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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Un mese di iniziative ai confini della Georgia
di e h c a n cro
Il settembre della Nato a Est per premere su Mosca
di Ferdinando Adornato
ABBAGLI MONDIALI
di Mario Arpino otta e risposta, in questo settembre, tra Nato, Usa e Russia sulla pericolosa situazione che ormai caratterizza l’area caucasica. L’accusa alla Nato e agli Stati Uniti di essere all’origine dei problemi con la Georgia era stata reiterata con veemenza da Medvedev subito dopo la conclusione della prima sessione del Comitato Nato-Georgia, costituito a Tblisi il 15 settembre e subito convocato a Bruxelles per «studiare ogni possibilità di supporto, incluso il ripianamento delle scorte militari distrutte dai russi, e valutare le condizioni per l’ingresso nell’Alleanza».
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Torniamo al capitalismo
Oggi a Roma la presentazione della nuova associazione
Nasce “Persone e Reti” Rutelli riapre i giochi nel Pd di Errico Novi
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Mentre la crisi fa crollare tutte le borse europee, continua a circolare una tesi sbagliata: che è finita l’era del mercato. Ma è vero il contrario: il crack è dovuto al “banchismo”, al potere finanziario svincolato dall’economia reale. La nuova sfida americana è quella di ripristinare il vero liberalismo Cgil più forte di Cisl e Uil
Finalmente liberi i cinque italiani
Ecco il piano ”salva faccia” di Guglielmo Epifani
I predoni senza frontiere
di Giuliano Cazzola
di Justo Lacunza Balda
di Carlo Azeglio Ciampi
Il caso Alitalia ha dimostrato quanto la Cgil si sia rafforzata rendendo irrilevanti Cisl e Uil. Il vero «successo», l’aver dimostrato che nessuno può stringere accordi che la escludano.
Sono tornati finalmente in libertà i cinque turisti italiani e i loro compagni di sventura. Adesso si accendono le polemiche sul pagamento di un riscatto e sulla sicurezza dei viaggi in Egitto.
L’Italia nata dal Risorgimento ha trovato nella sua identità la forza per superare le prove più dure: guerre, dittature, distruzioni. Il federalismo non deve avversare questo spirito unitario.
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MARTEDÌ 1 OTTOBRE 2008 • EURO 1,00 (10,00
Il discorso del presidente emerito al premio liberal di Siena
L’identità italiana e l’unità della Nazione
• ANNO XIII •
NUMERO
186 •
WWW.LIBERAL.IT
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pagina 12 CON I QUADERNI)
lcune componenti del Pd gridano alla “balcanizzazione” del partito. Rosy Bindi lo fa più di ogni altro. Invece accade qualcosa di diverso e molto più semplice: ci si divide in due parti, tra chi vuole coltivare fino in fondo l’illusione ulivista dell’unità fondata sulla leadership e sull’antiberlusconismo e chi invece pensa di dover elaborare nuovi contenuti. In difesa della seconda categoria, dopo Massimo D’Alema, si è schierato Francesco Rutelli. Con il progetto intitolato PeR (Persone e Reti) che ha suscitato accuse di correntismo – mosse dai prodiani – prima ancora di essere presentato. Ma che sembra piuttosto un decisivo passo in avanti per la riconoscibilità dei cattolici nel centrosinistra.
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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I giornali ci raccontano di una guerra tra statalisti e liberisti. Siamo sicuri che non sia un colossale abbaglio?
Non è il capitalismo, baby! di Andrea Mancia sfogliare le pagine dei giornali italiani (e non solo), in questi giorni si ha la netta sensazione che negli Stati Uniti si stia combattendo una battaglia epocale dalla quale dipendono i destini dell’economia mondiale per i prossimi decenni. Da una parte, schierati in assetto di guerra, i sostenitori di un massiccio intervento statale, capace di riparare alle storture di una prolungata e colpevole assenza di regole nel mercato.
A
“banchismo finanziario” che con l’economia ha poco a che fare. Quando un governo si fa carico di garantire la sicurezza di una rotta commerciale, nessuno si lamenta per l’ingerenza dello Stato nel libero mercato. Perché il governo sta facendo esattamente il suo mestiere: garantire le condi-
zioni minime di certezza del diritto affinché il mercato possa dispiegare le proprie energie positive, creando opportunità e benessere. Allo stesso modo, quale sarebbe il vulnus al sistema capitalistico, se il governo della più solida democrazia del pianeta si propone - pur con uno sforzo in-
gente che, almeno all’inizio, ricadrà sulle spalle dei contribuenti di spezzare il circolo vizioso che si è creato tra economia terrestre e finanza extraterrestre, per tornare ad un sistema capace di premiare gli investimenti giusti e punire (anche con il fallimento) quelli sbagliati? L’obiettivo non è quello di uccidere il mercato, ma di farlo tornare a funzionare come dovrebbe. E come
L’impatto sull’economia reale della crisi finanziaria è stato - almeno finora - molto limitato: dallo scorso dicembre, gli Stati Uniti hanno perso appena lo 0,5% dei posti di lavoro
Dall’altra, rintanati nelle loro trincee, gli irriducibili difensori della libertà economica ad ogni costo, convinti che qualsiasi interferenza governativa nel gioco della domanda e dell’offerta possa causare danni irreparabili al pianeta e il catastrofico risorgere del Leviatano. Ma, ci si perdoni la domanda retorica, non si tratterà forse di un colossale abbaglio mediatico? Se, come sembra, il “piano Paulson” andasse in porto con tutti i correttivi richiesti (a ragione) dalla componente più liberista del partito repubblicano, infatti, quello a cui stiamo assistendo non è un “tramonto del capitalismo”, ma piuttosto di un “ritorno alle origini del capitalismo”, quello che si fonda sull’economia reale delle nazioni e non su una sorta di
Parla il presidente della Adam Smith Society
«Il disastro dei subprime non è colpa del mercato» colloquio con Alessandro De Nicola di Alessandro D’Amato
ha dimostrato, per secoli, di essere in grado di fare. Anche perché, mentre i mercati finanziari barcollano sull’orlo dell’isteria, l’impatto della crisi nei confronti dell’economia reale è stato - almeno finora - limitato. Gli Stati Uniti hanno perso, dal dicembre del 2007 ad oggi, poco più di 600mila posti di lavoro su un totale di quasi 140 milioni: parliamo di meno dello 0,5 per cento del totale. Segno che i fondamentali dell’economia americana sono più solidi di quanto ci vogliono far credere. E che, intervenendo in tempo, si può ancora evitare il peggio.
Tutto sta, semmai, a misurare con intelligenza i tempi e i modi di questo intervento, evitando che una massiccia iniezione di denaro nel sistema creditizio provochi troppe distorsioni e magari consenta il ritorno in sella dei manager e dei burocrati “banchisti”che hanno fallito e provocato la crisi. A tornare, invece, deve essere finalmente il capitalismo. Quello vero. a crisi finanziaria mondiale non fornisce argomenti validi a chi chiede che ci sia più Stato nell’economia. Alessandro De Nicola, avvocato e presidente della Adam Smith Society, non ha dubbi: «Chi fa questo tipo di analisi compie un errore macroscopico. Il disastro dei subprime negli Stati Uniti è derivato da una legge del 2002 che ha incentivato Freddie Mac e Fannie Mae ad aiutare i cittadini nell’acquisto di case, perseguendo un fine sociale che ha finito per distorcere il mercato. Poi c’è il fallimento della regolamentazione: ogni Stato ha la propria, gli Stati Uniti hanno quattro authority per le banche e così via. Quanto accaduto è il frutto dell’influenza dell’economia sulla politica, ma questa è normale: Adam Smith diceva che quando tre imprenditori si incontrano, di solito lo fanno per cospirare contro il bene pubblico. Infine, la guerra di trincea delle burocrazie non è servita a nulla». Ma lei cosa pensa dei progetti o delle proposte di razionalizzazione delle autorità di vigilanza e
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controllo? Negli Stati Uniti mi sembra necessaria, in Europa invece il funzionamento, finora, non ha dato grossi problemi, salvo che per una serie di aspetti inutilmente vessatori nei confronti delle aziende. Una grande autorità in capo al Fondo Monetario Internazionale? No, secondo me l’Fmi potrebbe svolgere una funzione di coordinamento, ma la vigilanza ha senso solo se è territoriale, perché così ha una maggiore velocità d’intervento intrinseca. Una grande authority dovrebbe prendere decisioni in base ad informazioni rarefatte e avrebbe capacità più lente: basta pensare all’Onu… Tornando al nostro Paese, il caso Alitalia volge a una conclusione “positiva”, ma a spese di contribuenti e concorrenza. Di chi è la colpa? La colpa va ricercata soprattutto nelle mancanze della classe politica degli ultimi quindici anni, non in quella che ha agito negli ultimi 15 mesi; così come tra coloro che hanno gestito male
l’azienda: manager incapaci e ostaggio dei sindacati. Inutile ricordare le rotte in perdita tenute in piedi perché avevano valenza elettorale, le persone assunte negli anni per clientelismo e così via. La responsabilità maggiore è della politica, che ha deciso scientemente di accettare e favorire questo tipo di comportamenti. La soluzione odierna rappresenta l’ennesimo salasso per i contribuenti; speriamo che non sia lo stesso anche per i consumatori. Come giudica i primi mesi di azione del governo di centrodestra italiano, che dovrebbe essere, stando alle etichette, liberale? Liberale mi sembra un po’ troppo come definizione. Direi che Berlusconi ha fatto meglio di Prodi, un po’meglio: penso alle crociate di Brunetta o a quelle contro i troppi insegnanti nella scuola, ai tagli alla spesa pubblica. Ma c’è ancora molto da fare: i servizi pubblici locali non sono stati liberalizzati nonostante le promesse, non si è visto ancora nessun taglio delle tasse e non si è ancora capito se il federalismo fi-
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I giganti dell’economia spariscono. E spesso questo è un bene
E tu che facevi il giorno del crack? di Philip Terzian o ricorderò, come molti altri americani, dov’ero e cosa stavo facendo quando ho saputo che Goldman Sachs e Morgan Stanley avrebbero smesso di essere banche d’investimento per diventare compagnie bancarie tradizionali. Ero seduto alla mia scrivania, nell’ufficio del Weekly Standard, e leggevo il Wall Street Journal. Non molto tempo prima, avevo assorbito lo shock derivato dal vedere i loro principali rivali - Lehman Brothers, Bear Stearns e Merrill Lynch - venire assorbiti in banche più grandi o entrare nella procedura di bancarotta. Ma quello di Goldman e Morgan era, secondo l’autorevole interpretazione del giornale, qualcosa di molto diverso: la vecchia concezione con cui era vista Wall Street - una piazza composta da compagnie di brokeraggio indipendenti, che vendono e comprano azioni, consigliano i clienti e sono meno regolate delle banche old style - avrebbe cessato di esistere. Le due istituzioni più prestigiose di Wall Street andranno infatti sotto la stretta supervisione di regolatori bancari nazionali, che le metteranno sotto nuovi regolamenti capitalistici e una nuova atmosfera di controllo, costringendole a margini di profitto molto minori rispetto alla loro attività storica. Proprio quest’ultima considerazione mi ha colpito di più.
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scale taglierà o aumenterà i costi per i cittadini. Non è che va a finire che nascono altre venti burocrazie da “sfamare”con i nostri soldi? E se lei dovesse indicare tre priorità, un’agenda liberale per l’Italia? Sicuramente la liberalizzazione e la privatizzazione dei servizi pubblici locali; poi assicurare l’effettività della pena, costruire nuove carceri e darle in affidamento ai privati; ci vorrebbe anche una riforma della giustizia, magari andando a toccare il totem dei tre gradi di giudizio: ovvero, permettendo l’appello soltanto dopo aver passato un ruling preliminare, come in Inghilterra. Stessa cosa per la Cassazione. Terzo, una robusta sforbiciata alla pressione fiscale. Il mercato del lavoro? Nonostante le ingessature persistenti, mi sembra che qualcosa in questi anni sia stato fatto. È più urgente, a mio parere, mettere l’economia in condizione di funzionare.
Confesso infatti che, vivendo a centinaia di miglia da Wall Street, non ho analizzato molto spesso le differenze fra quelle istituzioni che comprano e vendono azioni (o consigliano clienti) e quelle legate a stretti requisiti di capitale e strettissimi regolamenti federali. Ma il profitto è un concetto che posso comprendere, e ora che queste grandi compagnie bancarie non potranno più macinare quanto facevano prima, mi sento pieno di compassione. Comincio anche a comprendere la severità della crisi che ha scosso i mercati finanziari e la politica di Washington. Ovviamente, sono stato sarcastico. Anche se, come mi sento costretto a sottolineare, riconosco che Wall Strett stia attraversando uno dei suoi periodici attacchi di ansia e credo che il governo federale sia obbligato, quasi esclusivamente per motivi politici, a fare qualcosa (il che significa spendere il denaro di chi paga le tasse) per promuovere la stabilità, ridare fiducia e apparire preparata per evitare che l’economia crolli nell’abisso.
Questo è un disegno ben fatto nella storia degli sconvolgimenti finanziari penso al periodo immediatamente successivo al grande crollo del mercato azionario del 19 ottobre 1987 - e vuole, ne sono sicuro, raggiungere il suo obiettivo. Ma si tratta veramente di un punto di svolta storico, così come lo stanno presentando? Non ne sono così sicuro. Quando gli chiedevano cosa avrebbe fatto il mercato, J. P. Morgan amava rispondere: «Fluttuerà». Perché è così che ha sempre fatto. Per il tempo che deve ancora venire, il capitale sarà ristretto rispetto a prima, i crediti saranno minori - che non è sempre una cosa cattiva - e gli industriali ricorderanno (cosa che invece i politici, statali e federali, sembrano non aver mai imparato)
Quando qualcuno gli chiedeva cosa avrebbe fatto il mercato, J. P. Morgan rispondeva: «Fluttuerà». Perché così ha fatto sempre e così continuerà a fare che i mercati forti e le recessioni non durano per sempre. Questa è una realtà fondamentale del capitalismo, che sembra non entrare nelle teste dei giornalisti o dei politici. I mercati si espandono, si contraggono un poco, si espandono ancora e per le imprese economiche, il prezzo di una fiducia eccessiva può essere lo stesso dell’inerzia: una rapida auto-immolazione. Quello che oggi può sembrare enorme, venerabile e finanziariamente indistruttibile, domani può essere finito.
Mi sono ricordato di questo quando, la scorsa settimana, ho ascoltato un re-
porter del Financial Times spiegare, in televisione, che i travagli di Bear Stearns, Merril Lynch e Lehman Brothers hanno poco significato per il cittadino medio, ma che la vendita di Merril Lynch a Bank of America sarebbe uno shock, perché porterebbe la crisi sulla nostra porta di casa. Ovviamente, quello che questo reporter avrebbe dovuto dire è che l’ultima metamorfosi di Merril Lynch - uno dei tanti enormi problemi dei broker americani - non ha molto senso in sé.
La cosa impor tante è che Merril Lynch ha beneficiato, negli anni, di una intelligente campagna pubblicitaria (Bullish on America) che di fatto ha magnificato - e forse esagerato - la sua importanza agli occhi di potenziali clienti e giornalisti finanziari. Invece come per molte altre realtà finanziarie del nostro tempo - la crescita, l’obesità e poi il rapido declino (o la trasformazione) di Merril Lynch sono la norma, non l’eccezione, di un’economia dinamica. Parlando di intelligenti campagne pubblicitarie, qualcuno ricorda: «Il mio broker è E. F. Hutton, e lui dice che…»? E dov’è E. F. Hutton oggi? E che fine hanno fatto Pierce, Fenner e Smith di Merril Lynch, quelli degli anni fra il ’50 e il ’70? Per fare un esempio, i quattro grandi dipartimenti commerciali della mia gioventù a Washington - Woodward & Lothrop, Hecht Company, Lansburgh’s e Julius Garfinckel & Co. - tutti prosperi, onnipresenti e virtualmente indistruttibili all’epoca, sono oggi spariti dal mercato. Alcuni sono stati costretti a mollare, altri si sono fusi e hanno perso la loro identità nelle varie transazioni. La popolazione di Washington ha smesso di comprare articoli, o ha disertato i negozi che avevano acquisito i grandi quattro? Ovviamente, no. Questo è quanto vi dovrete ricordare la prossima volta che prenotate un volo su Twa o Eastern Airlines, o comprate un telefono da Western Electric. Chi avrebbe mai pensato che la Walt Disney avrebbe comprato la Abc? O che l’American Motors, fucina in cui sono nati il Nash Kelvinator e la Hudson, sarebbe stata chiusa? O che il governo sarebbe intervenuto per acquisire l’American Telephone and Telegraph Co.? I mercati finanziari sono al momento instabili, e Wall Street sta per affrontare un’operazione chirurgica. Ma è il cambiamento, non la stasi, che danno vigore al mercato libero. Oggi Toyota è un affare migliore rispetto a General Motors.
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politica
Oggi a Roma sarà presentata la nuova associazione “Persone e Reti” per un nuovo rapporto tra democrazia e religione
Movimenti al Centro «Caro Rutelli, l’orizzonte del Nuovo Umanesimo ci permette di stare in Rete insieme» colloquio con Ferdinando Adornato di Francesco Capozza
ROMA. «Il documento preparato da Francesco Rutelli e dagli altri amici di Persone e Reti, rappresenta un manifesto che mi sentirei di poter sottoscrivere integralmente, quasi dalla prima all’ultima parola, eccezion fatta, ovviamente, che per i riferimenti al Partito Democratico». Questo il primo commento di Ferdinando Adornato, presidente della fondazione liberal e coordinatore della costituente di Centro, riguardo al documento costitutivo di PeR (Persone e Reti) che sarà oggetto di discussione oggi al convegno “La laicità in Italia”. Presidente Adornato, davvero condivide pienamente l’appello di PeR? Si, e per diversi motivi ma potrei citarne principalmente tre. Quali? Innanzi tutto mi sembra molto importante il fatto che la stella polare di questo documento non sia più il rapporto tra Stato e Chiesa la cui reciproca autonomia racchiusa nella formula “laicità dello stato” è un dato acquisito di ogni democrazia moderna. Il dibattito al centro del quale si vuole porre PeR è invece quello dei rapporti tra democrazia e religione, molto più importanti e su cui è molto più urgente discutere. Perché? Perché è questo il
più importante dibattito aperto nelle democrazie occidentali. Esse sono solo un castello di norme e di procedure o hanno dei valori di fondo sui quali riposa la loro intera costruzione. Questa è la domanda che circola oggi in tutta Europa e alla quale il laicismo risponde tentando di porre la religione come uno dei pilastri dell’etica pubblica, marginalizzandola a fatto
creazione,Vita, tutti temi per i quali la politica ha sempre trovato terreno fertile quasi esclusivamente per lo scontro e per il muro contro muro. Il terzo? L’indicazione esplicita e suggestiva dell’orizzonte di un nuovo Umanesimo come valore di fondo per la propria scelta di campo. È il nostro stesso orizzonte per chiu-
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Non credo si debba tifare per una scissione dei cattolici democratici dal Pd, ma sperare che le tesi del manifesto di PeR diventino prevalenti all’interno di quel partito privato. Non occorre essere Federico Chabot per sapere che la religione è un elemento collante nelle fondamenta dell’idea stessa di Nazione. Gli altri due motivi che l’hanno colpita? Il secondo è l’analisi del concetto di laicità positiva. È estremamente interessante leggere le stesse tesi su cui da tempo ragiona liberal. Finalmente si è capito che non ci sono leggi laiche e leggi cattoliche, che non ci sono valori di serie A e valori di serie B e che, di conseguenza, non ci sono leggi di serie A e leggi di serie B. Finalmente ci si concentra su questioni fondamentali per l’etica pubblica: ho letto le parole Famiglia, Sesso, Pro-
Il manifesto di “PeR”
Dalla famiglia alla bioetica, le ragioni di una laicità moderna
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dere davvero con un ‘900 europeo che ha invece tentato di annullare tutte le filosofie orientate sulla centralità dell’uomo: il cristianesimo, il liberalismo, l’ebraismo. Sono invece diventate pane quotidiano per gli europei ideologie come razzismo, classismo, statalismo che ci hanno fatto fare un passo indietro alla nostra civiltà. L’uomo non è più al centro della storia dell’Occidente? Ci sta tornando, ma è una battaglia ancora aperta da cui dipenderà il destino dell’occidente e l’orizzonte del nuovo Umanesimo è l’unico che può ridarci un futuro, solo così vedo un nuovo umanesimo per l’Occidente, contrariamente esso stesso è destinato ad essere un luogo storico morale destinato al tramonto. stimolante, Un’iniziativa quindi, quella di PeR, oltre che per ”liberal” anche per l’Unione di Centro?
Pubblichiamo alcuni punti del ”Manifesto per una moderna laicità”. * Laicità come metodo Il tema della laicità è tornato negli ultimi anni al centro del dibattito culturale e politico - non solo in Italia - tanto che si può forse affermare che quella del rapporto fra democrazia e religione è una delle questioni più importanti del nostro tempo. Interrogarsi su questo tema oggi è più che mai necessario, ma è necessario farlo dotandosi di uno sguardo il più possibile ampio; tornando, cioè, alla radice della distinzione tra ciò che spetta a Dio e ciò che spetta a Cesare. In questa essenziale distinzione di ordini - forse il principale contributo occidentale alla cultura
Molto stimolante. Su questa base credo che l’Unione di Centro possa rispondere allo stimolo di Francesco Rutelli e degli altri amici promotori di Persone e Reti che vede in noi un interlocutore efficace. Devo dire, tuttavia, che questa sintonia di vedute e di progetti non è nuova, perché quest’estate al Seminario di Todi era già emersa. Il mio apprezzamento per le parole messe nero su bianco da Rutelli non vuole essere un semplice scambio di cortesie, ma un rilancio di quanto detto a Todi e la presa d’atto che i tempi sono ormai maturi per organizzare progetti politici e culturali comuni. Direi, con una battuta, che “si può fare rete insieme”. Come pensa che potreste fare “rete insieme”? Se si riesce ad uscire dal decennio di bipolarismo forzato che abbiamo alle spalle, dove non si guardava a pensieri e valori condivisi ma solo a far numero per ottenere una
politica globale - sta la ragione ultima ed irrinunciabile della laicità. La laicità si manifesta innanzitutto come un metodo, una procedura per la discussione, per poi assumere la densità dei suoi contenuti. * Un nuovo umanesimo Saldamente radicata nella propria storia e aperta ad un contesto sempre più plurale, la società italiana resta un luogo ove sono presenti significative istanze di liberazione, di cui la politica deve farsi carico, pur consapevole di non poter essere, da sola, la soluzione di tutti i problemi. Al centro, non può che esserci la persona intesa senza arbitrari riduzionismi. Parafrasando un antico slogan del passato, oggi si potrebbe dire: “Persone di tutto il mondo unitevi”. Una
politica
maggioranza parlamentare e non politica allora credo che sia possibile collaborare. Pensa che questo appello sia condivisibile anche da settori del PdL? Certamente. Non faccio difficoltà ad immaginare la convergenza di amici come Roberto Formigoni, Beppe Pisanu, Maurizio Lupi, Isabella Bertolini e, al di là dei nomi, di tanti che hanno aderito ad un partito nato liberale come era Forza Italia e che adesso, grazie a Tremonti, diventato statalista. Ma soprattutto di un partito-non partito nato da una sommatoria tra Fi e An e che proprio per questo soffre di un’identità molto incerta se non ambigua. In ogni caso un’identità che non si può certo far corrispondere al cattolicesimo liberale le cui sensibilità sembrano al contrario emarginate. Condivisibile anche dal Pd? È proprio questo l’interrogativo che mi pongo. Ho dei seri dubbi
che i vasti settori laicisti che compongono la base del Pd, possano adeguarsi a questo concetto di persona e soprattutto al messaggio che questo manifesto lancia in termini di religione e identità. Ho visto che nel documento si chiede al Pd su questi temi“procedure laiche”di confronto ma delle due l’una: o queste procedure puntano ad una mediazione con il rischio di arrivare per compromesso ad una sorta di “immobilismo etico” del partito, oppure sarà gioco forza andare ad uno scontro tra correnti di pensiero contrapposte scontando però una lacerazione sui valori di fondo della linea politica e quindi certificando alla fine una incompatibilità identitaria. È un invito a Rutelli e agli altri di Persone e Reti a lasciare il Pd? No, assolutamente no. Su questi temi non è ammessa alcuna strumentalizzazione politica. Io credo che il primo obiettivo di Persone e Reti sia di verificare quanto le tesi lanciate con il manifesto in discussione oggi possano diventare il comune sentire all’interno del Partito Democratico. Sarebbe questa una vittoria cento volte più importante che una qualsiasi scissione e se le tesi di PeR diventassero quelle del Pd assisteremmo ad un profondo e significativo mutamento di tutto il sistema politico italiano. Cosa intende quindi per cammino comune? Lo ripeto, su queste idee possiamo metterci “in rete” ed insieme creare, prima ancora che convergenze politiche, la chiarezza di programmi e valori comuni che significa dopo Todi Roma, altri momenti di confronto pubblico, collaborazioni in parlamento, costruzione di luoghi permanenti di dialogo. Su queste basi io credo che si possa costruire nei prossimi anni un’alleanza per il cambiamento, un “movimento centrale”della vita politica italiana nel quale cattolici e laici liberali, repubblicani e liberal-socialisti possano trovare nell’orizzonte di un nuovo Umanesimo le ragioni moderne di grandi tradizioni oggi schiacciate da un bipolarismo rozzo e superficiale.
buona politica come servizio esigente per la comunità richiede perciò di assumere come valori cardine una moderna laicità, la responsabilità solidale, la sussidiarietà. L’espandersi della finanziarizzazione dell’economia e il dominio delle tecnoscienze stanno infatti erodendo le basi stesse di una società di liberi ed eguali. L’intreccio tra le questioni ecologiche, quelle sociali e quelle antropologiche richiede di recuperare l’idea di un nuovo umanesimo della democrazia e della libertà. Tale umanesimo deve guardare all’uomo nella sua globalità e prendere in carico alcune grandi questioni: la vita, l’ambiente, la famiglia, l’economia globalizzata. * La bioetica È molto diffusa oggi in Italia - e più in
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Cattolici per la prima volta davvero visibili nel partito
Così la nuova iniziativa riapre i giochi nel Pd di Errico Novi segue dalla prima È una posizione di comprovata sterilità. Il sincretismo a tutti i costi, per i democratici, è cosa asLo confermano le parole con cui Renzo Lusetti, Pao- tratta. Se ne accorge sulla propria pelle lo stesso la Binetti e altri democratici dell’ala teodem hanno Veltroni, costretto ora a enfatizzare l’anima giuspresentato ieri il “Manifesto per una moderna laic- tizialista del suo partito, pur di non rischiare l’inità” della nuova associazione. La capacità innova- successo della manifestazione anti governativa trice dell’iniziativa sarà misurata ancora più chiara- del 25 ottobre. A furia di inseguire il miraggio delmente oggi, al convegno a Roma su “Religione e la sintesi perfetta tra post democristiani e post codemocrazia: la laicità del futuro”al quale parteciper- munisti il Pd non ha fatto alcuna vera scelta. In anno, con Francesco Rutelli e WalterVeltroni, due in- questo senso PeR è un contributo impegnativo terlocutori cattolici di altri schieramenti: il leader (per Veltroni) e simmetrico a quello di Red. Walter dell’Udc Pier Ferdinando Casini e il cielle Maurizio non vivrà giorni tranquilli ma sarebbe stato coLupi. Di certo l’operazione dell’ex vicepremier sem- munque così, anche senza la sfida di Rutelli e plifica il quadro politico sotto un particolare aspetto: D’Alema. Basti pensare che l’alleato interno più dà visibilità al «laicato cattolico», come lo definisce solido è rappresentato dall’ala popolare di Franco Gianfranco Rotondi, all’interno del Pd, e rende es- Marini, che vive una fase di serissima difficoltà: se plicita una volta per tutte la volontà di costruire un in Abruzzo il Pd rischia di essere stravolto è anche per lil brutto momento dei rapporto con l’Unione di centro. mariniani, che in quella reA spiegare in che modo è Paola gione hanno la propria roccaforte. Anche per questa conBinetti, che ricorre a un esempio comitanza l’iniziativa di Perconcreto: «Sul testamento biologico sone e Reti sembra molto temcominceremo a discutere ovviapestiva. Si candida seriamente mente dentro il Pd, eppure leggi su ad attrarre buona parte dei temi del genere non possono essere cattolici democratici, a indirizscritte da un solo schieramento: anzarli verso la ricerca dell’alche se l’avessimo fatto noi nella leanza con il centro di Casini. scorsa legislatura non sarebbe E comunque a rendere concandato bene. Ecco perché il dialogo deve essere prima al nostro interno e poi trasver- reta la propria specificità. Non può sfuggire la sale». È qui la sostanza di quel che dice Rutelli considerazione rivoltaieri a Veltroni da Marco quando pretende che nel Pd i cattolici possano sen- Follini in un intervista al sito Affaritaliani.it: tirsi «a casa propria». Non si tratta necessariamente «Dobbiamo evitare di giocare troppo di rimessa, di personalismo o correntismo ma della libertà di l’antiberlusconismo non può essere la nostra voesprimere posizioni e verificare poi qual è quella cazione: dobbiamo accendere i riflettori sulle nosprevalente nel partito. È una prospettiva ansiogena tre proposte». per gli ortodossi ulivisti, evidentemente. Non solo per i prodiani in senso stretto, ma anche per compo- Alla presentazione di ieri uno dei promotori,Annenti minoritarie che pure appartengono alla drea Sarubbi, ha tenuto a rassicurare l’uditorio: famiglia dei cattolici democratici, come i Cristiano «Siamo di sinistra, lo dicono le nostre proposte su sociali. Secondo il loro coordinatore Mimmo Lucà economia e su immigrazione». Ma la vera novità di non si sente alcun bisogno di un nuovo soggetto PeR è nell’approccio al tema della laicità. In un sol «pensato in nome del dialogo tra cattolici: se per vi- colpo sembra sciogliersi il nocciolo duro della convere insieme nella casa comune del Pd si mettono traddizione principale, per il Pd, quella tra l’aspitante tende vuol dire che ci sono dubbi sul progetto razione a rappresentare i laici e la necessità di non perdere i credenti. complessivo».
generale nell’intero Occidente - una visione fondamentalista dell’autonomia individuale, concepita come regola aurea da applicare, praticamente senza limiti, alle questioni cruciali che riguardano l’inizio e la fine della vita e le relazioni umane più importanti: e ciò con precise ricadute sul piano della regolazione normativa, destinate a scardinare istituti giuridici di tradizione secolare. Rifiutiamo questo «liberismo etico» allo stesso modo in cui riteniamo non accettabile un approccio spregiudicatamente liberista in campo economico e sociale. Tale impostazione, infatti, porta in taluni casi ad affermare una vera e propria “legge del più forte”, che cancella o comprime indebitamente gli altri soggetti coinvolti.
Una forza balcanica? No, divisa in due parti: tra chi fa proposte come cattolici e dalemiani, e chi insegue l’illusione ulivista
* I nuovi italiani Da ormai tre decenni l’Italia ha smesso di essere un Paese di emigrazione ed è gradualmente diventata una terra di destinazione per migliaia di migranti provenienti da diverse parti del mondo. Dopo il fallimento dell’assimilazionismo illiberale che aveva guidato il Canada e gli Stati Uniti fino agli anni Cinquanta, si sperimentano oggi tutti i limiti di un approccio multiculturale. Ciò consente di affermare che sono sbagliate le impostazioni riduzionistiche. Il costituzionalismo liberale offre una terza risposta, basata su un equilibrato dosaggio di diritti e doveri: protezione delle libertà e dei diritti individuali dei nuovi italiani, ma dovere degli stessi di prendere atto che il Paese in cui hanno scelto di inse-
rirsi ha una storia, una cultura ed un patrimonio di valori che, se non devono essere accolti acriticamente, vanno però rispettati, accettando anzitutto di interagire con essi. Agli stranieri che aspirano ad essere italiani dobbiamo chiedere di scegliere l’Italia non solo come luogo, ma come un’eredità preziosa da condividere e da far fruttificare. * La famiglia La famiglia è più che mai bisognosa di sostegno e protezione: il welfare va oggi ripensato a partire da essa, sia in quanto essa costituisce la cellula base della società, sia in quanto la questione demografica rende ormai un interesse vitale la scelta – ovviamente libera e incoercibile – di investire sul futuro generando figli.
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politica
Veltroni denuncia e la “svolta autoritaria” di Berlusconi ma il problema è la ”dittatura della maggioranza”
Due o tre cose sul «rischio Putin» di Riccardo Paradisi
d i a r i o unque è tornato il rischio di una deriva autoritaria nel nostro Paese, almeno secondo l’opposizione di centrosinistra al quarto governo Berlusconi. Opposizione che si divide solo sui termini di comparazione per misurare il tasso e la qualità di implosione democratica ma che ritrova un’unità minima nella denuncia dello slittamento del Paese verso pericolose avventure illiberali.
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Se quindi l’Italia dei Valori rimanda a Buenos Aires per dare un’idea dell’orizzonte verso cui sarebbe proiettata l’Italia – «L’autoritarismo di Berlusconi – dice Leoluca Orlando – ci sta portando verso un modello argentino con tutto ciò che ne consegue», il leader del Pd Walter Veltroni preferisce guardare alla Russia per trovare il doppelganger berlusconiano su cui costruire la similitudine ammonitoria, il rimando analogico. E così il capo dell’opposizione parla di ”modello Putin”, di ”svuotamento della democrazia come in Russia”: «Vedo un cambio di passo in questa legislatura...viviamo un tempo che ha in sè gravi rischi: se non ci sarà una sufficiente controreazione rischiamo di vedere realizzarsi anche un italia il modello Putin...Una democrazia svuotata, una struttura di organizzazione del potere che rischia di apparire autoritaria. Il dissenso visto come un fastidio di cui liberarsi, la divisione e l’autonomia dei poteri come un ostacolo da rimuovere». Eppure con gli attori di questa presunta deriva autoritaria Veltroni aveva manifestato intenzioni di dialogo e con l’autocrate di questa legislatura, Silvio Berlusconi, aveva inteso chiudere la stagione delle campagne di delegittimazione rompendo, su questo fronte, l’alleanza già fragile con la sinistra estrema. Pronta a sua volta a rovesciare sul Partito democratico accuse di berlusconismo di complemento e di democrazia impedita. E d’altra parte quale sarebbe il cambio di passo in questa legislatura cui allude Veltroni rispetto alle precedenti visto che anche esse sono state descritte di volta in volta come paraventi di un vero e proprio regime? Ogni governo di centrodestra guidato da Berlusconi infatti ha subito le accuse che oggi tornano in circolazione: in particolare dal 2001 al 2006 è stato il periodo in cui più fiorente è stata la pubblicistica che ha definito quello berlusconiano un regi-
d e l
g i o r n o
Storace porta in piazza la Destra Anche Francesco Storace è pronto a portare in piazza l’opposizione, da destra, al governo Berlusconi, con appuntamento l’8 novembre a Roma. «È arrivato il tempo della prima, grande manifestazione popolare de la Destra, un appuntamento a lungo atteso e che ora siamo finalmente in grado di organizzare. Lotta al carovita, affermazione dell’unità nazionale, democrazia contro oligarchie, attorno a questi temi dovrà svilupparsi la battaglia dell’unico movimento orgoglioso di stare a destra senza dover chiedere scusa ad alcun». È quanto scrive sul suo blog Francesco Storace, segretario nazionale de la Destra.
Berlusconi: Gandus? Un palese nemico
me in piena regola, un regime basato sulla pervasività dei media, dell’influenza economica del Cavaliere e della sua capacità di saldare questa forza nel dominio politico grazie all’irrisolto e annoso conflitto d’interessi. «Oggi, per instaurare un regime, non c’è più bisogno di una marcia su Roma né di un incendio del Reichstag, né di un golpe sul palazzo d’Inverno – scriveva Indro Montanelli dopo la rottura con Berlusconi – Bastano i cosiddetti mezzi di comunicazione di massa: e fra essi, sovrana e
Nel sistema bipolare militarizzato perdono potere i contrappesi parlamentari e si procede con decreti o colpi di fiducia per l’approvazione delle leggi irresistibile, la televisione»: un monito che Antonio Padellaro dalle colonne della sua Unità ha spesso riproposto testualmente in questi anni. Ma non è un regime almeno anomalo quello che si presenta alle elezioni, anche perdendole come è capitato nel 2006?
Dunque?Dunque il problema forse non è la deriva putinista contro la quale non si attendono il 25 ottobre a Roma le folle delle grandi occasioni. Piuttosto i guasti di un sistema bipolare militarizzato in cui si ingigantiscono le anomalie di chi vince, perdono potere i contrappesi parlamentari, si procede con decreti o colpi di fiducia (co-
me è avvenuto nel biennio prodiano) per approvare le leggi. Ùscire da questo merito e rientrare nella polemica sul regime, sul rischio di una deriva fascista o sudamericana, tentar di nuovo di riempire le piazze agitando questi temi significa per l’opposizione tornare a suonare un vecchio spartito che non sembra peraltro avere prodotto molto. Soprattutto al Pd e al suo leader Walter Veltroni sospeso ogni giorno tra il ”cedimento”al dialogo e la ”tentazione” allo scontro frontale portato in sella al vecchio cavallo di battaglia antiberlusconiano. Detto questo che tra Putin e Berlusconi delle analogie ci siano l’aveva detto a questo giornale due settimane prima di Veltroni, Sergio Romano. Trovando un parallelo tra il premier italiano e quello russo soprattutto nel riannodare i fili della storia nazionale, recuperandone alla memoria, senza demonizzarli, anche i buchi neri e questo per tutelare, anche con spregiudicatezza, un’esigenza di unità nazionale e di memoria condivisa del Paese. A confermare aliberal la possibilità di questo paragone era stato lo storico Giovanni Sabbatucci riscontrando sia in Putin che in Berlusconi una certa vocazione populista e una forte accentuazione delle tematiche nazionali. Un’analogia incoraggiata dallo stesso Berlusconi con le sue esibizioni pubbliche accanto all’”amico Putin”. Un’accostamento il cui effetto alone magari ha rischiato di mutare di segno dopo i fatti d’Ossezia. Non però al punto di trasformare il sistema politico italiano in un regime senza democrazia.
Il lodo Alfano «è necessario in un sistema giudiziario come il nostro, in cui operano alcuni magistrati che invece di limitarsi ad applicare la legge, attribuiscono a se stessi e al loro ruolo un preteso compito etico». A sostenerlo è il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi (nella foto), intervistato da Bruno Vespa per il suo ultimo libro. Berlusconi accusa anche il giudice Gandus, che definisce senza mezzi termini «un’attivissima militante della sinistra estrema». «Un giudice non deve essere soltanto imparziale, deve anche apparirlo», afferma il premier. «È curioso sostenere», continua il Cavaliere, «come ha fatto la Corte d’Appello, che Nicoletta Gandus, pur essendo un mio palese nemico politico, nel momento in cui arrivasse a scrivere una sentenza nei miei confronti saprebbe non venir meno al vincolo d’imparzialità impostole dalla Costituzione».
Veltroni incontra D’Alema Colloquio di quasi un’ora, ieri mattina, tra il segretario del Pd Walter Veltroni e il presidente della fondazione Italianieuropei Massimo D’Alema (nella foto). I due leader si sono incontrati nella sede del Pd per un punto della situazione in vista delle prossime scadenze, fanno sapere fonti del Pd, un colloquio «ad ampio raggio». Secondo quanto si apprende, comunque, non ci sarebbero in vista ritocchi agli organigrammi per assegnare a D’Alema una carica ufficiale all’interno del partito. Il presidente di Italianieuropei avrebbe però assicurato il contributo della sua fondazione per la preparazione della conferenza programmatica del Pd che è in programma per l’inizio del prossimo anno.
Sale la discoccupazione (+6,7 per cento) Nel secondo trimestre 2008 il numero delle persone in cerca di occupazione è nuovamente aumentato, portandosi a 1.704.000 (+291 mila unità pari al +20,6 per cento rispetto al secondo trimestre 2007). Il tasso di disoccupazione è aumentato di un punto percentuale in un anno posizionandosi al 6,7 per cento. Lo affrerma l’Istat nel suo rapporto trimestrale. Il tasso di disoccupazione del Mezzogiorno (11,8 per cento) è rimasto peraltro molto più elevato in confronto a quello del Nord (3,8 per cento) e del Centro (6,4 per cento).
Riforme, Schifani invita a partire Sulle riforme costituzionali «auspico che ci sia presto una iniziativa parlamentare. I tempi sono maturi e mi auguro che entro l’anno si cominci a discutere nella commissione affari costituzionali del Senato». Lo ha affermato il presidente del Senato, Renato Schifani (nella foto), a margine della presentazione della rivista Percorsi costituzionali. Poi ribadisce che d’accordo con Fini «abbiamo stabilito che si parta dal Senato perché è giusto che sia Palazzo Madama a occuparsi del proprio futuro, visto che si parla di Senato federale».
economia
30 settembre 2008 • pagina 7
Il caso Alitalia dimostra quanto la Cgil si sia rafforzata rendendo irrilevanti Cisl e Uil a vertenza Alitalia si è miracolosamente conclusa con un accordo che ha coinvolto tutte le componenti di quel complesso mosaico sindacale che aveva portato l’azienda sull’orlo del baratro. Se l’Italia fosse un Paese normale dovremmo essere intenti a celebrare in coro il successo del governo. La lotta politica, invece, continua a farla da padrona: dapprima l’opposizione e la Cgil criticavano il piano Fenice, adesso si attribuiscono il merito dell’intesa. E’ senza alcun dubbio importante che la confederazione di Guglielmo Epifani - compiendo uno spericolato doppio salto mortale abbia deciso di firmare prima delle organizzazioni dei piloti (mentre in precedenza la Cgil aveva strumentalizzato l’Anpac per sfilarsi dal negoziato).
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Il risultato ‘salva faccia’ che Epifani ha realizzato non riguarda le modifiche introdotte nel testo dell’intesa (invero di natura solo programmatica). Il vero «successo» della Cgil è un altro: quello di aver dimostrato che nessuno - a partire dagli imprenditori - si azzarda a stringere accordi separati che la escludano. Roberto Colaninno non lo ha mandato a dire: quando Epifani si è messo a fare larghi giri di valzer con l’Anpac, la Cai si è alzata dal tavolo; e vi è tornata solo quando Gianni Letta ha recuperato la Cgil. Abbiamo visto tutti la reazione di Raffaele Bonanni e di Luigi Angeletti, i quali erano pronti a firmare anche da soli, sempre che la controparte avesse accettato. Continua ancora la deriva di queste due associazioni sindacali verso l’irrilevanza. E’ vero: hanno un rapporto politico con l’esecutivo, ma non se ne fanno nulla, perché un sindacato è condannato dal suo dna a «buttarsi a sinistra» (come diceva il grande Totò). Anche il Pd manda da tempo segnali di preferenza per la confederazione rossa. Con il loro interlocutore naturale - i datori di lavoro - i rapporti di Cisl e Uil sono difficili, perché il sistema delle imprese non è disposto a scontarsi con la Cgil. I motivi di contrasto si aggiungono uno dopo l’altro in un crescendo inquietante: da quelli meno noti all’opinione pubblica ad altri che – come l’Alitalia – hanno suscitato un grande clamore. Tra i primi va annoverato il rinnovo del contratto nazionale del commercio, un settore che rappresenta un pezzo importante dell’economia. Il negoziato si è trascinato per mesi fino a quando le federazioni di categoria della Cisl e della Uil hanno ritenuto che vi fossero le condizioni per sotto-
Il piano ”salva faccia” di Guglielmo Epifani di Giuliano Cazzola
Il vero «successo» della Cgil è stato quello di aver dimostrato che nessuno, a partire dagli imprenditori, può azzardarsi a stringere accordi separati che la escludano
Sopra, il leader della Cgil, Guglielmo Epifani e, a fianco il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni
Spaccato il fronte sindacale. Ora confronto con il governo sugli ammortizzatori sociali
Cai: un sì sofferto anche da Avia e SdL ROMA. L’unità sindacale chie-
di Francesco Pacifico
sta da Colaninno sul piano Cai è stata raggiunta. Ieri, da ultime, hanno firmato l’accordo quadro anche gli autonomi di Avia e SdL. Ma è stato un assenso che porterà non pochi strascichi nelle relazioni sindacali della futura Alitalia. Ne ha fatto le spese Savino Pezzotta, contestato ieri, davanti a Montecitorio, da alcuni iscritti dei due sindacati. A nome degli assistenti di volo – la categoria più colpita con 1.500 esuberi – il leader dell’Avia, Antonio Di Vietri ha parlato di trattative «con le spalle al muro. Non c’è nulla da festeggiare, anche perché dalla nostra stessa parte del tavolo c’è qualcuno che ha definito “ottimo e abbondante”condizioni che non erano state ancora chiarite». Più esplicito il leader di Sdl, Fabrizio Tomaselli: «Cisl, Uil, Ugl e poi l’Anpav hanno rotto il fronte sindacale, accettando contratti sui quali non avevamo ancora trattato. È mostruo-
so». Quindi ha annunciato un referendum tra gli iscritti sulle intese finora raggiunte, «per capire se avremo il mandato per continuare a trattare». Il riferimento è al tavolo con Cai che si aprirà a breve al ministero del Lavoro sul nuovo contratto intercategoriale – che prevede diritti uguali per tutti ma atti di applicazione diversi per piloti, assistenti di volo e personale di terra – e sugli ammortizzatori sociali per i 3.200 lavoratori in esubero. E il clima sarà rovente e non solo perché i sindacati sono spaccati e più in generale il loro peso è stato ridotto al lumicino dall’azione di Colaninno. Al momento non ci sono certezze su come garantire l’anzianità ai lavoratori che saranno trasferiti in Cai e sulle regole per il reintegro degli esuberi. In alto mare anche sui meccanismi per decidere chi andrà in cassa integrazione. Ma il pun-
to interrogativo principale riguarda la dotazione del fondo di solidarietà per il personale aereo: in cassa ci sarebbero soltanto 20 milioni di euro a fronte di una spesa per gli ammortizzatori sociali forse venti volte superiore. Intanto, giovedì, dovrebbe riunirsi l’assemblea di Cai: Colaninno dovrebbe spiegare ai soci che impatto avranno sul piano le modifiche al piano concesse ai sindacati. Corrado Passera ha già annunciato che slitterà al 2011 il pareggio di bilancio. «Magari ci volesse soltanto un anno in più», dice uno dei 18 soci della cordata, «A Colaninno e a Sabelli abbiamo chiesto un piano per tagliare tutti gli sprechi della vecchia Alitalia. Vediamo cosa è cambiato dopo le ultime trattative, perché i margini di guadagno erano risicati già prima. Infatti soltanto il partner straniero può garantire un aumento della remunerazione dell’investimento».
scrivere l’accordo. La Cgil non lo ha fatto. Si è arrivati così ad un’intesa separata, che potrebbe essere il segnale di quanto è atteso nei prossimi mesi. Infatti, il futuro delle relazioni industriali si gioca su di un altro tavolo: quello del negoziato con la Confindustria sulle regole e la struttura della contrattazione, un impegno che si trascina inevaso da parecchi anni e che domani affronta una scadenza decisiva. L’organizzazione di viale dell’Astronomia, nei giorni scorsi, si è presa la briga di avanzare una proposta di riforma, apprezzata dai leader di Cisl e Uil, criticata dalla Cgil. Emma Marcegaglia ha aperto sulla questione delicatissima dei tassi d’inflazione da prendere a riferimento per determinare i livelli salariali nel contratto nazionale. E lo ha fatto abbandonando il criterio del tasso d’inflazione programmata che è stato - in linea di massima - il punto di riferimento (in verità molto lasco) adottato dal luglio del 1993 ad oggi. Mentre il Governo, nel Dpef, aveva indicato il tasso dell’1,7% per il 2008 (e dell’1,5% negli anni successivi) suscitando le polemiche dell’opposizione e dei sindacati, la Confindustria ha proposto un nuovo arzigogolo: un indice previsionale elaborato da un soggetto terzo, depurato da alcune voci di inflazione importata. La contropartita per questa apertura, però, era posta interamente a carico della Cgil. Infatti, basta osservare contro luce la filigrana del documento per capire che la Confindustria si è accollata le preoccupazioni della Federmeccanica nei confronti della linea di condotta della Fiom.
Questa è la chiave di lettura delle proposte riguardanti i compiti e le procedure dell’istituendo Comitato interconfederale chiamato a garantire l’impegno delle parti a rispettare, a tutti i livelli, le clausole dell’accordo interconfederale, dei contratti nazionali e della contrattazione di secondo livello. E’ assai probabile, dunque, che il negoziato abortisca. Ma Cisl e Uil incasseranno un’altra prova della loro irrilevanza, perché la Confindustria non avrà intenzione di stipulare un accordo separato che escluda la Cgil. A questo punto la riforma della contrattazione è nelle mani del governo, il quale, per favorire il decentramento della contrattazione, deve rendere strutturale la detassazione degli straordinari e dei premi aziendali, magari elevando la soglia operativa dei 30mila euro di reddito annuo per poterne beneficiare.
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mondo
Si apre a Pietroburgo l’ottavo incontro russo-tedesco Il Cremlino ripensa l’alleanza con l’Ue e con gli Usa
Ancora l’asse Berlino-Mosca Medvedev spera che la Germania diventi il suo ponte con l’Occidente di Francesco Cannatà i apre oggi a Pietroburgo l’ottavo ”dialogo russo-tedesco”, un forum annuale nel quale, dal 2001, Russia e Germania monitorano i rapporti politici dei due Paesi. Non è dunque certo un caso se, alla vigilia del forum, il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov abbia presentato all’Onu la proposta già lanciata agli inizi di giugno da Medvevd a Berlino. «La struttura della sicurezza internazionale ha fatto il suo tempo». Questo il senso dell’intervento di Lavrov all’assemblea generale. Riferendosi alla crisi nel Caucaso, il ministro ha ribadito un concetto chiave della diplomazia del Cremlino: la sicurezza globale ha bisogno di nuove strutture. «L’approccio ai problemi del mondo non può più essere l’unipolarismo. Se così sarà le conseguenze saranno disastrose». Se dopo la guerra in Georgia la figura del presidente russo sembra aver perso consistenza, con Lavrov è successo il contrario. Da agosto il responsabile del Mid russo non perde occasione per far capire che il Cremlino intende passare all’incasso di quelli che ritiene essere i dividendi del conflitto con Tblisi. Tra questi, secondo Mosca, ci sono i rapporti con Bruxelles e un“asse” speciale con la Germania. Agli inizi di settembre, inaugurando l’anno accademico dell’Università diplomatica di Mosca, il ministro aveva dedicato a questi argomenti un intervento passato stranamente sotto silenzio dai media.
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dei fattori più importanti per la costruzione della nuova Europa». Ogni volta che i rapporti tra Russia e Occidente diventano problematici, le relazioni tra Mosca e Berlino danno il vero livello della crisi. L’attuale scenario internazionale contrassegnato dal conflitto caucasico, il sesto dalla fine dell’Urss, non sfugge a questa regola. Nel pieno della prima guerra mon-
davanti al difficile compito di garantirsi la sicurezza nelle due zone europee attraverso l’elaborazione di due politiche tedesche. Dissoluzione sovietica, fine della guerra fredda e riunificazione della Germania, rendevano più normali le relazioni tra Mosca e Bonn/Berlino. Negli anni novanta del secolo scorso gli obiettivi di Gorbaciov europeizzazione, occidentalizza-
Come dopo l’assassinio di Anna Politkovskaja nel 2006, anche oggi il forum si confronta con la crisi europea
«Vi è chi crede di farci paura», ha detto sibillino Lavrov, «affermando che se la Germania dovesse uscire dalla Nato, sarebbe una minaccia per l’Europa». Davanti agli studenti del Mgimo, accusando non meglio specificati «sordidi interessi che vorrebbero minare la fiducia nel cammino fatto dalla Germania nel secondo dopoguerra», Lavrov ha ribadito che «la riconciliazione russo-tedesca è uno
diale nelle Considerazioni di un impolitico,Thomas Mann parlava di «affinità spirituali» esistenti tra russi e tedeschi. Mezzo secolo più tardi Sebastian Haffner definiva «patto col diavolo» il rapporto che avrebbe legato i due Paesi più importanti d’Europa fino al secondo conflitto mondiale. Nascita dell’Urss e divisione tedesca hanno messo il Cremlino
zione e ritorno della Russia nella comunità mondiale - trovavano un sincero avvocato nel cancelliere tedesco Kohl. Dalla «casa comune europea» di Gorbaciov al «ritorno nella comunità internazionale» di Eltsin. Dalla «grande Europa» di Putin al «grande Occidente» di Medvedev, ogni volta che i dirigenti russi vogliono parlare all’Europa si rivolgono alla Germania.
Per Vittorio Strada c’è chi vuole tornare alla politica dei blocchi
Anche i sovietici usarono la Nato per dividere l’Europa
Un’attenzione ricambiata dai governanti tedeschi. Se l’attuale primo ministro russo usa il tedesco per esprimere il suo amore per la Germania, Angela Merkel, appassionata di letteratura russa, nel suo studio tiene il ritratto di Caterina la grande. La zarina, tedesca, che ha svolto un ruolo importante nella storia del grande Paese slavo e ortodosso.
La nuova Russia il segnale alla Germania lo ha mandato nel 2005. L’anniversario della «guerra patriottica» per la prima volta vedeva il capo del governo tedesco tra
ittorio Strada, ordinario di lingua e letteratura russa all’Università di Venezia non da molto credito alle politiche del gruppo attualmente al potere a Mosca. Quanto dichiara il Cremlino non coincide con una strategia che, dice l’ex direttore dell’Istituto di cultura italiano in Russia, più del diritto privilegia i rapprti di forza.
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Lavrov parte da una ipotesi fantapolitica per dire che i rapporti russo-tedeschi saranno il pilastro dell’Europa. Medvedev a Berlino aveva detto che il diritto romano, francese e tedesco è la base dell’alleanza delle forze, Ue, Usa e Russia del “grande Occidente”. Che succede al Cremlino? Quella di Lavrov è un’ipotesi cervellotica. La politica europea della Russia è sempre stata orientata a dividere l’Europa dagli Usa utilizzando il grimaldello tedesco. La formula di Medvedev, siamo europei e/o occidentali, ricorda quanto avveniva nel-
gli invitati. Il vero affondo, però, lo ha fatto Medvedev a Berlino agli inizi di giugno. Identificandosi come «democratico europeo», l’appena eletto presidente russo ha scelto la capitale della Bundesrepublik per presentare il progetto di «grande Occidente». Un’alleanza tra Ue, Russia e Usa per risolvere insieme i problemi del XXI secolo. Per il giurista Medvedev, «i rapporti russo-europei» hanno una base comune, il «diritto romano, francese e tedesco». Su queste premesse il presidente ha proposto un progetto che dovrebbe sfociare in un vertice pa-
l’Urss. L’idea di una casa comune europea, ripresa da Gorbaciov, appartiene a Breznev. La politica del Paese è andata in direzione opposta alle dichiarazioni di Medvedev. I patrioti russi che affermano differenze e specificità nazionali, lo fanno in opposizione all’Europa. Una parte dell’establishment politico e culturale russo non vuole il “grande Occidente”. Lavrov ha scritto che Europa e Usa non hanno capito gli avvenimenti georgiani e i cambiamenti che ne seguiranno. Il cambiamento è iniziato nel 2007 col discorso di Putin a Monaco. Prokhanov, esponente oltranzista russo, lo ha messo sullo stesso piano di quello di Churchill a Fulton. L’inizio di una nuova guerra fredda questa volta favorevole a Mosca. Questi circoli sommano frustrazione e risentimento nei confronti degli Usa con la volontà di vedersi riconosciuti allo stesso livello. Come con l’Urss. Dopo la Georgia il ruolo regionale del Cremlino nello «spazio postso-
mondo
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Zarusky: mai dimenticare la società civile
Grazie Russia ma siamo cambiati Q
Dopo la guerra caucasica Medvedev (in alto con la Merkel), torna al centro delle relazioni continentali. L’ottavo ”Dialogo di Pietroburgo” (a sinistra il logo), si concluderà il 2 ottobre. A destra Helmut Kohl, negli anni Novanta principale partner della Russia uscita dal comunismo
neuropeo - «simile al processo di Helsinki» - e giungere a un «patto regionale» su «sicurezza continentale, controllo degli armamenti e lotta al narcotraffico nello spazio euro-atlantico». Lavrov all’Onu ha presentato questo piano in un modo - «bisogna ricostruire la coalizione del 9/11» - da poter essere letto come un gesto di distensione verso Washington. Naturalmente se i leader russi vogliono fare parte della civiltà europea, devono essere pronti a lasciarsi giudicare sulla base degli standard continentali. Che non si definiscono solo a Berlino. Il
vietico» è innegabile. Che dire della superpotenza russa? Si tratta di una questione da non sottovalutare ma ancora velleitaria. È un’aspirazione costante della nuova Russia che ora si accompagna a mosse più concrete ed esibizione di forza militare. Una politica estera che materializza la volontà di andare oltre il ruolo di potenza regionale. Cosa diventerà il G8? Resterà un club di potenze economiche? Allora accanto alla Russia dovranno esserci Cina e India. Diventerà un club di potenze democratiche? La Russia non dovrebbe farne parte. Questioni aperte. Mosca ha però enormi problemi interni: demografia, immigrazione illegale, corruzione, bisogno di mano d’opera qualificata e di tecnologia occidentale. Venuto meno il confronto ideologico, solo il patriottismo della politica internazionale può compattare il Paese. Il Cremlino sembra consapevole che una serie di problemi - armi di distruzione di massa, terrorismo, nar-
Cremlino deve perciò essere pronto a prendere in reale considerazione le preoccupazioni espresse, prima e dopo la Georgia, da Polonia e Baltici. Ad agosto l’ambasciatore americano a Mosca ,John Beyrle, intervistato da Kommersant’ ha affermato che il vero errore russo è stato il riconoscimento di Abkhazia e Ossezia del sud.Viene allora spontaneo chiedersi chi al Cremlino abbia voluto questo azzardo e per quale ragione. Forse si tratta degli stessi ambienti russi che alla forza del diritto preferiscono il diritto della forza.
cotraffico - si risolvono solo avvicinandosi a Ue e Usa. Nella politica russa c’è una contraddizione. Una tendenza all’isolamento, all’isolazionismo. Una contrapposizione di civiltà accompagnata da affermazioni sulla storia del ‘900 - il comunismo voleva distruggere la Russia, Stalin essenza del Paese che mettono Mosca contro gli Usa e l’Europa. Le élite russe più avvertite non nascondono però che per risolvere i propri problemi hanno bisogno proprio del sostegno occidentale. L’Europa del solo dialogo ed economia ha ancora un ruolo? Incapace di unirsi, la polis greca è stata piegata dai persiani. Ci aspetta questo destino? Forse, ma non è detto. L’Europa non ha visioni strategiche. Usa e Russia hanno centri di ricerca, luoghi di elaborazione formidabili dove la politica internazionale viene continuamente elaborata, riveduta, corretta, aggiornata. In Europa di tutto questo non c’è traccia. (f.c.)
uella in Georgia è stata «un’operazione limitata, ma il fatto di aver mostrato i denti a un personaggio “marionetta occidentale”, fa si che in Russia si respiri un’aria trionfale». Jürgen Zarusky, specialista di rapporti russo-tedeschi all’istituto di storia comtemporanea di Monaco ritiene che Mosca sfrutta il momento favorevole delle relazioni internazionali per tornare a una politica di potenza. Ma Berlino guarda definitivamente a occidente. Mosca vuole un ruolo mondiale? Si vuol riproporre la questione della potenza russa nel momento in cui viene meno la visione unipolare Usa. Quanto detto da Lavrov al Mgimo fa credere che Mosca cerchi nuove norme internazionali. Lavrov ha scritto che il cambiamento sarà più profondo di quanto pensino Bruxelles e Washington. In realtà la guerra è la svolta in un sistema già in via di trasformazione. In Germania queste dichiarazioni non sono state notate. Sono discorsi ufficiosi rivolti al proprio pubblico. Lo stesso si può dire per la direttrice dell’Istituto russo per la democrazia di Parigi, la signora Narotschnizkaja. Una persona, vicina alle posizioni nazional-patriottiche e dura verso l’Occidente. Il ministro interveniva a un incontro studentesco, la signora parla ai giornali. In Russia esistono anche altre posizioni. Per Alexej Arbatov, figlio dell’ex direttore dell’Istituto americano, servono nuove riforme economiche e democratiche. In questo scenario qual è il ruolo di Berlino? Russia ed Ue sono alla ricerca di se stesse, mentre persistono antichi riflessi. La guerra in Iraq e la frase di Rumsfeld sulla “vecchia Europa”, li hanno riportati alla luce. La Germania si è rivolta alla storia ripensando l’esperienza positiva della Ostpolitik. Berlino cerca un ruolo di intermediazione. Grazie alla perestrojka in Germania è finita la paura della guerra fredda. Grazie a Gorbaciov è stato possibile risolvere la “questione” tedesca. Da qui un sentimento di gratitudine verso la Russia e la volontà di sostenerla nei momenti più difficili. C’è la dipendenza energetica, che non va però assolutizzata. Infine molti tedeschi fanno affari in Russia. Un Paese ricco e con un poten-
ziale umano enorme. Berlino elemento occidentale centrale e pienamente integrato? Qualcosa è cambiato nella Nato. I suoi scopi originari: Russia fuori, America dentro e Germania sotto, per quanto ci riguarda sono cambiati ma in senso opposto a quanto ipotizzato da Lavrov. La Repubblica federale, come del resto altri Paesi Nato, non ha preso parte alla guerra irachena. Ora però siamo in Afghanistan. Un “grande Occidente”plurale per risolvere i problemi del XXI secolo. Realistico? Senza prescindere dalla dimensione transatlantica, sarebbe meglio parlare di “casa comune europea”, spazio di civiltà comune. Ridurre l’Europa all’Ue è un errore. L’Europa senza Mosca è un non senso storico e culturale, inconcepibile come l’Ue più la Russia. Esistono forme intermedie di organizzazione. In Russia si fa però largo la convinzione che l’Europa sia contro Mosca. Difficile dire se Usa, Russia ed Ue riusciranno ad unirsi. Certo vi sono questioni risolvibili solo in comune. Ma tra loro i tre hanno problemi. Meglio iniziare da questi. Diversità tra Steinmeier e Angela Merkel? Stili diversi. Non differenze fondamentali. Schröder sulle elezioni cecene ha anticipato il giudizio Osce... È vero. Parlava di partenariato strategico senza dire la strategia. Steinmeier è diverso. Schröder non ha creato una scuola diplomatica. Merkel ha mostrato altri stili non solo verso la Russia. Lo ha fatto in Cina e negli Usa. La Spd è più problematica. Neutralismo? No, il partito è totalmente occidentale.Vi è però una visione statalista delle relazioni internazionali voluta da Egon Bahr l’architetto della Ostpolitik che trascura la società civile. Una concezione dogmatica e limitata. Negli anni ’80 il rifiuto di Brandt ad incontrare Walesa è stato esemplare del modo in cui, snobbando i movimenti democratici, si possono sciupare capitali di fiducia. Esistono però socialdemocratici, penso a Weissenkirchen, che non si riconoscono nello statalismo. Merkel ha attenzione per questo lato importante della politica internazionale. (f.c.)
La Germania dopo la riunificazione, ha ripensato la propria storia e l’esperienza positiva della Ostpolitik
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mondo Jörg Haider alza il pollice in segno di vittoria al fianco dei suoi luogotenenti, Stefan Petzer e Peter Westenthaler
Oltre allo stesso nome, la Grosse Koalition tedesca non ha nulla a che vedere con quella austriaca. Per motivi storici e politici
Austria e Germania, due Coalizioni molto diverse di Maurizio Stefanini rosse Koalition: è la formula in tedesco talmente famosa da essere utilizzata in tutto il mondo. C’è oggi una Grosse Koalition al governo in Germania, tra l’Unione Cristiano-Democratica (Cdu) del cancelliere Angela Merkel e il Partito Socialdemocratico (Spd) del vicecancelliere e ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier. E c’è pure una Grosse Koalition in Austria, tra il Partito Socialdemocratico (Spö) del cancelliere Alfred Gusenbauer e il Partito Popolare (Övp) del vice-cancelliere e ministro delle Finanze Wilhelm Molterer. In Austria, alle elezioni politiche di domenica i socialdemocratici sono crollati dal 35,3% dei voti al 29,7 e da 68 seggi a 58; i popolari dal 34,3% dei voti al 25,6 e da 66 seggi a 50. In crisi anche i Verdi, dall’11 al 9,8% e da 21 a 19 seggi. Grande vincitore è invece il Partito Liberale (Fpö), salito dall’11 al 18% e da 21 a 35 seggi. Sarebbe il secondo partito a un’incollatura dalla Spö se nel 2005 - per una rissa personalista tra dirigenti non avesse perso proprio il suo leader già carismatico (e temuto in tutta Europa) Jörg Haider: la sua Alleanza per il Futuro dell’Austria (Bzö)-Lista Jörg Haider è passata infatti a sua volta dal 4,1 all’11%, e da 7 a 21
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seggi. Sempre domenica, in Germania c’è stato il voto regionale in Baviera. Per la prima volta dal 1962, l’Unione Cristiano Sociale (Csu), ramo locale della Cdu con spiccata autonomia organizzativa, non ha avuto la maggioranza assoluta, precipitando dal 60,7% e 124 seggi a al 43,4% e 92 seggi. Giù anche l’Spd, dal 19,6 al 18,6% e da 41 a 39 seggi, grande vincitrice è stata una lista civica di Liberi Elettori guidati da un exdirigente della Csu, che hanno
necessaria dopo tanto tempo una coalizione, e non mancano i liberali, che hanno proposto di mettersi tutti d’accordo tra Fdp, Verdi, Spd e “Liberi Elettori”, per mandare finalmente la Csu all’opposizione. Quanto all’Austria, a parte il fatto che si era arrivati al voto anticipato dopo due anni proprio per la rottura dell’intesa tra popolari e socialdemocratici, in passato i popolari si erano alleati con Haider dopo la sua vittoria, ma proprio lo spezzettamento del voto di
Il risultato del voto di domenica apre la strada a due unioni di governo insolite, che mandano all’opposizione i leader storici preso il 10,2% e 21 seggi. Tornano pure al Landtag dopo 14 anni di assenza i liberali della Fdp, salendo dal 2,6 all’8% e incamerando 16 seggi. E anche i Verdi vanno benino: dal 7,7 al 9,4%, e da 15 a 19 eletti.
Voti di protesta contro l’“ammucchiata”, come si direbbe in Italia? In realtà in Baviera la Spd non era associata al governo monocolore Csu, e semmai la stanchezza era per i 46 anni di potere assoluto cristiano-sociale ininterrotto. Semmai è questo risultato a rendere ora
destra tra Fpö e Bzö renderà ora inevitabile la riproposizione di quella formula già saltata, come l’unica possibile. Non c’è dubbio, però, che un moto di ripulsa verso le Grosse Koalition in qualche modo c’entri. Si perdoni l’autore di queste note se cita il suo libro Grandi Coalizioni (uscito ad aprile per Boroli), ma lì la storia è spiegata in dettaglio. Unite dalla comune lingua e dalla somiglianza ideologica tra i protagonisti, in realtà la formula tedesca e quella austriaca nascono da esigenze quasi opposte, che però
portano a forme di rigetto convergenti. In Germania fu al tempo di Weimar che imperversarono le grandi coalizioni tra Spd, Centro cattolico, i due partiti liberali e quello bavarese, apposta per scampare al doppio assedio di comunisti e nazisti. Dopo il 1945, la Legge Fondamentale della Repubblica federale ha cercato di introdurre ogni tipo di meccanismo costituzionale perché la cosa non potesse ripetersi.
M a lg ra d o le pr e ca uz io ni , due coalizioni tra Cdu-Csu e Spd sono state comunque necessarie: tra 1966-1969, e dal 2005. Occasione della prima fu la rottura insanabile tra CduCsu e liberali, che infatti poi nel ’69 si misero con i socialdemocratici, per non tornare a un’alleanza di centro-destra se non nel 1982. Occasione della seconda, l’impossibilità di formare ogni altra maggioranza dopo il successo della lista di estrema sinistra Die Linke. Ma in realtà la prima grande alleanza servì soprattutto a affrontare una grave recessione economica e anche a fare alcune difficili riforme costituzionali che nel 1968 permisero agli Alleati di concedere il pieno ripristino della sovranità tedesca. Mentre l’attuale sta assorbendo l’impatto delle rifor-
me dello Stato Sociale fatte dal governo Schröder. Si tratta però di un rimedio talmente estremo, per la logica della politica tedesca, da causare crisi di rigetto. Il cancelliere del 1966-69 Kiesinger passò infatti alla storia come il più impopolare di tutta la storia della Repubblica Federale, e in quel periodo la riduzione al minimo dell’opposizione incubò anche la nascita del terrorismo della Raf. Mentre con la Merkel la Baviera comincia ora a mostrare i primi gravi acciacchi. In Austria, al contrario, fu la prima repubblica a essere sconvolta dalla lotta irriducibile tra socialisti e popolari, che aprì la vita prima alla dittatura di Dolfluss e poi all’Anschluss. Rinchiusi negli stessi lager nazisti, i dirigenti popolari e socialisti si misero d’accordo per evitare di tornarci, nel caso che fossero stati liberati. E in effetti il loro patto di ferro nel momento in cui il Paese era in parte occupato dai sovietici permise di evitare una spartizione alla tedesca o l’imposizione di un regime comunista. Ma la Proporz, lottizzazione di tutto il lottizzabile tra tesserati, è rimasta anche in seguito. Il periodico ritorno di una destra dura in Austria è a sua volta una protesta contro questo sistema partitocratico.
mondo
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Finalmente liberi i cinque italiani: il loro rapimento svela l’intreccio del terrorismo islamico
I predoni senza frontiere di Justo Lacunza Balda ono tornati finalmente in libertà i cinque turisti italiani e i loro compagni di sventura. Adesso si accendono le polemiche sul pagamento di un riscatto e sulla sicurezza dei viaggi in Egitto. Ma c’è un altro aspetto che questo rapimento ha messo in luce: è il problema delle frontiere fra nazioni-Stato in questa regione del mondo. Prelevati in Egitto, i turisti sono stati trasportati in Sudan per poi finire in Libia e di nuovo in Egitto. A dimostrazione che questo triangolo di deserto è un unico grande campo di battaglia.
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Sulle cartine le frontiere sono ben tracciate e delineate. Fanno parte della così detta “spartizione dell’Africa”decisa durante il periodo coloniale. Britannici e francesi, italiani e spagnoli, tedeschi, portoghesi e turchi furono i protagonisti indiscussi della nascita delle future nazioni africane. Poi, con l’avvento dell’indipendenza, è nata la febbre del nazionalismo: le frontiere fanno da cornice istituzionale, si stampano i documenti di identità e si costituiscono gli eserciti nazionali per difendere i confini del terri-
amas ha dei problemi. Primo fra tutti il processo di pace. Naturale infatti che la prosecuzione dei colloqui tra israeliani e palestinese, come pure il coinvolgimento della Siria, non possono che fare da ostacolo al movimento islamista di Ismail Haniyeh e Khaled Meshal che appare sempre più isolato nell’intero mondo islamico. L’espulsione di Meshal dalla Siria e l’eliminazione del suo assistente, Hisham elBadni – entrambe notizie smentite dal movimento – fanno sospettare che i rapporti tra gli Assad e Hamas non siano più tanto buoni. La Siria ha aperto i negoziati con Israele e, se le sue intenzioni di arrivare alla pace sono sincere, non può che sfilarsi da un’alleanza ormai scomoda. Un discorso simile può essere fatto in merito a Hezbollah. A parte il fatto che la partnership
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torio nazionale. Tutte le costituzioni dei diversi Paesi africani mettono l’accento sull’unità nazionale e territoriale e sottolineano l’obbligo di difendere il
per loro considerare i parchi nazionali del Serengueti e il cratere del Ngorongoro come territorio per i pascoli del loro bestiami. E non sono gli unici
trea, Mozambico, Nigeria, Rwanda, Somalia, Sudan), alla forte presenza dei movimenti islamici (Algeria, Ciad, Egitto, Etiopia, Marocco, Mauritania, Senegal, Somalia, Sudan) e l’inestabilità politica (Congo, Somalia, Sudafrica, Zimbabwe), le frontiere eredite dall’era coloniale non sem-
Kenya? I pastori somali sconfinano e vanno in territorio kenyiota in cerca di pascoli. Chi può controllare i confini tra Sudan e Ciad nella regione del Darfur? Le truppe del Rwanda son ben presenti in territorio congolese e questo giova allo sfruttamento dei minerali del Congo da parte del Rwanda, specialmente il prezioso e ricercato coltan.
L’odissea dei turisti sequestrati nell’Egitto meridionale dimostra che il deserto è un unico campo di battaglia brano più avere un grande significato.
Lorella Paganelli e Michele Barrera, due dei cinque turisti italiani liberati ieri territorio nazionale. Ma tutto questo significa molto poco nei contesti di molte zone geografiche dell’Africa. I masai del Kenya e della Tanzania dicono che le loro terre «finiscono lì dove gli occhi non vedono più». Perciò è normale
a pensare così. Lo fanno i peul in Africa occidentale, i dinka in Sudan, gli afar nel deserto della Nubia, i san nel deserto del Kalahari. Nei tempi più recenti, in seguito ai conflitti intermittenti nei Paesi africani (Burundi, Congo, Ciad, Eri-
La zona nord del Mali, confinante con l’Algeria e la Mauritania, è diventata una delle tante dimore dei terroristi di al Qaeda in Africa. A Kidal (in Mali) sono stati scoperti campi di addestramento come quelli dell’Afghanistan con combattenti, armi, munizioni e una raffinata logistica per costruire bombe e compiere attentati. Chi è in grado di controllare la lunga frontiera tra Somalia e
I piccoli passi tra Anp e Israele rilanciano Abu Mazen e isolano Haniyeh
Hamas prigioniero della sua linea dura di Antonio Picasso tra Nasrallah e Haniyeh resta palesemente strumentale, in quanto anti-israeliana, ciò che importa è che il “Partito di Dio”, al momento, è tutto assorbito dal processo di riconciliazione nazionale in Libano.
Ancora più critica è la situazione in ambito Anp. Il consenso popolare che Hamas aveva a disposizione sia in Cisgiordania sia nella Striscia di Gaza si sta indebolendo. Il fatto di essere così vicini alla pace fa pensare ai palestinesi della West Bank – meno soggetti al livello di tensione che invece subiscono i loro con-
fratelli della Striscia – che sia più utile tornare a investire su Abu Mazen. Con molte riserve, sicuramente, ma è indubbio che il presidente dell’Anp possa arrivare a un risultato. A differenza di Hamas che si rifiuta di prendere parte praticamente a qualsiasi negoziato. A suo tempo non aveva giovato la chiusura delle trattative e il rifiuto, peraltro bilaterale di Hamas quanto di Fatah, alle offerte di mediazione presentate dall’Egitto e dallo Yemen. Ad agosto, inoltre, era circolata la voce di un possibile viaggio di Meshal in Giordania. Un
tentativo di riaprire il dialogo con Amman e cominciare quindi a uscire dall’isolamento. Ma poi non se n’è fatto più nulla.
Che cosa resta quindi nelle mani di Hamas? Gaza, controllata dall’esterno dalle forze israeliane e ora anche a rischio di raid dell’Anp, appare sempre più l’ultima spiaggia per un movimento progressivamente emarginato. La stessa alleanza con l’Iran va presa con le giuste misure. Come nel caso di Hezbollah, manca l’affinità ideologica tra i due. Scii-
Nel deserto come nella foresta le frontiere e i confini contano ben poco. Per varcarle servono non solo i passaporti, ma i soldi per pagare i doganieri e i poliziotti. La corruzione in Africa, oggi, ha la validità di un timbro sul passaporto. Nel frattempo continuano a crescere le zone dove non conviene avventurarsi anche se a bordo di luccicanti quattroruote giapponesi e con la scorta delle guardie private: sono i nuovi “Stati di fatto”nei Paesi arabi e africani che non si trovano ancora sulle cartine geografiche.
smo e sunnismo non possono coesistere se non quando c’è condivisione di avversari. Inoltre, Teheran ha ben altri problemi da gestire. La crisi nucleare, che pone anch’essa in una condizione di ostracismo diplomatico, e l’ipotesi sempre aperta di un attacco da parte di Israele non le permettono un così grande impegno in favore di Hamas.Una tattica maliziosa, di conseguenza, potrebbe suggerir loro di sperare che salti tutto il banco della pace. E non è da escludere che a questo mirassero le critiche alla Livni, premier incaricata d’Israele. Ma il realismo dovrebbe portare Hamas a definire una nuova strategia. Perché, se vuole davvero realizzare l’ambizioso progetto di uno Stato palestinese islamico, l’unica strada è quella di scendere a compromessi. Sia con Fatah sia con Israele. Analista Ce.S.I.
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L’Italia nata dal Risorgimento ha trovato nella sua identità la forza per superare le prove più dure: guerre, dittatura, distruzioni. Il federalismo (che è necessario) non può contrastare questo spirito unitario. Il discorso del Presidente emerito a Siena, in occasione del premio di liberal atria, Nazione, patriottismo sono parole che a lungo si è avuto ritegno a pronunciare; prevaleva il timore di cadere nella retorica. Nel corso della mia vita professionale, sempre al servizio dello Stato, non ho mai risparmiato il richiamo ai sentimenti sottesi a quelle parole, che non mi sono astenuto dall’usare, consapevole della “sorpresa” che poteva suscitare il sentirsi riproporre, chiamandole per nome, categorie che si pensava consegnate alle pagine di qualche vecchio manuale scolastico di storia del Risorgimento. Patria, Nazione, Libertà sono gli ideali che hanno connotato l’Ottocento europeo; ne hanno segnato le vicende politiche; hanno ispirato la letteratura, la poesia, la musica. L’ideale romantico in Italia si è inverato nell’azione tenace di un Ca-
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vour, nella passione di un Mazzini, nello spirito indomito di un Garibaldi; soprattutto, esso ha nutrito l’aspirazione unitaria di un “volgo disperso”, che tale non voleva più essere. Quell’unità conquistata ad alto prezzo, dopo secoli di divisioni e di dominazioni straniere, dette agli italiani una consapevolezza di sé come popolo, della propria identità storica e culturale. Questa consapevolezza è stata la forza che ha consentito al nostro Paese di affrontare e superare le prove più dure: guerre, dittatura, distruzioni, emigrazioni di massa. È quella forza che ha permesso all’Italia, nel volgere di un paio di lustri, di uscire dal cumulo di ma-
L’Unità della N di Carlo Azeglio Ciampi
cerie morali e materiali in cui versava nel 1945 e portarsi, grazie all’impegno della sua gente e all’intelligente lungimiranza di una classe di uomini politici, nel novero dei paesi più industrializzati. Nelle nazioni più avanzate all’origine del miglioramento del tenore di vita si ritrova, principalmente, il progresso scientifico e tecnologico, che ha contribuito ad accelerare lo sviluppo nell’agricoltura, nell’industria, nei servizi. L’Italia ha partecipato e concorso a questo processo di sviluppo, grazie all’impegno di tutti: lavoratori, imprenditori, governanti. Negli anni Cinquanta e Sessanta i tassi annuali di crescita sono risultati in media del 5 per cento; dagli anni settanta lo sviluppo dell’economia è an-
dato progressivamente rallentando fino quasi ad arrestarsi. Ciò spiega le tensioni che hanno investito negli ultimi due decenni la società italiana.
Quando sono concrete le aspettative di miglioramento delle condizioni di vita e le possibilità di inserimento dei lavoratori, specialmente di quelli giovani, nell’attività produttiva, i problemi che attengono alle istituzioni non sono percepiti nella loro effettiva rilevanza. Allorché quelle aspettative vengono frustrate si acuiscono gli egoismi, si affievolisce la solidarietà. Inoltre, l’Italia, in misura più accentuata rispetto ad altri paesi europei, soffre di una crisi demografica che, attraverso la caduta del tasso di natalità, sta portando a un invecchiamento della popolazione. Le conseguenze della crisi demografica sul sistema economico si risentono con anni di ritardo, ma sono gravi e di lungo periodo. Si pongono problemi per la previdenza e per la sanità. È con i giovani che si sviluppa la capacità di assimilare
e mettere a frutto nell’economia e nella società le conquiste della scienza e della tecnica e gli avanzamenti culturali. Quando la popolazione cresce e aumenta il numero dei giovani è tutta la società che, di fatto, investe nel futuro. Il declino demografico di molti paesi europei, in particolare dell’Italia, sembra indicare una sorta di paura a gettare lo sguardo al futuro, ad affrontare i nuovi contesti economici, sociali, politici, dimenticando che anche i nostri padri dovettero misurarsi con cambiamenti di grande momento. Ernesto Galli della Loggia ha di recente indicato all’origine di questi timori «il venir meno di un’energia interiore, il perdersi del senso e delle ragioni del nostro stare insieme come Paese». La società civile appare dominata da una sorta di smarrimento, che riduce la volontà e la capacità di progettare, che trattiene dall’assumere impegni duraturi.
Nello smarrimento cresce e si alimenta la paura; questa attenua, fino ad annullarla, la fi-
ducia verso gli altri; induce ad atteggiamenti aggressivi nel vivere quotidiano, nell’ambiente di lavoro, tra vicini, all’interno delle stesse famiglie. È un processo pericoloso che va frenato al più presto. Allo smarrimento è necessario dare risposte rinvigorendo e rafforzando nella comunità sentimenti di coesione. È la comunità, con i suoi legami e i suoi meccanismi di riconoscimento reciproco degli individui che va oggi potenziata. Alle Istituzioni compete di stabilire le condizioni perché si crei la fiducia; fiducia dei cittadini tra di loro, fiducia nelle Istituzioni stesse. Fiducia che è altro da una ingenuità credula; è, piuttosto, disposizione d’animo a dare credito al prossimo e a se stessi per impegnarsi a superare assieme le difficoltà, ad affrontare situazioni complesse con una visione positiva. Alle generazioni adulte - ai padri - spetta la responsabilità di gettare le fondamenta del futuro e preparare i giovani a vivere con animo fiducioso le sfide che esso presenta. Sempre ai padri spetta trasmet-
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Nazione “
Se i Paesi che hanno dato vita all’euro sapranno rimettere l’Europa in movimento, daranno al mondo il segnale che la Ue non è concentrata solo sul dibattito istituzionale, ma affronta i problemi con decisione e senso di responsabilità tere i sentimenti che fanno di un gruppo di persone un popolo, di una estensione di terra una Patria. (...)
Ho appreso con piacere che nella scuola è stato ripristinato l’insegnamento dell’educazione civica e della Costituzione. Certamente la lettura di quel testo fondamentale potrà rivelarsi feconda per la formazione dei futuri cittadini. È, infatti, un testo ancora attuale perché solido nei principi fondanti della Repubblica, al tempo stesso aperto, capace di corrispondere ai cambiamenti economici e sociali. In esso si coglie, intatto, lo spessore morale che ne è alla base; si avverte l’intensità delle passioni, l’elevatezza dei valori che ispirarono i Costituenti. Quel gruppo di uomini, attraversato il lungo deserto della dittatura,
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della guerra, della sconfitta militare, diede sostanza, con la forza della cultura, con l’esemplarità dello spirito di servizio, alla domanda di pace, di democrazia, di stabilità, di futuro che gli italiani espressero con fermezza e convinzione mentre erano ancora aperte le ferite della guerra. I Costituenti, consapevoli delle diversità che connotano storicamente e culturalmente il nostro Paese e al contempo sensibili alle istanze di autonomia provenienti da alcune realtà territoriali, con lungimiranza considerarono un assetto istituzionale basato sui principi del decentramento politico e amministrativo. Con gli opportuni adattamenti, quei principi possono dare risposta piena all’attuale richiesta di un ordinamento che si richiama a mo-
delli di tipo federale. L’articolo 5 della Costituzione è esemplare nel suo equilibrio tra unità indissolubile della Repubblica e promozione delle autonomie locali.
diale. Le ragioni della pace, il rifiuto della guerra, matrice dell’ideale europeo, sono ormai patrimonio acquisito. Altre ragioni oggi rendono improcrastinabile un’accelerazione per far avanzare verso il suo compimento il disegno di un’Europa unita. (...) Non vi è tempo da perdere: il trasferimento di potere politico ed economico in atto nel mondo, dall’Ovest verso l’Est, rende ancora più urgente il superamento dello stallo istituzionale dell’Unione europea provocato dall’esito del referendum irlandese. Ogni sforzo deve essere compiuto perché il Trattato di Lisbona venga ratificato prima delle elezioni europee del giugno del 2009. Dopo otto anni di negoziati non si può abbandonare l’opera. L’Europa ha bisogno del Trattato perché alimentarsi del quotidiano non le basta più: per raggiungere risultati importanti deve darsi – al pari di ogni altra società, di ogni altro organismo politico – delle finalità. Politiche efficaci richiedono istituzioni autorevoli.
La modifica del sistema politico e amministrativo del nostro Paese attraverso il “federalismo solidale” è un passo di grande rilevanza e dagli esiti al momento non tutti prevedibili. Personalmente ho sempre avvertito la responsabilità e il dovere di richiamare il valore dell’unità nazionale, della fierezza di appartenere a un Paese ricco di storia, di cultura, di tradizione; ricco proprio in ragione delle sue diversità. Un Paese che sente di essere così unito dalla sua storia antica e recente non teme di dare spazio alle autonomie locali, se questo serve ad avvicinare sempre di più le istituzioni ai cittadini, perché questi se ne sentano parte viva, costitutiva. L’appartenenza alla comunità locale, prima radice sociale dell’individuo che apprende in tal modo a divenire cittadino, va riTuttavia, anche guardata nell’orizzonte più ampio di nella non auspicabiuna patria europea; le eventualità che non desiderata e necessitata fosse possibile dare soa un tempo, vaghegstanza all’accordo In alto, lo storico giata da idealisti di Lisbona, il camincontro fra nell’Ottocento, immino dell’integrapostata nelle sue li- Garibaldi e Vittorio zione non dovrà Emanuele II a nee essenziali alfermarsi. Un grupTeano. Qui sopra, l’indomani della sepo di Paesi può agiGiuseppe Mazzini conda guerra monre da apripista e
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mantenere così la rotta nell’avvicinamento all’unione politica. Una siffatta iniziativa non necessita di un nuovo Trattato. Quelli esistenti permettono che un gruppo di Stati dell’Unione possa intraprendere forme di cooperazione rafforzata. L’unica condizione è che esse restino aperte a tutti i membri che desiderino aderirvi anche successivamente. Diversi sono i settori dove queste cooperazioni rafforzate sono urgenti: crescita, energia, ambiente, clima, immigrazione. Anche nella politica estera e di difesa comune dobbiamo compiere passi avanti: la capacità dimostrata dall’Unione europea nella gestione della crisi in Georgia è un segnale incoraggiante. Le turbolenze sui mercati finanziari internazionali ci fanno prendere atto dell’enorme vantaggio per l’Europa di disporre di una moneta unica; questa emergenza deve essere la molla per una rinnovata solidarietà fra i Paesi della zona euro. Quando creammo la moneta comune eravamo consapevoli di compiere un rilevante atto politico, non solo monetario. Se i Paesi che hanno dato vita all’euro saranno capaci di assumere anche il compito di nucleo di avanguardia in grado di rimettere l’Europa in movimento, essi daranno alla comunità internazionale il segnale che l’Unione europea non è concentrata solamente su un complesso dibattito istituzionale, ma affronta i problemi con decisione e senso di responsabilità.
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Il discorso di Pier Ferdinando Casini, in occasione del premio a Carlo Azeglio Ciampi
Il «patriottismo costituzionale» di Pier Ferdinando Casini
ersonalmente, fra i tanti interventi di carlo Azeglio Ciampi da capo dello Stato, mi ha colpito, per la sua semplicità densa e “riepilogativa”, il messaggio di fine anno del dicembre 2005, l’ultimo. «Quello che mi ha sorretto e che ho cercato di trasmettervi – sono le parole del Presidente – è l’orgoglio di essere italiani. Siamo eredi di un antico patrimonio di valori cristiani e umanistici, fondamento della nostra identità nazionale». In questa frase si condensa il messaggio che Ciampi ha inviato, instancabilmente, agli italiani lungo tutto il suo settennato: l’unità del Paese attorno alla sua storia, ai suoi valori, e la concordia fra le culture che ne sono all’origine. A questo principio Ciampi ha informato, e unifor-
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mato, le sue scelte istituzionali e politiche, così come tutti i suoi atti, i suoi comportamenti, le sue esternazioni, rispetto alla dialettica tra i partiti e al confronto, a volte anche duro, tra maggioranza e opposizione. È stato importante riconoscere la condivisione di valori fondamentali da parte dello Stato e della Chiesa, la collaborazione tra laici e credenti come elemento di forza e ricchezza della Patria.
Ho sempre ritenuto che uno Stato davvero laico dovesse considerare l’identità cristiana come eredità storica, sociale e culturale di tutto il Paese. Non mi sono mai appassionato né interessato all’etichetta da attribuire al capo dello Stato, fosse cioè laico o cattolico, l’importante era che fosse conscio che la fede cristiana è un connotato essenziale della nostra identità nazionale. Ciampi ha incarnato questa posizione in modo esemplare. E tutti gli italiani si sono riconosciuti in lui. Io per primo. Uno dei grandi privilegi dei cinque anni in cui ho avuto l’onore di ricoprire la carica di Presidente della Camera, è stata la collaborazione col Presidente della Repubblica. A lui ho sempre manifestato una solidarietà e un rispetto che erano figli non di cortesia istituzionale, ma di profonde convinzioni personali. E su questa base si è sviluppato un rapporto sincero di condivisione di quelle che dovrebbero
essere le priorità per qualsiasi politico o funzionario impegnato, a qualsiasi livello, nelle istituzioni, e che abbia davvero a cuore l’interesse del Paese. In Carlo Azeglio Ciampi si è identificata l’Italia, si sono identificati gli italiani, al di là delle fedi e appartenenze politiche. In un Paese spesso diviso, addirittura spaccato a metà sul piano politico, Ciampi ha dato corpo alla concezione del “potere neutro intermediario”, ossia del potere che sta in mezzo ai poteri attivi per moderarli. Nelle fasi di maggiore conflittualità tra i partiti, sarebbe stato facile assorbire anche le istituzioni nello schema dell’occupazione politica secondo logiche di appartenenza. Mi sono sentito confortato nell’assolvere i miei compiti di Presidente della Ca-
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In un Paese spesso diviso, addirittura spaccato a metà sul piano politico, Ciampi ha dato corpo alla concezione del “potere neutro intermediario”
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mera dal modello di“patriottismo costituzionale” che si irradiava dal Quirinale. L’unica appartenenza che valga al di sopra delle parti è l’amor patrio. Il che significa cercare di fare il proprio dovere senza timore di“dire no”, alla maggioranza come all’opposizione, agli alleati come agli avversari, e alla stessa pubblica opinione, in nome di un interesse più alto e obbedienti alle proprie responsabilità verso il Paese. Il Presidente Ciampi ci ha dato la dimostrazione di come si possa affermare nei fatti, anche in quelli più controversi e insidiosi, la natura di garanzia delle alte cariche dello Stato e il rifiuto della tentazione di piegare le norme agli interessi di parte. Perché il mutare delle condizioni politiche, delle maggioranze di gover-
no, delle alleanze fra i partiti, non azzera la vita delle istituzioni, e non impone ogni volta di ripartire necessariamente da capo. Ciampi ha lavorato sul terreno politico e istituzionale per accrescere rispetto, collaborazione e legittimazione reciproca fra le parti politiche, per definire un sistema di regole realmente condivise. In una parola, per la continuità istituzionale. (...)
Con Ciampi nessuno si è più vergognato a dirsi italiano e patriota. Il patriottismo che Ciampi ha resuscitato è quello repubblicano inteso come passione civile che induce i cittadini, al di là delle diverse estrazioni sociali, culturali e politiche, ad agire concretamente per il bene comune. In questo senso, Patria e Bene comune, Libertà e Costituzione, sono concetti che si sostengono l’un l’altro. Solo attraverso il richiamo a questi valori è stato possibile tenere ferma la barra del timone sotto le spinte disgregatrici della società e politica italiane degli ultimi quindici anni. Non a caso ho citato il “patriottismo costituzionale”. Nell’ottobre del 2004 fu proprio Ciampi ad auspicare che «dall’amor di Patria più emotivo, quello che sgorga dal cuore, si passasse a un vero e proprio patriottismo costituzionale». (...) Ciampi è riuscito a promuovere i valori unificanti del popolo italiano, a restituire sostanza ad alcuni dei più immediati simboli di identità nazionale, dalla bandiera all’Inno di Mameli. Su suo impulso sono stati aperti al pubblico l’Altare della Patria e il Quirinale. Negli stessi anni – permettetemi di ricordarlo - anche Palazzo Montecitorio si apriva per diventare una casa di vetro. Grazie a Ciampi, abbiamo rivalutato e rilanciato i festeggiamenti del 2 giugno. E addirittura l’Epifania. Ancora lui ha ricordato che la cultura e la lingua sono le grandi anime dell’Italia e rappresentano qualcosa di cui tutti gli italiani devono sentirsi parte. Bisogna che soprattutto i giovani lo sappiano: nell’era della tecno-
logia, in un tempo sempre più schiacciato sul presente, i nonni e i padri hanno un’eredità importante da tramandare. Il “patriottismo costituzionale” rimanda a una carta di diritti e doveri, ma anche a radici comuni e a vincoli imposti dalla comunanza di storia e cultura. Comprendiamo allora la sincerità di Ciampi nel presentarsi “come un italiano a ogni altro italiano”, e l’ostinazione con la quale ha voluto fare visita ai sacrari militari italiani, da El Alamein a Cefalonia. C’è un legame per lui tra libertà comunale, Risorgimento, Resistenza e Costituzione repubblicana, come tappe di un unico processo storico. Una duplice continuità. Quella dello Stato, tra il Regno d’Italia e la Repubblica, per cui anche Vittorio Emanuele II va considerato un Padre della Patria. E la continuità della “res publica”, dall’Italia dei Comuni alla Carta del ’47. Ecco perché lo studio della storia è fondamentale e perché la memoria non serve solo a preservare. «La fiducia nell’avvenire – sono ancora parole di Ciampi - si nutre della memoria del passato». La memoria è punto di contatto tra passato e presente, ed è una lente di ingrandimento di grande efficacia per osservare il futuro. Dalla con-
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sapevolezza della propria identità italiana consegue un altro passaggio: la coscienza della comune identità europea. Ciampi ha portato il patriottismo in Europa prima di diventare capo dello Stato e promuovere il Tricolore in ogni casa, prima di far rinascere la Festa della Repubblica, il compleanno dell’intera nazione, prima di abituarci a vederlo cantare con la sua consorte l’inno di Mameli, l’inno del risveglio dell’Italia. Già da governatore della Banca d’Italia, nell’87 volle deporre una corona d’alloro alla stele di Punta Telegrafo a Cefalonia. La stessa battaglia per l’ingresso nell’Euro, che tante critiche ha sollevato ma che comunque ci mette oggi al riparo dalle turbolenze dei mercati garantendo la stabilità dell’economia, è nata forse da un sussulto patriottico, perché l’Italia non rimanesse esclusa dall’avventura monetaria europea. Una volta al Quirinale, Ciampi ha poi precisato che quella patriottica non era una campagna pianificata, un progetto costruito a tavolino insieme ai suoi collaboratori. E tuttavia, il suo impegno patriottico aveva, e ha, una forte componente emotiva. Ne abbiamo prove molto evidenti. Addirittura toccanti. Per me, indimenticabili.
Qui sopra, un momento della parata militare del 2 giugno: è stato proprio il presidente Carlo Azeglio Ciampi, durante il suo settennato, a riportarla in vita come momento simbolico dell’orgoglio della Patria. Sotto, il Presidente emerito a Siena, per il convegno di liberal
Io credo che la reazione di formidabile dignità e senso nazionale, di amore per la Patria e comunanza nel dolore che gli italiani hanno mostrato dopo la strage di Nassiriya, sia anche il frutto dell’esempio dato da Carlo Azeglio Ciampi.Tutti gli italiani si sono riconosciuti nella commozione del Presidente, nel novembre 2003, davanti ai 19 feretri di quelle vittime italiane. Nella camera ardente accarezzò le bare a una a una, posando a lungo entrambe le mani, in un gesto di dolore e rispetto, sull’ultima. Il 18 novembre, volle essere il primo a incamminarsi dietro il corteo funebre che usciva dalla Basilica. Non esitò a definire quegli uomini eroi, esortando i familiari a «non mollare», a essere fieri di ciò che i loro cari avevano fatto «per la pace e per la Patria». Ricordo la dignità con la quale il padre di uno di loro, il generale Ficuciello, accanto alla moglie e davanti alla bara del figlio disse al Presidente: «È morto da soldato». Con la stessa determinazione, sfidando le reazioni polemiche, Ciampi non esitò un secondo a firmare il decreto per conferire la medaglia d’oro a Fabrizio Quattrocchi, trucidato dai terroristi il 14 aprile del 2004 in Iraq. Perché
Quattrocchi era «morto da italiano». Vedo uno stretto legame tra il coraggio di questo atteggiamento e la linearità con la quale Ciampi ha esercitato il suo mandato istituzionale nei diversi frangenti della politica. Mi riferisco alla “non interferenza” con le posizioni espresse dai partiti nella formazione dei governi nel dicembre 1999 (quando vi fu il rimpasto del governo D’Alema) o nell’aprile 2000 (nomina del secondo governo Amato) e nel giugno 2001 e settembre 2004 in vista del secondo e
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più la sua autorevolezza e la sua capacità di influire sulla politica italiana. La sua è stata tutt’altro che una interpretazione rigida e ingessata dei ruoli istituzionali, e tuttavia non è mai andato sopra le righe, così come ha esercitato in modo appropriato il delicato esercizio del potere di rinvio.
Infine, vorrei ricordare due temi importanti, presenti nel messaggio di fine anno 2005, che ho citato all’inizio. Il primo è il richiamo all’amore per la famiglia come «nucleo fondamentale della società, punto sicuro di riferimento per ciascuno di noi». Il secondo è l’appello ai giovani. Un’altra costante del suo mandato. Ecco, rispetto a un panorama che ha molte tinte fosche, sia dal punto di vista dell’economia, sia da quello della tenuta morale e del senso civico, Ciampi non ha mai smesso di infondere fiducia nelle giovani generazioni e negli italiani. Un messaggio di ottimismo per una Patria che ritrovi nella concordia, e nell’idea di un diritto uguale per tutti, il modo per affrontare i momenti di crisi.
La sua è stata tutt’altro che una interpretazione rigida e ingessata dei ruoli istituzionali, e tuttavia non è mai andato sopra le righe poi terzo governo presieduto da Berlusconi, infine collaborando con l’esecutivo nello scioglimento delle Camere nel 2001 e 2006. Anche per questo si è potuta paragonare la presidenza di Ciampi a quella di Einaudi. L’uso delle esternazioni, di un’efficacia e un senso della misura impareggiabili, ha accresciuto ancora di
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religioni
Parla Gianfranco Ravasi, titolare del dicastero vaticano della cultura. «Difendiamo la nostra identità senza cadere nel sincretismo e nel fondamentalismo»
Il laicissimo monsignore «Chiesa e Stato stiano nel proprio campo. Ma siano unite sui valori fondamentali» colloquio con monsignor Gianfranco Ravasi di Francesco Rositano a chiari i suoi modelli monsignor Gianfranco Ravasi, titolare del dicastero vaticano della Cultura. Da un lato Karol Wojtyla, «il papa del dialogo»: lo stesso che pregò davanti al “muro del pianto” a Gerusalemme. Dall’altro Joseph Ratzinger, «il papa della ragione»: colui che recentemente parlando a Parigi di fronte a 600 intellettuali ha riportato ancora una volta l’attenzione sulla necessità di non espellere Dio dalla vita pubblica, perché qualora questo avvenisse si assisterebbe «ad una capitolazione della Ragione ed a un tracollo dell’Umanesimo». E ad entrambi si ispira nel suo delicato compito presso la Santa Sede. Un compito che egli stesso definisce di «frontiera»: il dialogo con il mondo laico, quello con la scienza, il rapporto con altre fedi religiose. Eccellenza, il 5 ottobre si apre il Sinodo dei Vescovi. Qual è il suo obiettivo? Il Sinodo ha come obiettivo quello di riattizzare, di riaccendere la passione per le Sacre Scritture nella comunità credente all’interno della sua vita, all’interno della sua comunicazione religiosa. Una passione che si era accesa notevolmente con il Concilio Vaticano II e che ultimamente si era un po’ stemperata: era quindi fondamentale provare a rivalorizzare questo che è comunque un cardine dell’esperienza ecclesiale. In secondo luogo è importante riflettere sul tema del linguaggio. E in particolare sui metodi, sulle tipologie per rendere la fede più comprensibile, più svelata nei suoi valori, nei suoi segreti e anche più incisiva per l’esistenza stessa dell’uomo. Il terzo obiettivo è quello di cercare che la Bibbia torni ad essere un punto di riferimento capitale per la cultura contemporanea e l’identità occidentale, come lo è stato per secoli. Pensiamo, ad esempio, cosa significhi per la storia dell’arte, per la musica, per la
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filosofia e per lo stesso ethos il Decalogo. Una grande novità di questo Sinodo è la partecipazione del rabbino capo di Haifa Shear-Yashuv Cohen. A che punto è il dialogo con l’ebraismo? Il dialogo con l’ebraismo ha il suo punto di svolta con il Concilio II, e in particolare con la Nostra aetate, un documento che ha implementato la consapevolezza delle radici ebraiche proprie della fede
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date con prudenza. Alle spalle ci sono dei nodi storici, delle esperienze che sono state anche traumatiche nei rapporti tra la comunità cristiana e la comunità ebraica del mondo. Ma la prospettiva entro la quale si muove la Chiesa Cattolica non è quella di una semplice aggregazione attraverso un’operazione di proselitismo. Il nostro compito è invece mostrare come entrambe le religioni, entrambe le culture hanno legami profondi, autentici, strutturali. Questa è forse l’operazione che bisogna fare guardando avanti, guardando verso il futuro, senza continuare sempre a risalire a ragioni precedenti. Questo direi è l’apertura dell’orizzonte. Certamente - come in tutte le questioni che hanno avuto alle spalle momenti difficili - restano delle ferite e cicatrici che non si cancellano automaticamente. Ma è importante che il corpo vivo continui la sua vita e la continui nel miglior modo possibile. Questa penso sarà la linea che verrà adottata sia dal Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso, sia soprattutto da Benedetto XVI. In questo contesto la partecipazione al Sinodo del rabbino capo di Haifa è certamente un avvenimento importante. Allo stesso modo in cui lo è il fatto che diversi ebrei leggeranno la Bibbia in occasione della grande maratona no-stop che per sei giorni vedrà impegnati cristiani, musulmani e ebrei nella lettura di questo testo fondamentale per l’Occidente. È noto che il rabbino di Roma alla fine ha deciso di non partecipare, ma questo non vuol dire che egli non condivida l’iniziativa: altrimenti non avrebbe fatto, come invece è accaduto, una dichiarazione di sostegno. A suo avviso, quali sono i passi per un dialogo costruttivo tra laici e cattolici, tra Stato e Chiesa? Direi che bisogna partire dal concetto di cultura. E il concetto di cultura è sempre meno identifica-
La Bibbia deve tornare ad essere un punto di riferimento per l’Occidente, come lo è stata per secoli. Ecco uno degli obiettivi del Sinodo dei Vescovi che si apre il 5 ottobre
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cristiana. Ed è su questo piano che si deve continuare. Si deve, cioè, affermare che le Sacre Scritture di Israele sono sacre anche per noi cristiani. Ci unisce quindi un patrimonio comune che non possiamo non considerare. Poi, bisogna svolgere un lavoro di tipo più diplomatico che ha bisogno delle cadenze e delle scandenze, insomma di tempi più lunghi, che sono fondamentali in tutti i grandi dialoghi culturali e religiosi. Da alcuni esponenti del mondo ebraico questi passi di riavvicinamento da parte del cattolicesimo vengono guar-
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bile, come invece avveniva in pasquello della fede e della scienza. sato, con la cosiddetta cultura alAnche qui c’è una laicità della ta-intellettuale: la musica, la filoscienza, però al tempo stesso non sofia, l’alto pensiero. La cultura c’è l’assolutezza della scienza. Cooggi è sempre più concepita come me la religione stessa alla fine non la dimensione trasversale che atdeve avere un’assolutezza al puntraversa tutti gli aspetti dell’eto tale da comandare persino la sistenza e della ricerca umatipologia della ricerca scientina nella loro funzione di fica o di finalizzarla in mainterrogazione e di senniera apologetica a se so. In questa luce, prostessa. Altro esempio: penprio perché la cultura coinsiamo al tema stesso dell’ecocide con la ricerca di senso, è nomia. L’economia che sta sconlegittimo che questa domanda finando sempre più verso forme di abbia in sé anche delle valenze modelli di sviluppo, di tecnica fitrascendenti: cioè che ponga delle nanziaria, di tecnica monetaria. domande anche con dei valori suOra noi sappiamo, per fortuna, periori. Detto ciò, è chiaro che il che una corrente dell’economia compito della comunità ecclesiale sta cambiando concretamente la non è quello di affrontare i probleconcezione e quindi riesce a ricomi nella loro dimensione concrenoscere che non è sufficiente la ta, ma di affrontarli nel modellistica: Joseph Stiloro significato profonglitz, Muhammad Yunus do e nel loro valore ulche ricordano come l’etimo. La Chiesa quindi conomia sia una scienza deve rispettare il proumanistica, cioè faccia prio campo che è quelriferimento alle regole di lo delle grandi interrouna casa comune che gazioni, della grande tutti vivono e condividoricerca di senso, della no. Infine c’è il problema grande ricerca di valodelle culture emergenti. ri, evitando di offrire Dobbiamo cercare di afun equilibrio delicato perché c’è soluzioni concrete alla politica. facciarci e di dialogare con questi sempre un terzo soggetto. Però inIl suo ragionamento sembra nuovi modelli antropologici e andubbiamente esistono dei campi: ricondurre al concetto di che sociali che si presentano: penla laicità con la sua identità e dal«laicità positiva», richiamato siamo all’India, alla Cina, all’Afril’altra parte la religione con l’idendal Papa e dal presidente ca. Anche qui l’equilibrio da ragtità propria. Anche se, a mio avvifrancese Nicolas Sarkozy nel giungere è delicato: da un lato, inso, questo richiamo ad alcuni vasuo ultimo viaggio in Franfatti, il Vecchio Continente deve lori fondamentali antropologici e cia. cercare di non perdere lentamente sociologici, non riguarda solo la È un discorso che ci spinge a capile proprie identità rispetto a quereligione ma la cultura nel signifire profondamente il significato ste altre che avanzano, pensiamo cato più nobile del termine. dell’espressione «date a Cesare all’islam. Insomma deve fare in In che modo il Pontificio quello che è di Cesare e a Dio modo che esse davanti a sé non Consiglio per la Cultura può quello che è di Dio». Non è un catrovino il deserto, perché noi ci so, infatti, che la moneta mostrata contribuire a creare questo siamo ormai del tutto scoloriti. da Cristo avesse il volto di Cesare. terreno favorevole di scamQuindi dobbiamo combattere il Questo vuol dire che ci sono le bio? sincretismo. Dall’altra parte però leggi dello Stato, dell’economia. Noi ci stiamo interessando con dei bisogna impedire che per difendeC’è quindi un settore specifico, dipartimenti specifici su alcuni tere la propria identità si neghi quelproprio, normativo nella comumi che esigono continuamente di la altrui: in poche parole bisogna nità: è questa la laicità in senso stare sulla frontiera: cioè ognuno avversare il fondamentalismo. Come ci si pone, invece, con i stretto. D’altra parte, però, Cristo deve stare con i propri piedi ben non credenti? quando aggiunge «e date a Dio ciò piantati nel proprio territorio ma che è di Dio» ricorda che indiretIl dialogo con i non credenti atguardare anche dall’altra parte. tamente l’uomo è immagine di tualmente è diventato più arduo Faccio alcuni esempi: il primo è Dio. Ecco la seconda dirispetto al passato. Il primo mensione, cioè la funzione motivo risiede nel fatto che della religione: ricordare si è estinto il grande ateiche ci sono anche temi ultismo. Ed esso rappresentava Nato a Merate, classe 1942, sacerdote dal 1966, polimi, ulteriori rispetto a quelun interlocutore significatiglotta (conosce il greco antico, l’ebraico, oltre ad una li penultimi della società. È vo perché proponeva una dozzina di lingue moderne e antiche), Ravasi è approconcezione di vita alternatinaturale, inoltre, che se dato nella Curia Romana prendendo il posto nel diva al cristianesimo. Una questi temi ultimi vengono castero vaticano della Cultura del cardinale francese concezione completa e di ricordati dalla Chiesa diPaul Poupard, che dopo aver compiuto i 77 contenuto su diversi ambiti: ventino in qualche modo anni si è ritirato in pensione. Ha avuto anche la delesu Dio, sull’io, sul non io, anche oggetto di attenzioga della presidenza della Commissione per i Beni sul mondo, sulla giustizia, ne all’interno dell’elaboraCulturali della Chiesa e per l’Archeologia sacra, un sui temi etici. Invece, oggi, zione della laicità, perché organismo che gestisce un patrimonio senza rivali nel dialogare è diventato difficostituiscono l’impasto delmondo. Grazie a questo accorpamento, al sacerdote cile perché abbiamo a che l’uomo vero. Certamente la ambrosiano - che è anche arcivescovo titolare di Villafare con una mucillagine, Chiesa non può appoggiamagna di Proconsolare - è stato affidato un dicastero con la nebbia. Con realtà re lo Stato che prevarica che acquisisce importanza strategica, sia dal punto di che mettono in atto una bal’uomo, l’ingiustizia, l’opvista culturale che da nalizzazione del fenomeno pressione, il cattivo goverquello della gestione delle ricchezze e dei tesori del religioso, lo trattano con no. Oppure non può appogcattolicesimo universale. Uno dei temi chiave che il sarcasmo, ma non hanno giare l’economia che presuo ministero sta affrontando - in coordinamento con gli argomenti per frontegscinde dalla dignità della il Consiglio per il dialogo interreligioso a cui era stato giarlo sul piano dei contepersona, dalla libertà, dalla in un primo tempo accorpato da Benedetto XVI e poi nuti. Insomma mettono in possibilità di attuazione nuovamente scorporato - sarà il rapporto tra le civiltà atto una demitizzazione delle capacità umane di e le culture diverse. sarcastica che rasenta il molte persone. Ecco qual è fondamentalismo. l’equilibrio da raggiungere:
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La religione deve rispettare il proprio campo che è quello delle grandi interrogazioni, della grande ricerca di senso, della grande ricerca di valori, evitando di offrire soluzioni alla politica
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il personaggio
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cultura
Le riforme possibili (e praticabili) del sistema scolastico italiano secondo Ernesto Galli della Loggia
«Insegnanti, ora tornate a insegnare» colloquio con Ernesto Galli della Loggia di Alfonso Piscitelli rnesto Galli della Loggia nel suo editoriale del 21 agosto sul Corriere della Sera ha affrontato in maniera organica la questione della crisi della istruzione. Le affermazioni come sempre sono nette: egualitarismo, confusione dei ruoli, politiche sociali demagogiche sono alla radice dei mali che affondano una istituzione-cardine. Per estirpare questi mali occorrerebbe «una battaglia epica». Quale potrebbe essere il primo passo per determinare un cambiamento concreto? Un primo passo si potrà compiere quando si avrà ben chiaro il traguardo di scuola al quale si vuole mirare. Io penso che il traguardo debba essere una scuola diversa da quella attuale, una scuola fortemente orientata al principio dell’insegnamento e dell’apprendimento delle nozioni. La scuola non è una agenzia del Welfare e non ha il compito precipuo di insegnare l’educazione stradale… I docenti sono stati trasformati in una sorta di assistenti sociali. Invece la loro funzione è la trasmissione delle conoscenze. D’altra parte, giovani che hanno ricevuto una buona cultura, sono di norma dei buoni cittadini, che rispettano le leggi. Una buona istruzione è già di per sé disciplina civica… Esatto. Bisogna andare verso una scuola che faccia piazza pulita di tutte le “attività aggiuntive” che si svolgono oggi nelle aree scolastiche: conferenze, proiezioni cinematografiche, recital. Tutte cose con le quali la scuola cerca pateticamente di scimmiottare la realtà esterna e che servono solo a ridicolizzare i professori. Proporrei anche la riduzione drastica di quello che si chiama il Pof. Il Piano dell’Offerta Formativa, che in alcuni istituti pretenziosi raggiunge il centinaio di pagine. Bisognerebbe anche avere il coraggio di gettare a mare alcuni luoghi comuni tipo quello della autonomia scolastica come panacea di tutti i mali. In realtà i presidi non hanno nessuna autonomia di spesa se non per le piccole incombenze quotidiane ed è irrealistico pensare che in
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Italia ci siano dei privati interessati a finanziare i progetti della scuola. Ci deve essere al contrario un rivalutazione del potere ministeriale, del potere del centro di organizzare l’istruzione. Proprio in una prospettiva federalista è necessario tenere in piedi alcune strutture unificanti e la scuola è una di queste. E per quanto riguarda il dibattito sulla identità delle scuole superiori? Accanto a un percorso di istruzione liceale ci deve essere necessariamente un percorso distinto di formazione professionale: non può esserci un solo percorso più o
meno simile per tutti gli istituti. La panliceizzazione, la volontà di trasformare tutti gli istituti in pretesi Licei, che è stata perseguita anche dalla Moratti, è un errore. Nell’articolo sul Corriere del 21 agosto lei proponeva di semplificare i curricula di studi intorno a due poli fondamentali: quello storicoletterario-umanistico e quello scientifico-matematico. Gli studenti italiani studiano troppe cose per troppe ore alla fine imparano poco. L’orario scolastico italiano è il più lungo d’Europa e si potrebbe tranquillamente ridurre, per insegnare con efficacia le cose più importanti. Ma nello stesso tempo bisognerebbe anche affermare il principio che gli stipendi vanno legati al merito degli insegnanti. Nel disegno di legge Aprea c’è la proposta di introdurre una articolazione delle carriere dei docenti su tre livelli. Penso che si debba arrivare per forza
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Bisognerebbe avere il coraggio di gettare a mare alcuni luoghi comuni tipo quello dell’autonomia scolastica come panacea di tutti i mali
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ad una diversificazione secondo il merito. Non c’è nessuna organizzazione al mondo efficiente che paghi allo stesso modo tutti i dipendenti. Lei ha definito il ministro Gelmini “volenterosa”. Penso che il ministro Gelmini abbia delle idee abbastanza chiare sulla direzione di marcia, forse largheggia troppo negli annunci. Deve forse pensare a concentrarsi su alcuni obiettivi perseguibili, rinunciando ad essere continuamente presente con dichiarazioni, e lasciar parlare i fatti. Per il resto la sua direzione mi sembra quella giusta. Lei ha sostenuto che il modello scolastico italiano si infrange di fronte alla repentiErnesto Galli della Loggia, sul ”Corriere della Sera”, ha affrontato la questione della crisi dell’istruzione. liberal lo ha intervistato sulle possibili riforme necessarie a migliorare l’intero sistema
na modernizzazione dell’Italia alle soglie degli anni Sessanta. Quindi il modello scolastico si sarebbe incrinato già prima del fatidico ’68 che – almeno da parte di ambienti conservatori – viene indicato come l’annus horribilis della società italiana. Il ’68 è stato un momento culminante di una modernizzazione più radicale della società italiana, che trasformandosi ha smarrito la sua identità. E un paese che ha un senso debole della propria identità non può avere un buon sistema scolastico. La scuola dovrebbe insegnare ai ragazzi chi sono, da dove vengono, il loro posto nel contesto internazionale. Diciamo anche che l’Italia conferma anche nella scuola la presenza di docenti che ancora hanno il senso della propria missione. E per forza! Su un milione e duecentomila persone è impossibile che non vi siano persone che si innalzano al disopra della soglia della mediocrità, qui però non parliamo di individui, ma di una istituzione nel suo complesso. Chi ha più colpa in questo sfascio? Come dicevo il cambiamento del paese non gestito opportunamente è stato l’elemento fondamentale. In subordine, la responsabilità maggiore è sicuramente del sindacato, il quale è il responsabile primo di tutto lo sfacelo della amministrazione italiana. Nel pubblico impiego il sindacato è stato chiamato a cogestire ed ha svolto un ruolo di “datore di lavoro ombra” ed ha avuto di mira un unico obiettivo: la moltiplicazione massima dei posti, cosa che corrispondeva al suo interesse. Più posti, più lavoratori, più tessere e fiumi di soldi che entravano nelle casse sindacali. Hanno fatto con i docenti la stessa cosa che hanno fatto con le guardie forestali in Calabria. I docenti italiani non hanno capito che allargare a dismisura le proprie file significava squalificare la professione, danneggiare gli studenti. Ammaliati dall’egualitarismo ideologico anche i migliori docenti non hanno compreso che il loro interesse vero era contro l’egualitarismo. Ora qualunque ministro che voglia davvero cambiare le cose dovrebbe combattere contro i sindacati e contro gli stessi professori. C’è qualche modello scolastico in Europa che ritiene esemplare? Non si tratta di rincorrere una modellista straniera. C’è da seguire per principio l’esempio di paesi seri che – ognuno con le proprie specificità culturali – non hanno lasciato corrompere l’apparato dell’istruzione. Da questo punto di vista tutti gli altri sistemi scolastici sono migliori di quello italiano: quello della Germania, della Francia, della Finlandia… E anche quello della Turchia, a quanto pare! Il sistema scolastico della Turchia a dire il vero mi sfugge…
società
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Manuale d’uso di un farmaco utile e inspiegabilmente osteggiato arco (pseudonimo) è un ragazzo di 13 anni, i cui genitori sono preoccupati per il suo scarso rendimento a scuola e la sua iperattività (infastidisce i compagni, insulta tutti). In classe è il primo a essere incolpato per una lite, tanto che i compagni lo provocano proprio per scatenare qualche piccola rissa di cui è l’immancabile capro espiatorio. I docenti pensano di affiancargli un insegnante di sostegno, un’idea che lui rifiuta per non sentirsi ancora più diverso. Il suo pediatra gli ha prescritto un farmaco antipsicotico che si è dimostrato efficace come sedativo, una pratica diffusissima, inutile, pericolosa, ma stranamente accettata da tutti e mai denunciata sui media. Per alcuni mesi, Marco rimane confinato all’ultimo banco semiaddormentato tutto il giorno, ma calmo. Nel frattempo è aumentato di peso (otto chili) suscitando l’ulteriore derisione dei compagni. I genitori cercano un altro parere specialistico e, identificato il disturbo dell’attenzione, ADD, gli viene prescritto del Ritalin a basse dosi, dopo la sospensione dell’altra terapia.
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Nel giro di qualche settimana, Marco riprende a studiare senza essere iperattivo, riesce a controllare meglio le sue reazioni e gli insegnanti si accorgono che non è lui l’istigatore delle liti in classe. In più, nel giro di qualche mese, recupera il programma di studio perduto e viene promosso. Questa non è l’eccezione ma la regola. Il disturbo principale riguarda l’attenzione, spesso accompagnato da iperattività come conseguenza della mancata concentrazione su un compito o un’attività. Un tempo i maestri dicevano di questi bambini (e tal-
Ecco perché il Ritalin non va demonizzato di Leonardo Tondo volta continuano a dire): «È tanto intelligente, ma non si applica». Ciò produce frustrazione a cui si reagisce interrompendo le attività degli altri, lasciando il posto al banco,
muovendosi continuamente, suscitando il rifiuto da parte dei compagni. All’origine del disturbo è presente una combinazione di cause biologiche e ambientali come accade, in
percentuali variabili, per molti problemi psicologici.
Quelle biologiche suppongono un ritardo di maturazione di alcuni centri cerebrali legati all’attenzione verbale, senza intaccare l’intelligenza globale. Quelle ambientali sono spesso presenti ma poco chiare e, in ogni caso, richiedono interventi psicosociali che richiedono tempi tanto lunghi da essere incompatibili con un
rano a vedere il figlio laureato, la decisione di mandarlo a lavorare come meccanico o falegname non è presa facilmente, anche se è quella a cui ricorrevano i padri di una o due generazioni fa («se non studi, vai a lavorare»). L’ADD infatti è un disturbo concentrato sull’apprendimento verbale. È come dire che questi ragazzi hanno un talento per il movimento e l’orientamento spaziale ma non per lo studio (al contrario delle ragazze che hanno in genere un’intelligenza verbale spiccata). La maggior parte degli sportivi presentano un qualche deficit attentivo verbale, ma la minima percentuale di ragazzi che “sfonda”nello sport non rappresenta una lecita aspirazione per il futuro di un figlio. Se invece si vuole correggere il problema dell’attenzione, la terapia con stimolanti è la migliore per la velocità di azione (con un’alta percentuale di successi) e per la rarità di effetti collaterali.
Grazie al medicinale, molti adolescenti ritrovano la giusta concentrazione e tornano a studiare controllando meglio la propria iperattività. Questa non è l’eccezione ma la regola percorso scolastico. Ma non basta: la perdita di interesse nello studio determina mancanza di gratificazione (studenti che stanno sui libri per ore e ottengono voti bassissimi) che negli anni si trasforma spesso in abbandono degli studi, con il conseguente risultato di avvicinarsi a spinelli ed ecstasy (l’uso di sostanze è presente nel 40% degli adolescenti con ADD) .
Non tutti i ragazzi con il disturbo dell’attenzione abbandonano gli studi, ma quelli che lo fanno spesso ce l’hanno. In una società come la nostra, dove tutti i genitori aspi-
L’ostilità verso il trattamento dell’ADD si colora di battaglie contro avide multinazionali farmaceutiche (il Ritalin è un vecchio farmaco che costa pochi euro) e contro la mancanza di prove biologiche certe che però sono assenti in tutti i disturbi psichiatrici. A meno che non si voglia negarne l’esistenza, facendo così un balzo di trent’anni, indietro. Professore Associato di Psicologia Generale, Dipartimento di Psicologia, Facoltà di Scienza della Formazione, Università di Cagliari. Lecturer in Psychiatry, Harvard Medical School, Cambridge, Ma, Usa. Master of Science in Epidemiology, Harvard School of Public Health, Boston, Usa
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arte
Un quadro una storia. Viaggio simbolico nei dipinti mistici di Giovanni Bellini, in occasione della mostra monografica che si apre oggi alle Scuderie del Quirinale
Il pittore delle Madonne di Olga Melasecchi a fama di Giovanni Bellini, noto anche come il Giambellino (Venezia 1434/40 – 1516), è legata principalmente alla sua produzione di Madonne con Bambino. Questa fama si è consolidata in modo particolare in epoca ottocentesca, l’epoca della celebrazione dei più fondanti valori cristiani, allorquando venne analogamente creato il mito di Raffaello pittore di Madonne.
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Limitare la grande figura dell’artista veneziano a questa produzione è tuttavia riduttivo e non rispettoso della sua lunga carriera pittorica, durante la quale il Bellini creò alcuni tra i più importanti capolavori del Rinascimento, dall’Orazione nell’Orto, ora alla National Gallery di Londra, da sempre posto nei manuali di storia dell’arte in comparazione con l’analogo soggetto del cognato Andrea Mantegna - che aveva sposato la sorella Nicolosia - alla Sacra allegoria degli Uffizi, il dipinto più misterioso della storia del Rinascimento italiano, più enigmatico perfino delle più esoteriche composizioni di Giorgione o del Botticelli. L’attività di questo caposcuola, maestro di Giorgione e di Tiziano, e di una folta schiera di artisti minori, era incentrata sulle committenze religiose, con le imponenti pale d’altare, dalla Pala di San Zaccaria alla Pala di San Giobbe, per citarne solo alcune, e su quelle pubbliche come i perduti téleri con Storie di Venezia a Palazzo Ducale, distrutti da un incendio nel 1577, perdita gravissima che non permette di avere una visione a tutto tondo della sua personalità in quanto lacunosa di uno dei generi pittorici più importanti, la pittura di storia. Ciò nonostante rimane uno dei più grandi geni della storia dell’arte italiana, quasi ogni sua opera rappresenta un nodo di svolta tra il vecchio mondo e il nuovo mondo, tra l’eredità bizantina e la modernità rinascimentale, anche Giovanni Bellini rientra così nell’aurea “età fidiaca” dell’arte italiana, come l’aveva genialmente co-
niata Roberto Longhi. «Per cinquant’anni», scriveva il grande critico Bernard Berenson, «Giovanni guidò la pittura veneziana di vittoria in vittoria: la trovò che rompeva il suo guscio bizantino, minacciata di pietrificarsi sotto lo stillicidio di canoni pedanteschi, e la lasciò, nelle mani di Giorgione e di Tiziano, l’arte più completamente umana di qualsiasi altra
trambi raffinati ritrattisti, entrambi profondi conoscitori delle teorie neoplatoniche, introdotte a Venezia dal poeta Pietro Bembo, creatori entrambi di tipologie compositive divenute veri e propri manifesti delle verità di fede del culto cattolico.
Entrambi, è vero, grandi pittori di Madonne. Ma, a ben
Con straordinaria eleganza, s’è fatto interprete di Maria ora come «solida rocca, città murata e fortificata; ora come aurora splendente o nuvola mattutina» che il mondo occidentale conobbe mai dopo la decadenza della coltura greco-romana». La sua grandezza era riconosciuta anche dai suoi contemporanei, sue opere erano richieste dalle maggiori famiglie veneziane, e non solo, e nel Seicento il veneziano Marco Boschini porrà Bellini e Raffaello sullo stesso piano. En-
guardare, con uno spirito completamente diverso. Nelle sue Madonne Raffaello infonde uno spirito sereno, una dolcezza materna assolutamente nuova, tra la Madre e il Figlio scorre un sentimento vivo di profonda comunione, un intimo colloquio di anime beate, mentre sulle Madonne del Giambellino, all’opposto,
grava un senso di infinita tristezza.
Se nel primo prevale la fede nell’amore divino, nel secondo è invece presente il sacrificio compiuto da quell’amore, il sacrificio dell’unico Figlio fattosi uomo per essere più vicino all’umanità dolente. Sono entrambi interpreti moderni di antiche e consolidate tipologie iconografiche bizantine: Raffaello predilige l’icona della cosiddetta Madonna della tenerezza, la Madonna di Vladimir del XII secolo, mentre Bellini prende come modelli sia la tipogia iconica della Madonna Odighitria, la «Vergine che mostra la Via», raffigurata frontale con accanto il Bambino frontale e benedicente, sia la tipologia nordica del Vesperbild, ossia della Madonna con il Cristo disteso in grembo, qui ancora infante. Si tratta dell’iconografia della Pietà, tema nordico diffuso nel Veneto dalle molte sculture tedesche esistenti, che era stato rielaborato anche da Michelangelo nel suo gruppo statuario in Vaticano del 1499. L’attenzione al presagio del sacrificio posta dal Bellini è ancora più esplicita con l’altrettanto consistente produzione di opere relative al Compianto di Cristo, al suo corpo martoriato e dolente sorretto dagli angeli o dalla Vergine, come nella meravigliosa Pietà di Brera del 1460-65, capolavoro assoluto del maestro veneto, in cui per la prima volta percepiamo il sentimento panico della natura partecipe con senso di profonda compassione del doloroso evento che si era compiuto. La modernità della traduzione dei modelli di riferimento precedenti è posta nell’evidenziare, fin dalla tenera età, l’umanità del Figlio di Dio. Come si vede, ad esempio, in questa Madonna con Bambino, il Battista e una santa, nota anche come Madonna Giovanelli dal nome del suo ultimo possessore e ora nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Dipinta dal Bellini in un arco di tempo compreso tra il 1500 e
A sinistra, ”Cristo morto nel sepolcro sorretto da due angeli”, 1470 circa, olio e tempera su tavola, cm 64,5 x 50 x 3,5, Venezia, Museo Correr. A destra, ”Madonna col Bambino, il Battista e una Santa” (Sacra Conversazione Giovanelli), 1500 circa, olio su tavola, cm 55 x 77, Venezia, Gallerie dell’Accademia. In basso a destra, ”Vergine col Bambino e donatore”, 1485-1490 circa, olio su tavola, cm 83 x 69 (per gentile concessione del conte e della contessa di Harewood e i Trustees dell’Harewood House Trust)
il 1502, mostra, subito dietro un basso parapetto su cui è la firma del pittore, la Madonna sorreggente il Bambino al centro, alla sua destra San Giovanni Battista con la croce, suo attributo, e, a sinistra, una santa con le mani incrociate sul petto, priva di attributi, ma forse Santa Barbara per la presenza di una torre in lontananza accanto alla sua testa. Sul fondo, al di là di un lembo d’acqua, una città turrita e ancora in fondo le montagne azzurrine, come andava insegnando in quell’epoca Leonardo. L’espressione dei volti è malinconica, non c’è gioco di sguardi, i personaggi non comunicano tra loro, ognuno medita nel proprio cuore il dolore e la consapevolezza della ineluttabilità della futura Passione. La Madre sorregge il Figlio con un gesto che è anche un dono, le sue mani sembrano porgerlo verso il riguardante, il Bambino
arte
non dorme, ha gli occhi aperti rivolti verso la fonte di luce che scende dall’alto e lascia in ombra solo il Battista, il passato. Ha già i piedini incrociati, come saranno poi sulla croce, e, particolare misterioso, la Madre gli chiude un orecchio, così come vediamo anche nella Madonna con Bambino e donatore dell’Harewood House Trust, dipinta circa dieci anni prima. Guardiamo però attentamente particolari in apparenza secondari: dietro il Battista distinguiamo un castello; tra lui e Maria il porto con la nave in riposo e la città che sale fino ad un’inespugnabile rocca; tra Maria e la santa un cascinale, il pastore col gregge, un viottolo che sale verso un borgo con chiesa.
Ma Bellini era un pittore di profonda cultura, e infatti «questo paesaggio d’apparenza “naturale”», ha scritto lo storico
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la mostra Si apre oggi ufficialmente presso le Scuderie del Quirinale a Roma la mostra monografica «Giovanni Bellini», interamente dedicata al grande pittore veneziano. L’iniziativa viene riproposta a quasi sessant’anni dall’unica, sempre ricordata, esposizione belliniana di Rodolfo Pallucchini, a Palazzo Ducale di Venezia nel 1949. Per la mostra saranno portati nella Capitale oltre sessanta dipinti, ovvero circa i tre quarti della produzione certa del Bellini e provenienti dai più grandi musei del mondo: da Firenze a Milano, da Parigi a Londra, da Madrid a New York e San Paolo del Brasile. Accanto alle grandi pale d’altare, fra cui la tavola di oltre quattro metri del «Battesimo di Cristo» e la «Pala di Pesaro», si avrà modo di ammirare le opere sacre di committenza privata e pubblica, come le serie complete dei «Crocefissi» e le «Pietà». Ma anche le meno conosciute e sorprendenti allegorie e mitologie, con capolavori come la «Continenza di Scipione», un fregio di oltre tre metri che simula il marmo, mai finora uscito dalla National Gallery di Washington. La mostra «Giovanni Bellini» rimarrà aperta presso le Scuderie del Quirinale di Roma fino al prossimo 11 gennaio 2009.
tatta, aurora splendente, cielo luminoso, nuvola mattutina. Lucidamente organizzato secondo la partizione tra malinconie cristologiche in primo piano e consolazioni mariane nello sfondo, il dipinto è uno strumento perfetto di orazione mentale, di mnemotecnica devozionale; ma è anche caso rarissimo di repertorio univoco, di schema ordinato, di spazio conciliato». d’arte veneta Augusto Gentili, «è in realtà interamente costruito con gli attributi/epiteti mariani confluiti in uno sterminato repertorio: Maria come solida rocca, fortezza, torre, città murata e fortificata; porto protetto e felice dell’approdo e della salvezza; pascolo fertile e ameno; via e porta del cielo e della chiesa; a ancora, montagna eccelsa e in-
Su tutto domina la luce - ecco il Bellini esperto sperimentatore degli effetti tonali del colore una sapiente luce grigio argentea che consola il Bambino e unifica tutte le cose, i personaggi come il paesaggio retrostante per baluginare in fondo tra i monti in un’aurora purissima e gravida, come la Vergine, di fede e di speranza.
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LA DOMANDA DEL GIORNO
Tagli all’editoria, quotidiani a rischio? ECCOLI QUA I COLOSSI DELL’EDITORIA ITALIANA, DIRETTA ESPRESSIONE DEI GRUPPI ECONOMICI Un mio amico mi ha spiegato molto bene quello che è accaduto e mi ha fatto pensare molto all’intera faccenda. Dunque, il ministro Tremonti ha tagliato quasi 200 milioni di euro in due anni ai giornali che usufruiscono, secondo la legge vigente, dei contributi pubblici diretti, cioè alle testate non profit, edite da cooperative di giornalisti o di proprietà dei partiti. Ci sarebbe da discutere il metodo: un decreto. Attendiamo da tempo immemorabile una vera riforma del sistema, lo stesso sottosegretario alla presidenza del consiglio, Paolo Bonaiuti, ha depositato un disegno di legge che prevede un impianto di norme assai differenti. Ci sarebbe da discutere l’ispirazione: nessuna volontà di fare pulizia in una giungla di testate che ricevono contributi per giornali che hanno appena qualche foglio, sono di proprietà di partiti inesistenti o di cooperative mascherate, non hanno mai visto l’edicola o non assumono lavoratori. Ma c’è da discutere, si fa per dire, soprattutto una scelta: la scure di Tremonti si abbatte esclusivamente sui contributi diretti risparmiando quelli indiretti, cioè quelli che nel 2005, attraverso i rimborsi postali, hanno consegnato 20 milioni di
LA DOMANDA DI DOMANI
I media contro Lilli Gruber. Cosa pensate della nuova Otto e 1/2? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
euro al Gruppo Mondadori, 17 al Sole-24 Ore e 13 alla Rcs. Sono i colossi dell’editoria italiana, diretta espressione di grandi gruppi economici e assai dipendenti dai poteri politici. Per loro, il governo di un paese allo stremo non prevede sacrifici. Cordialmente ringrazio per l’ospitalità sulle pagine del vostro giornale. A presto e buon lavoro.
Marco Valensise - Milano
È L’ENNESIMO ATTENTATO ALLA LIBERTÀ DI INFORMAZIONE NEL NOSTRO PAESE Questo è l’ennesimo attentato alla libertà di informazione nel nostro Paese che rischia di cancellare definitivamente le voci più libere e meno allineate del nostro panorama editoriale.
Amelia Giuliani - Potenza
LA QUALITÀ LA DEVE GIUDICARE IL MERCATO, NON CERTO LO STATO, NON CERTO I POLITICI «Gongolo».Termine perfetto per indicare il mio stato d’animo quando ho letto la notizia: arrivano i tagli all’editoria! Niente più finanziamenti statali per tenere in vita giornali letti da quattro gatti! E’ una questione importantissima, perché la qualità la deve giudicare il mercato, non lo stato, non i politici. Se un giornale viene letto e ha un bacino di lettori ampio, allora merita se, al contrario, un giornale nessuno se lo compra, manco per usarlo come carta igienica, mi dite perché dovrei finanziarlo con soldi statali e, quindi, con le mie tasse?!? Tanta, tanta cordialità.
Susy Ragno - Napoli
SCAMBIANDO GLI ADDENDI, DESTRA E SINISTRA, IL RISULTATO NON CAMBIA Ragazzi questa è la destra, ovvero la prima destra. Di cosa vi lamentate? Ma state tranquilli che se alle prossime elezioni vincerà il centrosinistra, ovvero la seconda destra, magari con l’appoggio della sinistra radicale, ovvero la terza destra, rimarrà tutto come prima. Anzi, rimetterrano l’Ici e il ticket di 10 euro sulle ricette della povera gente, con la solita scusa del debito pubblico.
PERCHÉ SILVIO BERLUSCONI PIACE TANTO AI GIOVANI DI AN? Quando ho visto il Presidente del Consiglio accolto tra l’ovazione dei ragazzi di Azione Giovani, mi sono chiesto quale tipo di appeal avesse potuto suscitare cotanto passionale clamore. La risposta mi è venuta scandagliando tra i ricordi di un libro letto qualche anno fa, intitolato “L’eclissi del padre: un grido”, scritto dall’attuale Cardinale Paul Josef Cordes. L’eminente autore pone in evidenza come la civiltà occidentale abbia perpetrato in maniera sistematica un progressivo oscuramento della figura del Padre. Per un cristiano il Padre è l’autore della vita, il principio e la fine di tutte le cose, è la manifestazione dell’amore più forte della morte, il punto di partenza e il punto di arrivo, ove l’essere figlio del Padre non definisce solo una relazione di parentela, ma soprattutto ne costituisce la propria identità: ad immagine e somiglianza. Per un uomo di sinistra il Padre è una figura da isolare: emanciparsi dalla figura paterna significa rimuovere il limite alla
GREENFISH Che cosa ci fa una balena gonfiabile nel bel mezzo del centro politico di Valparaiso, in Cile? Ne sanno qualcosa i membri di Greenpeace, che lo scorso agosto hanno chiesto al governo locale di dichiarare le acque giurisdizionali cilene “santuario delle balene”
NESSUNA CRISI DI LIBERO MERCATO Gli studi futuri che verranno fatti sulla crisi che ci sta attualmente interessando ci diranno quali ne sono state le cause.Tuttavia a me pare che di tutto si sia trattato tranne che di crisi del libero mercato. La Fed, tentando di rimediare ai passati errori, ha tenuto il tasso di interesse di riferimento ad un livello bassissimo, ben più basso del tasso di mercato. Ciò ha stimolato la domanda di credito a fine di investimento, soprattutto di investimento immobiliare, cosa che ha immediatamente provocato un innalzamento dei prezzi dei beni di produzione e degli immobili. Gli aumenti dei prezzi degli immobili hanno alimentato, poi, ulteriori prestiti.A questo punto inizia il processo inflazionistico che, come abbiamo detto, è iniziato dall’inflazione degli asset per poi spostarsi sui beni di consumocome risultato della normale trasmissione degli aumenti
dai circoli liberal Gaia Miani - Roma
liberazione di un processo intellettuale che sostituisce Dio (Padre) con la ragione. Il legame inscindibile tra Verità e Libertà viene sacrificato sull’altare del relativismo a tutto appannaggio della seconda. L’uomo di destra è, al contrario, tendenzialmente radicato ad un concetto di padre padrone, detentore di regole ferree, disciplina rigorosa e autoritarismo: mal si attaglia, questo padre, con il Dio (Padre), che oltre a consegnarci le “dieci Parole” (non comandamenti), per bocca di suo Figlio ci annuncia l’amore al prossimo come a se stessi. È anch’egli un orfano di Dio, che ricerca il Padre in una figura umana particolarmente dotata di autodeterminazione, megalomania, marcato superego e con tendenze a deliri di onnipotenza. Ecco, allora, perché ai giovani di An piace tanto Berlusconi, perché incarna in sé tutte le caratteristiche tipiche del leader di destra. Riflessioni, queste, che mi chiariscono come mai, ancora oggi, questioni come quelle relative all’antifascismo, che dovrebbero essere legate esclusivamente all’analisi storica, trovano sovrab-
dei prezzi. Si sono gonfiati i profitti di banche e imprerse, cosa che ha stimolato la domanda di ulteriori prestiti, essendo divenuti i livelli di profitto così alti ed essendo il tasso di interesse così (artificialmente) basso. La richiesta di nuovi prestiti, tuttavia ha comportato, di pari passo con la svalutazione della moneta, un innalzamento dei tassi di interesse. A questo punto il meccanismo si è inceppato in quanto l’innalzamento del tasso di interesse ha provocato una caduta della domanda di beni di investimento, soprattutto di abitazioni (ma non solo). Investimenti produttivi prima profittevoli sono diventati, ai cresenti tassi di interesse, insostenibili e sono stati abbandonati. La caduta della domanda di asset ne ha generato la caduta dei prezzi, che a sua volta ha affondato i bilanci delle banche e ha inceppato i meccanismi del credito.
Massimo Bassetti
bondante spazio nell’agenda e nel dibattito politico. E poiché la democrazia non è mai qualcosa di definito, ma è un divenire parzialmente compiuto e difficile da attuare pienamente nel suo significato descrittivo e prescrittivo, occorrerà mantenere vigile lo sguardo sul perché di cotanto passionale clamore, sul perché di un parlamento relegato al ruolo di ufficiale rogante e sul perché di diverse altre cose. Mauro Cozzari COORDINATORE REGIONALE CIRCOLI LIBERAL UMBRIA
APPUNTAMENTI ATTIVAZIONI Il coordinamento regionale della Campania ha attivato un numero verde per aderire ai circoli liberal del territorio 800.91.05.29
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog SE SANTORO INVITASSE DI PIETRO AD ”ANNOZERO”...
Amore, nessuno sa ridere come te Tonnio, mio pesce volante, mia farfalla unica, mio amore, mia scatola magica! La tua ultima lettera, l’ho già imparata a memoria. Ce ne vorrebbero molte altre per addolcire le mie lunghe giornate d’attesa, d’inquietudine. Malgrado i miei sforzi per lavorare, nel bel mezzo di un quadro che sto facendo mi chiedo a cosa serve, per chi è questo dipinto, che forse non è neppure bello. Ho trovato un modo per ingannare le mie angosce. Ricordo il tuo sorriso, e credo sia stato proprio l’incanto del tuo riso a fare di me la tua sposa per sempre. Nessuno sa ridere come te. Per me la tua risata è una grazia, un modo di dire grazie alle cose belle cose di questa terra. È come il frutto dell’albero. Il tuo sorriso è un balsamo per il mio cuore e se io fossi un mago lo avrei sempre sulle mie labbra perché il ritmo della tua piccola bocca fosse eterno. Ti abbraccio con un bacio così grande fino al tuo ritorno. Consuelo de Saint Exupéry al marito Antoine
MA A COSA SERVE OGGI LA DEMOCRAZIA? Una pausa di riflessione è d’obbligo! Vivo in democrazia e questo significa anche che i cittadini esprimono la loro partecipazione o meno ad un programma di governo. Un passo indietro, primavera 2008: una stragrande maggioranza di elettori «partecipa» al «programma scuola» ed il governo ora rispetta gli impegni e mette in atto i punti annunciati e sui quali ha chiesto il voto, la riforma. A protestare, in piazza, dovrebbero scendere gli elettori delusi, se una riforma annunciata e votata e non venisse applicata. Invece chi si agita? Epifani, la Cgil (nemmeno tutti i sindacati) e con essa chi ha perso. Chiedo: a cosa serve la democrazia, se Epifani può fare quello che promette di fare per mettere in difficoltà il risultato democratico? E se scendessero in piazza gli elettori che sono per la riforma e avvenisse uno scontro? Ah, non sarebbe democratico! Allora male, c’è qualcosa che non va e che ad alcuni è permesso (perché?) mentre ad altri no! Grazie per l’attenzione e buon lavoro.
L. C. Guerrieri Teramo
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
30 settembre
Peccato, sono elettore in Abruzzo e per le Regionali straordinarie del prossimo novembre, non potrò avere come candidato Di Pietro! Sì, dopo le denunce di Elio Veltri e Achille Occhetto, un caso analogo si prospetta: la denuncia di un vecchio parlamentare comunista, alleato dell’IdV, alle Regionali in Calabria del 2005. Se Di Pietro, come dicono i giornali, finirà in Tribunale, non potrà candidarsi in Abruzzo, in coerenza con la sua morale in simili situazioni. Penso anche che Travaglio, per la prossima puntata di Annozero, darà ampi chiarimenti sul caso, in coerenza con la sua morale. E Santoro non sarà da meno, dando spazio al chiarimento, in coerenza con la sua morale. In poche parole, possiamo aspettarci Di Pietro invitato, scintille nel dibattito, ecc. O forse silenzio assoluto su tutti i fronti? Non vorrei nemmeno sentire i «sì, però, dipende, ma, non credo che, è diverso da»!
Paolino Di Licheppo Roseto degli Abruzzi (Te)
489 Battaglia di Verona tra l’esercito del Re d’Italia Odoacre e gli invasori Ostrogoti capeggiati da Teodorico, che riportarono una netta vittoria 1917 Prima Costituzione russa 1948 Esce nelle edicole italiane il primo albo di Tex, fumetto western creato da Gian Luigi Bonelli e Aurelio Galleppini 1955 Muore a 24 anni in un incidente d’auto presso Paso Robles, Salinas, James Dean 1975 Massacro nel Parco del Circeo a Roma 1982 Arriva in Europa il Financial Future 1991 Referendum popolare clandestino in Kossovo 1992 Presentazione da parte del presidente del Consiglio Giuliano Amato la manovra finaziaria per il 2003 per un totale di 93000 miliardi di lire, per rientrare nei parametri di Mastricht 1993 Il Parlamento italiano autorizza la ratifica degli Accordi di Senghen 2003 Viene siglato l’accordo per l’acquisto da parte di Air France di Klm
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
PUNTURE Il principale difetto della sinistra è che non pensa che sia staccata dalla realtà ma che sia la realtà ad essere staccata dalla sinistra.
Giancristiano Desiderio
“
Qualcosa di peggio dell’odierno indebolirsi dei grandi principi morali? L’odierno irrigidirsi dei piccoli principi morali GILBERT CHESTERTON
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani,Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Roselina Salemi, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
SEGUE DALLA PRIMA
La Nato nell’Est europeo per premere sulla Russia di Mario Arpino Le molteplici azioni della Nato nel breve scorcio di tempo che va dal vertice di Bruxelles del 18 agosto a oggi sembrano, in effetti, spingere tutte nella stessa direzione, con l’intendimento di mostrare maggiore determinazione all’azione e mettere in “pressing” la politica moscovita. La preoccupazione per la sicurezza energetica non è certo elemento secondario in questa disputa. È in questo quadro che va vista l’insolita attività che, in un breve lasso di tempo, comprende la visita in Lettonia del Segretario Generale della Nato (11-12 settembre), seguita da incontri tecnici con i ministri della difesa dei tre stati baltici, la riunione del Comitato Militare, tenuta significativamente a Sofia il 14 e il 15, cui ha fatto seguito, il 16, la visita di Jaap de Hoop Scheffer con alcuni membri del (North NAC Atlantic Council) al parlamento di Tiblisi. Dopo il vertice dei ministri della difesa del 18 e 19 a Londra, ne seguirà a breve uno informale a Budapest, il 9 e 10 ottobre, sempre, come si può osservare, ai confini dell’ex impero. Ritornando a Londra, di cui si è parlato assai poco, in agenda c’erano i consueti temi sulla trasformazione politica e militare dell’Alleanza, ma risulta che, a porte chiuse, particolare accento sia stato posto sul concetto di mobilità e sullo stato di prontezza delle Forze di Reazione immediata. La predisposizione di queste unità era stata decisa quat-
tro anni or sono all’unanimità nel corso del vertice di Praga, ma, ciò nonostante, la loro consistenza e prontezza ancora sono lungi dai desiderata espressi. Alcuni Stati, come al solito, non possono o non vogliono mantenere gli impegni presi, e le carenze finanziarie sono sempre un ottimo paravento. L’enfasi posta su questo argomento, se da un lato è una pressione sulla Russia, va anche letta come motivazione rassicurante per i novizi dei paesi dell’Est e per gli aspiranti tali, segnatamente la Georgia e l’Ucraina, di fronte ai severi moniti lanciati da Mosca. Come si può notare, a parte Londra, tutta questa serie di eventi si è svolta e significativamente si svolgerà nei Paesi dell’Est già compresi nell’impero sovietico, e oggi timorosi e perplessi per l’aggressività di Mosca a fronte alla volontà di mediare, ma senza concrete posizioni di forza, da parte dell’Occidente europeo. Qualche ragione ce l’hanno, visto che, di fronte a questo attivismo verbale della Nato, la Russia ha annunciato che la Duma ha approvato per il triennio 2009-2011 un incremento di spese per la difesa del 25,7 per cento, pari a 303 miliardi di euro, mentre Bush ha appena confermato agli americani le sue preoccupazioni per l’incombere della più grande crisi economica del continente e diversi Paesi europei competono per aggiudicarsi la palma dei maggiori tagli alle spese per la difesa.
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