ISSN 1827-8817 81122
Se un’idea è più moderna
he di c a n o r c
di un’altra, è segno che non sono immortali né l’una né l’altra
9 771827 881004
Carlo Emilio Gadda
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA
di Ferdinando Adornato
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Qualcosa non va nella Seconda Repubblica
Trichet: «La situazione è drammatica, i tassi possono scendere»
Caso Villari o caso Parlamento?
Nessuno tocchi Maastricht
di Francesco D’Onofrio
Almunia: debito sotto controllo per vincere la crisi di Alessandro D’Amato
ROMA. Sì a nuovi tagli dei tassi, no alla revi-
centrali dal canto loro giocano un ruolo crusione del patto di stabilità. La Bce è pronta a ciale nel contenere la crisi dei mercati finansforbiciare di nuovo il costo del denaro, e l’ocziari e continueranno a fare «tutto ciò che poscasione sarà quasi sicuramente la riunione di sono per supportare il funzionamento del sidicembre. Jean Claude Trichet lo dice chiaro e stema finanziario». E finalmente, dopo tanto tondo: «La situazione è drammaticamente buio, comincia a vedersi un po’ di luce visto cambiata», e Francoforte non può non tenerne che l’Euribor a tre mesi è tornato finalmente conto, visti i rischi concreti per la crescita del nei dintorni dei livelli pre-crisi subprime. TocIl commissario Ue Vecchio Continente. E arriva anche una tirata ca ad Almunia, invece, dire qualcosa sul patto alle Finanze, Joaquin d’orecchi agli istituti di credito: «Gli istituti di stabilità, sui vincoli di Maastricht, insomAlmunia, ha difeso bancari dovrebbero trarre vantaggio dagli ma: «Non si toccano». Nessuna flessibilità, al il trattato di Maastricht sforzi fatti da banche centrali e governi e alcontrario di quanto chiesto da vari paesi (Italentare le tensioni sui mercati interbancari. Ciò potrebbe es- lia compresa): «Per vincere la crisi, bisogna tenere sotto consere raggiunto impegnandosi a far ripartire il mercato inter- trollo il debito». se g ue a p a gi na 2 bancario e a riprendere il ruolo di intermediari». Le banche S E RV I Z I AL LE PA G IN E 2 E 3
MOBYDICK
on sorprende che la parte assolutamente prevalente dei commenti concernenti le mancate dimissioni del senatore Villari si sia concentrata soprattutto sui numerosi aspetti “personali” dell’intera vicenda. E non è di conseguenza del tutto comprensibile capire cosa succederà nei prossimi giorni. Qualora si tenti – come sembra opportuno e necessario – un’analisi politico-istituzionale dell’intera vicenda, sembra evidente che il “caso Villari” costituisce un aspetto rilevante della grande questione politica che l’Italia si trascina da quando si è affermata la fine della cosiddetta Prima Repubblica.
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Oggi il supplemento
SEDICI PAGINE DI ARTI E CULTURA
L’allarme dell’intelligence Usa
2025, l’anno del declino degli Stati Uniti di Enrico Singer na volta erano i film di fantascienza che sceglievano una data più o meno lontana per immaginare gli scenari del mondo che verrà. Ma Global Trend 2025 non è il titolo di una fiction hollywoodiana: è l’ultimo rapporto del National Intelligence Council americano che in 140 pagine spiega, prima di tutto al nuovo presidente Barack Obama al quale è diretto, come e perché il peso politico, economico e militare degli Usa è destinato a precipitare nei prossimi anni. Per l’appunto, entro il 2025. Fino a trasformare la superpotenza in un Paese che rimarrà, sì, «l’attore singolo più forte», ma che non sarà più «dominante» perché Cina, Russia, India ed anche Brasile e Indonesia aumenteranno la loro influenza. E l’insieme del pianeta diventerà «più pericoloso con scarsità di cibo e acqua e abbondanza di armi». Previsioni fosche, insomma. Le peggiori tra quelle che, ogni quattro anni, in occasione dei cambi della guardia alla Casa Bianca, il Nic prepara in modo che possano servire anche da guida alle scelte politiche che il nuovo presidente deve prendere. Il mondo del 2025, è questo il tema più profondo, sarà completamente diverso da quello in cui viviamo.
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DA REAGAN A OBAMA: COME CAMBIA IL MONDO Non è vero che è arrivata l’era dello statalismo. La crisi degli Usa è temporanea: il nuovo modello vincente, che coinvolgerà anche Cina e India, è quello di un mercato regolato da libertà e giustizia
Benvenuti nel capitalismo democratico di Michael Novak
alle pagine 10, 11, 12 ee 13
se gu e a p ag in a 1 4 seg2008 ue a pa•gE inURO a 9 1,00 (10,00 SABATO 22 NOVEMBRE
CON I QUADERNI)
• ANNO XIII •
NUMERO
225 •
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• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Aiuti. Il piano annunciato da Tremonti, se sarà confermato, rischia di essere vanificato dallo storico dissesto dei nostri conti
L’aspirinetta del governo
Il bonus per le famiglie e il congelamento delle tariffe non bastano. È tempo di grandi riforme: pensioni, sanità e enti locali di Enrico Cisnetto n’aspirinetta. Così, con la sua elegante perfidia, Tremonti aveva definito i piani anti-crisi del Financial Stability Forum guidato da Mario Draghi. Un giudizio tagliente che oggi però potrebbe tornare indietro come un boomerang allo stesso indirizzo di Via XX Settembre, dopo l’annuncio del piano da 80 miliardi per far fronte alla crisi ormai divenuta “epocale” (definizione dello stesso Tremonti). Pur prendendo per buona la cifra “tonda”, e mettendo da parte il dubbio che si tratti di un effetto make up – di questi 80 miliardi, infatti, la metà erano stati già assegnati dall’Unione europea su un arco di tre anni per ambiente, ricerca e sviluppo, mentre Brunetta ha chiarito che il resto sarà recuperato accorpando fondi destinati a migliaia di piccoli interventi e dunque sottraendo risorse ad altri impegni), si tratta un’operazione comunque inadeguata, che non riuscirà a rilanciare i consumi e a rimettere in moto il Paese.
e inutili. Tutto questo, mentre i toni foschi della crisi stanno diventando addirittura da incubo. Lo sa bene lo stesso Tremonti, che sulla crisi usa da sempre toni apocalittici e ora addirittura parla di profezie papali. Ma anche dal fronte sindacale arrivano segnali precisi. Epifani ha detto che quella in arrivo è “una valanga”. Certo, al di là dei toni, è sicuro che il 2009 sarà un annus horribilis per tutti, ma soprattutto per l’Italia. La fotografia scattata dal Fondo Monetario è agghiacciante: «La produzione ha avuto una contrazione negli ultimi
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Sul fronte dei consumi, infatti, il Governo presenterà un piano da 4 miliardi di sgravi (bonus per le famiglie fino a 20 mila euro di reddito, del congelamento delle tariffe di autostrade e Ferrovie, del taglio del 10% delle bollette di luce e gas per le fasce sociali più disagiate, più un calmiere sui mutui). Misure certamente positive, solo che rischiano di non essere
Servono misure drastiche e tagli strategici e non indifferenziati. In particolare, dovranno essere aggrediti quattro settori fondamentali: previdenza, salute regionale, interessi sul debito pubblico e assetti istituzionali sufficienti a far ripartire il motore della domanda interna. Lo ha dimostrato ampiamente uno studio del Sole-24 Ore, che ha calcolato l’impatto degli interventi in sostegno delle famiglie fatti dal governo Berlusconi (2001-2006) e dal governo Prodi (2006-2008). Nel 2003, con la “no tax area”vi fu un consistente aumento del reddito corrente per i nuclei fino a 25.000 euro. Operazione da 5,5 miliardi che ha portato a un aumento dei consumi netto dell’1%. Nel 2005 scattò la seconda e ultima tranche della riforma fiscale del governo Berlusconi, per un totale di 6,5 miliardi concentrati questa volta sui redditi medio
alti. Effetto: +0,9% anno su anno. Infine nel 2007 con la prima Finanziaria del Governo Prodi scatta la rimodulazione di scaglioni e detrazioni, con un saldo complessivo per l’erario di 1,4 miliardi. Effetto: +0,8%. Al di là delle statistiche, l’analisi che si può fare di questo trend è duplice: primo, che l’effetto degli sgravi fiscali è discendente; secondo, che mano a mano che la crisi economica si fa più pesante, gli individui tendono a trasformare in risparmio ogni parte di reddito in più. Ecco allora che i pur lodevoli interventi annunciati dal Governo rischiano di essere contemporaneamente costosi (per l’erario)
due trimestri, la fiducia è ai minimi storici, le esportazioni sono deboli, così come il mercato del lavoro; la domanda sta calando e la condizioni finanziarie generali si stanno irrigidendo». Ma quello che Tremonti, Epifani e il Fmi non dicono è che oltre alla recessione “spot” causata dalla crisi, l’Italia sconterà il peso di un declino del suo vecchio modello di sviluppo – basato sulla piccola e piccolissima impresa e su settori industriali a basso tasso di innovazione – che si trascina da quindici anni.
Se, allora, un piano come quello proposto dal Governo
potrebbe andare bene per un Paese normale, con una recessione di taglia “S”, per una “XL” come quella italiana questa cura rischia di essere la famigerata “aspirinetta” tremontiana. Quello che serve sono interventi di ben altro calibro. Certo, va tenuto presente il monito dello stesso Tremonti, il quale giustamente segnala che di più non si può spendere se non mettendo a rischio la sostenibilità – già messa a dura prova – del debito italiano e del rispetto di Maastricht e del Patto di Stabilità. Che fare, dunque? Dato che una politica di deficit spending in questo momento è nemmeno da prendere in considerazione, è chiaro che c’è un solo punto dove si può intervenire. Quello dei tagli alla spesa. Ma tagli che siano strategici e non indifferenziati. In particolare, dovranno essere aggrediti quattro settori: previdenza, sanità, interessi sul debito, assetti istituzionali. Nel primo caso, urge passare dall’epoca di “troppe pensioni, troppo basse”, a quella di “meno pensioni, ma più alte”. Il che si realizza con un doppio innalzamento dell’età di fine lavoro: uno obbligatorio a 65-67 anni e uno volontario e incentivato anche oltre. Per la sanità, occorre un piano per evitarne il default, che dovrebbe essere basato su un ritorno al sistema mutualistico, la cui realizzabilità comporterebbe necessariamente il ritorno dalle Regioni allo Stato di questa funzione.
La Ue fa quadrato sul limite del 3% fra deficit e Pil. E Trichet annuncia un nuovo ribasso dei tassi
«Ma il patto di stabilità non si tocca» di Alessandro D’Amato segue dalla prima Un’altra novità significativa è anche il cambio di prospettiva della Bundesbank. Axel Weber, il governatore della banca centrale tedesca, uno dei “falchi della moneta” che si era fortemente opposto nei precedenti semestri al taglio dei tassi, oggi ha cambiato idea: «Con l’inflazione in calo, la Bce ha i margini per ridurre il costo del denaro», ha sostenu-
to Weber, puntando il dito sulla necessità di un pieno sostegno all’economia per uscire dalla crisi. Mentre Trichet è tornato sul tema della riforma del sistema finanziario globale, sostenendone la necessità e spronando gli Stati a compiere qualche passo avanti. E ha anche ribadito che sono “benvenute” misure di sostegno nell’ambito del Patto di stabilità e di crescita europeo, anche se alcuni paesi di Eurolandia non
hanno spazio di manovra in tal senso.
Intanto, però, le conseguenze della crisi globale si fanno sentire anche sui titoli di Stato di Paesi ritenuti fino a poco tempo fa estremamente affidabili. Il rischio-insolvenza sui Treasury statunitensi e sugli analoghi titoli del Tesoro Britannico è salito oggi a nuovi record: i cosiddetti credit-default swaps, vale a dire i derivati che proteggono
dal rischio-default, sono saliti infatti di quattro punti base, al nuovo massimo storico di 42,5, per il Treasury a 5 anni, mentre sul Treasury decennale il rialzo è di sei punti, a 48 (anche qui nuovo record). I Cds relativi ai titoli quinquennali del Tesoro britannico sono aumentati invece di 14 punti base. E un punto base su un derivato che protegge da una possibile insolvenza dieci milioni di dollari investiti in un Treasury a cinque
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Gli interessi passivi rischiano di far franare i risparmi degli italiani
Il debito può riportarci agli anni Ottanta di Gianfranco Polillo l di là dei comunicati e dei fuochi pirotecnici, la politica economica italiana è ferma. Forse è troppo presto per parlare di stallo – vedremo la prossima settimana cosa deciderà il Consiglio dei ministri – ma l’impressione dominante è che vi sia ben poco nella bisaccia del Governo. Una settimana fa Silvio Berlusconi aveva annunciato un piano di 80 miliardi di euro. Ma l’annuncio è rimasto tale. Se ci si informa, la risposta è laconica: stiamo lavorando. Ma saperne di più risulta impossibile. Quel segreto è custodito meglio della fortezza di Fort Knox. Ma purtroppo non siamo nel Kentucky. Siamo invece in Italia e la pressione dei mercati, mentre perdura questo limbo, si fa sempre più forte. Rispetto all’ottobre dello scorso anno il fabbisogno dello Stato ha mostrato un forte peggioramento che ha contribuito a determinare un’inversione di tendenza rispetto ai mesi precedenti. Fino al luglio scorso, la performance era stata migliore del previsto, al punto da confermare il sospetto che nelle pieghe del bilancio italiano si nascondessero risorse, che il Ministro dell’economia aveva sottratto agli appetiti della sua maggioranza. Uno dei tanti “tesoretti” ch’erano stati croce e delizia della passata legislatura. Con la fine dell’estate, invece, ogni illusione è crollata ed ora c’è solo da sperare che le pessimistiche previsioni contenute nei documenti governativi non siano superate da una realtà ancora peggiore.
A
Il presidente della Bce Jean-Claude Trichet. A sinistra, Giulio Tremonti. A destra, la sede della Banca d’Italia Costo del debito: sugli oltre 1650 miliardi di debito pubblico, il Tesoro paga interessi annui che si avvicinano ai 100 miliardi, e già questo sarebbe un ottimo motivo per una sua riduzione una tantum dal 104% al 70% del pil. Assetti istituzionali, infine. E qui, altro che federalismo: la parola d’ordine è semplificare, e ridurre i costi del decentramento. Dunque, via le 107 province (che costano 17 miliardi, di cui l’80% per auto-mantenimento), le 330 comunità montane, i 63 consorzi
anni equivale ad un esborso di mille dollari l’anno.
Intanto, però, da Bruxelles è arrivato il passo indietro sul patto di stabilità. Nonostante le pressioni di alcuni paesi – Francia, Italia, Grecia, Portogallo, Gran Bretagna e Irlanda – Joaquin Almunia, commissario alla Finanza della Commissione Ue, ha spiegato che non si arriverà all’annullamento dei parametri per fronteggiare la crisi: «Il patto di stabilità non è sospeso - ha dichiarato - ma è possibile e necessario utilizzare la flessibilità prevista che nel caso di superamento del 3% del rapporto deficit/Pil dipenderà dalle condizioni specifiche del singolo paese. Se c’è
di bacino e molti degli altri enti di terzo e quarto grado, e riduzione a metà degli 8100 comuni e delle 20 regioni. Totale a regime: 100 miliardi. Che, sommati con i risparmi delle altre tre voci, porterebbe a circa 200 miliardi di euro. Una cifra decisamente più adeguata al livello della crisi italiana, necessaria per quell’operazione chirurgica in grado di salvare il sistemaPaese. Che di nuove “aspirinette”, a questo punto, non sa a più che farsene. (www.enricocisnetto.it)
un deficit eccessivo si aprirà la procedura di monitoraggio. Ma il rispetto del patto è nell’interesse degli Stati membri in termini di durabilità del debito e consolidamento delle finanze pubbliche». In ogni caso, la Ue è pronta a fare la propria parte per il rilancio: «Il piano di stimolo all’economia allo studio della Commissione europea comprenderà un significativo allentamento in termini di budget per tutti i membri dell’Unione», ha detto. il presidente Jose Manuel Barroso. La Commissione presenterà le proposte il prossimo mercoledì. Sarebbe un segnale importantissimo per l’economia, ma anche per la coesione politica della Ue.
del genere peserà sulle tasche dei contribuenti per svariati miliardi. Ma soprattutto rischia di invertire quel circolo virtuoso che, negli anni passati, le aveva consentito di governare i fragili equilibri finanziari senza dover infierire troppo sui suoi cittadini. Non si dimentichi che la spesa per interessi, nel 1994, era pari al 12,7% del Pil. Poi, grazie soprattutto alla nascita dell’euro, che ha drasticamente ridotto il premio per il rischio, e alla politica dei bassi tassi di interessi praticati a livello internazionale, quell’esborso si è progressivamente ridotto. In poco più di 10 anni, grazie a questi andamenti, l’Italia è riuscita a risparmiare, nel tempo, qualcosa come 8 punti di PIL. In pratica una finanziaria all’anno. Dagli inizi del 2006 questa tendenza si è capovolta e ora la spesa per interessi tende nuovamente ad aumentare. Speriamo che questa spirale si interrompa presto, prima che determini le conseguenze degli anni ’80. Quando buona parte dell’aumento del nostro debito fu proprio dovuto al meccanismo perverso degli interessi che producevano interessi, facendo lievitare la montagna.
Il sospetto dei mercati stranieri nei confronti dell’economia del nostro Paese non è del tutto giustificato perché non tiene conto della “ricchezza privata”
Nel frattempo corrono gli interessi passivi. Nel solo mese di ottobre abbiamo dovuto sborsare più di 5 miliardi per far fronte alle scadenze dei buoni postali e per pagare le somme dovute a coloro che hanno depositato le loro risorse finanziarie presso la Tesoreria dello Stato. E il futuro non è più roseo. La crisi finanziaria ha messo in moto un processo che i tecnici chiamano fly to quality. I titoli più appetibili sono quelli emessi da quei paesi che appaiono più solidi dal punto di vista finanziario. Gli altri devono invece pagare qualcosa in più se vogliono rinnovare il loro debito. La curva al rialzo nella spesa per gli interessi si spiega alla luce di queste considerazioni. La situazione complessiva del Paese non è peggiorata, in questi ultimi mesi. Ma lo scoppio della crisi internazionale ha reso più prudenti gli investitori che, ora, per rinnovare i loro prestiti pretendono in cambio rendimenti maggiori. E l’Italia è costretta a seguire la corrente. Dovrà pagare un differenziale di circa 100 punti base in più – vale a dire l’1 per cento – rispetto alla Germania, se vorrà ottenere i finanziamenti che le sono necessari. Cosa poco piacevole se si considera l’entità del suo debito pubblico. Uno scherzo
Ma è giusto il sospetto dei mercati internazionali nei confronti del nostro paese? Fino ad un certo punto. È vero, infatti, che l’Italia – come è solito ripetere il Ministro Tremonti – possiede il terzo debito pubblico più alto del mondo. Ma è anche vero che le famiglie italiane sono quelle meno indebitate. Se si tiene conto della situazione complessiva, quindi, la solidità del sistema-paese è a prova di bomba. Ma di questo nessuno ne parla. E non parlandone si fa il gioco di chi vuole ottenere il massimo dal proprio investimento, utilizzando le argomentazioni che fanno meglio il suo gioco. Ci vorrebbe, quindi, un pizzico di coraggio in più per respingere attacchi non sempre giustificati. Possibile che se ne debba accorgere solo Le Monde, quando scrive che la performance italiana «sembra meno deludente» rispetto agli altri Stati che si affacciano sul baratro della recessione? Un po’ più di fiducia quindi. Fa bene allo spirito. Ma soprattutto combatte il pessimismo interessato di chi vorrebbe affossarci per guadagnare qualche dollaro in più.
politica
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Ammutinamenti. Guidati dai capigruppo, i parlamentari del Pdl seguono alla lettera l’ottimismo del premier e difendono Villari
Una fronda contro Letta An e gli ex socialisti contro il sottosegretario «Il dialogo non serve, teniamoci tutto» di Errico Novi
ROMA. Fiducioso nelle arti diplomatiche di Gianni Letta, il premier si era convinto di poter navigare facilmente tra il mare aperto del governo che fa tutto da solo e il porto sicuro del dialogo con l’opposizione. Era certo di poter regolare l’elastico senza problelmi. E invece il caso Villari ha fatto emergere un imprevisto: le falangi del Pdl non vogliono saperne di spartire le responsabilità, e quindi anche il potere, con l’opposizione. Non è proprio la totalità dei gruppi parlamentari a pensarla in questo modo, ma sicuramente una parte consistente, e senza dubbio decisiva. È proprio grazie all’intraprendenza delle truppe che il senatore napoletano del Pd è stato eletto presidente della Vigilanza. Ed è sempre grazie al loro immutato sostegno che può permettrsi di essere, come dice lui, granitico. A Ignazio La Russa non si addice un atteggiamento fazioso, vista la carica di ministro. Così il reggente di An, arrivato al Consiglio nazionale di Forza Italia, ricorre alla formula del possibilismo: «Quando tutte le massime cariche dello Stato chiedono le dimissioni del presidente di una commissione è un fatto importante (sembra un piccolo lapsus: Giorgio Napolitano non ha preso posizioni uf-
«Sono sereno al mio posto»
La nuova strategia di Villari: resistenza passiva
ficiali ma evidentemente la sua preoccupazione è ben nota a tutti, ndr), ma dai gruppi che hanno eletto quel presidente non si può pretendere che chiedano le sue dimissioni». Ottimo esercizio di equilibrismo che svela però come nel Pdl, soprattutto sul fronte aennino, siano molti a non invocare forzature. Nemmeno l’intervento di Gianfranco Fini sembra poter sugge-
Basta diplomazia, meglio prendersi tutto: a cominciare dalle nomine in Rai, più comode se il Pd sceglierà l’aventino rire un contegno diverso, come si intuisce anche dalle parole di un altro “berlusconiano” del partito di via della Scrofa, Maurizio Gasparri: «Il presidente della Vigilanza è stato eletto in maniera legittima. Ci sono stati appelli autorevolissimi ma deve essere Villari a valutarli e, al limite,Veltroni a farsi ascoltare».
Il capogruppo del Pdl a Palazzo Madama sa che quest’ultima ipotesi difficilmente può av-
verarsi. Del segretario democratico parla ancora una volta con toni al limite dell’offensivo: «Un’opposizione così è un problema, il rapporto nella democrazia non può certo giovarsene: purtroppo a noi è toccata appunto un’opposizione confusa, sbandata e con una leadership di scarsa autorevolezza». Dove vogliono arrivare i “falchi” della maggioranza? Di sicuro non hanno alcuna intenzione di assecondare la linea dialogante suggerita a Berlusconi da Gianni Letta. Anzi considerano le iniziative diplomatiche del sottosegretario, a cominciare da quella sulla sostituzione di Villari con Sergio Zavoli, un’appropriazione indebita. Ci sono ragioni contingenti, interessi di potere in senso stretto, senza dubbio. Innanzitutto la consapevolezza, per gli uomini di An, che un aventino del Pd sulle questioni Rai lascerebbe liberi molti spazi in vista delle future nomine. Si può forse rischiare uno slittamento in avanti dei tempi, a cominciare dal rinnovamento del cda di viale Mazzini, ma le opportunità successive ripagherebbero ampiamente l’attesa. Questo Berlusconi e Letta lo hanno capito, ma a preoccuparli probabilmente di più
è un’altra lettura di questo mezzo ammutinamento.
L’audacia di Maurizio Gasparri, di altri senatori pdl in perfetta sintonia con il capogruppo, e della coppia Fabrizio Cicchitto-Italo Bocchino (gli altri due architetti della trappola-Villari), non dipende solo da interessi contingenti. Nasce anche da una visione più generale, acquisita peraltro sull’esempio di Berlusconi: una visione secondo cui la maggioranza è così forte da
ROMA. Ci mancavano solo i fan club! Il senatore Riccardo Villari da Posillipo si fa ora largo anche nel mondo virtuale di Facebook. Nel social network esiste da ieri, infatti, un gruppo di sostegno al presidente della commissione di Vigilanza sulla Rai che conta, al momento, oltre 300 iscritti. E tutto lascia pensare, vista anche la serenità con cui il senatore partenopeo affronta la situazione, che il circolo di appassionati della vicenda potrà ampliarsi forse lentamente, ma inesorabilmente. Che sul caso Villari si sia aperto
potersi permetere di fare a meno dell’opposizione, da poter continuare in tutta tranquillità per la propria strada senza chiedere apporti esterni, condivisione della responsabilità e indulgenza. È esattamente quello che il premier ha sostenuto, più o meno esplicitamente, fino a poche settimane fa. Almeno fino a quando i dati sulla crisi e l’urgenza di risposte da offrire all’ansia dei cittadini non lo hanno persuaso ad ascoltare di nuovo gli inviti alla prudenza di Letta.
un vero e proprio dibattito mediatico e nell’opinione pubblica, lo dimostra anche il fatto che ieri Sky Tg24 ha svolto un sondaggio tra i propri utenti chiedendo se fossero a favore o contro le dimissioni del presidente della Vigilanza. Il risultato è stato di quelli che fanno pensare: l’Italia sembrerebbe, infatti, spaccata in due: il 50% dei partecipanti ha sostenuto Villari nella sua granitica intenzione di rimanere al suo posto. L’altra metà, invece, ritiene che il senatore napoletano debba invece rimettere il mandato e favorire così l’elezione bipartisan di Sergio Zavoli. Anche ieri, però, è stata una giornata tranquilla e serena per Villari, che si è recato alla Camera per, come ha detto lui stesso, «prendere un caffè alla bouvette della Camera. Nei momenti importanti; non so perchè, ma mi porta fortuna. Dopo il caffè si reca ad incontrare Marco Pannella il quale, dopo il colloquio, dichiara che smetterà lo sciopero della fame che si era imposto giorni fa.Villari è un fiume in piena, afferma di essersi «imposto la consegna del silenzio» ma parla amabilemente con i giornalisti senza accennare a fughe, passeggiando per il Transatalantico e nel cortile di Montecitorio. Diavolo d’un Villari! L’opinione pubblica si spacca su di lui, la politica si accapiglia sulle sue dimissioni giocando allo scaricabarile, i presidenti delle Camere si
politica Adesso la situazione sembra sfuggire di mano: deputati e senatori del Pdl, a cominciare dai loro vertici, vogliono interpretare alla lettera l’ottimismo del Cavaliere. Finendo così per dissolvere la tela pazientemente tessuta dal suo braccio destro.
Sopra, il sottosegretario Gianni Letta. A destra, il ministro della Difesa Ignazio La Russa. A sinistra il presidente della Vigilanza Rai Riccardo Villari
espongono e lo invitano a dimettersi. Ma lui nulla, rimane incollato alla sua poltrona alla Vigilanza con una pervicace convinzione di essere nel posto che gli spetta da mettere quasi in imbarazzo. C’è chi sembra rassegnato «lo conosco, quello ormai non se ne va più» dice un onorevole appartenuto alla gloriosa scuola della Balena Bianca.
D’altronde è pur vero che già nelle prime ore, un senatore ex Pci aveva profetizzato: «un ex democristiano che si dimette? Non ci credo nemmeno se lo vedo!». E tant’è… dal Pd sono sicuri che la sua esperienza nel partito di Largo del Nazareno sia ormai solo un brutto ricordo. Per ora Villari «non ha ancora presentato ricorso» contro l’espulsione dal gruppo del Pd in Senato, ma, se lo farà, «si esprimerà l’assemblea del Partito democratico... ma conosco il mio gruppo», ha detto ieri ai cronisti la capogruppo dei Democratici a Palazzo Madama, Anna Finocchiaro, la quale ha poi lasciato cadere il discorso, ma è apparsa convinta che ormai non ci sia più possibilità per il presidente della commissione di Vigilanza Rai di restare sotto le bandiere del Pd. Finocchiaro, inoltre, ha respinto le accuse di “pressioni“ lamentate dallo stesso Villari: «Non ho potuto esercitare alcuna pressione perchè Villari non ha risposto
D’altronde non può certo essere Gianfranco Fini a placare il furore dei suoi. Le parole di Gasparri lo dimostrano in modo chiaro. E non potrebbe andare diversamente, giacché i dirigenti di via della Scrofa si sentono ormai con entrambi i piedi nel nuovo partito unico e quindi riconoscono istintivamente solo la leadership del Cavaliere. Peraltro i sostenitori di questa linea anti-Letta non sono solo in Parlamento. Bisogna considerare anche quella corrente maggioritaria socialista che innerva vistosamente lo stesso esecutivo. A rassicurare Cicchitto, Bocchino e gli altri sono i Tremonti, i Brunetta, i Sacconi. Il ministro alla Funzione pubblica è stato forse il primo, nell’estate del 2005, ad attaccare pubblicamente l’insostituibile consigliere di Berlusconi, sostenendo a una convention azzurra che non se ne poteva più delle continue cessioni di sovranità (e di spazi di potere) agli avversari imposte dalla diplomazia lettiana. Adesso queste cellule ostili al sottosegretario si danno coraggio a vicenda, fino a rendere la situazione difficilmente gestibile per lo stesso Berlusconi. Che mai avrebbe immaginato di dover sollecitare un contegno più moderato ai suoi parlamentari nei confronti dell’opposizione. Proprio ora che il fantasma della recessione si è materializzato in carne e ossa servirebbe una disciplina diversa, ma non è detto che si faccia in tempo a riportare i soldati all’ordine.
alle mie telefonate. Non ci sono stati contatti». C’è chi, come il ministro dell’Attuazione del Programma Gianfranco Rotondi - che bene conosce Villari - non è tanto sicuro che la vicenda dell’uscita dal Pd del senatore campano sia da considerarsi una pagina chiusa. «Il caso Villari è più complesso di quanto appare - ha affermato Rotondi - perchè Riccardo è lo stesso che garantì a Buttiglione lo Scudo Crociato: non escludo che resti presidente e porti il Pd in tribunale. Al posto di Veltroni e Berlusconi eviterei lo scontro con un presidente che non ci sta a farsi scaricare come un incidente di percorso. In più, un Parlamento di nominati non si può permettere pure le dimissioni a comando». Insomma, ci si potrebbe trovare davanti ad un collegio di probiviri che espelle Villari, ma che, secondo lo stesso statuto del Pd, non può farlo semplicemente perché la procedura non è prevista e costituirebbe un precedente (il caso Binetti docet), conseguentemente il presidente della Vigilanza potrebbe intentare causa contro il suo partito, insomma, una baruffa da niente. Nel frattempo, a sera inoltrata di venerdì Villari è salito su un treno per Napoli col sorriso sulle labbra e con la carica di presidente della Vigilanza. Il week end, le sfogliatelle e i babà di Scaturchio, un bel sartù di riso domenicale porteranno consiglio? (f.c)
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Quali prerogative per il Parlamento?
Attenti, è una crisi istituzionale di Francesco D’Onofrio segue dalla prima E la domanda è: quale assetto politico è chiamato a sostituire quello sostanzialmente partitico che dal 1946 al 1992 ha infatti caratterizzato la Prima Repubblica? Le elezioni politiche dello scorso aprile sono pertanto da interpretare nel senso che alla logica delle coalizioni si è sostituita la logica di due soli partiti? E, in tal caso, che significato aveva la proposta di Leoluca Orlando a Presidente della Commissione di Vigilanza Rai, e – specularmente – che senso aveva l’opposizione della maggioranza a questa proposta dell’opposizione?
Siamo pertanto in presenza di cartelli elettorali o di partiti politici? Di cartelli elettorali o di coalizioni politiche? E dopo la scomparsa della candidatura Orlando che senso ha avuto – ovviamente dal punto di vista politico – la votazione della maggioranza politica a favore del senatore Villari? In questo contesto assume particolare rilievo proprio la soluzione istituzionale della crisi politica: è ancora previsto un qualche ruolo del Parlamento – all’interno del quale precise procedure scandiscono la differenza tra partiti e opposizioni – o si ritiene che si sia ormai definitivamente passati dalla Repubblica Parlamentare tuttora vigente in base alla Costituzione ad una forma nuova e sostanzialmente ignota di sistema istituzionale? La “vicenda”Villari è dunque molto più complessa di quel che appare ad una superficiale lettura politica e costituzionale della vicenda medesima. E non si tratta di questione che concerne esclusivamente lo schieramento di opposizione, il quale deve certamente sciogliere ancora il nodo sia del proprio profilo politico, sia delle proposte di riforma costituzionale che non sono state ancora compiutamente definite dai diversi soggetti politici che ne fanno parte. La vicenda riguarda, infatti, anche la maggioranza politica perché è di tutta evidenza che è ancora da definire il profilo politico e la proposta istituzionale del Popolo delle Libertà, mentre non è ancora compiutamente chiaro quale sia il punto di approdo conclusivo della stessa trasformazione federalistica dello Stato Italiano. Non va certamente esagerata l’importanza del caso Villari, perché si tratta di una questione puntuale all’interno di molto più complesse questioni politiche ed istituzionali che attanagliano l’Italia dalla fine della cosiddetta Prima Repubblica. Ma non si può far finta di credere che si tratti di una questione banale e personale: la questione non è“banale”perché investe il problema del rapporto fra partiti e coalizioni; non è soltanto “personale” perché concerne il rapporto tra Parlamento e partiti. Queste sembrano le ragioni di fondo sulle quali è opportuno che si interroghino tutti, politici e istituzionali che siano i ruoli da loro ricoperti.
politica
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in breve Benzina ai minimi degli ultimi 3 anni Il prezzo della benzina scende sotto quota 1,17 euro al litro e si attesta ai minimi degli ultimi 3 anni. Sulla scia della discesa delle quotazioni internazionali del petrolio con il barile oggi intorno ai 50 dollari - le principali compagnie continuano a tagliare i listini. Con l’Agip che da questa mattina ha ridotto il prezzo della verde a 1,169 euro al litro. Un livello che non si registrava dal novembre del 2005.
Truffa Cirio, Passera prosciolto
ionda, decisa, occhiali da sole in montatura bianca, modello Natale a Cortina, inforcati a tenere i capelli. Tailleur. Michaela Biancofiore sale alle ore 14 sul palco del consiglio nazionale di Forza Italia sormontato dal noto maxi sfondo azzurro cielo: coreografia celeste che accompagna ogni convention di Forza Italia. In sala poca gente – è l’ora del lunch: sformati di riso, lasagne, parmigiana di melanzane, pesce spada affumicato e mozzarelline – ma per Michaela – classe 1970, di Bolzano, diplomata presso l’Istituto magistrale e deputato azzurro dal 2006 – è un occasione per dare voce con poche parole all’anima di Forza Italia e del futuro Popolo della libertà. «Questo partito è nato de facto dall’intuizione di un grande leader, dal genio di Silvio Berlusconi. È stato lui, grazie all’empatia di cui è capace e che nessun altro, a sinistra come ha destra può dire di avere, a consentire che il popolo si facesse partito. Oggi è, de facto, la genesi di un’altra rivoluzione berlusconiana: il 17 settembre scorso Berlusconi ha detto che il Pdl non sarà solo un partito sarà la casa di tutti gli italiani». Poi la Biancofiore evoca un concetto che dalle sue parti – l’Alto Adige – ha un valore profondo: «Da noi si usa una parola per definire tutto questo: Heimat. Una patria che si riconosce in una comunità e in un leader».
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Silvio Berlusconi arriverà nella sala convegni dell’auditorium di via della Conciliazione, a due passi da San Pietro, solo alle 17, ma l’aria è già satura di attesa messianica. Un delegato piemontese, Enrico Costa, definisce Berlusconi un “leader rabdomante”. Un altro, ligure, descrive «Le sue straordinarie doti intuitive».
Reportage. Il premier ha sciolto ufficialmente Fi nel nuovo Pdl
Forza Italia non c’è più Basta Berlusconi di Riccardo Paradisi Sandro Bondi, mani congiunte, annuisce sorridendo. Ma anche i big non si risparmiano: Enrico La Loggia celebra in «Berlusconi, il simbolo di una impresa epocale a cavallo tra due secoli».
Gli interventi appena dubitativi si contano sulle dita di una mano. Il governatore della Lombardia Roberto Formigoni chiede al Pdl di mostrarsi più concorrenziale rispetto alla Lega, Alfredo Biondi – cerimoniere di questo Consiglio nazionale – rileva come, «ri-
la mozione unica per l’ingresso nel Popolo della libertà che dà pieno mandato «al presidente del partito, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, per compiere gli adempimenti necessari in vista del congresso costitutivo del nuovo soggetto politico». È il compimento, continua il documento «del percorso iniziato nel 1994: per questo la storia, gli obiettivi, le ragioni e la struttura organizzativa di Forza Italia devono ritrovarsi nel nuovo progetto politico del Popolo della Libertà». Squa-
Non una parola su An. Nel documento approvato per acclamazione, riproposto per il Pdl il modulo organizzativo di Forza Italia. Il Cavaliere rilegge il discorso della discesa in campo del ’94 spetto al progetto originario di costruire un partito liberale di massa, oggi Forza Italia abbia molta massa e pochi liberali». Giancarlo Lehner solleva la questione dei quadri: «Va bene il leader carismatico, ma dobbiamo formare anche la classe dirigente. Altrimenti si continuerà a vincere alle politiche grazie al traino di Berlusconi ma si andrà meno bene alle amministrative». Ma non è questo il giorno nè l’occasione per fare dibattiti. Il consiglio nazionale vota all’unanimità e per acclamazione
dra che vince non si cambia, insomma. In calce al documento ci sono le firme di Denis Verdini, del capogruppo alla Camera del Pdl Fabrizio Cicchitto, del vicepresidente del gruppo del Senato, Gaetano Quagliariello e del capo della delegazione europarlamentare a Strasburgo, Giuseppe Zappalà. Annunciato dalle note di Per fortuna che Silvio c’è entra infine il Cavaliere: acclamato per interi minuti. «Mi avete commosso...». dice Berlusconi che sale sul palco di fronte a una platea a sua
volta commossa: «Oggi abbiamo fatto un altro passo avanti di questa nostra grande battaglia avventura di libertà» le prime parole. E poi: «Questa notte ho redatto un discorso, stamattina l’ho riletto ma ho deciso di non leggerlo qui». Colpo di scena: Berlusconi decide di leggere il testo della “discesa in campo” del 1994.
La riproposizione di quel discorso lo commuove di nuovo. «Non c’è da cambiare una sola parola rispetto al testo della mia discesa in campo. In questi 14 anni abbiamo dato al nostro Paese qualcosa di positivo e che era indispensabile. Forza Italia è stata, è ancora e sarà in futuro il vero baluardo della democrazia nel nostro Paese». Berlusconi celebra il se stesso di quindici anni fa in una convention già tutta tesa alla sua celebrazione. Il Cavaliere come lo spirito assoluto hegeliano che ricomprende se stesso in un processo dialettico circolare, che sussume ogni alterità. Sarà un caso ma nei 15 minuti in cui Berlusconi ha parlato non ha pronunciato nemmeno una parola su Alleanza nazionale che del Pdl dovrebbe essere una costola essenziale. Figurarsi per le altre forze minori che confluiranno nel nuovo soggetto politico. L’Heimat, spiegherebbe Michaela Biancofiore.
L’amministratore delegato di Banca Intesa, Corrado Passera, e altri dieci indagati sono stati prosciolti dal giudice per l’udienza preliminare (gup) di Milano dall’accusa di truffa in relazione alla vicenda Cirio. La richiesta di archiviazione era stata sollecitata dalla procura di Milano. Lo scorso aprile la procura del capoluogo lombardo aveva chiesto l’archiviazione, ma un risparmiatore aveva presentato ricorso. Il gup ha sottolineato, comunque, che è intervenuta anche la prescrizione trattandosi di emissione di obbligazioni del 2001.
Verona, stermina famiglia poi si spara Un uomo di 43 anni ha ucciso la moglie (coetanea), i tre figli (di 9, 6 e 3 anni) e poi si è suicidato. È accaduto giovedì sera a Verona, nella zona di San Felice Extra. L’uomo era un noto commercialista della città, la moglie era avvocato. «La scientifica è sul posto per compiere tutti i rilievi e accertare la dinamica dei fatti. E verificare se è stato lui a compiere la strage» ha detto un addetto stampa della questura veronese. Le vittime sono Alessandro Mariacci, la moglie Maria Riccarda Carrara Bottagisio, e i loro tre figli maschi di 3, 6 e 9 anni. La famiglia da poco si era trasferita a San Felice Extra: viveva in una porzione di una casa colonica, ristrutturata, con una corte privata. Nella casa non è stato trovato finora alcun biglietto che possa aiutare a comprendere le ragioni della strage. I vicini ricordano i cinque come una famiglia modello.
politica
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Inchiesta. Più democristiani che girotondini, più berlusconiani che democratici. Ecco chi sono i “peones” dell’ex pm
Di Pietro, l’invisibile armata di Susanna Turco n post partito. Più berlusconiano che democratico. Più democristiano che girotondista. A sporgersi un poco oltre l’onnipresente e ingombrantissima sagoma di Antonio Di Pietro, per frugare tra le pieghe della sua creatura, si scopre un partito più composito e contraddittorio di quello che la sua immagine mediatica - tutta schiacciata sul leader - può e vuole trasmettere. «L’Italia dei Valori un fenomeno del tutto sconosciuto: c’è una pubblicistica alluvionale su di Pietro, ma sul suo partito nemmeno un rigo», conferma il deputato Idv ed ex democristiano Pino Pisicchio, il quale, proprio muovendo da questa constatazione, ha dedicato un libro che uscirà tra otto giorni (Italia dei Valori, il Post-partito) all’analisi di un movimento che al di là di iniziative ultranote come quella di Piazza Navona - i più non percepiscono nemmeno.
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Un partito sconosciuto, in fondo. Un esempio? Quasi il sessanta per cento dei parlamentari dipietristi proviene dalle fila della democrazia cristiana, o almeno dai suoi cascami e reincarnazioni (Udeur, Udr, unione di centro eccetera). Ex, insommma. Un dato che fa dell’Italia dei valori il partito a più alta concentrazione diccì dopo l’Udc. Di ambiente democristiano è il capogruppo al senato Felice Belisario, così come fra gli altri Giuseppe Astore, Gianpiero De Toni, Antonio Razzi, Ivan Rota e Carlo Monai; di filiera democristian -margheritesca è il capogruppo alla Camera Massimo Donadi, ma anche l’ex tesoriere e Renato Cambursano, torinese, bancario, un passato da sindaco. O il candidato in Abruzzo Carlo Costantini, un ex “delfino” del re dei popolari Franco Marini. Ex udeurrini sono Aniello Di Nardo, Giacinto Russo, David Favia, Americo Porfidia. Ex uddiccino, è Gabriele Cimadoro. Ci sono gli ex retini: Leoluca Orlando, in primis, ma anche Ignazio Messina e Fabio Giambrone. Scendendo giù per li rami si incontrano poi ex socialisti, qualche ex Pci come Fabio Evangelisti. O, accanto al girotondista Pancho Pardi e al travagliano Francesco Barbato, personaggi legatissimi a Francesco Cossiga come Stefano Pedica. C’è persino un ex le-
ghista: Antonio Borghesi, ex presidente della provincia diVerona, oggi vicepresidente dei deputati Idv. E un ex missino: Luigi Li Gotti, consigliere comunale in Calabria prima di Fiuggi, poi aennino, e oggi senatore dell’Idv.
«A fare i megalomani, si può dire che l’Italia deiValori è una sorta di Democrazia cristiana in piccolo, con tutte le sue piccole correnti». È una frase che si sente ripetere, tra iscritti e collaterali all’Idv. E - megalomanie a parte - sortisce un certo effetto comico, se la si accoppia alla vulgata secondo la quale Antonio Di Pietro è stato, nell’epoca di Tangentopoli, motore della distruzione della Dc. A differenza del partito di piazza del Gesù, peraltro, l’Italia dei valori non possiede correnti in grado di prendere il potere e governare il partito. Tutt’altro: si tratta di componenti che non contano, che servono dare al partito delle competenze specifiche e anche, perché no, a far numero. Del resto, è in qualche modo una legge non scritta: a spiccare deve essere il leader. Basti pensare al fatto che qualsiasi dichiarazione un parlamentare dell’Italia dei valori intenda diffondere alla stampa deve avere il pre-
Quasi il sessanta per cento dei parlamentari ha un passato nel partito di Piazza del Gesù, o almeno proviene da qualcuna delle sue reincarnazioni. Ma ci sono pure un ex leghista e un ex missino vio placet dei vertici. O al fatto che in televisione, invariabilmente, va Antonio Di Pietro e, quando proprio lui non può, Massimo Donadi. Insomma, anche alle personalità che potrebbero emergere, un modo per farlo davvero non è dato.
Per questa via, emerge così il lato “berlusconiano” del partito più antiberlusconiano dell’arco costituzionale. In dieci anni di esistenza, dai tempi dell’assemblea di San Sepolcro, l’Italia dei valori ha infatti progressivamente perso la caratteristica movimentista dell’inizio (e con essa i suoi rappresentati della prima ora), si è radicata sul territorio
(al sud, soprattutto), ma ha continuato a svilupparsi esclusivamente intorno al suo leader. È un dato di fatto, stabilito anche dallo statuto. Che dopo aver snocciolato una serie di norme e regole banalmente democratiche, stabilisce delle «disposizioni transitorie» che finiscono per mettere in ipoteca molto di ciò che è stato enunciato negli articoli precedenti. L’articolo 16, infatti, spiega che: fino al primo Congresso (ovviamente mai celebrato sinora) i suoi compiti sono «svolti dal presidente dell’associazione» Italia dei Valori; «fino a sua rinuncia, il ruolo di Presidente dell’associazione viene assunto dal Fondatore del Parti-
to», ossia Di Pietro. A costui «ed esclusivamente a lui» spettano, fra l’altro, «titolarità del simbolo», «modifica dello Statuto», «approvazione del rendiconto», «ripartizione e utilizzo dei contributi e dei finanziamenti pubblici e privati». Insomma: nome, simbolo, rimborsi e gestione del partito sono tutti in mano a un’associazione culturale presieduta da Di Pietro. Difficile, in un contesto del genere, sviluppare un partito fatto di correnti.
Nonostante ciò, col tempo l’Italia dei Valori si è dotata di una sua struttura, il cui epicentro terrritoriale sono i coordinamenti regionali (a quel livello i congressi si tengono), e anche di suoi temi che vanno oltre la trasparenza, la legalità e la sicurezza, e spaziano dall’attenzione al mondo dei consumatori (testimoniata anche dall’elezione del
Qui sopra, il leader dell’Idv Antonio Di Pietro. A sinistra, dall’alto, Leoluca Orlando, Pancho Pardi. Sotto, Carlo Costantini, Pino Pisicchio
presidente dell’Adusbef Lannutti), per arrivare a temi più “solidaristici” come la famiglia e la tutela dell’infanzia, passando per la lotta agli sprechi e ai costi della politica. «Il fatto è che l’Italia dei Valori è completamente post ideologica», spiega Pisicchio, «i codici del Novecento non possono esserle applicati, perché usa issues tipiche del centrosinistra e le combina con temi tipici del centrodestra». E infatti non si cura delle provenienze: pensa alle competenze e si concentra tutta sul web. C’è addirittura una società, la Casaleggio, che cura tutta l’area internet per conto di Di Pietro. Più post ideologico di così.
panorama
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Incidenti. Anna Finocchiaro aveva annunciato le dimissioni di Villari (non quelle di Mastella)
La signora delle previsioni sbagliate di Gabriella Mecucci l primo a non farle un buon servizio fu Massimo D’Alema: nel 2007 – era in corso la campagna elettorale francese - quando se ne uscì così: Anna Finocchiaro è la nostra Ségolène Royal. Due donne entrambe belle, eleganti, entrambe in carriera e allora ancora “vincenti”. Peccato che la signora d’Oltralpe venne travolta da una sconfitta clamorosa: Sarkozy prese tanti di quei voti da andare oltre le più rosee previsioni. Subito dopo cominciarono le difficoltà anche per l’elegante capogruppo al Senato made in Sicilia. La sua disavventura più esilarante è stata l’ultima, quando – ieri
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IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio
l’altro – con garbata sicumera ha annunciato che il senatore Villari si sarebbe subito dimesso dalla presidenza della Commissione di Vigilanza. Parole al vento, come si è visto: Villari è rimasto al suo posto. In questa farsa politica, anche la signora sicula rischia il ridicolo. Del resto i guai per lei non sono ini-
ne. La campagna elettorale di Anna Finocchiaro fu inoltre punteggiata da polemiche di ogni tipo. Intendiamoci, alcune volte la ragione stava dalla sua parte, ma in quella tenzone gliene capitarono comunque di tutti i colori. La donna però ha stile e uscì con stile anche da quel calvario.
D’Alema le augurò un futuro alla Ségolène Royal, ma poi la leader francese perse malamente le presidenziali. E anche lei, alle elezioni in Sicilia... ziati oggi. Dal giorno di quell’investitura dalemiana non glien’è più andata bene una.
Basta tornare con la mente a qualche mese fa quando la candidarono alla presidenza della Regione Sicilia. Turi Lombardo le inflisse una sconfitta epocale: 65 per cento a 30. Una catastrofe resa meno visibile dalla debacle veltroniana a livello nazionale, ma proporzioni del genere non si erano mai viste nemmeno nella berlusconiana Trinacria. In confronto la Royal aveva retto be-
Non si creda però che quella fosse la prima disavventura. Un’altra assai clamorosa le era capitata durante il caso Mastella quando l’allora ministro della Giustizia, con moglie in carcere e un’indagine della magistratura che pendeva su di lui, perse la testa e provocò la crisi del governo Prodi. Mentre il leader del “Campanile” minacciava sfracelli, la nostra avvenente senatrice assicurava con tono suadente che tutto si sarebbe sistemato. Andò come andò: l’Udr uscì dall’esecutivo e si arrivò diret-
ti alle elezioni con i risultati peggiori che la sinistra italiana abbia mai conseguito.
Tre batoste così metterebbero a terra chiunque. Ma Anna Finocchiaro resta al suo posto conservando un invidiabile aplomb. Del resto è così brava da essere riuscita a far dimenticare che, quando Achille Occhetto sciolse il Pci per far nascere un nuovo soggetto politico non comunista, lei era contraria a questa svolta. Colei che sarebbe diventata il capogruppo al Senato del Pd, non voleva che questo partito nascesse. Anzi, non voleva che nascesse nemmeno il Pds e preferiva vaneggiare di un possibile nuovo comunismo riformato. O di società dei conflitti o degli antagonismi. Insomma, un bagaglio politico culturale molto ma molto vetero, una strategia opposta a quella che l’avrebbe portata ad essere una donna politica di successo, una delle dirigenti più ascoltate del partito riformista. Così vanno le cose sotto il cielo del Pci-Pds, Ds, Pd.
Breve viaggio virtual-sociologico nel network più cliccato al mondo
Facebook, dove la realtà va a morire l contrario della nota massima filosofica forse di Eraclito, forse di chissà chi, “vivi nascosto” è Facebook. Chi ne sa più di me - ci vuole poco - mi dice che è un social network. Funziona così: ti iscrivi, metti la tua foto tessera ma un po’ più figa, i tuoi dati, chi sei, che fai e chiedi di essere amico di questo e di quella che a loro volta sono già parte della grande tribù internazionale di Facebook: oltre cento milioni di utenti. Sempre in crescita. Fino a poco tempo fa non si sapeva nulla o quasi di questa novità dal mondo virtuale. Ora - come spesso accade con le mode - non sei nessuno se non sei in Facebook. Ma se sei in Facebook chi sei?
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Si potrebbe fare la nota osservazione: un conto è la virtualità e un conto è la realtà. Un conto è un faccina online e un conto è una faccia in carne e ossa. Viviamo in un mondo che sta perdendo il senso del rapporto umano: la materia si sta smaterializzando. Perfino l’amore che è anima e corpo, più corpo che anima, si è trasferito in quello schermo del computer che accendiamo al lavoro, a casa, in vacanza. Non solo la politica è finita da un pezzo, ma anche l’amore. Tutto è finito nella rete. Viene in mente quella frase un po’ bella e un po’ stronza di Woody Allen che fa più o meno così: «Dio è morto, Marx è morto e anche
io non mi sento tanto bene». In realtà e dire “in realtà” non è un modo tanto per dire - la realtà ha cambiato domicilio: il mondo si è trasferito altrove.
Lì dentro, in quella scatola di plastica e fibra che ci dice le cose che accadono nel mondo là dentro e là fuori. Dunque, poco snobismo, Facebook è roba seria. A dire la verità, ho un piccolissimo dubbio: quelli che si iscrivono in questa comunità mondiale - c’è anche lui, Barack Obama - mi sa tanto che vogliono farsi un po’ di pubblicità. Non c’è niente di male. La pubblicità è l’anima del commercio, ma anche di Facebook. Un autore, un editore, un imprenditore, insomma, chiunque abbia qualcosa da vendere, da proporre agli altri, pensa bene di iscriversi perché la rete degli amici, e degli amici degli amici, è davvero infinita e da cosa nasce cosa. Qui si veicola tutto. Questo è il veicolo per
eccellenza. Un veicolo immobile che viaggia per il mondo. Se ci si pensa bene, questa trovata di Facebook è il classico passaparola: io dico una cosa a te, tu la dici a lui e così la cosa fa il giro del mondo in un battibaleno. I Greci questa cosa qui la chiamavano Fama. In fondo, la Fama è un po’ l’antenato di Facebook: un modo per esserci, proprio come il social network. Il “libro delle facce”è una sorta di organizzazione virtuale della memoria: qui puoi diventare famoso anche se sei sconosciuto. Magari anche se non meriti di essere popolare. Qual è, in fondo, il più grande desiderio degli uomini?
Hegel diceva che è il riconoscimento. Altro che “vivi nascosto”, l’uomo sogna di essere riconosciuto dai suoi simili. Facebook realizza gratis questo bisogno sociale. Qui sei qualcuno anche se non sei nessuno. Quando Mark Zucker-
berg - uno studente di Harvard, ma perché queste cose non accadono mai in provincia di Foggia? - quando Zuckerberg nel 2004 trasformò il classico annuario degli studenti nell’attuale Facebook non poteva immaginare che stava per creare un ingranaggio che ha a che fare perfino con l’immortalità. Esagerazione? Mica tanto. Fate così: iscrivetevi, fate amicizia e poi cancellatevi da Facebook. Non è una cosa così semplice. Una volta entrato in Facebook non è facile tirare i remi in barca. La barca va anche senza di te.
La navigazione continua all’infinito. Voi credete di esserne usciti, invece la vostra faccina, i vostri dati, la vostra “identità seconda” o “identità virtuale” sono ancora lì. Sembrerebbe, dicono, per due anni. Può accadere, allora sarà già accaduto - che si vada all’Altromondo, chiamiamolo Mondo 3, rubando l’idea a Popper: c’è il mondo in carne e ossa, c’è il mondo di Internet e c’è il mondo dell’Aldilà. Il corpo morirà, ma la vostra anima sarà ancora lì, in rete, con gli amici, che magari vi presentano ad altri amici. Noi moriamo, ma la nostra “identità seconda” continua a vivere. Il mondo virtuale è fatto così: non sembra che conosca la morte. Facebook ha inventato nientemeno che l’immortalità.
panorama
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Provocazioni. E se dritti nelle classi-ponte ci finissero anche gli asini italiani della lingua, oltre agli immigrati?
“Palombella rossa” tra i banchi di scuola di Antonella Giuli isognerebbe prendere presto speciali precauzioni contro la malattia dello scrivere, ché è un virus pericoloso e assai contagioso. Pietro Abelardo questo lo diceva all’incirca intorno all’anno millecento dell’era volgare, probabilmente riferendosi per lo più alla quantità di pagine e pagine messe in circolo all’epoca nel mondo e piuttosto prive di quell’elemento imprescindibile che fa di uno scritto un’opera d’arte: la qualità. Senz’altro di tecnica narrativa, ma perché non linguistica?
tegoria di extracomunitari più diffusa sul nostro territorio e quelli che più o meno coscientemente portano con sé il mito di Roma e ciò che di profondo da lì si declina (lo accolgono già nel nome “Romania”), imparano più velocemente quella buona maniera che è la corretta scrittura. O la corretta esposizione orale. Semplici magari, ma corrette.
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Il virus ad ogni modo sembra aver attecchito negli organi dell’humanae sapientiae italiche, visto che da noi oltre a circolare una letteratura un po’ fiacca e senza troppe firme autografe di certo peso, è proprio la lingua italiana a far cilecca. E quando non è l’ortografia a far disperare, è l’immancabile, indecifrabile, incomprensibile contorsione lessicale e sintattica di professori, politici, giornalisti o burocrati a lasciar perplessi. Ora, la domanda-suggerimento può esser questa: ma
Gli stranieri sembrano frequentare il nostro lessico assai più felicemente di noi. Prova scanzonata ma efficace: mettere vicini Totti e Mutu. Poi ascoltare le cosiddette e caldeggiate (dal governo) e criticate (da quello ombra) “classi-ponte” possono ospitare anche gli italianissimi e ignoranti figli patrii oltre agli immigrati? Immigrati che, si dica una volta per tutte, sembrano frequentare il nostro les-
sico assai più felicemente dei primi.
Prova scanzonata ma efficace: mettere vicini Totti e Mutu. Un romeno forbito tra i coatti d’Italia. I romeni, che oltre a essere (insieme con i cinesi) la ca-
Viste così, le “classi-ponte” potrebbero quasi quasi diventare forse l’unica importante novità di questo governo in materia di scuola. Un complemento d’integrazione sociale per gli stranieri, utilissima per carità, ma soprattutto un rimedio necessario a stroncare, sin da piccoli, ogni incivile abitudine a brutalizzare la lingua, qua e là violentata dalla “sindrome dell’sms” e del suo “sincopato furioso” à la Federico M. e Melissa P. e Valentina F. eccetera eccetera. Ci vorrebbe di nuovo lo schiaffo (ideale, s’intende) di un Nanni Moretti in splendida forma a sottolineare l’idea che «le parole sono importanti!». E infine, provocazione per provo-
cazione, viene in mente anche questo. A forza d’insistere con l’educazione coatta di tutta la nostra meglio gioventù studentesca, con tanto di apartheid fra somari tricolori e volenterosi stranieri, finirà che un giorno qualcuno si ribellerà e si alzerà in piedi per proporre l’abolizione del valore legale del titolo di studio (tutti laureati=nessun laureato). Ma poi non ci basterà più nemmeno questo. E finirà anche che arriveremo al “punto zero” della sopportazione, e finalmente getteremo nelle discariche le orecchie d’asino e i diplomi incorniciati a giorno, disintegrando l’erudizione forzosa con l’abolizione dell’obbligo scolastico.
Immaginarsi subito il risultato: l’Italia diventerebbe un Paese produttore di eccelsi ingegneri d’origine indiana, di formidabili commercialisti di stirpe cinese, di superbi fisici con passaporto italo-romeno. Ma sopra tutto torneremmo ad avere una splendida classe di agricoltori/allevatori di puro sangue italiano, come ai bei tempi dei Padri Latini. Ita est.
Alleanze. Nasce in Friuli un movimento civico interregionale per i delusi di Pd, Pdl, Dl e Carroccio
Un nuovo centro per battere la Lega di Irene Trentin
MILANO. Il progetto è di quelli ambiziosi: sfidare la Lega Nord sul suo stesso territorio. In ballo c’è una questione settentrionale che non si sente pienamente rappresentata, nonostante le varie promesse di Pd e Pdl. Ecco quindi che la possibilità del centro con un unico movimento civico interregionale continua a stuzzicare ex margheritini, delusi del Pd, leghisti non troppo convinti, moderati senza patria. A guidarli l’ex coordinatore regionale della Margherita, Battista Bonfanti, già da tempo passato con la Rosa Bianca. Ora pronto a trasformare il suo Amici popolari lombardi, che aveva tra i fondatori proprio Savino Pezzotta, nel nuovo Movimento civico lombardo. La presentazione ufficiale questa mattina a Sesto al Reghena in provincia di Pordenone, dove ci sarà la possibilità di guardarsi in faccia e contare le forze. C’è l’incertezza sul nome, Intesa civica o Azione civica. Poi c’è il simbolo, in attesa della registrazione ufficiale: un campo diviso a metà, la parte superiore in comune, quella inferiore diversa per ogni lista. «Il nostro è un accordo interregionale e nordista - dice il leader del Mcl - tra persone che rifiutano di lasciarsi incasellare e che non si riconoscono né nel Pd né nel Pdl. Ci siamo accorti che spesso queste forze hanno un ottimo risultato locale ma poi manca un progetto
più ampio, capace d’incidere anche sulla politica nazionale. Noi ci candidiamo a coordinare queste realtà». Il centro propulsore è la Lombardia, che ha già raccolto oltre un migliaio di adesioni e si appresta alla sfida delle amministrative di primavera con la Provincia di Milano, il Comune e la Provincia di Bergamo, la Provincia di Brescia e un centinaio di altri Comuni. Ma c’è già pronto un folto schieramento di sindaci, presidenti di Provincia, consiglieri re-
tro. «Abbiamo iniziato a portarci avanti – spiega Bonfanti -. Guardiamo con molta attenzione a quello che sta succedendo nella Costituente. Potremmo anche valutare la possibilità di confluirvi, sicuramente siamo disposti a collaborare». Chi semmai ha da temere qualcosa è la Lega Nord, che si sta preparando a riaffilare le armi e a non lasciarsi sfuggire il Nord. «Ci rivolgiamo anche agli elettori del Carroccio e a tutti quei moderati che non si ritrovano in alcuni aspetti estremisti di questo partito. Noi vogliamo dare vita a un patto federativo che non si fermi solo al territorio ma diventi un movimento nazionale. Molti obiettivi potrebbero anche essere in comune: una pubblica amministrazione efficiente, un rapporto economico corretto, una migliore gestione delle risorse locali, il federalismo fiscale. Ma la Lega finora non ha prodotto un granché. Siamo convinti che la questione settentrionale si possa risolvere solo con una politica moderata. E la gente questo lo ha già capito».
A tenere le fila sarà l’ex coordinatore regionale della Margherita, Battista Bonfanti. L’ex governatore Riccardo Illy già pronto ad aderire gionali di Piemonte, Liguria, Emilia Romagna, Trentino Alto Adige, ma anche Veneto e Friuli Venezia Giulia. Non è un caso che la prima pietra si posi proprio a casa di Riccardo Illy, dove cinque anni fa era riuscito a battere la candidata del Carroccio Alessandra Guerra grazie a un’alleanza con le civiche. E ora, la lista dell’ex governatore friulano ha deciso in parte di convergere nel Mcl.
Le prossime amministrative sono alle porte, non c’è tempo di aspettare la conclusione dei lavori per la Costituente di cen-
il paginone
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ino al 1989, l’evento più sottovalutato del ventesimo secolo è stato la fine del socialismo, il quale, come concetto economico, è morto molto prima della caduta del Muro di Berlino. A partire dalla fine degli anni Settanta, nessun serio leader nazionale del Terzo Mondo guidava il suo Paese lungo le linee del pensiero socialista; all’inizio degli anni Ottanta la Cina si è lanciata a tutta forza nel capitalismo, mentre l’India ha ridotto le tasse sui profitti dei coltivatori di riso per incoraggiarne la massima produzione. Una volta liberatesi rispettivamente del socialismo Fabiano e di quello economico, l’India e la Cina hanno sollevato dallo stato di povertà 500 milioni di persone in soli due decenni. Oggi, le mappe satellitari notturne dell’India brillano delle luci di innumerevoli città industriali, e la Cina è diventata improvvisamente una delle grandi potenze economiche del mondo. I suoi leader ostentano con orgoglio la pulsione capitalistica, e il premier Wen Jiabao invoca Adam Smith per rintuzzare gli occidentali: l’origine del benessere è l’iniziativa.
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A dire il vero, Cuba è ancora abbarbicata a ciò che rimane dell’economia socialista, nonostante venga lentamente e a malincuore catturata dal capitalismo, e un numero crescente di leader latinoamericani sta cadendo nuovamente nei vecchi schemi degli insulti antiamericani, del militarismo, della repressione del dissenso interno e di un costante arricchimento attraverso la sottomissione al controllo personale di praticamente tutte le realtà economiche dei Paesi in questione. Il “socialismo reale”, in una parola, ha ancora i suoi adepti, e ci sono pochi dubbi sui prevedibili risultati economici. Questi, in linea di massima, sono i termini in cui a livello storico si parla della fine del socialismo, ma il forte declino del mercato azionario mondiale, seguito al crollo del 2008, ha riesumato l’orgoglio dei socialisti dormienti in America e in Europa, i quali hanno sostenuto che la “fine
I Colloqui di Venezia Il programma di oggi Andrè Glucksmann, Ronald Spogli, John Bolton. E poi Pier Ferdinando Casini, Piero Fassino, Giuseppe Pisanu e Ferdinando Adornato. Sono i relatori previsti nella giornata di oggi ai Colloqui di Venezia, organizzati dalla Fondazione liberal, su “La nuova America. Come cambierà il mondo dopo l’era Bush”. Il primo intervento a Palazzo Cavalli Franchetti è affidato al filosofo francese, che parlerà di “Washington nel XXI secolo». A seguire, l’intervento dell’ambasciatore americano presso l’Italia. Le conclusioni della seconda e ultima giornata dei Colloqui verranno aperte da Bolton già ambasciatore Usa presso le Nazioni Unite per essere concluse dall’onorevole Casini, presidente dell’Internazionale Democristiana. del capitalismo laissez faire” fosse nuovamente arrivata, e durante queste stesse settimane - gli europei occidentali hanno maliziosamente puntualizzato che c’è più di un tipo di capitalismo democratico (perfino nella patria europea della democrazia sociale “capitalismo democratico” sembra avere un’accezione positiva). È evidente che per gli europei è indispensabile che l’America si trovi in stato di inferiorità. Timothy Garton Ash, giornalista de The Guardian, immagina cosa pensino i suoi colleghi europei: «Ah! Se solo voi americani aveste adottato la nostra versione equa e umana di capitalismo sociale democratico!». Ma Ash ricorda che, contro ogni facile complesso di superiorità, dobbiamo rammentare a noi stessi che la maggior parte delle economie europee sta combattendo per creare posti di lavoro, innovazione e imprenditoria, cose che l’America ha portato avanti con successo per molta parte di questo quarto di secolo.
Nel frattempo, nella rivista americana cattolica Commonwealth, Daniel Finn loda alcune parti del mio libro del 1982, The Spirit of Democratic Capitalism, solo per incoraggiarmi - alla luce del rallentamento della crescita economica - a disconoscere le opinioni di alcuni amici come Robert Sirico e Sam Gregg (che Finn chiama erroneamente “libertari”) dell’Acton Institute. Finn,
Margaret Thatcher e Ronald Reagan: negli anni Ottanta i due sono stati i “campioni” della libertà di mercato contro i regimi comunisti e le economie di stampo socialdemocratico
La relazione di Michael Novak all’ottava edizione dei “Co Perché la crisi finanziaria che ha colpito l’Occidente non scalfisc
Senza capitalismo
di Micha
secondo me, fraintende le tre frasi di Padre Sirico che cita, e Sam Gregg, un apprezzabile studente di John Finnis, preferisce essere considerato liberale, un discendente del partito della libertà e della virtù civica. In ogni caso, Sirico e Gregg possono badare a se stessi in questa discussione, ma un dibattito tra chi interpreta il pensiero sociale cristiano come un idioma democratico, e coloro il cui idioma è la Scuola di eco-
nomia austriaca, sarebbe un lungo cammino che produrrebbe un arricchimento del pensiero sociale cattolico. Il mio obiettivo nel 1982 è stato di collocare The Spirit of Democratic Capitalism nel mezzo di questo crocevia.
Immagino che in questi scorsi ventisei anni avrei dovuto avere la furbizia di brevettare l’espressione “capitalismo democratico”. Se avessi guada-
gnato cinque centesimi per ogni volta che è stata usata, la mia pensione sarebbe molto più cospicua di quella che è. L’uso di questo termine, in realtà, è molto cresciuto in queste ultime settimane, sebbene per lo più nel contesto della proclamazione della morte del capitalismo democratico, annunciata soprattutto dagli scrittori che sono sempre stati riluttanti a riconoscerne la nascita.
Da sinistra: l’ex presidente statunitense Bill Clinton; Steve Forbes, editore di “Forbes Magazine” e candidato alle primarie repubblicane per la corsa alla Casa Bianca del 2000; il teorico del comunismo, Karl Marx
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Ecco come sarà l’Unione europea post-Bush
Ue più forte davanti agli Usa di Francesco Capozza
lloqui di Venezia” organizzati dalla Fondazione liberal e la superiorità del mercato rispetto alle economie pianificate
muore la libertà
el Novak
Che cosa sta succedendo? Il capitalismo democratico è morto? Il socialismo, di fatto, è tornato in vita? Cerchiamo di trovare un terreno comune, senza discutere sulle definizioni o sulle opposte visioni politico-economiche fin dal principio. Penso possiamo dare per scontato che la prosperità dell’umanità richieda: 1) un ordine politico libero dalla tortura e dalla tirannide, 2) un ordine
economico che garantisca la libertà dalla prigione della povertà e della fame, e 3) un ordine civile, culturale e morale che tuteli la libertà di coscienza, pensiero, parola, ricerca, scienza, arte e associazione.
Una società libera è costituita da tre sistemi interdipendenti: politico, economico e morale, ognuno dei quali è finalizzato ad assicurare uno di questi tipi di libertà naturali.
Se guardiamo alla crisi del 2008 sotto ognuna di queste prospettive, notiamo importanti errori commessi da ed entro ognuno di questi sistemi. Il cuore di questa crisi risiede nell’ambito dei mutui ipotecari, o, più precisamente, del pignoramento di più del 5 percento di tutti i mutui ipotecari immobiliari di molti mesi. Questo, talvolta, ha comportato qualcosa come novemila pignoramenti al giorno.
Da sinistra: il filosofo scozzese Adam Smith, “inventore” dell’economia moderna; l’economista inglese John M. Keynes, che sosteneva la necessità dell’intervento pubblico nell’economia
VENEZIA. È un’Europa più forte quella che dialogherà con il futuro presidente Usa Barack Obama. Un’Europa che la war on terror ha unito più di quanto sospettato finora e che ha preso coscienza del maggior peso conquistato a livello internazionale con la crisi georgiana. Vero momento clou della consapevolezza europea, in cui è apparso chiaro a tutti che l’America non sarebbe stata, da sola, in grado di fermare la guerra e in cui un’Europa – legata alla Russia da interessi e legami geostrategici evidenti – ha potuto invece giocare un ruolo importante (certamente grazie anche alla forza della presidenza Sarkozy). Un ruolo che – non bisogna dimenticare – è sì stato autonomamente conquistato, ma anche alimentato dall’uscente presidenza Bush. È questa una delle tesi principali – avanzata in primis da Rocco Buttiglione, vicepresidente della Camera dei deputati – emersa ieri durante la prima giornata di lavori ai Colloqui di Venezia dedicati, in quest’ottava edizione, alla Nuova America e a come cambierà il mondo dopo George W. Bush. Sul piatto una stanza ovale sempre più “globale”, come dice Raphael Bardaj, braccio destro di Josè Aznar in politica estera, che con l’ingresso di Obama dovrà fare sempre più i conti con le potenze straniere. Un’occasione certamente per l’Europa tutta, come dice Wilhelm Staudacher, segretario generale della Konrad Adenauer Stiftung, che racchiude enormi potenzialità. Reali, non messianiche come molti vorrebbero. Anche in merito alla guerra in Iraq, in Afghanistan e alle minacce nucleari di Iran, Corea del Nord e Pakistan. Una guerra, sottolinea Vincenzo Camporini, capo di Stato maggiore della Difesa, che ormai non segue più le regole di Clausewitz (la guerra prosecuzione con altri mezzi della politica estera) ma che è sempre più interconnessa e ricca di attori diversi da cui non si può prescindere. Per intenderci, i militari non sono più in grado, da soli, di risolvere una “patata bollente”.
La guerra al terrorismo ha unito l’Europa più di quanto sospettato finora. Il Vecchio Continente ha preso coscienza del maggior peso conquistato a livello internazionale con la crisi georgiana. Nonostante i numerosi contatti (di diversa natura) con la Russia di Vladimir Putin
Troppi i protagonisti sul campo. Tutto questo è emerso ieri nello spettacolare scenario di Palazzo Cavalli Franchetti in Campo Santo Stefano a Venezia per l’ottava edizione de I colloqui di Venezia, quest’anno incentrata sul dopo Bush sia da un punto di vista politico internazionale che dal punto di vista militare. Ad introdurre i lavori è stato il vicepresidente della Camera dei deputati Rocco Buttiglione, subito dopo, è stato presentato il Rapporto del Comitato di Difesa 2000 di cui fanno parte il generale Mario Arpino, già capo di Stato Maggiore della Difesa, il generale Vincenzo Camporini, successore di Arpino alla suprema carica militare della Difesa, il generale Carlo Finizio, ex direttore del CeMiSS, il dott. Andrea Nativi, direttore dele riviste Risk e Rid, il professor Michele Nones, direttore dell’aerea Sicurezza e Difesa IAI, l’ammiraglio Guido Venturoni, presidente Comitato militare della Nato, il senatore Luigi Ramponi, componente della commissione Difesa del Senato e il professor Stefano Silvestri presidente dell’Istituto affari Internazionali. Oggi sono attesi l’Ambasciatore americano in Italia Ronald Spogli, il filosofo Andrè Glucksmann, l’ambasciatore John Bolton, Piero Fassino, Giuseppe Pisanu e Pier Ferdinando Casini.
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Da sinistra: Robert A. Sirico, fondatore dell’Acton Institute for the Study of Religion and Liberty; un cantiere edilizio; il neo-presidente degli Stati Uniti d’America, Barack H. Obama
A partire dalla promulgazione del Community Reinvestment Act del 1977, il sistema politico ha contribuito a creare questo caos. L’obiettivo era nobile: rendere quanti più indigenti possibile proprietari di case, e in un primo tempo ha avuto successo, con oltre un milione di persone che hanno potuto comprare casa per la prima volta. Infatti, negli anni Novanta, sotto la direzione di Franklin Raines e Leland Brendsel, Fannie Mae e Freddie Mac - i concessionari di mutui garantiti da impegni di governo - avevano questo come principale scopo.
Era un obiettivo che avevo condiviso almeno fin dal mio libro del 1971, The Rise of the Unmeltable Ethnics, e plaudevo a Fannie Mae per questo risultato, a dispetto degli avvertimenti dei miei colleghi che temevano il costo finale per la nazione. Molti nel Congresso esultavano, ma, gradualmente, si sono spinti oltre; hanno iniziato a violare le antiche precauzioni e tradizioni bancarie, proibendo ai concessionari di mutui di pretendere i pagamenti o di fare un esame minuzioso della capacità dei nuovi debitori di pagare regolarmente. Hanno anche reso gli istituti erogatori soggetti ad azioni legali da parte di speciali gruppi di interesse e di pressione in caso di insistenza ad avere ciò che per generazioni è stato ritenuto dovuto. Queste decisioni hanno attratto sciami di speculatori intenzionati a trarre vantaggio da questi incentivi completamente nuovi e incredibili. Molti mutui furono concessi a persone perbene, che fecero uso della straordinaria indulgenza delle condizioni per comprare o costruire più case e poi rivenderle, ma parecchi conservatori si scagliarono contro questo piano. Numerosi tentativi da parte dei membri repubblicani del Congresso di introdurre pesanti riforme furono respinti dai tanti amici di Fannie Mae e Freddie Mac, i quali insistettero che il finanziamento di queste due società era saggio e sicuro. Barney Frank, Maxine Waters e Christopher Dodd, soprattutto, insieme a molti altri. Alla fine periti indipendenti
hanno ispezionato i libri contabili di Fannie Mae, scoprendo enormi irregolarità. I vertici della società furono costretti a dimettersi, ma i cambiamenti normativi fondamentali furono bloccati. La pratica, libera e sregolata, difesa in nome di nobili intenzioni, venne mantenuta. Sotto un certo profilo, la crisi dei mutui del 2008 è cominciata con uno specifica legge, votata dal Congresso e ferocemente difesa contro i circostanziati allarmi sulle terribili conseguenze che ne sarebbero derivate. Tutti questi avvisi sono stati respinti in quanto politicamente motivati, ma si sono rivelati esatti. Se questo è stato il difetto del sistema politico, anche quello economico ha accumulato un immenso insieme di errori. In primo luogo, alcuni speculatori troppo brillanti hanno avuto la grande idea di comprare i mutui ipotecari di Fannie Mae, confezionarli e venderli in pacchetti, e le istituzioni finanziarie del mondo se le sono ansiosamente accaparrate, perché cosa può essere più sicuro di mutui sostenuti dal governo americano? Il problema è che una volta che
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mente nell’ambito di ciò che gli investitori stavano comprando, e - a questo punto - quasi tutti coloro che avevano investito in questi pacchetti non potevano dire chi di loro detenesse il maggior numero di arance marce. Alla fine, la crisi finanziaria è precipitata a causa di una crisi dei mutui che i geni di Wall Street hanno reso molto peggio di quanto altrimenti sarebbe stata. Sia il sistema politico che quello economico hanno fallito di fronte alla nazione, e lo stesso ha fatto il sistema morale e culturale. Quando, negli ultimi quindici anni, i prezzi delle case sono rapidamente cresciuti, aumentando a dismisura il valore netto per milioni di proprietari di immobili, nessuno di coloro che ne ha tratto beneficio si è lamentato.
Per quanto mi riguarda, ritengo ora che avrei dovuto capire prima che qualcosa non andava, che era tutto troppo bello per essere vero. Sembrava meschino lagnarsi in un momento così favorevole, e conclusi che le cose si sarebbero risolte da sole. Invece, moralmente,
L’evento più sottovalutato del ventesimo secolo è stato la fine del socialismo, il quale, come concetto economico, è morto molto prima della caduta del Muro di Berlino nel 1989 i mutui di Fannie Mae sono stati raggruppati, nessuno era più in grado di dire quali avessero maggiori probabilità di inadempienza. Quando i prezzi delle case hanno cominciato a scendere, talvolta a causa di speculazioni eccessive da parte di coloro che credevano che avrebbero continuato a salire, gli acquirenti hanno dovuto vendere i loro mutui ipotecari in perdita (o diventare inadempienti) per coprire le proprie perdite.
Nel frattempo, altri abili speculatori hanno inventato un nuovo tipo di investimento di straordinaria sofisticatezza: i prodotti derivati. Questi nuovi pacchetti hanno ulteriormente reso più torbide le acque esatta-
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avremmo tutti dovuto essere sospettosi. Io non lo sono stato. Sulle pagine del Washington Post, E.J. Dionne ha scritto, subito prima delle elezioni, che il trionfo dei democratici avrebbe significato la fine dell’era della deregulation, del laissez-faire e del taglio delle tesse. È probabile che sia vero, ma cosa comporterà? Nel caso della crisi dei mutui, i democratici incolpano l’insistenza dell’amministrazione Bush nella deregolamentazione, ma in questo caso i fatti non sono dalla loro parte, perché sono stati i democratici a bloccare la normativa su Fannie Mae e Freddie Mac, e i repubblicani a insistere che la regolamentazione di queste due aziende finanziate dal governo fosse essenziale.
Una norma che si limiti a stabilire delle regole senza influenzare i risultati finali è necessaria per il bene comune, ma una regolamentazione che conceda troppo potere al governo sbilancia il peso da una parte, o indebolire l’equilibrio di potere tra un attore competitivo e un altro è ingiusto. Di più, è dannoso per l’economia. Peraltro, un regolamento che ponga il governo nella posizione di essere facilmente corruttibile o influenzabile da una delle parti in gioco è pericoloso per le libertà e i diritti dei cittadini. Quando il governo ha la capacità di mettere le sue pesanti mani su uno dei piatti della bilancia, invita tutti coloro che sono coinvolti ad una massiccia attività hobbistica, perché le lobbies crescono e calano in proporzione al potere senza controllo che il governo - soprattutto attraverso la burocrazia e l’implementazione delle regole - reclama per se stesso. Per questo l’enorme potere della burocrazia governativa soffoca la creatività economica, la competizione aperta e l’invenzione di nuovi prodotti e nuove industrie che portano
prosperità. Le regole ci devono essere. Le nostre istituzioni non sono mai state veramente conquistate dai principi del laissezfaire. Fin dall’inizio ci sono state leggi sulle importazioni e le esportazioni, dazi e altre restrizioni al commercio. Il punto non è soltanto quante norme ci debbano essere, ma anche di che tipo. Il criterio dovrebbe essere ciò che serve alla creatività del settore privato, che aumenta il benessere comune e innalza costantemente il tenore di vita, ed è giusto e opportuno, inoltre, prestare particolare attenzione all’elevazione sociale di chi si trova nella fascia più disagiata. Questo è l’obiettivo del capitalismo democratico. Pensiamo per un attimo a quanti indigenti americani possiedono un’automobile e un televisore, e al fatto che godono di svariate agevolazioni assistenziali che vanno oltre l’immaginazione dei loro antenati. Viviamo in un’epoca in cui la crescita economica non è solo possibile, ma anche una sorta di imperativo morale (quale tipo di governo affermerebbe mai che i suoi cittadini sono poveri e che intende mantenerli
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Da sinistra: Sir John Emerich Edward Dalberg-Acton, comunemente conosciuto come Lord Acton; la Statua della Libertà, il dittatore cubano Fidel Castro. In basso: manifestazione di proprietari di case davanti alla sede di Washington della Fannie Mae
tali?). L’approvazione morale va a quelle nazioni che riescono meglio a trarre gli individui fuori dalla povertà. In Asia la svolta verso il capitalismo ha sollevato da un’indigenza ancestrale più di mezzo miliardo di esseri umani in appena vent’anni.
Gli Stati Uniti continuano ad elevare socialmente i propri poveri, per non parlare di quei dieci, dodici milioni di immigrati che arrivano in questo Paese praticamente senza un soldo e spesso senza conoscerne la lingua e i costumi. Il tasso di povertà in America rimane più o meno costante proprio a causa di questo annuale flusso migratorio, ma moltissime persone, statisticamente conteggiate tra gli indigenti, da una parte arrivano in condizioni disagiate, ma dall’altra si elevano economicamente e culturalmente nel giro di cinque o dieci anni (una preoccupante eccezione è costituita dalle madri single e dai bambini nati fuori dal matrimonio: alcuni sfuggono la povertà ma altri sembrano rimanere intrappolati in questo circolo vizioso di generazione in generazione). In
ogni caso, se si sommano tutti i soldi destinati dal Congresso all’assistenza ai poveri, il totale ammonta a molto più di quanto si spenderebbe dando ad ogni famiglia qualcosa come 30mila dollari in contanti all’anno. È una prospettiva diversa dalla quale guardare il problema; se si considera che gran parte degli indigenti americani ha un’entrata buona - se non ancora sufficiente - e se si calcola il divario tra i benefici finanziari di cui già godono e la somma intera che sarebbe necessaria per portarli al di sopra della soglia di povertà, si arriverebbe ad un totale molto inferiore di quello attualmente destinato per coprire la spesa della loro assistenza.
Come ha scritto l’economista Thomas Sowell, tentare di sfamare le rondini dando da mangiare ai cavalli è un modo terribilmente inefficiente di aiutarle. Coloro che si occupano di progetti sociali spesso traggono maggiori vantaggi delle persone cui i programmi sono rivolti, quindi l’erogazione diretta dei sussidi potrebbe essere molto più efficace.
Le persone di sinistra spesso fantasticano su come aiutare i dipendenti punendo i datori di lavoro, e pensano a prelevare più denaro ai ricchi aumentando le imposte sul reddito (ma per motivi pratici il livello di ricchezza che viene calcolato investe inevitabilmente la classe media). Si pensi solo che, sotto la presidenza Reagan, l’aliquota fiscale massima è stata ridotta dal 70 al 35 percento, ma tale intervento non ha causato una riduzione del contributo da parte dei più agiati, anzi, al contrario. Con Reagan i benestanti hanno finito per pagare molto di più di quanto non avessero
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ranno. Il presidente Clinton riuscì ad evitare questa conseguenza per buona parte del suo mandato, in quanto l’aumento che impose fu modesto e beneficiò del periodo di pace dovuto al crollo dell’Unione Sovietica, ma le sfide internazionali attuali sono diverse, e le politiche fiscali annunciate finora dai portavoce di Obama sono più invasive. L’aumento delle tasse sulla previdenza sociale, che dovrà gravare sulla precedente fascia di reddito di 92mila dollari, per esempio, aggiungerà più o meno un’altra dozzina di punti percentuali alle aliquote di imposta della classe media che
Chi pensa in piccolo può ostacolarlo con migliaia di trappole, ma quando le persone serie vogliono creare ricchezza ed elevare lo stato dei poveri, sicuramente lasciano fare al capitalismo mai fatto, ed è aumentata significativamente la quota dei contribuenti. Naturalmente questa situazione era favorevole anche per loro. Più guadagnavano e più imposte pagavano, ma con le aliquote ridotte al 35 percento sulle nuove entrate si trattava comunque di un buon affare. D’altro canto, i ricchi non possono né spendere tutto ciò che la loro abilità gli fa guadagnare, né conservarlo per sempre, quindi investono gran parte del loro denaro in ulteriori progetti economici e donano in beneficenza ingenti somme. Nel 2007, secondo gli ultimi dati disponibili, il 10 percento della fascia di reddito più alta ha pagato circa il 55 percento di tutte le imposte sul reddito, il 50 percento della fascia alta ha pagato circa il 98 percento, e poco meno della metà di tutti i nuclei familiari non ha versato nulla all’Irs. Alcuni hanno pagato le imposte sulla previdenza, ma in realtà si tratta di risparmi per gli anni della pensione, e molti, se non la maggior parte, riceveranno nell’arco della vita molto di più di quanto abbiano versato al sistema. In altre parole, se riteniamo che la nuova amministrazione farà quanto promesso ed aumenterà le tasse ai ricchi, con ogni probabilità le imposte versate all’Irs dai più abbienti diminui-
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guadagna più di quella cifra. Possiamo ragionevolmente presumere che le attuali speranze di maggiori imposte ai più agiati, coltivate dalla sinistra al fine di trovare i miliardi di dollari necessari alle iniziative sociali in programma, saranno probabilmente deluse. Per acquisire tali entrate saranno costretti a tassare la fascia di reddito più bassa della classe media, e la conseguenza sarà la riduzione dei posti di lavoro, degli incentivi e degli investimenti. In altre parole, dobbiamo aspettarci un aggravamento del declino economico.
L’editor del Forbes Magazine ha recentemente scritto che gli ultimi venticinque anni sono stati i più prosperi della storia, in particolare sotto punti di vista solitamente poco considerati. Durante questo periodo, infatti, da 500mila a un miliardo di indigenti ha visto spezzarsi le catene della povertà. Sebbene gradualmente, sono ascesi alla classe media, e la nuova domanda di beni e servizi da loro stimolata è riscontrabile nelle attività economiche del mondo di oggi rispetto alla situazione di venticinque anni fa. Il nuovo obiettivo mondiale, ritengo, è sollevare dalla povertà un altro miliardo di persone nel prossimo quarto di secolo.
Forbes aggiunge che persino agli Stati Uniti, malgrado i molti errori commessi in campo economico dal governo (che la rivista ha contestato mese dopo mese), devono essere riconosciuti due risultati: il numero di americani occupati è aumentato di quasi dieci milioni dal 2000, e l’economia, a dispetto del clima pesante sofferto dopo l’11 settembre, ha aggiunto alla sua produzione interna, dal 2002, una somma maggiore al prodotto interno lordo della Cina. Vorrei concludere chiedendo: se Mr. Forbes avesse ragione anche solo a grandi linee, che cosa significherebbe? Che l’attuale depressione non sarebbe stata così profonda o permanente come i profeti di sventura avevano preannunciato. La strada, secondo Forbes, sarà probabilmente piuttosto accidentata per alcuni mesi, ma questo dovrebbe comunque essere un momento favorevole per investire a prezzi di base nei prodotti e nelle tecnologie del futuro.
Riassumendo, la ricerca dell’emancipazione dalla povertà, la libertà dalla tortura e dalla tirannide e la libertà di fare ciò che è giusto (che Lord Acton ha definito autentica libertà morale), vanno sicuramente intensificate, perché la capacità di correggersi - tramite la rapida punizione del cattivo uso che se ne fa - non è che l’ultima delle qualità del sistema che poggia su questi principi. A una cena ufficiale a Washington, alcuni anni fa, ero seduto vicino al ministro dell’economia cinese, una bella donna con una mente brillante. Timidamente mi sono rivolto a lei chiedendole cosa pensavano i cinesi di Marx in quei giorni, e lei, scostando improvvisamente la sedia, mi ha risposto: «Marx è molto vecchio e decisamente morto. Non pensiamo a lui». Con lei sono felice di constatare che, come politica economica, il socialismo sia davvero morto. Chi pensa in piccolo può ostacolare il capitalismo con migliaia di trappole, ma quando le persone serie vogliono creare nuova ricchezza ed elevare lo stato dei poveri, sicuramente lasciano fare al capitalismo quello che solo lui può fare.
mondo
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Scenari. Un rapporto di 140 pagine prevede la perdita di potere economico, politico, militare e la crescita della Cina
2025, odissea negli Usa L’intelligence avverte Obama: in crisi la posizione dominante dell’America di Enrico Singer segue dalla prima «Il sistema internazionale così come si è costruito dopo la seconda guerra mondiale, sarà quasi irriconoscibile a causa della crescita delle potenze emergenti, della globalizzazione dell’economia e del trasferimento della ricchezza da Occidente a Oriente». Questo è il punto di partenza del rapporto che esamina, poi, capitolo per capitolo i cambiamenti che si stanno preparando e che, in parte, sono già in atto come la crisi finanziaria partita da Wall Street dimostra.
La novità maggiore sarà la crisi della posizione dominante degli Stati Uniti per ragioni economiche - «è già in atto un ribilanciamento dell’economia mondiale e il dollaro come valuta globale si indebolirà fino a diventare una moneta tra pari» - e per ragioni strategiche. Il rapporto afferma che gli Usa «conserveranno una considerevole supremazia militare, ma i progressi scientifici e tecnologici, l’uso di tattiche di guerra non convenzionali da parte di altri Paesi o gruppi, la proliferazione di armi a lunga gittata e l’aumento degli attacchi ai sistemi informatici, limiterà notevolmente la loro capacità di azione». Secondo il Nic, il mondo multipolare del 2025 «non sarà più sicuro e stabile di quello bipolare perché offrirà maggiori potenzialità di conflitti anche a causa della scarsità di cibo e acqua». Se oggi sono 21 i Paesi in cui c’è una cronica mancanza d’acqua che affligge 600 milioni di persone, nel 2025 questi Paesi diventeranno 36 per un totale di un miliardo e 400 milioni di persone minacciate dalla sete con la conseguenza di un più alto rischio di conflitti regionali, soprattutto in Africa. Tra i grandi pericoli del prossimo futuro c’è quello nucleare. «Il rischio dell’uso di armi nucleari nei prossimi vent’anni, pur rimanendo molto basso, sarà più grande di quanto non lo sia oggi», dice il rapporto del Nic che individua nello storico, e mai sopito, conflitto tra Pakistan e India il punto più critico assieme a Iran e Corea del Nord. L’altro grande pericolo è
il terrorismo che, tuttavia, nel 2025 non sarà più quello di oggi. Al Qaeda potrebbe entrare in crisi «prima di quanto non si pensi per la crescente impopolarità nel mondo musulmano, per l’irrealizzabilità dei suoi obiettivi e per l’incapacità di diventare un movimento di massa». La fisionomia dei nuovi gruppi terroristici sarà «una combinazione tra gli eredi delle vecchie organizzazioni e le spinte radicali generate da altre situazioni di conflitto».
Il declino dell’America, nell’analisi del rapporto del National Intelligence Council, dovrebbe essere il combinato disposto di tutti questi elementi
conda economia del mondo un’influenza militare aumentata». Anche il potenziale della Russia è previsto in crescita, sia pure «con maggiori incertezze». In espansione Brasile, India, Turchia ed anche Iran.
Non tanto per le risorse petrolifere, perché il rapporto del Nic prevede che nel 2025 «il passaggio da un sistema energetico basato sul petrolio a uno fondato su fonti rinnovabili sarà in corso o sarà già completato». Il rapporto lancia anche un allarme sul fronte della salute ricordando il pericolo di una pandemia da influenza aviaria «per la quale non ci sono contromisure adeguate e
Il mondo multipolare non sarà più sicuro e stabile di quello bipolare perché offrirà maggiori potenzialità di conflitti. Ci saranno meno acqua e cibo e più armamenti e pericoli di minacce nucleari che non riuscirà più a governare da sola. Ma alla base della perdita della posizione dominante c’è, comunque, l’economia. Anche in questo caso per l’effetto incrociato delle difficoltà interne e per la crescita dei competitors tra i quali - va sottolineato - il Nic non prende nemmeno in considerazione l’Europa. Almeno l’Europa intesa come quella a Ventisette. Nel 2025 la Cina «avrà la se-
Hillary Clinton, rivale del presidente eletto e possibile Segretario di Stato. Nella pagina a fianco, Janet Napolitano
Ancora mistero sulla presunta offerta di Barack all’ex rivale
Hillary nuovo Segretario di Stato? WASHINGTON. I rumors sono insistenti, ma in casi come questi non si può mai dire come finirà. Eppure, pare ormai certo che la nomina a segretario di Stato Usa per Hillary Clinton arriverà giovedì prossimo, subito dopo il Giorno del Ringraziamento. L’ipotesi di un incarico a Clinton si era fatta sempre piú forte dopo l’incontro tra i due a Chicago la settimana scorsa. Lo sostengono, citando come fonte le indiscrezioni che continuano a diffondersi dallo staff di Obama, quasi tutti i giornali americani, che aggiungono: la moglie dell’ex presidente Usa e grande rivale di Obama alle primarie del partito Democratico avrebbe anche già accettato l’incarico. La nomina della senatrice americana, ma siamo sempre sul campo delle ipotesi, si sarebbe sbloccata dopo la decisione del marito Bill di accettare il controllo dello staff presidenziale su tutte le attività legate alle fondazioni guidate dai Clinton. Un modo come un altro per evitare problemi legati al
conflitto di interessi. Gli introiti della Clinton Foundation, presente in 27 Paesi del mondo, sono stati nel mirino degli osservatori negli ultimi giorni alla luce dell’ipotesi che gli uffici dell’ex presidente potesssero essere il principale ostacolo nella corsa di Hillary verso il segretariato di Stato. L’annuncio della presunta nomina ha sollevato nelle ultime ore gli entusiasmi dei sostenitori democratici che da mesi sperano nel cosiddetto “dream team”, la squadra dei sogni composta dai due democratici che si sono sfidati per mesi per la nomination del partito. La senatrice di New York era anche tra i possibili candidati per affiancare Obama alla vicepresidenza degli Stati Uniti.
Ma, allo stesso tempo, ha scatenato i malumori della corrente più integralista che ha sostenuto il presidente eletto nel corso di una lunga e difficile campagna elettorale. Un malumore neanche troppo sotterraneo, se ci si basa semplicemente sui messaggi lasciati negli ultimi giorni, costellati da alcune indiscrezioni sulla formazione della squadra di governo. Questa sarebbe troppo “clintoniana”, e i supporters dell’ex senatore di Chicago non l’hanno presa troppo bene. C’è chi scrive, infatti, che «il cambiamento promesso non può arrivare se si punta sui soliti, vecchi nomi legati all’establishment di Washington».
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Janet Napolitano, governatore dell’Arizona, alla Homeland Security
Una “sceriffa” italiana per il Team Obama di Guglielmo Malagodi no sceriffo italo-americano (e donna) per Barack Obama. Il president-elect statunitense affiderà a Janet Napolitano - 51 anni, governatrice dell’Arizona - il dipartimento della Homeland Security. È questa l’ultima indiscrezione che arriva dal toto-ministri a stelle e strisce che si è scatenato sui giornali americani negli ultimi giorni. E che sta sollevando più di una perplessità tra gli analisti, che ricordano come la campagna elettorale di Obama (a differenza di quella di John McCain e Sarah Palin) fosse praticamente a prova di “leak” (di indiscrezioni, appunto), mentre dopo la vittoria del 4 novembre queste “soffiate” alla stampa da parte dei democratici si sono moltiplicate a dismisura. «Barack Obama - ha scritto ieri Chris Cilizza sul Washington Post - era famoso per essere capace di imporre una disciplina ferrea al suo staff durante la campagna elettorale, ma non c’è voluto molto per fargli scoprire che organizzare una transizione presidenziale è qualcosa di profondamente diverso». Aspettando la decisione finale di Hillary, intanto, Obama si affida ad un governatore molto popolare per proteggere gli Stati Uniti dal rischio di nuovi attentati terroristici. La Napolitano viene dall’Arizona, teatro della lotta contro l’immigrazione illegale in arrivo dal Messico ed è uno dei “volti nuovi”dei democratici negli Stati dell’Ovest, che sono stati decisivi per la larga vittoria del partito alle presidenziali (con New Mexico, Nevada e Colorado strappati ai repubblicani). Clintoniana “pentita”, la Napolitano è avvocato ed ex procuratore. Una sorta di Rudy Giuliani della sinistra, insomma, tanto ferrata sul terreno della sicurezza quanto orgogliosa delle proprie radici italiane. Nata a New York e cresciuta in Pennsylvania, metodista, Janet Napolitano ha sempre tenuto a conservare, e sottolineare, questa eredità. Nel 2007, quando era la presidente del consiglio dei governatori dei 50 Stati, scelse proprio l’ambasciata italiana a Washington per far svolgere la conferenza annuale. E pochi mesi dopo l’ambasciatore Gianni Castellaneta le organizzò un viaggio in Italia per festeggiare i suoi 50 anni con un incontro al Quirinale per incontrare il nostro (omonimo) Capo dello Stato. Indicata dai sondaggi come uno fra i governatori più popolari (insieme a Sarah Palin), la Napolitano fu nominata procuratore in Arizona da Bill Clinton nel 1993. Ed è passata indenne attraverso decisioni controverse, come quella di difendere Anita Hill, che nel 1991 accusò
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Clarence Thomas di violenza sessuale tentando invano di impedirne la nomina alla Corte Suprema. Senza contare che, tre anni più tardi, decise di non perseguire penalmente Cindy McCain (moglie di John), accusata di aver contraffatto una ricetta per l’acquisto di psicofarmaci. Tocchera ora, molto probabilmente, a lei il compito di guidare il ministero creato nel 2001 per difendere l’America da nuovi attacchi terroristici. Le altre novità del team Obama riguardano l’ex senatore Tom Daschle (già leader della minoranza democratica al Senato e incredibilmente sconfitto nella sua corsa alla rielezione del 2004), che dovrebbe dirigere il ministero della Sanità da cui si attende varare entro un anno la riforma pro-
51 anni, clintoniana “pentita”, è uno dei volti nuovi dei democratici negli Stati dell’Ovest. Con un curriculum simile a quello di Rudy Giuliani, arriva dall’epicentro della lotta all’immigrazione
Anche Russia, India, Brasile, Turchia e Iran tra i Paesi che conteranno di più. Ma tra i futuri competitors degli Stati Uniti non è nemmeno presa in considerazione l’Europa. Un allarme pandemia che potrebbe colpire un terzo della popolazione mondiale». Si entra così nel capitolo finale: quello che avverte che gli scenari del 2025 potrebbero anche essere meno negativi «se saranno adottate politiche di prevenzione dei rischi e di correzione degli errori commessi».
Il rapporto - come, per la verità, aveva fatto anche quello di quattro anni fa - precisa
che «i risultati dipenderanno dalle azioni della leadership». È quasi un invito che il presidente del National Intelligence Council, Thomas Fingar, rivolge a Barack Obama e al suo staff. Come dire che ”a politiche correnti” il destino degli Usa e del mondo nel 2025 sarà quello dipinto nelle 140 pagine del rapporto. Ma che il margine per intervenire c’è.
messa agli elettori. Magari con esiti migliori di quelli, disastrosi, provocati da Hillary Rodham Clinton nei primi due anni di presidenza del marito Bill (un flop che fu la causa principale della clamorosa vittoria repubblicana alle elezioni di mid-term del 1994). Poi ci sarà David Axelrod, stratega della campagna elettorale, nominato “senior advisor” alla Casa Bianca (la stessa carica che aveva Karl Rove con Bush). Non entrerà invece nella compagine ministeriale Penny Pritzker, l´imprenditrice di Chicago (viene dalla famiglia che possiede la catena Marriott) che presiedeva la raccolta dei finanziamenti di Obama e sembrava in pole position per il ministero del Commercio. Mentre un altro nome sicura sembra quello dell’afromericano Eric Holder al ministero della Giustizia, già stato il numero due del ministero ai tempi di Bill Clinton.
mondo
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oglio il divorzio da mio marito. Mi picchia e ha minacciato di uccidermi», le parole sono scandite in un inglese approssimativo e attraversano un velo nero che copre una donna islamica. Come fosse il sipario tra due mondi, quel velo scopre una “nuova” realtà giuridica in terra anglosassone. Le cause di divorzio sono in realtà degli arbitrati e già in molti Paesi, fra questi il Canada fu il primo, l’affiancamento di un alim (sapiente) o di uno sheik (anziano) a un giudice di pace o altra figura di magistrato è abbastanza frequente. Meno frequente che ciò avvenga in Inghilterra, patria delle leggi e della Costituzione non scritte, della “consuetudine” e della Common Law.
«V
Fondamentalismo. La Shari’a entra nelle corti di giustizia di Sua maestà
In Inghilterra debutta il divorzio islamico
Ciò che è successo pochi giorni fa - e ha causato qualche polemica - è il resto della scenetta «da un divorzio islamico». Dopo le dichiarazioni della donna lo “studioso islamico”era dell’idea che non ci fossero i presupposti per rompere il sacro vincolo matrimoniale. In breve la parola di una donna non basta. Allora è intervenuto un vec-
Si tratta di arbitrati le cui sentenze possono diventare una ”consuetudine” giuridica, quindi trasformarsi in legge più facilmente che in altri Paesi. Introducendo il Corano nella cultura legale inglese
di Pierre Chiartano chio signore in barba bianca, il padre della poveretta, che ha testimoniato come suo genero fosse una testa calda che oltre a menare la figlia avesse gettato il disonore su tutta la famiglia. Detto, fatto. “Sentenza” cambiata, in men che non si dica: divorzio accordato. Questa è la giustizia islamica in salsa britannica.
L’Inghilterra è un caso particolare rispetto agli altri Paesi, primo per le ragioni che abbiamo già esposto, poi perché esistono anche tribunali ecclesiastici della Chiesa d’Inghilterra, come i Beth Din ebraici che sentenziano da più di un secolo. Già nel febbraio scorso aveva fatto molto scalpore una dichiarazione
dell’arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, che suggeriva che alcune aspetti e regole della shariah potessero entrare nella giurisprudenza inglese. In realtà non aveva fatto che ribadire un concetto già garantito dalle leggi britanniche e frutto del suo retaggio imperiale.
Il meltin pot razziale dei dominion spingeva in tal senso. In quel caso l’opinione pubblica sembrò perdere la tradizionale flemma per scatenare le polemiche. Una delle tante ragioni per cui la destra xenofoba del British national party ha cominciato a mietere consensi. Di fatto nulla è cambiato e siamo arrivati alle scene da un divorzio alla musulmana. I quasi due milioni di islamici ormai contano, anche per Londra e come affermato da Jack Straw, ministro della Giustizia, «non vi è nulla nella legge inglese che impedisca agli onesti cittadini di rispettare la shariah se lo
desiderano, ammesso che non ci sia un conflitto con le leggi dello Stato». Insomma l’uguaglianza sarebbe garantita per chiunque davanti alla legge laica. Ma sembra che le cose non stiano proprio così.
Lo afferma, ad esempio, Parvin Ali, direttore e fondatore del Fatima women’s network, un’associazione di mutuo soccorso per donne musulmane con base a Leicester. «Molte di loro sono ostaggio della fortuna. Fuori dalle aule giudiziari non esiste alcun controllo, nessuna protezione, nessuna garanzia che prevalga la giustizia». Queste corti, dove al giudice togato viene aggiunta la figura dell’esperto islamico, in realtà esistono da vent’anni, ma solo recentemente hanno cominciato a proliferare raggiungendo la notorietà nella comunità musulmana. Si tratta di arbitrati, le cui sentenze possono diventare una ”consuetudine”giuridica, quindi trasformarsi in legge, più facilmente che in altri Paesi. Proprio per l’importanza che la prassi riveste nella tradizione inglese. I casi più frequenti riguardano dispute sulla proprietà, sul lavoro, l’eredità e le ingiurie fisiche. Questi tribunali stanno alla larga da vicende penali che prevedano la lapidazione e altre punizioni corporali. Molte delle sentenze non hanno validità per il codice civile, ma possiedono l’attrattiva di essere emesse sotto l’egida di Dio.
mondo
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Un aereo di Aerolineas Argentinas, la compagnia di trasporto aereo del colosso sudamericano che in questi giorni si trova al centro di un dibattito infuocato per la sua proprietà. Il governo preme infatti perché torni in mani statali, vent’anni dopo la privatizzazione e sette anni dopo il crack nazionale. Sotto, Jorge Molina presidente del gruppo Marsans
Crisi. Alitalia ai privati? La compagnia di Buenos Aires allo Stato
E l’Argentina scopre la sua piccola Cai È
modo quasi totale del pagamento per il carburante e degli arretrati per i novemila dipendenti. Due giorni fa a rincarare la dose ci ha pensato la Commissione sulle privatizzazioni, un organismo parlamentare creato con lo scopo di ricostruire la massiccia politica di dismissioni statali effettuata nei primi anni Novanta. La Commissione ha approvato una risoluzione che va perfino oltre il disegno di legge votato in precedenza dal Senato chiedendo toutcourt al governo di espropriare la cordata Marsans della proprietà di Aerolineas Argentinas.
Nel 1989, all’inizio della lunga era del presidente Carlos Menem, alfiere di una massiccia politica di privatizzazione del patrimonio statale poi rivelatasi disastrosa, Aerolineas Argentinas venne ceduta alla linea aerea spagnola Iberia. Nel 2001, dopo il fallimento dello Stato argentino, il pacchetto di maggioranza della compa-
Nel 1989, Aerolineas Argentinas venne ceduta a Iberia. Nel 2001, dopo il fallimento dello Stato, il pacchetto di maggioranza del gruppo passò nelle mani della cordata guidata da Marsans Argentinas si prepara a compiere il percorso inverso. O così almeno si augurano il governo guidato da Cristina Kirchner e la maggioranza peronista del Parlamento argentino. Infatti in settembre il Senato di Buenos Aires ha approvato un disegno di legge che va in tal senso ponendo le basi legali per consentire allo Stato di avviare una trattativa con un consorzio privato spagnolo, guidato dal megagruppo turistico Marsans e da alcune compagnie aeree low-cost, che dal 2001 possiede il pacchetto di maggioranza di Aereolinas Argentinas. Già da luglio il rappresentante del governo all’interno della compagnia aerea ha acquisito maggiori poteri arrivando, secondo una versione oggi fortemente contestata dal gruppo Marsans, a farsi carico in
gnia, ormai a pezzi e con decine di rotte internazionali soppresse per mancanza di carburante e di manutenzione, passò nelle mani della cordata capeggiata da Marsans. Buenos Aires mantenne un piccolo pacchetto azionario. Ma anche dopo quest’ultima cessione le cose non sono andate troppo bene. Sul piano delle attività aeree, infatti, Aerolineas Argentinas è stata protagonista di alcuni disastrosi episodi come la cancellazione per tre giorni consecutivi di un volo da Buenos Aires a Bogotà che l’anno scorso causò una violenta rivolta da parte dei passeggeri. Sul piano della gestione, nonostante l’iniezione di capitali freschi (circa 50 milioni di dollari) da parte di Marsans, hanno continuato a pesare le enormi quantità di denaro da restituire ai
Michael Jackson abbraccia l’islam Michael Jackson sarebbe diventato musulmano e avrebbe scelto di chiamarsi Mikaeel. La notizia e i dettagli della nuova conversione sono stati diffusi dal quotidiano londinese The Sun, che fa notare come l’episodio sia avvenuto a pochi giorni dal processo al tribunale di Londra in cui è accusato di aver sottratto 7 milioni di dollari al figlio dello sceicco del Bahrein, Abdullah bin Hamad Al Khalifa. La cerimonia si sarebbe svolta nella casa di Los Angeles del suo amico tastierista Steve Porcaro, alla presenza di un imam, e in abiti tradizionali arabi.
Iraq, al Sadr in piazza contro Usa
di Raffaele Cazzola Hofmann proprio vero: tutto il mondo è paese. Perfino in Sud America, in un contesto economico e politico del tutto diverso, esiste un “caso Alitalia”. La questione – che fa riflettere sul modo in cui il settore del trasporto aereo, nelle parti più disparate del mondo, stia attraversando una crisi globale e al tempo stesso sia al centro di intrecci sempre più complessi tra politica ed economia – è del tutto diversa. In Argentina il mondo della politica e il mondo dell’economia sono in subbuglio per le sempre più pressanti richieste da parte del governo e del Parlamento di Buenos Aires perché la compagnia di bandiera, la gloriosa Aerolineas Argentinas, torni in mani statali vent’anni dopo la prima privatizzazione e dopo che sono passati sette anni dal crac finanziario della nazione sudamericana che ne ridimensionò pesantemente le attività. Mentre la nostra compagnia di bandiera sta per uscire del tutto dalle mani statali, insomma, Aerolineas
in breve
creditori. La vicenda rischia di avere anche pesanti risvolti giudiziari. Infatti Marsans chiede allo Stato argentino più di 350 milioni di dollari per la cessione di tutta la compagnia. Invece il governo dà una valutazione molto inferiore sostenendo che le casse di Aerolineas Argentinas sarebbero oberate da un mostruoso passivo pari a circa 600 milioni di dollari. Per questo la cordata spagnola, che si appella a un preaccordo di luglio che affidava la valutazione della compagnia aerea a un terzo soggetto ma che il governo argentino disconosce accusando Marsans di inadempienze, minaccia di portare il caso davanti al tribunale arbitrale della Banca Mondiale. Il che farebbe prefigurare una maxirichiesta di risarcimento in caso di esproprio. «C’è una sostanziale differenza – ammette Marsans in un comunicato – tra la valutazione del tribunale e quella di Credit Suisse che ha reso impossibile trovare un accordo sul prezzo di vendita delle aerolinee». Ora che l’economia del Paese sudamericano sta rialzando la testa grazie a ritmi di crescita economica vertiginosa (e secondo alcuni a forte rischio di un nuovo crac), il governo sta provando a recuperare almeno la parte più consistente del patrimonio pubblico privatizzato da Menem e dall’ex ministro dell’Economia, Domingo Cavallo. E ad aiutarlo potrebbero essere non solo il consenso popolare (circa il 70 percento degli argentini secondo numerosi sondaggi) che circonda i progetti in tal senso della Kirchner e l’esplicito appoggio da parte del maggiore sindacato argentino, la Confederazione generale del lavoro. Anche le indagini che la magistratura sta compiendo nei confronti di Menem e Cavallo - per i quali sembra possibile, secondo il maggiore giornale argentino, il Clarin, un rinvio a giudizio con l’accusa di peculato proprio in relazione alla cessione di Aerolinas Argentinas – potrebbero aiutare le autorità argentine a riprendere il pieno controllo della compagnia di bandiera.
Migliaia di sciiti seguaci dell’imam radicale antiamericano Moqtad al-Sadr si sono riuniti ieri a Baghdad per protestare contro il patto di sicurezza Usa-Iraq approvato dal consiglio dei ministri iracheno domenica scorsa, che permetterebbe alle truppe Usa di rimanere in Iraq fino al 2011. La folla ha fatto irruzione in piazza Firdus, nel centro di Baghdad, dove l’imponente statua di Saddam Hussein venne abbattuta dalle truppe americane una settimana dopo aver spodestato il dittatore, nel marzo del 2003. Il Parlamento la prossima settimana dovrebbe ratificare l’accordo con Washington in base al quale le truppe straniere inizierebbero a lasciare l’Iraq entro la fine di giungo 2009 per poi ritirarsi del tutto entro la fine del 2011.
Francia, socialisti di nuovo al voto È stato un ballottaggio tra la Royal, 55 anni, e Martine Aubry, 58, a indicare il nome del nuovo segretario del Partito Socialista francese. I 230.000 iscritti hanno votato per la seconda volta ieri dalle 17 alle 22. Dopo il primo turno, in cui nessuno dei tre candidati - l’altro era Benoit Hamon, 41 anni - ha ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi, la sfida si preannuncia molto serrata. In ogni caso sarà una donna a guidare per la prima volta il partito socialista francese.
cultura
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L’intervista. Parla il regista e sceneggiatore statunitense di Apocalypse Now e Il Padrino
«Così ho trovato la felicità» I sogni, le delusioni, le occasioni mancate e quelle realizzate di Francis Ford Coppola di Pierre Chiartano lle volte il male ha il sopravvento rispetto «ai migliori angeli che albergano in noi», come li chiamava Abramo Lincoln. La lotta tra bene e male è interna all’uomo e chi scava nell’animo, scava nella storia, negli eventi che hanno modellato il mondo. Cinque amici sul Tamigi discutevano di un’avventura sul fiume Congo e non sapevano cosa avrebbero scoperto. Succedeva nell’incipit di un libro di un grande narratore di origine polacca: il libro è Cuore di Tenebra, l’autore Joseph Conrad. Il viaggio può essere dunque la cifra per capire un personaggio la cui vita è stata più grande di Hollywood. «Sono appena arrivato da Buenos Aires, dove risiedo da un anno e sto girando un film», comincia così l’incontro con Francis Ford Coppola, figlio di Carmine musicista jazz di origine lucana, che suonava nell’orchestra sinfonica di Detroit, e di Italia, la madre. Suo fratello August, era professore di letteratura e padre di Nicolas Cage e, come vedremo, avrà una certa influenza nelle scelte professionali di Francis.
A
L’occasione è stata il premio Cattedrali della Letteratura europea, consegnato a Roma nella sede del Centro studi americani a fine ottobre e promosso dalla associazione culturale Eureka con il patrocinio dell’Ambasciata Usa in Italia. La rilettura in chiave cinematografica di un romanzo di Conrad in linea con la sensibilità intellettuale del regista del Padrino. «Il premio che ritiro è per la rilettura di Heart of Darkness fatta con Apocaly-
pse Now. Devo affermare che quella sceneggiatura è originale. Commetterei un peccato, se non sottolineassi che è stata scritta da un famosissimo sceneggiatore americano, John Milius». Per restare sul terreno delle citazioni segnaliamo che anche la canzone delgli Iron Maiden The Edge of Darkness è ispirata al film del maestro Coppola. «È vero ho lavorato sulla sceneggiatura, mentre giravo il film e, probabilmente, sono l’autore dell’avvicinamento a Conrad. Invece di tenere in mano le pagine del copione, avevo in tasca un’edizione economica del libro di Conrad.
Un consiglio ai registi emergenti? «Quello di sposarsi: quando si ha una famiglia, si diventa seri e si lavora meglio» Pieno di sottolineature e riferimenti che m’interessavano. Ma le scene più memorabili, più belle del film sono un parto della creatività di Milius. Il volo d’avvicinamento della squadriglia d’elicotteri, con il sottofondo della cavalcata delle Walkyrie di Wagner. Era contenuto nella sua sceneggiatura. Non potrei ricevere un premio senza esprimergli il mio riconoscimento e condividendolo con lui». E risponde anche a liberal. Dovendo rigirare oggi una traduzione cinematografica di Cuore di Tenebra, che genere di film sarebbe, dove lo ambienterebbe e che storia racconterebbe? «Molte
volte mi è stato chiesto cosa farei oggi. Quando ti infilano in una categoria come regista, pensano che tu possa girare solo quel genere di storie: parlare di gangster o di guerra. Se dovessi fare un lavoro sull’Iraq o sull’Afghanistan, penso che racconterei una storia priva di violenza. Su di una famiglia che cerca di sopravvivere in mezzo a tutte quelle avversità. Una famiglia a cui, alla fine, non succeda niente di male. In cui nascano dei figli, si celebrino dei matrimoni, delle feste e si seguano i precetti della propria religione. L’arte deve illuminare le persone, le vite e consentire di capire il mondo. Specialmente oggi dove tutto è così complesso».
Poi inevitabilmente la discussione passa sul possibile change in America (l’intervista è precedente alle elezioni Usa, ndr). «Uno dei nostri candidati alla presidenza è figlio di un kenyota. È un altro esempio che dimostra che gli Usa sanno rigenerarsi, purificarsi attraverso l’accoglienza di nuove vite, ricche di valori. Il fatto che il nipote di un contadino kenyota, grazie alla sua bravura e a un programma di borse di studio, abbia potuto frequentare la facoltà di Legge di Harvard e oggi sia il candidato favorito alla Casa Bianca, dimostra la grandezza di questo Paese. Quindi penso proprio di sì, che ci sia una speranza per gli Usa». Insomma continua il sogno americano attraverso le storie degli uomini che vi arrivano col loro bagaglio di speranze. Kurtz e Marlowe, il male e il bene usciti dalle pagine di Conrad, sono invece i nostri compagni di strada e spesso sono un riflesso confuso nello specchio della vita. «Ho sempre avuto una personalità professionale divisa a metà. Da una parte c’era il desiderio giovanile di
cultura
voler fare il regista, pensando a Hollywood nella speranza di diventare famoso, magari anche ricco. Perchè no? Però, influenzato da mio fratello, ero cosciente dell’importanza della letteratura. Avrei voluto diventare un autore teatrale o di romanzi. Un tempo c’erano i capolavori di Hemingway o di Scott Fitzgerald. Oggi quel mondo è stato sostituito dai best seller. Libri che incassano quattrini, ma non entusiasmano».
Gli indigeni, sia quelli della giungla vietnamita che quelli del Congo, avevano in Kurtz la loro divinità, il punto di riferimento, Coppola ha i suoi. «Da giovane vedevo i film che venivano dall’Europa e dal Giappone. Negli anni Cinquanta e Sessanta l’Italia ha avuto dei grandissimi registi. C’era la grande cinematografia francese e registi come Akira Kurosawa. Mi ricordo, da studente, quando scrivemmo al comitato per la selezione del Nobel per candidarlo a quello per la letteratura. Ci risposero che nessuno poteva no-
Sopra e nella pagina a fianco (in alto) Francis Ford Coppola, sceneggiatore e regista, tra gli altri film, di “Apocalyps now” (in alto, alcune scene della pellicola) e del “Padrino”
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minare nessuno». Così le luci e le ombre dell’Occidente, che angosciano Marlowe, animano anche la vita del giovane Francis. «Il cinema è letteratura, come lo è la drammaturgia e il teatro. Ho unito le mie due grandi ispirazioni, fatte di cinema e letteratura alla stregua, se mi posso permettere, di Fellini e Bergman. Da studente volevo seguire le orme dei grandi autori come Eugene O’Neil. Però un giorno andai a vedere un film di Eisenstein I Dieci Giorni che Sconvolsero il Mondo. Era muto, rimasi scioccato, lì decisi per la regia. Potevo scrivere letteratura con il cinema. Il caso ha voluto che all’età di 29 anni realizzassi il Padrino, così i miei progetti sono volati fuori dalla finestra. Sono diventato il ricco e famoso regista di Hollywood, dimenticandomi del resto. Ho cominciato il lavoro di sceneggiatore e regista a 18 anni poi a 29 ho scritto quella de Il Padrino. Da allora ad oggi, che ho 69 anni, sono riuscito a scrivere solo tre sceneggiature originali: Rain People, Non Torno a Casa Stasera e La Conversazione. Quando raggiungi il successo, lo devi riproporre, ricreare. In realtà del Padrino ne avrei voluto fare uno solo». Sulla Conversazione ha poi smentito le voci di un collegamento col Watergate: «Non
sapevo dello scandalo quando la scrissi. Sono un topo da biblioteca che ama leggere e studiare, ma non segue troppo la cronaca. Solo verso la fine me lo hanno riferito». Tra i tanti film che ha amato e di cui si rifiuta di fare un elenco o una classifica, solo per due fa un’eccezione e ci svela i titoli: Il Ladro di Baghdad e Biancaneve e i sette nani. Pec-
cati di gioventù. Sul versante della lingua Coppola sembrerebbe iscritto al club dei “puristi” o Accademia della Crusca che dir si voglia: «Sono per la conservazione di una lingua pura. Odio quanto sento dire “veggies” al posto di “vegetables”. Detesto il “ths” degli sms al posto di “thanks”. So che la lingua cambia ed evolve. Comunque sono un purista».
Ma il maestro Coppola è ancora in piena crescita creativa oppure ha tirato i remi in barca? «Oggi mi trovo a Buenos Aires con la mia quarta sceneggiatura originale. Così, a 69 anni, faccio ciò che avrei voluto fare a 18. In più sono stato abbastanza intelligente da prendere i soldi guadagnati a Hollywood e investirli nella produzione di vini. Mi posso considerare un gentiluomo in pensione. Invece che giocare a golf, scrivo sceneggiature e produco i miei piccoli film. Oggi che vengono prodotti solo quelli che rendono e la concorrenza con i media è forte. Sono fortunato, perché posso fare ciò che voglio. Durante il montaggio del mio ultimo film, un collega di Milius mi ha detto: “sai una cosa Francis, sono 40 anni che facciamo questo mestiere”. “A me sembrano due”, gli ho risposto. Questa è la magia del cinema, perchè non smetti mai di imparare. È ancora un mezzo nuovo, abbiamo appena cominciato ad esplorarlo è una nuova forma d’arte. È tra il 1919 e il Ventisette che sono stati realizzati i film più belli. I cineasti erano dei pionieri e nessuno diceva loro cosa non dovevano o non potevano fare. Dunque osavano e sperimentavano». Poi come se volesse smentire ciò che fece Marlowe - che non consegnò le lettere di Kurtz con le sue confessioni da un ultimo consiglio ai giovani registi: «È quello di sposarsi. Quando ti sei sposato hai la tua famigliola, magari arrivano anche i figli. A quel punto ti metti seriamente sotto. Rimani sveglio di notte a scrivere e lavorare, anziché andare in giro a bighellonare. A 21 non avevo il becco di un quattrino, non avevo attrezzatura. Mi sono sposato, mi sono messo a lavorare sodo e dopo tre settimane ero già famoso».
cultura
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Libri. Tra gli scaffali il nuovo saggio di Luigi De Marchi “Svolta a destra?” are il bagno nella vasca / è destra, / far la doccia invece / è sinistra. / Una bella minestrina è di destra, / il minestrone è sempre di sinistra». Era un profeta, Giorgio Gaber. Aveva capito, una quindicina di anni fa, che per distinguere la destra dalla sinistra il criterio migliore era affidarsi ai piccoli segni, alle abitudini quotidiane. Si sarebbe divertito Gaber a leggere il libro di Luigi De Marchi Svolta a destra?, sottotitolo: “Ovvero, non è conservatore chi combatte parassiti, fannulloni e sfruttatori” (Armando Curcio editore, 190 pagine, 12,90 euro). La prefazione è firmata da Renato Brunetta, l’uomo che ha dichiarato guerra ai fannulloni e ai parassiti, nel suo ruolo attuale di ministro dell’Innovazione.
«F
De Marchi ha fondato una disciplina, la Psicologia politica, con la quale riesce a spiegare quel che accade meglio di quanto sia possibile con gli strumenti tradizionali di analisi e con i vecchi parametri. «La vera lotta di classe del nostro tempo», sostiene, «non è quella tra imprenditori e dipendenti, di cui continuano a vagheggiare i nipotini di Marx e il sindacato tra-
Sorpresa: fare la doccia oggi non è più di sinistra di Massimo Tosti dizionale, ma quella tra il Popolo dei Produttori, cioè i lavoratori dipendenti e indipendenti del privato, da una parte, e la classe burocratica, parassitaria e sfruttatrice con i suoi padrini politici (i partiti statalisti), dal-
che i fannulloni, anziché bighellonare intorno ai ministeri, facciano girare i pollici nei loro uffici. L’ora decisiva dell’azione di Brunetta scoccherà quando,(...) sarà evidente per tutti l’esigenza di procedere ai massicci licenziamenti necessari per ridurre drasticamente le tasse, per accrescere in misura sostanziosa sia il reddito del Popolo dei Pro-
sfruttata dei produttori del privato». De Marchi è un ultrà del liberismo: lo esalta come i tifosi delle curve adorano la loro squadra. Brunetta condivide fino a un certo punto le tesi di De Marchi, e De Marchi non risparmia critiche al governo Berlusconi. De Marchi fa il professore e studia i problemi; Brunetta fa il ministro e si preoccupa di risol-
«Non è conservatore chi combatte parassiti, fannulloni e sfruttatori» è il sottotitolo della copertina. La prefazione, curiosità, è curata da Renato Brunetta l’altra». Con queste premesse, è naturale che De Marchi apprezzi molto l’operato di Brunetta, con la sua «sistematica denuncia e sanzione dei “fannulloni”e di semplificazione delle procedure burocratiche». Ma – avverte – «la riforma non può certo limitarsi a ottenere
duttori del privato che gli investimenti propulsivi dello Stato e per porre fine allo scandalo di legioni di parassiti che pretendono di vivere nell’ozio, nel privilegio e nella sicurezza con i soldi rapinati a chi vive nella fatica e nell’insicurezza tipiche di ogni attività esposta alle leggi del mercato, cioè alla classe
verli. Sono comunque d’accordo nel denunciare la degenerazione clientelare dello Stato e nel combattere i pavidi, i fannulloni, i parassiti, gli opportunisti affamati di sicurezza. Quelli che non si mettono in gioco, che non rischiano, neppure moralmente. Brunetta – che ha presentato il libro – punta il dito anche contro
in edicola il nuovo il quarto bimestrale numero di del 2008 geostrategia
il sindacato che «sta dalla parte della rendita e non dei deboli e di chi lavora», in un Paese nel quale il 70 per cento delle tasse serve a pagare la burocrazia.
Brunetta è convinto che, lavorando nel modo giusto, possa essere facile aumentare la produttività del settore pubblico. De Marchi è del tutto pessimista al riguardo. Il punto focale si trova nel contrasto fra rendita e reddito. Le rendite non sono soltanto quelle catalogate nell’Ottocento: vive di rendita anche chi timbra un cartellino, e poi non lavora. Chi difende un posto fisso per il quale accampa diritti eterni, senza rispettare i doveri. Il reddito è quello di chi produce (nel pubblico o nel privato; da lavoratore dipendente o da imprenditore, piccolo o grande, o da libero professionista). Qualcuno ha osservato che un problema serio, in Italia, si è creato con l’interpretazione di comodo del primo articolo della Costituzione, quello che dice che la nostra è una repubblica «fondata sul lavoro». Molti leggono in quella frase il diritto al posto fisso. Questo avviene soprattutto a sinistra. La sinistra difende la conservazione, la destra (gli elettori di destra) accettano la sfida delle riforme. Se Gaber fosse ancora vivo, oggi scriverebbe che «far la doccia», oggi, «è di destra».
120 pagine per capire cosa farà Obama
• Il presidente del soft power e l’Europa • Usa-Russia: il momento delle scelte è arrivato • Tutte le sfide del Medio Oriente Mario Arpino, Robert Kagan, Virgilio Ilari, Andrea Margelletti, Maurizio Massari, Andrea Nativi, Michele Nones, Roger F. Noriega, Emanuele Ottolenghi, Stefano Silvestri, Davide Urso
spettacoli
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Sta letteralmente spopolando a Parigi lo spettacolo teatrale firmato Steve Nieve “Welcome to the Voice”. L’opera non soltanto rappresenta, come dice l’autore, un’ode agli incontri impossibili, ma vede anche due big della musica vestire gli insoliti panni di attori teatrali: Sting ed Elvis Costello
Teatro. Abbiamo visto a Parigi “Welcome to the Voice”, «improbabile ibrido musicale» con Sting ed Elvis Costello
Mozart e Marx a singolar tenzone di Francesca Giannotti
PARIGI. Metti Sting una sera all’Opera. Metti Elvis Costello negli stivali del don Bartolo e del Duca di Mantova, il coro lirico del quarto stato che avanza sul proscenio e Mozart che sfida Che Guevara, Gramsci e Karl Max e avrai Welcome to the Voice, non del tutto lirica, non del tutto rock, non del tutto pop, ma «improbabile» (parola dell’autore) ibrido musicale e vocale da far impazzire il botteghino di qualsiasi teatro sulla terra. E tutto esaurito da grandi occasioni ha registrato giovedì sera il Theatre du Chatelet a Parigi per la prima delle cinque rappresentazioni dell’opera firmata dall’eclettico Steve Nieve, compagno al pianoforte di quasi tutte le avventure musicali del folletto Elvis Costello, e capace di servire geni tanto diversi quanto David Bowie o Morrissey.
psicanalista e intellettuale, tutto quello che io non sono». Innanzitutto i due si innamorano, e poi decidono di lavorare insieme. Lui registra su una cassetta quattro o cinque arie di
gio è difficile, tirato da una parte dalle sirene della lirica, Carmen, Norma e Madama Butterfly che lo insidiano e gli promettono il destino (fatale) di tutti gli sfortunati eroi dell’opera, e dall’altra dai suoi compagni, che invano cercano di distoglierlo dalle trappole della «musica dei ricchi, che ti ruberà la dignità». Ma Dioniso scappa: «La vera salvezza non può venire che dalla voce umana». In una città di nebbia e vento, incontra il suo amore, Lily, bravissimo Julia soprano giovane Schwartz. L’abbraccio scatena l’ira degli dèi, nelle vesti del perfido commissario di polizia Elvis Costello, grande cappa, occhiali neri e voce roca d’ordinanza, una vera incursione sulla scena. Per fortuna, nel finale
troppo, e gli accenti poetici rischiano di sconfinare in una banalità un po’ troppo schematica. Accanto a Sting, che ha lavorato la voce in potenza, riscaldando il falsetto epico dei tempi dei Police, ritroviamo un sorprendente «clone» vocale: nei panni dell’amico operaio di Dioniso c’è infatti Joe Sumner, leader dei Fiction Plane e all’occorrenza figlio del signor Gordon Sumner, alias Sting. Prima racconto musicale, poi concerto (nel 2000 a New York) quindi cd (per la prestigiosa e ortodossa Deutsche Grammophon) e infine Opera , il progetto ha subito continue evoluzioni: «E non sono affatto sicuro che non ci
L’idea è firmata da Steve Nieve ed è un’ode agli incontri impossibili: tra un immigrato greco e una diva della lirica, il rock e l’opera, i ricchi e i barboni. Ed è soprattutto un inno alla Voce, dono degli dèi
“Welcome to the voice” è un’ode agli incontri impossibili: tra un immigrato greco operaio in una fonderia e una diva della lirica, tra Marx e Mozart, la fabbrica e la Norma, il rock e l’opera, i ricchi e i barboni. Ed è soprattutto un’ode alla Voce, vero dono degli dèi, capace di miscelare - come la fornace di una fonderia - mondi, esseri e generi apparentemente inconciliabili. L’idea è stata a lungo il sogno di Steve Nieve. Tutto è cominciato con un primo incontro «improbabile», quello con Muriel Teodori, una quindicina di anni fa: «Una francese,
un’opera e le scrive su un bigliettino: «Proviamoci!». Lei ci prova e nasce il libretto. La storia è in parte la sua, ragazza corsa di origine greca, famiglia modesta e padre melomane. Entra così in scena Dioniso (Sting), immigrato greco, stralunato e tenero operaio metallurgico, che, stregato da una voce udita per caso, si innamora perdutamente di una diva dell’opera. Dioniso abbandona il suo mondo, i compagni, la lotta di classe e la fabbrica per inseguire il suo amore. Il viag-
il rock ha la meglio sulla lirica: nessuno muore, nessuna tragedia. E l’ultima parola dell’opera è un «oui», un sì corale che tutti cantano insieme, rockettari e soprani, un inno «alla costruzione di un’utopia in rottura con un’epoca».
La musica è bella e inattesa, e coniuga in una disarmonia riuscita, classica, jazz, melodia, rock. Il libretto - quasi tutto in inglese, con qualche aria in francese cantata da Sting e dalle soprano - a tratti semplifica
siano altri sviluppi» suggerisce Steve Nieve. Alle prove generali, vedendo prendere forma, voce e corpo alla sua strana creatura, Nieve si è quasi commosso, senza cedere al trionfalismo: «E’ bene non essere mai del tutto soddisfatti di un progetto così. Ma questa avventura è una delle cose più straordinarie che mi siano capitate nella vita».
Per Sting e Costello non è certo la prima incursione in acque extraterritoriali. Se l’ex Police si era già cimentato nel 2006 con le opere del cinquecentesco John Dowland, l’inqualificabile Costello ha già composto per la mezzo soprano Anne-Sofie von Otter e firmato la musica di un balletto. «Né io né Sting siamo cantanti diplomati, ha sintetizzato Costello - ma questo non vuol dire che Welcome to the voice sia un’opera-rock. Non è Tommy. Cantiamo come siamo capaci». E Sting conclude: «Sappiamo bene che invitando cantanti popolari i teatri prestigiosi cercano di attirare un pubblico più vasto. Ma invitando nuove figure, l’ambiente classico ha soprattutto bisogno di mostrare che non è un museo culturale. Il vero pericolo sarebbe danneggiare l’integrità essenziale della musica classica. Mi auguro che il pubblico considererà l’incursione mia e di Elvis in questo universo come un’azione rispettabile e integra».
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da ”the Guardian” del 21/11/2008
Fascisteria anglosassone di James Meikle e Helen Carter estrema destra inglese attira gente nuova, meglio vecchi laburisti e conservatori e non dimentica neanche i liberali e i preti. Una fuga di notizie sugli elenchi degli iscritti al British national party ha messo in subbuglio la politica britannica. Un ex presidente di circoscrizione dei tory e un ex candidato laburista al Parlamento, sono in cima alla lista. Ciò che stupisce, oltre la provenienza e i percorsi politici, sono le motivazioni. L’ex conservatore Lionel Buck afferma: «Ho aderito al Bnp due anni fa, perché attualmente nel Regno Unito non c’è uno solo, fra i maggiori partiti, che siano il laburista, conservatore o il liberale, che abbia veramente a cuore i destini degli inglesi autoctoni». Che il multiculturalismo nel Paese della Regina fosse un modello in crisi, da tempo lo sapevamo; che questo stesse producendo già degli effetti politici era meno chiaro. Una volta seguace di Gordon Brown, Andrew Emerson del Sussex, aveva corso per il turno elettorale del 1997, prima che una malattia lo mettesse fuori uso. Ha aderito al Partito nazionalista nel 2005, candidandosi direttamente riuscendo a raccogliere il 12,3 per cento dei voti nelle elezioni locali.
L’
Alla base del salto della quaglia politico c’è stata «una profonda infelicità nei confronti del Partito laburista, per la sua politica di porte aperte agli immigrati, senza nessuno tentativo di regolamentazione dei flussi migratori e di un certo controllo dei confini». Il pastore anglicano - sempre saltato fuori dalle famose liste - con un carriera politica ricca d’esperienze, che ha fatto tappa nei Verdi, nei liberaldemocratici e anche una sosta nel recinto dei tory, ha le idee chiare. I problemi che affliggono i sudditi ingle-
si sono, nell’ordine: «Gli immigrati, l’Islam e la Comunità europea». È solo da otto mesi nella formazione del Bnp, anche se sembra già essersi pentito della scelta fatta. Attualmente il Bnp ha circa una sessantina di consiglieri eletti in vari governi locali del Regno Unito, ma non è rappresentato a Westminster. Ha nello statuto una clausola, dove viene esplicitamente descritta l’avversione per l’immigrazione «non-bianca» ed è aperto alle iscrizioni esclusivamente degli appartenenti ai gruppi etnici britannici.
La lista degli appartenenti contiene quasi diecimila nomi, tra i quali ci sono insegnanti, militari, professionisti di ogni categoria, anche politici più o meno conosciuti e membri del clero. Il Bnp era stato preso di mira dal quotidiano Guardian e dai cronisti investigativi della Bbc, già dal 2006. Erano emerse dalle inchieste i metodi ambigui con cui si muove utilizzando la sua struttura politica. Metodi per dissimulare le vere intenzione e le autentiche linee guide del partito, meeting clandestini e una rete di false identità, sono alcuni degli aspetti più inquietanti di quello che viene considerato un vero movimento «fascista». Il suo leader, Nick Griffin ha posizioni antislamiche e apertamente razziste, ed è arrivato a sottoscrivere e sostenere le teorie negazioniste sull’Olocausto. Nel periodo delle famose «vignette danesi» su Maometto, il Bnp si era reso protagonista di una
campagna di propaganda che riprendeva e rilanciava la sfida nei confronti dell’aggressività del mondo musulmano. Secondo le analisi degli ambienti politici britannici sarebbero le aree a prevalenza inglese, con piccole sacche d’immigrazione ed una base sociale prevalentemente operaia, a garantire il consenso ai nazionalisti che hanno recentemente conquistato un posto al Consiglio comunale di Leeds. Comunque, oltre la Manica il segnale d’allarme è stato colto. I laburisti renederanno automatica l’espulsione dal partito di chiunque abbia avuto a che fare col Bnp, i libdem hanno stigmatizzato linea politica e i metodi poco ortodossi dei nazionalisti, i conservatori, invece, si sono posti un problema più complesso.
Come intercettare e metabolizzare le istanze e le insicurezze che poi si trasformano in appoggio alla destra estrema e xenofoba. Anche un ufficiale di polizia, spuntato dalle liste, è stato subito sospeso dal servizio. C’è una legge che proibisce ai poliziotti di essere membri di partiti di estrema destra in ossequio alla legge sulle relazioni razziali. Forse l’unico retaggio dei dominion che sarebbe utile conservare.
L’IMMAGINE
La partita più difficile di Gigi Buffon, il numero 1 che ha vinto “il male di vivere” Gigi Buffon, portiere della Juventus e della nazionale di calcio, recentemente ha raccontato in un suo libro la partita più difficile della sua vita: quella contro la depressione. Una partita nella quale si è trovato completamente allo sbando, perché non conosceva né il campo da gioco, né l’avversario. E che ha vinto, racconta lui stesso, in una bella giornata di sole. All’improvviso. Sinceramente ho sempre apprezzato questo calciatore, ma ora lo apprezzo ancora di più. Per una ragione semplice: perché è un campione d’umanità. Buffon, infatti, non solo ha avuto il coraggio di affrontare la sua malattia, ma ha anche raccontato cosa ha scoperto grazie ad essa. Insomma, addirittura l’ha quasi benedetta, perché oggi sa qualcosa in più della vita. Ecco cosa ha scritto a proposito: «Mi resi conto che in certe situazioni i soldi con la tua vita non c’entrano nulla, non c’entrano con i tuoi valori, con quello che hai imparato, che impari ogni giorno e che puoi trasmettere a chi ti è accanto». Una scoperta da numero uno.
Romano Ricci - Viterbo
MA COS’È QUESTA CRISI? In tutto il mondo non si parla altro che di recessione e di aziende che chiedono aiuto ma… a Frattamaggiore, oasi felice dell’hinterland napoletano, l’amministrazione, caro direttore, utilizza i soldi dei contribuenti indovini per fare cosa? Una bella notte bianca e per magia la crisi è risolta.
Elisabetta Cennamo
IL PDL E IL PD SONO DIVISI SOLO DA UNA “L” Il Pdl e il Pd sono separati da una lettera e dai ruoli che ricoprono, ma sembrano uno la copia dell’altra: a sinistra c’è un partito che non ci sarà più e che non c’è mai stato, mentre a destra c’è il partito che non c’è e
che non ci sarà mai. in Italia sembra proprio che si sia confusa la leadership con il leaderismo e il bipolarismo con l’eterno partitismo. Avere due partiti che esprimano due classi dirigenti che si sfidano e si danno il cambio al governo nella comunanza di valori comuni e di politiche diverse è sempre di più un sogno. Che cos’è che non quadra nel nostro Paese? Credo che sia l’eccesso di politica: ce n’è troppa, dentro e fuori dalle Istituzioni. La vera cura da fare è una dieta: serve una politica più snella, ma più autorevole. In una parola: la cultura delle istituzioni. Un sogno nel sogno. certo non lo realizzeranno né il Pdl né il Pd, né Berlusconi né Veltroni.
Sergio Tenca - Pescara
Meraviglia ai raggi X La polvere non vi dà tregua? Se vi può consolare, anche negli angoli più nascosti del cosmo si accumulano fitti strati di pulviscolo interstellare, impossibili da penetrare per i normali strumenti ottici. Ma per fortuna c’è Chandra, il telescopio con la vista “bionica”. I suoi raggi X sono riusciti a scrutare uno dei punti più impolverati della nostra galassia, scoprendo questo spettacolare ammasso di stelle CHI VINCE, DECIDE Finalmente in Italia è possibile un altro metodo di governo. Mi riferisco a quello che è in atto in tutte le vere democrazie, dove chi vince le elezioni decide autonomamente, in base al proprio programma ed ai propri metodi (approvati dalla maggioranza dei cittadini!) ed al termine del ciclo governativo sarà misurato sui risultati. Alla mino-
ranza, invece, spettano i compiti di controllo e di proposte alternative. Solo così gli elettori possono misurare chi governa. Altrimenti di chi è il merito delle decisioni prese e dei risultati raggiunti? Nel caso specifico della Commissione di vigilanza, ho apprezzato molto la serietà della posizione del governo, mantenuta correttamente fino in fondo e alla luce
del sole, ossia quella di chiedere alla minoranza di proporre un nominativo condiviso. Se Veltroni si fosse fermato e non avesse insistito tanto, si sarebbe evitato tutto questo teatrino. Quindi nessun filo rotto del Premier e nessun nuovo metodo, ma chiarezza per tutti gli italiani, senza inciuci e conciliaboli segreti.
Gaudenzio Violini
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LETTERA DALLA STORIA
Spero di poter morire prima di te Mia cara mia buona mia dolce Bionda, mi levo ora dal letto riposatissimo dal sonno lungo. Ho sognato ch’eri morta e messa in bara sul mio letto. Non hai idea la felicità che provai questa mane trovando il bel sole e la convinzione, la certezza ch’eri bensì a Salsomaggiore ma viva. Il sogno deve essere stato brevissimo. Proprio un attimo. La bara era oscura e tu dentro tutta luminosa. Nella stanza non v’erano altri che tu morta immobile, gli occhi chiusi e la bocca stretta con un’espressione di ostinazione, tua madre che correva su e giù (neppure in sogno essa sa stare ferma) a portare fiori per addobbarti ed io pensieroso a studiare la tua fisionomia nella quale trovavo un’espressione marcata di rimprovero, io credo in verità un rimprovero perché nella vita che tu m’avevi affidata non avevo saputo mettere abbastanza gioia. Tua madre lavorava con quella sua fretta come in ufficio. Non era mai stanca di distribuire intorno alla tua persona composta i tuoi capelli lunghi come un fiume di oro. Io pensavo: A che scopo? Essa invece gioiva di te come se tu ancora fossi viva. Mi svegliai tutto lieto di ritrovare la convinzione, la speranza, di poter morire prima di te. Sono ora pieno di una dolce commozione e del desiderio di fartela sentire. Italo Svevo alla moglie Livia Veneziani
ACCADDE OGGI
UN PLAUSO AD AIR FRANCE Penso che se la trattativa di Air France per l’acquisizione della nostra compagnia aerea fosse andata avanti, i francesi certamente non avrebbero accettato il comportamento dei nostri sindacati e mi pare giusto così. Bravi!
Alberto – Firenze
DOVE SONO GLI INCENTIVI DELLA GDF? Appartengo alla Guardia di Finanza e vorrei esprimere tutto il mio rammarico verso la mia amministrazione perché, mentre i nostri colleghi degli altri corpi di polizia hanno percepito il premio incentivante nei mesi di giugno e luglio scorsi, tale emolumento a noi non viene ancora corrisposto. Ma gli altri corpi di polizia non servono lo Stato come noi?
Lettera firmata
SALDO NEGATIVO PER GLI IMMIGRATI Si comunica e si legge spesso che gli stranieri in regola che lavorano in Italia sono una grande risorsa per il Paese. Vorrei che gli stessi mezzi di comunicazione evidenziassero i costi prodotti dagli stranieri clandestini, a partire dai primi soccorsi in mare, ai centri di prima accoglienza, agli scippi, furti e rapine, al mantenimento in carcere, alle spese amministrative di somministrazione della giustizia, al traffico e spaccio della droga, alle spese di espulsione e rimpatrio, al degrado del territorio. Penso che il saldo tra le risorse e i costi sia negativo.
Ugo Sbardellati - Modena
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)
22 novembre 1975 Juan Carlos viene dichiarato re di Spagna a seguito della morte del dittatore Francisco Franco 1982 Giovanni Paolo II con la Familiaris Consortio, conferma la posizione della Chiesa, contraria all’ammissione dei divorziati al sacramento dell’eucaristia 1986 Mike Tyson batte per K.O. al secondo round Trevor Berbick, divenendo il più giovane campione del mondo dei pesi massimi (20 anni e 4 mesi) 1989 A Beirut, una bomba esplode vicino al convoglio del presidente libanese Rene Moawad, uccidendolo 1990 Margaret Thatcher rassegna le dimissioni da primo ministro del Regno Unito 2002 In Nigeria, più di 100 persone vengono uccise durante un attacco contro le partecipanti al concorso di Miss World 2003 A Tbilisi (Georgia), la folla invade il Parlamento per destituire il presidente Eduard Shevardnadze 2004 In Ucraina ha inizio la Rivoluzione arancione, a seguito delle elezioni presidenziali
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Francesco Rositano, Enrico Singer, Susanna Turco Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio,
LA POLITICA E I POLITICANTI: TROPPO SPAZIO SUI MEDIA In Italia prevalgono il politicismo e la politicizzazione: si dà troppa importanza alla politica; si porta alla politica ciò che dovrebbe esserne estraneo (istruzione, poesia, arte, ecc.). La politica partitocratica invade pure la pubblica amministrazione e tende ad allontanarla dall’allocazione ottimale delle risorse, per conseguire fini di parte. La politica e i politicanti hanno eccessivo spazio e visibilità sui media. Secondo un’indagine dell’Osservatorio di Pavia – nel periodo di luglio e settembre 2008 – oltre un terzo (34,8%) dei tre Tg Rai è stato dedicato alla politica; contro meno della metà (16,5%) di alcuni Tg europei (Bbc One, France 2, lo spagnolo Tve e il tedesco Ard.
Franco Niba
ELUANA E QUELLA VITA PIENA DI DIGNITÀ La vita di Eluana ora è appesa alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, che ieri ha aperto il fascicolo Englaro. È solo un primo passo e non c’è da farsi illusioni, vale a dire non c’è da aspettarsi che essa rimetta in discussione la sentenza della Corte di Cassazione che ha autorizzato l’interruzione dell’alimentazione per questa giovane donna. Ma una cosa vorrei ribadirla: non è giusto. Ogni vita, anche la più sofferta è degna di essere vissuta, e guai a sostituirsi a Dio, nel segno di uno sciagurato diritto all’autodeterminazione.
Germano De Pretis
Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
dai circoli liberal
I CONTENUTI DELLA POLITICA Sono iniziati ieri i Colloqui di Venezia. Anche quest’anno un successo non solo di pubblico ma anche di contenuti per i Circoli liberal e per la Fondazione presieduta dall’onorevole Ferdinando Adornato. Succede oramai da anni che liberal anticipa i grandi temi su cui la comunità, politica e non, è chiamata a confrontarsi. I lavori sono stati aperti dal presidente dell’Udc, onorevole Rocco Buttiglione, vice presidente della Camera dei deputati che ha concentrato il suo intervento sul rapporto tra l’Europa e la nuova Casa Bianca, per poi continuare sul tema dei grandi conflitti nel mondo e, in particolare, su cosa significhi per l’Occidente vincere non solo sul piano militare la guerra in Afghanistan. Oggi i lavori proseguiranno sul tema “le democrazie e la globalizzazione” per essere conclusi, oltre che dal presidente Adornato, dal leader dell’Unione di centro Pier Ferdinando Casini. L’adesione e il contributo degli amici dei Circoli liberal, e in particolare del coordinamento regionale del Veneto, affidato al dottor Marco Bovo, è stata particolarmente apprezzata da tutti gli intervenuti. Un’attività di qualità che riempie di contenuti anche la nuova fase costituente verso l’Unione di centro. Liberal vuole promuovere non solo un nuovo modo partecipativo del fare politica ma anche una nuova cultura politica sui grandi temi che attraversano il nostro millennio. Per noi l’Unione di centro deve essere anche questo, non solo un’alternativa concreta per tutti i moderati italiani che non credono più nella destra e nella sinistra. Cartelli elettorali, questi ultimi, sempre più confusi, sempre meno chiari, dove il potere per il potere ha finito per annullare e rinnegare anche le proprie origini ideologiche. Oggi il confronto tra questi due estremi è senza contenuti, senza bene comune, senza la giusta proporzione. Un muro contro muro, insomma, finalizzato esclusivamente alla conquista del potere da esercitare contro qualcuno e per qualcosa che non interessa ed appassiona la maggioranza degli italiani che oggi vivono problemi e realtà completamente diversi. Sceneggiata di Villari docet. Vincenzo Inverso SEGRETARIO ORGANIZZATIVO CIRCOLI LIBERAL
APPUNTAMENTI OGGI SABATO 22 OTTAVA EDIZIONE COLLOQUI DI VENEZIA PALAZZO CAVALLI FRANCHETTI La nuova America. Come cambierà il mondo dopo l’era Bush. Gli amici dei Circoli liberal sono invitati a partecipare Vincenzo Inverso
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