2008_08_13

Page 1

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Il carovita colpisce l’acquisto di beni essenziali, ma anche di servizi

e di h c a n o cr

Attenti, questa volta l’inflazione è interclassista

di Ferdinando Adornato

di Gianfranco Polillo è un’inflazione di base, pari al 4 per cento all’anno. Essa segna la perdita di potere d’acquisto per l’intera collettività. È la falcidia del salario medio e dello stock di ricchezza finanziaria accumulata negli anni. Seppure quest’ultima è stata compensata dai rendimenti sul capitale investito, che, a volte, potevano più compensare la perdita iniziale. Difficile calcolare se alla fine l’italiano medio ci avrà rimesso o guadagnato. Molto dipenderà da come avrà investito i suoi denari e dalla sua capacità di entrare e uscire, al momento giusto, dal business prescelto. Ma se si esce dalla logica di Trilussa – mezzo pollo a testa, perché qualcuno rimane a digiuno – la prospettiva cambia. Quella media del 4 per cento è appunto una media: fatta di tanti fattori. Prezzi che salgono e prezzi che scendono. Diminuiscono, infatti, i costi per comunicare (- 3,2 per cento). Ma sono i soli. Aumentano, invece, meno della media i ristoranti (+2,5 per cento), l’istruzione (+2,4), la ricreazione e gli spettacoli di cultura (+1,3), la sanità (+0,2), i mobili e gli articoli per la casa (+3), l’abbigliamento e le calzature (+1,8). Per il resto, invece, è un salasso. I prodotti alimentari e le bevande analcoliche aumentano del 6,3 per cento. Le bevande alcoliche e i tabacchi salgono del 5,1.

C’

9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80813

HA VINTO PUTIN Sarkozy raggiunge un accordo quando i giochi sono già fatti. Dove c’era l’impero del male ora c’è una potenza che senza più ideologie vuole imporre il proprio primato sulle risorse energetiche soprattutto all’Europa

L’impero del gas alle pagine 2, 3, 4 e 5

seg ue a pagin a 6

Scrittori e luoghi

Parla Francesco D’Agostino

Impeachment per Musharraf

«Sono contrario alla dittatura del paziente»

A rischio la stabilità del Pakistan

di Francesco Rositano

di Francesco Cannatà

di Francesco Vignaroli

di Filippo Maria Battaglia

Anche il presidente emerito del Comitato nazionale di Bioetica, boccia il testamento biologico. «È il primo passo verso l’eutanasia». Apre, però, ad una regolamentazione della materia.

Seconda nazione musulmana al mondo e terza potenza nucleare asiatica, il Pakistan è il fulcro incandescente della lotta al terrorismo islamista. Le scelte del Paese avranno un impatto mondiale.

La mostra sull’artista perugino sarebbe dovuta terminare il 29 giugno, ma, visto il successo di pubblico è stato deciso di prorogarla di un mese: sarà quindi aperta sino alla fine di agosto.

In ”Lettere di una novizia”lo scrittore rivela le sue impressioni sulle città della Toscana. Siena si rivela, ad esempio, una città del Medio Evo fatta a chiocciola, con le vie attorcigliate

pagina 7

pagina 8

pagina 20

nell’inserto liberal estate

MERCOLEDÌ 13 AGOSTO 2008 • EURO 1,00 (10,00

Record di visite per la mostra sull’artista umbro

Con Piovene nel cuore di Firenze

Pintoricchio superstar a Perugia

CON I QUADERNI)

• ANNO XIII •

NUMERO

153 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 13 agosto 2008

prima pagina

Sarkozy ottiene solo un accordo di facciata, la Ue balbetta, Bush per ora può solo protestare: il risultato è che l’obiettivo di ricostruire la potenza russa è diventato più facile da raggiungere

Putin, il Grande Conduttore di Enrico Singer a tregua, almeno, questa volta è stata raggiunta davvero. Con la mediazione di Nicolas Sarkozy che, da presidente di turno dell’Unione europea, è volato prima a Mosca e poi a Tbilisi, è stato siglato un accordo in sei punti che ha fermato i combattimenti anche se ha rinviato a negoziati futuri il destino finale dell’Ossezia del Sud e dell’Abkazia, l’altra regione separatista della Georgia. Quando Vladimir Putin si è unito al colloquio che era cominciato a due tra Sarkozy e il presidente-reggente russo, Dmitri Medvedev, è stato chiaro che all’intesa mancava soltanto la luce verde del reale padrone del Cremlino. Che è arrivata. Anche se quella negoziata è una pace armata, come dimostra una battuta al vetriolo nella conferenza stampa congiunta di Nicolas Sarkozy e Dmitri Medvedev. Rispondendo a una domanda, il presidente francese ha detto che non può «proibire al presidente georgiano Mikhail Saakashvili di andare in televisione con dietro la bandiera europea». E il presidente russo ha replicato che «l’importante è che questo non screditi l’Europa». Fin qui la cronaca della prima giornata di questo conflitto in cui la violenza delle armi ha lasciato il posto alle sottigliezze della diplomazia. Ma le dichiarazioni ufficiali non bastano per capire anzi, spesso tendono a coprire - la vera posta in gioco e le caselle che ogni giocatore ha conquistato nel momento in cui la partita è stata sospesa. Al di là di tutte le ragioni addotte dal Cremlino per giustificare l’intervento militare in Ossezia del Sud e in Georgia, l’obiettivo di Putin era e rimane quello di restituire alla Russia la dimensione di superpotenza e di affermarla con un’azione eclatante. Il desiderio di ricostruire l’impero, dopo il crollo dell’Urss, non poggia più sulle fondamenta dell’ideologia comunista - che lo stesso Putin ha rinnegato - ma sulla potenza economica. Il principale strumento di questa strategia sono le risorse energetiche che Mosca utilizza per

L

tenere sotto controllo gli ex Paesi satelliti - come l’Ucraina - e per influenzare la politica di tutta l’Europa che è il principale cliente della Russia. L’impero del male, insomma, si trasforma nell’impero del gas che non tollera la concorrenza di fonti alternative di approvvigionamento, né di nuovi canali per il trasporto degli idrocarburi come Attraverso la Georgia, infatti, passa il secondo oleodotto piu’ grande del mondo, il Btc, che porta ogni giorno 1,2 milioni di barili di greggio caucasico dal terminal di Baku, capitale dell’Azerbaigian, sul Mar Caspio, a quello turco di Ceyhan nel Mediterraneo, proprio via Tbilisi. Il Btc (che vuole dire Baku-Tbilisi-

chia, Bulgaria, Romania e Ungheria. Un business enorme che porterebbe nel giro di dieci anni 30 miliardi di metri cubi di gas in Occidente fuori dal controllo di Gazprom. La situazione d’instabilità determinata dal conflitto tra Russia e Georgia, adesso, rende più problematica la realizza-

Cessate il fuoco e via libera agli aiuti umanitari, ma il futuro di Ossezia del Sud e Abkazia è rinviato a nuovi, incerti negoziati Ceyhan), è un oleodotto di 1.800 chilometri inaugurato nel maggio del 2005 dal presidente georgiano Saakashvili e dal segretario all’Energia americano, Samuel Bodman, a testimoniare dell’interesse degli Usa a rotte energetiche alternative al territorio russo. L’oleodotto e’ stato fermato la scorsa settimana per ragioni diverse dal conflitto (un’eplosione in una stazione di pompaggio nella Turchia orientale) anche se ieri sono giunte notizie contradditorie sullo stato dei tubi nel tratto georgiano. Ma quello che Mosca teme di più è il nuovo oleodotto ”Nabucco”, un progetto di dimensioni gigantesche che punta a far affluire il gas turkmeno, azero e kazako in Europa senza passare per la Russia. Il percorso previsto del gasdotto, di 3.300 chilometri, parte dal Mar Caspio, attraversa tutto L’Azerbaijan e tutta la Georgia per arrivare al terminal di Baumgarten in Austria passando per Tur-

zione della nuova pipeline e questo è già un risulato importante per Putin. L’altro obiettivo di Mosca era quello di dimostrare che la potenza militare del suo esercito - umiliato in Afghanistan - è recuperata. La tregua negoziata da Sarkozy è arrivata quando, ormai, i risulati sul terreno che Putin si era prefissato erano stati raggiunti: compresa l’occupazione di Gori, la città natale di Stalin, con tutto il suo valore simbolico oltre che strategico. Un messaggio diretto alla Nato che dovrà discutere in dicembre l’apertura del processi d’integrazione della Georgia nell’Alleanza atlantica che si annuncia ora più lungo e problematico perché prima dovranno essere sciolti i nodi del futuro dell’Ossezia del Sud e dell’Abkazia. E l’Europa? Certo, Sarkozy adesso potrà rivendicare una dose di successo personale. E ieri Bush, nel suo giro di consultazioni telefoniche, non ha mancato di chiamare anche Silvio Berlusconi. Ma questo non basta per dire che la Ue, o singoli Paesi europei, abbiano avuto un peso determinante nella crisi. Che per ora ha vinto Putin.

Energia, arma formidabile da usare con prudenza

Ma la vera partita di Mosca è con Washington di Andrea Margelletti

ella guerra tra Russia e Georgia ha vinto soprattutto l’America. Mentre pare tacciano i cannoni in Caucaso emerge oramai chiaramente quale siano gli scenari futuri del confronto tra le due tradizionali grandi potenze. Gli Stati Uniti cercano oramai da diversi anni di entrare nell’area meridionale dell’ex Urss per interessi energetici/economici ma anche e soprattutto al fine di attuare una politica di contenimento di una possibile rinascita “imperiale” russa. Dall’altra parte la nuova Russia di Putin sta cercando, con alterne fortune, di rompere questo giogo e di porsi come autorevole contraltare dell’impero statunitense. Ma la strada verso una compiuta democrazia in Russia è ancora lontana, lo dimostrano proprio gli avvenimenti di questi giorni. Quando i premier e le cancellerie occidentali hanno dovuto “telefonare”in Russia per ottenere un cessate il fuoco hanno chiamato proprio Putin, e non il neo pre-

N


prima pagina

13 agosto 2008 • pagina 3

Per Tabarelli «queste risorse finiranno a Cina e India»

Vladimir Putin. A sinistra l’incontro tra Nicolas Sarkozy e Dmitri Medvedev. Sotto, due carristi si riposano dopo l’annuncio della tregua

Quel petrolio che ricatta l’Europa colloquio con Davide Tabarelli di Francesco Pacifico

ROMA. Ripercussioni immediate, con il prezzo del petrolio che anche ieri ha continuato a scendere, «non ci sono state, perché il trasporto di gas e petrolio avviene più a sud del teatro di scontri tra Russia e Georgia. E non ci sarebbero neanche problemi per il gasdotto Btc (Baku-TblisiCeyhan, ndr) che collega Mar Nero e Mar Caspio, chiuso dal 5 agosto dopo un attentato di matrice curda. Di fronte a tutto questo, il mercato se ne è infischiato». Difficile capire se, nel lungo termine, la risposta sarà identica. «È molto probabile che sarà negativa. Il messaggio, o meglio la conferma, che arriva da questa crisi è che se si vuole esportare energia, petrolio o gas, dal Mar Caspio, si deve passare attraverso la Russia. Non dico che Mosca fa una guerra per controllare le esportazioni che passano dalla Georgia, però la speranza di bypassare i russi scema. Tanto vale affidarsi a loro». L’economista Davide Tabarelli, presidente di Nomisma energia, è molto netto nel fare un bilancio: il vero sconfitto è «un’Europa che non ha saputo appoggiare i tentativi dell’America per creare una dorsale di trasporto degli idrocarburi che non passasse per la Russia». Così il gasdotto Nabucco, dorsale alla base di questo progetto, salta? Ha poche possibilità. Certo, potrebbe anche andare avanti, ma al momento è soltanto un insieme di progetti e lettere d’intenti, che si poggiano su una serie di tasselli: uno di questi era l’adesione della Georgia e condizioni politiche stabili nel Paese. Discorso opposto per Southstream, l’infrastruttura dei russi. Tutto ciò che è russo viene rafforzato. Si era detto, dopo la caduta dell’Urss, che dal Caspio sarebbero partiti ogni giorno 10 milioni di barili di petrolio. In realtà non si va oltre il milione e mezzo. Anche questa debolezza è una delle cause dell’aumento del greggio. Dovrebbe essere deluso chi, in Occidente, sperava di affrancarsi dal giogo mediorientale per il petrolio e da quello di Mosca per il gas. Non resterà delusa l’Eni. In questo scacchiere gode di un ruolo da protagonista. È azionista di Southstream, coordina lo sfruttamento del più grande giacimento dell’area, quello di Kashagan. E visto il suo ruolo politico ha scelto, o dovuto scegliere, la Russia. Che però si è sempre mostrata un fornitore leale e stabile. E a noi – purtroppo – va benissimo che si rafforzi Mosca e di riflesso Gazprom. Anche se dipenderemo sempre più da loro. Imbarazza il silenzio della Ue. È la conferma dell’inesistenza di una poli-

tica estera comune, prima ancora che di una politica energetica. Chi aveva più interessi in questa partita era l’Europa, per la quale è indispensabile che il Caucaso diventi una via di rifornimento. Ma il silenzio dimostra la propria sconfitta. Se non altro siamo stati fortunati che la presidenza di turno ce l’avessero i francesi, Paese storicamente con una politica estera forte. E questo non fa diminuire i prezzi di gas e petrolio. I prezzi, fissati da formule contrattuali consolidate a favore dei venditori, risentono dell’aumento di domanda da parte del compratore. E l’Europa e l’Italia che ha abbandonato prima il nucleare e poi il carbone per la produzione elettrica, hanno bisogno di molto gas. Non resta che la diversificazione per spuntare qualche centesimo. Se è quasi orrendo ripetere la parola rigassaficatore, l’atomo sarebbe utilissimo. Invece continueremo a servirci dai russi, i più vicini e i più economici. Il complesso dei tre mari (il Mar Nero, il Caspio e l’Aral), ricchi di gas e di petrolio, sarà una provincia di Mosca? Dal Caspio qualcosa verrà fuori: forse un milione di barili, forse si farà il Nabucco e aumenteranno i trasferimenti verso Grecia e Turchia. Ma il problema è che quest’area si allontana dall’Europa. E tutta quest’energia si dirigerà verso Cina e l’India: dovranno costruire gasdotti lunghissimi e costosissimi, ma non dovranno passare per le divisioni etniche delle ex repubbliche sovietiche. Per risposta, bisogna restringere la rete europea al gas russo? Non siamo a questi livelli. Mosca è stato sempre un forntore suadente: ha più interesse a esportare che noi a importare. L’Europa dovrebbe appoggiare con più forza la politica americana per un’infrastruttura di passaggio dal Caucaso verso la Turchia. Anche perché fino a quando l’Orso russo sarà così gentile con noi? C’è chi spera nella Nato e nella possibilità di difendere le reti che non passano per la Russia. L’America è troppo lontana perché la Nato possa fare il gendarme nel Caspio. Eppoi non si è voluto mettere in conto che portare l’Alleanza atlantica fino ai confini russi avrebbe creato una questione di sicurezza nazionale per Mosca. Che dal Caspio, non dimentichiamolo, prende molto petrolio. Per concludere, come vanno riaggiornate le stime sul prezzo del petrolio? Sono tre anni che facciamo previsioni al ribasso e che sbagliamo. Ma resto convinto che possa continuare a scendere fino a raggiungere nel 2009 gli 80 dollari.

Per il presidente di Nomisma energia i ricchi giacimenti dei “Tre Mari” saranno off limits per le pipeline del Vecchio continente

sidente Medvedev. Questo dimostra che al di là dei processi elettorali in Russia a comandare è ancora l’ex uomo forte del Kgb, Vladimir Putin.

Le conseguenze della guerra di agosto nel Caucaso non saranno però limitate al solo ambito locale. Da una parte gli Stati Uniti stanno cercando di convincere le ex nazioni del patto di Varsavia ad accettare sistemi radar e missilistici del cosiddetto scudo spaziale americano. Contestualmente gli Usa stringono rapporti forti e duraturi con l’India e guardano con grande interesse al possibile nuovo “Eden” energetico nel Polo Nord. La Cina dopo anni di luna di miele - il massacro di piazza Tiananmen sembra oramai dimenticato - è mantenuta a distanza anche grazie ai due tradizionali alleati strategici nell’area, il Giappone e la Corea del Sud. Alleati che peraltro tendono sempre più a giocare una propria partita e sono meno inclini ai desiderata di

Washington. La Russia vede costantemente erosa la propria forza in Europa ed il Patto di Varsavia è oramai un lontano ricordo, visto che la Nato ne ha preso il posto.

L’unica arma a disposizione di Putin pare essere il rubinetto energetico nei confronti dell’Europa. Arma formidabile ma da usare con cautela visto che porta valuta pregiata. Un eventuale scudo spaziale ai confini della Russia sarebbe un ulteriore schiaffo alla leadership del Cremlino, e la Georgia che pare assai incline abbracciare il capitalismo occidentale ed entrare nella Nato piuttosto che essere ricordata come la patria che diede i natali a Stalin ne è un evidente esempio. L’eterna partita tra Stati Uniti e Russia sta vivendo un nuovo capitolo e i prossimi anni potrebbero riservarci attimi al calor bianco. Presidente Ce.S.I. Centro Studi Internazionali


prima pagina

pagina 4 • 13 agosto 2008

Cina e Russia avanzano le loro pretese sull’Occidente Il terrorismo islamico potrebbe divenire il minore dei nostri mali

La minaccia viene da Est di Anne Applebaum er avere il miglior fermo immagine del perché un giorno potremmo considerare il terrorismo islamico come il minore dei nostri mali, basta guardare la prima pagina della BBC dell’8 agosto scorso. Una pagina divisa in due: da una parte, i fuochi di artificio della cerimonia di apertura delle Olimpiadi, con migliaia di danzatori vestiti con i costumi tradizionali della Cina. Dall’altro lato, enormi carri armati grigi che entrano nell’Ossezia meridionale, una provincia ribelle della Georgia. L’effetto colpisce: due delle potenze mondiali in crescita che mettono in mostra le loro capacità. La differenza, ovviamente, è che di uno dei due eventi abbiamo sentito parlare da anni, mentre l’altro – anche se non è una sorpresa totale – non era programmato. Almeno, non per questa settimana.

P

questi, il bombardamento del territorio georgiano ad opera di aerei russi. Non è questo il momento giusto per affrontare il conflitto: il momento giusto era due, o forse quattro, anni fa.

Ci sono inoltre altri giocatori coinvolti in questo gioco - paramilitari, provocatori, peacekeeper (anche russi) che sono stati uccisi – ed una complicata serie

Pechino ci sfida da anni, e non farà mosse inconsulte che possano creare crisi. Mosca è molto più pericolosa. E vicina di eventi con una miriade di possibili interpretazioni. Le tensioni precedenti, sia in Ossezia che in Abkhazia (l’altra provincia georgiana che ha dichiarato la propria sovranità), sono state in qualche modo risolte senza guerre. Qualcuno, ovviamente, vuole che questa

volta la situazione sia diversa. Entrambi i lati hanno motivi profondi per combattersi. La Russia vuole impedire alla Georgia l’ingresso nella Nato, anche se il Paese retto da Tbilisi – una democrazia di tipo occidentale, che George Bush ha definito “un seme di libertà” – vuole da tempo entrare nel Patto atlantico. Da questo punto di vista, molto probabilmente Mosca ha già vinto: nessuna potenza occidentale è interessata ad un’alleanza militare con una nazione che si trova in un serio conflitto bellico con la Russia.

La leadership georgiana, al contrario, è arrivata a credere che la costante pressione rappresentata dall’aggressione russa, accoppiata con il fallito ingresso nella Nato, gli impone di dimostrare la propria “autosufficienza”. Il presidente

Mikhael Saakashvili si è già impegnato nell’acquisto di armi per questo momento. Chi lo conosce dice che era convinto dell’inevitabilità di un conflitto con la Russia, che sarebbe potuto essere vinto se “condotto in maniera intelligente”. Alla luce di quanto avvenuto nei giorni scorsi, è chiaro che ha sbagliato – e di molto

– i suoi calcoli. La Russia non manda 150 carri armati su un confine per perdere. Quindi, la linea di confine è questa: la Georgia avrebbe dovuto tenersi lontana dalla linea di confine del conflitto, ma lo spiegamento di forze russo è comunque inaccettabile. Questo porta ad un’altra considerazione: l’Occidente ha veramente poca influenza su Mosca.

Anche questo fattore è significativo: la sfida cinese al potere occidentale viene da molto lontano, ed era in un certo senso prevedibile. Come regola generale, un cinese non compie gesti improvSecondo Robert Kagan, lo scontro del Caucaso ci riporta alle competizioni tra grandi potenze del diciannovesimo secolo visi e non cerca di provocare crisi. Al contrario, la Russia è una potenza imprevedibile e questo rende ancora più difficile ria guerra del Caucaso, nonostante la Nato o nella sua rivalsa verso l’indipenden- coraggiando i ribelli dell’Ossezia a fare presspondere a Mosca. La tregua siglata ieri da Russia e Geor- za del Kosovo. È soprattutto una risposta sioni su Tbilisi, e a fare delle richieste che politica russa è divegia, “non è cominciata a causa di un alle “rivoluzioni colorate” in Ucraina e Geor- nessun leader georgiano avrebbe potuto acnuta infatti così opaca errore di calcolo del presidente geor- gia del 2003 e del 2004, quando i governi fi- cettare. Se Saakashvili non fosse caduto nelche non è facile dire giano Mikheil Saakashvili. È una guerra che lo-occidentali rimpiazzarono quelli filo-rus- la trappola di Putin stavolta, qualcos’altro perché questo partila Russia stava cercando di provocare da si. L’autocratico Putin vide come un accer- avrebbe comunque acceso il conflitto». colare conflitto “contempo”. Lo scrive Robert Kagan, il più emi- chiamento ideologico e geopolitico quello gelato” sia iniziato nente politologo statunitense, in un editori- che l’Occidente festeggiò come il fiorire di In conclusione, lo storico vede nell’attacco alla Georgia «un ufficiale ritorno alla storia, proprio ora. Alcune ale apparso sul Washington Post a commen- una democrazia». cioè a delle competizioni tra grandi potenze, to del conflitto fra Mosca e Tbilisi. Secondo fonti russe sostengol’autore, il premier Putin «ha ristabilito un’- Inoltre, «valgono molto poco le dichiarazioni stile del diciannovesimo secolo, con tanto di no che la Georgia abeffettiva legge zarista in Russia e sta cercan- di solidarietà panslavista sbandierati da virulento nazionalismo, lotte per le risorse, bia lanciato un’invado di riportare il Paese al ruolo dominante di Mosca, che configurano soltanto pretesti mes- battaglie sulle sfere d’influenza e sul territosione dell’Ossezia, una volta in Eurasia e nel mondo. si a punto per diffondere il potente nazional- rio, e perfino – nonostante questo sciocchi la cercando di pacificare Armato di ricchezza proveniente da petrolio ismo russo in casa ed espandere il potere del- nostra sensibilità da ventunesimo secolo – le insurrezioni della e gas, detenendo quasi il monopolio del ri- la Russia all’estero». Non si deve neanche l’uso della forza militare per ottenere obietprovincia. Tbilisi, allo tivi geopolitici. Sì, continueremo ad avere la fornimento energetico in Europa, con mil- puntare il dito contro Tbilisi. stesso tempo, sostiene ioni di soldati, migliaia di testate nucleari e il La verità, scrive infatti Kagan, «è che è la globalizzazione, l’interdipendenza economiche le sue truppe siaterzo budget militare più alto del mondo, Russia a fare pressioni sulla maggior parte ca, l’Unione Europea e altri sforzi per no entrate nella capiVladimir Putin crede sia il momento di fare di queste tematiche, non l’Occidente o la pic- costruire un ordine internazionale più pertale provinciale in rila sua mossa”. La Georgia ha avuto soltanto cola Georgia. È stata la Russia a sollevare fetto. Ma tutto ciò dovrà competere e sarà sposta all’escalation la sfortuna di incrociare il cammino di ques- uno scontro in Kosovo, un posto dove Mosca sopraffatto dalle difficili situazioni interdi attacchi, che si sota mossa. Per Kagan, infatti, «il motivo del- non ha interessi palesi al di là dell’espressa nazionali che esistono da tempi immemori. no intensificati nelle l’aggressione di Putin alla Georgia non deve solidarietà panslavica. Ed è stata la Russia a Il prossimo presidente americano farà bene ultime settimane anessere rintracciato solo nelle sue aspirazioni precipitare una guerra contro la Georgia in- ad essere pronto per questa sfida». che se in realtà sono in atto da anni. Fra

La Georgia paga la sua rivoluzione colorata

L


prima pagina

13 agosto 2008 • pagina 5

E’ impensabile che oggi il Patto atlantico possa difendere il Paese

Più difficile l’ingresso di Tbilisi nella Nato colloquio con Carlo Jean di Vincenzo Faccioli Pintozzi ROMA. Alla luce dell’attacco russo all’Ossezia, è inverosimile pensare ad un ingresso della Georgia nella Nato. Questo non per motivi ideologici, ma perché la debolezza di Tbilisi dimostra come sia difficile per l’Occidente difendere uno Stato così lontano dai propri confini. È l’opinione del generale Carlo Jean, esperto di strategia militare, che in una conversazione con liberal analizza l’attuale situazione caucasica ed i possibili sviluppi di questo conflitto. Alla base dell’attacco di Mosca, secondo il generale, vi è la diffidenza nei confronti dei Paesi occidentali e delle loro promesse non mantenute, che hanno accumulato in Russia del «sangue avvelenato, che oggi si riversa sulla Georgia». Quali sono le lezioni che possiamo apprendere da questo conflitto? Che la Russia non è solamente un petroStato, che sa usare gli idrocarburi come strumento di pressione di politica estera, ma ha riacquisito anche una capacità militare almeno nella sua immediata periferia. Il problema è quale sarà la prossima mossa e che cosa vorrà fare. Innanzitutto il problema è ancora più a breve termine e se l’arresto dell’operazione in Georgia è temporaneo oppure definitivo. Quanto rientra la questione energetica in questo intervento armato e quanto invece c’è un desiderio di ricreare l’Impero degli zar? La questione energetica è sicuramente importante ma non è, a mio avviso, il motivo principale che abbia indotto i russi ad invadere la Georgia. Il problema è che Tbilisi costituisce una spina nel fianco della Russia, innanzitutto perché si fa promotrice della democrazia in tutte le Repubbliche sovietiche ed in secondo luogo perché è il punto debole della catena che circonda l’Unione sovietica. Molto più debole dell’Ucraina, ad esempio, e molto più de-

La forza della Russia non durerà. Il problema deriva dal calo demografico e dalla sua incapacità di sfidare l’Occidente sul piano militare Se lo fa, si rende vulnerabile ad Est

Gli accorati appelli di Saakashvili – «Qui non si parla di Georgia, ma di quei valori di base che gli Stati Uniti hanno sempre predicato in giro per il mondo» - non hanno avuto il risultato sperato. Ognuno fa del suo meglio, ovviamente: mentre scrivo queste parole, una dozzina di linee telefoniche è occupata da diplomatici che cercano di fermare il conflitto e portare i contendenti al tavolo della pace. Eppure, siamo sempre in ritardo. Per molto tempo, infatti, abbiamo saputo che nel Caucaso c’è un vuoto di sicurezza; che questo vuoto era pericoloso; che una guerra era possibile; che la Georgia non sarebbe uscita bene da questo conflitto e che una sua invasione – data la presenza di truppe Usa nel territorio – avrebbe dato una pessima immagine dell’Occidente. Codardia, debolezza, mancanza di idee e, soprattutto, la distrazione data da altri eventi hanno impedito ogni coinvolgimento più impegnativo. Ed ora potrebbe essere troppo tardi. Ricercatrice American Enterprise Institute

In alto la devastazione di un villaggio dell’Ossezia. Nelle foto piccole: a sinistra, il presidente georgiano Mikheil Saakashvili in alto, il presidente degli Stati Uniti George W. Bush A fianco, il generale Carlo Jean

bole degli Stati baltici che fanno parte dell’Unione europea e della Nato. Insomma, la Georgia poteva essere attaccato senza creare una reazione immediata molto forte degli Stati Uniti, reazione che ormai si sta abbastanza delineando. Qual è la sua opinione sull’ingresso della Georgia nella Nato? La riunione del Consiglio atlantico che tratterà non dell’ingresso della Georgia e dell’Ucraina nella Nato, ma dell’inizio di un membership action plan (un inizio delle procedure che potrebbero durare anche una decina di anni) è previsto per il prossimo dicembre. Però il problema fondamentale è questo: le operazioni che si sono svolte in Georgia in questi giorni hanno dimostrato quanto sia difficile per l’Occidente difendere un Paese così lontano, che praticamente non è in contatto diretto con l’Alleanza eccetto per quel piccolo tratto di confine con la Turchia. Di conseguenza far entrare un Paese estremamente vulnerabile in un’Alleanza che comprende tanti Stati baltici vulnerabili diventa una questione a mio avviso da escludere. Quello che l’Occidente potrà fare non è tanto minacciare l’ingresso della Georgia nella Nato quanto accelerare lo schieramento degli antimissili in Polonia, come hanno fatto gli Stati Uniti. La Polonia si è precipitata subito a Washington e sta concludendo molto rapidamente accordi molto verosimilmente non solo per lo schieramento antimissili, ma per lo stazionamento di forze americane nel Paese. E’ probabile che lo stesso avvenga presto anche in Romania. Rimane scoperta l’Ucraina, il vero punto interrogativo essenziale . Dopo di che c’è da dire che la Russia sfrutta la sua richiesta di opportunità della forza che ha attualmente. Ma questa forza non durerà: da un punto di vista demografico - perché la Russia perde circa un milione di cittadini ogni anno - e da un punto di vista militare, perchè è capace di agire sulle sue periferie ma sicuramente non di sfidare l’Occidente. Se infatti Mosca mobilita le sue energie per una nuova corsa al riarmo per fronteggiare l’Occidente, rimane scoperta nel suo ventre molle nei confronti della Cina e del Kazakistan. Putin teme l’accerchiamento missilistico da parte dell’occidente. Secondo lei questo accerchiamento è reale o è una paranoia? La Russia ha subito una serie di umiliazioni e ha visto l’Occidente che non rispettava le promesse che avevano fatto a Mosca. Penso all’allargamento della Nato, allo stanziamento di truppe, all’entrata della Nato degli Stati Baltici. Tutto questo sicuramente ha provocato una reazione che sicuramente può sembrare sproporzionata. Si tratta del sangue avvelenato accumulato dalla Russia in questi anni nei confronti dell’Occidente, che oggi si riversa sulla Georgia.


pagina 6 • 13 agosto 2008

politica

Il carovita colpisce l’acquisto di beni essenziali come di servizi voluttuari offerti da chi ha saputo approfittare dell’euro

Nell’era dell’inflazione interclassista di Gianfranco Polillo

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Newsweek: buoni i 100 giorni del governo «Nei suoi primi 100 giorni in carica, Silvio Berlusconi ha fatto l’impossibile: mettere ordine in questa nazione apparentemente ingovernabile», dando prova di risolutezza soprattutto nella crisi dei rifiuti a Napoli e contro la criminalità. Ma «quello che gli italiani vogliono realmente è la stabilità economica» per la quale il pugno di ferro su rifiuti e immigrazione potrebbe «non bastare». È questa l’analisi sui primi cento giorni dell’attuale governo, del settimanale statunitense Newsweek che ha pubblicato un articolo dal titolo ”Miracolo in 100 giorni”.

Rotondi apre all’Udc. Cesa: «No, grazie»

segue dalla prima Forte è stato il trascinamento di questi ultimi che si è riflesso in un +0,1 per cento dell’indice generale. Abitazione, acqua, elettricità e combustibili sono cresciuti dell’8,6 per cento. I trasporti del 7,1.

I prodotti, i cui prezzi sono cresciuti a una velocità maggiore, incidono sul paniere complessivo dei consumi per oltre il 40 per cento. Hanno quindi acuito il senso di disaggio sociale. Dalla loro morsa è difficile sfuggire, se si considera che soddisfano bisogni primari. Al punto che la flessione che si registra negli altri comparti è anche conseguenza di una scelta obbligata: si rinuncia a un nuovo paio di scarpe per acquistare cibo, muoversi, specie nelle grandi e disordinate metropoli italiane, sostenere le spese della propria abitazione. E così si va meno al cinema e si riducono le spese per le attività culturali e i ristoranti. L’effetto è un calo della domanda specifica, che obbliga i singoli operatori del settore a contenere i prezzi, nella speranza di invogliare i loro riottosi clienti. Se l’analisi va più in profondità, si scopre l’effetto perverso della variazione al rialzo dei prezzi di alcuni beni simbolici: pasta, pane, benzina e gasolio. Un tempo il segno dell’emancipazione dallo stato del bisogno, sulla spinta del grande processo di industrializzazione; oggi il trionfo, che speriamo temporaneo, della old economy. O meglio della oldest economy. Quella che, agli albori del Novecento, viveva in simbiosi con la natura e i suoi capricci non domati. Quando bastava una siccità per determinare fenomeni di selezione darwiniana. Ma sono tempi che non torneranno. Il nostro non è un ottimismo di maniera. L’economia globalizzata possiede al proprio interno anticorpi tali da ricomporre, almeno nel medio periodo, gli equilibri violati dagli eccessi di imprudenza o di euforia irrazionale. Lo dimostra l’andamento erratico del prezzo del petrolio. La sua ascesa sembrava inarrestabile. Altro che speculazione, dicevano i mercatisti. Il prezzo è solo la risultante dell’incontro tra domanda e offerta. Se i consumi crescono, grazie alla diffusione del benessere nelle ex periferie dell’Occidente, e l’offerta non si muove di converso i prezzi non possono che aumentare. Diagnosi in-

genua. Se fosse vera il prezzo del petrolio si sarebbe attestato intorno ai 60 dollari al barile: il suo costo marginale di produzione più un tasso “umano” di profitto. E non certo quelle percentuali da capogiro che caratterizzano il mercato dei futures. Dove fare trading, senza pagare pegno (depositando, cioè, una cifra proporzionale al contratto stipulato) somiglia – anzi somigliava – al gioco del “gratta e vinci”. Con il banco, vale a dire i consumatori, che paga sempre. Ad alimentare quelli che potrebbero essere gli ultimi fuochi dell’escalation inflazionistica sono le sempre più precarie condizioni dell’economia mondiale. Una recessione alle porte, una brusca caduta degli ordine e della produzione industriale, un mercato del lavoro che mostra i primi segni di stanchezza, con una disoccupazione che rialza la testa. Ma soprattutto la crescente sfiducia dei consumatori. E sono delusi da quanto sta accadendo. Un po’ per necessità un po’ per prudenza, contraggono i consumi soprattutto in quei segmenti di beni, quelli voluttuari, dai quali è più facile astenersi. Una scelta che avrà conseguenze e portata di carattere più generale.

L’Italia, infatti, vive di riflesso la crisi internazionale. Ma la vive a partire dalle sue specifiche contraddizioni. Negli anni passati il suo mercato interno si era segmentato. Da una parte coloro che avevano visto crescere i propri redditi, sull’onda della globalizzazione e dell’euro. Commercianti, professionisti, dirigenti di azienda, pronti ad adeguare il prezzo delle proprie prestazioni ai mutati standard internazionali. Dall’altro i lavoratori dipendenti – la maggioranza – che avevano subito con rassegnazione questo processo, vendendo progressivamente i propri gioielli di famiglia: la casa ereditata o il conto in banca lasciato dai propri genitori. Da un lato il 46 per cento del ceto medio-basso. Dall’altro un 34, quello “vincente”: almeno secondo le stime della Luiss. Ed in mezzo un 20 per cento di incerti: vogliosi di muoversi verso l’alto, attirati, loro malgrado, verso il fondo. È su questa percentuale che il processo inflazionistico incide in modo dinamico. Li spinge a cambiare le proprie abitudini di consumo, restringendo in tal modo quel mercato, grazie al quale prosperava – si pensi solo alle banche – l’up della piramide sociale italiana.

L’aumento dei prezzi riscrive totalmente le dinamiche della domanda interna. In crisi non solo per l’erosione dei salari

Botta e risposta tra il segretario della Dc per le Autonomie, Gianfranco Rotondi, e quello dell’Udc, Lorenzo Cesa, sul futuro del partito di Casini nel nascente Pdl. In autunno sarà «possibile allargare il governo» e le porte potrebbero essere aperte anche all’Udc, in nome di una «nuova unità dei cattolici», è la proposta di Rotondi per il quale «i tempi che hanno portato ad una divisione sono cambiati». Ma subito è arrivato lo stop di Cesa: spiacenti, strada non percorribile. Il segretario dell’Unione di centro ringrazia Rotondi per le «significative aperture all’Udc» e assicura la disponibilità «personale e del partito a verificare come sempre, con serietà e rigore, le possibilità di dialogo e di intese con il Pdl». Tuttavia, spiega Cesa, le «ragioni che ci hanno portato ad affrontare da soli la prova elettorale, e cioè la difesa di identità e valori, restano assolutamente valide».

Prostituta fotografata in cella a Parma Il presidente Schifani chiede chiarimenti L’indignazione sollevata dalla foto della giovane prostituta nigeriana fermata a Parma e fotografata in cella stesa a terra, mezza nuda, sporca di polvere, è arrivata fino al presidente del Senato. Renato Schifani ha infatti chiesto al prefetto della città emiliana chiarimenti sulla vicenda. «La drammatica foto pubblicata - si legge nel comunicato - rischia infatti di trasmettere una immagine del nostro Paese diversa da quella che è in realtà e di quanto si sta facendo a tutela dell’ordine pubblico, ma nel rispetto dei diritti inviolabili della persona. Chi intende adottare il criterio della ’tolleranza zero’ è tenuto a farlo non sottraendosi mai alla tutela della dignità della persona e della sua privacy. Pertanto il Presidente del Senato auspica che venga fatta al più presto opportuna e doverosa chiarezza sull’intero accaduto».

Baby gang a Viterbo, 10 denunciati Dieci ragazzi viterbesi, tutti minorenni, al di sotto di 16 anni, sono stati denunciati alla procura della Repubblica presso il tribunale dei minori di Roma per aggressione, violenza con armi improprie e lesioni. Il gruppo, la notte del 19 luglio scorso, durante la Notte Bianca di Viterbo avrebbe fatto irruzione in un’abitazione del centro storico, dove erano riuniti altri quattro ragazzi, figli di noti professionisti, e avrebbe messo a soqquadro l’appartamento e picchiato a cinghiate gli altri giovani. La polizia e i carabinieri, intervenuti dopo l’aggressione, hanno trovato tracce di sangue sulle pareti.

Vezzali: «Detassate i premi delle medaglie olimpiche» «Noi non siamo come i calciatori, i nostri guadagni non sono stratosferici: sarebbe giusto detassare i premi per le medaglie olimpiche, e non versarne la metà»: Valentina Vezzali, tre volte olimpionica di fioretto, si unisce all’appello di altri azzurri e rilancia. «La medaglia olimpica arriva una volta ogni quattro anni e con lei anche il premio in denaro: io di tasse ne pago tante, non chiedo privilegi».


il caso R OMA .

Anche Francesco D’Agostino, giurista e presidente emerito del Comitato nazionale di Bioetica, boccia il testamento biologico. Le ragioni sono quelle che animano la maggior parte del mondo cattolico: il fatto che possa essere il primo passo verso l’introduzione dell’eutanasia. Questo però, ci tiene a precisare D’Agostino, non significa che in Italia non sia bisogno di regolamentare le cosiddette questioni di ”fine vita”. Anche perché - sostiene il professore di Filosofia del Diritto all’Università di Roma Tor Vergata - le statistiche mostrano un aumento notevole del numero di persone non più in grado di intendere e di volere. Con la conseguenza di una necessità di occuparsi di tutta una serie di problematiche connesse a questo tema: donazioni di organi, nomina di un ”fiduciario” che possa interloquire con il medico curante, disposizioni riguardanti le esequie. La conclusione di D’Agostino è quindi che sia giusto che i medici si confrontino con le dichiarazioni redatte anticipatamente dal malato. «A patto che esse non siano vincolanti e contengano richieste che non vadano al di là di quanto legittimamente un malato competente potrebbe richiedere e ottenere dal proprio medico curante». Infine il professore affronta un nodo a suo avviso cruciale: quello del potenziamento delle strutture deputate ad assistere i pazienti in condizione di malattia inguaribile e di grave disabilità. E lancia un’ipotesi di soluzione: «Queste strutture hanno bisogno di più fondi. Perché non li recuperiamo sottraendoli a quegli ambiti della medicina che non hanno valenza propriamente terapeutica come la medicina estetica e quella sportiva? Professore, le dimissioni del professor Adriano Pessina da “Scienza e Vita” hanno rivelato le divisioni del mondo cattolico sul testamento biologico. Come giudica questa vicenda? Non ho elementi per valutare le dimissioni di Pessina, se non quelli che lui stesso ha reso pubblici: il confronto interno a “Scienza e Vita –in specie in merito alle questioni di “fine vita”- sarebbe divenuto insoddisfacente e inadeguato. In realtà, ciò che non è sufficientemente adeguata è la stessa concettualizzazione del “testamento biologico”, che viene caoticamente presentato e interpretato in modi arbitrariamente diversificati: a volte è inteso come una raccolta di

13 agosto 2008 • pagina 7

Testamento biologico. Viaggio nel mondo cattolico/3. Parla Francesco D’agostino

«No alla dittatura del paziente Più soldi e fiducia ai medici» colloquio con Francesco D’Agostino di Francesco Rositano

Sopra Eluana Englaro Sotto Francesco D’Agostino presidente del Comitato Nazionale di Bioetica mere, anche se rilevanti, dichiarazioni anticipate di trattamento sanitario, a volte come un insieme di vere e proprie direttive, rivolte ai medici curanti, perché pratichino l’eutanasia passiva (e per alcuni anche attiva) a carico di chi lo richiede. Quindi, vista la confusione, ci sarebbe bisogno di una regolamentazione di tipo normativo? A mio avviso è indubbio che per molti dei suoi fautori introdurre in Italia il testamento

redigere dichiarazioni anticipate di trattamento, nominare un “fiduciario” che possa interloquire legittimamente con i medici curanti, lasciare indicazioni giuridicamente valide su possibili alternative terapeutiche, su eventuali donazioni dei propri organi, sulle modalità delle esequie possiede indubbiamente un valore rilevante. Anche per i medici può essere importante il confronto con le dichiarazioni redatte anticipatamente dal malato. L’essenziale è che queste

Per gli specialisti sarebbe interessante il confronto con le dichiarazioni redatte anticipatamente dal malato. L’essenziale è che non siano vincolanti. E che non vengano usate come ”apripista” per l’eutanasia biologico equivalga a compiere un primo passo verso la legalizzazione dell’eutanasia. Ma è anche fuor di dubbio che esistono motivi non banali che giustificano questo istituto: aumentano vertiginosamente i casi di pazienti che perdono definitivamente la capacità di intendere e di volere e che non hanno appoggi familiari di alcun tipo; per alcuni di costoro

dichiarazioni (che non potranno mai essere comunque vincolanti per i medici) contengano richieste che non vadano al di là di quanto legittimamente un malato competente potrebbe richiedere e ottenere dal proprio medico curante. L’onorevole Paola Binetti ha presentato una proposta di legge su questo tema. È d’accordo su una re-

golamentazione giuridica di questa materia? Non sono stato portato a conoscenza né comunque conosco il testo presentato dall’onorevole Binetti. Parlando del concetto di alleanza terapeutica, a suo avviso quale sarebbe il giusto rapporto che si dovrebbe instaurare tra il medico ed il paziente? Alleanza terapeutica significa in prima battuta che nel rapporto medico-paziente è da vedere un comune impegno a difesa del bene primario della vita e della salute. In seconda battuta, alleanza terapeutica significa che il malato – nei limiti però in cui sia in grado di assumere questo ruolo, cosa peraltro non frequente - deve essere considerato dal medico un protagonista e non un semplice utente delle pratiche terapeutiche cui dovrebbe essere sottoposto. Uno dei più grandi timori del mondo cattolico è l’ abbandono terapeutico? È un timore eccessivo? Premesso che questo timore dovrebbe essere condiviso da tutti, cattolici e non cattolici, ritengo che comunque sia indispensabile potenziare la formazione etica e bioetica della

classe medica e sanitaria: in breve consolidare lo spirito autentico, cioè ippocratico, della medicina. Infine, il problema di introdurre strutture ed assistenze adeguate sia ai malati che ai loro familiari. A suo avviso gli hospice sono strutture adeguate? In che modo potrebbero essere potenziati? Gli hospice non solo potrebbero, ma dovrebbero essere potenziati. Poiché sono molto costosi, la questione diviene chiaramente solo di risorse finanziarie. E poiché queste sono inevitabilmente limitate, l’unico modo per risolvere il problema del potenziamento degli hospice è attivare una grande pedagogia sanitaria di massa, che convinca i cittadini che ogni imposta prelevata per la sanità è prelevata davvero per il bene di tutti. E poiché infine i problemi di fine vita concernono ovviamente tutti gli esseri umani, è indispensabile sottrarre risorse a quegli ambiti della medicina che non hanno valenza propriamente terapeutica (ad es. la medicina estetica o quella sportiva) per potenziare la medicina palliativa e i trattamenti di fine vita.


pagina 8 • 13 agosto 2008

mondo

Impeachment per Musharraf e attività di al Qaeda mettono in crisi l’alleanza con gli Usa

A rischio la stabilità del Pakistan di Francesco Cannatà

d i a r i o ra i tanti Paesi che nell’ultimo anno del suo mandato il presidente americano Bush ha visitato nel suo viaggio attraverso il grande Medio oriente, si è notata un assenza massiccia e minacciosa. Il Pakistan che dopo l’assassinio di Benazir sembra avvitarsi su se stesso e andare verso l’implosione. Ieri l’annuncio da parte di al Qaeda che il chimico e l’esperto di armi biologiche della galassia terroristica, Abu Chabab al-Masri, è stato ucciso da un attacco dell’aviazione americana è suonata come una conferma.Tra le scacchiere globali del rischio è ad Islamabad che lo scontro avrà la sua fase decisiva e più pericolosa.Tra gli Stati islamici alleati all’America nella lotta al terrore il Pakistan rappresenta un esempio paradossale. Dominato dall’ambiguità e dal contrasto. Burattinaio della strategia fondamentalista e nello stesso tempo vittima delle sue trame. Seconda nazione musulmana al mondo e terza potenza nucleare asiatica, il Pakistan è il fulcro incandescente della lotta al terrorismo islamista. Le scelte del Paese - mosaico di geopolitica come forse nessuno altro avranno un impatto mondiale: evoluzione dell’estremismo

T

di contrabbando di quelle impervie regioni. Oggi premono sui gangli nevralgici dello Stato, su Islamabad, Karachi, Rawalpindi. Organizzano attentati con la protezione di settori influenti dell’Isi, come sembra essere avvenuto all’ambasciata indiana a Kabul. Che dire di Pervez Musharraf, bifido personaggio, della sua quasi decennale dittatura militare, fattasi «civile» dopo che ha smesso la divisa per indossare il doppiopetto di un presidente borghese? Sembra che ogni sera legga qualche pagina di una biografia del suo grande modello politico Kemal Atatürk. Ma il kemalismo laicizzante di Musharraf, formatosi nelle accademie militari turche, si è rivelato più di facciata che di sostanza. Al golpe del 1999 ci arriva barcamenandosi fra talebani, madrasse teosofiche e militari secolari.

La grande svolta, un’apparente folgorazione, avviene dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre. Costretto ad una scelta di campo si schiera con l’America contro il regime teocratico afghano e impone un freno, morbido, alla talebanizzazione del Pakistan. La virata non è netta come sembra

d e l

g i o r n o

Mauritania, al Qaeda invoca Jihad L’ala nordafricana di al Qaeda ha invocato la guerra santa in Mauritania per formare un governo islamico dopo il colpo di Stato del 6 agosto scorso. Il capo dell’organizzazione islamica nel Maghreb islamico, Abu Mus’ab Abd el-Wadud,ha scritto in un comunicato: «Alzate il vessillo della jihad e lasciateci sanguinare e strappateci gli arti fino a quando non otteniamo un califfato ispirato alle linee guida del Profeta». Secondo il terrorista, i golpisti di aver ricevuto il via libera dagli “Stati infedeli: America, Francia e Israele”. Il Presidente deposto Sidi Mohamed Ould Abdallahi era considerato alleato degli Stati Uniti nella lotta contro al-Qaida. Lo scorso dicembre al-Qaida ha ucciso in Mauritania quattro turisti francesi e diversi soldati, provocando l’annullamento dell’annuale rally di Dakar, e da tempo conduce una campagna sanguinaria per destabilizzare i governi dei paesi dell’Africa settentrionale e creare Stati islamici.

Libano, fiducia al governo Il nuovo governo libanese, nel quale è rappresentato anche il movimento sciita filo-iraniano Hezbollah, ha ottenuto il voto di fiducia dal Parlamento proprio alla vigilia della visita ufficiale di due giorni del presidente libanese Michel Suleiman a Damasco. Al termine di cinque giorni di un aspro dibattito consumatosi nell’emiciclo tra la coalizione filo-occidentale e il blocco guidato dal Partito di Dio, cento dei 107 deputati presenti hanno votato a favore dell’esecutivo guidato da Fuad Siniora. Cinque si sono espressi contro, due si sono astenuti. Dieci onorevoli non si sono presentati in aula in segno di protesta contro il documento governativo che dà a Hezbollah “il diritto di resistere” a Israele. La coalizione filo-occidentale delle ’Forze del 14 marzo’ chiede che il Partito di Dio, sostenuto da Siria e Iran, operi sotto il controllo del governo, mentre Hezbollah insiste nel mantenere indipendente l’arsenale della resistenza.

Usa 2008, moglie Obama prima a Denver

sunnita, ideologico e operativo; rapporti tra sunniti e sciiti; futuro dell’Afghanistan; proliferazione nucleare.

Il pericolo è che il Parlamento non segua il governo e l’esercito si ribelli alla strategia del premier

Eppure qui la Nato deve agire con le mani legate. Quando i talebani, messi con le spalle al muro in Afghanistan, si rifugiano in Pakistan l’alleanza è impotente. In Waziristan, roccaforte dei capi di Al Qaeda, le tribù pashtun, etnicamente imparentate con i guerriglieri talebani del vicino Afghanistan, proteggono gli estremisti religiosi, l’Alleanza è impotente. Le accademie islamiche sono vivai dove si addestrano alle tecniche del terrore e del suicidio religioso i giovani kamikaze. L’esercito, è in parte kemalista, secolare, filoccidentale, in parte con profonde radici islamiche. Il potente servizio segreto militare dell’Isi, creatore dei talebani all’epoca della guerriglia antisovietica in Afghanistan, è rimasto parzialmente legato alle sette fondamentaliste, è sospettato di aver contribuito alla preparazione dei due attentati contro la Bhutto. Insomma il Pakistan, il Paese dei musulmani duri e puri credendosi il dominus talebano ne sta diventando lo strumento. Non solo i mullah integralisti spadroneggiano sui confini, non solo sobillano le tribù affini contro il governo centrale, monopolizzano il traffico di armi e droga, controllano le mafie dei trasporti che dai tempi delle carovane e della Via della Seta condizionano l’economia

e come tanti americani, soprattutto militari, sperano. Durante gli anni della dittatura non compie mai un gesto radicale, chirurgico, per laicizzare lo Stato. Ne difende l’impalcatura fondamentalista, basata sui tribunali trasformati, per volontà di settori militari affatto kemalisti, in una Santa Inquisizione islamica. In Pakistan la separazione tra Stato e religione, imposta ai turchi da Atatürk, non c’è stata. Personaggio ambiguo quanto nessuno, l’ex generale aveva però garantito una certa stabilità. Con l’arrivo al potere lo scorso marzo della coalizione diretta dal Partito pakistano del popolo dell’ex primo ministro assassinato, Islamabad sembra invece tornare sulla via del caos politico e istituzionale. L’instabilità è aumentata dopo l’annuncio del governo,il sette agosto, di voler procedere alla destituzione del capo dello Stato. «Musharraf è diventato un ostacolo alla transizione democratica» ha dichiarato il primo ministro Asif Ali Zardari. Sono cinque mesi che i leader della coalizione al potere discutono del destino da riservare al presidente. Ora Zardari e Sharif sembrano d’accordo sulle procedure della destituzione ma non hanno certezze che questa arriverà senza tensioni parlamentari. Si può credere che nemmeno l’esercito resterà con le mani in mano. Soprattutto se vedrà il tentativo del potere civile di ridurre l’influenza delle forze armate.

Sarà la moglie di Barack Obama la prima a prendere la parola alla Convention democratica di Denver, in programma dal 25 al 28 agosto in Colorado. Michelle Obama aprirà le danze la sera dell’inaugurazione. In scena anche i coniugi Clinton: nonostante i duri colpi sferrati durante le primarie, Hillary parlerò il 26 agosto, giorno dell’88esimo anniversario del diritto di voto alle donne, mentre il marito Bill salirà sul palco il giorno seguente, quando sarà reso noto anche l’uomo prescelto per la vice-presidenza. L’attesissimo discorso del candidato democratico sarà spostato dal Pepsi Center a una struttura più grande, quella dell’Invesco Field al Mile High Stadium, capace di contenere più di 76mila persone.

Trovato pc Karadzic, Mladic a Belgrado E’ stato ritrovato ieri un computer portatile probabilmente appartenuto a Radovan Karadzic. Il pc recuperato in una strada di periferia di Belgrado si trovava in una borsa insieme a 55 cd, articoli di giornale e due libri. Il Consiglio sui crimini di guerra si è incaricato delle indagini a attraverso le tracce di dna trovate nella borsa e sul pc spera di scoprire se davvero il computer e’ appartenuto all’ex presidente serbo-bosniaco. Delle rivelazioni di un ministro serbo a un giornale tedesco giungono invece particolari sulla latitanza del secondo maggior ricercato per crimini di Guerra dopo Karadzic, Ratko Mladic. Rasim Ljajic, ministro serbo in carica per la Cooperazione con il Tribunale Internazionale per l’ex-Yugoslavia, ha rivelato al settimanale tedesco ”Spiegel” che Mladic si rifugiò in edifici di proprietà dell’esercito e in appartamenti privati a Belgrado da giugno del 2002 alla fine del 2005.


A

otto pagine per cambiare il tempo d’agosto

c c a d d e

o g g i

13

agosto 1521

La missione di Cortés segnò l’inizio di una nuova storia per l’America latina

Gli spagnoli massacrano gli indios Finisce la civiltà azteca di Pier Mario Fasanotti uando le undici navi spagnole di Hernàn Cortés si avvicinarono alle coste dello Yucatan, i conquistadores pensavano di trovarsi di fronte ai soliti “selvaggi”, abitanti in capanne, muniti di lance e senza alcuna organizzazione militare. Il Venerdì Santo del 1519 la piccola flotta (con 500 soldati, 14 cannoni e 16 cavalli) raggiunse Veracruz. Non si accorsero subito di essere osservati dagli Aztechi, che a quel tempo chiamavano se stessi mexica e raggruppavano etnie diverse con lingue differenti. Le spie o sentinelle guardavano, per poi riferire al capo supremo, Montezuma II che era nel palazzo reale di Tenochtitlan, al centro di un lago situato nell’attuale Messico centrale. I castigliani non immaginavano che lontano dalle coste, in mezzo a monti altissimi, ci fosse un vero e proprio impero, assolutamente non paragonabile con altre forme statuali trovate nel Nuovo Mondo. Lo avrebbero scoperto poco dopo, trovandosi di fronte a due torri gemelle in pietra. Una New York d’altri tempi. La dinastia regnante, secondo tradizioni peraltro contradditore, proveniva da un luogo mitico chiamato Aztlan e discendeva dai signori di Colhua Mexica. Soldati, ufficiali e cartografi spagnoli condividevano la sensazione di trovarsi a qualcosa di straordinario. Nel diario di Diaz de Castello, uno dei conquistadores, si legge: «…non sapevano che cosa avremmo dovuto dire di quelle cose meravigliose o se fosse vero tutto ciò che appariva davanti ai nostri occhi». In ogni caso Cortés fu informato inizialmente da alcuni indiani di quello che stava oltre i monti e poi, più direttamente, dagli ambasciatori mandati dal signore azteco e dai cacicchi (“signori locali”, nella lingua caraibica). Decise di fare incursione nell’entroterra. continua a PAGINA II

Q

SCRITTORI E LUOGHI

Sacrificio umano in cima a una piramide davanti al santuario. Il sacerdote apre il petto del prigioniero per strappargli il cuore offerto al Sole. Un altro sacrificato giace ai piedi della scalinata centrale. Codice magliabechiano (XVI sec.)

I VIGLIACCHI DELLA STORIA

I SENTIMENTI DELL’ARTE

La Firenze di Piovene

Il tradimento secondo Giotto

di Filippo Maria Battaglia

di Olga Melasecchi

Giacomo I di Nicola Fano

a pagina IV

a pagina VI

a pagina VII pagina I - liberal estate - 13 agosto 2008


La dea Coatlicue “Colei che porta una gonna di serpenti”, divinità terrestre, signora della vita e della morte, appare qui sotto il suo aspetto macabro. Il viso coperto da una maschera a guisa di teschio incorniciata da teschi, la collana di mani umane con un cranio come pendente che evoca i morti che la terra accoglie nel suo seno. Arte azteca (XV-XVI sec.) alcuna difesa. Guerra e guerriglia continuarono anche dopo la morte (per alcuni molto sospetta) di Montezuma e ci fu un giorno in cui l’esercito spagnolo rischiò di essere spazzato via. ortés, che intanto aveva fondato una seconda città (Segua de la Frontiera), si comportò crudelmente contro gli indios. Finchè accerchiò Tenochtitlan e dopo novanta giorni di furiosi combattimenti spezzò l’ultima resistenza azteca. Era il 13 agosto del 1521. La capitale messicana fu messa a fuoco e a ferro. Un testimone parlò di “città somigliante a un campo arato”. Ma Cortès, che simbolicamente si installò nelle rovine del vecchio palazzo imperiale, volle proprio lì il centro del nuovo dominio spagnolo. E su quelle rovine nacque Città del Messico. All’inizio dell’epoca coloniale non ci fu mai alcuna divisione razziale, tanto è vero che cominciò a crescere una popolazione meticcia. Sia Cortés che i suoi ufficiali sposarono donne della nobiltà azteca. Ci furono torture e violenze, ma il conquistatore non cessò mai di essere rispettato e venerato dalla popolazione locale. Per definire una volta per tutte la sua posizione, l’ambiziosissimo Cortés - che secondo alcune voci era tentato di autoproclamarsi re del Messico - tornò in patria dove gli venne conferito un titolo nobiliare (quindi il diritto a possedere terre) e la carica di comandante supremo della Nuova Spagna. La corona spagnola tuttavia espropriò in seguito i possedimenti di Cortés e del suo seguito e perseguitò gli indigeni. Solo a partire dal 1532, con il vicerè nonché vescovo Fuenleal, la vita degli indios tornò a una sopportabile normalità.

C

segue da PAGINA I L’obiettivo era duplice: trovare oro e convertire al Cristianesimo gli autoctoni. E ovviamente imprimere il marchio della corona spagnola su quei territori lontani e coloratissimi. Cortés annesse al dominio iberico d’oltremare la terra dove era sbarcato, senza aspettare l’imprimatur dell’imperatore Carlo V, che in quelle settimane si trovava nelle Fiandre. La spedizione partì, raggiunse Cempoallan dove era stato invitato dal cacicco della tribù dei Totonachi. L’ammiraglio annusò immediatamente una grande opportunità strategica: allearsi con vari gruppi indiani che avevano rapporti di forte tensione con Montezuma e intravedevano nei nuovi venuti l’occasione di un riscatto verso colui che imponeva tributi ed esigeva obbedienza. L’esercito spagnolo s’ingrossò (centinaia di migliaia di “ausiliari”) in questa maniera, dopo una paziente ragnatela di alleanze. Ma la sua grande astuzia fu soprattutto quella di convincere i suoi nuovi alleati che le armate spagnole, sia di terra che di mare, erano invincibili. Molti santuari furono distrutti, tanto per evidenziare la “firma” della potenza militar-politica del vecchio continente. Iniziò poi la lunga fase delle trattative. Da un lato Montezuma

La La città città santa santa di di Tenochtitlàn Tenochtitlàn circondata circondata da una cinta ornata ornata di di teste teste di di serpenti, serpenti, il “coatepantli”. “coatepantli”. IlIl complesso complesso monumentale monumentale è dominato dalla grande piramide doppia sormontata da due santuari quello di Tlaloc, dio della pioggia e dell’abbondanza vegetale e quello di Huitzilopochtli, Huitzilopochtli, dio dio solare solare guerriero guerriero

tentava di convincere gli spagnoli a tenersi distante dal centro del suo impero, dall’altro Cortés cercava di convincere l’interlocutore dei suoi proposi-

di sangue. E poi via, verso la provincia di Chalco, che era stata sottomessa dagli aztechi un decennio prima. Furono accolti come liberatori. Intanto Montezuma continuava nei suoi tentativi di tenere lontano gli “invincibili”. Arrivò persino al punto di offrire dei tributi, purchè nessuno arrivasse a Tenochtitlan. Una ragione in più per incuriosire gli uomini di Cortès e rafforzare la loro avidità. Alla fine arrivarono. Andò loro incontro lo stesso Montezuma. Con la mediazione di una donna interprete, l’azteco si mostrò gentile, addirittura cerimonioso. Secondo i resoconti del capo spagnolo (storicamente attendibili solo in parte) Montezuma accennò di un lontano legame tra il re iberico e un leggendario signore azteco. Al-

I conquistadores pensavano i trovarsi di fronte ai soliti “selvaggi”, che abitavano in capanne, muniti di lance e senza alcuna organizzazione militare quando il Venerdì Santo del 1519 la piccola flotta raggiunse Veracruz ti amichevoli e insisteva per visitare la capitale azteca. L’ammiraglio cominciò a incamminarsi nell’agosto del 1519 verso Cholollan, un centro religioso e mercantile ai piedi del vulcano Popocatepetl. Sospettando che avrebbe incontrato la trappola militare di Montezuma, agì preventivamente: fu il primo bagno

pagina II - liberal estate - 13 agosto 2008

la fine avrebbe dichiarato: «Quindi dovete pensare che noi vi obbediremo e vi accettiamo ora come nostri signori in rappresentanza del signore di cui voi parlate».Verosimile che questa presunta abdicazione sia stata un’abile invenzione di Cortès per legittimare la pretesa di un diritto di Carlo V sull’impero azteco. L’autentico obiettivo era quello di diventare il luogotenente del sovrano. Passarono pochi giorni e Montezuma fu posto agli arresti domiciliari. I sudditi lo guardavano ormai come un debole, troppo arrendevole verso gli invasori. I quali, nel periodo successivo, si dedicarono all’esplorazione del territorio, senza ricorrere all’uso della forza militare. Nella capitale azteca intanto furono abbattuti i templi e le statue pagane. Gli indigeni temevano castighi sovrannaturali, che ovviamente non accaddero. E cominciarono ad abituarsi alle croci e alle immagini mariane. ontezuma, dopo aver consegnato il suo tesoro personale (poca cosa una volta distribuito ai soldati), cambiò atteggiamento e minacciò di muovere guerra contro gli spagnoli. Nel frattempo giunsero sulla costa dello Yucatan i militari dell’ammiraglio Velasquez. Montezuma cercò di stringere un accordo segreto, per scavalcare Cortés. Questi fu rapidissimo a dissuadere il comandante della flotta, Panfilo de Narvàez, e a rinfoltire il proprio esercito con 1400 nuovi soldati. Sull’altipiano messicano la situazione precipitò e fu un altro bagno di sangue. Centinaia e centinaia di nobili aztechi furono uccisi. Ma un altro nemico fu determinante nella caduta dell’impero atzeco: l’epidemia di vaiolo, contro la quale gli indigeni non avevano

M

elineare con esattezza un ritratto della civiltà azteca è difficile soprattutto perché la distruzione dei templi e di altri edifici importanti ha fatto sì che l’archeologia, che di solito è fonte storica per eccellenza, fosse in gran parte muta. L’attuale Città del Messico è cresciuta, e a dismisura, su “un campo arato”. Su un niente o quasi. Sono rimasti alcuni palazzi, ma solo quelli che una volta erano lontani dal centro dell’antica capitale. Sono stati fatti scavi archeologici, ma si sono rivelati storicamente confusi. Le testi-

D


L

o stesso giorno... nel 1899

Nel quartiere londinese di Leystonstoke viene alla luce Alfred Hitchcock di Filippo Maria Battaglia

Messico. La città di Tenochtitlàn all’inizio del XVI secolo, un quadrilatero irregolare di un migliaio di ettari, nel cuore del quale si estendeva il recinto sacro

monianze dei conquistadores, piene di espressioni di meraviglia e di terrore, si sono rivelate incomplete, frammentarie e superficiali. La capitale azteca era, come oggi Città del Messico, a 2240 metri di altitudine, in un bacino non servito da fiumi, delimitato a nord da catene montuose vulcaniche (alcune superano i 5000 metri). Il lago alimentato da varie sorgenti, per un sorprendente meccanismo naturale, era in parte salato e in parte dolce.Tenochtitlan (150 mila abitanti) così come altre città sorgeva su varie isole. Le coste erano fittamente occupate da numerosi insediamenti, di differenti dimensioni. In genere si può concordare con il paragone fatto dai conquistadores spagnoli: l’impero azteco, anche per la sua forma politicoamministrativa, somigliava molto alle città del centro-Italia. Probabile che gli invasori non conoscessero la storia delle polis dell’antica Grecia: poteva essere un buon termine di paragone. a popolazione del vecchio Mexica non era affatto omogenea. Le etnie erano tante. Nemmeno per la lingua c’era un criterio unitario. Diciamo che quella ufficiale era il nahuatl: un idioma non predominante, ma comunque compreso dalla maggior parte della popola-

L

Leystonstoke è un quartiere londinese come molti altri. È lì che il 13 agosto del 1899 nasce Alfred Hitchcock, terzogenito di William ed Emma. Pauroso e solitario, a undici anni si iscrive al Saint Ignatius College di Londra, una scuola secondaria gestita dai gesuiti. «Molta disciplina e duro lavoro, sia fisico che mentale», ricorderà anni dopo il genio del cinema inglese. Nel 1915 inizia a lavorare presso l’Henley Telegraph and Cable. Nel frattempo, studia arte e disegno. Di lì in avanti è un’ascesa vorticosa, che lo porterà nove anni dopo a scrivere il copione di The blackguard e a girare i suoi primi due film. Quando finirà di montare l’ultimo, nel 1976, avrà al suo attivo oltre sessanta pellicole per il cinema e una ventina di lungometraggi per la televisione. Eppure, nonostante i successi al botteghino e alcuni capolavori dell’horror psicologico come Psycho, per diversi decenni la critica gli resterà quasi del tutto indifferente. Dal canto suo, risponderà sempre a muso duro: «Non sono presuntuoso a tal punto e cerco di accontentare tutti, se ci riesco. Facciamo parte di un’industria, con molte persone che vi lavorano: sono ben cinquemila. Se ogni film prodotto si risolvesse in perdite

zione. Una specie di seconda lingua, come l’inglese di oggi. Il territorio Mexica non era uno stato nazionale, non aveva confini precisi e nemmeno un ordine legislativo unitario. Era una confederazione di città-stato. Non a caso non esiste una parola azteca per significare impero. Le alleanze politiche tra una città e l’altra erano complesse. Su tutto valeva il principio della lealtà. L’obiettivo dell’impero azteco era la riscossione dei tributi. A tal punto che molti parlarono di “impero dei tributi”.Tra le cose che mancavano erano la difesa militare organizzata e un esercito permanente, anche se nelle zone di confine i genieri avevano costituito fortificazioni e avevano favorito insediamenti, e quindi infoltito le guarnigioni. I due templi principali, di Tenochtitlan e Tlatelolco, erano due piramidi uguali, una posta accanto all’altra, dedicate al dio della pioggia Tlacoc e alla divinità protettrice dei mexica, Huitzlopochtli. Nelle decorazioni dominavano i serpenti. Le città erano attraversate da strade larghe e da numerosi canali. La rete viaria era a forma rettangolare

A undici anni frequenta la scuola secondaria dai gesuiti. In seguito studia arte e disegno. A vent’anni gira i primi suoi film in poco tempo diventa il maestro del brivido

anziché in incassi, dove andremmo a finire tutti quanti? Tanti film non vanno mai oltre il cinema dell’East Side, a New York. Prima di entrare in questo mondo mi sono costruito un adeguato bagaglio di conoscenze: ho fatto il tecnico, il montatore, il direttore artistico, lo sceneggiatore. Ci tengo alle persone che svolgono queste mansioni. Ed è proprio facendo film così come li faccio che adempio alle responsabilità verso me stesso. I soggetti che scelgo, però, vengono selezionati in modo che non possa concedermi delle libertà a spese altrui. Lei prima parlava – dirà rivolgendosi a un cronista - di obiettivi commerciali: ecco, io non la vedo così. Secondo me dovremmo usare il potere del cinema per raggiungere il pubblico di tutto il mondo». Quanto ai contenuti, Hitchcock affermerà lapidario: «non mi interessa la recitazione; mi interessano solo i pezzi di pellicola, tutti quegli ingredienti tecnici che fanno urlare il pubblico». Tra questi, c’è senz’altro il ruolo della cosiddetta malavita: «In generale, penso che nel campo del crimine il lavoro più interessante venga svolto dai dilettanti: sono persone che eseguono il loro compito con dignità e buon gusto, ravvivati da un senso del grot-

(ancora oggi alla base della città moderna). Le unità abitative (in legno e in mattoni) erano recintate o chiuse da muri

piccola della popolazione si dedicava all’agricoltura, alla caccia e alla pesca nelle zone lacustri. Il numero dei nobili (tlatoani), dei commercianti e degli artigiani era sproporzionato rispetto allo strato basso della società.

Le testimonianze dei conquistadores, piene di espressioni di meraviglia e di terrore, si sono rivelate incomplete, frammentarie e superficiali. La capitale azteca era, come oggi Città del Messico, a 2240 metri di altitudine, in un bacino non servito da fiumi e delimitato a nord da catene montuose vulcaniche costruiti con pietre tagliate. Dentro i cortili, su cui si affacciavano famiglie tra loro imparentate. Non esistevano cupole né archi a mensola, come invece c’erano nei territori dei Maya. Una parte relativamente

tesco. C’è un tipo di caos educato e salutare, creato da persone civili, e a me, personalmente, piace». La critica gli si avvicinerà gradualmente nel corso degli anni, Francois Truffaut lo incontrerà per una serie di interviste che dureranno poco più di una settimana, dando vita a un piccolo classico del genere,“Il cinema secondo Hitchcock”, ancora oggi ristampato. Ma premi e onorificenze continueranno a latitare: una legione d’onore, un premio alla carriera dell’American Film Institute, la nomina di Cavaliere Comandante dell’Impero Britannico. Un Oscar solo, peraltro consegnato al produttore David Selznik. Per tutta la sua vita, sull’argomento Hitchcock farà spallucce. E, sprezzante ricorderà sempre di «possedere già un fermaporte».

a schiavitù era per così dire a termine: le persone indebitate o condannate dai tribunali, una volta pagato il “debito”, potevano tornare libere. Quanto alla religione, non c’è esattezza storiografica perché i dominatori cristiani non hanno voluto conservare memoria dei culti pagani. Si sa in ogni caso che secondo gli aztechi esisteva un ordine cosmico. Credevano che il mondo fosse già passato attraverso quattro epoche, ciascuna con esseri viventi

L

diversi, e tutte conclusesi in una catastrofe. Il numero delle divinità era alto, ma non si conosce bene la loro collocazione gerarchica. Gli aztechi assegnavano alle donne un particolare ruolo religioso in quanto madri dei guerrieri. I sacrifici umani si compivano periodicamente, e in grande quantità. Pare sia del tutto arbitraria la tesi del cannibalismo rituale inteso a compensare una presunta carenza di proteine nella dieta della popolazione. Esisteva l’usanza dell’“autosacrificio”, ossia l’offerta del proprio sangue, che veniva estratto con spine e aculei per poi essere bruciato su speciali fogli. I riti prevedevano l’incenso, il sacrificio degli animali (soprattutto quaglie), ma anche digiuni, veglie notturne o attività considerate meritevoli come la polizia di strade e piazze. Dal punto di vista tecnologico gli aztechi erano molto indietro. Divertente è un particolare: conoscevano la ruota, ma non la usavano perché era l’uomo (non esistendo animali da tiro) a spostare i materiali lungo strade pianeggianti. Ma gli archeologi hanno scoperto giocattoli in argilla muniti di piccole ruote.

pagina III - liberal estate - 13 agosto 2008


SCRITTORI E LUOGHI

Con Piovene nel cuore

DI FIRENZE e dintorni

In “Lettere di una novizia”, Siena si rivela una città del Medio Evo, fatta a chiocciola, con le vie attorcigliate di Filippo Maria Battaglia

«G uardata da un lato da Fiesole, e dall’altro da Bellosguardo, per dire solo due tra i nomi famosi, Firenze giace al centro della conca dei colli, che è un monumento artistico nel suo insieme». Si apre così il cameo dedicato alla città di Dante da Guido Piovene nel suo “Viaggio in Italia”, piccolo capolavoro della narrativa del secondo dopoguerra nostrano. Il reportage è datato 1956, eppure il ritratto fiorentino si apre con parole ancora attualissime: «il problema di oggi è invece proprio la difesa dell’armonia della città con il suo ambiente naturale. Bisogna impedire che, nei viali che la circondano, quinte di grattacieli si elevino a mascherare la veduta dei colli. E, soprattutto, frenare l’assalto della speculazione contro le valli e le loro pendici». Considerazione, questa, utile al giornalista vicentino per tracciare una sintetica radiografia delle mutazioni in quel di Santa Maria del Fiore: «Firenze è circondata da una costellazione di ville illustri; e non c’è vecchia costruzio-

Una suggestiva veduta di Santa Maria Novella

ne, o giardino, o valletta, o metro di terreno, che non siano stati fermati nella storia da ospiti famosi, italiani e stranieri, da avvenimenti accumulati durante i secoli, da descrizioni o canti di narratori e di poeti. In quei colli si può leggere quasi illustrata dalla natura buona parte della nostra storia artistica e letteraria, e non soltanto della nostra. Molte ville non appartengono più ai padroni d’un tempo, né italiani né oltremontani, ma a gente meno scrupolosa di gusto, che difficilmente separa l’idea di possedere una villa fastosa da quella di trovarvi un compenso economico, speculando sul terreno intorno. Per questo motivo, e per altri, le costruzioni nuove vanno invadendo e conquistando, spesso proditoriamente, poggi e valli prima romite». revi riflessioni preliminari, e subito dopo Piovene si mette a servizio del lettore, accompagnandolo, passo dopo passo tra i vicoli e le piazze del centro storico. Si parte da via Tornabuoni,

B

pagina IV - liberal estate - 13 agosto 2008

Nessuna città italiana fu refrattaria a raccogliere il dannunzianesimo come lo fu Firenze la cui scuola era innanzi tutto di stile, di precisione nel vocabolo e di antiretorica nella forma e nei sentimenti «una tra le più belle strade del mondo, popolata di bei negozi, di famose pasticcerie, di cesti di fiori, di folla italiana e straniera; ma guardandola bene, col duro e prominente bugnato del Palazzo Strozzi, una di quelle vie pietrose, tutte delimitate, chiuse come diamanti, di cui abbiamo parlato. Di qui partiamo per cogliere alcuni aspetti di una Firenze dagli spiriti antichi e insieme agitati. Come certe Morgane in cui, secondo una leggenda, il viaggiatore vede svolgersi, rimandate dai cieli, battaglie combattute secoli fa, Firenze è una città di eventi supremamente attuali, che hanno però il sapore di storici eventi trascorsi». Ma il capoluogo toscano,

specie nel secolo scorso, è sinonimo di letteratura e di riviste: «La cultura a Firenze è un fatto costituzionale, e chi mancasse di parlarne ometterebbe l’essenziale della sua fisionomia.Tutto ciò che vi nasce prende una faccia di cultura: lo comanda l’indole stessa d’una città portata a un estremo limite di chiarezza e di autocoscienza. Si tratta di una secrezione, più o meno stimolante, ma necessaria. Nell’anteguerra l’influenza di Firenze sulla cultura italiana fu dominante… La scuola di Firenze era anzitutto di stile, di precisione nel vocabolo, di antiretorica nella forma e nei sentimenti; benché D’Annunzio abbia soggiornato a Firenze nella

famosa Capponcina, dei cui arredamenti ancora si scoprono nelle ville fiorentine le membra sparse, nessuna città italiana si rivelò altrettanto refrattaria a raccogliere il dannunzianesimo in profondità». asta però percorrere settanta chilometri più a sud, e lo scenario cambia integralmente. Lì c’è infatti Siena, «città misteriosa perché fatta a chiocciola, con le via attorcigliate l’una sull’altra. È la città rimasta più intera: una città del Medio Evo». La differenza con la città fiorentina balza sin da subito all’occhio dell’autore di “Lettere di una novizia”: «Firenze è una città medievale rivestita dal Rinascimento; e forse, nell’immagine complessiva, prevale la rivestitura, dovuta a principi munifici, a banchieri e a grandi mercanti. Ma Siena resta medievale e quasi immobilizzata nel tempo. La meraviglia nasce dalla visione di uno scheletro intatto di città medievale che non ha nulla di archeologico. La vita

B


La Maremma è colta nel momento subito dopo la bonifica e la riforma agraria. Come osservatorio, lo scrittore sceglie il castello Corsini che, tra rose e buganvillea, domina un latifondo di 12mila ettari A lato: il Duomo di Firenze e un particolare della piazza del Duomo di Siena In basso: a sinistra uno scorcio del giardino Bardini nel capoluogo toscano; a destra una stradina della città del Palio

te dell’operaio di città. Questo estremismo è imputato a diverse cause: il timore che incutono gli attivisti rossi; il blocco delle disdette che priva il padrone d’ogni mezzo di bilanciarne il peso; la conduzione a mezzadria, che predomina in tutte le zone di cui parliamo». L’estremismo contadino della Toscana - che in questo Piovene associa anche a quello dell’Emilia e dell’Umbria - è connaturato alla «insofferenza per l’esistenza contadina nel senso antico». Soltanto tra i contadini, infatti «si potrebbe trovare un attivista del genere di quello accostato da noi. Il padre lo ha chiamato per nome: Rigoletto! Rigoletto è arrivato scalzo, con le scarpe in mano, davanti alla fattoria. Entra in scena con lui la generazione nuova degli organizzatori rossi, oggi fra i trenta e i quarant’anni, che ha sostituito i vecchi; di cui era nota l’invettiva nella bestemmia e nell’insulto». è ancora il tempo per la descrizione di Livorno e della sua costa, con «una parte aspra, la meridionale, e una settentrionale, più dolce»; delle «rive scogliose», del mare «che spuma a colpi del maestrale», delle «tamerici agitate»; di una divagazione metà storica, metà letteraria sull’Elba, che «oggi cresce rapidamente di fama come luogo di villeggiatura» ma che non «ha l’ebbrezza, la follia, il colore, quasi l’eccesso delle isole meridionali»; e, da ultimo, di una fugace cartolina da Pisa, la cui bellezza è di «qualità riposante e favorisce l’abbandono». Resta acuto, anche in queste zone, l’individualismo operaio. «Tuttavia, come in tutti gli animi di tendenza anarchica, con un’intima e sorprendente propensione a sentire e ammirare l’autorità». Oltre che una mirabile prova narrativa, il ritratto di Piovene, a cinquant’anni di distanza, riesce ancora a intercettare certi tic inediti del toscano e del suo territorio, senza rinunciare a un certo conservatorismo di fondo che non ha mai abbandonato la produzione dello scrittore vicentino.

C’

d’oggi con le sue accese passioni vi ribolle quasi con furia; mai, nemmeno per un istante, si ha l’impressione di vivere in un anacronismo. A Siena si hanno quei momenti perfetti, in cui il passato più lontano risale a galla fino a noi, confondendosi con il presente, diventandogli contemporaneo». Spazio poi all’aneddoto e al ricordo personale un po’ melò: «Non potrò dimenticare una sera, in cui sedevo nella Piazza del Campo, quella in cui si corre il Palio. Davanti a me la luna piena sembrava veramente salire dai merli gotici del Palazzo Pubblico, lungo il filo della torre del Mangia, per poi librarsi sopra l’ultimo ballatoio; che diveniva allora l’ultima tappa di una salita alla luna, in un Medio Evo astrologico. Ma il popolo passeggiava e i bambini giocavano, lungo il perimetro e nel centro incavato della stupenda piazza fatta a forma di valva; il passato e il presente, il vicino e l’astrale,

sembravano far parte di un medesimo tempo». ncora più a sud, spazio alla Maremma, visitata da Piovene proprio subito dopo la bonifica e la riforma agraria del dopoguerra: «Per avere un’idea della sua trasformazione, del carattere ambiguo che essa prende allo sguardo si può salire al castello Corsini. Esso domina l’ex tenuta Corsini, la Marsigliana. Era, sino alla Riforma, il latifondo maremmano più esteso con dodicimila ettari, ma solamente ventiquattro case coloniche. E veramente, guardandola dal castello, l’immensa proprietà smembrata giungeva fino all’orizzonte, fuorché ai lati, dove era limitata dalle colline. Ho detto un castello; più giusto parlare di un piccolo borgo pastorale in cima a una altura, con il palazzo signorile nel mezzo.Tutto intorno sui vecchi muri splendono rose e buganvillea, si ritagliano il cactus e l’albero della banana, come in un paesaggio del Sud; partono uomini a

A

cavallo, e scendono sul pendio coperto di noci e castagni. L’interno del palazzo, aperto al passaggio di ospiti finché il latifondo esisteva, dopo la Riforma è chiuso. Mi dicono che in esso si penetra fra i ricordi della Maremma romantica e solitaria, e che vi si scorgono ancora le atroci immagini degli ultimi banditi uccisi, fotografati come un trofeo venatorio; il cadavere in piedi, gli occhi tenuti aperti mediante uno stecco, e accanto il carabiniere con il fucile». Un’immagine legata, sin dai tempi di Piovene, solo alla memoria. La riforma agraria, infatti, «in Toscana ha per oggetto la Maremma; si svolge cioè in prevalenza nella provincia di Grosseto, benché si spinga anche in quelle di Pisa, Livorno e Siena. Grosseto e la provincia non mancano di alcune industrie, specialmente estrattive.Vi primeggiano le miniere della Montecatini dalle quali si traggono minerali diversi, e soprattutto la pirite. Con l’Elba poco lontano, e col monte

Amiata alle spalle, siamo qui in una delle poche zone minerarie d’Italia. Sono spesso miniere illustri, in quanto risalgono a un passato anteriore di Roma». Quegli ambienti ritornano spesso nelle cronache di Pratolini coeve al viaggio dello scrittore vicentino. Negli anni seguenti, le vicissitudini dei minatori saranno anche tema di diversi reportage d’autore, che celebreranno la memoria di parecchie tragedie minerarie avvenute proprio in quel di Grosseto. A legare le province centro-orientali resta comunque la forte connotazione politica: «a Firenze, a Siena, ad Arezzo, abbiamo notato che la campagna toscana è politicamente rossa, come quella emiliana e umbra che stanno ai suoi confini. La campagna è più spinta della città; e centri che ambirebbero ad amministrazioni conservatrici sono trascinati a sinistra dal peso del contado. Il contadino di molte provincie toscane è di mentalità operaia; spesso è più radicale e più politican-

Bibliografia Guido Piovene, Viaggio in Italia, Baldini Castoldi, pp. 928, euro 17,56 Guido Piovene, Lettere di una novizia, Bompiani, pp. 260, euro 6,71

pagina V - liberal estate - 13 agosto 2008


I VIGLIACCHI DELLA STORIA

Giacomo I

La sua salita al trono era stata preconizzata da Shakespeare nel finale di “Amleto”, anno 1601. Il teatro dell’epoca era come la televisione di oggi: condizionava parecchio l’opinione pubblica. Ma, una volta al potere, il re si rinchiuse nella sua corte perdendo il contatto con la realtà uando salì al trono, nel 1603, Giacomo I re di Scozia e d’Inghilterra, aveva parecchie buone carte da giocare. L’identità britannica, vagheggiata da Enrico VIII e consolidata da Elisabetta I, era ormai un dato di fatto accettato da tutta l’Europa. Volenti o no, francesi e spagnoli avevano dovuto accettare quali azioni politicamente avvedute quelle che fino a quindici anni prima avevano letto solo come le ubbie di una donna presuntuosa: Elisabetta I, appunto. Tutti gli intellettuali di casa, poi, avevano salutato la salita al trono del figlio di Maria Stuarda come un’occasione fondamentale per rinnovare la struttura dello Stato, l’organizzazione della giustizia e la solidità della Chiesa anglicana. Nel senso che Elisabetta aveva costruito un magnifico contenitore, mentre a Giacomo spettava il compito di riempirlo di significati. Per salutare la salita al trono di Giacomo, il maggior intellettuale nazional-popolare inglese, William Shakespeare, aveva scritto una tragedia-manifesto: “Otello”. L’azione fine a se stessa e priva di solide basi etiche sarebbe stata inevitabilmente vittima dell’affabulazione politica. Il Moro è un buon militare ma un pessimo conoscitore dei chiaroscuri umani, per questo soccombe al diabo-

Q

Gli occhi chiusi dell’imperatore che bloccò lo sviluppo del Paese di Nicola Fano

Il passaggio dal Cinquecento al Seicento poteva significare per l’Inghilterra la nascita di un nuovo impero. E invece il possibile sviluppo britannico si è rinchiuso nell’ombelico di Londra, tra uno spettacolo di Inigo Jones e un banchetto esasperato

pagina VI - liberal estate - 13 agosto 2008

lico ragionare di Iago. In questo conflitto, la virtuosa Desdemona (l’Inghilterra medesima) correva il rischio di restare schiacciata suo malgrado. Bisogna cambiare le cose, diceva Shakespeare, e bisogna farlo in modo da conciliare azione e politica: Elisabetta ha concentrato il suo mito sulla guerra agli spagnoli (sull’azione, dunque), adesso c’è bisogno di riforme, di buona politica. In fondo, l’avvento sull’isola del ciclone Giacomo era stato preconizzato dallo stesso Shakespeare (che era un uomo attento ai gusti del pubblico-popolo, ma che comunque faceva politica, eccome!) nel finale di “Amleto”, anno 1601. I tormenti di Amleto saranno spazzati via da Fortebraccio, ossia un sostanziale estraneo al regno di Danimarca. Così come Giacomo era sostanzialmente estraneo al regno d’Inghilterra. In al-

tre parole: Shakespeare faceva il tifo per Giacomo e con lui lo facevano i suoi colleghi teatranti e il loro pubblico. Il teatro, all’epoca, era come la televisione di oggi: condizionava parecchio l’opinione pubblica. Giacomo rispose alle speranze con un bel gesto: salendo al trono, invece di mantenere il suo appellativo di Giacomo IV, scelse di ripartire da capo, proclamandosi Giacomo I. E non è una cosa da poco. Tanto per intenderci, quando Vittorio Emanuele II di Savoia ha avuto in dono da Garibaldi il Regno d’Italia s’è guardato bene dal farsi chiamare Vittorio Emanuele I; l’idea di dare corso a una nuova stirpe e a una nuova identità non gli passava neanche lontanamente per la testa. Insomma, le premesse, per Giacomo, erano perfette: era arrivato il tempo di costruire. Per-

ché, allora, è stato un vigliacco? Semplice: perché dopo un inizio promettente, dopo una serie di giri informativi per il nuovo regno (oggi si chiamerebbe “bagno di folla”), s’è rinchiuso nella sua Corte via via perdendo contatto con la realtà sociale. Diciamo che ha abbandonato l’Inghilterra a se stessa e ha bloccato per quasi un secolo lo sviluppo del suo paese. Il passaggio dal Cinquecento al Seicento poteva significare sicuramente per l’Inghilterra la nascita di un nuovo impero (quello che sarebbe arrivato dopo): lo consentivano sia la vittoria sulla Invencible Armada spagnola sia le scorribande navali di Francis Drake e soci nel nuovo mondo. E invece il possibile sviluppo britannico si è rapidamente rinchiuso sull’ombelico di Londra, tra uno spettacolo di Inigo Jones e un banchetto esasperato. Senza contare che la discutibile moralità della Corte aprì comodamente la strada alla reazione puritana: mai rivoluzione fu più annunciata e poi più rapidamente riassorbita come quella della metà del Seicento in Inghilterra. Se avesse aperto gli occhi, Giacomo I, se avesse scelto la via del coraggio (sviluppo e modernizzazione) e non quella della vigliaccheria (autoreferenzialità della Corte), che cosa sarebbe cambiato nel mondo? La storia non si fa con i “se”, ovviamente, ma qui una rispostina si può cercare di darla. Intanto, la crisi spagnola, spinta dalla irragionevolezza economica di Filippo II, sarebbe stata più veloce (e forse più indolore per il resto d’Europa), così come la grandeur francese avrebbe potuto essere contrastata sul nascere da un modello sociale (quello inglese) meno controverso e più “europeo”. Senza contare che l’Inghilterra non avrebbe dovuto aspettare la seconda metà del Settecento e il Dottor Johnson per consolidare la sua identità culturale. Ma, d’altra parte (ogni “se” ha il suo contrario), se Giacomo I non fosse stato vigliacco, nella Londra degli anni Dieci del Seicento non avrebbe prosperato la cultura estetizzante dei giovani universitari e Shakespeare – sempre lui! – non avrebbe spedito contro di loro gli strali politici di “Antonio e Cleopatra” e quelli poetici della “Tempesta”. E poi, magari, senza il caos culturale degli anni Venti del secolo, Condell e Heminge non avrebbero sentito il bisogno di spedire ai posteri il canone shakespeariano nel “First Folio”. E questo davvero sarebbe stata una rovina per l’umanità: meglio dover fare i conti con la vigliaccheria di Giacomo Stuart.


I SENTIMENTI DELL’ ARTE n coincidenza con l’apertura del primo Giubileo, nell’anno 1300, Enrico Scrovegni, ricco banchiere e uomo d’affari padovano, pose la prima pietra di una Cappella che egli volle erigere a completamento del contiguo palazzo di famiglia, ora non più esistente. L’edificio ha una pianta longitudinale del tipo ad aula secondo la tipologia architettonica delle chiese degli appena sorti ordini mendicanti, come dimostra l’esempio più noto, la basilica di San Francesco ad Assisi. Il modello assisiate era diventato in poco tempo il prototipo di un nuovo concetto spaziale rispondente ai rivoluzionari principi di povertà e semplicità della predicazione francescana, che tradotti in termini architettonici equivalgono a essenzialità della forma, chiarezza e ampiezza spaziale, indispensabile per accogliere il maggior numero di fedeli, povertà dei materiali, tutte caratteristiche dello stile gotico italiano. Di fondamentale importanza, secondo il pensiero del santo di Assisi, era il tema della predicazione per la diffusione della buona novella, con un esplicito richiamo alla evangelizzazione delle origini. Come allora le immagini acquistano un valore esplicito, tornando a essere la “biblia pauperum” dell’epoca paleocristiana. Se per farsi capire dal popolo Francesco parlava e scriveva in volgare, il messaggio artistico doveva essere ugualmente semplice, diretto e comprensibile, soprattutto doveva parlare al cuore dell’uomo. Il cosiddetto protorinascimento dell’epoca di Giotto ha dunque le sue radici nella coeva predicazione francescana, e Giotto di Bondone (1267?–1337) è stato il primo vero interprete di questo nuovo messaggio evangelico. Enrico Scrovegni non a caso chiamò proprio lui, che aveva appena terminato di dipingere le storie di San Francesco ad Assisi, ad affrescare le pareti della sua Cappella. Come nella basilica umbra, e anche di più, le scene narrate da Giotto coinvolgono, per la prima volta dopo secoli, lo spettatore mostrando emozioni, sentimenti e ambientazioni reali. Lasciato a un passato ormai remoto la ieraticità dei fondi oro e l’astrazione dei santi e delle Madonne bizantine, che “parlavano” greco o un erudito latino, Giotto narra storie comprensibili, ambientate in paesaggi riconoscibili, con cieli blu, animali reali e partecipi dell’azione quanto gli uomini. Proprio come predicava Francesco; e così come il santo dei poveri aveva messo in scena il presepe vivente per rendere viva e attuale la figura del Cristo, Giotto dipinge fotogrammi di una narrazione che è azione

I

IL TRADIMENTO Il quadro: particolare dalla Cappella degli Scrovegni di Giotto

Tutto cominciò con questo bacio di Olga Melasecchi

presentato il momento dell’inganno così come lo descrive l’evangelista Luca: “Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?». Allora quelli che erano con lui, vedendo ciò che stava per accadere, dissero: «Signore, dobbiamo colpire con la spada?». E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli staccò l’orecchio destro. Ma Gesù intervenne dicendo: «Lasciate. basta così!». E toccandogli l’orecchio, lo guarì. Poi Gesù disse a coloro che gli erano venuti contro, sommi sacerdoti, capi delle guardie del tempio e anziani: «Siete usciti con spade e bastoni come contro un brigante? Ogni giorno ero con voi nel tempio e non avete steso le mani contro di me; ma questa è la vostra ora, è l’impero delle tenebre» (Luca 22, 47-53). È in atto una sacra rappresentazione: sentiamo le voci concitate dei soldati e dei sacerdoti, il suono del corno ebraico, le lance che oscillano e i bastoni che vogliono colpire, vediamo il fuoco del-

Il tema iconografico riprende racconti del Nuovo Testamento tratti dai Vangeli canonici e da quelli apocrifi con un’attenzione particolare agli episodi mariani

Il lavoro venne commissionato dal banchiere padovano al pittore fiorentino che da poco aveva finito di dipingere le storie di San Francesco

drammatica. Il programma iconografico-iconologico della Cappella, suggerito con grande probabilità da un dotto consigliere teologico, allude al tema della salvazione, carico di rispondenze, parallelismi, significati simbolici e innovazioni formali. Un tema quindi consono a una cappella funeraria, che comprende storie del Nuovo Testamento tratte dai Vangeli canonici e da quelli apocrifi con un’attenzione particolare agli episodi mariani, per cui è chiaro che proprio la Madonna, intermediaria nei confronti del Figlio e tramite pertanto della Salvezza, è la

vera protagonista del ciclo. Giotto da vero regista adotta tecniche recitative potenti, atteggiando i suoi personaggi in pose eloquenti e abbigliandoli con costumi dalla colorazione simbolica. Sono notissime alcune scene di questo ciclo, da quella di Gioacchino fra i pastori, all’Annunciazione, alla Deposizione, al Tradimento di Giuda. Quest’ultimo episodio è diviso in due tempi: nel primo riquadro, tratto dal Vangelo di Matteo, Giuda, spinto da un diavolo nero, stringe la borsa dei trenta denari presa dal sommo sacerdote in cambio del tradimento; nel secondo è rap-

le torce agitato dal vento, profili di volti rabbiosi, ma soprattutto, al centro della composizione, l’ipocrita abbraccio di Giuda a Gesù, i due profili che si sfiorano nel momento del bacio e percepiamo un grande amore tradito, la fiducia per un amato discepolo ingannata. Lo sguardo che il Cristo rivolge a Giuda, severo eppure carico di amore rappresenta uno dei vertici più alti del lirismo giottesco. Giotto ha caratterizzato efficacemente il traditore, con ampio mantello giallo, il colore del tradimento, e volto dal profilo camuso. E proprio la reintroduzione del profilo nella rappresentazione del corpo umano dopo secoli di presentazione di un corpo frontale con testa girata, è stata a ragione giudicata come una delle più importanti conquiste di Giotto.

pagina VII - liberal estate - 13 agosto 2008


Cruciverba d’agosto

“Se quel guerrier io fossi...”

di Pier Francesco Paolini ORIZZONTALI 1) La baia nei pressi di Alessandria dove Nelson sconfisse la flotta francese nel 1798 • 7) La ninfa amata dal Dio del fiume Alfeo • 14) Les fourberies de ........ di Molière • 20) Romanzo di Gabriel Garcia Marquez • 23) Cozzo • 24) Ditte • 25) L’........ della prova, romanzo di Scott Turow • 26) Idonea • 27) Hitoshi ........, romanziere giapponese: Il diluvio (1905-69) • 28) La Cina di Marco Polo • 29) Iniz. del comico Dapporto • 30) ........ di Rienzo • 32) Dopo il bis • 33) Provincia dell’Umbria • 34) De Valera, statista irlandese • 35) Ettore, storico dell’antichità (1856-1939) • 37) Isola del Dodecaneso • 39) Provincia della Calabria • 40) Cittadina dei Paesi Bassi, nota per essere il più grande mercato dei fiori del mondo • 42) Antico popolo nomade che si stabilì fra il Danubio e il Don • 44) Quell’uomo che non nacque, / dannando sé, dannò tutta sua prole (Paradiso, VII) • 46) Bloc-........ • 47) Dir la propria • 48) Oneste • 49) In elettronica, dispositivo addizionatore • 50) Opera di Rossini • 51) L’op. 28 di Chopin • 53 Città natale di Paganini (sigla) • 54) Si usa per aromatizzare liquori • 56) Carnivori africani • 57) “Il carro di ........” dipinto di Bosch • 58) ........ limine • 59) Fusciacca del kimono • 61) Groppi • 63) Romanzo di Alfredo Oriani • 64) “Luna di ........” film di Roman Polanski (1992) con Peter Coyote • 65) Famosa rivista umoristica americana • 66) ........ da chiodi! • 68 I “........” del 78 or., famoso “falso” di James Macpherson (1765) • 70) Tragedia di Vittorio Alfieri • 71) Fiume dell’Italia centrale • 72) Filologo greco (216-144 a.C.) che diresse la Biblioteca di Alessandria • 76) Ben radicati • 77) Facezie, bizzarrie • 78) Leggendario bardo scozzese, figlio di Fingal

VERTICALI 1) Intensificata, aggravata • 2) Trovatore provenzale che Dante incontra nel XXVIII canto dell’Inferno • 3) Sporco di grasso • 4) Pone fine a un incontro di pugilato • 5) “........ e Annie” film di Woody Allen • 6 Canta “Se quel guerrier io fossi...” • 7 Ou sont les neiges d’........? • 8 “........ di passaggio” romanzo di William Golding • 9 Città dell’Olanda • 10) “........ con Zero” di Italo Calvino • 11) Antoniotto, navigatore, che scoprì le Isole del Capo Verde nel 1455 • 12) ........ of Fury , film di John Cromwell con Tyrone Power (“Il figlio della Furia, 1942) • 13) ........ Guinness, attore (La signora omicidi, 1955) • 14) Gambi • 15) Il rame • 16 Romanzo di Nabokov • 17 Due statisti inglesi, entrambi a nome William, padre e figlio • 18 Mediatrice • 19 Ammiraglio di Alessandro Magno • 21) Splendore (latino) • 22) Collerici • 28 Paese africano • 29 Moneta d’oro e d’argento originaria del Regno di Napoli e diffusa anche altrove • 31) Visciole • 34) Dramma di Racine • 35) Filosofo greco del V secolo a.C. • 36 Moglie di Abramo • 38 “........ infranto” film di Carol Reed (1948) con Ralph Richardson • 41) Città di Israele • 42) Attici, inglesi, minerali • 43) “L’amaro ........ del generale Yen” film di Frank Capra • 45) ........ Dhabi • 47 Pescara • 48 Dignitario ecclesiastico • 49 Astucci del sarto • 50) Zara per i croati • 51) ........ della Francesca • 52) The ........ Runner film di Sean Penn (tit. it. “Lupo solitario”, 1991) • 55) Un vino • 57 Autografo • 60) Uccello sacro per gli antichi Egizi • 62) Civiltà precolombiana • 64) Fabbrica di automobili • 65) Gatti • 67 Odino ne era il capo • 69 “La capanna dello zio ........” • 70) Il partito di Almirante • 71) Vegas • 73) Scrisse l’Aminta (iniz.) • 74) ........ situ • 75) Iniz. di Schumann

1

2

3

4

5

6

20

7

10

11

12

13

14

30

35

41

36

31

43

44

67

56

45

63

68

52

57

62

58

64

69

65

70

73

76

39

51

55 61

19

48

50

60

18

38

47

54

17

32

37

42

46

53

16

25

29

49

15

25

34

40

17 22

28

33

72

9

24

27

66

8

21

23

59

7

71

74

75

77

78

L’Almanacco Hanno detto di… morale

all’atteggiamento di una squadra in una partita di baseball per esprimere che aveva del “pepe”, dell’”entusiasmo”. Bisogna inoltre ricordare che quando il termine jazz cominciò ad essere utilizzato dalle orchestrine arrivate a Chicago da New Orleans tra il 1915 ed il 1916 aveva una chiara connotazione di volgarità o di oscenità. Per altri, jazz sarebbe la contrazione del nome di un personaggio degli spettacoli dei minstrels, Mr. Jasbo; oppure di un certo Jasbo Brown, un musicista nero che suonava una musica selvaggia e bizzarra quando era ubriaco, in un locale di Chicago intorno al 1915. Qualunque sia l’origine, molti musicisti di jazz neri non hanno mai nascosto la loro avversione per una parola che per loro ha un cattivo odore.

D&R Chi ha introdotto la guida a destra?

L’indignazione morale è in molti casi al 2 per cento morale, al 48 per cento indignazione, e al 50 per cento invidia. Vittorio De Sica

Molto spesso si pensa che Napoleone Bonaparte fu colui che diffuse la guida a destra in Europa. In opposizione al Regno Unito, l’imperatore francese propose la guida a destra, il lato del popolo, opponendolo a quello sinistro usato solitamente dalla nobiltà britannica. Una versione simile di questa spiegazione lega la scelta al fatto che Napoleone fosse mancino e che quindi durante le giostre a cavallo impose il lato destro per poter meglio impugnare la lancia.

LA POESIA UN’APE VORREI ESSERE

L’origine di… Jazz La parola jazz è apparsa per la prima volta nella carta stampata nell’articolo del 6 marzo 1913 del “The Bullettin” di San Francisco, nell’espressione “ragtime e jazz” in riferimento

Un’ape vorrei essere, donna bella e crudele. Che sussurrando in voi suggesse il mèle;

LA SOLUZIONE DI IERI 1

F

20

e, non potendo il cor, potesse

I

23

F

26

almeno

I

pungervi il bianco seno,

38

2

3

O R

M E

I N

N G

4

S T E L

31

I

P

47

e ‘n sì dolce ferita

A

55

S

63

vendicata lasciar la propria vita

T

39

I

S T O

40

L

O

I

R

I

85

A C

88

L

A

T L

E T I

21

E

E

O R

33

49

50

N G

C

58 65

U R

D A

P

I

T

T I

R

A R

E

73

T

51

E

M A G

83

A R A

I T

N

A N

E M A N A

86

T T

N O

I T

U R A

22

S

E

16

L

E

25

O V

29

I

18

A R

19

I

D A N E S

S

T

P

A

37

C A M P U S

45

O

46

T

M O

53

54

S U B

I

17

30

L

36

52

S

74

I

A

60

67

15

H

E 44

T

14

A R

A R

43

E

13

61

O G N U N

66

82

89

L 35

L

N

R

59

R P

72

T

34

M A R A

12

S U

28

42

A

11

R O S O

E G U A

41

A N O

O R

N O

27

C A B

71

10

24

E 32

9

K O S

O N S

“L’imperator del doloroso regno” 8

R

64

N G O I

7

57

81

T

E

N

O A F

6

A R

56

70 80

5

48

O R A

TORQUATO TASSO

a cura di Maria Pia Franco

S

68

A

75

76

C A

84

A

87

S

90

A 69

L

T

62

T

L

R

S

E

T

A

I

T

A N A 77

78

79

A M A R

I

R

A M O V

T

A

A R

O N O R A R

E


il nuovo bimestrale di geostrategia in edicola il terzo numero del 2008 120 pagine per capire il pianeta • Libano, l’incognita Suleiman • Kuli Khan, il Napoleone della Persia • Il mare nostrum secondo Sarkozy Mario Arpino, Heidi Holland, Virgilio Ilari, Carlo Jean, Michele Marchi, Andrea Margelletti, Mario Rino Me, Carlo Musso, Andrea Nativi, Michele Nones, Emanuele Ottolenghi, Daniel Pipes, Luigi Ramponi, Stefano Silvestri, Maurizio Stefanini, Davide Urso


pagina 18 • 13 agosto 2008

ai ciclisti ai carcerati il passo è più breve di quanto si possa immaginare. A spiegarlo per la prima volta è Albert Londres, tra i più rinomati reporter del secolo scorso. È l’estate del 1924 quando, di ritorno da un viaggio nelle colonie penali francesi d’oltremare, viene spedito da “Le Petit Parisien” al seguito dei ciclisti che gareggiano al Tour de France. Ed è proprio in una delle prime tappe che conia una definizione cristallizzata ormai da tempo nel lessico degli addetti ai lavori: i «forzati della strada». L’episodio è raccontato nell’antologia che la casa editrice Excelsior 1881 ha da poco pubblicato per le cure di Tommaso Labranca (Tour de France, tour de souffrance, pp. 166, euro 21,50), ma è solo una delle decine di descrizioni suggestive presenti nel libro. A far fede di una certa cifra di scrittura, basta infatti la prima corrispondenza che il giornalista manda da Le Havre, e che porta la data del 22 giugno 1924: «Ieri, alle undici e mezzo di sera, stavano ancora cenando in un ristorante di Porte Maillot: facevano pensare a una sfilata della laguna veneziana, poiché quegli uomini, con le loro maglie variopinte, visti da lontano sembravano lampioni di carta. Poi bevvero un ultimo bicchiere. Ciò fatto, si alzarono, si alzarono da tavola e cercarono di uscire, ma la folla li portò in trionfo. Si trattava dei corridori ciclisti in partenza per il Tour de France. Per quel che mi riguarda, all’una del mattino, mi incamminai lungo la strada dell’Argenteuil. Alcuni “signori e signore” pedalavano nella notte: mai avrei creduto ci fossero così tante biciclette nel dipartimento della Senna».

D

letture Il ciclismo raccontato da Londres, Pratolini e Campanile

Grandi penne e forzati del pedale di Filippo Maria Battaglia

E poi, più avanti, quasi a rafforzare una vena immaginifica tenuta a freno soltanto dall’imperativo rigoroso della cronaca: «Era ancora notte, corre-

La poesia e le atmosfere del Tour de France, i duelli epici tra Fausto Coppi e Gino Bartali al Giro d’Italia, la figura del ”leone delle Fiandre Lorenzo Magni tra amarcord e suggestioni Sopra la celebre foto dove Fausto Coppi cede la borraccia all’eterno rivale Gino Bartali sul passo del Galibier nel Tour del 1952. A lato Ottavio Bottecchia vincitore delle edizioni 1924 e 1925 della Grande Boucle

vamo da un’ora e, in quel momento, nel bosco che stavamo attraversando si alzavano grandi falò da selvaggi. Si sarebbero detti fuochi di una tribù che avevano appena saputo di una tigre che si aggirava nei dintorni. E invece erano parigini che, davanti a quei bracieri, attendevano il passaggio dei giganti della stra-

da. Ai limiti del bosco c’era una donna che tremava di freddo nel suo cappotto di scoiattolo con al fianco il suo uomo che aveva in testa il cilindro. Erano le tre e trentacinque del mattino. Nasce il giorno e permette di vedere chiaramente che, quella notte, nessun francese ha dormito; l’intera provincia è fuori dalla porta con i bigodini in testa». Ecco: a volere sintetizzare l’istantanea che ci presenta Londres sarebbero sufficienti que-

ste poche righe. Tra i negativi, scorrerebbero così le maglie pesanti dei ciclisti sudati che si dissetano con ciotole di acqua e cioccolata, le gomme spesse di ruote mai completamente stabilizzate, la durezza di certe scarpe e le maglie larghe di qualche calzino bucato.

Ma il ciclismo non è solo Tour. Dalle nostre parti, i pedali e le due ruote fanno rima con un altro mito, il Giro d’Italia, quello di Coppi e Bartali, celebrato dalla migliore narrativa nostrana. Tra i primi a occuparsene è Achille Campanile. È il 1932: in quell’anno la spunta Antonio Pesenti, che sfiora la vittoria anche in terra transalpina. L’umorista romano è accompagnato dall’immaginario “Battista” (di qui, il titolo del libretto da poco ripubblicato per le edizioni della Vita Felice, Battista al giro d’Italia, pp. 249, euro 12,50) e l’occasione è buona per un Viaggio in Italia più agile ma non molto dissimile nei toni e nei temi da quello che anni dopo scriverà Guido Piovene. Al tour per il Belpaese e tra i suoi abitanti non si sottrae neppure Vasco Pratolini, seguace sfegatato di Coppi e Bartali, che anni dopo più di una volta ritornerà su quei sentieri. La prima cronaca è datata maggio 1947 (Cronache dal giro d’Italia, Otto/Novecento, pagg. 93, euro 12): sono gli anni, manco a dirlo, di Fausto Coppi e Gino Bartali e a indossare la maglia rosa è stavolta il ciclista di Castellania, che la spunta sul burbero “Ginettaccio”. Pratolini non si perde neppure un dettaglio, affondando a piene mani nell’immaginario sportivo degli italiani e scrivendo di un Gino BartaliBuffalo Bill e di un Fausto Coppi lanciatore di coltelli. Nel secondo reportage – siamo nella primavera del 1955 (Al giro d’Italia, La Vita Felice, pagg. 143, euro 9,50) - la rivalità tra i due ciclisti è ormai un ricordo da riporre in soffitta. Stavolta, a vincere è “il leone delle Fiandre”, quel Fiorenzo Magni che già sette anni prima si era aggiudicato la maglia tra mille polemiche e contestazioni di ogni tipo. È forse anche per questo che l’autore del Metello non si appassiona più di tanto alla gara in sé. La cronaca sportiva cede il passo alla divagazione e all’amarcord, spesso intrisi di quell’intimismo che è poi l’impronta più riconoscibile nelle opere dello scrittore fiorentino. Tra un pagina e l’altra, ritorna il sudore dei «temerari scalatori di sogni», l’eco degli applausi delle signore con i bigodini, le pesanti maglie di cotone, i calzini corti e bianchi, alle volte lisi se non proprio bucati. I ciclisti, nel 1955, sono infatti ancora «forzati della strada».


musica

13 agosto 2008 • pagina 19

Nel suo ultimo album, Same old man, il cantautore dell’Indiana racconta la malinconia dei sentimenti che non cambiano

L’America ruvida e poetica di John Hiatt di Valentina Gerace America è la patria del blues, e non perde occasione per celebrarlo con lo stesso entusiasmo ed orgoglio con cui viene sventolata la sua bandiera. E se l’America è il blues, John Hiatt è l’America. Ne è sicuramente uno dei suoi più significativi simboli musicali. Rocker di razza. Chitarrista, pianista, cantante e compositore americano dell’Indiana, autore delle più indimenticabili e storiche canzoni pop-rock della storia della musica internazionale. Inconfondibile per la sua voce gutturale, stridente, acuta, predominante persino nei brani più dolci e sentimentali. Il suo ultimo album, Same old man, uscito lo scorso luglio, che segue a due anni di distanza, l’ottimo Master of disaster, del 2005, ce ne dà conferma. Non è sicuramente il solito Hiatt rockettaro di sempre.

L’

birsi nei club della sua Indianapolis. A diciotto si trasferisce a Nashville dove, grazie alla sua collaborazione con la Tree publishing music international prima e la Epic records dopo, dimostra non solo di avere molto da dire, ma di poterlo fare con uno stile sofisticato, unico, in una maniera brillante e passionale. Inizia a incidere canzoni, che si tradurranno nell’arco di un ventennio in circa 250 brani, 18 album e 2 dischi live. È Sure as I’m sittin’here, brano del suo album di esordio e Hangin’ around the observatory, a dargli notorietà e a trasmettergli la spinta per comporre.

Uno dopo l’altro, i suoi album sono tutti un successo: Bring The Family nel 1987, Slow turning nel 1988, Stolen moments nel 1990 e Walk on nel 1995. The tiki

immerso nel passato, come suggerisce il titolo, l’album esplora una dimensione sentimentale in cui John ci racconta con malinconia, ma non senza sarcasmo, la sua vita di uomo e di artista. Dalla vetta dell’esperienza, senza il rancore del passato, c’è una visione della vita più rilassata che inevitabilmente si riflette nelle sonorità, tipiche di un disco acustico, riflessivo, senza fiammate elettriche. Una timbrica consumata, che sorprende col fascino di sempre pur non essendo rockettaro come negli album precedenti. Ha una strumentazione essenziale formata dalla chitarra di Luther Dickinson, dal basso di Patrick O’Hearn e dalla batteria di Kenneth Blevins. E ovviamente la grande voce di John, affiancato questa volta dalla tenera voce della figlia Lily.

Undici capolavori, con le tipologie classiche del suono di Hiatt. Le armonie vocali, l’orecchiabilità di alcuni brani, le cui melodie restano subito impresse nella mente, grazie anche alla fusione perfetta tra la sua voce aggressiva, acuta, forte e una chitarra country-blues che lo accompagna nei suoi racconti, fanno di questo disco un pilastro della sua musica.

Old days apre il disco. Tipico sound blues. Un incrocio tra Tom Waits e Bob Dylan. Un brano che si basa su una batteria ridondante, la chitarra di Luther e la voce di John. Uno di quei pezzi che si memorizzano al primo ascolto. Sfoglia antichi ricor-

di, colorate memorie di vita on the road, l’ideale per una canzone che ripercorre i giorni passati. «Non so cosa avevano di bello, ma ricordo che suonavo sempre e mi sentivo libero». Segue Love you again, una deliziosa slow-ballad cantata anche da Lily Hiatt, con cui John ringrazia la propria donna di avergli concesso di amarla ancora. In Ride my pony, questa volta è il mandolino a raccontare il desiderio di un uomo di cavalcare sul suo pony. Un brano ironico, che non

Rocker di razza, compositore, chitarrista e pianista, con la sua musica mescola tonalità blues e country. Ogni sua canzone esprime l’esperienza della frontiera, quella delle varie culture degli States Ma in quanto a capacità di scavare a fondo nei sentimenti, e di far provare emozioni, nulla è mutato. Questo suo ultimo successo è fatto di ballate folk, country e blues, sullo stampo dei suoi importanti modelli musicali: Bob Dylan, Elvis Presley, Rolling Stones.

È un viaggio nella memoria di un uomo che ha dedicato la propria esistenza alla musica. Un artista che nasce con la melodia dentro. Un musicista che col suo Rock puro, ama raccontare un’America normale, non fatta di mitiche praterie o di grattacieli vertiginosi, ma di spazi quotidiani, aperti su un’interiorità che fluisce densa come l’eterna corrente del Mississippi. Proprio in questo ”delta” immaginario e reale la voce di John Hiatt ha le sue radici, mescolando tonalità blues e country, bianche e nere che emergono da ogni canzone, racconta l’esperienza della frontiera. Quella delle varie culture che si incontrano in un Paese ricco e multietnico come gli Stati Uniti. Chi lo conosce bene e lo segue musicalmente, lo sa, John Hiatt non ne sbaglia una. Già all’età di nove anni strimpella la chitarra e presto inizia a esi-

bar is open (2001) e Beneath this gruff exterior (2003), con la partecipazione in entrambi di Sonny Landreth alla chitarra, rivelano la sua capacità di sorprendere ed emozionare con un’energia e una verve notevole. La sua voce aggressiva, energica, abrasiva è al centro di dischi come Perfectly good guitar (1993), uno dei suoi maggiori successi. E poi Little head (1997) e Crossing Muddy Waters (2000). John utilizza la sua voce come suo strumento principale, quello che conferisce una profondità emozionale non comune a tutte le sue canzoni. La sua ultima creatura, Same Old man non è da meno. Un album fatto di ricordi, con cui Hiatt ripercorre il passato con un sentimento riflessivo, nostalgico ma anche realista e a tratti ironico. Liricamente

vuole esprimere più di ciò che dice. Non mancano brani romantici, sentimentali, come Hurt me baby, Somebody hurt my baby, Somebody hurt my girl, Two hearts, ballate dal ritmo lento, maestoso, caratterizzate però da una voce sempre stridente, graffiante, ruvida. Same old man è una delle canzoni più profonde ed espressive, non per nulla dà il nome all’album.

Hiatt riflette su come nonostante gli anni siano passati, sia rimasto same old man di un tempo, lo stesso uomo di sempre. Non è cambiato e anche per questo il suo amore è rimasto incontaminato. Una splendida canzone su un amore maturo, di vecchia data. La critica ha definito Same old man uno tra i dischi più riusciti di questi 34 anni di carriera musicale di John Hiatt. E non è poco per un autore con una discografia del suo calibro. Un album ad alti livelli espressivi che ha il merito di aver riproposto un John Hiatt tipico, affascinante come sempre, nei contenuti e nell’espressività. Un Hiatt, autentico, che ama raccontare e raccontarsi attraverso la sua musica, la sua voce. Attraverso ballate emozionanti, malinconiche, ma anche vivaci, che restano incastonate nella storia della musica di tutti i tempi.


pagina 20 • 13 agosto 2008

eventi

La mostra perugina sull’artista umbro ha attratto più di mille visitatori al giorno. Peccato per la mancanza di opere fondamentali come la Madonna del davanzale della National Gallery di Londra

Pintoricchio superstar Francesco Vignaroli miniatura), che ha dimostrato in maniera, potremmo dire, tangibile la reciproca influenza tra arte figurativa e cultura materiale del Rinascimento, mettendo in luce, fra l’altro, la chiara autocoscienza artistica dei migliori “artigiani” dell’epoca: cioè, non di meno dei grandi maestri, essi erano consapevoli di essere generatori di bellezza. Per quanto riguarda il giudizio delle diverse tipologie di normali visitatori, la valutazione diventa più complessa. La mostra è stata inequivocabilmente un successo, ma, per lo più, per l’inaspettata bellezza delle opere di Pintoricchio e degli altri artisti umbri della sua cerchia, che per l’azione complessiva della struttura organizzativa. Il pittore perugino e, più in generale, gli artisti umbri del Rinascimento hanno sempre sofferto di un antico pregiudizio, innescato da Vasari nel XVI secolo, riproposto poi dogmaticamente da molti storici dell’arte e diffuso quindi nel pubblico, per il quale l’arte umbra sarebbe di secondaria importanza. Pertanto, i visitatori (anche Umbri) si sono sorpresi nel ritrovarsi incantati di fronte alle opere di un artista considerato “secondario” come Pintoricchio o di perfetti sconosciuti al grande pubblico come Bartolomeo Caporali, Benedetto Bonfigli, Pietro di Galeotto, Pier Matteo d’Amelia.

na mostra d’arte si valuta da più punti di vista, perché sono diversi gli “occhi” che la guardano e la giudicano. Criteri diversi generano, ad esempio, il giudizio dello storico dell’arte, del visitatore colto o del dilettante (nel senso migliore del termine, di una persona che trae “diletto” dalla bellezza dell’arte!), del visitatore forestiero o del cittadino, dello studenti o della signora ingioiellata, che vive l’evento come occasione mondana cui non si può mancare. Si potrebbe, ovviamente, continuare a lungo in questa elencazione tipologica. Una grande mostra d’arte, inoltre, è un’opportunità importante per la vita culturale, ma anche per il turismo e l’immagine della città e spesso della regione che la ospita. Conseguentemente è tutt’altro che semplice e univoco giudicare un evento di questo genere. Di solito i commenti nei massmedia si fermano al livello della critica artistica, spesso superficiale e soggetta a interessi di varia natura, oppure al mero calcolo del numero dei visitatori, mentre, come abbiamo cercato di illustrare sopra, il giudizio dovrebbe tentare di tener conto di una molteplicità di punti di vista.

U

Cerchiamo, quindi, di proporre un giudizio “diversamente angolato” sulla mostra dedicata a Pintoricchio, che si sta tenendo a Perugia e volge ormai al termine. Diamo prima, brevemente, alcuni dati: “Pintoricchio” è iniziata il 2 febbraio di quest’anno e avrebbe dovuto terminare il 29 giugno, ma, visto il successo di pubblico (circa 200.000 visitatori; una media di più di mille visitatori al giorno), è stata prorogata fino alla fine di agosto. La mostra è suddivisa in due sedi: la principale a Perugia, allestita presso la Galleria Nazionale dell’Umbria, l’altra a Spello, una piccola cittadina dove l’artista realizzò uno dei suoi capolavori, la Cappella Baglioni, e dove è stata realizzata una mostra dedicata al rapporto tre l’artista e la cosiddette arti minori. Inoltre, le località dell’Umbria, dove si trovano opere dell’artista, sono state coinvolte con la proposta di itinerari specifici. Iniziamo, dunque, il nostro tentativo di valutazione della manifestazione, prima di tutto da un punto di vista storico-artistico. In questo caso, sinteticamente, una mostra ha successo se riesce a proporre qualcosa di nuovo al mondo degli studiosi. La mostra di Pintoricchio in corso a Perugia ha dato un’interessante opportunità di studio nella sala dedicata al tema della “Ma-

Agli appassionati non è stato di grande aiuto il troppo stringato corredo esplicativo che accompagnava le opere e le diverse sezioni. Un po’ arrangiata la sezione dedicata ai minori donna con Bambino”: si è riusciti, infatti, a raccogliere da molte parti del mondo una decina di tavolette dipinte con questo soggetto per committenti privati dell’epoca. Alcune di queste sono semplicemente meravigliose, come quella proveniente da Huston (Texas), e per la prima volta gli studiosi hanno potuto confrontare,

una accanto all’altra, queste opere di Pintoricchio, dando un contributo significativo alla migliore conoscenza dell’artista. Sono purtroppo mancate due opere fondamentali: la ”Madonna del davanzale” della National Gallery di Londra e la ”Madonna con Bambino scrivente e vescovo di Valencia”. Coraggiosa e innovativa è stata poi la mostra di Spello, dedicata al rapporto tra Pintoricchio e le arti minori (abbigliamento e tessuti, ceramica, oreficeria, scultura lignea,

La mostra è quindi piaciuta. Il visitatore della cerchia degli “addetti ai lavori” ha, invece, notato evidenti cadute di tono dell’esposizione perugina. Innanzitutto, la gran parte delle opere, non solo le più grandi e spettacolari, provengono dall’Umbria e dalla stessa Galleria Nazionale che ha ospitato l’evento. È vero che Pintoricchio è stato per lo più un pittore di affreschi (i quali non si possono certo trasferire nelle mostre!), per cui bisogna, per così dire, arrangiarsi con le opere su tavola, anch’esse spesso non facili da trasferire. Però si sarebbe potuto – forse dovuto far di meglio, come ad esempio nella parte dedicata ai tre maestri della


eventi

13 agosto 2008 • pagina 21

Se è vero che questi eventi in Umbria non sono accompagnati da convegni di studio, riducendo la riflessione pubblica agli articoli pubblicati nei cataloghi e ai vernissage degli eventi inaugurali, si è almeno riportato alla coscienza collettiva il nome di un grande artista perugino e si sono valorizzati luoghi misconosciuti. A Spello, ad esempio, non solo si è consentito di accedere all’interno della magnifica Cappella Baglioni, decorata con un ciclo di affreschi di Pintoricchio perfettamente conservati, finora visibile solo dall’esterno attraverso una parete di vetro, ma si è anche finalmente riaperta la chiesa di Sant’Andrea, dove si trova una pala d’altare dell’artista, insieme ad altre interessanti opere d’arte. Inoltre, in diverse parti della regione hanno avuto un momento di notorietà alcuni luoghi decentrati, come, ad esempio, a San Martino in Colle, una piccolissima frazione a una decina di chilometri da Perugia, dove si è aperta tutti i giorni la piccola chiesa della Madonna del Feltro, nella quale si trova un dolcissimo affresco di Pintoricchio. Infine, dal punto di vista “mondano” o, se la si vuol prendere più seriamente, come occasione di socializzazione, l’evento è stato molto positivo, sfondando la pervicace distrazione della maggioranza dei Perugini rispetto agli eventi culturali organizzati in città: bene o male tutti, di qualsiasi classe sociale e livello culturale, si sono almeno interessati alla mostra e in molti sono andati a vederla.

A sinistra La Madonna del latte. Sopra Gesù Bambino delle mani. A destra La Crocefissione. Sotto la Pala di Santa Maria dei Fossi

“scuola umbra” del Rinascimento: Perugino, Pintoricchio e Raffaello. Si può accettare l’aver semplicemente trasferito dalle attigue stanze delle Galleria due capolavori rispettivamente di Perugino e Pintoricchio, ma non ci si poteva impegnare un po’ di più per ottenere un’opera di Raffaello un po’ più rappresentativa del “misero” Busto di angelo da Brescia? Si è anche sentita la mancanza dell’enigmatica ”l’Andata al Calvario” della Collezione Borromeo di Isola Bella (Lago Maggiore), forse l’ultima opera di Pintoricchio. Di non grande aiuto è stato poi ai visitatori lo stringato corredo esplicativo che accompagnava le opere e le diverse sezioni. Infine, l’ultima parte della mostra, dedicata ai seguaci, è risultata essere un po’ arrangiata. Riuscito, invece, l’utilizzo di sistemi multimediali, soprattutto per rivelare l’incredibile attenzione ai dettagli minia-

Per tentare, infine, un giudizio sintetico, si può pensare che Pintoricchio, un artista che è sempre stato più amato dal pubblico che dai critici, sarebbe soddisfatto di questo evento, che è servito a far gustare a tante persone la bellezza delle opere del secondo quattrocento umbro e a rintuzzare con l’evidenza dei fatti il caustico pregiudizio vasariano. Tuttavia la mostra su Pintoricchio lascia la sensazione di un’opportunità che non si è riusciti a sfruttare fino in fondo; meglio si era riusciti a fare, invece, con la mostra su Perugino quattro anni fa. Comunque sia, con le due mostre su Perugino nel 2004 e Pintoricchio nel 2008, l’Umbria ha giocato i nomi dei suoi due artisti più grandi (se non si vuol considerare anche Raffaello un’artista “umbro”, almeno per formazione) per organizzare due eventi che difficilmente avrebbero fallito i loro obbiettivi. Ora viene la sfida vera e propria: per gli anni a venire, ci si chiede se le istituzioni culturali, politiche e finanziarie di questa regione e, specificatamente, del capoluogo, Perugia, saranno ancora in grado di proporre al vasto pubblico nazionale e internazionale eventi della stessa portata. Qualora venissero organizzate altre manifestazioni dello stesso genere, in un contesto di agguerrita concorrenza con altre città e regioni, dove in questi ultimi vent’anni le mostre d’arte hanno avuto una grande proliferazione, le approssimazioni emerse nella mostra di Pintoricchio potrebbero essere fatali.

L’evento ha implementato il flusso turistico nella regione, ma a parte cataloghi e vernissage, sono mancati a livello istituzionale convegni di studio e di approfondimento turistici che Pintoricchio inserì nella pala d’altare di Santa Maria dei Fossi, un polittico di grandi dimensioni; un intervento tecnologico che ci auguriamo non vada perduta nel riposizionamento dell’opera nella sua sede normale in Galleria. Insomma, bellissime la maggior parte delle opere esposte, ma la mostra non sembra, per così dire, essere stata profondamente amata e voluta da tutti i suoi creatori e sponsor privati e istituzionali. Per quanto riguarda l’impatto che l’evento ha avuto sulle città in cui è stato ospitato, il giudizio non può che essere positivo.

Per il flusso turistico di Perugia e Spello, ma di riflesso su buona parte della Regione, la mostra su Pintoricchio ha contribuito decisamente a non risentire finora dei riflessi del rallentamento dell’economia; anzi, negli ultimi mesi, le presenze turistiche a Perugia sono aumentate. Anche per la cultura locale è stato un momento importante.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO

LA DOMANDA DEL GIORNO

BOLLORI OLIMPICI

Stelle cadenti: quali sono i vostri desideri? GUARDARE IN ALTO PER COMINCIARE A GUARDARSI DENTRO. LE STELLE METAFORA DELLA VERITÀ

LA POLITICA È DISORIENTATA. SE FOSSI IL GOVERNO ALLE STELLE CHIEDEREI UN PO’ DI SENNO

La vita scorre in modo così frenetico che non c’è mai il tempo di capire in quale direzione si sta andando. Così la notte di San Lorenzo, quando per fare qualcosa di diverso ci si ferma a guardar le stelle, può diventare davvero un’occasione per alzare lo sguardo al cielo. E quindi far chiarezza nella coscienza, inabissandosi nel fondo di se stessi. D’altra parte che senso ha domandare? Tante volte, infatti, si chiedono cose che pur importanti per sopravvivere al ”ciclone”della vita non risolvono l’esistenza: arrivare alla quarta settimana, avere i soldi per pagare la bolletta, non litigare con la propria moglie. Spesso i desideri vengono confusi con qualcosa che non ha assolutamente la dignità di chiamarsi in questo modo. Perché, alla fine, risolto un problema, ne sorgerà inevitabilmente un altro. Magari non si litiga con la moglie ma con il proprio datore di lavoro. Forse si riesce anche ad acquisire un ruolo sociale di prestigio, ma poi nell’anima rimane quel vuoto di verità. Ecco perché bisogna approfittare di questo giorno all’anno: per essere meno pigri, imparando ad andare veramente al fondo delle cose.

Per anni mi sono fidato della politica, credendo da essa dipendesse gran parte della mia stabilità: economica, e in un certo senso anche affettiva. Ma sono rimasto deluso. E non penso che le cose miglioreranno. Il ministro dell’economia, Giulio Tremonti ha varato la ”Robin Tax” e la ”Social card”, ma non si è minimamente preoccupato di regolarizzare i cosiddetti precari. Così a 45 anni mi ritrovo a vivere con un Co.co.co da mille euro al mese, sperando che alla scadenza mi venga rinnovato. In questo modo ho messo da parte ogni progetto e sono rimasto a vivere con i miei genitori. Padoa-Schioppa mi bollerebbe come ”bamboccione”. E nonostante sia anche colpa sua non posso che sottoscrivere. Il punto è che la politica è ”in panne”, il costo della vita continua ad aumentare, l’inflazione è ai massimi storici. E comprare pane e pasta sta diventando un lusso. È troppo facile e ipocrita vestirsi da ”Robin Hood”. Al governo consiglierei quindi un atto di umiltà: alzi lo sguardo al cielo e chieda alle stelle cadenti un po’ di senno. L’unica cosa in cui si è dimostrato veramente carente. Su una cosa c’è da essere certi: io lo farò.

Rocco Ricciardi - Pesaro

LA DOMANDA DI DOMANI

Trenitalia licenzia otto dipendenti fannulloni. Ha fatto bene? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

Lucio Vergatto - Bergamo

NESSUNO ESAUDIRÀ MAI I NOSTRI DESIDERI. MA È NECESSARIO CREDERE NELLE STELLE CADENTI Ho smesso di credere nelle stelle cadenti lo stesso anno in cui non ho più creduto in Babbo Natale e nella Befana: a sei anni. Per motivi personali sono dovuto crescere in fretta e non ho avuto il tempo di aggrapparmi alla feconda illusione che qualcuno ci ”regala” quello di cui abbiamo bisogno. Insomma, ho smesso di credere che qualcuno perda il suo tempo ad ascoltare le nostre richieste. Ma questo mi ha provocato solo un immenso dolore. Ecco perché mi piacerebbe poter chiudere i conti con il mio passato e poter credere nelle ”stelle cadenti”. Credere nel fatto che non siamo soli. E che la vita sia meno crudele di quello di cui - a torto o a ragione mi sono convinto.

ECONOMIA BOLLENTE Abbiamo assistito in questi mesi ad aumenti incontrollati e senza soluzione di continuità dei prezzi della benzina, gasolio e degli altri derivati del petrolio. Secondo affermati economisti il prezzo reale del petrolio è aumentato del 150% e ciò produrrà un effetto di rallentamento di tutta l’economia mondiale. Nonostante un timido atteggiamento di blocco dei prezzi, si registra la posizione del presidente di Gazprom, una società che rappresenta una dei maggiori produttori di gas e petrolio al mondo, che sostiene che il prezzo potrebbe continuare a crescere anche in maniera esponenziale. Per il nostro ministro Scajola ci sono invece spazi di manovra per fare in modo che il prezzo della benzina scenda, si muova verso il basso. Al fine di non alimentare l’inflazione ha avviato una politica di controlli attraverso l’azione combinata dell’Osservatorio del ministero per lo Sviluppo Economico e di “Mister Prezzi” e cioè del garante Antonio Lirosi. Saranno passati al setaccio

Un escamotage particolare di una spettatrice delle Olimpiadi di Pechino per non darla vinta al caldo. Certamente le si potrebbe dare una medaglia d’oro in creatività, visto che ha utilizzato la tradizionale borsa d’acqua calda per inserirvi del ghiaccio

POCHI CONTROLLI SULLE STRADE

L’ESEMPIO DI ALESSIA FILIPPI

Cinicamente non farebbe neppure notizia. Eppure tutti gli anni, a ridosso di Ferragosto, facciamo i conti con la solita tragedia estiva. Le responsabilità sono le solite. Sicuramente dei giovani che si mettono al volante in modo assolutamente incosciente: non rispettano il codice della strada; guidano in stato d’ebbrezza. Ma anche delle forze dell’ordine che non contrallano nel modo adeguato. E quindi, ultimamente, dello Stato che assiste immobile al solito bollettino di guerra che giunge dalle nostre arterie stradali. A questo punto mi viene spontaneo il paragone con altri paesi europei dove - grazie al rispetto dei limiti di velocità - gli incidenti sono notevolmente diminuiti. Perché per una volta non seguiamo i buoni esempi?

Tor Bella Monaca, periferia a sud est di Roma, spesso assurge all’onore delle cronache per fatti infelici: arresti, delinquenza, ignoranza. Stavolta sarebbe il caso di ricordarsi di Alessia Filippi, 20 anni, che alle Olimpiadi di Pechino la ha stabilito il nuovo record italiano nella sua batteria dei 400 misti. Questa giovane promessa del nuoto italiano viene proprio da questo quartiere periferico della capitale: si è allenata nella piscina comunale, ha frequentato per anni il centro commerciale ”Le Torri” con le sue amiche. Quando le chiedevano da dove veniva non si è mai vergognata delle sue origini. Un esempio positivo per tutti i giovani di questo quartiere e del significato profondo dello sport.

dai circoli liberal Eugenio Rebecchetti - Rovigo

l’andamento dei prezzi dei prodotti petroliferi per il consumatore finale (prezzi alla pompa), scesi troppo poco rispetto ai ribassi della quotazione del petrolio in quest’ultimi mesi e poi si passerà al pane e alla pasta. Ma gli altri Paesi nel mondo, quali azioni hanno introdotto per far fronte al problema? La stessa Russia, già citata come importante produttore di energia da petrolio, ha avviato una politica di aumento dei consumi interni e degli investimenti in modo da far crescere la domanda. In Cina, ancora, le risorse economiche dello Stato vengono utilizzate per sostenere la domanda e, in tal modo, assorbire l’effetto dell’aumento del petrolio. Pertanto ciò che si dovrebbe fare anche in Italia consiste in una robusta politica di incentivazioni alle imprese e ai consumatori per evitare di incorrere negli stessi errori in cui cademmo circa trent’anni fa quando assistemmo ad un fenomeno simile. Verso la fine degli anni settanta, infatti, i prezzi della benzina cominciarono a salire come non era mai accaduto. Ricordo le passeggia-

Romano Ciaccio - Lecce

Vinicio Lo Schiavo

te in bicicletta per la città, nei giorni festivi, poiché non si poteva utilizzare l’automobile per gli spostamenti interni. Le città si trasformavano in quanto, già allora, non si era abituati a vedere circolare per le strade e piazze cittadine soltanto mezzi pubblici e biciclette. Si viveva una atmosfera surreale. Ma oggi, memori dell’esperienza passata, al fine di non incorrere negli errori di allora, bisognerebbe evitare di trasferire maggiore valuta ai Paesi produttori di petrolio, cercando di non aumentare prezzi e salari; in tal modo non si porterebbe l’inflazione a livelli insostenibili. Un aiuto in tal senso è offerto dalla globalizzazione. Quest’ultima, nonostante i giudizi assolutamente diversi sui suoi effetti a livello mondiale, ha il merito di combattere la recessione che si potrebbe avvertire per opera della politica petrolifera, poiché in questi ultimi lustri ha consentito a milioni di persone nel mondo di uscire dalla povertà e iniziare a consumare! Francesco Facchini CLUB LIBERAL LEVANTE BARI


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Bisogna essere folli per aspettarsi del bene Sono ancora io, Signore. Direte che è una persecuzione e vi do ragione. Dati i vostri infami modi di agire, dovrei trovare in me abbastanza dignità per non farvi godere, almeno apertamente, di tutto il dolore che mi causate. Nell’orribile stato in cui mi avete ridotta, però, non mi riconosco più, dimentico tutto per pensare soltanto alla mia sofferenza, desidero un rimedio, per sopportare l’esistenza ancora per qualche mese devo fare appello a ogni sorta di coraggio. Soltanto voi, Signore, potete essermi utile in questo momento. Ditemi per amicizia, ditemi bene che è stata l’indifferenza a dettare il vostro comportamento. Questa idea, spezzandomi il cuore, forse lo guarirà. Cosa potevo sperare da voi? Bisognava essere folli per aspettarsi da voi altro che dolore. Com’è penoso trovare barbarie e mancanza di riguardi quando ci si è dati con fiducia e abbandono. Henri, non potevate aspettare otto giorni a uccidermi? Domani ho qui quaranta persone. Clémentine Curial a Stendhal (Henri Beyle)

ACCADDE OGGI

GOVERNO, C’È ANCORA TANTO DA FARE NONOSTANTE GLI ELOGI Il settimanale americano Newsweek esalta l’operato del governo Berlusconi nei primi 100 giorni di governo. Il giornale americano elogia il Cavaliere per il modo in cui ha risolto il problema dei rifiuti a Napoli e quello della sicurezza nelle città. Ma se il problema, quello dei rifiuti, sembra essere cancellato, altrettanto non possiamo dire per la sicurezza e il lavoro. Ci rendiamo conto che ancora sono passati pochi giorni dall’insediamento del Berlusconi IV ma le prime mosse non ci sembrano delle migliori. Avere spalmato qualche soldato nella Penisola certo non risolverà i problemi della criminalità nelle città italiane. Sembra più una mossa di grande clamore che di efficacia. Anche perché mentre si finanzia la missione dei militari nelle maggiori città italiane la polizia e i carabinieri non hanno i soldi per il carburante per le proprie autovetture. Sembra un governo, che come il suo premier, dosa colpi ad effetto con effetti scenici. Restano ancora sul tavolo problemi irrisolti di grave impatto sociale. Cosa vuole fare il Cavaliere con il precariato giovanile? Con i contratti atipici che stanno segnando il fu-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

13 agosto 1521

Tenochtitlán (l’odierna Città del Messico) cade nelle mani del conquistador Hernán Cortés 1920 Guerra Polacco-Sovietica: inizia la battaglia di Varsavia, durerà fino al 25 agosto. L’Armata Rossa viene sconfitta 1940 Seconda guerra mondiale: inizia la Battaglia d’Inghilterra per il predominio dei cieli 1942 Prima del cartone animato Bambi, di Walt Disney 1961 Berlino (Germania): il governo della Germania Est fa erigere il Muro di Berlino 1968 Alekos Panagulis attenta alla vita del dittatore greco George Papadopoulos 2004 Iniziano ad Atene i XXVIII Giochi Olimpici 1868 Camillo Olivetti, ingegnere e imprenditore italiano († 1943) 1926 Fidel Castro, dittatore comunista cubano 1958 Domenico Dolce, stilista italiano 1699 muore Marco d’Aviano, religioso italiano (n. 1631) 1863 Eugène Delacroix, pittore francese (n. 1798)

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

turo di un’intera generazione. Quella dei trentenni.Vorremo una risposta sincera ed efficace dal governo e dai suoi ministri economici. Certo la prima risposta che è arrivata dall’esecutivo non è delle migliori. Nella Finanziaria appena approvata a ”tambur battente” dal Parlamento si è messo in discussione un diritto sacrosanto sancito dalla nostra Costituzione: quello di far ricorso al giudice del lavoro nel caso in cui sussiste lo sfruttamento lavorativo. Sembra più un articolo dettato da Confindustria, che una norma di un governo. L’appello di questa lettera è rivolto non solo all’esecutivo ma a tutti gli imprenditori di buona volontà. Si dice che classe dirigente italiana, sia politica che economica, nutre grande rispetto per la dottrina sociale della Chiesa. Quella che abiura lo sfruttamento sul lavoro, che esalta i diritti dei lavoratori e ne tutela le garanzie. Bene, se avete rispetto per questi dettami abbiate il coraggio di rispettarli. Non fate come il vecchio adagio che dice: «Si predica bene ma si razzola male». Il coraggio degli uomini si vede non dalle ipocrisie, ma dalla forza delle proprie idee e dal modo in cui si applicano queste credenze.

Annalisa Pirani - Salerno

PUNTURE Berlusconi e Bassolino ovvero tazza e cucchiara.

Giancristiano Desiderio

In colui che vuol essere profondamente giusto, perfino la menzogna diventa filantropica FRIEDRICH NIETZSCHE

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di LA GUERRA RUSSO-GEORGIANA DALLA PROSPETTIVA CECENA Come sapete è guerra aperta tra la Russia e la Georgia. Basta accendere la tv o farvi una veloce ricerca col google news per farsi un’idea di quello che sta succedendo in Ossezia. Mi limito nel dare una visione degli eventi dal punto di vista della storia cecena, le analogie non mancano. E infatti le guerre cecene, invece di vederle stupidamente come «la momentanea difficoltà di una nazione in marcia verso la democrazia» si sarebbero dovute invece vedere da sempre come delle prove generali per un regime che stava progettando di applicare una certa dottrina politico militare ben aldilà di questi confini. Nei giorni scorsi si è visto qualcosa di non molto dissimile dalle prime fasi della seconda guerra cecena. In Ossezia del Sud si assiste prima a misteriosi attentati, conflitti a fuoco contro le forze di “peacekeeping” russe che accusano Tblisi, la quale nega. L’escalation però non si arresta, lo scambio di accuse nemmeno, e come preso da una totale incapacità di ponderare la realtà come spesso succede ai regimi più o meno autoritari, Sakaashvili ordina un attacco altrettanto suicida contro l’Ossezia del Sud. Di nuovo si vede la scena delle truppe russe che intervengono proponendosi da liberatori per riportare “ordine”. Se manteniamo come riferimento la storia delle guerre cecene ci si dovrebbe aspettare uno scenario di questo genere. Come successe dopo i fatti del Daghestan, anche qui la speranza che ai generali russi possa bastare una Georgia bastonata e ricacciata oltre confine si rivelerà illusoria. Qual-

che pezzo di carta che dichiari un cessate il fuoco unilaterale o i soliti tentativi maldestri di appeasement della realpolitik occidentale (che imbarazzante oggi dovrà apparire ai G7 quel G8) serviranno a poco. Anzi, come è usale per la mentalità autoritaria russa, verranno invece interpretati come un’ammissione di debolezza che li incoraggerà solo ad andare oltre. L’azione militare in Ossezia da difensiva assumerà tutti i contorni di una aperta aggressione ed invasione di stampo imperiale della Russia non solo in Ossezia ma probabilmente anche contro l’Abkhazia, e più tardi, ebbri del successo militare, forse anche contro la Georgia stessa. Mosca trova insopportabile l’idea della Georgia nella Nato e percepisce come minaccia l’eventualità di un regime democratico alle sue frontiere e, dopo un ritrovato nazionalismo petrol-autoritario, sogna di ristabilire una “Grande Russia”. Ma la Georgia non è la Cecenia. Non ci sarà un Kadyrov a Tblisi in versione georgiana che obbedirà al diktat di Mosca, perché questa volta gli interessi geostrategici coinvolti nel Caucaso (ovviamente energetici in primis, ma non solo) consiglieranno meglio l’occidente nel non dare più carta bianca al Cremlino nel ristabilire “integrità territoriali” con metodi da genocidio come fu con la piccola repubblica cecena. È per questo possibile che, a differenza della Cecenia, questa si rivelerà una follia fatale che segnerà l’inizio della fine di quello stesso sogno imperiale e dello stesso regime neo-sovietico in salsa capitalista che oggi governa a Mosca.

CeceniaSos

Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma

Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via Vitorchiano, 81 00188 Roma -Tel. 06.334551

Amministratore Unico Ferdinando Adornato

Diffusione e abbonamenti Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia (responsabile) Massimo Doccioli, Alberto Caciolo 06.69920542 • fax 06.69922118

Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Lagrotta Amministratore delegato: Gennaro Moccia Consiglio di aministrazione: Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Angelo Maria Sanza

Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro

Abbonamenti

Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc

Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: Gaia Marcorelli Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna) E.TI.S. 2000 VIII strada Zona industriale • Catania

e di cronach

via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it

Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


PAGINAVENTIQUATTRO Istantanee da Pechino. Per i cinesi il cibo non è solo nutrimento, ma momento sociale

Così Confucio entra anche in di Bruno Cortona

PECHINO. Questo è un pensiero dedicato a chi, a Pechino non c’è mai stato. E non è mai stato in Cina. L’idea di fondo è questa: la cucina cinese cos’è? Semplice: involtini primavera, qualche raviolo scotto e bianchiccio con dentro qualcosa che non si riesce ad identificare, e poi il pollo alle mandorle. Metteteci il tè verde, la birra cinese ed è fatta. Idea di rapido, economico, agrodolce. Stop. La cucina cinese, per chi non è mai stato in Cina, finisce qui. Bene. Adesso, grande sforzo cerebrale: prendere tutte queste immagini fatte di lanterne rosse, di tavoli di formica, di qualche mobile laccato, e mettetele via.

Perché la cucina cinese è qualcosa di profondamente diverso. Anzi, totalmente diverso. È un esercizio di stile che i cuochi di qui riescono a rendere sublime. È un susseguirsi di sapori, di colori, di sensazioni che ti allontanano dal quotidiano, dal conosciuto, dal consueto. E ti spingono, sorretti dal profumo del coriandolo, dell’anice stellato, dalla persistenza del peperoncino in ogni sua forma, dall’uso delle fritture, lungo percorsi che poco hanno a che vedere con la gola. Che sfiorano la metafisica. Esagerazioni? Affatto. Per i cinesi il cibo non è solo nutrimento, ma momento sociale. Li vedi, e capisci. Magari sfoderano l’orribile calzino bianco sotto il bermuda per difendersi dal caldo. Magari vanno al ristorante in canottiera, offrendo un

CUCINA look discutibilissimo. Ma se si tratta di mangiare non fanno conti, non fanno risparmi, non badano a spese. Mangiano e parlano, discutono, conoscono.

Un momento di socialità assoluto. Mezzogiorno e 6 del pomeriggio. Ma poi, in una città di 18 milioni di abitanti, la questione “sfora” e va oltre gli orari canonici. Ma non è quest’agorà gastronomica a colpirti al cuo-

quasi mongole caldissime e pesanti, ma sempre buone. I piatti sono magnifici: di un colore insolito per noi. Tutte le tonalità del rosso, le fritture sono leggerissime e conferiscono alla verdure una consistenza mai provata. Ecco, le verdure. Basterebbe questo per far entrare la cucina cinese nel vostro cuore. Croccanti e saporite, non sono mai bollite come dai noi. Una crudità insaporita dal wok, la famosa padella cinese. Che poi è una delle ragioni del perché qui si mangia bene e da noi, no. Il getto di fuoco sotto il wok è intenso, grande. In Europa non è consentito. Dicono gli chef di qui che sia la principale ragione di questa differenza. Poi le materie prime, difficili da esportare. Ma soprattutto la ritrosia degli chef cinesi a lasciare questo Paese per andare altrove. I pochi scelgono gli Stati Uniti o la Gran Bretagna. Tanti soldi, grandi progetti. La maggioranza resta qui. Purtroppo. Perché sembra una banalità, ma è la pura verità: come mangi cinese in Cina, non lo mangi da nessuna altra parte.

Nella capitale sono rappresentate tutte le province: quelle del sud ovest, piccanti e saporite; del nord, più semplici, ma più decise; del sud est profumatissime e intense e quelle arabeggianti re. Sono i sapori e il gusto. Pechino è una porta perfetta per entrare nel mondo della cucina cinese. Sono rappresentate tutte le province: quelle del sud ovest, piccanti e saporite; quelle del nord, più semplici, ma più decise; quelle del sud est, profumatissime e intense. E poi quelle arabeggianti, quelle

notiziario azzurro Bis d’argento nel tiro a volo

Scherma, delusione per Montano

Dal tiro a volo arriva un’altra bellisma medaglia all’Italia. È un altro argento come quello di Pellielo nel ”trap” e lo conquista Francesco D’Aniello nel ”double trap”, la specialità che mette i tiratori alla prova con due piattelli in volo contemporaneamente. D’Aniello è alla sua prima Olimpiade, ma a Pechino è arrivato già tra i favoriti, essendo campione del mondo in carica. La sua gara è stata regolare e perfetta. Ha chiuso le qualificazioni del mattino in seconda posizione, a 4 centri dall’americano Walton Eller, che alla fine ha vinto l’oro.Alla fine della gara il tiratore laziale non ha retto all’emozone ed è scoppiato in un pianto liberatorio. L’altro azzurro Daniele Di Spigno, ha tirato bene e per un solo centro ha mancato l’accesso alla finale nella quale non avrebbe sfIgurato.

Dopo le gioie della spada e del fioretto (due ori e un bronzo), è arrivata la delusione dalla sciabola. Eliminati prima di riuscire ad entrare nella zona medaglie i tre azzurri impegnati nel torneo individuale. Deluso il campione olimpico Aldo Montano, oro ad Atene, che è stato eliminato negli ottavi dallo spagnolo Jorge Pina con il punteggio di 15-14. Montano, alla fine della gara, ha dichiarato che, dopo l’eliminazione, potrebbe anche smettere. Eliminato ai quarti di finale anche Luigi Tarantino battuto dal cinese Man Zhong col punteggio di 13 a 15.

Judo, eliminato Maddaloni Pino Maddaloni, campione olimpico di Sydney 2000, è stato eliminato dal torneo di judo. Il campione napoletano era stato sconfitto al secondo turno dall’ olandese Guillame Elmont. Rientrato in gara attraverso il tabellone dei ripescati, l’azzurro è uscito dopo aver perso contro l mongolo Nyamkhuu Damdinsuren.

Ok per la Pellegrini, Magnini e Bossini Federica Pellegrini, detentrice del primato del mondo, si è qualificata per la finale dei 200 stile libero. Anche Filippo Magnini si è qualificato per la semifinale dei 100 stile libero. Piccola impresa quella di Paolo Bossini nelle batterie dei 200 rana che ha polverizzato il record italiano che apparteneva a Domenico Fioravanti da Sydney 2000, con il tempo di 2’08”98, record olimpico e terza prestazione all time. Bossini ha cancellato il primato di 2’10”87 che era di Domenico Fioravanti da Sydney 2000. È entrato in semifinale anche Loris Facci. Buone notizie anche dalla staffetta azzurra della 4X200 stile libero che ha stabilito il record europeo. La staffetta azzurra, composta da Cassio-Belotti-Brembilla- Rosolino, ha chiuso la sua batteria con il tempo di 7’07”84, migliorando il 7’09”60 fatto sempre dal’Italia a Budapest nel 2006.


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.