9 771827 881004
ISSN 1827-8817 80830
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Le nuove adesioni all’iniziativa di liberal e dell’Udc
he di c a n o r c
Perché l’Onu tace sui crimini contro i cristiani?
di Ferdinando Adornato
OPERAZIONE IRITALIA
di Justo Lacunza Balda l sangue versato nello Stato indiano dell’Orissa mette sul tavolo il tema più difficile e scottante dei nostri tempi, quello della libertà religiosa. C’è l’elenco delle vittime, che si allunga ogni giorno. E questo è terribile. Ma c’è un’altra tragedia, il silenzio delle istituzioni internazionali e degli Stati. Quando si alzerà la voce dell’Onu, Della Ue, della Lega Araba, dell’Oic, dell’Au, delle varie commissioni per i Diritti umani e dei governi? Siamo disposti ad alimentare guerre, a organizzare e muovere grandi contingenti di pace e a stanziare miliardi per mantenerli, ma sembra che non siamo ancora preparati a fare lo stesso per difendere la libertà religiosa dei cristiani. È ora che le istituzioni abbiano il coraggio morale e la determinazione civile per mettere in agenda questo gravissimo problema. O è necessario, ancora una volta, ricordare che sono gli Stati i garanti istituzionali della libertà religiosa? Perché gli Stati non parlano? Forse sono zittiti da motivi economici, in particolare di ordine energetico? La democrazia deve essere fortemente radicata nel solco della vita dei cittadini, nello spazio dei loro diritti e doveri, delle loro attese e aspirazioni. La democrazia e la libertà sono inseparabili. Altrimenti, il treno dell’umanità deraglia.
I
Capeggiati da Colaninno, tornano i capitalisti di Stato, imprenditori con i soldi dei contribuenti. Ma BancaIntesa pone un limite: per rilevare Alitalia, ci vuole il pieno accordo dei sindacati
Nella foto Roberto Colaninno, indicato presidente della nuova compagnia, che in un’intervista a “Repubblica” ha dichiarato: «Mi scusi, ma lei sa dirmi come possiamo salvare questa azienda se lo Stato non si accolla i suoi debiti? Io, con tutta la buona volontà, non sono mica Mago Merlino»
I nuovi boiardi alle pagine 2 e 3
seg ue a pagin a 5
Tornano le cronache di Gianni Brera
Dopo le intercettazioni
In attesa del vertice Ue di lunedì
Prodi: no alla solidarietà di Berlusconi
Tblisi-Mosca, è rottura formale
di Franco Insardà
di Enrico Singer
di Andrea Mancia
di Filippo Maria Battaglia
Temo Berlusconi anche se porta doni. Così potrebbe intitolarsi l’atto unico, che ieri ha riportato alla ribalta Romano Prodi, dopo essere caduto nella rete delle intercettazioni.
La Georgia ha rotto le relazioni diplomatiche con la Russia. Dopo le mosse di Putin, i suoi carri armati nel territorio georgiano e l’indipendenza di Ossezia e Abkhazia, è uno sviluppo forse scontato.
John McCain ha scelto: la candidata repubblicana alla vicepresidenza è Sarah Palin. Giovane (44 anni, quattro in meno di Barack Obama), carismatica, popolare e anti-abortista. Rappresenta l’anti-Hillary.
Oggi torna il campionato di calcio. Tra veline e milioni si sente la mancanza del mondo epico raccontato con grande maestria dal celebre giornalista-scrittore. Intanto, Rai e Lega si accordano: partite in tv.
pagina 6
pagina 8
pagina 7
pagina 19
SABATO 30 AGOSTO 2008 • EURO 1,00 (10,00
CON I QUADERNI)
McCain sceglie la sua vice: il governatore dell’Alaska
Sarah Palin l’anti-Hillary
• ANNO XIII •
NUMERO
165 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
Cronache dall’Olimpo del dio Eupalla
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
pagina 2 • 30 agosto 2008
prima pagina
Tornano i capitalisti di Stato, imprenditori con i soldi dei contribuenti. Ma BancaIntesa pone un limite
Passera:«Senza i sindacati non si parte» di Franco Insardà litalia risorge sotto le ali della Fenice guidata dal nuovo boiardo Roberto Colaninno che diventa protagonista della scena insieme con Corrado Passera che dal palco del Meeting di Rimini è stato chiaro: «Senza l’accordo sindacale l’operazione non si fa». All’amministratore delegato di Intesa SanPaolo non deve aver fatto piacere l’attacco del Financial Times che ha titolato ironicamente ”Madonna! Un miracolo”. Secondo
A
Proprio su questa affermazione il responsabile economico dell’Udc, Gian Luca Galletti: «Le parole di Colaninno sul perché far assorbire allo Stato, cioè agli italiani i debiti e i costi del fallimento dell’operazione Alitalia, sono di una chiarezza assoluta che non merita commento. Il miracolo su Alitalia promesso dal governo era in realtà l’invenzione di una nuova dottrina economica: l’economia ”statale di mercato” cioè quella che privatizza gli utili e pubbli-
Contribuente: «Dall’operazione Alitalia ogni contribuente dovrà mediamente sborsare 138 euro, mentre il costo complessivo dell’operazione Alitalia ammonterebbe a circa 2,5 mld di euro, tenuto conto anche del prestito ponte di 300 mln di euro». Corrado Passera, l’advisor che ha messo a punto il progetto Fenice per Alitalia, si è detto ottimista sull’ingresso di nuovi soci nell’operazione: «credo che nei prossimi giorni si aggiunge-
ha bisogno, come tutte le aziende di questa dimensione. Ci conforta la lettera di Air France - ha aggiunto Passera - che è stata una grande soddisfazione anche dal punto di vista della valutazione del piano». Ma la strada è tutt’altro che spianata. Anche perchè il piano industriale per
non può essere circoscritto alla sola ”gestione degli esuberi”. Ma il ministero del Welfare, in una nota inviata alle nove sigle sindacali, assicura che si tratterà di «un confronto a tutto campo con l’obiettivo di individuare soluzioni inerenti il piano industriale e la tutela attiva dei lavoratori nei tempi brevi che sono imposti dalle condizioni oggettive della società e del mercato in cui opera». All’incontro parteciperanno, non a caso, tutti i ministeri interes-
Il Financial Times ha titolato ironicamente ”Madonna! Un miracolo”. Per il quotidiano economico, «L’Alitalia non poteva cadere nelle mani di investitori stranieri perché la compagnia di bandiera ”appartiene” all’Italia come gli spaghetti e la pizza» il quotidiano economico inglese «L’Alitalia non poteva cadere nelle mani di investitori stranieri perché la compagnia di bandiera ”appartiene” all’Italia come gli spaghetti e la pizza. Alitalia riprende a volare, sotto la guida di Colaninno, un imprenditore che se ne intende di simboli nazionali». Ma il presidente designato della nuova Alitalia in un’intervista a tutto tondo a Repubblica ha affrontato tutte le questioni con decisione: «Se fai l’imprenditore, una sfida come questa ti chiama, come un dovere. Bisogna riprendere Alitalia per i capelli dall’abisso, e riportarla nel mercato. Una volta arrivata lì, coi piedi all’asciutto, lavoreremo secondo le leggi di mercato, com’è evidente. Ma per arrivarci non c’è altra strada, perché non ci sono risorse. E gli aeroplani a pedali non li hanno ancora inventati». Sulla questione dei debiti che, secondo gli oppositori del piano Fenice, sarebbero scaricati sullo Stato, ha sottolineato: «Non sono mica mago Merlino. L’azienda si può salvare solo così perché è cotta».
cizza le perdite». Intanto il sito Contribuenti.it ha reso note le prime stime degli esperti di Krls Network of Business Ethics e dello Sportello del
ranno altri azionisti. Il piano di recupero di Alitalia è stato apprezzato anche negli incontri internazionali con possibili partner di cui questa azienda
Parla Bruno Tabacci
«È peggio dei tempi dell’Iri. Il modello di oggi è Putin» colloquio con Bruno Tabacci di Susanna Turco
la Nuova Alitalia si annuncia particolarmente ”doloroso”. I sindacati sono pronti al confronto con il governo su Alitalia ma sottolineano ”con forza”che
ROMA. «Una cosa è certa. Se fossero vissuti allora, Berlusconi e Tremonti con le partecipazioni statali ci sarebbero andati a nozze». Fa un certo effetto ascoltare il deputato Udc Bruno Tabacci, cresciuto nella Dc dei tempi d’oro, scagliare contro i governanti di oggi uno dei capisaldi della prima Repubblica: «Massì, potendo metterebbero insieme un bel sistema». Una nuova Iri? Magari. Ben oltre l’Iri. Un sistema russo, alla Putin. Loro, al fondo, hanno quelle culture lì: tra il Tremonti neo-antimercatista, il Berlusconi che ha sempre bazzicato tra i mono e gli oligopoli, la Lega antiromana ma animata da istinti centralisti micidiali e An cpn lo statalismo nel dna... Sono arrivati i nuovi boiardi di Stato: loro. Ma i boiardi non erano manager? Distinguiamo. I boiardi del tempo che fu gestivano il sistema dell’industria di Stato per conto della grande politica. Scambiavano potere: questi qui scambiano soldi, si arricchiscono. I vecchi boiardi rispondevano alla politica: i nuovi sono essi stessi il potere. E non
sati agli aspetti regolatori e sostanziali del rilancio di Alitalia, nonché rappresentanti dell’advisor incaricato di valutare le offerte relative.
rispondono a nessuno. Siccome il popolo li ha votati possono fare tutto: pacche sulle spalle in politica estera, regali. I boiardi sono i nuovi statalisti. E Colaninno? Per citare Ezio Mauro, non si è «convertito dal mercato libero e selvaggio al recinto protetto del potere»? Quando mai lui è stato nel mercato libero e selvaggio? Giusto nel vendere ciclomotori. È uno che ha passione industriale e opera nelle condizioni date. Peraltro, di fronte a un’offerta del genere, a un regalo così, se mi metto sulla sua lunghezza d’onda sono d’accordo anch’io: non si poteva dire di no. Perché parla di regalo? È quel che è successo. Diversamente da ciò che diceva sotto elezioni, Berlusconi non vende Alitalia: la smembra. Il carico degli esuberi e dei debiti pregressi viene infilato, letteralmente, nelle tasche degli italiani, mentre la parte“buona”viene regalata a un gruppo di imprenditori. Così Alitalia è salva. Ma che salvataggio! La nuova società è diversa dalla precedente: fusa con AirOne,
prima pagina
30 agosto 2008 • pagina 3
Successi e fallimenti di Colaninno, da Telecom a Alitalia
Il ragioniere benedetto da Mediobanca di Alessandro D’Amato a sua vocazione imprenditoriale non è in contraddizione aperta con l’idea di scaricare gli esuberi alle Poste? E va bene, se vuole proprio saperlo dentro di me la contraddizione la sento. E non mi piace». In questa ammissione a mezza bocca fatta in un’intervista al direttore di Repubblica Ezio Mauro, c’è tutto Roberto Colaninno. Il presidente in pectore della costituenda Compagnia Aerea Italiana, che avrà il compito – con l’aiuto dello Stato – di salvare Alitalia, conclude così la sua giravolta che in meno di un decennio lo ha portato dall’essere additato come longa manus del governo D’Alema insieme all’allora compagno d’avventure Chicco Gnutti (oggi salvato dal tribunale fallimentare, quanto è piccolo il mondo, proprio dall’arcinemico Nanni Bazoli) e Giovanni Consorte (defenestrato da Unipol), a trovarsi nelle vesti di salvatore dell’azienda di Stato più decotta del mondo, regnante Silvio Berlusconi. «Ma lei ce li ha i soldi?». Raccontano le cronache che fu l’allora ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi, a porgli l’imbarazzante domanda in quel caldissimo inverno del 1999, quando il nostro si presentò nelle sedi istituzionali per raccontare l’Opa su Telecom, il più spettacolare leveraged buy out che la storia di Piazza Affari ricordi. Colaninno ha condotto per qualche anno l’Olivetti, risollevandola dalle macerie in cui la lasciò l’Ingegnere, e ha avuto l’intuizione di entrare in un mercato allora appena nato, quello della telefonia mobile. Ecco la nascita di Omnitel e, dopo qualche anno, la vendita a Vodafone per puntare sul bersaglio grosso: quella Telecom (s)governata dal «nocciolino duro» che appare una preda perfetta per chi abbia un po’di coraggio.
«L
Maranghi a via dei Filodrammatici. Seguiranno due anni di gestione, segnati da acquisizioni (Seat,Telemontecarlo, il portale internet brasiliano) che non sono esattamente l’ideale in un’ottica di massimizzazione degli investimenti. Due anni nel pieno boom della new economy, e questo consente al titolo di restare a galla. Ma intanto qualche bolla comincia a esplodere: Telekom Serbia, gli avvisi di garanzia per la fusione Tin-It. E la coppia scoppia: Chicco vuole vendere per monetizzare l’investimento. Roberto no, vorrebbe restare al timone. Ma, e qui forse sarà riecheggiata nelle orecchie del ragioniere mantovano la domanda di Ciampi, i soldi non ci sono: bisogna lasciare tutto il carrozzone – nel frattempo oberato da 44 miliardi di euro di debiti – a Marco Tronchetti Provera.
Colaninno prova a rilevare la Fiat, ma la famiglia all’ultimo si tira indietro. E allora escogita un’altra mission impossible: acquistare e risanare la VespaPiaggio. Un marchio storico, seimila dipendenti, sette stabilimenti in tutto il mondo e un debito di 600 milioni su un miliardo di fatturato. L’attenzione dei media è assicurata, e allora via per cavalcare una nuova avventura. Senza Gnutti e la Razza Padana, stavolta, ma il capitale di relazioni, se possibile, si è ampliato visto che ora comprende Cesare Geronzi, Matteo Arpe, Luigi Abete, Corrado Passera, Ruggero Magnoni di Lehman Brothers oltre, ovviamente, la nuova Mediobanca epurata da Maranghi. Per Piaggio, Colaninno mette sul piatto 100 milioni, Banca Intesa e Deutsche Bank convertono i debiti in azioni
Provò a comprare anche la Fiat, ma alla fine la famiglia Agnelli mandò a monte l’operazione. Allora cambiò obiettivo. E così, in cinque anni, è riuscito a risollevare l’azienda di Pontedera
depurata dei debiti, rimpicciolita quel tanto che serve per volare, in regime di monopolio, sulla tratta più ricca del business (la MilanoRoma) grazie alla sospensione delle competenze dell’Antitrust. Non potremo più scegliere il colore dell’aereo: ci dipingeranno tutte le ali della stessa tinta. Fine della concorrenza. C’è un altro problema. Con il decreto legge il governo autorizza la trattativa privata tra il commissario e la compagnia “virtuosa”. Ma ci dovrebbero dire quali sono le condizioni, si dovrebbe avviare una gara di evidenza pubblica. Perché potrebbero nascere altre cordate. O dobbiamo pensare che il passaporto è determinante? La trova una procedura illecita? Tutto è lecito ciò che è fissato per legge, ma che sia negli interessi generali, ecco questo no. A essere precisi, infatti, più che a tutela degli interessi generali dell’economia, si dovrebbe dire che la legge è stata riscritta a tutela degli interessi generali della cordata. Messa così si capisce. Ma che nessuno mi venga a parlare di «responsabilità».
E a Colaninno & Gnutti non manca. I soldi mancano, sì, ma a mettere quelli ci penseranno le banche, e il flusso di cash dell’azienda garantirà i prestiti, si dicono i due. «Si può fare», devono aver pensato con un Veltronismo ante-litteram. E si fece. Con la benedizione del premier D’Alema, che li chiama in pubblico «Capitani coraggiosi», guadagnandosi così da Guido Rossi l’appellativo di «merchant bank che non parla inglese». Anche perché Tesoro e Bankitalia all’assemblea Telecom sugli strumenti antiscalata indetta da Bernabé non si presentano, fornendo il migliore aiuto possibile ai «capitani». L’Opa da 60mila miliardi di lire riesce anche grazie alla sapiente regia di Mediobanca: e Colaninno festeggia a champagne proprio con Cuccia e
Cinque anni di gestione sono un tempo sufficiente per stilare un bilancio. Di sicuro positivo per la parte finanziaria: grazie soprattutto all’aiutone di Intesa San Paolo, la quotazione a Piazza Affari di due anni frutta 350 milioni. Impiegati però più che altro a far uscire con leggere plusvalenza le banche (Deutsche e Intesa). Meno bene è andata per chi ha creduto che quella di Colaninno sarebbe stata la svolta industriale: gli azionisti che hanno comprato in Ipo (o peggio ai massimi dell’anno successivo) a 2,30 euro si ritrovano con un titolo che ha perso un terzo del suo valore. E prospettive per nulla allegre, visto il mercato europeo, le vendite in India e Cina che crescono, sì, ma con margini cronicamente bassi, e ricavi e utili che gli analisti prevedono in ribasso. Ma tutto questo non importa: la case history di Piaggio ha fatto il giro del mondo, e il ragioniere è pronto a salire sul carrozzone di Alitalia. Per soddisfare la sua ambizione più grande: diventare finalmente un boiardo di Stato.
pagina 4 • 30 agosto 2008
nessuno tocchi abele
Non si fermano le uccisioni in Orissa: almeno altre 10 vittime. Le nuove adesioni all’iniziativa di liberal e Udc
Continua il massacro Anche il sindaco di Roma alla fiaccolata Mentre prosegue la caccia al cristiano, la Chiesa cattolica indiana ha deciso di rispondere in maniera non violenta alle provocazioni degli estremisti indù. Oltre 25mila scuole rette da istituti religiosi, e riconosciute come le migliori del Paese, hanno chiuso i battenti per protesta contro il clima di intolleranza che si respira nello Stato orientale dell’Orissa. Le violenze però non accennano a diminuire, anche se l’intervento di oltre 3mila agenti di polizia ha contribuito a migliorare – seppur di poco – la situazione. La Chiesa ha pubblicato la lista delle devastazioni: secondo i dati, 22 fedeli sono morti nel distretto di Kandhamal e almeno 41 chiese sono state distrutte. Si contano inoltre centinaia di case danneggiate, quattro conventi, cinque fra ostelli e alloggi per giovani, sei istituti cattolici devastati. In questo contesto, si fa sempre più urgente far sentire la propria voce contro queste violenze. Ecco le nuove adesioni alla fiaccolata del 10 settembre
Aderisco al vostro appello in segno di solidarietà con tutte le vittime del fanatismo religioso e politico. Le tragiche notizie che arrivano dall’India devono spingere la comunità internazionale a condannare senza riserve simili gesti di efferata violenza dei quali sono vittime ancora una volta i cristiani, che in Asia stanno pagando un alto contributo di sangue. Auspico che da Roma possa partire una campagna di sensibilizzazione per far conoscere a tutto il mondo la grave situazione in cui si trovano le comunità cristiane dall’India alle Filippine. Gianni Alemanno, sindaco di Roma Aderiamo al vostro appello in segno di solidarietà nei confronti delle vittime del fanatismo politico e religioso. Le notizie che giungono dall’India, dove i cristiani vengono massacrati e le chiese distrutte, non possono lasciare indifferenti. Da anni i cristiani sono perseguitati in molte aree del mondo, mentre in molti stati l’esercizio libero della religione è impedito con metodi anche violenti. Nel giorno stesso in cui si sono spente le luci sulle Olimpiadi di Pechino un vescovo cattolico cinese è stato arrestato, ma sui giornali la notizia è stata relegata al rango di breve. Le nazioni occidentali rischiano di fare un grosso errore continuando ad ignorare i segnali di intolleranza religiosa che arrivano puntualmente ogni giorno. Giorgia Meloni, ministro delle le Politiche Giovanili Andrea Ronchi, ministro delle Politiche Comunitarie Aderisco con profonda convinzione alla vostra manifestazione, promossa per testimoniare solidarietà alle persone che nel mondo vengono perseguitate per motivi religiosi, come sta tragicamente avvenendo in India. Sono convinto che un forte monito da parte dei governi occidentali sia necessario così come una forte iniziativa diplomatica. Enrico Gasbarra, deputato del Pd ed ex presidente della Provincia di Roma I gravissimi episodi e le persecuzioni contro i cristiani in atti in India sono solo l’ultima angosciante testimonianza di un fenomeno che va avanti da tempo nell’indifferenza dell’Occidente. La libertà religiosa è un valore da difendere da parte di tutti. Per questo aderisco con convinzione al vostro appello. È necessario però che l’Italia e l’Europa facciano sentire la loro
voce nei confronti del Governo indiano che deve tutelare tutte le fedi religiose presenti in quel Paese. Isabella Bertolini, deputata del PdL Io credo che queste vicende drammatiche che stanno accadendo in India negli ultimi giorni rischiano di minare i successi degli ultimi decenni fatti da questa democrazia. Ricordo ancora che, trent’anni fa, quando ero uno studente universitario, ero in prima linea per la raccolta di fondi umanitari per l’India. Oggi questa nazione è una super potenza mondiale con una democrazia viva e moderna ma questo percorso rischia di essere fortemente messo in discussione da violenze che vanno assolutamente fermate. Detto questo, aderisco formalmente alla vostra manifestazione. Ermete Realacci, deputato e ministro dell’Ambiente nel governo ombra del Pd La politica internazionale non deve e non può essere sensibile solo alle tragedie scaturite per interessi geo-politici o geo-energetici, ma deve essere impegnata a far rispetta-
re i diritti di libertà di culto ed opinione, soprattutto nei confronti dei Paesi che, come India e Cina, entrano a far parte in questi anni delle grandi economie e democrazie del mondo. L’Unione Europea e l’Onu hanno la responsabilità e il compito di intervenire con gli strumenti del diritto internazionale per impedire che al mondo ci possano essere ancora aggressioni contro i cristiani ed i missionari impegnati a divulgare un messaggio di amore e fratellanza nel mondo, soprattutto nei territori piu’ poveri a volte abbandonati dagli stessi governi nazionali. Annuncio, pertanto, la presenza del movimento dei cristiano sociali del Pdl alla vostra manifestazione, in sostegno
dei cristiani dell’India e di tutte le altre comunità offese nel mondo. Antonio Mazzocchi, questore della Camera dei Deputati e leader dei cristiano sociali del PdL La persecuzione religiosa è un problema antico. La vostra è un’iniziativa pregevole, che speriamo serva a tener desta l’attenzione dell’opinione pubblica non soltanto sulla strage dei cristiani – spesso dimenticata – ma anche su qualcosa che spesso si dimentica: le persecuzioni religiose che avvengono in questo mondo. Queste rappresentano uno scandalo. Quella cristiana è una delle poche voci solidali, in senso universale, del mondo. Questa manifestazione deve dare
«Dal vertice Ue di lunedì deve arrivare un segnale forte» colloquio con Roberto Formigoni di Francesco Capozza ROMA. «Aderisco alla fiaccolata proposta da liberal e dall’Udc. Credo sia un dovere di tutti mobilitarsi in favore della libertà religiosa e, in questo momento in particolare, testimoniare solidarietà e vicinanza ai cristiani perseguitati nel mondo. Molti di loro in diversi paesi stanno sacrificando la propria vita e questo non deve rimanere senza eco. Questa nostra manifestazione fa proprie le accorate parole di Papa Benedetto XVI e il suo forte appello. Mi auguro che l’iniziativa trovi adesione in moltissimi in Italia senza barriere di partito e di ideologia». Con queste parole Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia e vice presidente del Pdl, si schiera contro le barbare persecuzioni ai danni dei cristiani in India e a favore di un forte segnale di condanna da parte dell’occidente.
Presidente, non crede che il problema della persecuzione dei cristiani sia stato sottovalutato in Occidente? Francamente credo proprio di sì. E ne sono rattristato e amareggiato. Quanto sta accadendo in questi giorni in India è riprovevole e mi aspettavo delle reazioni più dure, non tanto in Italia, dove a dire il vero sia la Farnesina sia la politica si stanno muovendo molto bene per condannare questi inaccettabili accadimenti, ma dall’opinione pubblica mondiale. Mi aspettavo una manifestazione di solidarietà unanime da parte dei governi e degli organi d’informazione occidentale che, invero, non c’è stata. Se fossero stati uccisi dei musulmani, però, si sarebbe scatenato l’inferno mediatico oltre che diplomatico. E sarebbe stata una reazione giusta e con-
divisibile. Deve esserlo, o meglio, doveva esserlo fin dal primo momento, anche per questi eventi sanguinosi e inaccettabili che hanno avuto come vittime numerosi cristiani. Quali dovrebbero essere, a suo avviso, le reazioni dei governi Occidentali? Di dura, durissima condanna nelle sedi nazionali e internazionali. Auspico una presa di posizione formale da parte del nostro governo e da parte dell’Unione Europea mediante una nota della presidenza della Commissione. Tuttavia, secondo fonti Ue, nel prossimo Consiglio europeo di Bruxelles in agenda per lunedì prossimo non si parlerà di quanto sta accadendo in India Questa notizia, se confermata, evidenzie-
nessuno tocchi abele
30 agosto 2008 • pagina 5
Davanti alle morti indiane, parlare è un obbligo
Perché l’Onu tace sui crimini contro i cristiani? di Justo Lacunza Balda segue dalla prima
vita ad una denuncia aperta. Sergio Belardinelli, Professore ordinario di Sociologia Aderisco alla vostra iniziativa. Giorgio Israel Persona significa relazione e la relazione non esiste senza reciprocità. I cristiani hanno sempre testimoniato che la persona è relazionalità reciproca. Credo che, indipendentemente da tutte le tradizioni culturali e religiose, questo sia un messaggio da universalizzare. In secondo luogo, va sottolineato che la libertà religiosa è costitutiva della persona umana: non esiste libertà senza libertà religiosa. Chi cerca di concupire
rebbe uno sbaglio enorme e grave da parte dei governi dell’Ue e della presidenza di turno del Consiglio. Continuo a sperare in una nota ufficiale e spero che le tante voci che, specialmente in Italia, si stanno levando a condanna di questi tragici fatti facciano sì che la prossima settimana il Consiglio europeo ne parli e prenda provvedimenti formali. Il Cardinale Bagnasco, presidente della Cei, si è detto amareggiato perché non vede «particolari reazioni di sincero sdegno, di condanna e di richiamo» rispetto ai tragici fatti accaduti in India Bagnasco ha ragione a sottolineare la quasi totale assenza di prese di posizione ufficiali e la debolissima eco che hanno avuto in questi giorni i magici fatti avvenuti in India. È da anni che, in tutto il mondo, i cristiani sono vittime di attentati e violenze a «causa» della loro fede: occorre reagire con forza e con decisione. A parte l’iniziativa di liberal, che ha ottenuto appoggi bipartisan, i me-
tale diritto non ha compreso la centralità della persona e il suo diritto essenziale. Per questo aderisco al vostro appello. Giuseppe Bertagna, Professore ordinario di Scienze della Formazione La vostra è un’ottima idea, che sostengo. È una buona iniziativa, che richiama tutti a prendere iniziative di reciprocità. Un conto è porgere l’altra guancia, ma qui parliamo anche di rapporti fra gli Stati. Non è accettabile avere rapporti bilaterali con Paesi che impediscono la libertà di culto, non solo per i cristiani. Bisogna investire di questo compito non solo chi produce la legislazione, ma anche governo e diplomazia. Carlo Ripa di Meana
dia italiani rubricano la notizia in secondo ordine. Sono contento della vasta adesione bipartisan che c’è stata all’appello di liberal anche perché un tema del genere non ha nulla di unilaterale. Ho appreso con piacere che anche l’ex presidente del consiglio Romano Prodi e il sindaco di Roma Gianni Alemanno hanno aderito convintamene alla fiaccolata in piazza Montecitorio. Per quanto riguarda la totale assenza d’eco che la stampa ha dato alla faccenda, credo che l’opinione pubblica abbia già da tempo una concezione molto bassa della credibilità dell’informazione italiana. Il guaio è che questa è sempre più bassa. Lei ci sarà il 10 settembre in piazza Montecitorio? Avevo già preso degli impegni istituzionali per quella data, ma farò il possibile per esserci, anche spostando qualche appuntamento.
Come sta succedendo in tanti luoghi del mondo dove la morsa della tirannia attanaglia milioni di persone e le riduce alla schiavitù. Nei nostri tempi è cresciuta l’indifferenza davanti alla questione vitale della libertà religiosa. Senza renderci conto che è in gioco la nostra libertà, che permette il rispetto della dignità umana e il progresso di un dialogo globale. Come mai si parla tanto di “costruire la pace” e non si affronta il problema cruciale della libertà religiosa? Nessuno nega che sia un problema ingombrante nell’era della laicità, del laicismo o, se vogliamo dirlo apertamente, del secolarismo antireligioso. È arrivato il momento, però, in cui tacere diventa una colpa grave e parlare un obbligo civile. È una sfida morale da prendere molto sul serio, è un imperativo categorico per tutti gli Stati che non devono più eludere la questione. Senza eccezione. Le comunità cristiane sparse per il mondo, e in particolare nei Paesi a maggioranza musulmana, non chiedono privilegi statali, non vogliono nemmeno l’invio di missili e cacciabombardieri, non aspettano sottomarini e navi di guerra. Chiedono una cosa sola: che gli Stati riconoscano e difendano la loro libertà religiosa. Non possiamo continuare in Occidente a vantarci dei nostri sistemi democratici e a chiudere occhi e bocca davanti alla malvagità e ai crimini commessi ogni giorno nel mondo contro i cristiani.
manifestazioni e dichiarazioni pubbliche. Allora c’è da chiedersi perché tacciono i governi dei Paesi europei davanti ai milioni di cristiani che soffrono violenze, sono perseguitati, vengono imprigionati e sono torturati? Separazione dei poteri? Separazione tra “religione”e “Stato”? Assolutamente no. Semplicemente paura istituzionale, mancanza di coraggio civile, indifferenza endemica davanti alla libertà religiosa. In definitiva, gli Stati europei non sono disposti a difendere i diritti umani dei cristiani in materia religiosa in qualsiasi parte del mondo. Perché farlo per i diritti dei cristiani in Sudan, Arabia Saudita, Pakistan, India?
I governi mondiali hanno dimenticato, e questo è molto grave, che la libertà di culto è un diritto sancito anche nella Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu. E che sono gli Stati che devono applicare i provvedimenti votati e approvati. A chi come me ha dedicato gran parte della vita a conoscere il mondo musulmano, poi, viene alla mente un’altra domanda. Ma dove sono finiti gli intellettuali musulmani che in Europa tanto predicano e rivendicano la libertà religiosa? Come mai tacciono i difensori, musulmani e non, dell’Islam moderato? Quando faranno sentire la loro voce per difendere la libertà religiosa dei cristiani nei Paesi a maggioranza musulmana? Si parla molto di islamofobia, ma è ora che si cominci a parlare seriamente anche di cristianofobia. La democrazia, la libertà e il diritto non hanno paura del confronto, del dialogo e sopratutto dei fatti. Anzi, ogni forma di dialogo deve essere orientato verso un miglioramento della società nel suo contesto plurale. Ma per addentrarsi in questo arduo cammino è necessario conoscere i fatti, evitare ogni strumentalizzazione della realtà e lasciare le polemiche ideologiche. Infatti, solo “intervistando” il volto reale della storia si può favorire il progresso, difendere la libertà e costruire la pace dell’umanità. Domani potrebbe esere troppo tardi. I cristiani dell’India e di tanti altri Paesi meritano, almeno una volta, che si rompa il silenzio.
Si parla molto di islamofobia, ma è ora che si cominci a discutere anche di cristianofobia. I cristiani meritano che si rompa il silenzio
Ma se lo stesso succedesse ai musulmani, ai buddisti o agli indù nei Paesi europei, quale sarebbe l’atteggiamento dello Stato? I rappresentanti delle istituzioni farebbero a gara per difendere il diritto alla libertà religiosa con
Rettore emerito del Pontificio Istituto di Studi arabi e di Islamistica
pagina 6 • 30 agosto 2008
politica
L’ex premier teme l’uso strumentale del caso per approvare una legge sulle intercettazioni
Prodi: no alla solidarietà di Berlusconi di Franco Insardà
d i a r i o ROMA. Temo Berlusconi anche se porta doni. Così potrebbe intitolarsi l’atto unico, che ieri ha riportato alla ribalta Romano Prodi, dopo essere caduto nella rete delle intercettazioni. Incassate senza eccessiva commozione le parole di solidarietà di Berlusconi, l’ex premier, che di cucina s’intende, ha fiutato puzza di bruciato. E la solidarietà del presidente del Consiglio, la respinge al mittente: «È l’ennesima ripetizione di un copione già visto. È grave che ciò accada e il Parlamento deve sollecitamente intervenire per evitare il perpetuarsi di tali abusi che tanto profondamente incidono sulla vita dei cittadini e sulle libertà fondamentali». Anzi ci ha tenuto a rilanciare subito: «Non ho alcuna contrarietà al fatto che tutte le mie telefonate siano rese pubbliche. Vista la grande enfasi e, nello stesso tempo, l’inconsistenza dei fatti a me attribuiti da Panoramanon vorrei che l’artificiale creazione di questo caso politico alimentasse il tentativo o la tentazione di dare vita, nel tempo più breve possibile a una legge sulle intercettazioni telefoniche che possa sottrarre alla magistratura uno strumento che in molti casi si è dimostrato indispensabile per portare in luce azioni o accadimenti utili allo svolgimento delle funzioni che le sono proprie». Una posizione chiara che è in linea con quella espressa dal responsabile giustizia dell’Udc, Michele Vietti: «È ipocrita scandalizzarsi ogni volta che vengano rese pubbliche conversazioni private e poi non far nulla per varare una nuova legge. Non mi pare che la pubblicazione delle intercettazioni di Prodi aggiunga o tolga nulla all’annoso dibattito sulla necessità di modificare finalmente la legge sulla materia. L’Udc è pronta in Parlamento a fare la sua parte per una soluzione - conclude Vietti che contemperi le esigenze di riservatezza e delle indagini».
Il caso è scoppiato con la pubblicazione su Panorama delle telefonate di Alessandro Ovi, fido collaboratore di Prodi, intercettato dai magistrati di Bolzano che indagano sulla presunta tangente pagata dalla Siemens per ottenere l’acquisto dell’Italtel. I pm di Bolzano hanno ricevuto una serie di conversazioni in cui Prodi viene intercettato a parlare con Ovi mentre i due studiano il modo di aiutare Luca, nipote dell’allora premier e giovane azionista di minoranza di una società. Alessandro Ovi viene pure intercettato per ”sbloccare finanziamenti pubblici ri-
d e l
g i o r n o
Udc: Cesa dice no all’ingresso nel Pdl Corteggiata da entrambi gli schieramenti, ma ancora indecisa. Cresce il forcing attorno all’Udc, che per il momento si nega, per bocca del suo segretario, Lorenzo Cesa. «Se l’offerta è quella di entrare nel Pdl noi rispondiamo di no perchè ci saremmo già entrati qualche mese prima delle elezioni – fa sapere il leader centrista – E con Veltroni dialogo in Parlamento. Punto e basta, senza equivoci di natura politica». Per le elezioni amministrative l’Udc deciderà ’caso per caso’, lasciando ’molta autonomia’ ai comitati locali.
Fitto: tempi lunghi per il federalismo
Dopo la pubblicazione delle intercettazioni che riguardano Prodi Silvio Berlusconi sollecita l’intervento del Parlamento rare una legge che blocchi realmente questo gioco al massacro».
Per Michele Vietti: «L’Udc è pronta a fare in Parlamento la sua parte per una soluzione che contemperi le esigenze di riservatezza e delle indagini» chiesti dal consuocero di Prodi, Pier Maria Fornasari”, primario dell’istituto ortopedico Rizzoli di Bologna. Le telefonate sono state trasmesse alla procura di Roma che ha aperto un fascicolo privo di ipotesi di reato e di indagati. Ovviamente la giornata è stata caratterizzata da un fuoco di fila di dichiarazioni che, attardatesi poco sulla solidarietà verso l’ex leader dell’Ulivo, sono corse subito al punto: la legge sulle intercettazioni. Per il presidente dei deputati del Pdl, Fabrizio Cicchitto, si evidenzia «un unico dato, e cioè che rispetto alla quotidianità della gestione politica e amministrativa nessuno può dare lezioni. Certamente - aggiunge Cicchitto - non potranno alzare la voce quei farisei che su alcune intercettazioni hanno imbastito attacchi politici e un autentico linciaggio in sede Rai con procedure medioevali di scientifica distruzione della privacy. Siamo sempre in tempo per va-
E Giulia Bongiorno, presidente della Commissione giustizia della Camera, ricorda che si ripartirà dal testo messo a punto dal ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e che, per quanto la riguarda, non sarebbe contraria a prevedere la detenzione come sanzione per chi pubblica i testi delle conversazioni secretate. «Nessuno vuole mettere il bavaglio a nessuno - precisa la Bongiorno - ma vogliamo dire no all’informazione parziale e distorta che si crea quando, come nel caso di Prodi, si estrapolano frammenti di un discorso da un contesto non ancora valutato dai magistrati. Una pubblicazione che già con la legge attuale sarebbe punibile perché rientra nella fattispecie di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale». In difesa dell’ex premier scende in campo anche Gad Lerner che scrive sul suo blog: «Cercano di infangarlo – conclude Lerner – proprio quando l’Onu potrebbe assegnargli un incarico che lo porterà ancora più lontano dalla politica italiana». Piero Fassino, altra vittima illustre delle intercettazioni, nel corso di una affettuosa conversazione telefonica, ha espresso a Prodi tutta la sua solidarietà per il vergognoso attacco a opera di alcuni organi di stampa a lui e ai suoi più stretti collaboratori. Prodi non abbocca, insomma, e fa le viste di gustarsi il panorama con scaltro distacco. L’amico ritrovato, vittima di eccessi polizieschi, stavolta ha fatto a tutti uno scherzo da prete.
Il ministro per gli Affari Regionali, Raffaele Fitto, dichiara che per l’attuazione del federalismo fiscale serviranno ’tempi piu’ lunghi’ del previsto. Rispetto al testo attuale, a suo giudizio, bisognerebbe «lavorare su quella che sarà la fase di transizione, sulla sua tempistica. Bisogna avere più flessibilità, tempi più lunghi: questo può agevolare l’attuazione del federalismo fiscale nel Mezzogiorno». Frenata anche sui governatori, che chiedono competenze specifiche su dodici materie amministrative.
Intesa tra Berlusconi e Gheddafi Nonostante restino da limare ancora alcuni dettagli, l’accordo di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia è stato chiuso. Secondo fonti governative, il premier Silvio Berlusconi volerà oggi a Bengasi per incontrare il leader libico Muammar Gheddafi per siglare un protocollo d’intesa valido per i prossimi 25 anni, che prevede impegni di spesa annuali. Gruppi di lavoro misti, italo-libici, lavorreranno alla definizione degli ultimi particolari rimasti in sospeso.
Piazza Affari: bene banche e energetici Il brutto momento di Wall Street non intacca il rialzo di Piazza Affari, che archivia l’ultima seduta della settimana con un trend favorevole. Il Mibtel guadagna infatti lo 0,7 per cento a 22.240 punti, l’S&P/Mib chiude registrando un recupero dello +0,57 per cento a 28.789 punti e l’All Stars segna +0,67 per cento a 12.355. Complice la fine di agosto, aumenta il volume degli scambi, oggi superiori a 3,1 miliardi di controvalore. Buoni dati confortano anche le altre piazze europee, nonostante i dati deludenti su redditi personali e consumi ad agosto negli Stati Uniti, che stanno influenzando al ribasso Wall Street. Tra i titoli, segnali positivi anche per il comparto bancario e gli energetici. Bilancio positivo anche per le telecomunicazioni e i titoli del lusso ancora in rialzo.
Rai-Lega Calcio: ritornano le partite A poche ore dal fischio d’inizio, il cardiopalma da prepartita è rientrato nei valori consueti. La Lega Calcio ha trovato l’accordo con le emittenti radiotelevisive. La Rai potrà dunque trasmettere in chiaro le azioni salienti della serie A nella consueta fascia pomeridiana, e in forma non esclusiva, in quella serale. Compresi nel pacchetto acquistato da viale Mazzini anche gli highlights di serie B e i diritti radiofonici di Tutto il calcio minuto per minuto, per una cifra complessiva attorno ai cinquanta milioni di euro per i prossimi due anni. «Il presidente della Lega Nazionale Professionisti On. Antonio Matarrese e il presidente del Consiglio di Amministrazione della Rai Claudio Petruccioli – spiega la nota della Rai – si sono incontrati oggi alle ore 16 presso la sede della Rai in Viale Mazzini 14. Sulla base degli esiti risultanti dal lungo e approfondito confronto in sede tecnico-amministrativa hanno raggiunto un accordo sui diritti audiovisivi in chiaro relativi ai campionati 2008/2009 e 2009/2010».
usa 2008
30 agosto 2008 • pagina 7
John McCain ha scelto: il candidato repubblicano alla vicepresidenza è la 44enne governatrice dell’Alaska
Sarah Palin, l’anti-Hillary di Andrea Mancia
d i a r i o ohn McCain ha scelto: la candidata repubblicana alla vicepresidenza è Sarah Palin. Giovane (44 anni, quattro in meno di Barack Obama), al secondo mandato come governatore dell’Alaska, carismatica e popolare (i suoi indici di gradimento sfiorano l’90 per cento), anti-abortista (è madre di cinque figli, di cui uno down), tesserata della National Rifle Association, ex atleta (ancora corre la mezza-maratona), ex beauty queen (è arrivata seconda nel concorso del 1984 di Miss Alaska ed è anche stata in copertina su Vogue), la Palin sembra la scelta perfetta per tranquillizzare la base conservatrice del partito repubblicano. E magari per puntare a conquistare una parte di quell’elettorato femminile deluso per la mancata scelta di Hillary Rodham Clinton da parte di Barack Obama.
J
Prima donna a diventare governatore dell’Alaska. Governatore più giovane dello stato. Fred Barnes del Weekly Standard definisce Sarah Palin «un’esponente politico di strabiliante integrità» e racconta la sua ascesa come «una storia di grande (e rara) fedeltà ai propri princìpi»
Sarah Palin nasce a Sandpoint (Idaho), ma la sua famiglia si trasferisce in Alaska quando lei ha appena un anno. Abituata fin da piccola all’attività sportiva (caccia all’alce compresa), gioca a basket al liceo, fino a diventare capitano della squadra, i Wasilla High School Warriors, in cui le viene affibbiato il nickname di “Sarah Barracuda” per il suo atteggiamento aggressivo in campo. Nel 1984, dopo aver vinto un concorso di bellezza (Miss Wasilla), arriva seconda a Miss Alaska: il premio le serve per pagarsi gli studi alla University of Idaho, in cui ottiene la laurea in giornalismo e scienze politiche. Subito dopo il college, Sarah sposa suo marito Todd, di origine esquimese, che diventerà poi un campione di corse di snowmobile (ha vinto quattro volte consecutive la “Iron Dog”). Dopo il matrimonio, lavora per qualche anno in una stazione televisiva di Anchorage e conduce una vita normalissima, a parte la passione per gli hamburger d’alce, le snowmobile e gli aerei in grado di atterrare sull’acqua. I dettagli sulla sua vita privata sono senza dubbio quello che colpisce di più i media, nel giorno della sua nomina a candidato alla vicepresidenza, ma è quando sceglie di abbracciare la carriera politica che Sarah Palin dimostra davvero di che pasta è fatta. Appena entrata nel consiglio comunale di Wasilla (dove resterà per quattro anni), si fa subito notare per le proprie battaglie contro la corruzione. Nel 1996 sfida il sindaco uscente con programma anti-tasse ed anti-sprechi. Vince largamente, mantiene tutte le sue promesse elettorali - compresa una riduzione del 60 per cento delle tasse sulle proprietà - e viene rieletta nel 1999 con un margine ancora più ampio. Nel 2002, corre - senza successo - per il posto di vicegovernatore (che in molti stati americani viene eletto in elezioni separate rispetto a quelle per il governatore). Quando, l’anno successivo, il senatore repubblicano Frank Murkowski si dimette per diventare governatore, Sarah sembra in prima fila per la successione, ma Murkowski alla fine le preferisce la propria figlia Lisa. Il nuovo governatore la nomina Commissario della Alaska Oil and Gas Conservation Commission, in cui la Palin resterà dal 2003 al 2004, quando si dimette per protestare contro la «mancanza di etica» alcuni suoi colleghi repubblicani, che hanno sfruttato lo storico domi-
d e l
g i o r n o
India, ricoverato il Dalai Lama Il capo spirituale dei tibetani è stato ricoverato in un ospedale di Bombay per «dolori addominali». Il Dalai Lama si trova in uno «stato stabile e non vi sono motivi di preoccupazione», ha affermato venerdì la direzione della clinica Lilavati. Il ricovero è avvenuto giovedì. Ieri il leader del Tibet in esilio si sarebbe dovuto sottoporre a esami clinici. Secondo l’equipe medica che lo assiste il Dalai Lama avrebbe bisogno soltanto di riposo. Nel frattempo decine di monaci e monache si sono riuniti per una seduta speciale di preghiera nel tempio principale di Dharamsala. «Quando giungono notizie di questo tipo, tutti i tibetani si preoccupano. Siamo inquieti per il futuro del Tibet», ha detto Tenzin Tsundue militante della causa del Paese “tetto” del mondo.
Afghanistan, in calo la produzione dell’oppio A volte le buone notizie arrivano anche da Kabul. La pressione esercitata sui contadini e una grande siccità, hanno fatto scendere il livello della produzione del papavero e di conseguenza quella degli oppiacei in Afghanistan. I dati pubblicati dalle Nazioni Unite rivelano che 18 delle 34 province del Paese sono libere dall’oppio. Sempre secondo quanto affermato dall’ufficio dell’Onu per la lotta al crimine e le droghe, l’economia degli stupefacenti è ancora forte nelle province controllate dai talebani. Il 2007, con 193mila ettari di papavero, tra cui 157mila per la produzione di oppio, è stato l’anno di massima coltivazione. La produzione di oppio però è calata del 6 percento, passando da 8200 a 7700 tonnellate.
Ex Jugoslavia, Karadzic non collabora
Quattro anni più giovane di Obama, carismatica e popolare, anti-abortista e pro-gun. Scelta anche per rassicurare la base del Gop
nio del Gop nello stato per il proprio tornaconto personale.
Dopo le dimissioni, da vita ad uno scontro politico violentissimo con il capo del partito in Alaska, Randy Ruedrich, ma anche con l’ex attorney general dello stato, Gregg Renkes, anche lui repubblicano. Sarah vince su tutta la linea e i due sono costretti a dimettersi. È il momento di provare il “salto di qualità”: nel 2006 la Palin si candida alle primarie repubblicane per il posto di governatore. Ha contro tutto l’establishment del partito. E il suo avversario è proprio il potentissimo ex senatore Murkowski. A sorpresa, vince le primarie. E poi batte anche il rivale democratico Tony Knowles, malgrado le difficoltà del Gop nelle elezioni di mid-term e una disponibilità di fondi nettamente inferiore a quella del suo avversario. In un ciclo elettorale disastroso per il partito repubblicano, Sarah diventa la prima “governatrice” della storia dell’Alaska (oltre che la più giovane). E la sua stella inizia a splendere anche a livello nazionale. Nei primi due anni del suo mandato, la Palin mantiene fede al suo programma anti-corruzione e riesce praticamente a “rifondare”il partito repubblicano dell’Alaska: blocca il progetto del celebre “ponte verso il nulla”, che era diventato un simbolo nazionale degli sprechi e della corruzione nella burocrazia. Proprio in quei giorni, Fred Barnes del Weekly Standard la definisce «un esponente politico di strabiliante integrità» e racconta la sua ascesa come «una storia di grande (e rara) fedeltà ai propri princìpi». Nel 2007, il suo indice di gradimento nei sondaggi sfiora il 90 per cento. Il resto è storia. E potrebbe, il 4 novembre, diventare Storia.
L’ex leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic non si è presentato ieri davanti ai giudici del tribunale penale internazionale dell’Aja. Il procuratore aveva presentato undici punti di accusa contro l’ex poeta di Pale, tra cui genocidio e crimini contro l’umanità. Karadzic che ha promesso di difendersi da solo, dopo aver rifiutato di dichiarasi colpevole o innocente è stato dichiarato «non colpevole» dal giudice Iain Bonomy. La prossima udienza di un processo che si annuncia lungo, si terrà il 17 settembre. Il presunto criminale di guerra era stato arrestato il 21 luglio dai servizi di sicurezza serbi e consegnato in seguito al tribunale dell’Aja.
Sri Lanka, scontri causano 30 morti Secondo quanto affermato da un portavoce dell’esercito, in seguito a scontri nel nord del Paese, le truppe governative avrebbero conquistato i distretti di Vavuniya, Mullaitivu, cosi come Kilinochchi roccaforte dei ribelli delle Tigri di liberazione del Tamil Eelam, (Ltte). Tutte località situate a 300 km a nord della capitale Colombo. Dopo l’annuncio di gennaio della fine della tregua con il Ltte, i militari hanno iniziato una serie di offensive contro i ribelli. Secondo quanto dichiarato dall’esercito, in questi mesi le forze armate avrebbero strappato numerosi importanti punti strategici. Il Ltte dal 1983 lotta per uno Stato indipendente nelle zone a maggioranza tamil. Nella guerra civile sarebbero morte finora 800mila persone.
Belgio, incidente in un laboratorio nucleare Secondo informazioni fornite dalla commissione europea, da un laboratorio nucleare belga sarebbe fuoriuscito materiale radioattivo. Le autorità del centro di ricerca Fleurus hanno preso provvedimenti che dovrebbero impedire danni maggiori. Il materiale fuoriscito sarebbe lo Jod, affermano fonti della Commissione. Secondo le informazioni delle autorità, la vendita della produzione locale di verdura e latte sarebbe stata limitata.
Tunisia, rimpasto nel governo Il presidente tunisino Zine El Abidine Ben Ali ha effettuato un cambio parziale del suo governo, allontanando dall’esecutivo sei ministri economici e sociali, tra cui due con portafoglio che riguardano il lavoro e i giovani. Il rimpasto è stato annunciato dal Primo ministro Mohamed Ghannouchi, che rimane al suo posto cosi come i ministri più importanti del governo.
pagina 8 • 30 agosto 2008
mondo
Caucaso in piena crisi diplomatica, in attesa del vertice della Ue di lunedì. Telefonata Putin-Berlusconi
Tbilisi-Mosca, è rottura formale di Enrico Singer a Georgia ha rotto le relazioni diplomatiche con la Russia. Dopo le mosse di Putin che ha inviato i suoi carri armati nel territorio georgiano e poi ha riconosciuto l’indipendenza di Ossezia del Sud e Abkhazia, è uno sviluppo forse scontato. Ma che drammatizza la vigilia del vertice della Ue che si terrà lunedì a Bruxelles. La riunione straordinaria dei capi di Stato e di governo dei Ventisette è stata chiesta da Polonia, Repubbliche baltiche e Gran Bretagna che sono anche i Paesi che spingono con maggior decisione perché l’Europa assuma una posizione più dura nei confronti di Mosca. Qualcuno ha parlato anche di possibili sanzioni, ma la presidenza di turno francese della Ue, ieri, ha fato sapere che «l’ora delle sanzioni non è ancora arrivata» e che le relazioni bilaterali UeRussia saranno piuttosto «messe sotto sorveglianza».
L
La linea europea sarà quella di avvertire la Russia che, fino a quando non sarà applicato l’accordo in sei punti che Nicolas Sarkozy aveva concordato con
Putin e con il georgiano Saakhasvili, i rapporti con Mosca «non potranno andare avanti come se nulla fosse successo», come hanno detto ieri fonti ufficiali a Parigi. E c’è anche una scadenza: fino al prossimo vertice bilaterale tra la Ue la Russia, in calendario per il 14 novembre a Nizza, iVentisette valuteranno il comportamento del Cremlino, poi prenderanno nuove decisioni. Questa, almeno, è la posizione che raccoglie il consenso della maggioranza dei Ventisette. Ma che non fa ancora l’unanimità. Secondo quanto ha scritto ieri il giornale russo Kommerzant che interpreta le posizioni degli ambienti industriali di Mosca, sul tavolo del vertice Ue ci sarebbero due progetti di risoluzione: uno polacco e uno italiano. Quello polacco, naturalmente, è il più duro e conterrebbe la richiesta di sanzioni commerciali e finanziarie contro la Russia. Il progetto di risoluzione attribuito da Kommerzant all’Italia è definito «più sfumato» e porrebbe l’accento sulla necessità del ritiro delle forze russe da tutto il territorio georgiano compresi il porto di Poti e le due
La nave della Marina Usa “Dallas” nel porto georgiano di Batumi dove ha scaricato aiuti umanitari ”fasce di sicurezza” che Mosca ha creato attorno ai confini delle regioni secessioniste - e garanzie che «quanto è avvenuto in Georgia non si ripeta più».
Se le fonti russe parlano del ruolo che l’Italia avrebbe deciso di giocare in sede Ue, ci sono anche fonti americane - di parte
democratica - che ipotizzano la possibilità di una mediazione diretta di Silvio Berlusconi nella crisi georgiana. E spiegano così l’incontro che il vicepresidente Usa, Dick Cheney, avrà la prossima settimana a Roma con il premier italiano a conclusione del viaggio che lo porterà in Azerbaigian, Gergia e Ucraina.
La Cina alla testa del gruppo di Shanghai delude Medvedev: no alla violazione delle frontiere
Pechino sconfessa Putin di Francesco Cannatà nviolabilità delle frontiere internazionali e rinuncia all’uso della forza. Sostanziale e netto il mancato sostegno dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai al comportamento del Cremlino. Anche il passo voluto da Medvedev si è rivelato una pillola amara per il presidente russo. L’apprezzamento del «ruolo attivo» di Mosca per la risoluzione del conflitto riguarda il momento diplomatico e si basa sul piano in sei punti sottoscritto da Sarkozy e Medvedev. Ciò che invece il vertice di Dushambé riporta in primo piano è la questione dei rapporti tra Mosca e Pechino e quella della razionalità della politica estera, il principio della «multivettorialità diplomatica», del grande Paese slavo e ortodosso. Dopo quanto successo in Georgia, anche il vostochnyj vektor, il vettore orientale, non sembra però voler alleviare l’isolamento russo.
I
Le conclusioni del summit dimostrano che allontanandosi dall’occidente la “democrazia” russa, non guadagnerà in “sovranità”, al contrario. Il confronto non sarà più con la confusa gentilezza di un occidente
diviso, ma con la forte diplomazia dell’Impero di mezzo più che mai deciso a sfruttare ogni occasione per diventare il solo interlocutore di Washington. Come nel 2005, con le manovre militari congiunte russo-cinesi rivelatesi un trionfo per la diplomazia di Pechino, nel 2008 il summit di Dushambé è stata l’altra prova che allontanandosi dall’occidente gli interessi russi entrano nella sfera d’influenza “gialla”e si piegano a quelli cinesi. Zbigniew Brzezinski, scrivendo che proponendosi come alternativa all’occidente, la Russia sarebbe diventata subalterna ai piani cinesi, aveva visto bene. Quanto avviene in Asia centrale, dove Pechino non vuole semplicemente espandersi economicamente ma punta a diventare la forza dominante della regione, è esemplare. Già piena di contraddizioni, dopo gli avvenimenti georgiani e l’isolamento occidentale la politica russa verso la Cina finirà per perdere iniziativa e originalità. Del resto in un vero confronto con Pechino, per Mosca non ci sarebbe partita. Se l’economia russa è cinque volte inferiore, popolazione e produzione industriale sono rispettivamente un decimo e un trentesimo
di quella cinese. Affermando di essere un polo autonomo del «Grande occidente» da prendere in considerazione in quanto tale, Mosca non ha nella Cina un punto di riferimento politico-culturale.
Al contrario la federazione russa, impressionata dal messianismo americano, dalla sua volontà di potenza e dai suoi tentativi di guidare il mondo, vede negli Usa il modello. Non a caso il Cremlino ha la propria guerra al terrorismo, parla di guerre preventive e teorizza un suo «asse di Paesi nemici», senza però avere i mezzi economici e militari Usa. Persino il neoconservatorismo russo, ispirandosi a quello americano svolge un pensiero nel quale la ricerca perenne di consenso e compromesso è vista come debolezza. «Cessando di essere una grande potenza, la Russia ha l’opportunità di diventare un Paese europeo», parole di Dimitri Trenin smentite dal riconoscimento russo di Abkhazia e Ossezia del sud. Oggi Mosca e Bruxelles sono condannate a vivere in tempi politici differenti. L’Europa post-moderna del XXI secolo è di fronte al dilemma della Russia pre-moderna del XIX.
Ufficialmente la Casa Bianca ha annunciato soltanto la tappa italiana - precisando che Cheney interverrà anche al meeting di Cernobbio dello Studio Ambrosetti - limitandosi a dire che nell’incontro con Berlusconi «saranno affrontati temi di cumune, reciproco interesse». Ma a Washington c’è chi è convinto che i rapporti personali tra Berlusconi e Putin e lo stesso «profilo basso» tenuto dal governo italiano nei confronti di Mosca potrebbero favorire un ruolo di mediazione. Ipotesi che sembrerebbe confermata dalla lunga telefonata di ieri tra Berlusconi e Putin riferita dal Cremlino. Ma dall’Abkhazia e dall’Ossezia del Sud continuano ad arrivare notizie del progressivo radicamento delle truppe russe. Il 2 settembre, proprio il giorno dopo il vertice europeo, dovrebbe essere firmato un accordo di assistenza militare tra Mosca e le capitali delle due regioni separatiste. La mossa è destinata a scatenare nuove polemiche con la Georgia e con la comunità internazionale che riconosce l’integrità territoriale del Paese caucasico. Ma, per Mosca, è parte della strategia diretta a dare comunque una qualche forma di riconoscimento giuridico all’autoproclamata indipendenza di Ossezia del Sud e Abkhazia che è stata, finora, riconosciuta soltanto dalla Russia. Fallito il tentativo di ottenere il riconoscimento dalla Cina e dalle ex Repubbliche asiatiche dell’Urss, Putin sembra avere convinto almeno il fidato presidente bielorusso, Aleksandr Lukashenko, che sarebbe sul punto di annunciarlo.
A
otto pagine per cambiare il tempo d’agosto
c c a d d e
o g g i
30
agosto 30 a. C.
Cleopatra non voleva essere trascinata a Roma come schiava
Un aspide per la morte della regina d’Egitto Di Pier Mario Fasanotti
rdinò che entrasse nella sua enorme camera da letto un servo con un canestro pieno di fichi. La sua mano frugò tra i frutti e afferrò il serpente, poi lo accostò al seno, che era la parte più bella del suo magnifico corpo. Era il 30 agosto del 30 avanti Cristo. Con la morte di Cleopatra, che aveva 39 anni, finì la dinastia dei Tolomei e scompariva il millenario regno degli Egizi. La terra dei Faraoni fu inglobata nell’impero di Roma. La donna che era stata l’amante prima di Giulio Cesare e poi di Marco Antonio, non riuscì a sedurre Cesare Ottaviano Augusto. Il nuovo e incontrastato padrone del mondo, con la corazza sfavillante e l’elmo piumato, ebbe un colloquio risolutivo con la più seducente tra le donne, la più ambiziosa, ma non si piegò al suo sbattere di ciglia come molti altri potenti della terra fecero. Sapeva che il suo destino era a Roma, solo a Roma, dove l’aspettavano la moglie Livia e la sorella Ottavia, e non ad Alessandria. Pare che Ottaviano si fosse mostrato calmo, ma anche attento a non posare troppo a lungo lo sguardo sui suoi occhi, per paura che quella Medusa potesse impietrirlo e ridurlo a burattino del suo sconfinato narcisismo. Racconta Plutarco: «Ottaviano trovò la regina sdraiata su un pagliericcio, in un umile stato; ma alla sua entrata lei saltò fuori, in camicia com’era, e corse a gettarglisi ai piedi. I suoi capelli e la faccia erano terribilmente sconvolti, la voce tremava, gli occhi erano infossati, molti segni di strazio apparivano anche sul suo petto: insomma, il suo corpo non stava meglio dell’anima. Ma il fascino irresistibile e la bellezza audace, per cui andava famosa, non si erano spenti del tutto. Benché fosse così ridotta, quel fascino e quella bellezza balenavano dall’interno, chissà da quale recesso del suo animo, e si manifestavano ancora incantevoli nei moti del volto. Ottaviano la invitò a coricarsi, e le sedette accanto. continua a PAGINA II segue da PAGINA I
O
SCRITTORI E LUOGHI
I VIGLIACCHI DELLA STORIA
I SENTIMENTI DELL’ARTE
L’ingenuità secondo Paul Gauguin
L’altra Grecia di Fermor di Filippo Maria Battaglia
di Olga Melasecchi
Vittorio Emanuele III di Mauro Canali
a pagina IV
a pagina VI
a pagina VII pagina I - liberal estate - 30 agosto 2008
Lei cominciò a giustificarsi nell’attribuire quanto aveva fatto alla paura che le faceva Antonio. Ottaviano ribatté punto per punto alla sua autodifesa, e allora lei mutò rapidamente tono e cercò di impietosirlo con le preghiere». ra la sua ultima sfida. Ma la perse.Afferrò allora alcuni fogli sui quali aveva elencato le sue ricchezze e li consegnò al vincitore romano. Uno dei suoi amministratori, l’ex generale Seleuco, l’accusò di nascondere una gran parte di averi. Cleopatra balzò in piedi, lo prese per i capelli e lo colpì in faccia. Ottaviano «sorridendo, cercò di placarla». Il futuro Augusto imperator era una montagna di ghiaccio. Cleopatra capì che non era più suo il posto accanto al dominatore della Terra, come era accaduto con Cesare. Il sogno di emanare decreti dal Campidoglio, accanto a quel Tevere che aveva sempre ridicolizzato paragonandolo con il Nilo, si era frantumato. Secondo alcune ricostruzioni di quelle torride ore egiziane, il pietoso ma anche cinico Ottaviano ricordò un antico epigramma: «Affida la tua nave ai venti, ma non abbandonare la tua anima a una donna. C’è meno sicurezza nella parola di una donna che nei capricci delle onde marine». Cleopatra temeva più di ogni altra cosa di essere trascinata a Roma come schiava, di camminare tra due ali di cives insultanti, di essere esibita come trofeo di guerra. Scelse di darsi la morte, protagonista fino all’ultimo. Fece un lungo bagno, poi adagiò il capo sul morbido corpo di una schiava. La sua fronte era adornata da una striscia di lino, alla maniera di Alessandro Magno. Al centro un diadema macedone. È ancora Plutarco a raccontare: «Dopo molti lamenti e dopo aver inghirlandato l’urna di Antonio, prese una tavoletta sulla quale aveva già scritto qualcosa, e la mandò a Ottaviano. A quel punto licenziò la servitù, tranne le sue donne più fedeli». Finì così il fatale monstrum che i romani avevano sempre visto o con odio o con diffidenza. Nunc est bibendum (ora brindiamo) scrisse Orazio che, nell’immortalare in versi la fine della grande seduttrice, pose in evidenza la sua brama di potere: Deliberata morte ferocior (più feroce lei della morte). E’attendibile la versione dell’aspide che le morde il seno? Il seno o il braccio? Non si conosce la verità e anche il greco Plutarco solleva molti dubbi sul graffio del serpente: «Qualcuno disse che il braccio della regina portava in modo visibile due punture, sia pure sottili e difficili da distinguere. Pare che Ottaviano stesso abbia creduto a questa storia, poiché nella manifestazione del trionfo fece portare l’effigie di Cleopatra in cui
E
Accanto dipinto ottocentesco di Alexandre Cabanel (1823-1889) in cui è ritratta Cleopatra nel suo ruolo di mangiatrice di uomini: la regina assiste agli effetti del veleno sui condannati a morte. 1887 Sotto: rilievo egiziano situato nel tempio di Hator a Dendera, raffigurante il faraone Tolomeo XIV, Giulio Cesare e Cleopatra. 332-30 a. C. Periodo Tolemaico
me proprio emblema. Figlia di Tolomeo XII, Cleopatra nacque nel 69 avanti Cristo, quando a Roma c’era la dittatura di Silla. Salì al trono diciottenne, con il fratellastro Tolomeo XIII al fianco, che alla fine sposò secondo l’usanza dei Faraoni. Cleopatra non era solo bella. Era anche colta. Parlava sette lingue, tra cui l’ebraico, l’aramaico, ovviamente il greco (l’idioma più diffuso nel mondo di allora). Il suo latino non era proprio fluente: lo considerava rozzo, più adatto a quei “contadini” romani che aveva sempre disprezzato. Altra sua dote: la dolcezza della voce. leopatra incontrò Giulio Cesare nell’ottobre del 48 avanti Cristo. Il generale aveva da poco attraversato il Rubicone e sconfitto il rivale Pompeo Magno. Con la morbida veste di console, il generale che aveva conquistato la Gallia e si era proclamato padrone di Roma, sbarcò ad Alessandria. Non tutti gli abitanti erano entusiasti, ma i legionari domarono i tumulti e alla fine appiccarono il fuoco a gran parte della flotta egizia. Le fiamme raggiunsero la città, bruciarono alcuni edifici tra cui la famosa Biblioteca, memoria dell’umanità. Era il bellum alexandrinum. Durò cinque mesi. Cesare aveva in antipatia i nordafricani: «Gente doppia che sempre ad altro pensa, altro simula… una razza molti incline al tradimento». Come far colpo su Cesare? O meglio, come recitava Saffo, «come concedersi apparendo vergine?». Innanzitutto si truccò - era espertissima nell’arte del maquillage cosparse il corpo di un inebriante unguento di giglio. L’entrata in scena fu quanto mai teatrale. Avvolta in un tappeto di Persia, slegò il laccio e uscì dall’involucro come una dea. Sorriso ammaliante, voce eccitata ed eccitante, gli oc-
C
un serpente le mordeva il braccio». Ma la leggenda della ferita mortale al seno, certamente più sensuale e coerente con la vita e il carattere della donna egizia, s’impose su tutte le altre.
mava anche una sorella di Alessandro Magno. Apparteneva alla dinastia dei Tolomei o Làgidi (lago significava “lepre” e Lepre era il capostipite). Sua madre portava lo stesso nome, ma era chiamata anche Trifena (la gaudente). Nacque in una delle più belle città del mondo, Alessandria, che si estendeva lungo una stretta penisola sulla sponda orientale del delta del Nilo. Grandi strade, edifici monumentali in marmo bianco, giardini profumati, filari di rose e di palme, laghetti. Vi abitavano poco più di 500mila persone, molti dei quali erano straccioni, lebbrosi, storpi. Un famoso geografo definì Alessandria “l’emporio del mondo”. Ma era anche chiamata “la regale”, “la
Come fare colpo su Cesare? Si truccò, cosparse il corpo di un inebriante unguento di giglio e, dopo essere entrata avvolta in un tappeto di Persia, slegò il laccio e uscì dall’involucro come una dea Cleopatra VII, fin da ragazzina, aveva il potere innato della seduzione. Simbolo di lussuria, dissero di lei in molti, tra cui il poeta Marco Anneo Lucano. Il suo nome era di origine greca: significa “gloria a suo padre”. Così si chia-
pagina II - liberal estate - 30 agosto 2008
luminosa”, “l’eterna”. Orgoglio della città erano il Faro (sorto nel terzo secolo avanti Cristo, una delle sette meraviglie del mondo) e la Biblioteca, andata in ceneri al tempo di Cesare: conteneva ben 700mila preziosi rotoli (volumina), tra cui le tragedie di Eschilo, Sofocle e Euripide scritte su papiro. Il fondatore della città era stato il mitico Alessandro, che diede l’ordine di fondarla a un architetto di Rodi, quando aveva 25 anni. I resti mummificati del “condottiero di uomini” erano custoditi in un sarcofago di cristallo. Cleopatra, contrariamente a quanto molti immaginano ancora oggi, era esile. Anzi: magra. Aveva però un seno generoso, labbra carnose, zigomi molto pronunciati. E un naso aquilino, che era il suo cruccio. Guardandosi allo specchio pare avesse esclamato più volte: “Vorrei farmelo tagliare”. Era una peculiarità fisica dei Tolomei il naso adunco, tanto che la dinastia aveva finito col scegliere il profilo di un’aquila co-
L
o stesso giorno... nel 1980 La firma dei protocolli di Danzica che, in altre situazioni sarebbe passata come una pratica di ordinaria amministrazione del rapporto governo-cittadini, all’interno dei cantieri “Lenin” è un avvenimento definito la firma di un trattato di pace “tra due poteri sovrani” nosc” pubblicato da Rubbettino - «la firma dei protocolli di Danzica appare agli occhi dell’opinione pubblica mondiale come un evento storico inatteso che racchiude in sé un valore ben più ampio di quanto non possa avere un comune accordo governosindacato. Quella che, in altre situazioni e con altri protagonisti sarebbe passata come una delle pratiche di ordinaria amministrazione del rapporto governo-cittadini, al- le due parti cerca, tramite un confronto dial’interno dei cantieri “Lenin” assume i con- lettico, di conquistarsi uno spazio d’azione». torni di un avvenimento che, senza un’in- Sarà l’inizio di una lunga battaglia che porgiustificata enfasi, è stato definito la firma terà il movimento sindacale ad avere oltre di un trattato di pace “tra due poteri sovra- dieci milioni di iscritti. Ma il regime polacni”. In Polonia il funzionario statale Mieczy- co non resterà di certo a guardare: nel dislaw Jagielski e l’elettrotecnico Lech Wale- cembre 1981 il generale Jaruzelski promulsa si trovano a rappresentare ufficialmente gherà la legge marziale, facendo imprigiola cultura e gli interessi di due realtà che, nare Lech Walesa. Per il movimento saransia pur conviventi sullo stesso territorio geo- no nuovamente mesi di attività clandestigrafico e sia pure risultando all’anagrafe co- na fino a quando – con il crollo del Muro di stituite da identici cittadini dello stesso Pae- Berlino ormai alle porte – il regime deciderà se, nel corso dei precedenti trentacinque an- di negoziare. Nel dicembre 1990, l’elettricini mai sono riuscite a identificarsi: lo Stato sta di Popow, insignito nel 1983 del Nobel e la Nazione. Per la prima volta dalla costi- per la Pace, succederà proprio a Jaruzelski tuzione della Repubblica Popolare Polacca come capo dello stato. La «rivoluzione pail malcelato conflitto tra l’identità naziona- cifica» avrà così trovato il suo approdo nelle e un apparato statale estraneo a essa dà la neonata democrazia e la Polonia potrà filuogo a un incontro nel quale ciascuna del- nalmente dichiararsi davvero indipendente.
In Polonia nasce Solidarnosc di Filippo Maria Battaglia
Statua di Cleopatra VII, regina d’Egitto nelle sembianze di Iside. I secolo a. C. San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage
chi obliqui abbelliti da tratti di verde malachite e nero. Lei stregava con lo sguardo. Cesare dimenticò in un attimo che la regina che aveva sostenuto il nemico Pompeo diventandone amante del figlio, ed esclamò: «Sei una donna audace e folle». E lei di rimando: «So che, da grande romano, tu apprezzi l’una e l’altra virtù». Dopo poche ore divennero amanti. Il condottiero aveva 52 anni, lei 21. Si capirono all’istante e intuirono che i loro destini dovevano intrecciarsi. Cesare era un dongiovanni, di lui si diceva che avesse avuto un gran numero di donne, quasi tutte mogli di altri. Era stato pazzamente innamorato di Servilia, da cui aveva avuto Marco Giunio Bruto, sì proprio il giovane che assieme ad altri lo avrebbe accoltellato davanti al Senato. a tresca fece in giro del mondo. Molti temettero il peggio. Il poeta Lucano si espresse in modo pesante: «L’impurità di Cleopatra è la sventura di Roma, fa tremare il Campidoglio… l’incestuosa figlia dei Tolomei trae la sua audacia fin dalla prima notte che ha passato nel letto del nostro capo». Ma ormai il condottiero s’era innamorato della «bocca che divora», altra frase che bollava la lussuria dell’egiziana dalla pelle ambrata. Molti la paragonarono a Elena, causa della guerra di Troia. L’Egitto intanto si inginocchiò allo strapotere di Roma: 25mila morti e 12mila prigionieri. Dopo la morte in combattimento di Tolomeo, Cesare riportò sul trono Cleopatra. Lui comandava, dietro a lei, suggestionato dalla leggenda di Alessandro Magno del quale invidiava la precoce fortuna. Se il macedone morì a soli 33 anni dopo aver conquistato il mondo orientale, Cesare era giunto alla gloria solo a 52 anni. Il generale visitò l’Egitto e rimase ab-
L
Di per sé, il nome è impronunciabile, eppure è destinato a cambiare la storia di un intero Paese. Il “Niezale˝ny Samorzàdny Zwiàzek Zawodowy”, più semplicemente noto come Solidarnosc, nasce ufficialmente nel settembre 1980. Ma il vero atto di battesimo destinato a sgretolare una delle roccaforti comuniste è la catena di proteste che va in scena a Danzica lungo tutta l’estate di quell’anno. Leader del movimento sindacale polacco è un elettricista che di nome fa Lech Walesa. Il muro che spacca in due Berlino è di là da cadere, ma a Roma, sul soglio di Pietro, è stato già eletto Giovanni Paolo II, che dalla Polonia proviene e che della Polonia conosce la delicata situazione dei cattolici. AVarsavia, invece, guida le redini del partito comunista Edward Gierek, che il 2 giugno 1979 incontra Karol Wojtyla, in visita nella sua terra natale. Il primo viaggio del pontefice è una bomba destinata a innescare reazioni a catena, tra cui, appunto, la nascita del movimento sindacale guidato da Walesa. Dopo settimane di proteste, il 30 agosto 1980 il governo polacco deve prendere atto di una realtà sempre più ingombrante. Il giorno dopo - come racconta il sociologo Vincenzo Bova nel saggio “Solidar-
bagliato dalle piramidi, le “faraoniche sepolture” come le aveva chiamate Erodono. Cleopatra infuocava l’ambizione di un Cesare nato nel misero quartiere romano della Suburra, nel contempo si compiaceva del potere che aveva sulla sua terra e sulle terre governate dall’amante. Si sentiva la “sirena del Nilo”, la “egizia Afrodite”. S’imbarcarono su una nave straordinariamente confortevole per una sorta di viaggio di nozze, fino ai confini con l’Etiopia. Al ritorno era al quinto mese di gravidanza: sarebbe nato Cesarione. Dopo due anni Cesare dovette poi far ritorno nella capitale. Ad accoglierlo una popolazione esultante. Incurante della pazientissima moglie Calpurnia, Cesare fece venire Cleopatra a Roma. Apparve su un trono d’oro posto tra le zampe di una gigantesca Sfinge di pietra. Dietro il corteo 40 elefanti. Gran parte della popolazione dell’Urbe diffidava della “puttanella”, così come l’aveva chiamata Orazio. Si installò in un palazzo lussuoso, ai piedi del Gianicolo. Comunque a Roma si diffuse la moda egiziana, a cominciare dagli obelischi, fatti venire via mare, fino alle piramidi, ai monili, ai dipinti. Anche
se, rifedendosi a Cleopatra, la gente la chiamava “la strega” o “la donzella coccodrillo”.
tatore morì per le 23 coltellate dei congiurati, tra cui c’era anche Bruto. Al momento dell’attentato, Cleopatra era a letto. Cesare, molto accorto, s’era poco prima adoperato per indicare il suo successore: il figlio adottivo Ottavio che da quel giorno poté chiamarsi Caio Giulio Cesare Ottaviano. Ai danni dell’altro contendente, Marco Antonio, console e generale. Cleopatra non ebbe altra scelta che quella di tornare in Egitto. L’ondivago Cicerone (fatto poi trucidare da un sicario di Antonio) la maledisse, e lei, dal suo palazzo di Alessandria, gridò: «Che Roma sprofondi nel Tevere!».Tra Antonio e Ottaviano s’era instaurata una precaria intesa: il primo regnava sull’Oriente (che definì «una grande ricreazione»), il secondo sull’Occidente. Lo spartiacque era il mar Jonio. Antonio incontrò Cleopatra e cadde nel furor dei sensi. Il
Dopo la morte di Antonio, Cleopatra mandò messaggi a Ottaviano: voleva un’altra occasione. “Se mi amava un uomo come Giulio Cesare, come fai a non amarmi tu?” ma il futuro divo Augusto non cadde nella trappola Cicerone borbottava, come sempre. Cesare agli inizi del 45 avanti Cristo ebbe il potere assoluto: il Senato lo proclamò dictator perpetuus. Un giorno Cesare ricevette dall’amante un plico. Era un calendario su larghi fogli e ogni mese era contrassegnato dalle immagini della regina, a volte nuda a volte coperta di veli, a seconda della stagione. Era il primo calendario di quel tipo che compariva nel mondo. Poi vennero le Idi di Marzo. Il dit-
solito mormorio tra i legionari: «Il nostro generale passa la misura e cede alla lussuria di una zingara. Ormai è lo zimbello di una prostituta». Ma due leader erano una contraddizione per Roma. Infatti si sfidarono. Vinse Ottaviano nella battaglia di Azio. Flotta ed esercito passarono dalla parte del vincitore, molto abile nel dichiarare che la sua guerra non era stata mossa contro Antonio, ma contro l’Oriente e le sue divinità. Antonio, deluso anche per il sospetto che fosse stata proprio Cleopatra a convincere al “tradimento” le armate all’amante, decise di darsi la morte: si gettò sopra la propria spada dopo aver dato un calcio alla corazza. Cleopatra piangente abbracciò il cadavere del generale sconfitto: «Unisco il mio corpo al tuo, le mie labbra alle tue». Sia pure in lutto, mandò messaggi a Ottaviano: voleva un’altra occasione, l’ultima, la più importante della sua vita. «Se mi amava un uomo come Giulio Cesare, come fai a non amarmi tu? Lui mi riconobbe regina d’Egitto. Il nome di Cesare ora lo porti tu. E puoi fare altrettanto». Il futuro divo Augusto non cadde nella trappola di Alessandria.
pagina III - liberal estate - 30 agosto 2008
SCRITTORI E LUOGHI
Viaggio
A MANI nel Peloponneso con Fermor La Grecia che non t’aspetti è in questa oasi incontaminata di Filippo Maria Battaglia
U
n dito, un dente, forse una divinità. Quattro strisce di terra greca, il Peloponneso, Micene e molto altro ancora. Patrick Leigh Fermor non ha neppure compiuto trent’anni quando visita per la prima volta Mani, la penisola del sud-ovest della Grecia. Ha già percorso il suo primo grande viaggio a piedi, da Londra a Istanbul, descrivendolo in Time of Gifts e in Between the Woods and the Water. È stato poi paracadutato a Creta, dove, travestito da pastore, ha coordinato la resistenza, riuscendo persino a rapire il generale Kreipe, a capo delle truppe tedesche dell’isola. Ma a Mani, e a quella parte di Grecia che persino nei suoi tratti morfologici appare più brulla e irremovibile, resterà per sempre legato. E vi ritornerà più volte, decidendo alla fine di abitarvi stabilmente. «Sulla mappa – scrive nel suo cahier di viaggio pubblicato per la prima volta nel 1958 - la parte meridionale del Peloponneso sembra un dente
deforme appena strappato dalla gengiva, con tre penisole protese a sud come scheggiate e cariate radici. Il rebbio centrale è formato dalla catena del Taigeto, che, dalle colline pedemontane a nord nel cuore della Morea alla punta di Capo Matapan battuta dalle tempeste a sud, si allunga per un centinaio di miglia. Per circa metà della sua lunghezza – settantacinque miglia sul lato occidentale e quarantacinque sull’orientale, per una larghezza di cinquanta miglia – il Taigeto si spinge affusolandosi in mare. Questo è il Mani. Dato che la catena supera i 2400 metri nella parte centrale, calando a nord e a sud di balza in balza, queste distanze a volo d’uccello si possono tranquillamente raddoppiare e triplicare, e a volte, calcolando via terra, decuplicare. Come il Taigeto dell’entroterra divide la pianura messenica della laconica, il suo proseguimento, il Mani immerso nel mare, divide l’Egeo dallo Ionio, e il suo capo selvag-
pagina IV - liberal estate - 30 agosto 2008
«La parte meridionale del Peloponneso sembra un dente deforme appena strappato dalla gengiva» gio, il Tenaro,l’ingresso nell’Ade degli antichi, è il punto della Grecia continentale». Un aspetto ruvido, scosceso, impraticabile. a Grecia che non t’aspetti è proprio in questa parte di penisola, ancora oggi molto più diffidente dell’altra nei confronti del turismo stagionale e ai tempi di Fermor (1958) una vera e propria oasi incontaminata: «un subisso di brulli picchi grigi si ergevano precipiti da gole tortuose ad altezze pari o superiori alla nostra; inclinati ad angoli pazzeschi, cadevano così a strapiombo che era impossibile vedere cosa c’era, un mondo più in basso, in fondo al canyon immediatamente sotto di noi. Tranne dove gli spigoli taglienti erano stati smussati da
L
una frana, le montagne parevano dure come l’acciaio. Era un luogo morto, astrale, un habitat da draghi. Ogni cosa era immobile. Non un’aquila librata in volo, non un suono né un segno che esseri umani avessero mai calpestato quei sassi; immensi dirupi rocciosi sembravano sbarrare ogni via di fuga. La luce a picco, senz’ombra, si riverberava dalla pietra con un bagliore metallico, e tutto il paesaggio era come percorso da un brivido continuo, tremolando e ondeggiando nella feroce vampa mediana. Il solo barlume di salvezza appariva lontano, a sudovest: dove attraverso una fenditura nella prigione dei monti luccicava un pallido e caliginoso spicchio di Ionio, con all’orizzonte un fantasma di peni-
sola messenica.Tutto, tranne quel remoto luccichio, era l’abominio della desolazione». Perfino un filo d’acqua fredda diventa così «una fonte miracolosa», ed insieme lo spunto utile ad una piccola divagazione: «mentre il sudore si asciugava in pozze saline e il polso man mano rallentava, contemplammo le tenui volute di fumo azzurrino sciogliersi in cielo; tornò a poco a poco la parola. Quelle cime spoglie, secondo Omero, erano la dimora di Artemide e di tre ninfe dal piede caprino, che trascinavano il viaggiatore solitario in una danza campestre conducendolo ignaro verso il precipizio, dove con uno sgambetto lo mandavano a capofitto nel baratro… All’improvviso un’altra meraviglia venne ad accrescere il nostro benessere: un alito fresco di vento. È questa una benedizione di rado assente nel Peloponneso di mezza estate. Dopo lunghe mattinate torride, quando sembra che il pomeriggio possa recare
A quella terra che persino nei suoi tratti morfologici appare più brulla e irremovibile, lo scrittore resterà legato per sempre. E vi ritornerà più volte, decidendo alla fine di abitarvi stabilmente
Sopra una veduta del Peloponneso, a destra una baia incontaminata pochi chilometri a nord da capo Matapan, nella regione di Mani, nel sud del Peloponneso. Secondo la tradizione, da queste spiagge si sentono cantare i galli di Creta. Ma solo al mattino e con il vento favorevole A lato la penisola che si allarga a sud-est di Kalamata, tra la costa e i Monti del Taigeto Nella pagina accanto: lo scrittore Patrick Leigh Fermor soltanto i più raffinati supplizi, l’aria statica, riscaldata oltre misura, d’improvviso s’innalza come una mongolfiera, e la minaccia subitanea di quel volto aborrito dalla natura, traendo fresche correnti dal mare per le gole tortuose, crea un delizioso trambusto atmosferico: un venticello fresco e regolare che rianima il viaggiatore boccheggiante». l clima è torrido, la natura impervia. A metà anni Cinquanta, i pochi che vi abitano, sempre accompagnati da una dozzina di capre, non hanno molta intenzione di solidarizzare con i viaggiatori. Perfino la flora è ridotta ad una presenza sporadica, rigorosa, quasi accessoria: «la costa del mare che scendeva nel baratro era un erpice coi denti all’insù, gli spazi tra i denti erano ingombri di massi e di sassaglia, e il pendio era così ripido che un passo su due scatenava una frana privata. Sdirupando in un rotolio di pietre che echeggiava a
I
scariche lungo la gola arrivammo finalmente al fondo. Il letto del torrente, pieno di massi sbiancati, volgeva serpeggiante chissà dove imprigionato tra pareti di roccia. Desolatissimo. A volte il letto asciutto si allargava in un’ansa ciottolosa, per richiudersi in strettoie che dovevano mutare le piene invernali in un gonfio tumulto di schiuma e di spruzzi. Adesso non c’era un filo d’acqua; solo, di tanto in tanto, l’emblema fedele di un oleandro. Ma una svolta ci portò a un ombroso e idilliaco folto di platani che crescevano intorno all’entrata di una grotta, adattata con lastre di pietra a ovile per le greggi. Un gruppo di uomini e donne erano accoccolati o distesi sotto il fogliame. Ai rami bassi erano accavezzati degli asini, e le capre di cui avevamo sentito il lontano scampanellare dalla cima del monte mangiucchiavano una vegetazione invisibile tra i sassi. Bronzei panni gocciolanti pieni di cacio fresco pendevano dai rami tra co-
lorite bisacce, vincastri, coperte, un paio di fucili a due canne e una culla portatile simile a un papoose pellerossa dondolante come un pendolo. Selle di legno, a tre delle quali fummo prontamente indirizzati – selle laterali, sono comodi sedili quando stanno per terra – erano sparse in giro. Uomini e donne, magri e scuri come algonchini, portavano cappelli di vimini intrecciati, con la tesa di quasi un braccio di diametro: enormi dischi su cui le ombre del fogliame dei platani guizzavano e roteavano e scivolavano con i movimenti della testa». I collegamenti tra i singoli accampamenti non sono semplici: vecchie corriere trasportano a fatica qualche decina di persone, ma devono scontare l’irregolarità di strade sterrate e percorsi minori, alternando impervie salite e ripide discese. È questo il caso di Kardamili, un piccolo borgo vicino al mare: «le case, simili a castelletti di pietra dorata, con torrette a pepaiola d’aspetto me-
dioevale, erano sovrastate da una bella chiesa. I monti precipitavano fin quasi a bordo dell’acqua, con qua e là tra le case imbiancate a calce dei pescatori vicino al mare, grandi canneti fruscianti alti tre metri e tutti ondeggianti all’unisono al minimo soffio di vento. C’era sabbia sotto i piedi e reti appese da un albero all’altro. Accanto a più d’una porta stavano, anch’esse imbiancate, anfore a costoloni per l’olio e il vino, grandi quasi quanto quelle scavate nel pozzo di Minosse. Ancora una volta mi chiesi come venissero fabbricati quei recipienti enormi: troppo grossi per un vasaio che non sia un titano con braccia lunghe due metri. Le teorie, al solito, abbondano. Alcuni dicono che un uomo entra nella giara nascente come un ladrone delle Mille e una notte, e costruisce le pareti che si allargano e restringono man mano girando su una grande ruota; altri che le due metà sono costruite separatamente e poi messe insieme; altri che le anfore sono formate in stampi giganteschi; altri ancora che sono fatte con un nastro d’argilla avvolto in una spirale prima larga e poi stretta finché il cerchio finale dell’imboccatura è completo: col che si vuole dar conto delle costole e scanalature che cingono l’anfora da cima a fondo». nche qui, trasporti e comunicazioni sono, di fatto, ridotti al lumicino. Resta, quale unica soluzione, una manciata di tir, affollato da giovani fruttivendoli con baffi e basettoni da tango: «una bambola di celluloide, civettuola ballerinetta di can-can, saltellava di qua e di là davanti all’autista; gli altri due, sepolti fino alla vita nei palloni verde scuro, si aggrappavano alle sponde per evitare di essere disarcionati, bofonchiando una canzonetta manga sull’ultimo tram sferragliante per le vie piovose di Atene. La strada moriva in un sen-
A
tiero sassoso. Cinque o sei muli erano in attesa, e i tre fruttivendoli scaricarono la loro merce con la destrezza e rapidità di giocatori di rugby, poi ripartirono con lo sventolio di mani verso le delizie di Githion o di Kalamata.Un mulattiere prese la nostra roba, promettendo di lasciarla a un kafeniòn di Gerolimenas dove avremmo potuto ritirarla l’indomani, e la cavalcata si mosse in una colonna di polvere. I solchi delle ruote di carro su queste rocce sono un indizio del peggioramento dei trasporti dai tempi antichi… Il valloncello dai fianchi rocciosi con gli scheletri di torri terremotate soffocate dai cactus era deserto, salvo due uomini seminudi che setacciavano la ghiaia (e fecero pausa per una sigaretta e una chiaccheratina di politica; entrambi erano ferventi monarchici) e una donna che sbatteva in mare tappeti colorati: galleggianti parallelogrammi giallo limone, rosso mattone e magenta che lei, nell’acqua fino alle cosce, percuoteva con un grosso bastone». I colori della penisola sono tutti qui, insieme al blu acciaio del dorso di un pescecane, appena pescato da un ragazzotto. La Grecia colorata, l’azzurro da cartolina, il blu elettrico di certe abitazioni (che rifanno il verso ai vecchi alloggi dei paesini insulari) sono di là da venire. Qui, nella Mani degli anni Cinquanta, il turismo è un ospite ancora indesiderato. Bibliografia Patrick Leigh Fermor, Mani.Viaggi nel Peloponneso, traduzione di Franco Salvatorelli, Adelphi, pp. 394, euro 12,50 Patrick Leigh Fermor, Time of Gifts, John Marray Publishers, 2004 Patrick Leigh Fermor, Between the Woods and the Water, John Marray Publishers, 2004
pagina V - liberal estate - 30 agosto 2008
I VIGLIACCHI DELLA STORIA Nonostante la certezza della supremazia del suo esercito, il sovrano si rifiutò di sottoscrivere lo stato di assedio consentendo il successo all’azione eversiva fascista nche se Vittorio Emanuele III poté in parte nascondere le proprie responsabilità dietro quelle del regime fascista, tuttavia non sono poche le manifestazioni di abulia spinta fino alla viltà che egli ebbe modo di manifestare nel corso del suo lungo regno (1900-1944). Si può dire che tutta l’ambiguità nei rapporti col regime fascista, che l’accompagnò fino alla caduta di Mussolini, fosse già compiutamente rappresentata nell’atteggiamento con cui egli propiziò l’avvento al potere del fascismo nei giorni della marcia su Roma. Ha scritto Renzo De Felice che si “potrà discutere delle maggiori o minori responsabilità di Vittorio Emanuele III nella crisi dell’ottobre 1922, non si può però negare che di tale crisi il re fu un protagonista non meno importante di Mussolini e certo più importante di tutte le altre dramatis personae”. Per comprendere meglio a cosa si riferisse, il grande storico del fascismo, più avanti, dopo essersi domandato se “senza il compromesso con la monarchia, il fascismo sarebbe mai potuto arrivare veramente al potere in condizioni tali da potersi dire vincitore e da evitare o almeno da contenere in limiti tollerabili l’esplosione delle proprie contraddizioni interne”, concludeva che sostenerlo gli sembrava “estremamente azzardato”. Poiché, a suo avviso, quasi certamente “a decidere la crisi sarebbe stata la monarchia, cioè l’esercito, che l’avrebbe – sia pure senza entusiasmo – decisa contro il fascismo”. In effetti la preoccupazione del ‘golpista’ Mussolini riguardava soprattutto, alla vigilia della marcia sulla capitale, l’interrogativo sull’atteggiamento che avrebbe tenuto l’esercito di fronte al suo tentativo eversivo. Mussolini non aveva dubbi al riguardo: l’esercito si sarebbe mantenuto fedele alla disciplina militare e al giuramento al re. In particolare nessun dubbio v’era
Vittorio Emanuele III
A
Il re che permise il “golpe” a Mussolini di Mauro Canali
Il sodalizio monarchia-duce approvò anche scelte ignobili. Una su tutte: la politica razziale e antisemita sulla fedeltà al re delle truppe acquartierate attorno a Roma e che consistevano di più di 28mila uomini bene armati, in grado senza alcun dubbio di far fronte alle squadre fasciste approssimativamente equipaggiate. Quindi sul piano militare il fascismo avrebbe perso decisamente la partita. E allora il punto cruciale da affrontare è il seguente: perché il re, nonostante la certezza dell’assoluta supremazia del suo esercito, fu dell’idea, in un primo momento, di ricorrere allo stato d’assedio contro l’imminente tentativo fascista per poi cambiare improvvisamente idea rifiutando di apporre la firma al decreto stes-
pagina VI - liberal estate - 30 agosto 2008
so e consentendo in tal modo il successo del tentativo eversivo mussoliniano? Occorre tener presente inoltre che era chiaro a tutti che lo stesso Mussolini s’era messo già da tempo, in modo evidente e inequivocabile, sulla strada dell’eversione e dell’antistato quando aveva ufficializzato l’esistenza della Milizia, cioè di un suo esercito personale, con tanto di regolamento, statuto e giuramento al capo del fascismo. In sostanza aveva sancito l’esistenza di un esercito fascista in contrapposizione alle forze armate dello Stato. Era una decisione di per sé eversiva, che lo stesso Mussolini aveva commentato con un certo sarcasmo: “Se in Italia ci fosse un governo degno di questo nome oggi stesso dovrebbe mandare qui i suoi agenti e carabinieri a scioglierci e a occupare le nostre sedi”. Quindi il re era del tutto consapevole della spinta eversiva del fascismo e dei suoi obiettivi illiberali. Perciò quando il 27 ottobre iniziarono i primi movimenti squadristici con l’occupazione, nell’Italia settentrionale, di prefetture e caserme, Vittorio Emanue-
le III si precipitò a Roma, dove giunse alle 20, accolto dal primo ministro Facta, che gli illustrò la gravità della situazione, anche se a dire il vero la sua versione non era del tutto veritiera sulla gravità del tentativo sedizioso in atto. Il re fece immediatamente intendere di voler decidere sulla crisi politica “in piena libertà e non sotto la pressione dei moschetti fascisti”. Tornò di nuovo sulla questione qualche ora dopo insistendo sulla necessità di tenere le squadre fasciste lontane da Roma. Ma la situazione precipitò tra le sei e le nove del mattino del 28 ottobre. Alle sei Facta riunì il Consiglio dei ministri che deliberò, su precise insistenze del generale Cittadini, primo aiutante di campo del re, il ricorso allo stato d’assedio. Quindi la classe dirigente liberale, pur con molte esitazioni, decideva di opporsi con la forza all’eversione fascista. Alle 8.30 si iniziò ad affiggere il proclama sui muri di Roma. Ma quando alle 9 Facta si recò dal re al Quirinale si trovò di fronte a un imprevisto: il rifiuto di Vittorio Emanuele III a sottoscrivere lo
stato d’assedio. Sulle cause di questo improvviso mutamento del re si sono sbizzarriti tutti i maggiori storici del fascismo ma nella sostanza non si è giunti, anche a causa della permanente inaccessibilità degli archivi dei Savoia, ad alcuna spiegazione del tutto esauriente. Renzo De Felice, nell’incertezza sulla causa prima, abbozza un elenco di buoni motivi che potrebbero avere indotto il re a evitare lo scontro col fascismo, cioè la debolezza del governo Facta, i timori del re per gli atteggiamenti filofascisti del duca d’Aosta e le incertezze dei vertici militari. Ma, a mio avviso, occorre aggiungerne un altro, riconducibile alla personalità del re, cioè la sua pavidità che lo indusse a non sfidare sul terreno militare lo squadrismo fascista, decretando in tal modo il suicidio del regime liberale. Le sue erano preoccupazioni assolutamente fuori luogo, se si considera lo squilibrio delle forze in campo – un dato su cui concordano tutti gli storici – da una parte l’esercito lealista armato fino ai denti e dall’altra le posticce e improvvisate colonne fasciste, una sorta di armata Brancaleone, che si sarebbe dissolta alle prime resistenze serie incontrate. Si trattò quindi di un evento capitale della storia italiana del tutto condizionato da elementi personalistici, tutti ruotanti attorno alla viltà del re. Nasceva allora col primo governo fascista quel sodalizio re-Mussolini che avrebbe portato il paese al disastro. Un re del tutto assoggettato al capo del fascismo; un re che avrebbe condiviso col regime fascista tutte le scelte, anche le più ignobili, fino a sottoscrivere la più ignobile di tutte: la politica razziale e antisemitica. Già durante la sua visita in Libia, a Balbo che gli chiedeva a proposito delle prime voci su provvedimenti antisemitici che stava accingendosi a prendere Mussolini, il re aveva risposto in modo piuttosto evasivo, asserendo di sapere che il capo del fascismo li voleva “fare fuori, perché durante la guerra d’Africa – e qui non gli si può dare certo torto – si sono schierati in America, in Inghilterra, in Francia contro di noi con un’acredine da non dire”. Insomma gli ebrei italiani pagavano per l’atteggiamento ostile alla aggressione all’Etiopia manifestato dagli ebrei di altri paesi. La sudditanza psicologica di Vittorio Emanuele III per Mussolini spinta fino alla viltà fu tale che ancora nel giugno del 1943, quando la situazione politica e militare era ormai drammaticamente chiara per tutti e il colpo di stato alle porte, il re, parlando col suo aiutante di campo, osservava: “Eppure quell’uomo ha una gran testa”.
I SENTIMENTI DELL’ ARTE ll’età di trentotto anni, nel 1886, l’irrequieto pittore francese Paul Gauguin (1848–1903) si trasferì per un certo periodo di tempo a Pont-Aven, in Bretagna, vicino all’Oceano Atlantico. Raggiunse una comunità di artisti che si era stabilita in questa estrema regione del nord della Francia attratti dalla bellezza del luogo, dall’ospitalità inconsueta della gente e dall’atmosfera pittoresca e primitiva. Artisti provenienti anche da paesi lontani come l’America avevano scelto quella terra di bellezza incontaminata per condividere i comuni ideali di vita e artistici in contrasto con l’ambiente, a loro giudizio, troppo borghese e superficiale degli impressionisti parigini, attenti unicamente agli effetti di luce e quindi a una percezione della realtà legata unicamente ai sensi. Nacque in quella regione una nuova concezione dell’arte fondata sull’aspetto intrinseco della realtà, raffigurata non così come è, ma colta nella sua essenza semplificandone gli aspetti marginali, il cosiddetto sintetismo, o post-impressionismo della Scuola di Pont-Aven. Il neofita Gauguin, che aveva iniziato a dipingere da autodidatta una decina d’anni prima, trova in quella comunità una reale corrispondenza di ideali, soprattutto con Emile Bernard con cui si legò in una stretta e profonda amicizia, finita poi con l’accusa di plagio da parte di Bernard nei suoi confronti. L’aspirazione a uno stile di vita semplice e naturale, il sogno del buon selvaggio, che fin dalla metà del Settecento aveva segnato buona parte del pensiero filosofico e artistico francese, trovò in Paul Gauguin uno dei più convinti assertori, forse perché nella sua infanzia trascorsa per qualche anno in Perù aveva assimilato le idee e lo spirito indipendente della nonna materna, la scrittrice peruviana Flora Tristán, socialista, femminista ante-litteram e sostenitrice dell’amore libero. Lasciata da poco Arles, dove aveva bruscamente interrotto un sodalizio di vita e artistico con Van Gogh, con il quale poco o nulla aveva in comune, percepì sia nella nuova comunità di artisti che nell’ambiente bretone, uno stile di vita a lui più confacente. Lontano dalle ipocrisie e dai falsi idoli della vita cittadina il pittore francese trova conforto oltre che nella natura lussureggiante di quell’angolo di Cornovaglia bretone, anche nella sincerità della fede di quella popolazione, e nella semplicità dei loro costumi dal sapore ancora medioevale. Un luogo in cui l’architettura stessa dai pittoreschi mulini alle chiese gotiche ispirava un senso di
A
L’INGENUITÀ Il quadro: “Il girotondo delle piccole bretoni” di Paul Gauguin
Un attimo di perfetta felicità di Olga Melasecchi
ni di tono e di chiaroscuro, la profondità è resa solo con l’accostamento di colori primari e complementari, aprendo in tal modo inconsapevolmente la strada a tutta l’arte moderna. Attratto sempre dall’universo femminile, è affascinato dalla remissività e dall’antica dolcezza delle donne bretoni, che ritrae nei loro costumi popolari, immagini di un’umanità ingenua, priva di malizia, di animo puro e semplice. Come si vede in questo bellissimo Girotondo delle piccole bretoni del 1888, che sembra l’illustrazione per una favola per bambini. Gli oggetti e le figure sono esattamente delineati, i colori perfettamente campiti, seconda la tecnica medieovale del cloisonnè che Gauguin poteva vedere nelle belle vetrate gotiche delle chiese bretoni, prime espressioni di un nuovo stile definito appunto cloisonnisme. Il richiamo alla essenzialità dell’arte medioevale, così come a quella delle stampe giapponesi e della scultura primitiva, era una ricerca dell’essenza ultima della natura, del divino insito in tutte le cose. Un sentimento panteistico mirato al raggiungimento di una perfetta felicità, meta agognata
L’immagine di queste bambine, con i volti senza tempo, anticipa “La dance” di Matisse del 1909
pace interiore e di serenità primitiva, stati d’animo che Gauguin inseguirà per tutta la vita, cercandoli, com’è noto, nella lontana e incontaminata Polinesia francese. La ricerca di una semplicità esistenziale è comunicata anche attraverso il nuovo stile pittorico, apparentemente naif, in cui i soggetti sono bidimensionali e piatti, i colori naturali e squillanti, privi di variazio-
Il forte anelito spirituale racchiuso nelle opere dell’artista conquistò i giovani poeti e i critici anticonformisti francesi che lo elessero pittore simbolista
di un’anima inquieta, e illusoriamente trovata nelle isole del Pacifico: “Sono fuggito da tutto ciò che è artificio e convenzione”, scriverà una volta arrivato in Polinesia nel suo libro “Noa Noa”, “qui entro nella Verità, divento tutt’uno con la natura”. L’anelito spirituale racchiuso nelle sue opere conquistò i giovani poeti e i critici anticonformisti francesi, che elessero Gauguin autentico pittore simbolista, definito da Paul Serusier, portavoce del gruppo dei Nabis, il profeta della costruzione della tela attraverso il colore idealizzato. Nel Girotondo le piccole bretoni hanno volti senza tempo, come tre piccole bambole, il loro gioco è stato bloccato in un lungo tempo di posa, immagine che anticipa La dance di Henry Matisse del 1909, nell’ora vespertina si percepisce un sentimento di pacifica armonia dell’incontaminata gioia infantile con la terra, splendente nel giallo del grano appena tagliato, e con il cielo roseo della fede, è un attimo di perfetta felicità reso eterno.
pagina VII - liberal estate - 30 agosto 2008
Cruciverba d’agosto
“Il viaggiatore e il chiaro di luna”
di Pier Francesco Paolini ORIZZONTALI 1) Spartano • 11) Iniz. dello scrittore Terra, premio Strega 1979 con Le porte di Ferro • 13) Iniz. di Foscolo • 15) Umberto ...... , poeta di Trieste • 19) Romanzo di Susanna Tamaro • 20) Virginia, soprano • 22) Si rifiutò di fecondare la vedova del fratello • 23) Mezzo di trasporto • 24) In inglese: parassiti e animali nocivi in genere • 25) Personaggio della Cavalleria rusticana • 26) Ultima regina di Spagna prima di Franco • 27) Uno dei Grandi Laghi USA • 28) Stilista italiano assassinato in Florida • 29) Svolge attività assistenziale per i lavoratori • 30) ...... mancini • 32) Articolo • 33) Nelle Piccole Antille • 34) Cinque in un piede • 35) Così sia • 36) Fiume di Lisbona • 38) Epoche • 39) Profetizzò la rovina del regno di Israele • 40) Modena • 41) Insurrezione armata dei ceti rurali in Germania (1524-26) • 48) Non avrebbe dovuto voltarsi indietro • 50) Nota • 51) ...... pizzaiola • 52) Orecchio nei prefissi • 53) Le ...... s’amuse di Victor Hugo • 54) Smilzo in inglese • 56) “Specchio delle mie brame, chi è la più bella del ......?” • 58) Rabbia • 60) Berillio • 62) Iniz. di Mauriac • 63) ...negli occhi suoi distrambi e ...... (D’Annunzio, Alcyone) • 64) Norman M...... regista canadese di film d’animazione • 66)
L’Almanacco
Charles, jazzista USA • 68) Giarabub, per es. • 70) Iniz. di Purificato • 72) Quei doppier / presso a ......! L’aurora imbianca il mio veron! (Don Carlos) • 73) Roditore che costruisce dighe • 74) Scienziato olandese
Hanno detto di… ignoranza
(1581-1626) che formulò le leggi della ri-
L’ignoranza è la palpebra dell’anima. La cali e puoi dormire e anche sognare. Ugo Ojetti
frazione • 77) Conosciuto • 78) Stella dello Scorpione • 79) Il Mare di Crotone • 80) Edipo ...... • 81) ...... Canaria romanzo di Cronin • 82) Il vostro Pier Francesco
VERTICALI 1) Un capolavoro di Kafka • 2) Scrisse “La
LA POESIA
vita di Cola di Rienzo” • 3) Mettere tra virgolette • 4) Angelo ......, ammiraglio veneziano • 5) Voce in bilancio • 6) Famose • 7) Infierire su sé stessi per autolesionismo • 8) Vergogne • 9) Si legge a piè di pagina • 10) ...... fu (Manzoni) • 11) Scrittore ungherese (1901-45) autore di Il viaggiatore e il chiaro di luna • 12) Limpida • 13) Anima-
Questo è un chiaro di luna, estivo chiaro di luna soffice, immobile e sereno l’ora solenne della mezzanotte ovunque esala dolci pensieri
D&R Come è nato il guinness dei primati? L’idea di collezionare ogni possibile tipo di primato venne da sir Hugh Beaver, amministratore delegato delle birrerie Guinness, durante il ricevimento che seguì una battuta di caccia alla volpe, Sir Hugh ebbe così l’idea di creare un libro dove chiunque potesse soddisfare la propria curiosità in ambito di record. Così si rivolse ai gemelli Ross e Norris McWhirter, specialisti di record di atletica, e a loro affidò la stesura della prima edizione del Guinness dei primati. Il libro uscì il 27 agosto 1955: il successo fu istantaneo; anche oggi, dopo la scomparsa dei McWhirter, il testo è il libro soggetto a copyright più venduto al mondo (ed il terzo in assoluto dopo Bibbia e Corano). È stato tradotto in 37 lingue diverse.
L’origine di… smoking Il nome “smoking” deriva dall’inglese smoking jacket (“giacca da fumo”). In origine si trattava difatti di una veste da camera che gli uomini indossavano nelle stanze per fumatori, con lo scopo di preservare l’abito dall’odore del tabacco. Fino agli anni 1880 l’unico abito formale maschile da sera accettato era il frac, con la giubba a coda di rondine ed il farfallino bianco. Secondo alcuni, lo smoking sarebbe nato a Londra nel 1865 per opera della sartoria Henry Poole & Co. di Savile Row. Poole avrebbe ideato una “giacca corta da fumo” per il principe di Galles (il futuro Edoardo VII), tagliando le code di rondine da un frac. a cura di Maria Pia Franco
le favoloso • 14) Week-end • 15) Cien años de ...... di Gabriel Garcia Marquez • 16) Non si firmano • 17) Lago d’Ungheria • 18 Esami • 21) Giovanni Antonio, architetto e scultore (1447-1522) che realizzò a Bergamo la Cappella Colleoni • 24) Io mi volsi ...... lui(Purg. III) • 28) Varese • 31) ...... Feltrinelli • 33) Pitone • 37) I Fratelli delle Fiabe • 42) sfanga nel fosso e va calzato d’......
soprattutto dove gli alberi in alto sollevano i rami percorsi dal vento oppure chinandosi in basso offrono un riparo sotto le stelle.
(D’Annunzio, di Re Vittorio Emanuele III) • 43) Film del 1965 con Julie Christie e Dirk Bogarde • 44) Roosevelt, moglie di FDR • 45) Si esprime ridendo • 46) Diaz, attrice (La cosa più dolce, 2002) • 47) Tempo verbale greco • 49) Firenze • 55) Spiagge • 57) Enna • 59) Il nome dell’11 vert • 60) Martin van, presidente degli S.U. • 61) Chie-
Lì, in quel rifugio silvestre giace una forma bella, erba e fiori imbevuti di rugiada dolcemente ondeggiano intorno al suo capo.
dono troppo • 63) “Corpi ......” romanzo di Evelyn Waugh • 65) Iniz. della Fracci, ballerina • 67) Pietro, anarchico • 69) Titolo di Bossi (abbr) • 71) Già ...... pensando, pria ch’io ne favelli • 73) ...... d’Antibes • 75) Articolo • 76) Pone una condizione
DI
EMILY BRONTË
TRADUZIONE DI PIERA MATTEI
LA SOLUZIONE DI IERI
“L’osservazione dell’acqua versata”
cinema
30 agosto 2008 • pagina 17
Una scena de «La ragazza del lago». Sotto, un ritratto di Toni Servillo
Ritratto del «divo» del momento, per scoprire che in realtà è un «antidivo»
Servillo e l’ossessione della scena di Piergiorgio Buschi il divo cinematografico del momento, ma ha un passato, un presente e un futuro tutto teatrale, negazione tipica delle regole dello spettacolo spettacolo secondo le quali I grandi della scena non «bucano lo schermo». Parliamo di Toni Servillo, ovviamente. Quello del Divo, di Gomorra, ma anche di Sabato, domenica e lunedì di Eduardo e della Trilogia della Villeggiatura di Goldoni. Per saperne di più, su di lui, non perdetevi il libro-intervista Interpretazione e creatività nel mestiere di attore firmato da Servillo a quattro mani con Gianfranco Capitta che troverete sui ripiani delle librerie a partire dal 4 settembre. Nel testo, Servillo discute col suo interlocutore spaziando a trecentosessanta gradi, parlando della propria carriera, del rapporto con i registi da cui è stato diretto e delle sue più ardenti passioni – il teatro e la Napoletanità – anche svelando il desiderio di mettersi alla prova in un ruolo comico; una vera e propria sfida vista la lontananza del genere brillante dal repertorio di personaggi fino ad ora ricoperti, ma controbilanciata dalla sua convinzione che la comicità nasconda spesso malinconia e disperazione in una sorta di clima di addio.
È
Nato ad Afragola in provincia di Napoli, fratello di Peppe Servillo (cantante e mente della Piccola Orchestra Avion Tra-
vel),Toni è stato travolto da una passione divorante per la recitazione sin da piccolo, coltivandola da auotodidatta, mettendosi alla prova e in mostra in ogni contesto che gliene potesse offrire l’occasione. Il suo percorso artistico prende le mosse durante gli anni Settanta, nell’ambito del teatro di ricerca, quello - all’epoca - fatto più di immagini che di parole... A metà del decennio successivo Servillo compie un passo importante,entrando in contatto con gruppo teatrale Falso Movimento fondato dal regista Mario Martone con cui successivamente ha dato vita alla compagnia Teatri Uniti: il rapporto con Martone si è rivelato fondamentale, infatti è proprio sotto la sua direzione che compie I primi passi nel cinema, recitando in Morte di un matematico napoletano, film d’esordio di Martone.
Il grande schermo per diversi anni ha rappresentato per Toni una sorta di parentesi per rifiatare dalle fatiche teatrali, la sua di piccola «ossessione» vissuta tanto come attore quanto come regista facendo propri autori che esigono impegno severo e rigoroso, da De Filippo a Pirandello. Questa visione del cinema quale pura possibilità ed esperienza subisce un cambiamento all’inizio del 2001, anno in cui conosce l’allora ignoto regista, sceneggiatore e conterraneo Paolo Sorrentino rispetto al quale,
per sua stessa ammissione, originariamente non aveva provato particolare curiosità. Ma proprio da questo incontro nasce un rapporto che sarà fondamentale. Intanto, Sorrentino gli sottopone lo script del film L’uomo in più: Servillo ne rimanene estasiato e dopo questa prima prova i due hanno continuato a lavorare insieme incastonando altre due gemme preziose (Le Conseguenze dell’amore e Il Divo). Servillo reputa indispensabili per la buo-
Dagli esordi con il teatro sperimentale alla scoperta della grande prosa. Il cinema è sempre stato solo un diversivo. Seppure fatto di grandi film, premi e successi clamorosi na riuscita di un lavoro due fattori: da una parte la carne, che deve animare l’attore sotto forma di conflitto tra il carattere dell’uomo e quello del personaggio chiamato ad interpretare e dall’altra un alchimia ed armonia con il regista rispetto al quale è fondamentale calarsi in uno stato di quasi completo abbandono. Un concetto, quello dell’armonia, che Servillo ha fatto proprio sia nella vita reale essendo un grande ap-
passionato di musica, sia nel suo mestiere poiché proprio grazie alla musicalità a suo parere si è in grado di dosare una battuta o un interpretazione trovandosi l’equilibrio tra il non dire ne troppo ne troppo poco.
L’arte di Servillo segue costantemente il fil rouge della pacatezza,dell’equilibrio, ma ove sceneggiatura, copione e interpretazione lo richiedono, è capace senza alcun problema di cambiare completamente registro, dall’ironia alla rabbia,dalla gioia al dolore,sapendo sempre adagiare l’intera gamma di emozioni su un tappeto di assoluta compostezza recitativa. La notevole fama raggiunta e la notevole messe di premi in numerosi festival, hanno messo come da consuetudine in moto l’arte tutta tricolore del salire sul carro del vincitore di turno, così è diventato in poco tempo l’attore preferito di molti Italiani che magari fino alla settimana prima neppure sapevano chi fosse... Eppure Servillo è un vero e proprio antidivo, distinto e distante dal clichè della star capricciosa e cùpida alla disperata ricerca di un ruolo o di una copertina di giornale, consapevole del peso degli anni che impone senso della misura ed il palcoscenico quale borsa del ghiaccio con cui riportare la febbre da gloria a temperature più vicine ad una indispensabile modestia.
pagina 18 • 30 agosto 2008
musica
La morte di Isaac Hayes segna la fine di una grande stagione della cultura nera
Epitaffio per la vecchia soul music di Alfredo Marziano era una volta la musica dell’anima, la soul music orgoglio della nazione black American colpita, in questi giorni, da lutti a ripetizione. Il 10 agosto scorso, a soli sessantacinque anni, se n’è andato Isaac Hayes, il “Mosé nero” che ai tempi di Shaft rastrellava Grammy e Oscar rivaleggiando in sfrontatezza, carisma ed energia con Cassius Clay alias Mohammed Alì. Neanche una settimana dopo, il giorno di ferragosto, ha esalato l’ultimo respiro il novantunenne Jerry Wexler, produttore e discografico bianco che alla Atlantic di Ahmet e Nesuhi Ertegun, anche loro già passati a miglior vita, trasformò la musica e le carriere di Ray Charles e di Aretha Franklin, di Wilson Pickett e di Solomon Burke. Traditi, tutti e due, dal cuore: come si addice a chi ha dedicato la vita a una musica tutta feeling e sudore, sentimento e passione civile. Isaac Hayes, che ancora un paio d’anni fa avevamo avvistato in Italia in apparente ottima forma, l’hanno trovato stramazzato a terra a fianco di un tapis roulant, stroncato da un infarto. L’anziano Wexler, invece, è spirato nella sua casa di Sarasota, in Florida, in seguito all’aggravarsi di congenite complicazioni cardiache.
C’
Addio a loro e a un pezzo di storia della musica nera, nato nei primi anni Sessanta ad opera di pionieri come Charles, Sam Cooke e James Brown che secolarizzarono il gospel da chiesa mischiandolo con il blues profano e con il country, cresciuto tumultuosamente negli anni a seguire lungo le direttrici che portavano a Muscle Shoals, Alabama, a Memphis e a Detroit: a Sud Otis Redding e la Stax, a Nord Marvin Gaye e la Motown. Nomi e sigle tuttora leggendari, venerati da giovani vocalist di successo come Amy Winehouse e Alicia Keys, campionati e saccheggiati dai rapper e dai produttori di grido di ultima generazione, i Will.i.a.m, i Pharrell Williams e i Kanye West. Trentacinque anni fa mr. Hayes era il modello dell’afroamericano di successo: testa lucida e occhialoni a specchio, Cadillac e pellicce, mantelli e catenone d’oro a incorniciare il petto da gladiatore del soul. Tutti ricordano il suo vocione e la sua immane presenza scenica nell’atto finale di Wattstax, la «Woodstock nera» che il 20 agosto del 1972 vide radunarsi al Los Angeles Coliseum oltre 100 mila brothers and sisters, scaldati dalla musica sfrenata di Rufus Thomas, dalle voci degli Staples Singers, dalla chitarra blues di Albert King e dai sermoni del reverendo Jesse
Jackson che esortava all’autoaffermazione al grido di «Yes, I Am!».
Mentre risuonavano ancora nelle orecchie le parole di Martin Luther King e gli spari del Lorraine Motel, le manganellate e gli scontri di sette anni prima
bianchi. È durata poco: Redding si schiantò in aereo su un lago ghiacciato proprio in quel fatidico 1967, la Stax affogò presto nei debiti (sullo storico sito di McLemore Avenue, per anni abbandonato all’incuria, sorge oggi un museo dedicato alla sua storia), Gaye fece
Il «Mosè nero», l’autore della celebre «Shaft», era l’ultimo rappresentante di un mondo che aveva nel sangue la voglia di riscatto dei ghetti e le parole di Martin Luther King nel quartiere ghetto di Watts, il soul era la colonna sonora della vita quotidiana, i neri si scoprivano orgogliosi di sé e vogliosi di dirlo ad alta voce, Otis faceva spellare le mani agli hippies del festival di Monterey, la Motown di Berry Gordy e il nuovo cinema «blaxploitation» affermavano un modello di imprenditoria autonoma e di pari dignità a quella dei
in tempo a consegnare alle stampe il manifesto epocale di What’s Going On prima di farsi ammazzare dal padre e di consegnare il testimone a Michael Jackson e Diana Ross, ragazzini prodigio della Motown che non vedevano l’ora di sbiancarsi la pelle e la musica. L’America, da allora, sembra essersi dimenticata dei suoi vecchi eroi, se non quando
c’è da solleticare la nostalgia dei baby boomers a suon di spot pubblicitari e colonne sonore. Tanto che per ascoltare i pochi sopravvissuti che oggi non trovano più spazio sul mercato discografico e nel circuito live bisogna recarsi ogni anno a Porretta Terme, sull’Appennino tosco-emiliano, dove il promoter Graziano Uliani è riuscito a far intitolare una strada a Otis Redding e un parco a Rufus Thomas, il decano scomparso nel dicembre del 2001 che qui tutti ricordano per la risata contagiosa, gli occhioni roteanti, gli incredibili completini con shorts e stivaletti multicolori. Però non c’è ricambio generazionale, il seme dell’autentico deep soul sembra disperso nell’oceano dei suoni contemporanei e restano giusto i vecchi monumenti in carne ed ossa che qualche discografico e produttore più sensibile si incarica di preservare e restaurare.
Solomon Burke, il «vescovo del soul», passa ormai più tempo a celebrar messa, organizzare servizi funebri e badare alla sterminata figliolanza che a cantare: e se sul palco tende a gigioneggiare oltre misura, su disco è ancora capace di fare scintille, complice il buon gusto di gente come Joe Henry (cantautore di culto, e cognato di Madonna) che sei anni fa gli ha cucito addosso un disco di gran classe come Don’t Give Up On Me chiedendo aiuto alle penne illustri di Bob Dylan, Tom Waits, Elvis Costello e Van Morrison. Con Sam Moore, metà del dinamico duo Sam & Dave e Blues Brother onorario, s’è tentata qualche anno dopo un’analoga operazione di recupero a cui si sono prestati volentieri Bruce Springsteen e Jon Bon Jovi, Eric Clapton e Mariah Carey, Sting e Zucchero (più marketing che arte, in verità, ma va bene lo stesso), e dalle nebbie di un passato oscuro e travagliato è emersa ultimamente la bravissima e sfortunata Bettye LaVette, voce di cartavetro da autentica dark lady del soul. Non poteva restare con le mani in mano neppure Ry Cooder, che dopo avere presentato al mondo i cubani ottuagenari del Buena Vista Social Club s’è prodigato per rimettere in carreggiata Mavis Staples, altra reduce di Wattstax e delle marce della pace del reverendo King che nell’ultimo We’ll Never Turn Back, uscito l’anno scorso, riprende con intatto vigore e immutata intenzione i vecchi inni dei diritti civili. Un cerchio che si chiude, su un genere di musica che oggi rischia l’estinzione totale. Prima di morire, Hayes stava lavorando al suo primo disco di inediti dal 1999, proprio per la rinata etichetta Stax. Ma adesso, chi ne raccoglierà il testimone?
letture
30 agosto 2008 • pagina 19
In libreria «Il mestiere di calciatore» di Gianni Brera ilano, primavera 1982. Leonardo Sciascia fa visita ad Alberto Cavallari, allora direttore del «Corriere della Sera».Tra il rispettoso e il compunto (pur stimandosi, i due interloquivano con un deferentissimo «lei»), il giornalista piacentino propone allo scrittore di Racalmuto un’idea bizzarra: «Perché non segue per noi i mondiali di calcio?». La proposta arriva inaspettata. Sciascia è colto di sorpresa, nicchia, si schernisce dietro un «no grazie», anche dopo che il direttore chiarisce che non avrebbe certo dovuto fare un resoconto tecnico delle partite. Epperò, dopo il secco niet, l’autore del Giorno della civetta suggerisce quello che a lui sembra il nome ideale: Mario Soldati. È una fortunata intuizione. Nasceranno così una quarantina di articoli, che confluiranno poi in un libro, ah! Il Mundial, adesso ripubblicato da Sellerio per le cure di Massimo Raffaelli. A raccontare questa strana e fortunosa eterogenesi dei fini è però Matteo Collura, che a quell’incontro era presente e che a Sciascia ha dedicato la più bella biografia scritta sul suo conto (Il maestro di Regalpetra, Tea, pp. 390, euro 9).
M
Ma al torneo dell’82, non c’è solo Soldati. Accanto a lui, come scrive Raffaelli, «siedono altri colleghi non meno incompetenti ed entusiasti, scrittori prestati per così dire al calcio, tifosi impuniti e tanto beati da averne fatta una professione o quantomeno un mestiere: per esempio Giovanni Arpino, inviato de «La Stampa», l’amico Manlio Cancogni, e Oreste del Buono, navigato free lance nella cui bibliografia c’è addirittura un libro scritto a quattro mani con Gianni Rivera. Tra i vicini di posto, accerchiato dai cronisti più giovani, altrettanto intemperante e pittoresco, pontifica un suo vecchio sodale, Gianni Brera, cui Soldati riconosce la tempra del vero scrittore, non solo il rango di maggiore critico e di inventore del lessico calcistico italiano». E proprio a firma di questo aedo del contropiede e del catenaccio, di questo eccentrico sacerdote del pallone e dei suoi riti, la casa editrice Book Time ha da poco ripubblicato Il mestiere del calciatore (pp. 158, euro 12), forse il più suggestivo libro del giornalista pavese. Partiamo dunque dal titolo, e lasciamo proprio al suo autore la libertà e il vezzo di chiosarlo: «Ora, il calcio, diciamolo subito, è il più bel gioco del mondo. La mirabolante scoperta è tutta mia e me ne sono gloriato (ma
Cronache dall’Olimpo del dio Eupalla di Filippo Maria Battaglia
Gianni Rivera (qui sopra) fu ribattezzato «Abatino» da Gianni Brera (qui accanto): questa fu solo una delle numerose invenzioni linguistiche del grande scrittore. Sotto, il trionfo dell’Italia ai mondiali di calcio del 1982.
Oggi torna il campionato di calcio. Tra veline e milioni, si sente la mancanza del mondo epico raccontato con grande maestria dal celebre giornalista-scrittore si, mi scuso) quando ancora giovane giornalista ho fornito questo titolo a un vecchio collega, autore di un libro di storia calcistica. Subito altri giornalisti specializzati in tennis, rugby, pallanuoto e persino pallavolo mi hanno obiettato che esageravo. Ho risposto che io giocavo a calcio, padronissimi loro di usare lo stesso titolo per i loro giochi preferiti». Come ricorda nella postfazione il figlio Paolo, il successo di Brera non è solo dovuto al conio di un’infinità di espressioni, alcune delle quali traslate tout court in Europa (libe-
ro, catenaccio, contropiede etc.). Gli va in primo luogo addebitato la capacità di aver «illuminato le caratteristiche non solo tecniche ma anche psicologiche di coloro che giocano in questo ruolo: gli Ettori e gli Aiaci del ventesimo secolo».
Ma il giornalista pavese ha fatto di più: ha contribuito a creare un linguaggio, che intorno al mondo del dio Eupalla fino alla seconda metà del Novecento non esisteva. Regalando suggestioni e contribuendo così a creare ordine nella palude anarchica delle cronache sportive. Prima di tutto, Il mestiere del calciatore è dunque un manuale, nel quale – complici un po’ di antropologia, un po’ di letteratura e molta immaginazione - Gioannbrerafucarlo racconta tutto ciò che non si può non sapere sul soccer e sui suoi protagonisti: «Calciatori non si nasce, si diventa: ma portieri si nasce. E forse per questo sostiene qualcuno che il portiere non sia propriamente un calciatore. In effetti, non si serve dei piedi se non per effettuare la rimessa in gioco della palla uscita sul fondo, oppure per disperazione quando non avrebbe altro modo di respingere. A giocare in porta, bisogna sentirsi vocati: questa convinzione mi sono fatto riandando alle mie prime esperienze giovanili. In porta viene sempre lasciato il più piccolo, che non osa ribellarsi alla condanna, oppure il più lungo inidoneo a correre come gli altri. Può perfino succedere che un aspirante giocatore attraversi una sorta di periodo mistico – forse dipendente dalla stanchezza psicofisica – e che cerchi da sé un esilio se non addirittura un’espiazione fra i pali». «Gioannin» è morto a Cadogno sedici anni fa. C’è chi giura che quel calcio da lui raccontato sia vivo e vegeto e goda tutt’oggi di ottima salute. C’è chi dice che no, che ormai milioni e veline hanno ricoperto tutto, manco fossero una melassa appiccicosa e nauseante. Che sia archeologia o cronaca d’oggi, resta comunque un certo: fatto Brera è stato il più grande giornalista sportivo del Belpaese. All’orizzonte non c’è traccia di successione: per il momento, gli allievi sono rimasti solo epigoni.
pagina 20 • 30 agosto 2008
letture
Un saggio di Samir Khaill Samir riflette sul rapporto tra le religioni, sempre meno improntato al rispetto reciproco
Islam,violenza o libertà? di Pier Mario Fasanotti econdo alcuni sarà un incontro inutile. Secondo altri rappresenterà comunque un passo importante. Le premesse del dialogo, sia pure tra tanti irrigidimenti, ci sono. In teoria. O seguendo la speranza. Cristiani e Musulmani il prossimo novembre esamineranno gli elementi comuni tra le due religioni, le differenze e anche la necessità soprattutto per i maomettani di rispettare l’«altro» indipendentemente dal credo. L’incontro è stato definito «il frutto insperato» del discorso di Ratisbona di Papa Benedetto XVI e della lettera dei 138 saggi musulmani al pontefice e ai capi della cristianità. Cristianesimo e Islam sono le due religioni più diffuse nel mondo, e basta questo per augurarci che i nostri organi di informazione si occupino di un evento di tale portata. Soprattutto alla luce della minaccia incombente del fondamentalismo islamico che nasce dalle moschee, dalle «scuole» dei martiri (leggi: terroristi) e propone con drammatica chiarezza la conquista del potere, anzi la «riconquista», a colpi di attentati.
S
nità e tentare di separare il Corano, almeno nell’interpretazione che risale ai tempi della Mecca, dai kalashnikov, dai dirottamenti, dalle decapitazioni, dalle missioni kamikaze. Come in tutte le vigilie, è necessario sperare. Ma i margini del dialogo sono stretti, come fa ben notare Samir Khalil Samir, gesuita di origini egiziane, tra i massimi esperti di Islam e mondo arabo. Samir espone le sue tesi e la sua lucida analisi del fondamentalismo in un libro chiaro e denso (Islam. Dall’apostasia alla vioEditore lenza, Cantagalli, 216 pagine, 16,80 euro). È un vademecum per capire le radici dell’odio che si espande nelle terre arabe e colpisce non solo l’Occidente, ma la stessa popolazione islamica, resa da sempre bersaglio primario: le bombe contro Europa e America non sono da sottovalutare, è chiaro, ma - scrive Samir - ci si deve convincere che da secoli l’obiettivo delle guerre sante sono soprattutto certi governi arabi, “laici” ossia blasfemi. Più di 20 anni fa il sociologo d’origine libanese Michel Seraut, che lavorava all’Institut du Monde Aarabe di Parigi Michel Seraut, ucciso
Qui accanto; una immagine dell’attacco alle Torri Gemelle di New York, l’11 settmbre 2001. Il terrorismo è ormai il massimo ostacolo al dialogo fra Cristianesimo e Islam
L’incontro di novembre fra Cristiani e Musulmani dovrà discutere soprattutto di diritti umani
In Europa vivono attualmente venti milioni di islamici. Si tratterà di discutere su un punto delicato: i diritti umani, il rispetto reciproco. Tutto questo cercando di attenuare la furia iconosclastica dell’Islam contro la moder-
poi dalle milizie islamiche (1985), riportava un brano di una «khutba» (sermone del venerdì) tenuta da un Imam di Tripoli (in Libano): «Vogliono riportare l’Islam a una prassi individuale, un culto, uno slogan da fischiettare tra tanti altri, e ci chiamano a separarci dai nostri fratelli nella fede, per diventare buoni cittadini in una patria che bisogna amare di un amore eretto a nuova fede, sotto l’egida di uno stato ingiusto e vendicativo.
Così i missionari musulmani avranno rinnegato il loro ruolo di missionari dell’universale e si impegneranno nella guerra santa…».
L’Islam si configura, allora come oggi, in un nuovo tipo di totalitarismo che «non appartiene né all’esperienza dei totalitarismi di destra o di sinistra, né a quella barbarica di Pol Pot… è un totalitarismo di terza generazione, di tipo valoriale perché parte dal presupposto che tutto ciò che attiene all’esperienza mistica del profeta a Medina, tra il 622 e il 632, rappresenti di per sé un’esperienza guida». Il vero pericolo è che la «notte dell’Islam» continui. Il Pontefice, a Ratisbona, evidenziò come l’Islam si sia ripiegato su se
stesso quando ha abbandonato il suo rapporto con la filosofia greca e aristotelica. La lettera dei 138 saggi al Papa è indubbiamente un atto di buona volontà. In essa si dice di voler guardare «a ciò che unisce» Islam, Cristianesimo e altre religioni, e si aggiunge che il cuore della religione è «amare Dio e il prossimo». Lo studioso gesuita Samir fa però presente che questa espressione normalmente non viene mai usata. È un concetto dell’Antico Testamento, ripreso poi da Gesù nella parabola del buon samaritano. Basta ricordare il non rispetto della donna da parte dei musulmani, per alimentare una sequela di dubbi. Rimane comunque il fatto che i due credo, malgrado grandi differenze, sono a difesa della vita e contro il
letture
relativismo. Non è poco, ma non basta. Il Papa ha riassunto in tre punti «gli elementi comuni» delle due religioni: 1) la fede nell’unico Dio; 2) il considerare Dio il giudice universale «che alla fine dei tempi considererà ogni persona secondo le sue azioni»; 3)l’essere chiamati a «impegnarci totalmente con lui e a obbedire alla sua volontà». Ma i cattolici pongono l’accento anche sul rispetto dei diritti umani, sull’esigenza di conoscere la religione dell’altro, sulla condivisione dell’esperienza religiosa come fattore di crescita, anche se non si deve necessariamente aderire al dogma altrui, e, infine, sull’educazione dei giovani. È un invito. Che però trova ostacoli di carattere ideologico-filosofico. Per esem-
pio secondo i dotti islamici ci si deve concentrare sul Dio unico. Il cosiddetto «intrinseco». Il resto appartiene all’«estrinseco», ossia a ciò che ci circonda. Scrive Samir: «Trovo che questa distinzione sia debole e perfino
30 agosto 2008 • pagina 21
trimonio, ecc., ma affronta in maniera marginale il problema dell’anima e del rapporto con Dio. Non propone mai questa distinzione; anzi, il problema dell’Islam è proprio quello di non fare alcuna differenza tra
Papa a Ratisbona era impostata «sul regno della ragione quale fondamento del dialogo, cosa che presuppone tutto il movimento della religione di fronte all’illuminismo, ma senza impoverire la ragione. Insomma, il fondamento di tutto non è la religione, ma la ragione umana, che è l’elemento comune a tutti gli esseri umani». Inevitabile, a questo punto, ricordare come la teologia islamica del Decimo secolo aveva un gran rispetto per il fondamento comune di tutti gli uomini, salvo poi chiudersi sempre di più, addirittura a danno dei musulmani razionalisti come il filosofo Averroé. Lo scoglio che potrebbe rendere difficile il dialogo, al di là delle buone intenzioni, si erge proprio nelle acque islamiche. Spiega ancora Samir: «Finché l’Islam non si sarà orientato sulla persona umana e fin quando non avrà reinterpretato la fede alla luce dei diritti umani, non potrà mai essere moderno». Siamo al tema incandescente dei diritti umani. I dotti arabi ripetono spesso: ben vengano questi diritti, «purchè siano conformi alla legge». Ma quale legge intendono? Nella lingua araba legge viene intesa come “shari’a”, il chè significa che i diritti umani “islamici” rischiano di «proporre le solite ingiustizie e violenze: apostasia, blasfemia, lapidazione, soprusi contro
Il rapporto fra «anima» e società viene letto sempre e solo in funzione del primato di una fede sull’altra: è questo il vero scoglio da superare per tutti gli islamici che si sentono vittime del fondamentalismo non islamica. Perché se per “intrinseco” s’intende l’anima e per “estrinseco” il mondo e la società, allora vuol dire che il Corano tratta soprattutto di cose “estrinseche”e pochissimo di quelle “intrinseche”. Il Libro sacro affronta argomenti riguardanti il mondo, il commercio, la vita in società, la guerra, il ma-
questi due livelli. Come mai, quindi, i 138 saggi vogliono affrontare solo le cose “intrinseche”? È mia opinione che essi temono di affrontare tutta la realtà che riguarda le due religioni».
Obiezione forte, senza dubbio. La lectio magistralis del
donne e figli, ecc». E che cosa dicono i giornali arabi su questo argomento? Praticamente nulla. Anche gli intellettuali non sembrano scossi dalla corrente del dibattito. Samir ha una posizione molto rigorosa:
«Dire che l’Islam è una religione di pace significa non avere ancora approfondito una riflessione sulla legittimità o meno della violenza». Certo, ci sono alcune condanne islamiche del terrorismo, ma secondo Samir paiono soltanto posizioni di opportunismo politico: l’Islam sa di avere di fronte non solo l’Occidente, ma anche una sempre più diffusa «islamofobia». In altre parole non esiste il pacifismo islamico. Quella cultura aspira alla presa del potere «in nome di Dio». «Tutto questo - avverte Samir - è davvero anti-divino, diabolico, anche se compiuto in nome di Dio. È anti-umano». E poi l’Islam potrà mai, come ha fatto il Cristianesimo, operare la distinzione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio? Non dimentichiamo che siamo in paesi dove si discute ancora quando e come sia consentito al marito di battere la propria moglie. Si discetta sul modo di picchiarla, risparmiandole il viso ma non le parti inferiori del corpo.
Il musulmano si affida (Islam non a caso significa “sottomissione”) al Corano o a una delle sue interpretazioni. «Si sente ignorante della sua religione precisa Samir - è incapace di discernere tra giusto e sbagliato, di scegliere tra il “bene islamico” e il male, e ha paura di diventare un cattivo musulmano come chi lo circonda, proprio perché gli islamisti (parola ben diversa da islamici) hanno inculcato nel credente l’idea di essere l’unico vero musulmano. Per ogni particolare si rivolge agli “Ulema” (i capi)». La teologia neofondamentalista, come scrive Khaled Fouad Allam nella prefazione del libro edito da Cantagalli, «sbarra la strada a ogni alternativa. Il pensiero autenticamente riformista si trova in una posizione di debolezza». Recita un testo dei Fratelli Musulmani: «…io credo che la bandiera dell’Islam debba dominare l’umanità e che il dovere di ogni musulmano consista nell’educare il mondo secondo le regole dell’Islam…io mi impegno a lottare finchè vivrò per realizzare questa missione e a sacrificarle tutto ciò che possiedo». Anche la vita, dicono i “martiri”. Ovverossia i kamikaze, i terroristi. Sono questi i buoni fedeli di Maometto? Del resto che cosa è, se non il male, l’inconcepibile?
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO
LA DOMANDA DEL GIORNO
Ispezioni sulle tariffe: cellulari troppo cari? LE SOLITE MANFRINE A DANNO DEL CONSUMATORE La manfrina delle tariffe, affonda come tutti i balli tradizionali le sue radici nella ripetizione inviolabile delle mosse. E così, puntualmente ogni fine di agosto, ci ritroviamo a discutere di balzelli e rapidi scarti con cui i nostri maggiori gestori telefonici ritoccano verso l’alto i costi delle telefonate.Tra alibi immutabili e il solito paniere di sagge corbellerie sul costo della vita e sugli aumenti che danneggiano anche i fornitori di servizi, le promozioni estive, accecanti e rinfrescanti quanto un lavacro in mezzo al solleone, diradano lasciando posto all’autunno del consumatore. Insieme alle foglie cadono le braccia e il loro potere d’acquisto. Il bello è che le nuove tariffe ci vengono spacciate come imperdibili offerte, salvo poi ritrovare in un illegibile minuscolo che la straordinarietà dell’offerta si disperde in un rivolo di annotazioni, scritte in caratteri così minuscoli da dovere essere analizzate al microscopio. Che ci siano le ispezioni mi pare il minimo, ma il vero salto di qualità nel rispetto del consumatore regolarmente turlupinato, sarebbe che gli enti preposti – e se non ci sono inventiamioli e se non funzionano si facciano funzionare – analizzasse-
LA DOMANDA DI DOMANI
Troppe stragi sulle strade: aumentano controlli e test antidroga. Basteranno?
ro i nuovi piani tariffari in anticipo, e poi se tutto quadrasse e non fosse accertato il latrocinio, dessero il via libera.
Tiziana Luperini Livorno
BASTA CARTELLI E SPARTIZIONI È davvero indecente che sotto le mentite spoglie di una libera concorrenza, i maggiori gestori telefonici di questo Paese, si spartiscano il mercato con accordi sottobanco. La soluzione ai continui rincari sarebbe l’apertura a una vera concorrenza, perchè almeno qui da noi di libero mercato non c’è neppure il sentore, e l’unica cosa libera è l’uscita dei caporali dalle caserme di provincia. La mano invisibile di cui parlano i teologi del liberismo, qui da noi ci vede benissimo e tutto arraffa a vantaggio di pochi
Riccardo Gravina Benevento
MA È LECITO OBBLIGARE LA GENTE A CAMBIARE TARIFFA? Vorrei innanzitutto dire che mi trovo d’accordo con quanti ritengono che i gestori telefonici offrano servizi poco trasparenti e applichino aumenti di tariffa spesso ingiustificati e concordati a tavolino per annullare gli effetti della concorrenza. Mi preme però cercare di capire se il meccanismo per cui noi clienti stipuliamo con il gestore telefonico di turno un contratto, per poi vedercelo annullare unilateralmente da loro, sia legittimo. Per quello che ne so, perchè un contratto sia scisso si deve essere in due. Invece, spesso mi ritrovo a essere contattata dal gestore, che tra solluccheri e gentilezze mi fa sapere che sono costretta a scegliere una nuova tariffa, fra quelle nuove e sempre più eccezionali messe a punto.
Marina Vettori Savona
MEGLIO TORNARE AL TELEFONO FISSO Prima ci hanno fatto credere che staccare il telefono ci avrebbe fatto risparmiare e ora il cellulare è un salasso. Complimenti
Rispondete con una email a lettere@liberal.it
C’È ANCORA BISOGNO DEI PARTITI IN ITALIA? La domanda non è solo provocatoria atteso che, anche se sono stati i partiti – come ricorda Leibholz – ad aver reso possibile “l’integrazione politica del popolo” nella vita dello Stato, ad aver disegnato le costituzioni contemporanee, ad aver innovato l’organizzazione degli Stati, ponendo finalmente a contatto i cittadini con quelle istituzioni che lo stato liberale gli aveva per lungo tempo precluso, oggi più che mai appaiono modelli partecipativo superato. Scriveva alla fine degli anni ’20 Hans Kelsen: “un’evoluzione irresistibile porta tutte le democrazie ad una organizzazione del popoli in partiti”. La frase di Kelsen merita attenzione per la sua distanza dalle realtà politica odierna e per gli interrogativi che inevitabilmente essa pone. A fronte della crisi dei partiti come si organizza e manifesta oggi la volontà popolare ? Il popolo oggi è preda di altre evoluzioni irresistibili ? E in che direzione ? Con quali esiti ?
Andrea Folletto Venezia
ROSSO POMODORO La “Tomatina” è l’annuale lotta alimentare che si svolge a fine agosto a Bunol. Ogni anno migliaia di persone si lanciano secchi di pomodoro lungo le strade della cittadina spagnola. La tradizione, che risale a metà degli anni ‘40, è nata dopo una lite tra ragazzi che utilizzarono i pomodori come arma L’UNICA STELLA POLARE DELL’UDC È IL CENTRO Caro direttore, qualche giorno fa leggevo a pagina 22 del nostro giornale, nella rubrica ”Dai circoli liberal”, una estiva divagazione astronomica sul percorso che si dovrà fare per arrivare con il Gran Carro alla Stella Polare, portare cioè l’Udc verso la Costituente di Centro. Leggevo inoltre della ”pazienza” dimostrata dalla Rosa Bianca e dai Circoli Liberal verso settori Udc che ”dettano una propria linea politica”. Non so a cosa si riferisse il ”coordinatore regionale dei Circoli Liberal dell’Umbria” Cozzari, ma forse voleva indicare la prospettiva, per lui unica, di un accordo con il Pd. Questo, infatti, era già stato auspicato dal Cozzari padre, presidente della Provincia,
dai circoli liberal
Qual è la natura politica di tali processi ? E quali le implicazioni costituzionali ? Il tentativo di costruzione di un partito “nuovo” oggi non può prescindere dal cercare una risposta a questi interrogativi. Così come non può prescindersi dall’analisi storicopolitica degli ultimi quindici anni, dalla quale emerge con forza un dato: travolta la democrazia dei partiti, la c.d. transizione italiana si è progressivamente avvitata attorno alla spirale dell’antipolitica. Populismo e mercato sono i suoi caratteri portanti. I fattori sintomatici sono: a) la trasformazione del sistema politico; b) la personalizzazione del potere; c) l’influenza dei media. In altri termini si è in questo modo venuta a sostituire quella che era la mediazione politica dei partiti con la immedesimazione istintiva e spontanea tra governanti e governati. Ne consegue che la strada da seguire nella costruzione di un partito nuovo, pur rinnovato nelle forme, non può e non deve andare nel senso opposto al mo-
nell’incontro di Casini con l’Udc e con la Rosa Bianca tenutosi a Perugia prima di Todi. Debbo allora ricordare che sia in quella circostanza che a Todi, nessuno ha indicato quale dovrà essere lo sbocco dell’Udc, ma si è dato l’indirizzo di tenere ben forte il timone al centro! La politica è anche prudenza! Non credo servano forzature e spero che anche Chianciano indichi che si debba essere faro per un vero polo di centro cristianoliberale ideologicamente propositivo. Se poi si immagina che l’Udc in Umbria possa fare da ”soccorso rosso” all’attuale squalificata giunta di sinistra, allora credo che si sia confuso emisfero. Vedere in questo devastato Pd la Stella Polare...era una lucciola!
Dino Mazzoleni Gualdo Tadino (PG)
dello partecipativo iscritto in Costituzione. Se ha un senso la costruzione di un partito “nuovo” di centro nel futuro del Paese, allora è necessario interrompere il balletto imposto dalla sinistra e dalla destra; bisogna ricominciare a parlare al Paese, spiegare le ragioni del Centro, pungolare gli orgogli sopiti ed i sentimenti di libertà, risvegliare le coscienze. Si parla molto di andare a destra o sinistra, ma in realtà è decisivo andare avanti. Lungo questa linea dovrà muoversi la costituente di centro sin dai suoi primi passi; un partito è l’organizzazione di una buona volontà che ha un certo programma ed un certo spirito, che muove da concetti superiori a quelli che possono muovere la vita quotidiana ed è al servizio di una causa (De Gasperi): il bene comune. Se si intende intraprendere questa strada allora ha un senso la “costituente di centro” perché tutte le democrazie hanno bisogno di partiti ispirati, organizzati e liberi. Ignazio Lagrotta COORDINATORE CIRCOLI LIBERAL REGIONE PUGLIA
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LA RIUNIONE È INUTILE. PROPRIO VERO
Gli anni adulti infittiscono il mistero Cara amica, pare quasi soprannaturale che, lei mi abbia spedito proprio il fiore che io preferisco al mondo, e la contentezza dolce che io ho provato non l’ho potuta svelare e dividere con nessuno. Mi è ancora oggi caro il modo in cui, Bambina, lo coglievo dal terreno e lo tenevo stretto tra le mani, un premio misterioso e sovrannaturale, e poi gli anni adulti non fan altro che infittire il mistero che mai vien meno. Duplicare la visione è quasi ancora più sorprendente perché i poteri di Dio, unici, sono troppo meravigliosi per meravigliare. Non so come ringraziarla. Non ringraziamo l’Arcobaleno, sebbene il Premio che esso concede sia una insidiosa trappola. Dara piacere è venerato gesto – forse le fatiche degli Angeli, le cui passioni nascoste –. Mi auguro che lei stia bene e così pure la tenera Bimba dallo Sguardo profondo, ogni giorno che passa sempre più irraggiungibile. Emily Dickinson a Mabel Loomis Todd
CHE NOIA LE FICTION OSPEDALIERE L’ultima della serie l’hanno chiamata “Terapia intensiva”, e mi sa che tutti gli spettatori dovranno farsela fare prima o poi, se la nostra Rai continua a propinarci sceneggiati che fanno le pulci ai serial americani di successo. Perchè non cerchiamo una nostra originalità e raccontiamo i contesti della nostra realtà nazionale, piuttosto che inseguire con effetti ridicoli tic, vezzi e manie della produzione industriale d’oltreoceano? La mala sanità nazionale imperversa infatti sui giornali italiani e su quelli esteri, e la tv di stato, invece di documentare con approfondimenti e opere digitali di denuncia gli orrori a cui assistiamo, promuove queste soap mediocri finte che rendono l’idea del nostro Paese, quanto il camper di Barbie la situazione dei rom. Siamo stufi di questo intrattenimento becero, e per lo meno, se proprio si volesse non drammatizzare a tutti i costi, almeno si potrebbe puntare sull’ironia. Niente da fare, a noi le cose finte ci fanno gola. Leggessimo di più i giornali, ci informassimo con più attenzione, ce ne accorgeremmo in molti di più. E qualcuno, persino, si indignerebbe.
Giorgio Salvetti Recanati
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Nicola Procaccini (vice capo redattore) Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
30 agosto 1873 - Gli esploratori austriaci Julius von Payer e Karl Weyprecht scoprono la terra di Francesco Giuseppe nel Mar Artico 1918 - Degli assassini feriscono gravemente il leader bolscevico Vladimir Lenin e uccidono Moisei Uritsky, dando la spinta al decreto che istituirà il Terrore Rosso 1941 - Inizia l’assedio di Leningrado 1963 - Guerra fredda: entra in funzione il Telefono Rosso tra i capi di Stati Uniti ed Unione Sovietica 1999 - In un referendum Timor Est vota per l’indipendenza 1904 - Delio Cantimori, storico e politico italiano († 1966) 1905 - Leo Longanesi, giornalista, editore e disegnatore italiano († 1957) 1933 - Luis Bacalov, pianista, compositore e direttore d’orchestra argentino 1954 -muore Alfredo Ildefonso Schuster, cardinale cattolico italiano (n. 1880)
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
Lo studio scientifico americano di cui ho letto sui giornali mi trova pienamente d’accordo. Le riunioni in sede di lavoro sono solo un’inutile vezzo, una specie di liturgia del potere sui sottoposti che non porta mai a niente. Si dice sempre che bisogna parlare tutti, che ogni opinione è gradita e anzi doverosa, che si decide tutti insieme nell’interesse comune. Poi invece succede che se parli ti squadrano storto come fossi afflitto da una demenza senile che scatena sorrisi di compassione e facce inorridite, che se la tua opinione è troppo sincera poi i colleghi ti vengono incontro dopo la riunione e ti dicono che effettivamente te la potevi risparmiare perchè sennò ti metti contro i capi, e che se la tua proposta sfiora solo incidentalmente il bene comune a danno di uno solo, scatta il mobbing perchè tutti devono fare finta di solidarizzare con la vanità ferita, insieme alla prebenda, della persona in questione. A questo punto, vista l’aria burocratica e bizantina delle riunioni meglio abolirle. Fateci sgobbare e basta, senza troppi predicozzi e filisteismi da padrone d’azienda. Ovviamente terrò l’anonimato.
Indirizzo mail Milano
PUNTURE Secondo una ricerca 6 italiani su 10 non sanno sostenere una conversazione in inglese. La verità è che 6 italiani su 10 non sanno sostenere una conversazione
Giancristiano Desiderio
“
Un mondo retto dalla forza è abominevole, ma il mondo retto dal numero è ignobile GEORGES BERNANOS
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di ALITALIA E IL GIAVAZZI ROSICONE Leggi l’editoriale di Francesco Giavazzi e sembra che Corrado Passera, per conto del Berluska, sia volato a Parigi per pietire dagli amministratori di Air France una seconda chance. Poi nelle pagine di economia, invece, il Corriere della Sera, assicura: “Niente ‘sindrome francese’, questa volta, per gli italiani: rischiamo addirittura di poter scegliere, se non di portare a casa due accordi”. Insomma – scrive il Velino - il lettore del quotidiano di via Solferino chiude il giornale e non ha capito se la “Compagnia aerea italiana” – questo il nome della newco costituita da 16 imprenditori che rileverà l’aviolinea – si butterà fra le braccia di Air France o sarà Parigi a chiedere di entrare nel capitale di Alitalia nel quadro del risiko dei cieli per fronteggiare il caro-greggio e rafforzare la propria posizione sul mercato. La risposta nell’editoriale del Sole 24Ore: il “colpo di scena” del rientro in scena dei francesi è “la risposta di Parigi all’offensiva tedesca su Austrian Airlines” laddove Italia e Austria diventano oggi i due più interessanti teatri di battaglia per il consolidamento aereo su scala continentale. E ancora: “Se saprà muoversi con pragmatismo la Compagnia aerea italiana che darà vita alla nuova Alitalia ha forse davanti a sé la possibilità concreta di aprire due tavoli di confronto e di valutare quale sia il partner internazionale più conveniente nello scenario che si aprirà dopo l’imminente commissariamento”. La morale è sempre
la stessa: anche i liberali, quando si buttano a sinistra, diventano rosiconi.
KrilliX krillix.ilcannocchiale.it
MA CHE MODA È? Fra le notizie sempre in primo piano ci sono, immancabili, le sfilate di moda. Che tu voglia o no te le ritrovi sempre sotto il naso, come le foto delle ”Calendar girls” e le avventure sentimentali dei Vip. Basta entrare in un qualunque sito di news, dalle agenzia di stampa ai quotidiani on line ed eccole lì, le foto dell’ultima sfilata, dall’Europa, dall’America, dall’Asia, dall’Australia. Sfilate per tutti i gusti. Ho l’impressione che ormai più che sfilate di moda siano diventate degli eventi di spettacolo. E che siano uno spettacolo riservato agli addetti ai lavori ed a quella strana categoria di persone che, avendo grandi patrimoni a disposizione, non hanno il problema del lavoro, né di arrivare a fine mese, né di pensare a quei piccoli problemi quotidiani che assillano le persone normali, perché tanto ci pensano i maggiordomi, le cameriere, le baby sitters. Non avendo, quindi, problemi di alcun genere passano il tempo distraendosi in mille modi; uno di questi sono le sfilate di moda. Non so quante persone seguano questi eventi e leggano le notizie relative o guardino le foto delle sfilate. Magari sono in tante, così come sono tantissimi coloro che amano seguire le notizie di gossip. Non esprimo giudizi, anche perché non serve. Però qualche volta dovremmo chiederci se davvero queste notizie siano importanti, visto che sono sempre in primo piano.
Torre di Babele torredibabele.blog.tiscali.it
Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma
Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via Vitorchiano, 81 00188 Roma -Tel. 06.334551
Amministratore Unico Ferdinando Adornato
Diffusione e abbonamenti Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia (responsabile) Massimo Doccioli, Alberto Caciolo 06.69920542 • fax 06.69922118
Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Lagrotta Amministratore delegato: Gennaro Moccia Consiglio di aministrazione: Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Angelo Maria Sanza
Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro
Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: Gaia Marcorelli Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna) E.TI.S. 2000 VIII strada Zona industriale • Catania Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.”
Abbonamenti
Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc
e di cronach
via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it
Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30
PAGINAVENTIQUATTRO Cartolina da Venezia. Tutti in fila per il film con Charlize Theron e Kim Basinger
Tra madri e figlie, gli uomini preferiscono le di Alessandro Boschi ontrariamente a quanto annunciato e soprattutto sperato, le due bionde protagoniste del primo lungometraggio diretto da Guillermo Arriaga, The Burning Plain, in concorso alla 65ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, non sarà presente al Lido. Le due bionde, sia quella che ci sarà, Charli-
C
la struttura di The Burning Plain. Vedere per credere: il film è già in forza a Medusa. Arriaga, vale la pena ricordarlo, è lo sceneggiatore di Alejandro González Iñárritu, il regista di Amores perros , 21 grammi e Babel, tutti film strapremiati dalle giurie di ogni latitudine dell’orbe terraqueo. C’è anche chi insinua che Iñárritu sia quello bello e Arriaga quello bravo… Ma parlavamo di bionde, di due bionde,
BIONDE
ze Theron, che quella che invece brillerà per la sua assenza, Kim Basinger, sono rispettivamente figlia e madre in questo articolato dramma familiare che si svolge in una città di confine in Messico e che si dipana su due diversi piani temporali. Arriaga, da pochi mesi cinquantenne, aveva da giovane la vocazione del pugile, probabilmente a causa delle tante risse per le strade di Città del Messico. Il pugilato, si sa, è sport che provoca traumi anche molto pericolosi e talvolta irreversibili. Ma anche altri sport possono essere pericolosi. Gli avversari di Gerald Ford, l’ex presidente USA, dissero una volta che aveva giocato a football americano (questa è vera) troppo a lungo e senza casco (questa non so), e ciò doveva avergli inficiato le capacita intellettive (questa invece è plausibile).
L’un ica
c o ns e g u en z a
subìta da Guillermo a causa dei pugni ricevuti è stata invece la perdita dell’olfatto, il che non sempre si rivela essere un problema, d’estate specialmente. L’intelletto no, quello non è stato compromesso. Perché solo una mente lucidissima avrebbe potuto concepire
che in realtà sono tre, perché una delle due cresce e diventa Charlize Theron. Come spesso succede in questi casi, anche se si sa che una star di quelle di primo piano non sarà presente, si lascia arrivare il giorno fatidico dell’annunciata apparizione e solo all’ultimo istante si rivela che per l’apparizione bisogna rivolgersi altrove. Pare che esattamente questo sia successo per la seconda, pardon , per l’altra bionda, Kim Basinger. La teoria delle
to dai rotocalchi, mentre si narra che Charlize Theron, alla domanda di una nota giornalista televisiva sulle presunte violenze domestiche subite da adolescente, abbia risposto con un sonoro manrovescio. Ecco, se dovessimo proprio scegliere tra le due credo che questo particolare farebbe la differenza. Anche perché Kim Basinger (classe 1953) non può tirarsi le rughe del volto e pretendere che nessuno noti la vecchiaia delle mani, il nostro vero biglietto da visita. La giornata di oggi, con il film di Guillermo Arriaga, contribuisce a confermare l’idea di un Festival che non riesca piazzare la zampata della svolta, e per chi ha come simbolo un leone non è proprio il massimo. C’è impegno, qualche ideuzza, qualche inevitabile furbata. Manca però il film «crack». Di fatto, non abbiamo ancora visto niente che faccia gridare al miracolo, o comunque almeno gridare.
Grande successo per la proiezione in concorso di «The Burning Plain», il film di Guillermo Arriaga con le due dive. Un confronto diretto tra due stili di recitazione diversi ma anche tra due bellezze assolute e contrastanti bionde e delle brune di Hitchcock è piuttosto nota (le bionde hanno il «sesso indiretto», le brune diretto), come è noto il fatto che le bionde esercitino un grande fascino sugli uomini, anche se si dice che questi finiscano quasi sempre per sposare le brune. Forse perché quelle bionde non sono né Charlize né Kim. Due schianti. E pure brave. Intendiamoci, l’Oscar che la Theron si aggiudicò per Monster nel 2004 (come protagonista) non era del tutto meritato. Un po’ di più lo era forse quello della Basinger per L.A. Confidential (come non protagonista).
Ma non c’è dubbio che il glamour sia superiore al talento. Il carattere invece non manca a nessuna delle due. Dell’estenuante battaglia legale della Basinger con l’ex marito Alec Baldwin per l’affidamento dei figli si sa tut-