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Il discorso di Hillary alla convention di Denver 9 771827 881004

ISSN 1827-8817 80828

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

«Solo io e Obama (ma soprattutto io) siamo il vero sogno americano

e di h c a n o cr di Ferdinando Adornato

di Hillary Rodham Clinton

Ormai sono 11 le vittime del fanatismo religioso in India. Il Papa lancia un appello per la libertà di fede. Il dramma dei perseguitati si consuma da anni nel silenzio e nell’indifferenza. Liberal invita politici e cittadini a una fiaccolata di solidarietà con le vittime innocenti, mercoledì 10 settembre davanti a Montecitorio alle pagine 2 e 3

Nessuno tocchi Abele La sfida della Russia alla Nato

Intervista a Roberto Formigoni

Putin vuole il controllo di tutto il Mar Nero

«La Lega pesa di più, ma Bossi è cambiato»

ono onorata di essere qui questa sera. Come un’orgogliosa madre, un’orgogliosa democratica, un’orgogliosa americana. E un’orgogliosa sostenitrice di Barack Obama. Amici miei, è tempo di riprenderci il paese che amiamo. Non importa se avete votato per me o per Barack. È arrivato il momento di essere uniti con uno scopo preciso: siamo tutti nella stessa squadra e nessuno può permettersi di stare in panchina. Questa è una sfida per il futuro, una sfida che dobbiamo vincere. Barack Obama è il mio candidato e deve essere il nostro presidente. Stasera dobbiamo ricordarci cos’è davvero un’elezione presidenziale. Quando i sondaggi saranno chiusi, e le campagne elettorali terminate, sarà tutto nelle vostre mani, le mani del popolo americano, le vostre vite e il futuro dei vostri figli. Per me è stato un privilegio incontrarvi nelle vostre case, negli uffici, nelle comunità. Le vostre storie mi ricordano ogni giorno che la grandezza dell’America è strettamente legata alla vita del popolo americano, al vostro lavoro, al vostro senso del dovere, all’amore per i vostri figli, e alla determinazione di andare avanti, anche di fronte ad ostacoli enormi. Mi avete insegnato molto, mi avete fatto ridere e mi avete fatto perfino piangere. Mi avete permesso di diventare parte della vostra vita. E voi siete diventati parte di me. se gu e a p ag in a 4

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L’ITALIA ACCENDA UNA FIACCOLA CONTRO LA PERSECUZIONE DEI CRISTIANI

Il movimento dagli anni ’70 al 2000

Il femminismo ucciso dal Web

Gli esuberi ad altre aziende pubbliche

Poste e Catasto salveranno Alitalia?

di Antonio Picasso

di Francesco Capozza

di Camille Paglia

di Alessandro D’Amato

Le preoccupate dichiarazioni del ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner offrono una sintesi della strategia del Cremlino per rendere concreto il suo progetto imperialistico.

«Con Bossi e con la Lega non c’è nessun problema nella collaborazione e nel governo della regione Lombardia, anzi, è un alleato serio e disponibile al confronto», dice Roberto Formigoni a liberal.

Betty Friedan uscì dal National Organization for Women, per una spaccatura del gruppo che aveva co-fondato. Donne giovani alienate dal sessismo dei maschi si scontrarono con le donne della generazione di Friedan.

Ritorno di fiamma o stato di necessità? Quello tra Roma e Parigi è un riavvicinamento reale, e che va più in là dell’incontro di ieri tra una delegazione di top manager di Intesa-San Paolo ed Air France.

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GIOVEDÌ 28 AGOSTO 2008 • EURO 1,00 (10,00

CON I QUADERNI)

• ANNO XIII •

NUMERO

163 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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La mappa di massacri e ostilità che durano da decenni nell’indifferenza del mondo

Una persecuzione globale di Rossella Fabiani

a croce sanguina ancora. Sono ormai undici i religiosi uccisi in India. La conferenza episcopale del Paese asiatico riferisce che gli attacchi dei fondamentalisti indù contro i cattolici in Orissa, nell’Est indiano, per il quinto giorno consecutivo, non si sono fermati. Il governo locale ha imposto il coprifuoco e ha dato ordine alla polizia di sparare a vista, ma uomini armati continuano a incendiare e saccheggiare chiese, conventi, centri sociali cristiani, istituzioni e abitazioni di religiosi, ostelli e anche ospedali cattolici. Immediata è arrivata da Papa Benedetto XVI la condanna di «ogni attacco alla vita umana» nell’appello contro le violenze alle comunità cristiane in India letto dopo l’udienza generale. «Ho appreso con profonda tristezza - ha detto il Papa - le notizie circa le violenze contro le comunità cristiane nello Stato indiano dell’Orissa. Condanno con fermezza ogni attacco alla vita umana, la cui sacralità esige il rispetto di tutti - prosegue l’appello del Papa - e invito i leader religiosi e le autorità civili a lavorare insieme per ristabilire la convivenza pacifica e l’armonia che sono sempre state segno distintivo della società indiana»

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La morte per intolleranza religiosa coinvolge l’intero pianeta. Dal Sudan al Pakistan, dall’Iraq alla Corea del Nord. Milioni le vittime. Nel solo Novecento sono stati uccisi 45 milioni di cristiani. Molti di più sono i perseguitati, coloro che subiscono restrizioni alla loro libertà religiosa: non possono aprire una chiesa, partecipare ad una celebrazione pubblica, stampare i testi sacri. Ogni anno, a gennaio, la Chiesa cattolica stila l’elenco dei martiri, in questi anni in progressivo aumento. Inermi non soltanto per l’incolumità personale, ma anche per l’impossiblità di difendersi da accuse e calunnie. Alle Molucche, oltre mille cristiani nelle isole di Keswi e Teor sono stati costretti a rinnegare la loro fede e ad abbracciare l’Islam: centinaia di uomini sono stati circoncisi a forza con i rasoi e le donne sono state infibulate. Drammatica la situazione nel Sudan dove dal 1965 gli islamici si accaniscano su chi crede nel Vangelo e non nel Co-

Tutti a Montecitorio il 10 settembre: l’appello di liberal

L’Italia accenda una fiaccola per i cristiani Da tempo chi professa le fede cristiana è perseguitato e vittima in molte aree del mondo. Un dramma che si consuma da anni, spesso nel silenzio e nell’indifferenza della politica e dell’opinione pubblica. Ora, la barbara uccisione degli undici cristiani in India impone di rompere questo silenzio. Non è una questione che riguardi solo chi crede ma coloro, laici e cattolici, che vogliono che in tutte le aree del mondo, dal Tibet al Darfur, dall’India alle Filippine, si affermino le libertà fondamentali dell’uomo. L’Italia, terra di tradizione liberale e cristiana, deve essere in prima fila in questa battaglia, perciò liberal mercoledì 10, nel giorno della ripresa dell’attività parlamentare, invita tutti i rappresentanti del popolo italiano e tutti i cittadini che vogliono testimoniare la loro solidarietà alle vittime innocenti del fanatismo politico e religioso ad accendere una fiaccola insieme in piazza Montecitorio, dalla parte degli Abele di tutto il Mondo. Per aderire rivolgersi a tel. 3341273037

Per primi Casini e Udc, poi Formigoni, Cicchitto e Marini

Le prime adesioni bipartisan Numerose e bipartisan le adesioni giunte da subito all’iniziativa lanciata da liberal per il prossimo 10 settembre in piazza Montecitorio. Tra i primi a sottoscrivere l’appello di Ferdinando Adornato è stato Pier Ferdinando Casini che ha precisato: “Sarò in piazza con gli amici di liberal per testimoniare la mia solidarietà verso tutti i cristiani che nel mondo sono perseguitati nell’indifferenza dell’opinione pubblica. Mi auguro che saremo in tanti e che, almeno per una volta, i vecchi steccati politici siano abbattuti. Oggi bisogna stare con i cristiani perseguitati senza se e senza ma”. Anche il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ha aderito alla manifestazione e in una nota ha precisato: “Le notizie che giungono dall’India sono di una gravità inaudita ed allarmante. È assolutamente urgente un intervento da parte delle autorità internazionali perché si dia argine alla violazione sistematica del diritto alla vita ed alla libertà religiosa. Sia il governo italiano a farsi promotore in Europa di una iniziativa risolutiva in tal senso e non resti inascoltato l’accorato appello del Santo Padre”. Sempre in casa Pdl, vanno evidenziate le adesioni di Margherita Boniver (come da intervista qui accanto) e del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Per il Pd hanno aderito fin da subito l’ex Presidente del Senato Franco Marini che ha affermato: “Credo che il problema della libertà religiosa come quello della libertà politica sia un punto fondamentale all’interno di una democrazia moderna. Mi associo con favore all’iniziativa di Ferdinando Adornato perché ritengo sia un diritto di tutti gli uomini quello di manifestare il proprio credo religioso e la propria libertà. Lo ritengo altresì un elemento fondamentale dello spirito democratico” e Paola Binetti (intervistata qui accanto).

rano: è la strage più lunga del secolo con i suoi tre milioni di morti e sei milioni di profughi. Tutto è cominciato venti anni fa quando il regime ha proclamato la shari’a e il Sud cristiano e animista l’ha rifiutata. In Egitto i copti continuano a essere uccisi e perseguitati, le loro chiese incendiate, le donne violentate. In Turchia, dopo l’assassinio di padre Santoro, lo scorso aprile sono stati sgozzati due cittadini turchi e un cittadino tedesco nella sede della casa editrice Zirve, a Malatya, dove si stampavano Bibblie e libri cristiani in lingua turca.

Benedetto XVI condanna «ogni attacco alla vita umana». Sono 250 milioni i cristiani in difficoltà. Nel decennio 1990-2000 sono stati assassinati 604 missionari Nel Rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo realizzato dall’«Aiuto alla Chiesa che soffre», si calcolano 250 milioni di cristiani che vivono sotto la spada di Damocle della persecuzione. E ogni anno i cristiani uccisi sono circa 160mila. Una cifra impressionante, che si aggiunge ai 604 missionari uccisi nel decennio 1990-2000. Ogni anno anno nelle Filippine

i guerriglieri islamici fanno centinaia di rapimenti e di morti nei villaggi cristiani. ll rapimento di padre Giancarlo Bossi, missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere), è solo l´ultimo caso in ordine di tempo. In Nigeria, i sermoni dell’odio invitano a compiere il jihad contro i cristiani. E solo negli ultimi tre anni i morti sono stati un centinaio. Nel nord del Paese avviene spesso che cristiani di origine musulmana vengano rapiti con lo scopo di obbligarli a tornare all’Islam. In Uganda la persecuzione religiosa miete vittime anche tra i bambini che poi vengono reclutati come soldati. In Iraq lo scorso anno gli estremisti islamici hanno assassinato 57 persone. «I cristiani iracheni e la gente comune vivono in una situazione miserabile, non si fa niente per impedire questi massacri, è tempo di fermarli, altrimenti i cristiani iracheni saranno cancellati insieme a tutto il nostro paese», ha detto il vescovo Matoka. Ma la situazione dei cristiani iracheni non è molto differente dai cristiani del Bangladesh o del Pakistan, dove i seguaci di Cristo che manifestano la loro fede vengono condannati per aver «offeso» Maometto. Secondo l´ultimo «Rapporto sulla libertà religiosa nel mondo», la situazione è particolarmente grave anche per i cristiani nel Medio Oriente (nel 2005 ci sono state oltre 200 aggressioni), ma pure per i cattolici della Cina e della Corea del Nord e, a causa della spinta dell´estremismo Nella cartina, i Paesi dell’Africa e dell’Asia dove più numerose sono state le violenze contro i cristiani negli ultimi anni. Vittime delle persecuzioni anche tra le minoranze religiose dei Copti, dei Bahai e degli zoroastriani. Drammatica la situazione nel Sudan dove sono oltre tre milioni le vittime del fanatismo islamico e sei milioni i profughi


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cattolici

laici

Paola Binetti

Margherita Boniver

«Il sonno della solidarietà genera mostri»

«Attenti, è iniziata un’altra guerra santa»

colloquio con Paola Binetti di Errico Novi

colloquio con Margherita Boniver

ROMA. «Non è un caso che tutto questo venga fatto contro i cattolici». La deputata teodem del Pd Paola Binetti vede le ragioni di una nuova persecuzione: «I nostri missionari sono portatori di una cultura della solidarietà. Si espongono in Paesi come l’India e la Cina, due colossi economici avviati ad assumere sempre più la leadership mondiale ma pervasi dal morbo dell’aggressività, della crescita che non tiene conto dei diritti umani. I cattolici predicano l’inclusione, portano valori diversi». Rischia di imporsi un modello di sviluppo disumano. Nel giorno di chiusura delle Olimpiadi è stato arrestato un vescovo

ROMA. Jihadismo e violenza tribale sono cose diverse. «Eppure tra i due fenomeni c’è qualche analogia». Margherita Boniver, deputato pdl della commissione Esteri e sottosegretario nel precedente governo Berlusconi, pensa alle efferatezze riferite dall’India e trova un solo aggettivo: «Mostruoso». Di estrazione laica, non esita a ricordare che le persecuzioni e le violenze contro i cristiani «riguardano ormai un numero sempre più alto di Paesi, in qualche caso di tradizioni compiutamente democratiche». E c’è davvero una corrispondenza tra il fondamentalismo islamico e questa barbarie scatenata da tensioni religiose? Colpisce il propagarsi delle violenze così rapido in questi ultimi anni, segnati dal conflitto di civiltà. Le stragi provocate dai kamikaze in nome di Allah contengono lo stesso germe di follia che anima i fanatici pronti a sgozzare i cristiani in nome della loro religione. Nel caso delle persecuzioni di cui sono vittime i missionari, però, la comunità internazionale non interviene con prontezza, c’è una sottovalutazione preoccupante. È vero che si tratta di una tragedia non sufficientemente considerata. Serve intanto una interlocuzione dei singoli Paesi da cui provengono i missionari con le autorità di Nazioni come il Pakistan, dove le aggressioni sono più frequenti. Ma a questo punto è indispensabile un’iniziativa politico diplomatica a livello europeo per arrivare a un’azione concordata con le Nazioni unite. È difficile immaginare qualcosa di più. D’altronde le autorità indiane in queste ore si stanno muoven-

In India e in Cina si afferma un modello di sviluppo che mutua dall’Occidente solo l’aggressività del mercato ma non i diritti islamico, in Arabia Saudita e nelle Filippine. Nel 2006 i religiosi uccisi nel mondo sono stati 24; altrettanti nel 2005; nel 2004 furono 10 di meno; nel 2003, 21. Nel 2001 e nel 2000, i missionari uccisi furono rispettivamente 31 e 32. Cifre più o meno costanti nel decennio decennio precedente.

Nella Corea del Nord, a gennaio di quest’anno un cristiano evangelico ha subito la pena capitale per essere stato trovato in possesso e aver distribuito copie del Nuovo Testamento. In Cina 100 milioni di esseri umani e svariate minoranze etniche e religiose vengono perseguitati. In Arabia Saudita è vietato abbandonare la fede di Allah per convertirsi a un’altra religione. Pena la morte o l’espulsione dal Paese come è accaduto il 5 agosto scorso a 15 persone che sono state espulse dopo essere state colte in «flagranza di reato» dalla polizia religiosa mentre i credenti erano riuniti in preghiera. In Etiopia gli estremisti islamici continuano a massacrare chiunque faccia proselitismo: due i morti lo scorso anno. In alcune repub-

bliche dell’ex Unione Sovietica è proibito riunirsi per pregare. A Tashkent, in Uzbekistan, praticare una fede religiosa senza autorizzazione è un crimine penale. Dal giugno 2008 è in carcere il protestante Aimurat Khayburahmanov. Difficile anche la situazione dei cristiani palestinesi per il progressivo sviluppo dell’islamismo radicale: cresce il numero dei cristiani rapiti, usati come merce di scambio per la liberazione di estremisti e terroristi. In Iran è bandita ogni religione che non sia quella islamica. Cristiani, bahi, zoroastriani vengono continuamente perseguitati. Nello Yemen sette cristiani sono stati arrestati con l’accusa di avere diffuso il cristianesimo e distribuito delle Bibbie nello scorso luglio. Oltre duemila sono i cristiani detenuti in Eritrea. E quest’anno anche il Nepal ha il suo primo martire cristiano: un sacerdote cattolico, il salesiano John Prakash, 62 anni, ucciso a Sirsiya (distretto di Morang), nella parte est del Nepal. La Chiesa cattolica in Nepal conta circa 7 mila fedeli su una popolazione di 25 milioni.

della Chiesa cinese non ufficiale. In India vediamo compiersi tutto questo. Ed è incredibile, se si pensa che lì i cattolici avevano incontrato un’altra cultura della solidarietà come quella ispirata a Ghandi. Negli ultimi tempi alla casta dei Bramini si va sostituendo quella fondata sull’arricchimento. Certi valori passano in second’ordine. La mutazione sociale di cui lei parla impone un’intervento della comunità internazionale. E non perché si tratti di cristiani: sono in gioco questioni essenziali, troppo spesso dimenticate. Bisogna intervenire a prescindere. E certo il fatto che si tratti di missionari cattolici vincola tutti in modo forte: sono persone che garantiscono i livelli minimi di protezione sociale, che difendono la vita stessa. Se la tuteliamo in Occidente dobbiamo preoccuparci anche di chi porta negli altri Paesi le radici stesse della nostra cultura. Gli organismi internazionali non sembrano abbastanza pronti nel chiedere il rispetto di chi diffonde la solidarietà. Non ci sono solo le guerre propriamente dette. In un Paese come l’Italia si deve dare il massimo risalto anche a queste guerre apparentemente più piccole di quella in Georgia. Ecco perché trovo giustissima l’iniziativa di liberal. D’altra parte anche durante le Olimpiadi i diritti umani sono finiti fuori dalla lista delle priorità. E così rischiamo di trasmettere ai grandi Paesi che dominano la scena economica solo l’aggressività mercatista. Le nostre radici cristiane vengono ignorate.

C’è un’inquietante analogia tra le stragi dei kamikaze e queste violenze compiute dai fanatici in nome della loro religione

do in modo energico, mi pare. In contesti come la Somalia è ancora più difficile. Parliamo di realtà collassate, la Somalia non è uno Stato. Ma devo dire che la tragedia delle persecuzioni nei confronti di religiosi richiederebbe un intervento più forte anche da parte del Vaticano. Capisco che in questi anni la Chiesa abbia cercato di difendere i propri missionari soprattutto con la diplomazia. Che ci sono vicende come quella dei vescovi cinesi non governativi per le quali è necessaria molta prudenza. Ma se il Vaticano facesse sentire la sua voce più alta e forte il tema non potrebbe scivolare nell’oblio.


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Biden parla alla convention ma l’attenzione è tutta sulla battaglia dell’ex presidente

Guerra aperta a Denver Hillary fa appello all’unità del partito, ma Bill minaccia di disertare l’investitura di Obama di Andrea Mancia rgogliosa di essere «madre», «democratica», «americana» e «supporter di Obama». Non si può fare a meno di pensare che dall’inizio dell’efficace discorso tenuto martedì notte (ora italiana) da Hillary Rodham Clinton, di cui in questa stessa pagina trovate tradotti ampi stralci, manchi qualcosa. Sì, perché tutto sommato Hillary è diventato quello che è - o che sarebbe potuta essere anche (soprattutto?) grazie a suo marito, tale William Jefferson Clinton, detto Bill, per otto anni presidente degli Stati Uniti. E ultimo democratico, almeno fino al prossimo novembre, ad avere conquistato la Casa Bianca. Lo stesso Bill che, secondo alcune indiscrezioni, dopo aver monopolizzato l’attenzione dell’opinione pubblica nella terza giornata della convention democratica, non troverà il tempo per assistere all’incoronazione ufficiale di Barack Obama, in pro gram-

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ma all’Invesco Field di Denver stanotte. Si tratterebbe, se confermato, di uno “sgarbo” gravissimo, almeno quanto quello a cui si è prestato un folto gruppo di delegate di Hillary che ieri, dopo il discorso della loro beniamina, hanno partecipato ad un cocktail organizzato dal partito repubblicano per annunciare il proprio voto a favore di McCain. «Sarò un’elettrice repubblicana per la prima

le inesperienza del senatore dell’Illinois. Un talking point standard di McCain e dei suoi “surrogati”. Se qualcuno, all’inizio di questo lunghissimo ciclo elettorale, avesse ipotizzato la Clinton Attack Machine sarebbe diventata l’alleato più prezioso del partito repubblicano, lo avrebbero rinchiuso in fretta nel più vicino ospedale psichiatrico. Eppure, malgrado la retorica di Hillary sul palco della convention e le assicurazioni dei suoi (ex?) strateghi, la realtà è proprio questa. Nell’ultimo spot televisivo di McCain, trasmesso in una mezza dozzina di stati-chiave nelle ultime ore, Hillary è citata esplicitamente. E si fa perfino ricorso alla sua celebre trovata della “3 a.m. call” con cui l’ex First

Nell’ultimo spot di McCain utilizzate le accuse lanciate durante le primarie dall’ex First Lady al senatore dell’Illinois, che perde quota nei sondaggi volta nella mia vita - ha dichiarato una di loro alla Cnn - niente Obama per me». «Mi ricorda l’era di Jimmy Carter ha aggiunto un’altra - e se qualcuno pensa che Carter fosse un male per i democratici, aspettate di vedere Obama insediato alla Casa Bianca...». L’accusa più frequente è quella relativa alla tota-

Il discorso della Clinton a Denver

«Solo io e Obama (ma soprattutto io) siamo il vero sogno americano» di Hillary Rodham Clinton

segue dalla prima Ai miei sostenitori, i miei campioni, dal più profondo del mio cuore: grazie. Non vi siete mai arresi, non avete mai ceduto. E insieme abbiamo fatto la storia. C’è molto lavoro da fare. Licenziamenti, perdite di case, salari bassi, aumento dei prezzi. La Corte Suprema in mano dalla destra e il nostro governo fermo su posizioni di parte. Il più grande deficit nella storia della nostra nazione. Soldi presi in prestito dai cinesi per comprare petrolio dall’Arabia Saudita. Putin, la Georgia, l’Iraq e l’Iran. Mi ero candidata come presidente per rinnovare la promessa dell’America, ricostruire la classe media e sostenere il Sogno Americano, per dare l’opportunità di lavorare duro e avere quel lavoro retribuito, per risparmiare per l’Università, per comprare una casa e per la pensione, per potersi permette cibo, gas, e poter mettere qualcosa da parte a fine mese. Per promuovere un’economia ad energia pulita che creerà milioni di opportunità di lavoro. Per creare un sistema d’assistenza sanitario che sia universale, di alta qualità, ed economicamente accessibile, così che i genitori non debbano più scegliere tra curare i loro bambini o curare loro stessi, o restare imprigionati in posti di lavoro

Lady, durante le primarie, aveva sottolineato l’assoluta impreparazione di Obama di fronte all’eventualità di una crisi internazionale. Non c’è dubbio che, quando tutti gli analisti si aspettavano un primo “rimbalzo”di Obama nei sondaggi grazie alla sovraesposizione mediatica assicurata dalla convention, i repubblicani siano riusciti (per ora) a frenare una dinamica considerata quasi naturale nell’evoluzione delle campagne elettorali per le presidenziali americane. Forse, addirittura, potrebbero riuscire ad invertire la tendenza.

senza prospettive solo per mantenersi l’assicurazione. Per creare un sistema educativo di livello internazionale e rendere le università di nuovo abbordabili da tutti. Per combattere per un’America caratterizzata da profonda e significativa eguaglianza – dai diritti civili ai diritti del lavoro, dai diritti delle donne ai diritti dei gay, dalla fine della discriminazione alla promozione dell’organizzazione di un sindacato che sia di supporto al lavoro più importante che c’è: la cura delle nostre famiglie. Per aiutare ogni bambino a crescere e sviluppare tutte le potenzialità che gli sono state date da Dio. Per fare di nuovo dell’America una nazione di immigrati e una nazione legale. Per riportare un sistema fiscale più equo a Washington e fare del nostro governo uno strumento per il bene pubblico e non per dei saccheggi privati. Per restaurare la grandezza dell’America nel mondo, per mettere fine alla guerra in Iraq, riportare le nostre truppe a casa e onorare i loro servizi prendendoci cura dei nostri veterani. E per unirci ai nostri alleati per un confronto sulle nostre sfide comuni, dalla povertà al genocidio, al terrorismo, al riscaldamento globale. Ma soprattutto mi ero candidata per aiutare tutti coloro che sono stati invisi-


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«Bravissimo, ma senza peso politico»: il ritratto del direttore del Weekly Standard

Barack, un uomo di carta velina Q di William Kristol

«Credo che abbia fatto un ottimo discorso - ha dichiarato a Fox News l’ex sindaco di New York (e candidato, sconfitto, alle primarie repubblicane), Rudy Giuliani, subito dopo la performance della Clinton - sia dal suo punto di vista che dal nostro punto di vista, ma non necessariamente dal punto di vista di Barack Obama. Hillary non ha mai risposto alla domanda fondamentale: è pronto per essere presidente? Che poi è la stessa questione da lei sollevata, in modo piuttosto teatrale, durante le primarie». I sondaggi, fino ad oggi, sembrano dare

bili al governo Bush negli ultimi otto anni. Queste sono le ragioni per cui mi ero proposta come presidente. Queste sono le ragioni per cui supporto Barack Obama. E queste sono anche le stesse ragioni per cui dovreste farlo voi. Abbiamo bisogno di un presidente che sappia che il genio americano è sempre dipeso dalla forza e dalla vitalità della classe media. E quando Barack Obama sarà alla Casa Bianca, rivitalizzerà l’economia, difenderà il lavoro del popolo americano e andrà incontro alle grandi sfide del nostro tempo. I democratici sanno come fare.Vi ricordo che insieme al presidente Clinton lo hanno già fatto una volta. E il presidente Obama e i democratici lo faranno ancora. Barack Obama metterà fine alla guerra in Iraq responsabilmente e riporterà le nostre truppe a casa: un primo passo per risanare le nostre alleanza nel mondo. L’America esiste ancora dopo 232 anni perché abbiamo affrontato le sfide di ogni tempo, cambiando per essere fedeli ai nostri valori di pari opportunità per tutti e per il bene comune. (...) Questa è la storia dell’America. Di uomini e donne che sfidano le ingiustizie e non si arrendono mai.Come riportiamo questo paese nelle loro mani? L’ho visto in voi, l’ho visto nei nostri insegnanti e nei nostri vigili del fuoco, nelle infermiere e

ragione a questa tesi. Soltanto poco più della metà dei democratici che hanno votato Hillary ha intenzione di votare per Obama. E almeno il 25 per cento ha già scelto McCain. Ieri, i due tracking poll pubblicati quotidianamente - Gallup e Rasmussen Reports - registravano un (lieve) vantaggio del candidato repubblicano: rispettivamente del 2 e dell’1 per cento. Distacchi per niente clamorosi e inferiori al margine d’errore statistico, sia chiaro, ma che certamente mettono in dubbio la cavalcata trionfale di Obama che in molti ancora si aspettano.

negli ufficiale di polizia, nei piccoli imprenditori e negli operai, nelle donne e negli uomini del nostro esercito – voi non mollate mai. Siamo americani. Non ci arrendiamo facilmente. Ma ricordate, per avere la possibilità di continuare, dobbiamo andare a votare per Barack Obama. Non abbiamo un momento da perdere né un voto da buttare. Sono in ballo il destino della nostra nazione e il futuro dei nostri figli. Voglio che pensiate ai vostri figli e nipoti nell’Election Day. E pensiate anche alle scelte che i vostri genitori e i vostri nonni hanno fatto e che hanno avuto così forte impatto sulla vostra vita e su quella del paese. Dobbiamo assicurare che la scelta che facciamo in questa elezione onorerà i sacrifici di tutti quelli che sono venuti prima di noi, e che riempirà la vita dei nostri figli di speranza e possibilità. Questo è il nostro dovere, costruire quel futuro brillante, e insegnare ai nostri figli che in America non c’è nessuna differenza troppo profonda, nessuna barriera insormontabile - e nessun sogno irraggiungibile per tutti quelli che lavorano sodo, che non si arrendono, che continuano ad andare avanti, che hanno fede in Dio, nel nostro Paese, e gli uni negli altri. Grazie mille. Dio benedica l’america e in bocca al lupo a tutti.

uesta settimana, l’uomo meno qualificato del momento a ricevere una nomination da parte di uno dei partiti maggiori per la presidenza degli Stati Uniti sarà consacrato dal suo partito. I repubblicani hanno detenuto la presidenza negli ultimi otto anni. In cinque occasioni, fin dall’amministrazione di FDR-Truman, gli elettori hanno avuto la possibilità di cambiare i partiti dopo una presidenza durata per due mandati. Quattro di queste volte (1960, 1968, 1976, 2000), lo hanno fatto. La quinta occasione fu nel 1988, quando i repubblicani ebbero la Casa Bianca dopo due mandati di Reagan. Ma la percentuale di consensi di Reagan era allora vicina al 60 per cento; George W. Bush è al 30. Inoltre, i Democratici sono avanti di dieci punti nelle intenzioni “generiche” di voto. La crescita economica durante quest’anno elettorale sarà minima. La maggior parte della gente è più concentrata sull’economia che sulla politica estera. In ogni caso, I più pensano ancora che la guerra in Iraq sia stato un errore. Queste sono condizioni politiche fondamentali. Per quanto riguarda i candidati, Barack Obama è il bell’ideale del moderno candidato. E MacCain non lo è. Per quanto riguarda le campagne elettorali, quella di Obama è più costosa e meglio organizzata di quella di McCain. E tutti i poteri degli old media - le vecchie università, la vecchia Hollywood e tutte le forze del “politicamente corretto” e dell’establishment progressista - si sono alleati per assicurare al vittoria ad Obama. Ci sono solo due ostacoli: John McCain e Barack Obama. McCain è un uomo di grande esperienza, provato coraggio, e forte carattere. Si potrebbe dire lo stesso di Obama? Questo è il curriculum di Obama: una laurea in legge nella Ivy League, qualche anno nell’organizzazione delle comunità, sette anni come senatore dell’Illinois, tre anni e mezzo come senatore Usa. Abbastanza modesto. Che cosa ha portato a termine in ognuno di questi lavori? Poco, davvero poco. Ha dimostrato grande coraggio durante la sua carriera politica? Ha forse evitato le vie più semplici o rotto col “pietismo”politico convenzionale di chi

lo circonda? Ha mai sfidato il suo partito su un argomento importante? Ha dimostrato un carattere esemplare? Ha senza dubbio grandi doti e capacità. Ha sempre avuto un grosso potenziale, ma lo ha veramente mai sfruttato? C’è un solo momento della sua vita pubblica a cui si può guardare e dire, d’accordo o no, che ci ha colpito? Il suo momento più significativo finora è stato il discorso principale alla convention democratica del 2004. Se uno lo rileggesse oggi, vedrebbe più chiaramente il vuoto dietro l’eloquenza, la mancanza di sostanza dietro il rumore. È pronto per essere presidente degli Stati Uniti? Penso che la maggior parte degli elettori americani diranno di “no”. Inoltre, capiranno che a controllare il Congresso per i prossimi due anni sarà il partito Democratico. Sfortunatamente non c’è nessuna possibilità che un programma conservatore di politica interna sarà superiore, chiunque sarà presidente. Così, i moderati e gli indipendenti, diffidenti del governo repubblicano e degli entusiasmi dei conservatori, non avranno molto da temere in caso di una presidenza McCain. Concluderanno forse che c’è abbastanza da temere dal governo del team senza controllo Obama-Pelosi-Reid. E poi c’è la la guerra. Stiamo eleggendo un comandante supremo. Non è tanto il fatto che Obama, come i democratici della sua infanzia, attribuiscono all’America tutti i guai del mondo. È che desidererebbe far sparire ogni pericolo, reagendo alle minacce rivolte a noi e ai nostri alleati troppo poco fermamente e troppo tardi. Nel 2004 Obama ha detto: «Alleniamo la Little League negli stati blu e si, abbiamo alcuni amici gay negli stati rossi». Penso che Obama sarebbe un ottimo allenatore della Little League – sensibile, ma anche ispirato, bilanciato e carismatico, capace di dialogare con genitori impazziti e figli immaturi. E penso che, il 4 novembre, il popolo americano deciderà di dare ad Obama moltissimo tempo per dedicarsi all’allenamento della Little League nei prossimi quattro anni, tenendolo al Senato e affidando la presidenza ad un giocatore della Major League: John McCain.

Se rileggessimo oggi il suo famoso discorso del 2004, si vedrebbe il vuoto dietro l’eloquenza, l’assenza di sostanza dietro il rumore


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e preoccupate dichiarazioni del ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner, sui potenziali futuri obiettivi della Russia – Crimea, Ucraina e Moldova – offrono una sintesi della strategia adottata dal Cremlino per rendere concreto il suo progetto imperialistico. Mentre la flotta russa del Mar Nero si trova a manovrare troppo vicino alle navi della Nato inviate in soccorso della Georgia, la crisi del Caucaso procede anche sul terreno delle tensioni diplomatiche e del diritto internazionale. Ieri il Consiglio Atlantico ha chiesto a Mosca di cancellare il suo riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud definito «una violazione dell’integrità territoriale georgiana garantita anche dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu». È chiaro che le mosse di Mosca sono finalizzate a eliminare un ostacolo concreto alle sue ambizioni. Georgia e Ucraina, due ex repubbliche sovietiche, sono candidate a entrare a breve termine nell’Alleanza Atlantica. Un’eventualità inconcepibile per Mosca che teme di subire quell’accerchiamento che da sempre costituisce una psicosi per tutti i suoi leader. Da qui la crisi del Caucaso. L’intervento russo in Ossezia del Sud è stato giustificato da Medvedev come la reazione alle «mosse aggressive» della Georgia, ma come si spiega il riconoscimento dell’indipendenza dell’Abkhazia? In realtà, le mire di Mosca erano più per l’Abkhazia che per l’Ossezia del Sud. A differenza di quest’ultima – piccola regione interna del Grande Caucaso – l’Abkhazia riveste un’importanza strategica

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mondo Mosca muove le sue navi all’inseguimento di quelle della Nato

Putin vuole il controllo di tutto il Mar Nero di Antonio Picasso

La Russia cerca di convincere la Cina e le ex Repubbliche asiatiche dell’Urss a riconoscere Abkhazia e Ossezia del Sud

Un separatista osseto festeggia a colpi di mitra l’indipendenza. In basso Alessio II Patriarca di Mosca

essenziale. Oltre al valore storico, elemento comunque non secondario per l’impero russo, i suoi porti sul Mar Nero risultano fondamentali per l’attracco delle navi della Marina russa e per le petroliere che da lì potrebbero esportare la nuova arma di deterrenza di Mosca: gas e petrolio. Non è un caso che l’epicentro della crisi si sia ormai spostato

dall’entroterra verso le coste. Ecco perché, in proiezione, non si può escludere il coinvolgimento di Ucraina e Moldova. Mosca ha fin troppi conti in sospeso con Kiev. Per prima cosa quello energetico, che ha cercato di regolare due anni fa, facendole capire chi avesse le chiavi per l’erogazione di gas e petrolio. Inoltre, parlare di Ucraina per la Russia signifi-

ca parlare di una terra abitata prevalentemente da cristiani ortodossi, quindi fratelli nella fede, e da un consistente gruppo etnico (il 17%) di russi veri e propri. Infine, c’è il“nodo Crimea”. Quella piccola penisola che Mosca ha sempre considerato sua. Lì risiedevano gli zar nei mesi estivi. E sempre lì si spensero gli ultimi focolai della resistenza bianca

La Chiesa dell’Abkhazia si proclama independente da quella georgiana. Ma il Patriarcato di Mosca non la riconosce

È secessione anche tra gli ortodossi di Maurizio Stefanini i chiama “filetismo”; significa letteralmente “nazionalismo”o addirittura “tribalismo”; indica il fenomeno di quelle chiese ortodosse che si organizzano secondo la nazionalità dei fedeli; fu definito eresia dal Patriarcato di Costantinopoli nel 1872; ed è la ragione per cui la Chiesa Ortodossa è in questo momento l’ultima autorità russa a muoversi in favore dell’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud. «La decisione politica è stata presa e noi dobbiamo rispettarla perché è basata sul voto unanime del Parlamento russo», ha detto all’agenzia Interfax l’arciprete Vsevolod Chaplin, vicecapo del Dipartimento per le Relazioni esterne del Patriarcato di Mosca, «ma non possono essere le decisioni politiche a definire le giurisdizioni religiose». Sia gli osseti che gli abkhazi sono, come i georgiani, in maggioranza cristiani or-

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dopo la rivoluzione bolscevica. Ma soprattutto è lì, a Yalta, che l’Unione Sovietica affermò la sua influenza in Europa orientale. Ora Mosca deve anche subire l’umiliazione di pagare un affitto a Kiev per il mantenimento della sua flotta del Mar Nero, nell’imporante base navale di Sebastopoli. Alla luce di questi trascorsi, suona come un implicito ammonimento a non provocare tensioni la lettera che Medvedev ha inviato l’altro giorno al governo ucraino in cui si legge «dell’indelebile unione secolare tra i due popoli, su basi spirituali, culturali e storiche». Lo stesso discorso vale per la Moldova, sebbene di rilevanza strategica minore. Proprio ieri l’ambasciata russa a Chisinau ha invitato il governo locale a evitare nervosismi in Transdnistria, l’enclave russa che dagli anni Novanta chiede l’indipendenza e dove sono attualmente di stanza 1.500 militari mandati da Mosca. Oggi, forte di questi obiettivi, Medvedev parteciperà al vertice della Sco a Dushambe. Nell’“Organizzazione per la cooperazione di Shanghai”, la Russia è partner di Cina, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan, ma anche di India, Iran, Pakistan e Mongolia. Sarà il primo summit a cui Mosca prenderà parte dopo la crisi nel Caucaso. Facile pensare che, avendo messo in discussione le sue relazioni in Occidente, cerchi alleati presso i governi dei Paesi asiatici.

todossi. E il Patriarcato di Georgia era l’unico al tempo dell’Unione Sovietica ad avere garantito rispetto al Patriarcato di Mosca un diritto di “autocefalia”. Poi, con lo sfasciarsi dell’Urss dal Patriarcato di Mosca si è staccato un Patriarcato di Kiev, riconosciuto da Costantinopoli, ma che continua a litigare per strutture e fedeli sia con la chiesa “russa”, sia con la Chiesa ucraina Autocefala tornata dall’esilio. Anche Moldova e Estonia sono spaccate tra fedeli del Patriarcato di Mosca e fedeli rispettivamente del Patriarcato di Romania e di una Chiesa Apostolica Ortodossa estone che dipende direttamente dal Patriarcato di Costantinopoli. Qualcosa di analogo è successo d’altronde nella exJugoslavia dove, solo nel 2002, il Patriarcato di Serbia ha accettato l’autocefalia della Chiesa Ortodossa macedone, e dove nel 1993 è nata una Chiesa Orto-

dossa montenegrina, che Costantinopoli dichiara eretica. Adesso lo scenario si ripete per l’Abkhazia, da dove nel 1992 il clero georgiano è stato espulso in massa, eccetto un solo sacerdote di etnia abkhaza di nome Vissarion. Così la confinante Eparchia moscovita di Mayakop ha iniziato a mandare sacerdoti con cui però lo stesso Vissarion si è a lungo scontrato, finchè non si è arrivati nel 2005 all’accordo che ha creato l’Eparchia di Abkhazia. Secondo i nazionalisti abkhazi il primo nucleo di una Chiesa Autocefala abkhaza, anche se in realtà lo status resta indefinito: l’Eparca Vissarion è infatti formalmente tuttora un sacerdote della Chiesa georgiana, ma la

Analista Ce.S.I.

dozzina di altri sacerdoti sono formalmente membri della Chiesa russa. È bastata comunque una traduzione del Vangelo in abkhazo per far gridare la Chiesa Georgiana alla violazione della legge canonica. Adesso dalla Duma arrivano addirittura richiesta di annessione di Sud Ossezia e Abkhazia al Patriarcato di Mosca, ma lo stesso Patriarcato preferisce guadagnare tempo. Il timore è di creare un precedente che potrebbe ritorcerglisi contro.


politica

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Formigoni: «Il federalismo si farà, perché sono gli stessi cittadini a volerlo»

«La Lega pesa di più,ma Bossi è cambiato» colloquio con Roberto Formigoni di Francesco Capozza

d i a r i o ROMA. «Se Roberto Formigoni vuol restare in Lombardia per un altro mandato, troveremo una soluzione, perché ha lavorato bene». Con queste parole Umberto Bossi ha definito il rapporto personale e politico della Lega con il Pdl in Lombardia e con il suo Presidente. «Con Bossi e con la Lega non c’è nessun problema nella collaborazione e nel governo della regione Lombardia, anzi, è un alleato serio e disponibile al confronto», gli fa eco Roberto Formigoni chiaccherando con Liberal durante il viaggio di ritorno a Milano dal meeting ciellino di Rimini. Presidente, non crede che Bossi e la Lega abbiano un peso eccessivo nella coalizione di governo? No, assolutamente. La Lega ha il peso che si è guadagnata con una campagna elettorale strepitosa. È vero che oggi ha un’influenza numerica - in Parlamento e nel governo nazionale come in quelli locali- come mai è accaduto in precedenza, ma è parimenti vero che la Lega e Bossi oggi non sono quelli cui eravamo abituati in passato. Cosa intende dire? Intendo dire che oggi Umberto Bossi è consapevole dell’impegno che si è assunto davanti agli elettori che hanno premiato la Lega per far governare Silvio Berlusconi. Lui stesso, come ministro, si sta comportando egregiamente. È aperto come mai prima al dialogo e al confronto anche con le opposizioni. Direi che il suo motto oggi potrebbe essere: «Riforme insieme fino alla morte, politica ovviamente». I numeri parlano chiaro però: senza la Lega il governo cade, e anche una serie di amministrazioni locali. Se mi sta velatamente chiedendo se un fatto come quello del 1994, quello che fu chiamato “ribaltone”, oggi o in futuro potrebbe verificarsi di nuovo, la mia risposta è secca e sicura: no. No, perché Bossi sa che senza Berlusconi e il Pdl restituirebbe il governo alla sinistra e perché è consapevole che insieme stiamo lavorando bene per il Paese. Umberto Bossi è un alleato serio, leale e al tempo stesso fondamentale ma sa bene che in tutte le circoscrizioni elettorali il primo partito è il Pdl che ha espresso il Presidente del Consiglio che è il leader indiscusso della coalizione. Inoltre Bossi è diventato, per molti inaspettatamente, uno dei protagonisti del dialogo con le opposizioni. Ha persino dichiarato che se anche Casini votasse il federalismo gli cederebbe il suo ministero… È stata una boutade divertente ma significativa. Bossi ha fortemente voluto il federalismo, che è diventato un impegno formale del governo nei confronti non della Lega ma dei cittadini, che lo vogliono fortemente. Il fatto che anche dal Pd ci siano stati apprezzamenti alla proposta di Bossi, mi sembra un ottimo risultato per lui e per il governo. Io, come Umberto Bossi, sono convinto che il federalismo si debba fare anche perché è un’idea condivisa da molti settori politici e chiesta con insistenza dai presidenti delle Regioni e da molti sindaci. I suoi rapporti personali sono altrettanto buoni? Io ho un ottimo rapporto con la Lega. Governiamo bene insieme dal 2005 e non ci sono dissapori o divergenze d’opinione di nessun tipo. L’ho già detto in altre occasio-

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g i o r n o

Gelmini accelera, torna il 7 in condotta Come annunciato ieri dal ministro dell’Istruzione al Meeting di Rimini, il governo ha deciso di affrettare i tempi e realizzare un decreto ad hoc per permettere da subito l’introduzione delle nuove disposizioni. La conversione del decreto avverrà stamattina, durante il primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva. «Se si fosse seguito il normale corso - ha spiegato il ministro - si sarebbe perso un anno intero e non sarebbe stato possibile rendere da subito efficaci le norme sull’insegnamento dell’educazione civica e sulla valutazione del comportamento». Di parere opposto il ministro ombra del Pd Maria Pia Garavaglia che, commentando la mossa del governo, ha detto che «ci troviamo davanti a un’altra mortificazione del Parlamento».

Giustizia, Alfano consegna a Berlusconi la sua riforma Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha annunciato che consegnerà oggi al premier il frutto del suo lavoro estivo, ispirato dalla bozza Boato licenziata dalla Bicamerale nel 2007. Una riforma in quattro punti, suddivisa in tre tranches: una subito per decreto con un intervento sulle sedi disagiate, l’altra in autunno con un disegno di legge collegato alla Finanziaria per la riforma del processo civile e l’ultima entro Pasqua 2009, con l’avvio della procedura di revisione delle norme costituzionali per la riforma del processo penale. Una riforma che - ha annunciato lo stesso Alfano - «faremo dialogando, ma decidendo».

Giannutri, Fini fa il bagno dove è vietato Sopra una manifestazione della Lega A sinistra il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni ni e lo ripeto ancora una volta: in Lombardia la Lega è stata fondamentale per l’approvazione di molti progetti e per arrivare alla conquista dell’Expo. Non altrettanto si può dire che avvenga tra il Pdl e la Lega in Veneto. Lei ha incontrato a Rimini il suo collega Galan, di cosa avete parlato? Con Giancarlo Galan abbiamo parlato dei problemi che più ci riguardano direttamente in quanto Presidenti di due regioni italiane per molti aspetti vicine: l’Alta Velocità, ho accettato la proposta di collaborazione della regione Veneto alla preparazione dell’Expo e abbiamo affrontato, ovviamente, anche problemi di politica nazionale e partitica. Siamo entrambi d’accordo nell’appoggiare il federalismo fiscale; ad entrambi piace la bozza Calderoli. Anche sul radicamento e l’organizzazione territoriale del Pdl la pensiamo allo stesso modo: un partito che abbia anche una componente federale – e non federata - radicata territorialmente non può che essere un fatto positivo e innovativo. Nulla sui dissapori con la Lega in Veneto? Non ne abbiamo parlato e al momento non mi sembra un problema reale.

Vedo ribaltoni nel futuro? No, perché il Senatur sa che senza Berlusconi e il Pdl restituirebbe il governo alla sinistra ed è consapevole che insieme stiamo lavorando bene per il Paese

Martedì pomeriggio, muta e bombole, Gianfranco Fini si è immerso in un’area di protezione integrale del parco nazionale dell’Arcipelago Toscano, un tratto di litorale dove e’ vietata qualsiasi attività. A denunciare il fatto è Legambiente che ha immortalato il presidente della Camera, accompagnato da una imbarcazione dei vigili del fuoco, mentre si prepara all’immersione davanti alla Costa dei Grottoni, che è definita dal decreto istitutivo dell’area protetta «zona 1, interdetta a qualsiasi attività che non sia di carattere scientifico». Legambiente ha immediatamente scritto una lettera alla direzione del parco dell’Arcipelago Toscano.

Aeroporti, bufera sul sindaco di Comiso Forti polemiche, soprattutto da parte del centrosinistra, per la decisione di Giuseppe Alfano, primo cittadino di Comiso, di cambiare il nome dell’aeroporto intitolato un anno fa a Pio La Torre, leader del Pci siciliano ucciso dalla mafia il 30 aprile del 1982 assieme al suo collaboratore Rosario Di Salvo. «Èuna scelta che non offende solo la sua memoria ma quella di tutti i siciliani onesti che sperano e credono che sia possibile costruire un futuro diverso e migliore per la propria terra», ha detto Walter Veltroni. «Il sindaco ragiona come un mafioso», ha commentato Claudio Fava (Sd).

Sicurezza, Alemanno fa censire i casali Da subito un «censimento di tutte le aree agricole e dei casali rurali esistenti sul territorio del Comune di Roma» e al più presto «un’ordinanza che obblighi i proprietari a metterli in sicurezza». Sono questi i provvedimenti che il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha deciso di adottare, d’intesa con le associazioni degli agricoltori, dopo l’aggressione dei due turisti olandesi a Ponte Galeria.


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economia IL PIANO INTESA SAN PAOLO 5000 ESUBERI + 2000 TRASFERITI ALLA BAD COMPANY AUMENTO DI CAPITALE PER 700 MILIONI DI EURO + 300 PER ACQUISTO DI AIR ONE TAGLI ALLA FLOTTA PER 33 AEREI (?) N.B. PREVISTO UN PREZZO MEDIO DEL PETROLIO A 115 DOLLARI

IL “VECCHIO” PIANO AIR FRANCE 2120 ESUBERI + 4.000 LAVORATORI DI AZ SERVIZI ASSORBITI IN AZ-FLY TAGLI ALLA FLOTTA PER 37 AEREI AUMENTO DI CAPITALE PER UN MILIARDO DI EURO INVESTIMENTI PER 850 MILIONI DI EURO NEL TRIENNIO 2008/2010 RIACQUISTO DEI MENGOZZI BOND N.B. PREVISTO UN PREZZO MEDIO DEL PETROLIO A 80 DOLLARI

Cinquemila dipendenti della compagnia di bandiera saranno assorbiti da altre aziende pubbliche

Poste e Catasto salveranno Alitalia? di Alessandro D’Amato

ROMA. Ritorno di fiamma o stato di necessità? Quello tra Roma e Parigi è un riavvicinamento reale, e che va più in là dell’incontro avvenuto ieri nella capitale francese tra una delegazione di top manager di Intesa-San Paolo ed Air France. E che parte da una situazione di oggettiva difficoltà per Jean Cyril Spinetta: la gara indetta dal governo austriaco per Austrian Airlines si è fatta improvvisamente più complicata per Parigi.

Mentre in passato il vertice della compagnia aveva espresso una preferenza per i francoolandesi – perché vedevano il rischio di una cannibalizzazione in caso di acquisto di Francoforte – il governo ha fatto sapere di guardare con favore ai tedeschi, visto che Austrian fa già parte di Star Alliance, l’affollata alleanza che riunisce oltre 20 compagnie, tra cui proprio Lufthansa. E considerando che il risiko delle compagnie aeree ormai è arrivato quasi a compimento, per l’unica “zitella” rimasta – Alitalia – si fa ormai sempre più probabile un matrimonio d’interesse con gli unici rimasti a bocca asciutta: il cda straordinario convocato per oggi dai francesi dovrebbe dare una prima risposta. Ecco quindi che dall’esito della gara per Austrian Airlines – in lizza, per il 43% della compagnia, pari a un valore di circa 157 milioni di euro, oltre a Lufthansa

e AF, ci sono il secondo vettore russo, S7 Air China e Turkish Airlines, che hanno notificato le proprie intenzioni alla holding OeIag – molto probabilmente finirà per dipendere il destino di via della Magliana. Anche se sui mercati finanziari c’è chi vede l’ipotesi Lufthansa per Alitalia non ancora tramontata, soprattutto in base ai legami di Francoforte

Md80 e i Boeing 737 – e il rinnovo della flotta. Sul quale la compagnia abruzzese aveva già puntato, con un programma per rinnovare completamente il parco aerei che a questo punto potrebbe essere preso in mano proprio dalla “nuova”Alitalia.

Ma il ritorno di fiamma dei francesi non ha mancato di suscitare polemiche politiche. “Sono due cose molto diverse: allora si trattava di una cessione, una piena sudditanza di fatto degli interessi strategici italiani a quelli della compagnia francese. Oggi si parla di una ipotesi di accordo paritetico”, ha risposto il viceministro al Commercio Estero, Adolfo Urso. “È

sposizione e perché allora non c’era il ricorso ad una bad company. Spero che il governo con le norme che farà non voglia mettere questa disponibilità di imprenditori italiani dentro un nuovo pasticcio, che non farà una ’mini Parmalat’”, mentre secondo Gianfranco Rotondi il piano “ridà credibilità al Paese”, e la Lega è tornata a battere sul nodo Malpensa. Altro focolaio quello dei licenziamenti: l’ipotesi che circola è quella di un riassorbimento degli esuberi da spalmare su Poste, Fintecna e Agenzia delle Entrate. Secondo una fonte governativa, due sono le strade: la prima vede la gestione e il rischio affidato a Scajola e al ministero dello Sviluppo, la seconda alla Fintecna e quindi a Tremonti e al ministero dell’Economia. Ipotesi in qualche modo confermata dal ministro Matteoli, che ha parlato di “ammortizzatori

Intanto Air France, dopo l’incontro parigino con i vertici di Intesa-San Paolo, ha mostrato nuovamente interesse per il nuovo assetto della compagnia italiana con la Air One di Carlo Toto. Il quale non ha ancora sciolto del tutto le riserve ma nella nuova Compagnia Aerea Italiana dovrebbe esserci. Se non altro perché il piano Fenice prevede un ulteriore taglio di aerei - i vecchi

chiaro a tutti che oggi le condizioni sono nettamente peggiori di quell’accordo buttato a mare – ha risposto ieri Pierluigi Bersani, ministro-ombra dell’Economia del Pd – per numero di esuberi, per risorse messe a di-

sociali”, ma per l’associazione Codici la soluzione “è inaccettabile: si bloccano le assunzioni dei precari delle Poste che hanno vinto ricorsi giudiziali e ci mettono i raccomandati di via della Magliana”, ha osservato il

segretario nazionale Ivano Giacomelli. Anche il Codacons a minacciato un’azione legale per tutelare i risparmiatori che ancora oggi possiedono azioni e bond Alitalia.

Sul fronte dell’esecutivo, intanto, oggi dovrebbe essere portato in Consiglio dei ministri un decreto legge di modifiche urgenti per la Marzano e un disegno-delega per il riordino della legislazione in materia di gestione delle crisi aziendali, entrambi facenti capo al ministero dello Sviluppo economico. E per il ruolo di commissario ieri è spuntata la candidatura di Augusto Fantozzi, ex ministro repubblicano delle finanze e vicepresidente di Antonveneta, sponsorizzato da Gianni Letta. Sempre Matteoli ha fatto sapere che però c’è anche un altro nome (probabilmente in quota An) tra i candidati alla poltrona. E il commissario ai trasporti Antonio Tajani ha fatto sapere che i tempi dell’istruttoria Ue molto probabilmente si allungheranno, alla luce delle osservazioni presentate da British Airways, Ryanair, Sterling Airlines, Neos e l’Associazione europea delle agenzie di viaggio, che accusano l’Italia di concorrenza sleale, dovuta al fatto che il prestito non è stato concesso a condizioni di mercato, come sarebbe dovuto avvenire in base alle regole comunitarie. Dunque, si tratterebbe di un aiuto di Stato illegale.


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otto pagine per cambiare il tempo d’agosto

c c a d d e

o g g i

28

agosto 1996

Al capolinea la lunga e tormentata crisi reale inglese

Carlo e Diana: arriva la sentenza del divorzio di Pier Mario Fasanotti

lla fine Carlo e Diana divorziarono. Il 28 agosto del 1996. Fine di una lunga e tormentata crisi, che aveva fornito carburante in dosi forti alla stampa inglese che, contrariamente a quanto qualcuno crede, è assai più pettegola di quella italiana. Forse perché in Inghilterra la persistenza della monarchia invita automaticamente ai sussurri, alle mormorazioni, alle dichiarazioni e alle contro-dichiarazioni o smentite, a colpi di dossier ed epistolari più o meno segreti. Diana, la principessa del Galles continuerà a occupare uno spazio privilegiato nei tabloid britannici, che spieranno le sue nuove frequentazioni amorose. Fino alla sua santificazione a seguito dell’orribile morte cui andò incontro in auto a Parigi assieme al futuro secondo marito Al Fayed. L’ambiente della corona pare fatto per le favole. Ma essendo tramontate le favole buone ed edificanti, al loro posto regna il gossip. È la corona stessa, con quel vecchiume di cipria, parate, discorsi, borsette non sempre in tinta col vestito delle dame, sguardi catturati dai fotografi che imbracciano telecamere a forma di Kalashnikov, a prestarsi all’infinità delle chiacchiere. Divorzio, dunque. Con il principe Carlo che si consola con la vecchia fiamma Camilla. Un uomo con la faccia un po’ equina, invecchiato erede a un trono sul quale forse farà sedere il figlio a causa della quasi antipatica resistenza della regina Elisabetta, innamorata dello scettro e incurante delle spese esorbitanti dei suoi palazzi, della sua servitù. Ma la storia dello sgretolamento matrimoniale risaliva a cinque-dieci anni prima. «Avevamo esaurito le energie» dichiarò la principessa triste, sempre col capo un po’reclinato, amata dalla folla dei bambini e delle signore, ma sempre più a disagio, lei ex signora e contessa Spencer, nella foto di gruppo della famigliocontinua a PAGINA II na di Westminster.

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SCRITTORI E LUOGHI

I VIGLIACCHI DELLA STORIA

La San Pietroburgo di Dostoevskij

I SENTIMENTI DELL’ARTE

L’allegria secondo Vermeer di Olga Melasecchi

di Alfonso Francia

Ponzio Pilato di Massimo Tosti

a pagina IV

a pagina VI

a pagina VII pagina I - liberal estate - 28 agosto 2008


segue da PAGINA I I parenti-serpenti non le erano tanto favorevoli: la vedevano come elemento disturbante del tessuto connettivo della monarchia inglese. Qualcuno andava oltre e la chiamava “mina vagante”. C’era poi il gruppo fedele a Carlo che s’era mosso ben prima che si mormorasse della separazione legale. I giornali, anche se non tutti, abboccarono e Diana da dolce si trasformò in cinica. oi ci fu, nel giugno nel 1992, la pubblicazione di “Diana, la sua vera storia” (di Andrew Morton), uscita a puntate sul Sunday Times. Un colpo terribile alla sua immagine visto il titolone di prima pagina: “Diana indotta a cinque tentativi di suicidio dall’incurante Carlo”. Colpa di lui, della sua elegante indifferenza, ma anche descrizione di un’estrema fragilità femminile. Il giornale rivelò che lady Diana aveva sofferto di un disturbo dell’alimentazione, la bulimia nervosa. E ancora: il principe di Galles aveva una relazione segreta con Camilla

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Parker-Bowles durante gli anni di matrimonio. Ci fu chi giurò che la sua ex fidanzata biondiccia non rimase mai un giorno solo lontana dal suo letto. Dopo le notizie così esplosive, la coppia reale si riunì a Kensington Palace. Dovevano decidere il dafarsi. Gravava il malumore, però i due si parlarono con fran-

di tutto per andare avanti, ma ovviamente avevamo entrambi esaurito le energie». La frase ovviamente va letta in modo molto semplice: i troubles coniugali duravano da tempo, tutti e due ci avevano messo della buona volontà (sul dosaggio reciproco inutile azzardare), la soluzione della separazione legale si prospettava come unico rimedio. Diana, e lo si vide anche, racquistò una certa pace interiore. Il percorso che l’attendeva non era sicuramente facile, ma sotto le sue scarpette a punta c’erano, o ci potevano essere, i sassolini della speranza. L’apparentemente flemmatico e passivo Carlo, prima dell’incontro con la moglie, aveva già fatto le sue mosse. S’era visto con la Regina, sua madre, al castello di Windsor, e aveva discusso con lei sulle conseguenze del di-

“Avevamo esaurito le energie” dichiarò la principessa triste, sempre col capo un po’ reclinato, amata dalla folla dei bambini e delle signore, ma sempre più a disagio, nella foto di gruppo della famiglia di Westminster chezza e affrontarono il tema della separazione. Più tardi - non ci è dato di sapere quali parole si siano scambiati i coniugi sull’orlo dell’abbandono regale Diana disse di avere avvertito «una profonda, profondissima tristezza: perché avevamo fatto

pagina II - liberal estate - 28 agosto 2008

vorzio. L’incompatibilità di carattere, certi rapporti di crudeltà o di indifferenza, a corte, non potevano che diventare affari di stato. Non erano due borghesucci qualsiasi. In gioco, ed Elisabetta premeva molto su questo tasto, c’erano l’immagine e quindi la credibilità (già un po’ bassa o molto abbassata) della monarchia isolana. Che reazione avrebbe avuto l’opinione pubblica? Un conto era dare in pasto bocconi di pettegolezzi, facilmente smentibili, un conto era siglare ufficialmente una rottura. E, si sa, i principi devono essere obbedienti alla favola dell’eternità amorosa. Il giorno in cui il Sunday Times cominciava a pubblicare le puntate sulla vita di Diana, Carlo omaggiò la madre, che era ospite d’onore, al Windsor Great Park per una partita di polo. E che fece il principe? Invitò la signora Camilla assieme al marito Andrew. Più che un segnale di avvertimento, un vero schiaffo in guanti bianchi alla principessa triste. Seguirono ardenti polemiche sul ruolo della stampa nell’affaire coniugale di Carlo e Diana. Lord McGregor, presidente del-

la commissione per le accuse alla stampa, rilasciò una dichiarazione di fuoco. Parlò dell’ «odiosa esibizione di giornalisti che ficcavano le dita nell’intimità della gente». Scottante l’argomento in un paese dove ci si batte sia per la libertà di espressione sia per la riservatezza, la famosa privacy. In ogni caso non fu messo in discussione il contenuto del libro. McGregor ammise che il tema era uno «dei più difficili che mi fosse toccato di trattare». arcivescovo di Canterbury non entrò nel merito della disputa coniugale, limitandosi a esprimere preoccupazione per i figli della coppia, William e Harry. La principessa addolorata partì immediatamente per Merseyside, a bordo di un elicottero. La visita a un ospizio fu il suo primo atto ufficiale dopo la comparsa del libro. Un po’ per tastare il polso ai sudditi. I quali le dimostrarono affetto e lei scoppiò in lacrime. Avrebbe in seguito raccontato: « Una vecchia signora tra la folla mi ha accarezzato sul viso e il gesto ha fatto scattare qualcosa dentro di

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o stesso giorno... nel 430

Per tutta la vita il santo romano e cristiano mantenne un atteggiamento sdegnoso, contrito e fiducioso, con la mente colma di sapienti e di poeti del passato, tenendo a distanza il presente e pensando di Filippo Maria Battaglia al padre e alla madre che l’avevano concepito nel peccato Sant’Agostino muore a Ippona il 28 agosto egli lasciò aperto uno del 430. Come scrive James O’Donnell nella spiraglio per una fuga più o recente biografia pubblicata da meno onorevole. I vescovi delle comunità Mondadori, se ne va dal mondo «come che erano poco più di cascine fortificate gli aveva scelto di viverci: romano e cristiano, furono probabilmente grati. Agostino, sdegnoso, contrito e fiducioso, con la però, restò al suo posto. E i suoi libri, non mente colma di sapienti e poeti del passa- sappiamo come, sfuggirono alla distruzioto, tenendo a distanza il presente e pensan- ne». do al padre e alla madre che l’avevano con- Poi, cala il sipario: «Quando non ci fu più, cepito nel peccato». La sua dipartita è pre- nessun santuario e nessuna storia miracoceduta da un periodo tutt’altro che felice losa vennero a segnare i luoghi in cui aveva Scrittore prolifico, ispirato visionario di per l’impero: «i barbari erano alle porte, camminato. Era questo che voleva? L’unico verità divine, polemista poderoso, questa volta davvero. Chiamati in Africa privilegio che racconta il suo biografo è Agostino non ebbe eredi intellettuali e dal generale Bonifacio perché ne sostenes- poca cosa. Narra Possidio che un malato fu lasciò una chiesa e una comunità depredasero le ambizioni, gli ottantamila vandali condotto al letto di Agostino morente con te. Gli aspiranti discepoli che aveva pure (la cifra potrebbe essere esagerata) sfuggi- la preghiera che il vescovo gli ponesse le avuto, come Orosio e Consenzio, erano rono a ogni controllo. Diventarono una mani sul capo per guarirlo. “Se avessi un stati fonti di imbarazzo. I sostenitore che minaccia per tutto il Nordafrica latinizza- potere del genere” disse Agostino non Agostino trovò nella sua generazione sucto. Sbarcarono nell’anno 429 a occidente, senza ironia “l’avrei già usato su di me”. cessiva furono dal primo all’ultimo totallontano da Ippona, e nell’agosto dell’anno Intervenne allora l’amico dell’infermo, che mente devoti e totalmente privi di immagiseguente cinsero d’assedio la città dove raccontò un sogno. Una voce gli aveva nazione: Quodvultdeus, Mario Mercatore e Agostino agonizzava. Fuggì nell’aldilà detto: “Va’ dal vescovo Agostino. Che Prospero D’Aquitania si schierarono tutti prima che Ippona si arrendessero, ma poco imponga la mani a quest’uomo ed egli gua- a favore delle idee più controverse del maedopo la sua città alzò bandiera bianca». Ed rirà”. A queste parole, Agostino esaudì la stro; lo fecero con grande energia, ma aveè proprio durante la malattia che richiesta e il malato fu risanato. Un soffio vano più limiti che capacità». Resta l’im«Agostino aveva dovuto ricevere i vescovi del potere divino attraverso per una volta magine solitaria dell’uomo di fede in agodei dintorni, venuti a chiedergli se fossero quel (riluttante?) strumento». «Dopo di lui nia, e tutt’attorno l’atmosfera di un mondo obbligati a restare al loro posto mentre il – scrive più avanti O’ Donnell con un tono in decadenza che pochi anni dopo capitonemico si avvicinava. Nella sua risposta quasi apocalittico – non ci fu nessun altro. lerà definitivamente.

Scompare a Ippona Sant’Agostino

me. Non sono riuscita a impedirmi di scoppiare in lacrime». Qualcuno del suo entourage disse: «Diana è una brillante attrice che ha saputo nascondere il suo dolore privato». Si rendeva tuttavia conto di essere ormai sola nell’affrontare gli impegni della famiglia reale. Giorni in apparenza leggeri si trasformarono in ore di pesantezza e di imbarazzo. C’era poi un altro appuntamento spigoloso. Dopo l’incontro col marito, Diana doveva affrontare la regina e il principe Filippo, negli appartamenti privati del castello di Windsor. La regnante e il consorte opposero il rifiuto di accettare l’idea della separazione, «sotto qualsiasi forma». Proposta della sovrana e di Filippo: affrontate un periodo di prova, cercate tutti e due di risolvere le divergenze. La facciata della monarchia aveva i suoi diritti e richiedeva un restauro segreto. Quel che preoccupava tutti era il “durante”. I cerimoniali sono sempre stati rigidi in Inghilterra. Durante una riunione ad Ascot, fu chiara a tutti la crudele e ridicola scena in cui la duchessa di York, separata dal principe Andrea, se ne stava separata, lontana dall’ex marito, assieme alle sue due figlie. Guardava la processione delle carrozze da una posizione secondaria. Come una governan-

te. Diana ricevette poi dal Duca di Edimburgo, il suocero, quattro pungenti lettere. Ognuna di un tono diverso: amarezza, rimprovero, spirito conciliatorio, condanna. Diana non restò passiva.Trovò il modo di far sapere al duca il trattamento

fu aiutata dai giornali a capire la “tortura” inflitta alla principessa. L’immagine della corona si stava corrodendo. La gente ormai pensava che il comportamento della famiglia reale non era certo migliore di una qualsiasi famiglia del Regno. E continuò quella che venne chiamata “la bisbigliante campagna contro la principessa”. Si arrivò ad atteggiamenti di panico o di paranoia. A Kensington Palace Diana faceva perquisire le sue stanze nel sospetto che fossero state piazzate microspie. Distruggeva metodicamente i fogli di carta sui quali aveva scritto qualcosa, ben sapendo che non mancavano all’interno della Residenza persone disposte a frugare nei cestini della carta straccia. Le informazioni pic-

Alla vigilia del giorno fatidico, mentre la principessa era sul trampolino di un yacht, un’amica le chiese al telefono: “Dimmi soltanto una cosa: è vera felicità?». E lei, di getto senza esitare, rispose: «Sì, finalmente, è vera felicità. Ciao»

subito da Carlo. Chiese, come condizione della sua permanenza all’interno della famiglia reale, che il marito abbandonasse Kensington Palace. Iniziava un’estate di manovre e di sotterfugi. L’opinione pubblica

canti venivano ben pagate dai giornali. Lo stretto entourage di Carlo, lo stesso che aveva cercato di convincerlo a non sposare Diana, ora gli suggeriva di indagare sullo «stato mentale» della moglie. È una donna da scaricare immediatamente, lo avvisarono. Il principe si astenne. Ma poi cedette a coloro che lo consigliavano di rivolgersi ai giornali e di spiegare la sua versione dei fatti. Certi organi di stampa si schierarono con lui, parlarono di Carlo come padre modello e di Diana come «madre soffocante». La principessa fu poi accusata di ostacolare il marito che pretendeva di vedere e frequentare i figli. La condotta di Diana fu definita «irrazionale, irragionevole e isterica». Altri tabloid calcarono la mano scrivendo che Diana era «una megalomane che pretendeva di essere al centro del mucchio, che vuole apparire come la più grande donna del mondo». Ma è anche vero che questa donna, che viveva appartata con i suoi bambini, ascoltò per caso una telefonata compromettente tra Carlo e Camilla. Chiese al ma-

rito: «Perché non te ne vai con la tua signora e non la facciamo finita?». Nell’autunno i “negoziati” per la separazione continuarono. Diana temeva che le portassero via i figli, ricordando il difficile divorzio dei genitori: sua madre Frances Shand Kydd, al termine di una battaglia legale, aveva perso la custodia dei quattro figli. Aveva vinto il padre di Diana, il conte Spencer. lla fine venne fissata la data della dichiarazione ufficiale della separazione. Doveva farla il primo ministro. Era il 9 dicembre 1992. Fine di un annus horribilis. Iniziava la fase nuova della sua vita. Carlo e Diana buttarono via anche molti ricordi. Fecero un falò e ci misero dentro molti oggetti, indesiderati da entrambi. Gli architetti, nelle rispettive abitazioni, ricevettero l’ordine di cambiare tutto. E di cancellare le tracce coniugali. Era il 27 agosto 1996, vigilia del divorzio, quando un’amica di Diana le chiese al telefono, mentre la principessa era sul trampolino di una yacht: «Dimmi solo una cosa: è felicità?». E lei rispose: «Sì, è felicità. Ciao».

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SCRITTORI E LUOGHI

A pochi passi dalla Siberia finisce LA SAN PIETROBURGO di Dostoevskij Nel ritrarre la capitale degli zar lo scrittore si sofferma sulla città abitata dai più poveri di Alfonso Francia

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apita, parlando con persone che affermano di aver letto “tutto Dostoevskij”, o almeno “tutto quello che ha scritto dopo l’esilio siberiano, perché tanto prima era uno scrittore come gli altri”, che si cominci a scambiare qualche ovvietà sull’ambiente russo.Tra un immancabile accenno alla spiritualità ortodossa e un richiamo alle radici asiatiche, qualcuno tirerà fuori Mosca e San Pietroburgo per poi sentirsi in dovere di ricordare che “l’ambientazione nei suoi romanzi non ha nessuna importanza, quel che conta sono i processi mentali che travolgono i personaggi”. Questa affermazione potrebbe anche essere vera, ma sarebbe meglio dare prima uno sguardo a questa San Pietroburgo, partendo dal lavoro più famoso: “Delitto e castigo”. Non si fa in tempo ad aprire le pagine al primo capitolo, che ci troviamo di fronte alla descrizione della camera presa in affitto dallo studente Raskòlnikov. Un piccolo bugigattolo potrà sembrare

un po’poco per approcciare una città che già a metà Ottocento era una metropoli, ma nelle poche righe dedicate alla presentazione del povero alloggio è riassunta tutta la miseria che si ammassava nei quartieri popolari della città. La stanzetta, che “rassomigliava più a un armadio che a un’abitazione”, era posizionata o per meglio dire incastrata “proprio sotto il tetto di un alto casamento a cinque piani”. Non esattamente una sistemazione degna di una città che era il vanto di tutti gli zar. Gli spazi ampi, nella Russia sconfinata, sono un lusso che ci si può permettere solo se si è ricchi o se si è tanto poveri da vivere all’aperto, posto che si riesca a superare l’inverno. Non si pensi poi che spazi infimi potessero almeno tradursi in un poco di privacy. Per uscire di casa il nostro protagonista doveva necessariamente passare di fronte all’alloggio della sua padrona di casa, “la cui porta era

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La descrizione parte dalla camera presa in affitto dallo studente Raskòlnikov. Un piccolo bugigattolo che potrebbe sembrare un po’ poco per approcciare una città che già a metà Ottocento era una metropoli quasi sempre spalancata sulla scala”. Nulla di nuovo comunque, tutte le grandi metropoli del passato, e anche parecchie del presente, hanno fatto convivere enormi ricchezze con altrettanto grandiose miserie, e la Russia che, al momento in cui scrive Dostoevskij, aveva appena abolito la servitù della gleba, non poteva fare eccezione. a città ci si presenta in un’apparenza più singolare non appena noi voltiamo pagina e Raskòlnikov svolta in strada.Veniamo immediatamente immersi dal-

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lo “speciale lezzo estivo, noto a ogni pietroburghese che non abbia la possibilità d’andare in villeggiatura”. Si tratta di un odore di calcina, legname, mattoni e polvere, mischiate al caldo afoso di luglio. Un caldo da poveri quindi, perché ricchi e benestanti sono potuti fuggire dalla città; sappiamo già che la Pietroburgo che abbiamo di fronte è stata momentaneamente appaltata ai miserabili, a quelli che non possono permettersi il lusso di un secondo tetto. L’insieme però non sembra destare tristezza nell’autore. È una giornata calda ma bella, e la popolazione operaia e artigiana, am-

massata tra le vie e i vicoli del centro, “screziava il panorama di tali figure che sarebbe stato strano stupirsi di qualsiasi incontro”. La città è povera ma viva e in movimento, almeno finché si sta in strada. L’aria cambia quando ci si avvicina agli alloggi dei poveri pietroburghesi, i soli abitanti che interessino Dostoevskij in questo romanzo. Se l’alloggio del giovane protagonista ricorda la cella di un’ape, gli appartamenti descritti poco più avanti ispirano nuove similitudini con il mondo degli insetti. Come fare a non vedere in un “enorme casamento diviso in minuscoli quartierini abitati da sarti, fabbri, cuoche e modesti impiegati” l’ordinata società che ha vita nei formicai? L’autore tarda molto a descrivere le splendide piazze che punteggiano la città, le prospettive spaziose e i ponti larghi. Queste sono bellezze architettoniche buone per gli imperatori con manie urbanistiche, di San Pietroburgo interessano i palazzoni stipati di es-


«Gli spazi ampi, nella Russia sconfinata, sono un lusso che ci si può permettere solo se si è ricchi o se si è tanto poveri da vivere all’aperto, posto che si riesca a superare l’inverno»

Scene di vita quotidiana nella città degli Zar come descritte dall’autore russo In alto: lo scrittore Fëdor M. Dostoevskij e una veduta di San Pietroburgo

sere umani, suddivisi in microscopici appartamentini perennemente bui, nonostante a luglio in città “la notte non cali praticamente mai”. Più importante degli edifici principeschi è la casa di Marmeladov, padre di Sonja: “Un mozzicone di candela illuminava una stanza poverissima, lunga una diecina di passi che si poteva veder tutta dall’entrata.V’erano tante cose sparpagliate, in disordine, tanti cenci appartenenti ai bambini”. In questo caso davvero Dostoevskij non ha remore a descrivere con una minuziosità quasi inutile la povertà che regna nella casa. Era già stato rimarcato che l’alloggio di un’intera famiglia constava di una sola camera, non c’era bisogno di aggiungere che in un angolo si distingueva “un lenzuolo teso, bucherellato, dietro al quale forse era un letto”. Si poteva omettere quel “bucherellato”, così come era possibile ignorare che la vecchia tavola era “non verniciata, senza nulla su”.

Anche qui, nessuna speranza di raccoglimento, perché nelle stanze successive, affittate da altri, “si faceva chiasso, si parlava a voce alta, si udiva sghignazzare”. Una stanza così ci dice di San Pietroburgo più di tutte le sue cattedrali ortodosse, che il nostro studente vede da un ponte: la sua cupola “risplendeva a tal punto che attraverso l’aria limpida se ne poteva distinguere esattamente ogni fregio”. Una visione commovente, ma allo stesso tempo distante, che non riguardi davvero la vita delle persone in guerra con una realtà molto meno spirituale. uando ci troviamo a percorrere i quartieri della gente benestante, notiamo prima di tutto il verde e la frescura, che danno sollievo agli occhi “avvezzi alla polvere della città, alla calcina e alle case enormi, opprimenti”. Le ville sono nascoste tra le piante e protette da recinti, come le grandi case dei quartieri residenziali più esclusivi delle nostre

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città. Raskòlnikov è impressionato soprattutto dai fiori, che lui è abituato a vedere nei piccoli mazzi venduti per strada, già rovinati per essere stati colti da ore. Ma qui siamo quasi fuori città, in quartieri da sogno che non condividono nulla con chi ne percorre le strade. Il fascino di Pietroburgo si fa sentire altrove, quando Dostoevskij è stanco di far arrancare i suoi personaggi (non permette quasi mai loro di prendere una vettura, neanche quando potrebbero permetterselo). In questi casi ci è permesso ammirare per qualche minuto la Neva, sotto “il luminoso tramonto del sole rosso e splendente”. Finito lo spettacolo è già ora di riprendere il cammino, perché il confuso Raskòlnikov, amando farsi maltrattare dal suo Dostoevskij, ha preferito avviarsi verso casa passando per piazza Sjennàja, “invece di prender la via più breve e diretta, che era tanto più comoda per lui”. Di questi tragitti interminabili

però l’autore non ci lascia quasi traccia, perché troppo impegnato a seguire i ragionamenti e i pensieri arsi dalla febbre del suo protagonista. Ma neanche lo studente sembra rendersi conto dei suoi movimenti, anzi, è così poco conscio dello spazio intorno a lui che quasi si getta sotto gli zoccoli di un cavallo, meritandosi una frustata dal vetturino inviperito. E quando finalmente sbuchiamo in piazza Sjennaja, scopriamo che non di grande spazio monumentale si trattava, ma della banale piazza da mercato, come se ne trovano in qualunque paese. Il nostro studente la attraversa verso le nove della sera, mentre tutti i commercianti si apprestano a rincasare: “Tutti i venditori che avevano le mercanzie sui banchi e nelle botteghe grandi o piccole riponevano la roba e se ne andavano a casa. Accanto alle bettole a pian terreno, nei cortili sudici e puzzolenti della piazza, si affollavano molti operai e straccioni d’ogni sorta”. A volte sembra che il degrado e la sporcizia siano una presenza così familiare per gli abitanti umili di san Pietroburgo, che non potrebbero vivere senza. Così Raskòlnikov non può evitare di domandarsi per quale motivo “in tutte le grandi città, l’uomo non solo per necessità, ma anche per una sua speciale tendenza, va a vivere e stabilirsi proprio in quei quartieri dove non ci sono né giardini né fontane, bensì fango e puzzo e ogni sorta di sporcizia?”. ppure l’autore non sembra infastidito da tanto squallore, al contrario torna a descriverlo senza neanche fare la fatica di trovare altre espressioni. Così ci troviamo di nuovo di fronte a “polvere, mattoni, calcina, puzzo delle bettole e delle bottegucce”, atmosfera nella quale è immersa la solita varietà umana di venditori ambulanti, mendici, suona-

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tori d’organetto e vetturini su carrozze sconquassate. Ad avventurarsi per i vicoli si troverà il solito intrico di scale buie, bagnate di acqua sudicia, cosparse di bucce di patate e immondizie varie lanciate dalle soglie che per il caldo restano sempre aperte. L’unico elemento di San Pietroburgo che domini quanto la sporcizia è l’acqua. La ritroviamo sotto forma di acqua zampillante da fontane fastose o più modestamente la vediamo scorrere dalle grondaie; la osserviamo percorrere san Pietroburgo con la Neva e i canali, grazie ai quali “le donne lavavano i capi di biancheria” sulle zattere o su piccole barche ormeggiate. Solo l’acqua salva la città dal cumulo di rifiuti che sommerge la gente povera, ormai così avvezza che non ne sente il puzzo. L’acqua è anche capace di mostrare una realtà diversa, trasfigurata attraverso il suo specchio distorcente. Così chini su un parapetto vediamo “una finestra lontana di una soffitta sulla riva sinistra del fiume, che scintillò come se fosse tra le fiamme, quando l’estremo raggio di sole ci battè su per un attimo”. Una bellezza possibile, che appena cala la sera si trasforma però nel solito squallore afoso, fatto di “polvere e acqua stagnante”, non più in grado di riflettere nulla. Stavolta è la luna a fare luce sui soliti straccioni a passeggio, alla ricerca di divertimenti e sbornie. La San Pietroburgo di Delitto e castigo finisce qui, a pochi passi dalla Siberia alla quale Raskòlnikov è condannato; c’era altro da raccontare, ma a Dostoevskij premeva una denuncia sociale che si soffermasse sui certi quartieri, raccontati con pochi tratti ripetuti ed esatti, come è tutta la sua scrittura.

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I VIGLIACCHI DELLA STORIA Per i romani del I secolo il lavaggio delle mani era un atto di purificazione. Il governatore lo fece pubblicamente perché giudicava impuro e ingiusto il verdetto della folla. Con il tempo a quell’atto venne attribuito un senso diverso che declinava ogni responsabilità ra staremo insieme per sempre”, dice in sogno il filosofo errante coperto di stracci all’egemone: “dove sarà l’uno lì sarà anche l’altro! Quando mi ricorderanno, ricorderanno anche te! Io, trovatello, figlio di genitori ignoti e tu, figlio del re astrologo e della figlia del mugnaio, la bellissima Pila”. E “il feroce procuratore della Giudea in sonno pianse e rise di gioia”. Il procuratore, l’egemone, è Ponzio Pilato nella versione profana di Michail Bulgakov (il romanzo nel romanzo “Il Maestro e Margherita”); il filosofo errante è Jeoushua Ha-Nozri (Gesù, nella lingua aramaica), crocifisso sul monte Calvario poche ore prima. Pilato è un uomo tormentato (anche dai dolori fisici, oltre che dai rimorsi La mattina, quando la folla, sobillata dai sacerdoti del sinedrio, ha scelto di salvare Barabba – e non Gesù – dalla condanna a morte, il procuratore non ha avuto la possibilità di ribaltare quel giudizio: i suoi poteri di rappresentante di Roma a Gerusalemme non glielo consentivano. Ma Pilato è rimasto molto turbato quando il capo del suo servizio segreto, Afranio, gli ha rivelato che sul Calvario – prima di morire – l’unica cosa che il filosofo ha detto è stata che “tra i vizi dell’uomo uno dei più gravi, secondo lui, è la vigliaccheria”. Nel Vangelo di Matteo si legge che quando la folla chiese che

Ponzio Pilato

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Il procuratore della Giudea succube della plebe e del potere di Massimo Tosti

La chiesa copta ha santificato il delegato romano, affermando che si convertì al Cristianesimo, insieme con la moglie Procula fosse Gesù (e non Barabba) a salire sulla croce, Pilato domandò: “Che cosa ha fatto dunque di male?”. Quelli gridarono di nuovo: “Sia crocifisso”. E allora Pilato, “visto che non approdava a nulla, e che anzi il tumulto si faceva maggiore, prese un catino e si lavò le mani innanzi al popolo, dicendo: “Io sono innocente del

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sangue di questo giusto; pensateci voi”. La memoria di un uomo è affidata al significato di un gesto: “lavarsi le mani”. O “lavarsene le mani”. Due interpretazioni del tutto diverse. Il lavaggio delle mani era un atto di purificazione per i romani del primo secolo. Pilato lo fece pubblicamente, perché giudicava impuro e ingiusto il verdetto della folla. Con il passare dei secoli, a a quell’atto fu attribuito un senso diverso, e “lavarsene le mani” divenne un’espressione negativa: chiamarsi fuori, declinare ogni responsabilità. Un atto vile. E questo è quel che è rimasto. Anche se Matteo attribuì l’intera colpa al popolo che gridò “Il sangue suo ricada su noi e sui nostri figli!”. Pilato, “allora, rilasciò loro Barabba, e dopo aver fatto flagellare Gesù, lo diede nelle loro mani per esse-

re crocifisso”. Nel Vangelo di Giovanni, dopo la condanna di Gesù da parte del popolo, Pilato disse a loro: “Ecco, io ve lo conduco fuori affinché sappiate che io non trovo in lui nessuna colpa”. E poi disse loro: “Ecco l’uomo!”. Il procuratore “si impaurì maggiormente” davanti alle urla della folla che lo voleva in croce, e “rientrato nel pretorio domandò a Gesù: ‘Donde sei tu?’. Ma Gesù non gli diede risposta. Pilato gli disse: ‘Non mi parli? Non sai che ho il potere di farti crocifiggere e il potere di liberarti?’. Gesù gli rispose: ‘Tu non avresti nessun potere su di me se non ti fosse stato dato dall’alto. Per questo colui che mi ha consegnato a te ha un peccato più grave”. L’apologo di Bulgakov riguarda, appunto, il potere e le responsabilità oggettive. Jeoushua – durante l’interrogatorio – ammette

di aver detto che “ogni potere è violenza sugli uomini, e che verrà l’ora in cui non ci sarà né il potere di Cesare né qualunque altro potere”. Pilato è un pover’uomo che soffre di emicrania, e non sopporta il clima afoso di Gerusalemme, che si offende quando l’accusato gli si rivolge chiamandolo “buon uomo”, invece che “egemone” (e lo fa frustare per questo), ma che è suggestionato dalle “verità” che quel “pazzo” gli propone. Non può opporsi alla volontà popolare, ma avverte un senso di colpa per questo. In sogno immagina che l’esecuzione non sia avvenuta, che si sia trattato di una finzione: e il pensiero gli reca un grande sollievo. Immagina di passeggiare con il “filosofo” e di conversare con lui. “La viltà era certo uno dei vizi più terribili, così aveva detto Jehosua Ha-Nozri. No, filosofo, non sono d’accordo: è il vizio più terribile”. Come può – un uomo così – essere accusato di codardia? Eppure è questo il marchio d’infama che pesa da molti secoli sulla testa del procuratore romano in Giudea. E quando si pronuncia il suo nome (accompagnato a quello di Gesù (“dove sarà l’uno lì sarà anche l’altro”) si pensa automaticamente a un codardo che non ha saputo difendere un innocente, nonostante il proprio potere oggettivo. NelTrecento molti ritenevano che il verso di Dante su “colui che fece per viltade il gran rifiuto” non si riferisse a Celestino V (il papa eremita che lasciò il trono pontificio per tornare alla sua vita da anacoreta), ma a Ponzio Pilato. E questa interpretazione fu ripresa sei secoli più tardi da Giovanni Pascoli. La chiesa copta ha santificato Pilato, affermando che si convertì al Cristianesimo, insieme con la moglie Procula. La “nostra” memoria (quella del “lavarsene le mani”) lo ha condannato come vile. Vittorio Strada – al quale si deve l’introduzione alla prima edizione integrale del “Maestro e Margherita”, uscita in Italia nel 1967, ventisette anni dopo la morte dell’autore che continuò, fino alla fine, ad apportare modifiche al testo del suo romanzo iniziato nel 1928, e che si addormentò mentre la moglie Elèna Sergèevna (che gli ispirò il personaggio di Margherita) continuava a leggergli la sua opera, che lui intendeva ancora correggere e migliorare – scrisse che nel romanzo il procuratore appare come “una figura umana, troppo umana, capace di vivere il dramma del dubbio, della solitudine, della viltà, in un confronto infinito con colui che egli ha mandato a morte, ubbidendo alla plebe e al potere. Sono la plebe e il potere come entità collettive, e sono i singoli esseri umani in quanto dotati di libertà i portatori del Male e del Bene”.


I SENTIMENTI DELL’ ARTE lla vista degli sbalorditivi dipinti di Vermeer», scriveva Jean Cocteau nel 1956, «uno sta come se si trovasse davanti una cartolina postale mandata da un mondo migliore, da qualcuno che è morto, o mandata nel mondo di quelli che sono svegli dall’abisso del sonno. Lì sta succedendo qualcosa di incredibile». Apparentemente normali o semplicemente descrittive, le opere di Jan Vermeer (1632 – 1675), sono metafore subliminali del vasto e complesso mondo interiore della donna olandese del Seicento. Sono immagini silenziose e pacate che ci raccontano di ambienti domestici di Delft, la ricca e tranquilla città natale dell’artista. Caduto nell’oblio per quasi due secoli, il grande pittore olandese è stato riscoperto nel 1866 dal critico e scrittore francese Étienne-Joseph Théophile Thoré, che pubblicò con lo pseudonimo di ThoréBürger un articolo su di lui sulla “Gazette des Beaux-Arts”, definendolo la “Sfinge di Delft”. Le sue poche opere, circa una trentina, ci affascinano con la sottile seduzione dell’uso del colore, calibrato armoniosamente come una perfetta partitura musicale. Si rimane incantati davanti ai bianchi immacolati delle cuffie di cotone, dei grandi colletti, delle maniche a sbuffo, delle perle, davanti ai gialli intensi delle sete delle vesti spesso accostati ed esaltati dal prezioso lapislazzulo nel pigmento degli azzurri, nella sapiente consapevolezza del sublime accostamento del colore del sole con quello del mare. Si percepisce la calma di una vita lenta, scandita dalle rassicuranti mansioni domestiche, all’interno di ambienti tipici della ricca borghesia olandese. Microcosmi di vita silente, il cui unico contatto con il mondo esterno è la finestra, spesso socchiusa, da cui proviene l’unica fonte di luce che inonda di un lume caldo e benevolo tutti gli oggetti presenti nell’interno. Stanze che sono scatole prospettiche perfettamente ricostruite al punto che è stato ipotizzato che Vermeer conoscesse e si servisse della camera oscura, la complicata antenata della macchina fotografica. Seguiamo la scia luminosa che batte sui legni dei pochi ma preziosi mobili, sui ricchi tappeti dettagliatamente descritti, sui quadri appesi alle pareti, sugli abiti e sui volti dei personaggi, infine sui piccoli ma fondamentali dettagli che narrano la scena. Ci sembra di capire facilmente ciò che avviene all’interno di quelle nitide pareti, poi focalizziamo alcuni dettagli e ci rendiamo conto di essere davanti a dei veri enigmi. Come in

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L’ALLEGRIA Il quadro: “Soldato con fanciulla” di Jan Vermeer

Niente è come sembra di Olga Melasecchi

avanti verso la fanciulla, come indica anche lo sguardo, che si intravede appena, concentrato sul suo volto. Il grande cappello nero sulla testa del soldato fa risaltare ancora di più il candore della luce che entra dalla finestra e illumina in pieno il busto della ragazza, guidando il nostro occhio sull’ovale perfetto del suo volto. Questo, incorniciato dalla candida cuffia e dal colletto dell’elegante abito di velluto giallo e nero, ha un’espressione allegra, come un sole ridente, e percepiamo un’allegria schietta, all’inizio pensiamo dovuta alle parole del soldato. Influenzati dalla presenza della carta geografica, immaginiamo racconti di viaggi lontani, di un capitano di marina tornato dalle lontane Indie che narra di avventure pericolose e di posti esotici suscitando l’allegra curiosità della fanciulla che mai si è spostata da Delft, e niente conosce del mondo. Mettiamo a fuoco allora tutti i dettagli per sapere ancora di più, e vediamo che la ragazza ha davanti a sé un bicchiere che stringe con una mano mentre l’altra è appoggiata

Le stanze ritratte nelle sue tele sono scatole prospettiche perfettamente ricostruite al punto che è stato ipotizzato che il pittore conoscesse e si servisse della camera oscura

questo Soldato con fanciulla sorridente, ora conservato nella Frick Collection di NewYork. Dipinto intorno al 1657, mostra due figure, un uomo e una donna, sedute a un tavolo, davanti a una finestra aperta per metà. Sulla parete di fondo è appesa una grande carta geografica dell’Olanda e della Frisia. Come in tutti i dipinti di Vermeer non c’è gerarchia tra le cose raffigurate, uguale importanza è data alle persone come agli oggetti, affratellati come sono dalla stessa luce. Il primo piano è delimitato dalla figura ingombrante del soldato, visto di spalle, seduto leggermente di traverso sulla sedia, non rilassato e appoggiato allo schienale, ma tutto sporto in

Il solo contatto con il mondo esterno è la finestra, spesso socchiusa, da cui proviene l’unica fonte di luce che inonda di un lume caldo e benevolo tutti gli oggetti presenti nell’interno

sul tavolo con il palmo all’insù, come in un gesto di richiesta. Siamo dunque in un’osteria, forse la ragazza non è così ingenua, forse si tratta di una mezzana, presente in altri quadri di Vermeer, il dipinto potrebbe avere dunque un significato erotico, l’allegria sarebbe così quella allusiva e seducente dell’amore venale. Osserviamo la carta, così poco congruente con una scena di questo genere, e ci rendiamo conto che i colori della terra e del mare sono invertiti: forse ciò che appare non è la realtà, il significato vero della scena è forse un altro. A ben guardare la ragazza non si rivolge verso il soldato, che rimane serio, non ricambia il suo sorriso, tra i due in realtà c’è una distanza abissale, il sorriso e l’allegria della fanciulla sono solo lo spiraglio del suo esclusivo e inafferrabile mondo interiore.

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Cruciverba d’agosto

“Doveva averla, un buon governo”

di Pier Francesco Paolini ORIZZONTALI 1) ...... di Combattimento • 6) Meryl ...... interpete di Kramer contro Kramer • 12) ...... bono pacis • 15) Il ...... - celebre racconto di Gogol • 19) Bruckner, compositore • 20) “Oh fatal ...... ” (Aida) • 21) Steiger, attore • 22) ...... Mandel’stam, poeta russo • 23) Ringo dei Beatles • 24) il canto / della ...... rimota alla campagna (Leopardi) • 25) Max, pittore tedesco (1868-1930) • 28) “Il padrone sono ...... !” di A. Panzini • 29) Il mese in cui i giacobini fecero fuori Robespierre • 31) Bilancia • 32) La ...... di Debussy • 33) Interruzione • 34) Pauker, donna politica romena • 35) Allievi • 36) Montagnola • 37) Da pesca o di spie • 39) Segretario del PNF (1931-39) • 40) Jones, scrittore americano • 41) Città dell’Andalusia • 44) Aggiornato • 45) ...... d’Atene di Shakespeare • 46) Legno pregiato • 47) Tutto ciò che si può conoscere • 48) ...... da Pistoia, poeta del Dolce Stil Novo • 49) Non comune • 50) Masse instabili di neve • 51) Mutò nome in Sifar • 52) One ......, ballo • 56) Figlio di Procne e Tereo • 57) Rovina • 58) Permesso • 60) Nota musicale • 61) Muscoli del collo • 62) Tutti i nostri ...... di Natalia Ginzburg • 63) Scrisse La Vita, istruzioni per l’uso • 64) Sant’Ilario d’...... • 66) Rosso tedesco • 67) Autore della commedia Oplà, noi viviamo! • 69) così l’...... mio che ancor fuggiva (Inferno, I) • 70) L’Euro era ai suoi ordini, come Noto • 71) Composto organico che costituisce la parte non proteica dell’emoglobina e conferisce al sangue il colore rosso • 72) Cavallo arabo robusto e focoso • 73) João de ...... , poeta portoghese (1819-90)

VERTICALI 1) Poema di Ovidio • 2) Quando Rinaldo ...... vide venire, / sente nel cuor di subito un riprezzo / d’amor (Morgante, Cantare XVII, ottava 11) • 3) Segnale di partenza, nelle gare sportive • 4) alta si flette un’ala / di ...... (Montale) • 5) Al sommo della Croce • 6) Stimolo • 7) Copricapo papale • 8) L’oro del ...... di Wagner • 9) ...solea danzar la sera intra di quei / ch’ebbe compagni dell’...... più bella (Leopardi) • 10) ...... Commedione di G.G. Belli • 11) “...... americana” romanzo di Philip Roth • 12) Ahi sordo e di pietà nemico / destin ...... e reo ( Pietro Bembo) • 13) Quercia • 14) Si sentono col naso • 15) To Have and Have ...... romanzo di Hemingway • 16) ...... You Like It di Shakespeare • 17) Scrisse decine di romanzi polizieschi • 18) Le api più numerose • 26) Una donna cantata da Orazio—dulce ridentem... dulce canentem... • 27) Iniz. dello scrittore Arpino • 30) Giorno, mese, anno • 31) Le furberie di ...... di Molière • 32) Il ...... , celebre racconto di Sartre • 35) Deve averla, innanzi tutto, un buon governo • 36) Pronunciò le Filippiche • 38) Et in Arcadia ...... • 39) Città della Bulgaria • 40) ...del sangue mio, di ...... , di quel di Cleto (Parad. XXVII) • 41) Scrisse la novella Carmen • 42) Dicesi di persona leziosa e inconcludente • 43) ...... e Penati • 44) Epiteto di Ermete che vale Benefico, Consolatore (variante) • 45) Rivista (newsmagazione) fondata da Henry Luce • 47) Gara di sci • 48) Personaggio della Mirra di Alfieri • 50) Guastare • 51) ...... del Grappa in provincia di Belluno • 53) Città dello Yemen • 54) Luogo solitario • 55) ...... Bill, un leggendario eroe del West • 57) Iniz. di Sandro Camasio • 58) ...... Bartok, compositore ungherese • 59) Squadra di calcio genovese • 61) ...... Paulo, citta del Brasile • 62) ...... e Petrov, scrittori russi (Le dodici seggiole, da cui un film di Mel Brooks) • 65) Iniziali della cantante e attrice tedesca Leander • 68) Onde Lunghe.

L’Almanacco Hanno detto di… sapienza

D&R

Molti uomini avrebbero potuto raggiungere la sapienza se non avessero presunto di esservi già giunti. Lucio Anneo Seneca

Qual è la più grande campana esistente? La Campana dello Zar è un’enorme campana in mostra al Cremlino. È la più grande campana esistente: venne commissionata dalla sovrana Anna, nipote dello zio Pietro il Grande. Pesa 216 tonnellate, con un’altezza di 6,14 m e un diametro di 6,6 m. È stata ricavata dal bronzo fuso ad opera di Ivan Motorin e del figlio Michail nel periodo 1733-1735. Ornamenti, disegni e iscrizioni sono di V. Kobelev, P. Galkin, P. Kokhtev, P. Serebryakov e P. Lukovnikov. La campana non ha mai suonato: durante un incendio scoppiato nel 1737, un grosso pezzo di 11,5 tonnellate si staccò mentre era ancora nella fossa di colata. Nel 1836, la Campana dello Zar e il pezzo staccato furono posti su una

LA POESIA Verrai da questo lato: le senti le campane dentro l’aria già di settembre, lo capisci al chiaro, al chiaro cristallino. Le campane rovesciano le età, la vita è la rincorsa a un solo inizio, quando compari e comincia la musica mentale che ignoravo un istante o una nascita prima, e poi il tuo solo entrare sulla scena, il tuo dire che sì, si può rifare la punta alla luna stasera che compare a spicchio, e l’uva è già quasi matura. DI

DANIELE PICCINI

DA UNA STAGIONE AL LIMBO, A CURA DI PAOLO MACCARI, CROCETTI EDITORE 2007

LA SOLUZIONE DI IERI

base vicino alla Torre Campanaria di Ivan il Grande nel Cremlino di Mosca

L’origine di… fare il diavolo a quattro Il modo di dire deriva dall’uso medievale di fare entrare nelle sacre rappresentazioni quattro diavoli come elemento di confusione e di turbamento, nel dialogo tra Dio, la Vergine, i santi e l’anima. Questi spettacoli venivano dati anche in occasione di grandi feste e nei cimiteri delle chiese per spaventare i peccatori e indurli al pentimento, come attestato molte raccolte di Diavolerie. a cura di Maria Pia Franco

“E di polledri una leggiadra”


edizioni

NOVITÀ IN LIBRERIA

VITTORIO STRADA ETICA DEL TERRORE Da Fëdor Dostoevskij a Thomas Mann

N

el decalogo del terrorismo

il comandamento supremo è «Uccidi». A differenza che in guerra, dove lo scontro col nemico avviene ad armi pari, l’attetato terroristico contro un singolo o un gruppo è asimmetrico, anche quando l’omicidio coincide col suicidio dell’attentatore. L’imperativo categorico «Devi uccidere!» investe però non soltanto il corpo, bensì anche l’anima del terrorista, la sua responsabilità morale. L’assassinio terroristico, se non è prezzolato, viene compiuto in nome di un Valore assoluto, religioso o laico, che legittima chi lo perpetra contro i principi dell’ordine che vuole annientare. Questa problematica ha trovato la sua espressione più intensa e profonda nel terrorismo russo dell’Otto e Novecento, prefigurando situazioni attuali. Attraverso l’analisi di figure, vicende, riflessioni della storia del populismo e del bolscevismo Etica del Terrore illumina in modo nuovo un passato tuttora presente, grazie anche alla lettura di grandi opere letterarie aperte a questo drammatico tema.

184

pagine

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euro 18,00


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musica

Esce «@#%&! Smilers», nuovo album di Aimee Mann, tra le più amate cantautrici americane

Quei romanzi in forma di rock di Valentina Gerace hi ricorda gli anni Ottanta ricorderà anche lei. Apparsa per la prima volta in un videoclip di un gruppo durato forse troppo poco, i Til Tuesday, si è scelta oggi una strada personale. Aimee Mann, fascinosa cantautrice bionda, anima ispiratirice e frontgirl della band di Boston a metà tra new wave e post punk, si è ritagliata uno spazio importante nell’attuale scena rock femminile d’oltre Oceano, grazie alle sue composizioni delicate e malinconiche. Diventando una delle cantautrici di punta della scena nordamericana di questi ultimi anni. Con la sua bellezza scandinava, i suoi lineamenti severi e taglienti, freddissimi occhi azzurri, una sottilissima treccia ai capelli che diventerà, nel tempo, oggetto di vera ossessione per i suoi fan, Aimee è stata per anni una proto-icona punk della neonata MTV. Con i Til Tuesday era riuscita a scalare le vette delle charts mondiali e rendersi nota a molti. Lead vocalist, suonava il basso e lasciava il segno, vestita quasi sempre di nero e con i capelli color platino sparati in verticale. Autrice, voce, forza creativa e di fatto immagine globale dei ‘Til Tuesday, la Mann realizza con la band tre album , Voices Carry (1985), Welcome Home (1986) e Everything’s Different Now (1988).Tre piccole perle di pop-rock. Ed è al centro di ogni video, nonostante la sua dichiarata timidezza. Il suo interesse principale però resta sempre la composizione: la scrittura della musica e l’elaborazione del testo, alla continua ricerca di un insieme che sia godibile, lontano da ogni clichè o soluzione banale. In questo senso, la Mann si colloca in una precisa tradizione di songwriters, con molti punti di contatto soprattutto con Paul Mc Cartney. La sua evoluzione artistica in direzioni sempre più lontane dal pop sintetico e con temi sempre più autobiografici, porta alla frammentazione dei ‘Til Tuesday. Ma Aimee non perde la sua indole punk-rockettara. Nel 1987 è gradita ospite della band rock-progessive “Rush” nella canzone “Time stand Still” tratta dall’album “Hold your Fire” in cui duetta con Geddy Lee. Nel 1993 incide il suo primo album da solista “Whatever”, capolavoro assoluto dell’artista.

C

intelligenti. Le sue ballate sono eteree, romantiche, emozionanti. Oggi, a 48 anni portati splendidamente, è diventata più morbida e dolce rispetto ai suoi esordi. @#%&! Smilers, settimo album da solista, appena uscito, contiene 13 brani di gran classe e di eccellente fattura. Il titolo, contenente simboli presenti in rete, nelle chat, ironizza sulla cultura imperante del sorriso a tutti i costi. “Smilers” si riferisce infatti agli eternamente sorridenti, che invitano sempre gli altri a sorridere, risultando spesso ridicoli. Il disco nasce come una raccolta eterogenea di short stories, ognuna con una propria identità. L’album si addentra nei lati più nascosti di persone normali e di perdenti, lontani anni luce dal successo. Sguardi che consumano un bicchiere di whiskey, occhi che scrutano orizzonti

Dagli esordi con il gruppo «Til Tuesday» al successo da solista: un’artista che sa raccontare in musica

Da allora intraprende la carriera da solista realizzando una serie di album che l’hanno maggiormente fatta conoscere al pubblico come raffinata inventrice di melodie pop sulle quali incastona testi profondi e

lontani, fronti invecchiate, malinconia, il tutto raccontato con una poetica cruda e lucida. La produzione di Paul Bryan elimina i riff pieni e rotondi, ma anche un po’ invadenti, delle chitarre elettriche, di cui abbondavano i precedenti lavori della songwriter, e li sostituisce con gli spazi più ariosi creati dalle chitarre acustiche, dai sintetizzatori, dai wurlitzer distorti. Ampiamente utilizzate un po’ in tutto l’album le sezioni di archi e di fiati. Musicalmente i brani sono un delizioso affresco dolente e introspettivo che prende forma tanto dalla struttura delle canzoni di Neil Young o dei Beatles, quanto dagli arrangiamenti e dalla sensibilità tipica delle migliori cantautrici d’oltre Oceano, come Joni Mitchell e Tori Amos.

Il risultato è un pop melodico contagioso e d’impatto, come risulta subito chiaro dal primo singolo estratto, «Freeway», ispirato da un amico che, ormai tossicodipendente, torna a Los Angeles nel tentativo di chiudere con il passato. Ci sono ballate soavi affidate al piano come «Stranger into Starman»,

orchestrazioni tra il gospel e il soul in «Medicine Wheel», echi beatlesiani in «Borrowing Time», con una batteria decisa e un intenso bridge di fiati e wurlitzer. Notevole l’autobiografica «31 Today», in cui Aimee si guarda alle spalle facendo una constatazione sconfortante: «Pensavo che la mia vita sarebbe stata in qualche modo diversa, pensavo che la mia vita sarebbe stata migliore, a questo punto». In «Looking for Nothing», parla di quel momento in cui si invecchia e si smette di inseguire quello che sempre hai pensato ti avrebbe reso felice. A chiudere il disco, «Ballantines», che racconta un sogno che Aimee ha voluto “incorniciare” in musica. Brano swingato e trottelerrante racchiude tutte le riflessioni esistenziali dell’artista. Smilers non delude sicuramente i fan della Mann. Anche se probabilmente i suoi primi album sono più efficaci e incisivi, per chi si voglia accostare alla cantautrice per la prima volta.

Aimee ama immortalare momenti di vita di personaggi spesso gettati in un angolo e dimenticati. I suoi album sono percorsi da un sottile filo di malinconia, scosso da battiti di cuori malati, intriso di solitudine e sorrisi amari. Resta tuttavia un vivacissimo spirito rockettaro : una rabbia genuina, un contatto diretto con i sentimenti primari. Spirito rock che forse molti fan della Mann giudicheranno una forzatura, o una componente minore in quelli che per loro sono album elegiaci, delicati e malinconici. Veri e propri romanzi. Qui sotto e in alto, due immagini recenti di Aimee Mann, una delle più apprezzate cantautrici americane


società n pluricampione, quasi come Michael Phelps. Nelle duecentoundicesima Olimpiade dell’era antica, ci fu un uomo che conquistò sei medaglie d’oro. Veniva da Roma, e si chiamava Tiberio Claudio Nerone Germanico, quarto imperatore romano dopo Augusto, Tiberio e Caligola. Salì sul gradino più alto del podio come vincitore della quadriga, della quadriga tirata dai puledri, del Tiro a 10 puledri, degli araldi, dei tragedi, dei citaredi. I giochi olimpici – orgoglio della Grecia classica – erano già decaduti (ai tempi in cui Roma dominava il mondo) a spettacolo circense. Per ingraziarsi l’imperatore, furono improvvisate gare che non c’entravano nulla con il tradizionale programma olimpico (quelle che solleticavano l’estro di Nerone: la recitazione, le pizzicate sulla cetra), e furono predisposti i ritiri in massa dei concorrenti nelle competizioni che non pronosticavano Nerone tra i favoriti. Un imbroglio, insomma, al cospetto del quale le Olimpiadi dell’era moderna (con tutti i sospetti sugli arbitri, con le magagne del doping, con qualche favore geopolitico, con le complicazioni dei boicottaggio) darebbero ragione all’ottimismo di Pangloss.

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U

È vero, quelle di Nerone non erano più le Olimpiadi di una volta. Ma anche ai tempi d’oro qualche macchia c’era ad imbrattare il mito di una grande idea. Il mito risale all’anno 884 avanti Cristo, quando il re dell’Elide, Ifito, consultò l’oracolo di Delfi (la famosa Pizia) per farsi indicare un modo per tenere le sue terre estranee alle guerre che – a quei tempi – insanguinavano la Grecia. «Occorre ripristinare i Giochi cari agli dei», avrebbe risposto l’oracolo. Perché di quei Giochi si favoleggiava già a quei tempi. Una leggenda voleva che le Olimpiadi fossero state indette da Zeus per celebrare la vittoria sul proprio padre Saturno (quello che aveva la deplorevole abitu-

Gli aiuti «miracolosi» ai tempi dell’Antica Roma

Il doping? È nato prima del doping di Massimo Tosti

dine di mangiare i figli), e che i primi campioni fossero stati Apollo nella corsa (davanti a Mercurio) e, naturalmente, Marte nel Altre pugilato. leggende s’intrec-

anni, fino al 393 dopo Cristo (edizione numero 293) quando furono abolite con un editto dell’imperatore romano Teodosio. Pochi lo sanno, ma il professionismo guastò anche lo sport antico. Mario Pescante (ex presidente del Coni) e Piero Mei (illustre giornalista sportivo) hanno raccontato in un libro (Le antiche Olimpiadi) le magagne del tempo che fu. «Solone, ad Atene, stabilì che il vincitore di Olimpia ricevesse cinquecento dracme di premio. Vincere le Olimpiadi era come servire la polis per un paio d’anni, e se si correva più velocemente, si correvano però meno rischi. E un artigiano ateniese guadagnava anche lui

cusa lo convinse (pagandolo profumatamente) a dichiararsi siracusano, e per Siracusa Astilo vinse altri cinque titoli olimpici. Il pugile Antipatro rinnegò la sua patria Mileto su pressione di Dioniso di Siracusa. Il cretese Sotade corse dichiarando di esser nato ad Efeso. I cambi di maglia (a seguir queste cronache) erano frequenti quanto nel calcio di oggi. E c’era persino qualche atleta che presentava un passaporto falso (si fa per dire) perché una città diversa dalla sua gli garantiva ingaggi e premi superiori. Denaro e potere contavano (più o meno) quanto oggi.

Il medico Galeno – nel II secolo dopo Cristo – condannò l’agonismo dilagante nello sport, che veniva praticato senza controllo medico. Pescante e Mei ricordano che Galeno deplorava il fatto che le diete e gli additivi rovinavano per sempre la salute degli atleti: «La sua era una campagna: ”io non rischio la salute’». Gli slogan erano più o meno gli stessi che vengono usati oggi per scongiurare il doping. «Sono dei veri maiali scriveva Galeno - e anche la loro salute non è buona: la loro carne è in eccesso, il loro sangue è denso; sono fragili, risentono di ogni cambiamento di vita e muoiono non appena lasciano la professione». Sembra davvero di leggere certe cronache di oggi, con tanto di squalifiche, di ammissioni, e di disgusto generalizzato. Si racconta, nell’antichità, di un certo Faillo di Crotone che avrebbe saltato in lungo più di 16 metri; di Argeo che, dopo aver vinto la corsa di resistenza, avrebbe proseguito senza fermarsi fino ad Argo, la sua città, lontana 95 chilometri da Olimpia; di Flegia che scagliò il disco talmente in alto da farlo sparire fra le nubi; del lottatore Milone (medaglia d’oro in sei successive edizioni dei Giochi) che si allenava portando in spalla una giovenca, che divorava al termine degli esercizi; di un corridore (Lata) che andava a una velocità tale da non lasciare impronte sulla pista di sabbia. Erano leggende, o i chimici di allora avevano già scoperto l’Epo di cinquantesima generazione?

Salti lunghi 16 metri, maratone di 100 chilometri, dischi lanciati nelle nuvole: il passato lontano non ha insegnato niente allo sport di oggi ciavano a questa, attribuendo l’iniziativa a Ercole, reduce da una delle dodici fatiche, o a Pelope, figlio di Tantalo, re di Lidia, e bisnonno di Agamennone e Menelao. Nient’affatto provata storicamente è anche la storia di Ifito. Le prime Olimpiadi di cui si abbia notizia certa si svolsero nell’anno 776 avanti Cristo (23 anni prima della fondazione di Roma). Da quell’anno parte la cronologia ufficiale greca, e da quell’anno le gare furono disputate ogni quattro

quanto un soldato: una dracma al giorno».

Le legge di Solone fu interpretata come un tentativo di moralizzare l’ambiente, che era già sufficientemente corrotto. Il pugile Eupolo fu accusato di aver comprato gli avversari. Calippo seguì la stessa infame procedura per aggiudicarsi la corona d’alloro che finiva sulla testa del vincitore della gara di pentathlon. Astilo, cittadino di Crotone vinse le Olimpiadi del 488 avanti Cristo. Il tiranno Gerone di Sira-


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il saggio

Il nuovo femminismo/3 Gli anni Settanta furono un periodo decisivo per il movimento che nei decenni successivi ha perso le sue caratteristiche

Il femminismo ucciso dal Web di Camille Paglia etty Friedan uscì dal National Organization for Women, per una spaccatura del gruppo che aveva co-fondato. Donne giovani, più combattive, alienate dal sessismo dei loro colleghi maschi, profondamente impegnati nel movimento contro la guerra, si scontrarono con le donne della generazione di Friedan, più anziane, sposate e spesso a diasagio con l’omosessualità. Come le suffragette del diciannovesimo secolo ebbero paura che questioni legate al sesso avrebbero deragliato il movimento, Friedan sentì che quelle militanti lesbiche avrebbero allontanato le donne etero dal femminismo. La stessa Friedan fu meschinamente emarginata quando Gloria Steinem, una giornalista che lei stessa aveva portato nel movimento, rubò la scena mediatica grazie al suo telegenico bell’aspetto. La Steinem, che si era fatta un nome dopo essersi infiltrata in un club Playboy Bunny per un articolo di denuncia sulla rivista New York, giocò un ruolo cruciale nel normalizzare l’immagine delle femministe. Con le sue bionde trecce fluenti, gli occhiali da aviatore alla moda, e voce e maniere gradevoli, diede al femminismo un’impronta più ragionevole e meno minacciosa. Nel 1972 Steinem fondò Ms, la prima rivista patinata per un mercato di massa, votata alle cause femministe. Nonostante fosse laureata allo Smith College, Steinem non era nè un’intellettuale nè una teorica.

B

Era un’attivista instancabile, ma di fatto giocò fin dall’inizio il ruolo di guardiana austera di un’ideologia centrata sulle vittime che non permetteva punti di vista alternativi. Playboy, per esempio, che la Steinem demolì con le sue critiche, gettò le basi per una rivoluzione sessuale. Quello della Steinem al maschio era un attacco aperto: una sua frase famose dice “Una donna ha bisogno di un uomo come un pesce di una bicicletta”. Allo stesso tempo però, teneva nascosto in pubblico quanto fosse vitale per lei il ruolo di un uomo nella sua vita privata a Manhattan. La Steinem allineò anche ostinatamente il femminismo con una politica Democratica di parte, li-

mitando così la sua avanzata nel tempo. Durante i primi fermenti della ripresa del femminismo, atlete come Billie Jean King e Martna Navratilova, dopo di lei, ebbero un ruolo centrale. L’impulsiva e risoluta King adottò uno stile sorprendentemente aggressivo sui campi da tennis e indusse una generazione di donne a praticare sport competitivi. Il passaggio al Congresso del 1972 del Title IX, una sezione degli Emendamenti sull’istruzione, ampliò radicalmente i programmi di sport nei campus per le donne, a spese di quelli per gli uomini, che troppo spesso furono tagliati da crudeli amministratori di Facoltà.

Negli anni 70 furono creati programmi e corsi di Women’s Studies a profusione, assemblati a caso e disorganicamente, senza la dovuta considerazione di cosa avrebbe dovuto comprendere uno studio accademico dei gene-

Nel 1972 Gloria Steinem fondò ”Ms”, la prima rivista patinata per un mercato di massa, votata alle cause femministe

ri. Il programma del femminismo d’allora, che era incentrato sulle donne in quanto vittime, fu adottato indiscriminatamente, una tendenza ideologica che nè i Women’s Studies né, poi, il Gender Studies, sono riusciti a fermare. In particolare la scienza era completamente esclusa perchè troppi insegnanti dei primi corsi venivano da dipartimenti di letteratura. Ma senza una base di biologia, né i professori né gli studenti possono chiarire i processi culturali e biologici che producono differenze tra i due sessi. Come nuovo campo di studi, ansioso di guadagnarsi la reputazione di materia seria, Women’s Studies, come il nuovo corso di Film Studies, fu pericolosamente vulnerabile al poststrutturalimo europeo, che cominciò ad infiltrarsi nei dipartimenti americani di scienze umanistiche. Il poststrutturalismo si basa sulle teorie

del costruzionismo sociale, che nega al genere di avere qualsiasi base biologica e attribuisce, in modo bizzarro, tutte le differenze sessuali unicamente al linguaggio. Le femministe accademiche delle scuole d’elite dedicarono subito volumi di difficili teorie alle loro domande sul genere – un progetto che scambiarono per azione rivoluzionaria che avrebbe avuto utopici risultati sociali.

Due grandi eventi marcarono il femminismo degli anni 70. Il primo fu la Corte Suprema di Roe v. Wade che governava nel 1973, che legalizzò l’aborto in tutti e 50 gli stati. Fu un’espansione epocale dei diritti riproduttivi delle donne, che supporto senza riserve. Il secondo evento è la creazione di Phyllis Schlafly, un avvocato, attivista Repubblicana e madre di sei bambini, delle Stop Era, un gruppo volto a difendere l’Emendamento sulle pari opportunità, che si stava lentamente facendo strada tra le legislature dei vari stati. Fu un momento che fece da spartiacque nella politica americana, perchè il movimento di Schlafy avrebbe gettato le basi per un futuro revival di conservatorismo. Le leader femministe intrappolate nelle loro ideologie, che stavano diventando fortemente dogmatiche, demonizzarono Schlafly senza però trovare una soluzione adeguata ai problemi che lei aveva posto – che includevano la possibilità o meno di arruolare le donne nell’esercito e quella di introdurre toilette unisex. Dopo una lotta durata dieci anni, l’Emendamento sulle pari opportunità non essendo passato nel numero minimo di stati richiesto, nel 1982 fallì. Ma il suo fallimento non stimolò un’auto analisi tra le leader femministe, al contrario rinforzò i loro atteggiamenti. Cominciarono a vedere il mondo semplicisticamente diviso tra chi era femminista e chi anti-femminista. Negli anni 80 si era aperto un abisso tra il femminismo accademico, quello sotto l’affascinante incantesimo di Jaques Lacan, e il femminismo tradizionale, che era pronto all’azione. Centrale nel programma dei Women’s studies erano gli scritti polemici

di Catherine MacKinnon e Andrea Dworkin, che sostenevano che la pornografia era causa di stupri e per tanto doveva essere bandita. L’attivismo di MacKinnon e Dworkin fece passare delle ordinanze anti pornografia a Indianapolis e Minneapolis, che furono in seguito dichiarate incostituzionali. Il dominio culturale di MacKinnon fu chiaro quando fu consacrato da una copertina dell’edizione della domenica del New York Times nel 1991. Alcune delle protagoniste del movimento femminista negli ultimi decenni. Catherine MacKinnon (foto in alto), sosteneva, con Andrea Dworkin, che la pornografia era causa di stupri e doveva essere bandita. Wendy Shalit, Katie Roiphe e in basso Phyllis Schlafly che negli anni 70 creò il gruppo ”Stop Era” per difendere l’Emendamento delle pari opportunità

Un fenomeno parallelo dei tardi anni 80 inizio anni 90 fu l’aumento dell’attenzione dei campus per i casi di stupro, in particolare quelli subiti da persone vicine come amici e fidanzati. Era un tema sociale sicuramente importante, ma ancora una volta, il modo in cui venne trattato sia nelle Università che fuori, dipingeva le donne come vittime indifese. Ma era in arrivo una profonda trasformazione del femminismo. A metà degli anni 80, l’immaginario sessuale esplicito e la semi nudità di Madonna nei suoi primi video musicali appassionò una più giovane generazione di donne. Madonna iniziò il processo di liberazione che portò a quella che molti critici sia di destra che di sinistra hanno definito “pornificazione” dell’America. Nel 1980 a San Franci-


il saggio

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carriera sono meno tipiche ed ammirate.

sco, iniziò una rivolta contro la tirannia di MacKinnon e Dworkin all’interno del femminismo, dove ci fu una battaglia tra sadomasochismo lesbico e lesbiche dagli atteggiamenti mascolini e quelle dagli atteggiamenti femminili.

All’inizio degli anni 90, il lesbismo “lipstick” aveva guadagnato l’attenzione nazionale. Le femministe di terza generazione degli anni ’90 - Third Wave, un termine usato per la prima volta da Rebecca Walker - ebbero un iniziale atteggiamento puritano riguardo alla bellezza. Alla fine Naomi Wolf prese una posizione pro-sex vicina alla mia, mentre Susan Faludi adottò la linea politica della Steinem sull’anti-femminismo sistemico della cultura popolare. Alla fine degli anni 80, Christina Hoff Sommers, poi filosofa professoressa della Clark University, raggiunse il culmine durante una conferenza quando cercò di iniziare un dibattito con altre femministe su tematiche fondamentali. Quando il mio primo libro, Sexual Personae, fu pubblicato dalla Yale University Press nel 1990, quel tomo di 700 pagine su arte e cultura fu paragonato da Gloria Steinem, che certamente non disdegnò di leggerlo, al Mein Kampf di Hitler. Quando un articolo che scrissi a gennaio del 1991 per il New York

Newsday sui date rape (stupri da parte di fidanzati o amici), fu ripubblicato su diverse riviste in tutti gli Stati Uniti, ci fu una forte reazione, inclusa quella che era chiaramente una campagna di diffamazione: il presidente della mia Università a Filadelfia, fu tempestato di telefonate che chiedevano il mio licenziamento. Fortunatamente rispose che i membri di facoltà hanno il diritto di esprimersi liberamente su qualsiasi tematica pubblica. Quando tre anni più tardi, Katie Roiphe pubblicò il suo libro nel

lo e fermarlo. Se è vero che il Web è una risorsa per i network e le discussioni femministe, è anche vero che è una delle cause per cui il femminismo è sembrato scomparire, perchè i siti web possono diventare grandi nicchie che attraggono solo i veri credenti. Ci fu un ultimo grande atto per le leader del femminismo tradizionale negli anni 90: la loro ferma difesa di Bill Clinton dalla causa contro Paula Jones nel 1994 e allo scandalo Monica Lewinsky del 1998.All’improvviso, gli argomenti sulla violenza sessuale

dei quali le femministe di solito ritengono impossibile il consenso informato. La tattica apertamente di parte e gli accordi speciali delle leader femministe durante l’impeachment di Clinton mandò in frantumi la loro credibilità e danneggiò il cuore delle temetiche femministe. Una cosa è chiara: il femminismo del futuro sarà fatto da donne che sono giovani ora. Le dispute dottrinali e le guerre per il territorio delle generazioni più vecchie (inclusa me) devono farsi da parte. Rifiuto il termine “po-

Quando fu pubblicato il mio primo libro, Sexual Personae, nel 1990, la Steinem, che certamente non disdegnò di leggerlo, lo paragonò al Mein Kampf di Hitler e partì una campagna diffamatoria 1994, La mattina dopo, sull’ideologia degli stupri nei campus universitari, i brutali attacchi che ricevette dalle donne più anziane dell’establishment femminista furono oltraggiosi ed eccessivi. Fu secondo me uno dei più bassi e amorali momenti del femminismo contemporaneo. Le contrarietà del femminismo Old Guard si andavano accentuando sempre di più, anche mentre il femminismo stava perdendo la sua guerra. Quando la pornografia arrivò sul Web, le femministe persero anche l’abilità di scovar-

presentati durante la testimonianza di Anita Hill furono ritrattati e fatti cadere – anche se la Jones, un ex impiegata statale dell’Arkansas stava muovendo delle accuse molto più pesanti contro Clinton di quanto avesse mai fatto la Hill contro Clarence Thomas. Anche se ho votato per lui due volte, rimasi allibita dallo sfruttamento che Clinton fece della giovane Lewinsky, una serie furtiva di squallidi incontri in un ufficio finanziato con soldi pubblici durante i quali c’era una grossa disparità di poteri, a causa

stfemminismo”, che diventò lo slogan disinvolto dei media negli ani 90 ed è spesso appiccicato a me. Non esiste un animale del genere. Il femminismo vive ma passa attraverso cicli di fermento e ritirata. Il femminismo ha certo l’obbligo di protestare e, se possibile, fermare gli abusi concreti contro donne e bambini nei paesi del Terzo Mondo. Ma il femminismo potrebbe sembrare molto differente nelle società più religiose e tradizionali, dove la maternità e la famiglia sono ancora valorizzati e dove le donne in

In conclusione, le mie proposte di riforma sono le seguenti: prima di tutto, la Scienza deve essere un componente fondamentale in tutti i programmi di Women’s o Gender studies. Secondo, ogni programma del genere deve essere valutato da una facoltà qualificata (non dagli amministratori o dai politici) per evitare faziosità ideologiche. Gli scritti delle femministe conservatrici avversarie, così come quelli delle dissidenti devono essere inclusi. Senza una tale diversità, gli studenti sarebbero indottrinati, non educati. Certo tra i punti di vista dissidenti d’oggi c’è il movimento per l’astinenza, come fenomeno Evangelico Protestante e anche come oggetto del libro di Wendy Shalit, Un ritorno alla modestia, che quando nove anni fa fu pubblicato scatenò un putiferio, ma la cui influenza può essere ancora individuata negli attuali club di castità dei vari campus Universitari, incluso uno qui ad Harvard. Come veterana del femminismo pro- sex, che ancora sostiene la pornografia e la prostituzione, dico, più potere a queste giovani caste donne che difendono la propria individualità e definiscono il “pensiero di gruppo” (groupthink) e convenzioni sociali. Questo si che è vero femminismo! La mia ultima raccomandazione per una riforma, è un ritorno dei paternalistici sistemi di commissioni interne per le lamentele e altre pianificazioni burocratiche interferenti, che hanno trasformato i campus Universitari Americani in specie grembi protettivi come villaggi vacanze con l’assistenza clienti. Se le donne vogliono trattamenti sociali equi devono smettere di chiedere infantili protezioni speciali. Con la libertà arriva anche la responsabilità personale. 3. Fine - Le due precedenti parti del saggio di Camille Paglia sono state pubblicate il 26 e il 27 agosto


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LA DOMANDA DEL GIORNO

Espulsi i due stupratori rumeni. Siete d’accordo? RESTINO PURE IN GALERA A SPESE NOSTRE

MARONI HA RAGIONE: VIA IMMEDIATAMENTE

Agire sull’onda emotiva ha spesso il vantaggio di saziare la pancia del popolino e di mettere a dieta l’intelletto. Data per scontata la ferma condanna e l’inammisibile brutalità del gesto perpetrato dai due pastori rumeni di Ponte Galeria, non dobbiamo nè possiamo ignorare le catastrofiche conseguenze che potrebbero essere prodotte dall’allontanamento dei due carnefici. Se l’espulsione avvenisse, si configurerebbe un pericoloso paradosso logico per cui qualunque straniero delinqua sul territorio nazionale, sarebbe del tutto prosciolto dalle leggi italiane e immediatamente rimpatriato. Laddove invece, l’ormai intollerabile escalation di violenza ai danni di donne e individui deboli, dovrebbe essere combattuta e debellata tramite la certezza di pene severissime non soggette ad alcuna condizione sociologica. I due pastori di Ponte Galeria siano sottoposti a giudizio e si facciano la galera che si meritano. Penso gli italiani onesti siano ben lieti di sovvenzionare il loro soggiorno nella patrie galere per tutto il tempo che meritano i loro atti sconsiderati e bestiali.

Il ministro Maroni ha pienamente ragione. I due loschi figuri che hanno confessato lo stupro ai danni della donna olandese, riducendo l’animalità del loro gesto a un semplice e banale fatto di possessione erotica, a loro dire tollerato dalle regole non scritte della cultura cui fanno capo, devono essere immediatamente espulsi. E con loro, tutti gli immigrati che risiedono illegalmente nella nostra Penisola. Statistiche alla mano, in questi ultimi due anni i reati dei rumeni sono più che raddoppiati, e sette detenuti su dieci nelle nostre carceri vengono da Bucarest e dintorni. Nessun razzismo, ovviamente, ma la semplice constatazione che l’allarme rumeno ha solido fondamento di esistere. E perciò, nell’interesse di noi cittadini bisogna provvedere. A differenza del tragico e rimbombante vuoto decisionale cui ci ha abituato il teatrino della politica e i commedianti della sinistra, si ha il coraggio finalmente di fare qualcosa. E di avvisare furbi e criminali che il vento in Italia sta cambiando. Si proceda così. Gli onesti di ogni nazione sono i benvenuti. Tutti gli altri a casa propria.

Gregorio Vassallo Lecce

Roberto Speziante Matera

NO ALLE ESPULSIONI, SÌ A NUOVE CARCERI

LA DOMANDA DI DOMANI

Braccialetto elettronico per chi commette reati minori. Che cosa ne pensate?

Le espulsioni non possono che essere provvedimenti eccezionali, legate a vicende di particolare gravità politica o giudiziaria. Di certo non possono essere elevate a sistema in uno stato di diritto, specie se si tratta di decidere le sorti di cittadini comunitari. È nostro preciso dovere, e sacrosanto diritto dei due imputati, ricevere un giusto processo e la sanzione penale corrispettiva ai loro reati. La loro detenzione sia perciò attuata ove previsto in Italia, e non affidata a un calcio rabbioso e negligente al contempo che li rispedisce al loro paese di provenienza. Il problema vero è semmai che è sempre più urgente la fabbricazione e l’individuazione di nuove carceri in grado di fronteggiare la rapida ascesa dei reati predatori.

Rispondete con una email a lettere@liberal.it

DIVENTARE CLASSE DIRIGENTE La classe dirigente italiana sembra inadeguata a risolvere i problemi che affliggono il Paese nei molteplici settori dell’economia, della cultura, della politica e della società. Da un’indagine svolta dal sociologo C. Carboni, pubblicata in Élite e classi dirigenti in Italia, risulta che i rappresentanti delle nostre élite sono per lo più anziani, con poca esperienza maturata in ambito internazionale, in possesso prevalentemente di lauree di tipo umanistico, in particolare di giurisprudenza, in misura tale che, dice Carboni, si può parlare di un partito dei giuristi dentro la classe dirigente italiana. Infine, un problema non meno rilevante è il divario fra donne e uomini. Ne segue che il nostro Paese risulta immobile, poco orientato allo sviluppo, all’innovazione e al ricambio generazionale, incapace di competere a livello internazionale, con una classe politica che appare più preoccupata di durare che di decidere (F. Ferrarotti, Durare è meglio che decidere, in Il Sole 24 Ore, 15/10/2005).È possibile un’inversione di ten-

Licia Franciforte Pavia

TIGER MAN Il corpo dipinto di un’attivista Wwf campeggia davanti al poster della campagna per la protezione della tigre di Sumatra. La Panthera sumatrae Tigri è la sottospecie più in pericolo del mondo. Secondo il Wwf restano meno di 400 tigri contro le 1000 del 1970. La diminuzione è imputabile al bracconaggio e alla distruzione del loro habitat a causa della produzione di olio di palma e pasta di legno

HU JINTAO: PUGNO CHIUSO E NESSUNA CAREZZA Egregio Direttore, due foto del presidente cinese Hu Jintao, prima e dopo le Olimpiadi, sono molto esplicative, più di tanti bla bla politicamente trasversali: nella prima ha la mano destra alzata con il pugno chiuso, nella seconda, accanto a Rogge, stessa scena con la mano aperta: altri cambiamenti, da parte dei politici cinesi, non ne ho visti. Il comunismo sarà anche lento a reagire e mutare, ma mi sembra di una lentezza esasperante. L’unico apprezzamento, non abbastanza rimarcato dai media, va a Berlusconi, che ha preferito le vacanze in famiglia ed in Sardegna. Non facciamola passare per una coincidenza: a Pechino non c’è voluto andare, né a spese proprie né dello Stato! Con la sinistra al Governo... flotte di

dai circoli liberal

denza? Negli anni migliori, alcune realtà hanno fortemente contribuito alla formazione dell’élite. Parliamo di alcune grandi aziende, di istituzioni come la Banca d’Italia, dell’Università, dei Partiti, dei Sindacati, delle associazioni cattoliche e di volontariato. Oggi questo modello pare in crisi. Nel settore politico, in particolare, il venir meno delle grandi ideologie di massa ha diminuito l’importanza dei Partiti e la loro capacità di formare la classe politica. La scomparsa delle scuole di Partito come le Frattocchie o la Camilluccia (dove si formavano rispettivamente i dirigenti del Pc e della Dc), insieme ad altri fattori come il declino delle Università, ha portato ad un evidente abbassamento della qualità dei politici: poca vera cultura, poche conoscenze specialistiche, poca visione d’insieme. Poiché la politica non si apprende senza preparazione né la si esercita senza competenza, come già don Sturzo affermava, i Circoli Liberal della Toscana organizzano per il 4 e il 5 ottobre presso l’Abbazia di Vallombrosa la scuola di formazione politica che avrà come

charter sarebbero decollate e solo a spese nostre: provi qualcuno a smentirmi, ho un elenco che parte dalla fine degli anni ’70.

L. C. Guerrieri Teramo

OTTIMO IL PIANO SICUREZZA Quelli del governo sono perfetti, specie quest’estate: tremila militari per strada mantengono all’erta i malintenzionati e i delinquenti, prevengono e combattono i piccoli reati: problemi e disagi che certo non hanno i miliardari di sinistra, gli intellettuali chiusi nelle loro torri d’avorio e i signoroni. In città, con la loro presenza, garantiscono tranquillità alle ragazze e alle donne che parcheggiano, girano per uffici e negozi e vanno al mercato.

Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)

tema L’Unione europea alla ricerca della sua identità: flussi migratori, diritti civili e politica estera. Perché di politici improvvisati, di tecnici prestati alla politica, di personalità della società civile (sempre prestate alla politica) ne abbiamo avuti abbastanza dagli anni 90 ad oggi. Tutte le informazioni saranno a breve disponibili su www.liberal-toscana.it (in fase di attivazione). Federico Tondi e Simona Forzoni COORDINATORE REGIONALE CIRCOLI LIBERAL TOSCANA E COORDINATORE PROVINCIALE CIRCOLI LIBERAL FIRENZE

ATTIVAZIONI Il coordinamento regionale della Campania ha attivato un numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio 800.91.05.29


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Rimarrò qui a torturarmi l’anima Dopo una serata tristissima e dopo una notte quasi insonne, sono uscito sono andato a vedere se tra la posta ci fosse la lettera desiderata con una così terribile ansietà. Non c’era. Ho aspettato fino alle tre, fino a questo momento, senz’aver nulla. Io non ti dirò la sofferenza scorante della lunga aspettazione, in questo calore di fiamma, in quest’ozio tormentoso, in questa grande e crudelissima luce che irrita e rende assai più acuto il patimento. Son tornato a casa ora soltanto. E ti scrivo, aspettando le cinque, l’ultima posta, l’ultima speranza. Se io rimanessi tutto il giorno senza sapere nulla di te? Sarebbe orribile. Io non ci posso pensare senza terrore. Rimarrò qui, queste due lunghe ore, a fantasticare e a torturarmi l’anima. Addio. Tu sarai, forse, già triste a bastanza ed avrai anche tu, forse, bisogno d’esser consolata. Addio, amore mio unico! Gabriele D’Annunzio a Barbara

ANCORA SANGUE DEI VINTI: IL CASO PELICELLI Dopo molte ricerche ordinate dlla Procura della Repubblica di Reggio Emilia, dietro richiesta dei familiari di Ugo Pelicelli, iniziate nel 2007 e dopo scavi di ruspa falliti, il 2 luglio sono stati rinvenuti alcuni resti umani in un campo agricolo di via Zappellazzo a Poviglio. Poviglio ne dava notizia in prima pagina nel numero 3 del 2007, sotto il titolo ”Delitti del dopoguerra. Recuperati resti organici compatibili con un cinquantenne”. Nel sottotitolo: ”Si attende che la Procura renda noti gli esiti degli esami. Potrebbero essere i resti di Ugo Pelicelli”. L’uomo, ucciso dai partigiani rossi a Poviglio l’8 maggio 1945 in quanto ex della Guardia nazionale repubblicana venne picchiato, trascinato per le strade del paese, poi costretto a scavarsi la fossa in un campo di patate e ucciso. A distanza di quasi quattordici mesi dal ritrovamento dei suoi probabili resti e dall’inizio degli esami medico-legali, non si sono avute a tutt’oggi notizie certe o dichiarazioni definitive nè da parte dei Ris nè da parte dell’Istituto di medicina legale dell’Università di Modena, nè da parte della Procura della Repubblica di Reggio. Credo che i cittadini povigliesi si aspettassero – e con essi gli eredi di Ugo Pe-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

28 agosto 1845 - Esce il primo numero di Scientific American

1849 - Dopo un assedio di oltre un mese,Venezia, che si è dichiarata indipendente, si arrende all’Austria 1963 - Durante una manifestazione per i diritti civili che raduna 200mila persone Martin Luther King tiene il famoso discorso del I have a dream davanti al Lincoln Memorial di Washington 1975 - Il missionario Armand Doll viene imprigionato in Mozambico dagli estremisti marxisti. 1988 - Durante una esibizione aerea a Ramstein (Germania Ovest), tre aerei delle Frecce Tricolori si scontrano in volo e precipitano sul pubblico: 69 vittime. 1990 - L’Iraq dichiara che il Kuwait è la sua diciannovesima provincia 1995 - Una granata di mortaio uccide 38 persone a Sarajevo, in Bosnia, generando l’azione della Nato contro i serbi bosniaci

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

licelli – un trattamento più dignitoso e rispettoso dei propri sentimenti e delle legittime attese di informazione conclusiva e trasparente. È ora che dopo tutti gli indugi e le cautele, sia detta a tutti la verità.

il meglio di

Angelo Simonazzi Poviglio (Re)

VERGOGNA, CI AVETE TOLTO I GOL

PICCOLO MONDO ANTICO

Oggi rintocca per il pallone la campana a morto. Quanti temevano che l’emergere di enormi interessi mediatici e l’irresistibile ascesa delle pay tv ci avrebbero sottratto presto il piacere pomeridiano di gustarci i gol sono stati creduti. Il calcio diventa dunque uno sport per appassionati, per ultrà da salotto con il portafoglio gonfio. L’ultima roccaforte nazionalpopolare, l’ultimo luogo d’incontro che metteva tutti d’accordo noi italiani al di là delle singole fedi calcistiche, è definitivamente crollata sotto i colpi di chi ha voluto farne un business a pagamento. Inoltre i biglietti per lo stadio hanno raggiunto costi proibitivi, e se la tanto sbandierata concorrenza tra pay tv avrebbe dovuto, secondo i teologi liberisti, regalarci gli incontri di calcio a costi ridicoli, come al solito il risultato è un meccanismo perverso che ha prodotto l’ennesimo cartello. Ci avete tolto anche i gol.Vergogna.

Oggi abbiamo potuto leggere il primo editoriale di Concita De Gregorio, nuovo direttore dell’Unità. Inizia così: «Sono cresciuta in un Paese fantastico di cui mi hanno insegnato ad essere fiera. Sono stata bambina in un tempo in cui alzarsi a cedere il posto in autobus a una persona anziana, ascoltare prima di parlare, chiedere scusa, permesso, dire ho sbagliato erano principi normali e condivisi di una educazione comune. Sono stata ragazza su banchi di scuola di città di provincia dove gli insegnanti ci invitavano a casa loro, il pomeriggio, a rileggere ad alta voce i testi dei nostri padri per capirne meglio e più piano la lezione». Vero, era un’Italia molto bella. Era l’Italia provincialotta e democristiana, l’Italia piccolo borghese con le sue gerarchie da rispettare, l’Italia con i bambini che andavano a scuola in grembiulino e la panierina in mano, quella Italia che si alzava in piedi quando in classe entrava il professore. L’Italia che noi biechi conservatori possiamo permetterci di rimpiangere, illudendoci che qualche ministra volenterosa possa davvero restaurarne un briciolo. Che a rimpiangerla sia il direttore dell’Unità, però, fa davvero ridere. Post scriptum. Per inciso: quel «Paese fantastico» lo ha travolto il Sessantotto. Il nuovo direttore dell’Unità, però, questo non lo dice. Altrimenti nel suo editoriale non potrebbe darne la colpa a Silvio Berlusconi.

Luca Troise Venezia

PUNTURE Caro direttore, Mosca fa sul serio, l’America è sul chi va là e l’Italia ha già messo su il valzer.

Giancristiano Desiderio

La politica sociale è la disperata decisione di operare i calli di un malato di cancro KARL KRAUS

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

A Conservative Mind aconservativemind.blogspot.com

IN IRAQ ABBIAMO VINTO. FORSE Mentre proseguono i negoziati tra governo iracheno ed amministrazione statunitense per la partenza delle truppe americane dall’Iraq, tra fughe in avanti, smentite e probabile redazione di un memorandum d’intesa che si annuncia ricco di “condizionalità” che permetteranno agli Stati Uniti di restare in Iraq “for the foreseeable future” (anche se forse non per i cento anni di cui parlava John McCain) e ad al-Maliki di giocare al piccolo nazionalista orgoglioso con i suoi connazionali, segnaliamo un’interessante intervista a Newsweek del generale David Petraeus, comandante delle forze alleate in Iraq e architetto della surge. Petraeus, che McCain ha recentemente definito “una delle tre persone più sagge” a cui si affiderebbe in caso di vittoria elettorale a novembre, pur riconoscendo che l’infuenza di al-Qaeda in Iraq è stata significativamente ridotta, rifiuta di dire che l’organizzazione terroristica “è stata sconfitta”. Inoltre, Petraeus riconosce che i recenti successi iracheni potrebbero essere stati possibili anche senza la surge. In sostanza, anche il cosiddetto “Risveglio Sunnita” potrebbe aver giocato un ruolo nella sconfitta di alQaeda, possibilmente in sinergia con la surge. Staremo anche vincendo, qualunque cosa ciò significhi, ma il realismo e la cautela di Petraeus sono certamente encomiabili.

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PAGINAVENTIQUATTRO Cartolina da Venezia. Al Lido trionfa un gazebo dedicato ai calvi

Dal cinema ai capelli, è una questione di di Alessandro Boschi volte sono i dettagli che fanno la differenza. Anche in un festival prestigioso come quello di Venezia. Certi dettagli infastidiscono, altri sorprendono. Un esempio. Abbiamo

A

già state pensando a qualcuno che a quel ritocchino ha fatto ricorso. Malfidati. Questo dimostra, oltre la prevedibilità di certe sinapsi, l’assoluta prevenzione nei confronti di alcuni personaggi pubblici. Fortunatamente la calvizie, per-

FINZIONE

dedicato la mattinata di ieri a Burn after Reading, il divertentissimo film dei fratelli Coen, e alla ricerca del solito gazebo/edicola dal quale ci serviamo da anni. Ricerca inutile, perché al momento di quell’edicola non c’è traccia. Come sempre alla Mostra del cinema si scrive più di quanto non si legga. E questo è il dettaglio che infastidisce. Quello che sorprende, invece, è la presenza di un chiosco allestito dal servizio di rinfoltimento cervice Cesare Ragazzi. Se c’è qualcosa che nel nostro paese si può definire mitico, termine questo inflazionato e non da ora, è proprio questa azienda che vanta «37 anni di esperienza e 900.000 clienti». Cesare Ragazzi, tanto per intenderci, è quello della pubblicità, dell’idea in testa, con quel signore dai baffi folti che si passa una mano tra i capelli, e che oramai è Cesare Ragazzi, anche se non lo fosse.

Ma questi, appunto, sono dettagli. Che possono però essere interpretati. E se quel Cesare Ragazzi fosse un segnale? Se qualcuno volesse farci capire che in fondo un ritocchino non è una tragedia ma anzi. In fondo siamo alla Mostra del cinema, e nel cinema qualsiasi ritocchino è legittimo se non consigliato. Scommetto che

ché di questo si tratta, è una delle cose più onestamente bipartizan. Se da una parte c’è chi sappiamo, quello a cui tutti avete pensato, dall’altra ce ne sono altri altrettanto prestigiosi. E calvi. Ma Cesare Ragazzi alla 65^ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica è qualcosa di più, significa lo sdoganamento del ritocco, dell’aggiustamento estetico, significa la legittimazione di tutto ciò che finora ci sembrava vanesio. Non dimentichiamo mai che il cinema è metafora, che significa dire una cosa mentre se ne fa vedere un’altra. Cesare Ragazzi non sono solo i capelli che ci possiamo riappiccicare in te-

chioschetto messo lì, magari proprio al posto di un’edicola che non si trova più («non leggete, rinfoltitevi!»), è stato accolto con sorpresa mista a divertimento. Ma senza nessuna auspicabile diffidenza. Nessuno sembra capirne la portata. Ci viene in mente che quest’anno si festeggia il quarantennale del Sessantotto. Che non fu proprio una semplice scossa di assestamento, anche perché fatica ancora oggi ad assestarsi. Di certo, però, ci si poteva affrontare, confrontarsi. Non fu una cosa silenziosa e strisciante. Ma il Cesare Ragazzi, invece? Quella famosa «idea in testa» di cui parlava quel vecchio spot potrebbe essere proprio questa: non solo capelli ma anche una nuova frontiera dell’emancipazione umana. Uomini, e donne, che finalmente in una giornata di noia in cui non si ha neanche una voglia potranno farsi finalmente un magnifico shampoo, senza pensare a niente. Giorgio Gaber, come al solito, aveva capito tutto.

Passeggiando tra le sale di proiezione, dopo il film con George Clooney e Brad Pitt, si scoprono strane sorprese. Quest’anno la vecchia edicola dei giornali è stata sostituita da un box per combattere i riporti... sta o dove uno meglio crede. Cesare Ragazzi ci invita, con il suo sguardo rassicurante, ad entrare a far parte di un mondo dove tutti siamo un po’ più felici, perché ne abbiamo diritto. Perché rimanere infelici (e calvi), quando basta così poco a restituirci il nostro aspetto giovanile?

Cesare Ragazzi, come il cinema e forse più del cinema, rappresenta il trait d’union tra una realtà a volte triste e un mondo a volte migliore. Perché facciamo così fatica ad accettare (a parte i 900.000 clienti dell’azienda di rinfoltimento) l’idea di ricorrere a capelli posticci? In fondo sono meno cari di anni di analisi, e la terapia è molto più rapida. A questo punto ci piacerebbe sapere chi c’è dietro a questa fantastica operazione di riassestamento etico estetico di valori. Perché qualcuno deve pure esserci dietro, come un riporto sulla chierica. Deve essere qualcuno di molto abile, perché quel


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