una macchina leggera, e a suo modo perfetta, il governo invece è una struttura pesante, articolata. È per questo che il metodo non funziona. Ha dato ottima prova di sé per quattordici anni con il partito: decisioni semplificate e spettanti nella sostanza al solo leader, con limitati margini di delega. Quello di via dell’Umiltà è l’unico esempio di partito leninista esistente in Italia, si è detto spesso. L’errore consiste nel pretendere di trasferire la filosofia all’attuale esecutivo. Non può essere la stessa cosa. Tanto più se i centri di decisione, com’è ovvio, si duplicano. E se, in uno dei casi in questione, una norma delicata come quella sui precari viene promossa con un’intesa ristretta a uno solo dei ministri economici, Tremonti, e a una sola componente della maggioranza, la Lega. Il minimo che possa accadere è che altri esponenti del governo, Brunetta e Sacconi, facciano avvertire il proprio malumore e ottengano un rimando a settembre (con il ddl sulla finanziaria) della norma. Se poi l’iniziativa ristretta viene complicata dai tempi compulsivi della decretazione d’urgenza capita che si debba fare retromarcia immediatamente. Assegni sociali. E così l’emendamento – anche questo leghista – che avrebbe rischiato di bloccare l’assegno sociale anche per casalinghe, anziani nullatenenti e suore costringerà la maggioranza a

far tornare la manovra a Montecitorio: ieri il ministro dei Rapporti con il Parlamento Elio Vito e il sottosegretario all’Economia Giuseppe Vegas hanno annunciato la correzione della norma, dopo l’esplosione del caso sui media. Nella nuova formulazione si dichiara in modo esplicito che il blocco degli assegni riguarda solo gli extracomunitari.

to superato il bicameralismo perfetto o modificati i regolamenti. Ha cercato di spiegarlo anche Napolitano, lunedì scorso. Oltretutto procedere a tappe forzate implica è un principio che mal si combina

Milleproroghe. Una sconfitta imprevista. D’altronde il metodo soviet non può reggere alla prova di una democrazia parlamentare. Né si può procedere come se già fosse sta-

con l’imprevedibilità dei parlamentari. Ieri alla Camera ne mancavano 67 del Pdl e 17 del Carroccio: e così, anche grazie all’astensione di tre leghisti presenti in aula, il go-

dibattito neanche sulle norme per il censimento dei rom. Anche in un caso del genere ci sono rischi inevitabili. E ieri infatti il commissario per i diritti umani del Consi-

Vigilanza Rai. L’indisponibilità al dialogo non provoca

ROMA. Paolo Pombeni non nasconde che in un paese come l’Italia, dove per risolvere qualsiasi problema si impiegano tempi biblici, le decisioni sarebbero ben gradite. Ma da questo buon auspicio a quello che lui stesso definisce «thatcherismo staccione» c’è una grande differenza. Quindi il politologo ed editorialista de Il Messaggero, invita le forze politiche ad un confronto civile. E lancia l’allarme: «Se passa la cultura dei colpi di mano, secondo la quale basta trovare tre parlamentari consenzienti per infilare nel sonno generale questo o quell’altro provvedimento si sarebbe allo sbando totale». Professore, come giudica questo modo di governare il Paese? Non è la cosa migliore per due ragioni: da un lato perché se-

gnala il fatto che c’è un protagonismo e qualche connessione particolare all’interno delle forze di governo. Dall’altro perché si finisce per far passare l’idea che il confronto sia inutile: invece quest’ultimo è fondamentale in una democrazia. Purtroppo bisogna ammettere che in un sistema come il nostro nel quale - i tempi di soluzione di qualsiasi problematica sono infiniti e si rischia di perdere anche la memoria di chi ha dei meriti - si incentiva questa voglia di protagonismo e decisionismo. Che rischia di diventare un’esigenza di scorciatoie. E questo è davvero pericoloso. Cosa bisognerebbe fare per evitare queste scorciatoie? Bisognerebbe riuscire a ottimizzare i tempi del confronto, evitando che diventino lunghis-

simi. Ma senza abolirli perché ripeto - in una democrazia esso è fondamentale. Ma cosa sta accadendo realmente? Stiamo ad un thatcherismo all’italiana che è un thatcherismo un po’ straccione. Dobbiamo ricordarci che non siamo la Gran Bretagna. Quindi ci si è infilati in un circolo vizioso. A suo avviso quanto questo atteggiamento si tradurrà in un calo di consenso per l’esecutivo? Rispetto al governo di prima che non riusciva a decidere su niente, quello attuale - certo attraverso colpi di mano e a volte attraverso colpi di testa - si dà da fare. Quindi, in quella che Giovanni Sartori definisce opinione pubblica media, non penso che ci sia un calo di credibilità. Il problema è un altro: que-

I limiti del decisionionismo secondo il politologo

«Questo thatcherismo straccione ci porterà al disastro» colloquio con Paolo Pombeni di Francesco Rositano

verno è stato battuto su un emendamento al decreto milleproroghe. La modifica imporrebbe un nuovo passaggio a Palazzo Madama entro sabato prossimo. Norme sui rom. Non c’è stato

Dopo le proteste di opposizione e sindacati per il taglio alla previdenza minima, la maggioranza sarà costretta a riportare la manovra alla Camera

glio d’Europa, Thomas Hammarberg, ha accusato Roma di «non tenere conto dei principi umanitari» nelle misure adottate. Anche in questo caso il criterio politico seguito era stato piuttosto limitante: un intervento voluto dalla Lega senza spazi per un dibattito all’interno della maggioranza. Di fatto il Carroccio è l’unico soggetto politico che ha diritto ad interloquire con i pochi veri centri di decisione: oltre al premier, Tremonti e a fasi alterne Brunetta.


prima pagina solo danni interni. Rallenta fatalmente tutte le istituzioni. E ieri c’è stata l’ennesima fumata nera nella commissione bicamerale di controllo sulla tv pubblica. Non poteva andare diversamente, considerato che in mattinata i due capigruppo del Pdl, Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, avevano ribadito che non potrà esserci accordo sul nome di Leoluca Orlando, e su nessun altro dell’Italia dei valori, anche se resta intatto il principio secondo cui a guidare gli organismi di garanzia devono essere uomini dell’opposizione. Ci sarà un nuovo tentativo, inutile anche questo, domani pomeriggio. La fermezza nel no rischia di vanificare anche l’auspicio di Napolitano, secondo il quale la pausa di riflessione estiva dovrebbe consentire di sbloccare situazioni come questa. Di certo l’atteggiamento della maggioranza crea una tensione inedita attorno alla Vigilanza. E giustifica in pieno l’occupazione di San Macuto da parte dei radicali. Militari. Dal Viminale è stata diffusa la mappa delle destinazioni delle tremila unità dell’esercito nelle città. Non c’è nulla di ufficiale, invece, sul malumore delle gerarchie militari. Se n’è dovuto far carico proprio Leoluca Orlando, che ieri ha duramente attaccato La Russa. Poi capita che nella manovra sia prevista anche una moratoria speciale per i militari che vogliono andare in pensione a poco più di cinquant’anni. Sembra un contentino. Probabilmente è solo l’ennesimo pasticcio generato dalla confusione.

sto tipo di decisionismo funziona bene nell’immediato, ma ha un respiro molto corto. Perché da un lato corre il rischio di incitare atteggiamenti poco responsabili. Infatti se esso può portare a risolvere i grandi problemi, anche se non nel migliore dei modi, potenzialmente corre il pericolo di avere una pecca: quella che si vada avanti a furia di colpi di mano. Con la conseguenza che il paese rischi di essere completamente allo sbando perché si diffonde il pensiero che basti trovare tre parlamentari consenzienti per infilare in qualsiasi leggina, nel sonno generale, questo o quell’altro provvedimento. Non è che questa sia una cosa molto vantaggiosa. Poi credo che effettivamente il confronto, se è serio, è sempre arricchente.

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Università, etica ed economia: i limiti dell’azione di governo

Cento giorni da dimenticare di Luisa Santolini iamo arrivati al termine dei lavori parlamentari. Tra pochi giorni la Camera e il Senato chiuderanno i battenti per la pausa estiva e pochi giorni fa la Camera ha votato la terza fiducia al governo sulla manovra finanziaria che per la prima volta viene votata prima dell’estate. Alla ripresa autunnale ci saranno aggiustamenti e ulteriori provvedimenti, ma la manovra dell’estate è decisiva e ha delineato gli orientamenti dell’Esecutivo per i prossimi tre anni. Ebbene si stanno concludendo i famosi primi cento giorni di questa maggioranza e di questo governo ed è tempo di fare un breve commento ai tanti provvedimenti che sono stati approvati dalla maggioranza e alle tante relazioni che i ministri hanno tenuto nelle Commissioni parlamentari competenti.

S

Una prima osservazione riguarda da vicino il futuro delle famiglie italiane e non si può dire che ci siano buone notizie. In campagna elettorale era stato detto e ridetto, dal Partito delle libertà a partire dal suo premier, che sicuramente ci sarebbero stati provvedimenti a favore delle famiglie a partire dal quoziente familiare per finire alla libertà di scelta educativa. Ebbene in tutte le leggi approvate, dal decreto fiscale – quello per capirci che riguardava l’Ici la detassazione degli straordinari e la revisione dei mutui – al Dpef, alla manovra finanziaria, di misure per la famiglia non c’è nemmeno l’ombra, perché, come ebbi modo di scrivere su questo giornale, l’Ici e i mutui riguardano tutti i proprietari di case e la detassazione degli straordinari riguarda tutti i lavoratori, dunque non ci sono misure specifiche per le famiglie che facciano la differenza tra chi ha carichi familiari e chi non ne ha. Non solo, ma nel Dpef e nella manovra fiscale non c’è nemmeno la parola famiglia e così sfuma la speranza che dalle detrazioni varate dal governo Prodi si potesse passare alle deduzioni che sono molto più corrette e vantaggiose per le famiglie. Insomma le famiglie possono attendere. Parlando con autorevoli esponenti della maggioranza e del governo mi è stato assicurato che se ci sarà un “tesoretto”sarà interamente usato per questo scopo, ma, hanno aggiunto subito dopo, la previsione è che l’economia andrà male, arriverà una seria e preoccupante crisi economica con relativi ulteriori sacrifici per i lavoratori e per le loro famiglie. Dunque le famiglie aspetteranno a lungo. Le cattive notizie non sono finite: siccome il governo ha giustamente deciso di arrivare al pareggio di bilancio entro il 2011 secondo gli accordi presi in sede europea, le tasse aumenteranno (è scritto nel Dpef a chiare lettere) e arriveranno alla stessa percentuale del gover-

Nel Dpef e nella manovra non c’è nemmeno la parola famiglia e così sfuma la speranza che dalle detrazioni varate dal governo Prodi si potesse passare alle deduzioni che sono molto più corrette e vantaggiose

no Prodi. Quindi non è immaginabile che l’economia familiare possa migliorare nei prossimi anni, anche perché, come è noto, il governo ha previsto tagli molto consistenti in tutti i campi della pubblica amministrazione comprese le Università, che hanno già fatto sapere che si vedranno costrette ad aumentare le tasse universitarie (una media di 100 euro per ogni studente).

Non solo ma l’inasprimento delle tasse previste dalla Robin Hood tax che toglie ai grandi gruppi finanziari e non per dare sostegno ai meno fortunati in realtà si tradurrà in un inasprimento dei costi e le tasse le pagheranno i cittadini, come ha dichiarato il Governatore della Banca d’Italia. Intanto i prezzi salgono, il potere d’acquisto scende e i consumi pure. Non è un quadro confortante. E’ vero che il governo ha accettato ordini del giorno della sottoscritta e di altri colleghi e ha accettati tre mozioni (dell’Udc, della Lega e del PdL) molto espliciti, che lo impegnano ad avviare seri provvedimenti fiscali a favore delle famiglie, anche per rispondere alla richiesta di un milione e mezzo di famiglie in tal senso, ma gli atti del governo non fanno presagire nulla di buono e c’è di che essere preoccupati. Il ministro Bondi e il ministro Gelmini in commissione Cultura hanno promesso provvedimenti di ampio respiro e innovativi nei rispettivi campi di competenza per i prossimi anni: piani e programmazioni condivisibili certamente, ma che rischiano di diventare un libro dei

sogni se non ci saranno investimenti seri, perché le novità e i cambiamenti nel campo della scuola e della università e nel campo dei Beni culturali non si fanno a costo zero, a partire dall’aumento degli stipendi agli insegnanti per arrivare al riconoscimento della parità della scuole non statali. Si potrebbero commentare il Lodo Alfano o il Pacchetto sicurezza, ma lascio ad altri questo compito.

Un’ultima nota amara: si riaffacciano con prepotenza i temi bioetici e la drammatica vicenda di Eluana Englaro ne è la dimostrazione più evidente. Non mi pare che il Parlamento sia pronto ad affrontare in modo incisivo e trasversale le sfide che ci attendono. È vero che il Senato, grazie anche al presidente Schifani e a molti senatori della maggioranza, voterà e approverà il conflitto di competenze tra il Parlamento e la Corte di Cassazione presso la Corte Costituzionale, ma il Pd è chiaramente in difficoltà a sostenere questa tesi per la presenza dei radicali, e non solo, nelle proprie fila e anche nel PdL è subito partita una iniziativa dei cosiddetti laicisti che si sono subito mossi per contrastare questa presa di posizione. Sono temi che i due grandi partiti “soffrono” molto e diventa sempre più difficile pensare una alleanza trasversale vincente che respinga tutti gli assalti ai temi della vita, della bioetica, della famiglia e della educazione.Vedremo come finirà questa tristissima vicenda, ma sono sempre più convinta che occorra una mobilitazione delle coscienze nel Paese per superare le difficoltà e gli ostacoli che si profilano anche nelle aule parlamentari. Speriamo che la pausa estiva non porti una accelerazione negativa e che Eluana possa continuare a vivere la sua vita “diversa” ma tanto dignitosa e vera come quella di molti disabili gravissimi amati e assistiti dalle loro famiglie. E speriamo di registrare in futuro una attenzione più seria e più credibile ai problemi delle famiglie che guardano con preoccupazione crescente il loro futuro.


biopolitica

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Riletture. Quarant’anni fa Paolo VI promulgava l’“Humanae Vitae“: all’inizio fu derisa, ma oggi è di grande attualità

Il ’68 dell’aborto Si stanno avverando le previsioni di Montini sul controllo delle nascite di Michael Novak

s eg u e d a l l a p r i ma p a g i n a PAOLO VI, tuttavia, non previde che le donne avrebbero cominciato a rispettare meno se stesse e a trattare il sesso in modo grossolano).Terzo, la separazione del sesso dalla procreazione poteva indurre i governi a regolamentare le nascite, anche attraverso la coercizione: «Chi impedirà alle autorità pubbliche di favorire i metodi contraccettivi che considerano più efficaci? Potrebbero ritenerlo necessario ed arrivare ad imporre il loro uso a tutti». Egli sottintendeva che lo stesso aborto poteva finire ad essere considerato come contraccettivo definitivo e diventare sempre più comune, perfino imposto.

In generale, Paolo VI vedeva la sessualità in termini filosofici ed etici piuttosto rigorosi. Marito e moglie dovevano lavorare per una “completa padronanza” delle loro esigenze fisiche, al fine di onorarsi l’un l’altro ed avere lo stimolo per continuare a farlo. La maggior parte delle coppie, in effetti, si rispetta per un po’ di tempo, altre per la maggior parte del tempo, ma poche riescono a farlo per sempre. Da un punto di vista puramente filosofico è un insegnamento molto difficile, e comunque il Papa previde che il calo d autocontrollo nel matrimonio si sarebbe diffuso all’intera società. Egli riteneva che anche i regimi politici ne avrebbero sofferto perché ci sarebbe stata una lenta, crescente incapacità dei cittadini di fidarsi l’uno dell’altro, e l’attitudine a lasciar soli i propri governi (questo aspetto ricorda il confronto di Tocqueville tra il forte legame del matrimonio negli Stati Uniti e quello nella Francia lasciva del 1835). Nei lunghi anni dopo il 1968, molti mali misero radici nella Chiesa. La maggior parte dei

cattolici occidentali si allontanò dai precetti di Humanae Vitae; in tutti questi anni ricordo di aver sentito solo un sermone avanzare qualche breve argomento contro gli effetti corrosivi della contraccezione, e offrire una visione speciale della vita coniugale cattolica. Peggio ancora, molti sacerdoti si sono abituati a parlare raramente, o mai, di autocontrollo, e molti

provocato alla Chiesa qualche grave imbarazzo, ma, quarant’anni dopo Humanae Vitae, Eberstadt e Weigel sono giunti alla conclusione che non è più così facile affermare che Paolo VI diffondeva un pessimismo irrealistico. Ci sono, sicuramente, intrepidi filosofi – uno tra tutti, Elizabeth Anscombe – che avanzano rigorosi ragionamenti per screditare gli insegna-

La maggior parte dei credenti si allontanò dai precetti di Humanae Vitae; ricordo di aver sentito solo un sermone avanzare qualche argomento contro gli effetti corrosivi della contraccezione e offrire una visione speciale della vita coniugale cattolica sono diventati riluttanti a parlare di sessualità in generale, o di castità. In questo deserto alcuni si sono concessi la stessa indulgenza che il loro silenzio consentiva ai laici, e qualcuno ha

Relativismi a mezzo stampa

L’allegra brigata dei laicisti di Luca Volontè

Paolo VI vedeva la sessualità in termini filosofici ed etici piuttosto rigorosi. Marito e moglie dovevano lavorare per una “completa padronanza” delle loro esigenze fisiche, al fine di onorarsi l’un l’altro e avere lo stimolo per continuare a farlo sione del matrimonio risiede nella filosofia che si avvale del sostegno della teologia.

menti della Chiesa considerati più ridicoli e tenaci, ma da quando la “natura” umana ha perso il suo delicato equilibrio in fatto di sessualità, la vera forza in questa ormai insolita vi-

Subito dopo l’elezione nel 1978, Giovanni Paolo II rimarcò l’unità indissolubile di anima e corpo nella persona umana. Non possediamo semplicemente un corpo che fa parte di noi, ma siamo corpi inspirati, o, detto in altro modo, spiriti incarna-

ti. Corpo e anima sono una cosa sola. Seguendo questa linea, Giovanni Paolo II passò dall’ambito della filosofia all’orizzonte della fede: il corpo di ogni essere umano è un tempio dello Spirito Santo, cioè di Dio Uno e Trino che rivela la propria identità come Comunità di persone divine. Una sola Comunione, tante persone distinte. Dunque dovremmo onorare i nostri cor-

l troppo stroppia. Quanto la saggezza antica sia la più moderna, lo vediamo limpidamente nelle recenti pagine dei cosiddetti maggiori quotidiani. L’oggetto delle ingiurie dei “circolanti adoratori del relativismo”, è sempre lo stesso: la Chiesa Cattolica. In questo stranissimo “club”, composto per lo più da seguaci della dea morte e pur tuttavia non coerenti sino al suicidio personale, ci sono nomi altisonanti, noti per essere sempre gli stessi da 40 anni ad occupare le medesime pagine dei quotidiani con idee sempre uguali. C’è chi da scienziato della politica si occupa di “abbattimento” demografico, chi si è trasformato da ambasciatore a mistificatore delle cose di Chiesa, c’è persino un giovane monogamo come Scalfari che dalla “lettera 22”passa alla scienza e filosofia

della politica, aritmetici divenuti storici speculatori, ragazzi in erba traformati in teologi senza nessuna divinità... L’allegra e mortifera armata ci consente di sorridere, ogni qualvolta ritroviamo i sussurri delle loro scorribande d’inchiostro. Recentemente Adriano Prosperi si inseriva nella polemica sulla sentenza di morte per Eluana. Affermando semplicemente, per il sol fatto di metterlo in bell’italiano, le medesime idee del padre della Englaro, pensava di raccogliere fiori di approvazione. Eluana è un malato terminale (non è vero) e quindi bisogna lasciarla morire e introdurre il testamento biologico; si faccia tutti un passo indietro (rispetto alla sentenza di morte) e nemmeno più si parli di questa condannata a morte. Sinceramente per questa scien-

za infusa, si sarebbe fatto fatica a trovare un “becchino” disposto a far affermazioni in questo senso, si è privilegiato un professore per far apparire il tutto più dignitoso e apprezzabile. La bugie, seppur pomposamente affermate, sono sempre tali. Consentitemi una ultima chicca, il “pulzello”di casa De Benedetti, l’Eugenio che volò tra i “repubblichini” e i “repubblicani” senza batter ciglio, s’abbassa a disquisire con Habermas su laicità e spazio pubblico della fede. Un gesto altisonante d’umiltà, da colui che si pensa erede di Nietzsche, che infatti conclude il suo sproloquio accusando il più grande filosofo vivente, d’esser «un po’ appannato». Il tedesco sarebbe tale perché è d’accordo con il Papa, e con il buon senso, sul pericolo del laicismo che vuole rinchiudere la fede nel privato.

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biopolitica

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Eutanasia. Il caso Eluana e i dubbi sul ruolo della magistratura

La Cassazione non è “padrona della vita” di Raffaele Calabrò onosciamo bene il caso di Eluana Englaro. La magistratura parte da alcune enunciazioni contenute nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Uomo della Ue, ratificata dal Parlamento, nonché dal codice di deontologia medica, che affermano come il consenso libero e informato del paziente sia un diritto fondamentale della persona e che ”il medico debba attenersi nel rispetto della dignità, della libertà e dell’indipendenza professionale, alla volontà di curarsi, liberamente espressa dalla persona”. Lo stesso codice di deontologia medica, tuttavia, sancisce che ”il medico anche su richiesta del malato non deve effettuare o favorire trattamenti diretti a provocarne la morte”. Ma la Cassazione presuppone due punti: 1) che ”il trattamento sanitario di idratazione ed alimentazione è suscettibile di dar luogo ad accanimento terapeutico, con la conseguenza che l’eventuale richiesta da parte del tutore, di interruzione del trattamento non rientrerebbe nell’ipotesi di eutanasia” e 2) che l’interpretazione della volontà del paziente, in assenza di elementi chiari ed inoppugnabili, può essere assunta ”sulla base delle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona”.

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pi come la dimora di questa Comunione Divina, e questo è il motivo per cui il Cristianesimo, più di qualsiasi altra religione al mondo, insiste sul fatto che i nostri corpi inspirati – non solo le nostre anime – risorgeranno e saranno con Dio dopo la morte. Questa non è una religione che prova vergogna del corpo umano, ma che lo onora come una dimora adatta a Dio.

Come, dice il solito Eugenio? La fede cattolica, figlia della pretesa di Cristo d’esser Verità,Via e Vita, è incompatibile con la democrazia proprio per la sua assolutezza e quindi spazio pubblico per tutte le fedi ma non per i cattolici. In conclusione, vorrebbe far tornare in cattolici nelle catacombe, imporre loro l’abiura o la sottomissione alla “propria” idea di laicità soffocante, simile a quella di Diocleziano o Hitler. Si sa, a chi capita di rinchiudersi al buio per lunghi periodi di tempo, un barlume di luce fa veder le cose tutte “appannate”, e Scalfari vorrebbe tutti al buio per far osannare i “suoi” cavalieri delle ombre come nuove “luminose guide” dell’umanità. Nessun preconcetto, non essendoci nessun concetto.

Secondo un altro concetto teologico è nell’unità dell’uomo e della donna che gli umani riflettono al meglio l’immagine di Dio, l’immagine di questa Comunione che è la vita interiore di Dio. Non solo l’uomo, non solo la donna, ma la loro comunione, e questa è una ragione fondamentale per cui il matrimonio monogamo è onorato sopra qualsiasi altra relazione umana, e perché sia, come ha scritto S. Tommaso, la più nobile delle amicizie (un’altra ragione è che in tale comunione le due persone ottengono eguale rispetto, pur rimanendo intatte le loro differenze).

Ovviame n t e la concezione cattolica della sessualità non è attraente per tutti, e – ovviamente - molti cattolici non la vivono così, tuttavia l’improvvisa rottura del ghiaccio che impediva una onesta lettura di Paolo VI, e la libera circolazione di un pensiero critico, offre margini per credere che la denigrazione di Humanae Vitae stia cominciando a diminuire. Secondo Mary Eberstadt il Dio che ci ha donato la nostra sessualità aveva un grande senso dell’umorismo, ma per conoscerne tutte le ironiche sfaccettature bisogna prima capire lo scopo dell’intera faccenda. Questa è la strada che Humanae Vitae ci pone davanti.

tuiscono atti eticamente e deontologicamente doverosi nella misura in cui contribuiscono ad eliminare le sofferenze del malato terminale e la cui omissione realizza un’ipotesi di eutanasia passiva. Nè si possono non valutare negativamente le considerazioni da cui parte la Cassazione.

Come può la magistratura farsi interprete della volontà di Eluana e della sua concezione di dignità, basandosi così come afferma, sulla ”sua personalità, sul suo stile di vita e sui suoi convincimenti”; tutto questo in assenza di una benchè minima traccia scritta, ma solo su sensazioni, impressioni e sentiti dire. La magistratura dimentica che Eluana quando è entrata in coma era poco più di una ragazza e avrebbe potuto cambiare idea migliaia di volte. Non solo. Il giudice, pur affermandolo nelle premesse, sembra poi ignorare che nel nostro ordinamento vige il principio dell’autodeterminazione terapeutica, in virtù del quale un malato, capace di intendere e di volere, deve fornire per iscritto il proprio consenso informato al trattamento sanitario proposto dal medico curante, mentre nell’ipotesi di un grave pericolo per la salute del malato, l’eventuale dissenso al trattamento deve essere espresso o provato in maniera inequivocabile. Non si comprende, allora, secondo quali principi la Corte arrivi a ritenere sufficiente non già un documento scritto, bensì una presunta ricostruzione della volontà del malato fondata sull’analisi indiretta e testimoniale della personalità, dello stile di vita e dei convincimenti in un’epoca anteriore alla malattia stessa.Tale ricostruzione si fonda su elementi presuntivi, decisamente inadeguati a dimostrare la sussistenza di una volontà ed aventi conseguenze gravissime e lesive della stessa vita del malato. Troppe volte la magistratura ha invaso il campo del legislatore, ma davanti ai temi eticamente sensibili non si può tollerare un’ingerenza del potere giudiziario ai danni del legislativo. È il Parlamento, investito della legittimità popolare, l’unico organo deputato a decidere su questioni così controverse e delicate e che toccano le diverse sensibilità del Paese. Ci auguriamo che presto la mozione venga approvata e che in tempi ragionevolmente brevi possa essere emanata una legge sul trattamento di fine vita, che si ispiri ai veri principi di dignità della persona e di precauzione, in virtù del quale, in assenza di prove scientifiche certe, sono da considerare legittime e preferibili tutte quelle azioni volte alla maggiore tutela del diritto alla salute. Ma è soprattutto il diritto alla vita che va strenuamente difeso, a prescindere dallo stato di coscienza o incoscienza della persona. E questa è l’unica certezza morale e giuridica di cui tutti, laici e cattolici, dovremmo farci portatori. senatore Pdl membro commissione Sanità

L’augurio è che si faccia una legge ispirata ai principi della dignità della persona e di tutela del diritto alla salute

È su questi due punti che vorrei soffermarmi, sottolineando che il principio ispiratore delle espressioni di volontà del paziente presuppone sì che ogni persona ha il diritto di esprimere i propri desideri e la propria volontà attuale, anche in modo anticipato, in relazione a tutti i trattamenti terapeutici e a tutti gli interventi medici, ma esclude evidentemente - né potrebbe essere diversamente - che tra le dichiarazioni anticipate possano annoverarsi quelle in contraddizione con il diritto positivo, con le norme di buona pratica clinica e con la deontologia medica. E al riguardo appare quasi superfluo sottolineare che l’ordinamento giuridico italiano sancisce chiaramente il principio dell’indisponibilità della vita. Ne consegue che il paziente, attraverso le dichiarazioni anticipate, non può legittimamente chiedere ed ottenere interventi eutanasici a suo favore: il diritto che si intende riconoscere al paziente è quello di orientare i trattamenti cui potrebbe essere sottoposto, ma non è certo un diritto all’eutanasia, né un diritto soggettivo a morire. E quindi, come dobbiamo considerare la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale autorizzate dalla Corte d’Appello? Non rientrano l’alimentazione e l’idratazione artificiale, né nella pratica clinica, né nel comune sentire tra le ipotesi di interventi di sostegno vitale di carattere straordinario; essi, anzi, costi-


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politica

Ieri la direzione nazionale dell’Udc che ha affrontato anche il tema delle allenze

«Comincia la battaglia per le preferenze» d i a r i o

di Francesco Capozza

d e l

g i o r n o

Base Vicenza: accolto ricorso governo Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Difesa contro l’ordinanza del Tar del Veneto che il 18 giugno scorso aveva accettato la domanda di sospensione dei provvedimenti relativi alla realizzazione del progetto ”Dal Molin” di ampliamento della Base militare Usa di Vicenza. La quarta sezione del Consiglio di Stato ha ribaltato la decisione dei giudici del tribunale amministrativo regionale che avevano ritenuto fondati i motivi del ricorso presentato nel settembre 2007 dal Codacons del Veneto e dall’ Ecoistituto Alex Langer di Mestre contro la realizzazione della base militare. Ecco alcuni passaggi: «Il consenso prestato dal Governo italiano all’ampliamento dell’insediamento militare americano all’interno dell’Aeroporto Dal Molin è un atto politico, come tale insindacabile dal giudice amministrativo, secondo un tradizionale principio sancito dall’art. 31 del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato».

Alfano: 41 bis per Madonia

o ha annunciato il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, conversando a margine della direzione nazionale del partito con i giornalisti: «Avvieremo una sottoscrizione popolare per reintrodurre il sistema delle preferenze nella legge elettorale nazionale. Non c’è, infatti, meccanismo peggiore che pensare ad una classe politica nominata dall’alto». Una battaglia quella di Casini che si affianca a quella promossa dal segretario Lorenzo Cesa che nella sua relazione ha affermato: «Il nostro orizzonte deve essere quello di creare, anche in Italia, un bipolarismo virtuoso, dove i governi poggino su coalizioni stabili e operose perché costruite su scelte condivise e non su uno stato di necessità. Devo dire sinceramente di credere poco alla formazione di un terzo polo».

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E venendo al tema delle alleanze, Cesa ha aggiunto: «A chi ci accusa di essere ambigui, rispondo che noi non siamo equidistanti e che non stiamo applicando la politica dei due forni. Noi, semplicemente, stiamo mettendo gli altri alla prova, stiamo ponendo sia il Pdl che il Pd dinanzi alle loro responsabilità, per capire dove e con chi sia possibile costruire un solido futuro per il sistema Paese». Poi, anche in vista delle elezioni europee del 2009, ha affrontato il tema delle alleanze: «La ricetta che noi dobbiamo proporre è quella di una semplificazione del quadro politico che si concili con la governabilità e con il pluralismo e che per questo si arresti un passo prima di compromettere l’equilibrio democratico». E ha precisato: «Non entreremo mai in coalizioni o governi locali insieme a forze

di sinistra». Tuttavia, non ha mancato di aggiungere: «La tornata amministrativa del 2009 sarà di ampie proporzioni e dovrà vederci inseriti necessariamente in una logica di alleanze su tutto il territorio nazionale».

D’altronde, anche Pier Ferdinando Casini – parlando a Todi lo scorso fine settimana – aveva detto che “ non siamo mica frati trappisti”riferendosi alla necessità di non rimanere isolati politicamente e di dover scegliere (“caso per caso”) con chi stringere alleanze. Sul dialogo con il governo Berlusconi Cesa ha nuovamente ribadito la posizione del partito «che è anzitutto di disponibilità a quelle riforme e a quegli interventi strutturali di cui il paese ha assoluto bisogno per uscire dalla difficoltà in cui si trova. Sta in questo la nostra “opposizione repub-

fase costituente: «Io sono segretario nazionale dell’Udc - ha affermato - e mi trovo per questo, come tutti voi che di questa forza siete la classe dirigente, a ricoprire un duplice, delicato ruolo: rappresentare uno dei cinque partiti sopravvissuti al cataclisma elettorale di aprile, ma essere anche al vertice della forza politica che ha avviato e sostiene il processo costituente per andare oltre se stessa e creare qualcosa di nuovo nel panorama politico italiano».

Cercare, quindi, qualcosa di nuovo nel panorama politico italiano è l’obiettivo che l’Unione di Centro si deve porre. «In questo senso – ha poi affermato Cesa - mi pare di poter sottolineare la presenza di elementi di difficoltà tanto nel Pdl quanto nel Pd che certamente non vanno enfatizzati, ma che danno un senso più concreto al percorso dell’Udc per rafforzare se stesso e procedere verso la Costituente di centro». D’accordo con il segretario politico anche il leader dell’Unione di centro Pier Ferdinando Casini che, conversando con i giornalisti prima della direzione nazionale del partito, ha anche annunciato che avvierà «un’iniziativa estiva, una sottoscrizione popolare per reintrodurre il sistema delle preferenze nella legge elettorale nazionale» ed in tal senso ha aggiunto che «non c’è meccanismo peggiore che pensare ad una classe politica nominata dall’alto». A chi gli chiedeva, infine, un’opinione sulla ventilata reintroduzione dell’immunità parlamentare Casini si è detto «perfettamente d’accordo con i presidenti Gianfranco Fini e Renato Schifani: non è questo il problema degli italiani».

Cesa: «Il nostro orizzonte deve essere quello di creare un bipolarismo virtuoso, dove i governi poggino su coalizioni stabili perché costruite su scelte condivise. E non su uno stato di necessità» blicana”, nella capacità di distinguere tra le cose che non vanno e sulle quali bisogna dare battaglia a maggioranza e governo, e quelle che invece vanno sostenute, senza ipocrisie e senza pregiudizi, nell’interesse esclusivo del paese, anche se a proporle è Berlusconi. È proprio per questo che abbiamo confermato, di recente, la nostra disponibilità a concorrere ad una seria riforma della giustizia o a misure intelligenti a favore della sicurezza degli italiani». Poi si è soffermato sul futuro del partito e sul suo rapporto con i movimenti che hanno dato vita al gruppo parlamentare dell’Unione di Centro e che si stanno preparando ad una

«Tornando a Roma, oggi, firmerò il provvedimento che applica il 41 bis al boss Nino Madonia, il quale fece esplodere l’autobomba che il 29 luglio del 1983 uccise in via Pipitone Federico il giudice Rocco Chinnici, gli agenti della scorta e il portiere dello stabile dove abitava il magistrato». L’ha detto a Palermo il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, intervenuto sul luogo della strage per commemorare il magistrato. «Questo provvedimento è stato reso possibile anche dall’impegno dei magistrati della Dda di Palermo e di quelli del Dap», ha aggiunto Alfano che ha ricordato i due annullamenti, da parte della Cassazione, dell’applicazione del carcere duro a Madonia, condannato per l’omicidio del generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa e per diversi altri delitti di mafia. Il boss è esponente della ”famiglia” del quartiere palermitano di San Lorenzo.

Alemanno: «No ai pattugliamenti» I militari non pattuglieranno la Capitale. Lo ha detto il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, in merito al contenuto del decreto legge sulla sicurezza approvato ieri. «I militari saranno solo utilizzati in posti fissi del territorio extraurbano, a cominciare dai Cpt» ha aggiunto il primo cittadino a margine della firma del Patto per Roma Sicura: «Si eviteranno pattugliamenti di tipo militare».

Naufragio nel canale di Sicilia: 7 morti Tragedia nel Canale di Sicilia. Nel naufragio di una ’’carretta’’ del mare sarebbero annegati alcuni extracomunitari ed altri risulterebbero dispersi. Il naufragio sarebbe avvenuto a circa 150 miglia a Sud est di Lampedusa, in acque libiche. Due motopesca italiani, l’Aries e il Victoria, hanno recuperato rispettivamente 17 e 4 immigrati, mentre almeno sette clandestini sarebbero morti. Gli equipaggi dei due motopesca hanno confermato via radio di avere visto alcuni cadaveri ma di non esser riusciti a recuperarli. «Erano in 28, su una imbarcazione di pochi metri che si è rovesciata nel tentativo di avvicinarsi al Victoria. I nostri colleghi hanno subito tratto in salvo 17 immigrati, noi siano riusciti a salvarne altri quattro. Le vittime, dunque, sarebbero sette».

Cassazione: Franzoni uccise lucidamente Annamaria Franzoni uccise con «razionale lucidità» il figlioletto Samuele, di 3 anni e 2 mesi, la mattina del 30 gennaio del 2002, nella casa di Cogne. Lo sottolinea la Cassazione con la sentenza 31456, depositata ieri, che contiene in 50 pagine, le motivazioni in base alle quali i Supremi giudici hanno confermato la condanna a sedici anni di reclusione nei confronti della donna.Ad avviso della Suprema corte, è da escludere, «al di là di ogni ragionevole dubbio» che ad uccidere Samuele sia stato un estraneo.


politica

30 luglio 2008 • pagina 7

Un partito senza identità alla ricerca di un socialismo in salsa italiana

Pd: può bastare un “nuovo Prodi”?

Dopo la vittoria di Ferrero

Vendola, ora segui D’Alema di Angelo Sanza

di Salvatore Sechi l linguaggio politico è lo schermo della stessa politica. Nell’uso delle parole un leader ha la metafora di se stesso.Veltroni e Fassino in questi giorni cercano di stornare l’attacco mosso da La Repubblica (il quotidiano reso da Eugenio Scalfari nei secoli fedele alla sinistra comunista) e da La Stampa, negli articoli rispettivamente di Giuseppe d’Avanzo e di Andrea Romano, parlando di «campagna orchestrata», «tentativo di delegittimazione della classe dirigente del centro-sinistra», di manovra dei «poteri forti» identificati da Fioroni nella «massoneria». È il vecchio linguaggio comunista. Quando non voleva fare i conti con la realtà di una sconfitta evocava complotti e aggressioni organizzate .Era la cultura dell’assedio, di Annibale alle porte o della cospirazione ordita dalla Cia!

troppo lungo dell’elaborazione del lutto. Una forza che ha un bacino elettorale di circa il 30 per cento dei consensi non può essere alla ricerca di un “nuovo Prodi”, cioè di un leader esterno, privo di una maggioranza interna, di carisma e anche solo di autore volezza.

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Il problema che Veltroni, Fassino, Rutelli non vogliono affrontare è che non si può uscire dal comunismo rifugiandosi nel ventre molle dell’anti-berlusconismo. Su questa melassa si sono buttati a corpo morto Di Pietro, Grillo e i girotondini di Piazza Navona, facendo credere che lo sberleffo, la satira irriguardosa, la profluvie di insulti facciano una politica. Un partito democratico non può vivere munito di un’identità negativa. Purtroppo anche quando si è dato la forma di un governo-ombra, in cui si deve dare una risposta concreta ad un problema concreto (la monnezza a Napoli, lo sfascio dell’Alitalia, l’impoverimento di interi ceti sociali ecc.), il Pd ha finito per pigiare i pugni sui vecchi tamburi comunisti. I loro giornali e le dichiarazioni dei leaders sono infatti piene di gigantografie di catastrofi prossime future, di processi alle inten-

Una forza che ha un bacino elettorale di circa il 30 per cento dei consensi non può affidarsi a un leader esterno, privo di una maggioranza interna, di carisma, di qualsiasi autorevolezza zioni. Si personalizza tutto il male del paese in una sola persona. Si manovra un potente esercito irresponsabile (perché non eletto da nessuno e funzionante come un ordine) come i magistrati. Ormai agiscono come un potere a sé stante. E possono permettersi di mettere in piazza arsenali truccati come l’Oak Fund facendolo passare come la cassaforte offshore dei finanziamenti sporchi del Pd. Il linguaggio demonizzante, lo stile riprovatorio per i comunisti è stato sempre la coperta, un autentico belletto, per nascondere la paura, anzi l’assenza di una politica riformista. Proprio dalle colonne de La Stampa un loro compagno di strada, Luca Ricolfi, ha mostrato come Veltroni non sappia opporre nulla alle proposte del governo che critica. Il catto-comuni-

smo ha vissuto l’espace d’un matin, venti mesi. Ha brandito la bandiera della solidarietà ed ha fatto solo del micro-assistenzialismo (questa è stata la risposta all’impoverimenti di grandi strati popolari), riproponendo, dietro la foglia di fico delle liberalizzazioni (fallite là dove hanno dovuto fare i conti con resistenze corporative fortissime come quelle dei tassisti) forme di statalismo tipiche della cultura comunista e della sinistra democristiana. Un partito senza identità può vivere solo di antiberlusconismo e di dilazioni continue. Non s’è mai vista una leadership che ha cumulato sonore sconfitte elettorali, nazionali e regionali, che non trova l’occasione per esaminarle, fare l’analisi delle responsabilità e sostituire i propri gruppi dirigenti. Non si tratta di un rito

Non può esistere un federatore di un partito che nasce dall’assemblaggio di due esperienze fallimentari, il comunismo e la sinistra democristiana. Non una parola viene spesa sulla migliore eredità, quella centrista, che da De Gasperi arriva a Tabacci e a Casini. Rutelli, che controlla una fetta molto consistente del Pd, non intende omologarsi al socialismo.Veltroni, che propone questo approdo, non si è ancora reso conto che il socialismo italiano è stato più simile a qu-ello francese di Chevenement che a quello del laburismo di Blair o della socialdemocrazia scandinava. Il gruppo dirigente del Pd gioca con carte truccate perché non sa spiegare quale socialismo ha in testa. Rutelli a ragione ne diffida perché teme si tratti di un ancoraggio alla tradizione socialista italiana. Che cosa è stata, prima di Craxi, se non una politica intransigente, di grandi rifiuti, di aperta concorrenza col Pci nel prospettare cambiamenti epocali e società del futuro? Varrebbe la pena di riflettere su quanto un testimone e uno studioso del rango di Vittorio Foa, nell’ultimo fascicolo degli“Annali della Fondazione Ugo La Malfa”, chiarisce ad Andrea Ricciardi, che lo intervista. Il leader del riformismo, Filippo Turati, non seppe sottrarsi alla seduzione di Lenin inneggiando alla conquista bolscevica del potere in Russia, facendo pubblicare i testi principali dalla casa editrice Avanti!. Nessun riguardo all’opinione dgli sconfitti, i menscevichi. Senza ripensare la storia del socialismo italiano,che è stato poco riformista, i separati in casa del Pd finiranno per baloccarsi sul nulla (come le pantomime degli ulivisti, servitori cortesi della corte prodiana) o attaccarsi alla retorica di un socialismo che nella versione italiana lascia un’eredità poco uniforme e perversamente riciclabile.

ispiace costatare la sconfitta di un amico, anche se avversario politico. Chi intraprende una battaglia, spera sempre di coronarla con un successo. Oltre alla strategia politica anche il buon senso doveva consigliare il Prc di affidarsi a Vendola. Il presidente della Regione Puglia è l’unico di quel movimento a rappresentare il cambiamento nella continuità e capace di dare una prospettiva politica realistica, con i tempi dell’attuale bipolarismo, al Prc. Ahimè, fatti loro, ma non solo! La scelta di Ferrero significa per il Prc emarginazione e extraparlamentarismo istituzionale. C’è però anche un risvolto positivo nella sconfitta di Vendola. Potrebbe farsene una ragione per muoversi con la sua“nuova corrente” verso un dialogo costruttivo e forse di governo con il movimento Red di D’Alema. In più, questa scelta, rende Vendola più credibile per il confronto sui temi di governo tanto nazionali quanto locali. La sua sconfitta, in un certo modo, fa chiarezza per la linea politica che l’uomo dovrà gestire nel partito nazionale sul territorio pugliese. Per noi resta un avversario, sconfitto nel partito, ma più credibile per ciò che rappresenta sulla prospettiva politica. Un uomo che accetta il sistema della democrazia elettiva e che dovrà fare i conti con avversari come noi, che lo incalzeranno tutti i giorni perché dia risposta ai problemi dei pugliesi.

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il caso

Il giurista lancia l’allarme: «Si parla tanto di fare le riforme ma in Italia c’è un problema di fondo, la decadenza della qualità di produzione legislativa

«Non sanno più fare le leggi» colloquio con Giuseppe Guarino di Valentina Meliadò

ROMA. «Per stilare una legge bisogna innanzitutto studiare la materia, avere idee molto chiare e molto precise, studiare parola per parola quello che va messo nel testo legislativo e confrontare tutte queste parole con quelle dei testi precedenti. Se la legge viene fatta in pochi giorni anche il ruolo degli specialisti viene praticamente annullato, perché non si ha un’idea chiara di cosa si debba scrivere». Giuseppe Guarino, ex ministro, accademico dei Lincei e professore emerito alla Sapienza di Roma, racconta sulla base della sua personale esperienza di noto giurista e uomo politico - l’iter della nascita e della promulgazione delle leggi. Si dice che le leggi siano scritte male, in modo contraddittorio e che risultino inapplicabili perché il legislatore non si avvale dell’aiuto dei giuristi. È vero? Che non si avvalgano dell’aiuto dei giuristi è vero, ma ci sono molti giuristi che fanno parte del governo direttamente o indirettamente perché sono ministri o sottosegretari, capi degli uffici legislativi o capi di gabinetto, quindi in via assoluta non si può dire che sia così. Ci sono uffici legislativi alla Camera, al Senato, in tutti gli organi, e ognuno è composto da giuristi.

ciono perché corrispondevano ad un regime autoritario, ma ciò non toglie che sapesse lavorare molto bene, e c’è stato un famoso capoufficio legislativo, un magistrato - credo fosse Alfariti - che sia nell’ultimo periodo del regime fascista che nel primo periodo democratico ha scritto le leggi sempre in modo chiaro, preciso e intelligibile. Allora come mai sembra che le leggi siano scritte così male? I giuristi di oggi sono meno preparati di quelli di ieri? No, questo assolutamente non è vero, dipende da altre ragioni. Dipende, a mio giudizio, da una incultura generale. Si affrontano i problemi in base a frasi fatte, a idee dominanti, a slogan che corrono, e su questo si costruiscono le leggi. È anche il compromesso politico, che viene sempre cercato, a rendere le leggi così vaghe, aperte a tante interpretazioni e talvolta contraddittorie? Questo influisce ma non è l’elemento più importante. Il fattore determinante è che per fare una legge ci vuole tempo, attenzione e una grande conoscenza specializzata. Capita molte volte che si parta con una proposta di un certo tipo e poi due giorni dopo la si cambi. Con il rischio di sovrapposizione? Bisogna prima studiare, affi-

La nostra giustizia ha assunto un carattere eccessivamente formale, il che comporta non solo una perdita di tempo, ma una causa di legittimità E il compito di questi uffici qual è esattamente? Il compito degli uffici legislativi è enorme, quindi se il titolare dell’ufficio ha autorità ed è di livello adeguato influisce su tutto. Per esempio alcuni codici del passato, a cominciare dal noto e contestato codice penale Rocco, erano scritti molto bene; Rocco era un grande giurista, anche se ha scritto cose che non piac-

ge in due giorni - e qualche volta capita, è successo anche a me di suggerire il testo di un provvedimento da adottare in due ore – per essere fattibile deve essere una materia che intanto uno già conosce, e poi la richiesta deve essere molto precisa, specifica, e l’obiettivo chiaramente individuabile. Materialmente, allora, ieri come oggi, chi scrive le leggi? Dovrebbero essere persone esperte alle quali dare un obiettivo specifico e il tempo necessario per elaborare il testo. Tutto qui. Le leggi molto spesso subiscono un’aggiustatina, il che molto spesso le svuota. È una consuetudine tutta italiana? Le leggi vengono immaginate, proposte e anche decise sotto le pressioni immediate. Si dice che l’opinione pubblica sia colpita da qualcosa e si fa subito la legge, ma la legge va fatta con calma. I contratti, ad esempio, richiedono del tempo, nessun avvocato li stila in un minuto, e una legge vale centomila contratti. Quindi com’è possibile che vengano fatte in quattro e quattr’otto? È questa la ragione. Sulla situazione della giustizia italiana c’è una sorta di scaricabarile tra politica e magistratura. Qual è secondo la sua esperienza il vero problema? Innanzitutto le leggi non sono scritte in modo preciso, il che implicherebbe l’uso di termini che da un punto di vista tecnico hanno un significato stabilito e non modificabile e che non dovrebbe essere modificato. Questa è

dare l’obiettivo a persone esperte e queste persone, in base all’obiettivo richiesto, devono scrivere le leggi. Esiste un problema di sovrapposizione tra politici ed esperti nella stesura delle leggi? Non è tanto sulla stesura quanto nella indicazione del compito che deve essere svolto. Se si dice al miglior giurista del mondo di fare una leg-

Giuseppe Guarino, nella foto qui sotto. In alto, l’aula di Palazzo Madama. Nella pagina accanto: Giulio Andreotti

una prima ragione di incertezza, e la seconda è che le leggi si accavallano. Se ne fa una un determinato anno e dopo due anni o anche prima la si modifica, e l’integrazione di quella successiva con quella anteriore dà spesso risultati ambigui; chiarirle spetta poi al giudice. Inoltre abbiamo avuto per molto tempo un’enfasi sulle eccessive garanzie da inserire nel processo, ma più garanzie si inseriscono più i tempi di allungano. Quando si stabilisce che le notifiche devono essere fatte a 100 persone se poi non vengono fatte a tutte e 100 non si può procedere. La nostra giustizia ha assunto un carattere eccessivamente formale, e la formalizzazione comporta non solo una perdita di tempo, ma qualora la formalità non venga rispettata - una causa di legittimità.


il caso

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Secondo il senatore a vita gli uffici dello Stato non hanno attrezzature e personale adatto

«Gli staff dei ministeri non sono all’altezza» colloquio con Giulio Andreotti

ROMA. Molti ritengono che le leggi, oggi, siano scitte male e risultino inapplicabili perchè il legislatore non si avvale più dell’aiuto dei giuristi. Abbiamo chiesto un parere in merito al senatore a vita Giulio Andreotti. È così? E’ stato così in passato? Una volta tutto faceva capo al ministero della Giustizia, ben coordinato con la Presidenza del Consiglio. Successivamente, I ministeri hanno voluto un proprio ufficio specializzato, e la legislazione non ne ha tratto vantaggio. È la perennne ricerca del compromesso politico a rendere le leggi così vaghe e aperte a tante interpretazioni da risultare contraddittorie? Non so se dipenda da compromessi o da un livello tecnico molto basso. A cosa servono gli uffici legislativi? Chi scrive materialmente le leggi? Esiste una sorta di contrapposizione tra politici e giuristi? Va visto caso per caso. Ricordo che alla Presi-

Una volta tutto faceva capo a via Arenula, con un buon coordinamento di Palazzo Chigi. Successivamente i dicasteri hanno voluto un proprio ufficio specializzato, e la legislazione non ne ha tratto vantaggio

“ “

Non tutti i problemi vanno affrontati come urgentissimi. Innanzitutto bisogna vedere se non ci siano già gli strumenti adatti

Le modifiche si sovrappongono continuamente al testo originale? Sì, ed è una conseguenza del fatto che quando le leggi vengono elaborate la prima volta vengono improvvisate. Quale sarebbe dunque l’iter corretto per evitare continue modifiche? L’iter corretto è che non tutti i problemi vanno affrontati come urgentissimi. Innanzitutto bisogna vedere se non ci siano già gli strumenti per provvedere, perché a volte si fanno nuove leggi dove ci sono quelle preesistenti. Inoltre i tempi tecnici per fare una buona legge non sono rispettati, perché per fare una buo-

na legge bisogna conoscere esattamente la norma in vigore e sapere esattamente cosa si vuole dalle modifiche, in modo che i tecnici professionisti che sono incaricati della redazione abbiano tutto il tempo per valutare le formule adeguate, necessarie e corrette per realizzare quel risultato. Quindi non è corretto dire che i tecnici di cui si avvale il legislatore oggi siano meno preparati, però forse sono sottoposti ad una eccessiva pressione, perché l’assegnazione dell’obiettivo e dei tempi, nella quasi totalità dei casi, non corrispondono a quelle che sono le condizioni necessarie per fare una buona legge.

denza del Consiglio l’ufficio legislativo era di ottimo livello, tanto che un titolare, l’avvocato Sorrentino, passò alla libera professione ed eccelse. Quale sarebbe il corretto iter di formulazione e stesura di una legge per essere efficiente? Dotare l’ufficio legislativo della Presidenza di giuristi eccellenti, sempre coordinati con il ministero della Giustizia. Perchè le leggi subiscono continue modifiche che finiscono con lo svilire lo spirito del testo originario? È una cattiva abitudine determinata anche dal fatto che in periferia non tutti gli uffici dello Stato hanno attrezzature e personale adatto. Sui problemi della giustizia c’è una sorta di scaricabarile tra politica e magistratura. Secondo lei qual è il vero problema? Cosa ha prodotto l’attuale crisi del sistema giudiziario? Non bisogna esagerare nel sottolineare questo, ma certamente disarmonie e contraddizioni esistono, forse perchè nelle leggi si esagera nel tipo di citazione (“a modifica del comma terzo dell’articolo 2, lettera A”, ecc.). Non cambierei il sistema attuale, ma il modo di applicarlo, che dovrebbe essere assolutamente rigido. (v.m)


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er anni giudici e procura del Tribunale internazionale per i crimini di guerra dell’Aja si sono chiesti se «la leggenda nera del popolo serbo-bosniaco», sarebbe mai arrivata in aula. Ieri l’estradizione è stata rinviata, ma la cattura di Radovan Karadzic ha già restituito legittimazione alla giustizia internazionale.

P

Capelli lunghi e bianchi. Come la barba. Occhiali alla John Lennon. Cosi è stato preso lo psichiatra che dal 1998 era diventato Dragan Babic, teorico di medicina alternativa. Incappucciato e portato via come un pacco. Dai servizi segreti del Paese che Radovan Karadzic amava definire «celeste» perché se «il figlio di Dio aveva sofferto un giorno la Serbia è stata crocefissa per cinquecento anni». Un barbiere, la Bibbia e Shaekspeare, queste le prime richieste del prigioniero. Cosa passerà invece nella mente di Radovan Karadzic vedendo il suo alter ego nelle aule del tribunale olandese? Cosa penserà Djedja Pera quando insieme a Babic dovrà ripercorrere le strade di Mostar, Travnik, Banja Luka, Tuzla, tappe infernali del calvario bosniaco? Il poeta di Pale ricorderà sicuramente quanto detto da Richard Holbrooke nel luglio 1996. Dopo il mandato di cattura del Tribunale internazionale, l’inviato americano per i Balcani aveva parlato di «morte politica a rate» per il leader del Partito democratico della Repubblica serbo-bosniaca. Allora però il Nerone di Igman, intossicato dalle proprie menzogne, si riteneva onnipotente. Nascosto nelle colline di Sarajevo tesseva una tela nella quale dirigere stragi che ricordavano altri tempi della storia europea e ricevere fax da Washington, Parigi, Berlino o Londra, erano facce della stessa medaglia. Per l’autoproclamato erede dei cetnici, avallare gli stupri più orribili, condividere le torture più sconvolgenti, deridere le vergogne più umilianti, non era molto diverso dal parlare con i grandi della terra. Convinto che Belgrado sarebbe rimasta sempre prigioniera di quel panslavismo balcanico che durante

mondo Rinviata l’estradizione di Karadzic, ma lo psichiatra di Pale sarà presto all’Aja

Forse, in quei momenti sedotti dalla musica, il dottor Babic ricordava i versi di Karadzic dedicati all’epica dei santi eroi della Serbia eterna, «immolati come Cristo per la redenzione del genere umano». Chissà se Babic cercando un posto da dove ammirare le foto di Karadzic, ricordasse quanto cantato da altri uomini in altre città della Jugoslavia sotto tiro. Balkane, Balkane, Balkane moj, budi mi silan i dodi Francesco Cannatà bro mi stoj, Balcani, dateci la forza per stare bene e non fare il male. Altri Balcani quelli cantati - a volte per strada a volte, mentre piovevano granate croate, nei rifugi antiaerei della seconda guerra mondiale - dai giovani musulmani di Mostar nella primavera 1993. Cosa pensava Babic della storia recente del suo Paese? Quale giudizio dava dell’opera di Karadzic? Queste domande sono rimaste senza risposta. Mai lo specialista in medicina alternativa di Belgrado ha voluto parlare della politica dello psichiatra di Pale. I primi a sapere che lo studio del dottor Babic chiudeva per sempre sono stati gli ambienti vicini alla squadra di calcio del Partizan Belgrado. Ovvio del resto. Anche loro sono state vittime, inconsapevoli forse, ma sempre vittime, delle tirate nazionalistiche di Karadzic. Durante le guerre jugoslave del secolo scorIl gioco delle parti di Radovan Karadzic, a sinistra nelle vesti so i primi a sapere di comandante militare, a destra nei panni del Dottor Babic tutto prima di tutti dietro un ghigno «Una vita attiva è una vita feli- erano loro. Un caso? Forse. Epda guru da villag- ce», a Babic sono mai venute in pure in quegli anni si poteva esgio, Dragan Babic mente le ottomila vite cancellate ser certi che domandando di Baera certo di non da Karadzic a Srebrenica. Sotto bic-Karadzic qualcuno, stringenrivedere più Ra- gli occhi vitrei dell’Europa. doti forte la mano e guardandoti dovan Karadzic. Che la sua nuo- Spesso l’«intellettuale simpatico negli occhi, avrebbe reagito con va vita, un incrocio tra la bohe- e cosmopolita» teneva incontri discorsi squinternati: «anche me e Freud iniziato dieci anni fa con l’associazione “Movimento Alessandro Magno ha commesnella Ulitza Juri Gagarin della per una Serbia sana”. Dopo la so delle stragi e fatto pulizie etnicapitale serba, sarebbe finita ad relazione e gli interventi degli che ma nessuno lo chiama crimiuna fermata dell’autobus 73 a «attenti ascoltatori», invitato e nale di guerra». Oggi forse non è Batajanica, periferia di Belgra- pubblico finivano nei locali pa- più cosi. Oggi la maggioranza do, nemmeno le sue arti da san- triottici serbi. A Belgrado era dei serbi ha capito che non si tone lo avevano previsto. L’ope- normale ritrovarsi nel caffé “Ca- possono massacrare persone inrazione più difficile del dottor sa dei matti”. difese come 2300 anni fa. Babic, liberare la psiche del poNovecento, guerre balcaniche, polo serbo dal labirinto funereo Nelle serate dominate dalla Babic-Karadzic. Qualcosa è fiin cui l’aveva imprigionata Ka- malinconia stralunata per la nito ma non è ancora passato. radzic, è fallita. Certo lo psichia- Grande Serbia, la nostalgia do- Lo scrittore bosniaco Dzevad tra bosniaco non ha agito da so- veva essere immensa. Compren- Karashan, nella guerra ha perlo. Al macello hanno preso parte sibile allora che il dottor Babic, so famiglia e casa, ha detto che assistenti, anestesisti, infermieri, dopo aver illustrato da par suo le la gioia della notizia dell’arrechirurghi, becchini. Tanti piccoli proprietà curative delle erbe bo- sto di Babic-Karadzic è durata Mengele appassionati al massa- sniache facesse altri passi nel de- pochi secondi. «I morti saranno cro. Chissà se in una delle tante lirio. Insieme alla Guslje, popola- per sempre morti e i profughi conferenze dedicate al tema re strumento a corde balcanico. non torneranno più».

Dr. Babic e Mr. Radovan i due volti del male

La cattura dell’ultra nazionalista serbo-bosniaco, il primo uomo accusato dal Tribunale dell’Aja, è carica di valenze simboliche per la giustizia internazionale l’impero austri-ungarico malediceva Budapest, cavallo di Troia dell’occidentalizzazione serba, il cuore di tenebra di Karadzic era ormai certo di averla fatta franca. Passare dalla Grande Serbia alla Grande Igiene per la Serbia. In quale ambiente se non in quello «dell’altra medicina» con la sua essenza irrazionalista, poteva realizzarsi il sogno di Babic? In quale città stabilirsi, se non in quella conosciuta anche per il proprio surrealismo e il suo avanguardismo? Quale luogo migliore della gioiosa decadenza di Belgrado per chi affermava che la medicina alternativa «non lascia mai soli e inermi» poiché «non esistono situazioni senza via d’uscita»? Nascosto


mondo

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Vertice di Lambeth. Per evitare lo scisma al via un forum itinerante per convincere i preti “ribelli”

Commissari teologici per gli anglicani di Silvia Marchetti

d i a r i o LONDRA. Un forum “itinerante” per dirimere le controversie nei quattro angoli del pianeta e salvaguardare così l’unità dell’anglicanesimo. È questo lo strumento con il quale l’arcivescovo di Canterbury spera di tamponare i contrasti interni sorti tra liberal e tradizionalisti che rischiano di spaccare in due la comunità religiosa anglicana. Tra le raccomandazioni “strategiche” contenute nel documento presentato lunedì sera al summit decennale di Lambeth – che riunisce centinaia di vescovi anglicani e durerà fino ai primi di agosto – c’è l’istituzione di una commissione interna che svolga il ruolo di mediatrice intervenendo nelle questioni più spinose che oppongono le due anime della Chiesa, tra cui l’omosessualità dei preti, la consacrazione di unioni gay e i conflitti di competenza tra diocesi differenti. Temi che hanno provocato un terremoto all’interno della Chiesa Anglicana, con i tradizionalisti del Terzo mondo che accusano i vescovi occidentali di aver smarrito la via della fede. Gli “ortodossi” hanno già tenuto lo scorso mese il loro summit parallelo a Gerusalemme e nonostante le minacce di scisma che giungono dalle diocesi africane e asiatiche il capo della Chiesa d’Inghilterra, l’arcivescovo Rowan, è ancora convinto che tramite il dialogo e il rispetto reciproco sia possibile giungere a un compromesso ed evitare una rottura catastrofica all’interno della terza comunità religiosa più grande al mondo, con più di 80 milioni di fedeli. La conferenza di Lambeth, disertata da alcuni vescovi “ribelli” che contestano l’autorità delle diocesi occidentali, si sta svolgendo in questi giorni tra dibattiti costruttivi sui temi chiave dell’esistenza umana - la famiglia, il clima, la povertà, la fede – alla ricerca di punti di convergenza tra liberal e conservatori.

Gene Robinson

g i o r n o

Tzipi Livni ammette passato nel Mossad Per la prima volta Tzipi Livni ha ammesso di essere stata in passato un agente del Mossad, il servizio segreto israeliano. Il ministro degli Esteri dello Stato ebraico, indicato come possibile successore di Ehud Olmert alla guida del governo, ha fatto cenno ai suoi trascorsi di spia in un’intervista alla radio dell’esercito. «Ho lavorato quattro anni per il Mossad - ha detto la Livni - ho fatto il corso di addestramento e ho lavorato all’estero. Ho smesso quando mi sono sposata, poiché non avrei potuto continuare con quel tipo di vita». La Livni non ha voluto parlare delle sue missioni per conto del Mossad, ne’ ha precisato il periodo in cui presto’ servizio. Ma la stampa israeliana e internazionale ha scritto che fu un agente del Mossad dal 1980 al 1984.

Nargis, 700mila bambini in difficoltà Rowan Williams storale e i loro consigli in tutte le “situazioni conflittuali, confuse e di estrema fragilità”che nasceranno, come si legge nel documento presentato a Lambeth. Insomma, si tratta di una sorta di “forza anglicana di rapido intervento”per le aree di crisi dove scoppieranno pericolosi focolai che potrebbero minare l’unità della Chiesa anglicana. Per esempio, se in Canada un prete dovesse consacrare le nozze di due omosessuali contro i dettami dell’Anglicanesimo, il forum dovrà muoversi al più presto, prima che si verifiche l’ennesimo caso di polemica.

Le fondamenta spirituali dei membri del pool sono tre: no al matrimonio gay, ai preti omosessuali e ai conflitti di giurisdizione tra diocesi

Uno di questi è proprio il forum itinerante, che ha l’obiettivo di ostacolare sul nascere i dissensi interni e le derive scismatiche là dove possano verificarsi, spostandosi fisicamente sul luogo della contesa. I membri del pool – che saranno presieduti dall’arcivescovo Rowan e proverranno dalle maggiori diocesi del modo in modo tale da bilanciare la geografia del potere – dovranno viaggiare continuamente e tenersi sempre pronti a eventuali emergenze. Rappresentanti diverse posizioni teologiche (moderniste, tradizionaliste e moderate), i “commissari” offriranno il loro appoggio pa-

d e l

L’idea del forum è frutto delle riflessioni del Windsor Continuation Group, istituito per analizzare e trovare soluzioni concrete ai problemi in casa anglicana. Le fondamenta spirituali sulle quali opereranno i membri del pool sono le tre cruciali moratorie dell’Anglicanesimo: “no”al matrimonio tra gay, alla consacrazione di preti omosessuali e ai conflitti di giurisdizione tra diocesi (il controllo spirituale sui fedeli di un’area determinata è competenza esclusiva della circoscrizione vescovile locale). I vescovi riuniti a Lambeth, ribadendo le regole anglicane originarie, riconoscono così in parte le ragioni della rottura dei loro colleghi tradizionalisti. Il messaggio è il seguente: se c’è stato qualche errore nell’interpretazione e nell’applicazione della legge anglicana (quali la consacrazione del prete omosessuale Gene Robinson e alcuni matrimoni di coppie gay), da oggi non succederà più. «Se le tre moratorie non saranno rispettate – riporta il documento – la comunità anglicana rischia di spaccarsi, continuare in alcune azioni causerebbe un danno irreparabile». Il vescovo Clive Handford, presidente del Windsor Continuation Group, spiega all’Independent la strategia che verrà usata per salvare l’unità della Chiesa: «Non vogliamo cacciare il reverendo Robinson, semplicemente non vogliamo più avere altri casi simili al suo, ossia consacrazioni di preti omosessuali». Ma sia tra i tradizionalisti che tra i liberal c’è già chi guarda al forum con un certo timore. «Se si tratta di una commissione pastorale che fornisce consigli in rappresentanza dell’autorità centrale, ben venga – afferma ai margini del summit il vescovo di Los Angeles Sergio Carranza-Gomez – ma se invece è un tentativo di istituire un tribunale per imporre la dottrina, giudicare e punire chi eventualmente abbia commesso degli errori allora no, non credo funzionerà mai».

A quasi tre mesi da quando il ciclone Nargis si è abbattuto sulla Birmania, 700mila bambini hanno ancora bisogno d’assistenza di lungo periodo. È l’appello lanciato dall’Unicef, che sottolinea come circa 2,4 milioni di persone siano state colpite dal ciclone che ha distrutto centinaia di migliaia di case, scuole e centri sanitari. «Sebbene vi sia stato un graduale miglioramento delle condizioni dei bambini e siano stati scongiurati i rischi di grandi epidemie - ha dichiarato Ramesh Shresta, rappresentante Unicef in Birmania - dobbiamo potenziare gli sforzi affinché bambini e famiglie possano riprendersi completamente dalla devastazione». Gli immensi danni causati da Nargis emergono da un recente rapporto congiunto Onu/Asean: distrutte 700.000 abitazioni e il 75% delle strutture sanitarie; crollate o danneggiate piu’ di 4.000 scuole; allagati 600.000 ettari di terreni agricoli e perso più del 50 per cento del bestiame; distrutti pescherecci, scorte alimentari e attrezzi agricoli, con perdite e danni superiori ai 4 miliardi di dollari.

Israele-Siria, ripresi colloqui in Turchia Tra Israele e Siria sono ripartiti ieri in Turchia i colloqui indiretti, mediati dal governo di Ankara, nel tentativo di portare i due Paesi alla ripresa dei negoziati di pace. A questo fine, riferiscono i media israeliani, due inviati del premier israeliano Ehud Olmert sono giunti in Turchia per la quarta volta per continuare il dialogo con gli inviati della Siria. L’annuncio segue di poche ore l’intervista rilasciata il giorno prima della ripresa dei colloqui dall’ambasciatore siriano negli Stati Uniti, Imad Mustafa, che ha invitato Israele a firmare la pace con la Siria in tempi brevi. Appare sempre piu’ evidente pero’ che le parole di Mustafa erano rivolte piu’ ai propri ospiti americani che non alla controparte israeliana. Impegnata ”a tempo pieno” a favore del processo di pace israelo-palestinese, la Casa Bianca ha inizialmente guardato con un misto di scetticismo e diffidenza nei confronti del nuovo canale diplomatico attivato dai turchi.

Iran, sono positivi i negoziati con 5+1 Il capo negoziatore iraniano sul nucleare, Said Jalili, ha dichiarato che le discussioni con le grandi potenze sulla crisi sono ’positive e in progresso’, in margine a una riunione a Teheran dei Paesi non allineati. «I negoziati - ha affermato Jalili - sono in un processo positivo e in progresso e, a Ginevra, i sette Paesi (il gruppo 5+1 e l’Iran) hanno avuto una miglior comprensione delle loro reciproche posizioni». Il 19 luglio scorso, Jalili ha incontrato a Ginevra il capo della diplomazia europea Javier Solana, e i rappresentanti dei Sei - Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania) per tentare di trovare una soluzione alla crisi, alla presenza anche, per la prima volta, del sottosegretario di Stato americano William Burns.


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speciale esteri a storia delle Olimpiadi è sempre stata segnata dalla politica internazionale. Dal primo indipendentista irlandese alla propaganda nazista, dalla Guerra fredda al conflitto israelo-palestinese. Ma i Giochi hanno rappresentato nel cammino del mondo anche l’occasione per sanare vecchi conflitti e, soprattutto, sono state un momento di incontro per leader ed atleti di nazioni in guerra, effettiva o sotterranea. A nove giorni dall’inizio delle Olimpiadi di Pechino, segnate dalla crisi tibetana e dalla questione dei diritti umani, vi presentiamo una storia ragionata dei Giochi sotto la lente della politica.

L

Pechino 2008 è solo l’ultima delle Olimpiadi segnate da proteste e boicottaggi

I GIOCHI DELLA POLITICA

1906 Le prime vere Olimpiadi dell’era moderna si svolgono ad Atene nel 1906. Un atleta irlandese che gareggia per la Gran Bretagna, Peter O’ Connor, vince la medaglia d’oro nel salto triplo. Non volendo essere considerato un atleta inglese, si arrampica sull’asta della bandiera inglese e sventola quella irlandese. L’episodio segna l’ingresso della politica nei Giochi.

1908 Le Olimpiadi si svolgono a Londra. Originariamente dovevano svolgersi a Roma ma, dopo l’eruzione del Vesuvio del 1906, il governo italiano non ha i soldi necessari ad organizzare l’evento. La Russia, che in questo periodo controlla la Finlandia, si oppone alla decisione di separare le medaglie vinte dagli atleti finlandesi da quelle vinte dai russi, ed impedisce alla delegazione della Finlandia di sfilare con la propria bandiera. I finlandesi marciano senza bandiera.

Occidente

di Bruno Cortona la Turchia e l’Ungheria non vengono invitate. E la neonata Unione Sovietica decide di non prendervi parte. Per la prima volta viene liberata la colomba della pace alla cerimonia inaugurale, sventolata la bandiera Olimpica e pronunciato il giuramento.

1928 I Giochi olimpici si svolgono ad Amsterdam ed alla Germania è permesso partecipare. Inoltre, nonostante la forte obiezione di Papa Pio IX, in questa edizione gareggiano per la prima volta delle donne. Ad Amsterdam viene inoltre accesa per la prima volta la fiamma olimpica.

1916 I Giochi olimpici, programmati a Berlino, vengono cancellati a causa della prima Guerra mondiale.

1932 Los Angeles si aggiudica i Giochi senza troppa fatica: è infatti l’unica città a potersi permettere

Il primo atleta “politico” fu l’indipendentista irlandese O’ Connor ad Atene 1906 1920 Le Olimpiadi arrivano ad Antwerp, la città più piccola che abbia mai ospitato i Giochi. È in questa occasione che vediamo la comparsa per la prima volta dei simboli ufficiali delle Olimpiadi: il giuramento e la bandiera con i 5 anelli come simbolo dei cinque continenti, uniti dopo la guerra. Benché l’ideale Olimpico afferma che ogni nazione ha la possibilità di partecipare ai Giochi, la Germania, l’Austria, la Bulgaria,

di ospitarli. Sono gli anni della Grande depressione, e i crolli finanziari ed economici fanno perdere facilmente interesse nei riguardi delle Olimpiadi. Raggiungere la California è inoltre molto costoso per la maggior parte delle nazioni. Questa edizione viene ricordata più che altro come quella delle “Olimpiadi americane”. Per la prima volta la star dei Giochi è una donna, Babe Didrikson Zaharias: 21enne, vince la medaglia d’oro per il

lancio del giavellotto e gli 80 metri a ostacoli.

1936 Quelle del ’36 sono le più famose, o famigerate, Olimpiadi di sempre. Con undici città in lizza per ospitare i Giochi, la spunta Berlino. I nazisti non hanno ancora pieno potere in Germania, ma la decisione non viene molto apprezzata: la preoccupazione maggiore riguarda soprattutto gli enormi vantaggi che il regime potrebbe trarre da questa occasione di presentare al mondo la sua ideologia. I nazisti non deludono le aspettative, ed Hitler usa la manifestazione come una personale vetrina internazionale. Il suo intento di dimostrare a tutti la superiorità della razza ariana fallisce però miseramente davanti alla strabiliante performance di Jesse Owens, americano 23enne che sbaraglia tutti gli avversari vincendo 4 medaglie d’oro. Hitler si rifiuta di stringere la mano a Owens, e preferisce lasciare lo stadio. Quella del 1936 è inoltre l’edizione che dà vita alla staffetta della fiamma olimpica. Nell’immaginario collettivo la staffetta simboleggia le prime Olimpiadi (quelle di Olimpia): in realtà, si tratta dell’invenzione di alcuni funzionari nazisti. Adolf Hitler incarica Leni Riefensthal di girare un documentario dei Giochi, Olympia, che rimane tuttora una tra le più suggestive documentazioni del nostro tempo.

1948 Le prime Olimpiadi del dopoguerra. Si svolgono in Inghilterra, nazione straziata da anni di conflitto, con Londra determinata ad allestire al meglio questi Giochi olimpici per mostrare a tutti la sua rinascita. A Londra non vengono però ammesse Germania e Giappone, nazioni responsabili dell’immane tragedia, e la Russia sbalordisce tutti decidendo di non partecipare. La partecipazione a questi Giochi finisce col simbolizzare il riconoscimento e la legittimità politica delle varie nazioni. Per la prima volta i Giochi vengono trasmessi in televisione.

1952 Ad Helsinki partecipa per la prima volta l’Unione Sovietica, che ottiene anche buoni risultati. Intanto è iniziata la Guerra fredda: questa è la prima occasione per una vera competizione tra Paesi liberi e quelli comunisti. La cosa dà molta notorietà all’edizione.

1956 1940 - 1944 Le Olimpiadi del 1940 sono previste in Giappone, ma vengono cancellate a causa della guerra. Anche quelle del 1944 sono annullate.

Le prime Olimpiadi australiane e quelle con un primo, vero boicottaggio delle nazioni partecipanti per motivi politici. A seguito della dichiarazione del presidente ungherese Imre Nagy sul-

l’uscita del suo Paese dal Patto di Varsavia, i carri armati russi invadono Budapest. Tutto a pochi giorni dall’inizio della manifestazione: molti Stati protestano per l’ammissione dell’Urss a Melbourne. Olanda, Spagna e Svizzera, per solidarietà con l’Ungheria, non vanno in Australia. Problemi anche nel Canale di Suez, che l’egiziano Nasser ha deciso di nazionalizzare scatenando le ire di Israele, Gran Bretagna e Francia che ne invadono il territorio. Egitto, Iraq e Libano rinunciano ai Giochi per protesta. A completare il quadro c’è anche Mao che non fa partecipa-


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In senso orario: la colomba della pace liberata all’inizio di ogni Olimpiade; l’apertura di Atene 1906; Cathy Freeman, prima aborigena a vincere un oro olimpico; Breznev annuncia i contestati Giochi di Mosca 1980; Thomas Smith e John Carlos ricordano le lotte per il “potere nero”, iniziata in quegli anni da Malcolm X, durante la premiazione di Città del Messico 1968 dati, se ne sono andati tutti). L’episodio cambiò il modo di vedere le Olimpiadi.

re la sua Cina dopo aver saputo che sarebbe stata presente Taiwan, la Cina nazionalista di Chiang Kaishek. Si ricordano queste Olimpiadi anche per aver mostrato l’incontro più sanguinoso di sempre, la semifinale Urss-Ungheria di pallanuoto, che si trasforma in una rissa. Inoltre per la prima volta la Germania dell’Est e dell’Ovest partecipano sotto un’unica bandiera.

1976

1960

mitato olimpico americano decide di espellere i due dal Villaggio Olimpico. Due terribili eventi si ricordano nel 1968: la morte di Robert Francis Kennedy e Martin Luther King jr.

Il Comitato Olimpico Internazionale assegna i Giochi olimpici a Roma. Un evento politico associato a questi Giochi è la protesta della Cina per la partecipazione di Taiwan. Gli atleti di Mao sfilano senza nomi sulle uniformi ed esibiscono al posto della bandiera un cartello: “under protest”, in protesta. Per la prima volta un atleta viene trovato positivo all’anfetamina, prefigurando tutti i problemi di doping che si sarebbero verificati in futuro.

1972

1964 Nella preparazione di questa edizione, i giapponesi spendono ben 4 milioni di dollari per ricostruire Tokyo e dimostrare che il ricordo della guerra è ormai lontano, che la nazione è rinata. Da questo punto in poi, le città incaricate di organizzare i Giochi prendono l’abitudine di spendere somme inaudite per essere degne ospitanti del prestigioso evento. Nel 1976 Montreal andrà in bancarotta per aver sperperato tutto in preparazione della città ai Giochi. Per portare la torcia Olimpica all’apertura dei Giochi viene scelto Yoshinori

Sakai: il ragazzo è nato il 6 agosto 1945, giorno in cui una bomba atomica distrugge Hiroshima. Il Cio decide di non invitare ai Giochi il Sud Africa per la sua intollerabile politica razzista dell’apartheid.

1968 La prima ed ultima volta dei Giochi in un Paese del cosiddetto terzo mondo: il Messico. Un tragico evento accaduto pochi giorni prima dell’inizio dei Giochi accompagna il ricordo di questa edizione. Il governo messicano

apre il fuoco e fa strage degli studenti che il 2 ottobre stavano manifestando in piazza Tre Culture contro il presidente Diaz Ordaz. Le cifre ufficiali del massacro non sono mai state rese note, ma si parla di centinaia di morti. Nel frattempo in America le lotte per il“potere nero”sono al loro culmine, e gli atleti velocisti Thomas Smith e John Carlos, primo e terzo posto, al momento dell’inno chinano il capo e sollevano il pugno chiuso, coperto da un guanto nero. Le immagini fanno il giro del mondo ed il Co-

Dopo l’onore del Giappone, tocca alla Germania dell’Ovest ospitare i Giochi: si tratta del segno tangibile dell’accettazione del mondo intero. Si tratta di un’edizione segnata dal successo, con un’unica star: l’americano Mark Spitz, che vince sette medaglie d’oro: impresa ancora non eguagliata da nessun atleta olimpico. Ma i Giochi vengono devastati da un attentato in un dormitorio del Villaggio Olimpico di Monaco, dove un commando di terroristi palestinesi uccide due atleti della squadra israeliana e ne prende in ostaggio altri 9 per ottenere in cambio la liberazione di 200 palestinesi detenuti in Israele. Nel tentativo di fuga vengono tutti uccisi, a seguito dell’intervento della polizia tedesca. Jim Mcain, della tv americana Abc annunciò la notizia dicendo semplicemente “They’re gone, they’re all gone”(Se ne sono an-

Il primo problema di Montreal viene da Taiwan, che vuole partecipare col nome di Republic of China. La richiesta scatena le ire del Cio e della Cina Popolare, che la costringono a rimanere a casa. Continua poi la politica dei boicottaggi. La Tanzania, con l’appoggio di molti Stati africani, chiede che la Nuova Zelanda sia esclusa dai Giochi per aver disputato una partita di rugby in Sud Africa, Paese escluso dai Giochi per la sua politica di apartheid. Il Cio non accoglie la richiesta, e all’apertura dei Giochi ci si accorge che più di venti Stati africani hanno boicottato i Giochi per protesta.

1980 È ancora la politica a dominare la scena olimpica. Le Olimpiadi di Mosca vengono boicottate prima di tutto dagli Americani e poi da altri 60 Paesi, che ne seguono il suggerimento. Il presidente Carter in persona porta avanti la campagna di boicottaggio e chiede agli alleati del blocco occidentale di allinearsi. L’occasione di protesta è l’attacco dell’Afghanistan da parte dell’Unione Sovietica. Altri Paesi scelgono una forma di protesta più pacata: partecipano, ma sfilano con la bandiera olimpica invece che con quella nazionale.


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speciale esteri 1984 Solo due città competono seriamente per aggiudicarsi questa edizione dei Giochi: Los Angeles e Teheran: vince facilmente la prima. A causa del boicottaggio americano dei Giochi dell’80 a Mosca, l’Unione Sovietica decide di boicottare questa edizione americana, che diventa come quella del ’32: una sorta di edizione nazionale dei Giochi. Importante l’assenza di Cuba e della Germania dell’Est. L’unico paese che decide di partecipare e di non seguire l’esempio dell’Urss è la Romania. Un Paese partecipa con il nome di Chinese Taipei, e per la prima volta dal 1952, partecipa anche la Red China. L’organizzatore dei Giochi dimostra che le Olimpiadi non significano per forza perdite, ma possono essere anche fonte di guadagni. Attraverso gli sponsor si fanno molti soldi, e da questa edizione le città iniziano a gareggiare seriamente per ospitare i Giochi.

Occidente A sinistra uno dei membri del commando palestinese responsabile dell’attentato agli atleti israeliani che parteciparono all’edizione di Monaco 1972. In basso, a sinistra Jesse Owens il velocista americano che umiliò le teorie naziste sulla razza vincendo 4 ori olimpici a Berlino 1936; a destra il presidente Mao Zedong: bloccò la partecipazione della Cina a Melbourne 1956

Slovenia partecipano senza problemi, mentre la Serbia viene bandita perché soggetta a sanzioni Onu.

1996 Le Olimpiadi ritornano negli States. A rovinare il clima di festa di Atlanta questa volta è una bomba che esplode il 27 luglio al Centennial Park e causa due morti e più di cento feriti. All’inizio si pensa ad un attacco terroristico, ma anni dopo si viene a sapere la verità: la bomba nasce come azione di protesta da parte di un singolo. I Giochi di Atlanta non giovano alla reputazione della città: il clima è meno coinvolgente di quello delle Olimpiadi precedenti e si respira l’aria di una manifestazione troppo commercializzata. Sono le Olimpiadi degli stickers, delle spillette e delle t-shirt vendute come souvenirs.

1988 Le Olimpiadi vengono assegnate a Seoul, nella Corea del Sud. Scelta abbastanza controversa, dato che molti Paesi comunisti hanno rapporti diplomatici solo con la Corea del Nord. La manifestazione, invece, segna un successo. La Corea del Sud, schiacciata da una dittatura militare, tiene le sue prime elezioni democratiche proprio a ridosso delle Olimpiadi. La Corea del Nord fa di tutto per dimostrare di essere adatta ad ospitare i Giochi tanto quanto quella del Sud, ma perde la sfida e decide di non partecipare. Cuba e Nicaragua non si presentano per solidarietà con Pyongyang. Le Olimpiadi del 1988 sono uno di quei casi in cui tutto il polverone politico che le precede viene dimenticato non appena iniziano le gare.

1992 I primi Giochi Olimpici dopo la fine della Guerra fredda. La Germania vi partecipa dopo decenni sotto un’unica bandiera. Il Sud Africa ha interrotto la vergogna dell’apartheid e viene riammessa ai Giochi dopo 33 anni. Lituania, Estonia e Lettonia partecipano separati, ma i resti dell’Unione Sovietica si presentano sotto il nome di Unified Team. Per la Jugoslavia la situazione è più complessa. Croazia, Bosnia e

no bianco australiano ai popoli aborigeni, vittime dello sterminio seguito all’invasione bianca e di politiche discriminatorie che continuano anche oggi. In questa edizione, inoltre, le due Coree gareggiano sotto un’unica bandiera.

2004

2000 Le Olimpiadi di Sidney, un’edizione tranquilla dal punto di vista politico. I Giochi si aprono all’insegna della riconciliazione tra gli aborigeni australiani ed i colonizzatori europei. Simbolo dello spirito di Sidney 2000 è Cathy Freeman, aborigena, che durante la cerimonia di apertura accende il braciere con la fiamma olimpica. Dieci giorni dopo vince la medaglia d’oro nei 400 metri piani, e diventa la prima atleta aborigena a vincere un oro Olimpico. Nonostante il divieto del Cio di sventolare bandiere non statali, la Freeman sventola la bandiera aborigena insieme alla bandiera australiana. Passano otto anni prima delle formali scuse del gover-

Quelle di Atene 2004 sono state le olimpiadi del ”ritorno a casa”, dopo oltre un secolo, dei Giochi olimpici. Ma sono stati anche i Giochi delle polemiche, prima e durante il loro svolgimento. Polemiche per i ritardi nella realizzazione delle opere, polemiche per la correttezza in alcuni arbitraggi, polemiche per i numerosi casi di doping. A funestare questa edizione è giunta, a poche ore dall’inizio dell’incontro Italia Iraq di calcio, la notizia dell’uccisione del giornalista italiano Enzo Baldoni, tenuto precedentemente in ostaggio dalle milizie terroriste irachene.

2008 Mai come oggi, la politica entra di diritto nelle Olimpiadi. La decisione di affidare i Giochi alla Cina ha già provocato violente proteste. Un grosso affare e una grossa opportunità per Pechino, che fino ad oggi non ha saputo gestire la possibilità di apertura

Ad aprire Tokyo ’64 è Yoshinori, nato il giorno della bomba su Hiroshima alla scena internazionale ed è rimasta addirittura sorpresa dalla forte disapprovazione generale al passaggio della staffetta olimpica nel mondo. Invece di essere simbolo di pace e fratellanza, la fiamma è diventata segno di protesta. La decisione del Comitato olimpico di assegnare i Giochi a Pechino ha scatenato la rabbia e l’indignazione delle associazioni per i diritti umani,

che sono scese in piazza e hanno dichiarato che assegnare le Olimpiadi a Pechino vuol dire sostenere il regime comunista cinese, segnato dalla repressione. Ma i Giochi sono stati fin qui anche un’occasione per i diversi gruppi umanitari di fare pressioni sulla Cina perchè rivedesse le sue politiche sull’ambiente, sul Darfur, sul Tibet e più in generale sui diritti umani.


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Harry Wu denuncia il sistema dei laogai e attacca: le Olimpiadi non cambieranno la Cina

Uno show sulla pelle dei dissidenti colloquio con Harry Wu di Valerio Venturi pochi giorni dall’inizio delle Olimpiadi di Pechino, la Cina non ha ancora fatto i conti con i suoi contrasti. Il governo si appresta a presentare al mondo il suo volto più luminoso, ma le zone d’ombra continuano a caratterizzare l’immagine del Giano bifronte d’Oriente. Harry Wu, attivista per i diritti umani e dissidente, è venuto in Italia per presentare il suo ultimo testo sui laogai, i campi di lavoro per dissidenti. Nato a Shangai nel ’37, viene arrestato per avere criticato il Partito comunista cinese durante la Campagna dei Cento Fiori, ed una seconda volta con l’accusa di essere controrivoluzionario.Vive per 19 anni nelle “carceri produttive”, costretto a estrarre carbone, costruire strade e lavorare la terra. Dal ’79 vive negli States, sua nuova patria. Proprio a New York, nel 1992, ha fondato la Laogai Research Foundation, organizzazione no-profit che promuove la raccolta e la diffusione di informazioni sui campi di lavoro cinesi. «Ho sempre pensato ai volti che mi ero lasciato alle spalle – spiega – preoccupato dal fatto che il sistema della riforma attraverso il lavoro continuava a operare, giorno dopo giorno, anno dopo anno, ignorato su vasta scala. Per questo ho sentito la responsabilità non solo di denunciare, ma anche di rendere di pubblico dominio la verità sui meccanismi di controllo del partito comunista». Lo incontriamo in occasione della presentazione del suo nuovo testo per Spirali. In parte è felice: «Yahoo, che come altre aziende americane vende informazioni sui suoi utenti al governo cinese, è stata costretta a scusarsi e a dare milioni di dollari come risarcimento a privati e fondazioni. Con questi fondi costruire-

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mo un museo sui Laogai a Washington, pronto a settembre». D’altro canto, esprime pessimismo ed amarezza se gli si chiede di fare una riflessione ad ampio raggio sul suo Paese. Signor Wu, ci può fornire un’istantanea della Cina che si appresta a presentare ed ospitare i prossimi giochi olimpici? È la Cina di sempre, repressiva, che controlla l’insieme. Un Paese che riuscirà ad organizzare uno show magnifico, ben organizzato, ma che non smetterà di fermare e punire i dissidenti. Ora il governo ha scelto una linea morbida. Ma certe aperture sono strumentali, dureranno per poco tempo. Poi riprenderà l’attività di repressione consueta. A cosa fa riferimento? Per esempio alla questione tibetana. Negli ultimi tempi il governo ha allentato la repressione, e pare anche che il Dalai Lama possa essere invitato alla cerimonia d’inaugurazione dei Giochi. Ma la verità è che finché la Cina rimarrà comunista, non ci sarà spazio per un Tibet indipendente, anche se sarebbe normale che Lhasa avesse una sua autonomia. Non crede che i Giochi possano cambiare definitivamente in meglio il suo Paese? Non credo le cose possano cambiare. Credo sia più probabile che i Giochi, in definitiva, possano rafforzare il regime. E’ vero che ci saranno migliaia di giornalisti da tutto il mondo; ma i cinesi non comunicheranno con loro, perché ogni

libri e riviste

a storia non è finita con la caduta del muro di Berlino e l’illusione che il modello liberale di democrazia e libero commercio trionfasse su tutto «si è rivelata illusoria». Se Francis Fukuyama aveva decretato «la fine della storia», Kagan incorona il suo ritorno in questo libro - in uscita per Mondadori ad agosto. «Più che un libro, una dissertazione su di un mondo che è tornato “normale”», ha scritto il New York Times. Un normalità che vede i regimi autoritari riprendere quota con la loro mefitica ricetta dello sviluppo economico senza libertà. Cina e Russia avrebbero reintrodotto in circolazione l’ideologia lungo i canali della geopolitica. Oggi i cittadini russi e cinesi preferiscono stare fuori dalla

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politica e guadagnare negli affari, specialmente conoscendo la punizione per chi si occupa troppo di politica. E con il radicalismo islamico che combatte la cultura della modernità con le armi del terrore, Kagan descrive la sfida che hanno davanti le democrazie: se tentare di modellare ancora la storia, oppure lasciare che siano gli altri a farlo. È la fine «della fantasia di una convergenza politica mondiale a seguito del dopo guerra fredda», sottolinea l’autore. Robert Kagan The Return of History Knopf pub. group 112 pagine – 19.90 dollari

contatto non autorizzato può essere punito con l’accusa di spionaggio, tradimento, rivelazione di segreti di Stato. Cosa dovrebbero fare i leader occidentali? Sarebbe utile il boicottaggio della cerimonia d’apertura dell’8 agosto? Non saprei dire, a poche settimane dall’evento, cosa sia giusto fare; ma di certo i leader occidentali hanno pochi strumenti per influenzare Pechino. Davanti a un gigante economico è difficile avere una politica estera influente. Poi l’Occi-

l ruolo americano nella costruzione di una democrazia araba», sintetizza bene il contenuto del libro, oltre ad esserne il sottotitolo. G. W. Bush voleva portare la democrazia in Medio Oriente, ma i primi risultati parrebbero sconsolanti. L’ascesa elettorale di Hamas ne sarebbe il culmine. Ma la Wittes è convinta che non ci sia un’altra strada e si debba insistere. Alienazione politica, stagnazione economica e sviluppo demografico, sono gli elementi dell’instabilità regionale che minano la legittimità di Paesi come Egitto e Arabia Saudita. Occorre sostituire un idealismo «solo quando conviene» con una politica «sostenibile». È il realismo che avanza. Tamara Cofman Wittes Freedom’s Unsteady March Brookings Institution Press 176 pagine – 26,95 dollari

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dente continua a investire in Cina, enorme mercato d’acquisto e pieno di risorse: mercato che però non è libero, ma socialista e capitalista insieme. Facciamo finta di dimenticare certe caratteristiche e contribuiamo allo scorrere invariato delle cose. Non ha nessuna motivazione per sperare in un cambiamento? Non nel breve termine. Le autorità sanno che con l’apertura o l’allentamento del controllo, soprattutto sull’economia – la vera forza del Partito unico – ci sarebbe il rischio di una deriva democratica e dunque di un implosione degli equilibri del sistema. Quindi non mollano la presa. La verità è che la storia della Cina è una successione di dinastie dopo dinastie. I cinesi non sono mai stati abituati ad essere liberi, quindi la conquista della libertà e della consapevolezza rimane lontana. Perché manca la consapevolezza, secondo lei? La maggioranza dei cittadini non conosce bene gli ingranaggi del sistema. Questo anche perché si è molto imbevuti di nazionalismo e certe cose non si mettono in discussione. E’ così anche per i laogai: il viso del prigioniero è sempre anonimo. D’altronde, questa è la Cina di oggi. Un Paese in qui ci si può arricchire, ma in cui non si può parlare.Tutto va bene solo se si accetta di approvare a parole tutto quello che fa il governo.

i sa che in Francia l’estate è solo una pausa fra gli scioperi di primavera e l’autunno”caldo”. Cominciato l’anno in sordina Nicolas Sarkozy aveva lanciato il ministro delle Finanze, Christine Lagarde verso la modernizzazione dell’economia. Un taglio alla pressione fiscale sulle imprese e maggior concorrenza nel settore della distribuzione, ne erano stati il viatico. L’età pensionabile è stata alzata di un anno e ci sarà la contrattazione territoriale sulle 35 ore. Il sistema della gestione portuale – un caposaldo sindacale – è stato privatizzato. Forse oggi che la sua popolarità ha toccato il punto più basso, Sarkò non ha niente da perdere e tenta di fare le cose giuste. The Reformist President The Economist – 24 luglio 2008

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a cura di Pierre Chiartano


economia

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A sinistra, il battagliero ministro indiano del Commercio, Kamal Nath, che ha accusato gli Usa di penalizzare i contadini dei Paesi poveri. A destra, Susan Schwab, inviata statunitense al vertice Wto, che ha replicato attaccando l’asse tra New Delhi e Pechino

Si chiude oggi il summit di Ginevra: si annuncia un nuovo fallimento per gli accordi di Doha sul commercio internazionale

Il Wto si schianta sul muro di India e Cina di Pierre Chiartano li accordi di Doha sono in sala rianimazione. Washington è stato il medico pietoso, Pechino e New Delhi quelli che li volevano seppellire. Venezuela, Arabia Saudita e Indonesia hanno tifato per i secondi. Il Brasile ha cercato di mediare. Sono proseguite per il nono giorno consecutivo le trattative dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) a Ginevra, mentre ieri in serata, il quotidano svizzero Le Temps sul suo sito internet, già dava la notizia del loro fallimento. Che dovrebbe arrivare oggi.

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Per l’India è la soglia di salvaguardia che non va bene: se l’importazione di un prodotto agricolo dovesse superare un incremento del 40 per cento o dovesse far crollare i prezzi, scatterebbero le sanzioni. Troppo basso il limite per New Delhi: eppoi le misure dovrebbero essere temporanee, soltanto per un anno. Per l’Italia, invece, sono a rischio le produzione di qualità dop e igp. «Gli Usa vogliono favorire i loro interessi commerciali. L’India, invece, vuole proteggere il livello di vita e la sicurezza dei suoi contadini», accusa il battagliero ministro indiano, Kamal Nath. Si sono rimesse in discussione le proposte del giorno prima di Pascal Lamy, infaticabile direttore del Wto, replica l’inviato Usa, Susan Schwab, che punta l’indice sull’asse Cina e India. «Mercato unico, ideologia unica, errore unico», un paio d’an-

ni fa Giulio Tremonti descriveva così la politica del Wto, un tradimento del pensiero liberale a favore del «mercatismo», secondo le sue tesi e quelle di molti altri. Compreso il «trader» Robert Rubin, già segretario al Tesoro Usa e grande regista dell’economia mondiale negli anni Novanta, che considera ormai falliti gli ultimi sette anni di negoziati sul commercio internazionale. Se George W. Bush ha dovuto tirare giù dal letto il collega indiano Manmohan Singh per far ragionare il suo ministro del Commercio e dell’Industria Nath, Lamy ha limato la proposta sui sussidi americani al comparto agricolo, di mezzo miliardo di dollari. “Segatura” diplomatica, si dirà, di fronte a una posizione indiana che conosceva una sola parola: «no». Al niet di Delhi si è aggiunto,

venzionata. L’altra, strategica riguarda Pechino, che sta alla finestra a guardare le difficoltà in cui si dibatte l’Occidente. Per cui Washington è sempre pronta a uscire dalla porta di servizio in caso di grave pregiudizio per la propria economia. La Ue è dentro mani e piedi invece. E gli Usa senza Europa non possono più per alzare la voce per dominare la marea quanxì.

La Cina ha poco da perdere e tanto da guadagnare da un’ulteriore erosione del prestigio americano e di una creatura, il Wto, che dovrebbe promuovere il credo liberista nel mondo, “mercatista” per alcuni. In soldoni, era semplicemente uno standard operativo che, per qualche anno, è stato la fortuna di molti Paesi che sono potuti emergere dallo stato di povertà e che permetteva a tutti i

Inutile il compromesso cercato da Lamy sulla clausola di salvaguardia dei negoziati agricoli per sbloccare lo stallo tra Washington e New Delhi. Pechino soffia sul fuoco. Italia in ansia per dop e igp lunedì, quello di Pechino, scontenta per le regole sulle esportazioni di cotone. Comunque già venerdì scorso si era arrivati quasi alla rottura. Ma dietro ai sussidi americani ci sono altre questioni, una tecnica e una strategica. Quella tecnica si chiama etanolo, visto che viene estratto nelle praterie del Midwest dal mais e dal grano, ed è una produzione sov-

contraenti di parlare la stessa lingua. Ed è proprio quello che sembra non succeda al vertice di Ginevra: problemi di logos. Troppo poche le concessione nel settore agricolo da parte dell’Europa e degli Usa. «Siete protezionisti», si lamentano gli asiatici. «Eccessivi i sacrifici per la Ue», replicano preoccupate Roma e Parigi, insolitamente alleate per difendere

parmigiano e camembert, con Dublino al seguito. Che «il futuro dell’auto non sia più a Detroit o Stoccarda», come affermano i concittadini del patron della Tata (il gigante automobilistico indiano) oppure che Stati Uniti e Ue siano strenui difensori dei campi coltivati, fa poca differenza. Ora è il momento di guardare al giardino di casa. Così il nostro ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia, ha lanciato l’allarme sul destino della nostra agricoltura, specie di quella a denominazione geografica: triste, se non si interviene su Washington. Tristissimo invece quello dell’industria, se non si contratta con la Cina. Sempre a proposito del tremontiano «suicidio dell’Europa», fortissima sul mercato interno ma «debolissima» su quello esterno: si sta giocando una partita, dove l’Italia e l’Europa dovrebbe schierare i “commando” della diplomazia e il sottosegretario al Commercio estero, Adolfo Urso, fa quello che può. I rumors suggeriscono che gli americani sarebbero restii a venirci incontro per una ragione pratica. I 50 miliardi di dollari che fatturano negli Usa i produttori di cibo che loro chiamano «Italy sounding» (il parmesano, il salami, il mo(z)zarella cheese e via elencando il pataccume culinario) pesano. «Introducendo la denominazione geografica», dicono fonti che vogliono restare anonime, «perderemmo di colpo 20 o 30

miliardi di fatturato. Credete che gli italiani ne approfitterebbero? Forse riuscirebbero a rosicchiare uno o 2 miliardi di export in più». A che pro dunque un sacrificio simile, che andrebbe a vantaggio di altri? Staremo a vedere le mosse di Roma. Che la penetrazione dei nostri prodotti agroalimentari negli Usa faccia acqua da tutte le parti, è un dato storico. Anni fa negli scaffali dei grandi magazzini c’erano pelati, olio e pasta spagnoli. Per beccare nostri prodotti si doveva fare l’archeologo nelle grocery newyorkesi o californiane. Oggi la storia è cambiata, ma non tanto.

Rimane il fatto che se dovesse passare questa bozza l’Italia perderebbe anche sugli altri mercati. «L’accordo di Doha», denuncia Zaia, «vorrebbe cancellare le indicazioni geografiche, sarebbe inutile quindi parlare di grande suino padano, di dop e igp, se poi questi vogliono fare un accordo che non è multilaterale. Il nostro mercato è nostro e va rispettato: chi viene da noi deve suonare il campanello, e dobbiamo potergli chiedere che tipo di diserbanti e anticrittogamici ha usato», ha concluso il ministro, pronto a porre il veto sull’accordo. Sarebbe la fine della qualità nella produzione italiana. Le colpe ci sono, non nascono oggi e neanche ieri, ma nell’ideologica difficoltà che abbiamo sempre avuto nel trasformare l’amicizia con l’America – spesso solo declamata – in business.


economia

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Come avvenne in Capitalia, anche in Mediobanca Geronzi finisce invischiato in una guerra generazionale

Lo spettro di Arpe su Nagel e Pagliaro di Giuseppe Failla

d i a r i o MILANO. La maretta che sta scuotendo le solitamente silenziose stanze di Mediobanca ha diverse chiavi di lettura. La prima, la più suggestiva, è quella dello scontro generazionale fra i “giovani”Renato Pagliaro e Alberto Nagel, presidente del consiglio di gestione e Ad della merchant bank, con il presidente del consiglio di Sorveglianza,“l’anziano” Cesare Geronzi. Il conflitto generazionale non è un inedito per piazzetta Cuccia. Gerardo Braggiotti e Matteo Arpe, i due delfini deputati in tempi differenti, alla successione di Enrico Cuccia, sono stati sacrificati sull’altare della continuità, dopo aver manifestato eccessiva intemperanza e impazienza. Almeno per gli standard della casa. In questo caso lo scontro è meno drammatico visto che la presenza di Geronzi – alla guida del consiglio di sorveglianza da appena un anno – ha tolto alla contrapposizione i tratti “edipici” che avevano avuto le separazione di Braggiotti e Arpe da Cuccia. Ma non è l’unico elemento di deja vù nella vicenda.

Geronzi, nella sua Capitalia, ha vissuto uno scontro durissimo con il suo allora amministratore delegato Matteo Arpe.

ronzi è solidissima tanto che in ambienti finanziari c’è chi è pronto a scommettere che la lunga giornata di oggi (in programma riunioni del consiglio di sorveglianza, del direttivo e dell’assemblea del patto di sindacato) si chiuderà con un diplomatico avvio della procedura per il ritorno alla governance classica. Una sorta di “tempo supplementare” che consentirà il rientro graduale dei malumori del management e delle posizioni critiche da parte di Unicredit. Questo, ovviamente, salvo clamorosi colpi di scena che però, stando agli osservatori più attenti delle vicende mediobanchesche, sono estremamente improbabili. Sullo sfondo della contrapposizione fra Geronzi e i vertici operativi di Mediobanca, segnalano fonti vicine al dossier, si è giocata una partita molto dura fra Nagel e Pagliaro. Il ritorno al monistico costringerà uno dei due a fare un passo indietro rassegnandosi alla carica di direttore generale, visto che è previsto un solo amministratore delegato. Se tutto dovesse essere riportato a come era prima dell’adozione del duale, l’Ad sarà Nagel. Quest’eventualità non piace a Pagliaro, che già una volta ha dovuto sopportare un ruolo subalterno a Nagel. Quando Vincenzo Maranghi trattò l’uscita, chiese che i suoi due uomini più fidati venissero messi sulla plancia di comando con ruoli identici. L’allora governatore Antonio Fazio non voleva diarchie e quindi impose una scelta che ricadde su Nagel in quanto ritenuto il meno maranghiano dei due. Pagliaro non ha mai personalmente digerito quella scelta anche se, per amore nei confronti dell’istituzione Mediobanca e per spirito di servizio, non ha mai pensato di uscire dai ranghi.

Oggi i soci di piazzetta Cuccia dovrebbero dare il via alla riforma della governance. Ma i tempi non saranno brevi

Alla pacificazione dei dioscuri di Mediobanca contribuì non poco l’arrivo di Gabriele Galateri di Genola alla presidenza. Che nella sua permanenza a Piazzetta Cuccia, ha svolto un paziente e fondamentale ruolo di pacificatore, oltre che di ambasciatore di Mediobanca, rimanendo lontano dalla gestione operativa.

La contrapposizione, durissima e non confrontabile con i toni molto più (apparentemente) dimessi della vicenda mediobanchesca, era nato da una profonda contrapposzione sulla strategia della banca: Arpe voleva lasciarla “single” e Geronzi la voleva sposa di Unicredit. Anche in questo caso, spiegano fonti vicine alla trattativa, la rivoluzione voluta da Geronzi comporta dei rischi. Nel dettaglio, qualora il management di Mediobanca dovesse riuscire a rintuzzare gli attacchi del banchiere di Marino, questi si troverebbe in una situazione difficile da gestire nei confronti degli azionisti, che ha mobilitato per ottenere il cambio di governance. In realtà, al contrario di quanto avvenuto nello scontro con Arpe – che è stato a lungo incerto – oggi la posizione di Ge-

d e l

g i o r n o

Finanziaria, S&P: mancano riforme strutturali La finanziaria triennale del governo, targata Giulio Tremonti, alimenta speranze di politiche più attive sul lato del contenimento della spesa, ma non propone riforme strutturali nei settori dove è più urgente agire: la pubblica amministrazione, la spesa corrente, il sistema pensionistico e le tensioni generate dall’avvio del federalismo fiscale. Lo afferma Standard & Poor’s in uno studio dedicato alla finanziaria in cui sottolinea come «il pesante fardello del debito pubblico e degli interessi continuerà a ostacolare la flessibilità della politica economica finché non ci sarà sufficiente volontà politica per colpire al cuore i problemi del bilancio pubblico italiano: un settore inefficiente e sovradimensionato, un quadro di bilancio debole che ha condotto a una rapida crescita della spesa corrente, un sistema pensionistico costoso con delle esigenze dettate dallo sviluppo del sistema del federalismo fiscale».

Retribuzioni: a giugno lieve incremento Le retribuzioni contrattuali orarie hanno registrato a giugno un incremento dello 0,3 per cento congiunturale e del 3,6 per cento su anno, il tendenziale più alto da gennaio 2005 (4 per cento). L’aumento nel periodo gennaio-giugno è del 3 per cento tendenziale. Lo comunica Istat, precisando che a fine giugno i contratti in vigore per la parte economica riguardavano il 54,3 per cento degli occupati dipendenti, pari al 52,9 per cento del monte retributivo osservato.

Brunetta: detassazione anche per gli statali «La detassazione degli straordinari sarà applicata in via sperimentale anche nel pubblico impiego a partire dal 2009». Lo ha dichiarato il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta. L’impegno, ha annunciato il ministro, «è che, finita la prima sperimentazione nel privato, che durerà fino a fine anno, dall’anno prossimo si comincia la sperimentazione nel pubblico nelle aree di front office: dalla sicurezza agli infermieri agli insegnanti, quelli che stanno con i clienti davanti».

British verso la fusione con Iberia Un colosso dell’aviazione civile internazionale potrebbe vedere la luce nei prossimi mesi: le compagnie aeree British Airways e Iberia, due tra le maggiori al mondo, hanno annunciato ieri di aver avviato discussioni per una fusione. Dai due cda è già venuto il via libera. Secondo quanto hanno comunicato ognuna delle due aerolinee manterrebbe proprio nome e logo, pur confluendo in un unico gruppo, che sarebbe quotato in borsa a Londra e Madrid. La fusione dovrebbe prevedere uno scambio azionario fra le due società. Lo schema dell’operazione vedrà una società veicolo di nuova costituzione acquisire le due compagnie simultaneamente. I consigli di amministrazione di entrambe le compagnie, hanno unanimemente espresso parere favorevole all’unione.

Telecom, Bazoli: nessun cambio ai vertici «Non abbiamo considerato un’ipotesi de genere». Lo ha affermato Giovanni Bazoli, presidente del consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, rispondendo a chi gli chiedeva di un possibile cambio dei vertici di Telecom. Intanto, il consiglio dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, presieduto da Corrado Calabrò, ha approvato ieri la pubblicazione della proposta definitiva degli impegni assunti da Telecom Italia finalizzati a migliorare le condizioni concorrenziali del mercato della rete d’accesso e dei mercati dei servizi di telefonia fissa. Con tale decisione, spiega una nota dell’Agcom, si avvia la consultazione pubblica nazionale che, tenuto conto della pausa estiva, si concluderà entro la fine di settembre.


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alph Waldo Emerson (1803-1882), che Nietzsche definì «il pensatore più ricco di idee del secolo», è uno dei pilastri della filosofia americana e rappresenta una versione che potremmo definire non-analitica di quel pragmatismo che l’ha in gran parte determinata. La nuova traduzione di una della sue opere fondamentali (Condotta di vita, introduzione di Giorgio Mariani, traduzione e cura di Beniamino Soressi, Rubbettino Editore, 309 pagg., 24 euro), ha il merito di riproporre al lettore italiano l’importanza di un pensatore che appartiene al ristretto novero di quegli scrittori (tra cui Hawthorne, Melville,Thoreau, Whitman) che nei primi anni Cinquanta del Diciannovesimo secolo rappresentarono ciò che è stato chiamato il “Rinascimento americano”.

R

Insieme ad altre due recenti e meritorie pubblicazioni (Essere poeta, a cura di B. Soressi, Moretti & Vitali Editori, 103 pagg., 16 euro; Società e solitudine, a cura di Nadia Urbinati, Edizioni Diabasis, 137 pagg., 10 euro), quest’opera può rimediare a una lacuna di ricezione. Infatti, la figura di Emerson è stata poco valorizzata in Italia, sia perché del pensiero americano si è privilegiato il filone in cui si è mosso il pragmatismo, sia perché si è riduttivamente inteso il pensiero di Emerson come una forma di trascendentalismo derivato da quello tedesco e quindi di spessore inferiore all’originale. Tutt’altra è invece la verità su questo pensatore dall’e-

cultura Gli editori italiani riscoprono il padre del “Rinascimento americano”

Emerson, il poeta della conoscenza di Renato Cristin le equilibrio fra l’accettazione della potenza naturale e l’esigenza di miglioramento dell’essere umano, come pure fra onnipotenza divina e scelte umane. Il suo è un universo dinamico, il cui movimento è dato dalla tensione tra forze contrapposte (fato e volontà, natura e cultura, pietas e violenza, ecc.), un universo in cui si fondono l’elemento tragico e quello armonico. Sul piano gnoseologico, egli medita nel solco del binomio tracciato da Goethe: “poesia e conoscenza”, poesia come conoscenza, come metafisica: «la poesia è il perpetuo sforzo di esprimere lo spirito della cosa e cercare la ragione che ne causa l’esistenza». E, come Hölderlin, ritiene che la poesia sia il fondamento del mondo: «ciò che resta, lo fondano i poeti», recita infatti il verso hölderliniano. Un tributo al di sopra di ogni sospetto alla grandezza del pensatore americano venne

da Nietzsche. Nonostante nel 1876 consideri le ultime opere di Emerson come frutto di un pensatore «alquanto invecchiato e troppo innamorato della vita»,

Nietzsche gli ha sempre riconosciuto un forte influsso genealogico sul proprio pensiero, in particolare per quanto riguarda la

to sia alla natura sia alla cultura (il caso ha voluto che Emerson morisse nell’anno in cui Nietzsche pubblicava la Gaia scienza). Ma pur essendo un sostenitore dell’aristocrazia spirituale (le masse sono una «calamità» e non devono «essere lusingate ma ammaestrate»), Emerson fu nel contempo un paladino della democrazia sociale. Egli ha teorizzato senza reticenze la tensione dell’uomo verso la potenza individuale e generale, ma fu anche colui che Dewey chiamò «il filosofo della democrazia».

La sua filosofia è una mediazione fra un pragmatismo che vuole risolvere i problemi concreti e un eticismo che prospetta anche soluzioni pratiche nozione di volontà di potenza, ritrovando nel filosofo americano quella visione eroica dell’esistenza («tutte le gesta che han fatto la nostra civiltà erano i pensieri di poche buone menti», scrive Emerson) che avrebbe portato alla delineazione nietzschiana dell’Übermensch, dell’uomo che trascende i propri limiti per affermarsi nella sua superiorità rispet-

Recupera la concezione elitaria di Carlyle, secondo cui la storia viene costruita dalle personalità eccezionali, ma la disloca entro una dinamica in cui gli eroi diventano «uomini rappresentativi», in cui la pura autorità diventa autentica autorevolezza e in cui non ci sono distinzioni né di

Ralph Waldo Emerson in un ritratto (a sinistra) e in una scultura (al centro). A destra, il suo studio

del Capitale), Marx denunciava come l’oppressione dell’uomo sull’uomo e, quindi, come negazione della libertà. Oppositore implicito del marxismo e, quindi, del comunismo prima ancora che esso si manifestasse pienamente, egli replica alla dottrina pauperistica e all’utopia socialistica di Thoreau sostenendo che l’uomo non deve accontentarsi «di una capanna e una manciata di piselli secchi», e le contrappone una precisa teoria della ricchezza: «l’uomo è nato per essere ricco», perché la ricchezza implica libertà e felicità. La «domanda di ricchezza» è dunque legittima e, in quanto legata alla ricerca della felicità, necessaria allo sviluppo dell’individuo e dell’umanità. Liberista («la base dell’economia politica è la non interferenza») ma non naturalista né tanto meno positivista (dobbiamo liberare il desiderio e «rispettare i fini mentre usiamo i mezzi»), egli ritiene che le virtù del capitalismo siano intrinseche alla crescita del genere umano, perché «la vera prosperità consiste nello spendere sempre su un piano più elevato; nell’investire e investire, così da poter spendere in creazione spirituale». Perciò «l’uomo dev’essere capitalista», perché l’accumulazione non è solo sedimentazione economico-materiale, ma accrescimento della potenza, forma primaria dello sviluppo dello spirito. Il reinvestimento degli introiti ha un senso metafisico, perché significa «raccogliere il particolare nel generale». Il capitale dunque è «forza e spiriti animali», ma anche «immaginario e pensiero», come pure «coraggio e perseveranza».

Quello che oggi

nergica visione metafisica e dal dirompente vigore letterario, che amava definirsi in primo luogo come “poeta”. Egli tenta una mediazione, di fatto ben riuscita, fra un pragmatismo che vuole risolvere i problemi dell’esistenza concreta senza farsi troppo imbrigliare dalle prescrizioni morali e un eticismo che prospetta soluzioni pratiche avendo come riferimento costante i princìpi morali. La via mediana di Emerson è una filosofia pratica che trae insegnamento sia dalle situazioni della vita sociale sia dalle riflessioni della metafisica, che cerca di conservare un diffici-

censo né di razza (celebre fu la sua battaglia per l’abolizione della schiavitù). In questa formale parità di condizioni, chiunque può eccellere, diventare eroe e, quindi, fare la storia. La dura ma feconda tensione tra aristocrazia e democrazia trova un’efficace composizione nella sua visione del capitalismo.

Emerson concepisce in chiave sia economica sia spirituale e in senso eticamente positivo quel modo di produzione che, proprio negli stessi anni (del 1857 è il saggio Per la critica dell’economia politica, del ‘67 la pubblicazione

in Occidente viene chiamato il capitale immateriale era già stato delineato da Emerson come la finalità della crescita: «questo è l’autentico interesse composto; questo è capitale centuplicato; l’uomo elevato alla sua più alta potenza». In questo senso va intesa la sua esaltazione della forza dei Sassoni e della loro superiorità nell’anima del capitalismo («da un migliaio d’anni la razza dirigente, per la qualità della loro indipendenza personale e per l’indipendenza economica»). Ma il più germanico dei filosofi statunitensi è al tempo stesso uno dei fondatori dello spirito americano. Due dei caratteri fondamentali di quello spirito - la ricerca della felicità e della ricchezza come finalità dell’agire umano, e la ricerca della sintesi fra individuo e società - sono infatti elaborati ed espressi da Emerson in modo insuperabile.


musica

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Dopo un disco da solista e un tour spettacolare, è in arrivo sul mercato un cd e un dvd della storica chitarra dei Pink Floyd

L’inesauribile magia di Gilmour di Alfredo Marziano vrò diritto di starmene un po’seduto sulle mie chiappe, ora che sono diventato vecchio!». Così, non più tardi di due mesi fa, parlò David Gilmour, la magica chitarra dei Pink Floyd che la Fender sta per immortalare mettendo in commercio una replica della sua Black Strat, l’inconfondibile Stratocaster nera compagna fedele in studio e sul palco. Con quell’aria pigra da milionario inglese in vacanza che si ritrova, oggi che i capelli imbiancati cedono terreno alla calvizie e il beer belly, il ventre da troppe birre, conquista inesorabile centimetri di circonferenza, saresti quasi tentato di credergli. E invece no, da qualche tempo a questa parte il nostro sembra essere colto da improvvisa frenesia produttiva. Sarà magari l’onda lunga della reunion del Live 8, che quella sera del luglio 2005 ha inumidito gli occhi e scaldato i cuori di molti, scalfendo - forse anche la sua scorza di imperturbabile gentleman britannico. Un piccolo riassunto per i più distratti: nel 2006 è uscito On An Island, terzo disco solista in trent’anni e non propriamente un capolavoro, canzoni quiete, contemplative e anche un po’ torpide ispirate ai paradisiaci panorami marini dell’isola greca di Castellorizo, buen ritiro preferito dalla rock star.

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Quasi una riunione di famiglia, con Rick Wright alle tastiere e l’inseparabile seconda moglie Polly Samson autrice dello stucchevole disegno di copertina e di gran parte dei testi. Un tuffo nostalgico nel passato, anche, con tante vecchie glorie del rock inglese invitate a bordo dell’Astoria, la bellissima casa galleggiante sul Tamigi che David ha trasformato nel suo studio di registrazione privato: Phil Manzanera dei Roxy Music (anche coproduttore dell’album), il vecchio leone dell’r&b revival Georgie Fame, l’ex Soft Machine Robert Wyatt, gli inossidabili Crosby & Nash in visita pastorale dagli States e persino l’amico di gioventù Bob Klose, primissimo chitarrista dei futuri Floyd quando ancora i ragazzi di Cambridge si facevano chiamare Tea Set. A quell’album fece seguito un tour che sbarcò anche in Italia a due ri-

prese, prima a Milano e Roma, poi a Firenze e Venezia. Uno spettacolo, gustarsi Gilmour, Wright e il resto della band a distanza ravvicinata come fossimo ancora agli inizi dei Settanta, prima della deflagrazione di The Dark Side Of The Moon e dei tour negli stadi. Un sopportabile fastidio sciropparsi le nuove canzoni per godersi la sequenza Breathe/Time (in apertura di concerto), l’emozionante blues cosmico di Shine On You Crazy Diamond e l’arpeggio acustico di Wish You Were Here, scampoli di Atom Heart Mother e di Obscu-

red By Clouds e persino una Echoes misura extralarge, venticinque minuti di viaggio all’indietro nella macchina del tempo fino all’indimenticabile concerto di Pompei.

Tutto documentato fedelmente su un doppio Dvd dato alle stampe l’anno scorso, Remember That Night, filmato alla Royal Albert Hall di Londra con Crosby, Nash e David Bowie ospiti sul palco. Ma non basta, perché a settembre, e proprio in coincidenza con l’arrivo nei negozi della Black Strat, la Emi pubblicherà

moria i tempi giurassici di Atom Heart Mother. Gilmour, quasi inutile dirlo, non si fa trascinare dall’occasione come fece Roger Waters presentando The Wall a Berlino, diciotto anni fa. Fedele al suo proverbiale understatement sibila pochissime parole, elargisce qualche timido sorriso e un paio di freddure tipicamente britanniche.

Non è un capo popolo o un agitatore politico come “Rog”, lui, e dunque è già tanto sentirlo dichiarare che i cantieri di Danzica, teatro di proteste sindacali che per prime minarono l’impero sovietico, «sono un luogo profondamente simbolico, ed è stato un onore suonare la nostra musica su quel palco». Sembra comunque più a suo agio lì di quanto fosse all’Hyde Park di Londra, quella sera di luglio di tre anni fa, con Waters che gli rubava la scena e lo abbracciava, trattenendolo suo malgrado a riuna confezione multipla di cd e dvd registrati in occasione dell’ultima data del tour, il 26 agosto del 2006, quando l’ex (?) Floyd e compagni si esibirono nei cantieri navali di Danzica per celebrare il ventiseiesimo anniversario della fondazione di Solidarnosc su invito del sindaco Pawel Adamowicz e dell’ex presidente Lech Walesa.

Una serata speciale, cinquantamila persone raccolte sul fronte del porto e i 40 orchestrali della Baltic Philharmonic Symphony Orchestra sul palco, vigorosamente diretti dalla bacchetta di Zbigniew Preisner che con Gilmour aveva già lavorato ad Abbey Road in occasione delle se-

Il vecchio leone David, il custode del marchio Floyd, a 62 anni, continua a stupire i suoi fans e non esclude una possibile reunion del gruppo con il suo rivale di sempre: il bassista Roger Waters dute di incisione di On An Island. Lì, in Polonia, le canzoni dell’album sono state finalmente eseguite «così come erano state intese in origine», e lo stesso trattamento orchestrale è stato riservato a qualche scampolo dell’ultimo repertorio Floyd, High Hopes e A Great Day For Freedom (non poteva mancare, nell’occasione). Un concerto assorto e solenne, un esperimento di rock orchestrale che ai fan più anziani riporta ovviamente alla me-

cevere l’ovazione della sterminata folla londinese. Oggi è proprio Gilmour, il custode del marchio Floyd negli anni Ottanta e Novanta, il più restio a dare un seguito a quell’exploit solitario. «Il futuro? E chi lo conosce? Per me quella cosa estemporanea è stata sufficiente. Ma vedremo, non mi sento di escludere niente», ha dichiarato alla Bbc. Ha 62 anni, il vecchio David, avrà pur diritto di tirare i remi in barca e starsene un po’ seduto sulle chiappe.


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mostre

Cielo, mare, spiagge, campagne, silenzi e terre di Toscana. Le più belle opere d’arte dell’”Uomo nuovo” Bartolini esposte ad Acqui Terme fino al 31 agosto

Il Sigfrido della pittura di Mario Bernardi Guardi llorché, quella sera del 1949, con Bugiani riprendemmo in bicicletta la strada dal Poggio a Caiano per Pistoia, mi sentivo cresciuto, mi ritenevo uscito da una cerimonia iniziatica e ripetevo ossessivamente a me stesso: “Ho conosciuto Ardengo Soffici, ho conosciuto Ardengo Soffici”, convinto che le persone e le cose attorno esultassero con me. La bicicletta era diventata una cavalcatura mitica, un ippogrifo d’acciaio degno della fantasia di Marinetti» (Sigfrido Bartolini, Con Soffici. Resti di memoria, Quaderni Sofficiani, n°9, Vallecchi,2003,pp.6-7). Sì, il diciassettenne Sigfrido, pistoiese, figlio di un verniciatore e filettatore di carrozze che aveva voluto “contaminare” il toscanissimo cognome con un sonante nome wagneriano, aveva conosciuto Soffici. Era stato il suo maestro, Piero Bugiani, a portare con sé a casa del Sor Ardengo quel ragazzetto innamorato del disegno: e se prima di andarci, Sigfrido già fremeva d’entusiasmo, ora pedalava sul suo cavallo d’acciaio sentendosi un eletto. E sì che Soffici non gli aveva fatto neppure un complimento per i monotipi che lui, su suggerimento di Bugiani, gli aveva portato. Ma, a modo suo, non era stato avaro di attenzioni, visto che lo aveva esortato a lavorare senza sosta («Disegni! I disegni a chili!») e qualche giorno dopo aveva detto al pittore Renzo Agostini: «Seguitelo quel ragazzo!».

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va presentato la “personale” di Bartolini al Chiostro Nuovo, a Firenze, a franco riconoscimento del valore del discepolo.

Due artisti, un vecchio maestro, un giovane allievo: da subito, due amici. Nel senso profondo e antico; nel segno di un’affinità elettiva che era condivisione forte di emozioni e di immagini. In cima a tutto, il cielo, il mare, la terra di Toscana: e gli alberi, le case e le cose umili ed eterne, le campagne e le spiagge in teso, concentrato silenzio. E’ il Bartolini che troviamo alla 38° edizione dell’annuale mostra antologica di pittura, in programma fino al 31 agosto al Palazzo Saracco di Acqui Terme. La retrospettiva, curata da Elena Pontiggia e intitolata Sigfrido Bartolini e il suo mondo. Soffici, Sironi, Carrà… Le favole e il paesaggio italiano (il catalogo, edito da Mazzotta, testi di Elena Pontiggia, Beatrice Buscaroli, Daniela Marcheschi, pp.150, euro 35, contiene la ridelle produzione cento opere esposte, 80 di Bartolini, le altre di Soffici, Carrà, Sironi, Cremona e Rosai) fa seguito all’ultima antologica, tenutasi al Palazzo della Triennale di Milano otto anni fa e conferma la coerenza di un percorso. Stazione dopo stazione, infatti, dai monotipi che rinnovano i freschi e vivaci umori di Strapaese, ma già evocano tessiture simboliche, ai dipinti dove le campagne, le marine, le immagini del tempo, gli oggetti della quotidianità, paiono a un tempo concreti e lontani, alla ricerca grafica che trova uno dei suoi punti più alti nelle tavole di Pinocchio, abitate da una limpida, nitida, casta quotidianità ma anche attraversate da segnali arcani e sapienziali; stazione dopo stazione, Bartolini rivela il suo mondo. Nel duplice senso del verbo, che è quello di un’apertura allo sguardo che indaga e

Nato a Pistoia,a diciassette anni conobbe il suo maestro Ardengo Soffici:«Mi ritenevo uscito da una cerimonia iniziatica.La mia bicicletta era diventata un ippogrifo d’acciaio degno della fantasia di Marinetti»

“Quel ragazzo” - che allora era iscritto alla Federazione Giovanile del Pci - avrebbe istaurato col Sor Ardengo - un “fascistone” che era stato anche nella Rsi un rapporto di amicizia e di stima che sarebbe durato fino alla morte del Maestro, a Forte dei Marmi, nel 1964. E proprio tre anni prima l’Uomo del Poggio ave-


mostre

30 luglio 2008 • pagina 21

Una piccola galleria di immagini di alcune tra le più belle opere d’arte di Sigfrido Bartolini. Da sinistra a destra: ”Quasi una forta” (1987); ”Castello a Pieve di Marette” (1980); ”Vecchie cabine” (1987); ”Mezzogiorno” (1975). In basso a sinistra: ”Mezzogiorno” (1992). In basso a destra: ”Tabernacolo di Venere” (1987)

ra egemone non lo avevano davvero, ma che di sicuro raccoglievano il testimone di una gran bella tradizione tessuta di creatività, umori polemici, fieri propositi di rivoluzione-restaurazione. Si pensi alla fondazione, nel 1966, insieme a Barna Occhini, genero di Papini, del quindicinale Totalità: una rivista che si muove nel solco di quelle “storiche” di Papini, Prezzolini e Soffici, e ne ripropone il piglio gagliardo e scanzonato. E non in nome di trasgressivi, estetizzanti esibizionismi, ma per dire pane al pane e vino al vino. “Raccontando” l’Italia, senza faziosità, ma con il vigore animoso di chi crede e dunque propone. E per fortuna c’erano gli amici con cui dividere pane e companatico di passioni culturali e civili: Roberto Ridolfi, Giano Accame, Fausto Gianfranceschi, Claudio Quarantotto, Alfredo Cattabiani, Piero Buscaroli, Piero Capello, Italo Cremona, Orfeo Tamburi, Orsola Nemi, Henry Furst, Gioacchino e Giovanni Volpe, tanto per citare i primi che ci vengono in mente. Buone, belle battaglie per “liberare”l’Italia e la cultura. E Bartolini sempre in prima fila. Certo, col suo segno inconfondibile di artigiano-artista, ma anche con la sua penna all’arrabbiata, pronta a smascherare gli “artisti” con tessera di partito (“del”Partito), i critici prezzolati, e attorcigliati nei loro discorsi fumosi, i mercanti d’arte truffaldini, insomma i mistificatori di tutte le risme, che sapevano come far quattrini, vendendo patacche e gabellandole per oro. Tutta gente che Bartolini cordialmente e giustamente detestava, memore che, ragazzo, quando aveva visto Soffici per la prima volta, era stato colpito da quello sguardo pulito e diritto, saporoso d’antico e sdegnoso di cialtronerie, ruffianerie e accomodamenti.

di un nuovo occultamento, che chiede altre e più raffinate “risorse” per investigare e per capire. La bellezza e la “bontà”di Bartolini, la scelta da lui compiuta all’insegna di una «sovrana inattualità» (Elena Pontiggia), il tenace anacronismo che via via è andato definendo in una sempre più consapevole poetica, sono il frutto di una visione del mondo saldamente ancorata alla Tradizione. E cioè alla capacità di cogliere e rappresentare la “realtà” nella sua forza “elementare”, in maniera tale che, nell’attimo stesso in cui “tocchi”una casa contadina o un albero o i grani d’oro della sabbia, percepisci quella “concretezza”nella sua silenziosa, arcana solennità, ti accorgi che il “ritorno al reale”è scoperta religiosa e metafisica, che la “verità del linguaggio” è lettura simbolica di quel che hai intorno a te, dunque coscienza della sua “verticalità”, e che la “rivolta contro il mondo moderno”, eletta ad emblema etico/estetico/esistenziale, è riscoperta attiva e propositiva di miti, archetipi, ragioni alte del vivere (e “regioni” alte dove vivere).

E volutamente abbiamo “citato” moduli espressivi di Gustave Thibon, Attilio Mordini, Julius Evola, tre “inattuali” che a Bartolini, tenace, roccioso, ispido nella sua intransigenza antiprogressista, erano particolarmente cari. Ne avvertiva l’istinto volto al vero, dunque l’intuizione dell’eterno: quelle stesse cifre che, in modo diverso e con differenti suggestioni, gli offrivano pittori (e cercatori e tessitori) come Soffici, Carrà, Sironi, Cremona, Rosai. Di questa lezione Bartolini fu degno e i suoi compiti li svolse al meglio, portando, come ha scritto Mario Penelope, «il paesaggio toscano (…) ad un punto culminante di scarnificazione e di tensione». Perché in quel paesaggio Bartolini colse l’universo, e quella universalità volle illustrare e illuminare, raccontandoci l’umile come sublime, la casa contadina come roccaforte imperiale, e terra, e cielo, e mare come “vocaboli” dell’uomo e di Dio. Ecco, se c’è una “lezione” che viene da Sigfrido, è questa. Fatta di convinzioni forti, di una salda militanza nella cultura anticonformista (ma senza appartenenze di partito, perché voleva essere libero di dire sempre quel che gli frullava nel capo, e dunque di “benedire” e di “maledire”), di una tenacia immacolata - come i colletti delle sue camicie bianche, che uscivano dal classico maglioncino nero: una divisa, insieme al basco - nel perseguire la sua idea di arte. Che è “artigianato” alto e aristocratico, sempre incardinato in un’etica. Niente in lui del pedagogo, niente dell’intellettuale “impegnato”, intendiamoci.

Da ragazzo si iscrisse alla Federazione giovanile del Pci, ma ben presto abbandonò l’utopia comunista per una militanza nella cultura anticonformista che lo avvicinò a Evola,Thibon e Mordini

Perché altrimenti non si sarebbe prima accostato e non avrebbe di lì a poco fatto suo il “vero” di Soffici, dicendo addio per sempre all’utopia comunista. E rinunciando così a tutti quegli appoggi, tutele e promozioni che, nella rossa Toscana, gli sarebbero venute dal Pci, e che facilmente avrebbero potuto imporlo sulla scena come un “grande”, fornito di tutti i “bollini rossi” di garanzia. E invece Sigfrido si consacrò alla “parte sbagliata” (senza mai andare a cercare l’onorevole Tizio o Caio che potesse dargli una mano), fece battaglie scomode, collaborò a iniziative che l’”imprimatur” della cultu-

Gli aveva detto di lavorare, Soffici: e lui aveva capito subito che per lavorare ci vogliono le mani, ma anche il cuore e lo spirito. L’arte è questo “fare”, questa sostanza profonda che si trasferisce in una forma: e bisogna che la vita le si intoni, senza smagliature. Bartolini non ha mai tradito, non “si è”mai tradito. E se ora commossi ritroviamo l’artista in questa splendida rassegna di Acqui Terme che ce lo ridà “passo dopo passo”, sarebbe bene riscoprire anche l’eccellente “disegnatore” (come non ricordare, ad esempio, le xilografie che illustrano il mirabile Ai cavalieri del Tempio in lode della nuova milizia di Bernardo di Chiaravalle, edito da Volpe nel 1977). E poi c’è lo scrittore, tutto da rileggere. Dall’autore di monografie (su Soffici, su Sironi, su Lega, su Italo Cremona…) al polemista graffiante (a partire da Lettere di San Bernardino da Siena a un quotidiano, Volpe, 1977: ma andrebbero raccolti anche gli articoli pubblicati su Totalità, Folla, Il Borghese, Il Settimanale, L’Indipendente, Il Giornale, Libero ecc.). Insomma, c’è un’eredità da valorizzare. Per Sigfrido, maledetto e benedetto toscano, italiano e non italiota, grande artista, uomo perbene.


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Lotta all’accattonaggio, che cosa ne pensate? GIUSTO IL PUGNO DURO CONTRO I MENDICANTI, ADESSO ANCHE ALEMANNO E ROMA SI ADEGUINO

ORA SI STA DAVVERO ESAGERANDO, INIZIATIVE CONTRO I POVERI NON PAGANO MAI

Sono completamente d’accordo con la linea dura che prima Firenze, e fortunatamente adesso anche altre città d’Italia, stanno adottando per combattere l’accattonaggio. E questo sia per quanto già disposto a proposito dei lavavetri, sia per quel che si intende fare nei confronti dei mendicanti. Non se ne può proprio più, non c’è angolo della città - io sono di Roma - che non sia occupato da accattoni che si fingono storpi, che invocano Santi o lanciano maledizioni a chi passa senza cedere ai loro piagnistei. Mi rendo conto di apparire cattivo ed egoista, ma non è così. In verità ho imparato ad aiutare in concreto. Aiuto, quando so e quando posso, anziani con pensioni da fame, oppure famiglie rimaste senza casa e senza lavoro. Ma basta con i rom che chiedono elemosina e poi cercano di derubarti, basta con immigrati che implorano aiuto e poi spacciano droga e mettono bombe come e dove possono. La mossa di Cioni a Firenze è stata azzeccata e infatti ha ”conquistato”anche altre città. Speriamo che presto anche Alemanno e Roma si adeguino a un’esigenza che è tutta cittadina.

Mi sembra che adesso si cominci davvero a esagerare. Sicuramente lavavetri e accattoni costituiscono una piaga da cui le città devono guarire, però come dicevano i nostri Padri, c’è sempre un modus in rebus.Credo insomma che le norme vigenti siano già piuttosto sufficienti a eliminare (o quanto meno a limitare sufficientemente) i comportamenti plateali e a volte teatrali come quelli lamentati ad esempio dai fiorentini, dai veneziani o dagli abitanti della ”chicchettosissima” Cortina: clochard stesi per terra,mendicanti appollaiati agli angoli delle strade con tanto di cane e bastoni che in realtà non servono. Invero l’iniziativa che fu dell’assessore Graziano Cioni ebbe tutte le caratteristiche della mossa elettorale tesa a conquistare quei consensi che a quanto sembra la Giunta fiorentina sta perdendo. Si è però dimostrata una mossa convincente e in questo momento sembra imitata da molti. Ma a lungo andare, può essere anche un provvedimento producente? Ne dubito, iniziative contro i poveri, o sedicenti poveri, in genere non pagano. Cordialmente ringrazio per l’ospitalità. A presto.

LA DOMANDA DI DOMANI

NON BASTA TOGLIERE DALLE STRADE I CLOCHARD, OCCORRE FARE IN MODO CHE NON VIVANO PIÙ COSÌ

Giorgio Campi - Roma

Cosa leggere sotto l’ombrellone: libri, quotidiani o rotocalchi? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

Marco Valensise - Milano

Qualche settimana fa ero già entrato nel merito della ”questione accattonaggio”sul vostro giornale con una precedente lettera. E vorrei qui ribadire ciò che penso: come in ogni cosa, la repressione non risolve i problemi che, invece, dovrebbero essere affrontati alla radice. Quello che giunte di sinistra come di destra non dicono e non fanno, è che il vero problema è l’immigrazione e lo sfruttamento dei clandestini. Non basta togliere dalle strade dei poveracci che vivono di espedienti. Bisogna fare in modo che queste persone non debbano più vivere così, creando le condizioni per una vera e sana integrazione. Intanto, però, bisogna bloccare i nuovi ingressi. Va bene con la solidarietà, ma l’Italia non può purtroppo aiutare tutti. Cordialità.

DA TODI RIPARTE LA POLITICA ANCHE IN BASILICATA Dal dopo Todi deve ripartire la Politica, con un dialogo ed un confronto serio tra le diverse anime che caratterizzano lo scenario nazionale e locale per rilanciare le emergenze democratiche e sociali del Paese e delle realtà locali. Dal qualificato dibattito di Todi è emersa la condivisione unanime del fallimento del Bipolarismo e della necessità di rilanciare la Politica per affrontare in maniera seria i tanti problemi che assillano la vita quotidiana dei cittadini. Oggi, dopo tante scissioni, c’è la necessità di riaggregare intorno alla Costituente di Centro i tanti moderati e cattolici delusi dall’attuale sistema, con un nuovo progetto politico che sappia parlare al cuore degli italiani. La Basilicata può essere per il Centro, così come già per altre precedenti esperienze vincenti, un laboratorio politico interessante e nuovamente vincente e per cui sin da subito, i simpatizzanti dei Circoli liberal si adopereranno per unire ed aggregare, le tante esperienze ed intelligenze rimaste ai margini della poli-

BABYOGA Sempre più di moda in Cina il ”baby yoga”. Sono le mamme a guidare i neonati nelle più semplici posizioni della disciplina (che scioglie le articolazioni delle ginocchia e favorisce lo sviluppo del bacino), e sembra che i bimbi apprezzino di più il massaggio... a testa in giù

IL DIRETTORE DELL’UNITÀ USA IL PLURALE MAIESTATIS?

LA SINISTRA, LE STRADE CHIUSE E QUELLE PROPRIO FALLIMENTARI

Il direttore dell’Unità, riporta sul suo fondo una frase che avrebbe detto Napolitano sul Lodo Alfano: «Ho agito (promulgando la legge) nel modo più meditato e motivato indipendentemente da sollecitazioni in qualsiasi senso». Il direttore conclude scrivendo: «Ne prendiamo, rispettosamente, atto». Cosa vuol dire? Non concordiamo ma va bene così? Oppure, non concordiamo ma rispettiamo la volontà? O non so cosa?! Comunque, è una critica al presidente della Repubblica o un complimento? Come dire, la prossima volta fai quello in cui concordiamo? E chi sono quelli dietro il plurale noi? E’ un plurale maiestatis? Finora lo usava la Chiesa, il Papa, finora...!

Egregio direttore, lo sappiamo: una margerita può spuntare spontanea da un tombino, un lillà tra i rifiuti e piante di nasturzio fiorire tra i gas di scarico degli autoveicoli in mezzo a una rotonda spartitraffico di una città qualunque. Speriamo che succeda lo stesso per la saggezza e il buon senso tra le fila della nostra sinistra, finora incapace di aggiornarsi e di diventare moderna, di separarsi definitivamente da pensieri, parole e cose antiche e negative, di raccogliere le tante domande che il passato le ha offerto, e le continua ad offrire, e di percorrere strade che non siano chiuse e fallimentari. Grato dell’attenzione. Distinti saluti.

dai circoli liberal Lettera firmata

tica e delle Istituzioni per le scelte delle oligarchie dei partiti. I presidenti dei Circoli liberal della Basilicata, nel ringraziare l’onorevole Ferdinando Adornato e l’onorevole Angelo Sanza, per l’autorevole iniziativa assunta dalla Fondazione, hanno anche voluto ringraziare i tanti lucani che hanno partecipato al seminario di Todi e che guardano con favore e si sono dichiarati attenti osservatori del percorso della Costituente di Centro, in primis il commissario regionale e segretario provinciale dell’Udc Agatino Mancusi e Palmiro Sacco, il capogruppo alla provincia di Potenza Vincenzo Giuliano, il capogruppo ed i consiglieri regionali della neo Federazione di Centro, Nino Carelli, Gaetano Fierro, Franco Mollica, Rosa Mastrosimone e Prospero De Franchi, l’assessore provinciale della provincia di Matera, Cosimo Pompeo, l’onorevole Peppino Molinari e il dottor Vincenzo Bruno (candidati alla Camera per l’Unione di Centro), l’ex consigliere regionale Biagio Giammaria e tanti altri, con i quali intendiamo nei prossimi giorni, avviare anche in Basilicata il dibattito ed il confronto

Luigi Rodero Lepore

Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)

politico, per presentare l’Appello e predisporre il programma politico-amministrativo della Costituente di Centro, in vista anche delle scadenze elettorali della prossima primavera, con le elezioni amministrative che interesseranno il comune di Potenza, le due amministrazioni Provinciali e numerosi centri lucani, oltre alle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Gianluigi Laguardia COORDINATORE REGIONALE CIRCOLI LIBERAL BASILICATA

ATTIVAZIONI Il coordinamento regionale della Campania ha attivato un numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio

800.91.05.29


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog IL PARTITO DEMOCRATICO SI SFILACCIA SEMPRE DI PIÙ

Non sopporto le vostre parole assassine Mi dite di stare tranquilla e che mi volete vedere ogni qual volta potete. Avreste detto meglio, ogni qualvolta riuscite a dominare le vostre inclinazioni, oppure ogni qualvolta vi ricordate che c’è una donna così al mondo. Se continuerete a trattarmi in questo modo, non vi importunerò a lungo. E’ impossibile descrivere quello che ho sofferto dall’ultima volta che ci siamo visti. Sono sicura che avrei sopportato meglio una tortura di quelle parole assassine, sì, assassine. A volte ho pensato di morire senza rivedervi, ma, per vostra sfortuna, tali risoluzioni sono durate poco. La ragione per cui vi scrivo queste cose è perché non posso dirvele allorché capita che vi veda; infatti, appena comincio a lamentarmi, voi vi arrabbiate, e c’è qualcosa di terribile nel vostro sguardo che mi lascia di stucco. Se solo sapeste ciò che provo, sono sicura che mi perdonereste: credetemi, non posso impedirmi di dirvi almeno questo e di vivere. Esther Vanhomrigh a Jonathan Swift

PRESIDENTE BERLUSCONI, CAMBI GLI INTERLOCUTORI In questi giorni, in modo alquanto presuntuoso, sento sempre più il desiderio, per lettera, di rivolgermi al capo del Governo, Silvio Berlusconi, per dirgli: caro Presidente, Lei cerca o non cerca, a seconda dei casi e delle situazioni, il dialogo con l’opposizione per attuare il programma elettorale. Puntualmente vi sono dei fallimenti! Lei sbaglia interlocutore: il dialogo va fatto con persone intelligenti, che contano e di area di sinistra. Mi dirà che è fin troppo banale tutto questo. Non credo, provi a rivolgersi solo al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, dimostratosi persona di rispetto ed equilibrata. Parli con Lui come vuole, apertamente e non, spieghi cosa vuol fare: è l’unico in grado di ragionare. Se la sinistra (intendo tutti o qualcuno, faccia Lei) non condivide, lo spieghi direttamente a Napolitano: è persona che ispira fiducia ed ha capito la Storia che cambia. Gli ottusi... sono al massimo una espressione geometrica e non altro! Grazie per l’attenzione e buon lavoro.

Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

30 luglio 1733 La prima loggia massonica apre in quelli che diventeranno gli Stati Uniti 1898 Muore Otto von Bismarck, politico tedesco 1930 A Montevideo, l’Uruguay vince il primo Campionato mondiale di calcio 1945 Esce a Torino il primo numero del giornale Tuttosport. 1956 Una risoluzione congiunta del Congresso degli Stati Uniti viene firmata dal Presidente Dwight D. Eisenhower, la quale autorizza la frase In God We Trust come motto nazionale degli Usa 1965 Il presidente statunitense Lyndon B. Johnson tramuta in legge il Social Security Act del 1965, fondando Medicare e Medicaid 1971 L’Apollo 15 atterra sulla Luna 2003 In Messico, l’ultima Volkswagen Maggiolino ’vecchio tipo’ esce dalla catena di montaggio 2007 Muore Ingmar Bergman, regista, sceneggiatore e scrittore svedese

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

Ma volete sapere qual è stata in questi ultimi giorni la razione di tutta quanta l’intellighentia, qual è stata la conoscenza impartita e distribuita sul quotidiano l’Unità dalla giornalista commentatrice Maria Novella Oppo? Presto detto, ecco qui: «Silvio Berlusconi ha dichiarato che la sinistra sono io. Insomma, lui è il governo e anche l’opposizione e non ce n’è più per nessuno». E ancora: «Eccolo di nuovo Silvio Berlusconi pavoneggiarsi in tivù per prendersi un altro pezzo di Stato e di Costituzione repubblicana». A questo punto mi chiedo come il presidente del Consiglio possa prendersi qualcosa se è saldamente in mano ad altri! E’ evidente che l’intellighentia si è distratta e, così dicendo, conferma che il Partito democratico sta sfaldandosi e sfilacciandosi (la sinistra-sinistra in realtà è già rottamata); piuttosto segua le sue tracce e s’incontrerà con il potere, che per loro è come l’ossigeno: se non lo hai, se non lo possiedi... muori o respiri a fatica!

L. C. Guerrieri - Teramo

PUNTURE Rifondazione comunista è passata dalla rifondazione del comunismo alla rifondazione di Rifondazione.

Giancristiano Desiderio

Le anime piccole debbono diffidare più delle proprie passioni quanto sono più intense IPPOLITO NIEVO

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di IL GOVERNO REMA POCO Oscar Giannino spiega magistralmente, su Libero, come stanno le cose, conti alla mano, mentre l’opposizione ricorre alla sempre più spuntata arma retorica della ”macelleria sociale”: «Innanzitutto, mettiamoci d’accordo su che cosa si debba intendere, per ”tagli”. Un minimo di rispetto per l’aritmetica impone che siano da considerare ”tagli” stanziamenti di spesa pubblica nei prossimi esercizi inferiori al dato reale speso nell’anno precedente. Su questa semplice base, la risposta da dare è immediata: la manovra triennale non contempla tagli di sorta. L’opposizione, invece, considera come ”tagli” tutto ciò che viene presentato in contenimento della crescita tendenziale della spesa negli esercizi a venire, sulla base dei flussi pluriennali preventivati e promessi dal governo Prodi. Ma questi non sono ”tagli”, sono invece argini alla crescita inerziale della spesa pubblica... I 35 miliardi di euro di contenimento della spesa pubblica in tre anni disposti da Tremonti, dunque, servono a rallentare una crescita che resta tale - talora - e a stabilizzare - in altri capitoli la spesa pubblica, rispetto ai livelli attuali... non sono ”tagli” perché servono solo a ricondurre una crescita della spesa che era fuori controllo. Il centrosinistra questo lo sa benissimo, anche se preferisce non dirlo. Il Pd sa tanto bene quali sarebbero stati gli effetti di maggior deficit della spesa pubblica che aveva ”acceso” - malgrado i tre punti di Pil di pressione fiscale aggiuntiva disposti dal governo Prodi - che non a ca-

so, nel suo programma elettorale di aprile scorso, annunciava in caso di vittoria elettorale contenimenti di spesa pari a 15 miliardi di euro ogni anno. In tre anni, dunque, sarebbero stati 45 miliardi di euro, non i 35 di Tremonti». Giannino prosegue dati alla mano prendendo ad esempio due settori, gli stessi di cui scrivevo qualche post fa, sicurezza e sanità. E conclude: «La conclusione è univoca: i tagli non ci sono. La macchina pubblica deve abituarsi a crescere meno, tutto qui. Dipendesse da noi, dovrebbe dimagrire energicamente, distinguendo meglio chi è virtuoso da chi spreca. Ma siamo ancora a quello, checchè dica l’opposizione». Ora, da un punto di vista liberista e riformatore il governo ne esce meno bene di quanto appare, ma l’opposizione ancora peggio. Qualcuno mi critica perché insisto a prendermela con l’opposizione e non con il governo, che ora ha la responsabilità di ciò che fa. A parte il fatto che critiche a Tremonti e alla sua politica economica qui non sono state risparmiate, insisto: il Governo rema debolmente e lentamente, ma nella giusta direzione; l’opposizione rema in senso contrario, si oppone per il verso sbagliato. Siccome tagliare la spesa pubblica comporta sempre costi politici immediati, il rischio è che accusato di fare macelleria sociale, con una opposizione simile il governo rallenti la sua vogata. Viceversa, con una opposizione che lo incalzasse, potrebbe essere indotto ad accelerarla.

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PAGINAVENTIQUATTRO Pupi Avati, Marco Bechis, Pappi Corsicato e Ferzan Ozpetek in concorso alla 65° edizione della Mostra del cinema

Poker d’assi italiano sul “red carpet“ di di Priscilla Del Ninno na coppia d’assi hollywoodiana per l’apertura. Un poker d’autori tutto italiano per il concorso. Una scala reale di maestri internazionali di ieri e di sempre, da sfoggiare tra ritorni sul set e ricordi commemorativi, fino al Leone d’oro alla carriera a Ermanno Olmi, che sarà incoronato da Adriano Celentano il 5 settembre. Infine, il buio su diversi debutti di sconosciuti; la scommessa sul talento di diversi esordienti nel mirino critico da un po’.

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Queste le mani vincenti dell’agone cinefilo veneziano, che dal 27 agosto al 6 settembre prossimi terrà banco sulla ribalta mediatica, in nome di una maratona festivaliera che vede per il quarto anno consecutivo al comando del settore Cinema il direttore Marco Muller, e in giuria, per quest’edizione, un team blasonato capitanato dal presidente Wim Wenders, e composto da personalità del calibro di John Landis e Valeria Golino, coadiuvati dall’artista scozzese Douglas Gordon, dalla regista argentina Lucrecia Martel, dallo sceneggiatore russo Juriy Arabov e dal cineasta di Hong Kong, Johnnie To. Come annunciato nell’affollata conferenza stampa romana che ha presentato il carnet degli appuntamenti e degli ospiti in rassegna al Lido, allora, le danze di celluloide avranno inizio la sera del 27 agosto con l’anteprima mondiale di Burn After Reading, scritto e diretto dai fratelli Coen freschi di Oscar, gran cerimonieri pronti a inaugurare questa 65° edizione della Mostra: ciceroni doc i protagonisti di questa dark comedy dai risvolti spionistici, George Clooney, Frances McDormand, John Malkovich, Tilda Swinton, Richard Jenkins e Brad Pitt, chiamati dai surreali cineasti d’oltreoceano a conferire vis autoriale e credibilità spettacolare a una vicenda in cui le memorie di un ex agente della Cia finiscono accidentalmente nelle mani di due istruttori di una palestra di Washington che, ovviamente, intendono trarre profitto dall’insolito ritrovamento. Un’inaugurazione in grande stile, insomma, che poi nel corso dei giorni, tra concorso e vetrine parallele, lascerà la scena alla gara vera e propria, concentrata nella sezione “Venezia 65”; alle opere importanti dell’anno, racchiuse nella categoria “Fuori concorso”; alla selezione di titoli che con “Orizzonti”intende fare il punto sulle nuove linee di tendenza della produzione filmica; al microcosmo di “Corto Cortissimo” (competizione nella competizione dedicata ai cortometraggi) e, infine, al cantiere di riproposte e restauri racchiuso emblematicamente nel titolo “Questi fantasmi: cinema ita-

L’attore George Clooney mentre abbraccia la collega Tilda Swinton durante la 64° edizione della Mostra del Cinema di Venezia, dove gareggiavano con il film ”Michael Clayton”. Anche quest’anno Clooney non mancherà il tappeto rosso dell’edizione 2008 con la pellicola ”Burn After Reading”, scritta e diretta dai fratelli Coen

VENEZIA

liano ritrovato (1946-1975)”. E allora, per entrare nel vivo di un calendario che tra conferme, debutti e graditi ritorni, mescola scelte d’obbligo tradizionali e incognite tutte da verificare, segnaliamo innanzitutto il ritorno in pista del nostro cinema, grazie a un ritrovato

senterà Ponyo on Cliff by the sea. Saranno soprattutto loro i protagonisti del Lido, affiancati dagli immancabili registi algerini, turchi, etiopi, rappresentanti di quella che un tempo era considerata una scuola cinematografica figlia di un dio minore, oggi invece sempre più

Le danze di celluloide avranno inizio la sera del prossimo 27 agosto con l’anteprima mondiale di ”Burn After Readin”, dark comedy dai risvolti spionistici scritta e diretta dai (freschi di Oscar) fratelli Coen smalto formale e a una raggiunta maturità estetica, quest’anno accolto sul red carpet del concorso principale del Festival su cui sfileranno Il papà di Giovanna di Pupi Avati (con Silvio Orlando, Alba Rohrwacher, Francesca Neri, Ezio Greggio, Serena Grandi); BirdWatchers di Marco Bechis (con Claudio Santamaria, Chiara Caselli); Il seme della discordia di Pappi Corsicato (con Caterina Murino, Alessandro Gassman, Martina Stella, Isabella Ferrari); Un giorno perfetto di Ferzan Ozpetek (con Valerio Mastandrea, Valerio Binasco, Nicole Grimaudo, Stefania Sandrelli, Isabella Ferrari). Accanto a loro, nella stessa galleria di titoli in competizione per il Leone d’oro, un accenno di polvere di stelle all’americana disseminata qua e là nel programma del concorso grazie a Kathryn Bigelow e al suo Hurt Locker (con Ralph Fiennes e Guy Pierce); a Jonathan Demme che alla Mostra porterà Rachel getting married (con Anne Hathaway, Debra Winger, Bill Irwin); a Darren Aronofsky autore di The wrestler (con Mickey Rourke, Marisa Tomei). A sfidarli, tra gli altri, l’estro geniale di Takeshi Kitano, quest’anno alle prese con Achilles and the tortoise insieme, tanto per rimanere nei confini nipponici, al maestro dell’animazione Hayao Miyazaki, che al Lido pre-

spesso sul podio internazionale, in prima linea nel mercato mondiale, nelle file riservate agli ospiti d’onore agli incontri della critica ufficiale. A conferma di una mappa produttiva che, sul piano della proposta culturale come su quello del rendimento spettacolare e della riuscita commerciale, ridisegna continuamente i suoi confini politico-imprenditoriali all’insegna del melting pot di celluloide.

E’ sulla scia di questa premessa che nel calendario degli eventi raccolti dalle sezioni parallele al concorso, a Venezia troviamo gli apripista di questa globalizzata realtà cinefila, come l’ormai veterano regista iraniano Abbas Kiarostami, (che tornerà fuori concorso con Shirin, con Juliette Binoche), saldamente posizionato in programma tra il documentario di Mario Monicelli, Vicino al Colosseo… c’è Monti; il cortometraggio di un habitué del Lido come il maestro portoghese Manoel de Oliveira, Do Visivel ao invisivel, accanto a una lunga lista di autori - più o meno esordienti - filippini, brasiliani, indiani, cinesi e tailandesi, protagonisti e spesso – non sempre meritatamente – vincitori di festival e rassegne. Vedremo se Venezia, il prossimo 6 settembre, sconfesserà o confermerà.


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