Perché è importante aderire alla fiaccolata del 10 settembre 9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80829
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Guai a tacere sulla guerra mondiale contro i cristiani
e di h c a n o cr di Ferdinando Adornato
di Renzo Foa rmai da anni c’è in una fascia di mondo, dall’Indonesia fino alla Nigeria, un pogrom diffuso contro i cristiani. Ricorda, nelle forme in cui si manifesta - con uccisioni indiscriminate, roghi e violenze di ogni genere - l’inizio dell’ultima ondata di antisemitismo, così come si manifestò alla fine dell’Ottocento nella Russia zarista, per poia diventare nel Novecento una delle grandi tragedie della nostra storia. Perché proprio contro i cristiani e in particolare i cattolici? Credo che la risposta non sia difficile da dare: nella Chiesa di Roma c’è una forza culturale e morale che, per la sua apertura universale e il suo carattere inclusivo, incute paura ad altre religioni che si nutrono invece di chiusura, di intolleranza e di pregiudizio. Il tragico bilancio di questo pogrom diffuso è ormai noto, così come è conosciuta la sua geografia. Si tratta solo di sottolineare che questo bilancio è più pesante di quello di tanti conflitti che invece provocano ondate di indignazione e di mobilitazioni. Che assistiamo a quella che potremmo definire una «solitudine delle vittime e dei perseguitati». Anche qui c’è un parallelo storico da fare: si tratta di una solitudine analoga a quella in cui si trovarono gli ebrei europei dopo l’avvento di Hitler al potere e dopo la diffusione delle leggi razziali, mentre si levavano solo poche ed inascoltate voci.
O
Iritalia
L’Alitalia era fallita e doveva essere messa sul mercato. Sta succedendo il contrario: il Paese che voleva modernizzarsi sta facendo un gigantesco passo indietro, quando lo Stato si accollava i debiti di aziende decotte. Chi paga? I cittadini, naturalmente. Come ai tempi della vecchia Iri
alle pagine 2 e 3 Il primo ministro russo accusa gli Stati Uniti
Putin alla Cnn: «Complotto Usa»
se gu e a p ag in a 5
Educazione civica e ritorno dei voti non bastano
Di nuovo in libreria il saggio di Oswald Spengler
Basta monopolio statale: ora serve la scuola libera
Il tramonto dell’Occidente? Sta arrivando
di Antonio Picasso
di Errico Novi
di Gennaro Malgieri
In una intervista alla Cnn, il primo ministro russo, Vladimir Putin, ha accusato gli Stati Uniti d’America di aver orchestrato il conflitto in Georgia a beneficio di uno dei due candidati alle elezioni di novembre.
Cosa ti aspetti da un governo di centrodestra? Che reintroduca il voto in condotta, of course. E re-istituisca la bocciatura per chi si comporta da bullo, cioè da cinque. E ancora, che imponga il ritorno all’educazione civica. Ma non solo...
Ci sono libri che ritornano quando meno te lo aspetti. E si fanno strada tra le coltri dell’oblio dov’erano finiti con la forza della della sorprendente attualità che conservano. È il caso de Il tramonto dell’Occidente.
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VENERDÌ 29 AGOSTO 2008 • EURO 1,00 (10,00
CON I QUADERNI)
• ANNO XIII •
NUMERO
164 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Il governo di Centrodestra partito per modernizzare il Paese si ritrova ad aiutare le aziende decotte. Solo l’ex ministro resta coerente
Vola un solo liberale:Martino di Franco Insardà er fortuna che Antonio Martino c’è. Mentre il governo di centrodestra che ha sempre sostenuto politiche economiche liberali e di modernizzazione, su Alitalia fa un’inversione di rotta l’ex ministro sbotta. Ai microfoni di radioRai3 ha dichiarato: «L’intera vicenda Alitalia la considero tragica perché negli anni è stato dilapidato un fondo pubblico per mantenere in vita una sigla, un servizio insoddisfacente con tariffe spropositate che ora perde un milione di euro al mese». Martino si è detto molto scettico sul piano Fenice e sulla possibilità di ricollocare gli esuberi alle Poste, all’Agenzia delle entrate o al Catasto. «Sento puzza di bruciato e il ripetersi di una vecchia storia italiana – ha spiegato l’ex ministro – la proposta di passare i dipendenti dall’Alitalia alle Poste altro non è che mettere insieme due inefficienze». Insomma ormai è certo che il decollo della nuova Alitalia sarà agevolato in tutti i modi e se le mani di molti sono pronte a spingere verso il cielo la nuova flotta, è altrettanto evidente che una pesante zavorra resterà a terra con buona pace di altrettanti. Sembra di rivedere le scene di tanti sfortunati viaggiatori che perdevano i bagagli negli scali italiani. La nuova Alitalia lascerà a terra settemila dipendenti che peseranno, inevitabilmente, sul groppone di amministrazioni e aziende pubbliche. Un vero e proprio ritorno al passato, a quel piccolo mondo antico in cui l’Iri arrivava in aiuto delle aziende in crisi. L’operazione Alitalia richiama alla memoria la cessione di Alfa Romeo a Fiat, ammoniva Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera di mercoledì, ricordando a tutti i rischi dell’operazione e le inevitabili ricadute sui contribuenti.
Sembrerebbe tutto liscio come l’olio, ma nelle fila del centrodestra la situazione è molto confusa: Pdl e Lega sono divisi per le sorti degli aeroporti lombardi e i ministri si smentiscono a vicenda. Alle rassicuranti dichiarazioni di Matteoli di ieri sulla possibile collocazione dei dipendenti di Alitalia in esubero, sono seguiti gli strali del ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, che ha tentato di chiarire la posizione del governo. «È assolutamente esclusa ogni forma di riassorbimento degli esuberi Alitalia nella pubblica amministrazione o nelle Poste – ha detto Brunetta – Non esiste alcuna forma di ammortizzazione sociale attraverso passaggi nella pubblica amministrazione o in aziende assimi-
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Intanto il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto legge che modifica le legge Marzano e fornisce al cda della Magliana, che si riunirà oggi, gli strumenti per permettere il commissariamento della ”bad company” e la vendita della ”parte buona”a ”Compagnia aerea italiana”, la società costituita dai 16 imprenditori italiani presieduta da Roberto Colaninno. Nel decreto legge sono previste deroghe alle norme antitrust, che consentono l’integrazione fra Alitalia e Air One prevista dal piano predisposto da Intesa SanPaolo. Il Consiglio dei ministri ha approvato anche il disegno di legge che pone le basi per una riforma delle norme che regolano l’amministrazione straordinaria. Questo significa che il commissario straordinario Augusto Fantozzi potrà procedere a ”un’immediata vendita di asset ancora fruttuosi, garantendo così maggior elasticità al modello procedimentale”.
Il governo ha varato i provvedimenti per la divisione in due della compagnia aerea e per il commissariamento, su cui deciderà domani il cda. Il decreto prevede anche indennizzi ai piccoli azionisti labili come le Poste». Le reazioni dell’opposizione non si sono fatte attendere. Su tutti il leader del Pd, Walter Veltroni. «La vicenda Alitalia è lo specchio fedele di come il governo Berlusconi sia vittima della sua demagogia
e della sua inadeguatezza. Ovviamente il Partito democratico auspica che da questa situazione si possa venir fuori con il minor impatto possibile sui livelli occupazionali, ma non può e non deve far passare in secondo piano il suo dovere di dire chiaramente e con forza che quella prescelta dal governo rappresenta una soluzione pasticciata, confusa, pericolosa e che non persegue affatto l’interesse del nostro Paese».
Ad ogni modo, sulla Magliana aleggia sempre la sagoma di Air France. Il cda della compagnia franco-olandese, riunito ieri, si è detto pronto a trattare con Alitalia in vista di un’alleanza come socio di minoranza. Secondo il pd Vannino Chiti, vicepresidente del Senato: «Quella di Alitalia mi sembra un’operazione peggiore di quella che si stava concludendo con Air France alcuni mesi or sono. C’è un conto salato per lo Stato e per i cittadini». E Sergio D’Antoni rincara la dose: «Oggi il governo porge su un piatto d’argento Alitalia ai francesi». Il capogruppo Udc in Commissione Bilancio della Camera e responsabile economico del partito, Gian Luca Galletti, chiede al governo «di illustrare in Parlamento i piani industriali delle due società, assumendosi le responsabilità che gli competono». Da una parte il Consiglio dei ministri sembra spianare la strada alla nuova Alitalia, dall’altra gli esuberi rischiano, ancora una volta, di essere il nodo fon-
«Siamo ai preliminari,aspettiamo il piano industriale» colloquio con Luigi Paganetto di Alessandro D’Amato ROMA. «Siamo ancora ai preliminari». Il presidente dell’Enea e professore della facoltà di Economia dell’Università di Tor Vergata, Luigi Paganetto, sospende, per ora, il giudizio sulla soluzione trovata da governo e Banca Intesa per salvare Alitalia: «Trovo che sia importante che si vada verso una compiuta definizione dei termini della questione, e credo che sia molto positiva la notizia dell’interessamento di Air France. Ma ci sono ancora molti problemi da definire sul tappeto. Tre sono i punti fondamentali: il piano industriale, il partner internazionale, la concorrenza nel settore. E anche qualche questione preliminare». Quali, ad esempio? I rapporti con l’Unione europea, che sono a rischio, e come verrà risolto il rapporto con i creditori. Così co-
me bisognerà capire fino in fondo cosa succederà con la bad company che verrà costituita: è importante che chi entra paghi un valore che corrisponda a quanto sta a bilancio; il rischio è che, diversamente, a farlo dovrà essere la collettività. Poi c’è il piano industriale, che deve essere specifico e ben definito. Le decisioni di ieri, con la modifica della Marzano e la quasi certa ratifica da parte del consiglio di amministrazione dell’azienda in programma oggi, sono quindi comunque positive? Sì, perché significano che c’è ancora la possibilità di riaprire un discorso per la nostra compagnia di bandiera; adesso però bisogna parlare di investimenti e di scelte, magari anche dolorose, che i nuovi soci dovranno fa-
re in tempi brevi per il destino di Alitalia. Bisogna creare le condizioni per guardare al futuro con ottimismo. Gli imprenditori parlano di un campione nazionale, con ambizioni intercontinentali da sviluppare grazie a un’intesa internazionale. E per fare questo c’è bisogno di un piano industriale dettagliato, che comporti l’aumento delle ore volate, del numero di passeggeri e la capacità da parte della nuova società di investire su aerei nuovi. La disponibilità di Air France è una buona notizia, ma essa stessa nel comunicato che ha emesso ha confermato il suo interesse a rimanere un partner strategico della compagnia italiana ”se le prospettive di redditività della nuova società saranno confermate”.
Luigi Paganetto è presidente dell’Enea e docente della facoltà di Economia dell’Università di Tor Vergata
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Si monopolizzeranno le tratte ad alta redditività
Chi paga? Semplice, solo i contribuenti R di Carlo Lottieri
damentale della vicenda, e il bilico oltre il quale potrebbero precipitare i conti dello Stato. Lunedì prossimo il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, ha convocato i sindacati. L’ordine del giorno è: «Avviare l’e-
same delle ipotesi di risanamento e di nuova organizzazione delle attività attualmente gestite dall’Alitalia e delle iniziative di tutela attiva dei lavoratori». Più che un semplice nodo, un vero e proprio cappio.
Insomma, anche loro vogliono conoscere meglio il piano prima di prendere una decisione definitiva. Poi ci sono altre questioni aperte, come il trasporto merci, il sistema di manutenzione e il servizio a terra: bisogna capire che decisioni si prenderanno a proposito di una serie di nodi che ancora sono da sciogliere. E per quanto riguarda gli esuberi e il riassorbimento del personale, sui quali i sindacati sembrano essere già sul piede di guerra, e ci sono divisioni anche all’interno dello stesso governo, con Brunetta che ha dichiarato ”mai i lavoratori Alitalia alle Poste”? Mi sembra che la questione sia mal posta, così com’è. Non è possibile certo spostare i lavoratori a compartimenti stagni da un’azienda all’altra pensando che i posti di lavoro siano caselle da riempire. Ci vogliono delle professionalità specifiche, senza qualifiche professionali ben pre-
cise si fa solo danno. Mi auguro che si rifletta anche su questo. Poi, visto che Air One è destinata a scomparire, assorbita dalla Nuova Alitalia, si apre un problema per la concorrenza nel settore. Esattamente. C’è una ulteriore questione da definire per il trasporto aereo come sistema, sulla quale necessariamente bisognerà guardare al complesso dei rapporti per scegliere la strada giusta da seguire. Nel decreto legge del governo dovrebbe essere previsto il superamento della normativa Antitrust, per lo meno in via temporanea. E’ una soluzione provvisoria, ma pur sempre una soluzione. Insomma, anche lei tifa per un happy end? Sì, mi auguro che ci siano le condizioni per riuscire in questo salvataggio, perché quetso significherebbe la conservazione di un capitale umane e professionale di grande importanza. Alitalia rimane comunque un asset irrinunciabile per un paese come il nostro.
icordiamo tutti la vicenda Telecom: fu una privatizzazione disastrosa, che vide la sinistra dotarsi di una rete di capitalisti amici e rendersi protagonista di una cessione tutt’altro che trasparente. Invece che mettere sul mercato l’azienda, aprendo a chiunque (nell’interesse dei contribuenti), si pilotò verso una situazione politicamente gradita. Eppure, negli anni quella cessione ha innescato comunque in processo di rinnovamento, così che oggi la nostra telefonia si trova certo assai meglio di quando eravamo costretti a rivolgerci alla Sip. Qualcosa di simile, in futuro, forse finiremo per dire in merito a questo deludente dopo-Alitalia: che in parte vede protagonisti gli stessi uomini dell’affare Telecom. Tutto quello che di sbagliato il governo poteva fare, comunque, l’ha fatto: si è favorita la fusione dei due maggiori attori nazionali (Alitalia ed Air One) e si è attribuito un ruolo attivo in economia al governo, mentre ora si stanno per scaricare i debiti sui contribuenti e ci si appresta a mettere in carico allo Stato una marea di esuberi. C’è pure qualche elemento grottesco, dato che solo qualche settimana la maggioranza aveva approvato un emendamento che espelleva dalle Poste i precari. Oggi, però, viene annunciato che alla stessa azienda verrà attribuita una quota degli esuberi di Alitalia. Così che invece che confermare i postini senza concorso, nell’azienda da anni, si finisce per assumere stewart e addetti al checkin…
per giunta, contribuirà a corrompere ancor di più i nostri centri di governo. Invece che tenere ben separate politica ed economia, cercando di evitare ogni “conflitto di interessi”, l’Italia finisce insomma per confermare una volta di più che da noi è un gran facile fare i soldi pubblicizzando i costi e privatizzando i profitti.
Ma qualcosa, a ben guardare, si può ancora tentare. In primo luogo, non è detto che il trasferimento degli addetti di Alitalia in qualche ufficio del Catasto sia di facile realizzazione. Già Brunetta si è detto contrario e poi c’è un rilevante divario tra i salari della compagnia di bandiera e quelli del para-Stato. Per questo, chi ha a cuore il futuro del Paese deve mettersi di traverso. Garantire un anno di cassa integrazione sarebbe assai meglio, tanto più che quello del volo aereo è un settore in crescita e presto si farà avanti qualcuno per colmare vuoti lasciati liberi da Alitalia. Oltre a ciò, è necessario per tutelare il consumatore. Il destino dei permessi di volo in mano ad Alitalia ed Air One va messo in discussione, ed è anche opportuno che si apra un dibattito per diversificare il controllo degli aeroporti e privatizzarli. A Milano, in particolare, Sea è proprietaria di Malpensa, Linate e del 49 per cento di Orio al Serio: quale competizione tra gli scali si può immaginare in tale situazione?
Tutto quello che di sbagliato il governo poteva fare in questa vicenda, comunque, l’ha fatto
Per giunta, il governo intende sospendere le norme antitrust e lasciare che tratte ad alta redditività, come la Milano – Roma, siano monopolizzate dalla nuova compagnia guidata da Roberto Colaninno, benedetta dai sindacati e, a quanto è dato di capire, largamente apprezzata pure dal centro-sinistra. Tanto più che già si fa il nome di Augusto Fantozzi per la gestione della “bad company” da abbandonare al più presto al suo destino. Questo inciucio politico-finanziario,
Certo il destino di Alitalia è ormai segnato: gli amici degli amici si sono mossi come un solo uomo e l’establishment politico-finanziario marcia compatto verso la costruzione della “newco”. Ma per fortuna è difficile imprigionare i mercati e se essa non saprà soddisfare i clienti, farà la fine di Alitalia. Nessuno se lo augura, ma è bene che la nuova società si trovi nelle stesse condizioni delle imprese concorrenti: italiane o straniere che siano. Tutta la vicenda ha dimostrato come manchi, nel Paese, anche la più elementare cultura del mercato. Ma questa Italietta di arruffoni e furbacchioni ha il fiato corto e non reggerà ancora a lungo.
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nessuno tocchi abele
Continuano ad arrivare molte adesioni all’iniziativa di liberal. Dopo Casini e Formigoni, si uniscono anche l’ex premier e Dini
Aderisce anche Prodi Dopo l’immediato consenso di Casini e dell’intera Udc, Formigoni, Cicchitto, Marini, Binetti, Boniver, continuano ad arrivare numerosissime adesioni dal mondo politico, culturale e religioso (italiano ma non solo) alla fiaccolata del 10 settembre in piazza Montecitorio, lanciata da liberal in difesa dei cristiani perseguitati nel mondo. Stimolati ad una riflessione, interlocutori di ogni schieramento e fede analizzano con il nostro quotidiano la situazione della comunità cristiana nel mondo e condannano l’estremismo, di ogni colore e fede. L’invito, rivolto a tutti coloro che hanno a cuore la situazione dei perseguitati, è a risvegliare la coscienza pubblica e l’interesse del nostro governo, che deve intervenire con ogni mezzo per riportare l’Italia in prima linea nella difesa di chi soffre ingiustamente per motivi confessionali. Ecco alcune delle testimonianze raccolte.
,purtroppo, per impegni presi precedentemente, il giorno 10 settembre sarò all’estero, ma intendo ugualmente dare la mia formale adesione all’iniziativa lanciata da Ferdinando Adornato e dal quotidiano liberal. Gli efferati atti di violenza commessi ai danni di 11 cristiani in India mi hanno sconvolto, ma sono purtroppo consapevole che lo spargimento di sangue innocente potrebbe non essere finito. Anche se non fisicamente, sarò convintamente in piazza Montecitorio il 10 settembre. Romano Prodi, ex Presidente del Consiglio italiano
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Aderisco con convinzione alla manifestazione organizzata da Ferdinando Adornato e dal quotidiano liberal organizzata in piazza Montecitorio il 10 settembre. Come presidente della Commissione Esteri del Senato, ma prima ancora come cittadino italiano, esprimo il mio profondo dolore per gli efferati atti avvenuti nei giorni scorsi in India ai danni della vita di 11 cristiani. Il forte appello di Benedetto XVI deve essere recepito e rafforzato dalle autorità politiche di questo Paese e, mi auguro, da tutti i governi occidentali. Sono profondamente convinto che atti di questo genere compromettano il cammino verso una civiltà globale libera politicamente e religiosamente. Mi auguro che in piazza ci siano esponenti politici di ogni parte, e che si metta da parte l’orgoglio partitico in ragione di un unità nel condannare certi tragici eventi. Lamberto Dini, presidente Commissione Esteri del Senato Accolgo con piacere l’invito di Ferdinando Adornato e di liberal a manifestare contro le repressioni messe in atto contro i cristiani in India nei giorni scorsi. Sarò anche io in piazza Montecitorio il 10 settembre, convinto come sono che la politica debba mobilitarsi contro ogni forma di discriminazione, repressione o aggressione. Mi auguro che in piazza ci siano molti esponenti della società civile, molti cittadini e molti esponenti politici che, per una volta, mettano da parte la propria casacca politica per manifestare contro un principio fondamentale: la libertà, che sia di culto o politica. Maurizio Gasparri, Capogruppo del PdL al Senato
Alla fiaccolata organizzata da Ferdinando Adornato in piazza Montecitorio ci sarò anch’io, convinta come sono che un Paese come il nostro, che ha la fortuna di accogliere il Papa, debba dare un segnale forte contro ogni tipo di persecuzione religiosa come anche politica e razziale. Ci sarò con la mia fiaccola, a testimoniare la mia forte partecipazione ai gravi lutti che ci sono stati nei giorni scorsi in India, oltre a quelli di cui- purtroppo- ogni giorno si avverte notizia. Bene l’iniziativa di liberal quindi, ma mi auguro che a seguire ci sia un accorato appello del governo italiano a tutti i governi occidentali per far si queste violenze non rimangano impunite. Gabriella Carlucci, deputata PdL Aderisco con convinzione all’appello di liberal per la manifestazione di solidarietà ai cristiani che si terrà in piazza Montecitorio il 10 settembre. I tragici fatti in cui hanno perso la vita 11 cristiani accaduti nei giorni scorsi in India mi hanno riempito di tristezza e di amarezza. Da sempre sono convinto che la libertà di culto, al pari di quella politica
Proteste anticristiane in India. In basso: Savino Pezzotta
sia il cardine fondante di ogni democrazia.Voglio augurarmi che l’appello del Pontefice contro ogni forma di intolleranza religiosa venga accolto e si possa giungere, finalmente, al rispetto della professione di fede di ogni individuo. Accenderò, pertanto, anche io una fiaccola in piazza Montecitorio, a testimonianza della mia fede e della mia solidarietà a tutti i popoli che sono vittima di persecuzioni e repressioni. Clemente Mastella, Segretario nazionale dell’Udeur Aderisco formalmente alla manifestazione di solidarietà organizzata da liberal, il quotidiano di Ferdinando Adornato, in seguito alle persecu-
zioni contro i cristiani in India. È un’iniziativa molto nobile a cui spero di poter partecipare personalmente. Ogni tipo di violenza, ancor più quando rivolta contro la libertà di fede va condannata duramente e in tal senso condivido pienamente le parole del papa Benedetto XVI. Spero che il governo italiano renda pubblico un monito formale di condanna verso questi fatti tragici sempre più frequenti. Marcello Pera, ex Presidente del Senato Con una preghiera e una benedizione, aderisco all’iniziativa di liberal. card. Joseph Zen Ze-kiun, vescovo di Hong Kong La persecuzione religiosa è frutto di
«La libertà religiosa è un tema laico. Mobilitiamoci» colloquio con Savino Pezzotta di Susanna Turco
ROMA. «Era ora». Quando gli si dice che il governo italiano ha appena annunciato che convocherà l’ambasciatore indiano e che chiederà il coinvolgimento della Ue sul tema delle violenze induiste contro i cristiani, il deputato centrista Savino Pezzotta, negli ultimi anni una delle voci rappresentative del cattolicesimo impegnato in politica, risponde con quei modi pacati ma sbrigativi che gli son valsi negli anni il soprannome di “orso”: «Era ora». In che senso? Normalmente, quando ad essere sottoposti a questo genere di attacchi sono i religiosi, l’opinione pubblica europea e italiana manifesta una sorta di indifferenza. Se si fosse trattato di un fatto politico sarebbe stato diverso, mi creda. La vedremo dunque alla fiaccolata promossa da liberal ?
Certo, ci sarò. Occorre una maggior consapevolezza dell’opinione pubblica, è ogni giorno più indispensabile. Perché? Non si è ancora capito che c’è una forte relazione tra libertà religiosa e democrazia. Che la misura della democrazia è data dalla libertà religiosa: per questo è preoccupante che le violenze contro i cristiani avvengano all’interno di quella che è, e resta, la democrazia indiana. E per questo occorre una maggior consapevolezza: come ci siamo mobilitati su altre questioni, adesso dobbiamo concentrarci su questa. Una nuova battaglia dei cattolici? No, la libertà religiosa è un tema laico: non vorrei diventasse una questione confessionale. Anche se naturalmente, lo è anche. Ma, da democratico, dico che è un problema politico. La libertà religiosa è la prima delle li-
bertà, la più vicina all’individualità delle persone: dove la si nega, non c’è spazio per le altre, lo ha dimostrato la storia. Paola Binetti sostiene non essere un caso che le barbarie siano avvenute proprio in India, «pervasa dal morbo dell’aggressività». È d’accordo? Bah. È una società che deve fare i conti con il superamento della divisione in caste. Man mano che la democrazia si sviluppa emergono contraddizioni, ma non direi che l’India sta tornando indietro: deve portare a soluzione la problematica sulle libertà religiose. Magari stupisce che questi massacri accadano là perché abbiamo sempre pensato all’India come il paese di Gandhi: ma Gandhi venne ucciso in un certo modo da qualcuno che non era della stessa religione. Insomma, ci stupiamo perché in fondo quei Paesi non li conosciamo. Certo, bisogna fare dei passi
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Bisogna evitare che la storia si ripeta
Guai a tacere sulla guerra mondiale ai cristiani di Renzo Foa segue dalla prima 1
una politica dell’odio, che demonizza e de umanizza l’altro, e che purtroppo negli ultimi anni soprattutto nell’ambito del jihadismo ha avuto uno sviluppo di massa. È incredibile quanto debbano soffrire i cristiani in Medio Oriente e quanto poco se ne parli. Da Betlemme a Gaza, ad esempio, non passa giorno senza che i cristiani vengano vessati, perseguitati e persino uccisi. È indispensabile ormai che la persecuzione dei cristiani sia fronteggiata a livello della coscienza popolare ma anche dei poteri istituzionali. La Chiesa deve trovare la forza per una politica nuova, che tenga conto del fatto che parlare con gli integralisti non porta a niente. Questo, naturalmente, vale per ogni contesto religioso. Quello che è fondamentale in
avanti perché certe barbarie non si ripetano, ma quello che mi turba sempre è che ci si muove con lentezza. Accadde anche con i monaci birmani. Nella Cina delle Olimpiadi, il tema dei diritti umani è uscito dall’agenda delle priorità. È andata in scena una sorta di ipocrisia: abbiamo fatto finta che il problema non esistesse, dovevamo giocare. Era meglio boicottare? Non dico questo. Ma dei segnali precisi, sfruttando l’operazione mediatica delle Olimpiadi, si potevano dare: alla fine sono stati più bravi gli atleti di noi che abbiamo ruoli pubblici. Sa, gli interessi dei grandi mercati... Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, ha sottolineato come non sia casuale che la violenza si sia indirizzata contro i cristiani. La presenza cristiana evidenzia sempre una contraddizione con la realtà, non lo scopriamo oggi. Il cristiano sa che in un modo o nell’altro ogni tanto dovrà subire,
questa battaglia è parlare chiaro e non farsi illusioni. Solo una forte determinazione da parte delle istituzioni legate alla cultura della tolleranza impedirà che cristiani ed ebrei vengano ritenuti in contesti diversi figli di un dio minore. Per combattere la cultura dell’odio legata al fanatismo religioso, bisogna imporre che radio, televisioni, giornali, siti ufficiali smettano comunque a ogni latitudine di farne uso attraverso una decisa politica in cui civili rapporti da parte nostra devono essere collegati a un atteggiamento civile e quindi all’eliminazione delle pressioni della cultura razzista anti-cristiana ed anti-ebraica, da parte di qualsiasi interlocutori. Fiamma Nirenstein, deputata del PdL
non dico per forza violenze, ma ostracismi o discriminazioni. Predica fraternità, dice che tutti gli uomini sono uguali perché fanno riferimento ad un unico Padre: è chiaro che queso crea contraddizioni in una società divisa in caste, tra ricchi e poveri. Di fronte a questi temi, le istituzioni cosa devono fare? Le istituzioni devono insistere, devono attivarsi, certo. Il problema è quale è il peso che si può esercitare. Perché o si è determinati a mettere a rischio qualche interesse, oppure diventano chiacchiere.
L’appello lanciato da liberal ha dunque un senso preciso: quello di evitare che la storia di ripeta, che continui la disattenzione verso un dramma che attraversa una fascia del pianeta, in cui c’è chi ritiene di poter impunemente uccidere nel nome di Dio. Anzi di essere autorizzato a farlo nel nome di quella stessa superiorità rivendicata, nel Novecento, dal totalitarismo nazista. In altre parole è il senso di non lasciare nulla di intentato per evitare che si cada nell’abitudine a questo pogrom diffuso. È rivolto in primo luogo al mondo politico e culturale e all’opinione pubblica italiani. Ma ha l’ambizione di riuscire ad ottenere qualcosa in più, in un’Europa che stenta a trovare un ruolo attivo nel mondo e ad arginare le forze dell’instabilità, dell’intolleranza e della violenza.
quando ci si è posto il problema di fermare una strage, qualcosa si è riuscito a fare. L’interventismo democratico e l’interventismo della libertà hanno trovato, dopo il 1989, una loro misura ed una loro efficacia. Penso soprattutto al momento in cui l’Occidente si pose l’obbiettivo di rompere l’assedio di Sarajevo e ci riuscì. Il fallimento c’è stato invece quando si sono chiusi gli occhi, quando ha prevalso l’indifferenza, quando un eccesso di realismo politico ha indotto a lasciare mano libera alle forze del Male. Penso in primo luogo al genocidio in Ruanda. Ma il pensiero continua con il Darfour e non solo, perché l’elenco è lungo, cominciando dal Tibet. Ma soprattutto dovrebbero essere i governi ad alzare la loro voce, a dettare condizioni, a sfuggire alle condizioni degli altri. Ad essere chiari su un punto: non ci può essere trattativa, non ci può essere dialogo, non ci può essere coesistenza con coloro che negano la libertà religiosa o che non si impegnano a far cessare le violenze da parte di maggioranze intolleranti e fanatizzate contro minoranze che non riescono a difendersi. È una delle grandi voci dello scontro tra la libertà e i nuovi totalitarismi che sta attraversando il mondo.
I paragoni con il passato sono importanti. E nelle adesioni all’appello c’è un’urgenza nuova: evitare di cadere nell’abitudine di un pogrom diffuso
Si dovrebbe iniziare un conto alla rovescia anche di fronte all’insopportabilità della condizione in cui vivono missionari, comunità e singoli individui di fede cristiana; un conto alla rovescia per porre fine alle violenze. L’esercizio della libertà religiosa appartiene a quel pacchetto di diritti irrinunciabili, sanciti dalle Nazioni Unite e considerati come condizione fondamentale della convivenza globale.Troppo a lungo si è fatto finta di niente. Ancora in queste settimane, tre grandi potenze mondiali si sono sentite autorizzate ad aver mano libera, di fronte all’inerzia dell’Occidente: penso alla Cina delle Olimpiadi di Pechino, alla Russia che vuole tornare ad annettere la Georgia e all’India che non ferma l’intolleranza. Invece ci si deve porre davvero l’obbiettivo di fermare questo stillicidio di roghi in cui si consumano vite e speranze. Ancora in un recente passato – anche in questo caso sono utili i paralleli storici –
Le adesioni che stanno giungendo all’appello di liberal sono autorevoli, importanti e non provengono da una parte sola, dai soliti interventisti, da coloro che non rinunciano, per dirla con parole semplici, «a farsi gli affari degli altri» nel nome della difesa della libertà e della vita. È il segno che i cristiani, i cattolici, non sono lasciati soli. Che si sta ritrovando la ragione di un impegno comune. Lo sforzo dichiarato è quello di ottenere qualcosa di concreto, di ricordare che il compito della politica e della cultura è in primo luogo quella di assumersi delle responsabilità e di agire. Quel che accade ogni giorno ci dice che il fanatismo colpisce anche noi che siamo lontani dai roghi e che è inutile cercare di difenderci trincerandoci nel nostro orticello. È la fragilità del mondo di fronte ai fondamentalismi a chiedere di scendere in campo. La fiaccolata proposta da liberal ha l’ambizione di essere un tassello della nuova resistenza alle forze del Male.
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politica
Il governo approva il 5 in condotta e il ritorno dei voti. Il nodo resta il monopolio statale
Ma ora serve la scuola libera di Errico Novi
d i a r i o ROMA. Cosa ti aspetti da un governo di centrodestra? Che reintroduca il voto in condotta, of course. E re-istituisca la bocciatura per chi si comporta da bullo, cioè da cinque. E ancora, che imponga il ritorno all’educazione civica. Va bene. Sarebbe anche un buon rientro postvacanziero, per il Consiglio dei ministri. Se non fosse che alla riunione di ieri a Palazzo Chigi si è parlato di tutto ma non di scuola libera. Mariastella Gelmini e Tremonti Giulio hanno piantato le loro bandierine: è dai responsabili di Istruzione ed Economia che è arrivata tra l’altro la proposta di tornare a scolpire i giudizi discorsivi con il voto secco in pagella. «Continueremo ad averli, i giudizi, ma saranno solo esplicativi del risultato raggiunto dallo studente», nota la Gelmini.Tutti concordi e soddisfatti, racconta il ministro Ignazio La Russa a conclusione dei lavori. Come se la scuola equivalesse alla Rai e un esecutivo appena insediato avesse l’obbligo di cambiare direttori, programmi e regole. È una visione da bipolarismo feticista. È la stessa che ha suggerito al precedente titolare dell’Istruzione, Beppe Fioroni, di passare come un bulldozer sulla riforma Moratti.
Non serve a nessuno, uno schema del genere, a prescindere dalla valutazione di merito sui provvedimenti appena adottati. Di sicuro non favorisce la stabilità del sistema formativo, come fanno notare adesso tutte le associazioni studentesche compresa l’Azione cattolica. Si dovrebbe provare a ragionare di istruzione come si fa di riforme istituzionali, dal federalismo al sistema parlamentare. Ma visto che ora la politica è strutturalmente incapace di ragionare su modelli condivisi, è ancora più urgente riaffermare il principio della scuola libera. Che il governo provi a rimettere ordine e riportare la disciplina, dopo una stagione di capelli bruciati e video hard con le professoresse, è giusto, doveroso. Ma renderebbe un servizio ancora più importante se desse spazio e sostegno a modelli di formazione diversi da quello statale. È l’unico modo per evitare che il dibattito si avviti di nuovo sulla faziosità dei libri di storia o sui metodi didattici. Una pluralità di orientamenti è l’unica opzione che consentirebbe di arrivare a una vera riforma. Diverse proposte in competizione tra loro: con la concorrenza si possono ottenere risultati straordinari, persino il risveglio di un sistema malandato come quello della scuola italiana.
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Fitto a colloquio con Calderoli sul federalismo L’iter verso il federalismo fiscale registra alcuni passi avanti in seguito all’incontro tra il ministro degli Affari regionali, Raffaele Fitto, e il ministro per la Semplificazione normativa Roberto Calderoli, che ieri hanno messo a punto alcuni dettagli del disegno di legge che presto verrà presentato in Parlamento. «Stiamo facendo le ultime limature al testo», ha spiegato Fitto – in modo da presentare il provvedimento quando ci sarà la riunione con gli amministratori locali» Il ministro degli Affari regionali, che si è detto in piena sintonia con il collega di dicastero, ha confermato inoltre la volontà di Bossi di recarsi a Otranto per illustrare il testo.
Rutelli: a Veltroni fiducia a tempo La reintroduzione della bocciatura per cattiva condotta e dei voti numerici fa parte del decreto proposto dal ministro Mariastella Gelmini e varato ieri dal Consiglio dei ministri mente improbo concepire un riassetto condiviso. Il meglio verrebbe fuori naturalmente, dal confronto tra le diverse idee messe in pratica negli istituti. E invece ieri il Consiglio dei ministri ha rivendicato il pieno controllo della politica sui processi formativi. Come se si trattasse appunto della Rai, destinata a rimanere sotto il condizionamento della maggioranza di turno, senza alcuna possibilità di aprirsi a un riordino di ampio respiro. Che ci sia una vocazione a lottizzare persino le decisioni sulla vita degli studenti lo dice lo straripamento delle polemiche sull’inno di Mameli, arrivate al provveditorato di Bergamo: la Lega ha continuato anche ieri a contestare il dirigente scolastico provinciale, fino a invocare la diffusione di canzoni dialettali e lezioni «sul federalismo e su chi era Cattaneo», come fa il deputato del Carroccio Giacomo Stucchi. Peppino Valditara di An attribuisce a sé e al suo partito il merito del 5 in condotta.
Se non altro il ministro alla Semplificazione Roberto Calderoli può consolarsi con il ritorno del maestro unico alle elementari: «È una scelta compiuta anche grazie al contributo della Lega. Ci siamo ispirati a una filosofia che consentirà di rimediare ai danni del ’68». Questione di punti di vista. Secondo il ministro ombra del Pd alle Politiche giovanili Pina Picierno la reintroduzione del voto in condotta «è un ritorno agli anni ’50». Per l’udc Maurizio Ronconi la stretta disciplinare «non può essere la panacea». Non servono ulteriori esempi. Comunque lo si guardi quello varato ieri è un restyling di parte. Che provoca tra l’altro la reazione furiosa degli editori per la previsione di “bloccare”le riedizioni dei libri di testo per cinque anni (previsione destinata come altre a confluire in Finanziaria, mentre le novità sui voti fanno parte di un decreto e quindi sono valide da subito) . Dal bailamme si uscirebbe solo con il coraggio di sottrarsi al semimonopolio pubblico nell’istruzione. Ma il governo che si definisce liberale si è dato altre priorità. Con diverse buone intuizioni. Ma certo da ieri la strada della libertà di formazione è più impervia.
Non c’è aria di riforma condivisa: ecco perché l’unica via per alzare la qualità degli istituti è favorire il pluralismo delle proposte formative. Nel cdm di ieri previsto il ritorno del maestro unico alle elementari
Sostenere la libertà nella formazione, senza rinunciare a imporre principi inderogabili come quelli affermati ieri. È questa la strada, visto che sembra politica-
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«Io confermo la mia fiducia in Veltroni: il leader è lui, ma già da settembre dovrà indicare la strada per la nuova stagione che ci attende. Intervistato da La Stampa , il presidente del Cosipar e parlamentare del Pd Francesco Rutelli, aggiunge poi di non aver nessuna nostalgia per l’Ulivo. «È stata una serie di esperienze molto diverse. L’Ulivo per Rutelli del 2001 – ricorda – che perse appena per un punto, ad esempio, era una coalizione di Ds e Margherita, con Comunisti e Verdi. Davvero si può avere nostalgia di quei caravanserragli, obbligatoriamente centrati sull’antagonismo a Berlusconi? Chiusura sul Pd: «La sua riuscita dipende dalla capacità di imporre un’agenda positiva e originale nella società italiana»
Anticipato al 2 settembre l’incontro Fassino- Frattini Impegnato nel Consiglio europeo di Bruxelles, dove accompagnerà il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, per discutere la crisi georgiana, il ministro degli Esteri Franco Frattini anticiperà a martedì 2 settembre la sua presenza alla Fortezza da Basso di Firenze, dove è in corso la festa del Pd. In programma il confronto con il ’collega’ del governo ombra, Piero Fassino, sui principali temi dell’agenda internazionale. Il dibattito fra i due era inizialmente previsto per giovedì 4.
Gli editori italiani contro Tremonti Dall’analisi dell’Ispo di Renato Mannheimer sui 31.360 libri scolastici delle scuole secondarie è emerso che l’aumento dei prezzi è dello 0,73 per cento rispetto a un tasso di inflazione rilevato a luglio 2008 del 4,1. Alla luce dell’indagine l’Aie, (Associazione italiana editori) avverte: «Attenzione a parlare di modifica della filiera: a chi propone di acquistare libri direttamente nelle case editrici dico che poi qualcuno si dovrà porre il problema delle librerie costrette a chiudere». Critiche anche per il download dell’ebook promosso contro il caro-libri dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti.
Il velo della discordia: Brambilla contro il custode del Museo Ha vietato l’ingresso nel museo di Venezia a una turista musulmana che indossava il velo, ma il gesto è costato al pignolo custode un’involontaria notorietà e una ridda di polemiche che non accennano a placarsi. «Chi accoglie i turisti deve avere la giusta sensibilità», ha tuonato il sottosegretario al Turismo, Michela Vittoria Brambilla. In difesa del guardiano, è intervenuto invece il sottosegretario alla Presidenza Carlo Giovanardi:«Ha fatto il suo dovere, ha ricevuto la solidarietà dei musulmani che vivono in Italia». A supporto dell’usciere anche il governatore veneto Giancarlo Galan: «Dobbiamo rispettare gli usi e costumi degli altri, ma gli altri devono rispettare le nostre leggi» e il ministro degli Interni Roberto Maroni, che auspica al più presto un intervento «in difesa dell’onesto lavoratore del museo».
usa 2008 n capolavoro di cinismo politico, eseguito con una capacità, una brillantezza e una professionalità che hanno pochi rivali nella storia recente della politica mondiale. I discorsi di Hillary Rodham Clinton e suo marito Bill alla convention di Denver sono stati soprattutto questo. E, viste le premesse della vigilia, non è poco. Il clan Clinton si trovava di fronte a un compito non facile: dimostrare ai delegati democratici la propria “devozione” alla causa obamiana dopo la sanguinosa battaglia delle primarie. Battaglia che - necessarie apparenze a parte - è ancora in corso su almeno due fronti. Il primo, più pressante, è quello dei 24 milioni di dollari di debiti che Hillary ha accumulato prima di ritirarsi dalla campagna elettorale. E di cui Obama non sembra avere troppe intenzioni di farsi carico (come, almeno in parte, pretenderebbero i Clinton). Il secondo fronte è meno oneroso ma più rilevante politicamente: in cambio del proprio appoggio ad Obama, Hillary vuole che il suo progetto di riforma della sanità venga “as-
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Il capolavoro di cinismo politico del clan Clinton alla convention
di Andrea Mancia
va il più titolato dei concorrenti alla candidatura repubblicana per la vicepresidenza. In ogni caso, la coppia più chiacchierata d’America ha fatto quello che doveva. Adesso tocca a Obama, nel “tempio” greco-hollywoodiano che è stato eretto in suo onore nello stadio di football dei Denver Broncos.
però, è stato Bill, come ha dimostrato il suo miracolo di equilibrismo politico. Ad ascoltare il discorso di Denver, l’ex presidente sembrava più coin-
Davanti a 80mila tifosi, il senatore dell’Illinois, oltre a rispondere (o meno) alle esplicite di richieste di Hillary, dovrà trovare il tempo per delineare finalmente - i confini precisi della sua sfida per la Casa Bianca. Per ora, la convention è stata monopolizzata dal clan Clinton. Nell’ultimo giorno utile, Barack deve necessariamente trovare lo scatto di reni per ottenere quel “rimbalzo” nei sondaggi di cui ha tanto bisogno ma che ancora non si vede all’orizzonte. Il rischio è che, di fronte a tanta aspettativa, il risultato sia considerato poco soddisfacente. Soprattutto da quegli analisti che, in questo momento della campagna elettorale, si aspettavano il candidato democratico già pronto per traslocare in Pennsylvania Avenue.
Machiavelli a Denver sorbito” ufficialmente dal programma del candidato democratico. Una sorta di riconoscimento “postumo” per quello che è sempre stata (fin dalla disastrosa esperienza del 1992) la vera fissazione ideologica dell’ex First Lady.
La prima mossa di questa difficile partita è toccata ai Clinton, che l’hanno giocata benissimo con i loro interventi al Pepsi Center di Denver. Con un complesso esercizio retorico, Hillary è riuscita ad essere più “obamiana” di quanto molti si aspettassero. Anche se al centro del suo intervento c’è stata soprattutto la sua esperienza personale, la senatrice di New York è riuscita a sembrare sinceramente (si fa per dire) impegnata per la causa comune. Il vero fuoriclasse,
volto e appassionato di Michelle Obama. Ad ascoltare le dichiarazioni rilasciate alla stampa, prima e dopo la performance, Clinton sembra-
Il ruolo della religione nella campagna elettorale per le presidenziali americane
Alla fine, per chi voterà Dio? di Alfonso Piscitelli ogno, speranza, cambiamento: hanno un forte sapore messianico le tre parole che fioriscono più di frequente sulle labbra di Barack Obama Hussein. Non che l’avvocato di Chicago si atteggi a “salvatore carismatico”, anzi: il suo stile personale è più improntato all’undestatement, a una sorta di garbata modestia. Ma tutta la campagna elettorale orchestrata intorno a lui gira in modo tale da presentarlo come uomo della provvidenza.
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Da t r o p p o t e m p o l’America democratica attende un leader carismatico, un politico in grado di emozionare, di fare “sognare”. Obama ha molte delle caratteristiche per suscitare l’entusiasmo dell’America progressive: anzitutto è un mulatto. Non un afroamericano alla maniera del reverendo Jackson o di Martin Luther King, ma un figlio del meltingpot americano, un figlio della mescolanza di generi e di culture. Poi è un avvocato liberal, figura che ricorre in decine e decine di film e telefilm tutti incentrati sull’aula giudiziaria come luogo supremo in cui si esprime la civiltà statunitense. Infine, terza caratteristica, sa modulare con tono
mai stanco le tre parole magiche del progressismo: dream, hope, change. Gli avversari di Obama obiettano sulla irrazionalità di fondo di una politica tutta giocata su quei tre mantra, su concetti generali troppo vuoti di contenuto specifico. McCain ama presentarsi come l’uomo del pragmatismo, delle ricette realistiche e lo staff repubblicano ha preso a ridicolizzare la moda collettiva che dipinge Obama come un profeta sceso sulla terra per annunciare il nuovo mondo. Uno spot televisivo girato in agosto si chiedeva sardonico: «Sarà anche il Messia, ma sarà pronto a guidare l’America?». Nello spot apparivano tutta una serie di simboli religiosi e apocalittici, a un certo punto lampeggiava anche il famigerato 666, la cifra della Grande Bestia, attentamente indagata da milioni di cristiani fondamentalisti sempre in guardia. Gli effetti mediatici prodotti dallo spot sono stati imprevisti: chi lo ha realizzato puntava tutto sull’ironia. Ma molti hanno recepito il messaggio come se fosse un allusione all’Anticristo, una equiparazione di Obama alla figura satanica. I repubblicani vogliono insinuare che Obama sia il diavolo tornato in terra? Il piccolo caso teologico-po-
litico è durato un paio di giorni, ma ha costretto i repubblicani a smentire la supposta insinuazione. Con l’Anticristo in America non si scherza… Potrà sembrare una stravaganza agli Europei, scettici e sempre ironici, che in America si discuta di incarnazioni apocalittiche nel corso di una campagna elettorale. Ma non si capisce il carattere del popolo americano se non si fa riferimento a quel profondo sentimento di religiosità che non rimane confinato ad una funzione in chiesa domenicale, ma che accompagna l’attività pratica e il modo di pensare.
Religiosità civile, dunque. L’americano medio utilizza citazioni bibliche come intercalare. Ovvio che preferisca presidenti in grado di esprimere “visioni” biblicamente intonate. Hollywood e una scarsa conoscenza della complessità americana hanno spinto gli europei a pensare che l’America fosse tutta come Broadway o come Beverly Hills: una Babilionia cosmopolita, votata al piacere senza limiti e alla demistificazione di tutto. Ma dal grande ventre dell’America emergono altri valori, altri stili di vita. Negli Stati della cosiddetta “fascia biblica” (Sud e Mid-West) le scelte politiche sono
strettamente collegate a valutazioni religiose. Un candidato ateo, o giudicato “immorale”per vari aspetti di vita, non avrebbe alcuna chance di successo.
Nel 2000 e nel 2004 George Bush ha potuto capitalizzare la sua sintonia con l’America religiosa e protestante. In particolare nell’ultima sfida presidenziale 9 evangelici su 10 hanno dichiarato di preferirlo a Kerry. Oggi Bush esce di scena, ma per i due contendenti sul campo si pone il problema del voto “religiosamente orientato”. Anche perché le famiglie con forte impronta biblica sono famiglie numerose, sono politicamente motivate, sono famiglie risparmiatrici e oculate negli investimenti, perciò in grado di orientare con i loro contributi l’esito di una campagna. Obama cerca di giocare in chiave “progressista” l’eterno revival religioso degli States, quando dice “dream”, sogno, rievoca Martin Luther King. Quando “change” pronuncia (cambiamento) ammicca invece ai Kennedy. Tuttavia rimane un problema la sua collocazione in tema di aborto, matrimoni gay, pena di morte, droga, sussidi alle fasce sociali con uno stile di vita “border line”. Per Mc Cain si tratta invece di colmare nello sprint finale della campagna elettorale quella antica distanza che separava lui (più laico e moderato) dalle posizioni della “destra religiosa”. Nelle elezioni americane il “fattore God”(la rilevanza delle posizioni etico-religiose) conferma la sua importanza. Una importanza preponderante rispetto a valutazioni di politica estera, sulle quali spesso si concentra l’attenzione degli osservatori europei.
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mondo
Il leader russo alla Cnn «L’attacco all’Ossezia del sud è stato un gesto elettorale degli americani»
Putin in tv: «Georgia, complotto Usa» di Antonio Picasso
d i a r i o ladimir Putin torna all’at- governi è tornata in vita dopo la non è il solo a beneficiare di questo tacco e accusa in tv gli Sta- conferenza di Annapolis per la pace ritrovato amore del Cremlino per il ti Uniti di aver armato la in Medio Oriente, nel novembre Medio Oriente. Perfino la GiordaGeorgia e diretto l’assalto 2007. Allora Mosca si era offerta co- nia, in questo caso sì uno dei più afall’Ossezia, che ha “imposto”l’inter- me mediatore - insieme alla Turchia fidabili alleati degli Usa nella revento di Mosca. Come previsto, la - per un’eventuale normalizzazione gione, si è detta interessata a ricecrisi si inasprisce e, dal Mar Nero, dei rapporti fra Siria e Israele. E se vere i Pantsyr russi. Segno che Amcoinvolge tutto lo scacchiere inter- oggi le trattative sono congelate è man intende diversificare i propri nazionale. Alla vigilia del vertice solo perché risentono della debolez- fornitori sul piano della sicurezza e straordinario della Ue, convocato za del governo Olmert. non restare legata unicamente al per lunedì a Bruxelles da Sarkozy, Pentagono. Da mesi, inoltre, Mosca il ministro degli Esteri francese D’altra parte, quando si parla di sta studiando come cancellare i deBernard Kouchner ha ventilato l’i- Siria, si parla del primo interlocu- biti che con essa hanno contratto potesi di imporre sanzioni europee alla Russia laciando capire che la Ue potrebbe assumere una posizione più ferma di quella seguita finora. Mosca replica cercando appoggio in Asia, ma ottiene dal summit della Sco solo una nota ambigua, in cui la Cina e le ex Repubbliche asiatiche dell’Urss accolgono il suo intervento militare come «necessario per il ristabilimento della pace», ma chiedono il rispetto dell’integrità territoriale della Georgia. Putin si muove anche su altri fronti: quello mediorientale, prima di tutto. Qui le ambizioni russe sono volte a spezzare il monopolio delle attività diplomatiche degli Usa e ad acquisire il sostegno di quei governi che proprio con Washington non vantano un rapporto di amicizia. L’esempio della Siria - che è il Paese cardine nell’“Asse del male” per gli Usa - ne è una prova. Si era già parlato, infatti, della Un’unità della marina americana entra nel porto georgiano di Batumi visita di Assad a Mosca la scorsa settimana che ha suggel- tore dell’Iran, di Hezbollah e di Ha- Algeria, Egitto, Marocco, Libia e la lato la riapertura di una partner- mas. Un nuovo asse Mosca-Dama- Siria stessa. Paesi, questi, essenziaship di vecchia data tra l’Urss e il sco, quindi, cosa può voler dire in li per il rifornimento di gas e petropadre di Assad, Hafez. Al viaggio è questo caso? Sull’Iran le posizioni lio all’Occidente e tutti strategicaseguita ieri la conferma dell’amba- del Cremlino sono note. È grazie mente posizionati sulle coste norsciata russa a Damasco che la Ma- alla sua mediazione che la crisi nu- dafricane del Mediterraneo. Querina militare russa potrà attraccare cleare con Teheran non è ancora sto è l’obiettivo di fondo che Putin degenerata. Peraltro, è proprio Mo- e Medvedev inseguono. Il bacino bnei porti siriani. sca il primo sponsor dell’ingresso mediterraneo ha sempre rappreL’attenzione va alla base navale dell’Iran come membro effettivo sentato una chimera per la Russia. di Tartus, già utilizzata dalla Marina nella Sco. Le ombre, invece, si ad- Dai tempi delle “crisi degli Stretti” sovietica in piena guerra fredda. Si densano per quanto riguarda un’e- con l’Impero ottomano, il Cremlino tratta dell’atto conclusivo di un este- ventuale apertura di dialogo tra i si è sempre sentito escluso dalle so progetto di cooperazione strate- rappresentanti di Mosca e quelli politiche locali. Un nuovo “equiligico-militare tra i due governi, già del “Partito di Dio” e di Hamas. Co- brio delle forze” nella regione, neimpostato sull’acquisizione siriana sì facendo la Russia tornerebbe a cessità sottolineata ieri dal minidi un sistema di batterie antiaeree interessarsi della questione palesti- stro degli Esteri russo, Lavrov, è ciò Pantsyr S-1 e sulla sua disponibilità nese, provocando però l’automati- che vuole Mosca. Resta da chiedera ospitare i sistemi missilistici russi co risentimento di Israele e crean- si se l’Occidente sarà d’accordo. Iskander. Sul piano diplomatico, a do un ulteriore motivo di attrito sua volta, la collaborazione tra i due con gli Usa. Il regime degli Assad *Analista Ce.S.I.
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Intanto, l’Unione europea minaccia sanzioni. Dal vertice con la Cina Mosca ottiene soltanto una nota diplomatica ambigua: comprensione per l’intervento militare, ma difesa dell’integrità territoriale georgiana
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Austria, scontro elettorale tra populisti Il nuovo leader socialdemocratico è entrato nella campagna elettorale viennese con una mossa che fa intravedere una strategia populista. Werner Faymann ha sorpreso i partner di governo democristiani annunciando la fine dell’accordo sottoscritto a luglio con la Övp e il lancio di una strategia in cinque punti contro l’aumento dei prezzi. Un piano che dovrebbe essere presentato al Consiglio nazionale, la Camera bassa austriaca, prima delle elezioni del 28 settembre. Poiché i democristiani difficilmente staranno al gioco, i socialisti saranno costretti a cercare il sostegno dei verdi o dei due partiti di destra, i liberali e la Lega per il futuro dell’Austria. I verdi sono però contro il piano mentre gli altri pongono condizioni difficilmente accettabili per i socialdemocratici.
Kashmir, finito il dramma degli ostaggi Nuova Delhi ha represso nel sangue un sequestro di persona avvenuto nella parte indiana del Kashmir. In un attacco durato 20 ore nella città di Jammu sono morti 3 soldati, 3 banditi, 2 ostaggi e 3 cittadini. Gli altri 6 ostaggi, tra cui 4 bambini, sono stati liberati dalle forze di sicurezza. Gli autori del sequestro sono ribelli islamisti in lotta contro il dominio indiano in Kashmir. Dopo aver occupato una casa nella periferia di Jammu, la capitale invernale dello Stato Jammu-Kashmir, i banditi si sono barricati nel primo piano dell’edificio. L’attacco dei corpi speciali è avvenuto sfruttando l’abolizione del coprifuoco, in vigore da tre giorni, la sospensione avrebbe permesso ai cittadini di comprare beni alimentari.
Egitto, fratelli musulmani arrestati Ventuno membri del principale gruppo di opposizione egiziano sono stati catturati ieri nell’abitazione di un ex deputato. L’arresto è avvenuto a Charquiya sul delta del Nilo. I dettagli dell’avvenimento sono stati forniti da un responsabile anonimo delle strutture antiterrorismo del Cairo. I membri dell’organizzazione islamica arrestati sono accusati di aver tenuto una riunione politica e di propagandare l’ideologia del gruppo fondato nel 1928 e messo fuorilegge nel 1954. Alle legislative del 2005 i Fratelli, oggi tollerati dal regime di Mubarak, hanno conquistato un quinto dei seggi del Parlamento. Il loro gruppo parlamentare è etichettato come “indipendente”.
Usa, inatteso balzo in avanti del Pil Il motore dell’economia americana sembra rimettersi lentamente in marcia. Il ministero del Commercio Usa, ha comunicato giovedì che il prodotto interno lordo del secondo trimestre 2008 è andato oltre le attese. Si tratta dell’aumento maggiore da un anno a questa parte. I dati governativi lo valutavano all’1,9 percento mentre gli esperti congiunturali prevedevano il 2,7. Dopo due trimestri di debole crescita, il balzo attuale sembra essere dovuto alla forte domanda estera di beni Usa e alla crescita della domanda interna stimolata dal calo delle imposte. Gli analisti non dicono però se questi due fattori saranno in grado di stimolare ancora l’economia americana. Soprattutto le esportazioni dovrebbero risentire della crisi congiunturale mondiale.
Iraq, Sadr non riprende le armi Il leader dei miliziani sciiti Muqtada al-Sadr ha dichiarato che la tregua col governo sarà prolungata a tempo indefinito. Con questo annuncio fatto giovedì a Nadschaf, Sadr ha praticamente mandato in pensione il suo esercito personale composto da 60mila uomini. «Chi disobbedirà agli ordini» ha intimato il leader sciita «non sarà più membro del gruppo». L’accordo di cessate il fuoco tra il governo di Bagdad e le milizie sciite era stato sottoscritto alla metà di maggio. A giugno Sadr aveva annunciato una riorganizzazione delle milizie.
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otto pagine per cambiare il tempo d’agosto
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agosto 1929
Il dirigibile rigido fu costruito in 21 mesi e messo in servizio il 18 settembre 1928
A New York termina il giro del mondo del Graf Zeppelin di Pier Mario Fasanotti eggiamo nell’enciclopedia: «Si dice dirigibile o anche aeronave ogni aerostato la cui direzione possa essere controllata mediante comandi aerodinamici e/o propulsivi» Esistono tre tipi di dirigibile. Il dirigibile rigido ha un’intelaiatura interna in alluminio che ne determina la forma, generalmente a sigaro. Numerose celle stagne, riempite di gas più leggero dell’aria (elio, in passato anche idrogeno, poi non più usato per la sua elevata infiammabilità), permettono il sollevamento del mezzo. Erano di questo tipo i famosi Zeppelin del conte Ferdinand von Zeppelin. Il dirigibile semirigido ha invece un’ unica travatura reticolare di chiglia, alla quale è fissato longitudinalmente il pallone vero e proprio. Una valvola a prua permette di regolare la quantità d’aria per il gonfiaggio di un grosso pallonetto per equilibrarne l’assetto durante il volo. Famosi dirigibili semirigidi del passato sono quelli progettati dal generale Umberto Nobile, il Norge, primo aerostato a raggiungere il Polo Nord. Il dirigibile floscio, infine, non è altro che un pallone contenente gas a una certa pressione, al quale è fissata la navicella, unica parte abitata del mezzo. Alcuni pallonetti ad aria, in genere a poppa e a prua, consentono un controllo accurato del beccheggio. Sono di questo tipo i moderni dirigibili commerciali e pubblicitari, usati ad esempio dalla Goodyear. Nella stessa categoria vengono classificati i dirigibili ad aria calda che oggi, con l’avvento di nuovi tessuti più resistenti e la nuova tecnologia possono arrivare a un’ottima pressurizzazione interna. Sono aeronavi usate perlopiù per scopi pubblicitari. Il Graf Zeppelin fu costruito in 21 mesi dalle officine Zeppelin e messo in servizio il 18 settembre 1928. Fu l’aeronave per il trasporto passeggeri che ebbe maggior successo in quel continua a PAGINA II periodo.
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SCRITTORI E LUOGHI
I VIGLIACCHI DELLA STORIA
I SENTIMENTI DELL’ARTE
La gelosia secondo Michael Mann
La Miami dei letterati di Filippo Maria Battaglia
di Francesco Ruggeri
Léon Blum di Roberto Festorazzi
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a pagina VI
a pagina VII pagina I - liberal estate - 29 agosto 2008
Dall’alto in senso orario: il dirigibile LZ 127 Graf Zeppelin, il presidente americano Herbert Hoover, il capitano della spedizione del giro del mondo Hugo Eckner, il passaggio del Graf Zeppelin sopra Helsinki, la rotta percorsa dal dirigibile nel Nord Europa e l’equipaggio dell’aeronave per il viaggio
segue da PAGINA I Originariamente costruito come aeronave sperimentale, l’LZ 127 si dimostrò così affidabile che fu presto utilizzato per i viaggi spettacolari, tra cui il giro del mondo e la traversata artica, che lo resero famoso e che fecero da traino pubblicitario per i primi voli di linea transatlantici. Per finanziarne la costruzione, il dottor Hugo Eckener fece una tournèe promozionale, durante il quale furono mostrate immagini dei viaggi dell’LZ 126. Questa iniziativa fruttò donazioni per 2,5 milioni di marchi. Somma che coprì circa il 30 per cento dei costi complessivi. L’LZ 127 Graf Zeppelin fu varato l’8 luglio 1928 in occasione del 90° anniversario della nascita di Ferdinand Graf von Zepplelin, fondatore della ditta, alla presenza di sua figlia, la contessa Hella von BrandsteinZeppelin. Il progetto del LZ 127 Graf Zeppelin era un’evoluzione del LZ 126. La differenza più evidente era la maggior lunghezza, 236,6
metri e non 200, mentre il diametro era simile. Questa scelta venne determinata dall’hangar in cui era avvenuto l’allestimento del dirigibile: ai fianchi dell’aeronave non restava che un metro di spazio dalle pareti, mentre dal tetto
quelle dimensioni. Simili erano anche le lunghe gondole di comando, che ospitavano, oltre che il ponte di comando e la sala radio e navigazione anche gli acquartieramenti per i passeggeri. I primi Zeppelin per passeggeri disponevano di una cabina interna ricavata nella parte centrale dell’involucro.
I famosi Zeppelin prendono il nome dal loro ideatore il conte Ferdinando von Zeppelin e dalla ditta costruttrice fondata nel 1908 che completò la costruzione di 119 dirigibili fino al 1938 mancavano solo 65 centimetri. Questa scelta comportò che il Graf Zeppelin avesse un rapporto lunghezza/diametro non molto vantaggioso - troppo sottile per quella lunghezza - non consentiva di esprimere al meglio le capacità di carico di un’aeronave di
pagina II - liberal estate - 29 agosto 2008
l giro del mondo iniziò il primo agosto e terminò il 4 settembre del 1929. Furono percorsi complessivamente 49.618 chilometri, con tappe a Tokio, Los Angeles e Lakehurst, nei pressi di New York. Il viaggio cominciò con il tratto dalla Germania agli Stati Uniti. Il punto di partenza e di arrivo per il giro del mondo era stato deciso dal magnate americano William Randolph Hearst,
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che in cambio del finanziamento del viaggio si era assicurato l’esclusiva per i reportage giornalistici da bordo. La partenza fu la mattina del primo agosto alle 3.30. L’LZ 127 volò sopra la Spagna per raggiungere poi l’Oceano Atlantico, dove dovette affrontare violente tempeste. Fece alcuni giri su New York prima di dirigersi a Lakehurst. La sera del 7 agosto cominciò il giro del mondo americano, cioè con partenza e ritorno a Lakehurst. L’aeronave fece rotta di ritorno verso Friedrichshafen, dove arrivò il 1 agosto. Il 15 agosto iniziò il giro del mondo tedesco, cioè con Friedrichshafen come punto di riferimento per partenza e arrivo. Il Graf Zeppelin arrivò a Tokio il 19, dopo 101 ore e 49 minuti. Nella capitale nipponica l’equipaggio e i passeggeri furono ricevuti dal governo nella residenza estiva dell’imperatore. L’aeronave ripartì il 23 e dopo 68 ore di volo sull’ Oceano Pacifico raggiunse San Francisco. Il mattino successivo
atterrò a Los Angeles: questo fu il primo volo senza scalo di un aeromobile sopra il Pacifico. Il Graf Zeppelin infine fece rotta verso NewYork, dove volò intorno alla Statua della Libertà. Qui finì, il 29 agosto, il giro del mondo americano. Durante il breve soggiorno a New York, Hugo Eckener disegnò sul globo storico della città la rotta del Graf Zeppelin, e fu ricevuto dal presidente americano Herbert Hoover. on lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, l’aeronave, benchè ancora efficiente, fu smantellata a Francoforte nel 1940. L’operazione fu giustificata con il bisogno di recuperare l’alluminio della struttura interna per le esigenze dell’industria bellica.Tuttavia non c’era un’obiettiva necessità di far saltare in aria l’hangar (6 maggio ‘40). La verità era che il ministro dell’aviazione Hermann Goering non aveva mai fatto mistero della propria avversione per i dirigibili. Durante una visita, poco prima della distruzione, dalla gondola dell’aeronave disse ai giornalisti e ai fotografi radunati sotto: «Fotografate ora perchè queste riprese diverranno presto delle rarità». Il dirigibile Zeppelin chiamato “Ausonia” è stato il più grande che l’aeronautica italiana abbia avuto. Dopo la Prima Guerra Mondiale la Germania fu costretta a cedere alle nazioni alleate, come conto risarcimento danni, ciò che rimaneva della flotta di dirigibili Zeppelin. Quello contrassegnato “LZ120” fu assegnato all’Italia. Il volo di trasferimento dalla Germania all’aeroporto di Ciampino, a Roma, avvenne il 24 dicembre 1920. Il 18 gennaio dell’anno successivo in un hangar romano fu svolta una solenne cerimonia
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durante la quale lo Zeppelin fu ribattezzato “Ausonia” in ricordo del piccolo dirigibile floscio costruito da Nico Piccoli a Schio nel 1910 e testato nel gennaio del 1911. Gli alti comandi dell’epoca ricordavano quanto Nico Piccoli aveva fatto nella Prima Guerra Mondiale, dalle missioni come comandante di dirigibile militare alle intuizioni sull’utilizzo tattico dei dirigibili. In seguito lo Zeppelin “Ausonia” effettuò diverse ascensioni. Importante fu quella fatta nella notte tra il 25 e 26 aprile 1921: un’andata e ritorno no stop Roma-Firenze. Nelle intenzioni dei comandi aeronautici di allora si pensava di utilizzarlo per trasporto passeggeri. Fu scelta la rotta Roma (Campino) - Cagliari. La partenza da Ciampino avvenne a mezzanotte tra il 10 e l’11 maggio del 1921. Sorvolando Civitavecchia e il mar Tirreno a un’altezza di 700 metri giunse sopra Cagliari alle 7,25 del mattino seguente. L’intera città andò in delirio. Una grande folla raggiunse il campo di atterraggio per vedere da vicino il mostro dei cieli. Dopo una breve sosta l’“Ausonia” riprese il volo e atterrò a Roma nel tardo pomeriggio. Sia il volo di andata che il volo di ritorno furono compiuti in poco più di sette ore. Il primo volo civile fu un successo. Ma il dirigibile aveva bisogno di una revisione generale. Lo Zeppelin “Ausonia” reduce dalla Prima Guerra Mondiale aveva i motori usurati che non riuscivano ad arrivare a più di 180cv di potenza ciascuno, i pallonetti interni che contenevano il pericoloso gas idrogeno erano logori e quindi c’erano continue fuoriuscite di gas. Il rischio, e non da poco, era l’incendio. Il 19 giugno 1921 iniziarono le operazioni di sgonfiamento del dirigibile. Ma la struttura metallica del dirigibile cedette. Non ci furono vittime. A quel punto fu definitivamente smantellato. Si concluse così, amaramente, dopo sole 12 ascensioni in sei mesi di permanenza in Italia, l’avventura del più grande dirigibile che l’Italia abbia mai posseduto. proposito di dirigibili, non si può dimenticare la tragica avventura di Umberto Nobile. L’esploratore aveva ottenuto la collaborazione di vari istituti scientifici italiani e stranieri per la spedizione sull’Artico. Dopo due voli, il primo l’11 maggio 1928 e il secondo il 15 maggio, Nobile con il suo “Italia”, (un semirigido completamente diverso dagli Zeppelin) puntò al Polo, dove sarebbero dovuti sbarcare alcuni uomini per effettuare misurazioni sul pack (superficie ghiacciata del-
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o stesso giorno... nel 1885
A Badd Canstatt, in un sobborgo di Stoccarda, nota come località termale del ceto medio tedesco, l’ingegnere deposita un brevetto che cambierà per sempre le sorti del trasporto su strada, segnando l’inizio di una vorticosa ascesa, di Filippo Maria Battaglia che lo porterà a diventare costruttore e imprenditore Germania 1885. È una calda e umida gior- chili. Dopo due anni di nata estiva. Badd Canstatt è un sobbor- esperimenti, ecco l’idea: mongo di Stoccarda, nota allora come loca- tare il motore su un asse di legno lità termale del ceto medio tedesco. Ma rinforzato da un leggera armatura metalè anche sede di un magazzino, per nulla lica, aggiungendovi anche quattro ruote: differente rispetto ai molti altri dissemi- due grandi (la posteriore e la anteriore) nati nella zona meridionale del Paese. Lì, e due piccole (laterali, come se fosse una un temerario ingegnere, Gottlieb Wilhelm bicicletta). Il veicolo viene battezzato Daimler, costruisce e fa funzionare su Einspur e raggiunge una velocità massistrada un biciclo di legno con motore a ma di dodici chilometri l’ora. Ma Daimler benzina. E si appresta subito a deposita- non si ferma. E, incoraggiato dai primi re, che in pochi mesi inanella una serie di re il brevetto, forse solo in parte consa- esperimenti, decide di dedicarsi ad un progetti, solo parzialmente fortunati: il pevole che quella invenzione, portata a mezzo a quattro ruote, già pronto per la suo motore è applicato dapprima a una termine anche grazie agli esperimenti di prova su strada nel marzo del 1887. imbarcazione, poi a un tram, quindi a un Chapius e di Wihlem Maybach, sarà de- Per farlo, ha chiesto a un carrozziere te- carro antincendio trainato da cavalli. stinata a cambiare per sempre le sorti del desco, tale Wimpf, di imprestargli un ca- Nel frattempo, l’invenzione del motore, trasporto su strada, segnando l’inizio di lesse, vi ha poi montato un motore da un ha fatto il giro dell’Occidente, ma è al una vorticosa ascesa, che porterà l’inge- cilindro verticale con una cilindrata di 462 tempo stesso diventato già obsoleto. Dal gnere a diventare presto costruttore e cmc e, per rendere la cosa più conforte- monocilindro, si passa così al bicilindro. imprenditore con una azienda tutta sua, vole, ha piazzato pure due fila di sedili Il brevetto porta la data del 18 giugno la Daimler-Motoren-Gesellschaft. (anteriori e posteriori). La “creatura” è 1889, la macchina sulla quale è installato Quella del 29 agosto 1885 è però solo la battezzata con il nome di Motorkutsche, si chiama Stahlard. Una vettura nel sentappa conclusiva di un lungo percorso: ma per il momento i difetti sono superio- so più moderno del termine, almeno sotalla scoperta, infatti, Daimler inizia a de- ri ai pregi: troppo scarsa la potenza del to il profilo strutturale: il telaio è in tubi dicarsi molti anni prima. Il primo moto- motore, e soprattutto inefficace il raffred- d’acciaio e la trasmissione integralmenre a combustione interna vede la luce nel damento previsto nel progetto iniziale. te a ingranaggi. L’anno dopo, l’ingegnere 1883: è un monocilindrico da 212 cmc, Daimler non si scoraggia e grazie alle mo- diventa imprenditore: la Daimler-Motoeroga una potenza di mezzo cavallo a difiche l’anno dopo la Motorkutsche è ren-Gesellschaft resterà alla storia come settecento giri al minuto, pesa quaranta pronta. Il collaudo incoraggia l’ingegne- uno dei marchi più affidabili del settore.
Gottlieb Wilhelm Daimler inventa il primo motorino di legno
l’Artico). Erano pronti una tenda e alcune razioni di viveri. Partì alle 04,28 del 23 maggio. Il volo durò 19 ore e 52 minuti, favorito dal vento di coda. Il tempo però peggiorò e non fu possibile lasciare una squadra sul posto. Comunque l’equipaggio festeggiò e venne lanciata una bandiera italiana, il gonfalone della città di Milano, una croce di legno donata da Papa Pio XI e il medaglione della Vergine del Fuoco di Forlì. Furono poi lanciati messaggi radio al Pontefice, al re e a Mussolini, mentre un grammofono suonava “Giovinezza”. Verso le due di notte iniziò la fase di rientro. Fortissimi venti, l’aeronave si trovò spesso fuori rotta. L’accumularsi del ghiaccio aveva poi provocato un graduale appesantimento del dirigibile. Nelle ore successive tutto peggiorò. Per tentare di riprendere quota fu buttato fuori tutto quanto poteva servire per alleggerire il peso. Ma non poterono evitare l’impatto. L’involucro resistette. Nello schianto furono balzati a terra dieci uomini (uno morì per emorragia interna), mentre i restanti sei si trovarono intrappolati nell’involucro che improvvisamente riprese quota. Non fu
mai ritrovato, probabilmente si inabissò nel Mare di Barents. Intanto i ghiacci portarono i nove
tori provenienti da Francia, Finlandia, Norvegia, Svezia e Urss. Tra i più famosi ci fu Roald Amundsen, che perì nel corso delle operazioni. Italo Balbo ordinò a Nobile di interrompere le ricerche del dirigibile Italia. Gli idrovolanti rientrarono. Fu il rompighiaccio sovietico “Krassin”ad avvistare la famosa “tenda rossa” di Nobile. Il 19 giugno il Tenente Colonnello Umberto Maddalena, a bordo di un idrovolante SM55, vide la “tenda rossa” ma senza poter atterrare. Il 24 giugno l’aviere svedese Einar Lundborg finalmente atterrò con il suo Fokker. Nobile avrebbe voluto che fosse portato via per primo il capo meccanico Natale Cecioni, anche lui ferito seriamente a una gamba. Lundborg è irremovibile adducendo
Originariamente costruito come aeronave sperimentale, l’LZ 127 “Graf Zeppelin” si dimostrò così affidabile che fu presto utilizzato per i viaggi spettacolari, tra cui il sorvolo dell’Atlantico e quello del Pacifico, che lo resero famoso e che fecero da traino pubblicitario per i primi voli di linea transatlantici sopravvissuti verso le isole Foyn e Broch. Azionarono la radio “Ondina 33”, ma ci vollero tre giorni prima che qualcuno avvertì il segnale dell’s.o.s. Nobile aveva una gamba e un braccio fratturati. Risposero alla chiamata di soccorso esplora-
ordini superiori che gli imponevano di prelevare per primo Umberto Nobile che avrebbe così potuto meglio coordinare le operazioni di soccorso. Dopo aver portato in salvo Nobile e la cagnetta Titina, Lundborg tornò indietro ma nell’atterraggio il suo aereo si ribaltò e il pilota svedese rimase prigioniero dei ghiacci.Verrà poi salvato da una successiva spedizione. Gli svedesi non organizzano altri voli. Ma tutte le speranze furono affidate al rompighiaccio “Krassin”, che trasse in salvo gli ufficiali Mariano e Zappi, fuoriusciti dalla tenda insieme al meteorologo svedese Malmgren (morto durante il tragitto) alla ricerca di soccorsi a piedi, e raggiunse la “tenda rossa” il 12 luglio dopo quarantotto giorni di sopravvivenza sui ghiacci. Al ritorno in Italia una commissione di inchiesta condanna Nobile per aver abbandonato per primo la “tenda rossa”. Per protesta nel 1929 il generale lasciò l’Aeronautica e prestò le sue conoscenze in Urss, Stati Uniti e Spagna. Nel 1945 tornò in Italia ed fu eletto come indipendente all’interno dell’Assemblea Costituente. Una nuova commissione militare sca-
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SCRITTORI E LUOGHI
Per le trame degli autori
MIAMI teatro ideale In città c’è ogni cosa: la bad generation, l’alta finanza, le donne e le pistole di Filippo Maria Battaglia
il luogo in cui Fidel Castro ha trovato i soldi per sconfiggere Batista e dove più di due generazioni di nemici hanno trovato le armi per combatterlo. Ma per decenni è stato pure il posto ideale dove gli esuli cubani hanno incontrato gli uomini della Cia, una città rigonfia di cocaina e di disordine razziale, l’avamposto di un’America disposta a non rassegnarsi alla revolucion cubana. Con simili premesse, impensabile che Miami non sia stata lo scenario ideale delle burrascose trame di scrittori occidentali. E infatti la bibliografia abbonda. A partire dalla scrittrice Joan Didion, che le ha dedicato un intero libro: «per essere una città dipinta dai media e dagli spot pubblicitari ispirati alla serie televisiva Miami Vice come la corrotta patria del boom economico e dei colori a pastello, Miami appariva ai miei occhi, nel momento in cui cominciai a passarci del tempo, spettacolarmente depressa, un tipico esempio del Sud del mon-
do. I nuovi complessi residenziali erano rimasti in larga parte invenduti, e anche i palazzi-uffici nuovi di zecca sembravano mezzi vuoti. Quegli investigatori che avevano creduto che il denaro che circolava a Miami fosse dello stesso tipo di quello con cui di solito avevano a che fare (quel buon vecchio denaro americano su cui si può contare) erano rimasti al palo e cominciavano a battere in ritirata». Una città anomala, «le cui superfici tendevano alla dissolvenza», dove «anche le giornate più belle finivano per trasformarsi in serate dal tempo incerto». Domina lo sport, e in particolare il football: «Mi ricordo un sabato di ottobre, in cui io e mio marito fummo invitati a vedere i Miami Dolphins battere i Pittsburgh Steelers 21 a 17 da Gene Milleri, un reporter dell’ “Herald” (vincitore di due premi Pulitzer per il giornalismo investigativo). Nella fila dietro la nostra, l’ex quaterback dei Dolphins Earl Morrall firmava
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“Miami appariva ai miei occhi depressa, un tipico esempio del Sud del mondo. I nuovi complessi residenziali erano rimasti in larga parte invenduti, e anche i palazzi-uffici nuovi di zecca sembravano mezzi vuoti” autografi per i bambini. Qualche fila più indietro, un teenager “anglo” in sandali, pantaloni corti e maglietta nera si fumava tranquillo uno spinello davanti agli occhi del poliziotto ispanico alle spalle. Gli hot-dog passavano di mano in mano e la Coca Cola scorreva a fiumi. Si facevano raffronti sul livello di definizione del replay istantaneo dei vari modelli di Sony Watchman». Eppure, la città della Florida è mutevole per natura: «per ora di cena eravamo già scivolati in piena atmosfera capitale: in otto stavamo seduti a parlare al tavolo di un ristorante praticamente
vuoto all’ultimo piano di un edificio altrettanto vuoto nei pressi di Biscayne Boulevard, mentre si scatenava una tempesta a largo della baia». ire Miami significa però dire thriller. Gli ingredienti ci sono tutti: c’è l’alta finanza che si da appuntamento nei lussuosi hotel, magari sul bordo di eccentriche piscine; c’è la cosiddetta bad generation, alla ricerca compulsiva di droghe e di sesso facile; ci sono donne di ogni tipo: magre, grasse, bionde o brune; e ci sono infine pistole, molte pistole, sempre pronte a saltare dalla fondina e
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puntare minacciose la prima faccia truce che incontrano. Da almeno un trentennio, i giallisti hanno fiutato l’aria. Lì hanno ambientato alcuni tra i più bei polizieschi degli ultimi trent’anni. È il caso di Charles Willeford e di Freddy Frenger, detto Junior, uno dei protagonisti di Miami Blues. Eccolo alle prese con l’analisi della mappa della città, «zona per zona, da Perrine a North Bay Village», per una fuga che non sembra affatto semplice: «L’area urbana di Miami era larga un quinto della sua lunghezza, una striscia di palazzi lunga e stretta che abbracciava la costa e la baia, senza possibilità d’espandersi se non con edifici sempre più alti. Era escluso che la città potesse espandersi verso le Everglades senza una bonifica radicale, e la costa era completamente edificata. In caso di inseguimento si poteva andare a nord o a sud. C’erano solo due strade che attraversavano le Everglades fi-
Una città anomala, «le cui superfici tendevano alla dissolvenza», dove «anche le giornate più belle finivano per trasformarsi in serate dal tempo incerto». Domina lo sport e in particolare il football
La città di Miami, situata sulla costa sud-orientale dello stato della Florida, sviluppa la sua area urbana tra il fiume Miami, la baia di Biscayne, le Everglades e l'Oceano Atlantico. Negli ultimi anni ha registrato un’esplosione demografica determinata dall'immigrazione, sia dall'estero che da altre città degli Stati Uniti
no a Naples, e potevano bloccarle entrambe. Prendendo verso sud, finivano che ti incastravano a Key West, mentre andando a nord gli sbirri potevano intrappolarti senza problemi sulle autostrade, soprattutto se prendevi la Sunshine Parkway. L’unico modo per sfuggire, se fosse stato necessario, era procurarsi tre o quattro nascondigli. Uno in centro, uno a North Miami e magari uno a Miami Beach. Il sistema migliore per farla franca era volare basso finché ciò che aveva fatto, di qualunque cosa si trattasse, non fosse stato dimenticato. Solo allora, quando le acque si fossero calmate, poteva prendere un taxi fino all’aeroporto e comprare un biglietto per una destinazione a scelta». estano, a fare da coreografia, gli alberghi e i residence, descritti così sempre da Willeford in un altro suo libro, Playboy a Miami: «le Dade
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Towers sono un condominio con appartamento esclusivamente per single, ed esistono solo da un anno. Quando dico “esclusivamente per single”intendo che gli unici inquilini sono uomini e donne non sposati. Per Miami quest’idea è abbastanza recente, ma ha preso piede in fretta, e in tutta la Deade County i condominii per single stanno spuntando come funghi. Nella Dade Towers non ci sono appartamenti con due o tre camere. Se uno degli inquilini si sposa, oppure se un uomo vuole portarsi a vivere una donna a vivere con lui, deve fare le valigie. Non è neppure permesso che due uomini condividano un appartamento. Un inutile tentativo di tenere lontano i gay. È un condominio di centoventi alloggi in cui ci sono due o tre gay molto discreti, che non danno fastidio a nessuno. Gli affitti sono piuttosto cari e gli appartamenti non sono ammobiliati. Per le donne le regole
sono meno severe: loro possono abitare in due nello stesso appartamento. È ragionevole, perché a Miami le donne guadagnano meno degli uomini. Ma permettendo a due donne di vivere insieme il rapporto maschi/femmine viene a squilibrarsi. Ci sono monolocali in cui abitano due hostess, o due segretarie. Anche altre donne, con maggiori disponibilità economiche, come insegnanti, giovani divorziate e infermiere, di solito si accontentano dei monolocali. Volendo, un uomo potrebbe volere tutte le donne che desidera standosene in piscina». a Miami è soprattutto Miami Beach. Lasciarla, scrive Carlo Rossella, è «come mollare di colpo una donna di cui si è innamorati. Abbandonarla per troppo amore, per infinita gelosia, per paura del turbamento e dell’incanto. Uno sa che non può vivere sempre al Beach. Pochi sono i fortunati
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che se lo possono permettere. Quando te ne vai, questi privilegiati ti salutano come se andassi all’inferno.Ti compiangono. Ti stringono forte. Comprendono il tuo dolore. Io non amo l’inverno a Miami Beach. Preferisco l’estate. Durante la stagione fredda vanno tutti lì, dall’America, dall’Europa, dall’Asia, dagli Emirati. A mangiare, bere, spendere, abbronzarsi, riempire le strade di limousine, affollare le discoteche e i ristoranti. Non si trova un posto al Joe’s Tone Crab. C’è la fila da Norman’s. Ci si scanna al Palm. Impossibile rimediare un tavolo a Casa Tua di Michele Grendene. Davanti al Bed e al Mint l’esercito dei nottambuli è immenso. D’estate è tutto soft, accessibile, dolce. Anche il clima. Non è vero che al Beach si crepi di caldo. Lo dice la propaganda delle località climatiche europee. È falso che la temperatura sia altissima, l’umidità soffocante, l’aria inesistente, l’acqua dell’Oceano bollente. Agosto è stupendo, basta non avere paura dei tifoni che possono arrivare, come Andrew». L’oasi è relativamente piccola rispetto alla città, il suo universo è però quanto di più eccentrico si possa immaginare: «sarà piccola Miami Beach. Ma quanto c’è in questa ex giungla tropicale fattasi città dagli anni Trenta in poi. Bei corpi, brutti corpi. Belle facce, brutte facce. Abbronzati e pallidi. Palestrati e flaccidi. Etero e gay. Modelli e modelli (la più alta concentrazione del mondo). Eurotarsh o Arabsob. Fotoema e Videonutis. Moviercrew e star. Stilisti e artisti. Parrucchieri e visagiste. Playboy e Playgirls. Criminali e social climbers. Drogati e missionari. Paparazzi e giornalisti. Miliardari e homeless. Ferrari e Lamborghini. Ristoranti alla moda e infiniti steak house. Caviale e ali di pollo fritte. Rhum e whisky. Sigari e canne. Cubani e cubane. Latinos di ogni tipo». Il Beach è un villaggio globale dove tutti «più o meno desiderano le stesse cose: sport, mare, sole, sesso, cibo, alcol, avventure, notte lunghi e divertenti. Non ci sono più i vecchi come negli anni Sessanta e Settanta. Ma una umanità di
ogni colore, dall’età indefinibile, semivestita, con gli stessi abiti sportivi, i pantaloni corti, le scarpe da jogging, le canottiere o le t-shirt. Una gran palestra, sudata e muscolosa, sorridente e svampita. I vecchi ci sono, ma stanno nelle stradine dopo la Washington, catacombe della tristezza, chiusi in casa e con l’aria condizionata. Quelli che si avventurano in Ocean Drive e dintorni sono vecchi-giovani. Le donne hanno rughe ben occultate, gli uomini fanno di tutto per assomigliare ai loro figli! Al Beach è proibito essere stanchi, malati, anziani, bisognosi (gli homeless riposano sdraiati sotto le palme e mangiano gli avanzi dei turisti)». La musica non cambia di notte, nera come in nessun altro posto sulla faccia dalla terra: «i ragazzi neri della periferia, i ricchi caid neri della musica e della droga, le belle fanciulle color cioccolata, le famiglie afroamericane, allegre, numerose e rumorose, affollano Ocean Drive, la Lincoln, la Collins e la Washington, soprattutto il giovedì, il venerdì e il sabato sera. Adorano passeggiare, mostrarsi. Davanti al “News Cafè” i neri miliardari (non chiedetevi mai come abbiano fato i soldi, nessuno lo domanda a nessuno a Miami) sfilano con le loro Lamborghini, Ferrari, Bentley, Rolls, Porsche, in una interminabile processione di vetture superlusso con altoparlante a tutto volume». Il ricordo della Miami degli esuli cubani e della Cia è già lontano. Avvolta nella notte, resta solo l’odore dell’alcol, il rombo di qualche motore e la carnagione mulatta di una ragazza che passeggia sulla battigia. Di notte, ha lo stesso colore della sua pelle. Bibliografia Joan Didion, Miami, traduzione di Teresa Martini, Mondadori, pp. 229, euro 8,40 Charles Willeford, Miami Blues, traduzione di Emiliano Bussolo, Marcos y Marcos, pp. 250, euro 13 Charles Willeford, Playboy a Miami, traduzione di Fabio Zucchella, Marcos y Marcos, pp. 319, euro 15 Carlo Rossella, Miami, Mondadori, pp. 102, euro 7,80
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I VIGLIACCHI DELLA STORIA
Léon Blum
Salito al potere, il Fronte Popolare francese scese a compromessi con i lavoratori che avevano occupato le fabbriche: l’orario di lavoro fu ridotto a 40 ore settimanali, i salari vennero aumentati del 12 per cento. Fu un disastro
ul piano della valutazione storica, a settant’anni di distanza, non si può non considerare in tutta la sua enorme gravità il disastro economico e politico prodotto dal Fronte Popolare, in Francia, dopo la vittoria elettorale del 3 maggio 1936. La catastrofe che il governo socialista-comunista (a marginale presenza radicale) di Léon Blum (1872-1950) produsse nel suo anno di vita risulta paragonabile soltanto, forse, all’esperienza fallimentare di Allende in Cile, le cui conseguenze tutti ricordano. La vittoria della Gauche e del suo leader, l’ebreo e socialista Léon Blum, fu schiacciante: 378 seggi alla Camera, contro i 220 dell’opposizione di centrodestra. Ma tale trionfo fu il detonatore della protesta sociale e dello smantellamento del prestigio della nazione francese, svuotata nei suoi presidi di sovranità. La Banca di Francia fu nazionalizzata, mentre il governo Blum, che si dichiarava “di classe”, scese a iniqui compromessi con i lavoratori che avevano occupato le fabbriche, cacciandone i dirigenti e, in qualche caso, rinchiudendoli nei loro uffici. Il capo del Fronte Popolare fece approvare un pacchetto di leggi che contenevano la riduzione dell’o-
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Il Capo di governo che gettò il Paese sul lastrico di Roberto Festorazzi
Nel ‘36 era Londra a dettare alla Francia i lineamenti della politica finanziaria che avrebbe depauperato il Paese. Sul piano politico la chiesa inglese aveva soppiantato il gallicanesimo
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rario di lavoro a 40 ore settimanali, le ferie pagate e l’aumento generale dei salari del 12 per cento. Un “lusso” che la Francia non si poteva permettere e che produsse l’accentuazione della fuga dei capitali all’estero, iniziata già dopo la caduta del governo di Pierre Laval, all’inizio del ‘36. I dati macroeconomici e strutturali, a pochi mesi dell’avvento del Fronte Popolare all’Hotel Matignon, erano allarmanti, a cominciare dal crollo della produzione industriale: tra il gennaio e il settembre del 1936, la Banca Francia aveva perduto 16 miliardi di franchi oro, mentre a fine anno il deficit di bilancio ammontava a 16 miliardi. Ma fu la svalutazione monetaria a rivelare al mondo
intero quale era la vera politica perseguita dal governo Blum. Benché nessun partito della coalizione di sinistra avesse preannunciato, nei suoi programmi elettorali, l’adozione di una tale misura, il 26 settembre ‘36 il franco perse di botto il 30 per cento del suo valore. La svalutazione venne presentata dal governo non come un “atto unilaterale” della Francia, ma come una manovra concordata con Inghilterra e Stati Uniti per instaurare – come disse pomposamente il ministro delle Finanze, il socialista e massone Vincent Auriol – «un’era di pace economica e monetaria» che avrebbe scongiurato nuove forme di guerra tra valute. L’idea che fosse intervenuta una spe-
cie di “trattato finanziario” tra le maggiori potenze rappresentava nient’altro che una pietosa bugia, inventata per rassicurare i mercati e l’opinione pubblica – estremamente disorientata – in quanto una concertazione avrebbe dovuto garantire quantomeno una stabilità del franco. Invece, la valuta francese divenne il satellite di due monete – il dollaro e la sterlina – erranti, l’anello debole della catena: essa avrebbe fluttuato in misura crescente, sulle “montagne russe” del mercato internazionale dei cambi, e molto presto sarebbe stata nuovamente svalutata. Se, infatti il 2 ottobre 1936, una sterlina era cambiata a Parigi per 105,50 franchi, a seguito della caduta dei corsi, e dello sganciamento della divisa nazionale dall’oro, il 1 luglio 1937 per comprare una sterlina erano necessari 129 franchi. Sul piano politico, in Francia il rito anglicano aveva ormai soppiantato il tradizionale gallicanesimo. Era ormai Londra a dettare a Parigi i lineamenti di una politica monetaria e finanziaria che avrebbe depauperato la Francia a vantaggio dell’Inghilterra e della sterlina. Il Fronte Popolare, in versione Blum, aveva tuttavia ormai i giorni contati dopo che, nelle prime tre settimane di giugno, la Banca di Francia perse 8 miliardi di franchi oro. Blum chiese al Parlamento i pieni poteri: la Camera, malgrado le esitazioni dei radicalsocialisti, glieli concesse, ma il Senato, molto responsabilmente, glieli negò. Così, il 22 giugno, il capo governo rassegnò le dimissioni, cedendo a Camille Chautemps un’eredità disastrosa. A partire dalla metà del ‘37, l’esperienza politica del Fronte Popolare assunse una colorazione a tinte ben più moderate, soprattutto dopo che un breve rientro di Blum sulla scena (nuovamente a capo di un gabinetto nel marzo-aprile ‘38) spianò la strada all’avvento del radicalsocialista Edouard Daladier. Ora, su Daladier in Francia domina ancora la “leggenda nera”, in quanto fu tra gli artefici della Conferenza di Monaco che consegnò la Cecoslovacchia a Hitler. Ma, paradossalmente, su questo statista, ai quali i francesi dovrebbero pure un poco di riconoscenza, se non altro per essere stato l’amministratore fallimentare del Fronte Popolare, non esiste a tutt’oggi (a quanto ci risulta) uno straccio di biografia. A ulteriore conferma del fatto che la ricerca storica troppo spesso indugia sul già noto, senza gettare potenti fasci di luce sulle zone d’ombra del nostro controverso e maledettamente complesso Novecento.
I SENTIMENTI DELL’ ARTE a Michael Mann non sai mai cosa aspettarti. Ti prepari a un’incursione nel classico cinema di denuncia e ti ritrovi fra le mani una riflessione tragica e chiaroscurata sul destino dell’uomo (“Insider”). Sei sicuro di avere di fronte il classico biopic su un pugile, e ti scontri invece con una sessione jazzistica intrisa di corpi, odori e schegge di Storia (“Alì”). “L’ultimo dei Mohicani” (targato 1992) non fa eccezione. Un altro regista si sarebbe accontentato di ripercorrere con piglio filologico il celeberrimo romanzo omonimo di James Fenimore Cooper. Michael no. Intende conservarne la struttura, questo è certo, ma irrorandola con i temi cari al suo cinema. E con frammenti che sono dei veri e propri film a parte. Uno di questi è ben rappresentato dal mèlo (caratteristica comune ad altri capolavori del regista come “Heat” e “Miami Vice”, senza contare “Strade violente” ). Il film di Michael Mann gronda di cuori feriti, colpi di fulmine violenti e addii strappalacrime. E pullula di storie d’amore. La prima, quella ufficiale, pulsa fra gli occhi di Cora (Madelaine Stowe) e Hawkeye (Daniel Day Lewis), innamoratisi a prima vista e pronti a combattere per la loro unione. Quella segreta invece è vissuta dalla sorella di Cora e dal fratellastro di Hawkeye. I due durante il film si parlano a mala pena, sono i loro sguardi a incrociarsi subito per non lasciarsi più. Una storia d’amore muta, affidata ai rintocchi di due cuori che non smettono di battere fino all’ultimo. Altro tema centrale del film è quello rappresentato dalla gelosia. La Stowe flirta con l’aitante Day-Lewis, ma è promessa sposa di un altro. Trattasi del maggiore Duncan Heyward che non ci mette troppo tempo ad annusare la tresca. Problemi seri. Per lei (data l’importanza ‘politica’ che avrebbe per la sua famiglia il matrimonio con Duncan) e per lui che comincia a vedere Hawkeye come fumo negli occhi. Il problema è che il suo amore per Cora è sincero. Va al di là dei calcoli di parte e al di là della contingenza storica (ci troviamo nel bel mezzo della guerra anglofrancese del 1757). Ma lui è pur sempre un maggiore, comandante in capo dell’esercito inglese. Le ragioni di Stato non devono interferire con quelle di cuore. Eppure capisce che la sua
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LA GELOSIA Il film: “L’ultimo dei Mohicani” di Michael Mann
Il gesto d’amore più grande di Francesco Ruggeri
Due sequenze del film “L’ultimo dei Mohicani” (1992) di Michael Mann. Con Daniel Day-Lewis (sotto), Elizabeth Rowe, Madeleine Stowe, Russell Means, Eric Schweig, Dylan Baker (accanto), Patrice Chereau, Steven Waddington, Jodhi May, Wes Studi e Maurice Roëves
donna gli sta sfuggendo di mano. Come filmare la gelosia? Mann salta i convenevoli di rito (scene madri, litigate furiose, parole grosse) e si concentra sugli occhi, sugli sguardi, sulle occhiate furtive. Capiamo tutto prima ancora che il racconto si sviluppi. E si rimane dolcemente intrappolati in una ragnatela emotiva da cui non si sfugge.
Un po’ come accade alla stessa Cora. Trovatasi di fronte a un crocicchio, non sa cosa scegliere. Il dovere (Duncan) o l’amore (Hawkeye)? Sarà Duncan a decidere per lei facendosi da parte. Il cinema dedicato alla gelosia è pressochè infinito. Si parte dai primordi della storia del cinema e si arriva dopo centinaia di titoli ai giorni nostri. Perché dunque scegliere proprio la gelosia che abita le straordinarie sequenze del film di Michael Mann? Per un motivo molto semplice. La gelosia punto e basta ci interessa fino a un certo punto. Si tratta il più delle volte di un circolo vizioso dello spirito, di un “cul de sac” della volontà. Quello che ci stuzzica molto di più è assistere alla sua trasformazione (quando avviene…). Ovvero andare alla ricerca di quella gelosia capace in ultimo di mutare in qualcos’altro. Una gelosia tradotta in slancio autentico e magari tesa verso qualcuno che stai perdendo per sempre. Ne “L’ultimo dei mohicani”
Il film americano del 1992 è tratto dall’omonimo romanzo di James Fenimore Cooper del 1862
Il regista racconta il sentimento concentrandosi sugli occhi e sui volti dei protagonisti
la gelosia diventa il più grande atto d’amore che ci venga in mente. Un sacrificio, un vero e proprio immolarsi per l’altro. Un atto salvifico. In una delle sequenze più intense, il gruppo capitanato da Hawkeye (e comprendente la stessa Cora, sua sorella e Duncan) viene catturato. Hawkeye se la vede brutta. Il capo della tribù rivale vuole la sua vita. A questo punto si fa avanti Duncan. E si rivolge all’uomo chiedendogli espressamente di prendere lui. È quello che accade. Hawkeye non si rende conto di nulla. E quando realizza, ormai è troppo tardi. I selvaggi hanno già legato l’uomo a un palo a cui di lì a poco daranno fuoco. Duncan ha capito. Che Cora ormai era perduta. E che tanto valeva farle un ultimo regalo. Salvare la vita all’uomo che ama. E fare in modo che la sua storia d’amore continui. Senza di lui, è chiaro, ma con il ricordo di quell’ultimo fuoco d’amore fatto ardere per lei.
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Cruciverba d’agosto
“l’osservazione dell’acqua versata”
di Pier Francesco Paolini ORIZZONTALI
1) Fascia costiera dell’India sul Mar Arabico • 8) Discendenti di uno dei tre figli di Noè • 14) Città andalusa • 20) Affine, attinente • 21) Regione dell’Etiopia • 22) Uno degli Stati Unitid’America • 23) Vi si trova l’Everest • 24) In provincia di Como • 26) Regione sul Mar Rosso • 28) ...... de France, regione francese • 29) Proclamò la Repubblica socialista bavarese nel 1918 • 31) “Luce d’......” la ridicola traduzione italiana di uno dei più grandi romanzi di Faulkner • 33) Anguilla in tedesco • 34) Arcipelago finlandese nel Golfo di Botnia (Å = Aa) • 36) In provincia di Nuoro • 38) Campi • 40) Governatore militare bizantino • 42) ProvinciaToscana • 43) Golfo di ...... tra la Liberia e il Gabon • 45) Provincia del Molise (sigla) • 46) Baker, musicista jazz americano, che ebbe una parte in un film di Lucio Fulci • 48) Mammifero australiano dei monotremi • 51) men che una paglia che le va ...... piei (Cecco Angiolieri, sonetto X) • 53) ......-lang antica località della Corea settentrionale • 54) Rolland, premio Nobel per la letteratura nel 1915 • 56) Voto contrario • 57) Fornita • 59) Isola spagnola a est di Gibilterra • 61) Di fronte • 64) Titoli di credito • 67) Unione Libraria Editrice • 68) L’...... di Kaspar Hauser film di Werner Herzog con Bruno Walter • 70) Vite di Archimede • 72)
L’Almanacco
Mendicante di Itaca contro cui lotta Ulisse nel Libro 18) dell’Odissea • 73) Regione della Croazia • 75) La ...... romanzo di Elsa Morante • 77) Nome di donna inglese che deriva dal latino amabilis • 79) Sono rosi da
Hanno detto di… stupidità
uno dei sette peccati mortali, in poesia • 80)
Ho fatto qualche studio sulla stupidità umana ma non sono riuscito a provare che la mia propria stupidità. eppure quella che più colpisce è quella altrui. Ennio Flaiano
A ...... – in malora • 82) Cani dal pelo folto e ispido • 84) Porto della Turchia • 84) Vago, celestiale • 86) La patria di Robert Musil
VERTICALI
1) Pallino • 2) In provincia di Sassari • 3) Vulcano della Martinica • 4) In provincia di Trento • 5) Anna, moglie di Enrico VIII • 6)
LA POESIA FINE D’AGOSTO
Provincia della Sicilia • 7) Mare di ......, nell’Antartide • 8) Penisola dell’Asia • 9) Località dell’Eritrea, teatro di due battaglie contro i dervisci • 10) Isola del Mare d’Irlanda • 11) “Spleen et ......” di Baudelaire • 12) Bevanda • 13) Fiume che nasce dalle Himalaia • 14) Cairo ......, dove Napoleone sconfisse i Pienontesi nel 1796 • 15) In provincia di Milano • 16) Massari, attrice 1) • 17) Nome di donna • 18) Capitale di uno degli Stati del Brasile • 19) Logica o clinica • 25) Dementi, forsennati • 27) Affluente del Bacchiglione nel Veneto • 30) Arte di indovinare mediante l’osservazione dell’acqua versata • 32) Romanzo di Colette • 35) Stella • 37) Patria di San Carlo Borromeo • 39) Veloce • 41) Teschii • 44) Squadra di calcio • 46) Cardinale, attrice • 47) Henry, architetto ingl. (1747-1806) • 49) Ente di mutua assistenza dal 1943 al 1977 • 50) La frazione di Busseto dove nacque Verdi • 52) Città della Polonia presso il confine con la Repubblica Ceka • 55) Ninfe dei monti • 58) Uno dei Moschettieri • 60) Bestia feroce • 62) Ampie • 63) Elemento radioattivo • 65) Convogli ferroviari • 66) Antica regione dell’Asia Minore • 69) Competizioni • 71) In
Per la discenderia, le lucertole nuove sfrecciano incontro al traguardo dei covi d’occasione, senza paura sfilano di fronte ai cappelli di paglia che avanzano ballando lentamente incontro al mare nudo e difeso dalle alabarde dei cipressi nani. Ora che il leone morente ha decimato delle barche feriali la linea d’orizzonte tutto ci viene reso senza chiedere e le mani s’offendono d’azzurro.
provincia di Bolzano • 74) 1049 • 76) Vergata, università di Roma • 78) Formica inglese • 81) Iniz. del pittore Tamburi • 83) Provincia delle Marche
DI
LUCIO MARIANI
D&R Come è nata l’aspirina? Il farmacista francese Henri Leroux e il chimico italiano Raffaele Piria nel 1828 isolarono in cristalli la sostanza attiva dell’estratto di corteccia del salice bianco (salix alba), chiamato salicina. Già Erodoto nelle “Storie” narrava che esisteva un popolo stranamente più resistente di altri alle comuni malattie; tale popolo usava mangiare le foglie di salice. Ippocrate, considerato il padre della medicina, descrisse nel V secolo a.C. una polvere amara estratta dalla corteccia del salice che era utile per alleviare il dolore ed abbassare la febbre. Un rimedio simile è citato anche dai sumeri, dagli antichi egiziani e dagli assiri. Anche i nativi americani lo
LA SOLUZIONE DI IERI
conoscevano e lo usavano per curare mal di testa, febbre, muscoli doloranti, reumatismi e brividi.
L’origine di… ciarlatano Secondo alcuni è agli abitanti di Cerreto di Spoleto (PG), appunto i cerretani, che risale questo termine. Nel medioevo si guadagnavano da vivere questuando o facendo gli imbonitori nelle fiere. Forse proprio a causa delle ciarle necessaria a esercitare queste professioni hanno dovuto accettare il fatto che il loro nome divenisse sinonimo di attività girovaga e un po’ truffaldina a cura di Maria Pia Franco
“Deve averla, un buon governo”
cinema
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Nelle sale ”Kung Fu Panda”, film d’animazione made in Usa che coniuga risate e valori formativi
Il grosso grasso panda guerriero di Francesco Ruggeri
n panda capace di acrobazie e funambolici colpi proibiti mutuati alla scuola di Bruce Lee? No, non s’era mai visto. Quanto meno arduo immaginare un animale così pacioso nei panni di un furibondo e ridanciano picchiatore. La bislacca idea nasce negli studi della Dreamworks, casa produttrice fondata e patrocinata da Steven Spielberg. Dopo gli esiti modesti di Shrek Terzo, la decisione di cambiare strada per realizzare qualcosa di diverso. Un prodotto d’animazione, certo, che in modo sornione rielabora però gli stilemi di un cinema tornato in auge solo di recente: il kung-fu movie. Una passione vintage ufficialmente riesumata dal quel gran rabdomante del cinema, un po’ genio e un po’ ciarlatano, che risponde al nome di Quentin Tarantino e dei suoi due (fin troppo) celebrati Kill Bill.
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Kung-Fu Panda lusinga sin dal titolo i languori del pubblico cui è destinato: fracasso in salsa animata e condimento a base di scoppiettanti trovate umoristiche. Presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes dello scorso maggio, è risultato però la classica opera che non si aspettava nessuno. Lontano mille miglia dai toni parodici di Shrek, ma divertente come poche altre cose viste nell’ultimo periodo. Protagonista è Po, un panda guerriero. O meglio, un panda che sogna ad occhi aperti di destreggiarsi in volo, colpendo a morte i suoi nemici. Non desidera altro che saettare botte da orbi alla velocità della luce, insomma. La verità è invece quella che sveglia Po ogni mattina: il padre (un pennuto) che lo reclama in cucina e la tavola calda specializzata in cucina cinese che lo occupa tutto il giorno. Ma i sogni son desideri. E quando arriva il giorno in cui il gran maestro di arti marziali (una tartaruga) deve scegliere di fronte a tutto il villaggio il Guerriero Dragone, Po non si fa trovare impreparato. Si fa in quattro per assistere alla cerimonia, salvo poi rendersi conto d’essere lui il prescelto. Un panda, graziosamente ridondante di lardo da ogni poro, perdutamente lontano da una benchè minima idea di che cosa sia il kung-fu. Eppure il
Presentata a Cannes, l’opera ha il sigillo del miglior Spielberg: un racconto di formazione che invita a vivere il presente come un dono
maestro è stato sin troppo chiaro: il prescelto è lui, e così sia. Toccherà a lui, il predestinato, difendere il villaggio dal terribile Tai Lung, rissoso giaguaro che porta rovina e distruzione ovunque posi i suoi artigli.
In alto, alcuni fotogrammi tratti da Kung Fu Panda. Prodotto dalla Dreamworks del regista Steven Spielberg, ha ottenuto in America incassi stratosferici. I creativi dello studio hollywoodiano hanno puntato su un protagonista bizzarro che rende esilarante lo scorrere della trama
La tentazione di giudicare l’opera come un frizzante divertissement spruzzato da chili di spaghetti di soia e strizzatine d’occhio al cinema orientale degli anni Sessanta e Settanta sarebbe però ingenerosa. Innanzitutto perchè si tratta di un’opera trasversale, anomala e a suo modo coraggiosa. Kung-Fu Panda è uno splendido esempio di classicismo fuori tempo, tutto cuore e morale. Un bildungsroman animato che profuma lontano un miglio di romanzo di formazione e di iniziazione alla vita. Un universo abitato da identità in lotta con se stesse e da un senso del dovere che non viene mai meno. Po non è un semplice panda refrattario ai servizi di ristorazione. È un sognatore moderato, che pone in cima alle velleità artistiche il rispetto per il padre e l’appartenenza al suo borgo. Morale precisa e affilata come un rasoio, potenziata dal tema della fiducia in se stessi. Un leitmotiv strisciante in tutto il racconto, ben suggellato poi dalle parole del grande vecchio delle arti marziali. Il quale, spiegando il perché abbia scelto Po, afferma che le casualità non esistono. E che se il passato è storia e il futuro è ancora lontano, il presente è un dono. E come tale va gestito. Altra lezione di vita niente male, vicina alle tonalità etiche attinte dalle splendide creature animate della Pixar. Rigore etico che non intralcia per nulla il divertimento. Si inizia con un combattimento da capogiro, si continua con splendidi appunti di vita quotidiana (i maialini che mangiano alla tavola calda, il verde lussureggiante dei boschi, i cromatismi accesi degli sfondi) e si va avanti con un sottobosco animale pieno zeppo di belle sorprese. Da ricordare con spassosa malinconia le cinque furie del kung-fu: una tigre, una mantide, un serpente, una scimmia e una gru. Assolutamente esilaranti. In America il film ha fatto faville. Inutile dire che è pronto il sequel.
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archeologia
Scoperto più di sessant’anni fa, il testo del profeta è esposto al Museo del Libro di Gerusalemme
La prima volta del Rotolo di Isaia di Rossella Fabiani er quarant’anni, dopo la sua scoperta, il Rotolo di Isaia, datato al I sec. a. C., è stato conservato in un ambiente oscuro a temperatura e umidità costanti. Ora, in occasione dei 60 anni di fondazione dello Stato ebraico, il Museo di Israele ha deciso di esporre il rotolo di pergamena nelle sale del Museo del Libro di Gerusalemme. Dei 220 rotoli biblici scoperti a Qumran quello di Isaia è l’unico completo. Il prezioso rotolo era già stato esposto ma, dopo soli due anni, nel 1967, fu ritirato per timore che si deteriorasse. Ci sono studiosi per il quali il testo contenuto nel rotolo fu copiato dagli Esseni da un testo più antico. Altri sostengono che fu portato nel deserto con gli altri rotoli poco prima della distruzione di Gerusalemme per essere nascosto in una grotta. Il Rotolo di Isaia fu scoperto nel 1947 insieme ad altri sei rotoli in una grotta vicina alle rovine del monastero di Qumran sul versante nord-ovest del Mar Morto. Nel cuore del deserto, il monastero ospitò un’importante comunità ebraica la cui fede si sviluppò dal II sec. a. C. agli inizi del I sec. d. C.
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casuale e si deve a un giovane pastore beduino, Mohammed al-Dib. Il ragazzo cercando di fare uscire una delle sue capre da una grotta, vi gettò all’interno una pietra. Quando dal rumore capì di avere colpito e rotto un oggetto di ceramica, entrò per controllare di che cosa si trattasse e si trovò di fronte alle giare contenenti i ro-
rusalemme. Sukenik era il padre del celebre archeologo Yigael Yadin. I commercianti di Betlemme vendettero altri quattro rotoli, tra cui c’era anche il Rotolo di Isaia, ad Anastasius Samuel, metropolita della chiesa siriana ortodossa a Gerusalemme est. L’ecclesiastico riuscì a trasportare i quattro rotoli
quirente ebreo, così alzò l’offerta a 250mila dollari e ne venne in possesso tramite un intermediario. La scoperta dei Rotoli di Qumran, avvenuta quasi sessant’anni fa, è considerata una delle più notevoli scoperte archeologiche dei tempi moderni. I Rotoli furono scritti e copiati tra il 250 avanti Cristo e il 68 dopo Cristo. Sono la più antica testimonianza scritta del Vecchio Testamento e i loro testi sono le copie più primitive di quasi tutti i testi del Vecchio Testamento eccetto che per il libro di Ester. Questa vera e propria antica biblioteca, che fa da perno tra il Giudaimo e il Cristianesimo, ha permesso di approfondire la conoscenza sulle origine delle due religioni. Per trentacinque anni un gruppo di soli dieci studiosi ha monopolizzato la pubblicazione dei testi che in gran parte sono costituiti da piccoli frammenti. Solo agli inizi degli anni ’90, con l’intervento dell’Iaa (Israel Antiquities Authority), sono stati fatti considerevoli passi avanti nella riorganizzare della pubblicazione dei testi che nel 2001 sono stati tutti pubblicati.
Nel 1955 il primo ministro Moshe Sharett annunciò alla nazione che i rotoli, più antichi di ben mille anni rispetto al codice di Aleppo, si trovavano in Israele in mani israeliane. Furono esposti per la prima volta al “Terra Sancta College”, che era stato ceduto in affitto dalla Custodia di Terra Santa all’Università Ebraica di Gerusalemme. Secondo Adolfo Roitman, direttore del Museo del Libro e conservatore dei Rotoli del Mar Morto, Isaia fu il profeta più popolare nel periodo del Secondo Tempio, come attestano le ventuno copie del rotolo scoperte a Qumran. L’unico ad essere completo, tuttavia, è quello ora in esposizione. Nella mostra sono esposti anche attrezzi agricoli e una spada ricurva. Nell’antichità alla morte di un guerriero la sua spada veniva curvata e sepolta con lui. E in un punto il testo di Isaia dice: ” trasforma la tua spada in un attrezzo”. Il primo ministro Menachem Begin donò una riproduzione della spada ricurva al presidente egiziano Anwar Sadat quando venne in visita in Israele nel 1977.
Nel 1947 a Qumran, nel cuore del deserto sulle rive del Mar Morto, vennero ritrovati 220 rotoli biblici, quello in mostra è l’unico completo. Secondo gli studiosi il testo contenuto nella pergamena fu copiato dagli Esseni da un manoscritto più antico
Le fonti ci dicono che intorno al 150 a. C., un gruppo di pii ebrei guidati da sacerdoti in dissenso con il capo del clero di Gerusalemme giungeva sulle rive del Mar Morto, non lontano da Gerico. Il gruppo dissidente che lo storico Flavio Giusepp denominerà Esseni, rimproverava al sommo sacerdote di Gerusalemme di accettare l’ellenismo, con tutti i pericoli di paganesimo che vi erano insiti. Il gruppo non chiamerà mai il sacerdote con il suo nome, ma con l’epiteto sprezzante di ”sacerdote infedele”, contrapponendolo al proprio capo e fondatore: il Maestro di Giustizia. A poco a poco il gruppo, nel deserto, si organizzò in una vera e propria comunità, animata da una fede intransigente, in seno a una piccola città monastica di cui gli archeologi francesi hanno esplorato le rovine, sotto la guida del padre domenicano De Vaux. La località, vicino a una sorgente di acqua dolce, ha il nome arabo di Qumran. La scoperta dei manoscritti fu del tutto
Sopra il Rotolo di Isaia, conservato intero, esposto in Israele. A destra le grotte di Qumran dove intorno al 150 a.C. un gruppo di ebrei guidati da sacerdoti in dissenso con il capo del clero di Gerusalemme fondarono una comunità che lo storico Flavio Giuseppe denominerà degli ”Esseni”. Tra le rovine del monastero, gli archeologi hanno riportato alla luce molte sale comunitarie, uno scriptorum, laboratori e cisterne. A sinistra il frammento ritrovato nella caverna 11 nel deserto di Giuda toli. Al-Dib vendette i rotoli a due commercianti di antichità di Betlemme, che a loro volta ne cedettero tre a Eliezer Sukenik, direttore del Dipartimento di Archeologia dell’Università Ebraica di Ge-
negli Stati Uniti, dove, per diversi anni, tentò inutilmente di venderli. In quel periodo Yigael Yadin, si trovava negli Usa.Venne a sapere che il metropolita non avrebbe ceduto i rotoli a un ac-
letture artiamo da un dato e da una considerazione. Il dato: il successo dei romanzi gialli non tramonta. Malgrado certi esperti con velleità di profeti l’abbiano previsto. I best-seller mondiali sono gialli tra il 60 e l’80 per cento dei casi. Poi c’è la tv, che ridà vita l’interesse del pubblico invece che esaurirlo. Basti pensare che quasi tutte le reti europee mandano in media almeno due serie noir ogni giorno. Non è poco. È enorme il successo della serie Csi («Crime Scene Investigation»), prodotta dalla Cbs americana a partire dal 2001, e trasmessa in Italia da Sky (canale Fox Crime). La considerazione: «La storia della nostra cultura giudaico-cristiana nasce da due eventi criminali, ossia l’appropriazione indebita della mela e l’uccisione di Abele, e si fonda sull’accettazione di un mistero che non ammette spiegazioni: il dolore inteso come sofferenza, ma anche come ineludibile male morale». Parte da questi punti Alessandro Perissinotto, giallista che si cala nella parte dell’investigatore di un genere letterario. E lo fa con grande lucidità in La società dell’indagine (Bompiani, 95 pagine, 9 euro). L’autore - di cui la Rizzoli pubblicherà a metà settembre il suo ultimo lavoro “di genere” - polemizza, garbatamente, con quei critici con la puzza al naso che considerano il “kriminalroman” (detto alla tedesca) inesorabilmente di serie B. Salvo poi accorgersi dell’intreccio tra crimine e letteratura in grandi autori, che “scribacchini” proprio non sono, come Dürrenmatt, Gadda e Sciascia, per citarne alcuni. A questo proposito -appartenenza al genere - Perissinotto scrive, giustamente, che «è difficile immaginare una polemi- come Camilleri è più persoca più tediosa e sterile». Perso- naggio che non autore di bei nalmente aggiungo che conti- romanzi. Lo stesso valeva per nua l’abitudine di una certa Piero Chiara, salvo tardivi e stampa a dare grande spazio a sporadici pentimenti. giallisti solo se stranieri. Lo stesso vale per le alte tirature: Tornando all’analisi di Periscerti critici e giornalisti di set- sinotto, «il giallo - egli sostiene tore sovente considerano il - ha successo perché esso ci fornumero delle copie vendute nisce ben più di una rappresenmarchio indelebile tazione della sodi scrittura popolacietà… ci fornire. Molti di questi sce un metodo intellettualini, inper realizzare, in farciti come tacchimaniera più o ni di snobismo letmeno illusoria, terario, o danno i alcune delle novoti come insestre aspirazioni gnanti delle medie più profonde, co(vedi Giorgio De me quella alla Rienzo sul «Corrieverità». Una delre della Sera»), o le esigenze più stroncano una cosa assillanti della Qui sopra, lo scrittore che a loro, frustrati nostra società è Alessandro nell’ambizione proprio quello di Perissinotto. creativa, non piasapere come soIn alto, una scena ce: la prolificità. no andate davvedella celebre serie Un fine narratore ro le cose. Ma ordi telefilm «Csi»
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prodotto (lo diceva Aristotele) delle tragedie greche. Non è vero: se c’è catarsi, è del tutto temporanea. Scrive Perissinotto: «L’indagine più interessante non è quella che esplora la scena del crimine, ma quella che penetra nel cuore di chi il crimine lo ha commesso o subìto: lo penetra senza avere la pretesa di spiegare tutto, arrendendosi alla banalità del male».
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La narrativa popolare secondo Alessandro Perissinotto
I processi? Meglio di un romanzo giallo di Pier Mario Fasanotti
Si chiama «effetto Csi»: è quello per il quale la realtà si adegua allo stile del «noir» e dei telefilm di maggior successo mai siamo mediamente lontani dal giallo enigmistico d’un tempo, se si prendono in considerazioni scrittori di ottima qualità letteraria. Autori come Vàsquez Montalban, Manchette o Izzo, rinunciano spessissimo all’happy end. Altri fanno un po’ come Gadda che nel Pasticciaccio brutto di via Merulana non svela nulla l’assassino: quel che gli interessa è la dinamica degli affetti. Simenon non si accontenta, dice Perissinotto, «della causa efficiente, vuole la causa profonda, vuole l’Uomo, l’essere umano, la sua complessità».
C’è stato Dürrenmatt che ne La promessa - testo stupendo che ha come sottotitolo «Requiem per il romanzo giallo» - che ha teorizzato la menzogna di quell’universo che si vorrebbe ripulire o salvare con l’individuazione del colpevole. Ne «La promessa» il tenente Mattai arriva tardi e non riesce a catturare il killer di una bambina.Vincono il caos e il caso. Ma, sostiene Perissinotto, quello che Dürrenmatt ammazza non è il kriminalroman, «ma la sua forma sclerotizzata». Il delitto impunito diventa metafora dell’umanità. Qualcuno a proposito del consolante smascheramento del colpevole ha tirato in ballo la catarsi come
Dicevamo delle serie televisive. Perissinotto prende in esame «l’effetto Csi», episodi dove impera la scienza, dove si decreta ogni volta la vittoria sfacciata del Dna e delle analisi di laboratorio. Dimentica però un prodotto tv come Criminal Minds, imperniato proprio sul profilo psicologico del criminale e sulle ragioni profonde che spingono il killer (sempre seriale) a uccidere. Quanto all’«effetto Csi», è interessante una cosa. Quella serie tv, ma non solo quella, influisce sui giudizi delle giurie popolari nei processi americani. Può sembrare bizzarro, ma è così. Molti hanno ormai una «cultura forense» (spesso solo orecchiata) di stampo televisivo, e quindi sono più propensi a non essere affrettati nell’additare il colpevole in assenza di prove scientifiche come il Dna, le tracce della polvere da sparo, la balistica, la spettrografia, ecc. I giurati virano verso un atteggiamento assolutorio. Si fa largo il «ragionevole dubbio». Non è un caso - e il caso è abbastanza curioso - che l’attore Robert Blake, protagonista del famoso serial poliziesco Baretta (faceva una volgarotta e trita parodia dell’italo-americano) sia stato assolto nel processo che lo vedeva (nel 2002) alla sbarra per la morte della moglie, uccisa colpi di pistola nell’auto del marito. Anche se un teste giurò che Blake tempo prima aveva cercato un killer per far fuori la consorte, lui fu ritenuto innocente. Assenza di sangue sui vestiti, nessuna traccia di polvere da sparo sulle mani. È uno dei più vistosi casi di Csi Effect. La fiction, annota Perissinotto, «è adottata quale universo di riferimento per la realtà».
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il saggio
Torna in libreria l’opera di Oswald Spengler che da quasi un secolo attraversa la cultura europea seminando sconcerto e provocando confronti sulla nostra identità
Il tramonto dell’Occidente? Sta arrivando di Gennaro Malgieri
i sono libri che ritornano quando meno te lo aspetti. E si fanno strada tra le coltri dell’oblio dov’erano finiti con la forza della sorprendente attualità che conservano. Oggi, in un mondo squassato da disordini che preludono a probabili disastri dai quali dovrà pur nascere un nuovo ordine, l’Occidente, o quel che resta di esso, mostra una debolezza disperante, al punto da farne prevedere il collasso finale. E senza l’Occidente o con un Occidente fagocitato da altri “soggetti” geopolitici e culturali, quale potrà essere il destino del pianeta? E vale, dunque, la pena impegnarsi, con qualche sofferenza per contribuire alla ricostruzione dell’Occidente? E se non si riuscisse nell’intento quale sarà l’avvenire dei suoi popoli? Interrogativi che si pongono sfogliando un giornale. Ed allora, forse, vale la pena riprendere tra le mani testi che in tempi remoti hanno preconizzato una crisi che forse non è mai stata seriamente affrontata ed oggi si manifesta in forme altamente drammatiche. Ritorna così, per questa via (ancora una volta possiamo dire), Il tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler (18801936) che l’editore Longanesi (pp.1.520, euro 50, prefazione di Stefano Zecchi) manda in libreria in questi giorni quasi a segnalare un disagio, o, forse, ad avvertire gli immemori che l’umanità è immersa in una catastrofe dalle proporzioni non ancora quantificabili, comunque non sottovalutabili.
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fronti che hanno alimentato il dibattito culturale sulla stessa nozione di Occidente. È una specie di “opera magica” sulla quale continuano ad addensarsi richieste di responsi in merito allo stato (scadente) della nostra civiltà con l’intento di ottenere rassicuranti ri-
quietanti enigmi che popolano la nostra epoca. Mentre, infatti, l’Occidente e la sua ideologia sembra trionfare nelle forme del liberal-capitalismo, dell’edonismo di massa, del pensiero unico, le libertà fondamentali e il rapporto con la sacralità della vita sembrano affossarsi. In aggiunta, nelle pieghe dell’occidentalismo non è difficile imbattersi in “cadute”morali e civili descritte da Spengler il quale insinuò, con la sua opera maggiore, nelle coscienze dei suoi contemporanei il seme della decadenza come conseguenza dell’abbandono di quella visione del mondo che aveva caratterizzato la nascita e lo sviluppo dell’Occidente.
Dopo un certo periodo di “ostracismo” dalla cultura ufficiale, dovuto in gran parte all’aperta irrizione che Benedetto Croce dimostrò per Il tramonto dell’Occidente con il celebre articolo “Pessimismo storico in Germania”, apparso il 20 luglio 1920 nella sua rivista Critica, nel quale, poco accademicamente, indulgeva ai costumi partenopei facendo i “consueti scongiuri”, Spengler è affiorato dalle nebbie dell’incomprensione con la forza, da lui stesso evocata, delle “idee senza parole”, cariche di un fardello storico sempre stupidamente scansato dal progressismo europeo: il pessimismo. E cos’altro, realisticamente, poteva dire il severo professore monacense avendo chiara la visione dell’inarrestabile declino della civiltà occidentale che attraverso cesarismi, terrificanti bagni di sangue, nascite e tramonti di imperi avrebbe allungato la sua ombra fino a noi? Chi ac-
L’Ovest, o quel che ne resta, mostra in questi anni una debolezza disperante che sembra presagire il suo collasso finale
Da quasi un secolo il capolavoro spengleriano attraversa la cultura europea seminando sconcerto e provocando con-
sarcimenti al pessimismo che essa ha suscitato fin dal suo apparire. Inevitabilmente rimane deluso chi s’appresta a leggere Il tramonto dell’Occidente per esorcizzare gli in-
L’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre del 2001, che secondo molti rappresenta il punto d’inizio di quel tramonto dell’Occidente preconizzato da Spengler nella sua opera. A lato, in alto: Friederich Nietzsche, autore dello Zarathustra, per il quale Spengler ha sempre nutrito una sorta di venerazione. In basso: Oswald Spengler (18801936). Longanesi manda in libreria una nuova edizione del suo Tramonto dell’Occidente
cusava Spengler di essere una Cassandra, un funesto profeta, un annunciatore di sciagure, da tempo non viene più preso sul serio e lo testimonia il crescente interesso attorno alla sua opera ed al suo pensiero. Inoltre, nessuno più se la sente di liquidare con una scrollata di spalle la sua “fatale” costruzione storica e davanti ad idee che non lasciano scampo all’ottimismo di maniera, non si odono più le irriverenze di un tempo. Gli studiosi unanimemente riconoscono che l’influenza di Spengler sugli studi storici e sociologici è stata decisiva; gli echi del dibattito suscitato dalla pubblicazione del Tramonto nel 1918 fra Meinecke, Troeltsch, Mannheim, Max Weber, Thomas Mann vengono letti come anticipo di una discussione che avrebbe caratterizzato tutto il Novecento; e non c’è più nessuno disposto ad accusare di “ingenuità” Arnold Toynbee che scrisse: «Mentre leggevo quelle pagine, folte di balenanti intuizioni storiche, mi andavo chiedendo, da principio, se Spengler non avesse già dato una sistemazione a tutta la problematica intorno alla quale mi affaticavo, anche prima che, non dico
le risposte, ma persino le domande avessero preso netta forma nella mia mente».
Ma anche Huizinga e Sorokin e Burnham sono per buona parte debitori di Spengler. Le “profezie” non c’entrano in quest’ammirazione. Come osserva Stefano Zecchi nella sua scintillante introduzione, Spengler è «un precursore che non lascia tracce facilmente percorribili: come criticò le pretese di verità delle fondamentali esperienze filosofiche che si sarebbero affermate in questo secolo (il Novecento ndr) – il pensiero dialettico, quello analitico, il nichilismo -, così fu avversario delle tre costruzioni ideologiche che nel loro conflitto dominarono la politica del Novecento. Considerò la democrazia parlamentare, che vedeva rappresentata nella Repubblica di Weimar, il luogo di gestazione della dittatura del denaro; un grande mercato di voti amministrato dalle direzioni dei numerosissimi partiti. Criticò il socialismo perché, se nella sua espressione bolscevica era la “rivoluzione della storia mondiale più stupida e vile,
il saggio
29 agosto 2008 • pagina 21
dopo una lunghissima e travagliata gestazione. Spengler prende quindi a lavorare ad un’opera storica ponendosi in primo luogo il problema di quale sia il carattere essenziale del tempo.
senza onore e senza idee”, costituiva come buddismo e stoicismo una forma di nichilismo che nega quanto le loro civiltà avevano progettato e costruito». La decadenza, dice Spengler, sta raggiungendo il suo culmine (e lo diceva agli inizi del secolo scorso). Cominciata oltre duecento anni fa, a cavallo tra l’Illuminismo e i tentativi di reazione alle devastazioni da esso provocate, inarrestabile è proceduta fino a noi. Spengler osò descriverla mentre ancora si nutrivano propositi di rinascita che pure parvero dominare l’epoca nella quale il Tramonto fece la sua apparizione: non fu più d’un fuoco, alto e possente quanto si vuole, ma pur sempre un fuoco destinato comunque a fungere da esempio e proprio per questo quel mondo dell’informe che Spengler vedeva sopravanzare si diede da fare per spegnerlo, riuscendoci. Quando Il tramonto dell’Occidente fu pubblicato in Germania nel 1918 (la prima parte, la seconda nel 1922) riscosse un enorme successo perché fu letto come il prodotto intellettuale della nazione
sconfitta, ma non era nelle intenzioni dell’autore offrire al pubblico un’opera tanto “devastante” sotto il profilo dell’attualità. Le sue origini sono, infatti, da ricercare in un tempo molto lontano rispetto a quello in cui apparve, quando le intenzioni di Spengler erano assolutamente diverse da quelle che si vollero leggere nella coincidenza tra l’uscita del libro e la disfatta militare tedesca. Lo scopo dell’autore, in effetti, era quello di abbracciare l’epoca contem-
suoi appunti definiva il progetto come “romanzo monacense” che avrebbe voluto intitolare La morte di Dioniso.
Purtroppo di questo primo progetto non ci sono stati tramandati schemi, né stesure. Il mutamento di avviso, cioè di scrivere un’opera politica e non letteraria, in Spengler maturò con la seconda crisi marocchina, ed in particolare con i fatti di Agadir (1911), quando la Germania accettò di abbandonare il Marocco in cambio del
La risposta preesisteva già nelle sue convinzioni: la decadenza. L’influenza di Nietzsche è evidente poiché dal filosofo attinge la teorizzazione del nichilismo che, com’è noto, è il dato essenziale della Kulturkritik nietzscheana. Per l’autore dello Zarathustra, Spengler ha sempre nutrito una sorta di venerazione. Tra i suoi frammenti autobiografici è stato trovato questo appunto: «Quel momento grandioso in cui Nietzsche e Wagner si sono conosciuti, è momento che fonda un’epoca intera dello spirito europeo». Da quando Il tramonto dell’Occidente cominciò ad essere letto, Spengler è sempre stato considerato un “profeta” nell’accezione peggiore del termine. Egli più verosimilmente, come risalta dalle pagine del libro, è un “morfologo della storia”, un acuto osservatore della realtà politica ed esistenziale dei popoli e delle civiltà, e sulla base di uno studio che ricorda molto quello di un naturalista può permettersi giudizi di valore e avanzare previsioni. L’opera, dunque, è essenzialmente una morfologia della storia, vale a dire uno studio delle civiltà viste come organismi, caratterizzate da un destino quasi biologico che deve necessariamente concludere il suo ciclo: in esse, come negli esseri viventi, è insito il principio della vita e della morte. Il fondamento di questa concezione è la distinzione tra il mondo meccanico, dominato dalla causalità, ed il mondo organico che è quello della natura vivente secondo la legge dello sviluppo fisiologico. Le civiltà, come tutte le cose vitali, appartengono al mondo organico. «La vita organica – precisò Spengler in un’altra opera fondamentale, le Urfragen – è un fenomeno originario, un’idea che si è concretizzata dalla sfera del possibile, un evento che ai nostri occhi rimane assolutamente mistero. In ogni suo aspetto, l’idea della vita, identica da quella del più piccolo infusorio fino a quella
Soltanto chi si ostina a tenere gli occhi chiusi può ancora ritenere il nostro mondo in salvo, mentre i barbari scorrazzano per le sue contrade distruggendo le forme che esso stesso ha creato poranea in un’unica opera e a questo progetto cominciò a pensare fin dalla fine degli anni Dieci. Per molto tempo l’aspirazione di Spengler rimase quella di scrivere un grande romanzo storico, sul modello di Le rouge e le noir di Stendhal, che era uno dei suoi libri preferiti. Iniziò, dunque, ad immaginare un lavoro che avesse le caratteristiche dell’opera letteraria più classica, tanto che nei
ritiro della Francia dal Nuovo Camerun, evidenziando in tal modo il suo isolamento politico già manifestatosi nel 1906 alla conferenza di Algeciras e nel 1908-1909 a cavallo della crisi bosniaca quando cercò un’intesa con l’Inghilterra la quale preferì, invece, scierarsi con la Francia. Spengler si rese conto che la letteratura non era lo strumento più efficace per abbracciare l’epoca e riversò in politica le sue considerazioni,
della poderosa civiltà, si sostanzia in forme intimamente affini: procreazione, nascita, crescita, appassire, svanire… La vita organica sulla crosta terrestre consiste in una profonda unità, originatasi come totalità e come tale dissolventesi. Non importa in che modo la si rappresenti, qualsiasi rappresentazione di essa non sarebbe che una ripetizione di quel grande processo che, sempre identico, si ricalca anche nella vita individuale massima espressione dell’uomo civile». Le civiltà, dunque, sono organismi viventi, informate ad un principio biologico, ed aventi un’anima.
Avere una storia non significa per esse che estrinsecare quest’anima nei vari campi dell’agire. Nel periodo ascendente della civiltà (Kultur) propriamente detta, predominano i valori spirituali e morali: la vita civile è organizzata in ordini, gerarchie; nei cuori dei popoli vive profondamente un sentimento religioso che pervade l’arte, la politica, l’economia, la letteratura. Quando poi la civiltà invecchia e ad essa subentra la civilizzazione (Zivilisation), al principio della qualità si sostituisce quello della quantità; all’artigianato la tecnica; alla città suggente vita dalla campagna e organizzata a misura d’uomo, l’informe megalopoli che annulla l’uomo fino a farlo sentire meno di un insetto. Nella vita sociale le differenze sono livellate, la massificazione è dominante, l’edonismo è la misura di tutte le cose. Spengler coglie in un quadro desolante lo spirito del tempo che ancor più del suo è nostro: «Solo quando con l’avvento della civilizzazione comincia la bassa marea di tutto il mondo delle forme, le strutture delle mere condizioni di vita affiorano nude e prepotenti: vengono i tempi nei quali il detto volgare ‘fame e sesso’ sono i veri momenti dell’esistenza, cessa di essere sentito come una sfrontatezza, i tempi nei quali non il divenire forte in vista di un compito, bensì la felicità dei più, il benessere e la comodità, il panem et circenses, costituiscono il senso della vita e la grande politica dà luogo alla politica economica intesa quale fine a se stessa». Una diagnosi che non ammette repliche. Oggi, guardandoci intorno, c’è qualcuno che può non dirsi “spengleriano”? Soltanto chi si ostina a tenere gli occhi chiusi può ancora ritenere l’Occidente in salvo, mentre i barbari scorrazzano per le sue contrade distruggendo le forme che esso stesso ha creato. Ed i barbari sono occidentali, esseri senza memoria che hanno ceduto senza reagire alla morte di Dio.
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO
LA DOMANDA DEL GIORNO
Bracciale elettronico per i reati minori: giusto? MISURA INCAUTA. D’ACCORDO CON DI PIETRO Mi spiace ma il braccialetto elettronico no. È già stato sperimentato qui da noi e tutto si è ridotto a una farsa, con i detenuti che se lo sfilavano via e correvano dove volevano verso nuovi lidi di allegra e spensierata devianza.Va poi notato che se moltissimi delinquenti sono senza fissa dimora, impedire che lascino la suddetta diventa un’operazione paradossale degna delle migliori barzellette. Come si fa a porre agli arresti domiciliari uno che non ha una residenza precisa?
Giampaolo Visentin Cuneo
IN INGHILTERRA FUNZIONA BENONE Al di là di quella guerra preventiva scatenata dai giornali di sinistra ogni volta che il ministro Alfano proferisce parola, il braccialetto elettronico può rappresentare l’unica vera e possibile soluzione, già usata in altri paesi, per garantire sorveglianza e monitoraggio alternativi alla reclusione tradizionale. In Italia c’erano già state alcune sperimentazioni nel 2001, ma negli anni successivi il progetto si è disgregato nonostante il governo italiano avesse firmato con una ditta privata per un
LA DOMANDA DI DOMANI
Ispezioni sulle tariffe dei maggiori gestori telefonici: cellulari troppo cari?
imponente fornitura di congegni. Eppure in Inghilterra è stato sperimentato nel 1995 e dal 1997 su oltre 130mila persone che hanno usufruito della detenzione domiciliare monitorata elettronicamente, e poi è stato adottato con successo anche sugli hooligans diffidati. Chi dice che è una misura improponibile e sciocca è in cattiva fede, perchè dati alla mano, solo per restare nel Regno Unito, la percentuale di successo della misura del bracciale elettronico ha fatto registrare il 97 per cento e, al momento c’è una media di 13mila detenuti al giorno sottoposti al controllo tramite bracciale.Visto come sono andate le cose dopo l’indulto, difficile credere che il bracciale possa peggiorare le cose.
Avv. Antonio Vincenzoni Trieste
AI PIEDI DI OBAMA Scarpe con l’immagine di Barack Obama. Molti souvenir, rappresentanti il candidato alla presidenza, sono apparsi nei negozi e negli alberghi di Denver in occasione della convention nazionale dei democratici
TROVATA STUPIDA? RIVOLGERSI A ENZO BIANCO Alfano ha riesumato quella che a suo tempo fu definita una spettacolosa innovazione. Quando il ministro Enzo Bianco attuò l’adozione del bracciale elettronico, tutti incensarono la mefistofelica arguzia di Bianco. Salvo definirla una scempiaggine, adesso che ne parla l’attuale guardasigilli.
IL SEGNO DI CAINO
Antonino Cammariere Crotone
Meglio passare tutto il tempo necessario in galera che vivere in libertà vigilata lasciando a tutti la libertà di emarginare quello che diventerebbe un carcerato a piede libero si, ma a polso occupato. Immagino come sarebbe difficile vivere portandosi addosso questa specie di lettera scarlatta specie nei piccoli paesi, in cui il detenuto speciale verrebbe visto come un appestato e a differenza di molti, non sarebbe neppure libero di nascondere il suo passato ma obbligato a mostrarlo a tutti. La riprovazione sociale che ne verrebbe fuori impedirebbe e scoraggerebbe il reintegro del condannato, che si sentirebbe per sempre diverso. Preferirebbe a quel punto la galera. Uguale tra gli uguali
Rispondete con una email a lettere@liberal.it
COSTITUENTE DI CENTRO: PERCHÉ, COME, QUANDO Sfogliando il programma della festa di Chianciano, non ho potuto fare a meno di notare – senza particolare sagacia – la grande assente di questa kermesse: la Costituente. Non ne sono sorpreso, sono solo rammaricato. L’Unico riferimento rintracciabile sta nella sessione di lavoro di Venerdì 11/09 introdotta da Savino Pezzotta, quale “Presidente” Costituente di Centro (scusate: “ma Presidente di cosa?!?!”). Ah, no, aspettate! Leggo il titolo di una sessione di Sabato 13/09, che forse mi costringerà ad una ritrattazione: “Nuovi modelli organizzativi per il partito del futuro”. Titolo allettante! Ad essa sono invitati i Segretari Comunali, Provinciali e Regionali dell’Unione di Centro. Un momento (sic!). Ma l’Unione di Centro non è l’insieme di Unione Democratici Cristiani, Rosa Bianca e Circoli Liberal? Ora, per dirla con il caro Lubrano, le domande sorgono spontanee:
Lidia Genovese Porto Empedocle (Ag)
CHI L’HA DETTO CHE VINCE OBAMA? Egregio Direttore, Negli Usa, a Denver, tutti pazzi per Obama! A vedere e sentire l’informazione in Italia, quasi quasi è inutile che si facciano le elezioni a Novembre! Dio non voglia che in America vinca John McCain, cosa faranno da noi, chiederanno la verifica dei voti? Per ora lo nominano solo per dovere di cronaca: per la sinistra è il candidato repubblicano, un veterano della guerra in Vietnam e un eroe di guerra. Viene spontaneo chiedere ai bamba dell’intellighentia nostrana: possibile che per i 50 anni successivi, abbia fatto solo l’eroe di guerra? nel 1982 e 1984 deputato in Arizona, dal 1987 senatore e nel 2000 candidato alle primarie, ecc. Certo, con lo stesso metro, di Obama potrem-
dai circoli liberal
“Quando è stata aperta la campagna di tesseramento per l’Unione? Qualcuno ha fatto i congressi mentre ero al mare? Perdonatemi la malizia o forse l’ingenuità, ma non vorrei che si giocasse con gli acronimi per bypassare un processo democratico, quale è quello della costituzione di un partito, attraverso la semplice annessione ad una delle componenti di quello che, ad oggi, risulta essere solo il prodotto di un cartello elettorale: l’Unione di Centro, per l’appunto. Ciò premesso, mi sia consentito di utilizzare questo spazio per chiedere con forza di interrompere questo pietoso cerchiobottismo e di superare ogni condotta attendista (che dà tanto l’impressione di essere motivata dalla paura di perdere rendite di posizione o di potere, piuttosto che da reali esigenze strategiche). Apriamo formalmente la fase Costituente! Costituente perché: perché è indispensabile creare un partito realmente democratico e popolare, dall’inequivocabile identità cristiana e liberale!
mo dire che, negli ultimi 30 anni, nemmeno l’eroe ha saputo fare. E cosa accadrebbe, ci condannerebbero per apostasia?
Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi
BIDEN: UN INFAUSTO ACRONIMO Egregio Direttore, Il nome del vice scelto da Obama, Biden, letto in italiano fa uno strano effetto: sia come nome in sé, che ricorda altro, sia come acronimo di Bin Laden. Se sarà ”per non dimenticare”, come dicono da noi quelli che s’intendono di tutto, il candidato alla Presidenza Usa non poteva fare di meglio. Passi l’acronimo, ma, visto il suo slogan ”guardare al futuro”, farlo con il Biden non ispira molto.
L. C. Guerrieri Teramo
Costituente come: si formino comitati costituenti regionali con competenza a guidare le fasi logistiche di costituzione e a dettare, in via transitoria, la linea politica territoriale. Si aprano i tesseramenti e si eleggano gli organi comunali, che eleggeranno quelli provinciali e poi quelli regionali, fino ad arrivare alla composizione degli organismi nazionali e del Segretario (non si possono accusare PD e PdL di creare partiti finti mediante fusioni a freddo, operazioni verticistiche e metodologie cooptative, se non si adottano sistemi atti ad invertire questa deriva antidemocratica; per la stessa ragione non ci si può definire proporzionalisti per il sistema elettorale, se i criteri politologici ispiratori del principio proporzionale non trovano cittadinanza piena nella creazione del partito e nella selezione della sua classe dirigente). Costituente quando: subito! Mauro Cozzari COORDINATORE REGIONALE CIRCOLI LIBERAL DELL’UMBRIA
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Una moglie retta imprigiona il marito Carissima mogliettina! Ho ricevuto con gioia la tua cara lettera. Spero che tu abbia ricevuto ieri la mia seconda lettera, insieme al decotto, all’elettuario e alle uova di formica. Parto domani alle 5. Se non fosse per il semplice fatto di rivederti e di riabbracciarti non partirei ancora, perché tra poco daranno Figaro e io devo fare ancora qualche modifica e quindi la mia presenza alle prove è necessaria. Cara mogliettina! Voglio parlarti sinceramente. Non hai alcun motivo per essere triste. Hai un marito che ti ama e che fa per te tutto quel che è capace di fare. Non affliggerti e non tormentarmi con un’inutile gelosia. Abbi fiducia nel mio amore, certo non te ne mancano le prove! E vedrai come saremo felici. Sii pur sicura che solo una giudiziosa condotta della moglie può imprigionare il marito. Adjeu! Ti bacerò domani con tutto il cuore. Wolfgang Amadeus Mozart alla moglie
IL LAVORO RIEDUCA IL CONDANNATO Il lavoro è motivazione positiva, toccasana e antidepressivo naturale; costruisce, emancipa e valorizza; contrasta l’indigenza ed equilibra i ritmi vitali. A differenza dell’ozioso, il lavoratore è spesso appagato, perché si sente utile alla società. Con il lavoro, i detenuti – nonché la collettività – traggono spiccati vantaggi. Secondo l’art. 27, comma 3 della Costituzione, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Per effetto della legge 354/1975 e dei regolamenti di esecuzione 431/1976 e 230/2000, il lavoro di carcerati è diritto-dovere rieducativo: va remunerato in proporzione alla qualità e quantità, per almeno 2/3 del compenso d’attività simile, stabilito dal contratto collettivo nazionale. Il lavoro di carcerati deve riflettere quello della società libera, per consentire una preparazione professionale adeguata al reinserimento sociale. La legge 193/2000 e il D. M. 87/2002 concedono incentivi e, inoltre, sgravi fiscali e contributivi ai datori di lavoro, che possono usufruire pure di spazi e locali messi a disposizione gratuita dal carcere. La rieducazione col lavoro è strabiliante: all’uscita dal carcere torna a delinquere solo il 5% dei detenuti lavoranti; contro
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
29 agosto 1541 - I Turchi Ottomani occupano Buda, la capitale del Regno d’Ungheria 1756 - Federico il Grande attacca la Sassonia, dando il via alla Guerra dei sette anni 1862 - Nella giornata dell’Aspromonte l’Esercito Regio fermò la marcia di Garibaldi dalla Sicilia verso Roma 1898 - Viene fondata la Goodyear 1949 - L’Unione Sovietica testa la sua prima bomba atomica a Semipalatinsk, Kazakistan 1966 - I Beatles tengono il loro ultimo concerto a San Francisco 1991 - A Palermo viene ucciso dalla mafia Libero Grassi, imprenditore impegnato nella lotta alla mafia 2004 - Si chiudono i Giochi Olimpici 2004 ad Atene; Stefano Baldini vince l’oro nella maratona 2005 - L’uragano Katrina comincia ad abbattersi su New Orleans
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
l’88-90% dei non lavoranti. Nel carcere di Padova, alcuni detenuti sono diventati pasticceri (premiati con “piatto d’argento” dall’Accademia italiana di cucina). Nella prigione di Bollate lavora il 90% dei detenuti. Nel penitenziario della Gorgona ogni detenuto lavora (con costo di 170 euro al giorno per il contribuente); al contrario, nella prigione di Favignana, ciascun recluso ozia in cella per l’intera giornata (vede la TV, gioca a carte) e costa al contribuente quasi il doppio: 300 euro giornalieri. Il lavoro dei detenuti può essere all’interno del carcere (intramurario) o esterno (extramurario). Sull’insieme dei detenuti presenti: i lavoranti dipendenti dall’amministrazione penitenziaria sono il 24,06% ; i dipendenti da imprese o cooperative il 3,30%. In totale, il 27,36% dei 48.693 detenuti presenti al 31.12.2007 (quasi 55.000 a ferragosto 2008). Per innalzare la percentuale di detenuti lavoratori, occorre sburocratizzare e assicurare una copertura finanziaria adeguata. Ostacoli problematici sono rappresentati da: scarsa professionalità e carente cultura del lavoro; pregiudizi e reticenze; rigidità e orari del lavoro carcerario; necessarie perquisizioni all’ingresso di persone e merci.
Gianfranco Nìbale Padova
PUNTURE Fini, passione da sub, si è immerso dove non doveva e ha chiesto scusa. Ma il punto non è dove si deve immergere, ma quando riemerge.
Giancristiano Desiderio
“
Da un legno storto come quello di cui è fatto l’uomo non si può costruire nulla di dritto IMMANUEL KANT
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di LA CRISI IN GEORGIA (E DINTORNI) Ecco definitivamente smentito chi suggeriva (e sperava?) che con la fine del comunismo reale in Europa fosse finita anche la storia tout court. La Russia (non da oggi) torna grande, con un uomo potente e spregiudicato come Vladimir Putin, e c’era da scommetterlo: le ingenti risorse di un vastissimo Paese non potevano certo essere subordinate all’unica superpotenza sopravvissuta alla Guerra Fredda, se non negli effimeri anni ’90 immediatamente successivi alla caduta della Cortina di Ferro. Putin, dunque, (ri)vuole un ruolo di primaria importanza per la sua patria, e non c’è niente di male ad ammettere che ne ha diritto e potenzialità. Tuttavia il mondo è cambiato. Dal punto di vista puramente economico la Russia è ormai industrializzata e capitalista, come tutti gli ex Stati satellite dell’Europa dell’est, ad eccezione forse della Bielorussia che ancora non ha preso una decisa via per l’economia occidentale. Ma quello che brucia di più a Putin è che gli ex Stati satellite, uno dopo l’altro, si stanno integrando con l’occidente. Prima i più lontani da Mosca, ora anche i confinanti. Finché si trattava della ricca Boemia o dell’Ungheria, da secoli europee per cultura e per tradizione, era un ritorno all’ovile. Ma quando si parla di Ucraina, Georgia, Moldavia, cioè terrritori marcatamente slavi e storicamente (non solo geograficamente) vicini alla Madre Russia, diventa più inaccettabile. Una previsione? Da quello che succede in questo agosto 2008, si tratta di un piano premeditato. Alla prima occasione Putin ha mandato i carri armati in Georgia per ”difendere” Ossezia
del Sud e Abkhazia dalla ”minaccia” georgiana, poi ha deciso di riconoscere l’indipendenza dei due piccoli territori. La Georgia, che sta entrando proprio ora nella Nato, è così indebolita fino al lumicino, e la Nato, se continuasse il programma come se niente fosse, si troverebbe ”in casa” la Russia. Intanto la Moldova è avvisata: il governo di Chisinau dovrà stare molto attento, altrimenti una nuova azione militare si prospetta per ”tutelare” il Transdniester. Un corollario poco commentato è che questi piccoli Paesi rischiano di vedere distrutti gli incredibili sforzi per strutturarsi con economie industriali e capitalistiche. L’Occidente come può rispondere? Con l’unica via concessa dalla delicatezza della situazione, cioè quella diplomatica. L’avversario (mi rifiuto per ora di chiamarlo nemico) non è un Paese piccolo, povero e male armato, tutto il contrario. E’ l’ex grande Potenza, che vuole tornare ad esserlo. E l’Ue, cioè la parte dell’Occidente più vicina al teatro di guerra latente, è troppo interessata al gas russo per compiere mosse azzardate. Così si profila nuovamente una divisione tra l’Occidente maturo (gli Usa) e l’Occidente bisognoso (l’Europa), con l’ulteriore incognita del prossimo presidente degli Stati Uniti, di cui si sapranno solo a novembre l’identità e solo nel 2009 le intenzioni. E’ il periodo migliore, per Mosca, per progettare i piani che vuole e metterli in pratica in fretta. Per questo la partita (che per ora, più che coi fucili, sarà a scacchi) è delicatissima, e ci va anche male, perché i russi a scacchi sono i più forti del mondo.
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PAGINAVENTIQUATTRO Cartolina da Venezia. «Lo Sceicco Bianco» con il finale senza tagli
Ritagli di cinema per riscoprire le bugie di di Alessandro Boschi a 65ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica ha compiuto quest’anno una scelta piuttosto coraggiosa. Privilegiando un cinema più nascosto (alcune pellicole in concorso non hanno ancora una distribuzione), ha in qualche maniera ovviato alla mancanza (per scelta?) di prodotti di più facile richiamo. In
L
in una situazione rendono esplicito ciò che non lo era, e conferiscono più forza al finale. Ricorderete che Leopoldo Trieste, alla disperata ricerca della mogliettina Wanda alias Brunella Bovo, si trova a vagare per una Roma deserta. Arrivato a Piazza Campitelli, sempre più sconsolato perché tutto fa credere che la consorte sia scappata con il fantomatico Sceicco Bianco, incontra due peripatetiche che raccol-
FELLINI
realtà una volta era proprio questo lo scopo dei festival: proporre film in cerca di una distribuzione. Oggi, invece, è sempre piuttosto difficile trovarne uno senza. Ma al di là di ciò, ci piace sottolineare come anche questa edizione del festival sia l’occasione per poter ammirare sul grande schermo pellicole restaurate note ai più solo attraverso televisione e/o DVD.
Per questo, ieri mattina, quando ci si è presentato il dilemma su cosa andare a vedere tra l’ultimo Kitano in concorso intitolato Akires to kame (uno di quelli ancora senza distribuzione) e la versione con i tagli recuperati ed aggiunti de Lo Sceicco Bianco non abbiamo avuto esitazioni. Non solo per l’indovinato nome della rassegna, «Questi fantasmi», ma perché chissà quando ci ricapiterà di vedere il capolavoro di Federico Fellini a grandezza naturale. Ora, dobbiamo dire che non abbiamo davvero rimpianto la scelta fatta. Al termine della quale sono stati proiettati i frammenti recuperati, che forse non cambiano in maniera decisiva il senso della pellicola, ma almeno
gono i sia i lamenti del disperato neo maritino, sia egli stesso. Nella versione nota a tutti la scena termina con il trio che se ne va, insieme, mesto ma verosimilmente diretto verso una notte di promiscuità. Il dubbio, grazie al taglio recuperato, viene fugato.Vediamo infatti il protagonista a letto con una delle due professioniste, alla quale lascia anche il giusto obolo per la prestazione di cui ha indubbiamente usu-
visivo o radiofonico. Insomma, a ben guardare, possiamo dire che non esiste solo una storia di tagli cinematografici, il cui recupero diventa oggetto di rassegne. Esiste anche, o meglio potrebbe esistere, una storia di tagli della verità di vario ordine e genere. Siamo convinti che in un ideale paradiso (o inferno) dove vengono raccolte tutte le parole pronunciate ma non dette e le lettere scritte ma non pubblicate, ci sia una storia parallela della nostra vita pubblica, che non conosceremo mai. E forse, ricordandoci anche le parole di Wanda, la tapina protagonista del film in questione che declama sconsolata: «La vera vita è il sogno» ci sentiamo di affermare che anche molti amori sono finiti perché abbiamo “tagliato” quelle parole che ci sembravano troppo sentimentali, troppo da sogno e che, invece, erano le uniche da scrivere o da dire. Anche se «a volte i sogni sono baratri fatali».
Al Lido, proiezione speciale sul grande schermo per il film-capolavoro con Alberto Sordi e Leopoldo Trieste. Per l’occasione, sono state recuperate alcune scene che precisano la «poetica della menzogna» del grande regista fruito. Il che ci fa capire , nel finale riconciliatorio dei due sposini, come lei dica la verità quando afferma: «Sono pura e innocente» e invece lui, che le risponde «Anch’io», menta.
Sarebbe curioso, magari non tra oltre mezzo secolo come accade per Lo Sceicco Bianco, recuperare anche “tagli” di altro genere. Quelli della cronaca ad esempio: scoprire che un articolo di un grande opinion leader, che ci racconta un evento determinante della nostra vita pubblica, sia uscito in realtà distorto nella sua sostanza a causa di un omissis più o meno voluto dall’autore. Molto spesso i tagli, specialmente di chi opinion leader non è, avvengono solo per motivi di spazio, e chi taglia, letteralmente come una forbice, non si perita di adeguare il resto dell’articolo preservandone il senso. E lo stesso avviene per un servizio tele-