QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
he di c a n o r c 9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80821
La Cgil minaccia un autunno caldo ma Cisl e Uil non sembrano d’accordo
L’ira di Epifani non smuove Bonanni e Angeletti
di Ferdinando Adornato
di Giuliano Cazzola
LA NUOVA GUERRA FREDDA
alla sede di corso d’Italia vuota per le ferie, Guglielmo Epifani continua a far suonare i suoi tamburi di guerra contro il Governo, annunciando un autunno grondante di proteste e di lotte. Il grido di guerra del segretario della Cgil, però, cade nel silenzio degli altri leader sindacali, tuttora intenzionati a proseguire un dialogo – certo difficile – ma non interrotto col governo. Tutto ciò mentre, dal lato dell’esecutivo, è in atto uno sforzo notevole per non inasprire il confronto con l’ala dialogante del movimento sindacale. A riprova, va notata la prontezza con cui il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, ha voluto tranquillizzare il leader Cisl, Raffaele Bonanni, in materia di pensioni, dichiarando che non apparteneva alla linea del governo l’innalzamento dell’età pensionabile prefigurato in un servizio di apertura di un autorevole quotidiano nazionale. La partita di Epifani, dunque, è giocata – in prima battuta – sul piano interno; ovvero sul terreno dei rapporti tra Cgil e Pd, in vista della manifestazione annunciata per il prossimo ottobre. Anche questa prospettiva, però, rischia di risolversi in una parata propagandistica, del tutto inadeguata a cambiare uno scenario di fine d’anno che sembra segnato.
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Bush e Putin ancora ai ferri corti sullo “scudo spaziale”. Mentre Palazzo Chigi si barcamena tra lo storico alleato americano e il nuovo amico russo. È l’eterna illusione, ieri di sinistra oggi di destra, di poter coltivare una terza via nella politica internazionale. Ma è una strada fallimentare, per noi e per l’Europa alle pagine 2, 3, 4 e 5
Il governo Putish L’Italia può essere equidistante tra Mosca e Washington?
se gu e a p ag in a 8
Tre libri per riscoprire il dramma
Parla Antonio Mazzocchi (An)
Un’isola rassegnata al suo destino
«Il Pdl? Sembra la fine della Dc»
I magnifici sette che resero l’Avana un mito
di Susanna Turco
di Filippo Maria Battaglia
di Francesco Rositano
di Mario Bernardi Guardi
È perplesso per come sta venendo su il Popolo delle Libertà («c’è confusione, sembra la Dc nel declino»), si proclama favorevole a un disgelo con Udc, dà priorità ai valori.
Cuba oscilla tra riverberi e ombre lunghe, come se cristalli verdi, rossi, aranciati, colorassero una confusa roccaglia di balconi, arcate, cupole, belvedere, finestre e verande con persiane.
«Basta usare la giustizia come arma impropria nello scontro tra le forze politiche. I cittadini hanno bisogno di risposte concrete. Invece l’attuale sistema paralizza la funzionalità della nazione».
Fino a un paio di decenni fa, a testimoniare l’orrore delle foibe - rimosso dalla coscienza nazionale con l’avallo della storiografia “politicamente corretta”-, erano gli esuli giuliani, istriani, dalmati.
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nell’inserto estate
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GIOVEDÌ 21 AGOSTO 2008 • EURO 1,00 (10,00
CON I QUADERNI)
Vietti lancia l’iniziativa dell’Udc sulla giustizia
«Basta con gli slogan È ora di una riforma seria»
• ANNO XIII •
NUMERO
158 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
Foibe, l’orrore rimosso della nazione
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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pagina 2 • 21 agosto 2008
Le deboli mediazioni del governo italiano, il rischio di non scegliere: le opinioni di Jean, Pombeni e Silvestri
Terza via, eterna illusione di Errico Novi
ROMA. A metà strada. Una scelta apparentemente senza rischi. Il governo italiano, nella sua ricerca della mediazione, è paradossalmente estremista. Segue lascia del resto d’Europa (Londra a parte), cerca di evitare che la crisi con Mosca assuma contorni drammatici, e rispetto ai partner continentali mette qualcosa in più: la pretesa di essere risolutivo, di consacrare il proprio ruolo di paciere con la celebrazione del summit di novembre. Velleitarismo? C’è forse un riflesso condizionato di una vecchia tradizione politico culturale della sinistra italiana, ossia l’ossessione per la terza via? Se le cose stanno così si tratta del più spiazzante dei paradossi: da un governo di centrodestra ci si aspetterebbe sempre e comunque il prevalere del pragmatismo. Pragmatismo e impotenza possono d’altronde sovrapporsi, secondo Carlo Jean. «Roma ha due necessità: continuare ad essere un fedele alleato degli Stati Uniti, da una parte, e preservare i propri accordi di natura economica con la Russia, dall’altra. Finché i due grandi sono stati d’accordo l’Italia
ha avuto una posizione più semplice. Nel momento in cui la crisi in Georgia scatena la tensione tra Washington e Mosca tutto si fa precario».
S e c on do l ’e s p e r t o di studi strategici della Luiss non è detto che si tratti di un atteggiamento culturale, di una “terza via” perseguita
per pregiudizio ideologico: «Siamo di fronte a un destino inevitabile: l’Italia è costretta in una condizione debole per ragioni storiche e geografiche insieme. Si ripete quanto avvenne immediatamente dopo l’unificazione nazionale, quando avevamo come oggi due punti di riferimento: la Gran Bretagna nel Mediterraneo e la Ger-
mania nel continente. Anche in quel caso l’obbligo di una scelta ci fece precipitare in una condizione difficile. La collocazione nello spazio e nel tempo avvicina oggi i problemi dell’Italia a quelli della Germania: sarebbe molto meglio se il governo di Roma provasse a unire le proprie forze con quelle di Berlino. È inutile confidare
«È un atteggiamento legato alla pretesa di far pesare la tradizione culturale quanto la potenza politico-militare», dice lo storico bolognese. «Proviamo così a non essere schiacciati dalle superpotenze», secondo Jean. «Siamo in una condizione di debolezza storica e geografica», sostiene lo studioso di geostrategia
in una politica estera coerente di tutta l’Unione europea».
Paolo Pombeni ricorre a un’espressione fatale: «L’Italia e la Ue sono di fronte alla classica alternativa del diavolo: da una parte l’accentuazione del nazionalismo russo, che può essere provocata da un atteggiamento duro nei confronti di Mosca, dall’altra la certificazione della propria irrilevanza, anche questa capace di peggiorare gli equilibri. Cercare la mediazione significa appunto esporsi al rischio dell’irrilevanza. E certo nel caso dell’Italia c’è un aspetto che può farci scivolare nel ridicolo, l’idea di poter avere un ruolo importante solo perché Putin ha fatto per un paio di volte le vacanze in Sardegna da Berlusconi. Sarebbe più utile riconoscere la propria debolezza. E invece nella nostra storia si verifica spesso questo paradosso: da Quintino Sella alla Prima guerra mondiale allo stesso Mussolini, abbiamo spesso provato a compensare la nostra fragilità con l’idea di poter assicurare un contributo intellettuale, di poter essere comunque in-
Perché non è possibile essere equidistanti tra Putin e Bush e illudersi di essere i più furbi
L’arte di arrangiarsi, il male italiano e la realpolitik è un’invenzione europea - il termine lo coniò lo scrittore tedesco Ludwig von Rochau nel 1853 per descrivere la strategia dell’equilibrio tra gli Imperi di Otto von Bismarck - l’arte di arrangiarsi è specialità tutta italiana. Costruita sull’abilità di barcamenarsi tra le posizioni contrarie cercando di non dispiacere nessuno. E illudendosi di essere i più furbi. Oggi come ieri. Con la Russia di Putin o con l’Iran di Ahmadinejad. Certo, il gas russo e il petrolio islamico sono argomenti che sulla scena internazionale hanno più forza dei carri armati inviati da Mosca in Georgia. Compro-
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di Enrico Singer mettere i buoni rapporti con il Cremlino e i rifornimenti energetici per l’inverno che verrà, può sembrare avventato. Soprattutto adesso che a Washington c’è un presidente con le valigie già pronte.
Ma è davvero possibile essere equidistanti tra Putin e Bush? Nello scenario mondiale c’è una novità assoluta che il nostro governo non sembra avere compreso. Quello che sta avvenendo è il primo cambiamento di fase storica dal 1989. Il crollo del Muro di Berlino - e due anni dopo, la fine del regime comunista sovietico e la
dissoluzione dell’Urss - ha rimesso in moto la democrazia in mezza Europa e ha acceso la speranza di un rapporto di cooperazione tra le potenze una volta contrapposte. Fino alla creazione del Consiglio Russia-Nato tenuto a battesimo nel 2002 a Pratica di Mare. L’invasione russa della Georgia ha cancellato tutto e ha dimostrato che Mosca vuole riprendersi con ogni mezzo - dai rubinetti del gas alle armi - il ruolo che aveva l’Urss nel mondo bipolare. Con tanto di teoria della sovranità limitata di brezneviana memoria resuscitata proprio nell’anniversa-
rio dell’invasione della Cecoslovacchia del 1968.
In questo cambio di fase storica, dall’11 settembre del 2001, c’è anche la componente avvelenata dell’offensiva del terrorismo. Che non si può liquidare come un affare degli americani soltanto perché Osama bin Laden parla degli Usa come del ”grande satana” e le Torri Gemelle erano una delle meraviglie di New York. Gli attentati in Algeria, i dieci soldati francesi uccisi in Afghanistan, le bombe in Pakistan, appena 48 ore fa, ci hanno ricordato che tutto il mondo
è in guerra contro il terrorismo. La Russia è stata finora un alleato: adesso, nella sua contrapposizione con gli Usa, può diventare oggettivamente una sponda per i terroristi. Anche per questo non si può essere equidistanti tra Putin e Bush. Ci sono dei momenti in cui bisogna avere il coraggio di schierarsi. E, attenzione: non si tratta di isolare la Russia, ma di far capire al Cremlino che per essere rispettati ci sono delle regole da rispettare. Regole, peraltro, accettate e riconosciute dall’Onu. A meno di continuare a inseguire un’inesistente terza via, o illudersi che il primato spetti all’arte di arrangiarsi.
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Molinari su Ue, America e Russia
«L’equidistanza? Con gli Usa non paga» colloquio con Maurizio Molinari di Riccardo Paradisi
ROMA. Dopo la pausa estiva il premier Silvio Berlusconi dovrebbe incontrare il segretario di Stato americano Condoleezza Rice e il premier russo Vladimir Putin con cui ieri ha avuto una cordiale telefonata. Ma è possibile per l’Italia, alla vigilia di una nuova probabile crisi internazionale, mantenere una posizione di equidistanza rispetto al risiko internazionale che si sta disegnando? E che vede in Europa Sarkozy estremamente collaborativo con la Casa bianca e il cancelliere tedesco Angela Merkel favorevole all’ingresso della Georgia nella Nato? Maurizio Molinari corrispondente da New York per La Stampa ragiona con liberal sullo scenario geopolitico internazionale che si sta disegnando dopo la crisi russo-georgiana e sul ruolo che il nostro Paese sta giocando al suo interno. Molinari anzi tutto qual è l’atteggiamento dell’amministrazione americana verso l’Europa in questo momento? La novità positiva per gli Stati Uniti è stata l’intesa con Sarkozy, che ha funzionato benissimo. Dopo il colloquio di Pechino con Bush il presidente francese ha agito all’unisono con Washington: presentando a Putin la piattaforma concordata con la Casa bianca sulla sovranità della Georgia e il ritiro delle truppe russe. La mediazione sarebbe fallita se Sarkozy seguendo la tradizionale trafila burocratica avesse convocato una riunione dei ministri degli affari esteri europei. Un fatto molto importante questo per Washington considerando che la Francia, insieme alla Germania, è un Paese chiave sulla questione georgiana. A Bucarest Sarkozy e Merkel si erano schierati contro la road map per l’ingresso di Georgia e Ucraina nella Nato. E qual è il giudizio americano sull’equidistanza italiana? Gli Stati Uniti sono un Paese di dimensioni imperiali: hanno 182 interlocutori alleati nel pianeta. Possono scegliere di premere sui tasti che rispondono subito.Tra l’altro va detto che gli americani stavolta non hanno cercato interlocutori partico-
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lari, la Gran Bretagna o l’Italia, ma hanno fatto l’accordo direttamente con l’Unione europea e con Sarkozy. Tuttavia l’Italia un suo contributo lo sta dando: le navi della Us navy che stanno portando aiuto alla Georgia sono ferme in Sicilia e a Napoli. Sono navi che andranno nel Mar Nero verso porti controllati dalla marina russa. La loro presenza in Italia ha un forte valore politico. Del resto l’equidistanza dagli Usa non paga per l’Italia. Che idea si sono fatti gli americani della sproporzione di forza impiegata da Putin contro la Georgia dopo l’invasione dell’Ossetia del sud? Che Putin abbia voluto mandare un messaggio forte all’Ucraina, l’altro stato che insieme alla Georgia vuole entrare nella Nato. Con l’Ucraina peraltro la Russia ha una partita territoriale aperta, quella della Crimea, data da Kruscev agli ucraini nel 1954. In Crimea ci sono le basi della flotta del Mar Nero, se l’Ucraina iniziasse i negoziati con la Nato il danno strategico per la Russia sarebbe enorme, perchè correrebbe il rischio di perdere quelle basi. L’ambasciatore Sergio Romano ieri ha scritto sul Corriere che la Nato si sarebbe dovuta trasformare in un’organizzazione per la sicurezza collettiva dell’intero continente europeo dall’Atlantico agli Urali. L’amministrazione Bush ha puntato a coinvolgere la Russia nell’Occidente, politica che Bush figlio ha ereditato da Clinton e da Bush padre: Nato, Wto, G8. Ma Putin ha dato l’impressione agli Usa di accettare l’Occidente solo su lotta al terrorismo ed economia ma ha fatto molta resistenza sui diritti umani. Gli Usa hanno avuto l’impressione che Putin volesse entrare in Occidente come democrazia anomala. L’intenzione strategica americana non è mai stata quella di isolare la Russia, il competitore vero per gli americani è la Cina.
Gli americani hanno trattato direttamente con il presidente della Ue Sarkozy. Della mediazione dell’Italia hanno potuto fare tranquillamente a meno
fluenti in virtù del nostro primato culturale e scientifico e di poter quindi fornire soluzioni. In questo senso può esserci una corrispondenza con la ricerca della ”terza via”». La sorpresa è constatare che un’attitudine al velleitarismo attribuita nel passato prossimo alla sinistra berlingueriana ritorna con un governo di centrodestra, dal quale sarebbe lecito aspettarsi scelte più pragmatiche. «Nessun governo in Italia avrà il coraggio di ammettere la nostra debolezza strutturale».
Si può parlare di velleitarismo anche secondo Stefano Silvestri, «la ricerca della terza via è una tentazione ricorrente nella nostra storia». In questo caso, dice il presidente dell’Istituto affari internazionali, «si possono comprendere le ragioni: i legami di Berlusconi con Pu-
Nella pagina a fianco l’ordinario di Storia delle istituzioni dell’università di Bologna Paolo Pombeni, qui sopra gli esperti di geostrategia Carlo Jean e Stefano Silvestri: i tre studiosi convergono sull’idea che l’Italia e la Ue corrano il rischio, con l’atteggiamento assunto sulla crisi in Georgia, di certificare la propria irrilevanza politica
tin, l’importanza dei nuovi gasdotti e la conseguente necessità di conciliare posizioni diverse». Incombe comunque il rischio di rendere ancora più esplicita di quanto non sia la nostra irrilevanza. «È un pericolo oggettivo, che abbiamo corso con alterne fortune in diverse fasi della nostra storia. Può esserci in effetti una radice lontana, un’idea consolidata di dover far valere la nostra tradizione culturale al cospetto delle potenze politiche e militari. Ma questo probabile riflesso condizionato corrisponde anche alla necessità di non essere schiacciati in mezzo a due superpotenze». Scelte ineluttabili? Può darsi. È una lettura sulla quale convergono tutti e tre gli studiosi interpellati. Non è detto però che si tratti di una interpretazione rassicurante.
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Stati Uniti e Polonia firmano l’accordo che dà vita alla difesa spaziale. Ma la Russia avverte: la decisione non passerà impunita
Lo scudo “polacco” di Vincenzo Faccioli Pintozzi n accordo strategico e militare che ha il sapore di una mossa bilanciata ed offensiva (in chiave anti-russa) nello scacchiere internazionale. È la vera anima dell’accordo bilaterale sul cosiddetto “Scudo spaziale”fra Stati Uniti e Polonia firmato ieri a Varsavia dal Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, e dal ministro degli Esteri polacco, Radoslaw Sikorski. Secondo i termini del testo, all’interno della base antimissile americana su territorio polacco verranno installati entro il 2012 dieci missili capaci di intercettare e distruggere in volo eventuali missili balistici a lunga gittata. Il tutto verrà coordinato e monitorato da un potente radar che - secondo i piani sarà installato nella Repubblica Ceca. Con la firma di ieri, dunque, si completa il sistema globale di difesa antimissile di cui Washington ha già installato alcune strutture in Groenlandia e Gran Bretagna. Questa, ha detto la Rice dopo l’incontro con il presidente polacco Lech Kaczynski, «è una giornata storica. La firma di questo accordo costituisce una nuova tappa della collaborazione strategica fra i nostri due Paesi». Ma la stessa firma, aldilà dei proclami di facciata, ha un’importanza diversa e molto più profonda. È la dimostrazione della volontà di Washington di non lasciare
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impunita la nuova arroganza russa, che – nella mentalità Usa – deve capire quanto gli Stati occidentali siano seri nel voler fermare l’avanzata della sua armata. Non soltanto in Georgia. La pensa allo stesso modo anche Mosca, che ha reagito con furia alla decisione polacca di firmare il patto. Secondo il vice capo di Stato maggiore, generale Anatoly Nogovitsyn, una base missilistica in Polonia rappresenta un progetto «che non passerà impunito. Mentre siamo in una già difficile situazione, è doloroso constatare che gli Stati Uniti vogliono esacerbare ancora di più le relazioni bilaterali». Per la Russia, infatti, lo scudo missilistico rappresenta un pericoloso sbilanciamento di forze sul territorio europeo che «costringe» la leadership russa a puntare i suoi missili sulla Polonia.
La posizione, d’altra parte, non è nuova e non coinvolge soltanto la Russia. Contro lo scudo si sono più volte espressi anche i nuovi giganti del continente asiatico, Cina ed India, che contestano il predominio militare statunitense nel Vecchio continente. Anche per compiacere Putin, lo scorso maggio Mosca e Pechino hanno firmato un comunicato congiunto – al termine del primo viaggio ufficiale in Cina dell’allora neopresi-
Il Segretario di Stato americano, Condoleezza Rice, stringe la mano al ministro polacco degli Esteri Radoslaw Sikorski, che mostra una copia firmata dell’accordo sullo scudo spaziale. La firma, posta ieri a Varsavia, è stata trasmessa in diretta dalle televisioni pubbliche e private del Paese. Dopo la cerimonia, alla quale hanno assistito il Presidente della Repubblica e il primo ministro, alla Rice è stata regalata una sciabola tradizionale
dente Medvedev – che esprimeva la loro preoccupazione per il progetto, che «ostacola gli sforzi internazionali per il controllo degli armamenti».
Entrambe le parti credono che la creazione di un sistema di difesa missilistico globale, incluso il dispiegamento di questi sistemi in alcune regioni del mondo, o piani per una tale cooperazione, non aiutino a sostenere la stabilità e l’equilibrio strategico e danneggino gli sforzi internazionali per il controllo delle armi e il processo di non proliferazione». È curioso notare come questo ragionamento, nelle menti di Vladimir Putin e Hu Jintao, non valgano per Ossezia e Tibet. Ma tant’è. La firma si pone dunque come un qualcosa di più rispetto ad un semplice avanzamento di lavori già iniziati: la tempistica, le modalità d’esecuzione e le dichiarazioni successive fanno pensare più ad una sorta di risposta ragionata, ma con le unghie scoperte, di Washington. Che a questo punto ritiene che nel caso russo l’attacco sia ancora la miglior difesa. E poco importa che Usa e Polonia, insieme, definiscano lo scudo «un semplice sistema di difesa, che protegge l’Occidente da attacchi indesiderati lanciati da potenze fuori controllo». Per la Rice, quella di ieri è stata una giornata storica. E non è detto che, a breve, il mondo intero non le dia ragione. In un senso o in un altro.
Secondo il dissidente russo, l’invasione della Georgia è un’immane tragedia
«Putin gioca a fare Bush. Ma non ne ha la statura» colloquio con Aleksandrovic Ponomarev di Valerio Venturi
MILANO. Il Consiglio della Federazione russa proclama unilateralmente l’indipendenza di Ossezia del sud e della Abkhazia. Il resto del mondo si interroga, cercando un modo per frenare l’arroganza della Russia che si riscopre grande potenza. Dopo la Cecenia, la politica estera aggressiva di Mosca trova sponda in Georgia: una reazione ai piani di ’scudo spaziale’ degli States o una prova di muscoli da seconda guerra fredda? Questa volta l’opinione pubblica internazionale e i grandi del mondo sono scesi in campo; certamente anche per interessi economici, ché le zone sono ricche di materie prime e restano fondamentali per il gas, ma anche per salvaguardare gli equilibri post-caduta del muro di Berlino. Così il governo di Tbilisi non molla: gli Usa e i paesi Nato chiedono il ritiro dell’armata rossa e l’unità della Georgia; Medvedev ha promesso che entro il 22 agosto l’esercito sovietico leverà le tende, ma parallelamente favorisce il ’fuoco alle polveri’. L’intellettuale russo Erofeev ha invocato la pace, esprimendo il desiderio che siano i popoli, e non i governi, a scegliere sul loro futuro; il rischio, è che i paesi caucasici diventivo i nuovi Balcani. Aleksandrovic Ponomarev, direttore esecutivo del movimento“Per i diritti dell’uomo” e co-presidente di “Russia democratica”, preferisce soffermarsi sui responsabili della situazione. Il fisico nu-
cleare, dissidente vicino a Sacharov già negli anni ’70, quindi deputato di due organi del parlamento e promotore coraggioso di un comitato per la fine della guerra in Cecenia, attacca sopratturro la Russia sotto il controllo occulto di Putin. La ’democratura’ ora guidata da Medvedev sfrutta la questione georgiana per rilanciarsi come potenza politica, economica e militare: il tentativo, per Ponomarev goffo e pericoloso, è quello di riaccreditarsi come ’terza forza’ in campo insieme ad Occidente e Cina. Quali sono le conseguenze dell’invasione russa in Georgia? Quanto è accaduto con l’invasione della Georgia da parte della Russia costituisce un’immane tragedia. Una prima conseguenza è che il popolo dell’Ossezia si allontana sempre di più dai popoli vicini. Ora serviranno decine di anni perché la Georgia possa trovare armonia e tranquillità. Poi, sapere che cosa accadrà al paese e al mondo intero dopo questa azione, rimane un inquietante mistero Quale posizione deve assumere la Ue? E’importante che svolga il suo ruolo: per favorire lo sviluppo democratico della Georgia ma anche in generale. Per gli scenari dell’avvenire, l’Unione Europea avrà un ruolo sempre più im-
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La Russia cerca di dare nuova vita al vecchio imperialismo sovietico
Per fermare Mosca Dobbiamo armare l’Europa L di Frederick Kagan
a Guerra Fredda non tornerà. L’invasione della Georgia non significa un ritorno dei soldati americani e russi nel bel mezzo della Germania. Ma l’aggressione di Putin e le giustificazioni dei leader russi potrebbero segnare uno storico punto di svolta. Sono un attacco alle norme internazionali e alla credibilità dell’Occidente. La risposta a questo attacco è stata finora anemica. La retorica Usa sulle azioni russe è stata forte, ma non al punto di riuscire ad impedire a Putin di spingersi ancora più in là. Sarkozy è andato da Mosca a Tblisi con in mano un ultimatum russo mascherato da compromesso di armistizio, ma se pensa di aver portato la pace, rimarrà presto deluso. I Paesi che hanno risposto più coraggiosamente sono i più vulnerabili al precedente imperialistico che Putin aveva tentato di stabilire: Stati baltici, Ucraina, Polonia e Azerbaijan. L’Occidente è di fronte a una scelta: o aiutiamo questi Stati a proteggersi da sé o facciamo da levatrice ad un nuovo Impero russo. La decisione di Saakashvili di mandare truppe in Ossezia non è stato un atto d’aggressione immotivato, che in qualche modo giustifica la risposta di Mosca. Fin dall’indipendenza del Kosovo – evento a cui Mosca si è violentemente opposta – Putin ha aumentato le tensioni tra la Georgia e i suoi due territori separatisti, Ossezia e Abkhazia. Non chiaro perché Saakashvili abbia deciso l’8 agosto di rispondere direttamente alle provocazioni più recenti, ma ha agito esclusivamente sul suo territorio e in difesa dei propri cittadini. Nel far ciò, le truppe georgiane hanno combattuto le forze russe a Tskhinvali. Se Mosca si fosse limitata a proteggere le sue forze di pace, il conflitto e le sue conseguenze sarebbero stati limitati. Ma Putin non lo ha fatto. Attraverso il suo “uomo ombra”Medvedev,Putin ha inviato un’unità armata a Vladikavkaz e ha mandato rinforzi da una città lontana come San Pietroburgo. Ha anche allargato il conflitto dall’Ossezia all’Abkhazia, dove i georgiani non avevano intrapreso nessuna azione che potesse plausibilmente rappresentare una provocazione. La flotta russa del Mar Nero si è mossa sulle coste dell’Abkhazia e ha cominciato a sparare sulle imbarcazioni georgiane. E gli aerei russi hanno iniziato una vasta campagna di bombardamenti sul territorio georgiano. Queste azioni violano gli accordi russi con la Georgia, con l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa e con l’Onu.
to di attaccarla se, solamente secondo la loro opinione, queste forze costituiscono una minaccia per le loro truppe. Perciò, ecco il programma politico di Putin per la restaurazione dell’Impero russo.
Ogni Stato dell’ex Urss ha un’importante concentrazione di russi. Mosca ha ora fatto sapere di poter usare la forza per difendere quei «cittadini» e che le leggi della Federazione non vengono applicate soltanto a quei cittadini, ma anche ai leader di quei Paesi. Ha affermato di poter usare preventivamente la forza militare su suoli stranieri se reputati una minaccia alle proprie forze o ai propri «cittadini». Se queste affermazioni possono sussistere, allora l’indipendenza delle repubbliche dell’ex Unione Sovietica è di fatto giunta al termine. Per questo il Parlamento estone ha chiesto alla Nato di accogliere la Georgia. È per questo che i tre Presidenti baltici e il Presidente polacco hanno condannato le azioni della Russia. È per questo che l’Ucraina ha minacciato di impedire alla flotta del Mar Nero di ritornare nel porto ucraino che hanno in affitto a Sebastopoli se avesse partecipato in azioni militari contro la Georgia (cosa che è avvenuta). Queste mosse hanno esposto i loro autori all’ira russa, che Mosca non ha tardato a dimostrare. I media russi hanno risposto alle dichiarazione di Kiev denunciando l’assistenza militare ucraina in Georgia. L’Occidente deve difendere Saakashvili e la Georgia, e aiutare queste giovani e coraggiose democrazie a difendersi dal castigo russo. Finora, l’assistenza militare americana si è concentrata soprattutto sull’aiutare i nostri alleati ad aiutarci. Abbiamo disapprovato gli sforzi dei Paesi intorno alla Russia tesi a costruire forze in grado di resistere ad un invasione russa, a acquistare sistemi di difesa aerei o a sviluppare capacità anti-carri. Ecco perché, nonostante l’assistenza che abbiamo fornito alla Georgia durante questi anni, le loro forze armate si sono sgretolate di fronte ad un limitato attacco. Oltre alle tante buone idee che sono state proposte altrove su come rispondere all’aggressione russa – espandere la Nato, fermare i negoziati del Wto, espellere Mosca dal G-8 - gli Usa dovrebbero offrire un nuovo programma d’assistenza militare agli alleati dell’Est Europa.Tale programma dovrebbe mirare a trasformare ognuno di questi Stati in un porcospino capace di tenere lontano l’orso russo. Solo per difesa. Non abbiamo infatti bisogno di dotare gli Stati confinanti con la Russia di carri armati avanzati o armi di precisione a lungo raggio. La Nato dovrebbe estendersi a Georgia e Ucraina, ma questo programma dovrebbe essere un deterrente alle aggressioni russe anche senza la protezione della Nato. Gli obiettivi di questo impegno sono molto differenti dalla nostra strategia in tempo di Guerra Fredda. Non cerchiamo di combattere la Russia - che crollerà da sola per le sue contraddizioni - ma soltanto vogliamo assistere Stati sovrani indipendenti a proteggersi da soli. Nel suo interesse e nell’interesse dei suoi alleati, l’America deve respingere i tentativi di Putin di riscrivere la legge internazionale perché si adatti alle ambizioni revansciste della Russia. Non dobbiamo credere nella favola che l’aiuto ai Paesi intorno alla Russia sia una minaccia alla Russia stessa. E dobbiamo rifiutare l’idea che aiutare questi Paesi a resistere a Mosca creerà una Guerra Fredda.
È necessario rifiutare l’idea che aiutare i Paesi dell’Europa orientale vuol dire Guerra Fredda
portante: Sarkozy è stato il primo ad accorgersi della nuova ’missione’ della Ue ed è intervenuto, anche se in ritardo. Ora l’Europa nel suo insieme deve agire, richiedendo il ritiro totale dei militari russi dalla Georgia Lo scontro si gioca soprattutto sul doppio binario UsaRussia. Riverberi e dichiarazioni da guerra fredda sono all’ordine del giorno... Purtroppo le cose sono andate come sappiamo perchè il presidente Saakashvili ha abboccato alla provocazione di Mosca, permettendo a Putin di compiere la sua gravissima azione. Ma saenza dubbio la responsabilità maggiore rimane della Russia. E’ innegabile che tra Washington e Mosca ci sia una distanza immane: Putin vuole essere come Bush, forte e influente: tenta di fare il gendarme mondiale senza avere ’fisico’ e presupposti. E’ una pericolosa velleità: la Russia non avrà mai la potenza e l’influenza che hanno gli Usa, anche soltanto prendendo in considerazione l’aspetto economico Rimane spazio per la speranza? Certamente, ma prima di tutto va salvaguardata l’integrità territoriale della Georgia. Il divorzio amichevole tra una o due regioni e il resto del paese è impossibile, quello effettivo sarebbe costellato da violenze e massacri. Bisogna sospendere la drammatizzazione e aprire alla via democratica: ci vorrà del tempo, ma solo così si potrà stabilire una soluzione. Ci vorrà una trasformazione culturale, nella regione ed altrove; un mutamento che oggi,nella migliore delle ipotesi, è appena cominciato.
Le giustificazioni a queste azioni sono un insulto all’intelligenza. Medvedev haannunciato l’obbligo di Mosca di proteggere “dignità e vita dei cittadini russi”, anche se non su suolo. Il Procuratore generale, su suggerimento di Medvedev, ha detto che secondo le leggi russe «i cittadini stranieri e apolidi, che non vivono attualmente nella Federazione russa, che hanno commesso crimini al di fuori dei confini russi, sono perseguibili legalmente nel caso in cui detti reati siano stati commessi contro gli interessi della Federazione». Con questo, la leadership politica e giudiziaria russa ha fatto capire di essere sul punto di intraprendere una causa contro Saakashvili e altri ufficiali georgiani, che dovranno essere giudicati in Russia sotto la sua legge. Le forze russe hanno poi affermato che Mosca potrebbe anche insistere per il disarmo delle forze militari straniere presenti sul suo territorio che non hanno attaccato o minaccia-
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politica
Mazzocchi: «Porte aperte al ritorno di Casini nel centrodestra. Anche La Russa sarebbe d’accordo»
«Il Pdl? Sembra la fine della Dc» colloquio con Antonio Mazzocchi di Susanna Turco
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Madrid: incidente in aeroporto, 150 morti
Accanto, Gianfranco Fini con Silvio Berlusconi. Sopra, l’esponente di Alleanza nazionale, Antonio Mazzocchi
ROMA. È perplesso per come sta venendo su il Popolo delle Libertà («c’è confusione, sembra la Dc nel suo periodo di declino»), si proclama favorevole a un disgelo con Udc («sono convinto che La Russa non la frenerebbe, anzi»), dà priorità ai valori, è ansioso di ricreare una unità politica dei cattolici, attaccatissimo all’idea di un partito fatto di radicamento sul territorio e, perché no, di tessere. Insomma: che l’aennino Antonio Mazzocchi abbia una provenienza democristiana lo si capisce ancor prima che sia lui stesso a rivendicarlo. Non a caso, sogna un Pdl ispirato proprio al partitone di piazza del Gesù. «Sono rimasto male quando ho letto sul vostro giornale che per Gianfranco Rotondi nel Pdl c’è bisogno di una forte componente diccì per “controbilanciare l’ala conservatrice rappresentata da An”. Noi già a Fiuggi, nel 1994, ci richiamammo ai valori giudaico cristiani. Altrimenti non avrei mai aderito», spiega l’ex assessore ai servizi sociali nelle giunte romane di Signorello e Giubilo, oggi leader del movimento dei cristiano riformisti. Capezzone trova «surreale» il Veltroni che accusa il governo di bizantinismi. D’altra parte, l’aria che tira nel Pdl ricorda certi arzigogolii del Pd: è un’altra «fusione a freddo», ha scritto Gennaro Malgieri su Liberal. Il fatto è che assistiamo a una politica che ha programmi privi di contenuti valoriali. Nel Pdl c’è la spinta a creare il Ppe italiano: bene, basterebbe vedere quale è la carta del Partito Popolare europeo e fondare
su quella i nostri programmi. Si parta dai contenuti. Altro che Pdl «troppo di destra». Per Rotondi servono più moderati per bilanciare voi di An. Ma che c’entra. Noi dobbiamo bilanciare le spinte lobbistiche che ci sono nel Pdl, quelle di chi non vuole ci siano vere liberalizzazioni. Altroché. Non abbiamo bisogno di affidarci a delle sigle che coi loro aderenti non riescono nemmeno a riempire una cabina telefonica. Allude a Rotondi? Bisognerebbe rendere pubbliche le liste degli iscritti, si eviterebbero certe speculazioni. Al contrario l’Udc, per dire, ha una rappresen-
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Nel nuovo partito mancano contenuti valoriali. E non possiamo essere ostaggi di micro-formazioni. Con l’Udc invece siamo già in sintonia su quasi tutto
”
tanza certa, sappiamo quanto pesa, con Casini e gli altri amici come Tabacci siamo già d’accordo sulla impostazione politico-liberale da dare a questo Paese. Con loro sì che bisognerebbe tentare di avere un colloquio. Ignazio La Russa sembra avere un’opinione opposta: dice che per Casini «le porte resteranno chiuse». Secondo me La Russa dentro di sé... Insomma, è rimasto molto male per il fatto che Casini non abbia aderito al Pdl, ma il leader Udc ha dimostrato chiaramente di non
avere nulla a che spartire con il Pd, e quindi penso che non frenerebbe affatto un suo ritorno. Anzi. Siccome sono amici, le frizioni sono più forti. Ma è una questione di tempo. E guardando all’oggi? C’è chi parla di tendenze oligarchiche e burocratiche. Il Pdl sta seguendo una china... Quando nella Dc si è arrivati a discorsi così, si era in pieno declino. Dobbiamo cominciare a parlare di contenuti valoriali sui quali dobbiamo trovarci d’accordo: quale economia, quale approccio al sociale. Vedo sinora molta confusione, l’arrembaggio ai posti dei colonnelli. Quale partito si augura? Io sono d’accordo con Italo Bocchino quando richiama l’importanza del territorio, degli iscritti. Perché non si può fare un partito di soli eletti. Eletti da chi? Il partito nasce dalla base, e noi dobbiamo farla contare: serve il tesseramento. Anche le primarie, perché no? Non può essere un partito verticista. Per ora, tuttavia, tra An e Forza Italia la divaricazione sui modelli è notevole. Credo che una mediazione alla fine si possa trovare. Sono d’accordo con Rotondi: in un partito del 40 per cento deve esserci spazio per tutti. E penso anche che noi, i rappresentanti dell’area cattolica, dobbiano tentare di avere una posizione di centralità. Parla di ricostituire, nel Pdl, l’unità politica dei cattolici? È tempo di nuova unità cattolica: dovremmo essere polo di attrazione per tutti coloro che credono in questi valori. Non per forza cattolici, anche liberali come Marcello Pera.
Spaventoso incidente aereo ieri nell’aeroporto di Barajas a Madrid: un aereo della compagnia low-cost spagnola, Spanair, diretto a Las Palmas, ha preso fuoco ad uno dei motori poco dopo il decollo e si è spaccato in due in fiamme sulla pista dopo aver tentato un atterraggio d’emergenza. Secondo fonti dei soccorritori soltanto 23 delle 173 persone a bordo dell’aereo sono sopravvissute, portando a circa 150 il bilancio dei morti. Le autorità aeroportuali hanno da subito dichiarato lo stato d’emergenza e chiuso il traffico aereo. Diverse colonne di mezzi dei pompieri sono immediatamente intervenute senza riuscire a spegnere le fiamme divampate dall’incidente. Fonti del governo spagnolo, nella serata di ieri, avevano dichiarato che fino a quel momento erano stati estratti dall’aereo 45 cadaveri e tra i sopravvissuti 19 sono in gravi condizioni. Il premier spagnolo, José Luis Zapatero, ha interrotto le sue vacanze e si è recato all’aeroporto Barajas. Lo ha riferito la Cnn in lingua spagnola. L’Unità di Crisi della Farnesina si è attivata, attraverso la rete diplomatico-consolare in Spagna, per verificare l’eventuale presenza di italiani a bordo dell’aereo uscito di pista mentre decollava dal Terminal 4 dell’aeroporto di Barajas, a Madrid. Un ”anno nero” il 2008 per la ”Spanair”: al caos interno della compagnia, che ha presentato un piano per tagliare 1.100 posti di lavoro e tentare di salvarsi dalla crisi del settore, si è aggiunto il tragico incidente di oggi. Il futuro della compagnia è incerto. Per far fronte all’incremento dei costi, generato in grande parte dall’aumento dei prezzi del petrolio, la Spanair ha deciso di tagliare di un terzo il suo personale che attualmente conta 3.300 impiegati, di congelare gli stipendi e concentrare le sue basi a Madrid, Barcellona e Palma di Majorca. Il piano della compagnia si è però scontrato con le proteste sindacali. Secondo il sindacato di Sepla-Spanair, il piano proposto dalla direzione di Spanair «non garantisce il futuro dell’impresa e prolungherà di fatto la cattiva gestione responsabile dei risultati tanto negativi degli ultimi anni».
Codice della strada: lite nel governo Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, corregge il tiro sull’annunciato giro di vite per chi non rispetta il codice della strada. Le dichiarazioni rilasciate dal sottosegretario ai Trasporti Bartolomeo Giachino (stretta su limiti di velocità, uso improprio del telefonino, minicar ed esami per patente e recupero punti) «sono frutto di opinioni personali che non coinvolgono il pensiero e la volontà del ministro Altero Matteoli» precisa in una nota l’ufficio stampa del ministero di Porta Pia. «Per nulla condivisibile - si legge nella nota - è, ad esempio, l’ipotesi di un nuovo esame per il rinnovo della patente di guida». Il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti guidato da Matteoli fa sapere che «come già aveva preannunciato nei giorni scorsi avvierà a settembre un tavolo di confronto con i soggetti istituzionali, le associazioni interessate ed esperti del settore per proporre al governo ed al Parlamento nuove misure per migliorare la sicurezza stradale».
Festa Pd: Bossi va, Berlusconi «non invitato» È Firenze la città dove si svolgerà la prima festa nazionale del Partito democratico. L’appuntamento, dal 23 agosto al 7 settembre alla Fortezza da Basso. Numerosi gli esponenti di governo e maggioranza presenti. Tra i quali non figura però il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. «Non abbiamo invitato né Berlusconi né Lombardo» ha annunciato Lino Paganelli, responsabile nazionale feste del Pd. Coinvolti, invece, Gianfranco Fini, Giulio Tremonti e Umberto Bossi.
politica
21 agosto 2008 • pagina 7
Michele Vietti lancia l’iniziativa dell’Udc sul riordino della giustizia ROMA. «Basta usare la giustizia come arma impropria nello scontro tra le forze politiche. I cittadini hanno bisogno di risposte concrete. Invece l’attuale sistema paralizza la funzionalità di tutta la nazione. Per questo abbiamo convocato un tavolo di saggi per ripensare seriamente ad una riforma organica. Con una parola chiave: senza estremismi. Ciò non significa che bisogna rivoluzionare tutto, ma neppure rimanere alle tentazioni conservatrici di non cambiare nulla». Michele Vietti, vice-presidente dei deputati dell’Udc, tende la mano al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che nell’ultimo periodo aveva più volte condannato «questa tendenza alla spettacolarizzazione della giustizia». E, d’intesa con il suo partito, propone una riforma centrata su tre pilastri: velocità dei processi, rigore nella pena e controllo deontologico dei magistrati. Onorevole, perché questa iniziativa? L’Udc ha preso l’iniziativa di organizzare questo seminario sulla giustizia perché crediamo che sia necessario passare dagli slogan ai fatti. Il mondo della legalità è diventato, e ne abbiamo avuto diversi assaggi sia nell’attuale governo che nelle legislature precedenti, un terreno di scontro improprio tra le forze politiche. Queste ultime, infatti, oscillando tra giustizialismo e colletarismo, hanno sempre brandito la giustizia come una sorta di arma
«Basta con gli slogan È ora di una riforma seria» colloquio con Michele Vietti di Francesco Rositano impropria nei confronti degli avversari. E si sono mosse in questo terreno abusando di parole ad effetto, slogan pirotecnici. Tanti annunci, pochi fatti. Poco tempo fa voi dell’Udc vi siete accodati all’appello del presidente della Repubblica di non fare giustizia spettacolo? Esattamente. La giustizia è una cosa seria. È un servizio per i cittadini. Purtroppo tendiamo ad avvalorare l’idea che essa sia un problema che riguardi gli avvocati, i magistrati e gli uomini politici. Invece è un servizio che riguarda tutti i cittadini. In un paese moderno è lo strumento che
garantisce il rispetto dei diritti della popolazione: più quel servizio è rapido ed efficiente, più il sistema Paese complessivo funziona bene, l’economia se ne avvantaggia, la civiltà migliora, i rapporti interpersonali sono più garanti-
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che il dibattimento così come è organizzato oggi con il processo accusatorio è un rito molto laborioso e farraginoso. E che quindi va riservato solo a reati seri, di importanza. Per tutto il resto bisogna incentivare i riti alternativi.
Non si può usare la legalità come arma impropria nello scontro tra i partiti. La nostra proposta si basa su tre pilastri: velocità dei processi, rigore nella pena e controllo deontologico dei magistrati ti. Quando tutto questo non fila per il verso giusto a patire è l’intero sistema delle relazioni civili. Insomma: non è un problema di chi conta di più tra i magistrati e i politici o tra i magistrati e gli avvocati. Questa è la premessa senza la quale ci avvitiamo in una infinita querelle tra le corporazioni della giustizia. Qual è la proposta dell’Udc? Prima cosa: la ragionevole durata dei processi. In Europa siamo condannati per eccessiva lunghezza dei procedimenti civili e penali. Su questo tema c’è già stata un’ampia elaborazione, ora si tratta solo di scegliere. Nel penale bisogna prendere una posizione sapendo
”
E per quanto riguarda il civile? Anche in questo caso dobbiamo evitare di utilizzare lo stesso rito per una causa da un milione di euro e per una causa da mille euro. Dobbiamo trovare un meccanismo flessibile che si adatti al valore e all’oggetto della causa. Cosa proponete, invece, sul problema dell’esecuzione della pena? Attualmente, il nostro errore è che facciamo scontare il carcere in via preventiva con l misure cautelari, ma poi non riusciamo mai a farlo scontare con la sentenza definitiva. Quindi la nostra proposta è: meno custodia cautelare e meno esenzioni di fronte alle sentenze di condanna definitiva. Da un lato, quindi, dob-
Il seminario dei centristi a Roma ROMA. L’Udc è pronta a confrontarsi con i maggiori esperti del settore e con i rappresentanti del mondo politico per approntare una riforma della giustizia. Un riassetto del sistema che il partito di Pier Ferdinando Casini vuole cercare di raggiungere nel modo più trasversale possibile. Così per il prossimo 2 e 3 settembre ha organizzato un seminario al St Regis Grand Hotel di Roma cui, tra gli altri, parteciperà il ministro della Giustizia Angelino Alfano. All’incontro, che si svolgerà a porte chiuse in modo da garantirne la riuscita, interverranno esponenti della maggioranza e dell’opposizione. In rappresentanza dei primi saranno presenti Gaetano Pecorella e Giulia Buongiorno; per i secondi Luciano Violante e Massimo D’Alema. Molti, poi, gli operatori del mondo della legalità: il presidente del Consiglio nazionale forense e del Consiglio unitario dell’avvocatura; quello dei giovani avvocati e dell’Anm.Tra i temi che verranno affrontati, e sui quali l’Unione di Centro, ha già maturato delle precise linee di intervento, figurano: il riasetto del Consiglio Superiore della Magistratura; la separazione delle carriere; e l’obbligatorietà dell’azione penale.
biamo dare più tutele nella fase cautelare: se si arresta una persona bisogna passare immediatamente al dibattimento perché vuol dire che si è in possesso delle prove per giudicarla. Non è che si arresta uno per farlo confessare o per trovare le prove contro di lui. Poi, una volta che la condanna è definitiva va eseguita senza indugi e le modalità di esecuzione vanno attribuite al magistrato che giudica. Il giudice di sorveglianza deve, appunto, sorvegliare ma non può interferire con le modalità di attuazione della pena. E sul Consiglio superiore della magistratura come intendete intervenire? È necessario stabilire un riequilibrio nella composizione: aumentare il numero dei membri laici e ripristinare un equilibrio diverso tra questi e i togati. E poi bisogna anche modificare la composizione della sezione disciplinare del Consiglio che garantisce la deontologia dei magistrati. La nostra proposta è di affidarla ad un organo esterno, con la nomina di personalità autorevoli e indipendenti che si impegnino a fare in modo che il controllo disciplinare non dipenda dalle appartenenze a delle correnti interne alla stessa magistratura. Credete di poter trovare un accordo con la maggioranza? Credo che il merito dell’Udc sia stato quello di aver posto il tema all’ordine del giorno, di aver rivolto un invito ad amplissimo raggio senza preclusioni nei confronti di tutti gli interlocutori possibili. Ecco perché abbiamo deciso di fare in modo che questo seminario si svolga a porte chiuse. Ciò, infatti, consentirà a ognuno di dire cosa pensa, verificare le convergenze per poi passare al lavoro parlamentare. Se la maggioranza è d’accordo sul metodo penso che strada facendo si possano trovare anche convergenze sul merito. È chiaro che se i ministri della maggioranza pensano di portare una soluzione precotta allora su questo non si troverà mai un accordo. Il ministro Rotondi recentemente si è detto disponibile ad un ingresso dell’Udc nella maggioranza. Lei che ne pensa? Ringraziamo Rotondi della sua affezione, ma non abbiamo smanie di entrare nella maggioranza. Stiamo bene dove siamo e semmai dovessimo decidere di entrarci, di certo non lo faremo dall’ingresso di servizio.
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economia
Il segretario della Cgil minaccia ancora un autunno caldo, ma i suoi colleghi non hanno voglia di rompere con il governo
L’ira di Epifani non smuove Cisl e Uil di Giuliano Cazzola segue dalla prima nel quale il governo e la maggioranza avranno più chance a loro favore di un’opposizione attraversata – lo si osserva – ogni giorno da astiose polemiche che nascondono un vuoto impressionante di presa politica sull’opinione pubblica. Tante sono le variabili che potrebbero presentarsi, in autunno, con tratti diversi da quelli attesi. A cominciare dalla congiuntura economica. Ieri l’Ocse ha confermato la frenata dell’Italia nel secondo trimestre dell’ano, ma i dati non confermano l’arrivo di quella recessione che in tanti danno per prossima (a partire dal titolare dell’Economia).
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Innanzitutto, occorre considerare che sullo scenario internazionale si profila una prospettiva di crescita bassa e non di stagnazione. Il Fondo monetario internazionale (Fmi) prefigura uno sviluppo dell’economia mondiale attestato intorno al 4 per cento sostenuto in prevalenza dai sistemi dei grandi Paesi emergenti. Per gli Usa il Fmi prevede una crescita media nel biennio intorno all’1 nonostante la crisi del credito; per l’Europa è ipotizzata un aumento ancora superiore. A novembre avranno luogo le elezioni negli Stati Uniti. E una nuova amministrazione del Paese leader sarà chiamata a mandare dei segnali di fiducia al mondo. Ciò avverrà soprattutto se a vincere sarà il senatore John McCain, il quale ha un programma di apertura al commercio mondiale, diversamente dai candidati democratici che, per accontentare il loro elettorato, hanno lasciato intravedere delle impostazioni protezionistiche (per altro ridimensionate negli ultimi mesi di campagna elettorale). Un altro aspetto meritevole di attenzione riguarda il processo inflativo che le autorità monetarie internazionali ed europee sono riuscite a tenere sotto controllo (grazie anche alla capacità dei governi e delle parti sociali di non innescare – come i sindacati vorrebbero fare in Italia – una rincorsa salari-prezzi). Come ricorda il ministro Renato Brunetta in un recente articolo sul Sole 24Ore, «la capacità di spesa delle famiglie è
stata limitata dall’aumento dei prezzi». Se si determinasse, allora, grazie anche alla riduzione delle bolletta energetica, un
effetti diretti delle politiche del governo: abolizione dell’Ici, detassazione degli straordinari e dei premi, interventi sui mutui
portate avanti nei comparti pubblici negli ultimi anni fossero state ispirate ai medesimi criteri adottati in quelli privati,
Decisivi, per far scatenare il conflitto sociale, l’acuirsi (o meno) della crisi e i riflessi sulla crescita. Corso d’Italia, all’angolo, Italia fa pesare il proprio potere di veto e la minaccia di bloccare le riforme del pubblico impiego e dei contratti contenimento del costo della vita (si tratta in larga misura di inflazione importata) aumenterebbe di conseguenza il potere d’acquisto delle famiglie (in aggiunta agli
immobiliari, social card). In tale contesto, sarebbe molto importante riuscire a completare la riforma non solo della pubblica amministrazione, ma anche delle regole del pubblico impiego. Se le politiche retributive
il Paese avrebbe avuto a disposizione un ammontare pari a circa 60 miliardi da investire nello sviluppo. Ciò spiega in parte le difficoltà che i sindacati del pubblico impiego incontrano nel contrastare il giro di vite
– oggettivo – che il governo ha effettuato nel comparto mediante la manovra d’estate. Quando i leader sindacali avvertano di aver contro – a torto o a ragione, a seconda dei punti di vista – l’opinione pubblica, diventano molto prudenti a infilarsi in lotte perdute in partenza. È il caso, per esempio, del clima di caccia ai cosiddetti fannulloni, in nome della quale – si vedano le vicende recenti di Trenitalia – le aziende si sentono legittimate ad assumere provvedimenti disciplinari parecchio discutibili. È vanagloria immaginare che sia il pubblico impiego ad accendere l’offensiva sindacale d’autunno. Se questa fosse la riposta speranza, la Cgil farebbe bene a ricredersi; l’opinione pubblica solidarizzerebbe sicuramente con la maggioranza e il governo. Il Pd, dal canto suo, è troppo interessato a non farsi emarginare rispetto alle scelte strategiche all’ordine del giorno nei prossimi mesi (a partire dal federalismo a cui sono interessati tutti gli amministratori del Centro Nord) per inseguire la Cgil in un’avventura.
La confederazione di Epifani – è questo il senso delle interviste di ieri – non è in grado, dunque, di contrassegnare con la sua iniziativa l’agenda dell’autunno. È in condizione, però, di impedire che altri – ovvero il ministro Sacconi – sia messo in condizione di portare avanti, insieme con Cisl, Uil e Confindustria, un programma costruttivo che risolva i tanti problemi aperti. Primo fra tutti quello di un nuovo sistema di relazioni industriali. Non sembrano maturi i tempi per «negoziare con chi ci sta». È il diritto di veto, allora, l’unica arma rimasta ad Epifani.
Da sinistra, i segretari delle tre maggiori confederazioni sindacali: Raffaele Bonanni (Cisl), Guglielmo Epifani (Cgil) e Luigi Angeletti (Uil)
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otto pagine per cambiare il tempo d’agosto
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agosto 1862
Emilio Salgari viene alla luce a Verona figlio di un negoziante di stoffe
Nasce il papà di Sandokan (poi depredato dagli editori) di Pier Mario Fasanotti i tolse la vita in maniera cruenta, come avrebbe fatto con il kriss (pugnale della Malesia) Sandokan o altre “tigri”di Mompracem, tra le centinaia dei personaggi che aveva creato chino sui fogli della sua fertile e personalissima fantasia. Forse un destino, quello della famiglia Salgari. Nel 1888 si era suicidato il padre, nel 1911 lui, Emilio, lo scrittore, nel 1931 il figlio Romero (a soli 33 anni) e infine il quartogenito Omar nel 1963. L’autore di oltre ottanta romanzi, prima di farla finita con un’esistenza che non gli aveva dato le soddisfazioni che meritava, lasciò un foglietto che è il sunto dell’amarezza e del rancore: «Ai miei editori: a voi che vi siete arricchiti con la mia penna mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria o anche più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che io vi ho dato pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna. Emilio Salgari». Nacque il 21 agosto 1862 a Verona. Suo padre Luigi era negoziante di stoffe. Fu battezzato nella chiesa di S. Eufemia ed ebbe come padrino lo zio Francesco Salgari, ingegnere e agente delle ferrovie nell’Alta Italia, e come madrina Carlotta Grassi Barbarani, che quattro anni dopo diventò madre del poeta veronese Emilio Barbarani. Il futuro narratore dopo le scuole elementari frequentò l’istituto tecnico, con un profitto poco brillante. Nel 1878-79 si iscrisse al primo corso nautico all’Istituto Paolo Sarpi di Venezia. L’uomo che riempì migliaia di pagine con descrizioni di traversate, tempeste, arrembaggi in paesi lontani, fece solo qualche viaggio di addestramento sul mercantile “Italia Una”. Per tre mesi solcò l’Adriatico, toccando la costa dalmata e spingendosi fino a Brindisi. Non oltre. L’anno successivo affrontò l’esame di ammissione ai corsi per diventare continua a PAGINA II capitano.
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SCRITTORI E LUOGHI
I VIGLIACCHI DELLA STORIA
I SENTIMENTI DELL’ARTE
La lussuria secondo Paul Schrader
L’Avana dei letterati di Filippo Maria Battaglia
di Francesco Ruggeri
L’ammiraglio Persano di Aldo G. Ricci
a pagina IV
a pagina VI
a pagina VII pagina I - liberal estate - 21 agosto 2008
L’attore Kabir Bedi nei panni del “Corsaro Nero” e ne “La Tigre di Mompracem”. Sotto la “Perla di Labuan” interpretata da Carole Bouquet
segue da PAGINA I Al secondo anno il profitto precipitò e lo studente abbandonò definitivamente la scuola nautica.Volle tentare la fortuna con il giornalismo. el 1883 riuscì a diventare redattore del giornale “La Nuova Arena”di Verona. Fu su queste colonne che pubblicò a puntate il suo primo romanzo, intitolato “Tay-See”, che fu stampato successivamente (dopo non poche modifiche) col titolo “La Rosa del DongGiang”. Giornalista infaticabile, firmò con diversi pseudonimi (Emilius, Ammiragliador, tra i tanti) e trovò il tempo per scrivere romanzi che diventarono famosissimi come “La Tigre della Malesia”. Due anni dopo passò al quotidiano “Arena”. Di carattere sanguigno, litigioso, irritabile e intransigente, il 25 settembre dello stesso anno si battè a duello con un collega del quotidiano veronese “L’Adige”. Nel 1887
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il suo lavoro di scrittore apparve per la prima volta in forma di libro: “La favorita del Mahdi”. La vicenda romanzesca era già stata divulgata in appendice. Nel 1892 sposò Ida Peruzzi, un’attrice dilettante che di lì a quindici anni sarebbe stata ricoverata in manicomio. Salga-
si di Torino. L’anno dopo nacque il figlio Nadir. n quegli anni lavorò per diversi editori, tra cui Speirani e Paravia. Nel 1897 ebbe l’onorificenza di cavaliere. L’anno dopo un altro trasloco: a Sampierdarena. Aveva firmato un contratto con l’editore Anton Donath di Genova, sul quale aveva riposto molte speranze. Fece amicizia con Giuseppe “Pipein” Gamba, che diventerà il suo primo grande illustratore. Poi altre due nascite: quella del terzogenito Romero e quella di uno dei suoi capolavori, “Il Corsaro nero”. Ritornò in Piemonte, stavolta a Torino, dove visse fino alla sua tragica morte. Omar, il quarto figlio, venne alla luce nel 1900.
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Malgrado il grande successo riscosso dai suoi romanzi sia in Italia che all’estero, lo scrittore non si arricchì mai. Da qui nasce il suo livore contro la macchina editoriale e i contratti capestro ri ebbe contatti con l’editore Treves di Milano, che accettò alcuni suoi manoscritti. Verso la fine del 1893 - un anno dopo la nascita della figlia Fatima si trasferì a Cuorgnè, nei pres-
pagina II - liberal estate - 21 agosto 2008
Continuò l’attività giornalistica come fondatore e direttore del settimanale “Per terra e per mare”, edito da Donath, e stampato a Genova. Il periodico durò solo dal 1904 al 1906, anno in cui Salgari ruppe i rapporti con l’editore ligure e si legò al fiorentino Bemporad che forniva migliori condizioni contrattuali. Malgrado i suoi romanzi riscuotessero un grande successo sia in Italia che all’estero, Emilio Salgari non s’arricchì mai. Di qui il suo livore contro la macchina editoriale, i contratti-capestro e la sua stessa poca abilità nel farsi valere sul piano commerciale. Ma non furono, queste, le uniche cause della sua “quasi miseria”. Salgari spendeva molto e non sapeva amministrare le somme che guadagnava, anche se non paragonabili a quelle che vanno nelle tasche dei best-selleristi americani di oggi. In più era molto generoso nei confronti dei parenti della moglie, sempre pronti a presentarglisi con il cappello in mano. Infine non è da trascurare un’altra delicata questione: la critica letteraria, quella che contava, ieri come oggi sempre diffidente verso il genere “popolare”, gli era decisamente contro. E lui, incline agli eccessi umorali, cadde spesso nella de-
pressione per il mancato riconoscimento ufficiale. Nel 1909 tentò per la prima volta il suicidio. Oltretutto temeva di diventare cieco. Non giovava certo alla sua salute stare interminabili ore al tavolo, a ideare trame, scriverle e a consultare carte geografiche e opere storiche. Si documentava scrupolosamente, non potendo affidarsi all’esperienza di viaggiatore. algrado malumori, debiti da saldare, litigi con editori, lettere per sollecitare pagamenti arretrati, Salgari riusciva a isolarsi, a entrare nel mondo che aveva lui stesso creato. Scriveva e dimenticava i guai. Poi c’era la malattia mentale della moglie, circostanza che inevitabilmente ricorda quella che contrassegnò l’esistenza di un altro narratore, Luigi Pirandello, marito di Antonietta Portulano, alla fine ricoverata in una casa di cura. Lo scrittore di Agrigento, premio Nobel, scriverà di lei: «…la vita ha perduto ogni pregio agli occhi miei quella donna disgraziatissima non può guarire: ho potuto sentire e misurare l’orrido abisso di quell’anima. Non guarirà, non può guarire». Salgari probabilmente si tormentava pensando le stesse cose, mentre scriveva senza sosta
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le sue avventure in mari lontani: «…stava la tigre per riprendere lo slancio per gettarsi cui cacciatori, ma Sandokan era lì. Impugnato solidamente il kriss si precipitò contro la belva e prima che questa, sorpresa da tanta audacia, pensasse di difendersi, la rovesciava al suolo, serrandole la gola con tale forza da soffocarle i ruggiti… “Guardami” disse “Sono anch’io una tigre!”. Poi, rapido come il pensiero, immerse la lama serpeggiante del suo kriss nel cuore della fiera, la quale si distese come fulminata. Un urrah fragoroso accolse quella prodezza. Il pirata uscito illeso da quella lotta, gettò uno sguardo sprezzante sull’ufficialetto che stava rialzandosi, poi volgendosi verso la giovane lady, rimasta muta per il terrore e per l’angoscia, con un gesto di cui sarebbe andato altero un re, disse: “Milady, la pelle della tigre è vostra». (Da “Le tigri di Mompracem”, Donath, 1900). erto, la sua prosa non era quella di Manzoni o di Pirandello. È spesso fumettistica, senza ambizioni stilistiche. Ma aveva, ed ha ancora oggi, una presa notevole sui lettori. Salgari ha creato un’infinità di trame, ma soprattutto un clima narrativo destinato a durare. Tanto è vero che sessant’anni dopo la televisione si ispirò alle sue invenzioni narrative e creò il Sandokan con volto dell’attore indiano Kabir Bedi, adorato da milioni di fan. L’altro motivo di preoccupazione, e di impoverimento, per Salgari furono gli emuli, quei falsari che si buttarono a capofitto sul genere editoriale che vendeva moltissimo e che lui aveva ideato. Quando si fa l’elenco delle sue opere è prudente dire “circa 80” visto che di molte altre rimane ancora oggi incerta la paternità. I falsi sono stati contati a centinaia, complici editori senza scrupoli, avvoltoi di uno scrittore prolifico. Lo stesso Salgari fece uscire proprie opere con pseudonimi (per esempio Guido Altieri). Altri romanzi furono messi sul mercato dai suoi figli, soprattutto da Omar, intenzionato a “risarcire” in qualche modo la memoria del padre. Una delle creazioni più originali di tutti i tempi è proprio Sandokan. Fiero, robusto, coraggioso, sprezzante del pericolo, si presenta ai lettori in questo modo: «Al di fuori l’uragano e qua io! Quale il più tremendo?» Una spacconata che piaceva e continua a piacere. Sandokan è un principe del Borneo spodestato dal trono degli avi da
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o stesso giorno... nel 161 d.C.
A Lanuvium sui Colli Albani viene alla luce Commodo di Filippo Maria Battaglia Lanuvium (oggi Lanuvio) è un antico sito sui Colli Albani, vicino a Roma. È lì che il 21 agosto del 161 dopo Cristo nasce Lucius Aelius Aurelius Commodus, più semplicemente noto come Commodo. Suo padre, Marco Aurelio, è il quinto dei cosiddetti «buoni imperatori». La madre, Faustina Minore, è figlia di Antonio Pio, anche lui lanuviano, anche lui imperatore romano. Lucius Aelius inizia a regnare il 18 marzo del 180. Ma i primi segnali sono da subito scoraggianti. Come scrive lo storico Guido Clemente nella sua “Guida alla storia romana” pubblicata da Mondadori, «instaurò a corte un clima di disordine sia nelle abitudini private, sia nella capricciosità con la quale esaltava di volta in volta al suo fianco uomini che poi faceva cadere». Un clima di incertezza, a cui si associa una certa dissolutezza: gli storiografi romani raccontano di una corte composta da trecento donne ed efebi, a sua completa disposizione. Alla condotta dell’imperatore fa poi seguito una disastrosa gestione amministrativa. Una prima congiura è repressa nel 182, appena due anni dopo l’ascesa al soglio imperiale. Ma l’epilogo è solo rinviato: il 31 dicembre di dieci anni dopo Commodo è strangolato dal suo
alcuni uomini bianchi. Per questo antico rancore diventa pirata, e anche feroce. Basta nominare il suo nome e centinaia di persone sono scosse da brividi. È un vendicatore. Come rifugio ha una piccola isola, Mompracem. Luogo inespugnabile per via della barriera scogliosa. Avventure su avventure tra il Borneo, l’arcipelago della Sonda, l’India, in acque cristalline ma anche furiose dove solo gli uomini più spavaldi sono in grado di sopravvivere. icco di fascino è anche il protagonista di un’altra serie di romanzi, “I Corsari delle Antille” (cinque in tutto): il cavaliere Emilio di Roccabruna, signore di Valpenta e Ventimiglia, un gentiluomo nero che ha un passato molto misterioso. Al comando di una ciurma di filibustieri naviga nelle acque infide dei Carabi, tra vendetta, giustizia, sopruso, amicizia, tifoni tropicali, arrembaggi. Scrive Salgari presentando il suo eroe: «Emilio di Roccabruna, signore di Ventimiglia, è diventato corsaro per vendicare l’uccisione di un fratello, tradito dal nobile fiammingo Wan Guld, che
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Gli storiografi romani raccontano di una corte composta da trecento donne ed efebi, a sua completa disposizione. Mentre suo padre, Marco Aurelio, è il quinto dei cosiddetti «buoni imperatori».
istruttore, il maestro di gladiatorie Narcisso. «La ripresa della peste nel 187, l’attenzione agli spettacoli portato all’eccesso quando nuove difficoltà esterne si profilavano (nel 185 vi fu un’incursione di barbari in Britannia), il disinteresse dell’imperatore per le esigenze della periferia dell’impero furono tutti elementi che contribuirono alla caduta violenta dell’imperatore, e prepararono il quadro per una situazione che non si era più riprodotta dal 68-69: la rivolta degli eserciti nelle province, che tornarono a rivendicare un loro ruolo preminente nell’impero quando l’equilibrio si spostava troppo a loro favore». D’altro canto, sotto la sua guida persino l’aristocrazia romana non se la passa bene: «nel 189 Commodo nominò 25 consoli, mentre accresceva la pressione per il riconoscimento della propria natura divina; nel 191 ribattezzò Roma colonia Commodiana, assunse il titolo di Ercole romano e lo fece riprodurre nella monetazione, tentando di imporre l’identificazione con la divinità». La sua morte apre così la strada «ai pronunciamenti militari, lontano da Roma e dai chiusi interessi che nella città erano rappresentati; nel giro di pochi anni, la costruzione degli Antonini si era lo-
ne ha avuto in cambio il governatorato di Maracaibo. Partito per il nuovo mondo su un bel
giura di vendicarsi e di sterminare la famiglia dell’odiato Wan Guld, come questi aveva fatto con la sua. Qualche giorno più tardi, durante un abbordaggio, il Corsaro Nero fa prigioniera una bellissima nobildonna fiamminga, Honorata, di cui ben presto s’innamora e da cui è ricambiato. Ma la felicità per i due dura molto poco, perché il Corsaro Nero scopre con orrore che la fanciulla è nientemeno che la figlia di Wan Guld, e, anche se col cuore in pezzi, tiene fede al giuramento fatto ai fratelli e la abbandona su una scialuppa in balia del mare». Una vendetta inossidabile che ricorda quella del “Conte di Montecristo”. Un romanzo di forte impronta esotica, in stile cappa e spada e am-
Trascorse giorni interi seduto al tavolo, a ideare trame, a scriverle e a consultare carte geografiche e opere storiche. Non potendo affidarsi all’esperienza del viaggiatore si documentava con cura. La sua prosa non somigliava a quella di Manzoni o di Pirandello, ma sui lettori aveva una presa enorme veliero, la “Folgore”, con altri due fratelli, che hanno preso il nome di Corsaro Verde e Corsaro Rosso, resta purtroppo ben presto ultimo della sua famiglia, poiché i suoi fratelli sono catturati e impiccati. Sulle loro salme, una notte, mentre stanno per essere seppelliti in mare,
gorata, e non basta a giustificare un così rapido mutamento il capriccio o l’inettitudine di un sovrano: era l’intero sistema ad avere punti deboli, tali da non consentirgli di reggere a nuove pressanti esigenze Tuttavia «la personale dissolutezza del principe non impedì alla ben avviata macchina di governo di funzionare: le province nell’insieme furono amministrate correttamente». La nomea dell’imperatore verrà aggravata dall’ostilità che la storiografia romana gli tributerà post mortem e dalla damnatio memoriae pronunciata dal Senato tre anni dopo. La sua sorte bisserà quella di un altro imperatore controverso, Caligola, e sarà ripresa nel film “Il Gladiatore”recentemente interpretato da Russell Crowe.
bientato in terre dove la lontananza e il mistero non smettono mai di intrecciarsi. algari usò gli pseudonimi per sfuggire alla clausola dell’esclusiva con l’editore Donath di Genova (e di altri ancora), che pretendeva quattro romanzi l’anno. Ecco che comparvero i racconti a firma del Capitano Guido Altieri, destinati all’editore palermitano Biondo, inventore della collana “Bibliotechina Aurea Illustrata” che annoverò più di 450 fascivoli apparsi tra il 1901 e gli anni Venti. I racconti che Salgari spedì in Sicilia furono 67. Moltissime le lettrici appassionate di Salgari. E questo a causa di personaggi femminili affascinanti e lacrimevoli: la Perla di Labuan, Surama, moglie dell’onesto e fedele Yanez, Dolores del Castello, ardita Capitana dello Yucatan, Afza, il raggio dell’Atlante, Than-kiù, il Fiore delle Perle. Salgari scriveva di quelle donne come se fosse il loro innamorato. Donne capaci di tante cose: di amare, di curare i feriti, di pescare, di tirare di scherma, di sparare. E tutte, proprio tutte, belle. Invariabilmente belle.
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SCRITTORI E LUOGHI
I magnifici sette che resero
L’AVANA un mito Un’isola romantica da secoli rassegnata al suo destino di Filippo Maria Battaglia
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«isola magica», la «terra del socialismo tropicale». E, per converso, un condensato di opposti pregiudizi, l’ostaggio secolare di colonialismo e comunismo, la meta turistica da cartolina, la destinazione ultima per l’edonismo e il «sesso facile». Ecco l’Avana, insieme con il grumo di cliché che si porta dietro. Lasciamo la presentazione della capitale cubana al poeta Fayad Jamis: «Cosa sarei senza di te,/ mia città? Mia Avana?/ Se tu non esistessi, mia città sognata fatta di luce e schizzi?/ Cosa sarei senza i tuoi portici,/ le tue finestre e colonne, senza i tuoi baci?/Quando ho vagato per il mondo/ sei venuta con me/ una canzone ferma in gola,/ una macchina di cielo sulla camicia,/ un amuleto contro la nostalgia». Nel XVIII secolo sono Spagna e Inghilterra a contendersela. Lo scrittore Alejo Carpentier, tra le punte di diamante della rivoluzione di Castro, in uno
dei suoi romanzi più celebri, rievocherà così quel periodo: «il giovane guardava la città, stranamente simile, in quest’ora di riverberi e ombre lunghe, a un gigantesco lampadario barocco, i cui cristalli verdi, rossi, aranciati, colorassero una confusa roccaglia di balconi, arcate, cupole, belvedere e verande con persiane – sempre irta di impalcature, travi incrociate, forche e cuccagne per muratori, da quando la febbre del costruire s’era impadronita dei suoi abitanti arricchiti dall’ultima guerra in Europa. Era un abitato eternamente in preda all’aria che lo penetrava, sitibondo di brezze di mare e venti di terra, aperto in pusterle, imposte, battenti, nicchie, al primo alito fresco che passasse. Risuonavano allora i lampadari e le girandole, le lampade a frange, le tende di conterie, le banderuole chiassose, che diffondevano l’evento. Si immobilizzavano i ventagli di
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Cuba oscilla tra riverberi e ombre lunghe, come se cristalli verdi, rossi, aranciati, colorassero una confusa roccaglia di balconi, arcate, cupole, belvedere, finestre e verande con persiane palma, di seta cinese, di carta dipinta. Ma dopo il fugace sollievo, la gente ritornava alla sua incombenza di rimuovere un’aria inerte, nuovamente immota fra le altissime pareti delle dimore. Qui la luce si raggrumava in calori, fino alla rapida alba che la introduceva nelle camere da letto più protette, attraversando tende e zanzariere; e soprattutto adesso, nella stagione delle piogge, dopo l’acquazzone brutale di mezzogiorno – autentica scarica d’acqua accompagnata da tuoni e fulmini – che d’improvviso vuotava le nuvole lasciando le vie alle-
gate e umide nella canicola restaurata». l registro non cambia neppure in pieno Ottocento. Il patriota romantico Josè Maria de Heredia scrive di una «Dolce Cuba», nel cui «seno si vedono/ nel grado più alto e profondo/ la bellezza del fisico mondo/ e gli orrori del mondo morale/… Ti vedrai infine libera e pura/ come l’aria luminosa che respiri/ come le onde agitate che vedi/ baciare la sabbia delle tue spiagge./ Seppur servito da vili traditori,/ del tiranno è inutile l’ira,/ ché non invano tra Cuba e la Spagna/ il mare stende immenso le onde!». Fra il moralistico e il di-
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vertito, il tono dello scrittore francese Xavier Marmier, che commenta così l’allegria che si respira nella capitale persino nei giorni consacrati alle festività religiose: «Le donne portano abiti dai colori vivaci, un fiore nei capelli, un sigaro in bocca, i visi sono dipinti di rosso, di bianco, di verde e seguono con passo leggero fino al posto riservato alle danze». I musicisti «continuano a suonare. E che razza di strumenti! Qualunque cosa emetta un fischio, o note quanto più aspre e discordanti è accolto in quell’orchestra diabolica». «A questa bolgia esplosiva di suoni si aggiungano i duri accenti scaturiti dalle gole nascoste dalle maschere: come il chiurlare di civette, il sibilare di vipere, l’abbaiare di cani. È il segnale per la danza… uomini e donne si allineano gli uni di fronte agli altri e ballano». Ma per Marmier «la parola ballo non rende minimamente l’idea di quella visione. È un tremito concitato, uno spasmo delle membra, corpi che si agitano, si
Anche nei giorni di festività religiosa nella capitale si respira l’allegria. Le donne portano abiti dai colori vivaci, un fiore nei capelli, un sigaro in bocca, i visi sono dipinti di rosso, di bianco e di verde
Sopra la Cattedrale della città, accanto una colorata señora mentre fuma il suo sigaro, sotto un bambino che gioca in strada Nella pagina accanto il centro storico della capitale
contorcono, si ripiegano su stessi, per poi rialzarsi e saltare, zompare come salamandre fra le fiamme. Piedi, braccia, cosce, petto: tutto entra in azioni in movimenti impossibili da descrivere; il più piccolo di essi farebbe impallidire qualunque dei nostri più incalliti poliziotti. Un circolo di spettatori, donne e uomini, se ne sta in piedi a guardare questa impressionante coreografia, in pieno sole, e senza apparire affatto scioccati». assa un secolo e lo scenario muta radicalmente: l’eco degli States arriva nelle isole, musica e architettura a stelle e strisce inondano la città, spesso accolti da un orgiastico entusiasmo. Ecco la cronaca di Alejo Carpenter, datata 1939: «Undici anni fa gli Stati Uniti godevano di un prestigio decisamente esagerato nel nostro paese. Gli alberi creoli dei nostri viali erano sottoposti a una chirurgia assai invasiva, tutt’altro che adat-
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ta al clima. Le abitazioni dei quartieri residenziali si ispiravano allo stile di Miami, mentre i milionari americani, assai più furbi, si compravano le nostre vecchie regole creole per i tetti delle loro case. I bambini delle famiglia bene volevano a tutti i costi farsi chiamare “Charlie” o “Jhonny”, si vestivano secondo la moda di NewYork e giudicavano ogni cosa in base ai valori snob degli yankee». Gli anni di mezzo del secolo scorso segnano poi un graduale accartocciarsi del centro storico. Zoé Valdes ne registra con amarezza i sussulti nel Nulla quotidiano. Qui, il tono risentito non è solo quello della scrittrice cubana, ma è la cifra di un mondo nascosto, che dietro la carta velina della coreografia di regime ormai da tempo non si regge più con le sue gambe: «Il vero trauma lo ebbi quando il presidente del Comitato per la Difesa della Rivoluzione ruppe i sigilli e papà aprì la porta della gigantesca casa del
Vedado, un gioiello architettonico con giardino, un patio e un altro patio sul retro. Papà entrò sospettoso, con fare poco rassicurante, controllando tutto, per paura che fosse rimasto qualche animaletto – almeno così avevo capito io perché l’avevo sentito dire che non gli sarebbe piaciuto ereditare un gusano. E mamma si mangiava le unghie, gli occhi lucidi. Il delegato del Comitato per la Difesa della Rivoluzione sbadigliò e se ne andò: aveva ancora molto lavoro, una lunga lista di gente da denunciare e non aveva dormito tutta la notte per fare la guardia sul retro dell’isolato. La casa era appartenuta a uno scultore che se ne era andato a Miami. Mamma mi prese per mano i iniziò a mostrarmi gli oggetti esposti come in un museo». Le rovine del centro diventano così l’ingrediente essenziale della poetica cubana, come nel caso del Rudere di Eliseo Diego: «La casa distrutta dalla luce fortissi-
ma/ mi lascia in gola un sapore di polvere,/ sono abbacinato dalla sofferenza/ della sua lenta determinazione a morire/ la sua esausta determinazione a morire,/ il suo immenso dolore./ Infinitamente logora, trova ancora difficile separarsi da se stessa,/ come se non conoscesse la strada/ come se sottovalutasse le sue ferite, fiduciosa,/ ma all’improvviso riconosce la piaga atroce e fatale, e decide./ Con calma apparente/ grandiosa e silente nel suo orrore/ si fa polvere». l Novecento di Cuba è soprattutto il regime di Batista e la dittatura di Castro, con la revoluciòn protagonista indiscussa della propaganda di Castro. Quasi tutti gli scrittori rimasti nell’isola (insieme a molti altri che vi sbarcano) lucidano le trombe e compongono smaccati ditirambi. È questo il caso di Emilio Roig de Leuchsenring. Lo spunto stavolta è la Plaza Civica. L’estetica si confonde con l’ideologia e la pagina risente subito il fiato corto di un componimento che sembra quasi di plastica: «Quasi totalmente priva di vegetazione anche se avrebbe dovuto essere un’area verde, i sentieri polverosi e non asfaltati che non sboccano su nessuno dei viali, con la visuale bruscamente interrotta a ogni passo, la Plaza Cìvica non era bella allora né oggi, né mai diventerà ciò che era stato progettato. Però si è trasformata in qualcosa di più. La rivoluzione conferisce dignità a tutto ciò che tocca e il destino che ha scelto per questa piazza, eleggendola come cuore della città e della nuova nazione, fa dimenticare non solo i suoi difetti ma tutte le ombre della storia… Plaza de la Revoluciòn non è solo un grande polo urbano che avrebbe potuto essere strutturato in modo più artistico, è un luogo sacro, quindi il suo valore trascende l’estetica. Qui batte il cuore della nazione. Vive dell’entusiasmo senza fine delle adunate popolari; è un mare di cappelli di paglia e di machete branditi dai contadini convenuti ad appoggiare le riforme agrarie; è un fiume di bandiere, di uomini e di donne, di musica e slogan per il primo maggio; è il teatro dell’intimo rapporto fra il leader della rivoluzione e il suo popolo di rivoluzionari; è la
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vibrazione del comizio, non soffocato ma sostenuto da un coro di urla appassionate; è Fidel che scandisce ogni singolo paragrafo della Dichiarazione dell’Avana con una moltitudine sterminata che la acclama come un oceano in tempesta». Pura ideologia, insomma. Ma tra le secche dell’agiografia restano, a decine, le descrizioni entusiastiche dei paesaggi e dei lidi, dei celi tersi o dei tramonti con una manciata di cirri. Sono queste forse, le pagine sulla città meno rare ed apprezzate. Stavolta la firma è del poeta e drammaturgo Antòn Arrufat: «Parevi galleggiare nell’aria sullo sfondo del cielo chiaro. Sembrava che quella fosse la tua naturale sede… anche se sei immobile ora, hai una grazia rara, il capo all’indietro a scandagliare il mare e il porto, un braccio forte sull’anca che regge la palma della vittoria con un delicato gesto della mano… il corpo trattiene l’istinto a girarsi, un accenno di movimento quasi impercettibile che non si concretizza mai. Questo è il tuo incanto; lasciatelo dire, sei bella. Assomigli a volte a una polena di quei vascelli dai decori intricati che l’impero di Spagna costruiva all’Avana. I tuoi abiti sanno di mare, l’impronta del vento sulla prua delle navi che solcano le onde». Ma questa, romantica quanto si vuole, è solo la superficie. Dietro, si nasconde un’isola dannatamente suggestiva, che sembra ormai da secoli rassegnata al suo destino. Bibliografia Alejo Carpentier, Il secolo dei lumi, traduzione di A. Morino, Sellerio, pp. 478, euro 12, 39 Alejo Carpentier, La città delle colonne, traduzione di M. Mincuci, Diabasis, pp. 138, euro 26 Alejo Carpentier, L’Avana, amore mio, traduzione di G. Maneri, Baldini e Castoldi Dalai pp. 116, euro 7,90 Zoé Valdes, Il nulla quotidiano, traduzione di B. Bertoni, Giunti, pp. 158 euro 5,90 Roig de Leuschsenring, La Habana, apuntes històricos, Editorial del Consejo Nacional de Cultura, La Habana, 1963 Per una guida letteraria dell’Avana, Claudia Lighfoot, L’Avana, traduzione di N. Poo, Bruno Mondadori, pp. 276, euro 12
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I VIGLIACCHI DELLA STORIA La nave austriaca Kaiser Max, speronò la Re d’Italia affondandola, intanto un’altra corazzata, la Palestro, esplodeva. E mentre gli italiani attendevano ordini che non arrivavano, la flotta del nobile italiano si ritirava. Il bilancio fu di oltre seicento morti ercelli, come è noto, sta in mezzo alle risaie, ben lontana dal mare. E Vercelli diede i natali nel 1806 a Carlo Pellion, conte di Persano, l’ammiraglio della nuova Italia unita che nel 1866 legò il suo nome alla battaglia di Lissa, non tanto per la sconfitta, sempre possibile negli scontri militari, quanto per il modo in cui avvenne, che nel 1866, dopo la sconfitta di Custoza, gettò una macchia sulle capacità operative delle forze armate. Il Nostro era il tipico esempio, quasi caricaturale in certe manifestazioni, di una casta militare abituata più alle manovre da campo e alle trame ministeriali che ai confronti sui campi di battaglia. La sua fama iniziale era legata alla prima circumnavigazione del globo compiuta da un veliero della marina sarda: tre anni di viaggio su un bel brigantino, l’Eridano, durante i quali il novello Magellano, sempre affiancato da due robusti marinai, in quanto non sapeva nuotare, si era conquistato la fama di signore degli oceani. Anche i grandi si sbagliano e Cavour gli diede la sua stima affidandogli il comando della flotta che doveva bombardare il forte di Gaeta, dove era l’ultima resistenza borbonica. Il bombardamento, del gennaio 1861, avvenne a tale distanza, per il timore delle palle napoletane, che nessun colpo arrivò a segno. Persano affermò di avere avuto ordine
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Persano
La sconfitta di Lissa dell’ammiraglio temporeggiatore di Aldo G. Ricci
La sua parlantina abbindolò non solo Cavour, ma anche altri personaggi che ne favorirono la carriera, come d’Azeglio, Rattazzi (che lo volle ministro della Marina) e Ricasoli, il barone “di latta”
da Cavour di non mettere in pericolo le navi e Cialdini, che aveva il comando delle operazioni, scrisse al ministro Fanti un biglietto di fuoco chiedendo se fosse vera la scusa del Nostro. “Tu sai, scriveva, che ho delle ragioni per supporre che l’ammiraglio sia un falso coraggioso”. Le ragioni erano presto dette. Cialdini e Persano si erano trovati a operare insieme nel settembre dell’anno precedente duran-
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te la conquista delle Marche da parte delle truppe sarde, e in particolare ad Ancona, che, secondo i piani, avrebbe dovuto essere conquistata dal mare proprio dalla flotta comandata dal Nostro. Il tentativo di un commando dal mare era fallito e allora si era proceduto a un bombardamento dal largo, dove, more solito, la nave dell’ammiraglio procedeva sempre ultima alle operazioni e a distanza di sicurezza. Nonostante queste circostanze, ben note ai militari di terra, e in particolare al Cialdini, che aveva battuto sul campo, a Castelfidardo, le truppe pontificie guidate dal generale Lamoricière, Persano ne era uscito come il conquistatore di Ancona, e Cavour aveva concesso che la resa venisse firmata a bordo della Maria Adelaide, vale a dire la nave ammiraglia del novello Magellano. Non solo Cavour era stato abbindolato dalla parlantina pseudo tecnica del Nostro, ma anche altri personaggi di primo piano, che ne favorirono la carriera negli anni successivi, a cominciare da Massimo d’Azeglio, Urbano Rat-
tazzi (che lo volle ministro della Marina) e Bettino Ricasoli, il barone “di ferro”, o “di latta”, come diceva Cavour. Quest’ultimo presiedeva il governo nel giugno 1866, succedendo a La Marmora, durante la Terza Guerra d’Indipendenza, e proprio lui lo volle al comando della flotta incaricata di lavare l’onta della sconfitta di Custoza contro gli austriaci, nonostante le perplessità del ministro della marina, Agostino Depretis. Arriviamo così alla resa dei conti, a quel momento della verità che segnò la fine della brillante carriera dell’ammiraglio che non sapeva nuotare. Il 20 giugno venne inviato l’ordine a Taranto, dove la flotta si trovava, di spostarla ad Ancona (ancora la fatale Ancona), al centro delle operazioni nell’Adriatico. Il trasferimento durò ben cinque giorni, durante i quali Persano cominciò a inondare il ministero di telegrammi nei quali veniva fatto un elenco infinito di tutto ciò che mancava per la perfetta efficienza della flotta. Il 27 giugno avvenne il primo episodio che fece in
qualche modo presagire la catastrofe imminente. L’ammiraglio austriaco, Wilhelm von Tegetthoff, si presentò al largo di Ancona con le sue sette corazzate schierate in ordine di combattimento, invitando la flotta italiana alla battaglia. Ma Persano, con le sue dodici corazzate, non era pronto e solo dopo molte insistenze accettò di fare uscire la flotta, tenendola però al riparo dei cannoni dei forti. Dopo due ore di vana attesa gli austriaci, lanciando ironici sbuffi di fumo e segnali di sirene, fecero dietrofront, mentre la flotta italiana rientrava in porto senza neppure un finto tentativo di inseguimento o un paio di cannonate per salvare la faccia, con grave smacco di tutti i comandanti delle navi, che cominciarono a parlare apertamente della vigliaccheria del loro ammiraglio. Ma era solo l’ouverture. Anche al ministero si cominciava ad averne abbastanza e i telegrammi per ordinare di agire, nel timore che si arrivasse alla pace senza una rivincita sul mare, si accumulavano sul tavolo ordinatissimo di Persano, che aspettava una nuova corazzata invincibile, l’Affondatore. Alla fine l’idea: attaccare l’isola di Lissa, in Dalmazia, per aprire la strada a una improbabile invasione dell’altra sponda. Due giorni di bombardamenti inutili dell’isola finché il 20 luglio si vide arrivare la flotta austriaca, mentre quella italiana faticava a mettersi in linea di combattimento. Persano si trasferì subito dalla sua ammiraglia, la Re d’Italia, sull’Affondatore, e si chiuse in una torretta corazzata da cui era impossibile guidare la battaglia, mentre la maggior parte delle navi non si era accorta del cambiamento ed era in attesa di ordini. La battaglia fu breve. L’ammiraglia austriaca, la Kaiser Max, speronò la Re d’Italia affondandola, mentre un’altra corazzata, la Palestro, esplodeva. Dopo due ore di cannonate sparate per lo più dagli austriaci, mentre gli italiani attendevano ordini che non arrivavano, la flotta di Tegetthoff si diresse verso Lissa, mentre quella italiana, dove era finalmente riemerso Persano, faceva rotta per Ancona, rinunciando a un inseguimento ancora possibile e con un bilancio di oltre seicento morti. La carriera del Nostro era finita. L’Italia lo voleva morto, ma questo avrebbe messo in discussione i suoi protettori. Ci si limitò a condannarlo e a destituirlo, ma non gli si poté impedire di riempire giornali e memoriali con la sua prosa sciatta e burocratica per dimostrare l’indimostrabile, e cioè che la sua era solo prudenza che aveva evitato guai maggiori.
I SENTIMENTI DELL’ ARTE C’è un grande assente nel cinema americano attuale. Anzi, un caro estinto. Disciplinato e chiuso dentro griglie asfissianti durante gli anni Cinquanta dal codice Hays, liberato improvvisamente tra la fine dei Sessanta e l’inizio dei Settanta e scoppiato poco dopo. Infine, scomparso oggi: il sesso. Il motivo della sua scomparsa improvvisa (almeno nel cinema americano)? Ce ne sarebbero almeno una decina. E qui entreremmo in un lunghissimo discorso sui meccanismi in atto negli Studios, sulla tendenze da adottare e via dicendo. La cosa importante da notare è che il sesso nel cinema americano attuale è stato rimosso. Cancellato, bypassato, addormentato. Un bene, un male? La seconda, probabilmente. Perché, al di là di quello che viene mostrato in campo, il cinema è di per sé qualcosa impregnato di sguardi, di corpi, di desideri. Che il sesso poi si veda o meno, diventa cosa secondaria, soprattutto se si pensa alla sensualità sprizzata dal cinema più erotico di tutti i tempi (Lubitch, Hithcock, Sternberg, Wilder). Premessa necessaria a inquadrare nella giusta luce uno degli ultimissimi esempi di cinema dedicato al tema. Il suo prezioso autore? Paul Schrader che è come dire una delle teste di serie del cinema americano anni Settanta e Ottanta. Su “Autofocus”(il suo ultimo film ad aver avuto una normale distribuzione nel nostro paese) si potrebbe scrivere un libro. È un portentoso saggio sui meccanismi infernali che spingono avanti il mondo dello spettacolo, una lancinante e dolorosissima riflessione sulla perdita e più di tutto un’agghiacciante ricognizione sulla dipendenza. In primis, quella da sesso. Non è una novità per Schrader. Sin dai primordi della sua carriera (basti pensare alla sceneggiatura di “Taxi Driver”), il regista americano ha sempre provato a filmare la tentazione, il baratro subito successivo e la conseguente redenzione. Un ferreo calvinista cresciuto a pane e sensi di colpa. Ma anche un cineasta che dopo più di trent’anni di carriera continua a filmare le ombre dell’uomo, le zone oscure della sua anima, gli anfratti dello spirito. Ebbene, la lussuria? Nel suo cinema abbonda. Non c’è un personaggio che non venga tentato violentemente e che non cada fra le braccia del piacere, per poi vedersi scombussolare tutto intorno. La vita, in primis. Basti tornare con la memoria ai malcapitati caduti nella tela della Kinsky (“Il bacio della pantera”), alla Hutton persa negli occhi del Gere di “American Gigolò”, sino ad arri-
LA LUSSURIA Il film: “Autofocus” di Paul Schrader
L’inferno dei malati di sesso di Francesco Ruggeri
Immagini tratte da “Autofocus” (2002). Il film racconta la brama di una lussuria malata. A lato: i due protagonisti Greg Kinnear e William Dafoe
vare allo splendido Greg Kinnear di “Autofocus”, personaggio ricalcato su un attore realmente esistito: Bob Crane. Di chi si tratta? Di un attore televisivo americano degli Anni Sessanta. Uno che ha iniziato in radio come tanti altri e che poi ha trovato la via del successo interpretando il protagonista di una famosa serie televisiva (“Gli eroi di Hogan”). Nulla di strano, al-
meno apparentemente. Perché la vita di Bob è davvero al di sopra di ogni sospetto. Un lavoro interessante, una bella famigliola, una casa accogliente. Cosa chiedere di più? Praticamente nulla. Ma le cose non vanno così. In una splendida sequenza, la moglie di Bob scopre che l’uomo nasconde in garage diverse riviste pornografiche. Gli chiede lumi, ma lui non sa cosa risponderle. Si limita a dirle che il giorno dopo le butterà via. Inutile. Bob sta per cominciare una nuova vita. Parallela, oscura, perversa. A darle il là è l’incontro con John Carpenter (Willem Dafoe), un tecnico conosciuto sul set della serie televisiva. È lui a introdurlo in un mondo oscuro fatto di locali di spogliarelliste, di donne equivoche e di incontri proibiti. I due formano presto una sorta di vera e propria alleanza. Crane, grazie alla sua notorietà, procura gli appuntamenti galanti e Carpenter li filma con le sue apparecchiature modernissime (fra le quali l’antenata della videocamera). Orgie, accoppiamenti selvaggi, donne su donne che si offrono loro come niente. E Crane diventa nel giro di poco un sesso dipendente. Un maniaco incapace
Il regista filma come nessun altro la trasformazione di un uomo in uno zombie cadente tra orge e accoppiamenti selvaggi
Greg Kinnear ricalca i panni di un attore realmente esistito, Bob Crane; William Dafoe è John Carpenter, un tecnico del suono che introdurrà Crane in un mondo di incontri proibiti
di dire no a congressi carnali di ogni tipo. La frase simbolo del film? “Un giorno senza sesso è un giorno sprecato”. Nulla può il sacerdote di famiglia che si intrattiene con Crane in una tavola calda cercando di riportarlo all’ovile, nulla può sua moglie, sempre paziente, sempre pronta a chiudere un’occhio. Almeno fino al divorzio. Schrader filma come nessun altro la discesa agli inferi, la sfrenata lussuria di un uomo trasformatosi in uno zombie cadente, nell’ombra artefatta di quello che era. Si è vista raramente sul grande schermo una rappresentazione così terribile del sesso. Di erotismo nemmeno l’ombra. Di vita nemmeno. Tutto è asettico, vuoto, mortuario. La gioia del sesso appartiene a un’altra vita. È rimasto solo il peccato. E la brama di una lussuria malata da cui non si esce che con la morte.
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Cruciverba d’agosto
“Contessa, che è mai la vita?”
di Pier Francesco Paolini ORIZZONTALI
1) ...... fatiche e rovinar mestieri / questa gli è l’arte di ser Giulio Neri (Anonimo Pisano del sec. XIV) • 8) ...... mare romanzo del 19 or. • 14) Provincia delle Marche (sigla) • 16) ...dal volto rimovea quell’...... grasso (Inferno, IX) • 19) Esordì in narrativa con Castelli di rabbia • 20) “La ...... ......’......”, romanzo di Richard Adams • 23) ...... ......’......, film di Luchino Visconti • 25) Perché, per quanto barbaro e selvaggio, / de’ granchi il ...... (Leopardi, Paralipomeni, II, 17) • 26) Cagliari • 27) Mettere in grado di funzionar di nuovo • 29) Sant’...... di Poitiers • 30) Terzo • 32) Congiunzione latina • 34) Il Cromo • 35) Ed ...... verso noi venir per nave... (Inferno, III) • 36) Tutto inglese • 37) Filosofo greco di Agrigento morto nel 432 a.C. • 40) E qual ...... vol tener la dritta via / ... / mortal nemico d’amor sempre sia (Cecco Angiolieri, sonetto LXI) • 41) Patricia, attrice (La fortuna di Cookie, 1999) • 42) Fu metropoli cristiana in Cirenaica (chiamata anche Tolmetta) • 44) Aria pesante • 45) Nave in greco • 47) ...... con zero di Italo Calvino • 48) Numero di copie stampate • 49) “Con” tedesco • 50) Figlia di Tolomeo III Evergete sposò il fratello Tolomeo IV Filopatore • 52) Romanzo di Steven King (La Cosa in Italia) • 53) ...per cui morì la vergine Cammilla / Eurialo e Turno e ...... di ferute (Inf. I) • 54) Prov. delle Marche • 55) Rovigo • 57) Cura i diritti d’autore • 58) Kundera, scrittore ceko • 61) Mettersi qualcosa indosso • 64) Casa cinematografica statunitense • 67) ...... sont les neiges d’antan? • 68) Secondaria identità • 71) Ente Naz. Assistenza Lavoratori • 72) Gringo, film del 1965 con Giuliano Gemma • 74) Contessa, che è mai la vita? È ......’...... ......’...... ...... (Carducci) • 79) Notizie dall’...... di Montale comincia così: Il fuoco d’artificio del maltempo... • 80) Sempre caro mi fu quest’ermo ...... (Leopardi) • 81) Offerta in sacrificio a una divinità
VERTICALI
1) Iniz. del regista Bolchi • 2) Felice..., drammaturgo che morì in duello (I Pezzenti, 1872) • 3) Catena montuosa dell’India nord-occidentale • 4) Ne è capitale Niamey • 5) Archeologo tedesco che individuò il sito dell’antica Troia • 6) Eumatozoi della cavità compresa fra il tubo digerente e la parte estrema del corpo • 7) Il nome della ...... di Eco • 8) di questo albergo ...... abitai fanciullo (Leopardi, Le ricordanze) • 9) Uno sport • 10) ...... se’n va sentendosi laudare (Dante, Vita nova) • 11) Le braccia aperse e indi aperse l’xxx (Purg. XII) • 12) Kelly, “epico” bandito australiano su cui romanzi e film • 13) Fiume della Germania • 14) Spaventarsi, mettersi in guardia • 15) In assenza del signor ...... di Antonio Debenedetti • 16) Personaggio della Semiramide di Rossini • 17) Regione italiana governata dai bizantini con capitale a Ravenna • 18) Rovigo • 21) Or convien ch’...... per me versi (Purg. XXIX) • 22) ...... di Beauharnais, regina d’Olanda • 24) Angoloide con tre facce • 25) Fabbrica di automobili • 28) Le isole del dio dei venti • 31) “All’...... di quel metallo...” (Barbiere di Siviglia) • 32) Ne era re Oberon • 33) Vi agiscono le marionette • 38) Tum ...... Aeneas stricto sic ense precatur (Eneide, XII-175) • 39) Scrisse il romanzo La peste • 43) ...... Commedione • 46) Xxx e costumi • 51) O ......! e di te forse non odo... (Leopardi, Le ricordanze) • 52) Provincia ligure • 54) E il capo tronco tenea per le chiome / ...... con mano, a guisa di lucerna (Inf. XXVIII) 56) Gioiellieri • 59) I ...... del cervello • 60) Erano i capei d’oro a l’...... sparsi (Petrarca) • 61) Il ...... di Pandora • 62) Figlio di Cicno, re di Colone • 63) Catapecchia in inglese e, al plurale, bassifondi • 65) Jan, critico teatrale polacco: Shakesopeare nostro contemporaneo (1961) • 66) Un Libro dell’Antico Testamento • 68) Romanzo di Nabokov • 69) Lucca • 70) Murder, ...... film Usa del 1960 (tit. it. Sindacato Assassini • 72) L’...... della bilancia • 73) Oreste ...... Buono • 74) la vocale “blu” e la “nera” in Rimbaud • 75) Iniz. di Marino Moretti • 76) La “chiocciola” • 77) Iniz. di Gustave Lanson • 78) Iniz. del pittore Morandi.
L’Almanacco LA POESIA STRADE
Hanno detto di… coraggio
L’origine de… i dadi da gioco
È la stupidità piuttosto che il coraggio che ti fa negare il pericolo anche quando lo hai davanti. Arthur Conan Doyle
I dadi da gioco hanno un’origine antichissima. Sofocle riteneva che fossero stati inventati da Palmede, un astuto condottiero greco, durante la guerra di Troia; Erodono ne attribuiva l’invenzione ai popoli della Lidia. In realtà numerosi reperti archeologici hanno dimostrato che erano già utilizzati molto secoli prima da numerosi popoli. Gli esemplari più antichi furono ritrovati nel 1972 all’interno di una tomba risalente a V millennio. Inizialmente erano considerati oggetti magici, utilizzati per divinare il futuro. Forse anche per questa ragione venivano conservati nelle tombe. In seguito divennero oggetti per il gioco, soprattutto quello d’azzardo. a cura di Maria Pia Franco
D&R Inutile chiedersi che lago protetto da aironi si trovava nell’altra vallata, o rimpiangere i canti del bosco che non avevo attraversato.
Che cos’è il signoraggio? È la differenza fra il valore legale di una moneta e i suoi costi di produzione. L’espressione risale ai secoli scorsi, quando i sovrani facevano coniare monete d’oro o argento cui attribuivano un valore nominale superiore a quello del metallo di cui erano fatte. Il signoraggio, dunque, indicava (e in parte indica tuttora) il guadagno dello Stato che emette la valuta.
Inutile chiedersi dove potevano portare altre strade, LA SOLUZIONE DI IERI
dato che portavano altrove; poiché è solo qui e ora la mia vera destinazione. È dolce il fiume nella tenera sera e tutti i passi della mia vita mi hanno portata a casa.
DI
RUTH BIDGOOD
TRADUZIONE DI GIORGIA SENSI
“In parti uguali”
il nuovo bimestrale di geostrategia in edicola il terzo numero del 2008 120 pagine per capire il pianeta • Libano, l’incognita Suleiman • Kuli Khan, il Napoleone della Persia • Il mare nostrum secondo Sarkozy Mario Arpino, Heidi Holland, Virgilio Ilari, Carlo Jean, Michele Marchi, Andrea Margelletti, Mario Rino Me, Carlo Musso, Andrea Nativi, Michele Nones, Emanuele Ottolenghi, Daniel Pipes, Luigi Ramponi, Stefano Silvestri, Maurizio Stefanini, Davide Urso
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cultura I documenti sulla tragedia delle foibe sono incontestabili e i “numeri” si impongono nella loro terribile evidenza. Ma il terreno da esplorare è ancora vasto. Ad esempio, molto sappiamo sulle foibe e sull’esodo; poco, invece, sugli Italiani che restarono nei territori passati sotto la sovranità di Tito
ino a un paio di decenni fa, a testimoniare l’orrore delle foibe - rimosso dalla coscienza nazionale con l’avallo della storiografia “politicamente corretta”-, erano soprattutto gli esuli giuliani, istriani, dalmati, fuggiti a migliaia da terre dove la presenza italiana aveva radici secolari, ma che erano state ferocemente “slavizzate” dal nazionalcomunista Tito, alfiere di una vera e propria pulizia etnica. Con le loro associazioni e le loro pubblicazioni, i “profughi” (spesso accolti con freddezza da una Paese che voleva dimenticare le tragedie della guerra “di Mussolini”) mantenevano viva la memoria di quel che era accaduto. Fitti di nomi e date, luoghi ed eventi, i loro “martirologi” circolarono per anni nella semiclandestinità: gran parte degli storici d’Accademia li ignoravano, liquidandoli spesso come“roba fascista”.
F
Poi, quei documenti, che sicuramente grondavano “lacrime e sangue”e dunque anche passioni ed emozioni, e magari appelli enfatici a improbabili“ritorni”, cominciarono a trovare ascolto e cittadinanza. Numerosi, oggi, sono i saggi sulle foibe e sull’esodo, l’argomento è affrontato nei manuali di storia per le superiori, tutti gli anni viene celebrata una“giornata della memoria” e un presidente post-comunista di impeccabile equilibrio bipartisan come Giorgio Napolitano ha saputo pronunciare sulla materia parole pietose e ammonitrici. E tuttavia c’è ancora chi sottovaluta. E chi nega. Per non parlare di chi tira fuori il tormentone dell’antifascismo militante per buttarla in rissa (ricordate gli scontri alla Sa-
Tre libri per riscoprire un dramma occultato dalla storiografia ufficiale
Foibe, l’orrore rimosso dalla coscienza nazionale di Mario Bernardi Guardi pienza dello scorso maggio tra i “fasci” di Forza Nuova e i “neotitini”dei “collettivi”?). Eppure i documenti sono incontestabili e i “numeri”si impongono nella loro terribile evidenza. Ma il terreno da esplorare è ancora vasto. Ad esempio, molto sappiamo sulle foibe e sull’esodo; poco, invece, sugli Italiani che restarono nei territori passati sotto la sovranità di Tito. Ci illumina in merito un saggio di Sergio Tazzer (“Tito e i rimasti. La difesa dell’identità italiana in Istria, Fiume e Dalmazia”, Goriziana, pp. 240,euro 20) che racconta, appunto,le vicende di quegli otto- diecimila italiani che, per i più svariati motivi (impossibilità di fuggire, vecchiaia, malattia, volontà di collaborare con Tito a maggior gloria del comunismo ecc.) non abbandonarono le zone “slavizzate”. E che come premio per il loro attaccamento subirono ogni sorta di emarginazione o persecuzione, mentre Tito si
impegnava sistematicamente a distruggere ogni residua identità culturale italiana, chiudendo scuole, biblioteche, associazioni ecc.
Vero è, d’altra parte, che l’Italia fascista, con l’annessione diretta della Dalmazia e di parte della Slovenia, con l’unione all’Albania del Kosovo e della Macedonia nord-occi-
ropa: tra slanci nazionalistici, patriottismi etnici e passioni ideologiche, il conflitto non conobbe risparmio di colpi (“L’occupazione italiana della Jugoslavia.1941-1943”, a cura di F.Cacciamo e Luciano Monzali, Le Lettere, pp.427,euro 38). Del resto, i nodi che vennero al pettine erano antichi e aggrovigliati, come ci documenta la ricerca condotta da Marina Cattaruzza (“L’Italia e il confine orientale”,
C’è ancora chi sottovaluta o nega. Per non parlare di chi tira sempre fuori l’antifascismo militante per buttarla in rissa dentale, con l’affermazione di una sfera d’influenza in Croazia e Montenegro, pensava di conseguire una duratura egemonia adriatica e in parte anche balcanica, e si mosse dunque secondo le linee di una politica di potenza o, quanto meno, di sicurezza geopolitica. Ed è vero che si trovò a fronteggiare e a contrastare duramente un movimento di resistenza dotato di una tenacia senza paragoni nel resto d’Eu-
Il Mulino, pp. 392, euro 14). Con una messe di informazioni, un rigore e un equilibrio, che le hanno valso l’apprezzamento di Sergio Romano, l’Autrice analizza il ruolo svolto nella storia italiana dall’appello prima patriottico-risorgimentale, poi sempre più “nazionalista”, alla “liberazione delle terre irredente”. E se quelle suggestioni, a fronte della parabola del patriottismo italiano e della crisi dell’idea di nazione, appaiono oggi “datate” e fortemente appannate, per anni e anni, a par-
tire dal 1866, avevano alimentato un “mito d’azione”che era anche un progetto politico variamente declinato.
Perché ci furono un irredentismo democratico che vide il primo conflitto mondiale come “quarta guerra del Risorgimento”, un irredentismo nazionalista per cui la “questione adriatica”doveva essere risolta nell’ottica di una politica di espansione territoriale, un irredentismo rivoluzionario cavalcato dal d’Annunzio fiumano, tra suggestioni patriottiche e libertarie. E come agirono (o di volta in volta reagirono) le classi dirigenti? Il percorso che la Cattaruzza ci propone è di particolare interesse perché non solo “definisce” il confine orientale nella sua complessa tessitura etnica , seguendone le complicate vicende diplomatiche,politiche, militari fino ai nostri giorni, ma anche perché dà spazio al dibattito che coinvolse generazioni e generazioni di intellettuali. A partire da Giuseppe Mazzini che il 25 agosto 1866, sull’”Unità Italiana” pubblicava un articolo dove tra l’altro si leggeva: «Le Alpi Giulie son nostre come le Carniche delle quali sono appendice. Il litorale istriano è la parte orientale, il compimento del litorale Veneto. Nostro è l’Alto Friuli. Per condizioni etnografiche, politiche, commerciali, nostra è l’Istria (…). Nostra è Trieste: nostra è la Postina o Carsia or sottoposta amministrativamente a Lubiana(…). L’Istria è la chiave della nostra frontiera orientale, la Porta d’Italia dal lato dell’Adriatico, il ponte che c’è tra noi, gli ungaresi e gli slavi”. Un Mazzini “irredentista”? E magari un po’“nazionalista”?
musica
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Lo swing-blues ironico e sarcastico di Randy Newman nel suo ultimo disco “Harps and Angels“
Un Oscar che le suona all’America di Valentina Gerace onosciuto nel mondo del cinema per le sue colonne sonore Randy Newman è uno degli artisti americani di riferimento di questi ultimi decenni. Autore di musiche diventate classici della musica popblues americana. Sono sue le musiche di famosi film come Cold Turkey (1971), Parenthood (1989), Awakenings (1990), Avalon (1990), The paper (1994), Ragtime (1981), A bug’s life (1998), Meet the Parents (2000), Toy Story (1995), Toy Story 2 (1999), Monsters & Co. (2001) che gli sono valse ben 17 nomination all’ Oscar. Dopo quasi dieci anni dal suo ultimo album, Bad love (1999) torna a comporre. E lo continua a fare con il sarcasmo e l’ironia tagliente di sempre ma anche con la classe e l’eleganza che contraddistinguono tutti i suoi album precedenti. Con “Harps and Angels” (Agosto 2008) si conferma ancora musicista di grande ingegno e sensibilità. Compositore anticonvenzionale, dal timbro vocale tipicamente blues, Newman è un attento osservatore della sua America, il Paese dalle grandi ombre e dalle profonde contraddizioni e non perde occasione di raccontarla e criticarla con humour, cinismo, realismo e struggente poesia. Lo fa attraverso schizzi di personaggi estratti dal margine della società americana. Rozzi, bigotti, piromani, traditori, perversi, razzisti, formano una galleria di personagginarratori creati per lasciare un’impronta durevole. La sua è una figura ambigua. Deride i neri, gli asiatici, la gente comune, a volte nei panni dell’egoista dissacratore, altre volte nei panni dell’idealista , illuso e patriottico. In realtà è un misantropo innamorato della gente, del suo paese. Il suo intento è quello di provocare, beffeggiare e offendere tutti, con parole dissacranti, senza pudori o paura che il suo humor venga frainteso.
Nato nel 1943 a New Orleans si trasferisce a Los Angeles dove si diploma in composizione all’Università della California. Le sue canzoni vengono cantate da Ray Charles, Barbara Streisand, Johnny Cash. A 22 anni è già un instancabile e originale compositore e arrangiatore alla Warner Bros
C
suoi testi, non sempre nasconde toni di profonda amarezza, delusione, e sofferenza. Dietro un sarcasmo quasi disperato aleggiano la critica a un governo noncurante e menefreghista, ad un America descritta come un impero che sta tramontando, a un Dio cinico e quasi grottesco che deride l’umanità mentre questa lo adora. E ancora, canta il dolore per la morte di un figlio, la sofferenza dell’uomo ricco e del povero, le disillusioni della gente comune.
L’album contiene A few words in defense of our country, singolo già cantato da Randy Newman durante il suo tour in Europa nel 2006, classificato dalla rivista Rolling Stone singolo dell’anno. Il testo contiene una critica acida e sarcastica al governo americano che, dopotutto, non è il peggiore che l’uomo abbia conosciuto. Cita dittatori quali Stalin, Hitler, i re che dominano l’Africa, sfruttandone i diamanti e lasciandola morire di malaria, l’inquisizione spagnola. Quasi a consolare l’America di oggi. E la canzone si chiude con un provocatorio Addio all’impero americano. Si fa aspra l’ironia verso il sogno americano in A piece of the pie. Una critica sociale audace, sottoforma di brano teatrale, orchestrale che denuncia i ricchi che si stanno arricchendo sempre di più. Un coro patriottico che fa omaggio al mito di Jackson Browne. Toni dissacranti caratterizzano anche Laugh and be happy e Korean Parents, quest’ultima una danza elegante con abbellimenti kitsch orientali, che lancia un confronto tra i ragazzi asiatici e quelli americani, prendendosi gioco di entrambi. Non mancano melodie toccanti e tristi: Losing you, e Feels like home sono ballate semplici, piacevoli, sullo stile di Tom Waits o Frank Sinatra che non rispecchiano esattamente il suo temperamento critico ma sono melodie tenere, no-
L’autore di musiche da film e canzoni indimenticabili si conferma un attento osservatore del suo Paese
Il suo ultimo album, Harps and Angels è una raccolta di 10 brani, solo 36 minuti di musica che contengono diversi generi musicali, dal country-western, allo stile Dixieland, dal pop orientaleggiante, al pop moderno, dal charleston sarcastico a un blues triste e desolato. Il pianoforte e la sua voce sono accompagnati da una band formidabile composta dallo stesso produttore Mitchell Froom alle tastiere, Pete Thomas alla batteria, il virtuoso jazzista Greg Cohen al basso, Steve Donnelly alla chitarra e Greg Leisz al pedal steel guitar. Il tutto arricchito da eleganti cori e da una raffinata orchestra che evidenzia il suo profondo spessore musicale e le sue doti da musicista navigato. L’incedere ironico e beffardo, quasi provocatorio dei
stalgiche che resteranno nella storia della musica pop-blues di tutti i tempi. Harps and Angels si aggiunge al mosaico di grandi successi del grande Newman che, nato da una famiglia di zii e cugini musicisti e compositori di colonne sonore, si è trovato catapultato nel mondo della musica sin da giovanissimo.
Nato nel 1943 a New Orleans si trasferisce a Los Angeles dove si diploma in composizione all’Università della California e inizia a lavorare per una casa di edizioni musicali. Le sue canzoni vengono cantate da Ray Charles, Barbara Streisand, Johnny Cash. A 22 anni è già un instancabile e originale compositore e arrangiatore alla Warner Bros. Oltre ad aver composto numerosissime colonne sonore, ha realizzato album di grande spessore. Randy Newman(1968) è il primo. Svela un artista ancora immaturo, ma contiene già canzoni orchestrali che mettono in luce il suo eclettismo e una parodia della tradizione americana. Quadri sarcastici e impietosi del profondo Sud, storie di tradimenti, stupri, e violenza caratterizzano 12 Songs (1970), il suo primo lavoro ufficiale,considerato il sesto album più bello degli anni 70. Di una bellezza travolgente, l’album contiene canzoni pop-blues immerse in un clima musicale anni Venti con le chitarre di Ry Cooder e Clarence White in evidenza. Newman lascia il tono goliardico e
irriverente e si fa più serio e formale nell’orchestrale Sail Away (1972). L’umorismo trionfa in un inno a un’America libera e affascinante. Peccato che le parole sono messe in bocca a un negriero che sta caricando sulla sua nave degli africani per andare a venderli come schiavi. Uno dei più importanti dischi pop di tutti i tempi, Sail Away contiene la famosa You Can Leave Your Hat On che in origine, pur parlando di un uomo impotente, sarà l’inno yuppie che Joe Cocker porterà al successo con il film 9 settimane e 1/2.
Si conferma supremo ”macchiettista” con gli sketch sudisti di Good Old Boys (1974), concept album che affonda la lama sulla mentalità ottusa dei redneck (razzisti) sudisti, cioè quella parte di americani tradizionalisti, mascherati da “contadini”.Canzoni come Louisiana 1927 e Kingfish raccontano l’uomo, i suoi valori individuali e le ottuse pseudo organizzazioni sociali. Il disco si addentra musicalmente nel gospel, gli arrangiamenti, specie nei fiati, trasformano le canzoni in un musical. Little Criminals nel 1977 lo fa conoscere e lo lancia nelle classifiche di vendite mondiali. Continua la satira politica con Trouble In Paradise (1983), raccolta di gag sarcastiche tra cui la canzone-manifesto I Love L.A., spiazzante nella sua satira densa di retorica. Un altro tassello da incorniciare nel grande panorama della musica cantautorale americana. Land Of Dreams (1988), prodotto da Mark Knopfler, James Newton-Howard, Tommy Lipuma e Jeff Lynne e Bad Love nel 1999, prodotto da Mitchell Froom e Tchad Blake, sono i suoi ultimi due grandi successi, per sobrietà strumentale e autenticità dei temi. Nonostante Randy Newman sia oggi più conosciuto per le sue colonne sonore, a cui si è dedicato dal 1984, la sua musica fatta di orchestre swing, desolati blues da night club, pianoforte e voce dai toni tipicamente tristi e dimessi, non può non affascinare gli appassionati di musica pop blues americana. Perché oltre ad essere un grande musicista che ha sovvertito i canoni della musica folk, è anche un poeta, uno “scrittore” che ha immortalato l’America del suo tempo. Le sue ballate sarcastiche, ironiche, dissacranti, taglienti sono dei veri e propri racconti di personaggi coordinari, muni, spesso sgradevoli, spesso derisi con l’immedesimazione del narratore stesso.
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società
Gli appuntamenti gastronomici sono ormai diventati caratteristici delle serate estive, ma spesso nascondono brutte sorprese
Tra sagre vere e false di Alfonso Francia lcuni ci sono stati trascinati da piccoli per volontà dei genitori e oggi non vogliono neanche sentirne parlare. Altri sono convinti che sia il modo migliore per trascorrere le lunghissime serate estive. Altri ancora pretendono di essere dei veri esperti del settore e sono capaci di sostenere noiosissimi discorsi sproloquiando con termini terribili come “territorio”, “valorizzazione”e il famigerato “genuinità”. Stiamo parlando delle sagre di paese, quelle manifestazioni che durante la stagione calda spuntano ovunque per reclamizzare tradizioni, riempire le piazze e far quadrare i bilanci comunali. Inizialmente, quando il turismo delocalizzato nei piccoli centri era ancora agli albori, erano semplici festicciole fatte per attirare qualche famiglia dai paesi vicini.
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Ma quando si è scoperto che frazioni e borghetti in giro per la Penisola erano diventati di moda si è scatenata un febbre tale che oggigiorno non esiste punto della cartina italiana che non vanti un prodotto tipico da far conoscere al circondario. Il problema è che la gastronomia italiana, per quanto ricca di sapori e ingredienti originali, a un certo punto si esaurisce. Non essendo possibile inventare alimenti nuovi, si è cominciato a riciclare ricette e a inventare tradizioni inesistenti. Così può capitare di trovarsi nel bel mezzo di una sagra delle alici fritte in un paesino dell’entroterra campano, a cento chilometri dalla costa nel bel mezzo dell’Appennino meridionale. Per evitare cocenti delusioni e truffe alimentari serve insomma qualche indicazione. Prima di tutto, la sagra ben fatta deve sempre avere un contesto. Trattandosi di una festa, il momento mangereccio sarà
quello principale ma non può essere l’unico. Il prodotto in questione deve essere raccontato, magari attraverso gli antichi forni dove veniva cotto, o tramite i canti che ne accompagnavano la preparazione e le festività che ne decretavano la raccolta.
Anche se l’effetto kitsch è alle porte, meglio preferire le sagre dove venite serviti da donne vestite in abiti tradizionali e si passeggia attraverso viuzze decorata a festa. Mancando questi elementi di contorno, il vostro appetito non verrà stimolato e vi troverete a mangiare in una piazza addobbata come una mensa della Caritas.Tutta la sagra in questi casi si esaurisce in una sconfinata serie di tavolate imbandite con piatti di plastica e tovaglie di carta; se vi azzardate a uscire dal recinto destinato al desinare, scoprirete strade deserte e desolate, e capirete che la festa era una scusa per spillare soldi ai turisti. Nei casi peggiori, capita anche che sia il proprietario di un negozio di alimentari a organizzare la festa, unicamente per vendere in breve tempo le sue giacenze. Venendo al cibo, va ricordato
va la carne.Va aggiunto poi che in questi casi il prodotto culinario, non essendo originario del paese in questione, proviene facilmente da fondi di magazzino di qualche grossa catena di distribuzione. La sagra di un legume sconosciuto, di un particolare tipo di polenta o di umili ortaggi potrà sembrare poco interessante all’apparenza, ma è senza dubbio genuina e potrebbe offrire l’occasione per sperimentare sapori dimenticti. Mal che vada, uno stand che fa anche le patatine fritte si trova sempre. Se poi avete comunque deciso di partecipare a una sagra fasulla, cercate almeno di evitare quella terribile del cinghiale. Ce ne sono ovunque in Italia, da nord a sud, tanto che viene da pensare che le superstiti foreste italiane siano completamente infestate dall’irsuto suino.
Qualche organizzatore, dotato di una certa inventiva, cerca almeno di arricchire la proposta con un contorno che, vi assicurano, veniva accompagnato dai nostri avi durante le loro fenomenali mangiate di braciole. Ovvio che, giunti alla meta, vi verranno servite semplici salsicce di maiale vergo-
Queste rassegne si ricollegano a un passato contadino che oscilla tra il povero e il miserabile: in basso la sagra del fungo porcino a Lariano, un comune dei Castelli romani; a destra i carri che sfilano a Muravera, in provincia di Cagliari; sotto il ”Polentone” a Orvinio, in provincia di Rieti e a destra la sagra del vino a Marino
giorni era tradizione mangiare un certo alimento. Ovviamente le sagre che abbiano le spalle coperte da un solido Sant’Antonio offrono un maggiore legame con la tradizione, ma fanno pagare un certo numero di disagi. Le discussioni tra parroco e sindaco, tra parroco e organizzatori o tra parroco e pro loco sono in questi casi all’ordi-
La ricerca delle tradizioni deve essere fatta con attenzione anche ai contesti. Non essendo possibile trovare alimenti nuovi, si è cominciato a inventare tradizioni inesistenti che queste rassegne si ricollegano a un passato contadino che oscilla tra il povero e il miserabile: diffidato quindi dalle sagre che propongono prosciutti, formaggi raffinati e piatti pesanti a base di carni affogate in sugo di funghi. Sono iniziative figlie del benessere economico, sagre da supermercato ignare che la dieta dei contadini fino a una sessantina di anni fa praticamente ignora-
gnosamente grasse, accompagnate da patate precotte e un bicchiere di vino qualunque. Altro sistema per scegliere la sagra adatta a voi consiste nel basarsi sull’origine sacra o profana della stessa. Alcune nascono autonomamente, solo per celebrare il momento conviviale; altre si collegano alla festa del patrono o a qualche data importante nel calendario liturgico, magari perché in quei
ne del giorno. Ci si può trovare nel mezzo di furiose litigate tra sostenitori della processione per le vie del paese e amanti del ballo liscio in piazza, neanche fossimo in un film di Don Camillo alle prese con Peppone.
Si arriva a volte a vere e proprie tregue armate, che richiedono un doppio programma, uno per le iniziative religiose e uno per quelle laiche. Superato
l’imbarazzo nel rimpinzarvi di pasta fresca mentre intorno a voi si recita il rosario, vi renderete conto di non aver considerato la presenza degli anziani del paese. Come sentinelle, controllano ogni ingresso dalle loro postazioni, tra panchine e tavolini del bar, e non solo vi riconoscono immediatamente come forestiero, ma possono facilmente intuire da che zona provenite. Secoli di vessazioni sui popoli del contado hanno reso gli ottuagenari istintivamente diffidenti nei confronti degli estranei, che in quanto ospiti vengono immediatamente riconosciuti come presenza sgradita, come facevano i Romani, che nell’hostis identificavano il nemico.
È bene quindi comportarsi in maniera corretta, e ricordare che anche se vi trovate lì per lasciare denaro contante siete appena tollerati. Meglio ancora, se fissati troppo intensamente da un vecchio contadino, farsi un giretto all’interno del borgo. Potreste trovare un certo fascino tra le stradine a
società
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(Antonio Ricci, non ti perdoneremo mai per il mago Casanova), scoprirete di essere arrivati fuori dal paese. Se in questo frangente vi ritrovate con la vostra lei o il vostro lui la situazione potrebbe anche rivelarsi piacevole, perché alcuni paesi
imbuto che immettono improvvisamente nella piazza del municipio o in quella della chiesa, ma non sperate di trovare un po’ di pace. Dato che il cliente va fatto divertire, la pro loco avrà sicuramente provveduto ad animare la serata con concerti, spettacoli e recite.
Di solito il palco principale è preso in ostaggio dai ballerini di liscio, che durante l’anno tengono in letargo la loro passione, sfogata animosamente sui selciati del paesino di turno. Se non siete amanti del genere, potrete comunque intrattenervi le impedibili ammirando uniformi dei musicisti. Vestono di solito con improbabili giacche bicolori, a righe bianche e rosse, neanche fossero gondolieri, e tengono in testa cappellini di paglia che forse volevano imitare le orchestrine francesi. Ma questa visione è niente al confronto del povero cantante, che da bravo uomo di spettacolo mantiene un coriaceo e suadente sorriso per tutta la durata del concerto, riuscendo contemporaneamente a sussurrare dolciastre frasi d’amore. Alcuni di questi gruppi purtroppo, non trovando abbastanza vistoso il loro vestiario, decidono di arricchire il loro con-
certo con improbabili giochi di luce e terribili effetti speciali.
Capita che d’improvviso uno strano macchinario posto a lato del palco cominci a produrre una colonna di fumo inodore ma attraente come una scarica di smog prodotta da un camion che arranca in salita. In alternativa potrete osservare l’effetto delle luci multicolore che
danzano sui completi dei musicisti. Detto dell’orchestra, bisogna ammettere che le altre attrazioni sono di solito imitazioni di quanto di peggio offre oggi la tv: se riuscite a sfuggire al concerto delle voci esordienti (simil Castrocaro), alla sfilata di moda (stile Miss Italia) e ai numeri del prestigiatore che prende sempre in ostaggio la ragazza più carina nel pubblico
offrono scorci notturni di un certo fascino, ma state sicuri che l’idillio verrà presto rotto da una famigliola che si dirige verso la macchina o dai vostri amici che avevate cercato per un’ora nella calca e vi ritrovano proprio nel momento meno propizio. Avrete capito che le sagre non sono l’ambiente adatto per riscoprirvi romantici. Meglio ca-
pitolare e tornare a testa bassa in piazza, dove potreste percorrere l’immancabile via delle bancarelle. In questi casi dimenticate ogni traccia di originalità: dovunque voi siate, vi troverete a sgusciare tra venditori di palloncini, bancarelle di vestiti e di prodotti per la casa. Sarete poi colpiti in ogni direzione da aromi contrastanti; quelli zuccherosi del croccante mescolati con l’odore greve del banco dei fritti e delle grigliate.
Nulla di diverso da quello che si può trovare nei classici mercati che si tengono settimanalmente nelle piccole città, salvo il fatto che il programma della sagra parlava di “fiera tradizionale, che propone il meglio dell’artigianato locale e ricorda i tempi in cui i nostri nonni si incontravano per acquistare sementi e piccoli animali”. La passeggiata tra questi banchi è così deprimente che potrebbe venirvi voglia di tornare a casa. Comincia quindi il lento pellegrinaggio di ritorno verso il parcheggio che, se la sagra ha riscosso un certo successo, potrebbe essere parecchio lontana dal centro abitato. Arrivati al vostro veicolo, dovrete pagare il giusto prezzo per aver tenuto la macchina a pochi chilometri di distanza dal paese (cinque euro è considerata un somma ragionevole) e ve ne andrete soddisfatti, consapevoli di aver dato il vostro contributo al mantenimento delle tradizioni culinarie italiane.
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO
LA DOMANDA DEL GIORNO
Pechino, azzurri contro i giudici. Con chi state? MOLTE DELLE COLPE SONO DEI NOSTRI DIRIGENTI SPORTIVI
LA CINA QUESTA VOLTA HA VERAMENTE ”GIOCATO” IN CASA. E SI È VISTO
La bellezza delle competizioni sportive sta nel fatto che alla fine della gara c’è un vincitore: il più forte. I nostri atleti, invece, danno spesso l’impressione di essere vincitori prima della gara. Fanno dichiarazioni, si sentono sicuri del risultato finale e poi, quando scendono in campo e vengono battuti recriminano su tutto. La colpa non è soltanto degli atleti, ma è soprattutto di dirigenti che non riescono a programmare e costruire delle squadre competitive. Le altre nazioni hanno degli obiettivi precisi e lavorano seriamente per centrarli, i nostri dirigenti danno l’impressione di gestire la situazione all’italiana. Qualche mese prima dell’appuntamento olimpico ci si ricorda che bisogna allestire le squadre. A quel punto si vanno a pescare gli atleti, alcuni dei quali dimenticati per anni ma che si sono preparati seriamente lontani dai riflettori, e si parte. Con la speranza che qualcuno riesca a vincere e a quel punto si fa anche una bella figura. No. La politica sportiva non si fa così. Occorre maggiore serietà.
Mai come nella ginnastica è risultato evidente che la Cina ha fatto pesare il fatto di essere il Paese organizzatore di questi Giochi olimpici. La gara del nostro Andrea Coppolino agli anelli è stata emblematica. Maurizio Allevi, coach della squadra di ginnastica ha trattenuto le lacrime fino alla gara di Igor cassina, poi non ce l’ha fatta più. Quando il nostro ginnasta di punta è arrivato quarto è sbottato. Non tanto per la prestazione di Cassina che, per sua stessa ammissione, ha sbagliato la gara, ma per quello che era successo il giorno prima con Coppolino. Sono d’accordo con Maurizio Allevi: «Quello fatto a Coppolino è stato un vero e proprio furto». E le nove medaglie d’oro su quattordici conquistate dai cinesi nella ginnastica la dicono tutta su questa olimpiade. A loro le medaglie d’oro a noi quelle di legno e tanti rimpianti.
Vittorio Giuliani Lecce
LA DOMANDA DI DOMANI
Quale aumento vi preoccupa di più?
Francesco Silvestri Genova
I NOSTRI DOVREBBERO PENSARE A VINCERE, NON SOLTANTO A LAMENTARSI Quando gli atleti italiani vincono e gli avversari si lamentano per la sconfitta siamo sempre pronti a criticarli. Quando invece sono i nostri a essere battuti partono i piagnistei all’italiana. Ho apprezzato molto lo stile e la sportività di Igor Cassina: ha ammesso di aver commesso due errori durante il suo esercizio e di avere sbagliato. Ha accettato la sconfitta, senza fare polemiche. Un grande anche nella sconfitta. Non come i nostri campioncini del calcio, arrivati a Pechino da star e tornati a casa con le pive nel sacco, dando pure lo schiaffo alle campionesse olimpiche di scherma di viaggiare nella classe business, mentre Trillini e socie sono state fatte accomodare nella economica. Dov’è finito lo spirito olimpico. Gli altri centrano ori, vittorie e record mondiali, mentre i nostri si lamentano e perdono.
Rispondete con una email a lettere@liberal.it
L’EGEMONIA CULTURALE DELLA SINISTRA Che cosa è l’egemonia culturale della sinistra? Se lo chiede Franco Ricordi in un suo recente libro intitolato “Le mani sulla cultura. Il teatro politico e l’egemonia della sinistra nelle arti del XX secolo” (editore Gremese). Questa importante e stimolante opera, dai contenuti acuti e spesso condivisibili, si inserisce nel mai sopito dibattito, talora anche con venature di tipo polemico, sulla egemonia culturale esercitata dalla sinistra dal dopoguerra ad oggi. Franco Ricordi, regista ed attore teatrale di estrazione filosofica, direttore del Teatro stabile di Abruzzo tra il 2003 ed il 2006, svolge una interessante analisi sul tema e cerca di dimostrare che il teatro, ma si potrebbe dire gran parte della produzione culturale della seconda metà del XX secolo, è stata egemonizzata dalla sinistra, che si è impadronita progressivamente del potere culturale, ha occupato la scuola e l’università, stabilendo un effettivo predominio nel terreno del pensiero e della cultura. In effetti, dopo la caduta del fascismo il Pci ha applicato in maniera
Antonio Franza Macerata
MATTONE SU MATTONE Un bambino zingaro si arrampica su un muro di mattoni fatti a mano nel villaggio di Dealu, quaranta chilometri a nord di Bucarest. Le famiglie zingare della Romania fabbricano i mattoni per venderli a circa 12 centesimi di euro al pezzo: un quarto del normale prezzo di fabbrica. BLOCCATI DAL TERRORISMO Caro direttore, Francesco Cossiga fa intendere che come 40 anni fa Aldo Moro offrì un lasciapassare per l’Italia all’Olp con la promessa di evitare attentati in casa, così i nostri governi degli ultimi anni avrebbero fatto un patto simile con i gruppi terroristi che dall’11 settembre paralizzano il mondo. A parte che sconcerta il silenzio dopo queste dichiarazioni - Cossiga, per quanto politico fuori dagli schemi, è pur sempre un ex presidente della Repubblica -, viene da chiedersi come mai l’Italia è stato l’unico Paese in Occidente a non essere colpito dai jihadisti. Soprattutto non si comprende come la classe politica attuale si stia muovendo verso un fenomeno - la fine del mondo bipolare - che è alla base dell’attentato delle Torri gemelle. Al
dai circoli liberal
continua e ostinata il principio gramsciano della diffusione di una prospettiva ideologica e interpretativa, che potesse determinare un largo convincimento e consenso, attraverso dibattiti e discussioni in tutte le sedi in cui si facesse cultura: le facoltà universitarie, le case editrici, le produzioni teatrali e cinematografiche, le pagine culturali dei quotidiani. È innegabile che l’applicazione di tale dogma, messo in atto pervicacemente dal Pci, ha generato un orientamento a sinistra del mondo culturale italiano; ”l’intellettuale collettivo” preconizzato da Gramsci si è da subito riconosciuto nel Pci, con gli immancabili e stucchevoli manifesti e appelli elettorali proposti e sottoscritti da una schiera di cantanti, giornalisti, attori, docenti universitari e filosofi. Questa “intellighenzia”, ha sempre più rappresentato una potente armata culturale che signoreggia nei salotti bene radicalchic e che condiziona l’opinione pubblica, spiana la strada alla politica e consente l’occupazione di posti di potere. Un vero e proprio “complotto” della sinistra italiana per schiacciare il Paese sotto il peso di una
vertice di Ginevra per il Doha round l’Italia è stata in prima fila per salvaguardare le limitazioni alle importazioni alimentari dai Paesi emergenti. Il governo ha anche proclamato la Stato di emergenza per i livelli di emigrazione clandestina. In compenso il nostro sistema economico non si muove per rafforzare l’interscambio verso il bacino del Mediterraneo, che dovrebbe essere un nostro mercato naturale. Semplicemente si sta fermi, cercando al massimo intese tampone, come quelle con Libia, che però hanno effetti limitati e costi altissimi. Scusi il paradosso, ma davvero questa classe politica senza idee ha la forza di contrattare con Bin Laden o chi per lui un patto di non belligeranza di questo tipo?
Germano Salice Palermo
cultura egemone, che si è tradotto in una corrispondenza di stesso segno politico fra intellettuali e “pubblico colto”ed ha determinato l’acquisizione di un forte elitismo sprezzante nei confronti di tutto ciò che non era omologabile con la loro parte politica. Il funzionamento perfetto di tutto questo sistema peraltro è stato in passato abbondantemente favorito dall’errore commesso dalla Dc e, in parte, dal Psi che lasciarono il campo libero alla sinistra di farsi interprete del mondo della cultura. Credo che il libro di Ricordi possa contribuire a fornire a noi di liberal la consapevolezza che dobbiamo investire su forme di cultura libere, ancorate ai nostri valori e alla nostra visione della società. Non possiamo sottrarci a questo compito, con una prospettiva di risultato che di sicuro non potrà concretizzarsi in tempi brevi ma che certamente dobbiamo mettere in campo, anche per dare una adeguata rappresentanza a quei settori della collettività costituiti da persone libere e di buona volontà. Antonio Cossu COORDINATORE CIRCOLI LIBERAL REGIONE SARDEGNA
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Sei forte come i cedri del Libano Lo spirito è pronto, ma il corpo è esausto. Non sto bene, Mary amatissima, e il mio intero essere anela dolorosamente a un luogo silenzioso, immerso nel verde, dove io possa amare Dio e la Vita e l’Assoluto. Quando la primavera danza tra le colline, uno non dovrebbe starsene in un angioletto oscuro. È una giornata così bella fuori… ma non ho sufficiente energia fisica per vestirmi e uscire a fare una passeggiata. Anche tu devi essere un poco stanca. No, tu non sei mai stanca, non ti ammali mai. Il tuo corpo è come il tuo spirito: sempre pronto, sempre vigile, sempre attivo. Sei come i cedri del Libano, pieni di forza odorosa. Vorrei che non venisse oggi pomeriggio quella gente. Vorrei che tu e io ce ne andassimo per boschi a ragionare, camminare, mangiare bacche. Kahlil Gibran a Mary Haskell
GURU E SACERDOTESSE ALLA RICERCA DI POPOLARITÀ Egregio direttore, una riflessione: sbaglio o stiamo vivendo un periodo in cui emergono di nuovo i ”guru”, i ”santoni”, le ”sacerdotesse”? Travaglio, la Guzzanti, Grillo, Di Pietro tutti costoro ed altri ancora hanno il toccasana per risolvere i problemi. Primo, criticare chi fa o dovrebbe fare di più o diversamente. Secondo, quale sia la loro soluzione non si conosce, ma si fa capire che quella degli altri non va! Terzo, tutto questo can can, questo agitarsi, questo scrivere, parlare, criticare, insultare porta a un solo sicuro ritorno: la crescita della loro popolarità e di conseguenza la crescita del loro cachet! Che ben gioco delle tre carte! Che spinta collaborativa per la soluzione di ciò che non va! Mai il consiglio di Grillo fu per costoro più appropriato di altro!
Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Teramo)
LA COERENZA NON APPARTIENE AI NOSTRI POLITICI Caro direttore, tra un sorso di Coca cola e una boccata al toscano l’onorevole Umberto Bossi ha raccontato a un gruppo di gior-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
21 agosto 1567 - Nasce San Francesco di Sales, religioso e vescovo cattolico francese († 1622) 1798 - Jules Michelet, storico francese († 1874) 1863 - Lawrence (Kansas) viene messa a ferro e fuoco da William Quantrill, Jesse e Frank James, ed altri 1964 - Muore Palmiro Togliatti, politico italiano (n. 1893) 1971 - La Pantera Nera George Jackson viene uccisa a colpi di arma da fuoco nel cortile della prigione di San Quintino in California 1979 - Muore Giuseppe Meazza, calciatore e allenatore di calcio italiano (n. 1910) 1991 - La Lettonia dichiara l’indipendenza dall’Unione Sovietica 2001 - La Nato decide di inviare una forza di peacekeeping in Macedonia 2005 - A Colonia in Germania, si tiene la Giornata Mondiale della Gioventù, dove si stima che un milione di ragazzi abbiano assistito alla Messa con Benedetto XVI
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
nalisti di quando Bettino Craxi gli chiese una mano per salvarsi dall’ondata di Mani pulite. Allora il Senatùr rispose picche, non fece nulla perché i suoi non avrebbero capito, ma forse sarebbe stato più interessante se il leader del Carroccio avesse raccontato quando -- e prima del fatidico 1992 -- promise al leader del Psi il suo appoggio e poi se lo rimangiò. Ne fece le spese il povero e compianto Franco Castellazzi, delegato alle trattative. Ma al netto dell’aneddoto raccontato, gustoso per carità, fa specie il deficit di coerenza dei politici italiani e la loro assenza di coraggio e indipendenza nell’analizzare quanto accade o quanto è accaduto. Quindici anni fa Bossi definiva Craxi un delinquente, un mariuolo, i suoi sfoggiavano cappi e manette alla Camera, oggi invece è una vittima del sistema, un grande statista. È possibile che non si riesca a ragionare in termini pacati su una figura che ha comunque rivoluzionato la sinistra italiana? E più in generale, anche guardando alle analisi sul Sessantotto -- da massima rivoluzione a fucina di ogni arbitrio -- è possibile che non si riesca a giudicare la realtà senza dover fare prima i conti con le proprie convenienze politiche?
Luigi Russo Roma
PUNTURE Gianna Gancia, della omonima azienda vinicola, è la nuova compagna di Calderoli. Speriamo che non lo faccia bere troppo che sta scrivendo la Storia d’Italia.
Giancristiano Desiderio
“
Le parole false non sono soltanto male in se stesse, ma anche contagiano l’anima PLATONE
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di CARE ONOREVOLI, CHE VACANZE BANALI Ibiza, Formentera. Panarea. Zanzibar. Sardegna. Argentario. Sono alcune delle mete più gettonate dalle nostre onorevoli in vacanza, riportate con tanto di effimere dichiarazioni dai giornali. Ma, come dire, non fanno notizia. Sono i luoghi di tutti noi, comuni mortali, con i nostri affetti privati, le nostre compagnie amicali, con fidanzati/e, o parenti vicini e lontani. Luoghi belli, divertenti, più che dignitosi, ma ai nostri rappresentanti in Parlamento si potrebbe chiedere qualcosa di più. Le migliori, nella lista, sembrano Elena Centemero, che farà come di consueto la crocerossina a Lourdes (ottimo, ma non è una vacanza), e Michaela Biancofiore, che sta girando l’America per scoprire «le istituzioni americane» (e andrà a «studiare la comunità Sioux»), comprese tappe obbligate a Beverly Hills e a qualche Mall per riempirsi le valige di acquisti. Nessuna di queste sembra avere avuto l’estro e la creatività di una destinazione inconsueta, l’idea di unire vocazione vacanziera (cioè svago e riposo) e volto pubblico, anzi istituzionale. Penso ad un giro dei solenni monasteri himalayani di una nazione remota come il Bhutan; ad un viaggio attraverso i luoghi del rinnovato culto ortodosso russo, contraddittorio e feroce, dove i giovanissimi si sono fabbricati cento e mille nuovi martiri, compagni caduti nella loro crociata contro l’Islam; ad un tour marocchino che unisca il mare, il vento caldo dell’Atlante, la grande cucina e una riflessione su una società islamica certo contraddittoria ma non fondamentalista (magari, chissà, con
la benedizione della combattiva Souad Sbai); ad una specie di Mid-west on the road, mezzo pop e mezzo istituzionale, Illinois, Indiana, West Virginia, tra covoni di grano e contatti parlamentari con la campagna di Obama e di McCain, per capire cosa c’è di nuovo in Usa ’08; ad un pellegrinaggio irredentista tra coste dalmate (non croate) ed entroterra istriano, per insegnare ai nostri connazionali vacanzieri i nomi delle località adriatiche nel loro originale italiano/veneziano; o anche, perché no, a un giretto di piacere e di studio in qualche metropoli/interporto commerciale dell’immensa nazione indiana, in quei luoghi che i nostri operatori economici già battono da anni alla ricerca di mercati, accordi commerciali, idee e infrastrutture da importare. Ma per me che in fondo sono un provincialotto e che l’unica volta che ho messo piede fuori d’Europa è stata per andare a vedere i grattacieli statunitensi, cartina in mano e naso all’insù, la lista di idee è povera e scarna e si ferma qui. Non do altri consigli tranne uno: fate un salto da una buona agenzia di viaggi, care onorevoli, armatevi di wikipedie e conoscenze parlamentari, chiamate il presidente di Confindustria della vostra provincia, il parroco del vostro quartiere, qualche diplomatico italiano nel mondo, uno scienziato, un geologo, un astronauta, un broker, che ne so. Puntate il dito sul mappamondo e partite alla ricerca di qualcosa che non sia l’ennesimo cocktail sulla spiaggia o le foto di un paparazzo mentre parlate al telefonino sul ponte di uno yacht.
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PAGINAVENTIQUATTRO Istantanee da Pechino. Il mondo rende omaggio al campione che corre e che ride
Il ragazzo che voleva essere di Bruno Cortona
PECHINO. Il miracolo era nell’aria, come il vento. Lui, Usain Bolt, lo aveva detto a mezza bocca ed era bastato: gli avevano creduto tutti. Aveva detto: questa volta non esulterò prima di arrivare al traguardo, non mi batterò il petto; voglio arrivare fino alla fine. E alla fine si è ritrovato con la seconda medaglia al collo (per ora, perché mancano le staffette) e con un altro record del mondo. Questo sì, non era mai successo: oro e record mondiale nei 100 metri, oro e record mondiale nei 200 metri. Roba che neanche Lewis, o Borzov, o Jesse Owens. Ma la storia di Bolt è differente. Vediamo: Carl Lewis (1984) era uno che vinceva tutto ma lo faceva sfoggiando una certa superiorità. Diciamo pure che era antipatico. Valeri Borzov (1972) non era simpatico né antipatico, era semplicemente una machina costruita per vincere: all’epoca si favoleggiò (ma erano proprio favole?) che Breznev in persona avesse ordinato il programma di preparazione al doppio oro del velocista. Comunque
sia, il povero Borzov semprava più una macchina glaciale, che un atleta. Owens (1936) aveva un’altra missione, che svolse alla perfezione: umiliare Hitler e le “sue” Olimpiadi di Berlino.
”Io sono il Numero Uno”: Usain Bolt vince anche i 200 metri con un nuovo record mondiale. Ma è un eroe che diverte, non una ”macchina” come Borzov o una star come Carl Lewis
Bolt è un’altra storia, appunto. La storia di un ragazzo che voleva essere vento e che è riuscito nell’impresa ballando e ridendo. Dire che Bolt è simpatico è addirittura poco: dopo la gara storia dei 19.30 nei 200 metri di Pechino che lo hanno proiettato direttamente nella storia (passando per il via), gli altri finalisti lo hanno abbracciato e portato in trionfo. Sì proprio quello che pochi minuti prima lui aveva battuto. Battuti ma non umiliati: questo è il punto. Nel senso che Bolt corre da solo, non ha
avversari, in questo momento e quelli che hanno avuto la ventura di correre con lui lo sapevano: la loro corsa (o rincorsa) era limitata al secondo posto. In questa strana competizione ha vinto un buon velocista delle Antille olandesi Churandy Martina al quale è andata la medaglia d’argento. Terzo lo statunitense Shawn Crawfordf. Per gli Usa non è proprio comlpletamente una disfatta, ma certo il doppio bronzo nei 100 e nei 200 è un po’ poco per chi sognava di consolidare una supremazia che durava da un quarto di secolo.
Il segreto di Bolt è che non ha segreti, che corre per il piacere di correre, che sfida se stesso e non gli altri. La gigioneria non è solo una concessione alla società dello spettacolo, ma è anche un’affermazione della sua libertà: non si spiega altrimenti il fatto che ieri, nel giorno del suo compleanno, si sia messo a giocare con le telecamere anche prima della gara. Non voleva umiliare gli altri, volava solo preparali alla sua legge: ”Io sono il numero uno”. Senza sottolineare troppo che i suoi due ori con doppio record così come la tripletta delle donne nei 100 dimostrano definitivamente che l’atletica veloce ha una nuova regina: la Giamaica.
notiziario azzurro Windsurf: ancora un argento per Alessandra Sensini La campionessa grossetana Alessandra Sensini ha vinto la medaglia d’argento nel windsurf. ”Peccato, ma sono contenta così”. Alessandra Sensini non fa il bis di otto anni fa, ma ottiene l’argento che le mancava dopo il bronzo di Atene. ”Sono felicissima, dopo l’oro di Sydney questa è la medaglia più bella afferma . E’ stata un’Olimpiade difficilissima per me, con vento molto leggero che mi penalizza molto, e anche con una squalifica nella quinta prova che mi ha condizionato per metà delle qualifiche. Ho dato il massimo e sono soddisfattissima. Ho sperato nell’oro fino all’ultimo, ma va bene così”. Sul gradino più alto del podio è andata la cinese Yin Jian.
Boxe: medaglia sicura per Picardi Vincenzo Picardi è in semifinale nel torneo olimpico di pugilato, categoria pesi mosca (51 kg), ed è quindi sicuro di vincere una medaglia. Il pugile italiano ha sconfitto nei quarti il tunisino Walid Cherif per 7-5. Picardi è il terzo pugile italiano qualificato per le semifinali del torneo olimpico di pugilato dopo Roberto Cammarelle nella categoria supermassimi e Clemente Russo in quella dei massimi. Tutti e tre sono sicuri di una medaglia, visto che non si disputa la finale per il terzo posto ed entrambi gli sconfitti delle semifinali si aggiudicano il bronzo. Per Picardi, venerdì la sfida al thailandese Jongjohor: in caso di vittoria, si batterà domenica per l’oro. Comunque vada, per la boxe italiana è un risultato importante.
L’Italia del volley va in semifinale E’ semifinale per l’Italia maschile di pallavolo che ha battuto la Polonia 3-2 al termine di una partita incredibile. Gli azzurri di Anastasi sono andati in vantaggio
due set a zero, hanno avuto a disposizione due match point nel quarto. Hanno ceduto il 3° e 4° set e hanno chiuso 17-15 al tiebreak. L’avversario sarà il Brasile che ha battuto la Cina 3-0 (25-17, 25-15, 25-16). Anastasi, dopo la vittoria con la Polonia, ha lanciato un avvertimento al Brasile: ”Ora ce la giochiamo. Faremo di tutto per andare sul podio, anche se quella brasiliana è una squadra tecnicamente più forte di noi”; non a caso, i campioni verdeoro in questi ultimi anni hanno dominato nel mondo.
Tuffi: va avanti la Cagnotto Tania Cagnotto e Valentina Marocchi si sono qualificate per le semifinali dalla piattaforma: la Cagnotto si è piazzata 11ª con 328,30 punti, la Marocchi è 15ª con 313,05 punti. Le semifinali si svolgeranno questa notte.