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ISSN 1827-8817 81212

Tutte le ambizioni sono giustificate, eccetto quelle che si arrampicano sulle miserie e sulla credulità umana

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9 771827 881004

Joseph Conrad

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA

Salta la riforma dei licei

Contrordine: stop alla Gelmini di Giancristiano Desiderio un po’come il gioco dell’oca: si salta un giro o si ritorna al punto di partenza. La scuola italiana funziona (si fa per dire) allo stesso modo. Il ministro Gelmini e il governo - perché è evidente che la decisione è stata presa insieme con il presidente del Consiglio - hanno deciso di fermarsi un giro con i provvedimenti di riforma della scuola di secondo grado e di partire, invece, dall’anno prossimo con i cambiamenti per la scuola elementare. Quindi, dal 2009 sì al maestro unico e al grembiule, mentre la riorganizzazione degli istituti di secondo grado - la riduzione del monte ore, la riqualificazione degli istituti professionali e tecnici, il nuovo sistema dei licei - è in pratica rimandata a settembre del 2010. s eg ue a pa gi na 23

È

di Ferdinando Adornato

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Sarkozy punta tutto sull’accordo europeo ma Italia e Germania frenano

Berlusconi: pronti al veto sul clima Bruxelles cerca una mediazione sulle emissioni di Co2 di Riccardo Paradisi Unione europea non ha italiano Silvio Berlusconi che ha addirittualternative ad un accordo ra agitato una minaccia di veto: «Noi non a 27 sul pacchetto climasiamo in condizioni di far ottenere certe energia. Passeremo qui il cose, siamo disposti a far valere il diritto di tempo che servirà a raggiungere un acveto». E a chi gli chiede un commento sulcordo». Il presidente francese Nicolas l’orientamento del cancelliere tedesco AnSarkozy si gioca molto al tavolo del vergela Merkel e del presidente francese Nicotice dell’Unione europea sul clima. las Sarkozy, secondo i quali il pacchetto E sa bene che non sarà una partita facidovrebbe essere approvato così com’è, le. Troppi gli interessi confliggenti in Silvio Berlusconi a Bruxelles ha Berlusconi replica che a lui risulta una gioco, troppe le diffidenze e le indispo- minacciato il veto italiano circa realtà diversa: «Io so di una disponibilità a l’accordo europeo sul clima nibilità verso l’obiettivo di ridurre del 20 intervenire per dare a noi ciò che noi riteper cento le emissioni di Co2 e increniamo giusto di avere per la protezione di mentare del 20 per cento le fonti di energia pulita entro il certi settori delle nostre imprese». 2020. A cominciare da quelle del presidente del Consiglio se gu e a p ag in a 2

«L’

Antonio Bassolino ”commissariato” dal Pd

NASCE LA PRIMA 0PP0SIZIONE AL POTERE CINESE

di Antonio Funiciello a pagina 10

Quest’uomo si chiama Liu Xiaobo. 53 anni, filosofo. Insieme ad altri 302 intellettuali ha fondato Carta ‘08. Un movimento e un manifesto per una nuova Cina

Verso la Giornata della pace

Benedetto XVI: «La speculazione crea la fame» di Francesco Rositano

CITTÀ

DEL VATICANO. La crisi alimentare che attanaglia diversi Paesi del mondo «non è determinata tanto da insufficienza di cibo» «quanto da fenomeni speculativi» e «da carenza di un assetto di istituzioni politiche ed economiche in grado di fronteggiare le necessità e le emergenze». Benedetto XVI, come di consueto, diffonde in anticipo il messaggio per la giornata mondiale della pace del 1° gennaio. E si sofferma sulle emergenze del mondo contemporaneo. Il Papa non condanna la globalizzazione tout court, ma le sue distorsioni che possono costituire una seria minaccia allo sviluppo e a una vera lotta contro povertà e denutrizione. «La globalizzazione - afferma Benedetto XVI nel testo presentato ieri ai giornalisti dal cardinale Renato Raffaele Martino - elimina le barriere, ma ciò non significa che non ne possa costruirne di nuove. Essa avvicina i popoli, ma la vicinanza spaziale e temporale non costituisce di per sé vera comunione e autentica pace». Un discorso che arriva a pochi giorni di distanza dal tradizionale rapporto della Fao che ha diffuso dati allarmanti: le persone che soffrono la fame sono quasi un miliardo, 40 milioni in più rispetto all’anno scorso. s e gu e a pa gi n a 7

seg2008 ue a pa a 9 1,00 (10,00 VENERDÌ 12 DICEMBRE • gEinURO

Pechino, sfidiamo il tuo Impero alle pagine 12, 13, 14 e 15 CON I QUADERNI)

• ANNO XIII •

NUMERO

239 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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Dream team. Quasi completa la squadra del neoeletto presidente Usa: manca solo il nome di chi guiderà gli Interni

La rivoluzione di Chu

Barack Obama chiama nel governo il Nobel per la fisica. È uno dei massimi studiosi al mondo di energie alternative di Maurizio Stefanini n Italia, dove a gennaio fu ospite d’onore al festival della Scienza all’Auditorium di Roma, lo hanno ribattezzato «il Rubbia d’America». Il suo sito Internet, dopo che nel 2004 ha lasciato l’Università di Stanford per fondare il Lawrence Berkeley National Laboratory, lo definisce «il leader mondiale nella ricerca sull’energia rinnovabile e alternativa». L’Accademia Reale Svedese delle Scienze di Stoccolma, nel 1997, gli diede il Premio Nobel per la Fisica ex-aequo col francese di origine ebreo-algerina Claude Cohen-Tannoudji e con l’americano William Daniel Phillips: per essere riuscito due anni prima, nell’ambito dei suoi studi in spettroscopia laser, a immobilizzare alcuni atomi di sodio in una melassa ottica, a una temperatura vicina allo zero assoluto. Adesso Barack Obama lo vuole come nuovo Segretario all’Energia.

I

Nato nel 1948 a Saint Louis da due genitori cinesi che erano venuti negli States a studiare rispettivamente ingegneria chimica (il padre) ed economia (la madre) e si ritrovarono bloccati in America dai successi prima dei giapponesi e poi di Mao, primo membro di origine cinese del governo Usa sotto la presidenza del primo presidente di origine africana, Steven Chu avrà una doppia missione. Primo: un lavoro di radicale controllo e ripulitura del complesso delle armi nucleari Usa. Secondo: riuscire a portare avanti le promesse di Obama di “fuoriuscita dal petrolio”, che in effetti sono una delle più marcate linee di continuità con la politica del suo predecessore George W. Bush, con la sua strategia del bioetanolo. Ma che in questo momento cozzano frontalmente con quel crollo dei prezzi del greggio, che le ha messe di nuovo fuori mercato. Il World Solar Energy Index, che misura le imprese produttrici di apparati per l’energia solare, è caduto martedì fino al 71% su base annuale, dopo l’ulteriore capitombolo dell’11% della produttrice tedesca di cellule solari Q-Cells Se. Il Bloomberg Wind Energy Index, che

invece misura la quotazione in Borsa delle imprese produttrici di energia eolica, registrava un -58%. E un terzo indice, questo costruito sulle otto maggiori produttrici di etanolo degli Stati Uniti, stava invece al -83%. Sia il sole che il vento e il biocarburante hanno dunque perso competitività rispetto al petrolio, sceso nello stesso periodo “solo” del 56%.

D’altra parte, pure martedì è uscito il rapporto Global Economic Prospects 2009 della Banca Mondiale. E anche da questa autorevole fonte arriva l’avvertimento che «lo scenario di un’economia mondiale entrata in una nuova era caratterizzata da una quasi-penuria di materie prime i cui prezzi sarebbero più elevati e in costante progressione» sarebbe «poco probabile»: almeno per i prossimi venti o trent’anni. L’aumento della popolazione sta infatti rallentando, e sta rallentando anche la crescita economica mondiale. Dunque, anche l’aumento della domanda di greggio è destinato a farsi meno pressante, pur senza arrestarsi del tutto: dagli 87 mi-

l’anno di crescita della domanda. La Banca Mondiale fa però tre importanti postille: materie prime e cibo basteranno, se si riuscirà a mettere sotto controllo il riscaldamento globale; se si riuscirà a regolare i mercati finanziari; se continuerà la liberalizzazione degli scambi. Un aumento eccessivo delle temperature terrestri, una speculazione selvaggia, un ritorno al protezionismo potrebbero infatti far saltare tutte le previsioni. E qui si intravede tutta la difficoltà del compito: lotta contro l’effetto serra e regolazione dei mercati finanziari, infatti, significano più intervento pubblico; ma riuscirebbe quel più intervento pubblico a non cedere nella tentazione di ritoccare pure le tariffe doganali? A ogni modo, secondo la Banca Mondiale un prezzo del petrolio troppo basso non è nell’interesse del pianeta, perché incentiverebbe a continuare nelle cattive abitudini.

L’ideale, scrive il documento, sarebbe un “livello di equilibrio” attorno ai 75 dollari al barile: ci-

Avrà una doppia missione: il controllo del complesso delle armi nucleari Usa e la messa in atto delle promesse di Barack di “fuoriuscita dal petrolio” lioni di barili al giorno di oggi ai 114 del 2030. La Banca Mondiale non vuole neanche arrischiarsi troppo sulla valutazione delle riserve provate, delle quali da quasi mezzo secolo si continua a dire che stanno alla fine. Ma ritiene comunque che non dovrebbero esserci troppi problemi almeno per i prossimi quarant’anni, anche perché ogni minimo aumento dei prezzi del greggio è destinato

a stimolare lo sviluppo delle energie alternative. E quanto allo scenario alimentare, che tanti allarmi ha creato negli ultimi mesi, l’aspettativa è nello stesso lasso di tempo di un 2,1% annuo di crescita dell’offerta contro un 1,5%

fra sotto la quale le energie alternative escono appunto dal mercato.

E qui dunque torna l’importanza delle scelta politica fatta prima da George W. Bush e ora da Obama. Importanti sono certo le ragioni dell’economia, ma importante è pure l’ambiente. E importante è anche la ragione strategica di togliere a dittatori, terroristi e dittatori terroristi l’arma di ricatto del greggio. Dunque, Chu andrà avanti. Il parallelo storico è con la decisione presa nel 1913 dal Primo Lord dell’Ammiragliato Winston Churchill di riconvertire la Royal Navy dal carbone al petrolio. Non era una scelta economicamente vantaggiosa, visto che il Regno Unito produceva la metà di tutto il carbone del pianeta, e la quasi totalità di quello privo di fumi usato dalle

navi da guerra. Di petrolio invece riteneva di non averne: lo si sarebbe poi scoperto nel Mare del Nord, ma oltre sessant’anni dopo. Però, una tonnellata di nafta prendeva la metà dello spazio di una tonnellata di carbone; dava il 30% di velocità in più; poteva essere rifornita a una nave anche in movimento e non solo ferma in un porto; e tagliava drasticamente quei tre quarti di equipaggio necessari per la movimentazione del carbone e il controllo dei macchinari: tutti vantaggi di cui si vide poi di lì a poco l’importanza, durante la Prima Guerra Mondiale.

Insomma, l’era del petrolio iniziò per una decisione politica, prima ancora di diventare conveniente dal punto di vista economico. E con una decisione pure politica dovrà ora terminare. segue dalla prima Ma in gioco c’è anche la destinazione di quei 5 miliardi di fondi risparmiati dalla Pac che secondo Berlusconi dovrebbero essere indirizzati anche verso la costruzione di infrastrutture che riguardino l’Italia. Per il Cavaliere coi chiari di luna che corrono – la crisi economica e la difficoltà delle industrie – l’intransigenza sui parametri climatici è insomma un lusso che non ci si può concedere. Una posizione che in Italia s’è attirata una bordata di critiche. A partire da quelle del ministro ombra dell’Ambiente del governo Pd Ermete Realacci, che accusa Berlusconi di essere l’unico leader fra i grandi paesi industrializzati a non aver compreso che i vincoli per combattere i mutamenti climatici, sono anche una grande opportunità per rilanciare l’economia dell’Italia. «Mentre anche l’America di Obama mette il clima tra le priorità politiche e per rilanciare l’economia lancia un piano di investimenti con 150 miliardi di dollari in risparmio


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12 dicembre 2008 • pagina 3

Per la Bce il 2009 sarà l’anno nero del Pil

Trichet frena sui conti ROMA.

Prudenza, dalla Banca centrale europea. Jean-Claude Trichet sta tirando il freno a mano sui prossimi tagli al tasso di sconto del denaro. Dopo il recente ribasso della scorsa settimana, che ha portato il rateo al 2,5 per cento ora il clima è improntato alla moderazione. Sullo sfondo della posizione di Eurotower è intuibile leggere le preoccupazioni di Berlino. Il rigore di bilancio è la ”Bibbia”della Merkel, che osserva col sopracciglio alzato il keynesismo (presunto) di Gordon Brown che starebbe sprecando inutili risorse nell’operazione sull’esenzione Vat (Iva) per le imprese britanniche.

Gli effetti della crisi finanziaria, forse giunta al fondo del pozzo, stanno spalmandosi ora sull’economia reale. Eccezionalmente elevata rimane l’incertezza sulle prospettive economiche - secondo la Bce - che continueranno per un periodo di tempo prolungato, a livello mondiale e nell’area euro. Il bollettino mensile dell’istituto di Francoforte, vede una gelata in arrivo sul Pil, con una partenza del 2009 tra il meno 1 e lo zero per cento di crescita. «Non siamo ancora usciti dalla tempesta», le parole di Trichet. Il problema nasce dalle previsioni dei mercati che si aspettavano una

riduzione di un altro 2 per cento, mentre da Eurotower, Juergen Stark, membro tedesco del consiglio direttivo, afferma che «dopo un taglio così corposo (quello della scorsa settimana, ndr) resta uno spazio di manovra molto limitato» che dovrà essere deciso al prossimo consiglio Bce del 15 gennaio 2009. Da Francoforte arriva anche un appello a far presto ai governi Ue. Occorre mettere subito in campo le manovre anticrisi previste, anche se non c’è accordo.

I tedeschi non vogliono cedere alle sirene dell’aumento della spesa pubblica, l’Italia con suo fardello di debito è probabile che seguirà Berlino. Anche se da Bankitalia arrivano buone notizie: il debito pubblico sarebbe in leggero calo, dagli 1.666 miliardi di agosto ai 1.648 di settembre. Parigi e Londra sembrano invece avere opinioni diverse. Le misure perderebbero così d’efficacia perché scoordinate, soprattutto sulle accise. L’ortodossia germanica riflette ancora la percezione dell’euro come parente stretto del vecchio marco e è simile a quella dimostrata sull’altro fronte, quello ambientale. Secondo gli esperti dell’Eurosisitema la ripresa potrebbe arrivare nel 2010, ma nei primi mesi del nuovo anno il vento sarà ancora gelido. (p. ch.)

Muri. L’Italia, dice il premier, è pronta a porre il veto in Europa sul clima

E Berlusconi risponde: «L’ecologia è un lusso» energetico e fonti rinnovabili, per produrre 5 milioni di nuovi occupati, il nostro Governo, con la sua politica di retrovia sulle questioni ambientali, sta producendo danni all’economia». Ma non è solo l’Italia a tirare il freno. La Polonia – dove sono ancora le centrali elettriche a carbone a fornire il 92 per cento dell’elettricità del Paese – è profondamente insoddisfatta delle proposte che sono sul tavolo, tanto da minacciare anche lei il suo veto.

La Cecoslovacchia poi nega addirittura che esista un’emergenza clima: «Noi non faremo campagna per il pacchetto – ha detto il presidente ceco Vaclav Klaus – il clima è a posto, è rimasto lo stesso per 10.000 anni». Un brutto clima insomma: tale da indurre a un generale pessimismo sull’accordo malgrado la forte spinta francese e tedesca a raggiungerlo. L’Europa, secondo Berlino, deve rimanere all’a-

di Riccardo Paradisi vanguardia in fatto di protezione del clima e si devono rispettare le decisioni del 2007 riguardanti la riduzione di Co2 del 20 per cento fino al 2020 e l’aumento del 20 per cento delle energie rinnovabili sempre entro quella data». D’altra parte la Germania,

fronte della difesa delle industrie sarebbe proprio la Germania ad aver offerto una sponda all’Italia durante il vertice europeo. Industrie che – secondo i due Paesi – al momento verrebbero messi a rischio dalla partita sul dopo Kyoto. Sulle misure relative al clima

menti climatici e la crisi finanziaria mondiale annunciando un vertice sui cambiamenti climatici durante la prossima assemblea generale delle Nazioni Unite, nella sessione di settembre 2009. «Una larga parte degli stimoli impiegati per risolvere la crisi finanziaria dovrebbe

si è espresso anche il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon chiedendo lo sviluppo di un Green New Deal per contrastare i cambia-

essere devoluta agli investimenti sull’economia a basso costo basata sul carbone – ha detto Ban Ki-moon – un investimento che combatte i

Oggi la Ue decide: sul fronte della difesa delle industrie, la Germania è disposta a offrire una sponda all’Italia ha già adottato un piano congiunturale nella prospettiva delle misure che sta per lanciare il presidente americano Obama. Anche se sul

cambiamenti climatici, crea milioni di posti di lavoro ecosostenibili e favorisce l’ambiente».

Un banco di prova per l’Europa, dice Ban Ki-moon, che ha chiesto ai capi dell’Unione di dimostrare la solidità dei loro governi. Ma questa è una mozione di principio. Concretamente, come ha ammonito il presidente del Parlamento Europeo Hans Poettering «il risultato del vertice deve tener conto della posizione del Parlamento Europeo». Se da una parte è vero infatti che se non si trova un risultato accettabile ora, l’accordo sarà compromesso, è altrettanto vero – come ha ricordato Poettering – che dovrà poi essere accettabile per la maggioranza del Parlamento europeo. Monito di cui dovrà tenere conto il presidente francese Sarkozy per trovare un’intesa entro i termini del suo mandato. Obiettivo chiave per la sua politica europea.


politica

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Repliche. «È la stessa proposta di febbraio e non ci sono ragioni per accettarla», dicono i parlamentari dopo la “riapertura” del premier

Invito a cena con delitto Non solo Casini: tutta l’Udc respinge le avances strumentali del Cavaliere di Errico Novi

ROMA. «Troppo tardi», per dirla con Luisa Santolini. Troppo tardi è il giudizio di Pier Ferdinando Casini, condiviso da tutti i parlamentari dell’Udc, sulla proposta di Berlusconi. Porte aperte, spalancate. Ma come fa notare appunto la deputata e presidente del Forum famiglie, «Silvio poteva pensarci prima». Anche perché adesso si pongono problemi politici, nodi complessi, che però non possono essere una sorpresa, per il presidente del Consiglio. Uno di questi – forse il più importante, a giudizio di molti esponenti del Centro – riguarda la collocazione europea. L’ha evocata subito Rocco Buttiglione, che pochi minuti dopo la “riapertura”arrivata dal premier ha fatto presenti le perplessità del Ppe sull’adesione di un partito, il Pdl, in cui ci sarebbe «un rapporto privilegiato con i post-fascisti anziché con i democratici

«Berlusconi ha una visione molto ludica della politica, che non sono in grado di prendere sul serio». Adesso peraltro la realtà, quella della crisi, si presenta con tutta la sua concreta pesantezza. E secondo Tabacci, il Cavaliere «ha sopravvalutato le proprie forze e sottovalutato

Ora per il Pdl la vera questione è la collocazione in Europa.A Bruxelles incontro tra Berlusconi e il leader del Centro

il complesso della situazione internazionale che stava sopraggiungendo». Forse il deputato dell’Unione di centro coglie un aspetto decisivo della questione. Ieri il presidente del SAVINO PEZZOTTA Consiglio non si è «Non ci sarà soffermato tanto la nostra resa, sul netto rifiuto di siamo impegnati Pier Ferdinando a costruire Casini ma su un nuovo quella frase prosoggetto politico. nunciata nell’inCon questi tervista alla atteggiamenti Stampa:«Non cache puntano solo pisco la sua proa mortificare posta, anzi mi gli interlocutori uno sembra non si va scherzo». Anzimolto lontano» ché drammatizzare Berlusconi l’ha presa in mocristiani». La questione è ben do altrettanto ironico: «Casini è presente ai deputati dell’Udc, un buontempone e per questo che possono sentirsi orgogliosi molto simpatico». Poi il predi un primato: «Siamo l’unica mier e il leader dell’Udc si sono formazione che potrà affronta- incontrati a Bruxelles, dove re le elezioni europee senza il hanno continuato la discussiodubbio sul gruppo di apparte- ne iniziata a distanza. nenza», sottolinea Luisa Santolini, «nel Pd sono ben lontani Allo stato non si vede cosa dalla soluzione, ma il Pdl non è possa cambiare, come spiega messo meglio, con le contraddi- Francesco Saverio Romano, sezioni che si porta dietro. Berlu- gretario dell’Udc in Sicilia: sconi dovrebbe far pace con se «Berlusconi offre la stessa solustesso ed essere chiaro davanti zione del febbraio scorso, che agli italiani. Così come l’ha for- noi abbiamo gentilmente rifiumulata la sua proposta sembra tato. Siamo andati incontro a nascondere condizioni per noi una sfida difficile, con il voto utile che ha cancellato tante forinaccettabili». mazioni politiche: adesso che la Si può fare e disfare tutto con traversata nel deserto è superatanta disinvoltura? Bruno Ta- ta perché dovremmo tornare inbacci pensa proprio di no: dietro? Se invece facesse un ra-

gionamento diverso, incentrato sulle alleanze e non sull’assorbimento, allora potremmo prenderlo in considerazione».

Insistere serve a poco, affrontato sempre negli stessi termini l’argomento appare «logoro», come dice Michele Vietti: «Sul rifiuto di entrare nel Pdl abbiamo giocato la partita delle scorse elezioni politiche. Siamo riusciti a portare nostri rappresentanti in Parlamento, è ovvio che non c’è spazio per ulteriori discussioni». Nulla è cambiato per l’Udc, qualcosa cambia invece dal punto di vista di Berlusconi, che guarda evidentemente alle Europee con atteggiamento diverso: «La collocazione è un problema loro», dice il vicesegretario del partito di via dei Due macelli, «né il Pdl in quanto tale né An fanno parte del gruppo popolare, noi sappiamo bene dove accasarci. È chiaro che non rinunciamo all’idea di costruire il Ppe italiano, che deve avere caratteristiche non riscontrabili nel progetto del Pdl». Un’altra condizione per discutere è il ritorno a toni più misurati. Con la contrapposizione di nuovo esasperata che Berlusconi ha imposto nelle ultime ore al dibattito è difficile costruire nuove architetture politiche. Savino Pezzotta si chiede che senso abbia «fare come il presidente del Consiglio che sembra non perdere occasione per dividere invece che puntare a creare convergenze sul piano sociale e politico. A che serve l’annuncio di voler cambiare la Costituzione da solo? Berlusconi afferma di non voler dialogare nel caso

del Pd e nello tempo stesso chiede la resa incondizionata dell’Udc. Resa che non ci sarà mai, giacché siamo impegnati con altre forze a costruire un nuovo soggetto politico autonomo. Con questi atteggiamenti che puntano solo a mortificare gli interlocutori non si va molto lontano», dice il presidente della Costituente di centro.

Resta dunque la considerazione dei partner politici come semplici subordinati, secondo Pezzotta. Oppure, come detto da altri, manca la chiarezza. Lo pensa ad esempio il deputato campano Domenico Zinzi, secondo il quale quella di Silvio «è la solita boutade, buttata lì per poi essere smentita dopo qualche giorno con un’altra battuta. D’altronde, dov’è la differenza rispetto alla campagna elettorale della primavera scorsa? Se BRUNO TABACCI Berlusconi avan«Berlusconi zasse una propoha una visione sta seria del tipo molto ludica “costruiamo il Ppe della politica, italiano”, allora la una visione si potrebbe prenche non riesco a prendere sul serio. dere in consideraHa sopravvalutato zione. Si entrerebbe in uno schema le proprie forze che ha regole pree sottovalutato cise, in cui sarebla situazione be la politica a farinternazionale» la da padrone e verrebbe superato

LUISA SANTOLINI: «Siamo l’unica formazione che potrà affrontare le Europee senza il dubbio sul gruppo di appartenenza: non solo nel Pd ma anche nel Pdl sono ben lontani dalla soluzione. Così come è formulata, la proposta è inaccettabile»

il modello del partito personale. Si può ribattere questo, al Cavaliere: metti da parte il progetto del Pdl, costruisci il Ppe italiano e poi possiamo discutere». Dall’ipotesi di scuola al sarcasmo di Gianpiero D’Alia, capogruppo dell’Udc al Senato: «La mia risposta è vietata aI minori di anni 18. Al di là delle battute mi sembra l’ennesima provocazione con cui si vuol mascherare un errore fatale, aver rifiutato l’alleanza con i moderati italiani che noi rappresentiamo. Errore di cui Berlusconi si pentirà amaramente». Un esempio? «Si renderà conto, o probabilmente già si è reso conto, che non può entrare nel Ppe con un partito di destra».

Ricorda la necessità della coerenza il deputato leccese Salvatore Ruggeri: «Se avessimo trovato praticabile questo “invito” vi avremmo già aderito sei mesi fa. A mio giudizio entrare a far parte oggi del Pdl vorrebbe dire annullare completamente il progetto di Casini e ignorare la richiesta di chi ci ha votato, di quel 5,6 per cento


politica

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Lega. «Se continua così, slitta il federalismo», protesta il leader del Carroccio

Alla fine Bossi s’arrabbiò «Silvio, abbassa i toni!» di Irene Trentin

ROMA. «Se non l’avessi incontrato, chissà, a quest’ora farei il chirurgo». Un insolito Umberto Bossi si presenta a un’insolita ora pomeridiana, insolitamente in giro nel palazzo di Montecitorio ricorda Bruno Salvadori, l’autonomista valdostano morto nel 1980 in un incidente stradale, che il senatùr considera il “padre” del progetto leghista. All’incontro di presentazione del libro Un federalista per l’Europa dei popoli si commuove, abbraccia la vedova Gisella («Abitate ancora lì, vicino Aosta? Tempo fa andavo cercando la vostra casa...») e, sempre sul filo del ricordo rispolvera i fucili, quelli del cugino «morto sul Monte Rosa da partigiano. Io – dice – della lotta di Liberazione sapevo tutto, conoscevo a memoria tutte le brigate partigiane». Ma non è più in vena di ricordi, quando dice che la «la brigata di mio cugino attaccò i nazisti e i fascisti solo con i fucili, andando contro le loro mitragliatrici. Morirono tutti ma ci sono dei momenti in cui si va anche a morire...». che ha creduto nella nostra scelta. Non solo: sarebbe anche un disconoscimento del sacrificio di tanti amici che oggi non si trovano in Senato. Se invece Berlusconi si rendesse conto che abbiamo una storia di 80 anni e una dignità e che vogliamo difenderle, saremmo lieti di discuterne». Nella sospensione del giudizio resta l’orgoglio di chi, come Amedeo Ciccanti, vede un solo argomento concreto: le iniziative di quelli che chiama «uccellini di richiamo». Non si capisce, dice, «perchè Pionati, che ci dà lezioni di politica, in campagna elettorale sosteneva tesi opposte e perché non si è sciolto nel Pdl dal momento che ha fatto un altro partitino». Al di là delle domande retoriche, secondo il deputato dell’Udc «la funzione dei “fuoriusciti”è chiara, e se l’Udc cadesse nella loro trappola, quale compito avrebbero ancora Pionati e altri come lui, visto che Berlusconi non gliene ha assegnati altri? D’altronde hanno il pane garantito per il futuro, proprio perché l’Udc non sparirà».

emendamenti, presentati entro il termine scaduto alle 21 di martedì, al ddl delega sul federalismo fiscale, all’esame delle commissioni riunite Affari costituzionali, Bilancio e Finanze del Senato. Bossi lo sa bene. E infatti dice: «Per la sinistra queste dichiarazioni sulla giustizia sono un problema politico. E i regolamenti del Senato danno un grande potere all’opposizione in commissione, che può fare quello che vuole e anche rischiare di non far più uscire il provvedimento dalla commissione».

E allora, ecco il messaggio. Che va al di là degli avvertimenti “seriali” agli alleati da parte del senatùr, che ora rischia davvero di spazientirsi: «Il governo deve chiarire se il federalismo fiscale è al primo punto del programma. Sarebbe auspicabile – conclude licenziando i giornalisti – che Berlusconi confermasse che il governo non ha cambiato indirizzo». Prova allora il Presidente del Senato a fare il pompiere. Renato Schifani confida che le ultime dichiarazioni di Berlusconi «possano instaurare un momento di confronto più pacato su federalismo e giustizia. Da quando sono presidente – aggiunge – ho sempre manifestato apprezzamento, sia in pubblico che in privato, per l’atteggiamento tenuto dall’opposizione nell’attività parlamentare». Ma «le prese di posizione del presidente del Consiglio rappresentano uno strappo forte a una dialettica politica e parlamentare che con fatica si stava tenendo viva su questioni fondamentali come la giustizia e il federalismo». avverte Anna Finocchiaro, capogruppo del Partito democratico al Senato. Dove il federalismo inizia il suo cammino, irto di ostacoli.

Il presidente del Senato Schifani prova a stemperare i toni: «Le ultime dichiarazioni del premier favoriranno senz’altro un confronto proficuo»

Il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, che ha risposto con un secco “no” all’invito di Silvio Berlusconi di entrare nel nuovo soggetto politico del Pdl. A destra, il leader della Lega Nord Umberto Bossi

MICHELE VIETTI «Sul rifiuto di entrare nel Pdl abbiamo giocato la partita delle Politiche, è ovvio che non c’è spazio per ulteriori discussioni. Come è chiaro che non rinunciamo all’idea di costruire il Ppe italiano»

E dà proprio l’idea che questo, per lui, sia proprio uno di questi momenti, in cui uno si gioca il tutto per tutto. È irritato, Bossi, per i bombardamenti “alleati” sull’opposizione con la quale sta pazientemente lavorando. «Noi con la sinistra abbiamo cucito, cucito. Ma ora queste dichiarazioni di Berlusconi sulla giustizia ci mettono in difficoltà sul federalismo fiscale». “C’è bisogno di un chiarimento con il premier?” gli chiedono al varco i giornalisti. «Sono convinto che non voglia bloccare il processo federalista», prova a stemperare. “Vi siete visti?”: «No, ma ci possiamo sentire anche per telefono». Ma nella replica a stretto giro il presidente del Consiglio non dà proprio l’impressione di aver capito. «Ci sono due rami del Parlamento», minimizza. Con «una riforma che va avanti da una parte e un’altra che cammina dall’altra». E aggiunge: «Vanno avanti insieme e non c’è nulla che ostacoli l’approvazione di entrambi». D’altronde, ricorda, «anche Bossi ha detto che Berlusconi mantiene la parola. Certo – la spiega così, il Cavaliere – ciascuno ha il suo elettorato e usa gli argomenti migliori per farsi amare dai propri elettori». Il Cavaliere, insomma, o non capisce o fa finta di non capire. Tanto che anche Roberto Calderoli ribadisce che «il chiarimento può venire solo da Berlusconi, che mi ha ribadito che su una materia così importante bisogna continuare su questa strada aprendo alle richieste dell’opposizione». E Umberto Bossi ricorda che «la Lega è la forza politica più radicata e forte al Nord» e che «oggi non esiste possibilità di vincere le elezioni in Italia senza passare per la Lega. Al di sopra del Po e fino alle Alpi nessuno può sfidarci e il più furbo è stato Berlusconi che l’ha capito ed è riuscito a fare l’accordo con noi, così è diventato presidente del Consiglio». Chiaro, no? Ma allora, gli chiedono, Berlusconi dovrebbe abbassare i toni? «Sì, perché così può ritardare il federalismo», ribadisce. Altro che percorsi paralleli fra le due riforme: «Ho visto in commissione al Senato che per la sinistra c’è un problema politico rispetto all’accordo che noi avevamo già fatto». Sono oltre quattrocento gli


economia

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Campanili/1. Il governo continua a trasferire al Nord fondi vincolati al Mezzogiorno

Il Sud perde 22 miliardi di Francesco Pacifico

ROMA. Sedici e più miliardi di euro sono spariti dal fondo per le aree sottoutilizzate. Per rimborsare ai Comuni gli introiti mancanti per il taglio all’Ici 1,9 miliardi sono stati stornati dalle risorse per le strade e le ferrovie di Calabria e Sicilia (e prima ancora destinati al Ponte). Ma a esser pignoli andrebbero inseriti nel conto anche 4 miliardi di euro in rimborsi per il credito d’imposta non ancora erogati. Con la Finanziaria triennale prima e il piano anti-crisi dopo il governo ha finito per dirottare altrove tantissimi soldi destinati al Sud. Per la precisione 22,5 miliardi di euro, poco più di un punto e mezzo di Pil. Quanto rallenterà l’area tra il 2008 e il 2009. La stima è provvisoria e potrà essere aggiornata soltanto se e quando l’Europa permetterà di reindirizzare i fondi regionali ora vincolati a determinate aree. E Tremonti ha già fatto sapere di voler attingere da queste risorse il necessario per la riforma degli ammortizzatori sociali e per le infrastrutture.

Spiega Luca Bianchi, il vicedirettore dello Svimez che ha calcolato quanto è stato spostato dalle risorse del Mezzogiorno: «Visto che gli sprechi da parte delle amministrazioni del Sud non sono mai mancati, non è peregrino dire è meglio utilizzare questi fondi per rimpolpare il fondo per gli ammortizzatori sociali. Ma il problema è l’assenza di una strategia a livello governativo, e non mi riferisco soltanto a questo esecutivo, che dia certezze sullo sviluppo come sulle risorse mancanti. Questa parte d’Italia rischia di essere quella più colpita dalla crisi attuale». Un tempo le congiunture negative internazionali finivano per colpire l’export, quindi il Settentrione dove sono presenti i maggiori insediamenti produttivi. Oggi accade il contrario. Lo Svimez insieme con l’Irpet (l’Istituto regionale per la programmazione economica della Toscana) ha stimato che il Meridione, a fronte di un -0,3 del Centronord e del -0,4 nazionale, vedrà calare il suo Pil dello 0,7 per cento nel 2008. Stesso trend tra un anno: -0,9 per cento al Sud, -0,4 al Centronord e 0,5 a livello nazionale. In questo biennio saranno negativi anche il consutivo sugli investimenti (-4 per cento) e soprattutto l’occupazione. La frenata della domanda e le esportazioni che risentono della crisi dell’auto potrebbe-

in breve Maltempo, a Roma muore una donna Una persona è morta ed un’altra è stata salvata dai Vigili del Fuoco che hanno effettuato numerosi interventi a Roma in seguito agli allagamenti provocati dalle violente piogge di ieri notte. A Monterotondo una persona è morta per essere rimasta intrappolata nella propria auto sotto un cavalcavia con quattro metri d’acqua. Mentre una donna è stata tratta in salvo dai Vigili del Fuoco anche lei era rimasta bloccata all’interno della sua auto in un sottopasso completamente allagato a causa anche delle fognature otturate.

Treni, revocato lo sciopero

ro portare a 15 punti percentuali il differenziale sulla forza lavoro tra Nord e Sud.

«Il Mezzogiorno», spiega Stefano Prezioso dello Svimez, «paga il trasferimento delle risorse, ma anche l’assenza di un mercato dei servizi, che è continuato a crescere nonostante la crisi. Penso al turismo o a tutto quello che ruota intorno al marketing e alla comunicazione: al Nord muove il 15 per cento del Pil locale. Non a caso in Europa le aree di Obiettivo 1 crescono, qui il reddito disponibile delle famiglie è al palo». Si deve fronteggiare un combinato disposto tra riduzione di risorse e assenza di strategie. Il ministro dello Sviluppo Claudio Scajola ha ricordato che far ripartire il Mezzogiorno è una delle condizioni «di

Il taglio all’Ici è stato coperto con le risorse per il Ponte di Messina, gli ammortizzatori sociali e le infrastrutture saranno pagati con i 16,6 miliardi dal Fas. Lo Svimez: la crisi più sentita al Meridione sviluppo e crescita del Paese: non è possibile pensare di avere buoni risultati quando un terzo e più dell’Italia ne è escluso». Ma ha aggiunto che i fondi Ue per l’area si sono «sparpagliati in 340mila interventi».

Eppure, come notano dallo Svimez, il bilancio tra le risorse traslate su altri capitoli e quanto girato al Mezzogiorno non è in pareggio. «I 16,6 miliardi recuperati dal Fas sono spesso finiti in operazioni di cassa come il ripiano dei buchi del comune di Roma e Catania o i 1,4 mi-

liardi per Ferrovie. Ma se questi andranno per il 98,8 per cento a strutture del Nord, il taglio dell’Ici ha avvantaggiato soltanto il 22 per cento delle famiglie povere del Sud. Per non parlare degli ammortizzatori sociali, che con il grosso delle imprese al Settentrione, certamente avranno un’incidenza meno decisiva in quest’area». Sintesi perfetta è la carta acquisti. Nonostante le differenze sociali, impattano nell’ordine del +0,1 per cento sul Pil del Mezzogiorno e dello 0,2 su quello del Centro-Nord.

Campanili/2. Formigoni: l’Alitalia volerà da noi. Alemanno s’oppone

E su Malpensa lite in casa Pdl ROMA. Più o meno gli stessi schieramenti trasversali di un tempo e Roma e Milano hanno ripreso a contendersi la sede del futuro hub di Alitalia. Che per la cronaca non esiste. Lo scontro tra i campanili (aeroportuali) era già ripartito in sordina quando è stato chiaro a tutti il ritorno di fiamma tra Air France e la compagnia di bandiera. Anche perché i transalpini, da sempre critici verso Malpensa e fan di Fiumicino, avevano ritirato il loro veto sullo scalo lombardo. Ma ieri, a 24 ore dalla chiusura dell’operazione tra Cai e la bad company del commissario Augusto Fantozzi, il derby tra Roma e Milano è ripartito subito dopo l’incontro tra il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, e l’Ad della compagnia, Rocco Sabelli. Anche perché il governatore ha comunicato: «Sabelli ha sottolineato che la scelta irrevocabile di Cai è di puntare su Malpensa come aeroporto di riferimento». A stretto giro è arrivata la replica del sindaco

di Roma, Gianni Alemanno: «La supremazia di Malpensa è inaccettabile e infondata». In realtà lo schema presentato da Sabelli a Formigoni è più complesso di quanto sembri. Malpensa sarà sì il centro propulsore di Cai sul lungo raggio, ma non si è parlato né di un trasferimento in Lombardia della base d’armamento del vettore né sono state comunicate buone nuove sul numero di rotte internazionali: una decina se il partner internazionale sarà Air France. Troppo poco rispetto a quanto chiesto dal territorio. Non a caso Formigoni preferisce l’offerta di Lufthansa, definita «più forte e concorrenziale». È destinata ad andare avanti la querelle, anche perché a Cai, più che tornare a Malpensa, stanno a cuore altri due aspetti: limitare l’operatività di Linate sulle rotte che non riguardano la Milano Roma (da Formigoni sono arrivate le prime aperture) e il peso di EasyJet a Malpensa. Non c’è quindi nessuna voglia di liberare slot alla concorrenza.

Lo sciopero generale indetto dalla Cgil per oggi subisce alcune deroghe a causa della pesante situazione legata al maltempo. Il sindacato ha deciso di sospendere l’agitazione nelle ferrovie a livello nazionale e, a livello locale, quello dei dipendenti del trasporto pubblico nelle zone più colpite da pioggia e neve, come Roma e Venezia. Epifani ha dunque accolto la richiesta del sindaco di Roma Alemanno, di esonerare i mezzi pubblici della Capitale dalla protesta, e in parte quella del garante per gli scioperi Martone, di garantire il trasporto vista la situazione di emergenza. Alemanno ha ringraziato «per la collaborazione in questo momento di particolare disagio per tutta la cittadinanza». Lo sciopero del trasporto pubblico è sospeso anche a Venezia.

Scende la domanda di petrolio Per la prima volta in venticinque anni, la domanda mondiale di petrolio dovrebbe diminuire nel 2008. Ad indicarlo è l’Agenzia internazionale dell’Energia (Aie) nel suo rapporto mensile. Le previsioni sulla domanda mondiale di petrolio, scrive l’Aie, «sono state riviste al ribasso per il 2008 e il 2009». Quest’anno la domanda mondiale «è attesa in calo per la prima volta dal 1983». Per il 2009, invece, la domanda dovrebbe ricominciare a crescere e attestarsi a 86,3 mln di barili al giorno.


società Il messaggio. Presentando la giornata della Pace, Benedetto XVI ha criticato le politiche anti-povertà

Il Papa sfida la crisi economica «Globalizziamo la solidarietà» di Francesco Rositano segue dalla prima Così, pensando nuovamente ai più poveri che il Papa aveva ricordato anche lo scorso otto dicembre nel tradizionale omaggio alla Statua della Madonna di Lourdes a Piazza di Spagna, ha aggiunto: «La marginalizzazione dei poveri del pianeta e le tristi condizioni della loro esistenza possono trovare nella globalizzazione validi strumenti di riscatto solo se ogni uomo sentirà quelle ingiustizie e quelle violazioni dei diritti umani come se fossero subiti da lui stesso». D’altra parte, l’altro ieri, il cardinale Tarcisio Bertone, segretario di Stato Vaticano, festeggiando Oltretevere il sessantesimo anniversario dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo aveva invocato un maggior impegno di tutte le nazioni affinché quei diritti fondamentali fossero concretamente riconosciuti. E analizzando l’attuale situazione, aveva aggiunto: «I diritti basiliari sembrano dipendere da anonimi meccanismi senza controllo e da una visione che si rinchiude nel pragmatismo del momento, dimenticando che la cifra del futuro della famiglia

Nel suo messaggio per la giornata della Pace, Benedetto XVI ha anche puntato il dito contro la denatalità di alcune nazioni e ha denunciato come siano in atto «campagne di riduzione delle nascite, condotte a livello internazionale, anche con metodi non rispettosi né della dignità della donna né del diritto dei coniugi a scegliere responsabilmente il numero dei figli e, spesso, cosa anche più grave, non rispettosi neppure del diritto alla vita». Il Papa ha poi messo in relazione l’indice di natalità di un Paese e il suo sviluppo economico. Una valutazione che gli è servita per attaccare gli aborti e la contraccezione forzata che secondo la Santa Sede «non sono affatto un elemento di progresso». «Tra le Nazioni maggiormente sviluppate - ha scritto ancora

in breve Taranto, un morto sul lavoro Un operaio polacco, Paurovic Zigmontian, di 54 anni, dipendente di una ditta specializzata in montaggi, la “Pirson Montaggio” (del Gruppo belga Pirson International), è morto in un incidente sul lavoro avvenuto la notte scorsa nello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto. L’uomo stava smontando alcune parti dell’altoforno 4, un impianto fermo dal mese di luglio per lavori di rifacimento, quando è stato colpito dal braccio di una gru ed precipitato da un’altezza di 14 metri. L’operaio è morto sul colpo. Il personale sanitario del ’118’ non ha potuto fare altro che constatarne la morte. Indagini sono state avviate dagli ispettori del lavoro e dai carabinieri. Aperta un’inchiesta per omicidio colposo.

Bocciata la fiction di Barbareschi

Tra i nodi affrontati, anche quello delle spese militari che il Pontefice ha giudicato «eccessive». Soprattutto perché «tolgono risorse ai progetti di sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri» umana è la solidarietà». Ciò che la Santa Sede condanna in assoluto è dunque la mercificazione dell’essere umano che - come aveva fatto notare il porporato - «da soggetto è diventata sempre più un oggetto dell’agire economico, spesso ridotta a rivendicare i soli diritti legati alla sua funzione di consumatore e non di persona».

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il Papa - quelle con gli indici di natalità maggiori godono di migliori potenzialità dei sviluppo. In altri termini la popolazione sta confermandosi come una ricchezza e non come un fattore di povertà». Anzi: «Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l’eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani». Il Papa, infine, ha sottolineato anche l’emergenza legata a malattie pandemiche quali malaria, tubercolosi e Aids in talune zone del mondo. A suo

avviso, la via d’uscita si trova in più strade: la prima è quella «di organizzare campagne che educhino specialmente i giovani a una sessualità pienamente rispondente alla dignità della persona».

D’altra parte, ha aggiunto il Papa «iniziative poste in atto in tal senso hanno già dato frutti significativi, facendo diminuire la diffusione dell’Aids». Inoltre, secondo il Pontefice, «occorre mettere a disposizione anche dei popoli poveri le medicine e le cure necessarie; ciò suppone una decisa promozione della ricerca medica e delle innovazioni terapeutiche nonchè, quando sia necessario, un’applicazione flessibile delle regole internazionali di protezione della proprietà intellettuale, così da garantire a tutti le cure sanitarie di base».

Il Cda Rai ha bocciato a maggioranza (quattro voti contro e tre a favore) il contratto per la produzione della terza serie di Nebbie e Delitti, interpretata da Luca Barbareschi, l’attore che attualmente siede in Parlamento tra i deputati della Pdl. Il caso è unico nella storia della Rai. Hanno votato contro i consiglieri Angelo Maria Petroni, Marco Staderini, Nino Rizzo Nervo e Carlo Rognoni. A favore si sono espressi invece Cluadio Petruccioli, Giuliano Urbani e Giovanna Bianchi Clerici.

Amanda Knox, attrice in carcere C’è anche Amanda Knox, la studentessa americana accusata dell’omicidio di Meredith Kercher, tra le 12 detenute del carcere di Perugia protagoniste del lungometraggio L’ultima città girato nell’ambito di un laboratorio cinematografico, con finalità rieducative, realizzato nel carcere del capoluogo umbro. La notizia è riportata oggi da alcuni quotidiani. La pellicola, finanziata dalla Regione, doveva essere proiettato domenica prossima a Perugia per il festival Batik, ma è stata rimandata su richiesta dei difensori della giovane.


economia

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Motori spenti. Il calo del settore automobilistico a novembre è stato del 28% a livello mondiale, e ha colpito tutti i paesi

Gli sfasciacarrozze Cina e India non comprano più auto Tutti i dati del crack mondiale dell’industria di Alessandro D’Amato

ROMA. La finta pubblicità campeggia da qualche giorno su moltissimi siti e blog americani, che protestano per la nazionalizzazione del settore dell’auto operata dal governo Usa: c’è la foto di un’automobile che sfreccia sulla strada e la didascalia «Non volete comprare le nostre auto schifose? Non importa, ci prenderemo lo stesso i vostri soldi». E, sotto, gli stemmi di General Motors, Ford e Chrysler, e la scritta «Siamo le Tre Grandi, non abbiamo biso-

su cui investire rischia di non avere alcun effetto, così come le accuse di “socialismo strisciante” che già cominciano a campeggiare sui giornali più liberal. E infatti, i sondaggi giudicano positiva l’azione dei Democrats, mentre l’ostruzionismo repubblicano – al Senato il partito di Obama ha la maggioranza, ma non raggiunge il 60% che gli permetterebbe di aggirarlo – non è visto di buon occhio persino da alcuni esponenti dell’Elefante. L’accusa di

«Non volete le nostre automobili schifose? Non importa, ci prenderemo lo stesso i vostri soldi»: dice così la finta pubblicità più in voga in questi giorni negli Stati Uniti gno di competere». Ma nonostante l’ironia dei liberisti, il presidente Obama andrà avanti: non se la sente di mandare a morte certa un settore con 4 milioni di occupati compreso l’indotto, e per questo ai primi quindici miliardi stanziati a inizio settimana se ne aggiungeranno altrettanti a breve. Il cui costo sociale sarà alto, d’accordo: ma di certo non tanto quanto lo shock di vedere chiudere decine di fabbriche e mandare a casa centinaia di migliaia di dipendenti: una partenza ad handicap per una presidenza che ha dichiarato di voler creare 2,5 milioni di posti di lavoro.

Il capitale introdotto nell’industria in asfissia si convertirà, per lo meno in parte, in azioni. E questo significa che lo Stato prenderà il controllo del settore, e non lo farà gratis: ecco perché l’esecutivo si è assicurato il taglio degli stipendi del management e sarà nominato un advisor per controllare che i soldi pubblici non finiscano fuori dall’orizzonte dell’investimento. E c’è anche un preciso limite temporale: se entro aprile non ci sarà l’inversione di tendenza, si darà il via libera a una ristrutturazione davvero centralizzata che imporrà focalizzazione sul core business. Niente male per la culla del capitalismo: l’ironia con la quale si è accolta la norma che prevede anche di demandare allo Stato la scelta dei prodotti

concorrenza sleale – visto che gli aiuti sono mirati alle industrie americane – è invece più pregnante, e per questo rischia, per lo meno nel medio periodo, di fare più male.

Ma il problema non è soltanto americano. Il calo dell’industria automobilistica nel mese di novembre è stato del 28% a livello mondiale, e ha colpito in maniera generalizzata tutti i paesi. Persino quell’India e quella Cina che sembravano, fino a poco tempo fa, esserne totalmente immuni. Le vendite in Cina quest’anno dovrebbero crescere solo del 9,7%, meno della metà rispetto al +24,1% segnato lo scorso anno, mentre in India il trend di crescita dovrebbe attestarsi al 5,1%, contro il 16% del 2007.

L’Europa peggiora: il mese scorso, secondo le stime di J.D. Power e Global Insight, tra i principali istituti di analisi del settore, nel Vecchio Continente le vendite di auto nuove sono crollate del 25% rispetto a novembre 2007, attestandosi intorno alle 870.000 unità, mentre nei primi 11 mesi dell’anno il calo dovrebbe attestarsi al 7,5%, con immatricolazioni a 12,73 milioni. Il dato di novembre, che anticipa quello ufficiale, accresce di quasi 10 punti percentuali la flessione già pesante subita lo scorso ottobre (-15,5%) e si inserisce, rileva Global Insight, in un contesto di «disastro globale senza precedenti» per il mercato mondiale dell’auto. Ecco perché le previsioni per il 2009 non possono che andare di pari passo. Sia J.D. Power che Global Insight hanno modificato al ribasso le precedenti stime sia di fine anno, sia per il 2009. In particolare, J.D. Power stima nel 2008 un calo del mercato dell’auto in Europa occidentale dell’8,3% a

13,58 milioni di unita’ e nel 2009 dell’11,6% a 12 milioni, mentre Global Insight prevede a fine 2008 un mercato in calo del 7,7% a 13,66 milioni e nel 2009 una flessione dell’8,2% a 12,5 milioni.

In questo requiem per l’industria automobilistica si evince che senza aiuti mirati la crisi nel settore si tradurrà in un disastro sia nei bilanci delle aziende che nell’occupazione. E gli Stati corrono ai ripari: ieri il governo svedese ha annunciato un piano d’aiuti per l’industria dell’auto per 2,65 miliardi di euro. Le misure comprendono maggiori investimenti in ricerca e sviluppo e garanzie dallo Stato per prestiti dalla Bei. In Francia, Sarkozy ha concesso un bonus rottama-

zione per mille euro, mentre la Germania di Merkel per adesso sta concentrando l’attenzione su aiuti al credito al consumo per l’auto. In Italia, invece, bisogna prendere a prestito uno dei più feroci aforismi di Flaviano per dire che la situazione è grave ma non seria. Il mercato dell’auto è in picchiata, ma per ora all’orizzonte non sembra esserci grande preoccupazione da parte della politica. Il -29% di novembre ha confermato che, anche se non siamo ancora sull’orlo della bancarotta come l’Islanda (dove a ottobre c’è stata una riduzione delle vendite dell’85%) né come la Spagna (50%), le difficoltà sono palesi. E pure se in questo siamo in ottima compagnia: (Giappone a 27%, livello più basso dal 1969, e Francia a -14,4% in un mercato che fino ad un paio di mesi fa era in abbondante crescita), la crisi questa volta non salva nemmeno la Fiat.

Fausto Marchionne, che ha anticipato che anche l’Europa farà registrare una riduzione senza precedenti, ha sottolineato che il Lingotto va meglio del suo mercato sia in Italia (anche se solo di decimali, a differenza dei mesi precedenti) che all’estero (ad esempio, in Francia porta la quota di mercato dal 5,1 al 6%) ma questo non lo salva da una flessione


economia

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Per la casa torinese sempre più pressante il nodo delle alleanze

La Fiat ha un sogno: sposare la Bmw di Andrea Giuricin e dichiarazioni dell’amministratore delegato di Fiat Group Sergio Marchionne hanno anticipato quella che potrebbe essere l’evoluzione del mercato nei prossimi anni nel settore auto motive; nel medio periodo, da qui a tre anni, si compieranno due tendenze già in atto, vale a dire un processo di concentrazione tra grandi gruppi e molto probabilmente il fallimento di qualche casa automobilistica. Lo stesso presidente di Ifil ed Ifi, John Elkann, ha evidenziato che il futuro dell’azienda torinese difficilmente sarà indipendente in un mercato sempre più globale e competitivo.

L

Qui sopra, una linea di montaggio della Wolkswagen. A destra, l’ad della Fiat Sergio Marchionne A sinistra il presidente francese Nicolas Sarkozy generale dei volumi di vendita in Italia pari al 28%. Il ministro Scajola studia con i suoi tecnici un piano di incentivi minimo e uno massimo. Quello minimo prevede la riedizione degli incentivi alla rottamazione, in scadenza al 31 dicembre prossimo, che però rappresenterebbe poco più di un palliativo. Quello massimo presume un ampliamento fino a 2mila euro, che però arriverebbe a costare almeno un miliardo di euro. Difficile che Tremonti accetti una soluzione del genere.

E la strada degli incentivi rischia di essere anche impopolare, visto che, a torto o ragione, viene percepita tout court come un aiuto di Stato a Fiat e basta. Anche perché si discute poco dei risvolti positivi sulla sicurezza. Una rottamazione che permettesse di eliminare almeno una parte di quel parco circolante più vecchio di quindici anni – che rappresenta il 23% delle autovetture, 28% motorini e 32% dei mezzi pesanti - porterebbe a un palese incremento della sicurezza. Un incentivo quindi diretto a diffondere dispositivi come airbag, ESP e barre di rinforzo, fino ad arrivare a sistemi più innovativi come il controllo etilometrico per avviare l’auto,

potrebbe essere politicamente sostenibile. Rimane il problema dei costi per la collettività, ma potrebbe essere sostenibile: l’incremento di vendite porta a recuperare tramite l’Iva (100.000 auto in più a 20.000 euro corrispondono a 2 miliardi di euro di spesa dei consumatori e 400 milioni di maggiore introito Iva per lo Stato), e poi ci sono le economie, ben più consistenti, legate alla riduzione degli incidenti: l’Aci ha calcolato nel 2006 un risparmio di tre miliardi di euro in minori spese sociali. Nel lungo termine però Fiat non potrà sperare sempre negli aiuti di Stato. L’amministratore delegato l’ha detto in questi giorni: «In due anni potrebbero restare solo sei grandi produttori, uno statunitense, uno tedesco, uno franco-giapponese con una possibile ramificazione in Usa, uno in Giappone, uno in Cina, e un altro soggetto europeo - ha dichiarato Marchionne ad Automotive News - le compagnie potranno sopravvivere solo con una produzione superiore ai cinque milioni e mezzo di auto l’anno». E a questa cifra, ad oggi, arrivano soltanto Toyota, GM, Volkswagen, Ford e Renault-Nissan. Per la Fiat è necessario un partner. Prima possibile.

La Fiat certamente negli ultimi 4 anni ha compiuto un risanamento, grazie all’azione dell’amministratore delegato tramite un riposizionamento sul core business industriale, tanto che dal 2006 il settore auto ha sempre chiuso con un risultato della gestione ordinaria in positivo. L’azienda tuttavia rimane troppo piccola a livello mondiale e troppo poco globalizzata; questa è la ragione per la quale la prima azienda automobilistica italiana non potrà continuare da sola le proprie sfide sul mercato nei prossimi anni. La vendite di veicoli del produttore italiano ammontavano nel 2007 a circa 2,3 milioni, vale a dire lo stesso livello di sette anni prima; nel complesso il picco delle vendite Fiat lo aveva raggiunto nel 1997 con più di 2,6 milioni di veicoli venduti. Questi ultimi dati sono certamente positivi rispetto al minimo raggiunto nel 2003,

La vendite di veicoli del produttore italiano ammontavano nel 2007 a circa 2,3 milioni, vale a dire lo stesso livello di sette anni prima quando il gruppo vendeva poco più di 1,6 milioni di veicoli, ma sono molto preoccupanti se confrontati con i dati delle vendite dei maggiori produttori mondiali; infatti il produttore giapponese Toyota vende lo stesso numero di vetture di Fiat a livello globale, nel solo mercato americano e le vendite dell’azienda italiana equivalgono a meno di un quarto di quelle della quasi fallimentare Ge-

neral Motors. Il “carmakers” italiano ha una quota di mercato di vendite mondiale di solo il 3,4 per cento.

Un altro punto debole della casa automobilistica è dovuto alla mancanza di globalizzazione dell’azienda; solamente negli ultimi anni l’azienda sta puntando ai nuovi mercati in espansione quali India e Cina con degli accordi; tuttavia sembra ormai aver accumulato un ritardo troppo grande rispetto ai competitors mondiali. La stessa Volkswagen vende quasi un milione di veicoli in Cina più di quante ne venda Fiat in tutto il mondo ad esclusione dell’Europa. Il business del gruppo torinese è troppo “eurocentrico” ed infatti nel nostro Continente vende circa 1,36 milioni di veicoli, cioè circa il 60 per cento del totale; Fiat ha una forte presenza solamente in Brasile e in Polonia, dove storicamente si era insediato anche con stabilimenti produttivi, ma è molto debole nel resto del mondo dove vende solo 223 mila vetture. Un altro elemento di debolezza deriva dal fatto che il 63 per cento dei veicoli venduti nel mercato europeo sono in realtà venduti sul mercato domestico italiano, nel quale la quota di mercato è di poco superiore al 30 per cento. L’azienda ha certamente fatto qualche ristrutturazione grazie alla “cura Marchionne”, ma resta tuttavia troppo poco globalizzata e troppo piccola rispetto ai competitors. Sono necessarie economie di scala per il lancio di nuovi modelli e ci vorrebbe un maggior coraggio nella ristrutturazione degli stabilimenti meno efficienti, anche se questi si trovano in Italia. L’italianità anche in questo caso servirà a poco, come dimostra ampiamente il caso Alitalia, e dunque esiste la necessità per Fiat di allearsi con qualche altro gruppo, probabilmente Bmw o Psa in modo che possa avere delle dimensioni più consone per competere sul mercato globale, proprio ora che tutte le maggiori economie stanno entrando in un periodo di recessione. Il destino di Fiat sembra dunque segnato da un passato troppo italiano e da un futuro che non potrà non essere indipendente.


panorama

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Manovre. Parte l’operazione “treno parallelo” per commissariare l’ingombrante governatore

Il Pd lancia De Luca contro Bassolino di Antonio Funiciello

NAPOLI. Con l’operazione “Treno Parallelo” (copyright Goffredo Bettini), il Partito Democratico spera di svuotare la leadership campana di Antonio Bassolino attraverso l’elezione del candidato regionale per il 2010 entro la prossima estate. Certo, “il treno dei desideri”, che nei pensieri di Veltroni alva, l’incontrario avrebbe preferito che Bassolino lasciasse la presidenza della Regione di sua iniziativa subito, meglio ancora un anno fa, prima delle elezioni politiche. Veltroni di notte sogna ancora i manifesti sull’immondizia napoletana che tappezzavano le strade e le piazze del Nordest durante la campagna elettorale. Eppure quello più sollevato dalla scelta dell’operazione “Treno Parallelo” è proprio Bassolino che, negli ultimi gior-

IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio

ni, era terrorizzato dall’idea che i vertici nazionale varassero il “Piano art. 126”. Ovvero l’articolo del regolamento interno del Consiglio regionale campano che prevede la mozione di sfiducia nei confronti del presidente che, approvata, prescrive l’immediato scioglimento del Consiglio stesso.

Il “Piano art. 126” è in piedi da mesi. Era l’opzione preferita, a Napoli e a Roma, da chi nel fenomeno Bassolino non

si risponde farfugliando qualcosa su un indecifrabile rispetto per un’istituzione, la Presidenza della giunta campana, che versa ormai in una drammatica crisi di credibilità. La rimozione forzosa del coriaceo afragolese spiaceva - si sa - a Massimo D’Alema, che fino a pochi giorni fa aveva lavorato alla più morbida soluzione che prevedeva la candidatura alle europee di Bassolino. Ma l’effetto boomerang di una simile candidatura sull’esito

Niente più candidatura europea. E il vertice democratico è intenzionato a mandare in campo l’attuale sindaco di Salerno per le Regionali ha mai creduto e chiedeva un gesto forte prima delle elezioni di aprile per guadagnare voti in quel centro-nord dove ad ogni dibattito il nome di Bassolino era tirato (ed è tirato ancora oggi) fuori per motivare la diffusa sensazione di impotenza del Pd. «Ma se non vuole andarsene, perché non lo cacciamo noi?»: una domanda chiara a cui ogni volta

elettorale ha dissuaso tutti da questa ipotesi. Che, insieme alla scelta di non procedere col “Piano art. 126”, ha dato il via libera all’operazione “Treno Parallelo”.

È l’ennesima sottovalutazione del problema. Al di là del fatto che anche il migliore dei candidati possibili in sostituzione di Bassolino sarebbe

quasi certamente sconfitto in partenza, nel corso di una competizione che vedesse sedere ancora lui sulla poltrona più importante di via Santa Lucia. In più si trascura che Bassolino tiene in mano un pezzo importante di Pd campano che non si lascerà strappare via ed è forte di un radicamento personale, nel mondo economico e nel tessuto sociale della Campania, profondissimo. Se l’obiettivo è quello di svuotare la sua leadership di forza e contenuto politico, si dovrebbe trovare un candidato in grado di reggere il confronto proprio nei termini che quel radicamento richiede. In questo senso, l’opzione legata all’ex ministro Nicolais appare quanto mai debole. O si sceglie di restare su Napoli e puntare su un giovane che possa permettersi toni di aspra polemica in campagna elettorale, oppure è necessario provare a spostare l’epicentro del potere regionale altrove. Magari su Salerno e su quel sindaco De Luca che è l’antibassoliniano per eccellenza nelle file del Pd.

Il ministro per i Beni culturali ha pubblicato un libro di poesie sentimentali

Sandro Bondi, l’ascetico & l’ermetico h, la vita, la letteratura, la poesia! Ieri un romanzo, oggi la poesia. Il poeta? D’eccezione: Sandro Bondi, il cantore del Berlusconi IV e di Berlusconi tout-court, cioè di Berlusconi e basta – e fagioli con la pasta, perché la rima ci vuole quando ci vuole. Ma il ministro dei Beni culturali non è poeta da rima baciata. È un ermetico. Chi erano gli ermetici? Mi sono informato: Ungaretti, Quasimodo, Gatto, Sinisgalli, Betocchi, Luzi. Qual è la specificità dell’ermetismo? Ho preso nota: «la letteratura come vita», per dirla con il titolo del saggio di Carlo Bo che capovolgeva l’estetismo di Gabriele D’Annunzio «la vita come letteratura». Insomma, per farla breve, per il poeta ermetico la parola ci dà la vita, anzi l’essenza della vita, perfino la sua purezza e innocenza. Rimane da rispondere alla domanda: il poeta Bondi e il politico Bondi sono la stessa persona? Ai posteri l’ardua sentenza. A noi non resta - a voi non resta, se volete - che leggere la raccolta di poesie Fra le tue braccia, or ora pubblicate da Aliberti editore.

A

Il libro è dedicato ad Alda Merini, dedica impegnativa. È diviso in tre sezioni. La prima - Fra le tue braccia - che racconta del rapporto, “malinconico e altalenante” dice il risvolto di copertina, con la Donna e con Dio. La seconda

- Incontri orbitali - raccoglie versi originati dalla solitudine. La terza - Dedicato a - racchiude poesie dedicate a uomini noti (Francesco Cossiga, Massimo Cacciari, Marcello Dell’Utri, Gianni Letta), amici, figli di amici, sposi. Non volevo esprimere un giudizio, ma visto che mi sono imbarcato in questo articolo e nella lettura dei versi intimistici del ministro Bondi un giudizio lo dovrò pur dare. Sandro Bondi è persona gentile e sensibile e i suoi versi sono sinceri, ma più che esprimere un sentimento sono sentimento che è la premessa della poesia senza essere poesia. I saggi di politica e cultura che il ministro ha pubblicato in questi anni sono migliori delle sue poesie. I poeti sono cosa rara: in un secolo si contano sulle dita di una sola mano, diceva il filosofo. Il sentimento del ministro, poi, non trova il giusto accento e si raffredda alla luce dell’intelletto. La prima sezione è ripe-

titiva e le parole incollate una dietro l’altra sono scollate dalle immagini. Fin dai primi versi delle due terzine: «Fra le tue braccia/ Inconsapevole destino/Inverno dei sentimenti/ Fra le tue braccia/ Sollevo il velo delle illusioni/ Sprofondo nel nulla». Le parole non dicono ciò che il ministro-poeta gli vorrebbe far dire.

Qualcosa, invece, riescono a dire i versi dedicati a uomini e donne. Quelli, ad esempio, dedicati ad Anna Finocchiaro: «Nero sublime/ Lento abbandono/ Violento rosso/ Fugace ironia/ Bianco madreperla/ Intrepido mistero». Ci deve essere nel ministro-poeta un innamoramento segreto per l’avversaria di Palazzo Madama. Anche la quartina dedicata a Dalila Di Lazzaro rivela un casto turbamento: «Misteriosa bellezza/ Celeste carezza/ Colpevole dolore/ Vita dell’amore». C’è anche una poesia teologica dedicata a Bibi Ballandi, il

produttore televisivo delle fortunate trasmissioni di Fiorello. Dice il poeta: «Amore/ È il nome di Dio/ Un bimbo piange/ nelle braccia della madre/ Lì c’è Dio/ L’armonia delle sfere celesti/ È il silenzio di Dio». Si potrebbe continuare ancora per un po’. Ad esempio, con i versi dedicati a Fabrizio Cicchitto che si chiudono così: «La mia fede è la tenerezza dei tuoi sguardi/ La tua fede è nelle parole che cerco». Ma, forse, è meglio fermarsi qui. Manca una poesia dedicata a Lui. Chi? Lui, Silvio Berlusconi. È vero che il ministro-poeta ha pubblicato con Claudio Sabelli Fioretti un libro-intervista intitolato proprio Io, Berlusconi, le donne, la poesia, ma non l’ho visto e non so se lì ci sia almeno un sonetto d’amore e ragione dedicato al capo del governo e di tante altre cose. Ne dubito. Ma la “poesia mancante” non sarà stata pubblicata, ma sarà stata senz’altro scritta. E se non è stata trascritta, sarà stata senz’altro segnata nel cuore e nella mente del ministro dei Beni culturali. Sarà un inedito che vedrà prima o poi la luce. Non è escluso che proprio Berlusconi sia una fonte di ispirazione per Sandro Bondi che in più di un’occasione ha confessato che l’incontro con lui gli ha cambiato la vita e, dunque, in omaggio all’ermetismo, il modo stesso di intenderla.


panorama

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Rivelazioni. La nascita del primo luogo di culto islamico a Roma dovuta a un piccolo incidente degli anni Sessanta

Quella moschea voluta da Giovanni Leone di Rossella Fabiani

ROMA. Tutto cominciò con una visita del presidente Giovanni Leone in Arabia Saudita. Era la fine degli anni ‘60 e a Riad regnava Faisal Bin Abdul Aziz. Nella cena ufficiale di una visita che molti diplomatici italiani consideravano più un’occasione conviviale che un colloquio formale, il sovrano saudita lanciò un’idea: perché non costruire una moschea a Roma? Un luogo di culto dove gli ancora pochi immigrati musulmani, ma soprattutto i rappresentanti dei Paesi arabi presenti in Italia, potessero pregare il loro Dio. Leone disse di sì. Forse senza tanto pensare che cosa quel sì avrebbe determinato. Passarono soltanto pochi mesi che una delegazione ufficiale saudita si presentò alla Farnesina per chiedere dove sarebbe sorta la moschea di Roma. Grande sorpresa, attimi di confusione, poi il contatto con il Quirinale chiarì che in effetti la promessa c’era stata. Nella logica e nell’uso italiano soltanto uno scambio di battute cortesi, al massimo una risposta gentile a una richiesta reale. Ma per la

L’allora presidente, in visita in Arabia Saudita, si lasciò scappare un “sì” quando Re Faisal lanciò l’idea: perché non ospitate un nostro tempio? tradizione del mondo arabo una parola data vale come un atto ufficiale scritto. L’Italia prende tempo. Lo stesso Leone si consulta con la Santa Sede. L’imbarazzo è generale. Costruire una moschea nella città di San Pietro è un fatto simbolico importante. Ma è la stessa

Segreteria di Stato vaticana – che ben conosce il mondo islamico – a confermare alla presidenza della Repubblica che, a meno di un incidente diplomatico maggiore che avrebbe messo a rischio anche i rifornimenti di petrolio, non c’era più niente da fare. Quella parola dal sen

fuggita a Leone nella cena con Faisal andava onorata. Le trattative furono su dove e come realizzare la moschea. Di sicuro in un terreno non in vista di San Pietro né con un minareto che superasse l’altezza della cupola di Michelangelo, come invece l’Arabia Saudita sponsor e finanziatore principale del progetto insieme ad altri paesi arabi, avrebbe voluto. Alla fine fu scelta la piana tra il Tevere e Monte Antenne che sembrava neutra e periferica. Ma se questo è il retroscena della nascita della prima moschea in Italia – la più grande in Europa – il nodo del problema arriva con la posa della prima pietra dell’edificio progettato dall’architetto Paolo Portoghesi. Sul mattone depositato simbolicamente quel giorno è scritto “Moschea di Roma”, in lingua italiana e in lingua araba. Questo nel 1982. Tredici anni dopo, il 21 giugno 1995, nel biglietto d’invito recapitato alle tante personalità che dovevano intervenire alla cerimonia di inaugurazione è scritto: “Centro islamico culturale d’Italia”, sempre in lingua italiana e in

Scontri. Il premier ha messo la parola fine sulla guerra che aveva ingaggiato contro le opposizioni

Tutti in Europa con le preferenze di Francesco Capozza

ROMA. Nel giorno in cui il premier Silvio Berlusconi apre le porte di casa all’Udc e chiude definitivamente al dialogo con l’opposizione, anche sul dialogo sulla riforma del sistema elettorale per le europee - o quantomeno quella raffinata forma di diplomazia sotterranea portata avanti da Gianni Letta nelle ultime settimane - viene registrata una brusca battuta d’arresto. Le esternazioni di ieri l’altro sono arrivate durante la presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa. «Alle Europee si voterà con l’attuale legge elettorale?» ha domandato Bruno Vespa ad un presidente del Consiglio più in forma del solito (tanto da definire il suo esecutivo “il Paradiso”, dopo l’Inferno del governo Prodi). «Credo proprio di sì», è stata la risposta netta di Berlusconi.

Berlusconi è apparso rammaricato perché dappertutto si pensa di andare in Europa per difendere gli interessi del proprio Paese, mentre «noi avremo una rappresentanza casuale, venuta fuori dal gioco delle preferenze». Il Cavaliere ha poi anche ricordato che «ci vorranno due o tre milioni di euro per la campagna elettorale» e che con questo sistema «si torna ai candidati che chiedono soldi per fare

strative e per le europee della prossima primavera».

Dunque, Berlusconi sa di dover affrontare una campagna elettorale ben più difficile e più dispendiosa di energie di quanto previsto, ma sa altrettanto bene, e i sondaggi glielo confermano, che per l’altra parte si prospetta un vero e proprio bagno di sangue in favore, stavolta sì, di quelli che un neologismo dell’ultim’ora definisce i “puffi” della politica. Il premier sa, in pratica, che se la maggioranza è formata per lo più da Pdl (al cui interno stanno confluendo anche la Dc e l’Mpa, oltre al neonato movimento della Santanchè) e Lega, nel centrosinistra i partiti sono molto più numerosi e quelli piccoli, senza sbarramento, rischiano di rosicchiare consenso al Pd. In pratica quella battaglia per la legalità elettorale proposta da Pier Ferdinando Casini a cui Veltroni ha deciso di aderire, secondo il premier, «sarà un bel boomerang».

L’annuncio durante una manifestazione con Vespa. «Ma per la sinistra sarà un boomerang: i piccoli ruberanno consenso al Pd», ha detto Berlusconi

Il premier, parlando della soglia di sbarramento su cui in precedenza aveva fortemente puntato, ha ricordato che «qualcuno della sinistra aveva detto: eliminiamo la poltiglia», mentre poi ha cambiato completamente pensiero per cercare di far passare il governo come l’unico che «vuole nominare anche i parlamentari europei».

le campagne elettorali». Ma allora perché spegnere quell’ultimo, assai fioco peraltro, barlume di dialogo egregiamente mantenuto e alimentato dal fidatissimo Gianni Letta? «Il disegno politico di Berlusconi è piuttosto chiaro in tal senso» ci dice un ministro in carica che però vuole rimanere nell’anonimato: «Vuole far rimanere Veltroni con l’ennesimo cerino in mano, e spingerlo ancora di più verso quella resa dei conti tutta interna al suo partito che lo attende appena dietro l’angolo del voto per le ammini-

lingua araba. Apparentemente, è una questione linguistica. In realtà è una differenza sostanziale: una moschea è un luogo di culto dove si prega e si ascolta la predica dell’imam. Un centro culturale è un luogo dove si possono organizzare convegni, incontri, corsi di studi e attività di ogni tipo. In sostanza è un centro di diffusione della cultura, ma anche - all’occasione - del pensiero politico che nell’Islam coincide in massima parte con la religione.

Non solo. In Italia c’è una precisa legislazione sui centri culturali che devono essere autorizzati e fornire l’elenco degli iscritti, emettere delle tessere, addirittura pagare delle imposte. In una parola devono essere registrati. I luoghi di culto no. Ed è proprio a questa trasformazione nominale delle moschee in centri culturali - che a qualcuno potrebbe sembrare anche più rassicurante - che il ministro Maroni dovrebbe prestare la massima attenzione applicando le leggi italiane anche a queste strutture.


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Come vent’anni fa, prima della caduta del Muro

Ora l’Occidente difenda il dissenso di Renzo Foa a letto con attenzione il documento che pubblichiamo in queste pagine, il manifesto di Carta ’08, perché si tratta di uno di quei testi che possono cambiare la storia della Cina e del pianeta, ricalcando altre importanti storie. O, almeno, la speranza è questa. Del resto, quando un piccolo gruppo di intellettuali cecoslovacchi si riunì attorno a Charta ’77 nessuno pensò che da lì a dodici anni uno di loro, Vaclav Havel, sarebbe salito al Castello, sarebbe cioè diventato presidente della Repubblica. Esattamente come, nell’estate del 1980, quando Solidarnosc fece la sua irruzione sulla scena, nessuno immaginò che quel movimento capace di raccogliere “tute blu”e pensatori sarebbe diventato l’artefice del “grande cambiamento”in quello che si chiamava allora Est, con l’epilogo del crollo del totalitarismo comunista. Nello stesso modo, difficile è oggi prevedere a quale sbocco, e quando, porterà l’iniziativa assunta in questi giorni dalle 303 personalità cinesi, nell’anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Possiamo però dire – ne siamo certi – che molto dipenderà dall’attenzione che nel mondo sarà riservata a Carta ’08 e dal sostegno che le verrà dato.

V

La storia ci ha insegnato quanto siano stati importanti, nella rottura avvenuta nel 1989, i movimenti definiti “dissenso”. Ci ha detto che tutto è stato reso possibile anche dal coraggio di alcune esigue minoranze, da personalità che si sono esposte e che non hanno avuto paura di affrontare il rigore della repressione. Ci ha parlato della solitudine in cui a lungo sono stati lasciati Lech Walesa o Vaclav Havel o lo stesso Andrej Sacharov, per citare solo le figure più note. Ma ha anche testimoniato che senza di loro tutto il processo di crisi del totalitarismo comunista sarebbe stato certamente più lento, che forse non ci sarebbe stato il 1989, con nell’estate il primo governo presieduto da un intellettuale cattolico a Varsavia e nell’autunno la caduta del muro di Berlino e poi la frana dei regimi dell’Europa orientale. Appunto, senza Walesa, senza Havel, senza Sacharov, senza i loro compagni e amici in patria e nel mondo, la vicenda europea e quella mondiale sarebbero andate come sono effettivamente andate? Carta ’08 rappresenta oggi per la società cinese la speranza che, come avvenuto vent’anni fa in questa parte del globo, possa aprirsi davvero una crisi nel regime di Pechino e possa esserci in tempi non lontani l’avvio di una transizione democratica. Ma va detto che questa speranza può essere più consistente se il mondo si preoccuperà di sostenere Carta ’08 e di difendere i suoi promotori e i firmatari del suo manifesto. In altre parole se chi si espone nella lotta per la libertà non verrà lasciato solo o se verrà sostenuto solo con la fragilità delle parole. La storia d’Europa e del mondo è piena di episodi in cui i “coraggiosi”sono stati abbandonati, in parte perché è mancata la volontà politica di appoggiarrli, in parte perché si è preferito cedere al ricatto dei regimi tirannici. Commerci, scambi, prudenze diplomatiche troppo spesso in passato hanno fatto aggio sull’internazionalismo della libertà. Figuriamoci cosa può succedere quando si parla del colosso cinese, della grande potenza economica e finanziaria che sta imprimendo un segno indelebile su questa fase della globalizzazione. Ne abbiamo visti le anticipazioni in occasione dei giochi olimpici che si sono svolti a Pechino la scorsa estate. Però sappiamo che, nel mondo, si può trovare il coraggio di sfidare tirannie come quella cinese e che questo coraggio non può essere limitato solo ai giornali che danno voce al“dissenso”o alle forze politiche e intellettuali che lo sostengono. Sappiamo che anche i governi possono fare di più, quanto meno lo sappiamo da quando il presidente francese Nicolas Sarkozy ha deciso di incontrare il Dalai Lama. Ci aspettiamo ora, da parte dei governi del libero Occidente, un sostegno non ipocrita a Carta ’08. Ci aspettiamo che non venga tollerato l’arresto dei suoi promotori e dei suoi militanti. Ci aspettiamo che si alzi un po’ la voce e che si sostengano i 303 coraggiosi che hanno firmato il documento che pubblichiamo in queste pagine. Ce lo aspettiamo naturalmente anche da parte del governo italiano, che non può reggersi su una maggioranza che si richiama alla parola libertà, se poi ignora che esiste un problema mondiale della libertà e della sua conquista sotto ogni cielo. A cominciare dalla Cina.

Pubblichiamo il testo integrale di Carta ’08, il docu Chiedono una riforma democratica della nazione e un

La Magna Ch uest’anno si celebra il centesimo anniversario della Costituzione cinese, il sessantesimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, il trentesimo anniversario della nascita del Muro della democrazia e il decimo anniversario della firma, da parte del governo cinese, della Convenzione internazionale dei diritti civili e politici. Dopo aver trascorso un lunghissimo periodo, caratterizzato da disastri nel campo dei diritti umani e da una tortuosa resistenza, i cittadini cinesi si stanno svegliando. E si rendono conto con sempre più chiarezza che la libertà, l’uguaglianza e i diritti umani sono valori universali condivisi da tutta l’umanità e che democrazia, forma repubblicana e supremazia della Costituzione costituiscono l’ossatura strutturale di un governo di tipo moderno. Una modernizzazione che non tiene conto di questi fattori diviene un processo disastroso, che priva gli esseri

Q

Dopo aver trascorso un lunghissimo periodo, caratterizzato da disastri nel campo dei diritti umani, i cinesi si stanno svegliando. E si rendono conto con sempre più chiarezza che la libertà, l’uguaglianza e i diritti umani sono valori universali umani dei loro diritti e ne corrode la natura, arrivando a distruggerne la dignità. Dove andrà la Cina in questo 21esimo secolo? Vuole continuare la sua modernizzazione su questa base di autoritarismo? Si tratta di una scelta fondamentale, che non può essere più rinviata. La monumentale trasformazione storica avvenuta nella prima metà del 19esimo secolo ha sottolineato il decadimento del tradizionale sistema dispotico della Cina e ha precipitato il Paese nel maggiore, cataclismatico cambiamento mai av-

venuto in diverse migliaia di anni sul suolo nazionale.

Il Movimento di auto-rafforzamento (dal 1861 al 1894) ha migliorato la capacità tecnica della Cina. La sconfitta della prima guerra sino-giapponese (combattuta dal 1894 al 1895) ha però dimostrato di nuovo l’anacronismo del nostro sistema politico. La Riforma dei Cento Giorni è riuscita a imporre delle innovazioni istituzionali, ma si è rivelata alla fine un fallimento per colpa dei “duri e puri” del Partito, che l’han-


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riforme economiche, che di fatto mirano ad aprire il mercato e a privatizzare le aziende – ha capito questa richiesta ed è passato da un totale rigetto dei diritti umani a un parziale riconoscimento. Nel 1997 e nel 1998, il governo ha firmato alcuni importanti Trattati internazionali sui diritti umani. Nel 2004, l’Assemblea nazionale del popolo ha emendato la Costituzione per includere “il rispetto e la salvaguardia dei diritti umani”. E quest’anno, il governo ha promesso di formulare e mettere in pratica un “Piano d’azione nazionale per i diritti umani”. Eppure, tutti questi progressi politici si fermano allo stadio della formulazione: rimangono sulla carta. Le leggi ci sono, ma non esiste uno Stato di diritto che le metta in pratica. C’è una Costituzione, ma manca un governo costituzionale.

umento con cui 303 intellettuali sfidano il Partito. na vera libertà. Alcuni di loro sono stati già arrestati

harta cinese no soppressa in maniera crudele. In conclusione, la Rivoluzione Xinhai del 1911 ha sepolto quel sistema imperiale che regnava da più di duemila anni e ha dato vita alla prima repubblica del continente asiatico.

Ma, anche limitata da fattori storici come rivolte interne e aggressioni esterne, il sistema politico repubblicano è durato soltanto un istante. Il dispotismo è tornato velocemente in Cina. Il fallimento nel campo dell’innovazione meccanica e istituzionale ha provocato un vastissimo movimento di riflessione in tutta la società civile, che si è interrogata sui limiti della sua esperienza culturale. Come risposta, è nato il movimento detto “del 4 maggio”, che ha innalzato un vessillo composto da due parole: scienza e democrazia. Purtropp o,

le

f r e qu en t i

guerre civili e le numerose invasioni da parte di Stati esteri hanno fermato con la forza il corso della democratizzazione

nazionale. Subito dopo la vittoria nella guerra contro l’invasore giapponese era nato un movimento che mirava a creare un governo costituzionale, ma la guerra fra i nazionalisti del Kuomintang e il Partito comunista ha rigettato la Cina nel baratro del totalitarismo. La nuova Cina, nata nel 1949 [anno di fondazione, da parte di Mao Zedong, della Repubblica popolare cinese ndT] è una Repubblica popolare soltanto nel nome. Nei fatti, è sotto il dominio del Partito comunista. Che ha creato una serie di catastrofi inenarrabili: la campagna contro gli oppositori, il Grande balzo in avanti, la Rivoluzione culturale, il massacro di Tiananmen. Insieme agli attacchi contro le religioni e contro i movimenti che difendono i diritti umani, questi avvenimenti hanno causato milioni di morti: un prezzo disastroso per la popolazione e per la nazione intera. Le riforme economiche della fine del ventesimo secolo hanno portato la Cina lontano dal-

la povertà endemica e dal potere assoluto del Partito che hanno caratterizzato l’era di Mao Zedong: in sostanza, hanno migliorato il benessere dei singoli e lo standard di vita delle masse. La libertà economica individuale e alcuni privilegi sociali sono stati in parte sdoganati: una società civile ha iniziato a crescere, e le richie-

E c’è ancora una realtà politica ovvia agli occhi di chi la guarda. Il blocco di potere continua a voler mantenere il suo regime autoritario, rigettando ogni riforma politica. Questo si traduce in corruzione per i quadri, difficoltà nel mettere in pratica i principi di uno Stato di diritto, mancanza di tutela dei diritti della popolazione, perdita di etica, polarizzazione della società, uno sviluppo economico malato, danni all’ambiente e agli uomini che lo abitano, nessuna protezione sistematica dei diritti di proprietà e della sacrosanta spinta verso la felicità personale, continuo accumulo di conflitti sociali (ormai impossibili da contare) e l’aumento del risentimento popolare. In particolare, l’intensificarsi delle ostilità fra i dirigenti governativi e la popolazione ordinaria illustra la catastrofica perdita di controllo da parte dell’autorità e l’anacronismo nel mantenere questo attuale sistema politico.

I nostri concetti fondamentali Arrivati a questa storica congiuntura della storia della Cina, è necessario ripensare gli

La democrazia ha delle caratteristiche fondamentali: la legittimità dell’esecutivo, che viene dal popolo; l’eleggibilità del governo da parte dei suoi cittadini; il diritto di voto. Tutte cose che in Cina mancano ste per i diritti umani e per la libertà politica fra la popolazione crescono ogni giorno.

Chi è al potere – chi ha scritto e messo in pratica queste

ultimi cento anni di modernizzazione e riaffermare alcuni concetti. La libertà è il fulcro dei valori universali. I diritti di parola, di pubblicazione, di credo, di movimento, di asso-

ciazionismo e di sciopero rappresentano la realizzazione concreta della libertà. Se questa non fiorisce, non si può parlare di civilizzazione moderna. I diritti umani non sono incastonati nello Stato, e non nascono da questo: ogni persona ci nasce e ha il diritto di goderne.

Assicurare e garantire i diritti umani deve essere il primo obiettivo di ogni governo, di ogni autorità pubblica, soprattutto quando dichiara di “mettere il popolo al primo posto”. Tutte le calamità che hanno colpito la popolazione cinese negli ultimi anni sono strettamente correlati alla mancanza di rispetto dei diritti umani da parte delle autorità. L’uguaglianza è condivisa da ogni essere umano: non importa lo status sociale, il sesso, la situazione economica, il gruppo etnico di appartenenza, la religione, il credo politico o il colore della pelle. Ognuno è uguale in dignità e libertà. Il principio di uguaglianza davanti alla legge e alla società civile deve essere messo in pratica e poi difeso. Lo stesso vale per i diritti economici, politici e culturali. La forma repubblicana prevede un governo condiviso nella pace. E questo significa la decentralizzazione dei poteri e un bilanciamento degli interessi. Il significato base della parola democrazia è che la sovranità risiede nel popolo, che elegge il suo governo. La democrazia ha delle caratteristiche fondamentali: la legittimità del governo, che viene dal popolo; l’eleggibilità del governo da parte dei suoi cittadini; il diritto di voto, che prevede sia l’elezione del governo centrale che quello locale, di volta in volta in tempi stabiliti; le decisioni della maggioranza devono essere rispettate, mentre si proteggono i diritti basilari delle minoranze. In una parola, la democrazia è quello strumento che rende un governo “dal popolo, del popolo e per il popolo”. Il costituzionalismo è quel principio secondo cui vanno protette quelle libertà iscritte nella carta che costituisce una nazione, che voglia applicare un vero Stato di diritto. È tramite il costituzionalismo che si mettono dei giusti limiti ai poteri del governo. In Cina, l’era del potere imperiale è passata da molto tempo e non tornerà; nel mondo intero, i sistemi autoritari stanno scivolando ognuno verso la propria fine. L’unico modo per salvare veramente il nostro Paese è permettere ai suoi cittadini di guidarlo, tramite dirigenti onesti che abbiano una coscienza civica e vogliano mettere al centro i diritti della popolazione. Praticando vera libertà, democrazia e rispetto per la legge.


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Intellettuali, dissidenti, giornalisti: il documento che scuote la Cina è firmato da una significativa rappresentanza di tutta la società

Dal filosofo al contadino: ecco gli autori di Carta ’08 ntellettuali, giornalisti, ex membri del Partito comunista. Ma anche contadini, attivisti per i diritti umani e semplici cittadini cinesi “mossi da un vero senso civico”. Sono gli autori di Carta ’08, il documento pubblicato in queste pagine che chiede al governo cinese una svolta democratica, vera strada per una modernizzazione del Paese. Uno dei leader del movimento, e firmatario, è sicuramente Liu Xiaobo, professore di filosofia presso l’università di Pechino e da molti anni attivista per i diritti umani. Arrestato subito dopo la pubblicazione dell’appello, è sparito nel nulla: la polizia lo ha fermato nella capitale cinese e lo ha portato via. Nel corso della sua lunga carriera – nel corso della quale è stato anche definito “il primo presidente della Cina libera” – ha chiesto più volte al governo di rendere conto per le sue azioni «criminali nei confronti della popolazione». Dopo aver partecipato al movimento anti-corruzione e prodemocrazia culminato nel massacro di

I

I passi da intraprendere In linea con lo spirito che ci muove – quello di cittadini responsabili e costruttivi – proponiamo una serie di specifici passi da intraprendere. Il primo è emendare la Costituzione basandosi sui valori e sui concetti sovresposti. Si devono abolire quegli articoli che non sono in conformità con il principio secondo cui la sovranità è del popolo. Soltanto in questo modo, la Carta costituzionale puù veramente divenire un documento che garantisca i diritti umani e un uso appropriato del potere pubblico. La Costituzione dovrebbe essere la reale legge suprema per la Cina: inviolabile da parte di individui, gruppi o partiti. Il fondamento per la democratizzazione del Paese.

Vanno poi separati e bilanciati i poteri. Un governo moderno che compie questi passi garantisce una vera separazione fra il potere esecutivo, quello giudiziario e quello amministrativo. Bisogna stabilire il principio secondo cui si governa tramite le leggi. Bisogna fermare gli abusi di potere da parte dell’esecutivo, mentre il governo deve essere responsabile

piazza Tiananmen, è stato arrestato e torturato dalla polizia. Mo Shaoping, avvocato per i diritti umani, è entrato nella lista di Time come «uno degli eroi dell’Asia contemporanea».

Presta gratuitamente servizio e assistenza giuridica a contadini e operai dell’intera Cina, cercando di contrastare le decisioni dei governi locali. Questi, approfittando della connivenza delle varie sedi locali del Partito comunista, portano avanti da anni una politica di requisizione forzata dei terreni, scatenando decine di migliaia di proteste sociali ogni anno. Ding Ziling ha fondato e guida tuttora le “Madri di Tiananmen”, un gruppo formato da 128 familiari delle vittime della strage del 4 giugno 1989. Ding, professoressa universitaria in pensione, perse negli scontri il figlio 17enne, Jiang Jielian. Il bilancio di quel massacro non è mai stato pubblicato dal governo, ma organizzazioni internazionali indipendenti dicono che attorno alla piazza, nelle

nei confronti di chi paga le tasse. È a questi che deve rendere conto delle sue decisioni. L’autorità rappresentata dal potere centrale deve essere chiaramente definita nella Costituzione, e i governi locali devono essere pienamente autonomi.

È poi fondamentale democratizzare il processo legislativo.Tutti i livelli dei vari corpi legislativi dovrebbero essere eletti in maniera diretta. Mantenere i principi di correttezza e giustizia nel formulare le norme. A questo proposito, il sistema giudiziario dovrebbe essere indipendente e bipartisan, libero da ogni interferenza. Stabilire una Corte costituzionale e un sistema di revisione giuridico, che mantenga intatta l’autorità della Costituzione. Abolire il prima possibile, e a ogni livello, le Commissioni del Partito per gli affari politici e legislativi. Queste mettono in serio pericolo lo Stato di diritto. Evitare l’uso della cosa pubblica per fini privati. Le istituzioni pubbliche dovrebbero essere usate dal pubblico. Si deve realizzare la nazionalizzazione delle forze armate, che devono essere leali alla Costituzione e alla nazio-

vie laterali e nei giorni seguenti al 4 giugno sono stati uccisi alcune migliaia di persone. Fino ad oggi, Pechino non ha mai risposto alle “Madri” che, in ogni anniversario del massacro, chiedono una revisione storica del movimento e per questo vengono di fatto messe agli arresti domiciliari. Si unisce alla sua richiesta Bao Tong, ex leader del Partito da anni agli arresti domiciliari per essere stato contrario al massacro degli studenti, che chiede al governo di rendere pubblici eventi e motivazioni che hanno portato alla decisione di usare i carri armati per annientare il movimento democratico di allora. Le manifestazioni di studenti, operai e contadini che domandavano l’inizio della democrazia e la fine della corruzione, radunarono al tempo fino a un milione di persone.

La notte fra il 3 e il 4 giugno l’esercito è intervenuto sulla piazza con le armi e i carri armati uccidendo migliaia di persone. Altre migliaia sono

ne. Si deve alzare il livello professionale dei militari di professione, e garantire la neutralità delle forze di pubblica sicurezza. Si deve abolire la discriminazione basata sull’appartenenza al Partito: tutti i funzionari civili devono essere assunti senza alcun criterio politico. Si devono proteggere i diritti umani, salvaguardando prima di ogni cosa la dignità dell’essere umano. Deve nascere una Commissione per i diritti umani, responsabile dell’opinione pubblica nei confronti dei massimi livelli dell’autorità.

Questa si deve impegnare per fermare l’abuso di potere da parte del governo e le violazioni ai diritti umani. Ogni cittadino dovrebbe essere immune da arresti immotivati, incarcerazione preventiva, interrogatori disumani e punizioni eccessive. Il sistema della rieducazione tramite il lavoro dovrebbe essere abolita. Si deve rafforzare il sistema elettorale democratico, con la realizzazione del sistema “una testa, un voto”. Passo dopo passo si deve arrivare all’elezione di ogni livello amministrativo, che deve costruirsi su base regolare grazie alla libera competizione fra i candidati.

state arrestate. Di questi almeno 130 rimangono ancora in prigione. Bao Tong era al tempo assistente di Zhao Ziyang, segretario generale del Partito: insieme a lui si oppose alla decisione militarista proposta da Li Peng, soprannominato “il macellaio di Pechino”. Zhao venne costretto alle dimissioni (per morire dopo anni di arresti domiciliari) e Bao Tong arrestato. Li Datong è un giornalista cinese che in passato ha diretto il Bingdian (Freezing Point), un supplemento settimanale del quotidiano China Youth Daily, uno degli organi di informazione più influenti del Paese. Nel gennaio 2006 è stato licenziato per aver criticato la censura e l’influenza del Partito sulla stampa. In Carta ’08, è molto probabilmente l’autore della parte relativa alla censura e alla libertà di espressione. Tutti gli autori sono più o meno conosciuti dalla polizia. Al momento, sono tutti sotto osservazione da parte delle autorità, che ne hanno già arrestati cinque.

L’attuale sistema di registrazione, che distingue fra cittadini delle zone urbane e cittadini di quelle rurali, deve sparire. La libertà di movimento per tutti i cittadini deve essere protetta. [Al momento, il governo garantisce istruzione e sanità soltanto nei distretti di nascita, impedendo di fatto le migrazioni interne che si realizzano lo stesso, creando enormi disparità sociali ndT]. Va salvaguardato il diritto di ogni cittadino di associarsi. Attualmente, il sistema prevede un esame che precede l’approvazione alla creazione di nuove associazioni o gruppi civili: questo deve scomparire. Il bando sulla creazione di nuovi Partiti politici deve essere revocato.Tutte le attività partitiche devono essere regolate dalla Costituzione e dalle leggi: il monopolio del Partito comunista deve terminare. Il principio di liberalismo nell’attività politica deve diventare la base del confronto sociale. Le assemblee pacifiche, le proteste, le dimostrazioni fanno tutte parte di quella libertà di espressione, diritto fondamentale garantito dalla legge. Quindi, non è giusto che queste siano limitate da interferenze

illegali e da restrizioni incostituzionali decise dal Partito e dal governo. Sempre in quest’ottica devono essere aumentate le garanzie a difesa della libertà di parola, di stampa e di insegnamento. Il diritto di sapere le cose e di poterle supervisionare deve essere protetta, e deve poter valere per ogni cittadino. Il bando sulla pubblicazione e sulla stampa deve essere revocato, e contemporaneamente deve essere scritta una nuova legge sulla stampa.

L’articolo di procedura penale che punisce “l’incitamento alla sovversione dello Stato” [il famigerato art.155, che prevede l’incarcerazione preventiva, a piena discrezione della poliza, fino a tre anni per coloro che sfidano l’autorità ndt] deve essere abolito immediatamente. La libertà di religione e di credo deve essere protetta: religione e politica devono essere separate. Le attività religiose devono essere libere da ogni interferenza governativa. Tutti i regolamenti amministrativi che proibiscono la libera attività religiosa devono sparire: la gestione delle attività religiose da parte di corpi amministrativi dovrebbe essere


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proibito. Deve poi essere eliminato l’attuale sistema, che prevede l’approvazione del governo prima di poter costituire gruppi religiosi o luoghi di culto.

Aboliamo l’educazione politica e quegli esami così profondamente ideologici, servili alle regole del Partito unico. Vanno invece promosse l’educazione civica, che insegni quei valori universali e quei diritti civili che fondano gli Stati moderni, e la coscienza comune. In questo modo si promuoverà l’idea che una virtù civica serve al meglio lo Stato. Stabilizzare e proteggere i diritti di proprietà. Rafforzare un’economia di mercato aperta, che protegga la libertà d’im-

soltanto così si crea l’immagine di una grande, responsabile nazione. Proteggere i sistemi che regolano Hong Kong e Macao. Con la precondizione di libertà e democrazia, cercare un accordo per risolvere la questione dello Stretto di Taiwan, che deve risolversi grazie al negoziato e alla cooperazione. Esplorare ogni via e ogni disegno istituzionale per promuovere il mutuo rispetto fra le etnie, per stabilizzare una Repubblica federale cinese con la struttura democratica garantita dalla nuova Costituzione. Riabilitare la reputazione e elargire un risarcimento statale per le vittime delle persecuzioni politiche durante gli ultimi movimenti popolari e per le loro famiglie; rilasciare tutti i pri-

Senza distinzione fra dirigenti governativi e semplici cittadini, vogliamo unirci per promuovere insieme una trasformazione della Cina presa ed elimini il monopolio amministrativo. Rendere efficaci ed effettivi i diritti di creditori e debitori, iniziare una riforma agraria, migliorare la privatizzazione delle terre e proteggere i diritti di proprietà dei contadini.

gionieri politici, di coscienza e di religione; formare una Commissione storica con il compito di ristabilire la verità sulle tante tragedie che hanno colpito la Cina e rifondare la nostra società sui suoi risultati.

Conclusioni Stabilizzare i principi democratici nella finanza: i diritti di chi paga le tasse sono sacrosanti. Costruire un sistema pubblico finanziario e un effettiva divisione del potere in tutti i livelli, economici e politici. Riformare il sistema fiscale in modo da abbassare i tributi, semplificare il sistema di riscossione degli stessi e praticare una equità fiscale. I dipartimenti amministrativi non devono più avere il permesso di aumentare le tasse o crearne di nuove in maniera arbitraria, senza una consultazione pubblica e una risoluzione delle agenzie preposte. Passare delle riforme sulla proprietà, introdurre diversi soggetti di mercato e meccanismi competitivi, creando le condizioni per uno sviluppo delle banche private che diano nuovo slancio al sistema finanziario interno. Costruire un sistema di sicurezza sociale che sia una coperta per tutti i cittadini, a cui devono essere garantiti istruzione, sanità e impiego. Proteggere l’ambiente, promuovendo uno sviluppo sostenibile e assumendosi le proprie responsabilità nei confronti delle future generazioni e dell’umanità. Lo Stato e il governo devono rendersi conto di quello che fanno al mondo: per questo, si dovranno comprendere nel sistema di protezione ambientale anche organizzazioni civiche.

È importante mantenere la pace nella regione e svilupparsi in maniera equa e corretta:

La Cina è una delle grandi nazioni del mondo, uno dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e membro del Consiglio per i diritti umani. Alla luce di questo, deve contribuire alla pace per l’umanità e al progresso dei diritti umani. Ma, nonostante il disappunto dei suoi cittadini, questa grande nazione combatte ancora con uno stile di vita politico basato sull’autoritarismo. Il risultato di questo stato di fatto è che i diritti umani sono in crisi e la società allo sbando, il progresso è rallentato e il nostro cammino nel sentiero della civilizzazione è fermo. Questa situazione deve cambiare! La riforma politica verso la democrazia non può più essere rinviata.

È per questo motivo che noi, spinti da senso civico, pubblichiamo questa Carta ’08. Speriamo che tutti i cittadini cinesi che condividono con noi questo senso di crisi – ma anche questa responsabilità e missione – vogliano unirsi a questo movimento. Senza distinzione fra dirigenti governativi e semplici cittadini, vogliamo unirci per promuovere insieme una grande trasformazione della Cina. Soltanto in questo modo potremo stabilire una nuova nazione mondiale, che sia democratica e costituzionale e che possa rispondere ai sogni del nostro popolo. Un sogno che portiamo avanti da oltre un secolo.


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Intelligence. Dopo gli attacchi di Mumbai, il ministro Chidambaram annuncia le prossime misure anti-terrorismo

India, nuovi 007 cercasi di Luca La Bella

l governo indiano ha annunciato l’adozione di una serie di misure antiterrorismo per rafforzare le strutture di sicurezza interne in seguito agli attacchi di Mumbai. In ambito nazionale, il ministro dell’Interno Chidambaram ha specificato che le misure prevedono un inasprimento delle leggi anti terrorismo e la creazione di un’agenzia di intelligence ad hoc. Questi sviluppi di per sé non sorprendono, in primis perché il Congresso ha bisogno, in pieno periodo elettorale, di dimostrarsi duro e intransigente nei confronti del terrorismo, specie se intende impedire ai nazionalisti indù del Bharatiya Janata Party (BJP) di trarre beneficio dalla tragedia di Mumbai. Peraltro il governo Singh potrebbe pagare lo scotto di aver abrogato, appena insediato, le draconiane leggi antiterrorismo varate dal precedente governo del BJP diVajpayee. Non sorprende neppure che fra queste misure sia contemplata la creazione di un’agenzia investigativa con funzioni sia di contrasto dell’attività terroristica, sia di coordinamento dell’azione delle varie agenzie di intelligence federali, come la RAW e l’Intelligence Bureau (rispettivamente il servizio segreto esterno e interno del Paese), e delle unità antiterrorismo dei singoli stati.

I

Quest’ultimo annuncio da parte del neo incaricato agli Interni Palaniappan Chidambaram è particolarmente significativo dato che l’apparato di sicurezza indiano non viene riformato da decenni e versa in condizioni pessime. Storicamente la collaborazione fra agenzie è ostacolata da gelosie reciproche e la comunicazione tra enti federali e locali è pressoché nulla, come dimostrato dai

Tokyo: bancomat anti-crimine In Giappone è stato inventato un bancomat anti-crimine che crea intorno a sé uno speciale campo elettrico, mettendo ko i telefonini. È un’iniziativa hi-tech promossa da banca una giapponese per frenare le truffe allo sportello che colpiscono gli anziani, convinti da una telefonata ad andare allo sportello automatico per fare un versamento che finisce sul conto corrente del malvivente. Il congegno è costituito da una scatola che trasmettere onde elettriche che tolgono campo ai cellulari.

Attentato in Iraq, almeno 26 morti

Il ministro dell’Interno indiano Palaniappan Chidambaram, già titolare del dicastero delle Finanze, ha annunciato nuove misure anti-terrorismo in seguito agli attacchi di Mumbai I nuovi piani del governo per la sicurezza interna del Paese rappresentano quindi la realizzazione che l’India non può fare finta di nulla e tirare avanti con le sue lacune. Perché dopo Mumbai, come dopo l’11 settembre,“tutto è cambiato”. Volendo analizzare la natura delle singole misure prese da Delhi si comprende come esse siano di ampio respiro e come cerchino di supplire alle mancanze delle forze di sicurezza messe in evidenza dagli eventi di Mumbai. Oltre agli interventi citati, si parla di un au-

I provvedimenti prevedono un inasprimento delle leggi e la creazione di un’agenzia di intelligence che coordini l’azione dei diversi servizi segreti federali vari avvertimenti circa il rischio di attentati nella città di Mumbai (e in particolare all’Hotel Taj Mahal).Tutti ricevuti dalle agenzie preposte ma disattesi. Recentemente poi nello Stato del Kerala, uno degli arrestati, accusato di aver fornito le sim card per i cellulari del commando di fedayn che ha massacrato quasi duecento persone, si è rivelato essere un agente sottocopertura della squadra antiterrorismo della polizia del Kashmir – ulteriore riprova della scarsa competenza e collaborazione fra gli inquirenti indiani.

in breve

mento di personale per tutte le agenzie di intelligence, che operano cronicamente sotto organico e con carenza di fondi adeguati. La Marina indiana inoltre avrà il compito di organizzare un comando per il pattugliamento intensivo degli oltre 7.500 km di coste del Paese, per far fronte alla facilità d’infiltrazione via mare evidenziata dai fedayn di Mumbai. Le Forze Speciali, i Black Cats delle National Security Guards, vedranno raddoppiare il loro numero mediante la creazione di 20 scuole per le attività contro-insurrezionali e antiterrorismo, e potranno così ridurre sensibilmente i loro tempi di reazione, rispondendo così alle critiche di chi, pur lodando la loro professionalità, ne ha sottolineato la scarsa mobilità (il quartier generale dei Black Cats è a New Delhi). La riorganizzazione del-

l’apparato di sicurezza indiano non può che essere accolto positivamente sia in India, un Paese che è stato colpito da oltre 4.500 attacchi terroristici negli ultimi vent’anni, sia a livello mondiale, date le significative ripercussioni che Mumbai sta esercitando sul piano internazionale. D’altro canto, nel contesto del caleidoscopio etnico, linguistico e religioso della società indiana e dei considerevoli sforzi da parte del governo centrale per mantenere un delicato equilibrio fra le varie componenti sociali, l’inasprimento delle leggi contro l’eversione terroristica potrà invece risultare più controverso. D’altra parte l’abrogazione delle leggi anti-terrorismo del BJP, una sorta di Patriot Act indiano, da parte del governo Singh, era avvenuta sulla scia di significative rimostranze da parte degli ambienti liberali della società indiana e della minoranza musulmana, che di “minoranza” ha ben poco annoverando oltre 150 milioni di cittadini.

Peraltro, nel contesto elettorale, la tattica del BJP di sfruttare l’effetto degli attacchi di Mumbai per castigare il Congresso non sta dando i frutti sperati: dei cinque Stati che sono andati alle urne dopo Mumbai, il Congresso ha vinto in ben tre, inclusi Delhi e il Rajasthan, smentendo chi aveva ipotizzato un immediato calo nella performance elettorale del partito di Sonia Gandhi. Sul piano internazionale vale lo stesso. Sarà apprezzato il tentativo di potenziare le strutture di intelligence, ma un potenziale aumento dell’animosità etno-settaria per effetto di leggi anti-terrorismo troppo severe e potenzialmente discriminanti dei musulmani, in un Paese dai precari equilibri sociali, non può che far preoccupare tutti. Specialmente se ormai sul piano delle indagini, il dito resta fermamente puntato sul Pakistan, tacciato almeno ufficialmente, non di complicità diretta negli attacchi ma di aver chiuso un occhio, o forse entrambi, davanti alla pericolosità della militanza islamica che alberga all’interno dei suoi confini. *Analista Ce.S.I.

Un kamikaze si è fatto esplodere in un ristorante curdo a Kirkuk uccidendo almeno 36 persone e ferendone altre 70. Lo dice la polizia irachena. L’esplosione è avvenuta in un ristorante situato a circa 10-15 chilometri a nord di Kirkuk, città etnicamente mista dove, secondo la polizia, vi sono tensioni fra arabi, curdi e turcomanni. La strage ha colpito la citta’ irachena durante il ’ponte’ seguito alla festivita’ di Eid al-Adha, o Festa del Sacrifici

Ue: «Abusi in ospedali romeni» Il Consiglio d’Europa ha denunciato una serie di abusi negli ospedali psichiatrici della Romania. Ricerche biomediche condotte senza un palese consenso dei pazienti; uso dell’elettroshock, senza una previa anestesia o somministrazione di rilassanti muscolari, come invece previsto dai protocolli medici: questa la situazione stata riscontrata dal Comitato per la prevenzione della tortura dello stesso Consiglio e descritta in un rapporto pubblicato oggi.

Nobel Pace, aperto vertice a Parigi Il sindaco di Parigi Bertrand Delanoe e Walter Veltroni hanno aperto a Parigi il nono vertice mondiale dei Premi Nobel per la paAssente ce. per motivi di salute l’altro promotore del vertice, l’ex presidente sovietico Michail Gorbaciov, che ha inviato una lettera di solidarietà.


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La delegazione del Sistema per l’Integrazione del Centroamerica si incontra con esponenti del governo indiano. I membri del gruppo, che cercano di coordinare un’azione comune soprattutto in campo economico, cercano da anni di mantenere e migliorare i propri rapporti con i nuovi giganti economici dell’Asia

Proposte. I sette capi di Stato del Sica pensano alla moneta unica

Una “Maastricht” latinoamericana? di Maurizio Stefanini n realtà, contrariamente a quanto annunciato da qualche agenzia non è che sia proprio nata la moneta unica centro-americana, né avrebbe potuto nascere. Riuniti lo scorso sabato per il XXIII vertice del Sistema per l’Integrazione del Centroamerica (Sica), i sette capi di Stato e di governo della regione dovevano solo discutere l’adozione di un pacchetto di misure urgenti da adottare di fronte alla crisi mondiale. E l’accordo per la prossima moneta unica non è in realtà che una dichiarazione d’intenti nell’ambito di un più generale piano in ben 41 punti, tra i quali quello più urgente è semmai la creazione di un fondo comune per la garanzia del credito. Tant’è che non è neanche stato dato il nome che l’auspicata valuta dovrebbe

cana, Centroamerica e Stati Uniti negoziato tra 2003 e 2004 e partito nel 2006, ha visto i Paesi del Sica negoziare ognuno per conto proprio. Stanno dunque sia nel Cafta che nel Sica Guatemala, El Salvador, Honduras, Nicaragua e Costa Rica: ma Panama sta nel Sica e non nel Cafta, avendo raggiunto con gli Usa un accordo per un trattato di Libero Commercio a parte; sta pure nel Sica e non nel Cafta il Belize; e sta invece nel Cafta ed è solo associata al Sica la Repubblica Dominicana. Mentre Messico, Brasile e Cile sono “osservatori regionali” e Spagna, Germania, Taiwan e proprio da quest’ultimo vertice anche l’Italia hanno status di “osservatori extraregionali”. Variegata all’estremo è anche in questo momento la leadership politica dei vari

Il Sistema per l’Integrazione del Centroamerica lancia un piano in 41 punti, che mira alla creazione di un fondo comune per la garanzia del credito. In un bailamme politico

all’Alba. Il più a sinistra sarebbe invece quello di Panama, che però si è prestato alla manovra Usa all’Onu per impedire l’elezione del Venezuela di Chávez al Consiglio di Sicurezza. Altrettanto variegata è la politica monetaria, visto che addirittura El Salvador e Panama adottano il dollaro Usa come moneta ufficiale: accanto formalmente al colón e al balboa; ma il colón salvadoregno da quando nel 2000 fu decisa la dollarizzazione ha iniziato a sparire, e sin dall’indipendenza di Panama del 1904 il balboa esistito solo nella forma di alcune monete simboliche. Anche il Costa Rica e il Nicaragua sono però massicciamente dollarizzate, sebbene il colón costarricense e il Córdoba nicaraguense non siano mai stati formalmente affiancati in modo ufficiale. Il Belize in compenso ha un suo dollaro che si chiama come quello Usa ma ne è distinto, mentre mantengono una più spiccata identità il quetzal guatemalteco e il lempira honduregno. Ma anch’esse in un quadro di forte invadenza del biglietto verde.

avere. Il segnale politico però c’è, e importante. Nata addirittura nel 1951 come Organizzazione degli Stati Centro-Americani (Odeca), nel 1960 l’antenata del Sica creò addirittura quel Mercato Comune Centroamericano che rappresenta il più antico tentativo di imitare il modello dell’integrazione europea. Incappata nella tragicomica Guerra del Calcio tra Honduras e El Salvador del 1969 in seguito agli scontri tra i tifosi durante un’eliminatoria per la Coppa Rimet, poi ulteriormente rallentata dalle guerre civili degli anni ’70 e ’80, l’integrazione centroamericana riuscì comunque nel 1987 a raggiungere l’accordo in base al quale nel 1991 tenne la sua prima sessione il Parlamento Centroamericano: eletto a suffragio diretto sdagli elettori proprio come quello di Strasburgo. E nel 1993 è nato appunto il Sica. Ma il Cafta, Trattato di Libero Commercio tra Repubblica Domini-

Solo che questo, con la crisi, per il dollaro statunitense non è propriamente un momento di particolare prestigio. D’altra parte, vari economisti sostengono che una fuori uscita dalla stessa crisi impone una qualche forme di Bretton Woods III ispirato all’originario pensiero di John Maynard Keynes, con un paniere di monete diverse a fare da punto di riferimento: monete diverse che dovrebbero appunto essere regionali, e ispirate al modello dell’Euro improvvisamente rivalutato: anche la Danimarca dopo avervi detto no col referendum del 2000 sta ora pensando di entrarvi, visto il diverso atteggiamento dell’opinione pubblica nei sondaggi proprio in seguito alle più recenti evoluzioni. Anche in Sudamerica si pensa da anni a una moneta del Mercosur, e in Asia si discute di un Fondo Monetario regionale.

I

membri. A un estremo c’è infatti il Nicaragua del sandinista Daniel Ortega, che si è alleato strettamente a Chávez e a Cuba nell’Alba, ha stabilito strette relazioni con l’Iran, ed è pure stato l’unico al mondo a riconoscere l’indipendenza di Abkhazia e Ossezia: però mantenendosi nel Cafta con gli Usa, e pure mantenendo le relazioni con Taipei piuttosto che con Pechino stabilite dai precedenti governi di destra. All’altro estremo c’è l’El Salvador, con un governo di destra. In mezzo, gli altri cinque governi possono tutti essere considerati di centro-sinistra, molto moderato: i due più moderati quello di Costa Rica e Honduras.

Ma è stato proprio il governo del Costa Rica a scegliere di stabilire relazioni con la Cina invece che con Taiwan a differenza dei partner, mentre quello dell’Honduras si è arrischiato addirittura a aderire a sua volta

in breve Congo: governo non tratta coi ribelli Si sono bloccati i negoziati a Nairobi tra il governo della Repubblica democratica del Congo e i ribelli guidati da Laurent Nkunda: lo riferisce il mediatore nigeriano Onu, Olusegun Obasanjo, che addossa la responsabilità ai ribelli. Secondo il mediatore i ribelli vogliono discutere della situazione generale nel Paese e non solo nella regione del Kivu, Nord ma i loro portavoce non hanno poteri per chiudere l’intesa. Obasanjo ha chiesto a una delegazione di recarsi venerdì a Goma per incontrare direttamente Nkunda. I negoziatori dei ribelli da parte loro ribattono alle accuse: «Non possiamo rimanere allo stesso tavolo con un mediatore di parte», ha detto il portavoce Bertrand Bisimwa. Intanto arriva la conferma deli massacro avvenuto in Congo all’inizio di novembre, quando almeno 150 civili sono stati uccisi a Kiwanja. Lo denuncia Human Rights Watch, puntando il dito contro le forze ribelli ma accusando anche l’incapacità dell’Onu a proteggere i civili.

Atene, nuova giornata di scontri Ancora incidenti violenti in tre diverse zone di Atene: un gruppo di giovani si è scontrato con gli agenti in un istituto agrario e gruppi di manifestanti hanno preso d’assalto negozi e edifici pubblici nei quartieri di Nea Smyrni e Galatsi. La protesta continua incessante ormai da sei giorni, da quando sabato scorso un agente di polizia ha ucciso in circostanze controverse un ragazzo di 15 anni, Alexis Gregoropoulos. L’agente che ha sparato è nel frattempo stato formalmente incriminato per omicidio volontario: il giudice ha ritenuto credibile la versione della famiglia del giovane, secondo cui lo sparo è avvenuto ad altezza uomo e senza che vi siano stati particolari provocazioni, mentre la difesa del poliziotto aveva cercato di sostenere la tesi del colpo «di rimbalzo» che avrebbe configurato come accidentale la morte di Alexis.


spettacoli

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Lirica. Nell’estate 2007 l’opera riscosse meritata fortuna al festival estivo di Aix en Provence, direttore Pierre Boulez, regia di Patrice Chereau

Il “siciliano” Janácek Al teatro Massimo di Palermo, la prima esecuzione in lingua originale di Da una casa di morti di Jacopo Pellegrini iò che più colpisce all’ascolto di Z mrtvého domu, Da una casa di morti (a voler essere pignoli, Da una casa morta o della morte) ultima fatica teatrale intrapresa, ma non compiuta dal boemo Leós Janácek (18541928) nel biennio conclusivo di sua vita, è la riduzione ai minimi termini, se non a zero, che vi si compie dell’elemento propriamente musicale. Le componenti essenziali del lessico restano, in sostanza, gli stessi di sempre, incisi aforistici (chiamarli temi o melodie in senso stretto sarebbe improprio) trattati in ostinato, vale a dire ripetuti identici, o con varianti ritmiche e/o timbriche, per ampie sezioni; e una scrittura vocale intenzionalmente anticanora, modellata com’è sulle intonazioni specifiche della lingua parlata. Stavolta però, calate dentro a un testamento artistico (anziano e ammalato, Janácek sapeva di essere agli sgoccioli), queste peculiarità linguistiche si presentano sotto forma estremistica, distillate scarnificate depurate.

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L’assenza quasi totale degli spunti lirici rintracciabili negli spartiti precedenti (dove, per quanto brevi e rattenuti – o proprio perché tali? –, sortiscono l’effetto di palle scagliate in pieno petto) sembra voler suggerire un corrispettivo udibile delle peripezie agite sulla scena. Meglio, non agite. In Da una casa di morti non è dato imbattersi in un punto irradiante, in uno o più protagonisti: l’arrivo e la partenza dal carcere siberiano del “prigioniero politico” Aleksandr Petrovic Gorjancikov vale solo a ritagliare una porzione circoscritta e casuale (l’arco cronologico copre all’incirca un semestre) nel solco oscuro immodificabile infinito della segregazione. La circolarità simbolica riafferma l’ineluttabilità di una vita sempre uguale a se stessa, in cui tanto l’ingresso e l’uscita d’un compa-

gno di sventura, quanto la duplice pantomima teatrale organizzata da alcuni internati nel giorno di Pasqua, fungono a mala pena da parentesi temporanea in una catena ininterrotta di violenza abiezione pati-

Ciò che più colpisce è la riduzione ai minimi termini, se non a zero, che si compie dell’elemento propriamente musicale menti fisici e morali. La mancanza di un dramma coerente e seguìto certifica, in realtà, il dramma d’una mancanza, la mancanza di libertà. Congedatosi Gorjancikov, celebrata in coro la liberazione del-

l’aquila tenuta in gabbia dal Prigioniero Grande (al pari di altri personaggi, privo di nome proprio e individuato solo attraverso le caratteristiche fisiche; in sostanza, semplici funzioni del tema portante, la cattività), i forzati si riavviano al lavoro al suono d’una marcia.

Potrebbe durare in eterno questa marcia, meccanica e indifferente com’è; con essa, senza indurre alcun barlume di

speranza, si chiude l’opera.Tale almeno era l’intenzione dell’autore e così in effetti avviene nell’edizione critica della partitura curata intorno al 1980 da Charles Mackerras e John Tyrrell, i più devoti avvocati di Janácek ai tempi nostri, l’uno dal podio, l’altro negli studi musicologici.

Alla stesura originaria (e non al rimaneggiamento realizzato in vista della prima – Brno 1930 – da due allievi del compositore) si è rifatto anche Gabriele Ferro, concertatore al Massimo di Palermo di quella che, salvo errori, dovrebbe essere la settima esecuzione italiana di Da una casa di morti, nonché la prima in veste e lingua originale prodotta “in casa” da un teatro della penisola. Nell’estate 2007 l’opera riscosse immensa, meritata fortuna al festival estivo di Aix en Provence, direttore Pierre Boulez, regia di Patrice

Chereau, e codesto allestimento dovrebbe (condizionale d’obbligo in tempi di tagli) giungere alla Scala nella prossima stagione. Degli interpreti palermitani, non pochi erano gli stessi visti a Aix; tra questi l’indifeso e stupefatto Aljeja (il giovinetto del Dagistan, protetto e istruito da Gorjancikov) di Erik Stoklossa, in forma invero meno strepitosa di allora, al pari di Peter Straka, Skuratov provato sul piano vocale. Otti-

In questa e nella pagina a fianco, alcune immagini dell’opera di Leós Janácek “Da una casa di morti”, attualmente al teatro Massimo di Palermo. Questa è la settima esecuzione italiana, ma la prima in veste e lingua originale

mo acquisto Kay Stiefermann, Gorjancikov; magnifico Stefan Margita (Filka, noto nel campo come Luka); imponente Siskov, Pavlo Hunka; molto bene Alan Oke (Sapkin) e pressoché tutte le fitte, e delicatissime, parti minori, nonché la sezione maschile del Coro filarmonico di Praga, diretta da Lukás Vasilek. Trattandosi d’un testo corale, senza emergenze di “primi uomini” (una sola donna – una prostituta – è nel cast, a meno

di non affidare Aljeja a una voce femminile, giusta un’alternativa indicata da Janácek), equilibrio e affiatamento sono requisiti necessari e sufficienti.

L’Orchestra del Massimo suda le proverbiali sette camicie per far fronte alle complessità ritmiche e d’intonazione sparse a piene mani dall’autore: se non a testa alta, dalla terribile prova ne esce con onore. Né sarebbe giusto rimproverare a


spettacoli casi “terreni”, tutti invariabilmente coronati da un delitto. Così è anche nello spartito: una sfilza di monologhi – Luka nell’atto I, Skuratov al II, Sapkin e Siskov al III, in almeno due casi introdotti (Skuratov) o disseminati (Siskov) di esclamazioni fatiche per invitare gli astanti a porgere ascolto, sempre punteggiati da domande e commenti a latere –, isolano i personaggi e, al tempo stesso, li costringono a misurarsi con un uditorio, quasi istrioni dinanzi a un pubblico.

La spinta metateatrale è fortissima lungo tutti e tre i quadri (a Palermo giustamente eseguiti senza pause), non per nulla gli assoli prevedono l’imitazione delle varie voci implicate nei fatti narrati (anche con emissioni in falsetto o artefatte), non per nulla il centro topografico e cronologico del plot è occupato dalla recita pasquale, protagonisti Don Giovanni, Leporello (alias Kedril) e la bella mugnaia della tradizione popolare russa (la stessa celebrata in prosa e in musica da Gogol’, Cajkovskij e Rimskij Korsakov). Pountney pone in evidenza la dimensione pubblica delle narrazioni e, al contempo, la separatezza dei narranti, soli sia come indivi-

Ferro quella tal mancanza d’incisività (Presto nel Preludio) o l’appiattimento delle dinamiche tra il mezzoforte e il fortissimo; la barra del timone sempre salda tra le mani da un capo all’altro della partitura impone scelte e rinunce.

In Sicilia si è ripreso lo spettacolo creato una diecina d’anni or sono all’Opera nazionale gallese dal regista David Pountney (uno specialista

di teatro musicale ceco), con scene e costumi di Maria Björnson, luci di Chris Ellis. Decisione inoppugnabile. La fonte letteraria trasposta in libretto, spesso alla lettera, dallo stesso Janácek – sarà ormai chiaro a tutti che stiamo parlando delle Memorie da una casa di morti scritte tra il 1860 e il ’62 da Dostoevskij – ruota attorno a una serie di racconti: uno per uno i “morti” si avvicendano per rievocare i propri

dui (i movimenti ossessivi e autistici di Siskov durante l’atto I) sia come gruppo (l’ostentata indifferenza manifestata dal comandante, dal pope e dagli altri ospiti ‘liberi’ verso gli sforzi teatrali dei carcerati). In un tale stato di cose il linguaggio fisico e verbale non trova altro sbocco al di fuori della violenza, e sulla scena, difatti, è tutto un succedersi di gesti brutali, per lo più gratuiti.

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L’angolosa petrosità di tante idee musicali, gli scarti dinamici repentini contribuiscono senza dubbio a stabilire un’atmosfera carica di tensioni e angosce, tanto che è abbastanza frequente imbattersi in esegesi che in quest’o-

pera ravvisano una profezia dei campi di concentramento e degli stermini di massa prossimi venturi. Ora, è innegabile che in Da una casa di morti i materiali sonori di origine folklorica, associati volentieri a citazioni di proverbi canzoncine e filastrocche, perdano ogni traccia di sorgività e bonomia, modellandosi piuttosto sul passo inesorabile e feroce delle marce e contribuendo al tono complessivo, tra l’ipnoti-

co e il sinistro; eppure, la musica non riesce ad adeguarsi fino in fondo al pessimismo connaturato agli esiti delle umane vicende.

Aljeja, sotto la guida di Gorjancikov ha imparato a leggere e scrivere e dal Vangelo apprende il valore del perdono, tuttavia alla fine resta ‘abbandonato’ dal suo mentore; Gorjancikov, liberato, se ne parte dimentico di tutto e di tutti,

pronunciando parole intonate a un generico umanitarismo; Luka muore; Skuratov è definitivamente impazzito; Siskov, riconoscendo nel cadavere di Luka il suo acerrimo nemico Filka, non sa perdonare ma è impotente: la sconfitta non potrebbe essere più completa, su tutti i fronti. Janácek, al contrario, non può vietarsi di nutrire una speranza, il suo punto di vista coincide con quello del Prigioniero Vecchio, quando, a proposito di FilkaLuka, proclama: «Anch’egli ebbe una madre». Non sbagliano davvero Franco Pulcini (massimo studioso italiano del musicista) e lo stesso Pountney a ricordare, sul programma di sala del Massimo, una dichiarazione scritta dell’autore: «Penetro nell’animo dei prigionieri e vi trovo la scintilla di Dio». Ciò che udiamo in Da una casa di morti è sicuramente musica del Novecento, più ambigua e opaca di quanto Janácek ci abbia abituati; ma, come sempre in lui (a dispetto di tutti gli apporti ‘libertari’ ispirati dal melos popolare in termini di quadratura fraseologica, ritmo, armonia), il senso della direzione tonale resta inequivoco, riposo necessario dopo

tanto vagare nelle tenebre. In almeno due occasioni un canto – strozzato finché si vuole ma canto – fa capolino: nel solo di violino (frammento di un concerto mai completato) durante il Preludio e nel breve coro che, quasi alla fine, celebra il volo dell’aquila. Uno spiraglio di salvezza, una luce lontana ma limpida agli estremi di un cammino accidentato. Per continuare a credere nell’Uomo, sempre.


spettacoli

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Cinema. Il conflitto israelo-palestinese nel Giardino di Limoni, il nuovo film di Riklis in uscita oggi nelle sale

Gli alberi della discordia di Mario Accongiagioco

uò un Giardino di limoni risolvere la guerra millenaria tra Israele e Palestina? La risposta arriva dal nuovo film di Eran Riklis in uscita oggi nelle sale italiane. Salma Zidane vive in Cisgiordania, ha 45 anni ed è rimasta sola: il marito è morto e i figli sono andati via. L’unica cosa che le resta è il giardino di limoni, eredità di un padre mai dimenticato. Quando, però, il ministro della Difesa israeliano diventa suo vicino di casa, le guardie del corpo, ritenendo il giardino un ottimo nascondiglio per eventuali attacchi terroristici, pretendono l’abbattimento degli alberi per motivi di sicurezza.

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Salma non accetta risarcimenti in denaro e vuole difendere con ogni mezzo il suo piccolo mondo, suo unico sostentamento e sue stesse radici, fino a intraprendere le vie legali. Non sarà sola. Oltre al suo avvocato - un trentenne divorziato con cui nascerà un legame particolare - Salma trova anche l’aiuto della moglie del ministro che, stanca della sua vita solitaria, per gli impegni del marito, diventa complice della vicina. Il regista Eran Riklis ripropone in chiave diversa gli stessi temi del precedente La sposa siriana dove, nella fattispecie, il matrimonio era l’argomento dei dissi-

di tra Israele e Siria come lo è il conflitto “condominiale” tra Israele e Palestina nel Giardino di limoni. «Non esistono molti film dedicati ai giardini – ha spiegato il regista al Festival di Torino -. Di solito quando si racconta Israele si parla di ulivi. Io ho voluto usare una pianta diversa, ugualmente molto presente, ma più “leggera” dal punto di vista storico». Riklis non cerca una soluzione, ma una riflessione: «La mia intenzione era rendere l’ultima sequenza rappresentativa del film. Il ministro si affaccia alla finestra e vede solo il muro: come tutti noi è imprigionato nel suo pensiero che non si sforza di andare oltre, così come il suo sguardo non può vedere al di là della sua casa». I quattro personaggi principali sono ben delineati e interpretati. Hiam Abbass plasma una protagonista fragile, distrutta dagli accadimenti della vita, e al tempo stesso molto determinata a difendere il suo giardino, in realtà se stessa, perché quel giardino è l’unica cosa che le rimane e senza di quello scomparirebbe anche lei. Doron Tavory interpreta Israel Navon, il ministro della Difesa, testimone di un grande potere ma vigliacco nel dover prende-

re decisioni: «I servizi segreti li vogliono abbattere e io mi fido di loro». Ipocrita e pronto a sfornare frasi sagge per poi dimostrare la lontananza da simili prese di posizione: «Non c’è soluzione, in 3000 anni nessuno l’ha trovata». Rona Lipaz-Michael è Mira Navon. Si schiera dalla parte di Salma, ma apparentemente il suo ruolo è organizzare lussuose feste di ricevimento per il marito (che preferisce la cucina arabo-palestinese a quella ebraica) e arredare la nuova casa, cercando di riempire quei vuoti

glia del primo ministro. È però anche una faccia della medaglia dell’emigrazione: ha vissuto in Russia, si è sposato, ha avuto una figlia, ha divorziato, è tornato in patria. L’altra faccia di una ricerca di libertà che invece ha trovato il figlio di Salma, felicemente trasferitosi in America, dove «è più facile vivere». Il film, prodotto dalla casa indipendente Teodora, affronta, anche se in maniera abbastanza superficiale, diversi punti della realtà mediorientale. La posizione sociale della donna che cerca un’emancipazione ancora in conflitto con le tradizioni del passato. Salma è vedova ma non può avere altri uomini. E la foto con lo sguardo inquietante del defunto marito è un espediente ironico a testimonianza di una società arrogantemente patriarcale. Situazioni che confermano stati di solitudini evidenziati anche dai lunghi primi piani sugli sguardi delle due donne, come un filo invisibile che unisce i loro destini. L’opera di Riklis mette continuamente in evidenza le contraddizioni di un Paese sconvolto da una guerra assurda e come le tensioni politiche abbiano aumentato paure e sospetti nei

Brava la protagonista Hiam Abbass. La sceneggiatura lascia però un gusto retorico politically correct e poco contorno che in realtà sono dentro di lei (a causa della continua assenza del marito). La moglie del ministro rappresenta anche la volontà di entrambi i popoli che la situazione cambi.

Ali Suliman dà corpo a Ziad Daud, il giovane avvocato determinato ad aiutare Salma e a far trionfare la sua ambizione: «Se vinciamo noi, vince l’intera nazione palestinese». È anche il simbolo di un mondo grottesco, pieno di contraddizioni. Instaura un legame con Salma, ma preferisce la fi-

cittadini. «Il giardino di limoni rappresenta una minaccia reale e immediata per la casa del ministro e per lo Stato di Israele» annuncia la tv nel film. Il regista non risparmia la critica anche ai mezzi d’informazione, tramite esplosivo fra politici e popolo. E la capacità di sfruttare ogni insignificante episodio per crearne un caso mediatico rivela l’inaffidabilità del sistema informativo.

Il film ha avuto molti riconoscimenti soprattutto grazie all’attrice protagonista. Al premio del pubblico al Festival di Berlino hanno fatto seguito le nomination alla sceneggiatura e all’attrice agli European Film Awards e la partecipazione all’ultimo Film Festival di Torino. Ma dalla pellicola di Riklis ci si aspettava di più perché alla fine resta un senso retorico politically correct a cui si aggiunge poco contorno. Senza parlare dell’idea di base già di per sé abbastanza debole: il ministro si accorge del giardino solo dopo essersi trasferito. La costruzione del muro di Israele, il recinto del giardino di limoni, il coprifuoco che blocca la strada sono le immagini di una sceneggiatura ostinata che vuole togliere le barriere di un conflitto senza fine. Forse, però, c’è uno spiraglio…


cultura

12 dicembre 2008 • pagina 21

profani conoscono a malapena (e per sentito dire) il trattato scritto da Karl von Clausewitz nei primi decenni dell’Ottocento. Occorre già un minimo di competenza per ricordare Sun Tzu e l’Arte della guerra che risale al VI secolo avanti Cristo: un testo cinese, accomunato per saggezza e spessore filosofico all’opera di Confucio. Oppure una passione per i classici per scovare – nell’archivio della memoria – un ponderoso saggio storicopolitico di Niccolò Machiavelli, che ha lo stesso titolo del suo antenato cinese.

I

Savoia, era indispensabile per fronteggiare il nemico nel migliore dei modi. Oggi non è più così. Eppure, spiega Ilari, «la fine della guerra fredda ha liberato i mastini della guerra calda». Risultato: nell’ultimo ventennio si è verificata un’impressionante esplosione qualitativa e quantitativa degli studi militari in tutto l’Occidente. «Ciò è avvenuto anche in Italia», precisa Ilari, «ma purtroppo in modo anarchico e per iniziative parcellizzate, perché nel frattempo il sistema Paese è collassato insieme con la capacità di produrre governo e cultura.

Pochi immaginano quanto sia estesa la letteratura militare, e quanto continui ad ampliarsi ancora oggi. In Italia esistono 15 biblioteche militari (a Torino, Milano, Padova,Verona, Venezia, Modena, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Cagliari e Palermo), tutte dipendenti dal ministero della Difesa: la maggior parte sono biblioteche presidiarie con dotazioni di 510mila volumi e non tutte realmente aperte al pubblico. La maggiore è la Biblioteca Centrale Militare di Roma che dispone di 250mila volumi. Da qualche settimana è stata inaugurata una nuova biblioteca, a Varallo (in Valsesia), che è l’unica pubblica a gestione civile, costruita e ordinata secondo una rigorosa classificazione scientifica, con lo scopo programmatico di coprire (con un aggiornamento continuo) ogni campo disciplinare relativo allo studio della guerra e delle istituzioni militari di tutte le epoche e di tutte le nazioni del mondo. Il promotore e l’animatore di questa istituzione è il

Né l’Università né gli Stati Maggiori italiani sono stati in grado di reggere minimamente il passo e il confronto, finendo per autoescludersi dal circuito internazionale del pensiero. La Biblioteca di Varallo intende supplire a questo colossale disastro della cultura militare italiana, ricostituendo un principio di ordine e di aggregazione scientifica agli studi militari che in Italia si sono comunque sviluppati in modo fecondo, pur se in mezzo a enormi difficoltà pratiche, per meritoria iniziativa di migliaia di studiosi e di entusiasti. Gli studi militari sono oggi più essenziali che mai per comprendere la complessità delle relazioni internazionali contemporanee e anche per impostare la politica militare e di sicurezza». Oltre ai volumi del professor Ilari, la biblioteca ha accolto cinquemila volumi donati dalla vedova del colonnello Ferruccio Botti, e settemila volumi donati dall’Ufficio Storico della Marina Militare. Ilari si è inoltre impegnato ad accrescere il fondo

Libri. Spopola in tutto l’Occidente la passione per le strategie della guerra

Il boom (poco italiano) delle biblioteche militari di Massimo Tosti (Armed Forces and Society, War in History) e internazionali (Military Balance, SIPRI, Chaillot papers), nonché delle maggiori enciclopedie (Enciclopedia Militare, International Military and Defense Encyclopedia) e include opere rare come la prima traduzione francese del Sun Zi-Bingfa (del gesuita Amiot, 1782), le collezioni tedesche Militaer Geo-

graphie e Heere un Flotten e la rivista della Kriegsmarine Nauticus, decine di annuari militari francesi, austriaci e inglesi a partire dal Settecento e circa 500 opere di strategia e arte militare dai classici greco-romani a oggi, incluse tutte quelle di autori italiani».

La biblioteca è sorretta da una Associazione Amici della

BMI che dispone di un proprio sito web (bibliomil.com) e organizza cineforum su film di guerra e una summer school di studi strategici e storia militare a partire dalla prossima estate, tiene contatti con tutte le biblioteche e tutti i musei militari italiani e stranieri e finanzia borse di soggiorno per studiosi e laureandi non residenti in Valsesia. L’Associazione assicura

Sparse sul territorio ne esistono quindici. Da poco è stata inaugurata quella di Varallo (in Valsesia), l’unica pubblica a gestione civile. Il promotore Ilari: «Noi purtroppo ci siamo autoesclusi dal circuito internazionale» inoltre, con il sistema del volontariato, i servizi di biblioteconomia e apertura, nello spirito auspicato dal ministro Bondi, di supplire con l’iniziativa privata ai tagli di bilancio subiti dal ministero. professor Virgilio Ilari, docente di storia delle istituzioni militari dell’Università Cattolica di Milano, che ha contribuito con un fondo di circa 13mila volumi. Varallo è stata scelta grazie alla mediazione culturale e al mecenatismo di Carlo Rastelli, presidente del consiglio della Biblioteca Civica di Varallo nonché storico e facoltoso industriale della Valsesia. La biblioteca, racconta Ilari, «è dotata dei maggiori periodici italiani (Antologia militare, Rivista militare, Rivista Marittima, Rivista Aeronautica, Limes, Storia Militare, Studi storico-militari, Bollettino d’archivio della Marina eccetera), americani

Nell’ultimo secolo, la tecno-

A fianco, il professor Virgilio Ilari, esperto di strategia della guerra e promotore della nuova biblioteca militare inaugurata di recente a Varallo (in Valsesia). Sopra, alcune immagini delle riviste e dei gadget del settore

logia ha completamente rivoluzionato le caratteristiche della guerra. Questo potrebbe indurre a ritenere che lo studio del passato sia diventato superfluo. Ancora nell’Ottocento, la conoscenza approfondita delle strategie adottate in campo aperto da Annibale, o da Giulio Cesare, o dal duca di Marlborough e dal principe Eugenio di

con i propri futuri acquisti e con la riproduzione cartacea di oltre 4mila volumi di pubblico dominio diffusi online dai siti www.google.books e www.gallica.bnf.fr. Il Fondo Militare, catalogato da Alexander Sivak sotto la direzione di Carlo Rastelli, è stato ordinato in quattro grandi sezioni: Lo studio della guerra (opere di storia militare generale, strategia, arte, tecniche e scienze militari, geografia, geopolitica, sociologia, economia, politica, teologia, comunicazioni sociali, studi di genere); Storia militare antica e medievale; Storia militare italiana; Storia militare estera.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale

dal ”Wall Street Journal” del 10/12/2008

Quando lo Stato diventa giocatore di Christopher Cox e il presidente della Sec interviene dalle colonne dell’autorevole Wall Street Journal, vuol dire che un segno è stato oltrepassato. La Security exchange commission (una specie di Consob americana, ndr) fu creata nel 1934, sull’onda dei disastri causati dalla Grande Depressione. Il suo scopo era quello di agire come arbitro indipendente, nella sfrenata corsa delle attività di lucro e nel metodo con cui si auto-finanziavano sul mercato azionario.

S

La sua attività non doveva sostituire il mercato o diventare un giocare all’interno del campo di gioco. La Sec doveva stabilire i confini precisi fra l’intervento del governo federale e il mercato dei capitali. Da quel momento in poi il mercato si sarebbe sottoposto al controllo federali per le frodi e le malversazioni. Registrazioni dei titoli e rilascio delle licenze agli operatori si sarebbero rese necessarie, ma sempre seguendo i binari dell’intervento minimo. Nel corso degli anni e per correzzioni successive, l’agenzia si è data tre obiettivi principali: la protezione degli investitori; il mantenimento del mercato entro i confini dell’equità e dell’equilibrio; la promozione della creazione del capitale. Dei traguardi perfettamente in linea con le leggi dello Stato, che prevedono che lo Stato abbia solamente un ruolo ausiliario nel recinto del mercato. Efficiente, trasparente e libero da frodi, così dovrebbe essere mantenuto il mercato, attraverso alcuni meccanismi di controllo che la Sec ha interpretato nel rispetto delle leggi federali. Ma il dna dell’America è legato ai concetti di proprietà private e libertà individuale. È questo lo spirito con cui si devono in-

terpretare regolamenti e normative. La Dichiarazione d’indipendenza americana è un attestato della lotta contro qualsiasi abuso del potere di uno Stato nei confronti del cittadino. La Costituzione è un perfetto meccanismo di bilanciamento dei poteri, per ridurre il potere del governo nei confronti degli individui. Ma oltre che per gli ideali di libertà, l’enfasi sulla proprietà privata ha delle ragioni di ordine pratico: funziona. Solo con la singola valutazione dei liberi imprenditori è possibile creare una crescita economica forte, dinamica e costante, utilizzando le scarse risorse che sono reperibili in una società complessa come è la nostra. La decentralizzazione della catena decisionale, in campo economico, sulla base della regola del prezzo, è la miglior garanzia del buon funzionamento del mercato. L’America è diventata grande grazie a questo sistema che si è dimostrato migliore rispetto agli altri che la storia ha permesso di mettere alla prova. Naturalmente i mercati finanziari sono tutt’altro che perfetti, in particolare sono geneticamente soggetti ai cicli economici delle bolle speculative. Ci sono i dati storici, lungo 400 anni di attività economica, a dimostrarlo. Per questo ci sono i meccanismi di protezione della Federal reserve e della federal deposit insurance.

Chiaramente si sono dimostrati non adeguati ad evitare l’ultima crisi. Qualsiasi sarà l’approccio della nuova amministrazione, dovrà ricordarsi i principi base del sistema, che vede lo Stato arbitro e il mercato giocatore. Mantenendo la giusta distanza del primo dal secondo, per non confondere i ruoli.

Se così fosse, con un governo arbitro e giocatore, la partita sarebbe truccata, con conseguenze catastrofiche per tutti. Oggi il governo statunitense è diventato il maggiore azionista del sistema bancario e finanziario nazionale. Ciò significa che tutti questi istituti sono soggetti al controllo del Congresso, così inevitabilmente stanno prendendo piede politiche di sviluppo e investimento che i banchieri intuiscono possano essere gradite al Parlamento.

Si sta così attuando una prima distorsione dei meccanismi dell‘economia. Per questa ragione è importante che il governo renda chiaro il fatto che questo tipo d’interventi sia a tempo, con un limite ben preciso. Definire una exit strategy dell’interventismo statale è quindi fondamentale, per ristabilire, quanto prima, quei meccanismi di crescita economica che hanno sempre garantito prosperità e sviluppo all’America.

L’IMMAGINE

Di nuovo il caso Fazio: ma quando privatizziamo questa benedetta Rai? Il Presidente della Repubblica ha elogiato il programma di Fabio Fazio: “Che tempo che fa”. Senza nulla togliere al giudizio positivo di Napolitano e alla trasmissione“faziose”, mi verrebbe da dire che in Rai fa sempre lo stesso tempo: nuvoloso con rischio di precipitazioni. Ora, dopo un po’ di sereno variabile, lo spazio di Fabio Fazio è di nuovo nel mirino e il presentatore, sententosi protetto anche grazie al giudizio del Quirinale, si difende dicendo: «Non prendo ordini dalla politica. Non è lei il mio editore». La posizione di Fazio potrebbe anche essere condivisibile, però resta il fatto che in Rai si prendono ordini proprio dalla politica e, per meglio dire, dai partiti e, ancora peggio, dai capi e capetti dei partiti. E, naturalmente, stiamo parlando della cosiddetta televisione di Stato o pubblica. Per far finire questa farsa non c’è altra strada che quella di privatizzare questa benedetta Rai: tra la privatizzzione partitica e quella aziendale e del mercato è senz’altro molto meglio quest’ultima.

Emilio Sant’Angelo

PER ESSERE FELICI È NECESSARIO NON SAPERLO È bello il periodo natalizio finalmente imbiancato di neve. È piacevole anche con la sua sfrenata voglia di banalità, ma quest’anno la crisi qualche freno lo mette. I negozi sono pieni di stracci di marca mentre la gente vive una depressione collettiva ascoltando gli economisti, profeti di pessimismo secondo i quali il peggio deve ancora venire. «Ma Berlusconi vuole che acquistiamo, come si fa? Non sarà un’imprudenza?» Gravi sono i dubbi delle casalinghe azzurre. Ma anche le casalinghe rosse hanno le loro incertezze: «Se Berlusconi vuole che spendiamo, per ripicca risparmio tutta la tredicesima e non faccio regali a nessuno». Prima ci volevano deprimere raccontandoci

che muoiono le balene e le tartarughe, gli orsi sono sempre più rari, la carne potrebbe avere la diossina e l’ozono fa il buco sempre più grande mentre le mucche danno segni di pazzia. Ora dipingono nubi piene di carestia e miseria, insomma, non ci danno mai quiete. Certo le banche mondiali ci hanno fatto un brutto scherzo, un enorme grattacapo, l’economia indubbiamente condiziona la società, però chiediamoci più in generale che cosa ci sta succedendo? Un tempo eravamo un buon paese, che aveva fiducia in sé, pieno di speranza e dinamismo, ora è stracolmo di debolezze. Siamo stati narcotizzati da decenni di benessere ora tutto diventa catastrofe nazionale, impreparati ad affrontare le avversità, come se, dopo la sensazione di un’eterna

Testuggini nervose «Chiudi quella boccaccia!» sembra che stia dicendo la più aggressiva all’altra. Queste due tartarughe nane, invece, dovrebbero essere contente. Dopo molte disavventure sono finite nelle mani sicure degli attivisti della Peta. Chissà se anche loro vivranno a lungo come Adwaita, una tartaruga indiana di oltre 200 chili morta due anni fa dopo un’esistenza da record: 250 anni

sicurezza, vivessimo l’incubo di un ritorno alla paura, alla miseria. Io non so quali siano veramente le cause delle nostre paure, però, occorre un po’ di ottimismo e, come diceva persino Pessoa, «Per essere felici è necessario non saperlo», quindi potremmo anche vivere una felicità collettiva senza rendercene conto.

Angelo Rossi – Milano

I LAVORATORI AUTONOMI: PRECARI PER SCELTA Espongo un appello a favore dei lavoratori autonomi. Troppo spesso in giro si sente dire che sono una categoria privilegiata. Viene fatto un paragone con i lavoratori dipendenti utilizzando in modo errato un unico parametro: il reddito medio. Secondo questo assioma, i lavoratori autonomi guadagnano

in media di più e quindi vivono una vita agiata. Si dimentica però che il lavoratore autonomo è esposto ogni giorno al rischio di mercato. Non percepisce un introito sicuro e quindi è un precario a tutti gli effetti.Versa completamente i contributi pensionistici non avendo un’azienda alle spalle… insomma, non sono tutte rose e fiori.

Enzo Del Vecchio


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dai circoli liberal

SEGUE DALLA PRIMA

La Gelmini rimandata a settembre di Giancristiano Desiderio

Qualcosa, però, resta. Che cosa? I famigerati tagli previsti nella Finanziaria. È inutile stare a girare intorno alla cosa: si tratta di una sconfitta. Per il governo, sicuramente. Ma - ecco il paradosso - anche per la stessa opposizione di sinistra perché i provvedimenti della Gelmini non sono nati sotto un fungo, ma negli uffici di viale Trastevere dove si sono alternati ministri di destra e di sinistra. In quei provvedimenti c’è una continuità esemplare e la bocciatura da parte dell’opposizione e il ripensamento del governo (che ora dice di voler fermare le bocce e discutere con sindacati, famiglie, studenti) è semplicemente un film già visto innumerevoli volte e si chiama «impossibilità di riformare la

scuola secondaria». Non è per nulla un caso, infatti, che nella storia della Repubblica non ci sia mai stata una vera riforma della scuola: è stata sempre annunciata - a partire addirittura da Gonella - ma non è stata mai fatta. Perché? Nella sostanza per due ordini di motivi. Il primo politico: i partiti hanno utilizzato la scuola per altri fini e l’hanno appaltata ai sindacati. Il secondo culturale: perché non è stata mai realmente pensata la centralità della scuola secondaria - come invece era avvenuto sia con Casati sia con Gentile - che è stata lasciata al suo destino di svuotamento di senso ad opera della società di massa.

ACCADDE OGGI

LA VIRTÙ CRISTIANA E GLI INTERESSI DI CASSA Caro direttore, con piacere sfoglio il nostro liberal, così ricco di argomenti e di interventi di chiare radici cristiane. Sono anche abbonato a Famiglia Cristiana, convinto della bontà del giornale impegnato a sostenere le famiglie. Con rammarico, quindi, devo segnalare che, se la redazione e gli articoli rispecchiano la dottrina della Chiesa o quantomeno il messaggio evangelico, altrettanto non si può dire delle forme pubblicitarie che invadono ormai il giornale. Comprendo le numerose necessità e i ricavi che porta la pubblicità, ma credo sia necessaria una maggior attenzione ai messaggi che trasmettono. Mi auguro che la virtù cristiana prevalga sugli interessi di cassa

Luca Rossetto

NO ALLE SPECULAZIONI SÌ A SERIETÀ E IMPEGNO Sicuramente il bailamme mediatico-politico-sindacale sollevato intorno alla tragedia dell’acciaieria Thyssen non giova all’Italia e a Torino in particolare. Certamente il dramma ha provocato dolore senza rimedio e i responsabili devono essere puniti.Tutto il resto è teatro, speculazione vergognosa e inutile. Ogni azienda straniera ci penserà cento volte prima di iniziare un’attività nel nostro Paese. Il sindacato non ha ancora capito che in epoca di globalizzazione scioperi, cortei e picchetti servono solo a indurre le aziende a fuggire. C’è una sola strada: serietà, produttività, impegno.

Luca Tarati

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

12 dicembre 1901 Guglielmo Marconi riceve il primo segnale radio transoceanico 1913 La Gioconda viene recuperata a Firenze, due anni dopo essere stata rubata dal Louvre da Vincenzo Peruggia 1915 Il presidente della Repubblica cinese Yuan Shikai si autodichiara Imperatore dell’Impero cinese, ristabilendo la monarchia 1925 - Reza Pahlavi prende il controllo dell’Iran come Scià 1963 Il Kenia ottiene l’indipendenza dal Regno Unito 1969 Strage di Piazza Fontana nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura di Milano: 16 morti e 88 feriti 1979 La Rhodesia cambia il suo nome in Zimbabwe 1996 I governi di Bangladesh e India firmano un accordo bilaterale per disciplinare l’uso delle acque del fiume Gange 2000 La Corte Suprema degli Stati Uniti emette la sua decisione nel caso George W. Bush contro Al Gore, decidendo le elezioni presidenziali del 2000

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Francesco Rositano, Enrico Singer, Susanna Turco Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio,

Le stesse modalità di riforma e la parola riforma è qui assolutamente impropria - testimoniano che ogni tentativo di cambiamento è vano. Il governo, da quanto si capisce, presenterà un nuovo testo che sarà sottoposto ai sindacati, alle famiglie, agli studenti e così, dietro la parvenza della democraticità, inizierà un tira e molla che sarà la più realistica dimostrazione di come mettere mano a un sistema scolastico storicamente finito è solo una fatica di Sisifo. La responsabilità della Gelmini (e dei suoi predecessori)? No saper parlare alle istituzioni e agli italiane per dire: signori, la scuola è finita, o ricominciamo con un nuovo sistema o chiudiamo bottega.

IL RISVEGLIO DEI GIUDICI Improvvisamente i giudici si sono detti «Yes, we can»: L’amministratore delegato della Thyssen viene mandato a giudizio per omicidio volontario; il responsabile dell’investimento e della morte di Alessio e Flaminia viene condannato per omicidio volontario a dieci anni di carcere; e, finalmente, l’ergastolo ai coniugi di Erba. Spero che i prossimi passi siano innanzitutto la certezza della pena ma anche la condanna e l’espulsione di tutte quegli stranieri che hanno provocato seri danni alla società.

Lettera firmata

FUGA DI CERVELLI Sono padre di un giovane ricercatore che volendo realizzare le sue capacità e coltivare i suoi interessi è dovuto andare negli Stati Uniti. Fosse rimasto in Italia si sarebbe trovato un posto da ricercatore, ma da ricercatore del nulla. Credo si debba fare una seria riflessione: il problema non riguarda solo i posti per i giovani ricercatori, la ricerca deve essere completamente rilanciata. Posti per ricercatori meritevoli ma in assenza di strumenti per fare una ricerca utile e di valore, sarebbero solo un insulto all’intelligenza.

Dario Meneghetti

APPUNTAMENTI LA RIUNIONE NAZIONALE DEI CIRCOLI LIBERAL PREVISTA OGGI SLITTA A VENERDÌ 16 GENNAIO 2009 ROMA - PALAZZO FERRAJOLI - ORE 11

ATTIVAZIONI

TETTAMANZI E LE MOSCHEE Visro che l’arcivescovo Dionigi Tettamanzi è filo islam, non perda tempo: si converta e apra una moschea.

Duccio Castelli

Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

A CHIARE LETTERE L’articolo 1 del Decreto Legislativo 16 Aprile 1994, n.297 (Testo Unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione relative alle scuole di ogni ordine e grado) sancisce: «1. Ai docenti è garantita la libertà di insegnamento intesa come autonomia didattica e come libera espressione culturale del docente. 2. L’esercizio di tale libertà è diretto a promuovere,attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni». La libertà d’insegnamento finalizzata alla crescita dell’individuo, sotto il profilo personale e sociale, si realizza quindi attraverso la promozione culturale e nel rispetto della autonomia dell’azione dei docenti. La risoluzione del Parlamento europeo circa la libertà d’insegnamento nella Comunità europea approvata il 14 Marzo 1984, stabilisce che gli Stati membri debbano rendere possibile l’esercizio del diritto alla suddetta libertà anche attraverso investimenti finanziari. Aggiungo che le Istituzioni preposte hanno l’obbligo di predisporre gli strumenti e i mezzi necessari per favorire il libero sviluppo della cultura, sia essa finalizzata all’apprendimento sia essa concepita come veicolo per formare cittadini capaci di poter interagire con i complessi processi della globalizzazione. A voler poi considerare i recenti provvedimenti legislativi in Italia, la manovra finanziaria per il triennio 2009-2011, per realizzare l’obiettivo di riduzione di spesa, ha individuato le seguenti principali linee di intervento nel settore dell’istruzione: 1) ridefinizione del dimensionamento della rete scolastica; 2) aumento del rapporto numerico alunni/docenti; 3) revisione dei parametri che definiscono l’assegnazione dei docenti e del personale Ata agli Istituti; 4) riduzione dell’orario scolastico in tutti gli ordini e gradi d’istruzione. C’è da chiedersi, a questo punto, se in un simile contesto sia ancora possibile collocare la libertà di insegnamento al centro di un progetto per la scelta di percorsi più idonei al raggiungimento degli obiettivi dell’apprendimento. Questa è la vera sfida che la scuola oggi deve affrontare ed è opportuno che lo Stato cominci a partire dalla base, dall’incentivare la formazione e la ricerca come fattori primari di sviluppo e di superamento di problemi sociali ed economici. Raffaele Grimaldi PRESIDENTE CIRCOLO LIBERAL CARDITO (NA)

IL COORDINAMENTO REGIONALE DELLA CAMPANIA VERSO LA COSTITUENTE DI CENTRO HA ATTIVATO IL NUMERO VERDE PER LE ADESIONI: 800910529

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e di cronach

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PAGINAVENTIQUATTRO Intelligence. Le nuove sfide rendono sempre meno facile il ruolo della company

Hanno messo in liquidazione la

CIA di Pierre Chiartano

ntelligence e codice penale. Le “barbe finte” americane” stanno vivendo dagli anni Novanta una continua transizione. La Cia è ormai una nave arenata nelle secche di Washington, distrutta da scandali – a cominciare da quello di Aldrich Ames, analista del controspionaggio, condannato per tradimento nel 1994 - ma soprattutto dal grande cambiamento strategico del dopo guerra fredda. Allora funzionavano le operazioni “sporche” perché l’interesse nazionale era perseguito attraverso la deroga dalle leggi, specialmente all’estero. Con l’entrata nell’evo del terrorismo diffuso, la musica è cambiata. Si è passati dal vecchio modello di intelligence ad un nuovo approccio, che avvicinava il lavoro delle spie a quello di supporto alla giustizia. Law enforcement, come dicono oltre Atlantico. Un tempo il nemico era individuabile in una controparte ben definita e “militarizzata”.

I

Le spie si potevano eliminare, anche fisicamente. Col terrorismo della «base» e la rete in franchising che è diventata al Qaeda, è cambiato tutto. Serve portarle in tribunale, quindi produrre prove utilizzabili nelle aule giudiziarie. Sempre più spesso il terrorista è solo un fan che s’improvvisa kamikaze, dopo un brevissimo addestramento. Il campo in cui si muovono i servizi è sempre più camuffato all’interno di apparentemente innocue attività civili, dentro le vite di privati cittadini. Serve muoversi con maggiore cautela nel rispetto delle leggi. Al contempo la determinazione e la rapidità di manovra non sono certo diminuite. Pensate solo al caso in cui si debba bloccare un attentato, prima che venga commesso. Servono prove che diano la certezza della fattibilità dell’azione. Serve una “finezza” legale nelle azioni muscolari, mai richiesta in precedenza. Per questo genere d’attività le squadre di “cavernicoli” non sono proprio adatte. Così, già da diversi anni, sono gli uomini gun&badge dell’Fbi che hanno cominciato a pestare il prato della Cia all’estero. Il finanziamento delle operazioni fuori dai confini nazionali, un tempo proibite alla creatura di J. Edgar Hoover, ha cominciato a crescere, sempre a

danno degli uomini di Langley. E tutte le volte che il Congresso era sul punto di approvare una legge per trasferire soldi e competenze dalla Virginia a Quantico (sede del Federal bureau of investigation), succedeva qualcosa di imbarazzante per la Cia. Non ultima la vicenda Abu Omar. Non sono mancati neanche i libri di ex agenti, a rincarare la dose e a facilitare il compito di riforma attuato dalla politica, come nel caso di Robert Baer, un veterano dell’ufficio Medio Oriente di Langley. Con la sua storia della “compagnia” ne ha descritto la parabola di-

scendente dai fasti — prodotto del passato, e primordi dei ”ragazzi di Donovan” — della guerra fredda fino ai “casini” del Medio Oriente, Kurdistan e Libano, tanto per citare due esempi (La disfatta della Cia). In una recentissima intervista rilasciata a le Figaro entra con i piedi nel piatto della vicenda iraniana. «La nuova amministrazione della Casa Bianca non farà nulla senza prima consultare Israele», prefigurando la possibilità che la soluzione sia quella del grande baratto. La leva dell’interessa che farebbe premio su tutto il resto. «Negli ultimi trent’anni qualsiasi misura d’embargo ha mai funzionato», continua Baer, scettico rispetto ai metodi classici della diplomazia coercitiva.

Col terrorismo in franchising di al Qaeda è cambiato tutto. Il lavoro dei servizi deve essere utilizzato anche nelle aule giudiziarie: le agenzie saranno più “law enforcement“ che ”barbe finte”

Un approccio che distingue il regime dal Paese, che «le classi giovanili iraniane hanno un livello di cultura ben superiore a quello dei Paesi arabi». In pratica, Baer introduce l’elemento «complessità» nel gioco dell’intelligence. E qui entra il secondo protagonista che oltre all’Fbi, ha guadagnato terreno nell’ultimo decennio: l’intelligence militare. Molto diversa da quella del passato, ha subito riforme continue fino a produrre un’impronta culturale che ha reso molti esponenti con le stellette più politici dei politici, più attenti all’importanza delle componenti non militari per il raggiungimento degli obiettivi. In pratica il ruolo conquistato dai militari lo puoi capire se comprendi un fenomeno come quello del generale David Petraeus. Abituati fin dalla prima guerra del Golfo a sforzi logistico manageriali e strategici da guinness dei primati, non potevano non metter a frutto tanta esperienza. La struttare si chiama Defence intelligence agency (Dia) ed è nata il primo ottobre del 1961 è composta da 8mila uomini tra civili e militari. È a disposizione del segretario alla Difesa e del capo degli Stati maggiori riuniti è ha dato una mano nella stesura dei concetti del surge. Se ne parla poco perchè è perennemente al lavoro.


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