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QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA • DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK CONSIGLIO DI DIREZIONE: GIULIANO CAZZOLA, GENNARO MALGIERI, PAOLO MESSA
Il premio Sakharov al dissidente Hu Jia
studenti ragione.
9 771827 881004
di e h c a n cro
Sulla Cina l’Europa finalmente batte un colpo
di Ferdinando Adornato
Gli
di Aldo Forbice
hanno
L’attuale
sistema formativo non garantisce alcun futuro.
studenti
torto
E non sarà certo la minaccia di usare la polizia da parte di un
governo che sta perdendo la testa a darglielo. Ma gli
perché
hanno anche
difendono l’assetto di una scuola che è l’origine del loro
alle pagine 2, 3, 4 e 5
Ecco che cosa dirà domani
La strategia dell’Italia dei valori
Il rapporto annuale dell’associazione “Aiuto alla chiesa che soffre”
Veltroni tenta la (media) impresa
Antonio Di Pietro il Giannini dei poveri
Arriva l’atlante delle violenze Dove la fede è a rischio
di Antonio Funiciello
di Errico Novi
Tutto è pronto, al Circo Massimo di Roma, per la manifestazione di domani del Pd. La crisi e il futuro delle imprese sono i temi ai quali il segretario farà riferimento nel suo comizio.
Dalla magistratura al populismo: il percorso di Antonio Di Pietro passa sempre di più attraverso l’antipolitica. E ha un antenato illustre: quel Guglielmo Giannini che fondò l’Uomo Qualunque.
Ieri l’associazione cattolica “Aiuto alla chiesa che soffre” ha presentato il suo rapporto annuale sulla libertà religiosa nel mondo. Un documento che ha la struttura di un “alfabeto”, che va dalla “A” di Afghanistan alla “Z”di Zimbabwe.
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pagina 12 CON I QUADERNI)
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I rapporti tra il senatore e l’estremismo islamico
Vi racconto le relazioni pericolose di Barack Obama di Daniel Pipes
disagio
VENERDÌ 24 OTTOBRE 2008 • EURO 1,00 (10,00
a Cina accenna a qualche riforma liberale (quella dell’agricoltura, che riconsegna la terra ai contadini) ma rimane irremovibile sui diritti umani. La conferma viene dalla dura reazione (preventiva e successiva) alla concessione del Premio Sakharov del Parlamento europeo al dissidente Hu Jia, condannato a tre anni e mezzo di carcere. Hu negli ultimi mesi è diventato un simbolo della dissidenza cinese per la sua lotta a favore degli ammalati di Aids e per tutte le iniziative a favore dei diritti umani in generale. Insieme alla moglie, Zeng Jinyan, ha scritto articoli, preparato ricorsi legali e divulgato online i testi di altri oppositori del regime, ha trasmesso alle ambasciate documenti sulle sistematiche violazioni dei diritti umani commesse dal regime. s e gu e a p ag in a 1 6
di Francesco Rositano
• ANNO XIII •
NUMERO
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WWW.LIBERAL.IT
on l’ex generale Colin Powell che va adesso ripetendo la bugia che Barack Obama è “sempre stato cristiano”, malgrado nuove ulteriori informazioni confermino l’infanzia musulmana di Obama (come il suo modulo di iscrizione alla scuola indonesiana in cui egli fu registrato come alunno di fede islamica), si assiste con sgomento a come il candidato democratico riesca a dissimulare la verità su tale questione. Ma esaminiamo piuttosto un argomento correlato: i rapporti di Obama, e perfino gli obblighi morali, avuti nel corso della sua carriera, con l’Islam estremista.
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se g ue a p a gi na 10
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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I ragazzi del movimento. Nell’università la protesta non è politicizzata
«Vi state sbagliando, noi siamo contro il ‘68.Vogliamo il merito» di Vincenzo Faccioli Pintozzi uesta volta, i poliziotti in tenuta anti-sommossa ci sono davvero. Almeno dieci camionette del reparto mobile, accompagnate da cinque giardinette dei Carabinieri, stazionano davanti all’ingresso della Sapienza. Aspettano gli universitari, che hanno deciso di muoversi in corteo fino al Senato per unirsi alla protesta degli studenti delle scuole medie. Sono nervosi, ma i manganelli rimangono chiusi nelle guaine. Soltanto uno, che assomiglia vagamente a Ninetto Davoli, se lo passa per le mani fino a renderlo lucido. Dentro alla città universitaria, invece, l’atmosfera è rilassata. Le quattro facoltà occupate – Lettere, Chimica, Fisica e Scienze Politiche – sono riunite nel piazzale della Minerva, per partire insieme alla volta di Palazzo Madama. Una vecchia leggenda dice che chi guarda la statua non si riuscirà mai a laurearsi, ma un altro posto in grado di contenere tante persone non si è trovato. Prima di mettersi in marcia, vengono pronunciati i soliti discorsi di prammatica: contro il decreto Gelmini, contro la legge 133, contro il governo che «manda i celerini fuori dai nostri cancelli».
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ti, la preparazione fornita. È vero che senza questo decreto probabilmente non avremmo manifestato in maniera così unita, ma è altrettanto vero che l’insoddisfazione nei confronti del mondo accademico è tanta e condivisa. Non conta chi c’è al governo, dato che la politica non ci rappresenta più, ma il fatto che nessuno ascolti le nostre richieste».
«Certo – interviene Michele – è anche vero che la destra ha sempre tagliato sul mondo della cultura. Ora, l’idea di privatizzare l’università è soltanto l’ultimo stadio: ma per me è una manovra sbagliata proprio dal punto di vista etico. Se uno Stato rinuncia a formare i suoi ragazzi, e li mette in mano a degli investitori, rinuncia a uno dei suoi scopi fondamentali».
ma è espressione di un malcontento che parte sin dal 1990. Le varie riforme dell’istruzione non hanno mai inciso in maniera reale sulla situazione, che per noi è terribile. All’atto pratico, ci sono diverse proposte che abbiamo presentato e che non sono state mai ascoltate dalle istituzioni: primo fra tutti, il ri-accorpamento degli insegnamenti didattici e l’abbattimento delle selezioni d’ingresso nelle facoltà». Per Giada, 24 anni, «per fare tutto questo i soldi ci sono. Basta guardare agli stanziamenti degli ultimi giorni per salvare le banche o quelli che lo Stato investe in armamenti. Il fatto è che il governo non vuole investirli da queste parti». Loro non sono per una logica di merito, dato che mettono l’uomo-studente al centro del sistema-università,
studenti e dar loro una preparazione degna di questo nome. Che me ne faccio delle università calabresi se io, calabrese, devo venire a studiare a Roma?». Facendogli notare che con questo discorso farebbe felice il ministro Tremonti, Marco ride: «Io non ce l’ho con il governo di destra o con quello di sinistra. Ce l’ho con il governo che non mi calcola in alcun modo». E che dimostra questo allontanamento «proponendo di sgombrarci con la forza, arrivando a convocarci soltanto dopo essersi accorti che non scherziamo, proponendo risposte soltanto quando tutto il resto non ha funzionato. Noi non proponiamo un clima da guerra civile, e non vogliamo essere trattati come terroristi». E questo, spiega più tardi Alessandra, «è alla fine il vero scopo di
ma propongono una visione di Stato sociale che riconosce l’importanza della bravura una volta usciti dalle aule: «Nessuno può decidere del mio futuro. Se non sono bravo in quello che ho deciso di fare, ne pagherò le conseguenze nel mondo del lavoro». Sulle proposte pratiche per riformare l’università, le idee sono più confuse.
tutto questo. L’università è formata da ragazzi che hanno paura per il loro futuro e che vorrebbero non dover affrontare la mediocrità dei loro insegnanti. Se la controparte diventa un governo che si disinteressa, o peggio che è interessato soltanto a levarci del denaro, l’unica alternativa che ci rimane è quella di protestare. Quanto meno teniamo la mente fissa sul presente e dimentichiamo per un attimo il futuro». Altro che studenti politicizzati e violenti: qui la vera proposta è abolire il ’68.
La contestazione affonda le sue radici in un malcontento che dura da almeno 20 anni. Alla sbarra, il disinteresse dei governi e la morte del merito
Dentro un’aula di Lettere, Michele e Chiara decidono il da farsi rispetto al corteo. A differenza di quanto sostiene Berlusconi – e Padoa Schioppa prima di lui – i due non sono bamboccioni o scansafatiche e devono andare a lavorare: forse non c’è tempo per seguire tutta la manifestazione. Sulle motivazioni che li spingono a protestare sono invece sicuri: l’insicurezza che deriva dalla situazione sociale del Paese, la sensazione che questo decreto sia «l’ultima provocazione», l’insoddisfazione di fondo rispetto al mondo dell’università. Un mondo che, spiega Chiara, «è sbagliato in tutti i suoi aspetti: il concetto del 3+2 (il corso di laurea spezzettato in due tronconi e in migliaia di moduli), il metodo di selezione dei docen-
Non importa che la Gelmini abbia convocato per oggi le associazioni studentesche, nel tentativo di aprire un tavolo di confronto. Secondo Chiara, infatti, «stiamo parlando di un mondo che ha mille facce. Ad esempio, dentro la mia facoltà di Lettere, c’è un collettivo studentesco che ammiro perché riesce a mettere in pratica una protesta strutturata, ma con cui non mi trovo d’accordo per tanti altri versi. Chi decide chi mi rappresenta?». Oltre al collettivo, dentro La Sapienza è molto presente un gruppo di neo-umanisti (I Corvi) che da anni movimenta una corrente che cerca di riformare l’insegnamento universitario. Secondo Chiara, 30 anni, «la contestazione di questi giorni non è legata esclusivamente al decreto presentato,
Secondo Marco, 23 anni, «è necessario creare dei poli di eccellenza, eliminando strutture obsolete e inutili per favorire quelle in grado di riunire più
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I ragazzi della destra. Viaggio nei centri sociali minacciati di sfratto
«Silvio, ci hai messo in imbarazzo» E Berlusconi s’inventa una smentita di Riccardo Paradisi a sala conferenze, la palestra, la birreria, gagliardetti tricolori e manifesti di Primo Carnera alle pareti: un’estetica tra il pub irlandese e il razionalismo anni Trenta. I centri sociali neri di Roma, al netto di qualche variazione sul tema, non si presentano male: puliti, ordinati (molto ordinati), niente droga, niente sballi.
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Si chiamano Casa Pound, Foro 753, Casa Montag o Casa Italia, i ragazzi che li occupano parlano di questi fortini come la loro base, il loro Alcazar: la fortezza di Toledo che i franchisti difesero per due mesi contro gli assalti dei miliziani e la cui epopea fu narrata da Augusto Genina nell’Assedio dell’Alcazar, un cult movie per i camerati delle occupazioni non
pazioni di scuole e università che ha messo in grande difficoltà tutta An, che li ha i suoi ragazzi a occupare. Forse anche per questo Berlusconi ieri ha smentito la dichiarazione malgrado l’evidenza di un video e la riunione con il ministro dell’Interno Maroni. «Mai pensato di mandare la polizia», ha rettificato il cavaliere. La linea dura – paventata o reale che sia – ai giovani di destra comunque non piace: non a quelli dei centri sociali naturalmente ma nemmeno a quelli delle organizzazioni di Alleanza nazionale La stessa Giorgia Meloni, ministro della Gioventù e presidente di Ag è costretta a sottili distinguo di fronte all’ipotesi della polizia nelle università: «Il ministro Gelmini sta facendo un buon lavoro. Ma la polizia
lizzano gli studenti di sinistra. È lo schema, un po’ sofferto, replicato dalla giovane destra da vent’anni: sospesa tra pulsioni ribellistiche e vocazioni all’ordine.
Una tensione del resto iscritta nel dna della destra del dopoguerra. Che oggi però con la presenza al governo torna ad essere una contraddizione. In An il disagio è reale: se non altro perché, è stato giustamente notato, la generazione degli ultra quarantenni oggi nella stanza dei bottoni del partito, a vent’anni militava, protestava, occupava. Fabio Rampelli, oggi deputato di An, ricorda quando «io, Alemanno e Augello organizzavamo proteste a Roma. Io guidavo il Fronte della gioventù romano. Fra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Novanta ci impe-
far intervenire la forza pubblica dichiarava: «È evidente che nessuno può negare agli studenti il diritto di manifestare». A Roma però dove è Alemanno a governare la destra torna sul binario legge e ordine e promette gli sgomberi dei centri sociali. Anche di quelli di destra: «Non si può convivere con un fenomeno che genera emulazione – dice il sindaco – chiederò ai centri sociali di destra di dare l’esempio e chiudere per primi». Nessun favoritismo, anzi.
E le reazioni? «Le temo», dice Alemanno, che garantisce di tentare soluzioni interlocutorie con i centri sociali con cui è possibile dialogare, però aggiungendo: «Siamo nel pieno dell’emergenza casa e quindi come posso giustificare davanti a chi non ha casa che invece permetto ad altri di occupare degli spazi non loro?». Per Gianluca Iannone, il capo storico di Casa Pound, il motivo trovato da Alemanno per gli sgomberi è il peggiore che il sindaco potesse trovare: «A Roma non si costruiscono case popolari da 15 anni. Io vorrei domandare ad Alemanno se è fuorilegge chi occupa palazzi vuoti che sono destinati a restare tali per anni o chi li lascia deserti per far salire la bolla speculativa degli affitti. Casa Pound – ci tiene a ricordare Iannone – ha dato un tetto a decine di persone a cui le banche avevano tolto la casa per l’impossibilità di far fronte al mutuo». Ma che succede se il sindaco ordina lo sgombero? «A ogni azione – sentenzia Iannone – ne corrisponde una eguale e contraria». Più morbidi quelli di Foro 753, il centro sociale di destra già sgomberato dalla zona Colosseo e poi regolarizzato da Veltroni come associazione a Boccea: «Si devono trovare soluzioni di regolamentazione e legalizzazione. L’occupazione per noi non è un fine come per l’ultrasinistra, è un mezzo per la creazione di spazi sociali». La destra di lotta e di governo.
Gli studenti di destra cercano la terza via tra governo e contestazione. Gli “spazi neri” minacciano reazioni agli sgomberi del sindaco di Roma
conformi. I centri sociali di destra sono una realtà da alcuni anni a Roma: si ispirano al fascismo di sinistra, al futurismo, chiedono il mutuo sociale e il diritto alla casa di proprietà. Su di loro, come sulla settantina di centri sociali rossi della capitale, ora pende la spada di Damocle degli sgomberi, promessi da Gianni Alemanno in campagna elettorale e ribaditi in queste ore per ripristinare la legalità in città. Linea dura. Come quella annunciata mercoledì dal presidente del Consiglio sulle occu-
no. Non è necessaria, la protesta non degenererà su un crinale violento».
Ma se la Gelmini sta facendo un buon lavoro perché allora i giovani di An stanno occupando scuole e università? Per approfondire il decreto del governo dicono, organizzando corsi sull’ argomento e inserendo tra le rivendicazioni anche la grave situazione dell’ edilizia scolastica nelle scuole o, nel caso delle Università, per combattere i privilegi dei baroni sindacalizzati che strumenta-
gnammo nelle università. La differenza però era che noi non impedivamo a chi voleva di prendere parte alle lezioni o dare esami». Ribelli nella legalità. Però quando Rampelli, Augello e Alemanno il 28 maggio del 1989 tentarono di impedire a Nettuno, il passaggio del corteo del presidente degli Stati Uniti George Bush I che si recava in visita al cimitero americano, furono fermati con l’ accusa di resistenza aggravata a pubblico ufficiale, manifestazione non autorizzata, tentativo di blocco di un corteo ufficiale. Non sempre la protesta della destra oggi al governo è stata così legalitaria. E Gianni Alemanno deve averne memoria visto che a proposito delle manifestazioni studentesche e delle minacce di Berlusconi (prima della smentita) di
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Il ritratto. Mariastella Gelmini, la donna più ”urlata” del momento
La Thatcher delle medie La ragazza del Garda finita nel ciclone (passando per le piazze e per il governo) di Roselina Salemi e le avessero detto che sarebbe finita su un santino blasfemo, agitato in piazza Montecitorio tra fischi, cori e striscioni («Maria Stella d’ignoranza, il governo è con te, tu sei benedetta da Tremonti e benedetto è il trucco dei tuoi tagli»), segno chela sua riforma non piace tantissimo; se le avessero detto che sarebbe cominciato una specie ‘68, giusto in tempi di anniversario celebrativo e, con i problemi che ci sono, si sarebbe parlato di mandare la polizia nelle Università, manco si trattasse di esportare la dese mocrazia; gliel’avessero detto, avrebbe liquidato la profezia come il delirio di una cartomante pazza. Invece è proprio così, e quei giovani accusati di vivere soltanto per l’happy hour, attaccati all’iPod e laureati in tre anni nelle discipline più varie - molte inutili - si sono ricompattati all’improvviso, contro questa giovane signora di Leno (Brescia) dal quieto stile lacustre, papà democristiano, ex sindaco di Milzano, 35 anni, single, ministro dell’Istruzione, Università e Ricerca (farebbe Miur, un suono che potrebbe essere emesso da un gatto arrabbiato) che forse non piace a Cielle, (ma forse sì, almeno così sostiene il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi), che ha un’idea vaga dell’Opus Dei, che porta una crocetta al collo, che è cattolica, affascinata intellettualmente da monsignor Rino Fisichella, contraria ai Pacs, avvocato amministrativista, e ha esordito come presidente del consiglio comunale di Desenzano del Garda. Scarno curriculum, carriera rapida. Assessore al Territorio della provincia di Brescia (2002) e poi all’Agricoltura (2004), prima degli eletti alla Regione Lombardia nella circoscrizione di Brescia per Forza Italia (2005), deputato nel 2006 e fa subito parte del-
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la Giunta per le autorizzazioni a procedere, del Comitato parlamentare per i procedimenti di accusa e della Commissione giustizia.
ratti, Formigoni, Carfagna) benedetta da Marcello Dell’Utri come «il volto del futuro», osannata da Maurizio Lupi, Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto: «Vedrete, sarà una sorpresa». Si suppone che nessuno le abbia suggerito di trasformare la scuola in una specie di polveriera, ma forse la sorpresa era questa. E in qualche modo bisogna rimediare, perciò ha convocato per oggi i rappresentanti degli studenti, decisa a convincerli. È o non è una mediatrice?
Tenace, è tenace, nella bassa bresciana ha racimolato i suoi diassettemila voti porta a porta e glieli hanno dati gioiosamente perché “sembra una di noi”, né strega, né madonna, né showgirl. Perché ha quella perfezione da casalinga degli spot e ti viene voglia di chiederle consigli sul detersivo, A scoprirla e a puntare su di e se trova il tem- lei, ormai è storia, è stato Silvio po per andare in Berlusconi, che per le capacità palestra (questo femminili ha sempre avuto inlo sappiamo: fa tuito, e nel 2005 l’ha nominata erobica, pilates e coordinatrice regionale di Forza pancafit) e giure- Italia. «Il presidente - ammette resti che le piac- è stato molto generoso con me». ciono Mina e Vasco Rossi (ve- I ritrattisti non hanno mancato ro), come alla quasi totalità del- di notare il suo stile low profile, le sue coetanee. ma anche il suo decisionismo Non se l’aspettava di sicuro, da (cosa che, per inciso, ha rovinabrava ragazza abituata a chie- to molti ministri della Pubblica dere molto agli altri e a stessa, Istruzione e ha fatto evocare il a dichiarare guerra alle ineffi- fantasma della thatcheriana cienze, che la sua riforma, det- Franca Falcucci), il suo andar tata dalla necessità (i tagli) e giù a muso duro sulla riforma, dal buonsenso (il grembiulino), costi quel che costi, riesumando scatenasse un putiferio quasi napoletano e un’altra, al suo posto, assediata dagli scalmanati agitatori di santini, mentre il passaparola universitario diventa “Occupiamo tutto”, avrebbe qualche dubbio, si metterebbe le mani nella bella chioma scompigliando la perfetta messimpiega, si chiederebbe, come Bruce Chatwin: «Che ci faccio qui?». Anche perché, il talento che più hanno vantato di lei, sarebbe, in teoria, la capacità di mediare, di andare d’accordo con tutti, anche primedi Giancristiano Desiderio donne e primiuomini (Brambilla, Mo-
I suoi fan sono trasversali ma a sceglierla è stato il premier: «Sì, è stato molto generoso con me»
«impresa-internet-inglese», tornando al maestro unico, al voto con un bel numero da uno a dieci anche in condotta, in funzione antibullismo, al recupero della stramorta educazione civica e tirando in ballo l’autonomia, la concorrenza fra gli istituti, la meritocrazia, parola scandalosa nell’Italia del familismo e delle parentele. Nascosta dietro la serena maschera ministeriale (rubando la battuta a Fiorello, potremmo dire che, nonostante le
La vera battaglia è quella per l’insegnamento libero
Berlusconi e gli studenti parlano la stessa lingua morta: la scuola di Stato
perturbazioni, «non ha un capello in sciopero»), Mariastella da Leno non capisce perché, se il suo decreto non riguarda l’Università, sono scattate le occupazioni a catena e il fatidico «Io non ho paura» (sottinteso «della polizia») sta tracimando dalla Sapienza di Roma e provocando interventi anche da parte dei Rettori, gente tutt’altro che incendiaria, e in ogni caso poco amante delle militarizzazioni. Però l’occasione è buona per
ROMA. Ciò che disturba il governo e, soprattutto, il presidente del Consiglio non sono tanto le manifestazioni in sé e le occupazioni di scuole e università, quanto la scena rubata. Sì, la scena rubata. Il governo gode del favore popolare, mentre l’opposizione veltroniana è ancora sotto l’effetto dell’intontimento della disastrosa sconfitta politica ed elettorale. Ma la manifestazione del 25 ottobre e le manifestazioni studentesche attireranno l’attenzione di televisione e stampa e le parti si rovesceranno: il governo dovrà spiegare, rintuzzare, inseguire. La sostanza qui non conta.Tutto avviene al di là del bene e del male. Ma tutto avviene nell’immagine che dei fatti è data dai media. Finora la scena è stata occupata da Silvio Berlusconi e Silvio Berlusconi non intende farsela fregare. Da qui il suo annuncio di ricorrere al Viminale “perché le occupazioni non sono un fatto di democrazia ma di violenza”. Se il premier conoscesse un poco meglio la storia italiana saprebbe che le manifestazioni di piazza, soprattutto quando si poggiano più sui torti che sulle ragioni, è sempre bene che si svolgano senza l’intervento delle forze dell’ordine. Giovanni Giolitti, che non aveva l’assillo della scena rubata, lasciava fare e aspettava che i bollenti spiriti si raffreddassero. Berlusconi, invece, guarda i sondaggi, sente Feltri e dice a Maroni di tenersi pronto. E pensare che, se solo volesse, avrebbe in mano un’arma molto più sicura: la libertà. La “scuola di Stato”deve evolvere verso la “scuola libera”, che
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fare i conti in tasca agli atenei spreconi. Mariastella è preparata: «In Italia abbiamo 5500 corsi di laurea, il doppio dell’Europa, 170 mila insegnamenti e più di 300 sedi distaccate. Bisogna mettere a disposizione convenzioni per le residenze universitarie, per pagare affitti più bassi e consentire ai giovani di spostarsi. Non serve l’Università sotto casa, servono servizi che consentano di affrontare un percorso formativo
senza dover investire risorse che oggi le famiglie fanno fatica a trovare». Forse, a darle un’aggiustatina, ci stava già pensando. Un brillante latinista come Luciano Schiesaro, passato dalla Normale di Pisa, Berkeley e Oxford, editorialista del Sole24Ore, magnifico curriculum, ex consulente del Pd, sarà a breve nominato responsabile della sua segreteria tecnica per l’Università. A lui Mariastella piace, la trova «determinata e innovativa» e le innovazioni di sicuro arriveranno. Per ora, con una certa dose di cattiveria, l’opposizione ha sghignazzato rumorosamente quando mercoledì a Palazzo Madama, leggendo un discorso forse scritto da qualcun altro, ha sbagliato l’accento della parola ègida (ha detto egìda, ma poteva essere l’emozione), mentre il santino con la Madonna della “Beata Ignoranza”, già cult, già in vendita su eBay, continua a circolare e la vita di Mariastella da Leno viene passata al setaccio. Non che si trovi granchè, un ex fidanzato, il deputato forzista Giuseppe Romele, che le è rimasto amico, e una scorciatoia: per quanto non abbia parlato con entusiasmo delle scuole nel Sud, tanto da far risentire l’alleato Mpa, nella persona di Raffaele Lombardo, presidente della regione Sicilia, gli esami da avvocato li ha passati a Reggio Calabria, dove pare che all’epoca fossero più teneri che a Brescia o a Milano. Anche su questo ha dato spiegazioni, era preparata. Non era preparata alla tempesta, ma ha l’aria di una che impara in fretta. Di sicuro pronuncerà egida nella maniera giusta, da adesso in poi. Quanto al resto, come diceva il Venerato Maestro Unico Alberto Manzi, «non è mai troppo tardi».
non significa “scuola privata”ma scuola liberata dal monopolio statale dell’istruzione, dal bollo del diploma e della laurea, dai docenti che credono nel posto fisso più che nella libertà d’insegnamento. Il paradosso è che sia il governo sia il Pd sia il sindacato sia gli studenti parlano la stessa lingua morta: la scuola di Stato. Questa scuola statale in cui lo Stato fa tutto scuole, università, docenti, presidi, bidelli, provveditorati, istruzione, educazione, diplomi, lauree - non sta più in piedi. È cresciuta troppo questa scuola e a furia di crescere ha cambiato pelle, la quantità smisurata ha cambiato la sua qualità e ora cade a pezzi. Tutti hanno chiesto tutto alla scuola e ora la scuola non ce la fa più. Non a caso il presidente Napolitano ha detto che i tagli sono “indispensabili”. Ma quando si mette mano ai soldi iniziano gli strepiti. Ora, proprio qui, in questo punto delicato non solo della scuola ma della democrazia, il governo aveva l’obbligo di muoversi con avvedutezza. Come? Motivando i tagli “indispensabili” non solo con la ragioneria, ma anche con un autentico dibattito parlamentare e pubblicistico sui presupposti giuridico-istituzionali dell’ordinamento scolastico. Qui il governo, vuoi con la Gelmini vuoi con il premier, avrebbe dovuto dire: «Lo Stato intende rispettare le libertà degli insegnanti e degli studenti, delle scuole e delle università e non vuole continuare a fare il Pedagogo se non là dove è necessario perché la società da sola non garantisce il diritto allo studio».
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Per il sociologo Francesco Alberoni lo scontro è politico
«Il fatto è che i professori sono somari raccomandati» colloquio con Francesco Alberoni di Francesco Capozza
ROMA. Parliamo di scuola. Delle proteste studentesche di questi giorni nelle università come nei licei e nelle scuole inferiori. Della dura polemica politica innescata dalle dichiarazioni del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che ha minacciato l’uso della forza pubblica per sedare le suddette proteste (salvo poi correggersi). Del Pd di Walter Veltroni, che per far riuscire la manifestazione di sabato al Circo Massimo cavalca l’onda della protesta e porta in piazza l’opposizione che, come spesso dice Pier Ferdinando Casini,“andrebbe fatta nelle aule parlamentari”. Di tutto questo ne parliamo con un sociologo, giornalista e docente, che è stato due volte rettore universitario (nel biennio 1968-1970, in piena “rivoluzione” studentesca, dell’Università di Trento e nel triennio 1998-2001 dello Iulm di Milano) e che quindi ha ben chiaro lo stato della scuola e, soprattutto, dell’Università italiana. Ne parliamo con il professor Francesco Alberoni che subito, col piglio di chi “sa” attacca: «In Italia, sulla scuola e sullo stato delle cose che la riguardano, così come sulle modifiche apportate dal ministro Gelmini, c’è un’ignoranza abissale: i media, tutti, a cominciare da quelli televisivi, mi disgustano per la totale assenza di realtà comunicativa». Professore, secondo lei, se capisco bene, il Decreto Gelmini non è stato accuratamente spiegato agli italiani? Anche, certamente. Ma soprattutto questa pessima informazione non fa che dire falsità, non riporta dati e non descrive realmente la situazione della scuola e dell’università italiana. Beh, lei è un insegnante ed è stato Rettore per due volte, certe cose interne all’Università le saprà… Appunto. E sono perfettamente a conoscenza dello stato drammatico della scuola italiana e, ancor di più, dell’Università, dove insegnano prevalentemente ignoranti raccomandati. Un’accusa pesante professore. Pesante ma vera. Intendiamoci, non è così al 100%, ci sono delle realtà che sono fari nel buio di un’ignoranza dilagante. La verità è che oggi sono anche i professori e i rettori ad alimentare lo scontro, altro che ’68, allora erano i giovani che lottavano contro l’establishment per la libertà, oggi è l’establishment che lotta contro il governo, è pazzesco! E perché quest’establishment, come lo chiama lei, degli insegnanti universitari
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aizzerebbe gli studenti contro il governo? Perché? Ma è ovvio, per conservare il posto (ottenuto con favori e spinte politiche) e chiedere denaro al governo. Ovviamente di denaro non ce n’è e quindi i tagli sono necessari. Ma, intendiamo, i tagli vanno fatti perché c’è uno spreco enorme nel mondo della scuola. Quali, professore? Vogliamo parlare, per fare un esempio, delle centinaia di corsi universitari dove l’apparato burocratico-universitario è maggiore degli studenti che frequentano? Ma lo sa che ci sono dei corsi con meno di 10 iscritti ma dove lavorano 20-30 persone? E sono tutte pagati dallo Stato! Quale sarebbe, a suo avviso, la via d’uscita da questo baratro? Era necessario che i rettori di tutt’Italia si riunissero e decidessero di ridurre gli insegnamenti. È d’accordo con l’uso del manganello minacciato e poi ritrattato da Berlusconi per sedare le rivolte studentesche? Credo che Berlusconi abbia esagerato. Io avrei lasciato dimostrare gli studenti e i professori liberamente, ma sarei andato lo stesso dritto per la mia strada. Dunque errore nel metodo ma non nel merito? Esattamente. Ci voleva più dialogo con le parti, questo sì, anche da parte della Gelmini. A suo tempo ho apprezzato molto come Letizia Moratti ha intrapreso trattative con i professori e con i sindacati di settore. L’attuale ministro dell’Istruzione, forse, avrebbe dovuto seguirne l’esempio. Passiamo ad un ragionamento politico: lei ritiene che se il governo non avesse fatto un atto di forza con il Decreto Gelmini e avesse dato più spazio al dibattito parlamentare, la situazione sarebbe diversa oggi? Guardi, onestamente, ritengo che l’opposizione sia talmente debole che per mettere in difficoltà il governo deve ricorrere ai punti dove questo è storicamente meno forte. Si dice che il governo vuole “privatizzare”la scuola, ma è un’assurdità, perché il governo non vuole fare questo e perché la scuola privata costa ugualmente ed anch’essa non è messa affatto bene. La scuola, secondo lei, è quindi notoriamente di sinistra? Certamente, e lo sanno tutti. L’Università è politicizzata. Per rendere l’idea, faccia conto che su 80 cattedre 70 sono di sinistra e gli altri si dividono il resto.
L’apparato burocratico va cambiato. Ci sono corsi frequentati da 10 ragazzi, per i quali lavorano 20 docenti
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politica
Retroscena. Ecco tutto quello che Veltroni dirà alla manifestazione di domani. Strizzando l’occhio a quei ceti sociali oggi vicini al Pdl
Walter tenta la (media) impresa di Antonio Funiciello
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Il Vaticano difende Pio XII L’ordine nei Sacri Palazzi è quello di abbassare i toni della polemica su Pio XII. Così le parole del ministro israeliano per gli Affari sociali, ma responsabile anche dei rapporti con le comunità cristiane, non vengono commentate ufficialmente, almeno per ora. «Sono in contrasto con quanto ha affermato nei giorni scorsi il premier Tzipi Livni e con il Presidente Shimon Peres», fanno sapere in via ufficiosa dai piani alti del Vaticano. Le parole del ministro Herzog, fanno parte, spiega un’altra autorevole fonte vaticana, dei meccanismi mediatici che si scatenano in queste situazioni. E, ancora, viene sottolineata la volontà di farsi in qualche modo pubblicità da parte del ministro. Gli interventi del presidente israeliano Peres e poi del premier Livni (entrambi avevano smussato i toni della polemica) sono stati invece accolti con favore dalla Santa Sede. Da parte del Vaticano insomma «c’è il desiderio di fare un esame della vita e delle virtù di Pio XII senza ingerenze e pressioni esterne».
Statali, sindacati a rapporto
tavolta Veltroni non ha voluto correre rischi. In vista della manifestazione del 25 ottobre, ancora terrorizzato dalla vista delle sedie vuote all’ultima seduta dell’assemblea costituente del Pd (600 partecipanti su 2800), non s’è fidato della struttura organizzativa interna e ha esternalizzato il tutto. Responsabile dell’evento è Achille Passoni, neoeletto senatore democratico, ma soprattutto uno dei sindacalisti più in gamba sul mercato. Segretario confederale della Cgil fino all’elezione a palazzo Madama, già braccio destro di Bruno Trentin ma, soprattutto, ideatore e organizzatore della manifestazione che nel marzo del 2002 raccolse al Circo Massimo, intorno a Sergio Cofferati, centinaia di migliaia di persone a difesa dell’articolo 18. Un curriculum impeccabile. Chi ha dubbi che l’iniziativa di piazza del Pd possa non avere successo, non conosce Achille Passoni. Sabato a Roma ci sarà un mucchio di gente.
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Già, ma perché? Ufficialmente la cosa nasce prima dell’estate al grido di «Salva l’Italia». Doveva essere la tipica manifestazione di sinistra contro un governo appena insediato e le sue prime scelte legislative. Doveva essere il classico ritrovo di piazza identitario, di quelli che il Pci metteva in programma già prima delle elezioni, per rivendicare il risultato elettorale e impegnarsi pubblicamente a dare battaglia. È diventata tutt’altro. Un po’perché la crisi finanziaria che ha investito l’intero Occidente ha colorito di significati lo slogan che puzzava di vecchio. Un po’perché nel Pd sono in corso movimenti intestini profondi, che fanno diventare im-
portante una dichiarazione dell’ultimo dirigente politico, figurarsi una manifestazione che impegna il partito a livello nazionale. È credibile che Veltroni si sia pentito di non aver anticipato il congresso, allo scopo di rilegittimare la sua leadership. E che punti così a utilizzare il successo della giornata di sabato per rilanciare il suo ruolo e tacitare col boato della piazza le voci di corridoio che lo descrivono alla mercè di mille insidie. Ma è probabile che Veltroni voglia osare di più. Dal palco del Circo Massimo, il segretario democratico non si limiterà a tuonare contro un governo biasimato in ogni suo prov-
A D’Alema, Letta, Bersani, Fassino e ai suoi amici ex popolari, il leader del Pd dirà chiaro e tondo che intende portare il partito alle Politiche del 2013 vedimento. Non mancheranno certo strali acuminati verso Berlusconi, Tremonti, la Gelmini e Sacconi, suoi bersagli privilegiati. Così come Veltroni non saprà resistere alla tentazione di blandire i giovani che manifestano a difesa (?) della scuola e dell’università. Ma la sostanza del suo discorso politico sarà un’altra e punterà, da un lato, a lanciare un messaggio di sfida ai suoi competitori interni e, dall’altro, a riprendere a parlare con quei ceti sociali a cui Veltroni si era rivolto in campagna elettorale. A D’Alema, Letta, Bersani, Fassino e ai suoi amici ex popolari, il se-
gretario del Pd dirà chiaro e tondo che intende portare il partito alle elezioni politiche del 2013. L’Africa, ormai occupata da Prodi, non è più nei suoi pensieri, ammesso che lo sia mai stata. Perciò Veltroni lancerà, tra le righe, la sfida a chi non lo vede nel ruolo di gran timoniere, invitando chi ha un progetto alternativo per il Pd a uscire allo scoperto.
Naturalmente anche quando gli interlocutori di Veltroni saranno i suoi compagni di partito, egli parlerà sempre all’Italia, all’insegna del leitmotiv «intransigenti col governo, responsabili col Paese». Il Circo Massimo sarà l’occasione per riprendere a dialogare anzitutto con quella piccola e media impresa fortemente cercata in campagna elettorale e poi dimenticata dopo il voto di aprile, stigmatizzando magari l’appoggio della grande industria al governo. Una mossa alla Berlusconi prima maniera, per intenderci. Quindi Veltroni si rivolgerà a quei ceti sociali che si sono coagulati intorno al Pdl, mostrando maggiori timori per l’attuale fase della globalizzazione. Probabilmente non citerà il discorso di insediamento del ’32 di Roosevelt («L’unica cosa i cui non dobbiamo avere paura è la paura stessa»), ma il senso delle sue parole andrà esattamente in questa direzione. Insomma, sabato Veltroni vuole bissare l’effetto shock che produsse il suo discorso al Lingotto di Torino, nel giugno dello scorso anno, quando si candidò alla segreteria.Vuole farlo mostrando a tutti, dentro e fuori il Pd, che in tempi di tempesta solo lui può tenere insieme la baracca democratica e farla diventare una bella villa con piscina.
Il governo ha convocato i sindacati per tentare di chiudere un accordo sul nuovo modello contrattuale e sui rinnovi scaduti da dieci mesi. Lo hanno riferito gli stessi sindacati del pubblico impiego e l’Aran. All’incontro di ieri hanno partecipato il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani e il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Sul tavolo ci sono dunque la riforma contrattuale e il rinnovo del biennio economico 2008-2009.A essere interessati sono circa 3,5 milioni di lavoratori pubblici: il loro contratto è infatti scaduto quasi da un anno, dal 31 dicembre 2007.
Meloni lancia il sito del suo ministero Nasce il portale della gioventù. Giorgia Meloni presenta a Palazzo Chigi le novità del sito del ministero, che punta a un «dialogo» diretto con i giovani. Da qui l’idea di un portale internet che, non solo fornirà tutte le informazioni istituzionali, ma punta anche ad un continuo interscambio, con storie ed esperienze raccontate in prima persona oppure «rilette» da autori di grido nella sezione «Storie di meglio gioventù» fino alla rubrica radiofonica affidata a Pierluigi Diaco e messa a disposizione gratuitamente di tutte le emittenti interessate. Uno strumento che farà emergere non solo le problematiche giovanili, ma anche le «belle storie, quelle che non fanno notizia».
Europee, battaglia del Pd in commissione «Le opposizioni non hanno partecipato al voto e la maggioranza ha votato da sola il mandato al relatore sulla legge elettorale europea come conseguenza di quell’atteggiamento di chiusura che abbiamo registrato nel corso dei lavori in commissione». Così la capogruppo del Pd nella commissione Affari costituzionali della Camera, Sesa Amici, spiega le ragioni per cui il Pd non ha partecipato alla seduta di ieri della Commissione che ha dato il via libera alla riforma della legge elettorale europea. «La battaglia del Pd - fa sapere - si sposta adesso nell’aula della Camera dove agiremo con tutti gli strumenti previsti dal regolamento per impedire che i cittadini siano derubati del diritto di scegliere i propri rappresentanti nel parlamento europeo».
Scajola, costo energia da brividi «L’Italia importa dall’estero l’86 per cento del suo fabbisogno energetico, quindi paga una bolletta energetica che a fine 2008 sarà di oltre 60 miliardi di euro». Lo ha dichiarato il ministro per lo Sviluppo economico, Claudio Scajola, nel corso del suo intervento a un convegno organizzato dalla Filcem Cgil sull’energia.
politica ROMA. Chi avrebbe mai potuto immaginare che il Pd si sarebbe trovato fare i conti con l’Italia dei valori, anziché con Bertinotti? Solo un anno fa una previsione del genere avrebbe suscitato sorrisi. Il vento dell’antipolitica sembrava poter gonfiare l’elettorato di sinistra nel suo insieme, non solo una piccola enclave come quella dipietrista. Oggi Walter Veltroni teme che l’ex pm gli faccia mangiare la polvere nella complicata corsa delle Regionali abruzzesi. Durerà a lungo? L’Idv può davvero assorbire per sempre il consenso residuo della sinistra radicale e insidiare all’infinito quello democratico? Non è così scontato, se si considera la disomogeneità culturale che separa Di Pietro dagli ex comunisti. Una condizione che evoca un’altra esperienza di allocazione temporanea del consenso, quella di Guglielmo Giannini. L’inventore dell’Uomo qualunque conquistò nel 1946 un sorprendente 5,3 per cento anche grazie al cospicuo apporto dei fascisti. Ma con le camice nere, e soprattutto con la Repubblica di Salò, Giannini aveva ben poco in comune. Era stato marginalizzato negli ultimi anni del regime a causa della sua dichiarata contrarietà all’entrata in guerra. Si era espresso con toni inequivocabili contro «il mito del capo, dell’uomo provvidenziale» che scommette sull’avventura bellica per soddisfare la propria esclusiva ambizione. Finito il conflitto mondiale continuò ad assumere posizioni coraggiose, anti-sistema e dunque antipolitiche, in una forma assai nobilitata rispetto alle interpretazioni più recenti. Utilizzò certo un linguaggio anche irridente, spietato, fino a storpiare il nome di Ferruccio Parri in «Fessuccio Parri». Tantò bastò a fargli guadagnare il voto, se non proprio la simpatia, di chi era stato fascista fino all’ultimo. Ma tra Giannini e l’ideologia del regime non c’erano particolari affinità. Così bastò la nascita del Movimento sociale ad annunciare la fine del qualunquismo di Giannini, dissolto anche per i cedimenti alle lusinghe togliattiane che allontanarono dal suo movimento l’elettorato conservatore.
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Replicanti. Dalla toga al populismo, sulle ali (viziate) dell’antipolitica
Fenomenologia di Di Pietro, il Giannini dei poveri di Errico Novi D’altronde è difficile sostenere il paragone tra Giannini e Di Pietro se si pensa all’ostilità che il primo dovette scontare tra i media dell’epoca. Assumere una posizione anti sistema nell’immediato dopoguerra era scelta rischiosa, temeraria, difficile. Nel caso Di Giannini, va detto che al coraggio dovette sommarsi un sentimento personale, giacché la sua contrarietà all’intervento militare fu amaramente corroborata dalla morte del figlio in guerra. I politici che perseguono obiettivi senza assumere il punto di vista del comune cittadino rappresentarono, per l’Uomo qualunque, un nemico oggettivo. Giannini credeva nell’antipolitica, mentre spesso si ha la sensazione che Di Pietro sia abilissimo nell’usarla. Si possono notare certo anche analogie nel ricorso al linguaggio dell’uomo della strada, che l’ex pm adopera in una versione evidentemente più caricaturale, e comunque non raffrontabile con l’ironia di Giannini, sostenuta da una notevole robustezza culturale. Antonio Di Pietro certo è uomo dal cervello fino, dotato di intuito e di grande prontezza di riflessi nel seguire l’onda. È stato lui ad appropriarsi del girotondismo e dell’insofferenza che l’anno scorso sembravano inseparabili dall’oratoria volgare di Beppe Grillo.
Di Pietro in fondo si è avvantaggiato di circostanze in qualche modo assimilabili, sul piano dei flussi di consenso,
Sopra, un comizio di Antonio Di Pietro. a sinistra, la testata del giornale «L’Uomo Qualunque». In alto, la tessera del partito di Giannini a quelle che sostennero l’Uomo qualunque. Anche lui può contare su una allocazione temporanea di un consenso fortemente ideologizzato. Gli esuli della sinistra massimalista hanno riconosciuto nell’antiberlusconismo dipie-
trista un accettabile surrogato dei loro partiti di provenienza. Eppure l’ex pm finisce per essere considerato lontano ed estraneo dalla stessa sinistra moderata di Veltroni per le posizioni assunte sull’immigrazione. Non è un caso che
Ma l’operazione dipietrista era comunque alla portata anche di altri, e certo non ha dovuto scontare nessun particolare ostracismo da parte del sistema mediatico, che anzi sostiene generalmente con molta simpatia l’incedere vigoroso e brusco dell’uomo di Mani pulite. Di Pietro resta una figura originale, lo è stato dal momento in cui appese alla porta del suo ufficio il cartello “io non sciopero”quando buona parte dei suoi colleghi magistrati, nel ’91, scelse di affollare le barricate. Ma il suo successo elettorale rischia di essere transeunte come quello di Giannini. E di non lasciare un così profondo segno nella storia politica del Paese da assumere un significato esemplare come è avvenuto per il qualunquismo propriamente detto.
Gli esuli della sinistra massimalista hanno riconosciuto nell’antiberlusconismo del fondatore dell’Italia dei valori un accettabile surrogato delle loro ideologie e dei loro partiti di provenienza dall’ex Sinistra arcobaleno comincino ad arrivare scomuniche. C’è stata quella di Liberazione, ma non è casuale la stessa scelta di organizzare una manifestazione nello stesso giorno in cui l’Italia dei valori aveva programmato il secondo appuntamento a piazza Navona. Anche stavolta sembra inevitabile che nel momento in cui il radicalismo di sinistra riuscirà a ricostruire una “casa madre”, gli elettori rifugiati sotto le insegne dell’Idv si affretteranno a ritornarvi.
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il personaggio
Gli “outlet” della politica. Domenico Fisichella, studioso, ex docente, ex parlamentare
Coraggio politico cercasi «Fini è confluito nel Pdl per opportunismo e mancanza di audacia. Anche Rutelli non ha avuto visione strategica» colloquio con Domenico Fisichella di Susanna Turco on insegna più all’università, non milita più in An (che ha contribuito a inventare) né nella Margherita (che ha lasciato con la nascita del Pd), non guida più da vicepresidente l’assemblea del Senato e non è nemmeno più in Parlamento, eppure Domenico Fisichella non ha mutato di un filo l’immagine, o la considerazione, che ha di sé. È davvero un uomo di garbo antico, raffinato, ironico e vanitoso, ancora perfettamente calato nei panni del professore, come pure del parlamentare. Come un onorevole in pieno mandato (ma si smette mai di esserlo?), per parlare sceglie di sedersi sul divanetto più frequentato di Palazzo Madama, uno di quelli affacciati sullo struscio della buvette: il via vai è
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nente studioso, autore di libri di peso, assai preso da scrittura e convegni, Fisichella è tra i pochi (gli ultimi, si direbbe) a poter vantare una carriera politica portata avanti magari con qualche zoppichìo, ma in piena indipendenza. È in grado, per dire, di ricostruire le ragioni strettamente politiche che l’hanno portato fuori dal centrosinistra, dal quale grazie a Rutelli si era fatto eleggere nel 2006 come senatore per «diritto di tribuna», e ancor prima fuori da An. Passando sempre per il gruppo misto: ossia, sottointende lui, senza voltar gabbana. Il partito di Fini lo lasciò per via della devolution? Esatto, una questione di fondo. Sul federalismo ora ho scritto anche un libretto, La questione nazionale, che ricostruisce la linearità di questo percorso. Un’analisi critica spietata. Scrive, fra l’altro, che la riforma del centrosinistra ha «aperto una falla» e quella del centro destra «si è presentata come una riforma capace di guasti ulteriori». E adesso? Siamo passati al federalismo fiscale, che è davvero qualcosa di singolare se non è inquadrato in
Tanti tornano a chiedere soldi pubblici, da Tremonti in giù. Siamo passati dallo Stato criminogeno a quello salvifico in un tempo troppo breve per lasciar supporre che si tratti di una riflessione profonda incessante, ignorarsi è impossibile e così i convenevoli si sprecano (e lui sorride benevolo: «i funzionari mi vogliono bene perché sono stato un bravo vicepresidente per dieci anni»). Come professore in piena sessione d’esame (ma si smette mai di esserlo?) poi, tende a trasformare l’intervista in un’interrogazione («chi l’ha detto questo? Ma Voltaire, è chiaro»), o si fa ripetere le citazioni, per essere sicuro della trascrizione. Del resto, sbotta a un certo punto: «Sono migliore della media delle persone che mi circondano». Emi-
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un contesto di federalismo istituzionale. Fatta così, questa riforma rischia di diventare un modo per sottrarre le competenze allo Stato e per aumentare le conflittualità tra i diversi livelli istituzionali. Aggiunga che la crisi finanziaria ed economica stanno drasticamente ridimensionando le ragioni del federalismo fiscale, perché tanti tornano a chiedere allo Stato. Tanti chi? Da Tremonti in giù. Siamo passati dallo Stato criminogeno allo Stato salvifico in un lasso di tempo troppo breve per lasciar
supporre che si tratti di una riflessione profonda. Da Tremonti in giù, ma allude soprattutto a Tremonti, mi pare. Peraltro i termini della riforma sono in larga parte da accertare, per cui non credo che oggi ci si posssano fare discorsi approfonditi sul tema. Se fosse stato in Parlamento avrebbe potuto dare il suo apporto… Non mi considero così indispensabile da pensare che senza di me le cose non possano funzionare. Come lo vede, da fuori? Un collega mi ha detto: è diventato un club, le sue funzioni stanno declinando. Già, le leggi tende a farle il governo. Però non accade da oggi, la produzione legislativa decresce da decenni. In effetti, di “emergenza legislativa” si parlava anche ai tempi di D’Alema. È un fenomeno che nasce da almeno tre fattori. Oggi molti parlamentari fanno proposte di legge a vocazione particolaristica; in più, l’accelerazione dei tempi storici conduce all’esigenza di decisioni che governi sostenuti da maggioranze adeguate sono in grado di assumere meglio del Parlamento, perché sono più coesi; infine facciamo parte dell’Europa, ed è evidente che i rapporti tra Paesi sono tenuti in larga parte dagli esecutivi, che sono più attrezzati. E il proporzionale senza preferenze, dove lo mettiamo? Gli eletti sono scelti dai gruppi dirigenti dei partiti, e questo rende più difficile l’autonomia del singolo, un’indipendenza che personalità forti possono anche raggiungere, ma che il grosso di fatto non realizza. Oggi la sensazione è quella di un Parlamento molto legato agli indirizzi dei vertici dei partiti. E così Berlusconi va avanti «come in un consiglio di amministrazione» E mi convince relativamente. Perché un esecutivo esiste in tut-
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An ha preferito garantirsi la permanenza in Parlamento di un certo numero di persone.A costo di sciogliersi. Ormai sono rimasti solo i missini, ma dimenticando tutto ciò che li aveva caratterizzati ti i regimi, anche nel fascismo e nel comunismo. Il governo rappresentativo invece si distingue proprio per il fatto di avere un’opposizione, il cui ruolo si esprime appunto nel Parlamento. Quindi uno spazio bisogna che ci sia, fermo restando che ci sono esigenze di tempestività che non vanno trascurate. E lei ritiene che tutti i decreti di questi mesi siano stati urgenti? C’è senza dubbio un’enfatizzazione. D’altra parte non siamo fuori dai dettami costituzionali. Tuttavia, dovrebbe trattarsi di provvedimenti generali, non di decreti fotografia. Fotografia? Insomma, non si dovrebbe intuire dal testo la faccia della persona cui sono destinati. Sul genere decreti ad personam? Nella Prima Repubblica ce n’erano a ripetizione. Anche lì non si scherzava. Lei tornerebbe alle preferenze? Avrei la preoccupazione che collegi grandi incoraggino forme di compiacenza verso i finanziatori. Se si rimpicciolissero le circoscrizioni, i primi a rimetterci sarebbero i partiti piccoli: e io, favorevole al bipolarismo, ritengo che non ci siano le condizioni per arrivare al bipartitismo. Si lascerebbero fuori segmenti rappresentativi della società, co-
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me l’Udc e la sinistra. Beh, questo è già in parte accaduto. La verità è che il Pd si è formato in modo intempestivo, nel momento meno appropriato: alla vigilia delle elezioni, senza preparazione, con la scissione dei Ds... elementi che hanno condotto alla sconfitta del centrosinistra. E nello stesso tempo hanno indotto Fini a trovare la giustificazione per fare blocco con Forza Italia. La giustificazione? Certo, An non andava bene. È una delle ragioni per cui, dopo la frattura polemica con Berlusconi, Fini è entrato precipitosamente nel Pdl. Hanno rimescolato le carte: e la Lega è cresciuta. Incidenti di percorso... Si aggiunga a ciò che la formazione parlamentare di Forza Italia è da sempre fortemente controllata dal leader, anche sul piano personale. E oggi lo è più di prima: chi aveva un’autonomia è stato fortemente depotenziato. Mentre in An... An adesso è ancora più debole: le personalità dotate di autonomia contano ancora meno, ammesso che ce ne siano rimaste. Se ne deduce che la scelta di Fini non le è piaciuta granché. Il problema è cosa se ne vuole fare di un partito. Se si vuole puntare sui valori, si resta sulla
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assenza dell’opposizione, finora ha realizzato iniziative che hanno avuto consensi, ma non so quanto durerà. In questo contesto, peraltro, la posizione dell’Udc ha una sua capacità di tenuta: il richiamo a certi valori, una prospettiva politica... Quel che sperava per An? Sì, in qualche modo Casini ha fatto quel che non ha fatto il partito di Fini, giocherà un suo ruolo. In tutto ciò, Berlusconi come lo vede? Molto consapevole dei consensi che ha, insofferente per i sempre difficili equilibri parlamentari. Si muove in un’ottica decisionista e ritiene di avere sul piano internazionale un ruolo superiore a
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Non mi pento di nulla: ho agito in buona fede e ho sempre detto anzitempo ciò che avrei fatto. Sono stato coerente. La Margherita, da ultimo, ha commesso il grave errore di costituire il Pd: avvertii anche di questo, e penso che i fatti mi abbiano dato ragione. Poteva andare anche lei nel Pd, no? Ma io non disponevo di corrente. C’era chi mi diceva: perché non te ne fai una tua? E per cosa, per passare le giornate al telefonino? Ma andiamo. Potevo fare solo ciò che ho fatto. E Rutelli, poteva fare qualcos’altro? Riconosco che avrebbe avuto le sue difficoltà a reggere il suo
Il governo come tale, nella sua articolata pienezza, non c’è. C’è solo il presidente. E un paio di ministri che lo aiutano. Anche perché, a parte alcune personalità, il grosso è composto da figure modeste
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Il Pd ha accantonato nomi come Amato, Manzella, Calvi, De Mita, Mattarella, per far posto a talune ragazzine che non hanno potuto apportare un granché. Peraltro, gli esclusi si sono presi le loro piccole vendette
propria proposta: in quel caso An avrebbe guadagnato voti, il suo bacino potenziale era alto. Ma ciò avrebbe comportato l’esigenza che il partito restasse dentro un preciso recinto valoriale, da articolare naturalmente, ma senza abdicare a una certa prospettiva politica. E invece? È stata garantita la permanenza in Parlamento di un certo numero di persone, ma il partito è sciolto. È fatale, se si vuole costruire un soggetto nuovo. Già, ma Forza Italia non è mai stato un partito, mentre An sì. Ciò che sta facendo è quindi più doloroso e più costoso, sia dal punto di vista politico che valoriale. E lei, allora, come si spiega questa scelta? Mancanza di coraggio politico, forte opportunismo, eppoi la voglia di non combattere più. Questo vale non solo per Fini, ma
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per tutto il gruppo dirigente. Quello che è rimasto. Chi è rimasto? Paradossamente solo i missini, ma dimenticando tutto ciò che li aveva caratterizzati. Pensi solo al federalismo. O al regionalismo. Si parla tanto delle cose antiche come il fascismo, ma si dimenticano passaggi più recenti e più motivati. Nell’ultima disputa sul male assoluto, lei ha detto che si trattava «di un piccolo alibi per discutere». Vede, la politica italiana si svolge a più livelli. C’è quello del chiacchiericcio, quello delle decisioni più o meno cripitche, e poi il livello dell’analisi: forma, questa, che al momento è assente. E perché? Il Paese è poco serio. E la sua classe dirigente è inadeguata. «Siamo in pesante declino», lo diceva tre anni fa. Oggi va ancora peggio. Il dramma è che si opera nel segno della breve durata, mentre le cose si capiscono sulla lunga durata. Le mancano le lungaggini del Palazzo? Per un verso non c’è dubbio che una persona seria che entra in un’istituzione si fa carico anche della sua atmosfera, ne diventa partecipe. Qui, al Senato, ho cercato di fare al meglio il mio dovere e da questo punto di vista c’è un elemento di bel ricordo.
Offuscato da cosa? Soprattutto gli ultimi quattro anni sono stati faticosissimi dal punto di vista psicologico. Si avvertiva che l’istituzione si impoveriva, perdeva smalto. I tempi morti crescevano, e lo spirito di iniziativa comportava lacerazioni. L’adesione a certe linee politiche diventava più difficile. Si è trovato a disagio, sia di qua che di là. C’era un carico di tensione che rendeva pesante il lavoro. A ciò si aggiunge un discorso più generale sulla politica: una persona come me, che non è certo un vecchio, cosa fa? Si ritira nel privato e coltiva il suo orticello o continua nel suo impegno civile e pubblico? Perché ci sono dei doveri, soprattutto per chi come me ha avuto dall’esistenza più di quanto pensasse. E poi, diciamolo: sono meglio della media di coloro che mi circondano, sarebbe una perdita per la res publica se mi ritraessi. Perciò faccio quel che posso: il mio dovere. E se le chiedessero di ricandidarsi? Ci sono delle condizioni istituzionali che si dovrebbero realizzare. E poi biogna vedere come si configura il sistema politico nei prossimi due anni. Non credo che sia tutto stabilizzato. Cosa altro potrebbe succedere? Per usare un’espressione marxista, penso che esploderanno contraddizioni, in seno ad entrambi gli schieramenti. Per il Pd, lo stesso modo in cui è nato rende probabile un qualche ripensamento. E nel Pdl il quadro delle sfide è molto complesso. Il centrodestra, anche per la totale
quello effettivo, ma avendo un ego estremamente ipertrofico immagina che questo possa consentirgli di sviluppare una sua politica. E il governo? Al di fuori della politica economica e di talune iniziative locali, l’esecutivo come tale, nella sua articolata pienezza, non c’è. C’è solo il presidente. E un paio di ministri che lo coadiuvano. Anche perché, diciamocelo: a parte talune personalità, il grosso è composto da figure molto modeste. È un riflesso o una necessità? Più che altro è il risultato di una scelta precisa e generale, orientata verso persone con un alto tasso di disciplina e un tasso meno alto di professionalità. Da utilizzare sia sul piano parlamentare che governativo. Non un bel vedere, per usare un’espressione bertinottiana. Già. Tutto ciò si è ripetuto sull’altro versante, con il Pd che ha accantonato nomi come Amato, Manzella, Calvi, De Mita, Mattarella, per far posto a talune ragazzine che certamente avrebbero potuto offrire, qualche anno dopo, delle prestazioni politiche importanti, ma che visto il contesto non hanno potuto apportare un granché. Peraltro, gli esclusi le loro piccole vendette se le sono prese: il disincanto di Amato nella versione nostrana della commissione Attalì, ma anche il Violante non più ricandidato che ogni dieci giorni dà mazzate sui giornali. Sono espressioni di un rammarico. Lei, che non è stato ricandidato dopo aver cambiato quattro volte gruppo in due legislature, ha qualche rimpianto?
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partito fuori dal Pd, ma gli rimprovero una mancanza di coraggio e di prospettiva strategica. Insomma, quel che rimprovera a Fini. Beh, sì. A quale partito si iscriverebbe, oggi? A nessuno, oggi mi dedico solo al lavoro intellettuale. Parla ancora qualche volta con il presidente della Camera? È un importante statista, lui, non ha ragione di parlare con me. Altri politici? Parlo con tante persone, ma non c’è bisogno di farsi delle telefonate, il quadro è in movimento Si sente un padre nobile? Padre nobile? E di cosa? È ancora monarchico? Riconosco che la monarchia ha fatto l’unità nazionale, si prende sempre atto di quel che accade. E cosa pensa del lodo Alfano? Hobbes diceva che anche il re, il sovrano, è soggetto al giudice quando è chiamato in giudizio non in ragione dell’esercizio della sua sovranità, ma in ragione di una vicenda che lo vede presente come soggetto privato e sulla base di una legge preesistente. Quindi? C’era la legge preesistente, lui era lì come privato, e non è manco il re. Faccia lei.
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mondo
Controcorrente. Lo studioso americano indaga sui rapporti tra il candidato democratico e l’estremismo islamico
Le relazioni pericolose di Obama di Daniel Pipes
d i a r i o segue dalla prima
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Francia: precipita elicottero militare morti gli otto italiani a bordo
Obama ha dei legami di lunga data, seppur indiretti, con due istituzioni quali il Council on American-Islamic Relations (Cair), incluso nel 2007 in un elenco da parte del governo statunitense in cui figura come co-cospiratore non incriminato in un processo per finanziamenti a Hamas, e la “Nazione dell’Islam” (Nation of Islam o NoI) accusata dalla Anti-Defamation League di «un sistematico operato di razzismo e antisemitismo».Vediamo innanzitutto i legami di Obama con gli islamisti.
Il rapporto con Khalid al-Mansour. Secondo l’ex presidente del distretto di Manhattan, Percy Sutton, Al-Mansour «raccoglieva fondi» per pagare le spese sostenute da Obama alla Harvard Law School. Al-Mansour, un afro-americano (alias Don Warden), è diventato consigliere del principe saudita Al-Walid bin Talal, il maggior donatore individuale del Cair. Al-Mansour assolve il governo islamista sudanese dall’accusa di essere favorevole alla schiavitù e ha scritto un libro dal titolo Americans Beware! The Zionist Plot Against S. Arabia. Il rapporto con Kenny Gamble (noto altresì come Luqman Abdul-Haqq). Gamble, che un tempo fu un importante produttore di musica pop, ha tagliato il nastro di inaugurazione nel quartier generale della campagna elettorale di Obama, ospitato in un edifico di sua proprietà sito nella parte meridionale di Philadelphia. Gamble è un islamista che acquista vasti terreni per creare un’area residenziale esclusivamente musulmana. Inoltre, come sedicente amir dell’United Muslim Movement, ha innumerevoli legami con organizzazioni islamiste, incluso il Cair e la Muslim Alliance in North America (l’amir della Mana è Siraj Wahhaj, un presunto co-cospiratore nell’attentato terroristico al World Trade Center del 1993). Il rapporto con Mazen Asbahi. Il primo coordinatore nazionale per gli elettori musulmani della campagna di Obama ha rassegnato le dimissioni in seguito alla scoperta del ruolo da lui ricoperto in seno al consiglio di amministrazione di una consociata del North American Islamic Trust, finanziato dai sauditi, insieme a Jamal Said, un altro co-cospiratore non incriminato nel processo del 2007 per finanziamenti a Hamas. Asbahi ha legami con le sedi di Chicago e Detroit del Cair, con l’Islamic Society of North America, un altro co-cospiratore nel processo dei finanzia-
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Un elicottero dell’Aeronautica italiana è precipitato ieri nell’est della Francia: morti tutti gli otto militari italiani a bordo. Il velivolo, un HH-3F, è caduto intorno alle 16.30 in un campo tra L’Isle-en-Barrois e Vaubecourt, a nord di Bar-le-Duc, in un’area - ha spiegato la prefettura locale - lontana dalle zone abitate. Poi ha preso fuoco. L’incidente e le otto vittime sono stati confermati dall’Aeronautica e dal ministero della Difesa. «L’elicottero è precipitato e ha preso fuoco per ragioni che non sappiamo» ha detto il comandante dei vigili del fuoco della Regione, Serge Malaret. Il velivolo partecipava con un elicottero analogo a un’esercitazione congiunta tra Italia e Francia. I due mezzi si stavano trasferendo da Digione a Florent.
Altri duemila soldati russi dispiegati in Ossezia
menti ad Hamas, e con ulteriori organizzazioni islamiste. Il rapporto con Minha Husaini. Il secondo coordinatore nazionale per gli elettori musulmani della campagna di Obama ha un background islamista, avendo operato come stagista nel Muslim Public Service Network. Non appena ricevuto l’incarico da Obama, la Husaini ha incontrato un gruppo costituito da una trentina di musulmani, inclusi noti personaggi come Nihad Awad del Cair; Mahdi Bray della Muslim American Society, che appoggia pubblicamente gruppi terroristici come Hamas e Hezbollah; e Johari Abdul Malik della
Il senatore dell’Illinois ha da tempo legami (anche se indiretti) con alcune organizzazioni sospettate di razzismo e propaganda antisemita Moschea Dar Al-Hijrah di Falls Church, in Virginia, che così ammonisce i musulmani americani: «Si possono far saltare i ponti, ma non si possono uccidere persone innocenti che si recano al lavoro».
Vediamo in secondo luogo i legami con la Nazione dell’Islam. Antoin “Tony”Rezko, donatore e alleato di vecchia data di Obama, ha collaborato per circa trent’anni con Jabir Herbert Muhammad, figlio di Elijah Muhammad leader della “NoI”, e ha detto di aver dato a Jabir e alla sua famiglia «milioni di
dollari nel corso degli anni». Rezko è stato anche dirigente della Muhammad Ali Foundation, un’organizzazione canaglia che, senza il permesso di Ali, ha sfruttato il nome di questo insignito del Cair. Jeremiah Wright, stimato reverendo di Obama da vent’anni, con un background da nazionalista nero, ha di recente accettato la protezione da parte degli addetti alla sicurezza della Nazione dell’Islam e ha elogiato Louis Farrakhan, leader della “NoI”, come uno dei «colossi dell’esperienza religiosa afro-americana». La chiesa di Wright ha celebrato Farrakhan come «autentica personificazione della grandezza». Lo stesso Farrakhan ha appoggiato Obama, definendolo «la speranza del mondo intero», «uno che può sollevare l’America dalla sua caduta» e perfino «il Messia». Dovrebbe fare esitare il fatto che la biografia di Obama sfiori così spesso organizzazioni detestabili come il Cir e la Nazione dell’Islam. Quanti politici hanno un solo legame con l’uno o l’altro gruppo? E quanti con sette di loro? John McCain definisce Obama «una persona di cui non dovete spaventarvi se diventa presidente degli Stati Uniti», ma i molteplici legami di Obama con anti-americani e sovversivi implicano che egli non supererebbe il procedimento standard di security clearance previsto per i dipendenti federali. L’aggressione islamica rappresenta il nemico strategico dell’America; gli innumerevoli legami malsani di Obama sollevano dei seri dubbi sulla sua idoneità a prestare servizio in veste di commander-in-chief degli Stati Uniti.
La Russia ha dispiegato altri duemila soldati in Ossezia del Sud: lo ha denunciato la Georgia, ma Mosca ha smentito. «La scorsa settimana - ha accusato il portavoce del ministero degli Interni di Tblisi, Shota Utiashvili, in una conferenza stampa - la Russia ha aumentato il numero di soldati di duemila unità, arrivando a settemila. Temiamo che la Russia stia preparando provocazioni in Ossezia del Sud». «È molto difficile commentare dichiarazioni ufficiali di rappresentanti georgiani, perché c’è molta poca verità», ha replicato il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov. Secondo le accuse di Tblisi, decine di mezzi blindati russi sarebbero stati inoltre dispiegati nella regione di Akhalgori, nella parte sudorientale della regione separatista.
India: esplode fabbrica di fuochi d’artificio, almeno 27 i morti Almeno 27 persone sono morte in seguito a un’esplosione avvenuta in una fabbrica illegale di fuochi d’artificio in India in una bidonville di Deeg, a circa 200 km da Jaipur, nel Rajastan. Tra le vittime almeno dodici bambini, 17 i feriti. La fabbrica era installata in una casa e lo scoppio ha distrutto anche due abitazioni adiacenti.La tragedia è avvenuta a pochi giorni dalla festa del Diwali, festività induista delle luci in cui è tradizione far scoppiare fuochi artificiali nelle strade.
Ue: no ai “body scanner” Il Parlamento europeo ha bocciato a larga maggioranza (361 sì, 181 astenuti e 16 no) l’introduzione negli aeroporti Ue dei “body scanner”.Gli eurodeputati chiedono che nei prossimi tre mesi si proceda ad una valutazione dell’impatto sulla salute e sulla funzionalità delle nuove apparecchiature. In precedenza gli eurodeputati avevano respinto la proposta avanzata da Manfred Weber, a nome del gruppo del Ppe, di rinviare il voto a novembre, per poter ascoltare l’audizione sull’argomento del commissario Ue ai Trasporti Antonio Tajani.
mondo
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Il G20 prevede un vertice all’anno attorno alla metà di novembre, in cui si riuniscono i ministri delle finanze e i direttori o governatori delle banche centrali. Dopo gli incontri di Berlino del 1999, di Montreal del 2000, di Ottawa del 2001, Delhi del 2002, Morelia in Messico del 2003, Berlino del 2004, Pechino del 2005, Melbourne del 2006 e Città del Capo del 2007, l’appuntamento del 2008 era in agenda nella brasiliana Salvador 4, G5, G7, G8, G8+5, G15, G22, G24, G77… Già il quadro della geopolitica mondiale da un po’ di tempo si è riempito di sigle che ricordano il vecchio gioco della battaglia navale. Adesso, a proposito di battaglia navale, per evitare che la già colpita economia mondiale affondi definitivamente, George W. Bush ha riscoperto e convocato per un vertice a Washington il prossimo 15 novembre il G20: o meglio uno dei due G20, che poi in realtà sono tutti e due con un numero di soci maggiore dell’indicato. Il cosiddetto G20 dei Paesi in via di sviluppo, in particolare, sarebbe piuttosto un G23, ed è stato pure definito via via G21, G22 e G20+.
G
Creato alla quinta conferenza del Wto tenutasi nella messicana Cancún dal 10 al 14 settembre del 2003 da un gruppo di Paesi uniti nel rifiuto a una liberalizzazione degli scambi senza una preventiva fine dei sussidi alle agricolture dei Paesi sviluppati, l’alleanza ha reclamato infatti di rappresentare il 60% della popolazione mondiale, il 70% dei contadini e il 26% dell’export agricolo, ma non è mai riuscito veramente a strutturarsi in modo stabile. Il suo vero nucleo duro è costituito da India, Brasile e Sudafrica, che presero l’iniziativa di convocare gli altri partner, e che hanno però già un’alleanza per conto proprio: l’Ibsa, o Asse del Sud. Ibsa più Cina formano poi il G4, che è un direttorio interno al G20, e che va distinto sia dall’altro G4 che unisce invece Brasile e India a Germania e Giappone nella richiesta di un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza; sia da altri “assi” di potenze emergenti come il Bric, BrasileRussia-India-Cina; o il Bricm, con anche il Messico; mentre il G8+5 aggiunge invece Cina, In-
Washington. Convocato per il 15 novembre il summit straordinario
Dal G7 al G20, l’ultima sfida di Bush di Maurizio Stefanini dia, Brasile, Messico e Sudafrica al G8. Che è poi in realtà un G9, visto che assieme a Usa, Canada, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Russia ci sta pure l’Unione Europea.
Nel G20 dei Paesi in via di sviluppo ci stanno poi Argentina, Bolivia, Cile, Cuba, Ecua-
cembre del 1999 a Berlino. Obiettivo, discutere di un’economia mondiale in subbuglio dopo la crisi asiatica del 1997 e quella russa del 1998, tra l’altro intervallate da un “mini-crash” della stessa Wall Street: nella consapevolezza che ormai il semplice direttore del G7 neanche con l’allargamento alla Russia in G8
governatori delle banche centrali. Dopo gli incontri di Berlino del 1999, di Montreal del 2000, di Ottawa del 2001, Delhi del 2002, Morelia in Messico del 2003, Berlino del 2004, Pechino del 2005, Melbourne del 2006 e Città del Capo del 2007, l’appuntamento del 2008 era in agenda nella brasiliana Salva-
L’appuntamento del 2008 era previsto in Brasile, prima di quello del 2009 in Gran Bretagna. Ma dopo la crisi finanziaria il presidente Usa ha deciso di prendere in mano la situazione dor, Egitto, Filippine, Guatemala, Indonesia, Messico, Nigeria, Pakistan, Paraguay, Perù, Tanzania, Thailandia, Uruguay, Venezuela e Zimbabwe: nessuno dei quali invitato però a Washington, a riprova del fatto che a contare davvero è il suo G4 interno. Totale, appunto, 23, ma si dice che G20 è in onore del giorno del 20 di agosto, quando fu stabilito. Come si è detto ha perso inoltre col tempo vari pezzi: Colombia, Costa Rica, El Salvador e Turchia. Ma si diceva appunto dell’altro, e più importante, G20: quello che fu convocato dal vertice dei Ministri degli Esteri del G7 del 26 settembre 1999, e che tenne la sua prima riunione il 15 e 16 di-
poteva più bastare a governare l’economia mondiale, dato il ruolo sempre più importante dell Terzo Mondo.
Con il G8, contato correttamente per 9 con l’Ue, ci sta infatti tutto il +5. In più Corea del Sud, Indonesia e Australia dall’area pacifica, Arabia Saudita e Turchia dal Medio Oriente, l’Argentina dall’America Latina. E i dati sono allora ancora più imponenti dell’altro G20, che è d’altronde successivo: due terzi del commercio mondiale, due terzi della popolazione e 90% del Pil. Il G20 prevede un vertice all’anno attorno alla metà di novembre, in cui si riuniscono i ministri delle finanze e i direttori o
dor, in attesa di quello del 2009 in Gran Bretagna. Ma con la baraonda che è venuta George W. Bush ha deciso di prendere la cosa in mano direttamente. L’incontro sarà dunque a Washington, al cuore stesso della massima superpotenza mondiale. E invitati non sono più solo ministri e tecnici, comunque presenti, ma anche i massimi respon-
sabili del potere politico, capi di Stato e di governo: anzi, Bush avrà cura di parlare sia pur brevemente a quattr’occhi con ognuno di loro. Inoltre ci saranno il segretario generale dell’Onu e i titolari di Fmi, Banca Mondiale e Foro di Stabilizzazione Finanziaria. Fmi e Banca mondiale in questi ultimi anni hanno esercitato un forte ruolo di supplenza nei confronti dell’esigenza di un governo mondiale, e così anche il G8, ma entrambi sono stati accusati con una certa ragione di scarsa rappresentatività. Fmi e Banca Mondiale pure di tecnocrazia. Mentre l’Onu da sola è troppo pletorica e impacciata dai diritti di veto per essere efficace. Insomma, si cerca di mettere assieme tutto, pur di ottenere un risultato. Ovviamente, non mancano le polemiche per l’esclusione. La Spagna, ad esempio, è l’ottava economia mondiale, e la sua presenza era caldeggiata da Sarkozy e Brown, oltre che dal presidente della Commissione Europea José Durão Barroso. Non è mancato dunque chi ha pensato a una vendetta per il ritiro di Zapatero dall’Iraq. Ma anche Olanda, Svezia e Svizzera sono Paesi con un Pil superiore a quello argentino, per non parlare dei problemi svizzeri di fronte all’offensiva tedesca sui paradisi fiscali. «Si poteva invitare una dozzina di Paesi in più», hanno riconosciuto i portavoce della Casa Bianca, «ma sarebbe stato ancora più difficile raggiungere un accordo». Insomma, «bisognava tracciare una linea».
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il paginone
Ieri, a Roma, è stato presentato il Rapporto annuale sul rispetto di un diritto umano fondamentale: quello di esprimere la propria fede. E si scopre che i Paesi in cui si viola con maggiore frequenza l’alfabeto base della civiltà sono proprio quelli che giocano un ruolo di primissimo piano nello scacchiere geopolitico mondiale e regionale: Cina, India, Russia e Pakistan on è un altro libro nero, sulla falsa riga di quelli che documentano i crimini commessi durante le più sanguinose dittature. Ma una sorta di “alfabeto della libertà religiosa”, che riporta dalla A alla di Afghanistan alla Z di Zimbabwe in maniera dettagliata qual è lo stato del rispetto di questo diritto umano inalienabile nel mondo. Il volume - già alla sua nona edizione - si intitola ”Libertà religiosa nel mondo - Rapporto 2008”ed è stato redatto dall’Associazione Aiuto alla Chiesa che soffre, un’associazione riconosciuta dal Vaticano nata nel secondo dopoguerra per portare assistenza e aiuto alle diverse confessioni religiose, e quindi non solo a quella cattolica, nei paesi in cui la libertà religiosa era messa più in pericolo. A presentare il rapporto, ieri, a Roma, presso l’Associazione per la stampa estera, padre Joaquin Alliende-Luco, presidente internazionale dell’Associa-
N
L’alfabeto d
a cura di Franc
sunnita. Questa legge è tuttavia criticata per le restrizioni della libertà religiosa. In particolare, le riunioni di preghiera in case private vengono ritenute illegali, è possibile riunirsi per compiere atti di culto solo al termine di una complessa procedura di registrazione, e la comunità religiose devono sottostare a restrizioni rispetto alla possibilità di praticare atti di culto. Lo Stato si dichiara in dovere di difendere la Chiesa ortodosssa dalle sette, considerate pericolose e severamente punite.
CINA. Il rapporto sulla Cina è dettagliatissimo e tocca tantissimi punti: Cina e chiesa cattolica, vescovi incarcerati, torturati e uccisi; proprietà confiscate e non riconsegnate; Cina e protestanti; Cina ed Islam. In particolare, soffermandosi solo sul rapporto tra Cina e Chiesa cattolica, emerge che nonostante timidi segnali distensivi tra Cina e Vaticano, sembra prevalere la linea di un controllo totale delle autorità politiche sulla Chiesa cattolica, come è dimostrato peraltro dai continui arresti di sacerdoti e vescovi della Chiesa non ufficiale, ma anche di quella ufficiale. [...]
In Afghanistan è ancora forte il potere esercitato da mullah e imam locali, soprattutto nelle zone più lontane dai centri cittadini. Si ispirano alla legge islamica e hanno l’ultima parola su tutto zione Aiuto alla Chiesa che soffre”; il sinologo padre Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto per le Missioni Estere e direttore dell’Agenzia Asia news; Camille Eid, docente di arabo all’Università cattolica di Milano ed esperto di queste questioni; e il vaticanista del quotidiano “La Repubblica” Marco Politi.
AFGHANISTAN. In Afghanistan è ancora forte il potere esercitato da mullah e imam locali, soprattutto nelle zone più lontane dai centri cittadini. Secondo gli esperti dell’agenzia cattolica Asia news, «il Paese è ancora in mano ai mullah e la shari’à ha l’ultima parola su tutto. L’evoluzione dell’Afghanistan richiede tempi lunghissimi, perché la religione è troppo radicata e le decisioni dei mullah sono indiscutibili». BIELORUSSIA. La legge sulla libertà religiosa del 2002 assicura alla Chiea ortodossa russa il ruolo di religione ufficiale del Paese; riconosce il ruolo «spirituale, culturale e storico della Chiesa cattolica nella Bielorussia»; nonché «l’inalienabilità dalla storia della nazione della Chiesa luterana». Vengono riconosciuti anche «l’ebraismo ortodosso» e l’islam
gli egiziani cristiani godono di una situazione equivalente a quella dei loro compatrioti musulmani. Una discriminazione implicita è tuttavia prevista in base alla Costituzione del 1971 che afferma «l’Islam è la religione di Stato, e la lingua ufficiale è l’arabo; i principi della legge islamica costituiscono la fonte principale della legislazione»». (art.2).
DOMINICANA (REPUBBLICA). La Costituzione della Repubblica Dominicana del 2002 sancisce la libertà di religione; e il Governo, in linea generale, rispetta questo diritto. EGITTO. Tra i paesi del vicino Oriente, l’Egitto è quello che conta il più grande numero di cristiani. In linea di principio,
FILIPPINE. La sezione 5 dell’articolo III della Costituzione del 1996 stabilisce: «non sarà promulgata alcuna legge che prescriva una religione o ne proibisca il libero esercizio». Questi principi sono nei fatti rispettati e non si conoscono violazioni da parte dell’Autorità.
In primo piano alcuni drammatici momenti in India dopo la barbara uccisione, all’inizio del settembre scorso, di cristiani del luogo da parte di fondamentalisti indù
GIORDANIA. L’islam è la religione di Stato, ma sono proibite le discriminazioni fondate su motivi religiose. Ma la Costituzione stabilisce che «nessuno accede al trono se non è musulmano generato da una moglie legittima e da padre e madre musulmani».
il paginone
della libertà
cesco Rositano
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pongono nei confronti del diritto alla libertà religiosa presenta una forte ambiguità: energicamente difeso a parole, il diritto alla libera espressione della propria religione viene però vilipeso nei fatti.
LIBANO. Non esiste alcuna religione di Stato. Le discriminazioni religiose presenti sono riconducibili al sistema politico confessionale che assegna le cariche pubbliche alle differenti comunità, secondo criteri ben definiti: la presidenza della Repubblica ai cattolici maroniti; la presidenza del Consiglio dei ministri ai musulmani sunniti; la presidenza della Camera agli sciiti.
religiose in tutto il Paese. Quelli che vengono definiti attacchi hanno spesso la forma di fatwa, ma anche di assalti armati ai luoghi di culto e rapimenti di membri delle minoranze.
QATAR. L’islam è la religione di Stato, l’apostasia è punibile con la pena di morte; ma sin dal 1971, data l’indipendenza del Paese, non è mai stata registrata un’esecuzione per una simile azione. Il proselitismo da parte di non musulmani è strettamente proibito. Nell’ultimo periodo, comunque, sono stati registrati grandi passi
Nello Zimbabwe, il governo ha continuato a criticare, molestare e intimidire i leader religiosi, che hanno denunciato abusi commessi dalle stesse autorità violando i diritti umani
MYANMAR. L’attuale governo militare dal 1988 guida il Paese senza una Costituzione. Nei fatti la Giunta militare impone forti restrizioni e controlla strettamente le attività di tutte le comunità, al fine di accertarsi che non si parli nel modo più assoluto di diritti umani o di democrazia.
NIGER. La libertà religiosa è riconosciuta dalla Costituzione del 1996, che dispone la separazione tra lo Stato e la religione; e con l’articolo 23 sancisce la libertà di religione e di culto. Sono vietati per legge i movimenti politici affiliati ad un credo religioso e non è consentita l’istruzione religiosa nelle scuole pubbliche. Nle 2006 e nel 2007 il Governo ha cercato a più livelli di promuovere il dialogo tra le varie religioni, istituendo anche il Ministero degli Affari Religiosi. OMAN. La Carta fondamentale del 1996 sancisce che l’islam è la religione di Stato e che la shari’a è la fonte della legge. La libertà di praticare riti religiosi è assicurata se sono coerenti con la tradizione e non infrangono l’ordine pubblico. L’articolo 29 del Codice penale prevede una pena carceraria contro chiunque bestemmi contro Dio o i profeti, o offenda le religioni. Questo articolo talvolta è utilizzato per limitare l’espressione religiosa.
HAITI. La Costituzione haitiana sancisce la libertà di religione purché le pratiche religiose non disturbino la legge e l’ordine pubblico. Il governo, in generale, rispetta questo diritto. Tuttavia, la piaga dei sequestri è una ferita aperta da lungo tempo. Ad Haiti è attiva una speciale unità della polizia per liberare le persone sequestrate ed evitare il moltiplicarsi dei rapimenti. Ma nonostante la presenza degli oltre 2000 caschi blu dell’Onu, il Governo non è ancora riuscito a ristabilire la sicurezza nel Paese. INDIA. Sebbene l’articolo 25 della Costituzione garantisca la libertà di professare la religione scelta, come pure di cambiare fede, in molti Stati sono in vigore le cosiddette leggi anti-conversione, che prevedono la reclusione anche fino a 3-5 anni e pesanti multe per chi opera attività “riconducibili alla conversione”. KAZAKISTAN. L’atteggiamento con cui le autorità statali in Kazakistan si
PAKISTAN. Nonostante le ultime elezioni legislative che hanno sancito la vittoria del partito popolare (sulla carta laico e moderato), gli ultimi due anni sono stati caratterizzati da un drammatico aumento degli attacchi contro le minoranze
in avanti: a marzo è stata inaugurata la prima chiesa cattolica.
RUSSIA. Nel gennaio 2006 lo Stato ha varato una legge che sottopone a severi controlli le «organizzazioni non governative»; i leader delle confessioni religiose tradizionali hanno fatto tuttavia appello alle autorità per essere esentati dal presentare la dettagliata documentazione fiscale, prevista dalla nuova legislazione. SOMALIA. Da anni l’esercizio della libertà di religione dipende dalle sorti della guerra che insanguina il Paese e che vede prevalere ora gruppi estremisti islamici, ora moderate. Nel giugno 2006 l’Unione delle Corti Islamiche ha preso Mogadiscio e il controllo del meridione del Paese. TURCHIA. La Turchia è dai tempi della rivoluzione di Ataturk uno Stato laico. Tuttavia, la laicità turca non implica la neutralità dello Stato in materia religiosa, ma colloca la religione sotto la tutela dello Stato. UZBEKISTAN. La Costituzione sancisce la libertà religiosa sia dal punto di vista individuale che associato. Il punto è che alla Costituzione si sono aggiunti alcuni emendamenti al codice penale e al codice amministrativo che hanno introdotto nuove pene per «l’illegale produzione, conservazione, importazione di letteratura religiosa non approvata». VIETNAM. Le religioni vengono considerate come un fattore che possono e debbono contribuire al progresso del Paese: sotto la guida dell’onnipresente partito comunista. Ciò significa, ad esempio, nel fatto che ogni anno i leader delle diverse religioni debbono presentare il programma delle loro attività, senza la certezza che venga approvato.
Nel resto del ”paginone” alcuni dei luoghi contemplati nel Rapporto: Grecia (in basso, nella pagina a sinistra); l’Iraq (a fianco); la Somalia (qui sopra); la Cina (a fianco)
ZIMBABWE. Anche in questo paese sulla carta la libertà di culto è garantita. Ma nella pratica non sempre questo diritto viene garantito. Il Governo, infatti, ha continuato a criticare, molestare e intimidire i leader religiosi, critici nei confronti della politica del Governo, che hanno denunciato abusi nei diritti umani commessi dalle stesse autorità.
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mondo
Pipeline. La mappa dei principali oleodotti e gasdotti del pianeta
Tutte le rotte dell’energia Entro il 2030 Cina e India faranno aumentare la richiesta di gas e petrolio del 55%. Un affare colossale di Luisa Arezzo Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) prevede un aumento della richiesta di petrolio e gas del 55% tra il 2005 e il 2030. Circa il 70% di questo aumento è dovuto all’espansione dei Paesi emergenti, dei quali le sole Cina e India incidono per metà. Il balzo è così imponente da far ipotizzare che in un futuro non troppo lontano la domanda mondiale risulterà superiore all’offerta. I Paesi industrializzati stanno cercando di pianificare la propria sicurezza energetica per non andare incontro a traumatici deficit di approvvigionamento. Ma i dati parlano da soli: la bilancia mondiale è squilibrata dalle richieste di Cina e India, che devono coprire le spalle alla loro poderosa crescita economica. La fame energetica ha portato alla ribalta mediatica l’intricata rete di gasdotti e oleodotti che si srotolano sia su terra che sui fondali marini, in particolare quelli russi, da quando Mosca è tornata ad essere una superpotenza, con il gas e il petrolio al posto dei missili intercontinentali.
L’
sca ha dovuto fare i conti (e chiuderli) con Kiev, visto che l’arteria vitale per le esportazioni russe è ancora quella che attraversa l’Ucraina con il nome ex sovietico di “Gasdotto della Fratellanza”. Tutti ricordiamo il forte braccio di ferro fra Putin e Yushenko all’inizio del 2007 che ha segnato, per l’Europa, la presa di coscienza della propria vulnerabilità energetica. Vulnerabilità che almeno secondo i media - ha portato all’accordo per il terzo grande progetto di Gazprom ed Eni: il South Stream, un gasdotto che dalla Russia procederà sotto il mar Nero, attraverserà la Bulgaria, per poi distribuire gas al Nord e al Sud dell’Europa. Ma il gigante energetico russo non guarda soltanto ad ovest, ma anche a sud ed est. Tanto da decidere la costruzione di oleodotti e gasdotti che dai giacimenti siberiani e dell’Estremo Oriente russo rag-
Brasile e del Golfo del Messico. Al largo delle coste africane, tra la Mauritania e l’Angola, ma anche tra Egitto e Djibouti ed in Madagscar, sin dalla metà degli anni Novanta è in atto una corsa all’accaparramento delle licenze per la ricerca e lo sfruttamento di nuovi giacimenti. Il primo attore di questa corsa all’oro nero è la Cina. Il 25% del suo fabbisogno è fornito oltre che dai paesi del Golfo di Guinea (Guinea equatoriale, Congo Brazzaville, Nigeria, Gabon), dall’Angola e dal Sudan. L’Angola si è sostituito all’Arabia Saudita come primo fornitore di greggio della Cina, cui vende il 25% della sua produzione (2,2 milioni di barili al giorno nel 2007). IL RUOLO CENTRALE DEL SUDAN La Cina, sotto il profilo energetico, è l’unico grande partner commerciale del Sudan e produce 300 mila barili al giorno, con
Accanto alle regioni petrolifere classiche cresce l’importanza dei giacimenti africani, con un potenziale superiore a quello dell’area del Mar Caspio. Fra 30 anni, più di un terzo della domanda mondiale sarà soddisfatta dai giacimenti off-shore
LA SUPERPOTENZA RUSSA I più noti: la costruzione del più grande gasdotto sottomarino europeo, il North Stream, dal terminale di Vyborg presso San Pietroburgo al porto tedesco di Greifswald, sul Baltico. Il gasdotto, costruito da una società mista con Gazprom socio di maggioranza, dovrebbe entrare in attività nel 2010 e punta al collegamento diretto puntopunto tra fornitore e consumatore. Nel novembre del 2005 è stato inaugurato Blue Stream, realizzato dall’Eni con Gazprom e la Botas turca. In questo caso ad essere attraversato è il Mar Nero, e l’opera fruirà di un prolungamento che dalla Turchia, attraverso l’Egeo e la Grecia, arriverà fino al meridione italiano. Al netto di questo, Mo-
giungano la penisola di Nakhodka sul Pacifico e, con una deviazione a sud, il centro petrolifero cinese di Daqin. L’AFRICA (E LA CINA) Accanto alle regioni petrolifere classiche sta crescendo notevolmente l’importanza dei giacimenti africani, accreditati di un potenziale superiore a quello dell’area del Mar Caspio. Nei prossimi trent’anni, più di un terzo della domanda mondiale di idrocarburi sarà soddisfatta dallo sfruttamento dei giacimenti nei fondali marini (offshore) anche a profondità superiori ai mille metri; tra il 2003 e il 2007, secondo la stima della IEA, le riserve off-shore utilizzate sono state pari a 169,4 miliardi di barili, il 20% delle quali concentrate nel cosiddetto Triangolo d’oro, lungo le coste dell’Africa Occidentale, del
l’obiettivo di passare quanto prima a 700 mila. L’80% del suo greggio va in Cina, presente in quel paese con CNPC e SINOPEC. Inoltre, sta costruendo un oleodotto di 1700 km che dovrebbe raggiungere Port Sudan, sul Mar Rosso, dove la China Petroleum Engineering sta costruendo un grande terminal. BRASILE Con le riserve appena scoperte sul fondo dell’Atlantico, e stimate tra i 30 e i 100 miliardi di barili, il Brasile è ormai passato a sua volta nel rango delle potenze petrolifere. Per mettere a frutto questi giacimenti bisognerà aspettare ancora qualche anno, ma piuttosto che adagiarsi sul sogno petrolifero il governo Lula continua nella strategia della diversificazione energetica a tutto campo, dal bioetanolo al nucleare. E nel
contempo pianifica con cura la gestione della nuova ricchezza. Un’idea che circola è ad esempio quella di costruire una nuova società a hoc per i nuovi giacimenti piuttosto che lasciare tutto alla vecchia Petrobras: una linea antimonopolistica esattamente opposta a quella chavista. SETTE GASDOTTI PER L’ITALIA La lista della rete di gasdotti e oleodotti che portano idrocarburi dai Paesi produttori all’Italia diventa sempre più lunga. Ecco le principali pipeline che interessano l’Italia: Tenp: con uno sviluppo complessivo di 968 chilometri ed una capacità di transito di 44 milioni di metri cubi al giorno, trasporta il gas dall’Olanda verso l’Italia. Transitgas: è il gasdotto che trasporta gas di provenienza prevalentemente olandese e norvegese verso l’Italia, estendendosi per una lunghezza di 293 chilometri. Trans Austria Gasleitung (Tag): il gasdotto Tag, lungo 380 chilometri, trasporta il gas dalla Russia attraverso l’Austria all’Italia, alla Croazia e alla Slovenia. Green Stream: dal 2004 l’Italia è collegata con un gasdotto alla Libia, dalla quale riceve circa otto miliardi di metri cubi gas l’anno, circa il 10% del
proprio fabbisogno. Transmed: l’algerina Sonatrach è impegnata nell’allargamento della capacità di trasporto del gasdotto Transmed (27 miliardi di metri cubi annui), che trasporta gas dall’Algeria alla Sicilia attraverso la Tunisia, secondo il progetto che prevede di aumentare la portata di gas verso l’Italia a 6,5 miliardi di metri cubi l’anno entro il 2008, trasportata attraverso il ramo della pipeline chiamata Enrico Mattei. Galsi: il gasdotto Galsi, la cui apertura è prevista nel 2011, di 1.350 chilometri, porterà fino a 10 miliardi di metri cubi di gas l’anno dall’Algeria all’Italia passando attraverso la Sardegna. Peop il Peop, un oleodotto che dovrebbe essere operativo nel 2012, collegherà il porto di Costanza in Romania alla città di Trieste. L’oleodotto di 1.400 chilometri, con un costo tra 2 miliardi e 3,5 miliardi di dollari, rifornirà le raffinerie del nord d’Italia e dell’Europa centrale con il greggio del Caspio. South Stream: ne parliamo nel paragrafo russo. L’IRAN E L’IRAQ Sono due variabili fondamentali. L’Iran è da sempre un attore importate della scena energetica ed esporta oltre 2,4 milioni di barili al giorno di greg-
mondo
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Oggi inizia il vertice straordinario dei Paesi produttori
Ma se cala il prezzo del petrolio sono guai di Maurizio Stefanini i apre oggi il vertice straordinario dell’Opec (e un altro, altrettanto straordinario, è già stato calendarizzato per il 17 dicembre) e la notizia che in tanti vi chiederanno un taglio delle quote di produzione sembra aver riportato su i prezzi oltre i 70 dollari al barile. Ma forse era solo l’effetto della ripresa in Borsa, e comunque dopo qualche ora ha ripreso a scendere. Insomma, la reattività a notizie e timori resta alta, ma la tendenza a ribasso che ha dimezzato prezzi in appena tre mesi è più forte, anche perché legata evidentemente a dati strutturali: un po’ il calo della domanda; un po’ le scelte politiche sempre più decise e sempre più diffuse di ridurre la dipendenza petrolifera comunque; un po’, forse, l’effetto della prima sfuriata dei governi contro i movimenti speculativi. Il presidente venezuelano Hugo Chávez avverte che il prezzo scenderà ancora, l’Iran dice di temere i 40 dollari al barile, il ministro dell’Energia e Miniere algerino Chakib Khelil da presidente di turno continua a ripetere che ormai l’organizzazione non è più in grado di influire sull’andamento dei prezzi del greggio.
S
gio, rifornendo la Cina per il 12% del petrolio che consuma e l’India per il 15%. Da tempo ha pronto un progetto per un gasdotto di 2800 km per collegare i due paesi via Pakistan. Ma il progetto viene osteggiato quasi come arma di scambio rispetto alle mire nucleariste di Ahmadinejad. Dell’Iraq c’è poco da dire. Le garndi riserve energetiche del paese sono rimaste fermo al palo con l’avvio della guerra. Risultato: le esportazioni dall’Iraq sono oggi inferiori rispetto a quelle di prima della caduta di Saddam. ARTICO Lo scioglimento dei ghiacci dell’Artico - oltre a disastrose conseguenze ambientali - sta aprendo rotte finora sconosciute e non raggiungibili dall’uomo. Soprattutto sta facendo emergere un immenso tesoro ancora inesplorato, fatto di ricchi depositi di metalli, oro, argento, rame, diamanti; di uranio, combustibile per le centrali nucleari; e, secondo le ultime stime, di circa il 20-25% delle riserve di petrolio e gas del pianeta. Per molti esperti sarà una corsa contro il tempo, visto anche il vuoto del diritto internazionale sulla sovranità dei fondali artici e sullo sfruttamento delle sue risorse.
mai ideologicamente irrinunciabile del governo Berlusconi. La paura per il prezzo dei barili che andava su e non voleva più arrestarsi è stata tanta, e la determinazione a non ricaderci più è ormai una spinta emozionale potente. Diverso può essere il punto di vista delle grandi compagnie. Ma il 95% delle riserve mondiali sono ormai in mano agli Stati, ottenere concessioni non è facile, e se si è riusciti infine ad avviare un progetto non si può stare sotto appresso alle fluttuazioni di breve o medio periodo. Insomma, magari anche solo per non farsi mettere nella lista nera dei governi con cui si sono accordati, anche i programmi di ricerca ormai avviati da majors e joint ventures dovrebbero andare avanti.
Tutto ciò, però, difficilmente non avrà effetti ulteriori sui prezzi, che presumibilmente saranno tirati ancora più verso il basso. E qui il problema si sposta allora non tanto su quei governi che hanno approfittato della bonanza per fare shopping con i loro Fondo Sovrani, che quello più o meno se lo ritroveranno; ma su quegli altri che invece sull’”arma petrolio” avevano puntato per rilanciare il consenso interno e il loro ruolo geopolitico in campo internazionale. Tanto per non fare nomi: soprattutto il venezuelano Chávez, l’iraniano Ahmadinejad e il russo Putin. Ma anche su quegli altri Paesi come Nigeria o Messico che non hanno ambizioni internazionali analoghe, ma si trovano comunque alle prese con fenomeni di sperequazione sociale e povertà diffusa che certamente i prezzi alti del greggio aiutavano a affrontare meglio. Una riprova dell’incertezza del momento è il modo in cui le leggi di previsione sui bilanci dell’anno prossimo stanno provando a indovinare il livello dei prezzi per il 2009: 80 dollari ad esempio per il Messico, in cui il greggio rappresenta un terzo delle entrate; ma 60 dollari invece per il Venezuela, dove arrivano a metà. E Chávez, pur sostenendo che le riserve valutarie di 40mila miliardi di dollari gli permetterebbero di sostenere qualsiasi avversità, ha riconosciuto che per sostenere un programma politico che conta di incrementare la spesa pubblica del 23% nel corso del prossimo anno gli servirebbero prezzi da 80-90 dollari. Dunque, sta già fuori, se non succede l’inimmaginabile. Anzi, rischia perfino di non poter più pagare la gran quantità di armi che ha ordinato. E già ci sono ritardi nel pagamento delle pensioni, mentre il progetto di una raffineria offerta al Nicaragua è stato per il momento rinviato sine die. Quanto all’Iran, i problemi crescenti hanno portato il governo ha proporre un’Iva che ha attizzato uno sciopero del bazar, già protagonista della rivolta contro lo Scià. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, lì la crisi si scatenerebbe sotto i 75 dollari al barile, mentre in Russia i problemi inizierebbero sotto i 70 dollari.
Una serie di progetti energetici ormai avviati rischiano di diventare carta straccia con il greggio a 60 dollari a barile
Foto: operai al lavoro in uno stabilimento di estrazione petrolifera in Arabia Saudita. Oggi l’Opec ridurrà la produzione, come ha affermato Chakib Kheili, il presidente dell’organizzazione. Il taglio però non sarà così corposo come vorrebbero i ’falchi’, che puntano a un abbassamento del limite di 2-3 milioni di barili al giorno (mbg). La misura si annuncia infatti più contenuta, di 1-1,2 milioni di barili, in modo da accontentare le pressanti richieste di Paesi quali Iran e Venezuela
Ma che succederà se questo prezzo continuerà veramente a cadere? Un’incognita pesa in teoria su tutta una serie di progetti energetici che in questi ultimi mesi sono stati approntati proprio nell’aspettativa che un barile oltre i 100 dollari li avrebbe resi convenienti: ma quasi tutti comincerebbero ad avere seri problemi di sostenibilità con il barile a 80 dollari e finirebbero definitivamente fuori mercato col barile a 60. È il caso, ad esempio, delle sabbie bituminose della provincia canadese dell’Alberta e della venezuelana Faja del Orinoco: un tipo di petrolio pesante particolarmente complicato da raffinare, perché mescolato a arene che lo rendono solido. Ma a rischio sono anche i progetti sul giacimento russo di Chtokman e su quello australiano di Ichthys: per non parlare dell’Alaska, dove ci sono anche le remore di natura ecologica. A meno che, come si è già accennato, non ci si metta la politica. In un clima dove la crisi sta facendo tornare ideologicamente accettabile il prevalere di logiche politiche su quelle economica, ad esempio, sia McCain che Obama sono d’accordo nel ridurre l’esposizione petrolifera degli Usa da Venezuela e Medio Oriente: un obiettivo ottenibile sia pigiando sul pedale del bioetanolo, visto che tra l’altro anche i prezzi dei generi alimentari già oggetto di tanto allarme stanno calando; sia aumentando l’export dall’Africa, anche se lì si dovrà affrontare la crescente concorrenza cinese; sia, appunto, continuando con le trivellazioni in Alaska. Ma anche il brasiliano Lula è convinto sulla strategia della diversificazione tra messa a frutto dei nuovi giacimenti off-shore appena scoperti nell’Atlantico del Sud, bioetanolo e nucleare. E il nucleare sembra pure una scelta or-
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Nuovi Eroi. Dopo le pressioni sul Nobel, l’Europa sfida la dittatura
Cina,l’Ue batte un colpo L’Unione ignora le minacce di Pechino e assegna il premio Sakharov a Hu Jia di Aldo Forbice segue dalla prima La sentenza parla esplicitamente di condanna per “istigazione ad attività sovversiva”. Una campagna denigratoria di Pechino era stata condotta già qualche tempo fa, alla vigilia dell’assegnazione del Premio Nobel per la pace, a cui era candidato Hu Jia. Anche in quella occasione le autorità cinesi avevano definito il dissidente un “criminale”, minacciando che il conferimento di quel Premio avrebbe comportato una crisi dei rapporti tra Cina e Norvegia. Esattamente le stesse parole sono state espresse dal governo cinese alla vigilia del riconoscimento del Premio Sakharov al giovane cinese. Ma, per fortuna, almeno in questa occasione l’unità dei 27 Paesi dell’Ue ha retto bene: le pesanti minacce cinesi non solo non hanno impaurito i parlamentari europei
crimine “moderno” che, al tempo delle guardie rosse maoiste, veniva definito “controrivoluzionario”), ora però è diventato il dissidente più famoso. Ed è per questo che la Cina ha scatenato un’offensiva durissima. Si deve infatti risalire al 1989, al tempo dell’assegnazione del Premio Nobel al Dalai Lama, per ritrovare la stessa durezza di toni e di parole denigratorie. Del resto, la Cina è una realtà geopolitica-religiosa così complessa e variegata che appare veramente difficile – nonostante le forti pressioni dell’opinione pubblica internazionale (più che dei governi) - che possa allentare a breve termine la briglia della repressione sistematica. Subito dopo la conclusione delle Olimpiadi, infatti, sono state emesse nuove condanne contro i dissidenti tibetani. In particolare otto monaci buddisti sono stati condannati all’ergastolo o a lunghe detenzioni
denti e preoccupano seriamente le autorità. Anche il “bonus” di libertà concesso ai giornalisti stranieri in occasione dei Giochi olimpici è scaduto proprio in questi giorni: prima era consentito di accedere a siti proibiti, come quello di Amnesty International e i portali di informazione sul Tibet, adesso anche questi rari spazi di libertà di informazione riservati agli addetti ai lavori, sono stati blindati. Ma c’è un altro fenomeno che sta prendendo piede a Pechino: quello delle “prigioni invisibili”.
Si tratta di un sistema, forse mutuato dai tempi dell’Urss di Stalin, degli alberghi trasformati in prigioni per intellettua-
denunciati da dissidenti cinesi, come Wang Jinian di Pingdingshan, che ha raccontato di essere stata reclusa per qualche giorno in un albergo per poi essere liberata da suoi amici attivisti per i diritti umani. Gli albergatori – hanno denunciato i dissidenti - ricevono dalle autorità 150 yuan al giorno (15 euro) per ogni “recluso”.
La Cina teme i paladini dei diritti umani, perché possono determinare grandi problemi, incontrollabili spinte alla democrazia che il regime comunista non sarà più in grado di neutralizzare ma, al contrario, hanno accentuato l’orgoglio di premiare un eroe del nostro tempo, che si oppone al moloch cinese. Proprio qualche settimana fa la moglie Zeng ha documentato che Hu viene sottoposto a un regime di carcere duro. Nei primi sei mesi della sua prigionia (iniziata nel marzo scorso), infatti, è stato sottoposto tutti giorni a lunghi e martellanti interrogatori, da sei a 14 ore al giorno e all’obbligo di restare dalle ore sei a mezzogiorno seduto su una panca con le gambe diritte davanti a sé.
Non può ricevere visite, né corrispondenza e i controlli medici sono rarissimi. Hu, come si è detto, è stato condannato da un tribunale di Pechino «per incitamento alla sovversione del potere di Stato» (un
per un attentato del 23 marzo scorso, senza vittime, contro un palazzo governativo della città di Gyanbe, a circa 1400 chilometri da Lhasa.
Il processo, come i precedenti, è stato celebrato in assoluto segreto; neppure i parenti erano stati avvertiti. La repressione continua dunque e, come si prevedeva, le Olimpiadi non hanno fatto cambiare nulla in Cina. Anche i navigatori della Rete, spente le luci olimpiche, hanno subito un nuovo giro di vite. Infatti, ora gli internet cafè dovranno fotografare i clienti e verificare che abbiano un’età superiore ai 18 anni. Il controllo degli internauti è diventato più stretto per prevenire nuovi fenomeni di dissidenza: i “casi Hu Jia” sono diventati infatti sempre più frequenti fra gli stu-
li e difensori dei diritti umani. Succede, infatti, che cittadini che arrivano nella capitale cinese per presentare petizioni al governo, un diritto storicamente riconosciuto ai cittadini cinesi (una consuetudine che risale ai tempi degli imperatori), ma fermamente contrastato dalle autorità,vengano arrestati e rinchiusi in degli alberghi. Per
citare solo un caso, il prof. Xu Zhiyong (docente di diritto all’Università di Pechino) ha ricevuto diverse richieste di aiuto da cittadini tenuti segregati allo Youth Hotel. Ha raggiunto l’albergo, con altri docenti, e ha scoperto che almeno trenta intellettuali, autori di petizioni, si trovavano prigionieri in quell’albergo. Altri casi sono stati
A Pechino vi sono almeno quattro alberghi sistematicamente utilizzati per impedire ai cittadini di presentare petizioni. Un caso clamoroso è stato quello di una donna di 54 anni di Nanchang, arrestata a Pechino il 14 luglio scorso, per avere presentato una petizione: si è uccisa buttandosi da un ponte mentre veniva accompagnata dalla polizia a una stazione ferroviaria per obbligarla a partire. Migliaia di “presentatori di petizioni” sono stati arrestati, a volte anche torturati, durante le Olimpiadi. Da qualche giorno è ricominciata la caccia agli uighuri, cioè ai musulmani cinesi, che si aggiunge alla repressione dei tibetani e dei fedeli del culto Falun Gong. Le minoranze etniche e religiose rap-
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In galera da anni, continua le sue battaglie
L’uomo che fa paura al regime di Massimo Fazzi assegnazione del Premio Sakharov per la libertà di parola nel mondo al dissidente cinese Hu Jia rappresenta la risposta più appropriata del Vecchio Continente alle minacce contenute nella lettera firmata dall’ambasciatore cinese a Bruxelles e indirizzata ai vertici del Parlamento europeo. Nella missiva, indirizzata a Hans-Gert Poettering, Song Zhe ha espresso «profondo rincrescimento», aggiungendo che «se il Parlamento europeo dovesse assegnare il premio a Hu Jia, sarebbe un’inevitabile offesa per il popolo cinese e causerebbe seri danni ai rapporti Cina-Ue». Secondo Song, inoltre, «non riconoscere i progressi della Cina sui diritti umani e insistere in una contrapposizione farebbe solo aumentare l’incomprensione tra le due parti». Un testo simile era stato inviato dal governo cinese all’Accademia reale di Svezia nei giorni in cui si decideva l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace. L’assegnazione del prestigioso riconoscimento all’ex presidente finlandese Martti Ahtisaari ha risolto la querelle diplomatica salvando la forma e il rapporto con il colosso asiatico. Ma ha scontentato coloro che credono che la Cina debba essere educata sulla strada dei diritti umani, e non lasciata libera di fare ciò che vuole. Hu Jia, 36 anni, è noto per la sua lotta a favore dei malati di Aids e per il suo impegno a favore delle famiglie di quanti sono morti per il virus Hiv. Nel tempo, è diventato anche una sorta di riferimento centrale della dissidenza cinese: ha raccolto articoli, preparato ricorsi legali e presentato alla comunità internazionale l’opera di tutti gli altri oppositori del regime.
L’
Nel premiare Hu Jia, Strasburgo ha dimostrato che non intende accettare – come recita il comunicato ufficiale - «le troppe voci ridotte al silenzio in Cina e Tibet». Oggi il presidente di turno dell’Unione europea, il francese Nicolas Sarkozy, si trova a Pechino insieme ad altri leader mondiali per il summit EuropaAsia, nel quale vuole persuadere la Cina e altri Stati asiatici a una revisione congiunta del sistema finanziario globale. È l’occasione giusta, e forse anche l’uomo giusto, per ricordare a Pechino che l’economia da sola non basta a rendere grande una nazione. Per dare reale grandezza a un Paese, infatti, contano più dei successi economici la libertà che il governo concede ai suoi abitanti. E la libertà di parola - insieme a quella religiosa - è la base stessa di tutte le altre concessioni. Che non possono essere soppresse in nome dello sviluppo economico e industriale, come Hu Jia ha più volte dimostrato. L’assegnazione del Premio – che consiste in una targa e in un assegno da 50mila euro – è prevista per il prossimo 18 dicembre. La battaglia da vincere è fare in modo che Hu Jia possa ricevere quanto gli spetta.
È un campione della libertà di parola. Il suo operato ha reso possibile ad altri dissidenti di opporsi alle repressioni del partito comunista
presentano la più grande minaccia per la Repubblica popolare. Messe insieme queste minoranze costituiscono una piccola percentuale della popolazione, ma per il regime sono un potenziale politico e religioso esplosivo.
I più temuti e controllati militarmente sono gli otto milioni di islamici del Xinjiang, dove si sono registrati, durante i Giochi, una serie di attentati terroristici. La repressione si è particolarmente intensificata anche in Tibet, il cui accesso è ancora vietato ai giornalisti stranieri. Questa Cina dal volto disumano non può certo tollerare che un figlio “degenere”, come Hu Jia, venga onorato da un prestigioso Premio europeo come il Sakharov. La Cina teme gli eroi dei diritti umani, perché se imitati possono determinare grandi problemi, sociali e politici, incontrollabili spinte alla libertà e alla democrazia che il regime comunista non sarà più in grado di neutralizzare facilmente. Oggi, infatti, sarebbe molto difficile fare accettare all’opinione pubblica internazionale nuove Tiananmen.
è stato arrestato a dicembre e condannato ad aprile a 3 anni e mezzo di prigione, per «istigazione ad attività sovversive». La pena rappresenta la risposta di Pechino all’indefessa attività di Hu a favore di coloro che sono stati espropriati di case e terre nei lavori di preparazione delle scorse Olimpiadi. Sua moglie, Zeng Jinyan, è da mesi agli arresti domiciliari sorvegliata a vista, insieme alla figlia di pochi mesi. I suoi genitori sono tra le migliaia di intellettuali condannati nel 1957 quali “elementi di destra”per avere criticato il governo. In un’intervista ha raccontato che «poiché i miei genitori erano bollati come elementi di destra, nessun bambino voleva giocare con me». Il suo impegno a favore degli altri dissidenti lo porta ad avere un ruolo significativo diverso da tutti gli altri.
L’emiciclo del Parlamento europeo a Strasburgo. È stato proprio il presidente del Pe, Hans-Gert Poettering, ad annunciare l’assegnazione del premio a Hu Jia. In alto, il dissidente russo Sacharov, che ha vissuto in esilio fino alla Perestrojka. Nell’altra pagina, Hu Jia
Ha collaborato con i media stranieri e con le ambasciate, fornendo materiale sulle violazioni ai diritti umani commesse dal Partito comunista e, più di recente, a favore dei molti cittadini vessati per preparare le Olimpiadi. Dopo aver trascorso alcuni anni in galera nella seconda metà degli anni ‘90,
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musica Dopo il successo dello scorso anno, che le è valso il disco d’oro in Italia per l’album “Joyful”, la cantante emergente Ayo, straordinaria interprete del reggae e del soul, torna a stupire e incantare col nuovissimo “Gravity at last”
Stelle emergenti. Si è fatta conoscere un anno fa con il suo primo (disco d’oro) “Joyful”. Oggi torna e stupisce con “Gravity at last”
Ayo, la Venere nera del reggae di Valentina Gerace i è fatta conoscere un anno fa con il suo primo album Joyful, disco d’oro in Italia, e il relativo singolo di successo Down on my knees. Il ritmo esotico e coinvolgente della sua musica ha incantato più di 40 nazioni. Dopo l’incredibile successo del suo debutto, ecco in uscita dal 29 settembre il secondo album di Ayo, Gravity at last. Inciso in soli cinque giorni al Compass Point Sudio alle Bahamas, cult studio dell’etichetta Island (Bob Marley, James Brown, The Rolling Stones). Le registrazioni sono state fatte in presa diretta “live”senza nessuna prova. La produzione realizzata in analogico per dare all’album un suono vintage è stata nuovamente affidata a Jay Newland che ha già prodotto Joyful, e Come away with me di Norah Jones.
“gioia”), nasce nel 1980 a Colonia, in Germania, da padre nigeriano, musicista e dj, e madre romena. La sua infanzia è tormentata. La madre inizia a drogarsi quando lei è ancora una bambina. Così Ayo deve trasferirsi con i fratelli e il padre, con cui instaura un rapporto di estrema complicità e amicizia. Legame spesso menzionato nelle sue canzoni. A sei anni inizia a suonare il violino, successivamente il pianoforte, ma ben presto si rende conto che lo strumento che la fa veramente sentire a proprio agio è la chitarra. Cresce ascoltando i Pink Floyd e Fela Kuti, i Soul Children e Bob Marley. Ha un carattere e abitudini da nomade, ama spostarsi da una parte all’altra del mondo,
A impreziosire un album da collezione come questo, la partecipazione di grandi musicisti quali Lucky Peterson alle tastiere, Larry Campbell alla chitarra, Jermaine Parrish alla batteria, e Keith Christopherson al basso. In Gravity at last Ayo continua a raccontare se stessa come nel primo disco. Parla d’amore, della madre e del padre, del suo bambino. E ancora, di politica, di corruzione e di tutto quello che non accetta del mondo.Testi semplici, ma molto veri, profondi e autentici. Incastonati in un album che contiene suoni afro-americani, soul, folk e reggae. Ayo, nome d’arte di Joy Olasunmibo Ogunmakin (che significa
non riesce ad avere un posto fisso. A 20 anni lascia la Germania e va a vivere a Londra. Qui inizia a comporre canzoni e a affezionarsi alla chitarra, che oggi porta sempre con sé. E fare musica diventa terapeutico. Un modo creativo per sentirsi bene ed essere autentica, lasciando da parte il suo passato. Successo e soldi non le interessano. Oggi la sua vita si svolge tra New York e Parigi, due metropoli che si addicono alla sua personalità musicale. A New York riesce a dare il meglio di sé musicalmente; Parigi, invece le comunica un senso di protezione, la fa sentire a casa. Inizia ad esibirsi aprendo i concerti di Omar, un cantante britannico, e duetta con Cody Chesnutt,
S
sempre accompagnata dalla sua fedele chitarra. La sua musica è un viaggio che percorre varie culture. Africana, europea, caraibica, americana. E toccando una cultura e l’altra, prende varie forme.
Una musica che rispecchia il suo modo di essere. Un mix di generi, come lei stessa è il risultato di un mix di culture e nazionalità differenti. Proprio le sue origini multiculturali e multietniche le permettono di cogliere il meglio di ogni paese e di riflettere questa complessità e ricchezza nei suoni e nei suoi album. Joyful, l’album del debutto registrato a NewYork durante una sua performance, e solo dopo due mesi aver dato alla luce il piccolo Nilo, raggiunge un enorme
ding, Sade o Norah Jones. E che l’ha resa artista di fama mondiale. Contiene il singolo Down on my knees, un intenso lamento d’amore, autobiografico scritto in un momento difficile della sua vita. Uno dei tanti laceranti che hanno segnato un forte cambiamento. Un delicato falsetto accompagnato dal riff di una discreta chitarra. Un ritmo innocente, soft ma anche hippy-chic tenuto dal bongo. E altri singoli di successo quali And its supposed to be love o Life is real. Il suo spirito nomade ha ispirato la composizione dei testi (tranne la cover della jazz singer Abbey Lincoln), in cui Ayo compare anche in veste di chitarrista e pianista. Il suo caldo timbro vocale e i suoi ritmi quasi esotici ci parlano della vita, dell’amore, dei sentimenti o più in generale del tempo che scorre inesorabilmente. Riflessi di storie di vita di strada (Life Is Real), raccontate con l’emozione e l’immediatezza di accompagnamenti reggae e blues (Only You), corredate graficamente da un libretto fotografico familiare d’epoca.
Nata nell’80 a Colonia da padre nigeriano e madre romena, cresce ascoltando i Pink Floyd e Bob Marley. E oggi la sua musica è «un viaggio tra diverse culture: africana, europea, caraibica, americana» successo in Svizzera, Italia e Germania. In sole tre settimane diventa disco d’oro in Francia con oltre 150 mila copie vendute, 700 mila in tutto il mondo, e viene pubblicato in più di 40 nazioni. L’album contiene dodici tracce realizzate al fianco di Dizzy Gillespie, già collaboratore di Norah Jones e di Herbie Hancok. Totalmente prive di effetti sintetici le tracce di Joyful non fanno comunque parte di un concept-album. La cantante ha preferito trasportare semplicemente su supporto audio l’ambiente tipico dei suoi concerti, un luogo intimo dove la sobria formula chitarra-voce diventa molto efficace. Un album dai toni slow, pacati e intimistici, che richiama la musica di Tracy Chapman, Joan Armatra-
Nonostante il successo ottenuto in quest’ultimo anno, Ayo rimane una ragazza semplice. Un madre. Una figlia legatissima al padre. Una persona sempre sorridente nonostante il suo lacerante passato. E non dimentica i veri valori in cui crede. E proprio questa sintesi di talento, solarità e genuinità la rende un’artista speciale. Una cantante dal fascino esotico e multietnico. Proprio come quello che caratterizza le sue canzoni. E allora non resta che abbandonarsi alle dolci carezze date sui bonghi e farsi guidare dalla sua voce.
cultura aporedattore di Der Spiegel dal 1994 al 2008 e da molti definito «il giornalista tedesco più Stefan potente», Aust non può certo essere accusato di essersene rimasto nell’ombra mentre l’intera Germania discute il film Il complesso BaaderMeinhof, tratto dal suo libro omonimo (la prima edizione è del 1985). Una volta annunciata l’uscita della pellicola, per Aust le ultime settimane sono trascorse in un profluvio di interviste. In quella a Die Zeit sostiene come l’intento del suo libro fosse di «non strumentalizzare i fatti» ma piuttosto quello di «aderire il più possibile alla realtà».
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Anche il film, secondo il giornalista, doveva porsi lo stesso obiettivo e, a suo parere, vi è riuscito. Un “realismo” (minimi dettagli, volti e ambienti sono resi con acribia quasi maniacale), quello praticato dal produttore Bernd Eichinger e dal regista Uli Edel, che però fa molto discutere. Può essere che l’intento fosse davvero quello di distruggere un mito (come ha sottolineato un titolo di Der Spiegel), con la speranza che il film potesse «cambia-
Terrorismo. Dure polemiche per “Il complesso Baader-Meinhof”
Germania di piombo, un film riapre le ferite di Vito Punzi nulle dunque finiscono col risultare le responsabilità dei singoli, le loro convinzioni, la loro ideologia. Il tutto, molto semplicisticamente, si tenta al-
fri. Ricordato che il film, come il libro, inizia con la morte di Benno Ohnesorg, il 2 giugno 1967, ucciso a Berlino da un agente in borghese durante In alto, il giornalista tedesco Stefan Aust e, a fianco, la copertina del suo libro sui terroristi della Raf “Il complesso BaaderMeinhof”, dal quale è tratto l’omonimo film (in basso alcune scene)
re il dibattito sul terrorismo tedesco» (così Kurt Kurbjuweit). «In realtà», ha attaccato Bettina Röhl, figlia di Ulrike Meinhof e Klaus Rainer Röhl, «finora non era stato realizzato nulla di così vicino alla venerazione eroica». Difficile darle torto. Del resto è il destino delle opere che vorrebbero distinguersi per l’«oggettività» dei fatti riportati. L’effetto cercato lo si potrebbe sintetizzare così: quella storia non poteva che andare così. Nulle, o quasi
con le pallottole sparate a Ohnesorg, abbia contribuito alla costituzione della Raf altrettanto quanto Ulrike Meinhof». Una tesi che risulta ancor più rafforzata quando si legge che da quel momento, sempre secondo l’ex-sessantottino in carriera, non poteva che vincere la «logica dell’escalation»: a detta di Aust il film risulterebbe riusci-
La pellicola, tratta dall’omonimo libro del giornalista Stefan Aust, secondo alcuni deresponsabilizza i militanti della Raf lora di spiegarlo in termini pseudo-scientifici.
Sarà utile rileggere alcune dichiarazioni di Aust per intendere meglio e per accorgersi come esse non siano così lontane da quelle espresse anche recentemente da Adriano So-
una manifestazione contro lo Scià di Persia, nella citata intervista a Die Zeit (e lo ha ribadito anche in un recente talkshow televisivo) Aust sostiene la tesi che «il poliziotto Kurras,
to per il fatto che racconta «con immagini e scene quasi documentarie una logica interna», quella, appunto, del «succedersi di azioni e reazioni ad opera dei terroristi e dello Stato», una concatenazione di eventi che sembra non presup-
ponga libere decisioni dei singoli e piuttosto tutto sottomette al «così doveva andare». Altro che questione risolta. Altro che mito sfatato. E non aiuta certo la latitanza di una chiara presa di posizione del film rispetto a dieci anni di eventi drammatici. Pur essendo entrambi della stessa generazione dei terroristi, Eichinger e Edel (ma si potrebbe aggiungere anche Aust) non hanno voluto fare i conti fino in fondo con le ragioni e il retroterra dell’orrore di cui uomini e donne della Raf furono responsabili. Troppo facile, oggi, rappresentare quel manipolo di persone come un piccolo gruppo «nel quale spesso e senza dubbio», così ancora Aust, «era preponderante un odio di tipo fascista verso le persone, anche tra di loro, e verso le loro vittime». Per molti, troppi, e per troppo tempo, a ovest come ad est della cortina di ferro, si è riposta una certa speranza nelle azioni di quei terroristi. Il regista Heiner Müller, che viveva allora da integrato nella Germania comunista, confessò nel 1978 che l’unico modo per «sopportare la Ddr» era sperare «nel rinascimento del fascismo nella Germania Federale»; un «rinascimento» che sarebbe potuto accadere grazie ad una «reazione esagerata dell’apparato statale alla lotta armata di una minoranza in estinzione». In forma ancor più sconcertante Müller arrivò a scrivere: «La Raf era allora, non solo per me, il materiale più interessante proveniente dall’ovest».
A mancare, nelle pur interminabili interviste rilasciate da Aust, così come nelle immagini del film di Edel e Eichinger, si potrebbe dire, sintetizzando, sia proprio l’«altra Germania», presente nella Repubblica Federale così come all’interno del regime della Ddr, quella Germania che più o meno apertamente sperava nell’utilità politica dell’azione violenta di quella in «minoranza estinzione». Una minoranza che peraltro, è bene segnalarlo, pare essersi tutt’altro che estinta. Le cronache che arrivano da Berlino raccontano infatti d’inquietanti scene di giubilo in occasione di alcune proiezioni al momento delle scene degli assassinii e delle azioni violente. E’ successo per esempio ai primi di ottobre al cinema Colosseum, nel quartiere di Prenzlauerberg, e i simpatizzanti della Raf erano non meno di una cinquantina. Era forse questo l’esito che si voleva perseguire? La domanda è inquietante almeno quanto lo furono quegli anni.
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cultura
Polemiche. Viaggio architettonico nella Roma divisa tra avvenirismo e conservatorismo
2011,Odissea nella Nuvola Va avanti il progetto di Massimiliano Fuksas, si arena la “scatola magica” di Renzo Piano di Francesco Fontanella on l’abbattimento del Velodromo, lo scorso agosto, Roma ha perso un’importante architettura degli anni Sessanta: lo stadio costruito da Cesare Ligini, che si distingueva per eleganza e intelligenza, con alcune soluzioni decisamente all’avanguardia per questa tipologia. Il concorso per il Velodromo fu uno dei più importanti per l’epoca. Il progetto dello stadio era un tema molto complesso, soprattutto per le difficoltà del disegno delle gradinate a causa dei problemi di visibilità. Ligini utilizzò dei banchi di terra come fossero colline, per armonizzare le tribune alla natura circostante. Ne fece così una sorta di stadio greco, in cui l’architettura diviene natura; le tribune sembravano quasi scolpite nella terra.
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Divenne così una sorta di dolce invaso, come fosse un’insenatura naturale. Dalle prospettive aeree e dal modello del concorso s’intuisce subito la grande idea dell’architetto, vero archetipo di un modo di affrontare questo tema. Vedere quelle grandi strutture in ferro, della tribuna, ora a terra, sommerse da cemento e macerie è una scena che può fare dispiacere. «È la città che cambia», hanno sostenuto in molti. Oggi invece, a pochi giorni di distanza, sempre all’Eur e non lontano dall’area del vecchio Velodromo, si è fatta la scelta opposta: si conserverà. Stavolta sotto inchiesta sono le “Torri della finanza”, l’ex sede del ministero, un altro progetto dell’architetto Cesare Ligini. In questi anni, infatti, il ministero delle Finanze sta delocalizzando molte strutture e massimizzando spazi e risorse. Di questo progetto fa parte la riconversione della sede dell’Eur. Forse anche l’ottocentesca sede centrale di via XX settembre verrà prima o
poi riconvertita a nuovi usi e si è parlato di trasformarla nel “Louvre italiano”.
Per quanto riguarda le Torri, non è ancora stata presa una decisione definitiva dagli operatori, ma sembra che siamo di fronte a una svolta: non verranno abbattute. Quindi due pesi, due misure. Un ripensamento totale sulle scelte delle politi-
Il Nuovo Centro Congressi della Capitale si compone di tre fondamentali elementi: la “teca”, la “nuvola” e la “lama”
che urbane, che non sono per niente chiare, soprattutto a chi avrebbe preferito, forse, la conservazione del Velodromo, riconvertendolo, e l’abbattimento delle Torri della finanza, in caso si fosse potuto scegliere. L’architettura del Velodromo si distingueva per importanza storica, quella delle “Torri”invece no. Fanno parte, seppur con caratteri di originalità, di quell’architettura così detta International Style che sembrava già in origine, nel pensiero degli architetti dell’epoca, accettare il suo carattere di precarietà. Infatti, negli anni, molte delle torri dell’Eur hanno subito un “trattamento di bellezza”, un restyling come nel caso dell’edificio dell’Eni a piazza Mattei, che si affaccia sul laghetto, e dell’Inail, su progetto di Gino Valle. Un’architettura di maniera, sostanzialmente povera e già obsoleta in pochi anni. Queste architetture furono realizzate più che al-
In basso, la nuova sede del “New York Times” progettata dall’architetto italiano Renzo Piano (a fianco). A destra, il progetto della “Nuvola” di Massimiliano Fuksas (a fianco), i cui lavori a Roma dovrebbero terminare, come da programma, entro il 2011
tro per soddisfare il gusto di una tecnica d’invenzione e le loro facciate si sono degradate in pochi anni fino a renderne necessario il rifacimento. Perché quindi conservarle? Del resto il grande Fellini, che del-
l’Eur aveva fatto la sua seconda casa, associava questo quartiere a Cinecittà, quindi a una città in cui tutto sfugge, in cui ogni cosa è in continuo divenire e, per usare le sue parole, «il monumento più antico è il distributore di benzina del ‘65». Fellini vedeva quindi la leggerezza nell’Eur – ma si rivolge anche agli edifici in pietra, metafisici, di epoca fascista – cogliendone un senso di astrazione, mutevolezza ma anche libertà.
Molti ancora sono gli interrogativi che solleva questa scelta da parte dell’amministrazione del Comune e di tutti gli altri soggetti interessati. Forse abbattere le Torri della finanza sarebbe potuto sembrare un cattivo messaggio da mandare proprio in questo periodo in cui di crolli finanziari ce ne sono stati anche troppi? In questo caso però, le Torri avrebbero lasciato il
cultura
posto a un brillante progetto dell’architetto Renzo Piano: un totale ripensamento dell’area, un messaggio di progresso.
Il nuovo isolato disegnato da Piano sarebbe stato un segno di cambiamento e un esempio felice di ristrutturazione urbana. Il progetto prevedeva la costruzione di un edificio a corte, tutto di vetro e acciaio, in perfetta sintonia con il nuovo Centro dei congressi “Nuvola” di Massimiliano Fuksas. L’altezza sarebbe stata diminuita rispetto alle Torri per lasciare “aria” a Nuvola; un grande giardino interno sarebbe stato un “luogo cerniera” tra il dentro e il fuori. Quindi un edificio aperto alla città, per una riconversione totale dell’idea dell’isolato: da uso uffici a complesso residenziale vitale e pulsante. Piano aveva dichiarato a proposito della sua “Scatola Magica”: «Sarà un complesso con funzione soprattutto residenziale, nato per continuare a far vivere e fecondare questa parte di città. È questa la vera scommessa. Vi saranno circa
400 appartamenti, dove potranno vivere più o meno 1200 persone. Il che significa almeno 200 o 300 bambini. Così, invece di una cittadella chiusa com’erano le Torri, deve diventare un polo palpitante di vita». E ancora, nella stessa intervista, l’architetto spiega: «Sarà un edificio assolutamente ecologico. Perfino i tetti saranno un giardino, e saranno verdi perché saranno coperti da un prato. Inoltre tutta la costruzione avrà una “controfodera” esterna di vetro, in modo da creare in tutte le abitazioni, e anche negli uffici, dei giardini d’inverno. È questo un sistema per creare anche un equilibrio termico maggiore». Il significato di questo progetto sembra convincente e risolutivo ma purtroppo, come avviene spesso in architettura, si perdono molte buone occasioni.
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Invece oggi abbiamo la certezza che il programma sarà attuato senza nessun ostacolo. Infatti, l’avvio del cantiere è ormai da mesi una realtà per i romani: gli scavi sono iniziati la scorsa primavera e da quest’estate vanno a pieno ritmo. Il grande scavo è una traccia evidente che il progetto procede verso l’esecuzione; ad oggi si sta per procedere con la costru-
anni. Secondo lo stesso Fuksas si tratta di «un’architettura che toglie peso alla massa, alla materia, sarebbe come dire che il cielo di questo nuovo millennio ci dà la possibilità di ritrovare architettura, arte, paesaggio, spiritualità, poesia».
Il Nuovo Centro Congressi si compone di tre elementi principali: la teca, la “nuvola” e la “la-
Il progetto dell’architetto dell’Auditorium romano avrebbe dovuto sostituire le Torri della Finanza dell’Eur. Ma i lavori sono stati bloccati senza motivazioni convincenti
Nel frattempo però, almeno il cantiere di Nuvola sembra non avere più problemi. In passato tutto sembrava instabile.
zione delle fondazioni. Nel 2008 un gruppo di banche ha sottoscritto un finanziamento al fine di procedere alla costruzione. Ha rappresentato la parte più importante del programma. Sono tutti grandi gruppi italiani: UniCredit, gruppo Intesa San Paolo, gruppo Montepaschi e Bnl. Vedrà la luce quindi quel grande progetto che è Nuvola: uno degli episodi dell’architettura contemporanea più importanti degli ultimi dieci
ma”. La “nuvola” costituisce senza dubbio l’elemento architettonico fondante del progetto: la struttura, dallo straordinario effetto visivo, sarà costituita da una membrana di materiale innovativo (fibra di vetro con straordinari effetti di riflessione della luce, anche notturni) e “galleggerà” in una “teca” di acciaio e vetro alta 40 metri, larga 70 e lunga 175. La “lama” è un segno da contrapporre alla dolcezza delle forme di “nuvola”.
Sarà un albergo in grado di ospitare anche tutti i servizi necessari al centro congressi. Va dato particolare risalto al “forum”: lo spazio di oltre 6000 mq coperto dalla teca. Uno spazio pubblico che manifesterà da subito la sua vocazione a diventare elemento vitale del progetto. Come in una piazza della città storica o in un foro della città antica. Ad oggi, i lavori per la realizzazione del Nuovo Centro Congressi sono in linea con i tempi: sono state quasi completate le operazioni di scavo e messa in sicurezza. Il Nuovo Centro Congressi sarà completato nel secondo semestre del 2010 e sarà operativo già a partire dai primi mesi del 2011. Siamo abituati a un’idea del quartiere Eur piuttosto metafisica, quasi fosse un set cinematografico; oppure come un grande plastico architettonico in cui ci si cammina dentro, inseguendo le proprie ombre, sotto quel sole che acceca nel riflesso contro i marmi dei palazzi. Soltanto il serpentone delle automobili che transitano sulla Colombo distrae da questo incanto. Ma qualcosa sta cambiando. Negli ultimi dieci anni l’Eur sta cercando una dimensione più vitale, più reale. E progetti come quelli di Fuksas e Piano, senza però sovrapporsi a quell’idea di astrazione e leggerezza che lo caratterizza, danno un impulso decisamente nuovo al quartiere, proiettandolo verso il XXI secolo, in contro ai nuovi compiti che dovrà assolvere.
Le Torri quindi non saranno più demolite, con molta probabilità, e verranno restaurate e convertite in edifici per abitazioni. E l’idea di formare un progetto unitario con Nuvola è svanita, ma può essere consolatoria la notizia che almeno il progetto di Fuksas va a gonfie vele.
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LA DOMANDA DEL GIORNO
D’Alema insulta Brunetta. Cosa ne pensate? CADUTA DI STILE
VI RICORDATE DI “MORTADELLA”?
Non mi sarei mai aspettato dal compassato onorevole Massimo D’Alema l’esternazione pubblica dell’ossimoro ingiurioso nei confronti del ministro della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, definendo lo stesso esponente del governo, in maniera meschina, cattiva ed offensiva, «energumeno tascabile». Se l’onorevole D’Alema e, con lui, il centrosinistra, arrivano agli insulti e alle denigrazioni sull’aspetto esteriore degli avversari politici, vuol dire che non solo sono caduti proprio in basso, ma che non hanno più argomenti validi, per contrastare il «fare» deciso del governo. D’Alema, tutt’altro che una gran bellezza, dovrebbe rileggersi la Storia, così troverebbe che molti dei più grandi personaggi erano di bassa statura. Un paio, tristemente noti, portavano i baffi!
Le cadute di stile della nostra politica e dei nostri politici sono numerose e bipartisan. “Mortadella” non era proprio un complimento per l’ex premier Romano Prodi, ma era il risultato di una “caricaturizzazione” collettiva, molto da bar e mai pronunciata direttamente da avversari politici. Tantomeno da ex presidenti del Consiglio. I comunisti non hanno mai mangiato bambini ma, purtroppo, certa sinistra è ancora influenzata da vecchie abitudini che oggi, per fortuna, si limitano «solo» alla demonizzazione dell’avversario. La pistola puntata contro il ministro aveva già fatto diventare Brunetta un gigante e il vignettista un nano. Le offese gratuite e razziste di D’Alema sono un altro clamoroso autogol che, da domani, faranno tifare per Brunetta anche il più incallito dei fannulloni.
Luca Strazzera - Udine
Stefano Dezzetti - Roma
I SOLITI COMUNISTI Intravedo nelle offese al ministro Brunetta da parte dell’onorevole D’Alema un certo atteggiamento vetero-comunista, teso alla demonizzazione dell’avversario con metodi offensivi e aggressivi, privi di ogni etica. Ma sono utili a capire molte cose.
Paola Giavatti - Pavia
LA DOMANDA DI DOMANI
La polizia interviene per bloccare le occupazioni nelle Università. Soluzione praticabile? Rispondete con una email a lettere@liberal.it
MUMMIA AL NATURALE Suda freddo quest’inserviente di un museo messicano. E non ha tutti i torti: ha per le mani una delle mummie più misteriose del mondo. A ridurla così forse non è stato qualche strano rito funebre, ma il clima.
È NORMALE DIALETTICA POLITICA
DI PIETRO È UN SOVVERSIVO?
Non ci vedo nulla di strano. Le parole di D’Alema fanno parte della normale dialettica politica. Voi direte ma lo ha insultato. Bene. E quando veniva deriso Romano Prodi, definito pubblicamente dagli uomini del centro-destra, compreso l’attuale premier con il suo fido alleato presidente della Camera, il “mortadellone” cosa si dovrebbe pensare. Ma si sa che i politici, quando vogliono, hanno la memoria corta. O come quando si è continuato a rifilare le solite cantilene berlusconiane che i “comunisti” italiani mangiano i bambini e impoveriscono gli italiani. Non vedo grande miglioramenti a sei mesi dalle elezioni politiche. Poveri eravamo e poveri resteremo. Perché Brunetta non pensa alle sue false e ipocrite rivoluzioni burocratiche. Il riformismo alla brunettiano sarebbe accettabile se oltre bastonare la base colpisse anche i vertici, i quadri dirigenziali del pubblico impiego non sono stati sfiorati dal cataclisma tascabile, dalle mie parti e non solo, si afferma che il pesce comincia a puzzare dalla testa, ma evidentemente non interessa a questo esecutivo.
Riporta la stampa che il senatore Di Pietro abbia accusato Berlusconi di creare in Italia una nuova strategia della tensione, per come sta affrontando il problema scuola. Per nostra fortuna le cose sono sotto gli occhi di tutti: c’è un governo che vuole attuare il programma elettorale e per il quale ha avuto consensi come mai in passato. Il ministro preposto porta al Cdm il decreto legge, viene approvato e Di Pietro, uomo di legge, dichiara in pratica che chi scende in piazza ha ragione e chi legifera in Parlamento ha torto! Il senatore Di Pietro ha un comportamento a dir poco sovversivo, se appoggia chi usa violenza verso le istituzioni. Certo, non lo fa personalmente, ma nel momento in cui...Dico allora che ricorderemo bene chi vuole sostituire alle istituzioni la prote-
PER UNA NUOVA CULTURA DELLA POLITICA In un momento particolarmente delicato per il futuro del nostro Paese, nasce a Grottaglie il circolo Liberal con l’obiettivo di porre le basi per una nuova cultura della politica. Di fronte ai tanti fatti di cronaca che dimostrano ancora una volta il preoccupante decadimento dei valori, è sempre più urgente riappropriarsi di quel patrimonio valoriale che dovrebbe orientare le scelte e le decisioni di chi è chiamato a governare la collettività, sia essa nazionale che locale. Patrimonio valoriale che affonda le sue radici nei principi e nei valori cristiani. Con questo spirito nasce il circolo Liberal di Grottaglie, consapevole del fatto che sarebbe fin troppo facile addossare colpe e responsabilità soltanto ai governanti. D’altronde gli amministratori sono l’espressione del corpo elettorale. Il problema, quindi, si sposta sul consenso, su come è creato. E purtroppo, il nostro, è il più delle volte un consenso fondato sul clientelismo. Occorre, quindi, che la mediazione tra gli elettori, cioè la ba-
dai circoli liberal Pino Strugi - Catania
se, e i governanti non sia effettuata dal clientelismo. Ma che siano ripristinati i valori. È necessario pertanto “educare” la base. Fornendo a tutti gli strumenti necessari affinché possano agire politicamente. E ciò può avvenire soltanto attraverso la cultura, che non significa sapere molte cose o, peggio, ostentare le proprie conoscenze. Quella è soltanto la cultura dell’apparire, una vetrina che diventa la cassa di risonanza di governanti che improntano la loro attività amministrativa ad ottenere in occasione di pseudo eventi culturali un momento di celebrità, che per essi si traduce in un’intervista oppure - quando non si hanno i soldi per sponsorizzare le manifestazioni attraverso qualche emittente televisiva (sic!) - nelle autocelebrazioni affidate a “veline” dal tipico stile “minculpop”. E noi sappiamo che i tanti “politicanti” di oggi vanno alla ricerca della “prima pagina” o della vetrina di turno mediatica per apparire. Solo apparire. La politica, nella sua definizione più nobile, dovrebbe andare alla ricerca degli interro-
sta dissennata e distruttiva. La democrazia non va vista a senso unico: se conviene, bene, altrimenti si va per le strade! Complimenti, per essere un uomo di legge! Spieghi meglio se ho capito male.
Valeria Monteforte - Teramo
COSA È LA DEMOCRAZIA IN ITALIA Insisto col chiedermi e chiederLe «che cosa è la democrazia in Italia». È mai possibile che un governo ed una maggioranza abbiano oltre il 70 per cento del consenso popolare, sia avvenuta una consultazione elettorale da soli cinque mesi e si pretenda di consegnare il Paese e le sue riforme al 30 per cento, disunito, senza un programma ed un progetto, in piazza al solo scopo di impedire, sfasciare, contrastare, distruggere, opporsi? È possibile tutto questo?
Paolino - Ferrara
gativi di una società e dare delle risposte a questi quesiti. Cultura, deve significare vivere secondo i valori: che sono la democrazia, la libertà, la giustizia. È necessario, dunque, ripartire da questi principi. E su questo solco sarà tracciata l’attività del circolo Liberal di Grottaglie. Risalire la china si può. Si deve. Salvatore Savoia CIRCOLO LIBERAL GROTTAGLIE - TARANTO
APPUNTAMENTI VENERDÌ 7 NOVEMBRE 2008, ALLE ORE 11, PRESSO PALAZZO FERRAJOLI A ROMA Riunione Nazionale con i coordinatori regionali, provinciali e comunali dei Circoli libera
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog Avvolgimi nel tuo sogno e saziami di baci Voglio che tornando tu trovi una pargoletta del tuo amico, stasera. Ho un desiderio desolato di te, stasera – ahimè stasera e sempre. Ma stasera il desiderio è di qualità nuova, è come un trèmito infinitamente lungo e tenue. Sono come un mare in cui trèmino tutte le gocciole. Tremano tutte le ali dell’anima. Tremano tutte le fibre dei nervi. Tremano tutti i fiori della primavera, e anche le nuvole del cielo, e anche le stelle della notte; e anche la piccola luna trema, o Dianella, trema su i tuoi capelli che sono una schiuma bionda. Ho la bocca piena delle tue spalle, che sono ora come un fiocco di neve tièpida disciolto in me. Godo e soffro. Ti ho dentro di me, e vorrei tuttavia sentirti sopra di me. Non mi hai lasciato tanta musica partendoti? Stanotte tienimi sul tuo cuore, avvolgimi nel tuo sogno, incantami col tuo fiato. Sii sola con me solo. Gabriele d’Annunzio a Giuseppina Giorgi Mancini
WOJTYLA È UN SIMBOLO Trent’anni fa avevo 10 anni precisi, allora la giovane età mi indusse a considerare un evento di portata storica come un semplice gioco. Fumata bianca o no, tutti eravamo in attesa di conoscere il nome del nuovo Papa. Fu così che appresi con gioia la nomina di un nuovo pontefice, era il 22 Ottobre di trent’anni fa e Karol Wojtyla saliva al soglio pontificio. Il giovane Papa arrivava dalla Polonia e nessuno poteva immaginare quale straordinaria portata storica ebbe il suo lungo operato a capo della Chiesa. Mi sembra doveroso dedicare qualche riga alla persona che viene giustamente indicata come una delle personalità più influenti e determinanti del secolo scorso, un Papa coraggioso. La fede cristiana nel periodo di Papa Giovanni Paolo II, è sempre stata aperta alla cultura del mondo, cercandone costantemente tutti i punti di contatto e comunicazione bilaterale. Al tempo stesso è stata opposizione ferma e critica ad ogni relativa degenerazione. Il rapporto tra Chiesa e mondo è uno dei temi centrali di tutto il pontificato di Papa Wojtyla sin dai primi discorsi pubblici, una sorta
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Gennaro Malgieri, Paolo Messa Ufficio centrale Andrea Mancia (vicedirettore) Franco Insardà (caporedattore) Luisa Arezzo Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)
ACCADDE OGGI
24 ottobre 1648 Firma della pace di Westfalia. Fine della Guerra dei trent’anni 1861 Completata la prima linea telegrafica intercontinentale, fine del Pony Express 1917 Prima guerra mondiale: inizia la battaglia di Caporetto 1918 Prima guerra mondiale: inizia la battaglia di Vittorio Veneto 1922 A Napoli si tenne una grandiosa adunata di camicie nere, raduno che doveva servire da “prova generale” per la futura Marcia su Roma. 1929 Giovedì nero crollo della borsa di New York 1935 - L’Italia invade l’Etiopia: inizia la guerra d’Etiopia 1945 Viene ratificato dai paesi firmatari lo Statuto delle Nazioni Unite dando così vita alle Nazioni Unite 1956 L’Unione Sovietica invade l’Ungheria 1970 Salvador Allende viene eletto presidente del Cile
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Antonella Giuli, Francesco Lo Dico, Errico Novi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Susanna Turco Inserti & Supplementi NORDSUD (Francesco Pacifico) OCCIDENTE (Luisa Arezzo e Enrico Singer) SOCRATE (Gabriella Mecucci) CARTE (Andrea Mancia) ILCREATO (Gabriella Mecucci) MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Giancristiano Desiderio,
di costante riflessione sulla centralità della persona e dei valori di famiglia, libertà e amore. Oggi a trent’anni di distanza molte cose sono cambiate e la stessa direzione dell’umanità pare abbia preso una brutta piega, anche in consdierazione della celebrazione di cui sopra, è necessario osservare con grande proccupazione la gravissima crisi religiosa che sta’ colpendo molti paesi nel mondo. I documenti riportano esecuzioni continue, un autentico eccidio quotidiano dove recentemente un padre e un figlio hanno trovato la morte dopo essere stati falciati addirittura dalle asce degli assalitori accecati da un odio ideologico davvero inconcepibile. Quanto stride questa cupa storia in concomitanza con l’amore e la professione del dialogo di cui Wojtyla parlava sempre. Ad oggi di contro canto si contano nella sola Orissa ben 5000 le case date alle fiamme, 178 i luoghi di preghiera abbattuti, 61 morti e 18.000 feriti, 13 scuole e centri sociali incendiati e sposti sotto assedio, per un totale di oltre 50 mila persone senza tetto. È bene però a mio parere, porre l’accento su questi scottanti temi che ora ci sembrano lontani (geograficamente) ma che presto potrebbero risultarci molto più vicini.
Alberto Moioli - Lissone
PUNTURE Ma tu guarda come si doveva chiamare il capo della polizia di questi tempi: Manganelli.
Giancristiano Desiderio
“
La musica è essenzialmente inutile, come la vita GEORGE SANTAYANA
”
Alex Di Gregorio, Gianfranco De Turris, Luca Doninelli, Rossella Fabiani,Vincenzo Faccioli Pintozzi, Pier Mario Fasanotti, Aldo Forbice, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Angelo Mellone, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Claudio Risé, Eugenia Roccella, Roselina Salemi, Carlo Secchi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
il meglio di LA POLIZIA E LA SCUOLA La scuola italiana è una pena infinita, l’università anche peggio perchè inutile e dannosa giacchè sforna ogni anno pletore di giovani senza futuro perchè hanno fatto la scelta della facoltà basandosi non sul mondo del lavoro ma sulle loro ambizioni di cultura (pochi) o di “cazzeggio” (molti). Così vediamo nelle nostre università un fastidioso affollamento nelle facoltà come giurisprudenza, scienze politiche, architettura, lettere che sono dimostrate fucine di disoccupazione o precarietà mal pagata in remoti call center. Così vediamo centinaia di giovani (sempre per fortuna una minoranza) che con sigaretta in bocca, kefia al collo, maglietta del che e slogan da quattro soldi manifestare sostenuti da imbecilli e compiacenti professori spesso raccomandati e sicuramente figli del ’68 Questa contrapposizione ideologica basata sul nulla e sulla difesa dei parassiti dell’istruzione italiana è l’anima di questa protesta che si nutre di comportamenti e slogan del passato ma si poggia su una piattaforma ideologica da quattro soldi, degna della non cultura di professori e studenti. In un momento di crisi e recessione dove tutti stringono la cinghia, dove si chiede al paese la rinuncia, dove la precarietà di tanti rischia di diventare disoccupazione, lo stato ha il diritto ed il dovere di tagliare la spesa pubblica ovunque e comunque perchè è a rischio il presente, la vita quotidiana e l’unica via d’uscita è rappresentata da un intervento di sostegno all’economia che solo lo stato può fare. Giacchè la nostra scuola è fonte infinita
di costi e sprechi come con gli ingordi obesi le si impone una dieta dimagrante per la sua salvezza....Quindi ragazzi andate a studiare....professori siate seri e responsabili e comprendiate che siete una minoranza nel paese che ha il diritto di protestare ma non deve e non può occupare università e scuole....la protesta non è illegalità nè contrapposizione ma deve portare proposte ragionevoli e sostenibili... quindi come è giusto che sia contro l’illegalità c’è solo una soluzione cioè la legge...perché è vero che a protestare sono studenti ma è altrettanto vero che questi sono cittadini soggetti come tutti alle leggi ed al rispetto degli altri professori e studenti...In ogni caso l’opposizione sta perdendo ancora consensi abbracciando una protesta infantile e fastidiosa per la maggioranza degli italiani che subiscono la crisi e hanno altro a cui pensare.
Ecodiario
NO ALLE FORZE DELL’ORDINE NEGLI ATENEI Non è stata certo una genialata la mossa di Berlusconi. Io per primo manderei le Forze dell’Ordine a sgombrare binari o strade, cose che è successa a Milano, perchè quella è una protesta che tocca le persone che lavorano e che nulla hanno a che fare con questa protesta Ma gli Atenei sono si un luogo pubblico, ma è anche una sede, l’unica, dove gli studenti possono e in parte devono far sentire la loro voce. È vero che la loro protesta è abbastanza insensata, ma non per questo non è legittima. Mi direte voi, si ma è comunque illegale bloccare le aule.
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PAGINAVENTIQUATTRO Gourmet. Si è aperto ieri al Lingotto il Salone internazionale del Gusto
Tutti a Torino, dove anche gli occhi sono utlili per MANGIARE T di Francesco Capozza
ornano insieme, per la prima volta, il Salone internazionale del Gusto e quello della Terra Madre, nato dalla omonima Fondazione presieduta da Carlìn Pettini che associa produttori rappresentativi di un modo diverso e più complesso di intendere il cibo di qualità: attento alle risorse ambientali, agli equilibri planetari, all’aspetto organolettico dei prodotti, alla dignità dei lavoratori e alla salute dei consumatori. Da ieri a lunedì, al Lingotto di Torino, le due manifestazioni organizzate da Slow Food vedranno protagonisti il cibo e i produttori. Trecentotrentacinque espositori italiani, 97 stranieri, 21 ristoranti italiani e 5 esteri danno l’idea della proporzione della kermesse che, giunta alla settima edizione, è un modello di mercato dove vanno in scena le forze positive del cibo buono, pulito, impegnate a praticare la filosofia di Slow Food.
In principio furono il “Gran Menu” a Verona e “Milano Golosa”, nel 1994, due manifestazioni che solo i fedelissimi di Slow Food possono ricordare, che contenevano già alcuni degli elementi connotanti di quello che sarà poi il Salone del Gusto sperimentale del 1996, allora posizionato in una minuscola porzione del Lingotto a Torino. L’esplosione, tuttavia, avviene due anni più tardi, con la seconda edizione, l’introduzione del Mercato e oltre 120.000 visitatori ribaltano l’approccio elitario alla gastronomia di qualità, trasformando in piacere e in diritto un interesse che ancora si pensava fosse appannaggio di pochi. Il viaggio, poi, è continuato in modo incalzante, andando in parallelo con le avanguardie che iniziavano ad analizzare criticamente il tema della globalizzazione. Nel 2000 nascono e vengono presentati i Presìdi italiani, nel 2002 quelli internazionali e vi si affianca la terza edizione del Premio Slow Food, il seme del quale, due anni più tardi, farà germogliare Terra Madre, l’incontro mondiale delle comunità del cibo che
nella prima edizione raccoglie 5000 contadini, artigiani e pescatori da 130 Paesi del mondo. Nel 2006, infine, il cappello filosofico del “Buono, pulito e giusto” è il prodromo di una fusione inevitabile tra le due anime di Slow Food: produttori e consumatori diventano un unico soggetto. I neo-gastronomi (oltre 170 mila i visitatori della sesta edizione) percorrono gli stand del Lingotto, allenano e affinano il loro palato nei Laboratori del Gusto, si educano a una produzione più attraente se compresa, sperimentata e pretesa nelle sue componenti qualitative. Quanto ai “Laboratori del Gusto”, sono le ormai note degustazioni guidate di Slow Food: alla presenza dei produttori e con l’aiuto di esperti si parla di cibo e di vino, si fanno confronti, domande, si assaggia, si tocca, si valuta, si commenta con approccio ludico tenendo sempre presente che il buon cibo e
che coltivano le proprie uve nel rispetto della terra e dell’uomo.
La caratteristica principale del Salone del Gusto è comunque lo spazio dato al confronto tra realtà diverse e spesso sconosciute con quelle più note ma ancora poco approfondite. Per intenderci, pescatori, allevatori e agricoltori mauritani e toscani, mongoli e abruzzesi, dibatteranno in questi giorni sul futuro del loro lavoro, scambiandosi soluzioni, idee, prospettive intorno a un cibo buono dal punto di vista gastronomico, sostenibile nel suo impatto ambientale ed equo dal punto di vista della remunerazione ma anche della gratificazione sociale. Dodici anni - ventidue se si vuole piantare la bandierina della prima tappa nell’anno della fondazione di Slow Food - per intraprendere questo affascinante viaggio alle radici del cibo: dal piatto alla terra, dalla dimensione squisitamente gourmettistica alla neogastronomia, dai frutti del frondoso albero del Salone del Gusto al ventre di Terra Madre, per la prima volta in un unico evento. Anche questa è solo una tappa, il viaggio continua, avido di biodiversità, di educazione e di piacere, cambiando forma (per la prima volta nel mondo una manifestazione di queste proporzioni si cimenta a tutto tondo con le pratiche della sostenibilità, alla ricerca del più basso impatto ambientale possibile) e sostanza. Ma questa è una tappa a cui non si può davvero mancare.
Pescatori, allevatori e agricoltori mauritani e toscani, mongoli e abruzzesi, discuteranno sul futuro del loro lavoro, scambiandosi soluzioni, idee, prospettive intorno a un cibo non solo buono ma anche sostenibile dal punto di vista ambientale il buon vino sono anzitutto un piacere, che deve essere anche reso dotto. Ampia la scelta che spazia da birre introvabili, chicche d’autore come prosciutti e culatelli artigianali, distillati unici, formaggi portati dalle comunità presenti a Terra Madre, cioccolati e altri eccellenti prodotti. Quest’anno Slow Food riserva una sala all’interno di uno dei padiglioni al vino naturale. È la sala Vignerons d’Europe, destinata unicamente alle degustazioni di vini di vignaioli, di coloro