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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA

Tutti i dubbi sulla politica finanziaria degli Stati Uniti in crisi

di e h c a n cro 80926

Va bene aiutare il mercato, ma chi gestirà il futuro?

9 771827 881004

di Ferdinando Adornato

LA CAI COMPRA ALITALIA. I PILOTI VERSO IL SÌ

di Newt Gingrich l Congresso deve rispondere a quattro domande prima di scaricare sui contribuenti il peso del piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari del ministro del Tesoro, Henry Paulson, e prima di affidare così tanto potere nelle mani della burocrazia di Washington: 1. L’attuale crisi finanziaria è la sola crisi che colpisce l’economia? 2. Una soluzione basata su una maggiore burocrazia è la sola risposta possibile? 3. Il piano Paulson sarà attuato con trasparenza e controllo? 4. Vogliamo affidare questo piano ad un Tesoro del dopo Paulson? se g ue a p ag i na 4

I

Fabio Berti

Guglielmo Epifani

Jean-Cyrille Spinetta

L’accordo è una lezione per tutti. Con ultimatum e capri espiatori non si può governare

Wolfgang Mayrhuber

Vince il dialogo

Gli Usa e l’Europa devono cambiare politica nei confronti dell’Iran

Roberto Colaninno

Basta dialogare con Ahmadinejad o finirà come con Hitler di Daniel Pipes opo Hitler, la politica dell’appeasement utilizzata verso i dittatori – ridicolizzata da Churchill alla stregua di cibo per coccodrilli, nella speranza che chi la esercita sia l’ultimo ad essere mangiato – sembrava essere definitivamente screditata. Ciò non ha impedito che venisse ancora utilizzata con un certo margine di successo e che continui a essere una tentazione quando si ha che a fare con la Repubblica Islamica dell’Iran. Il mondo accademico è stato spesso molto critico rispetto a una facile archiviazione dell’appeasement. Già nel 1961, A. J. P. Taylor, docente della Oxford University, giustificò gli sforzi di Neville Chamberlain, e ancora oggi Christopher Layne della Texas A&M University sostiene che Chamberlain «fece del proprio meglio con le carte di cui disponeva». se g ue a p a gi na 10

D

Renata Polverini

Raffaele Bonanni

alle pagine 2 e 3

Silvio Berlusconi Una lettera in vista delle Europee

Nominato il successore di Betori

Veltroni a Casini: insieme per le preferenze

Cambio nella Cei Arriva monsignor Mariano Crociata

di Francesco Capozza

di Francesco Rositano

di Pierpaolo Donati

«Sono certo che le forze di opposizione potranno, insieme, fare delle preferenze una questione di civiltà politica», così il leader del Pd Walter Veltroni in una lettera a Casini.

Stavolta il toto-nomine vaticano era esatto: monsignor Mariano Crociata è il nuovo segretario della Cei. Succede a monsignor Giuseppe Betori che va a Firenze. Ha 55 anni e arriva da Noto, in Sicilia.

Oggi a Siena inizia il convegno su Patria, Nazione e Bene Comune che si chiuderà domani con l’assegnazione del premio a Carlo Azelio Ciampi. Anticipiamo la relazione di Pierpaolo Donati.

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VENERDÌ 26

SETTEMBRE

2008 • EURO 1,00 (10,00

Da oggi a Siena il convegno di liberal

Globalizzazione e cittadinanza In cerca di una nuova identità

pagina 14 CON I QUADERNI)

• ANNO XIII •

NUMERO

184 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 26 settembre 2008

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Ultimatum e forzature del governo hanno rischiato di compromettere la trattativa, salvata grazie al buonsenso

Impariamo l’Alitaliano di Errico Novi

ROMA. Pericolo scampato. Di poco, e grazie a un’assunzione di responsabilità generale ma tardiva. La vicenda Alitalia dovrebbe insegnare a non scherzare col fuoco, a non lasciarsi intrappolare con tanta disinvoltura dalla suggestione mediatica. Il governo invece si è lasciato tentare, ha utilizzato toni forti, bruschi, esasperati. Nei confronti della Cgil, innanzitutto, e dell’opposizione. Ha incendiato la discussione quando la via d’uscita era nell’atteggiamento esattamente contrario. Nella ricerca paziente del dialogo e in quella categoria evocata ieri proprio da un ministro, Ignazio La Russa: «Chi ha vinto? Il governo, con il concorso di tutti, ma più di ogni altra cosa ha vinto il buonsenso, dunque l’Italia».

gerire al governo di gestire futuri passaggi con la stessa maldestra durezza dei primi giorni. Poteva finire diversamente, se la coincidenza dei tempi non fosse stata favorevole. Dice per esempio il capogruppo del Pd nella commissione Trasporti della Camera, Michele Meta: «La situazione si è sbloccata grazie alle certezze sulla presenza di un alleato straniero, che potrà dare un respiro sovranazionale alle ambizioni limitate della Cai».

Solo nelle ultime ore si è risposto a una delle principali questioni sollevate dai piloti: il rischio che la nuova Alitalia si riducesse a una versione aggiornata di AirOne. Non c’era solo egoismo corporativo, dietro quelle obiezioni, e Berlusconi stesso a questo punto dovrà riconoscerlo. Non si poteva pretendere che i dipendenti accettassero a cuor leggero le incognite sule future ambizioni della compagnia.

Ciascuno si attiene al proprio copione, compreso Walter Veltroni. «Non voglio assumermi alcun merito, ma se l’opposizione cerca di dare una mano, il presidente del Consiglio non dovrebbe insultarla: ho messo insieme Colaninno ed Epifani (in un incontro avvenuto martedì pomeriggio, prima dell’assemblea del Pd a Montecitorio, ndr), i due soggetti che avevano maggiori responsabilità nella trattativa, ho lavorato riservatamente con stile anglosassone insieme con Gianni Letta, che ha una cultura delle isti-

Veltroni svela di aver organizzato, con Gianni Letta, l’incontro decisivo tra Epifani e Colaninno.Anche La Russa riconosce che alla fine ha vinto l’italica attitudine alla mediazione

Ci voleva tanto ad armarsi di italico buonsenso e mettere insieme le tessere del mosaico? È stato così difficile rassegnarsi ad affrontare il nodo Alitalia con un linguaggio misurato, che con una crasi sdrammatizzante potremmo definire Alitaliano? No, ma l’esito positivo della trattativa, che si trascina dietro alcune ombre di dissenso, non deve sug-

tuzioni diversa, come la mia, da quella di Berlusconi». E questo perché il segretario del Pd non vuole attribuirsi meriti. È però difficile dargli torto quando chiede all’esecutivo di smetterla «con gli spot, i fuochi d’artificio, il bullismo che deve essere combattuto». I toni esasperati costituiscono un errore, da non ripetere con i prossimi dossier, a cominciare dalla riforma dei contratti.

È una questione di metodo. Anche se nel porla,Veltroni asseconda a sua volta il gioco dell’autopromozione ad ogni costo. L’udc Maurizio Ronconi definisce giustamente «demenziale» la pretesa di «iscrivere il merito del probabile successo della trattativa a uno schieramento politico». Il futuro di Alitalia resrerà incerto, se continerà a prevalere la logica delle minacce e degli ultimatum. In quest’ultima drammatica settimana, Cai e sindacati, governo e opposizione sono rimasti in equilibrio su un filo sottilissimo. Hanno dato spettacolo con evidenti eccessi di imprudenza. Ancora ieri, con le assemblee dei piloti in corso, Antonio Di Pietro si è unito al concerto di rivendicazioni per prendersela con il leader del Pd: «È arrivato solo all’ultimo minuto, hanno vinto i ricattatori sui ricattati». Si continua imperterriti a fare campagna elettorale ad alta quota. Non è detto che se ne possa uscire sempre illesi.

Dopo Cisl, Uil e Ugl, Cgil firma l’intesa sul piano. Nasce la nuova compagnia ROMA. Trenta giorni – forse con un vettore straniero tra i soci – e la nuova Alitalia vedrà la luce. Con o senza l’assenso dei piloti e degli assistenti di volo, dei duri e puri di Anpac, Up, Avia e Sdl. La Cai di Roberto Colaninno è pronta a rilevare gli asset della compagnia di bandiera dal commissario Fantozzi.

La svolta, in un’operazione formalmente saltata la scorsa settimana, si è avuta ieri intorno alle 13 a Palazzo Chigi, quando le tre organizzazioni confederali assieme con l’Ugl hanno confermato (per la Cgil si è trattato della prima firma) l’accordo quadro sul piano industriale e trovato un’intesa sullo schema con-

Cai vola.Anche senza il sì dei piloti di Francesco Pacifico trattuale presentato da Cai. Se poche ore prima avevano detto di sì anche gli steward e le hostess dell’Anpav, resta ancora complesso il quadro delle sigle che compongono il fronte del no. Ieri, durante un’assemblea a Fiumicino, 500 lavoratori della compagnia hanno confermato il loro giudizio negativo sul piano Colaninno. Ma questo non ha impedito ai leader dei piloti di Anpac e Up, Berti e Notaro, di tornare a Palazzo Chigi e riaprire in extremis una trattativa su piano e contratti. Proprio lo spettro di un accordo separato

ha spinto Guglielmo Epifani a chiedere «meccanismi di convalida dell’accordo», cioè un referendum tra i lavoratori, per non mettere a rischio la pax sociale indispensabile per la nuova compagnia. A portare la Cgil fuori dal fronte del no non sono stati soltanto il pressing del governo, l’ammorbidimento di alcune posizioni del ministro del Lavoro Sacconi e la decisione di Walter Veltroni di sposare in pieno la causa Cai, cosa che ha isolato ancor di più Epifani. La svolta è arrivata con delle piccole con-

cessioni fatte da Colaninno, che Sacconi ha preferito definire «chiarimenti e non correzioni» al piano, ma che per il leader di Corso d’Italia rendono «l’intesa complessiva assolutamente positiva». Guardando alle modifiche dell’ultim’ora, Cai s’impegna a pescare – per un massimo di mille – nel bacino dei cassintegrati (prima) e in quello dei 3mila precari (poi) le figure alle quali destinare i nuovi contratti a termine. Il personale di terra mantiene invariate le remunerazioni, mentre quello viaggiante perde tra il 6 e il 7 per

cento sul fisso, da recuperare però con l’aumento delle ore di volo. Per piloti e steward 30 giorni di riposo a trimestre con un minimo mensile di 8. Rispetto alla vecchia gestione sono confermati i diritti alla malattia o lo straordinario notturno per i dipendenti di terra.

Il ministro dello Sviluppo Scajola ha annunciato che «la Cai, una volta acquisiti gli asset dal commissario, comunicherà il partner straniero». E al momento Air France è favorita su Lufthansa. Il ministro Sacconi aggiunge che «ci sono le condizioni per un solido futuro», mentre il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, gongola per «la sconfitta del partito del fallimento».


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Sotto, nel tondo a sinistra, Jean-Cyril Spinetta, numero uno di Air France; in quello a destra, Wolfgang Mayrhuber di Lufthnasa: sarà uno dei due giganti dei cieli a entrare nella nuova Alitalia

Una partecipazione internazionale è indispensabile alla nuova Alitalia. Ecco perché

E ora,Air France o Lufthansa? di Andrea Guiricin a firma di tutti i sindacati confederali ha aperto lo spiraglio per il rientro nella partita Alitalia della Compagnia Aerea Italiana guidata da Roberto Colaninno e Rocco Sabelli. La vicenda non è ancora chiusa poiché mancano ancora le firme dei piloti, che continuano ad essere la categoria con più forza contrattuale in questa trattativa; in un mercato come quello del trasporto aereo in continua espansione, essi hanno una professionalità molto ricercata dal mercato. Potrebbero trovare infatti una nuova occupazione facilmente da compagnie concorrenti di Cai.

L

infatti accordi bilaterali tra i Paesi dove il numero dei voli è deciso da accordi tra Governi. L’apertura dei cieli «Open Skies» tra USA ed Europa, avvenuta a fine dello scorso marzo è un grande passo in avanti; infatti grazie a questo accordo è possibile per qualunque vettore europeo od americano volare da un qualunque punto degli USA o dell’Europa. Questa apertura ha delle conseguenze evidenti: è accresciuta la concorrenza tra vettori americani e quelli europei. È il motivo per cui le compagnie aeree di entrambi i continenti stanno stringendo accordi commerciali sempre più stretti, in modo da crescere ed essere più competitivi.

Il mercato del trasporto aereo è in crescita grazie alla liberalizzazione europea avvenuta tra il 1987 e il 1997; tre pacchetti normativi dell’Unione Europea hanno di fatto aperto il mercato alla concorrenza e hanno permesso l’arrivo di compagnie più efficienti anche nel mercato italiano. I mercati più concorrenziali, Gran Bretagna, Spagna ed Irlanda, sono quelli che hanno conosciuto crescite a tre cifre, mentre Germania e Francia, dove le compagnie di bandiera, rispettivamente Lufthansa e AirFrance, hanno una grande forza di mercato, hanno visto crescere il mercato in maniera meno evidente. In Italia il numero di passeggeri trasportati è raddoppiato in un decennio, passando da 53 milioni di passeggeri annui nel 1997 a 108 milioni del 2007. Alitalia è un piccolo operatore regionale, con solo il 17 per cento della quota di mercato italiana e con il 3 per cento di quella europea. Il mercato italiano è stato sviluppato da operatori concorrenti di Alitalia, che attualmente trasportano l’83 per cento dei passeggeri da e per il nostro paese. Quindi, non è possibile capire il futuro di Alitalia senza comprendere lo scenario del trasporto aereo globale. I voli intercontinentali, al contrario di quelli europei, non sono ancora pienamente liberalizzati. Esistono

A livello globale sono presenti tre grandi alleanze nei cieli: “SkyTeam”, che ricomprende Air France-KLM, Delta e la stessa Alitalia,“Oneworld”alla quale partecipano British Airways, Iberia ed American Airlines ed infine “Star Alliances” composta tra l’altro da United Airlines, Lufthansa e SAS. Solo guardando a queste tre

L’accordo con i francesi sarebbe il più logico: esistono già accordi e strategie comuni. La soluzione tedesca invece ha un maggior valore politico: servirebbe a salvare Malpensa grandi alleanze internazionali è possibile comprendere al meglio il mercato europeo. I processi di fusione che stanno avvenendo oggi, quali quello tra British Airways e Iberia, seguono la logica di un’unione tra i vettori facenti parte della stessa alleanza. Il mercato europeo si sta concentrando e nei prossimi anni ci sarà spazio solo per le 3 grandi compagnie tradizionali (ex compagnie di bandiera) e 2 o 3 compagnie a basso costo. Queste saranno AirFrance-KLM, Lufthansa-Swiss e British Airways-Iberia, che oggi trasportano rispettivamente 76, 74 e 60 milioni di passeggeri annui e le due low cost, Ryanair ed Easyjet con 58 e 44 milioni di pas-

seggeri. Alitalia trasportava nel 2007 24,6 milioni di passeggeri e Cai difficilmente ne trasporterà più di 25/26 milioni. È necessaria, dunque, un’alleanza della nuova compagnia italiana con uno dei grandi operatori europei. Le ipotesi al vaglio sono due: l’alleanza con il gruppo franco-olandese o con quello tedesco. British Airways al momento sembra avere meno possibilità in quanto è impegnata nell’integrazione con Iberia. L’ipotesi Air France è quella più logica dal punto di vista industriale per Alitalia in quanto con i francesi esiste già un coordinamento delle rotte. L’uscita dall’alleanza potrebbe avere un costo elevato, non solo dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista strategico poiché sarebbero da rivedere le rotte del piano industriale attualmente in utilizzo. Questa opzione tuttavia ha la debolezza dul punto di vista politico; il primo gruppo europeo punterebbe su Roma Fiumicino come unico hub e questo potrebbe incontrare delle grandi resistenze in forze importanti della maggioranza come la Lega Nord. L’ipotesi tedesca ha invece un vantaggio politico; esso difende Malpensa posizionando il mercato lombardo come prioritario. La compagnia tedesca ha esperienza nell’avere la capacità di difendere l’indipendenza del brand come è successo per Swiss.

In questo quadro incerto due sono le certezze. Qualunque opzione venga scelta è chiaro che nei prossimi cinque anni la “vecchia”compagnia di bandiera verrà acquisita da un grande operatore internazionale, perché l’italianità in un mercato competitivo non trova spazio; inoltre qualunque operatore verrà scelto, difficilmente esso potrà mantenere una struttura di doppio hub in Italia. Gli errori commessi in passato pesano in maniera decisiva anche sul futuro di Alitalia.


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Il Congresso americano deve rispondere ancora a quattro domande prima di “scaricare” sui contribuenti il peso di un salvataggio da 700 miliardi di dollari

Attenti ai nostri soldi Lo stratega della rivoluzione conservatrice Usa chiede alle Camere maggiore prudenza sul piano Paulson di Newt Gingrich segue dalla prima

VEDERE WASHINGTON precipitarsi a gettar via i soldi dei contribuenti per salvare Wall Street è stato un pò come ritornare con i piedi per terra. Ma è stato anche un fatto alquanto preoccupante. Ci viene detto che il Ministro del Tesoro, Henry Paulson, ha un piano che sposterà il peso di 700 miliardi di dollari di obbligazioni dalle imprese private ai contribuenti. Ci mettono in guardia sul fatto che questo piano di salvataggio da 700 miliardi di dollari è la sola risposta possibile alla crisi. Ci rassicurano sul fatto che possiamo fidarci del Ministro Paulson «perchè sa quello che fa». Il Congresso farebbe meglio a porsi molte domande prima di scaricare un tale peso sulle spalle dei contribuenti e di affidare un così grande potere alla burocrazia di Washington. Supponiamo che gli equilibri di potere nella nostra capitale siano diversi. Se a proporre questo piano di salvataggio fosse un’amministrazione democratica, i Repubblicani alla Camera e al Senato esigerebbero risposte e si organizzerebbero per esprimere un voto negativo al riguardo. Se a proporre questo piano fosse un’amministrazione democratica, i Repubblicani capirebbero che avere nel ruolo di presidente della Commissione bancaria il senatore democratico dello stato del Connecticut - Chris Dodd, principale beneficiario dei fondi politici di Fannie Mae e Freddie Mac - garantirebbe che un eventuale piano Obama/Reid/Pelosi/Paulson sarebbe molto peggiore in termini legislativi di quello presentato con la proposta Paulson.

ricorderebbero che questa estate i Democratici hanno elaborato un progetto di legge grottesco per il settore immobiliare che ha completamente soddisfatto i loro amici di sinistra con il denaro dei contribuenti e che, nonostante il costo di 300 miliardi di dollari, è apparentemente fallito dalla settimana scorsa. E potrebbero aspettarsi anche maggiori danni da questo progetto di legge. Ma, dato che questo potere gigantesco si sposta a Washington e questa valanga di denaro dei contribuenti viene proposta da un’amministrazione repubblicana, le solite voci conservatrici sono rimaste in silenzio o confuse. È ora di porre fine a questo mutismo e sgombrare il campo da ogni confusione. Il

Congresso ha l’obbligo di tutelare i contribuenti. Ha l’obbligo di limitare il potere esecutivo esigendo che si conformi allo stato di diritto. Ha l’obbligo di effettuare un’opera di supervisione e controllo.

Il Congresso fu ideato dai Padri Fondatori per muoversi con lentezza, proprio per evitare l’improvvisa ondata di panico di una soluzione congegnata in una settimana che si tramuta in caos per i successivi venti anni. Sono quattro le principali domande alle quali si deve rispondere prima che il Congresso possa adottare un nuovo piano che comporta un onere di 700 miliardi di dollari per le tasche dei contribuenti americani. Ritengo che su ciascuna di queste

Il governo è pronto a investire 700 miliardi di dollari dei contribuenti per salvare il Paese dal crack economico. Ma prima deve rispondere a 4 domande

Se si trattasse di una proposta democratica, i Repubblicani

domande la risposta del Congresso sarebbe negativa, se si soffermasse un poco a riflettere e ad analizzare i fatti.

Domanda numero uno: l’attuale crisi finanziaria è l’unica crisi che colpisce l’economia? Riposta: no, sono varie le crisi che stanno colpendo l’economia. C’è un’immediata crisi di

liquidità a Wall Street. C’è una crisi, che dura da ancor più tempo, dovuta ad una pessima politica energetica che trasferisce 700 miliardi di dollari l’anno a paesi esteri (e pertanto fondi di capitali esteri sovrani stanno utilizzando i soldi che noi paghiamo in bollette energetiche per acquistare le nostre imprese).Vi è un’altra crisi di lungo periodo causata dalla legge Sarbanes-Oxley

cietà che spinge le aziende ad andarsene dagli Stati Uniti. Nessuna soluzione per fronteggiare l’immediata crisi di liquidità dovrebbe paralizzare ulteriormente l’economia americana nel lungo periodo. Al contrario, la soluzione a questo problema dovrebbe essere congegnata in modo tale da rafforzare l’economia per renderla competitiva sui mercati mondiali.

(l’ultimo disastro del Congresso ispirato dalla «crisi») che grava sulle start-up, spinge imprese pubbliche a diventare private, brillanti operatori economici ad uscire dai consigli d’amministrazione pubblici e sposta le offerte da New York a Londra. Vi è una crisi di lungo termine dovuta ad un’elevata aliquota d’imposta sulle so-

Domanda numero due: una soluzione basata su maggiore burocrazia è l’unica risposta possibile? Risposta: no, esiste una soluzione non burocratica che potrebbe porre fine alla crisi di liquidità quasi dall’oggi al domani, utilizzando i capitali privati piuttosto che il denaro dei contribuenti. Quattro azioni di riforma farebbero affluire capitali senza alcuna burocrazia di governo e senza alcun onere per i contribuenti. In primo luogo, andrebbe sospesa la regola del mark-tomarket (che riconosce la differenza fra il valore di mercato e quello di libro), che sta spingendo in modo insano le imprese verso inutili fallimenti. Se le vendite allo scoperto (il cosiddetto short selling) possono essere sospese su 799 titoli azionari (un numero arbitrario e un ammonimento sulla rego-


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casione per le lobby e per gli avvocati di fare soldi a palate. Chi sono i maghi della finanza che Paulson recluterà? Vengono da Wall Street? In caso di risposta affermativa, non sono proprio quelli che stiamo salvando? E questo non significa che stiamo impiegando il denaro dei contribuenti per reclutare persone con l’obiettivo di salvare i loro amici, con ulteriore denaro dei contribuenti? Questo non porterà inevitabilmente ad un capitalismo clientelare ad uso e consumo dei propri amici? Chi effettuerà l’opera di supervisione e controllo? Fino a che punto ci sarà trasparenza? Non abbiamo ancora visto il rapporto che ha portato al salvataggio di Fannie Mae e Freddie Mac. È un rapporto «segreto». Anche i nostri 700 miliardi di dollari saranno spesi «in segreto»? In termini pratici, il progetto di legge sarà elaborato in pubblico di modo che la gente lo possa analizzare? O sarà elaborato a porte chiuse da quelle stesse persone che hanno raccolto i fondi delle istituzioni che ora stanno utilizzando i nostri soldi per questa operazione di salvataggio?

In alto: il Congresso degli Stati Uniti. È allo studio dei deputati un progetto del ministero del Tesoro che propone l’investimento di 700 miliardi di dollari per uscire dalla grave crisi finanziaria che ha colpito il Paese. Dopo l’intervento governativo per salvare Freddie Mac e Fannie Mae, i fondi nei quali erano investiti i soldi di un’altissima percentuale della popolazione, Washington ha deciso di non intervenire contro il crac di Lehman Brothers, una delle più antiche e potenti banche d’affari del mondo. A lato: un dipendente di Lehman. In meno di 30 ore, la società ha licenziato migliaia di assunti. A sinistra: il ministro del Tesoro Paulson

la dei burocrati che rientra nel piano Paulson), il mark-tomarket può essere sospeso per sei mesi e successivamente sostituito da un più preciso markto-market, scaglionato in media su tre anni. In secondo luogo, andrebbe abrogata la Sarbanes-Oxley. Ha fallito con Freddie Mac, con Fannie Mae,

Wall Street e lo farebbero senza alcun onere per il contribuente. Anche se credete ad un modello analitico statico, nel quale minori imposte sui redditi di capitale implicano minori entrate per il Tesoro, un’esenzione completa d’imposta sui redditi di capitale avrebbe un costo molto mino-

Stiamo per dare alla prossima amministrazione il più alto livello di controllo sulle grandi imprese della nostra storia. È davvero una mossa saggia? con Bear Stearns, con Lehman Brothers e con AIG. Sta paralizzando la nostra economia imprenditoriale.

Ho trascorso tre giorni nella Silicon Valley. Tutti concordavano sul fatto che la Sarbanes-Oxley stesse soffocando l’economia. Un’impresa mi ha detto che darebbero subito un carattere pubblico a più di 20 aziende, se quella legge fosse abrogata. Sono i 3 milioni di dollari per oneri contabili annuali delle start-up che fanno restare private queste imprese. In terzo luogo, bisognerebbe seguire l’esempio dei nostri concorrenti in Cina e a Singapore introducendo un’esenzione completa di imposta sui redditi di capitale. Con una tale esenzione completa di imposta sui redditi di capitale, i capitali privati affluirebbero a

re rispetto al piano. E se credete ad un modello storico (proprio come me), un’esenzione completa d’imposta sui redditi di capitali porterebbe a un notevole aumento delle entrate federali grazie a un’economia di maggiori dimensioni, più competitiva e più prospera. In quarto luogo, bisognerebbe approvare immediatamente un piano energetico volto a riportare a casa 500 dei 700 miliardi di dollari che stiamo trasferendo ogni anno che passa oltreoceano. Con redditi energetici di questo valore, l’economia americana registrerebbero un notevole boom e le entrate del governo aumenterebbero.

Domanda numero tre: il piano Paulson verrà attuato con trasparenza e controllo? Risposta: no, sarà un vero e proprio caos. Sarà una grande oc-

Domanda numero quattro: fra due mesi ci saranno le elezioni presidenziali che porteranno all’insediamento di una nuova amministrazione. Questo piano è qualcosa che vogliamo affidare al Tesoro del dopo Paulson? Risposta: non sappiamo chi erediterà questo piano. Saranno le elezioni a decidere se a guidare il nostro Paese sarà McCain o Obama. Chi sceglieranno come Ministro del Tesoro? Che cosa vorranno fare i loro alleati? Stiamo per dare alla prossima amministrazione una livello di controllo sulle grandi imprese così esteso da non essere mai stato esercitato, neanche da F.D. Roosevelt all’epoca della Grande Depressione. È davvero una mossa saggia? Per questi motivi mi auguro che il Congresso si fermi un momento a riflettere ed avvii un dibattito aperto. E, nel corso di questo dibattito, spero che qualcuno introduca una legge in tema di ripresa economica che faccia dell’America un paese migliore per far crescere l’occupazione. Spero che, prima del voto, vengano rese note informazioni più dettagliate al riguardo. Questa è una settimana molto importante per l’integrità del Congresso. È una settimana importante per il futuro dell’America. Se Washington vuole i nostri soldi, ci deve dare delle risposte.

Al Vertice di Bush sì di massima

Obama e McCain: accordo bipartisan sul piano entre ancora non è chiaro se il faccia a faccia televisivo previsto per stasera si terrà o meno, John Mc Cain e Barack Obama hanno risposto all’invito del presidente Bush e sono volati alla Casa Bianca per un confronto diretto - assieme ad altri leader del Congresso - sulla proposta di stanziamento straordinario proposta da Paulson. Al vertice è stato raggiunto un accordo bipartisan “di massima” sui principi della legge per il via libera al piano di salvataggio. L’invito del Presidente, d’altronde, era un atto dovuto, avendolo fatto pubblicamente in diretta televisiva davanti all’intera nazione. Un discorso che non ha rispramiato i toni gravi: «Siamo nel mezzo di una grave crisi finanziaria e senza un intervento del governo federale l’America potrebbe scivolare nel panico finanziario». Il fosco scenario economico in caso di mancata approvazione del suo piano d’intervento da 700 miliardi di dollari non ha risparmiato nessuna paura: «Credo fermamente nella libera impresa, il mio istinto naturale è di oppormi all’intervento del governo» - ha detto Bush in un discorso alla nazione di 15 minuti - «ma queste non sono circostanze normali. Senza un’immediata azione del Congresso l’America potrebbe scivolare nel panico finanziario.. altre banche potrebbero fallire, comprese qualcuna nella vostra comunità. Il mercato azionario scenderebbe ancora, e questo ridurrebbe il valore delle vostre pensioni. Il valore della vostra casa potrebbe precipitare», ha proseguito Bush, avvertendo anche che «milioni di americani potrebbero perdere il loro posto di lavoro». «La nostra intera economia è in pericolo», ha continuato Bush, spiegando che il suo piano non mira «a salvaguardare singole compagnie o industrie», ma «a salvaguardare l’intera economia americana. Il nostro Paese potrebbe attraversare una lunga e dolorosa recessione e non dobbiamo lasciare che ciò accada». È a questo punto, che evocando lo «spirito di cooperazione fra democratici e repubblicani e fra il Congresso e questa Amminstrazione», Bush ha annunciato l’invito ai due candidati. Il tentativo era quello di favorire una rapida approvazione del pacchetto di salvataggio, malgrado le resistenze di molti deputati ad impegnare una somma pari ad un quarto del bilancio federale. Resistenze che al vertice dovrebbero essere state superate.

M

Per Bush senza un pronto intervento del governo federale l’America potrebbe scivolare nel panico finanziario


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politica

Il Carroccio propone un test d’italiano per i bambini extracomunitari: chi non passa finisce nelle «classi-ponte»

Quiz leghista per entrare a scuola di Susanna Turco

d i a r i o

d e l

g i o r n o

Scritte razziste contro Schifani «Minime in Italia: Milano -1. Castelvolturno -6» e «Schifani, l’ebreo sarai te»: sono queste le due scritte razziste comparse mercoledì notte sui muri della Capitale, nei pressi di via Tiburtina, vicino al cimitero del Verano. La prima, si riferisce agli episodi di violenza che hanno provocato la morte di sei immigrati a Castelvolturno e di Abdoul a Milano. L’altra attacca il presidente del Senato, Renato Schifani (nella foto), colpevole, secondo gli autori delle scritte, di aver giudicato Auschwitz il male assoluto. Secondo alcuni testimoni, le scritte sarebbero state fatte attorno alla mezzanotte da un gruppo di giovani con teste rasate e giubbotti in pelle. Sotto un manifesto è stato tracciato un simbolo simile al movimento «Base Autonoma» operativo fino a qualche anni fa.

Di Pietro: Italia Stato dell’ingiustizia Quello italiano è uno «Stato dell’ingiustizia non dei diritti. Il modello che si profila è quello del rinascita della P2 per mettere in mano l’Italia in mano a chi fa il furbo». È l’opinione del leader dell’Italia dei Valori, Antonio di Pietro, sul progetto di legge che ripristina l’immunità parlamentare anche per i reati comuni. Per Di Pietro «in Parlamento ci sono dipendenti nominati dal ras di turno ed è per questo che Idv l’11 ottobre sarà in piazza per raccogliere le firme contro il Lodo Alfano».

ROMA. Chissà se a sei anni il quarantenne Luca Zaia l’avrebbe superato, il quiz d’italiano che oggi la Lega vorrebbe propinare ai bambini extracomunitari che vogliono iscriversi a elementari e medie per spedirli, preferibilmente, in una classe differenziata. Intervistato pochi mesi fa da Vittorio Zincone, il ministro dell’Agricoltura si paragonò niente meno che della Yourcenar: all’Adriano «Quando nelle Memorie dice una cosa tipo: “Il mio epitaffio sarà scritto in latino, ma io ho sempre pensato e governato in greco”. Metta italiano al posto di latino e veneto al posto di greco e il gioco è fatto». Perché, aggiungeva senza imbarazzi, «penso e sogno in trevigiano» e «parlare italiano non mi è naturale». Una ammissione per lui naturalissima. Anzi, da rivendicare. Come l’antica battaglia leghista per inserire il dialetto nelle scuole: «Credo che non sia molto chiaro al resto del Paese: in Veneto si parla veneto. Non tutti, ma quasi: sette su dieci», scandiva.

Ec co ,

qualcosa deve essere profondamente cambiato dai tempi in cui il Carroccio si faceva portabandiera dell’ingresso del dialetto nelle scuole, perché «non volevamo che i professori ci trattassero da analfabeti solo perché non parlavamo l’italiano». Adesso, infatti, nella Lega di governo, la priorità appare un’altra: la purezza della lingua. «Arrivano extracomunitari che non conoscono l’italiano, che sono inseriti forzata-

mente nelle classi, ma a quel punto l’insegnante ferma i programmi e nessuno impara più nulla», spiega il capogruppo alla Camera Roberto Cota. E questo sarebbe niente: «In molte realtà - aggiunge Paola Goisis - i genitori italiani fanno fuggire i bambini dalle scuole pubbliche».

Soluzione? Una mozione (alla Camera) e una proposta di legge (al Senato) per istituire un test d’ingresso incentrato sulla conoscenza dell’italiano e per inserire tutti i bocciati in una classe diffe-

Ma solo pochi mesi fa il ministro Luca Zaia rivendicava di non trovarsi a suo agio con l’italiano: «Io penso e sogno in dialetto. I veneti parlano veneto» renziata («classe ponte per l’alfabetizzazione»), dove per un anno si faccia full-immersion nella lingua: «Leggere, scrivere e far di conto - spiega la senatrice Irene Aderenti - ma anche il lessico di base delle varie materie, senza il quale risulterebbe ostico studiare la storia come le scienze». Tutto ciò occuperebbe circa 24 ore sulle 40 previste per un tempo pieno normale. Perciò, i bimbi convogliati nella classe-ponte potranno, in parte, seguire le attività delle loro classi “naturali” di inserimen-

to, frequentare insomma i compagni che avrebbero se sapessero l’italiano, ma solo per il tempo dedicato alle «attività ludiche, e per alcune discipline come informatica, inglese e, per chi lo vuole, religione cattolica». In fondo - avranno pensato - per giocare a palla, navigare su internet o studiare il Vangelo non c’è bisogno di una particolare padronanza della lingua.

A chi un po’ ingenuamente si chiede a questo punto come possano aver fatto sinora le migliaia di bambini cinesi, filippini, russi e romeni che eroicamente hanno imparato l’italiano soltanto stando in classe, al pari di qualunque altro pupo nostrano e proprio grazie a questo contatto “normale”, la Lega risponde che però non si tratta di «razzismo». Tutt’altro. «Razzista è chi non permette al bambino di integrarsi». Quindi, al limite «chi organizza i corsi di arabo». Al contrario, «l’integrazione presuppone la conoscenza della nostra lingua e la possibilità di apprendere le nozioni fondamentali». «L’elevata presenza di alunni stranieri - d’altra parte rallenta l’insegnamento». Diciamo allora che la mozione e la proposta di legge presentate ieri dalla Lega declinano una visione tutta diversa - e magari non condivisibile - di scuola e società, ma non sono «razziste». Anche perché, immaginiamo, se è vero ciò che ha detto il ministro Zaia «sette veneti su dieci» parlano dialetto: e allora passare il test d’italiano saranno dolori, anche per loro.

Prostituzione, Alemanno: Roma cambia Dopo l’ordinanza sulla prostituzione, a Roma «già si respira un atteggiamento diverso». Il sindaco Alemanno (nella foto), in una intervista, ha ricordato il nuovo clima che c’è nella capitale. Le multe finora sono state circa 400. «Liberare le strade dalle prostitute non è sufficiente per combattere il fenomeno ma è una premessa», ha proseguito Alemanno, ribadendo di essere contrario ai «quartieri a luci rosse e alle case chiuse» perché «rappresentano un consumismo sessuale inaccettabile». Quanto alla preoccupazione che la prostituzione a Roma si possa spostare nei condomini, con disagi per gli inquilini, il sindaco ha spiegato che «è necessaria una politica integrata e bisogna combattere soprattutto lo sfruttamento. Spero però che dal ddl venga fuori una strategia complessiva».

Federalismo, per Errani servono garanzie A fianco della definizione dei principi del federalismo fiscale, per le regioni «è fondamentale che ci siano garanzie per i finanziamenti, sulla definizione comune dei livelli essenziali di assistenza per la sanità e per il sociale». Lo ha spiegato il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, al termine della seduta straordinaria di ieri mattina. «C’è un problema di credibilità - ha sottolineato Errani riferendeosi alla sottostima del fabbisogno sanitario - per questo chiediamo garanzie».

La riforma del processo passerà dal Csm Il Csm darà il suo parere alla riforma del processo civile. Il documento, che sarà discusso in tempi rapidi, prima che la Camera approvi il provvedimento che da lunedì prossimo sarà in Aula, durante una seduta straordinaria del plenum di Palazzo dei Marescialli per essere trasmesso poi al ministro della Giustizia Angelino Alfano (nella foto).A sollecitare l’intervento dell’organo di autogoverno delle toghe è stato ieri, al termine dell’assemblea plenaria, il consigliere laico di An Gianfranco Anedda. «Non mi fa velo affermare - ha aggiunto Anedda - che su una riforma così importante il Csm non solo può, ma deve dare il proprio parere, in quanto si tratta di materia riguardante l’organizzazione della giustizia».


politica

26 settembre 2008 • pagina 7

Il leader del Pd Walter Veltroni ha scritto una lettera a Pier Ferdinando Casini per proporre una strategia comune in favore delle preferenze alle elezioni europee

ROMA. «Berlusconi ha paura che An, controllando meglio di Forza Italia il meccanismo delle preferenze, possa averne di più. La ragione è solo questa e non è, quindi, che per esigenza tutta interna di un partito, che si cambia la legge elettorale delle europee». Lo aveva detto Walter Veltroni a Porta a Porta spiegando qual fosse, secondo il suo parere, il motivo per cui il premier Silvio Berlusconi vorrebbe eliminare le preferenze dalla legge elettorale delle europee. Ieri, il leader del Pd ha fatto di più: ha scritto una lettera a Pier Ferdinando Casini, sostenendo la necessità di mantenere le preferenze e anche di avere una soglia di sbarramento che garantisca una minore frammentazione ma nello stesso tempo anche la rappresentanza. Insomma: «Una soglia di sbarramento al 5% come propone Berlusconi, serve per garantire governabilità, ma per quanto riguarda il Parlamento europeo non è questo il problema». Veltroni ha fatto poi un accenno alla legge elettorale per le politiche e spiega di essere a favore «di collegi uninominali in cui i candidati vengono selezionati con le primarie» mentre per le europee, ha ribadito, «va mantenuto il meccanismo delle preferenze perchè altrimenti tre o quattro persone in ogni

Verdi, Italia dei Valori e socialisti applaudono l’iniziativa. In questo modo è riuscito a ricompattare l’opposizione partito scelgono chi va al Parlamento europeo». Riguardo all’apertura di Veltroni all’Udc, aperture sono giunte da tutto il centrosinistra di oggi e di quello che fu: «Bene ha fatto Walter Veltroni a riconfermare l’impegno del suo partito affinchè non vengano spazzate via le preferenze per le elezioni europee e venga garantita la rappresentanza di settori consistenti della nostra società» ha affermato Grazia Francescato, portavoce dei Verdi, commentando la lettera che il segretario del Partito democratico ha inviato a Pier Ferdinando Casini.

Il segretario del Pd al leader centrista: questione di civiltà

Veltroni scrive a Casini Insieme sulle preferenze di Francesco Capozza

La lettera: «E niente sbarramenti» Sono certo che le forze di opposizione potranno, insieme, farne una questione di civiltà politica e di qualità della nostra vita democratica pienamente d’accordo con te e con la linea del tuo partito sul fatto che il meccanismo della preferenza vada mantenuto. Considero antidemocratico infatti, privare i cittadini - oltre che del diritto di scegliere i propri rappresentanti alla Camera e al Senato, venuto meno con la legge Calderoli approvata dalla maggioranza di centrodestra prima delle politiche 2006 - anche del diritto di designare con la preferenza coloro che li rappresenteranno in sede europea. Così come, voglio ancora ribadirlo, il Pd è fortemente contrario alla linea della maggioranza di introdurre quelle soglie di sbarramento che finirebbero per impedire la rappresentanza di forze politiche che hanno una presenza significativa nella società. Non sono mai stato un sostenitore in assoluto del sistema delle preferenze, sistema che a volte ha portato con sè forme di voto di scambio e di clientelismo assai negative. Anche per questo nell’ormai lontano 1991 sostenni, come sai, il referendum che le abolì e che condusse a quella unica. Ho sempre creduto, infatti, che nel momento del voto lo ’scettro’dovesse essere pienamente nelle mani dei cittadini, liberi di scegliere chi dovesse governarli e per l’appunto i

propri rappresentanti in Parlamento. Perciò, credo con coerenza, ho nel corso degli anni sempre sostenuto le riforme e i referendum elettorali in senso maggioritario e ho visto nei collegi uninominali esattamente la possibilità, data ai cittadini, di scegliere direttamente i deputati e i senatori ritenuti i più preparati e adatti a rappresentare il proprio territorio, la propria comunità. Questo meccanismo deve essere preceduto da trasparenti elezioni primarie per la selezione dei candidati ma la legge Calderoli, insieme agli altri suoi difetti, ha fatto venir meno questo fondamentale diritto, consegnando di fatto alle segreterie dei partiti il potere di formare le liste. Silvio Berlusconi e Forza Italia in particolare, vogliono introdurre questo potere alle europee per timore che, con le preferenze, i candidati di questo partito siano penalizzati rispetto a quelli di altri partiti come An. Togliere ancora questo potere ai cittadini, anche alle elezioni europee, eliminando il voto di preferenza per piccoli interessi di partito sarebbe, a mio avviso, un ulteriore elemento di indebolimento della nostra democrazia, e temo accentuerebbe quel distacco degli italiani dalla politica e dalle istituzioni che già oggi è fin troppo profondo e preoccupante. Walter Veltroni

«Si tratta - aggiunge l’esponente del Sole che ride - di una battaglia che noi Verdi condividiamo con forza e che vuole fermare lo sgretolamento della partecipazione democratica nel nostro Paese. Chi ha a cuore la democrazia autentica non può permettere che i Parlamenti vengano nominati da pochi oligarchi di partiti e che si allontanino dal voto e dalla rappresentanza milioni di cittadini».

Anche l’Italia dei Valori, tramite una nota di Pino Pisicchio, plaude al leader democratico affermando che «Ci fa piacere che Veltroni abbia condiviso la battaglia per il voto di preferenza. Ci auguriamo che questo gesto segni davvero una svolta nell’azione coordinata delle opposizioni per la normalizzazione del paese» commentando la lettera di Veltroni a Casini sul tema della legge elettorale europea. Aperture anche da parte del Partito Socialista. Secondo il segretario del Psi Nencini, infatti «l’impegno di Veltroni a sostenere il mantenimento del voto di preferenza e la sua contrarietà ad uno sbarramento che penalizzi la rappresentanza di forze politiche minori ma significative per la società italiana, è una posizione che salutiamo con soddisfazione e che consente ora di disegnare un percorso comune con il Pd». In pratica, con un colpo solo Veltroni tenta di ricompattare le opposizioni e di recuperare un margine di dialogo con la sinistra.


pagina 8 • 26 settembre 2008

religioni

Mosca e Roma più vicine. Oggi nella capitale russa verrà presentato un libro scritto a quattro mani dal cardinal Tarcisio Bertone e dal metropolita ortodosso Kirill

Lo Spirito della giustizia di Giuseppe Baiocchi li stati e i popoli che hanno negato il valore della vita spirituale sono scomparsi dalla scena della storia. Per questo è così importante, quando si parla di economia e di crescita del benessere, non dimenticare il loro fine superiore: servire il bene comune materiale e spirituale, non ostacolare, ma forse persino favorire la salvezza dell’uomo…». Nella prefazione del metropolita Kirill al libro L’etica de bene comune come dottrina sociale della Chiesa del cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, emerge l’identica tensione verso la costruzione di una società pienamente “umana” che contraddistingue il magistero della Chiesa Cattolica di fronte soprattutto alle sfide inedite della globalizzazione e dell’acuto bisogno di etica nella complessa realtà contemporanea.

«G

mensione pubblica dell’economia: e qui si definisce “l’etica del bene comune”, come “naturale grammatica” della convivenza umana. A questo proposito, nel percorso disegnato da Bertone (che non edulcora sotto le vesti di guida della diplomazia più antica del mondo l’energia costruttiva di pretta marca salesiana), la dottrina sociale si fa attuale ed esigente, chiedendo sempre un “di più”.

È infatti utile una “società libera”, è buona cosa una “società giusta”, ma non basta: è necessaria una “società frater-

bene, anche nell’organizzazione del “welfare state” come nell’aiuto al Terzo Mondo: “ti do liberamente qualcosa aggiunge Bertone nello spiegare l’indispensabile principio di reciprocità – affinché tu possa a tua volta dare, secondo le tue capacità, ad altri o eventualmente a me…”; E allora nella dottrina sociale della Chiesa si insiste, forse in forme più “razionali”e cogenti che nel passato, sulla importanza della “dimensione donativa”come elemento costitutivo dell’intero sistema economico. E che cioè il “principio di gratuità”è parte talmente integrante della natura umana, proprio perchè evoca la relazione tra le persone, che non può essere espulso dalla sfera pubblica, ma ne è piuttosto condizione imprescindibile...

Di fronte al male che mina l’umanità non c’è alternativa. Bisogna accettare che benessere spirituale e benessere materiale stanno in piedi insieme o cadono insieme

Diventa allora naturale per il cardinale Bertone, riassumere in rapidi richiami la dottrina sociale della Chiesa arricchita dalla riflessione degli ultimi anni. Da tempo, infatti, l’economia e il lavoro non sono più visti come la condanna di Adamo cacciato dal Paradiso terrestre, quanto piuttosto come la naturale e indefettibile compartecipazione alla perenne opera creatrice di Dio. Ma per essere coerente a questa missione (che la tradizione ortodossa appare pienamente condividere) occorre dare un’anima alla di-

na”, che, senza nulla rinnegare del progresso tecnologico, costruisca l’economia come una somma positiva di relazioni tra gli uomini, con al centro la dignità insopprimibile della persona. Guarda caso, pur in condizioni così mutate, era il “di più”(annota il segretario di stato vaticano) che chiedeva ai suoi monaci e alle sue abbazie San Bernardo di Chiaravalle con la Carta Charitatis del 1098: perché l’economia, quella medioevale come quella contemporanea, deve portare un “di più” che sia di giovamento (anche se non in parti meccanicamente eguali) a tutti coloro che vi partecipano. La sfida (come appunto per San Bernardo) è passare dall’elemosina alla “beneficaentia”ovvero a fare concretamente del

I rapporti tra i cristiani di Russia

Continua la politica della ”mano tesa” Il dialogo riparte dalla cultura

Si comprende, allora, in conclusione, come sia diventato agevole, almeno su questi terreni, il rapporto con il mondo ortodosso russo, uscito dai disastri dell’economia collettivista e insieme diffidente e talvolta smarrito di fronte all’ordinaria etica del capitalismo. Quasi che , rispetto a tante altre questioni aperte e dolorose, la dottrina sociale e la riflessione sull’economia consenta, com’era nel sogno e nella profezia di papa Wojtyla, di far esprimere l’Europa con “entrambi i suoi polmoni”, pronta cioè, nonostante tutti i rischi e le involuzioni relativiste, a respirare pienamente il rinnovato e misterioso soffio dello Spirito.

Ancora una volta cattolici e ortodossi si incontrano sul terreno della cultura. Il segretario di Stato Vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone, oggi presenta a Mosca un libro - in italiano e in russo - dal titolo ”L’etica del bene comune nella dottrina sociale della Chiesa”, scritto a quattro mani con il metropolita Kirill, presidente del Dipartimento per le relazioni esterne del patriarcato di Mosca. C’era stato già un precedente importante. Si tratta della traduzione in russo di ”Introduzione al cristianesimo”dell’allora cardinal Joseph Ratzinger cui il metropolita Kirill aveva scritto la prefazione. Piccoli grandi passi di riavvicinamento dopo il disgelo che per anni ha caratterizzato i rapporti tra gli ortodossi russi e i cattolici. Un riavvicinamento che si è giocato proprio sulla riscoperta di un patrimonio comune. In primo luogo i classici della tradizione spirituale cristiana. Proprio per questa ragione a Mosca, nel 1996, è nata ”La Biblioteca dello Spirito”, un centro culturale che ha tra i responsabili sia cattolici che ortodossi, uniti dallo scopo di promuovere e far conoscere il ricchissimo patrimonio spirituale di entrambe le realtà. L’altro terreno su cui cattolici e ortodossi stanno

In primo piano, l’incontro tra il metropolita russo Kirill e Benedetto XVI del 7 dicembre 2007. In basso, la Basilica di San Pietro (a sinistra) e la cattedrale di San Basilio di Mosca (a destra). Nella pagina a lato, monsignor Mariano Crociata

cercando di collaborare è la battaglia in difesa dei cosiddetti valori non negoziabili. E quindi difesa della vita - dal concepimento alla sua morte naturale -, la tutela della famiglia, la lotta contro l’eutanasia. E soprattutto la battaglia contro il relativismo. Insomma, ad oggi, Chiesa cattolica e ortodossa hanno deciso di ripartire da ciò che li unisce e non da ciò che divide. Ecco in quale contesto si colloca la presentazione del libro del cardinale Bertone. Che altro non è se non un invito aperto ad affrontare la grande sfida della globalizzazione rimettendo al centro la persona umana e la consapevolezza che «benessere spirituale e benessere materiale stanno in piedi insieme o cadono insieme». Come sostiene il porporato nel testo, infatti, «l’accoglimento culturale e la traduzione a livello politico del principio di reciprocità sono la garanzia sicura di una convivenza armoniosa e capace di futuro». Frasi che hanno certamente la loro applicazione anche nei delicati rapporti tra cattolici e ortodossi russi. C’è da dire che a questa nuova fase ha contribuito anche l’elezione del nuovo arcivescovo di Mosca: l’italiano monsignor Paolo Pezzi, per anni


religioni

26 settembre 2008 • pagina 9

Nominato il successore di Betori. Si chiude il dopo-Ruini

Cei: cambia il vertice. Arriva monsignor Crociata di Francesco Rositano

ROMA. Stavolta il toto-nomine vaticano è esatto. E nella terna che da giorni girava sui giornali circolava il nome del nuovo segretario della Cei: monsignor Mariano Crociata. L’iter prevede, infatti, che l’ufficio di presidenza prepari una lista di tre nomi e la presenti al Papa, cui spetta l’ultima parola. Cinquantacinque anni, siciliano, vescovo di Noto e direttore del Dipartimento della Pontificia Facoltà teologica di Palermo, Crociata rappresenta senz’altro una novità per la Conferenza episcopale italiana. Per tre ragioni principali: è un vescovo di freschissima nomina (6 ottobre 2007); è stato a capo i una diocesi meridionale; è assolutamente estraneo alle strutture della Cei.

Nel comunicato ufficiale reso noto dalla presidenza della Cei «il profilo intellettuale e spirituale del presule, avvalorato dall’esperienza pastorale maturata nel governo della diocesi di Noto e prima ancora come Vicario generale della diocesi di Mazzara del Vallo, costituisce la migliore garanzia per l’importante incarico a lui affidato per il servizio delle Chiese che sono in Italia». Ma chi è monsignor Crociata? Sacerdote dal 1979 ha conseguito il dottorato in Teologia alla Gregoriana ed è stato alunno dell’Almo Collegio Caprarica dove ha studiato anche il cardinale Camillo Ruini (per anni grande timoniere della Cei), cui monsignor Crociata è legato da un’amicizia personale. Inoltre, alla facoltà teologica di Palermo, il presule è stato uno stretto collaboratore di Cataldo Naro, l’arcivescovo di Palermo prematuramente scomparso nel 2006 quando tutti - in primis lo stesso Ruini - lo vedevano come candidato autorevole a scalare i vertici della Cei. Un dato quest’ultimo che mostra come la sua nomina sia avvenuta anche con il placet del cardinal Ruini. E quindi senza strappi con la sua presidenza. C’è infatti molta attesa su quale sarà il futuro della Conferenza episcopale italiana ora che il dopo-Ruini si è completato ufficialmente: prima con la nomina del cardinal Angelo Bagnasco come presidente; ora con quella di monsignor Crociata al posto di monsignor Giuseppe Betori che a partire dal 20 ottobre si insedierà ufficialmente come arcivescovo di Firenze. Sicuramente anche per monsignor Crociata, come per il suo predecessore, molte cose cambieranno. Finora, infatti,

monsignor Crociata in Sicilia si era molto distito per la particolare attenzione dimostrata nei confronti dei temi sociali (soprattutto la situazione degli immigrati) e per il suo lavoro teologico sul dialogo interreligioso. Lo scorso luglio, parlando dei grandi drammi legati all’immigrazione clandestina e che spesso riguardano la Sicilia, aveva detto: «Bisogna credere nella forza racchiusa nella solidarietà dei deboli, degli sconfitti, dei piccoli. Penso alle masse sterminate e senza voce che si affacciano sul Mediterraneo o vi cercano sbocco, di cui noi non abbiamo modo di vedere, in televisione se non di persona sulle nostre coste, i volti emaciati e induriti dalla fatica e dalla sofferenza. Se solo si mettesse insieme questa ansia di futuro che tutti assilla, questo bisogno elementare di una vita migliore e più dignitosa, alla lunga prevarrebbe il senso di umanità che tutti ci pervade in una solidarietà che spesso riesce a far comunicare senza nemmeno avere la stessa lingua o avere le stesse abitudini o usanze».

Ora che è stato scelto il braccio destro del cardinal Bagnasco, resta da capire quali saranno i rapporti della nuova Conferenza episcopale con la politica

missionario in Siberia, rettore del Seminario interdiocesano di San Pietroburgo e gradito anche ai vertici dell’ordossia. Non si può negare infatti che il predecessore dell’attuale presule, il bielorusso Tadeusz Kondrusiewicz, sia sempre stato inviso alle gerarchie ortodosse: innanzitutto per le sue origini. Il presule comunque nei sedici anni del suo mandato (dal ’91 al 2007) ha avuto il compito delicatissimo di far rinascere praticamente la Chiesa cattolica nel Paese dopo le persecuzioni dell’epoca sovietica. Una rinascita che si è accompgnata anche ad una presenza strutturata sul territorio del Paese e formalizzata da Giovanni Paolo II con la scelta di erigere quattro diocesi. Un gesto che è stato sempre bollato con l’accusa di proselitismo. «In Russia i cristiani ci sono già», è stata per anni la fredda risposta della Chiesa ortodossa. Ora - con la nuova fase aperta dal pontificato di Benedetto XVI e dalla scelta del nuovo arcivescovo di Mosca - le cose sono migliorate. Certamente si è ancora lontani dal tanto auspicato incontro tra Alessio II (Patriarca di Mosca e di tutte le Russie) e Benedetto XVI. (f.r.)

Trasferendosi a Roma, invece, dovrà affrontare dossier molto diversi. Primo fra tutti il rapporto con la politica italiana, considerato il ruolo che la leadership della Cei gioca nei rapporti con la leadership del Paese. Certamente, su quest’ultimo punto, resta da capire se nella scelta di affidare la presidenza e la segreteria della Conferenza episcopale a due personalità non abituate a gestire i rapporti con i palazzi del potere ci sia la volontà di delegare questo compito in maniera esclusiva alla Segreteria di Stato, facendo della Cei un organismo con compiti di tipo esclusivamente pastorale. Ad avvalorare questa tesi ci sarebbero i profili degli attuali vertici della Cei: il cardinal Bagnasco continua ad essere arcivescovo della prestigiosa Genova; monsignor Crociata non ha mai svolto un incarico in seno alla Cei. Naturalmente saranno i fatti a dire se questi scenari sono soltanto ipotizzabili. Una cosa comuque è inequivocabile: sia il cardinale Camillo Ruini che il cardinal Tarcisio Bertone ci tenevano a curare personalmente i rapporti con la leadership del Paese. Con il rischio che a volte ci fossero anche sovrapposizioni. Stando così le cose, gli scenari potrebbero cambiare. Ciò comunque non significa che la Conferenza episcopale rinuncerà ad esprimere il suo giudizio sulle importanti questioni pubbliche. Potrebbero cambiare solo le modalità. Ad ogni modo, qualunque sia il futuro della Cei, a vedere il modo i cui si è arrivati alla nomina di monsignor Crociata, Oltretevere c’è l’intenzione di procedere in assoluta sintonia.


pagina 10 • 26 settembre 2008

mondo

L’Occidente, Usa compresi, continua a trattare con l’Iran nella speranza di un accordo. Proprio come fece con Hitler

Basta dialogare con Ahmadinejad di Daniel Pipes

Per il Sudan i rapiti sarebbero stati “ceduti” ai ribelli del Darfur segue dalla prima Daniel Treisman, politologo dell’Ucla, considera decisamente «troppo forte» la deriva contraria all’appeasement, mentre Ralph B.A. Dimuccio, un suo collega della University of Florida,liquida la querelle come «semplicistica». In quella che è probabilmente la migliore tesi a favore dell’appeasement, Paul M. Kennedy, storico britannico che insegna alla Yale University, dimostra che tale linea politica ha alle sue spalle una lunga e credibile storia. In un suo articolo del 1976, The Tradition of Appeasement in British Foreign Policy, 1865-1939, Kennedy lo definisce «un metodo per ricomporre i dissidi accogliendo e ottemperando alle rimostranze tramite ragionevoli negoziazioni e compromessi», evitando in tal modo gli orrori della guerra. E questo perché presupporre che gli esseri umani siano ragionevoli e pacifici sarebbe «un approccio ottimista». Dal primo governo di William Gladstone fino alla sua caduta, avvenuta alla fine degli anni Trenta, l’appeasement era – nelle righe di Kennedy – un termine «di tutto rispetto» ed anche «una forma di diplomazia tipicamente britannica» che ben si addiceva al carattere del Paese e alle circostanze. In quegli anni la politica britannica poggiava su 4 condizioni cardine che, per Kennedy, ben si applicano agli Stati Uniti di oggi: • Base etica. Dopo che il movimento evangelico prese piede in Inghilterra agli inizi del secolo XIX, la politica estera britannica sviluppò una forte spinta a sanare le controversie in modo equo e pacifico. • Base economica. In qualità di principale operatore commerciale su scala mondiale, il Regno Unito nutriva un vitale interesse nazionale ad evitare collasi economici dei quali avrebbe potuto risentire in modo spropositato. • Base strategica. L’impero globale britannico implicava che esso fosse sovra-esteso (il che ne faceva, per usare una locuzione di Joseph Chamberlain «un titano stanco»); di conseguenza, esso dovette scegliere le sue battaglie con parsimonia, facendo del compromesso un modo gradito e abituale di affrontare i problemi. • Base nazionale. L’estensione del diritto di voto fece sì che l’opinione pubblica diventasse un fattore di crescente importanza nei processi decisionali, soprattutto per l’avvresione dell’opinione pubblica alle guerre, specie quelle costose. Il risultato fu che per oltre set-

Ostaggi italiani, Frattini conferma: sono in Libia di Federica Zoja

IL CAIRO. Non sono più in Sudan, ma in Libia. La

tant’anni Londra perseguì, con rare eccezioni, una politica estera «pragmatica, di conciliazione e ragionevole». Più volte, d’altronde, le leadership di governo hanno riscontrato che «la soluzione pacifica delle controversie abbia portato maggiori vantaggi alla Gran Bretagna rispetto all’opzione di un conflitto armato». Entrando nello specifico, l’appeasement avrebbe co-

Teheran sfrutta ogni dilazione e concessione politica a suo favore offrendo, in cambio, una contropartita che non intende soddisfare stantemente influenzato la politica britannica nei confronti degli Stati Uniti (vedi le controversie rispetto al Canale di Panama, ai confini dell’Alaska e all’America Latina) e della Germania guglielmina (la proposta della «tregua navale», le successioni coloniali, la moderazione nei rapporti con la Francia).

Kennedy considera positivamente tale condotta politica del Regno Unito, dal momento che ne ha determinato il sucesso a livello internazionale per decenni (e parliamo del Paese, allora, più potente al mondo) «racchiudendo alcuni degli aspetti più raffinati della tradizione politica britannica». Quindi, seppur non si possa parlare di un brillante successo, l’appeasement ha di fatto permesso a Londra di adattarsi alla crescente influenza dei suoi rivali non-ideologici come gli Stati Uniti e la Germania impe-

riale, che in genere erano disponibili a grantire qualche concessione senza perdere le staffe. Concludendo: l’appeasment ha rallentato il graduale declino del Regno Unito.

Dopo il 1917 e la Rivoluzione bolscevica le cose però cambiano e nessun tipo di concessione riesce più a placare il nuovo nemico ideologicamente orientato – Hitler negli anni Trenta, Brezhnev negli anni Settanta, Arafat e Kim Jong-iI negli anni Novanta, e oggi Khamene’i e Ahmadinejad. Questi leader ideologici sfruttano eventuali concessioni a loro favore e offrono (ingannevolmente) una contropartita che non intendono dare. Coltivando aspirazioni di egemonia globale, non possono essere rabboniti e le concessioni a loro fatte equivalgono davvero a nutrire il coccodrillo. Ma per quanto sia disfunzionale in questo periodo, l’appeasement fa costantemente appello alla moderna psiche occidentale, cosa che ineluttabilmente accade quando gli Stati democratici fronteggiano gli aggressivi nemici ideologici. In merito all’Iran, ad esempio, George W. Bush avrà coraggiosamente condannato pubblicamente «il falso conforto di un appeasement ripetutamente screditato dalla storia», ma ciò non toglie, come nota Michael Rubin, direttore del Middle East Quarterly, «Che questa Amministrazione Usa sta cercando di rabbonire l’Iran». Riassumendo, la politica di appeasement risale a un secolo e mezzo fa, ha goduto di un certo successo e rimane sempre viva. Ma con i nemici ideologici essa deve essere deliberatamente ricusata, per evitare che le tragiche lezioni degli anni Trenta, Settanta e Novanta vengano ignorate. E reiterate.

carovana dei turisti rapiti in Egitto venerdì scorso sarebbe stata portata dai rapitori in territorio libico, a oltre 200 chilometri a ovest del confine egiziano: ne ha dato notizia un portavoce del governo sudanese, secondo il quale i rapitori sono legati ai ribelli del Darfur. La Farnesina al momento non conferma quest’ultimo dato, ma ammette il trasferimento in Libia. Al momento della chiusura di Liberal, dunque, non accenna a sbloccarsi la situazione degli 11 turisti europei sequestrati insieme ai loro 8 accompagnatori egiziani – fra cui il titolare dell’agenzia organizzatrice del giro nel deserto – alle porte del vasto altopiano del Gilf El Kibir, nell’estremo Sud-Ovest dell’Egitto. Con il passare delle ore, piuttosto di chiarirsi il quadro si complica fino a rendere quasi impossibile una ricostruzione attendibile di quanto accaduto fino ad ora. Anche a causa delle contraddittorie e confuse dichiarazioni delle autorità egiziane nelle prime ore del rapimento – anzi, a partire da lunedì mattina, cioè a tre giorni di distanza dall’inizio dell’incubo per i 19 ostaggi – non ci sono certezze su nessun elemento: in primo luogo l’identità dei rapitori, forse sudanesi, forse ciadiani, forse egiziani, a seconda della bandiera che i portavoce governativi devono difendere. Poi sulle richieste dei ricattatori: in principio si è parlato di un riscatto di 15 milioni di dollari, poi sceso a 6. Infine, ieri fonti di sicurezza egiziane hanno riferito che si tratterebbe di milioni di euro, forse anche di armi. Ma soprattutto non si capisce chi sia a chiederli: se criminali comuni, come sostiene con caparbia determinazione il ministro del Turismo egiziano, Zoheir Garrana, oppure di contrabbandieri armati come mujaheddin. Se infatti la stampa del Cairo non ha preso fischi per fiaschi, i predoni avrebbero tre veicoli e armi in abbondanza. A portare avanti le trattative, almeno fino a ieri, sarebbero stati i servizi di Berlino e Roma, supportati da quelli egiziani, con il tramite di Kirsten Abdel Riham, moglie tedesca del titolare della Aegyptus Tour, tour operator specializzato in esplorazioni del deserto egiziano, al confine con Sudan e Libia. Dall’inizio del 2008 almeno altre due volte carovane di turisti sono state assaltate e depredate di tutto quanto in loro possesso, per essere poi lasciati in pieno deserto con solo un telefono satellitare per avvisare i soccorsi. Per questo il governo egiziano – del tutto assente in questa situazione – è al centro di roventi polemiche.


mondo

26 settembre 2008 • pagina 11

Domenica si vota in Austria. Nel segno del politico più contestato a preso qualche chilo, ma il sorriso di sfida è sempre lo stesso: a volte ritornano e Jörg Haider è tornato. Per ora, su 10mila manifesti che tappezzano Vienna con la sua faccia e uno slogan non proprio originale: «L’Austria agli austriaci». Ma, a 58 anni, il leader della destra nazional-populista che nel 2000 mandò in pezzi 30 anni di equilibri politici che avevano visto sempre e comunque i socialdemocratici al governo, ha una gran voglia di riprendersi il ruolo di terzo incomodo nelle elezioni di domenica prossima. Elezioni anticipate, perché la Grosse Koalition tra la Spö del cancelliere Alfred Gusenbauer e i popolari dell’Övp è durata appena 18 mesi naufragando tra le liti sulla riforma della sanità e sulle leggi europee in materia d’immigrazione. Socialdemocratici e popolari si presentano al voto dalla posizione di

H

Jörg Haider: a volte ritornano di Enrico Singer quasi parità ottenuta nel 2006: il 35,34% alla Spö (con 68 deputati) e il 34,33% alla Övp con 66 parlamentari. Un risultato che fece della grande coalizione sul modello tedesco, praticamente, l’unica soluzione possibile perché nessuno degli altri tre partiti presenti nel Nationalrat, composto in totale da 183 parlamentari, aveva la forza sufficiente per consentire una diversa maggioranza.

Né i verdi (21 deputati), a sinistra, né il partito di Haider (7 deputati) o quello del suo acerrimo nemico e concorrente a destra, Hans-Christian Strache, (21 deputati) potevano bastare per inventare altre alchimie. Proprio

nente, Peter Westenthaler, nel 2006 quando aveva deciso di sparire completamente dalla scena politica nazionale per ritirarsi in esilio volontario nella Landhaus di Klagenfurt e dedicarsi soltanto al suo lavoro di governatore della Carinzia riconquistato nel 2004. Adesso Haider è convinto – e ha ripetuto in tutti i dibattiti in tv – che gli austriaci sono stanchi di “governissimi”che non reggono alle divergenze profonde tra i due partiti maggiori. E che, da lunedì 29 settembre, l’Austria sarà governata o dal centrodestra o dal centrosinistra. Naturalmente Jörg Haider punta tutte le sue carte sulla prima ipotesi, che potrebbe trasfomarlo per la seconda volta nell’ago della bilancia della futura

stria) che, nelle uniche elezioni politiche alle quali si è presentata – quelle del 2006 – ha superato appena la soglia di sbarramento del 4% dei voti e ha ottenuto 7 seggi in Parlamento. Della Bzö, tuttavia, Haider aveva lasciato la presidenza a Peter Westenthaler che poco più di un mese fa si è dimesso dall’incarico lasciando il posto per la seconda discesa in campo del vero padre-padrone del partito.

Il gran ritorno di Jörg Haider è stato approvato all’unanimità dai 661 delegati della Bzö riuniti il 30 agosto scorso in un congresso straordinario. È stata la consacrazione di una scelta maturata da Haider al momento della crisi della Grosse Koalition tra socialdemocratici e

Con lo slogan «L’Austria agli austriaci», il leader della destra nazional-populista cavalca l’insoddisfazione. Ma le crisi interne al partito minano la sua seconda ascesa questa situazione apparentemente bloccata ha spinto Haider a tornare in campo in prima persona, riprendendo la guida del partito che aveva lasciato al suo luogote-

coalizione. Ma lo scenario non è così semplice. Soprattutto perché le divisioni ci sono anche a destra.

Il partito di cui Haider divenne leader nel 1986, lo Fpö (Freiheitliche partei Österreichs, partito della libertà austriaco), e che portò al successo nel 1999 con un record del 28% dei voti e l’ingresso al governo, è ormai in mano a Strache e Haider, nel 2005, ha fondato un altro movimento: la Bzö, Bündnis zukunft Österreich (Alleanza per il futuro dell’Au-

Haider, leader della destra austriaca, fece finire l’Austria sotto inchiesta nella Ue per il sospetto del ritorno al potere in Europa di un partito razzista se non addirittura nazista

popolari e della convocazione delle elezioni anticipate. Con una strategia ben precisa: per prima cosa Haider vuole riguadagnare il primato a destra strappandolo a Hans-Christian Strache. Lo scontro tra i due è senza esclusione di colpi. Come dimostra il reclutamento nelle file del Bzö di Edwald Stadler, al quale Haider ha promesso la poltrona di capogruppo parlamentare del partito. Un “furto” che ha scatenato l’ira di Strache e del suo stato maggiore: «Adesso Haider non si diverte più soltanto con i ragazzini, ma fa ballare anche i suoi burattini», ha detto il segretario generale del Fpö, Harald Vilimsky, che con questa frase ha voluto rilanciare vecchie e mai confermate voci di una presunta omosessualità di Haider. Ma quello che più sorprende è che, tra Haider e Strache, oggi a impersonare il ruolo del moderato è Haider che, pure, nel 2000 fece finire l’Austria sotto inchiesta nella Ue per il sospetto del ritorno al potere in Europa di un partito di ispirazione razzista se non addirittura nazista. La partecipazione del Fpö al governo dell’allora cancelliere popolare Wolfgang Schüssel provocò l’apertura di una procedura di controllo da parte di

Bruxelles anche se Jörg Haider rimase personalmente fuori dall’esecutivo. Nel 1991 Haider, che da due anni era stato eletto per la prima volta governatore della Carinzia, fu costretto alle dimissioni per avere elogiato pubblicamente la politica sociale ed economica di Adolf Hitler e questo, naturalmente, non fu dimenticato. In quel periodo Haider e Strache (che è più giovane di 19 anni) andavano perfettamente d’accordo: l’intesa tra i due si è spezzata alla fine del 2004 quando l’Fpö, ancora sotto la guida di Haider, votò a favore dell’ingresso della Turchia nella Ue. Per Heinz-Christian Strache e per il nucleo duro del partito questo fu un tradimento. Si consumò così la rottura resa poi definitiva dalla fondazione, nell’aprile del 2005, del nuovo partito di Haider, l’Alleanza per il futuro dell’Austria. Il Fpö versione Strache ha recuperato la linea ultranazionalista dei primi anni fatta di slogan come Wien darf nicht Istanbul werden (Vienna non deve diventare Istanbul), Arbeit statt Zuwanderung (posti di lavoro invece d’immigrazione) o Heimat in Herzen (la patria nel cuore) suscitando negli ambienti progressisti austriaci gli stessi timori che il Fpö di Haider aveva sollevato nel 2000.

Anche la von Habsburg, che è moglie di Karl, ultimo pretendente al trono degli Asburgo, in una lunga intervista al settimanale Profil, ha detto che «nel caso in cui il Fpö dovesse tornare al governo, l’Austria sarebbe isolata dalla comunità internazionale e molti, me compresa, potrebbero andarsene dal Paese». A Francesca von Habsburg, che è la figlia del barone Hans Heinrich Thyssen-Bornemisza e che dirige la fondazione di arte contemporanea Thyssen-Bornemisza di Vienna, ha risposto a modo suo Strache dalle colonne di Heute, un giornaletto gratuito viennese: «Se la signora Habsburg vuole andersene, si accomodi, gli austriaci non ne sentiranno la mancanza». Asprezze e polemiche a parte, i sondaggi assegnano un potenziale del 18-20 per cento alla destra da dividersi – come si vedrà – tra Haider e Strache che rappresentano le due facce di una stessa medaglia con il governatore della Carinzia che, questa volta, vorrebbe accreditarsi come il leader di una “destra perbene”. Ma la vera partita si giocherà, come sempre è stato, tra i due partiti maggiori che partono appaiati e che scommettono sulle divisioni tra Fpö e Bzö.


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In Israele un ordigno artigianale dell’estrema destra ferisce lo storico Zeev Sternhell

UN ATTENTATO CONTRO LA L’obiettivo degli ultranazionalisti è intimidire le intelligenze che lavorano per il dialogo n attentato che porta la firma dell’estrema destra israeliana quello che la scorsa notte ha ferito lo storico israeliano Zeev Sternhell. Settantatre anni anni, professore di Scienza politica all’Università ebraica di Gerusalemme Sternhell è da anni apertamente schierato contro i gruppi ultra-nazionalisti israeliani e la colonizzazione dei territori. Recentemente Sternhell aveva anche denunciato il blocco imposto da Israele alla Striscia di Gaza dopo il golpe di Hamas, definendola una misura “immorale e inefficace”.

U

Sternhell era però diventato un’obiettivo sensibile dell’estrema destra israeliana non solo perché sostenitore di un accordo di pace con i palestinesi ma soprattutto per la qualità strategica della sua analisi, per la capacità di persuasione esercitata sui moderati circa l’assoluta necessità di un percorso di mediazione e di confronto con l’entità palestinese. Sternhell del resto aveva previsto con quindici anni di anticipo la divisione politica all’interno della stessa destra israeliana e aveva visto il formarsi in embrione di quel radicalismo nazionalista che ha poi sviluppato in questi anni tutta la sua virulenza. «È finalmente divenuto chiaro – aveva detto Sternhell in una recente intervista – che gli israeliani non sono appiattiti su posizioni di estrema destra. Gli israeliani desiderano arrivare velocemente alla pace con i palestinesi. Ma vogliono che siano le élite a mostrare loro come arrivarci. In questo gli israeliani sono molto conformisti. Si è visto con quale facilità si è riuscito a sgomberare gli insediamenti della Striscia di Gaza. Oggi, se le élite dicessero chiaramente che la pace si costruisce sulla

Zeev Sternhell, storico israeliano noto per le sue posizioni contrarie alla colonizzazione, è rimasto ferito in un attentato. Una piccola bomba è scoppiata ieri mattina sulla porta della sua casa, a Gerusalemme. Ricoverato in ospedale, gli sono state diagnosticate lesioni non gravi alla gamba destra. Gli inquirenti non nutrono dubbi sul fatto che Sternhell sia stato assalito a causa della sua ideologia. La radio statale israeliana ha reso noto che, sul luogo dell’agguato, gli assalitori hanno lasciato volantini nei quali si offre una ricompensa di 200mila euro a chiunque ucciderà un membro dell’organizzazione pacifista Peace Now, avversaria della politica degli insediamenti. Lo storico è un convinto sostenitore del gruppo. di Riccardo Paradisi

base dei confini tracciati dalla linea verde, pur con alcuni accorgimenti e cambiamenti limitati, ma niente di più, sono certo che gli israeliani lo accetterebbero». Per queste idee Sternhell ha ricevuto le atten-

Gli israeliani non sono appiattiti su posizioni di estrema destra. Vogliono arrivare alla pace con i palestinesi

zioni degli irriducibili dell’estrema destra israeliana che non perdona quelli che considera i traditori della missione nazionale come dimostra la lunga teoria di attentati e di intimidazioni di cui è stata

protagonista. Ma Sternhell non è solo un osservatore attento e partecipato della realtà politica israeliana: insieme a Renzo De Felice è uno dei più autorevoli studiosi del fascismo e del milieu ideologico culturale da cui il fascismo è nato e si è sviluppato fino a diventare un fenomeno europeo. Nascita dell’ideologia fascista (1993), La destra rivoluzionaria. Le origini del fascismo in Francia 1885-1914 (1997), Né destra né sinistra: l’ideologia fascista in Francia (1997) sono i titoli che costituiscono le tappe di una ricerca feconda sfociata nell’ultimo poderoso saggio di Sternhell Contro l’Illuminismo. Dal XVIII secolo alla guerra fredda, (Baldini Castoldi Dalai Editore, p.665). Uno studio sulla rivolta intellettuale contro l’Illuminismo così come si è sviluppata dal XVIII secolo fino alla fine del XX. In questa ricognizione Sternhell dimostra come il nazionalismo, la critica alla democrazia, il risorgere di una religiosità militante non sono residui di una concezione del mondo antimoderna ma elementi di un’ideologia che nutre una diversa idea della modernità e con la quale dobbiamo fare i conti ancora oggi. Un’ideologia presente anche all’interno dei confini di Israele.

L’idea pe r esempio che tramite l’ agricoltura si debba costruire un ebreo nuovo, tutto diverso da quello sradicato della diaspora e dedito alla costruzione della patria e alla mistica del suolo – idea radicata oltre che nell’estrema destra anche nel sostrato profondo della cultura laburista israeliana – deriva direttamente, dice Sternhell, dalla poetica antilluminista di Herder, uno degli autori centrali della riflessione del saggio dello storico israeliano sui nemici dell’illuminismo.


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A RAGIONE

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Le posizioni dello studioso israeliano contro la destra

«Il fascismo? Ideologia di rottura» colloquio con Zeev Sternhell di Nicolas Zomersztajn eev Sternhell ha consacrato al fascismo molti lavori famosi che hanno suscitato polemiche violente, a causa della tesi originale dell’autore: «Le radici ideologiche del fascismo sono da ricercare nella Francia degli anni 1885 – 1914». In occasione della riedizione di tre opere, che vanno a formare una trilogia La Francia tra nazionalismo e fascismo (di Fayard), abbiamo incontrato questo storico israeliano. Secondo lei il fascismo non è una parentesi della storia che è appertenuta al periodo tra le due guerre… Considero il fascismo come la forma estrema di un fenomeno ideologico e culturale che nasce dalla rivolta contro l’eredità della Rivoluzione francese, contro il materialismo e il razionalismo, contro i principi del liberalismo e contro la concezione utilitaristica della società e dello Stato. Inoltre, bisogna precisare bene che è la Francia il paese in cui si trovano le vere origini ideologiche del fascismo. Il fascismo è il frutto dell’incontro tra il nazionalismo intransigente e la revisione anti-materialista del marxismo che si poduce nel corso degli anni 1885-1914. Il fascismo consiste in un’ideologia di rottura che si manifesta contro il liberalismo e il marxismo, una terza via che intende gettare le basi di una nuova civilizzazione anti-individualista, la sola capace di assicurare la perennità di una collettività umana, all’interno della quale saranno perfettamente integrate tutti gli strati e tutte le classi della società. Come spiega che la revisione anti-materialista del marxismo sia il filone fondamentale dal quale scaturisce l’ideologia fascista? È a questo punto che interviene George Sorel (1847 -1922). Questo socialista francese gioca un ruolo fondamentale all’interno della fase natale della sintesi fascista, in quanto egli è il primo a lanciare una revisione “rivoluzionaria”del marxismo. Egli concepisce una rivoluzione al di fuori della matrice marxista tradizionale. Poichè il capitalismo non crolla e le masse non vanno avanti a forza di ragionamenti, Sorel sostituisce il contenuto razionalista e materialista del marxismo con il culto dell’energia, l’intuizione e la violenza. Egli, dunque, vuole correggere il marxismo e introdurvi degli elementi irrazionali. Anche la distruzione del regime della democrazia liberale è un fondamento della revisione Soreliana: bisogna comprendere bene che questa corrente revisionista è rivolta tanto contro il liberalismo quanto contro il marxismo, poiché sono dei sistemi di pensiero materialisti che considerano la so-

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cietà come un semplice aggregato di individui. Infine, ai discepoli di Sorel non resta che rimpiazzare con la Nazione il proletariato, classe che che viene meno nel combattimento contro la decadenza democratica e razionalista. Così, si apre progressivamente la via verso il fascismo. Possiamo dedurne che il socialismo porta al fascismo, come si sostiene talvolta in certi ambienti di destra? Il socialismo non porta affatto al fascismo! In compenso, è per mezzo di una revisione anti-materialista del marxismo che dei socialisti democratici come Marcel Déat in Francia e Henri de Man in Belgio, si avvicinano al fascismo. Per de Man, lo sfruttamento è assimilabile ad una categoria psicologica e non ad un problema economico. In questo caso, l’individuo è sfruttato se egli stesso si sente sfruttato. Ma se egli percepisce di essere sfruttato per una grande causa, al servizio della patria, per esempio, egli avvertirà di essere parte integrante della comunità nazionale. Se, come de Man, si reputa che i problemi fondamentali non siano di natura economica, ci si può allora avvicinare al fascismo. Siamo al riparo dal risorgere del fascismo in Europa? Non ci sono ragioni metodologiche tali da considerare che il fascismo sia morto nel 1945. Un’ideologia di rottura come il fascismo ha bisogno di un margine di manovra sociologico per diventare una forza politica. Questo margine di manovra non è prodotto che da una situazione di crisi economica, politica e morale. Si può sostenere che la democrazia di oggi sia più forte di quella del passato, in ragione di una certa esperienza maturata negli anni. Ma una garanzia può essere sufficiente per assicurarci che le istituzioni democratiche non crolleranno una seconda volta? Inoltre, l’economia liberale non garantisce l’esistenza della democrazia: il fascismo italiano è nato in un’economia liberale e il nazismo non ha mai nazionalizzato il sistema economico. Nonostante oggi l’Europa non presenta le condizioni economiche e sociali del periodo tra le due guerre, il problema dell’emergenza dei partiti di estrema destra è reale. Ritengo che la destra liberale detenga la chiave del problema. L’esperienza ci ha insegnato che la destra liberale ha permesso a Mussolini di arrivare al potere e che non gli ha mai impedito di accedervi. Se essa non rifiuta categoricamente tutte le forme di collaborazione con le destre estreme, rischiamo di essere messi di fronte a enormi difficoltà.

Non ci sono ragioni metodologiche per considerare che il fascismo sia morto nel 1945. Ma la democrazia oggi è più forte


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Oggi a Siena inizia il convegno di liberal su “Patria, Nazione, Bene Comune”

Globalizzazione e cittadinanza La (lunga) strada per arrivare alle identità «post-nazionali» passa attraverso la ridefinizione dei luoghi di aggregazione di Pierpaolo Donati

embra che il senso della Patria e della cittadinanza si affievoliscano e vadano incontro ad una crisi irreversibile. Nei Paesi più modernizzati, come l’Italia, la cittadinanza nazionale è entrata da tempo in crisi. La crisi è destinata ad accentuarsi per ragioni che chiarirò. Il fatto che in altre nazioni, meno modernizzate, appena uscite da regimi autoritari o da un assetto pre-moderno, la cittadinanza nazionale appaia ancora come una grande conquista da raggiungere (come è avvenuto di recente nei Paesi dell’est europeo, in particolare nei Balcani, e come è il caso del Medio Oriente e di tante aree del continente africano), non deve confonderci: anche queste nazioni incontreranno prima o poi la crisi della cittadinanza nazionale. Le ragioni di questa crisi sono infatti iscritte nelle tendenze storiche del XXI secolo. Esse sono in gran parte da ricondurre a quel complesso processo di cambiamento epocale che chiamiamo «globalizzazione», che per molti versi è ineluttabile. La sfida è grande perché la cittadinanza moderna ha rappresentato una grande conquista di civiltà, e la crisi di cui parliamo può avere esiti fortemente regressivi.

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Il problema che dobbiamo affrontare è allora il seguente: che senso dobbiamo attribuire alla crisi della cittadinanza nazionale? La cittadinanza nazionale deve essere abbandonata? Se sì, perché? Se no, come potrà e dovrà essere riconfigurata? Quali possono essere le strategie più appropriate per affrontare la crisi della cittadinanza nazionale? La tesi che vorrei esporre è la seguente. Il sentimento della Patria permane, ma esso viene declinato

in modo differente dal passato, quando si identificava – anzi era tutt’uno – con lo Stato nazionale. Da tempo non si intitolano più le piazze a Mazzini, Garibaldi e Vittorio Emanuele II, non si costruiscono più le loro statue. Ciò non significa che lo Stato nazionale non sia più rilevante, ma che non assorbe più la passione di un certo simbolismo focale. La Patria diventa semplicemente il luogo dove l’individuo sente di avere le proprie radici generative, un luogo i cui confini non sono definiti a priori, ma possono ampliarsi o restringersi in ragione del fatto che si trovi empatia con quelli più prossimi che condividono i valori e i modi di vita di queste radici. Lo stesso capita alla cittadinanza. Sembra perdere di forza, ma in realtà è la sua for-

appartengono le proposte di mantenere l’universalismo moderno con soluzioni neo-moderne; 2) al secondo tipo appartengono le proposte di imboccare la strada di una cittadinanza multiculturale; 3) il terzo tipo di proposte persegue una cittadinanza che, mantenendo e anzi sviluppando il nucleo centrale dei diritti umani fondamentali, anche con nuove costituzioni civili (e non solo politiche), persegue i valori universali articolandoli in un universalismo differenziato, attuato attraverso un intreccio fra «cittadinanza statuale» e «cittadinanza societaria», a tutti i livelli dei sistemi politici. Io cercherò soprattutto di illustrare questo terzo tipo di risposte. La crisi della cittadinanza nazionale si

La Patria diventa semplicemente il luogo dove l’individuo sente di avere le proprie radici generative, un luogo i cui confini non sono definiti a priori, ma possono ampliarsi o restringersi

ma statuale moderna che è in crisi, mentre nuove costellazioni simboliche e strutturali alimentano nuovi processi «costituzionali» che elaborano un nuovo senso di che cosa significa essere cittadini. Si tratta di cambiamenti simbolici nel sistema culturale, a cui corrispondono – seppure con discontinuità e incongruenze – dei cambiamenti istituzionali nel sistema politico e sociale, e che hanno dei precisi correlati nei modi di agire, di pensare, di vivere della gente (la riflessività agenziale e le pratiche sociali che ne derivano).

Di fronte a questi processi, sono oggi in campo tre tipi di risposte: 1) al primo tipo

manifesta come crisi del modello politico che ha informato di sé lo stato nazionale moderno. Quel modello è sorto con la soluzione hobbesiana dell’ordine sociale, dopo la pace di Westfalia (1648), è si è incarnato nell’assetto moderno degli Statinazione e, seppure in svariati modi, nelle relazioni fra gli Stati. Quell’assetto mostra oggi una crescente perdita di sovranità e, più in generale, una crescente frammentazione interna dei sistemi politici nazionali. Il cardine di questo assetto, cioè il welfare state istituzionale e nazionale classico, non fa più passi in avanti, ma semmai molti passi indietro. Ciò genera paure, incertezze, rischi nella vita quoti-

diana. La società sembra diventare più liquida. La cittadinanza nazionale perde di ordine e di chiarezza: essa diventa meno gestibile per i governanti e meno esigibile per i governati.

Per reazione a questo stato di cose, si affacciano nuovi localismi e nuovi particolarismi. (...) La crisi si manifesta come perdita di autorità (legittimazione), di effettivo potere, di capacità di essere cemento culturale e sociale da parte dei sistemi politici nazionali. Le stesse costituzioni politiche sono sottoposte a tensioni fortissime. Si evidenzia la fine di quel ciclo storico che, a partire dall’Ottocento, ha istituzionalizzato la cittadinanza nelle costituzioni politiche classiche. (...) Ora, la ricerca di un nuovo principio-guida deve infatti rispondere ad una serie di esigenze che gli Stati nazionali non possono più soddisfare. Ne segnalo solo alcune: impedire la mercificazione del mondo e l’uso squilibrato delle risorse del pianeta; ridurre o almeno contenere le crescenti disuguaglianze fra popolazioni che la globalizzazione porta con sé; riconoscere i diritti dei popoli e delle singole persone umane; combattere la corruzione che emerge su scala mondiale come effetto della crisi di legalità e dell’impotenza regolativa dei singoli Stati nazionali; estendere le istituzioni della democrazia in tutte le parti del mondo, senza che tale estensione significhi la colonizzazione del mondo da parte dell’impero Usa, ma invece rappresenti l’invenzione di nuovi strumenti normativi capaci di realizzare forme più avanzate di democrazia non solo politica, ma anche sociale, economica e culturale, tali da ri-


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spettare e sostenere un sano e legittimo pluralismo dell’ordine sociale. Queste sfide non possono più, ormai, essere affrontate mediante la cosiddetta “soluzione hobbesiana dell’ordine”, la quale concepisce il potere politico come delega contrattuale fatta dai soggetti di società civile che alienano i propri diritti allo Stato (o sistema politico-amministrativo, anche democratico) per garantire la sicurezza della loro privacy, in cui poter esercitare le loro libertà individuali alla sola condizione di non ledere le libertà altrui. Quella soluzione non può più mettere dei seri limiti ai processi di mercificazione, alle disuguaglianze, alla corruzione. La concezione puramente procedurale (formale) della democrazia è divenuta chiaramente insoddisfacente a fronte delle scelte di valore che debbono essere compiute. Anzi, in quanto sostegno di quella forma di ordine sociale che chiamiamo “individualismo istituzionalizzato”o “emancipativi”, sono proprio le soluzioni di tipo hobbesiano che alimentano squilibri, alienazioni umane e difficoltà di governo della globalizzazione. Il caso di Internet è un esempio emblematico.

Per quanto riguarda la cittadinanza nazionale in Europa, le ben note difficoltà incontrate dal progetto di arrivare ad una Costituzione Europea sono una conferma eloquente di questa analisi. È utile distinguere fra cause interne ed esterne ai sistemi politici nazionali. Le cause esterne hanno certamente a che fare con la globalizzazione. Per globalizzazione deve intendersi, infatti, prima e sopra di ogni altra cosa, una nuova espansione dei mercati nella forma di un capitalismo prorompente su tutto il globo: i mercati internazionali fanno emergere dapprima le imprese multinazionali e poi le nuove reti commerciali e comunicative la cui caratteristica fondamentale è quella di non avere confini territoriali e di sfuggire al controllo degli Stati-nazione. Le cause interne stanno nell’incapacità del modello di origine hobbesiana di risolvere i problemi sociali e, fatto non secondario, di non poter in alcun modo gestire quella generale rivoluzione delle aspettative crescenti e lo sviluppo della “società in rete” che la modernizzazione porta con sé. Ciò avviene in tutti i campi, da quello del lavoro e della famiglia, a quello dei consumi e della comunicazione, da quello della scienza a quello della tecnologia. Soprattutto si rivela nell’emergere di una nuova società civile,

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quella che si costituisce nel mondo associativo delle reti transnazionali.

lo Stato nazionale, ma a una pluralità di nuovi soggetti sociali, e in particolare alla valorizzazione del welfare civile, della Gli scenari futuri sono segnati da due economia civile, del terzo settore, del prigrandi linee di forza che tendono a mina- vato sociale. Se il complesso della cittadire la cittadinanza nazionale, per così dire nanza deve crescere e non diminuire, è «dall’alto» (da ciò che sovrasta gli stati evidente che queste due linee di forza debnazionali) e «dal basso» (dall’interno del bono incontrarsi e intrecciarsi. (...) Se per sistema politico nazionale). Le possiamo cittadinanza intendiamo l’appartenenza caratterizzare come tensioni di governan- di un soggetto, persona o formazione soce a livello istituzionale e come richiesta ciale, ad una comunità di nuovi diritti da parte dei cittadini e dei politica, e quindi l’insoggetti collettivi della società civile. Il clusione in un comprimo scenario è caratterizzato dal fatto plesso di diritti-doveri che, laddove la dinamica delle istituzioni definito dal suo ordinazionali non può più essere governata namento, ebbene tale dalle forze economiche, sociali, politiche appartenenza può e culturali del Paese, possono manifestar- avere molte e diverse si reazioni di sistema che vanno verso le declinazioni. Infatti, la tentazioni nazionalistiche o, viceversa, comunità politica può verso tentazioni di accentuato localismo. andare dalla singola In ogni caso, il ritorno ad uno Stato nazio- città, alla regione, alla nale forte – per esempio nella forma di nazione, a entità sonazionalizzazioni di settori centrali del pranazionali o tranwelfare state – è escluso. Questo scenario snazionali, fino alla comunità mondiale. è improbabile, per quanto alcuni segnali Tali declinazioni contengono sempre due temporanei possano renderlo possibile. dimensioni, fra loro complementari: 1) da Il secondo scenario è caratterizzato da un lato, la dimensione istituzionale, in bauna emergenza forte di nuovi soggetti, se alla quale la cittadinanza implica un simovimenti e reti sociali «dal basso» che stema di istituzioni, aventi un carattere reclamano nuovi diritti, al di là di quelli democratico; 2) dall’altro, la dimensione già riconosciuti. Rientra in questo scena- dei diritti-doveri dei cittadini, sia come inrio l’emergenza di una nuova cittadinanza dividui sia come membri di formazioni societaria, cioè di una cittadinanza conce- sociali (dalla famiglia, al sindacato, ai vapita come affermazione di un complesso ri tipi di associazioni civili). Sotto tale di diritti-doveri che non fanno più capo al- punto di vista, allora, possiamo dire che le istituzioni e il complesso dei diritti-doveri propri dell’assetto moderno della cittadinanza non sono più sufficienti. La crisi della cittadinanza nazionale si manifesta come crisi del rapporto fra cittadinanza statuale e cittadinanza societaria che deve sabato 27 settembre venerdì 26 settembre essere risolta nel contesto della società globaProlusioni ore 15.00 Chiesa e nazione Indirizzi di saluto le, cioè di un world syRino Fisichella Maurizio Cenni - Sindaco di Siena stem che vede affacFabio Ceccherini - Presidente Provincia di Siena Il senso dello Stato ciarsi una nuova soFerdinando Adornato Gabriello Mancini - Presidente Fondazione Mps presiede Angelo Sanza cietà civile mondiale. I ORE 11.15 crescenti processi miORE 15.30 Consegna del premio “liberal Siena 2008” Relazioni gratori, il fatto che la soa Carlo Azeglio Ciampi Attualità del concetto di bene comune cietà diventi necessaGiuseppe Mussari Giovanni Reale Presidente Banca Mps Spa riamente multiculturaPatria e valori condivisi Gennaro Malgieri le, multietnica, sempre ORE 11.30 Cittadinanza e globalizzazione Laudatio più pluralizzata, imponPierpaolo Donati Pier Ferdinando Casini gono nuovi confini alla ORE 17.30 Focus cittadinanza. La cittadiORE 12.00 Dialogo e conflitto nella Seconda Repubblica Conferenza nanza deve farsi post-

nazionale. Che cosa significa questo? La globalizzazione impone che le istituzioni e i diritti-doveri della cittadinanza debbano essere articolati in modo nuovo, sia in termini territoriali (dalle comunità più piccole a quelle più grandi), sia in termini culturali e operativi.

In termini pratici, io credo che le strategie con cui è necessario guardare allo sviluppo di una cittadinanza post-nazionale siano sintetizzabili in tre punti. a) È necessario uscire dagli schemi centro-periferia per orientarsi a schemi di rete. Già oggi i contenuti della cittadinanza sono sistemi a rete. In concreto, ciò significa una articolazione territoriale dei sistemi politici a cui possono e debbono corrispondere costituzioni politiche adeguate ai territori, dalle costituzioni cittadine e civiche, a quelle regionali, statali e sopranazionali o transnazionali. Detto in altre parole, la cittadinanza deve farsi ‘glocale’, ossia deve adeguare i contenuti della cittadinanza che si globalizza alle realtà locali, ai concreti contesti situati. Quello che, in Italia, oggi chiamiamo federalismo dal punto di vista sociologico, altro non è che una soluzione di glocalizzazione della cittadinanza, nel senso di un adattamento delle dinamiche globali della cittadinanza ai contesti locali. b) Un tale cambiamento non può essere effettuato in base alle ideologie tipicamente moderne, che risalgono al Sette-Ottocento. Per quanto i principi del liberalismo e del socialismo abbiano dato importanti apporti, occorre fare ricorso a nuovi principi, meno “ideologici”, più pertinenti alle nuove esigenze di valori di cittadinanza che debbono essere allo stesso tempo universali e contestuati. Questi principi sono quelli della sussidiarietà e solidarietà combinati assieme. Si tratta di “globalizzare” i principi di sussidiarietà e solidarietà come criteri-guida di governance dei sistemi politici. c) Tutto ciò fa intravedere che la crisi della cittadinanza nazionale rimanda, per soluzioni valide, ad una nuova “costituzionalizzazione della società”. Essa ha un carattere dopo-moderna in quanto deve affrontare il problema della “costituzionalizzazione delle sfere private”. Detto in sintesi, deve basarsi su un nuovo intreccio fra costituzioni politiche e costituzioni civili.

La concezione puramente procedurale (formale) della democrazia è insoddisfacente a fronte delle scelte di valore che debbono essere compiute

Pier Luigi Bersani, Giuseppe Pisanu, Bruno Tabacci - modera Stefano Folli

Carlo Azeglio Ciampi presidente emerito della Repubblica


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società

Il massacro della scuola finlandese è unito a quello di Columbine da un filo che lega i nuovi teen-ager di tutto il mondo

La Rete dei killer di Franz Gustincich on si tratta di casi isolati, di singoli individui che si possano semplicemente etichettare come psicopatici. E le stragi nelle scuole non possono limitarsi a restare cronaca. Si tratta di un fenomeno che sta assumendo le proporzioni del serio problema sociale, e i perpetratori tendono a emularsi l’un l’altro, uniti tra di loro da un nuovo credo che, con le opportune differenze, sembra potersi ricondurre ad una visione estrema dell’applicazione della legge naturale: l’anarco-evoluzionismo. Negli Stati Uniti gli emulatori noti dei responsabili della strage di Columbine, Eric Harris e Dylan Klebold, arrestati dalla polizia in flagranza negli ultimi anni sono 12. Quasi tutti teenagers.

N

Ma il fenomeno non è solo americano e si può ormai definire transnazionale, e oltre ai 12 che il Federal Bureau of Investigation ha fermato con arsenali pronti per essere usati, molti altri si nascondono tra le pieghe di internet, su YouTube ma non solo, andando a costituire un’architettura che ricorda non troppo alla lontana quella di al Qaeda. Insieme al più recentemente noto Maatti Juhani Saari, anche il più celebre pensatore anarco-evoluzionista, Pentti Linkola, 76 anni, è finlandese, ma sembra essere più un simbolo

che un partecipante attivo. Linkola, ambientalista radicale, è un teorico della selezione naturale e condanna l’intera umanità colpevole della distru-

Si dichiarano anarco-evoluzionisti, con una rete simile ad al-Qaeda. Sono uniti da Internet. Sono tutti adolescenti zione dell’ambiente, arrivando a sostenere la necessità di un genocidio per salvarlo. Ha dichiarato che la terza guerra

mondiale sarebbe «Una felice occasione per il pianeta (...) Se ci fosse un bottone io potrei premerlo, io sacrificherei me stesso senza esitazione, se ciò significasse la morte di milioni di persone».

Linkola è apprezzato anche perché ha messo in pratica le sue idee non criminose, vivendo da misantropo, in mezzo alla natura e senza luce elettrica, motori o tecnologie di qualsiasi tipo. La rete informale che si è venuta a creare in questi anni tra chi la pensa come Petti Linkola e al contempo idolatra Unabomber, Francis Galton (il padre dell’eugenetica) e gli autori delle stragi nelle scuole – oltre a Hitler e Stalin – si avvale di internet come luogo di scambio di messaggi e di commemorazione dei martiri. Non si tratta di una organizzazione strutturata, ma di individui che condividono le stesse idee emotive e che hanno pubblicato su YouTube un video di sole parole che spiega la assurda teoria dietro la quale si ritrovano gli autori e i teorici di questi folli gesti. In questo manifesto del pensiero stragista adolescenziale, si leggono frasi come «gli inferiori, i ritardati, i malati sono diventati la maggioranza e ciò significa che si riproducono più rapidamente delle menti superiori....Essi sono sostenuti dalle leggi, dalla polizia, dalle medicine e dalla tecnologia, senza la quale morirebbero. Anarco-evoluzionismo.

Solo agli uomini intelligenti, capaci di difendere se stessi e vivere in armonia con l’ambiente dovrebbe essere permesso di vivere». E ancora: «Non tutte le vite umane sono importanti o meritano salvezza. Gli individui dotati e di mente superiore dovrebbero sopravvivere, mentre gli stupidi i ritardati mentali e le masse dovrebbero perire (o essere ridotte in schiavitù)».

Da queste due frasi si può comprendere sia lo spirito di sacrificio – il suicidio – sia la noncuranza e la determinazione nell’uccidere altri esseri umani. Uno dei più famosi attentatori non-americani è un

altro finlandese - Eric Pekka Auvinen - responsabile dell’uccisione di 8 studenti nella scuola Jokela, nel novembre dello scorso anno. La sua fidanzata, Tana Scheel, dalle pagine di YouTube, lo ricorda con un montaggio di foto riprese il giorno della strage. Nel profilo inserito all’interno della sua presunta pagina personale si legge che ama i film, la musica, gli animali, i massacri, e i serial killer. Eric Pekka Auvinen è stato il primo segnale di una internazionalizzazione del fenomeno, perché sono state trovate tracce della corrispondenza che intratteneva con Dillon Cossey, un altro adolescente, arrestato prima che mettesse in


società

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È uno strumento che aiuta i contatti, non fomenta le stragi

«Internet non è il male È solo una bacheca» colloquio con Ugo Volli di Vincenzo Faccioli Pintozzi iù che accusare la Rete o parlare di disagio giovanile, dobbiamo superare l’eccesso di permissivismo ricevuto in eredità e tornare a essere educatori. È la ricetta di Ugo Volli, professore di Semiotica del testo e Sociosemiotica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, per cercare di fermare i casi di violenza giovanile che affollano sempre di più le pagine di cronaca di tutto il mondo. Ma che, comunque, non è in aumento: secondo il docente, infatti, «era molto più violento il mondo di vent’anni fa». Professore, dopo le stragi del Virginia Tech e del liceo di Kauhajoki, Internet è nel mirino. Raduna veramente i potenziali killer del mondo intero? La Rete è diventata il luogo principale della socialità giovanile. E in particolar modo di quella problematica: coloro che hanno problemi relazionali, dalla timidezza in poi. Grazie a Internet, hanno più facilità ad avere contatti rispetto a quelli della vita reale. E spesso questi contatti sono molto trasversali, nel senso che sono originati dalla Rete, e non una sostituzione di altro. La gente si conosce grazie al computer. Ha modo di farlo anche usando diverse cose: mette un video su YouTube, contatta delle persone con cui chatta grazie a Messenger, o mette annunci su Facebook. Come tutti i meccanismi di coesione sociale artificiale, però, anche questo mette insieme realtà composte da marginalità. Questo non vuol dire che i problemi nascono da questo, ma che visti da lontano fanno più massa. Non c’è stato bisogno di Internet per la strage di Columbine, che era precedente al largo uso dei computer. Dopo la strage finlandese, l’opinione pubblica del Paese nordeuropeo ha chiesto di cancellare da Internet i video dell’autore, per timore di emulazione. È giusta una richiesta del genere? Il problema è che la Rete punta a essere uno strumento neutro, come il telefono. Io sono liberale in questo, e credo che sia molto perico-

P

Scene dal liceo Columbine, teatro della strage compiuta da Eric Harris e Dylan Klebold. A lato: Matti Juhani Saari, autore della strage di Kauhajoki. In basso, Cho Seung-hui, il killer del Virgina Tech Institute pratica il suo piano di assaltare una scuola statunitense con armi da fuoco e bombe a mano fatte in casa. A Dillon è attribuita l’iniziativa della fondazione dell’unico gruppo organizzato tra quelli noti: il Natural Selection’s Army (Esercito della selezione naturale) il 14 luglio dello scorso anno. Il gruppo – con contatti apparentemente solo virtuali - contava 23 adepti, tra i quali Eric, e adorava Timothy McVeigh (l’autore dell’assalto alla palazzina dell’FBI in Oklahoma nel 1995, nella quale perirono 168 persone), oltre ai già citati.

Le forze dell’ordine di mezzo mondo sono già da qual-

che anno impegnate a scovare gli individui più pericolosi, insieme a psicologi e sociologi ma, sebbene questo tipo di ideologia abbia iniziato ad attecchire, seppur marginalmente, anche in Italia, non si può non notare come gli episodi più violenti e l’espansione maggiore di questo germe di follia sia avvenuto in due dei primi tre paesi per numero di armi pro capite (al secondo posto dopo gli USA c’è lo Yemen). L’età minima per acquistare legalmente un’arma da fuoco è sedici anni negli Stati Uniti d’America. Un limte che a molti sembra assurdo. Ma in Finlandia ne bastano quindici.

loso intervenire sui contenuti con una regolamentazione, perché è molto difficile trovarne poi i limiti. Basta pensare ai vari regimi autoritari e alla loro politica di censura: il caso cinese è solo il più eclatante. Quella che dovrebbe essere messo in pratica è la vera tutela di terzi danneggiati dai contenuti virtuali. Lo Stato non deve impedire a nessuno di scrivere che io amo le aringhe, ma credo che se su YouTube appare una cosa che mi diffama, dovrei avere il diritto di farlo levare. Se non ci sono reati nei contenuti messi nella Rete, l’intervento di uno Stato “etico”che definisce il contenuto diseducativo mi lascia estremamente perplesso. Chi decide cosa è giusto? Quello finlandese è un caso abbastanza chiaro, evidente, ma vi sono altre situazioni in cui il confine è molto più labile. Dobbiamo essere adulti, e fare i conti con il fatto che esiste un’enorme bacheca virtuale dove lasciamo tutti una traccia. Che non si può cancellare senza dare un’autorità eccessiva a qualche organismo. Eppure, le stragi nelle scuole esprimono anche qualcosa di più. Si può parlare di un’escalation nella ferocia espressa da questo disagio giovanile? Nella società italiana abbiamo casi, come Novi Ligure, che creano alcune false percezioni della realtà. È un problema che riguarda soprattutto l’agenda delle notizie e la loro presentazione. I giornali si concentrano sul fatto, ma non è detto che l’allarme sociale che ne esce sia sociologicamente fondato. La percezione dell’insicurezza e dei crimini è spesso molto impressionistica e poco realistica. Io non credo che essita una situazione di grave criminalità giovanile. Ci sono alcuni casi, ma ho la sensazione che la generazione di oggi sia molto meno violenta di quella di 20 anni fa. Dobbiamo imparare di nuovo a fare ognuno il proprio mestiere: superare l’eccesso di permissivismo ricevuto in eredità e tornare a essere genitori e maestri. Il problema è questo, e non una categoria astratta come il disagio giovanile.

Contro questa violenza dobbiamo tornare a essere genitori e maestri dei nostri figli


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musica A sinistra, due immagini di repertorio dei mitici Beatles. In alto, un’altra storica band, gli Eagles. Sotto, gli AC/DC. A destra, una recente foto dei Rolling Stones

Volti nuovi? Roba vecchia. Così le etichette rilanciano i soliti Big an bene i Jonas Brothers, nuovi idoli delle ragazzine.Va bene Katy Perry, sfrontata come una giovane Madonna. Ma quando si tratta di passare all’incasso e di tappare un buco di bilancio, le case discografiche sanno bene dove andare: in cantina, a rispolverare le preziose anticaglie che conservano in archivio. La loro ipoteca sul futuro è il cosiddetto back catalog, i dischi sempreverdi che continuano a vendere con impressionante regolarità a ogni giro di boa generazionale o tecnologico (dall’Lp al cd, dal cd al file audio, e poi i remix 5.1 e i Blu-ray…).

V

E’ su quel terreno, non per niente, che si giocano oggi le battaglie cruciali del music business. La preda ambita da tutti non è più la next big thing, il talento di oggi o di domani. Sono i nomi storici, i senatori del pop e del rock. Più per quello che hanno dato in passato, solitamente, che per quanto promettono di fare in futuro. Fatti due conti, non è difficile capire il perché: solo negli Stati Uniti, e senza un dollaro speso in marketing o in promozione, i Beatles hanno venduto otto milioni di album tra il 2004 e il 2007. D’accordo, stiamo parlando di capolavori come il Sgt. Pepper e il White Album, come Revolver e Abbey Road, ma i Fab Four non sono gli unici pezzi grossi che valgono tanto oro quanto pesano. Nello stesso quadriennio gli australiani AC/DC, campioni del rock duro, hanno smerciato negli States sette milioni di cd, i Pink

Il ritorno al passato delle grandi major di Alfredo Marziano Floyd sei milioni, Eagles e Rolling Stones si sono assestati intorno ai cinque e i Led Zeppelin poco sotto (4,7 milioni). In altre parole: tra uno e due milioni di dischi all’anno pro capite, cifre da best seller assoluto in un mercato ristretto come quello di oggi. E senza gli sbattimenti, i rischi, le spese folli legate al lancio di un nuovo artista. Così la vecchia produzione delle rockstar è oggi al centro di aste furibonde, innescate dal mutare delle regole del mercato. I più previdenti o fortunati,

po Warner, per passare armi e bagagli alla Sony, catalogo compreso. Sulla scacchiera del music business si tratta di una mossa pesante: anche perché Angus Young e compagni sono tra i pochi a non avere ancora ceduto alle lusinghe del “digitale”, tenendosi a debita distanza da iTunes e concorrenti; e nel momento in cui cambieranno strategia – praticamente da subito: il nuovo disco, per la prima volta, sarà disponibile anche online – spalancheranno nuove opportunità di profitto a

consentendo alla Universal, già comproprietaria delle incisioni antecedenti su etichetta Decca, di riunire sotto un unico tetto l’intera produzione della band inglese in vista di un grande progetto di rimasterizzazione che, c’è da scommetterci, non tarderà a dare i primi frutti. Magari già nel 2009, l’anno per cui è annunciata l’attesissima digitalizzazione del catalogo dei Beatles, un patrimonio che la EMI inglese, depauperata dalla perdita di Stones, Radiohead e altri ancora, deve di-

La loro ipoteca sul futuro è il cosiddetto ”back catalog”, i dischi sempreverdi che continuano a vendere con impressionante regolarità. In arrivo l’attesa riedizione digitale dell’antologia completa dei Beatles tra i big della scena musicale, sono tornati da tempo in possesso dei loro master, le registrazioni originali che per tanti anni erano rimaste in proprietà alle case discografiche: e se le portano in dote, quando decidono di cambiare scuderia e controparte commerciale.

Con il nuovo album di prossima uscita, Black Ice, gli AC/DC lasciano l’etichetta che li ha visti nascere, la Atlantic del grup-

sé e ai propri partner. Anche il chiacchierato passaggio dei Rolling Stones dalla EMI/Virgin alla Universal, annunciato qualche mese fa, ha una valenza retroattiva che lo rende particolarmente appetibile per la major discografica leader di mercato. L’accordo copre tutto il repertorio pubblicato da Jagger, Richards & C. su Rolling Stones Records (l’etichetta di proprietà del gruppo), da Sticky Fingers (1971) in poi:

fendere con le unghie e con i denti. «Vi sembrerà di averli ascoltati, finora, sotto vetro. E di avere John Lennon al vostro fianco in sala di incisione!», promette il giornalista inglese Mat Snow dalle colonne del mensile Mojo, dopo aver avuto il privilegio di un assaggio del meticoloso lavoro di restauro e ripulitura dei nastri effettuato dai tecnici di Abbey Road. Ci sarà occasione, tra qualche mese, di sostituire le vecchie, su-

perate edizioni in cd datate 1987 con nuove scintillanti versioni, e anche di scaricare finalmente la musica dei Beatles da iTunes, ora che le due Apple, la “mela” dei Fab Four e quella di Steve Jobs, hanno risolto le loro beghe legali.

Il mercato digitale, e non solo quello, ne subirà certamente una benefica scossa. E non tutti, magari, si accontenteranno di stare a guardare. La EMI, oggi in mano al gruppo finanziario Terra Firma, è sempre alla ricerca del migliore offerente e circola voce che il candidato più probabile all’acquisto, in un futuro prossimo, possa essere la Sony: la società, guarda caso, che a metà con Michael Jackson si spartisce i diritti editoriali sulle canzoni di John, Paul, George e Ringo, ogni volta che queste passano in radio o in televisione, finiscono in un film o in uno spot pubblicitario. Metti insieme catalogo ed edizioni dei Beatles, e hai fatto bingo. Ti sei messo un tesoro in cassaforte, ti sei assicurato una rendita vitalizia con cui farti scudo dall’alea e le incertezze del presente. Se poi le stesse strategie di sopravvivenza si potranno applicare un giorno ai Jonas Brothers e alle Kate Perry di oggi è tutto da discutere. Gli “artisti”non sembrano più fatti per durare: sono, con le dovute eccezioni, investimenti cash cow, vacche da mungere finché hanno latte. E allora lunga vita ai vecchi lupi di mare, oggi che la musica è un mare torbido e agitato in cui si naviga a vista.


cinema

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Presentata ieri la III edizione del Festival del cinema della capitale. Tante le novità (soft) annunciate dal nuovo patron Gian Luigi Rondi

Roma, ottobre 2008: è sempre Festa di Francesco Ruggeri ualche giorno dopo essere stato nominato nuovo patron della Festa di Roma, Gian Luigi Rondi non ha usato giri di parole: «La cosa più difficile per un regista è realizzare un film che piace sia al pubblico che alla critica». Parole prese in prestito da una famosa dichiarazione del suo caro amico Renè Clair che sottendono una bella dichiarazione d’intenti. La terza edizione del festival di Roma, segnata dalla fine della gestione Veltroni-Bettini, sarebbe dovuta nascere sotto il segno di un cinema popolare e di ricerca, sperimentale e al tempo stesso in grado di parlare a tutti.

Q

Questa la volontà di Rondi, concretizzatasi nella conferenza stampa tenutasi ieri, in cui sono state presentate due delle sezioni più importanti della Festa: “L’altro cinema” e “Occhio sul mondo”. Subentrare alla guida di un Festival di questo tipo a pochi mesi dal suo inizio non è stato semplice. La parola chiave di tutto? Muoversi in continuità con la gestione precedente, senza strappi, senza inutili rotture, ma semmai con un occhio ancora più attento a quello che di interessante offre in questo momento il mercato. Eccoci dunque al cuore pulsante di questa edizione n. 3 che irromperà nel cuore della Capitale dal 22 al 31 ottobre prossimi. Il programma è ricco, stratificato e pieno di film che promettono bene. Partiamo da quelle sezioni che, pur mantenendo invariato la loro proposte, hanno cambiato nome. Al posto della vecchia “Première”, quest’anno ci sarà “Anteprima”, una bella vetrina in cui scorreranno alcuni dei titoli più attesi dell’anno. Accanto al cinema di maggior richiamo commerciale, non ci si dimentica di quello più nascosto, per certi versi segreto. A scoprirlo, per presentarlo come si deve al pubblico, saranno due sezioni fra le più vitali e “necessarie”del Festival. Si parte con “Cinema 2008”che, diretto da Giorgio Gosetti e Teresa Cavina, presenterà ben 14 film in anteprima interna-

zionale che concorreranno agli ambiti premi Marc’Aurelio, attribuiti dalla Giuria del Pubblico e da quella della Critica, presieduta quest’anno da Edoardo Bruno. E si continua con il piatto forte, l’ormai “mitica”sezione “Extra”(ribattezzata “L’altro cinema”) in cui vi sarà la possibilità di dare un’occhiata alle mille facce del cinema, fra provocazione e spettacolo. E non basta. Perché grazie a questa sezione, organizzata e diretta di nuovo dal bravo Mario Sesti, vi sarà anche la possibilità di partecipare all’incontro con Al Pacino che il 22 ottobre riceverà il Marc’Aurelio alla Carriera. Le ultime due sezioni, “Alice nella città”e “L’occhio sul mondo-Focus” presenteranno rispettivamente opere indirizzate ai giovanissimi e film provenienti dalle cinematografie di ogni parte del mondo. Nulla di nuovo sotto il sole? Apparentemente no. Ma è un bene perché nelle due passate edizioni si è raggiunta un bella alchimia di suggestioni che sarebbe stato un peccato perdere.

A fianco, Giampaolo Pansa, autore del discusso ”Il sangue dei vinti” (sopra, la copertina). Dal libro nasce l’omonimo film, inserito nel Festival del cinema di Roma. In basso a sinistra, il patron del Festival, Gian Luigi Rondi. In basso, la protagonista di ”L’uomo che ama”, Monica Bellucci, inserito nel Festival

Veniamo dunque ai film (e agli interpreti) che campeggiano sul cartellone del festival. E partiamo da un film, inserito all’ultimo momento fuori concorso, che ha già acceso

mancheranno momenti a dir poco hot come ha confessato la Monica nazionale in un’intervista di qualche mese fa. In attesa della conferenza stampa ufficiale in cui Rondi presenterà il cartellone definitivo, abbiamo già le prime cer-

La parola chiave di tutto? La continuità con la gestione precedente, senza strappi o inutili rotture, ma con un occhio ancora più attento a quello che di interessante offre il mercato mille polemiche. Si tratta de Il sangue dei vinti, adattamento cinematografico dell’omonimo e discusso libro di Giampaolo Pansa dedicato alle stragi partigiane. Diretto da Michele Soavi e affidato all’estro di Michele Placido, si presenta come il classico film dibattito che scalderà non poco gli animi. Rondi è stato chiaro nella sua intenzione di puntare (quasi) tutto sul cinema italiano: non c’è da sorprendersi dunque se ad aprire ufficialmente il Festival sarà L’uomo che ama, diretto da Maria Sole Tognazzi e interpretato da Monica Bellucci e Pier Francesco Favino. Sulla trama del film si sa ancora poco, l’unica cosa certa è che non

tezze. Vedremo di sicuro L’Heure d’ètè di Olivier Assayas (uno dei cineasti francesi più audaci e anticonvenzionali degli ultimi anni), Riunione di famiglia di Thomas Vinterberg e l’ultimo suggestivo racconto per immagini di Peter Greenaway, Rembrandt’s J’accuse. Nella sezione “Anteprima”, non mancheranno senza dubbio La banda Baader Meinhof (durissima ricognizione politica sulla Germania degli anni Settanta) e The Duchess, appassionante racconto della vita della Duchessa di Devonshire, antenata “settecente-

sca”di Lady Diana. A vestire i panni della protagonista la brava Keira Knightley, attesa da fan e fotografi a non finire.

Fra le altre chicche segnaliamo lo struggente Kill Gill Vol. 2 e1/2 (agghiacciante diario della progressiva paralisi che ha colpito anni fa Gill Rossellini), Bob Marley: Exodus 77 (racconto in musica della vita dell’inventore del reggae) e Effedià-Sulla mia cattiva strada, omaggio al compianto Fabrizio De André curato dalla giornalista Rai Teresa Marchesi. Infine, altri due appuntamenti da non perdere. Lo straordinario e sacrosanto omaggio a Dino Risi (scomparso lo scorso giugno) con una mostra dedicata alle fotografie sui set di alcuni dei suoi capolavori e C’era una volta il ‘48, allestimento curato dal noto critico e storico del cinema Orio Caldiron. Attraverso poster, locandine e documenti d’epoca verranno ripercorsi alcuni dei film più significativi usciti in Italia nell’anno dell’entrata in vigore della nostra Costituzione.


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il personaggio

Nel dietro le quinte del film ”Un giorno perfetto”. Retroscena, aneddoti e gag raccontate dal regista Ferzan Ozpetek. Che a liberal si racconta senza troppi giri di parole

«Io,un gatto di Roma» di Pierre Chiartano ogna di stare in Siberia, lontano dal mondo dei grandi, Valentina, ragazza adolescente cui piacciono i Led Zeppelin. Sua madre Emma - Isabella Ferrari - è un’anima finita nel vortice di un destino amaro, che non perde la capacità di sorridere: «La sua voglia di vivere, questa sua luce, rimane forte anche nella tragedia», commenta l’attrice nel making of del film Un giorno perfetto, parlando del suo personaggio. Suo padre, Antonio - Valerio Mastrandrea - poliziotto addetto alle scorte, ha gli occhi da buono, ma agisce seguendo l’istinto animalesco della violenza. In lui la battaglia quotidiana fra bene e male ha un esito potentemente tragico. È la volontà personale, il libero arbitrio che determina le scelte di questi personaggi? Lo abbiamo chiesto al regista Ferzan Ozpetek. «Assolutamente sì. Ma può essere non solo una questione di scelte personali. Tante volte nella vita avvengono delle cose determinanti. Chi è carnefice e chi è vittima non si sa. Alle volte è la vita che diventa carnefice. In determinate circostanze si mettono in moto le proprie capacità di adeguamento e anche di controllo. Dentro l’uomo c’è tutto», è la risposta a liberal. Il suo ultimo film Un giorno perfetto, è tratto dall’omonimo romanzo di Melania Mazzucco.

S

portante, è il luogo dell’amore. Il male è invece il suo contrario. Ho letto di qualcuno che aveva scritto che parlavo male della famiglia. Ho solo preso un romanzo e l’ho portato sullo schermo. Se uno fa un film su di un assassino, non vuol dire che consideri tutti gli esseri umani come degli assassini».

È un regista italiano, di origini turche, romano da molti anni. «Sono 32 anni che abito nella stessa casa, nello stesso palazzo, sono come i gatti di Roma… anzi quelli non ci sono più. Sono molto attaccato al quartiere, alla città. Ogni volta

Ferrari e Monica Guerritore (Mara). Nel libro era un uomo e l’abbiamo fatta diventare una donna, perché volevo che ci fosse l’intesa fra due donne in un momento difficile. Ho cambiato il personaggio di Angela Finocchiaro, quello di Stefania Sandrelli (la madre di Emma, ndr) che nel romanzo non mi piaceva assolutamente». È la magia del cinema, dove si fanno rivivere i personaggi che più si amano, secondo Ozpetek, che nell’incontro col pubblico soffre il caldo umido di settembre, che tanto gli ricorda gli hamam turchi. È Stefania Sandrelli a ripetere la

«Alla Sandrelli ho fatto pronunciare una frase che mi diceva sempre una persona:“Un uomo non è tale se non fa volare un aquilone”. Pensavo: è ‘na pazza! Che c’entra? Invece c’entrava»

Un giorno perfetto perché tutto succeda. Il male, l’amicizia, la violenza e l’amore, la miseria umana e la grandezza, tutto in un amalgama di verità che chiamiamo vita. La famiglia e l’amore sembrano le vittime di questo racconto dal ritmo appassionante, con l’emozione di una fine già intuita nei primi fotogrammi della pellicola. Ma Ozpetek ama la famiglia, lui che è maestro di racconti d’amicizia e di legami “diversamente convenzionali”? «Con tutto il bene possibile, è così im-

che mi allontano mi manca molto. Qua troviamo la pace e il bene», spiega durante la presentazione romana della pellicola, accompagnato dal produttore Domenico Procacci. Una famiglia minata dal divorzio, come tantissime, un’altra coppia distrutta dai non-valori di un uomo di potere in declino e poi frammenti di vite che s’incrociano in una rete che qualcuno definisce destino. «C’è l’amicizia fra la

frase chiave per capire il personaggio tragico di Antonio, la sua immaturità di fronte all’abbandono della moglie, che si trasforma in violenza. Un uomo che non sa far volare gli aquiloni, non è veramente un uomo. Un’affermazione che lascia inizialmente perplessi sull’attinenza al contesto culturale del film – più un richiamo all’infanzia in Turchia che alla trama piena di tensione emotiva, ma non cupa, dell’opera. È il regista delle Fate Ignoranti e di Saturno Contro a chiarire l’arcano, pescando dai ricordi di un passato popolato di donne: «Al personaggio della Sandrelli ho fatto pronunciare una frase che mi diceva sempre una di quelle persone che chiamavo zie.“Ricordati che un uomo non sarà mai un uomo, se non farà volare un aquilone”. Pensavo: è ‘na pazza! Che c’entra? Invece c’entrava molto, perché un uomo che costruisce un aquilone e lo fa volare è uno che sta al gioco». La maturità raggiunta attraverso la leggerezza della creatività ludica. Forse oggi facciamo fatica a crescere, perché la realtà schiaccia la ricchezza dell’uomo all’interno di una dimensione troppo razionale. Il gioco sublima e cu-

Sopra, Melania Mazzucco, autrice del romanzo ”Un giorno perfetto”, che ha ispirato l’omonimo film. A destra, il regista della pellicola, Ferzan Ozpetek. In basso a sinistra, Stefania Sandrelli, tra gli interpreti del film. In basso a destra, l’attore Valerio Mastandrea, anche lui protagonista della pellicola ra le malattie dell’anima, altrimenti non rimane che esaltare i sentimenti negativi come l’odio e la violenza. E la via della salvezza rimane irrimediabilmente chiusa. Così Antonio (Mastrandrea) cerca di non soffrire, provocando dolore agli altri.

«Valerio, prima l’ho mandato in palestra per tre mesi, non per sviluppare muscoli, ma per creare un’atmosfera che si potesse percepire nel suo sguardo, negli occhi. Mi serviva un cane bastonato dagli occhi buoni». Uno appunto, che poi morde. «Con loro (Ferrari e Mastrandrea, ndr) funziona moltissimo. Tutte le volte che vedo il film mi emozionano tutt’e due tantissimo. All’inizio leggendo il copione pensavo: ma che bella questa passione. Ognuno di noi ha avuto una passione così nella vita, magari un po’ ossessiva e tormentata, ma in modo leggero. Poi, man mano, ho capito che quest’uomo non si ama, ha un vuoto dentro. Non bisogna perdonarlo, ma capisci quanto una persona possa diventare violenta e criminale». «La tragedia è un luogo dove tutti cer-

cano di non soffrire», è la battuta di Valerio Binasco - lui è l’uomo politico, incarnazione del potere - nel making of trasmesso prima dell’incontro con il regista. Una tragedia che ha per sfondo le immancabili scenografie romane. Le ombre e le luci di una città ambigua e vitale, dove menzogna e verità di mischiano continuamente. E la verità di un amore forte ma malato, pur sempre amore, è quella che la Ferrari racconta all’amica Guerritore. «Se lui non fosse così violento… sessualmente andavano d’accordo. Lei sarebbe tornata in un attimo da lui. Tra loro le cose funzionavano alla grande, solo che lui è uno ossessivo e possessivo che vive un rapporto malato. Affascinante, ma malato», chiosa il regista. Nel libro da cui è tratta la sceneggiatura è citata una frase di George W. Bush, presa dal discorso sullo Stato dell’Unione del 2004: «La famiglia è il luogo in cui dimorano le speranze del nostro Paese, il luogo che fa spuntare le ali ai sogni». Non sappiamo quanta ironia o quanta verità ci sia stata nelle intenzioni della Mazzucco, ma non sfugge, mutatis mutandis,


il personaggio

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dere in tono scocciato o sufficiente. Poi esci da lì con una fame. Passo nei corridoi - gli altri sono già andati a mangiare - e incontro un ragazzino con una telecamera che mi dice: “Ozpetek andrà tutto malissimo, lei ha sempre fatto schifo e continua a fare schifo”. Ma che vuole questo qui? Capisco immediatamente che è uno che si aspetta che io urli, che dica delle cose brutte per poi farle circolare sul web. Allora gli rispondo “bene, tutto bene”, sorridendo a pollici alzati. Mi insegue. E mi chiedo il perché di questa cosa assurda. Poi vado a mangiare. Dopo continuiamo con le interviste e dimentico l’episodio. Anche se mi sarebbe piaciuto dargli due schiaffoni di quelli… (sorride). Quindi non mi sono sfogato e ho avuto un po’ di nervi nel pomeriggio. Esco, lo becco di nuovo. Mi sta incollato. Mi fermo e lo guardo, lì capisce che lo avrei ucciso. Se ne è andato da solo. Però questo tipo di cose fanno molto male. Ti domandi: questo ragazzetto di 22 0 23 anni cosa farà nella vita? Altro episodio. La sera della proiezione (della prima, ndr) ci sono stati dieci minuti di applausi. Questa storia del conteggio dei minuti mi fa un po’ ridere, ma va bene. La gente è commossa. Poi il pomeriggio c’è stata la proiezione sotto il tendone. Dove vanno molti, anche giornalisti. Va anche qualcuno per fare casino. Magari una ventina di ragazzetti stanno lì. Se ci sono applausi, loro fischiano, durante il film gridano delle frasi o si mettono a ridere. una certa analogia con film come American beauty di Sam Mendes, analisi cruda su alcuni aspetti della società d’oltre Oceano. Riflessione attenta, intelligente.

Un giorno perfetto è un parente stretto di quest’approccio alla vita e alla sua lettura: «Non mi piace dare messaggi. Non

«Alla presentazione del film incontrai un bimbo. Mi disse:“Ozpetek andrà tutto malissimo”. Mi sarebbe piaciuto dargli due schiaffoni di quelli» mi piace fare film di denuncia. Si sente la solitudine dell’uomo, si sentono delle cose che però non faccio mai dire in maniera diretta. Spesso parliamo dell’Italia in difficoltà, ma è il mondo che sta andando verso un periodo molto buio, molto difficile. La violenza verso le donne c’è sempre. Forse è la lo-

ro sensibilità verso la vita che mette paura. Credo». Per il produttore Procacci «la Mazzucco ha scritto un grande romanzo corale pieno di tensioni e durezza, con la quale bisogna fare i conti. Quando abbiamo pensato alla regia, ci siamo accorti che non dovevamo portare sullo schermo questo racconto in maniera piatta o fredda, per non farne qualcosa che sarebbe somigliata a un’inchiesta televisiva. Serviva un regista che potesse dare calore a questa storia e ai suoi personaggi. Ozpetek è particolarmente bravo a raccontare i sentimenti e i personaggi e a scavarli nel profondo». E il regista: «Quando Procacci mi ha portato la sceneggiatura del libro, io non sapevo niente della storia. L’ho letta mi è piaciuta molto. L’ho chiamato dicendogli che l’avrei fatto volentieri. Sarebbe stata molto difficile da portare sullo schermo. Infatti appena gli ho detto sì, mi sono subito pentito. Mi son detto: e adesso? Mia madre suggeriva “assolutamente non farlo”. Gli amici di fiducia “sei pazzo, decisamente no!”. Questo mi ha spinto a tentare in qualche modo. Voglio

provare, voglio vedere. Sono felice per gli attori e per il risultato». Il finale del film, criticato da alcuni perché letterario e didascalico rispetto al testo della Mazzucco, mantiene invece una sua potenza emotiva, sottolineata anche dalla colonna sonora. «Per i critici guai se c’è molta musica. L’ho messa in alcuni punti per allontanarci dalla cronaca e dall’effetto documentario. Anche quando l’emozione deve crescere, specialmente negli ultimi dieci minuti».

Vita da regista: Ozpetek a Venezia. Emozioni e stress anche per i film maker. La kermesse del Lido, alla sessantacinquesima edizione, non è stato un evento facile da vivere e Ferzan Ozpetek ci racconta, con ironia, perché: «Dalle nove all’una devi affrontare i giornalisti che più o meno ti domandano sempre la stessa cosa, no? Non è che puoi alla stessa domanda rispon-

Il giorno dopo ti aspetti che i giornali diranno meraviglie, invece leggi “risate alla proiezione”. Che fosse quella del pomeriggio lo leggi sotto. Insomma, alla fine devi sorri-

dere, se prendi tutto questo sul serio, con la tensione del film, diventa pesantissimo. Per questo, da una parte sono molto contento di girare per l’Italia, di essere stato a Bologna, Firenze e qui. Rispetto a Venezia è stata una passeggiata».

Vita da attore: sul set di Un giorno perfetto.Tra Ferzan Ozpetek e i suoi attori c’è una corrente emozionale forte, e come ogni amante fa col proprio oggetto di desiderio, si pretende molto: «Io mi innamoro degli attori. La loro scelta è difficilissima. All’inizio pensavamo infatti a Valeria Golino – spiega Ozpetek - ma Valeria era occupata con un altro film. Una domenica è venuta a casa da me Isabella, con la nostra agente. Parlavo davanti a lei “peccato che Valeria non possa fare la parte”. Non pensavo minimamente a Isabella in quel momento. E poi, man mano, ho cominciato a farlo. Anche per Valerio (Mastrandrea, ndr) è stato un processo simile». Come Charlize Theron in Monster, o Robert De Niro in Toro Scatenato, la Ferrari si è sottoposta “all’ingrasso” per amore del cinema. «A Isabella ho detto: sei troppo magra. Metti su un po’ di carne, ingrassa di tre, quattro chili. Lei è ingrassata di nove chili. Siamo stati a Firenze insieme, mangia come una scaricatrice di porto. Mangia due primi, il vino, di tutto e di più. È un miracolo che stia così. Nel film si vede tantissimo. Al contrario ho fatto dimagrire Nicole (Giraudo) di quattro chili, le ho fatto stirare i capelli e vestire Chanel. Tutto un cambiamento». Ma è ancora Isabella Ferrari a “concedersi” al regista. «Quando Valerio picchia Isabella, le ho detto di non piangere. Ridi, ma ridi forte». Un frame in ricordo dello stile recitativo delle grande Anna Magnani. E non sempre certe scelte sono frutto di una profonda e attenta ponderazione, ma dell’istinto artistico: «mi venivano in mente le immagini, lì per lì». E non è stato il solo episodio in cui Isabella Ferrari ha detto sì al suo regista. Alcune location del libro sono cambiate nella sceneggiatura. «La macchina è diventato un canneto nella scena della violenza – spiega Ozpetek. C’era tensione per le inquadrature che stavamo per girare. Ad un certo punto - lei aveva un labbro spaccato da cui usciva sangue - ho detto a Valerio: lecca il sangue come fossi un animale. Poi ho aggiunto: senti, apri la bocca di lei e gli sputi dentro. Aspettavo che la Ferrari mi dicesse: Per carità, che è? Silenzio sul set. Dopo qualche attimo Isabella, rivolta a me: è geniale questa cosa!».


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog IMMAGINI DAL MONDO

LA DOMANDA DEL GIORNO

Sì al cognome materno. Favorevoli o contrari? NON LO CONDIVIDO AFFATTO, MEGLIO NON TOCCARE ANTICHE TRADIZIONI L’attribuzione automatica del cognome paterno al figlio legittimo, che non può essere disapplicata neppure se entrambi i coniugi lo vogliono, non è più coerente con i principi dell’ordinamento nè con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna. La prima sezione civile della Corte di cassazione (ordinanza interlocutoria 23934/08, depositata il 22 settembre) ha rimesso di fatto alle Sezioni unite – quindi senza decidere nel merito – il ricorso di una coppia di genitori milanesi che da anni si batte per far registrare all’anagrafe i figli minorenni con il cognome della mamma, rettificando l’atto di nascita; aspirazione, questa, che è stata stroncata una prima volta dal tribunale di Milano nell’ottobre 2006, e dalla Corte d’appello cinque mesi dopo.Varie le reazioni del mondo politico all’ordinanza, tra l’altro interlocutoria, della Cassazione. Per Rocco Buttiglione (Udc) «gli ermellini non devono legiferare usurpando il Parlamento», mentre per Donatella Poretti (Pd) «è ora che il Parlamento superi questo retaggio patriarcale e ratifichi l’uguaglianza tra uomo e donna». Il vicepresidente della Camera ed ex ministro per la Famiglia, Rosy Bindi, ha annunciato un disegno di legge a sua firma che supe-

LA DOMANDA DI DOMANI

Processo Sandri, udienza annullata per una eccezione della difesa di Spaccarotella. Cosa ne pensate? Rispondete con una email a lettere@liberal.it

ra ogni forma di discriminazione familiare. Cosa ne penso io? Che la tradizione dell’attribuzione del cognome paterno non vada in alcun modo toccata. E non per questioni «sessiste», come qua e là è spesso stato detto. Ma per questioni, appunto, tradizionali. E la tradizione, si sa, contiene in sé qualcosa di superiore e impercettibile che risponde a regole metafisiche che l’uomo non può permettersi di andare a toccare.

Susy Ragno - Napoli

LA SENTENZA PONE FINE A QUASI TRENT’ANNI DI BATTAGLIE I giudici della Prima Sezione Civile della Corte Suprema hanno stabilito che, in seguito all’approvazione, lo scorso 13 dicembre, del Trattato di Lisbona (che ha modificato il trattato sull’Unione Europea e quello istitutivo della Cee) anche l’Italia, come gli altri 27 stati membri, ha il dovere di uniformarsi ai principi fondamentali della Carta dei diritti Ue tra i quali il divieto «di ogni discriminazione fondata sul sesso». Una sentenza in tal senso era stata emessa nel 2006, ma in quell’occasione si trattava di un appello al Parlamento, ora invece la Cassazione afferma di essere pronta a rimuovere, disapplicandole, o avviando gli atti alla Consulta, le norme italiane in contrasto con i principi del Trattato. Ciò porrebbe fine a quasi trent’anni di battaglie sul tema, infatti la prima proposta di legge a favore del cognome materno risale al 30 ottobre 1979. L’ultima decisione della Corte Suprema è stata sollecitata dal ricordo di una coppia milanese dopo il diniego espresso dalla Corte d’Appello di Milano alla loro richiesta di dare ai figli il cognome della madre. Vediamo ora cosa accadrà.

Marco Valensise - Milano

IL COGNOME MATERNO SCOMBUSSOLA IN QUALCHE MODO IL CODICE FISCALE? Grazie a chi saprà rispondermi: al ministero degli interni non hanno saputo darmi una risposta, all’agenzia delle entrate nemmeno... Qualcuno di voi sa se aggiungendo al proprio il cognome materno cambia il codice fiscale? Ciò cosa comporta nella vita quotidiana?

LA GIUSTIZIA COME SERVIZIO AL CITTADINO È UNA PRIORITÀ Dal recente seminario promosso dall’onorevole Vietti, dall’Udc con alcune Fondazioni tra le quali liberal, emerge un primo dato significativo e, cioè, il tentativo riuscito di creare quel “clima giusto” di collaborazione necessario per riformare la Giustizia.Va sottolineato il merito, pertanto, nella scelta, proprio di un’opposizione costruttiva, qual è quella dei moderati dell’Unione di Centro, di utilizzare l’attuale posizionamento parlamentare al servizio del bene comune. Al tavolo del seminario sono stati invitati, infatti, molti degli esponenti di spicco della magistratura, dell’avvocatura e dell’università italiana nonché dei diversi schieramenti politici presenti nel Paese. Il dibattito è stato sereno, serrato e costruttivo, mai banale anche se caratterizzato da qualche tatticismo almeno con riferimento alle posizioni dell’Anm e della maggioranza. La relazione introduttiva del Presidente Casini ha posto da subito sul tavolo i temi più importanti

MOSTRI METROPOLITANI Un ragno meccanico di 15 metri protagonista di una performance di teatro di strada organizzata per le vie di Londra. Il mostro di acciaio e legno di pioppo è stato prima portato su una torre e poi fatto scendere a terra, dove ha iniziato a «camminare»

PATRIMONIO PER MATRIMONIO Celebrano matrimonio un uomo e una donna che intendono avere figli per mantenere i quali si procurano un patrimonio. Mònos cioè unico: unica madre e unico padre. Tutto il resto è crisi, disordine, che i figli pagano innocenti. Prendendosi cura del matrimonio è giusto ignorare le sterili sirene dei Dico/Pacs/Didòré e introdurre il reato di prostituzione in luogo pubblico o anche aperto al pubblico. Soltanto così sarà inferto un duro colpo sia ai mercanti sia ai consumatori di schiave. Come non riconoscere nella piaga della prostituzione quella radicale mercificazione dei corpi che rende possibile ogni discriminazione della donna e minando l’istituzione famigliare, legittima culturalmente

dai circoli liberal Amelia Giuliani - Potenza

che condizionano il servizio che la Giustizia rende alla comunità di cittadini amministrati evitando di soffermarsi esclusivamente su nodi della riforma che appaiono più spesso sulla pagine dei giornali e, cioè, composizione del Csm, obbligatorietà dell’azione penale, separazione delle carriere. In sintonia con questa linea sono apparse anche le anticipazione del Ministro Alfano che ha, condivisibilmente, sottolineato come la priorità della giustizia italiana è quella di restituire tempi ragionevoli e certezza ai processi civili e penali, ponendo il cittadino al centro dell’azione riformatrice. Sulla scorta di queste premesse sarebbe auspicabile che il Governo si muovesse prioritariamente per approvare una legge ordinaria che riformi la giustizia civile e penale al fine di renderle più efficienti. Se questa sarà la linea dell’attuale maggioranza essa non potrà che trovare il consenso delle opposizioni introducendo finalmente nel nostro Paese una conquista indispensabile di civiltà democratica superandosi quella serie di veti incrociati che por-

adulterio, delitto d’onore, aborto e infanticidio? Fuori controllo o legalizzata minaccia la stabilità e il futuro di ogni Stato, che non puntando più a debellarla, nemmeno riesca a ridurla ai minimi e privati termini, nel contesto di un generale rifiuto di essa. Auspico che ogni parlamentare, magistrato, poliziotto, carabiniere e operatore sociale di strada dia il suo apporto per sostenere, migliorare e applicare, nell’ estenderne concretamente la portata, questa ottima prossima legge Carfagna-Alfano che almeno una quarantina di milioni di italiani (se otto milioni fosse davvero il numero di cultori del peripatetismo a pagamento) non soltanto approva, ma aspettava dal tempo di Woodstock.

M. M. Martinoli - Milano

tano ad esasperare le differenze invece di trovare i punti di sintonia. Su tali aspetti del problema giustizia, inoltre, se affrontati in queste maniera potrebbero porsi dei punti fermi capaci di durare nel tempo e, soprattutto, resistere al cambio di maggioranze. Infatti, la lunghezza dei processi civili, nei quali sono coinvolti migliaia di cittadini ed imprese, è un fatto noto a tutti e crea un clima di sfiducia nella giustizia nonché una destabilizzazione dello Stato di diritto. E’ necessario, quindi, lavorare subito sulla riforma di questa materia anche perché indice di serietà ed affidabilità anche agli occhi degli investitori stranieri. Non ci sono ragioni per soprassedere dall’approvare immediata di disposizioni ordinarie di riforma puntuale al processo civile e penale. Questo vorrebbe dire mettere al centro del sistema giustizia le esigenze del cittadino e contemporaneamente esercitare al meglio e nobilmente l’azione politica. Ignazio Lagrotta COORDINATORE CIRCOLI LIBERAL PUGLIA


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog UNA TATCHER ITALIANA PER I TIFOSI ITALIANI

Quanto buio intorno a me Mia carissima! Parto per Kertschen a cercarvi il medico del battaglione: ho un’infiammazione d’occhi perché un corpo estraneo m’è entrato nell’occhio durante il lavoro. Una cosa da poco e una buona occasione per restare almeno un paio di giorni lontano dal fronte. Ti scrivo alle tre di notte, in un casale solitario abbandonato, come al solito, dai suoi abitanti, dove mi sono rifugiato con un paio di camerati. Sono annunziate pattuglie di cosacchi, perciò uno di noi deve stare sveglio, e io mi sono assunto tale incarico onde poter per una volta lavorare seriamente e leggere. È buio intorno a me, in lontananza cantano. Non so come, ho paura di perderti, una paura folle. Tutto il passato vive. E io vado sommerso in quello, se tu non mi rialzi. Io ti amo e tendo le mani verso di te, porgimi la tua mano.Voglimi bene. Aiutami: Non posso nulla senza di te. In me tutto si spezza. Karl Liebknecht alla moglie

È GIUSTO DARE UN AIUTO A CHI RIFIUTA UNO STIPENDIO? Alcuni sondaggi sul sito di Repubblica, circa 320.000 interventi, danno al governo in carica oltre il 50% di responsabilità per Alitalia. Pur prendendo tali giudizi nella giusta considerazione che può avere un quesito online, è mai possibile che più della metà degli interventi sia contro chi è sulla scena da soli quattro mesi e lasci defilati sindacati, precedenti governi, lavoratori che applaudono al fallimento, la cordata Cai e le precedenti gestioni Alitalia? C’è qualcosa che non va e per quello che mi riguarda, questo qualcosa è un’Italia marcia di livore, odio, politica dell’assistenzialismo. Tanto... rinunci allo stipendio? Non importa lo Stato t’impone lo stesso per anni uno stipendio ridotto chiamato ... «paga pantalone»! E se questo «governo di banditi» fosse coerente nel giudizio che ne danno e togliesse gli «ammortizzatori sociali» ? Facciamo il sondaggio, signori di Repubblica, ma ben chiaro: è giusto dare un aiuto a chi rifiuta lavoro e stipendio? Grazie per l’attenzione.

L. C. Guerrieri Roseto degli Abruzzi (Te)

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

26 settembre 1687 Il Partenone di Atene viene parzialmente distrutto da un’esplosione causata dal bombardamento condotto dalle forze veneziane guidate da Francesco Morosini, che stavano assediando i Turchi ottomani 1789 Thomas Jefferson viene nominato primo Segretario di Stato degli Stati Uniti 1944 Fallisce l’operazione Market Garden 1960 A Chicago si svolge il primo dibattito tra candidati alla presidenza Usa (Richard Nixon e John F. Kennedy) trasmesso alla tivù 1961 Bob Dylan debutta in pubblico 1962 Proclamazione della Repubblica araba dello Yemen 1969 L’album dei Beatles Abbey Road viene pubblicato nel Regno Unito 1988 Ben Johnson viene spogliato della medaglia d’oro olimpica dei 100 metri per essere risultato positivo a un test anti-doping

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,

Dopo i fatti della monnezza, dopo la camorra, dopo l’alta percentuale di disoccupazione e di non scolarità, dopo le intemperanze dei supporters partenopei sul treno, ora non resta che la «soluzione finale»: ridare Napoli agli italiani. Come? Niente galera, esportiamo gli incivili a lavorare nel quarto mondo, per organizzazioni onlus, creiamo una specie di contro immigrazione. Non è possibile tollerare ancora quest’anarchia di alcuni soggetti napoletani: qualcuno ricorderà la signora Thatcher, primo ministro inglese. Risolse subito il problema del vandalismo degli hooligans: per cinque anni le squadre inglesi fuori dalle coppe europee. Era una donna «con gli attributi»? A noi basterebbe un uomo con gli stessi, forte, determinato, con la spina dorsale bella dritta, con le spalle assai larghe... il ministro degli Interni Roberto Maroni batta un colpo! Cordialmente ringrazio per l’ospitalità sulle pagine del vostro giornale. A presto, grazie e buon lavoro a tutta la redazione.

Lettera firmata

PUNTURE Antonio Di Pietro parla con i pulcini: “Sono i miei psicanalisti”. Chissà chi sarà lo psicanalista dei pulcini.

Giancristiano Desiderio

Si parla tanto delle illusioni di chi ama, ma sarebbe meglio parlare della cecità di chi non ama TRISTAN BERNARD

Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

il meglio di QUELLO CHE SPINETTA NON DISSE Grazie a Phastidio, abbiamo avuto conferma che Jean Cyril Spinetta non possiede doti paranormali e non aveva previsto la vittoria di Silvio Berlusconi con quasi un mese di anticipo. In fondo egli è semplicemente un’illusionista, visto il modo furbesco con cui ha tentato il colpaccio Alitalia, andato a monte a causa dell’opposizione dei sindacati. A suo tempo avevamo visto che, nel tentativo di addossare a tutti i costi a Silvio Berlusconi gran parte della responsabilità del ritiro di Air France-Klm dalle trattative per l’acquisto di Alitalia, girava una dichiarazione, completamente distorta, attribuita dalle agenzie di stampa a Spinetta. (...) Alla fine della conferenza stampa del 19 marzo (durata quasi due ore), proprio in zona Cesarini, Vaccaro (Corriere della Sera) chiedeva a Spinetta se nel piano avesse messo in conto anche un possibile cambio di governo e il presidente di Air France rispondeva che il cambio di governo non era una possibilità ma una certezza, al di là di chi avesse vinto le elezioni. Egli dava per assodato che il governo successivo (Prodi o Berlusconi che fosse) avrebbe sottoscritto l’intesa, dopo il sì dei sindacati e quello di Bruxelles, s’intende. (...) La conferenza stampa integrale è qui, grazie a Radio Radicale, e potrà chiarire ancora meglio i motivi per cui Berlusconi si era detto contrario alla (s)vendita di Alitalia ma soprattutto di quanto sia stato strumentale e pretestuoso utilizzare una dichiarazione di Spinetta in modo parziale e fuorviante da parte del centrosinistra e del sindacato. Quelle parole hanno innescato un proliferare di dichiarazioni contraddittorie tra loro, dove tutti ormai davano per scontato che Spinetta desse per certa la vittoria di Berlusconi (alla quale solo Berlusconi credeva) ma, di quei giorni,

tra fuffa, dichiarazioni senza riscontri oggettivi e pura propaganda elettorale, quello che resta è un aspro quadro conflittuale compratore-sindacato, identico a quello che stiamo vedendo in questi giorni, al quale Air France si è sottratta dopo aver lanciato l’ultimo e irremovibile prendere o lasciare!

Perla Scandinava

ALITALIA, VELTRONI NELL’ANGOLO Deve aver sortito qualche effetto il sondaggio della Ipr Marketing pubblicato ieri da repubblica.it se Veltroni si è precipitato a scrivere al Presidente del Consiglio una letterina con tre proposte. Sulla lettera interessanti riflessioni di Minzolini sulla La Stampa e de Il Foglio. Nella sostanza il leader del Pd sta ben comprendendo che il fallimento di Alitalia sarebbe imputato alla Cgil e a lui personalmente come ispiratore politico dell’atteggiamento tenuto in questa settimana da Epifani. Le opzioni sul tavolo per risolvere la vicenda appaiono essere ancora legate esclusivamente alla cordata di Colaninno. Con un presenza societaria dei tedeschi di Lufthansa anticipata probabilmente rispetto ai piani iniziali della Cai. Veltroni, sostanzialmente, non vuole che il successo della trattativa passi attraverso la sconfitta delle posizioni della Cgil e dunque, di riflesso, attraverso le sue indicazioni. La lettera assume la funzione di prova da rivendicare a futura memoria in caso di successo: Veltroni vuole acquisire il merito di avere dato lo stimolo decisivo per la soluzione finale della vicenda. Ai più la lettera di ieri appare invece la prova provata della incomprensibile intesa fra Pd e Cgil della scorsa settimana che fece saltare la trattativa. Bizantinismi della politica italiana. Ma alla fine Veltroni e Epifani sono all’angolo (...).

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



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