ISSN 1827-8817 81217
Se l’atto di libertà assoluta
di e h c a n cro
è scrivere un libro, l’atto di alienazione assoluta è pubblicarlo
9 771827 881004
Jean Cau
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA
di Ferdinando Adornato
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
“Atto di indirizzo” del ministro Sacconi a tutte le strutture pubbliche e private
Alimentate Eluana! Il governo batte un colpo
UN PARTITO ALLO SBANDO
Il tracollo elettorale. La “grana” Di Pietro. L’attacco della magistratura in Abruzzo e Basilicata. Le contestazioni interne sempre più forti. Sta già finendo la stagione del leader del Pd?
di Antonella Giuli nterrompere la nutrizione e l’idratazione delle persone in stato vegetativo persistente non è legale per le strutture pubbliche e private del servizio sanitario nazionale». L’atto di indirizzo che il ministero del Lavoro ha inviato ieri alle Regioni è arrivato proprio nel giorno in cui un’indiscrezione rivelava il nome di una clinica, «La città di Udine», dove Eluana Englaro potrebbe terminare i propri giorni. E mentre ieri liberal chiedeva al governo di battere un colpo sui temi della bioetica, nello specifico sull’introduzione in Italia della pillola abortiva Ru486, il ministro Sacconi di fatto ha smentito il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto, che sul Corriere della Sera aveva dichiarato: «L’Italia deve uniformarsi al resto del mondo», definendo quanto meno «ridicola» l’ipotesi contraria.
«I
Sos Veltroni
se gu e a p ag in a 11
Crisi, Tremonti apre a Bersani
alle pagine 2, 3, 4 e 5
di Francesco Pacifico a pagina 7
Carla Bruni, Rachida Dati e Rama Yade
Parigi piange la caduta delle Sarkozettes di Gennaro Malgieri elle e impossibili. Stelle cadenti del firmamento sarkozyano, quando nessuno se lo aspettava. La seduzione con loro aveva fatto irruzione nella politica francese. Non era già abbastanza glamour con Carla Bruni all’Eliseo. Il Presidente che non s’è mai fatto mancare nulla, poteva risparmiare sul fascino che intrigantissime donne cooptate nel firmamento della Quinta Repubblica avrebbero conferito all’esercizio del suo potere? Affascinanti lo saranno ancora per molto, anche quando il velo del tempo si stenderà sui loro corpi e la giovinezza sarà un ricordo: gli occhi da soli illumineranno i loro volti per sempre attraenti. E ricorderanno di essere state impossibili da gestire per chiunque vi si sia provato.
B
s eg u e a pa gi n a 1 2
Anniversario del 1938: il Pd gli dà ragione mentre i cattolici lo attaccano
La “provocazione”di Fini «La Chiesa non contestò le leggi razziali»: ed è polemica di Riccardo Paradisi
ROMA. «L’ideologia fascista non spie-
tico terreno del dibattito storico-politiga da sola l’infamia delle leggi razziaco italiano, caldo ancora delle polemili». Quando Gianfranco Fini pronunche sul presunto silenzio di Pio XII cia queste parole, la platea della sala sulla Shoah e della ferma presa di podella Regina a Montecitorio dove si sizione delle gerarchie vaticane. Il cartiene una celebrazione dei settant’andinale Tarcisio Bertone, Segretario di ni della promulgazione in Italia delle Stato vaticano, dichiarava poche settileggi razziali, trattiene il fiato: tutti mante fa che la discussione sul prehanno capito, a questo punto, che il sunto silenzio di Pio XII, imputato di presidente della Camera ha in canna insensibilità di fronte alla Shoah, è un’altra di quelle dichiarazioni che «strumentale, come indicano con chiaproducono terremoti culturali e politirezza le sue origini radicate nella proGianfranco Fini ha puntato il dito ci. E infatti: «C’è da chiedersi – prosepaganda sovietica già durante la guersul silenzio della Chiesa a proposito gue Fini – perché la società italiana si ra, una propaganda poi travasata in delle leggi razziali del 1938 sia adeguata, nel suo insieme, alla lequella comunista durante la guerra e ha sollevato così molte polemiche gislazione antiebraica e perché, salvo fredda e infine rilanciata dai suoi epitalune eccezioni, non siano state registrate manifestazioni goni». Curioso che tra gli epigoni oggettivi di questa vulgaparticolari di resistenza. Nemmeno, da parte della Chiesa ta ci sia oggi i leader di An. cattolica». Parole che calano come un macigno sul magmas e gu e a p ag in a 1 8
segu2008 e a pag•inEaURO 9 1,00 (10,00 MERCOLEDÌ 17 DICEMBRE
CON I QUADERNI)
• ANNO XIII •
NUMERO
242 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
pagina 2 • 17 dicembre 2008
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Sos/1. Situazione infuocata all’interno del partito democratico in vista della resa dei conti fra le varie anime
Il venerdì di passione
I dalemiani preparano un colpo di teatro fra due giorni alla direzione Le procure e l’insuccesso elettorale in Abruzzo assediano Veltroni di Antonio Funiciello
ROMA. Se contro il Partito democratico si ci mette pure il mitico capitano Ultimo (al secolo tenente colonnello Sergio De Caprio, immortalato in televisione da Raul Bova) l’aria che tira dalle parti del Nazareno da pesante si fa irrespirabile. I domiciliari richiesti nell’operazione guidata da Ultimo per il deputato lucano Pd ex Margherita Salvatore Margiotta, esponente di primo piano del partito locale, sono arrivati come un fulmine in un cielo già di suo parecchio tempestoso. Fanno il paio, difatti, con l’arresto del sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso, segretario regionale del Pd abruzzese, anche lui ex Margherita, dopo la disfatta del partito di Veltroni al voto regionale seguito al terremoto giudiziario di mesi fa che aveva decapitato la giunta regionale a guida democratica. Pare quasi che l’anelato ricambio generazionale ai vertici del Pd, in assenza di un dibattito interno che ne discuta modi e tempi e di un’iniziativa politica vera che lo realizzi, lo stiano praticando i giudici. Non proprio un percorso lineare, sembrerebbe. Al Nazareno per lo meno sono di questo avviso, se a ogni intervita rilasciata (buona ultima quella su L’Espresso in edicola) il braccio destro di Veltroni, Giorgio Tonini, ripete che è indispensabile produrre un’immissione di nuovo personale politico soprattutto nelle amministrazioni locali. Sta sbiadendo definitivamente il ricordo di quella stagione dei sindaci che a metà anni Novanta aveva fatto vanto di sé reclamando innovazione, competenza e moralità. Tra la magistratura italiana e l’immondizia napoletana quel ricordo scolorisce nell’ombra del presente e s’infittisce di odori nauseabondi. Alla necessità che richiama a ogni pie’ sospinto Tonini, è probabile risponda Veltroni nel suo intervento alla Direzione nazionale di venerdì, ritornando magari su quella di-
In rete l’appello «Per ripartire», molto critico con la segreteria
Il pm John Woodcock chiede l’arresto per Salvatore Margiotta
I nuovi veleni del Texas italiano ROMA. L’amministratore delegato di Total Italia, Lionel Levha, è stato arrestato ieri nell’ambito di un’inchiesta della Procura di Potenza per tangenti sugli appalti per estrazione di petrolio in Basilicata: coinvolto anche il deputato del Pd Salvatore Margiotta, per il quale sono stati disposti gli arresti domiciliari. La misura di detenzione domiciliare per il parlamentare potrà, tuttavia, essere eseguita solo se la Camera dei Deputati darà l’autorizzazione. La relativa richiesta è stata subito presentata. Le misure cautelari sono state disposte dal gip di Potenza Rocco Pavese, su richiesta del pm Henry John Woodcock. La custodia in carcere riguarda, oltre all’ad di Total Levha, anche Jean Paul Juguet, responsabile Total del progetto «Tempa Rossa» (così si chiama uno tra i più grandi giacimenti petroliferi della Basilicata), attualmente all’estero; Roberto Pasi, responsabile dell’ufficio di rappresentanza lucano della Total e un suo collaboratore, Roberto Francini. È stata anche disposta la detenzione in carcere dell’imprenditore Francesco Ferrara, di Policoro (Matera), e del sindaco di Gorgoglione (Matera) Ignazio Tornetta. Arresti domiciliari, invece, oltre che per Margiotta, anche per altre tre persone, e obbligo di dimora per altri cinque indagati. I reati contestati, diversi da persona a persona, sono associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e alla turbativa d’asta (con riferimento specifico agli appalti dei lavori per le estrazioni petrolifere), corruzione e concussione. Il gip ha inoltre disposto varie perquisizioni, che sono tuttora in corso, e il sequestro di numerose società. La posizione di Margiotta è particolarmente delicata: gli sarebbero stato promessi duecentomila euro da Francesco Ferrara, uno degli
imprenditori coinvolti nell’inchiesta sugli appalti per il petrolio in Basilicata, in cambio di un suo interessamento per favorirlo. Margiotta, poi, avrebbe fatto valere il suo potere e la sua influenza di parlamentare e di leader del Partito democratico della Basilicata per favorire l’aggiudicazione degli appalti alla cordata capeggiata da Ferrara. Inoltre, si sarebbe impegnato a fornire informazioni privilegiate al gruppo di imprenditori e a fare pressioni sui dirigenti della Total, società titolare di una delle concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi della Val d’Agri, in Basilicata. «Lo stupore e l’amarezza sono enormi; più grande è la certezza di non aver commesso alcun reato»: così Salvatore Margiotta ha commentato la richiesta di arresti domiciliari. «Questa consapevolezza - ha aggiunto il parlamentare - mi dà la forza di affrontare la sofferenza di questi momenti e mi infonde fiducia. La verità non potrà che emergere, spero prestissimo. Per evitare il coinvolgimento del Pd, il partito in cui milito e che amo, mi autosospendo da tutti gli incarichi a livello nazionale e regionale». Inoltre, Margiotta ha annunciato che domani, quando alle 9,15 si riunirà la Giunta «spiegherò ai miei colleghi di non aver commesso nessun reato. Non svolgerò - aggiunge - nessuna attività di lobby presso i colleghi deputati e spero anche che tutti parlino solo dopo aver visto le carte che, fra l’altro io ancora non ho visto». Quanto alla Giunta, Margiotta si augura «che si esprima nel più breve tempo possibile».
scontinuità col passato ch’era stata la traccia del discorso del Lingotto. Quella discontinuità che doveva essere l’opportunità per il lancio di un nuovo gruppo dirigente di marca veltroniana, è diventata una necessità: cambiare classe dirigente, prima che a cambiarla ci pensino i giudici.
Alla Direzione di venerdì si parlerà di questo e d’altro. Tuttavia se è chiaro che Veltroni cercherà di riprendere il filo d’Arianna smarrito, per uscire dal labirinto in cui si è cacciato insieme al suo partito, non è altrettanto chiaro come i suoi oppositori interni intendano muoversi. Non tanto ovviamente Parisi e i prodiani, tacitati dalla vittoria del loro candidato alle primarie bolognesi, in virtù del sostanziale appoggio dato dal Nazareno al pupillo di Prodi Flavio Delbono. Ma di certo i dalemiani, chiamati dopo le polemiche sul caso Villari e il pizzino di Latorre a uscire allo scoperto e dichiarare i punti di rottura rispetto alla linea e alla leadership di Veltroni. Nei giorni appena trascorsi, in preparazione della Direzione, si è assistito ad un movimento caotico degli uomini di D’Alema, che hanno diversamente reagito all’annunciata accelerazione del segretario in carica. L’opzione di un voto contrario sulla relazione di Veltroni è la meno contemplata: si tratterebbe di sconfessare pubblicamente il leader del partito e, viste le attuali condizioni politiche, andare a congresso prima delle amministrative. Un percorso incoerente rispetto alle dichiarazioni comuni rilasciate e troppo impegnativo per una componente, quella dalemiana, che schiacciata com’è a sinistra non avrebbe nessuna possibilità di uscire vincitrice da un’assise congressuale. Più probabile una cauta e collaborativa astensione, anche se verrebbe fatalmente interpretata come l’anticipo della dichiarazione di guerra al congresso previsto per l’autunno prossimo, quanto non di un disimpegno alle prossime amministrative. Ai dalemiani, già lungamente accusati di intelligenza col nemico, non gioverebbe il rafforzamento di
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Per Macaluso il Pd «continua a rifugiarsi in spiegazioni fasulle»
«Il progetto è fallito, Walter lo ammetta» colloquio con Emanuele Macaluso di Errico Novi
ROMA. Perseverare nell’errore? In questo caso forse non è diabolico, dice Emanuele Macaluso: è umano, comprensibile, ma non per questo meno deleterio. Il Partito democratico è nato a partire da un equivoco di fondo, dalla fusione di due apparati (intesi come apparati di potere locali e nazionali) e senza un progetto consistente, in assenza dei presupposti politico-culturali necessari. L’ex direttore dell’Unità, forse il più autorevole tra gli intellettuali di riferimento che hanno subito bocciato il progetto del Pd, non può far altro che ribadire l’analisi sostenuta dall’inizio. Il segretario sostiene che bisogna liberarsi delle zavorre: il Pd, dice, perde ogni volta che il passato gli si aggrappa ai piedi. E quale sarebbe questo passato? Nel caso dell’Abruzzo la riedizione della vecchia alleanza di centrosinistra: il Pd insieme con la sinistra massimalista, oltre che con Di Pietro. Come si può ridurre l’analisi a questo? Lo chiediamo a lei. Devo dire che il segretario del Partito democratico suscita persino un sentimento di comprensione. Si tormenta come nel letto di Procuste. Ogni volta si gira da una parte, individua una spiegazione, poi si rigira dall’altra parte e trova un altro motivo. Forse sarebbe il caso di fermarsi e affrontare il vero nodo. Forse Veltroni lo avrebbe già fatto, se solo avesse individuato il nodo. Eppure è semplice: la vera questione è che è nato male il partito, è stato fondato senza che vi fosse una base politicoculturale. È l’intero progetto ad essere sbagliato, insomma, non l’attuale leadership. Basta guardare a quanto succede nelle regioni. Non si è fatto altro che mettere insieme due apparati, ma non nel senso classico del termine: sono due apparati di potere locali, con interessi particolari quando non individuali. Finché non si ammette l’errore di partenza sarà la cronaca a imporsi con il suo inesorabile responso. Vedi i casi dell’Abruzzo, di Firenze, di Napoli, della Calabria. E adesso persino della piccola Basilicata. Sono tutte prove eclatanti che andrebbero colte con onestà. E invece Veltroni se la prende con il “vecchio”, ogni volta si affida a una spiegazione fasulla. Chi
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l’ha siglata l’alleanza con Di Pietro? Chi ha fatto parte della vecchia coalizione? E chi ha voluto proporla in Abruzzo per queste elezioni regionali? Sembra sempre che siano stati altri a compiere le scelte. Ci si rifugia in questa sorta di continuo disconoscimento. In una spiegazione fasulla, appunto. D’altra parte a questo punto è difficile compiere il percorso all’incontrario. Purtroppo è così: non possono andare né avanti né indietro. Non possono sviluppare la linea attuale perché si è dimostrata perdente, né si può tornare ai Ds e alla Margherita. È una situazione di stallo molto pesante. Gli avversari interni del segretario non sono pochi, D’Alema sarebbe sul punto di presentare una mozione venerdì prossimo. Si riduce troppo spesso la questione del Pd al dualismo tra Veltroni e D’Alema. Mi sembra davvero un falso problema. Anche perché D’Alema è stato in prima fila quando sono state compiute le scelte decisive. Così come Fioroni, Marini e gli altri.Tutti hanno partecipato alla creazione di un partito privo di presupposti politico-culturali. E nessuno ora vuole prendere atto della realtà, proprio perché è corresponsabile. Nessuno si è chiesto in tempo che cosa era davvero diventata la Margherita, per esempio. Allo stesso modo in cui si sono chiusi gli occhi sulle degenerazioni che attraversavano i Ds sul territorio. Si è detto: mettiamoci insieme e nascerà una cosa nuova. E perché mai dovrebbe nascere qualcosa di nuovo, dalla semplice somma di due apparati? Dalle elezioni abruzzesi esce sconfitto non solo il Pd, ma forse anche quella idea di bipartitismo di cui Veltroni si è fatto promotore. Non abbiamo due partiti ma due coalizioni. Come si fa a dire che il Popolo della libertà costituisce un unico partito? Tra quelli che ne fanno parte alcuni si definiscono socialisti, altri liberali, altri ancora si paragonano alla destra storica. Forse il modello della vecchia Dc, costruito su correnti in conflitto tra loro che si davano il cambio, era più onesto. Sì, forse anche per il Pd sarebbe meglio questo, una federacome zione, qualcuno aveva ipotizzato all’inizio.
Sono stati messi insieme due apparati di potere senza un progetto politico né culturale. Era logico che le cose andassero a finire come sono andate...
Walter Veltroni. A destra, Emanuele Macaluso. Nella pagina a fianco, Salvatore Margiotta: la procura di Potenza ha chiesto al Parlamento l’autorizzazione per gli arresti domiciliari una percezione, giusta o meno, senz’altro diffusa nel corpo del partito.
Un’ipotesi di posizionamento polemico nei confronti di Veltroni è però rappresentata anche da un documento-appello circolato nelle ultime settimane e rimbalzato on line sul blog www.perripartire.ilcannocchiale.it. Promosso dai dalemiani Cuperlo e Pollastrini, già dal suo titolo («Per ripartire», appunto) segnala stigmatizzandola la fatica che fa il Psd a uscire dalla secca in cui è incappato per colpa, evidentemente, del suo manovratore. Il documento mette in discussione alcuni punti essenziali della linea politica veltroniana: la vocazione maggioritaria, il federalismo fiscale, il dialogo col mondo cattolico, l’atlantismo oltre l’Europa. Nel documento non si prospettano strade alternative ai limiti riconosciuti: ci si limita a chiedere su questi nodi un chiarimento attraverso un discussione politica che non parta da posizioni precostituite e superi il dualismo Veltroni-
D’Alema, anche se nessuno dei due è naturalmente mai citato. Forse un po’ poco da parte di chi in passato ha comunque espresso la linea politica e la guida dei Democratici di Sinistra. Pur tuttavia il documento rappresenta l’unica critica elaborata a Veltroni in vista della Direzione di venerdì prossimo e se 54 tra deputati e senatori sono un numero che non impressiona, è anche vero che tra loro si annoverano nomi e cognomi non dalemiani. L’ipotesi di trasformare il documentoappello «Per ripartire» in un testo da far votare congiuntamente alla relazione del segretario è sul tavolo. Si potrebbe arrivare così alla circostanza che entrambi i documenti, relazione e appello, siano votati all’unanimità. In fondo un’invocazione a ripartire, per quanto critica dell’immobilità presente, può risultare ampiamente condivisa. Le divisioni sono tutte su dove si vuole andare, più che sul ripartire, ma ad oggi documenti politici sulla meta da raggiungere dopo essere ripartiti non risultano pervenuti.
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Sos/2. Una intera stagione sembra in declino: è quella della rappresentanza così come è stata immaginata fino a oggi
Il crack della politica Le astensioni penalizzano le alleanze forzate Il «bipartitismo» è il vero sconfitto in Abruzzo di Andrea Mancia A prima vista, quello ottenuto nelle elezioni regionali abruzzeso sembrerebbe un grande successo del Pdl. Vittoria (importante) a parte, però, nel computo dei voti assoluti il partito “unico”del centrodestra ha raccolto quasi 150mila consensi in meno rispetto alle elezioni politiche dello scorso aprile (da 344mila a 190mila, o 230mila contando anche la lista civica “Rialzati Abruzzo”). Un’emorragia di consensi tutto sommato contenuta, se paragonata a quella che ha colpito il Partito Democratico, passato dai 277mila voti delle politiche ai 106mila delle ultime regionali. Più contenuta, invece, la flessione dell’Udc (da 48mila a 30mila), mentre l’unico tra i partiti “maggiori”che vede crescere i propri consensi anche in termini assoluti è l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, che sale dai 58mila voti di aprile fino a quota 81mila (e raddoppia abbondantemente le proprie percentuali). Anche a livello di coalizione, sia centrodestra che centrosinistra - complice la grande astensione - perdono consensi. Il centrodestra, con 295mila voti, è in calo sia rispetto alle politiche (357mila) che rispetto alle
elezioni regionali del 2005 (317mila). Il centrosinistra va molto peggio, raggiungendo i 258mila voti contro i 369mila delle politiche (Sinistra Arcobaleno e Socialisti inclusi) e i 455mila del 2005, quando l’alleanza guidata da Ottaviano del Turco si impose con il 58,1%. Bisognerà aspettare le analisi dei flussi elettorali per capire esattamente come si è comportato l’elettorato abruzzese. Ma “pesando” i voti in termini assoluti è possibile trarre almeno qualche conclusione preliminare. 1) Il fenomeno dell’astensionismo non colpisce soltanto il centrosinistra, ma penalizza (e non poco) anche il centrodestra. 2) L’Idv non pesca affatto nel bacino della cosiddetta “sinistra radicale”(che, anzi, recupera rispetto alle politiche), ma cresce unicamente a danno del Pd. 3) Il vantaggio, piuttosto netto, del Pdl nella corsa alla presidenza (+6,2%) è invece piuttosto risicato se si contano i risultati delle singole liste (+2,6%); segno che, con alleanze diverse si sarebbe forse potuto assistere ad un esito elettorale diverso.
Secondo Barbera il modello zoppica per l’errore iniziale di Walter
La crisi dell’opposizione per l’editorialista Andrea Romano
«C’è un vizio all’origine: il patto Pd-Idv»
«Il problema? Manca ancora un leader forte»
colloquio con Augusto Barbera di Errico Novi
ROMA. «Ricordo bene cosa succedeva con la vecchia legge elettorale». Ricordi pure. «Dall’87 al ’92 sono stato presidente della commissione Affari regionali: in quei cinque anni la giunta della Campania ha totalizzato un biennio di crisi. Con il sistema proporzionale succedevano cose del genere. Non vedo perché si debba tornare indietro». Adesso Augusto Barbera parla da osservatore. Ma in passato il docente di Diritto costituzionale dell’università di Bologna si è misurato personalmente con gli squilibri della geografia politica italiana: è stato vicepresidente della Bicamerale di Nilde Iotti e promotore dei referendum del ’93. A poche ore dal tracollo del Pd in Abruzzo dà una lettura analoga a quella di Walter Veltroni: «L’errore è stato commesso per difetto: lo schema del partito a vocazione maggioritaria è stato disconosciuto dallo
stesso segretario con la scelta di unirsi all’Italia dei valori fatta in primavera». Secondo lei dunque bisogna insistere con il bipartitismo. Partiamo da una constatazione: nessun sistema può essere consiperfettaderato mente bipartitico. Nemmeno quello inglese, c’è sempre almeno una terza forza. Quello che conta è il principio della vocazione maggioritaria. Veltroni ha avuto il pregio di individuarla e il limite di essersi subito contraddetto, siglando il patto con Di Pietro. Che tra l’altro alle Politiche gli è costato un pacchetto non irrilevante di consensi. Lo schema bipartitico ora però vacilla. Il pericolo non è nel risultato dell’Italia dei valori in Abruzzo ma, almeno per il Pd, nella reazione che avranno le componenti più critiche con il segretario. Si tornerà a parlare di legge proporzionale, siste-
ma tedesco e assetto multipolare. A questo punto è necessario che Veltroni compia uno scatto di reni alla direzione del 19 e vada dritto per la strada individuata all’inizio. Contemporaneamente anche la Lega guadagna consensi ai danni del Pdl. Il caso del Trentino sembra simmetrico a quello abruzzese. La Lega ha una sua specificità e Berlusconi è riuscito finora a tenerla dentro lo schema. Gli andò male nel ’94, adesso le cose procedono meglio. Nel caso di Veltroni la situazione è assai più complicata, perché l’Italia dei valori non è solo un prodotto dell’antipolitica. Ha un altro connotato che ne fa il rifugio di molti nostalgici. Quale sarebbe? L’antiberlusconismo: Di Pietro incarna oggi lo spirito del centrosinistra prodiano che ci ha portato al disastro. Parte dell’elettorato progressista non vuole saperne appunto di abbandonare il passato. Ma adesso non ci si può guardare indietro, e il primo a dover allontanare la tentazione è proprio Veltroni.
colloquio con Andrea Romano di Susanna Turco
ROMA. Il fatto che a votare, in Abruzzo, sia stato un elettore su due non lo ritiene un gran segno di crisi, anzi. Andrea Romano, opinionista e docente di storia contemporanea, cita gli studi per i quali «un altissimo livello di partecipazione non è segno di buona politica. Le democrazie “tranquille”sono quelle in cui vota il 50-60 per cento degli elettori. L’Italia degli anni Settanta, quella in cui si toccava l’85 per cento degli aventi diritto, non stava bene politicamente: c’era un eccesso di investimento, una sorta di guerra di religione nella quale il rischio di conflittualità era altissimo», dice. Ma una percentuale improvvisamente tanto bassa non sarà anche il segno che qualcosa, nell’offerta politica, non va? Naturalmente, quel che è accaduto in Abruzzo è anche segno del fatto che non è tanto il bipolarismo che non funziona, ma questo bipolarismo formato da due partiti che sembrano il frutto di una divisione forzosa, non basata effettivamente su diverse visioni dell’Italia, e che quindi finiscono per non rappresentare la totalità dei votanti. Perché parla di «divisione forzosa»? È una caratteristica che appartiene più al centrosinistra. A destra, l’unificazione è avvenuta in fondo grazie a un padrone, ma in realtà si conservano sono fortissime identità che resistono. Nel Pd non è nemmeno il caso di parlarne: si tratta di una giustapposizione oligarchica di pezzi di ceto
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Il sondaggista Roberto Weber: «Solo la Lega è un fenomeno strutturale»
«Troppe “famiglie” nei democratici» colloquio con Roberto Weber di Angela Rossi
ROMA. Prima i risultati elettorali del Trentino, poi quelli dell´Abruzzo, dove il voto in qualche modo si è diluito tra Pd e Italia dei Valori, pare stiano ad indicare un affanno del bipartitismo in Italia. Dalle urne non esce un’indicazione forte verso il partito maggiore della coalizione. Potrebbe essere proprio la formula bipartitica ad essere entrata in crisi? Ma, di stretta attualità sono anche le tensioni interne al Pd, la lontananza tra la leadership e le diverse, numerose anime del partito che potrebbero rendere difficoltoso ed addirittura allontanare il percorso per raggiungere una futura forte identità. Un’analisi della situazione, fondata su dati e cifre, viene delineata da un esperto in materia, Roberto Weber direttore della Swg, istituto triestino che durante le elezioni dello scorso anno fu l’unico a centrare il boom della Lega Nord nelle settimane prima del voto e ad azzeccare i risultati sia dell’Unione di Centro di Casini sia dell’Italia dei Valori. Allora, dottor Weber, visto cosa hanno prodotto le ur-
ne prima in Trentino e ieri l´altro in Abruzzo, dove non si è registrata una tendenza decisa verso il partito maggiore dello schieramento, si deve cominciare a pensare che il bipartitismo sia in crisi? Quello che si vede è la ripresa di una forte articolazione interna e quindi la spinta maggioritaria si attenua. Del resto credo che questo sia nella fisiologia del voto italiano costruito per famiglie. Nel Pdl sono due le forze insieme, An e Fi, mentre nel centrosinistra tra cattolici, laici, ex comunisti le famiglie sono più numerose. Ritiene che la crescita di Italia dei Valori e Lega sia un episodio o un´indicazione di ciò che potrebbe uscire dalle urne nella prossima scadenza elettorale? La Lega è un fenomeno strutturale. Se andiamo a vedere i dati del 1994 i milioni di voti che ha preso c´erano già. Cala poi nel 2001 quando si presenta all´interno della coalizione di Berlu-
sconi e poi si torna su cifre toccate già nel 1996. Il fatto nuovo è che questo insediamento politico assume carattere territoriale ed è forte anche nelle amministrative. L’Italia dei Valori è un partito personale e problemi ne avrà in seguito. C’è solo una somiglianza: la Lega non tradisce ed è una garanzia per gli elettori, così anche per Di Pietro, su temi che riguardano la legalità. Qual è la sua analisi riguardo alle divisioni all’interno del Pd? Credo che le divisioni ci siano ma secondo me il Pd sconta un generale fallimento nelle Regioni del centro-sud. Non ha saputo costruire modelli alternativi a quelli del centro destra. Deve saldare culture e prassi diverse per stare sul territorio. Non sarebbe meglio se il Pd formalizzasse le diverse anime, come la vecchia Dc? No, perché il Pd sconta la tradizione comunista secondo la quale ogni volta che c’è un conflitto questo deve essere rimosso poiché produce lacerazioni.
Per Paolo Franchi, il partito di Veltroni «non è mai nato»
«Una crisi irreversibile, come previsto» colloquio con Paolo Franchi di Francesco Capozza
ROMA «Dopo la debacle in
politico, quel partito oggi non è altro che questo. Meglio un leader-padrone che un leader-democratico? Con un leader forte, la costruzione artificiosa di un partito è ancora possibile. A destra vince una leadership che non è mai stata contesa. A sinistra non hai nemmeno questo, perché Veltroni è un leader talmente fragile che l’operazione si rivela poco convincente. E il risultato è che molta della tua gente non ti vota. Ma, anche, che finisce per votare il tuo alleato. La storia del voto utile non funziona più? Assolutamente, non credo che lo vedremo di nuovo. Credo piuttosto che la tendenza dell’Abruzzo si ripeterà nelle prossime elezioni, possibilmente rafforzata. Ritiene che in questo bipolarismo forzoso, Lega e Idv sono destinate a rosicchiare sempre più voti ai rispettivi vicini di schieramento? I due fenomeni non sono paragonabili. La Lega si afferma perché è radicata da tempo sul territorio, il suo voto è più amministrativo che non identitario. Invece il dipietrismo è tutto un prodotto del veltronismo. In che senso? Anzitutto tattico: se Veltroni non l’avesse portato in Parlamento come alleato, Di Pietro non avrebbe avuto tutto lo spazio e la visibilità che ha. Ma poi c’è anche una ragione politico-culturale per il suo successo: a sinistra non si è mai fatta fino in fondo chiarezza su giustizialismo e moralismo, ed è quindi come se ora la predica sulla diversità morale mai sconfessata - ritornasse, a sostegno del dipietrismo.
Abruzzo, ieri un quotidiano si chiedeva se per il Pd fosse giunta l’ora del suicidio. Beh, io non vorrei essere irriverente, ma piuttosto parlerei di un’interruzione di gravidanza. Politicamente il Partito democratico non è mai nato, è rimasto un embrione. Un bel sogno». Sceglie l’ironia graffiante Paolo Franchi, ex direttore de il Riformista, oggi notista di punta del Corriere della Sera, per descrivere la situazione in cui versa il Pd veltroniano all’indomani delle elezioni che lo hanno visto scendere al 19% e rasentare il pareggio con l’alleato più scomodo di sempre: l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro. Franchi, le faccio subito la domanda che mi sta più a cuore: il bipartitismo è definitivamente morto e sepolto? Le rispondo subito: sicuramente non funziona sul cotédel Pd, e mi pare evidente. Dall’altra parte, nel Pdl intendo, mi sembra che invece, tutto sommato,
regga abbastanza Nel ”nuovo centrosinistra” sembra che la presenza di Di Pietro sia diventata un’ossessione, o mi sbaglio? Beh, in un certo senso si. Ma questa è una storia che dura da diversi mesi ormai, quasi non fa più notizia Cosa intende, mi scusi, Franchi? Intendo dire che il problema, tutto interno al Pd peraltro, sull’opportunità dell’alleanza con l’Idv risale a prima ancora che Veltroni decidesse di farla. Quello che è accaduto era fin troppo prevedibile Cioè? Cioè era un film dal copione già previsto, specie dopo l’annientamento elettorale delle sinistre. Di Pietro avrebbe sottratto voti alla sinistra del Pd e dopo ne avrebbe raccolti anche nel Pd stesso Si avvicina la fatidica data di venerdì 19, giorno in cui è prevista la direzione del Pd. Sarà resa dei conti? La resa dei conti c’è ed è nell’a-
ria da tempo.Tuttavia credo che sarà difficile assistere ad un cambio di rotta proprio adesso. Dubito che Veltroni esca dalla direzione sfiduciato e nemmeno messo in discussione. E un allargamento dell’alleanza all’Udc? Guardi, ieri ho letto un’intervista a Beppe Fioroni che diceva pressapoco: «Se il nostro candidato fosse stato appoggiato anche dall’Udc avremmo vinto». Beh, dico che questo ragionamento mi sembra assurdo. Perché assurdo? È come quel vecchio detto ”se mio nonno avesse avuto le ruote...”. Un’assurdità in termini politici quella detta da Fioroni. Non si può mettere insieme l’incompatibile. L’Udc non appoggerà mai un candidato dell’Idv, e ho pure dei seri dubbi che Di Pietro possa accettare di allearsi in un cartello con Casini e i suoi. Un’ultima domanda, Franchi: secondo lei assisteremo presto ad una scissione del Pd? Anche se tutto farebbe presupporlo, io credo sia oggi più probabile un’implosione del Pd piuttosto che una scissione.
politica
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Polemiche. La difesa dei lavoratori in difficoltà e il rovesciamento dei ruoli tradizionali della sinistra
L’alta velocità dei pendolari di Giuseppe Baiocchi otta di classe, il treno delle masse». Se avessero ancora cittadinanza gli slogan corruschi di una sempiterna sinistra, una cadenzata rima del genere spiegherebbe in pochissime parole il senso del contenzioso che si è aperto tra la Trenitalia, ingenuamente orgogliosa della «Freccia Rossa», il nuovo treno ad alta velocità che collega in un’ora Milano e Bologna, e le più prosaiche esigenze della Regione Lombardia, oppressa dalle proteste di un’armata di pendolari, vittime incolpevoli della faticosamente conquistata modernità. Certo, la Tav è una necessità arrivata comunque in ritardo: eppure stupisce come la sbandierata inaugurazione del nuovo collegamento abbia raccolto, in un trionfo dell’immagine glamour, la salottiera società dei vip, con un’impronta smaccatamente aristocratica nelle brillanti cronache del primo viaggio della «Freccia Rossa», quasi che gli unici lavoratori che meritassero trasporti più rapidi e confortevoli fossero i manager della finanza e gli operatori dello spettacolo.
«L
Il rude e minaccioso altolà di Formigoni (si possono lasciare in stazione i treni superveloci se non si dedica altrettanta cura ai convogli di quel mezzo milione di pendolari che ogni giorno si muovono in Lombardia) appare un rovesciamento di ruoli che non stupisce solo chi è consapevole della crisi profonda e probabilmente irreversibile che attanaglia la sinistra, sia quella storica che quella riciclatasi nella presunta modernità. E cioè che la natura profonda della politica sta nel suo rapporto ineliminabile con il «popolo», ovvero la realtà univoca e pur multiforme che costituisce l’essenza di un Paese. E i pubblici servizi, diretti alla stragrande maggioranza delle persone, ne sono la pratica e quotidiana applicazione. Anche perché, con i contratti di servizio, le stesse Regioni pagano fior di quattrini alle società concessionarie: e pretendere un trattamento dignitoso e in linea con lo stile di vita dell’intera società è un dovere civile, prima che un diritto che scaturisce da un complesso negoziato. Sulla triste sorte dei pendolari del Nord (ma anche di molte altre parti d’Italia) ormai esiste una vasta letteratura: come omai riempiono gli archivi burocratici le ripetute promesse di carrozze efficienti e soprattutto pulite, di orari mediamente rispettati, di investimenti su convogli più capienti che facciano vivere la sali-
in breve Confindustria: 600mila disoccupati Per la prima volta nel dopoguerra l’Italia vivrà nel 2008 e 2009 un biennio di recessione. L’ultimo a confermarlo è il Centro studi di Confindustria secondo il quale il Pil diminuirà dello 0,5% quest’anno e dell’1,3% nel 2009. La ripresa comincerà a farsi vedere solo alla fine dell’anno prossimo segnando poi nel 2010 un +0,7%. Le possibilità di rilancio dell’economia sono però strettamente legate al ripristino della fiducia e al dissiparsi dell’incertezza che attanaglia la spesa di famiglie e imprese. Nel 2009, aggiunge Confindustria, per la prima volta dal 1994, la variazione annua dei posti di lavoro sarà negativa, con un calo dell’1,4%, pari a 600mila posti di lavoro.
Draghi, nuove misure contro la crisi
Formigoni: «Siamo pronti a proteste eclatanti» MILANO. Di male in peggio: lunedì la situazione dei treni in Lombardia è stata «nera» e ieri non è sembrata affatto migliorare.Tanto che la Regione Lombardia è pronta ad adottare «la forma di protesta più eclatante» contro Trenitalia se non verranno risolte le problematiche dei treni regionali per i pendolari. A minacciarlo è niente meno che il presidente della Regione, Roberto Formigoni, dopo i nuovi disagi di oggi sulla rete ferroviaria lombarda: una media di 30 minuti di ritardo nella linea fra Milano e Lecco per il guasto a uno scambio a Calolziocorte, un’ora di ritardo per il treno delle 8.24 tra Milano e Mortale, 4 treni soppressi sulla linea S5 e diversi convogli cancellati nelle tratte tra Milano e Varese, Milano e Mantova e Milano e Treviglio. Disagi che però, per Formigoni, non dipendono dall’introduzione del servizio ad Alta Velocità sulla tratta Milano-Bologna: «L’Alta Velo-
cità può convivere insieme a buoni servizi per i pendolari. Sarebbe inaccettabile se passasse l’opinione che l’Alta Velocità scaccia il servizio pendolare.Trenitalia, però, non sta rispettando i patti, e perciò la invitiamo a porre fine a questi ritardi. Da parte nostra, è da ieri che monitoriamo momento per momento la situazione e vigiliamo sul rispetto dei patti da parte di Trenitalia». Di certo, ha puntualizzato il governatore lombardo, «così com’è, la situazione non è soddisfacente». E in assenza di una decisa inversione di tendenza, il Pirellone preannuncia battaglia: «Noi vogliamo che i problemi siano risolti. La nostra azione non mira a non mettere in scena proteste, ma alla realizzazione di un servizio adeguato».
Qui sopra, il nuovo treno ad Alta velocità «Freccia rossa». Sotto, il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni
Con i contratti di servizio, le Regioni sostengono economicamente le società concessionarie: anche per questo, pretendere un trattamento dignitoso è un dovere civile ta su un treno come un gesto normale e non un assalto selvaggio a un carro-bestiame. E tuttavia di questi lavoratori si è persa in particolare dalle forze politiche una reale e affettuosa rappresentanza: e tocca ormai soltanto agli amministratori locali saper farsi carico di un disagio sacrosanto che acquista evidenti i caratteri dell’insopportabilità laddove amaramente si confronta con le eccellenze necessarie e forse troppo sbandierate. Sono
infatti i responsabili del governo sul territorio ad aver compreso che la civiltà autentica di un Paese, anche in confronto con altre realtà europee, si misura sulla qualità media del servizio offerto alla grande platea dei cittadini, e non solo agli utenti scelti : e questa questione dei treni, nella loro inesorabile quotidianità, ha tutti gli elementi emblematici per segnalare la contraddizione autentica che fa del nostro un Paese incompiuto.
La crisi finanziaria globale è in una «fase critica», e per affrontarla servono nuove misure fiscali, monetarie e normative. Lo ha detto il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, parlando a Hong Kong come presidente del Financial Stability Forum secondo quanto riporta la Bloomberg.
Mercato auto, nuovo crollo Novembre nero per il mercato automobilistico europeo. Nel mese scorso le immatricolazioni di auto nuove in Europa (27 paesi Ue più quelli Efta) sono ammontate a 932.537 unità, in calo del 25,8% rispetto allo stesso mese del 2007.Ad ottobre era stato -14,5%. Il mercato italiano ha registrato un -29,5% dopo la flessione del 18,9% di ottobre. Nei primi undici mesi 2008, le immatricolazioni auto nuove sono ammontate in Europa a 13.788.256 unita’ (-7,1% sullo stesso periodo del 2007). Nell’Europa a 27, Fiat ha segnato a novembre 23,8% (-4,9% nei primi 11 mesi).
Incidente a Rimini muore un soldato
«Servire il popolo» (sempre per restare nel lessico logorato di una stagione tramontata) è certamente più faticoso e meno gratificante delle luci della ribalta: ma è il logico completamento di un progresso che è tale se fa crescere in armonia una qualità accettabile, dignitosa e davvero universale. Aver dimenticato per troppo tempo questa dimensione ha aiutato, e di molto, la fine ingloriosa di Alitalia….
A Rimini, le pale di un elicottero militare hanno ucciso un soldato: l’incidente è avvenuto all’aeroporto durante l’attività addestrativa pianificata. Secondo una ricostruzione, il velivolo ha dovuto fare un atterraggio d’emergenza e un altro mezzo militare si era avvicinato per verificare l’accaduto. Il giovane deceduto è il caporalmaggiore Fabio Di Giovanni di 22 anni.
politica
17 dicembre 2008 • pagina 7
Fronti. Vertice con Bersani «per dialogare con l’opposizione e i sindacati nell’interesse del Paese»
Crisi, Tremonti apre al Pd e chiude alla sua maggioranza di Francesco Pacifico
Proposta di legge bipartisan
ROMA. Chi gli è vicino parla di «aperture estetiche», fatto sta che Giulio Tremonti sembra più incline alle richieste dell’opposizione che a quelle della sua maggioranza. Ce ne si è resi conto ieri dopo il vertice con il suo “omologo” del governo ombra, Pier Luigi Bersani, il quale ha presentato la piattaforma del centrosinistra e ottenuto la promessa «di aprire un dialogo con l’opposizione nell’interesse del Paese e che va esteso al sindacato». E l’atteggiamento sarà ancora più chiaro questa mattina, al vertice con i parlamentari del Pdl sul piano anticrisi. A loro il ministro ripeterà che al momento non ci soldi per rendere la piattaforma più espansiva. Soprattutto respingerà ogni richiesta di prorogare la rottamazione auto, cavallo di battaglia dei colleghi Scajola e Matteoli, a meno che l’Europa (con i soldi tedeschi) non lanci un piano per il settore. Per Tremonti il vertice di oggi dovrebbe ridursi a una riunione tecnica per concordare con la maggioranza gli emendamenti. Quasi un seguito all’incontro avuto ieri con il presidente della Camera, Gianfranco Fini. In realtà, nelle pieghe procedurali, si finirà per discutere di sostanza. Innanzittutto le forze del centrodestra, costrette per ora a rimangiarsi tutte le modifiche studiate, otterranno dal ministro paletti per evitare che si facciano coperture usando il Fas. Per impedire che i soldi destinati dal Fondo europeo per le aree sottoutilizzate al Sud finiscano al Nord o a misure come il taglio dell’Ici. A margine si discuterà di come trovare soldi in più per le forze di polizia e come perfezionare le
Uno scudo per i talenti emigrati ROMA. Si chiama Con-
Oggi il ministro incontrerà i parlamentari del Pdl per confermare che userà le poche risorse disponibili soltanto per ampliare gli ammortizzatori sociali. «L’occupazione sarà il punto critico nel 2009»
norme per reintrodurre il bonus sul risparmio energetico o inserire nuovi meccanismi per la borsa elettrica in grado di evitare l’acquisto ai prezzi marginali più alti. Dovrebbero cadere anche tutte le ipotesi sulla rimodulazione del bonus famiglia. Sull’ampliamento degli ammortizzatori sociali, invece, il ministro spiegherà di poter realizzare la cosa soltanto se l’Europa consentirà una maggiore flessibile sulla destinazione dei fondi sociali.
Più flessibile di quanto sarà oggi con la sua maggioranza, Tremonti lo si è dimostrato ieri con Pier Luigi Bersani. In visita a via XX settembre il ministro ombra del Pd ha presentato le misure anticrisi studiate dall’opposizione. Il pacchetto vale 16 miliardi e prevede misure per rafforzare gli ammortizzatori sociali, ridurre le tasse sul lavoro e pensioni, innalzare fino a 500 euro le detrazioni per tutte le categorie, sostenere la piccola e media impresa sbloccando attraverso la Cdp i pagamenti arretrati della pubblica amministrazione, fino a ripristinare i 2 miliardi di fondi sottratti al Sud e diretti al Nord. Bersani ha detto che il «ministro può e deve trovare i soldi necessari».
Tremonti ha promesso che dialogherà con l’opposizione sui piani di sviluppo e ha sposato l’idea di potenziare i crediti d’imposta e di ampliare la cassa integrazione. Perché «l’occupazione sarà il punto critico del 2009. Per fronteggiarlo l’esecutivo intende utilizzare i fondi europei per potenziare gli ammortizzatori sociali». In maggioranza si nota che dietro questa apertura c’è il tentativo di creare un rapporto privilegiato con l’opposizione che al tributarista pavese è sempre mancato. Da un lato, lo si fa perché la crisi porta con sé tensioni sociali. Ieri il centro studi di Confindustria ha stimato la perdita di 600mila posti nel 2009 e un biennio di recessione con il Pil in calo di due punti. Dall’altro, il ministro segue il filone aperto da Umberto Bossi e dialogherebbe con il Pd in vista del federalismo fiscale. Partita che sta a cuore a Tremonti quanto o più che al Senatùr.
In questo caos si registra un nuovo scontro tra imprese e banche, che chiama in causa via XX settembre. Il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha rinnovato le preoccupazioni «per una stretta del credito», chiedendo a Tremonti di forzare la mano e applicare il suo decreto per ampliare il monte prestiti alle aziende. A stretto giro il leader dell’Abi, Corrado Faissola ha replicato che non esiste «alcuna divergenza tra l’industria bancaria e il Tesoro sui Tremonti bond». E ha smentito l’esistenza di un credit crunch.
troesodo, ed è una proposta di legge bipartisan per far tornare i talenti italiani emigrati all’estero dal nostro Paese: 4 milioni di italiani tra i quali sono sempre di più quelli che se ne sono andati con un alto grado di scolarizzazione. Presentata ieri a Roma, alla presenza del vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, del presidente della Commissione lavoro Guglielmo Vaccaro e del giornalista del Corriere della Sera Beppe Severgnini. Mancava,causa febbre, il ministro ombra del Pd per lo sviluppo economico Enrico Letta principale promotore dell’iniziativa. La proposta prevede incentivi fiscali e crediti d’imposta a favore dei cittadini italiani con meno di 40 anni, con residenza o lavoro dipendente all’estero da almeno ventiquattro anni continuativi, che ritornano in Italia per essere assunti come dipendenti o per avviare un’attività di impresa o di lavoro autonomo. Benefici particolari verrebbero poi previsti per chi assume al sud, in Calabria, Campania, Puglia, Sicilia, Basilicata, Abruzzo e Molise. I promotori della legge si preparano da qui ai prossimi mesi per presentarla in tutta Europa, dialogando con i diretti interessati. Costo dell’operazione? Nessun costo rispondono i proponenti: anzi, lo scudo fiscale per il ritorno dei talenti avrebbe effetti virtuosi sulla nostra economia: crescita del Pil, incremento del capitale sociale, acquisizione di nuova cultura del lavoro. Che ne pensa il ministro dell’economia Giulio Tremonti?
economia
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Retromarcia. Il governo sta studiando dei “paletti” per evitare una proliferazione di processi inutili
Causa senza effetto Ulteriore proroga e ridimensionamento dell’Istituto: il percorso accidentato della class action di Gianfranco Polillo una strada accidentata quella che il treno della class action deve percorrere. Doveva essere un direttissimo, invece si è trasformato in un accelerato. E non è detto che arrivi a destinazione.
È
Era stato Romano Prodi, con un vero e proprio blitz, a introdurre l’istituto nella Finanziaria per il 2008 (l’ultima della sua breve e infelice stagione di governo). Doveva scattare nel luglio del 2008. Poi, con la manovra d’estate, Giulio Tremonti aveva imposto un primo stop: una specie di fermo biologico per calibrare meglio la portata di un intervento che può altera-
ra confusa. Non è stato ancora scelto il veicolo legislativo per la nuova proroga: si parla del collegato che si occupa, in prevalenza di giustizia o del “Milleproroghe”, giunto in dirittura d’arrivo. Ma nemmeno questo è certo. L’emendamento, più volte annunciato, non è stato ancora perfezionato. Non a caso il relatore del collegato, Nino Lo Presti, chiede «un disegno di legge ad hoc». En attendant Godot, tutto diventa più incerto e di difficile interpretazione. Quanto ai contenuti, le indiscrezioni dicono tutto e il contrario di tutto. In primis l’esclusione di ogni retroattività anteriore al 1 luglio 2008 e
Doveva entrare in vigore dal 1 luglio scorso, ma rischia di slittare di un altro anno. Dubbi sul ruolo delle associazioni e polemiche sul divieto di citare la Telecom e le Autostrade re i dati fondamentali del nostro ordinamento giuridico. Quel tempo rubato sta per scadere, ma il governo non è ancora pronto. E si preannunciano un’ulteriore proroga e un ridimensionamento dell’istituto. Nel merito la situazione è anco-
c’è già chi parla di pietra tombale sui casi Cirio, Parmalat e bond argentini. Ma visti gli esiti giudiziari dei diversi processi, cosa potrebbe aggiungere la class action? Più sicure le informazioni circa i limiti che dovrebbero caratterizzare il nuovo
istituto. Dal suo perimetro sarà esclusa la pubblica amministrazione. Renato Brunetta, con l’attivismo che sembra distinguerlo, ha bruciato ogni tappa e regolato la relativa procedura nel disegno di legge contro i “fannulloni”. La cosa non è piaciuta. Si tratta infatti di una delega – questa è la critica – che ha tempi lunghi per l’approvazione. In questo clima pochi gli ottimisti. Stesse perplessità poi per l’esclusione dei concessionari di pubblici servizi (telecomunicazioni e autostrade). E subito è scattata la denuncia contro l’ingiustificato salvataggio di Telecom Italia e Atlantia.
Infine il nodo dei soggetti abilitati all’azione. Devono essere soltanto “utenti” e “consumatori” o la platea deve comprendere anche “risparmiatori”e “investitori”? Ai posteri, l’ardua sentenza. Intanto, mentre si valuta il ruolo delle associazion, ci limitiamo a osservare che con la crisi finanziaria un pizzico di moderazione è giustificato. Questo il quadro. Nel frattempo vale forse la pena richiamare alcuni aspetti collaterali in genere trascurati. Il primo dei quali è l’esigenza di coerenza.
Se nel piano anti-crisi si è fortemente circoscritto il potere di interdizione dei Tar – considerati a torto o ragione un elemento di freno nello sviluppo degli investimenti in infrastrutture – può la mano destra ignorare quello che fa la sinistra? Si può accelerare da un lato e frenare dall’altro, rendendo arbitri associazioni – quelle dei consumatori – benemerite quanto si vuole, ma non certo portate a privilegiare le esigenze dello sviluppo economico? E qual è la natura effettiva di queste associazioni? Sono un filtro rispetto alle richieste, a volte strampalate, dei cittadini
o i soggetti che organizzano, in qualche modo, la reazione? L’esperienza passata non aiuta a sciogliere il dilemma. In alcuni casi – i falsi Btp di Banca 121 – svolsero una funzione positiva. In altri casi prevalse l’intento puramente agitatorio.
Le reazioni politiche che si sono avute alle ventilate ipotesi del governo accentuano i sospetti. Pd ed Italia dei valori hanno gridato allo scandalo. Che vi sia una certa contiguità tra il giustizialismo di sinistra e un istituto che dovrebbe dare, come ha giustamente messo in luce Angelo De Mattia sulle pa-
Regno Unito. Gli esperti hanno quantificato il danno antropico sul clima, che aiuterebbe le azioni collettive per danni
Gas serra, pronti a portare le industrie in tribunale di Pierre Chiartano a class action targata come i Beatles potrebbe produrre un filone interessante. In un’epoca con piogge tropicali in pieno inverno, e trombe d’aria sempre più imparentate con i tornado del Midwest, occuparsi di danni ambientali è un dovere. Lo è per chi cerca di preservare l’ambiente e lo è anche per chi vorrebbe cominciare a chiedere i danni. Sì, ma a chi? In Inghilterra è comparso, per la prima volta, uno studio che potrebbe esse il viatico per una richiesta collettiva di risarcimento. Fra luci e ombre – niente è così semplice – potremmo presto vedere alla sbarra le industrie colpevoli della produzione di gas serra. Myles Allen, un fisico della Oxford University, ha dichiarato di essere in grado di stabilire l’origine antropica (causata dall’uomo) di molti sconvolgimenti ambientali. In maniera particolare per quelli che producono eventi atmosferici classificati come «estremi». «Stiamo per quantificare, con una buona approssimazione, quale attività umana», spiega l’e-
L
sperto, «abbia contribuito e in che misura ad un evento climatico». Durante le alluvioni del Duemila, in Gran Bretagna, furono danneggiate le proprietà di 10mila cittadini britannici, le autostrade furono chiuse al traffico e oltre 11mila sfollati dovettero cambiare indirizzo. Con il metodo del team del professor Allen è stato stabilito – oltre alle responsabilità – un danno totale per 1 miliardo di euro.
Il lavoro d’analisi potrebbe essere la palla da passare alle toghe. Il metodo, semplificando, si basa su due modelli di calcolo. Un primo che non tiene conto della rivoluzione industriale e quindi dell’aumento, da più di un secolo, dei livelli di anidride carbonica. L’altro, invece, dove vengono inseriti i dati dell’intervento umano. Comparando i due studi si ottiene il risultato voluto. «È solo una questione di potenza di calcolo» ha affermato Allen. Non solo, ma il rischio che si producano ondate di calore come quella che ha investito il continente europeo nel 2003, provo-
cando 27mila morti, raddoppia grazie all’attività antropica. In quel caso non fu intrapresa nessuna azione legale, ma sembra a causa del fatto che la maggior parte dei decessi sia avvenuta in Francia, dove non è ancora possibile avviare azioni di questo genere. Il punto è arrivare a dimostrare che le probabilità di un evento climatico disastroso siano almeno raddoppiate, grazie all’intervento umano. E qui cominciano i problemi. Peter Roderick, di Climate Justice, ha affermato la necessità di dimostrare un «comportamento illecito». Negli Usa si è tentato di portare nelle aule giudiziarie le società automobilistiche, senza successo. Se non violano esplicitamente delle leggi i tribunali americani non si muovono. Stephen Tromans, avvocato, specialista in diritto ambientale, ammette quanto sia difficile stabilire un legame di causalità diretto. «Oggi si può stabilire un nesso immediato, con i livelli di Co2 nell’atmosfera, meno facile è fare un collegamento con un settore industriale o con una società specifica».
economia
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Stati Uniti. Si registrano troppe incrinature nel sistema anglosassone
Un fantastico business per legali spregiudicati di Raffaele Cazzola Hoffman n Italia la class action resta ancora una chimera. Soprattutto è lontano il mondo anglosassone, che è la culla delle cause collettive. L’esempio più classico è quello degli Stati Uniti, dove la ammissibilità fu sancita dalla Corte suprema nel 1853. Ma anche nel Regno Unito e in Canada la class action è ormai lo strumento naturale cui ricorrere per la difesa dei propri interessi. Eppure in America lo strumento mostra alcune crepe: anche perché l’intero meccanismo è alla merce’ di avvocati senza scrupoli come le multinazionali che finiscono nel mirino.
I
In alto, Julia Roberts nei panni di Erin Brockovich, la donna che ottenne per lei e 260 suoi concittadini un risarcimento da 333 milioni di dollari dalla Pacific Gas and Electric Company gine de Il riformista, maggiore trasparenza al mercato? Nel qual caso, tuttavia, la riflessione dovrebbe essere meno precipitosa e collocare il nuovo istituto all’interno dell’ordinamento giuridico italiano. Non si dimentichi che la nostra Costituzione attribuisce l’azione giudiziaria ai singoli cittadini. La “classe” non è prevista come centro di imputazione di diritti: mescolare sacro e profano, per venire incontro alle esigenze della comunicazione politica, può rendere un cattivo servigio specie in una fase come questa. Attenti a non cedere alla moda dell’americanismo. Tanto più che da lì proviene un segnale esattamente contrario. Di class action si cominciò a parlare nel 1965, quando l’avvocato Raph Nader in un libro mise sotto accusa alcune case automobilistiche. Queste lo querelarono, ma persero e furono costrette al risarcimento. Da quel momento l’azione si diffuse come un’epidemia, sotto la spinta di giovani avvocati il cui compenso era direttamente proporzionale all’entità dei rimborsi percepiti. Alcuni, come nel caso della Philip Morris, furono miliardari. Ma questo fu l’apogeo. Da allora furono introdotte una serie di norme restrittive che limitarono la portata della class action, proprio per interrompere il legame perverso che legava grandi studi e singoli cittadini. Il fondamento giuridico dell’istituto – la responsabilità oggettiva – tuttavia è rimasto e, come tale, recepito in Europa
dalla direttiva 87 del 1985. Responsabilità oggettiva significa, semplicemente, presunzione del danno e inversione dell’onere della prova. In caso di incidente sono le imprese che devono dimostrare di aver fatto tutto quanto fosse nelle loro possibilità per evitare che l’evento accadesse. Rispetto alla legislazione americana, tuttavia, il legislatore italiano ha posto dei vincoli che ne hanno fortemente limitato la portata. Non possono per esempio essere risarciti danni inferiori ai 500 euro. Vale poi – ma lo stesso si verifica nella legislazione americana dopo il caso Philip Morris – un tetto massimo per le somme da devolvere. Sta di fatto che queste norme hanno trovato una scarsissima applicazione. Quindi attenti alle grandi illusioni.
Anche in questo case vale il vecchio principio delle differenze. Gli Usa – come sostiene giustamente Angela Merkel – non sono l’Europa. Oltre Atlantico c’è una società atomizzata, con una debole presenza – si pensi al diverso ruolo dei sindacati – dei corpi intermedi. In Europa, al contrario, la ricchezza della società civile si esprime in un pluralismo addirittura esasperato. Con una rappresentanza che si articola in un complesso di istituzioni. Sarà anche per questo che la categoria dei “consumatori” rappresenta forse un elemento residuale. Si può e si deve dar loro una maggiore tutela. Ma senza nuovi fondamentalismi.
I legali sono remunerati con una percentuale del valore complessivo del risarcimento ottenuto con una sentenza favorevole o una transazione: così il risultato è un proliferare di azioni collettive, che spesso si concludono con un accordo extragiudiziale. Il tutto a scapito della trasparenza. I danni, va da sé, sono soprattutto per il sistema delle aziende. Una ricerca pubblicata dal Financial Times ha evidenziato come i costi per le imprese statunitensi derivanti dalla proposizione di queste azioni siano cresciuti da 150 milioni di dollari nel 1995 a 3,5 miliardi nel 2005. Così, nel Paese della certezza del diritto, si deve registrare un deficit in termini di competitività del sistema e di capacità di attrarre investimenti stranieri. Due fattori che hanno ripercussioni peggiori rispetto ai maxi risarcimenti ai quali ci ha abituato la cronaca americana. Si studiano correttivi per evitare un uso indiscriminato di questo istituto. Sfruttando quanto si è già introdotto in ambito finanziario, si vorrebbe estendere a tutti i campi il Private Securities Litigation Reform Act del 1995: una serie di paletti che hanno frenato il ricorso ingiustificato alla class action. Da un lato si prevede che la domanda di risarcimento debba essere corredata da una circostanziata descrizione dei fatti; dall’altro viene negata la possibilità di richiedere alla parte avversa la produzione di documentazione o l’escussione di testimoni prima che il giudice si pronunci sulla certificazione del caso. Se sono chiari gli interventi da fare, nessuno mette in dubbio lo spirito di questa tutela. Ne sanno qualcosa le migliaia di risparmiatori d’Oltreoceano che nello scorso maggio raggiunsero un mega accordo risarcitorio con Parmalat. Si trattava di una parte consistente di quegli americani con in mano la carta straccia dei titoli di Collecchio. La class action all’americana è uno strumento giudiziario molto forte poiché i tempi giudiziari sono brevi, il che mette grande pressione su chi la subisce. Il caso Parmalat
è stato esemplare. Per il timore di subire una disfatta giudiziaria di proporzioni catastrofiche (le bastonate prese dai grandi produttori di sigarette nelle azioni collettive per i danni da fumo hanno fatto epoca), il management dell’azienda italiana ha volontariamente risarcito i consumatori americani con 10,5 milioni delle proprie azioni nel frattempo rivalutatesi. È stata un’operazione vantaggiosa per i consumatori e per la stessa Parmalat, che ha chiuso il discorso giudiziario e fatto registrare importanti rialzi borsistici. La definizione che i giuristi del mondo anglosassone danno della class action è chiara: si tratta di un’azione legale condotta da alcuni soggetti i cui effetti sono potenzialmente estesi a tutti gli interessati. In altre parole, se negli Stati Uniti un gruppo di risparmiatori promuove una class action contro una banca o una multinazionale, allora anche gli altri consumatori che si ritengono danneggiati, pur non avendo promosso in modo diretto la causa, possono ottenere il risarcimento. È, que-
L’avidità degli studi legali ha aumentato le richieste di indennizzo. Nell’ultimo decennio il conto per le aziende è salito fino a 3,5 miliardi di dollari. Così Oltreoceano si valutano correttivi sto, il principio dell’opt-out right che consente a chiunque rientri nella “classe” interessata dall’azione collettiva di godere dei potenziali benefici che seguiranno qualora non manifesti in modo esplicito una volontà diversa. Fino al 1966, invece, vigeva il principio opposto dell’opt-in right.
La linearità del procedimento americano contrasta con il modello che si profila in Italia: sia che si parli di quanto inserito, e per ora sospeso nella scorsa legge finanziaria, sia che si parli dei disegni di legge all’esame del Parlamento. C’è il rischio che da noi il monopolio dell’azione collettiva sia nelle mani delle associazioni dei consumatori. Già oggi – e senza una normativa ad hoc – si rivolgono agli utenti cercando adesioni a presunte class action legate a condizioni estranee al modello americano. Non a caso, chi aderisce è obbligato a iscriversi all’associazione dei consumatori di turno e a riconoscere le spese legali a un avvocato a lui estraneo.
panorama
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Bilanci. Il colosso bancario ha riportato una perdita di 2,12 miliardi di dollari. È la prima volta
Il canto del cigno di Goldman Sachs di Alessandro D’Amato
ROMA. Goldman Sachs archivia il suo primo bilancio in negativo dal suo sbarco a Wall Street nel 1999. Il colosso bancario, al quale tutti guardavano come ago della bilancia per capire quanto durerà la crisi mondiale, ha riportato una perdita di 2,12 miliardi di dollari contro gli utili per 7,01 dollari di un anno fa, anche se ha comunque dichiarato per quest’anno un dividendo di 46,67 centesimi, pagabile il 26 di marzo. Il risultato è più negativo rispetto alla stima media degli analisti che si attendevano una perdita per azione di 3,73 dollari. Puntuale è arrivato il taglio del rating da parte di Moodys, da A1 da A3 con outlook negativo. Ironia della sorte, non c’è stato – per adesso – il temuto effetto Lehman Brothers: mentre in Eu-
IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio
ropa le Borse hanno sofferto, a Wall Street il titolo di GS è balzato del 5,5% in apertura, trascinandosi dietro anche Merril Lynch, Jp Morgan e Wachovya.
«I risultati del quarto trimestre riflettono condizioni di business straordinariamente difficili con nette riduzioni dei valo-
gativi, si capisce perché la Borsa abbia reagito bene: la banca ha riportato un giro d’affari in perdita pari a 1,58 miliardi di dollari nel quarto trimestre, segno che le svalutazioni hanno superato le entrate. Un anno fa il gruppo aveva invece riportato un giro d’affari positivo pari a 10,7 miliardi di dollari. Un se-
Il Wall Street Journal attacca: «Non sarà in grado di affrontare la recessione». Ma GS si difende: «Saremo ben posizionati in vista del nuovo anno» ri registrate da particolarmente tutte le classi di asset - ha detto l’amministratore delegato Lloyd Blankfein - Se la performance del quarto trimestre non è ovviamente all’altezza delle nostre attese, Goldman Sachs è comunque riuscita a generare profitti in uno degli anni più difficili nella storia del nostro comparto. Grazie all’ampiezza della nostra franchise, all’esperienza e al talento dei nostri dipendenti e alla solida posizione patrimoniale, siamo ben posizionati in vista del nuovo anno». E, nonostante i numeri ne-
gnale negativo, così come le svalutazioni per 1,3 miliardi di dollari sui prestiti leverage. Dolorosissimo anche il passivo riportato dalla divisione di trading sul fisso e sul monetario, che ha registrato un revenue negativo pari a 3,4 miliardi di dollari. Ma di contro c’è che la trasformazione da banca d’affari a istituto commerciale, per ora, sembra funzionare, così come la ristrutturazione con il licenziamento del 10% del personale e il prestito da 10 miliardi di dollari da parte dello Stato ha permesso di rimpinguare
i ratios: il Tier 1 Ratio era pari alla fine dell’anno fiscale al 15,6%, contro l’11,6% del trimestre precedente. Un consolidamento di bilancio reso possibile grazie all’emissione di nuovi titoli per 20,75 miliardi di dollari.
Ciononostante, dopo qualche ora dalla pubblicazione dei bilanci, su Marketbeat, blog del Wall Street Journal, è comparso un articolo che parla di fine di un’era e di «canto del cigno» per il modello di business rappresentato da GS, banca commerciale ad alto leverage che ha costruito i suoi profitti su investimenti capital intensive: «Il 2009 non avrà prospettive di ritorni superiori all’anno precedente», dice Ada Lee, analyst di Sterne Agee. «E il Roe degli anni d’oro è ormai destinato a non ripetersi più, visto anche il crollo delle attività di merger & acquisition», aggiunge David Gaffen, che chiude: «Forse è opportuno un cambio di business; il dubbio è se GS sarà in grado di espandersi anche durante una recessione globale». Il futuro è oscuro.
Il “Genio del Cristianesimo” (e quello laico) attraverso i filosofi antichi e moderni
Credere o non credere, questo è il problema orse non possiamo non dirci cristiani o forse dobbiamo dirci cristiani o forse siamo cristiani o forse non sappiamo di essere cristiani o forse non siamo cristiani o forse crediamo di essere cristiani. Siamo incerti, ma di una cosa siamo certi: il confronto con il cristianesimo è irrinunciabile. Credere o non credere in Dio o credere di credere o credere di non credere non è cosa da poco. E non sembra proprio una cosetta da poco il dibattito sui principi del cristianesimo che si svolge un po’ sui giornali, un po’ in politica, un po’ tra i filosofi. Anzi, proprio in quest’ultimo “settore” - la filosofia - il cristianesimo, trattato fino a qualche anno fa come un ferro vecchio o un cane morto, si è preso la sua rivincita (se mi lasciate passare questo modo di parlare un po’ volgarotto).
F
L’altro giorno, ad esempio, il Corriere della Sera dava voce a Emanuele Severino che smentiva il suo ritorno tra le braccia della Chiesa e spiegava perché non può dirsi cristiano (Perché non sono cristiano era il titolo di un libro di Bertrand Russel che, però, non avrebbe accettato una sola idea del Parmenide di Brescia, e la celebre litote di Benedetto Croce Perché non possiamo non dirci cristiani nacque proprio come risposta al filosofo inglese). La posizione di Seve-
rino - che troppo spesso è ascoltato come un oracolo o un profeta e questo, inevitabilmente, influisce negativamente sulla comprensione della suo concetto di “destino della necessità” - è un po’ curiosa ed è da lui stesso così riassunta: «Una società ispirata al Vangelo è preferibile, ma non basta a risolvere i problemi».
Come
se
fosse
possibile ipotizzare l’esistenza di una teoria e di un’etica capaci di risolvere una volta e per sempre i problemi della vita e del mondo. Se Severino non ha, forse, bisogno di riavvicinarsi alla Chiesa cattolica perché la sua filosofia, per quanto messa all’indice, non si è mai allontanata da una visione metafisica dell’umana condizione, Gianni Vattimo fece un po’ di scalpore qualche anno fa quando pubblicò il libro Credere di credere con cui dava la sua versione del cristianesimo e della fede in Gesù: una “fede debole”, in pra-
tica. La sua interpretazione del cristianesimo è stata notevolmente influenzata dall’opera di René Girard secondo il quale la Passione di Cristo rappresenta la libertà morale degli uomini in quanto mostra la innocenza della vittima che nelle società arcaiche e nei riti pagani fungeva da capro espiatorio. L’ex presidente del Senato, Marcello Pera, già allievo sia di Francesco Barone sia di Karl Popper e della sua scuola del “razionalismo è critico”, molto vicino a Benedetto XVI e il pontefice ricambia l’amicizia e la stima firmando una lettera che funge da prefazione all’ultimo libro del filosofo: Perché dobbiamo dirci cristiani (Mondadori).
Pera fa un passo oltre Croce e dalla doppia negazione che diventava affermazione (non possiamo non dirci cristiani) passa alla perentoria affermazio-
ne (dobbiamo dirci cristiani) perché è dal cristianesimo che derivano i principi liberali e di libertà della nostra cultura filosofica, politica, civile.
A questi nomi se ne potrebbero aggiungere degli altri. Si potrebbe, ad esempio, citare Giulio Giorello (due anni fa firmò il saggio di successo Di nessuna chiesa, Raffaello Cortina Editore) che per far meglio risaltare la sua posizione di libertà non rifiuta il confronto con il cristianesimo e, anzi, attinge a figure tutt’altro che estranee alla cristianità come Locke e Mill. Il suo apprezzabilissimo confronto con il cattolico e liberale Dario Antiseri lo si può leggere nel libro Libertà edito da Bompiani. Insomma, il confronto con il cristianesimo è ineliminabile. Era per questo che Francois-René De Chateaubriand parlava di Genio del cristianesimo (questa sua celebre opera si può ora nuovamente apprezzare nella bella versione dei Classici della Bompiani). Diceva Chateaubriand: «Una cosa mi sorprende sempre quando penso a Voltaire: con un intelletto superiore, ragionevole, illuminato, è rimasto completamente estraneo al Cristianesimo; non ha mai visto ciò che ognuno vede: che l’affermarsi del Vangelo, anche soltanto dal punto di vista umano, è la più grande rivoluzione che si sia operata sulla terra».
panorama
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Caso Englaro. Atto di indirizzo del ministro Sacconi alle strutture pubbliche e private: è illegale interrompere l’alimentazione
Eluana, finalmente il governo batte un colpo di Antonella Giuli segue dalla prima Ad ogni modo, l’atto firmato dal ministro Sacconi di fatto renderà illegale per qualsasi struttura pubblica e privata sul territorio nazionale l’adempimento della volontà della famiglia Englaro, e cioè il distacco del sondino che alimenta e idrata la giovane. «L’atto - ha infatti spiegato nel tardo pomeriggio di ieri Sacconi - è doveroso affinché tutto il Ssn si uniformi e garantisca a qualunque cittadino il diritto alla nutrizione e all’idratazione». I riferimenti alla base di questo documento sono il parere del Comitato nazionale per la bioetica del 30 settembre 2005, la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, approvata il 13 dicembre 2006, sottoscritta dall’Italia il 30 marzo 2007 e attualmente in corso di ratifica. E ovviamente l’articolo 32 della Costituzione italiana. L’unica possibilità per interrompere l’idratazione e l’alimentazione, a questo punto, è che questi atti siano «rifiutati dallo stesso paziente in stato vegetativo. Cioè nel caso in cui
pria funzione e quel “potere”che andrebbe esercitato con spirito illuminato dai principi della Costituzione». «La vera tragedia ha incalzato la deputata del Pd è quella di Eluana, e il vero strazio è quello di un padre che lotta per affermare la volontà di una figlia amatissima».
Il legale della famiglia:«Un’interferenza abnorme che non vale niente».Il Pd:«Un diktat disumano e irrispettoso». Pdl e Santa sede:«Atto giusto e sacrosanto» l’organismo del malato rigetti queste misure. In ogni caso – ha aggiunto Sacconi - la valutazione clinica resta affidata al medico».
Immediata la reazione del legale della famiglia Englaro, Vittorio Angiolini, secondo cui «l’atto di indirizzo del ministero della Salute non vale niente, perché la legge non la fa Sacconi. Mi
sembra una cosa abnorme, un’uscita fuori del seminato e mi stupisco del ministro, che è una persona seria». E puntuali sono arrivate anche le reazioni del mondo politico. Prima su tutti, Barbara Pollastrini, che ha definito l’atto ministeriale come «il diktat per rendere inapplicabile la sentenza della Cassazione. E’ uno stile autoritario, disumano e irrispettoso con cui interpretare la pro-
Le ha fatto eco poco dopo il bioeticista Demetrio Neri, membro del Comitato Nazionale di Bioetica (e lo era anche il 30 settembre del 2005, quando il Cnb, presieduto da Francesco D’Agostino, a maggioranza approvò il parere citato dal ministro Sacconi nella sua disposizione): «E’ certamente un atto grave quello preso dal ministro, ma ancor più grave è la crudeltà verso la famiglia, verso il padre e la madre di Eluana. Su quel parere - ha aggiunto - ci furono ben 10 voti contrari, una minoranza molto qualificata di cui il ministro non tiene conto: e poi il fatto che un atto sia legale o illegale dipende, mi sembra, dall’esistenza di una legge. E il ministro Sacconi non può sostituirsi al Parlamento nel fare le leggi». Di tutt’altro parere l’e-
sponente del Pdl Isabella Bertolini, che ha invece accolto positivamente l’indirizzo di Sacconi definendolo «giusto e sacrosanto»: «La posizione assunta rende di fatto non eseguibile la condanna a morte di Eluana decretata dalla sentenza del giudice. I sostenitori del «diritto alla morte a tutti i costi se ne facciano una ragione: per la legge Eluana deve essere aiutata a vivere e non a morire. Siamo grati al ministro Sacconi per il coraggio e la determinazione dimostrata nell’assumere questo provvedimento che tutela la vita e ne ribadisce l’indisponibilità». E nel tardo pomeriggio, un commento positivo è arrivato anche dal Vaticano, che attraverso il cardinale Javier Lozano Barragan ha giudicato l’atto «molto ragionevole e sensato, perché riconosce che l’accanimento terapeutico da una parte, l’alimentazione e l’idratazione dall’altra, sono cose molto distinte. Questa è la prova che il ministero della Salute sta dalla parte della vita in questo tempo natalizio in cui celebriamo il massimo della vita, ovvero il figlio di Dio».
Vigilanza. La strategia del presidente della commissione contro la “scomunica” di Schifani
Gli azzeccagarbugli del Signor Villari di Francesco Capozza
ROMA «Sul “caso Villari”credo si stia arrivando davvero alla caratterizzazione di una sceneggiata durata già troppo a lungo». Parole dure, che provengono dalla bocca di un ministro in carica, non dall’ultimo dei “peones” del Parlamento. «La proposta del presidente del Senato Renato Schifani è inaccettabile, rischia di produrre un precedente che va contro quanto stabiliscono i regolamenti parlamentari e la normale prassi costituzionale», tuona invece un ex ministro di primissimo piano. «A Schifani consiglierei, da ex presidente dei senatori Udc, prima ancora che da professore di diritto costituzionale, di non trasformare una questione puramente politica in una difficile questione procedurale», ci dice l’ex senatore Francesco D’Onofrio. «Viva Villari! Si dimetta Schifani piuttosto!» grida sarcastico il leader Radicale Marco Pannella.
no. Ma su che basi si starebbero muovendo gli Schifani boys? Sull’articolo 1 del regolamento interno della commissione stessa, che recita: «La commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi è composta di venti deputati e venti senatori nominati dai Presidenti delle due Camere del Parlamento, sulla base delle designazioni effettuate da tutti i Gruppi parlamentari e in maniera da assicurarne la
durre una decisione facilmente impugnabile. «Così si svilisce il ruolo parlamentare. E, per di più, si obbligherebbero i rappresentanti del popolo a essere legati forzatamente a un gruppo parlamentare anche contro coscienza», incalza un altro autorevole costituzionalista.
Il dibattito su Villari e sull’opportunità che rimanga presidente della commissione di Vigilanza, che sembrava essersi sopito con la presa d’atto che il diretto interessato non ha minimamente voglia di dimettersi, è tornato di grande attualità nelle ultime ore. Da quando cioè Walter Veltroni, nell’incontro avuto lunedì mattina con Gianfranco Fini, ha minacciato una durissima rappresaglia parlamentare se Villari non si fosse dimesso. Le diplomazie sono a lavoro, una cosa è certa però: nella maggioranza non c’è nessuna voglia di accontentare il leader pd, la cui popolarità, peraltro, sta precipitando anche tra il suo stesso elettorato.
L’articolo 1 del regolamento interno alla commissione autorizzerebbe il presidente del Senato a revocare la nomina Rai
Al di là delle opinioni personali e delle varie interpretazioni che si fanno sulla questione, nelle ultime ore l’ufficio legislativo del presidente del Senato sta lavorando alacremente per capire se l’ipotesi di “revoca” del mandato di consigliere in Vigilanza Rai sia percorribile o me-
rappresentanza proporzionale». Sono quindi i presidenti delle Camere che formalmente nominano - con proprio decreto - i consiglieri della Vigilanza e, secondo il parere della presidenza del Senato, poiché è il presidente Schifani che ha nominato Riccardo Villari (che è senatore) sulla base di una designazione fatta dal gruppo del Pd, e poiché Villari non fa più parte di quel gruppo, sarebbe nei poteri dello stesso presidente revocare quella nomina precedentemente fatta. Un terreno molto scivoloso però, che non ha precedenti e che potrebbe pro-
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il paginone
Carla Bruni, Rachida Dati e Rama Yade: le tre donne vicine all’Eliseo che hanno deciso di restare se
La caduta delle sar di Gennaro Malgieri
segue dalla prima La vertigine scintillante che promana dall’ambizione impastata con la bellezza, del resto, è incontrollabile. E a Rachida Dati e a Rama Yade nessuno è stato in grado di mettere il guinzaglio. A Palazzo Matignon si stanno dannando l’anima per cercare di capire come, entrambe, hanno potuto sfidare il monarca repubblicano, senza valutarne le conseguenze. E qualcuno comincia a pensare che siano stupende proprio per questo, per l’incanto che provocano anche quando cadono, consapevolmente. L’una e l’altra senza virtù politicamente oscene da sostenere e da difendere. Hanno deciso di essere se stesse. Statuarie, altere, inavvicinabili nel prendersi gioco dei loro maggiorenti, da Fillon a Kouchner, non possono che destare scalpore, ammirazione, gelosia, odio perfino. Ma sono donne, belle e impossibili.
Ai tavoli dei ristoranti che contano, nei circoli politici che presumono di suggerire all’Eliseo le mosse per liberarsi delle “sarkozettes”, nelle redazioni dei giornali non si fanno altro che ipotesi su quando Rachida e Rama, una ministro della giustizia l’altra sottosegretario ai diritti umani dipendente dal responsabile degli Esteri, dovranno lasciare i loro incarichi. Perché così andrà a finire. Ma, comunque, per loro finirà meglio che per Sarkozy che le ha “inventate”. Un monarca può tutto, anche in epoca repubblicana, salvo mettersi contro favorite che non si sono sottomesse alla sua volontà, ma hanno deciso di sbagliare in proprio, se hanno sbagliato. Forse la Dati ha commesso qualche errore nell’inimicarsi la categoria dei magistrati, ma quale guardasigilli di questi tempi è amico dei giudici? Forse ha preteso troppo dal suo staff che prima l’ha osannata e poi ha cominciato a detestarla. Si sospetta non perché crudele, ma in quanto si è considerata prima donna di Francia, senza aver mai dovuto sfilare sulle passerelle. E poi per la smodata passione per se stessa, il suo corpo, il suo sorriso contagioso. E se non bastasse, nessuno dei suoi detrattori le perdona di essere amante della mondanità, dell’eleganza, dei gioielli, delle cose belle. Lei, figlia di immigrati maghrebini, con nove fratelli e sorelle da accudire, il mese prossimo mamma di un bimbo il cui padre dovrebbe essere uno degli uomini più potenti della Terra, prima donna di Francia: non dovrebbe esserle permesso. E la sottile xenofobia sociale che s’insinua negli am-
Nella foto a sinistra, il ministro della Giustizia, Rachida Dati. A destra, la First Lady, Carla Bruni. In basso, il sottosegretario agli Esteri, Rama Yade
In questi giorni, i settimanali francesi orientati a destra (come “Le Point” o il più radicale “Valeurs Actuel”) dedicano le storie di copertina alle stelle cadenti di Sarkozy bienti esclusivi della capitale, sove gli affari ed il potere vanno a braccetto,ha fatto la sua parte mettendola in cattiva luce, enfatizzandone le gaffes, enumerando le cose non fatte e dimenticando le molte realizzate nel tentare di riformare la giustizia francese.
Si dice che Rachida per diventare se stessa avrebbe dovuto chiedere il permesso a Carla Bruni. In altri termini, l’ex-modella, già fidanzata di alcune delle più rappresentative icone dell’universo musicale pop senza lasciarsi scappare filosofi dall’incerta fama, padre e figlio naturalmente, sembra che non abbia mai tollerato la fascinosa africana in quanto troppo amica di Cécilia, moglie in carica al tempo dell’elezione di Nicolas. Ma forse c’è dell’altro. Sempre se è vero quel che dicono le malelingue qui a Parigi: la probabile antica passione nutrita per lei dal presidente le avrebbe alienato le simpatie della cerchia più ristretta dell’Eliseo. Comunque, la stella cadrà. È già deciso. E quello che sta vi-
vendo è un Natale che prefigurava assai diverso. Anche per una maghrebina arrivata ai vertici della Quinta Repubblica, la più fedele al capo, la stratega della sua fortuna fin da quando era un giovane in carriera, ma già sognava di emulare De Gaulle. E lei lo assecondava.
Sarà anche vero che Sarkozy s’attendeva molto di più dalla Dati, il cui percorso è stato tanto spettacolare quanto
caotico, come scrive il moderato settimanale “Le Point” che nel definirla in copertina “stravagante”arriva ad imputarle di aver preferito una colazione con il Principe Alberto di Monaco piuttosto che un incontro con le guardie carcerarie. Come non comprenderla. È probabile che abbiano ragione i suoi nemici, ma il suo pigmalione non ha proprio nessuna responsabilità? Rama Yade, la trentunenne splendida senega-
il paginone
e stesse. Anche a rischio di provocare scalpore
rkozettes
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Dall’alta moda all’Eliseo. Passando per la musica
Carla, la regina Carla Bruni è la figlia dell’industriale e compositore Alberto Bruni Tedeschi e della pianista e attrice Marisa Borini (oltre che essere la sorella dell’attrice Valeria Bruni Tedeschi). Proveniente da una ricca famiglia torinese, all’età di 3 anni si trasferisce con i genitori a Parigi per paura di un rapimento da parte delle Brigate Rosse. Il nonno, Virginio Bruni Tedeschi, aveva fondato negli anni venti la Ceat, seconda industria italiana della gomma dopo la Pirelli, poi venduta dal padre a metà degli anni Settanta. Dopo un periodo di studi presso scuole private in Svizzera ritorna in Francia per iscriversi alla facoltà di architettura alla Sorbona, che però lascia a 19 anni per diventare una modella a tempo pieno. Negli anni Novanta diventa una delle modelle più pagate al mondo. E in questo pe-
riodo le vengono attribuiti numerosi flirt con rockstar e attori. Nel 1998 esce dal mondo della moda per dedicarsi ad un’altra sua passione, la musica. Il 16 dicembre 2007 la stampa francese rende pubblica la sua relazione con il Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy, da poco separato dalla moglie Cécilia CiganerAlbéniz. La coppia si sposa il 2 febbraio al 2008 Palazzo dell’Eliseo, con una breve cerimonia in forma civile.
La giurista che ha studiato anche economia
Rachida, la stravagante Rachida Dati nasce a Saint-Rémy (in Borgogna), il 27 novembre 1965. Secondogenita di una famiglia con 12 figlie, ha passato la sua infanzia nella cittadina di Chalon-sur-Saône, sempre in Borgogna. Dopo aver frequentato la scuola cattolica, inizia (a 16 anni) a lavorare come infermiera e poi come impiegata alla Elf Aquitaine per mantenersi nei suoi studi di economia. Lavora anche un anno a Londra (alla European Bank for Reconstruction and Development), prima di essere ammessa alla École nationale de la magistrature. Nel 1999, diventa uditore al tribunale di Bobigny. Nel 2002 diventa uno dei consiglieri di Sarkozy nell’elaborazione di un
lese, che potrebbe competere per charme e portamento con Naomi Campbell, ancor più che con la premiere dame, si occupa di diritti umani.Voleva diventare ministro agli Affari Europei. Kouchner s’è opposto. Sarkozy avrebbe voluto dirottarla al Parlamento europeo, candidandola come capolista alle prossime elezioni.
Lei non ha accettato, facendo sapere di volersi occupare della Francia dove intende dispiegare il suo destino politico. S’è messa contro tutti. Sapendo di correre dei rischi, tra i quali quello di interrompere troppo presto la sua carriera politica. Spavaldamente s’è gettata senza paracadute, sostenuta soltanto dalla sua caparbietà e dalla sua bellezza. Ingestibile. Da cancellare. Poi hanno anche detto che sarebbe “inutile”. Intanto in poco più di un anno al governo ha fatto tremare diplomatici e brasser d’affaires criticando la visita di Gheddafi, l’appeasement francese con il governo libico e molto si è impegnata affinché il suo Paese boicottasse le Olimpiadi di Pechino. A tanti piace questa giovane africana francese anche perché di per-
dere il posto non gliene frega poi molto. Ama la politica ed ha una vita irreprensibile. Non ha sedotto nessuno per arrivare dove pericolosamente staziona. Bella e impossibile. Come la sua collega guardasigilli.
In questi giorni i settimanali orientati a destra, dal citato Le Point al più radicale Valeurs Actuel, dedicano le storie di copertina alle stelle cadenti di Sarkozy. È fin troppo naturale. Ciò che stupisce è che siano giornali che non fanno mistero della loro linea politica a muovere aspre critiche al presidente, per come ha gestito questi ultimi casi e per numerosi altri motivi. Gli addebiti, insomma, non sono demolitori, ma rispecchiano il rigore di una certa destra conservatrice che non deve mandarle a dire all’interessato temendo reazioni irragionevoli. Così si fa in Francia. Dove la monarchia repubblicana è più potente di qualsiasi democrazia parlamentare. E dove le stelle possono cadere, dopo aver vagato negli spazi siderali del potere. Magari soltanto perché belle e impossibili. Ma quanto appassionatamente desiderabili.
progetto anti-criminalità. Nel 2006 aderisce all’Ump (Union for a Popular Movement). La Dati è l’attuale ministro della Giustizia del secondo Governo Fillon, nonché sindaco del VII arrondissement di Parigi. Rachida Dati ha doppia cittadinanza: francese per ius soli e marocchina per ius sanguinis. Portavoce di Nicolas Sarkozy durante la campagna elettorale delle elezioni presidenziali del 2007, diventa Guardasigilli il 18 maggio dello stesso anno. La Dati è la prima donna di famiglia non europea (oltre che la prima di origini arabe) a occupare una posizione ministeriale chiave in un governo francese.
Dal Senegal alla tv, dalla tv al governo
Rama, la temeraria Rama Yade (il nome completo è Ramatoulaye Yade-Zimet) è segretario di stato nel ministero degli Esteri guidato da Bernard Kouchner. Sposata con Joseph Zimet, che fa parte anch’egli dell’attuale governo francese, presieduto da François Fillon, RamaYade nasce a Dakar (Senegal) in una famiglia benestante vicina al mondo politico senegalese, essendo suo padre un ex braccio destro del presidente socialista Léopold Sédar Senghor. Arriva in Francia nel 1984 con la famiglia. Dopo aver studiato d’éall’Institut tudes politiques di Parigi, ha lavorato nel municipio di Parigi e
nell’Assemblea nazionale francese prima di diventare direttrice dei programmi del canale televisivo parlamentare Public Sénat. Nel 2005 aderisce all’Ump, anche se dichiara di non averlo fatto perché condivide le idee conservatrici del partito, ma soltanto per il carisma del suo leader, Nicolas Sarkozy. Nel marzo 2006 viene nominata segretaria nazionale dell’Unione per un Movimento Popolare per la francofonia. Il 19 gennaio 2007 diventa segretario di Stato agli Esteri nel governo Fillon con delega ai diritti umani. Recentemente si è parlato di Rama Yade sia come possibile sostituto di Jean-Pierre Jouyet al ministero degli Affari Europei, sia come possibile candidato alle prossime elezioni europee previste per il 2009. Eventualità, quest’ultima, smentita dalla stessa interessata.
mondo
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San Pietroburgo. La polizia irrompe nella sede di Memorial, storica ong per i diritti umani fondata da Sacharov, e confisca l’intero archivio
Memorie sotto sequestro Rischiano l’oblio vent’anni di ricerche sulle purghe staliniane gli orrori dei gulag di Aldo Forbice essuno ha saputo nulla perché nessun giornale, nessuna tv, nessuna radio ne ha dato notizia: Memorial, l’unica associazione di diritti umani della Russia di Putin, è stata sottoposta pochi giorni fa a un inaudito sequestro di documenti cartacei e dei dischi rigidi di tutti gli 11 computer degli uffici e di molti altri supporti informatici. Un gruppo di militari ha a lungo perquisito la sede di San Pietroburgo, su ordine della Procura, ma non è stato spiegato in alcun modo che cosa effettivamente cercassero. Fra i documenti sequestrati anche i dati biografici di 50 mila vittime della repressione staliniana, do-
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Aleksandr Litvinenko, a Londra col polonio. Un caso su cui non si è riusciti a fare luce, nonostante siano uscite sui giornali le ipotesi più fantasiose. Evidentemente la strategia della “disinformazia” del vecchio regime comunista funziona ancora molto bene. D’altra parte gli uomini sono sempre gli stessi e così pure i metodi. Anche violenti. Come si è visto dalla sistematica chiusura di radio e di giornali non amati dalle autorità della Russia di Putin e dai suoi amici. Per non parlare degli assassini di giornalisti e operatori dell’informazione, come quello di Anna Politkovskaja e di tanti altri (se ne calcolano almeno un centinaio)
di Cecenia, come inviati o come cronisti: avevano scritto o parlato alle radio o alla tv delle violazioni dei diritti umani da parte dei militari russi. La Politkovskajia, lo sappiamo, si è occupata a lungo di questo Paese e, in generale, della condizione di tutte le popolazioni del Caucaso ed è per queste ragioni che il 7 ottobre del 2006 è stata assassinata nell’androne di casa sua. Proprio in questi giorni si sta celebrando il processo ai suoi assassini, ma si tratta solo di quattro delinquenti comuni, fra cui due ceceni filorussi (gli altri due sono ex poliziotti), con ruoli di supporto. Il vero killer sembra fuggito in
4 dicembre 2008, San Pietroburgo, via Rubinstein, poco fuori dal centro. Sette uomini dell’ufficio del Procuratore generale, armati e ”alcuni a volto coperto” devastano la sede cumenti di archivio, fotografie, interviste con ex prigionieri sopravvissuti ai famigerati gulag e copie digitali di archivi privati. Memorial, certo, non è mai stata amata dalle autorità russe: per le ricerche sugli archivi dell’ex Urss, per le denunce delle responsabilità storiche dell’ex regime comunista in oltre settant’anni di storia, per la difesa dei diritti dei cittadini del dissenso. Memorial si è sempre occupata di preservare, valorizzare e far conoscere alle nuove generazioni l’autentica storia delle popolazioni della Russia e dei Paesi che sono stati aggregati coattivamente nell’impero comunista, da Lenin, a Stalin a Breznev, a Gorbacev. Memorial ha documentato a lungo la tragedia della Cecenia ,con le due guerre militari e tutte le repressioni che ancora oggi continuano, denunciando le sistematiche violazioni dei diritti umani da parte dell’esercito russo.
L’associazione è stata sempre molto attiva, in oltre venti anni di attività, nelle iniziative umanitarie. Lo scorso novembre, ad esempio, al Centro Sakharov di Mosca è stato proiettato il documentario Rebellion, The Litvinenko Case,assolutamente vietato in tutta la Russia, sul noto assassinio dell’ex spia del Kgb,
ufficialmente classificati come “incidenti” o “cause naturali” (infarti, scontri automobilistici, avvelenamenti da cibi definiti guasti, ecc.). Negli otto anni della presidenza Putin (2000-2008) 13 giornalisti sono stati uccisi, con modalità definite come delle vere e proprie “esecuzioni”. A questi si aggiungono numerose altre morti sospette, che avevano un filo rosso comune: tutti questi giornalisti - che Memorial ha conosciuto bene - si sono occupati
Il blitz è avvenuto a poche ore da un importante convegno su Stalin. Non è un caso
Stanno cercando di annientare l’opposizione colloquio con Dario Fertilio di Luisa Arezzo iornalista e scrittore, Dario Fertilio, insieme con l’intellettuale russo Vladimir Bukovskij, ha lanciato il progetto “Memento Gulag”, la giornata per ricordare le vittime dei genocidi comunisti, che si celebra il 7 novembre. Obiettivo: celebrarla un giorno («ancora lontano, purtroppo») a San Pietroburgo. Forti i suoi legami con Memorial. «Questa vicenda ha un prologo complesso - dice. E il
G
primo commento da fare, a caldo, è che questo ennesimo gesto è stato perpetrato senza una precisa motivazione ufficiale. Una mancanza di chiarezza giudiziaria che marca il segno di questa semidemocrazia al potere in Russia». Perché l’irruzione nella sede distaccata di San Pietroburgo? Perché la città, per una serie di circostanze, è il simbolo e il cuore pulsante dell’arcipelago
politico di opposizione al putinismo e non a caso: San Pietroburgo è la città natale di Vladimir Putin. Esattamente un anno fa, per esempio,Vladimir Bukowski lanciò da quella città la sua proposta di candidarsi alla presidenza, proposta poi rigettata perché lui, essendo esule in Gran Bretagna, non è in possesso della residenza russa, elemento sine qua non per candidarsi. In quella occasione erano pre-
senti altre opposizioni, fra cui Memorial. E Bukowski lanciò la proposta di collegare quell’opposzione ai Comitati per le libertà. Ovviamente ciò non è successo, ma si può ragionevolmente pensare che il governo stia cercando di mettere in difficoltà questa volontà di sinergia fra le opposzioni.Tanto che l’iniziativa Memento gulag, la cui prima edizione si è tenuta proprio a Roma nel 2002 e che
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Sottratto l’intero archivio elettronico: 11 hard disk, 10mila foto d’epoca, diari. Documenti sui gulag coi nomi di oltre 50mila vittime Occidente e non si parla di mandanti politici. Si è fatto di tutto per celebrare il processo a porte chiuse, ma alla fine la reazione dei figli, dei legali e degli operatori dei diritti umani legati a Memorial, hanno vinto. Il pubblico è stato ammesso in aula,ma dubitiamo che si riuscirà a fare completa giustizia, visto che non sono stati identificati neppure tutti i responsabili di quel crimine. Per la verità, un nome si è fatto, forse perché è misteriosamente scomparso. Rustam Makhmud, fratello di due degli imputati, che sembra protetto dai servizi segreti russi. Gli interrogativi sono ancora numerosi.
ogni anno viene riproposta in altre città con l’ideale scopo di terminare il suo giro proprio a San Pietroburgo, è di là da venire. Perché un’irruzione proprio adesso? L’operazione è avvenuta alla vigilia di un convegno internazionale sullo stalinismo promosso da Memorial. Nei dossier sottratti ci potrebbe essere qualcosa che forse non si voleva rendere noto. Basti pensare che l’opionione pubblica russa media, è si consapevole dei gulag stalinisti, ma è convinta che il numero di vittime sia assolutamente limitato. Diciamo che per un russo scoprire che i morti – tanto per ci-
tare il libro nero sul comunismo – oscillano fra i 20 e gli 80 milioni, potrebbe essere sconvolgente. Senza dimenticare l’attuale tendenza politica di riabilitare la figura di Stalin... Sì, c’è anche questo. Sono stato in Russia in occasione del primo maggio, proprio per assistere alla consueta manifestazione. Il Corteo era diviso in due blocchi. Il primo composto da movimenti più o meno democratici e quasi simbolici. Poi il partito di Putin e a seguire un lungo corteo vecchio stile sovietico, con bandiere comuniste, effigi di Stalin e tutto l’armamentario dell’Internazionale.
Foto grande: il recinto spinato di un gulag; a sinistra, in senso orario: Stalin, Andrej Sakharov, nobel per la pace morto nel 1989, Vladimir Bukowski, scrittore russo in esilio in Gran Bretagna. Immagini della biblioteca moscovita di Memorial
Ma non passa giorno in Russia senza che i giornalisti non subiscano violenze,maltrattamenti (e talvolta anche peggio) da parte delle autorità di Mosca, nonostante le assicurazioni sulla “libertà di stampa” del nuovo presidente russo Medvedev. Proprio qualche giorno fa il capo redattore del quotidiano La verità di Khimki (provincia di Mosca), Mikhail Beketov, è stato ritrovato a qualche chilometro del suo giornale, in condizioni gravissime. È stato massacrato con spranghe. Di quale colpa si era macchiato questo giornalista? Il suo giornale aveva denunciato più volte il progetto di distruzione, da parte di imprese dell’edilizia, della foresta vicina alla cittadina per costruire una autostrada ad alta velocità. Anche di tutto questo, cioè della “brutale attualità”, si occupa Memorial, che continua a denunciare le violazioni quotidiane dei diritti umani nella Federazione Russia e negli Stati “amici”. È stato dunque un’intimidazione forte nei confronti di questa coraggiosa associazione, dove volontari si alternano nelle ricerche e negli studi della storia. Memorial,come si è detto, si è occupata a lungo del sistema “concentrazionario”, cioè dei gulag, creato da Stalin nel 1929, per rinchiudervi i dissidenti, i rappresentanti di minoranze invise al regime, finalizzato al controllo capillare della società sovietica e alla epurazione di ogni avversario del comunismo. Tra gli anni Trenta e il 1953 (anno della morte del tiranno) furono crea-
ti più di 500 lager che ospitavano da poche decine di detenuti sino a centinaia di migliaia. Fin’ora Memorial è riuscita a documentare, dopo venti anni di lavoro, un numero limitato di vittime di questo “arcipelago”: tra i 22 e i 27 milioni di uomini e donne. Nei campi di lavoro forzato, come quello di Ispravitel’no-Trudovyee Lagerya, i prigionieri lavoravano in condizioni disumane, a temperature che in alcune regioni, durante l’inverno, scendevano sino a 50 gradi sottozero, malvestiti, denutriti, oggetto di violenze indiscriminate da parte delle guardie. Quegli orrori ebbero termine verso la fine degli anni ’50, in epoca chruscioviana. Vi sono studiosi che sono riusciti a documentare un numero più alto di vittime (da 40 a 70 milioni per l’intero periodo del regime comunista dell’ex Urss). Ma vi sono storici che, anche con saggi recenti (citiamo, ad esempio, quello del docente dell’Università di Urbino, Domenico Losurdo, che con l’avallo del suo maestro Luciano Canfora, cerca di riabilitare quel sanguinario dittatore, che si è portato nella tomba milioni di vittime innocenti (Stalin, Carocci editore). Brutto segnale. Avremo presto anche un “recupero” storico e politico di Mao Ze Dong, una valorizzazione di Pol Pot e di qualche altro dittatore responsabile di genocidi? Ecco perché associazioni come “Memorial” sono importanti, inostituibili, scomode al potere: sono fondamentali per valorizzare la memoria storica, se vogliamo che le nuove generazioni apprendano le vicende storiche del passato, rifuggendo da manipolazioni, valorizzazioni strumentali, riabilitazioni ideologiche che nulla hanno a che vedere con una vera tutela dei diritti umani.
mondo
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Ue. Mantenendo la presidenza dell’Eurogruppo, il capo dell’Eliseo mira a giocare un ruolo ancora forte. E Klaus paragona l’Ue all’Urss
Sarkozy, addio con riserva di Luisa Arezzo e Sergio Cantone
roazia a pieno titolo nella Ue entro tre anni, black block greci “schiaffeggiati”(«I grandi cambiamenti si decidono alle urne), l’Unione come “l’idea più bella del XX secolo», un grazie a Berlusconi per il suo aiuto nell’ultimo Consiglio europeo e poi la dura polemica contro il presidente ceco Vaclav Klaus, che si ostina a non issare il vessillo europeo sul Castello di Praga e il cui Paese raccoglierà il testimone Ue della Francia il primo gennaio 2009. Una polemica poi raccolta e rafforzata dal presidente della Commissione Barroso e da quello del Parlamento europeo Poettering, che non perdonano a Klaus di aver paragonato l’Ue all’ex Urss e gli euroscettici ai dissidenti dell’era del socialismo reale. Con «ho cercato di cambiare l’Europa, ma l’Europa ha cambiato me», Sarkozy ha preso commiato dal semestre di presidenza francese dell’Unione europea, nel corso di un discorso davanti all’Europarlamento di Strasburgo. Sottolineando, in particolare, i successi ottenuti nell’affrontare il conflitto in Georgia, la crisi economica e il pacchetto climatico e ribadendo la necessità di un’Europa forte e l’importanza strategica dell’Unione per il Mediterraneo, praticamente una sua “creatura”. Proprio l’ambiguità di queste parole fa pensare che, più che un addio, il suo sia un probabile arrivederci. Nonostante i sei mesi di leadership della Francia si chiuderanno il 31 dicembre 2008, sono in mol-
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ti a credere che l’ombra lunga dell’Eliseo si estenderà anche al semestre di presidenza ceca.
La chiave che potrebbe permettere a Sarkozy di esercitare la propria influenza a spese dei cechi, è la necessità di gestire con nerbo l’economia europea in tempi di crisi. E l’Eurogruppo, il consiglio ristretto dei ministri delle finanze della zona Euro, offrirebbe alla
rappresentati solo a livello di ministri delle finanze» ha detto Sarkozy ieri a Strasburgo in conferenza stampa al parlamento europeo, aggiungendo: «poi c’è l’Eurogruppo, dove si parla di bilancio e di finanza e, con mio grande rammarico, molto poco di economia. Ebbene credo che occorra parlare più di economia e di come coordinarci, forse anche a 27, con questa crisi è fondamenta-
ospite d’onore, nonostante il “piccolo dettaglio” della sterlina. Era una proposta che aveva già formulato il 21 ottobre scorso dopo che l’Europa aveva preso le prime sberle dalla crisi finanziaria. Provocò un terremoto. Angela Merkel perse le staffe e rimandò l’idea al mittente, per la Germania si tratta infatti di un’inaccettabile forma di controllo politico dell’Euro, il celeberrimo “go-
Anche Barroso e Pottering contro il presidente ceco, che compara gli euroscettici ai dissidenti dell’era del socialismo reale e che si ostina a non voler issare il vessillo europeo sul Castello di Praga, sede della presidenza Francia il terreno ideale per estendere il proprio potere al di là del calendario istituzionale. «Osservo che ci sono ben poche strutture economiche al momento. C’è il consiglio ecofin dove gli stati membri sono
le». Il presidente francese vorrebbe un Eurogruppo non più semplicemente a livello ministeriale, ma composto da capi di stato e di governo, eventualmente con l’aggiunta della Gran Bretagna nella veste di
verno economico dell’eurozona”, nemico pubblico numero uno a Berlino e dintorni. Ma c’è di più, Sarkó non ha rinunciato all’idea di creare regole comuni sovranazionali europee per controllare la finanza,
Finto attentato rivendicato da gruppo afghano: «Ritirate le vostre truppe»
Allarme bomba, a Parigi incubo terrorismo Torna l’incubo del terrorismo in Europa, nel cuore di Parigi. Cinque candelotti di dinamite sono stati trovati in un grande magazzino Printemps-Haussmann, poco distante dalla Madeleine. Il negozio è stato evacuato, è rimasto chiuso per alcune ore, ed è stata isolata tutta l’area, che si trova sul più grande boulevard commerciale delle ville lumiere, affollato da turisti e parigini alle prese con lo shopping natalizio. La polizia ha poi fermato sette presunti jihadisti (tra cui un francese). Sono sospettati di coinvolgimento nel reclutamento di combattenti da inviare in Iraq, ma - secondo fonti della sicurezza - non
sembrano collegati al ritrovamento dell’esplosivo. A segnalare la presenza degli ordigni era stata una lettera a nome del Fronte rivoluzionario afghano, finora sconosciuto, che ha chiesto il ritiro dei 2.600 soldati francesi dall’Afghanistan entro la fine di febbraio 2009. In caso contrario, hanno avvertito, ci saranno nuovi azioni «nei vostri grandi magazzini capitalistici e stavolta senza avvertirvi». «Dobbiamo essere tutti molto prudenti e moderati», ha detto il presidente Sarkozy, spiegando che «la polizia sta analizzando la natura del materiale ritrovato e delle rivendicazioni».
ce n’è abbastanza per far strabuzzare gli occhi al premier britannico Gordon Brown.
Ed è proprio approfittando della debolezza strutturale della presidenza ceca che l’Eliseo potrebbe approfittare per proposte politiche avanzate. Praga oltre a non essere un membro dell’Euro, è un piccolo Paese con una leadership indebolita da una lotta di potere tra euroscettici come il suo presidente, Vaclaw Klaus, e pragmatici come il primo ministro, Mirek Topolanek, che solo una decina di giorni fa ha salvato la poltrona da una congiura ordita dal Capo dello Stato. La Repubblica Ceca è molto sensibile ai desiderata di Londra e per Topolanek: «la crisi va affrontata con regole forti a livello nazionale. Piuttosto che creare un nuovo sistema di controllo europeo, occorre rafforzare l’attuale». Ecco perchè le idee francesi di un super Eurogruppo e di forti regole potrebbero creare un conflitto tra Parigi, Londra e Berlino schiacciando le ambizioni della presidenza ceca. «Non è la prima volta che capita, la Francia ha sempre avuto la tendenza a prolungare le sue presidenze» sdrammatizza Topolanek. Per Piotr Kaczynski, ricercatore del think-tank di Bruxelles Ceps (centro per gli studi di politica europea) «Sarkozy è abituato a fare proposte forti al di fuori dei sei mesi di presidenza, l’Unione per il Mediterraneo era stata formulata addirittura durante la campagna elettorale francese nel 2007».
mondo l 150mo meeting dell’Opec, tenutosi a Vienna lo scorso ottobre, la Conferenza degli Stati membri ha concluso - sulla base dell’analisi della crisi finanziaria, che ha depresso la domanda mondiale di energia, e di petrolio in particolare, portando a galla le dinamiche fluttuanti del mercato del barile che il mercato è stato sovrasommerso dall’offerta di greggio, con conseguente collasso dei prezzi del petrolio. Se per alcuni osservatori più attenti alle tasche dei consumatori, tale crollo dei prezzi è stato una benedizione, in realtà non c’è da stare allegri. Il prezzo del barile è poco sotto i 43 dollari. Di fatto, il petrolio ha perso oltre due terzi del suo valore dal picco massimo di 147,2 dollari al barile registrato l’11 luglio scorso. Ad un prezzo così basso non vi è convenienza economica ad investire in capacità di ricerca di nuovi giacimenti, in tecnologie innovative per lo sfruttamento intensivo dei giacimenti esistenti e per l’estrazione dai giacimenti non convenzionali, quali le sabbie del Canada o le bituminose dell’Orenoco in Venezuela.
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Opec. Oggi ad Oran, in Algeria, il vertice straordinario dell’organizzazione
Petrolio, lotta sui prezzi Sauditi contro iraniani di Strategicus
Il costo del barile è poco sotto i 43 dollari. Di fatto, il greggio ha perso oltre due terzi del suo valore dal picco massimo di 147,2 dollari al barile registrato l’11 luglio scorso. Ma non c’è da stare allegri
Il meeting straordinario che si aprirà domani ad Oran in Algeria servirà “solamente” a rafforzare tale decisione. L’obiettivo sarà quello, da un lato, di mantenere il più possibile in equilibrio domanda e offerta di petrolio e, dall’altro lato, di stabilizzare il prezzo del petrolio con una tendenza al rialzo graduale per realizzare un “effetto
Obama nomina Duncan all’Istruzione Il presidente eletto degli Stati Uniti Barack Obama ha nominato Arne Duncan, 44 anni e da sette anni il provveditore agli studi di Chicago, come segretario all’Istruzione nel governo che sarà insediato il 20 gennaio. Duncan, un amico ed ex giocatore professionista di basket, è stato il principale consigliere di Obama in materia di istruzione nel corso della campagna elettorale. «La riforma della scuola è la missione della sua vita», ha detto Obama presentando la sua scelta in una scuola di Chicago.
Gb, addio Royal mail. Si privatizza
Infine - la storia del petrolio è sempre chiara in questo - a bassi prezzi corrisponde una ripresa della domanda che va ad influire sui livelli di produzione e quindi sulle riserve di
petrolio, vista la non economicità di aumentarne l’offerta, con il pericoloso risultato di una scarsità di offerta nel medio-periodo. La Conferenza di Vienna ha quindi scelto di continuare a garantire volumi sufficienti di greggio per i consumatori, ma senza esagerare, ovvero senza imprimere all’offerta quell’accelerazione che è stata una delle cause del crollo del prezzo. Decidendo, pertanto, una prima riduzione della produzione dei Paesi Opec-11 di 1,5 milioni di barili al giorno. L’Arabia Saudita ha diminuito la produzione a novembre di 466mila b/g, seguita a grande distanza dall’Iran (199mila b/g), dagli Emirati Arabi Uniti (134mila b/g), dal Kuwait (132mila b/g) e dal Venezuela (129mila b/g).
in breve
beneficio” per l’economia mondiale e per il benessere del mercato. Al meeting poi i Paesi Opec premeranno perché i Paesi non-Opec produttori/esportatori giochino un ruolo più attivo nel riequilibrare il prezzo del petrolio, nel minimizzare le fluttuazioni e nello stabilizzare il mercato. È la linea perseguita dai “falchi” - Iran e Venezuela che spingono per una maggiore cooperazione con i Paesi non-Opec: in particolare, Russia, che esporta circa 5 milioni di b/g, Norvegia e Messico. I membri dell’Opec sono: Algeria, Angola, Ecuador, Indonesia, Iran, Iraq, Kuwait, Libia, Nigeria, Qatar, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Venezuela. Producono il 40% del petrolio mondiale e possiedono riserve per oltre 900 miliardi di barili, più di tre-quarti delle riserve conosciute al mondo (Arabia Saudita, Iran e Iraq contribuiscono per il 55% del totale). Dal punto di vista geopolitico e geoeconomico, l’Arabia Saudita giocherà la partita chiave. È il primo produttore ed esportatore al mondo di petrolio. Incide per oltre il 10% della produ-
zione mondiale e per circa il 30% della produzione Opec. Inoltre, dispone di riserve provate che superano 260 miliardi di barili (circa un quarto delle riserve mondiali). L’azienda statale monopolista saudita Aramco è la principale azienda mondiale del settore petrolifero.
Riad può così svolgere, all’interno del consesso, il ruolo di “swing producer”, ovvero di reggente della stabilità del mercato del petrolio, riducendo quando necessario la produzione per compensare l’ec-
Sopra: una piattaforma petrolifera. Sotto, il presidente dell’Iran Ahmadinejad cesso di offerta anche da parte degli altri membri. A tal fine, la società Aramco intende conservare una certa flessibilità di produzione - circa 1,5-2 milioni b/g - stimando una domanda globale di 116 miliardi b/g nel 2030. L’Arabia Saudita considera necessario un rialzo del prezzo del petrolio a 70-75 dollari al barile per sostenere i progetti di sviluppo produttivo più costosi. Dello stesso avviso sono altri paesi membri del cartello come Nigeria e Kuwait - secondo cui si tratterebbe di un prezzo equo sia per i produttori sia per i consumatori. Il presidente dell’Opec, Chakib Khelil, sostiene che difficilmente ci potranno essere aumenti rilevanti del prezzo fino a metà del 2009. Ciò a causa del calo della domanda e delle previsioni al ribasso dei due maggiori clienti: Usa e Cina. Nel primo trimestre del 2009, anzi, si stima una riduzione dei consumi di circa 200 mila b/g rispetto all’ultimo trimestre del 2008. La ripresa dovrebbe iniziare non prima del terzo-quarto trimestre del 2009.
Si addensano nubi nere sulla Royal Mail, il servizio postale pubblico del Regno Unito, un tempo considerato il migliore al mondo, capace di garantire che una lettera imbucata prima di mezzogiorno arrivi entro un giorno a qualsiasi indirizzo britannico. Le perdite ingenti e la serrata concorrenza del settore privato porteranno a una privatizzazione - per ora parziale in cui potenti gruppi stranieri arriverebbero a possedere fino a un terzo delle poste reali.
Somalia, presidente sfida il parlamento. Paese al collasso Il presidente somalo Abdullah Yusuf sfida il Parlamento, portando il governo di transizione di Mogadiscio a un passo al collasso. Il Capo dello Stato ha infatti nominato oggi un nuovo premier, a dispetto del voto di fiducia espresso ieri dal Parlamento a sostegno del premier in carica Nur ’Adde’ Hassan Hussein. Immediata la risposta del Kenya, che ha annunciato sanzioni contro Yusuf, mentre l’inviato speciale Onu per la Somalia, Ahmedou Ould-Abdallah, ha fatto sapere ieri che «la continua disputa all’interno del già debole governo di transizione è respinta dalla grande maggioranza dei somali, così come dall’organizzazione regionale Igad e da tutti i membri della comunità internazionale, a cominciare dal mio ufficio».
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Polemiche. Anniversario della promulgazione delle leggi razziali 1938: pioggia di critiche per le parole del presidente della Camera
La “provocazione” di Fini «Le responsabilità non sono solo del fascismo. Anche la Chiesa non fece abbastanza contro le persecuzioni» di Riccardo Paradisi segue dalla prima Del resto sempre Gianfranco Fini pochi mesi fa e ancora pour paradoxe aveva agitato un’altra categoria, l’antifascismo, che come notava l’ambasciatore Sergio Romano era stata generata dalla Terza Internazionale. Ma al presidente della Camera c’è chi rimprovera di non conoscere la storia: «Il segno di dissenso da parte della Chiesa fu molto forte - dice lo storico Agostino Giovagnoli - È noto a tutti che Pio XI prese posizione contro le leggi razziali esponendosi in prima persona con discorsi molto duri e dando luogo nel luglio 1938 ad uno scontro aperto con Mussolini».
Santa Sede fu chiara: Pio XI fu l’unica personalità in Europa ad opporsi a viso aperto sia a Mussolini che a Hitler sull’antisemitismo e sul razzismo». Ma evidentemente Fini, secondo padre Sale, «non conosce una pagina di storia che
Giovagnoli ricorda anche a Fini la lunga e complessa trattativa diplomatica per ridurre al minimo gli effetti di questa legislazione, che purtroppo non ebbe successo. Pio XI inoltre fu volutamente aspro accusando gli italiani di seguire i tedeschi su una strada sbagliata. «Memorabile, conclude lo storico, anche la dura omelia contro le leggi razziali del cardinale Schuster, allora arcivescovo di Milano, su richiesta del Papa stesso». Ancora più dura la reazione di Civiltà Cattolica. Padre Sale definisce infatti “sconcertanti” le dichiarazioni di Fini: «La posizione della
Parla lo storico Emilio Gentile
«Ha ragione lui, il Vaticano avrebbe potuto fare di più» colloquio con Emilio Gentile
vede contrapposti Mussolini e Pio XI», o forse le dichiarazioni del presidente della Camera sono frutto di una «svista, di un cercare un correo a delle responsabilità che il presidente Fini vuole in parte coprire che fanno parte della sua storia, anche se non di quella recente». Insomma, secondo lo storico di Civiltà Cattolica Pio XII fece «nei limiti del possibile» tutto ciò che poteva fare.
Maurizio Lupi: La Chiesa ha sempre con forza contrastato le leggi razziali, cercando di aiutare gli ebrei perseguitati
Ma non sono solo gli storici cattolici a contestare l’ultima sortita finiana. Anche dal mondo politico si levano, bipartisan, gli scudi contro il Presidente della Camera. A cominciare dal vicepresidente della Camera Maurizio Lupi (Pdl): «La Chiesa ha sempre con forza contrastato le leggi razziali, cercando di aiutare gli ebrei perseguitati anche a rischio della vita di numerosi sacerdoti, suore e laici. Questi sono i fatti - continua Lupi - lo testimoniano le pagine dalla storia. Dispiace che anche Fini si sia adeguato a luoghi comuni che si sono imposti in questi anni». Non cambia la musica quando a parlare è il deputato del Pd, Enrico Farinone: «Sul fatto che leggi razziali fossero un’infamia siamo d’accordo. Sul fatto che nemmeno la Chiesa sia opposta no. Il presidente Fini dimentica figure come quelle del cardinale Schuster a Milano o di don Pappagallo a Roma. Per non parlare delle migliaia di ebrei che furono ospitati nei palazzi del curie o nei conventi e dei laici che si opposero alla barbarie». Insomma Fini darebbe voce a una leggenda nera. Renato Farina non ha dub-
«Il presidente della Camera Gianfranco Fini non ha detto nulla di nuovo, mi sembra, rispetto a quanto è stato acquisito dalla storiografia. A far notizia semmai è il fatto che a dire queste cose sia lui, per il suo passato e per le polemiche che ogni volta, anche dopo gli strappi che ha consumato con la sua storia personale, suscita negli ambienti anche a lui vicini». Emilio Gentile insegna storia contemporanea all’Università di Roma: studioso tra i più autorevoli del fascismo e degli aspetti ”religiosi” dell’ideologia politica dice a liberal che effettivamente «le leggi razziali non suscitarono nessuna significativa reazione o particolare scandalo nella società italia-
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bi a proposito «Dispiace che il presidente Fini si adegui a questa versione della storia, perchè la realtà è che Pio XI insistette pesantemente perché le leggi razziali non passassero. Piangendo, nel settembre del 1938, si espresse così durante un pellegrinaggio della Radio Cattolica belga: “L’antisemitismo è inammissibile”». Per impedire la pubblicazione delle leggi razziali la Santa Sede aveva in effetti tentato una mediazione tramite il padre gesuita Pietro Tacchi Venturi e il sottosegretario al ministero degli Interni, Guido Buffarini-Guidi.
Il 4 novembre 1938, Pio XI scrisse Benito Mussolini, che non gli rispose. Quindi supplicò, il giorno dopo, Vittorio Emanuele III, perché non promulgasse quelle leggi infami. «Non si fece abbastanza? Può essere - conclude Farina -
na. La gente comune, assuefatta alle parole d’ordine della propaganda, a parte casi eccezionali, si adeguò al conformismo, mentre nei fascisti più accesi questi provvedimenti venivano addirittura accolti come un segnale di salute rivoluzionaria, per procedere a passi sempre più serrati verso il compimento del totalitarismo».
Civiltà cattolica: Fini non conosce questa pagina di storia
In questo senso la questione del razzismo antiebraico si configura, secondo Gentile, come una delle componenti di quel processo di accelerazione totalitaria che la politica del regime avvia dopo il 1936. E la Chiesa? «La Chiesa di Pio XI – risponde Gentile – era decisamente avversa al razzismo e all’antisemitismo razzista. Avversa da un
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cultura
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Parla lo storico Franco Cardini
«No presidente, la Chiesa fece la sua parte» colloquio con Franco Cardini «Affermazioni forse un po’ troppo forti quelle del presidente della Camera Gianfranco Fini» secondo lo storico Franco Cardini raggiunto al telefono mentre è in Israele. «Sono cose molto delicate quelle di cui ha parlato il leader di An, bisognerebbe evitare di dare giudizi così netti». E anche se è vero, ammette Cardini, «che in Germania la Chiesa fu costretta a venire in qualche modo a patti con il terribile regime hitleriano vero è anche che la resistenza ci fu, e fu pagata cara».
ma è proprio ingeneroso unirsi al coro indifferenziato. Piuttosto, anche se è meno di moda, conviene ricordare che in Senato nemmeno Benedetto Croce si oppose a queste leggi, e neanche Enrico De Nicola, gli ex direttori di grandi giornali Albertini, Frassati e Bergamini, ancora il generale Badoglio. E persino Luigi Einaudi si astenne dal far udire la sua voce... Nessun accenno a questo nel discorso di Fini... Peccato». Dichiarazioni dure su un tema drammatico e ancora aperto come una ferita nella storia italiana, cui fa da contrappunto il colore di Donna Assunta Almirante, grande ammiratrice di Fini ai tempi del Msi, «È bene non parlarne più di leggi razziali. Oggi siamo tutti uguali. Io ho una coppia di filip-
Sopra una foto di Pio XII e un’immagine dell’Italia del 1938. Nella pagina a fianco il presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini
punto di vista teologico e dottrinario. E in questo senso la Chiesa e in particolare Pio XI presero delle posizioni ideologicamente ferme, pur con molte cautele e accorgimenti. L’enciclica contro il razzismo viene scritta, ma non pubblicata, circola in modo discreto, cauto». Va infatti anche ricordato, spiega Gentile, che «la Chiesa – che con il regime mussoliniano era scesa a patti col concordato dieci anni prima – manteneva nella sua dottrina un antisemitismo religioso: gli ebrei per il cattolicesimo di allora restavano dopo tutto ancora coloro che non avevano riconosciuto l’avvento del Cristo e che avevano contribuito alla
pini. In questo momento gli ho lasciato casa, chiacchiero con loro, vivono benissimo, sono i padroni...» Dove non si capisce bene la relazione tra i filippini, gli ebrei e la Shoah. Ma le parole di Fini trovano anche consensi: nell’Unione delle comunità ebraiche italiane, da parte del segretario del Pri Francesco Nucara e dall’Idv. Ma c’è chi, come il consigliere alla Regione Lazio del Pd Simone Garganousa, usa le parole per tirare in causa anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno: «Il sindaco della diocesi del Papa prenda le distanze, in modo inequivocabile, dal leader del suo partito. Proprio a Roma la Chiesa pagò un prezzo altissimo per l’opposizione al nazifascismo - continua Gargano». Ecco sullo sfondo ci sarebbero anche le polemiche e le contraddizioni di An... Ma questa è un’altra storia.
sua messa a morte». Tanto che, continua Gentile, «Durante il governo Badoglio, dunque a fascismo caduto, la Chiesa non intervenne per eliminare tutte le leggi dei provvedimenti razzisti adottati nel 1938 ma appuntandosi solo su quelli relativi agli ebrei convertiti o battezzati o sposati con non ebrei.
S o l o c on i l C on ci l i o questo drammatico nodo dell’antisemitismo religioso viene completamente sciolto dalla Chiesa cattolica». Insomma, secondo Gentile, Fini avrebbe messo il dito su una piaga vera (r.p.) della storia italiana.
E certo, «la Chiesa come chiunque avrebbe potuto fare di più. Ma come dimenticare che quando Hitler nel maggio del 1938 – e siamo alla vigilia della promulgazione delle leggi razziali in Italia – viene in visita nel nostro Paese a Firenze il Cardinale Elia Dalla Costa fa oscurare le finestre dell’episcopato. Come dimenticare, prosegue Cardini, che Pio XI scrive un’enciclica durissima contro il nazismo e il razzismo, e che a più riprese, questo Pontefice, si esprime con forza e con dolore contro l’arrogante apostasia di Gesù Cristo che risulta dal mito del sangue dell’ideologia hitleriana». Ma le cose non sono facili in un’Europa sempre più nazificata: l’enciclica di Pio XI, ricorda Cardini, «non viene letta pubblicamente nelle parrocchie tedesche perchè secondo le leggi del concordato tedesco si poteva dare pubblicità ai documenti ufficiali della Chiesa solo previa autorizzazione dello Stato. È vero si trattava di un compromesso – e già mantenere una posizione di compromesso, per un’istituzione ufficiale nella Germania nazista, non era facile. Ma sotto il velo di quel compromesso una resistenza ci fu e fu pagata cara».
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Pio XI scrive un’enciclica durissima contro il nazismo e il razzismo
”
E del resto era difficile non scendere a qualche compromesso per chi doveva continuare a esercitare il pontificato in un’Europa nazificata: il domenicano Yves Congar, poi cardinale, riferisce nel suo diario conciliare le confidenze d’un testimone del tempo, il confratello Rosaire Gagnebet. Dopo la strage delle Fosse Ardeatine il Papa s’interrogò con angoscia se denunciarla: «Ma tutti i conventi, tutte le case religiose di Roma erano piene di rifugiati: comunisti, ebrei, democratici e antifascisti, ex generali. Pio XII aveva sospeso la clausura. Se Pio XII avesse protestato pubblicamente e solennemente, ci sarebbe stata una perquisizione in queste case e sarebbe stato catastrofico. Così il Pontefice scelse la protesta diplomatica». Come dice Cardini è difficile giudicare (r.p.) col senno di poi.
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Libri. In un volume di Gualtiero Peirce, la religione vista dagli alunni di una scuola cattolica, di una ebraica e di una musulmana
Tre cupole per un unico Dio di Cristiana Missori
in quando le strutture e sovrastrutture mentali non vengono a complicare la nostra esistenza, rendendo tutto più faticoso e allontanandoci gli uni dagli altri, il modo che abbiamo di vedere le cose, di percepirle, è davvero molto simile. Anche in materia religiosa. Lo dimostra Gualtiero Peirce in Il Signore è grande e non si può disegnare, perché nel foglio non ci sta (Einaudi, pp. 136 – 12,50 euro), libro che è frutto di ore e ore passate con gli alunni di tre scuole elementari confessionali di Roma: l’ebraica “Vittorio Polacco”, nel cuore del centro storico, a pochi passi dalla sinagoga; quella musulmana-integrativa nei locali della moschea El Fath di via della Magliana (situata nel quartiere dove risiede la più popolosa comunità islamica della capitale), e l’istituto cattolico “Antonio Rosmini”, in un grande parco sulla via Aurelia.
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In “religioso” silenzio Gualtiero Peirce, che è giornalista, autore e regista televisivo, ha passato quasi un anno ad ascoltare i bambini delle tre grandi fedi monoteiste discutere di Dio e dell’assoluto. Un lavoro immenso, una miniera di racconti confluiti prima in un film documentario e poi in un libro, dove quelle distanze che nel mondo dei grandi sembrano incolmabili vengono risolte dai bambini con trovate buffe, originali, talvolta incredibili. «Prendendo spunto da Essere e avere, del documentarista francese, Nicholas Philibert, ho cercato di rendermi invisibile con la telecamera senza mai manipolare quello che vedevo e sentivo», spiega Pierce che racconta: «Dopo un mese di telecamere ho proseguito la mia ricerca con il registratore». Moschea El Fath. «Per quale motivo prego?», chiede l’imam ai suoi piccoli
Il giornalista e scrittore Gualtiero Peirce (in basso) ha raccolto nel volume “Il Signore è grande e non si può disegnare, perché nel foglio non ci sta” le testimonianze di alcuni alunni di tre scuole elementari confessionali di Roma: l’ebraica “Vittorio Polacco”, quella musulmanaintegrativa nei locali della moschea El Fath e l’istituto cattolico “Antonio Rosmini”
alunni. «Perché amo Dio o perché ho paura di lui?». «Tutti e due?», risponde Khaled. «Quando io ho paura - prosegue il maestro - cosa faccio? «Scappo», replica il bambino. «E con Dio? », chiede ancora l’imam. Silenzio. «Se ho timore di Dio», prosegue il maestro, io devo correre verso di lui: hai ragione, Khaled. Bisogna tenere conto di tutti e due i sentimenti: io ho paura dell’inferno, ma amo il paradiso». «Quindi… vuol dire che noi amiamo Dio perché non vogliamo andare all’inferno?», si
re il loro modo di vedere Dio, la creazione, la preghiera, il perdono, il timore del castigo divino, il peccato, il digiuno, il diavolo, l’amore e San Francesco, la Bibbia, la Torah, il Vangelo, o ancora che cosa significhi indossare il hijab o la kippà. «Ci sono bambini - dice l’autore - che vanno a scuola nello stesso momento, nella stessa città, ma... a migliaia di anni di distanza».
Seconda B. Che volto ha Dio? «Tra le persone che conoscete, c’è qualcuno
L’opera raccoglie diversi racconti in cui quelle distanze che nel mondo dei grandi sembrano incolmabili, vengono risolte dai bambini con trovate buffe, originali, talvolta incredibili interroga la piccola Tasmin. Qualche chilometro più in là, altre domande esistenziali, altre risposte semplici e, al contempo, profonde: i bambini della Prima C della “Vittorio Polacco” sono tutti intenti a capire se sia giusto avere paura di Dio o, se al contrario, non bisogna temerlo. Sull’Aurelia, gli alunni della Seconda B della Rosmini, invece, sono alle prese con il significato del peccato. «Ci sono bambini - dice l’autore - che vanno a scuola nello stesso momento, nella stessa città, ma... a migliaia di anni di distanza».
Le lezioni di religione di cui ci parla Peirce non sono quelle in cui a prevalere è il dogma o la verità assoluta come invece molto spesso accade. A regnare in queste tre scuole confessionali sono i dubbi, le domande. «Il metodo adottato è quello di tenere insieme fede e ragione, afferma Peirce. C’è un gran dialogo tra alunni e educatori». Nelle classi in cui insegnano Sami, Giuditta e Francesca, i bambini sono davvero liberi di pensare e di esprime-
che assomiglia a Dio?», domanda la maestra agli alunni della Rosmini. «I genitori! », «la maestra!», «Dio assomiglia a Giulio», «Dio assomiglia a Maria Vittoria», «Dio assomiglia a tutti gli esseri viventi». Prima C. La colpa. La morà (maestra) chiede ai piccoli della scuola ebraica: «Perché, secondo voi, il Signore nel racconto di Noè mandò un diluvio che distrusse tutto? E poi, invece, per l’episodio della torre di Babele ha soltanto confuso un po’ le loro lingue, ma senza far succedere niente di catastrofico». «Perché prima gli uomini avevano sbagliato proprio tanto… e adesso invece hanno sbagliato un po’ meno», risponde in un lampo Morris. «Questi bambini», sottolinea Pierce, «mi hanno fatto capire quanto siamo tutti uguali prima di diventare diversi». «Spero conclude l’autore», di potere proseguire con questo metodo, osservando e riportando fedelmente le cose che ho visto e ascoltato, perché la realtà è molto più letteraria di quello che puoi inventarti».
spettacoli anto perché non so nuotare», racconta Massimo Ranieri nella autobiografia in cui descrive scene della sua fanciullezza da scugnizzo: i tanti fratelli e amici che si tuffavano dagli scogli di una Napoli dalle acque oggi inimmaginabili e lui che raccoglieva monete dai turisti cantando le melodie della sua città. Il 2008 è stato un anno di trionfi per Massimo Ranieri come attore, interprete, regista. Lo spettacolo Canto perché non so nuotare... da quaranta anni ha rinnovato il successo di gradimento dell’omonimo dvd di due anni fa, mentre al Teatro Sistina si afferma la versione teatrale di Poveri ma belli – omaggio al film di Dino Risi, simbolo positivo dell’Italia degli anni Cinquanta – con Bianca Guaccero ed Emy Bergamo nei ruoli femminili, che porta la firma di Massimo Ranieri alla regia. Ma con Ranieri abbiamo parlato anche di identità nazionale, della tristezza del comico, del rapporto con Dio.“L’ultimo Pulcinella” riesce sempre a svelare una nuova maschera al suo interlocutore. Ranieri, in questo anno lei ha già fatto 260 spettacoli. Siamo arrivati a 265... Ecco. Allora la prima domanda è: quale droga usa? L’entusiasmo, unito all’abnegazione e all’amore e per il mio mestiere. A ciò si aggiunge quello scambio di energie che avviene tra l’attore e il pubblico ogni volta che si va in scena. Un do ut des. Nessuna altra droga... Il 2008 è stato un anno di grandi successi... Un successo di proporzioni inaspettate, che ha stupito me per primo. Un’annata straordinaria come quella di certi vini. E ringraziamo Dio per questo. Con Poveri ma Belli ritornano le atmosfere degli anni Cinquanta e la rappresentazione di un paese povero ma con il vento in poppa. C’è nostalgia per quegli anni e per l’ottimismo che pervadeva quell’Italia passata? Non c’è rimpianto per quella società, ma di sicuro c’è una malinconia perché negli ultimi anni è venuto a mancare all’Italia l’ottimismo, l’entusiasmo del fare che in altri tempi ha propiziato il boom economico. Ho voluto uno spettacolo che rivalutasse la bellezza dei sentimenti profondi, così diversi dalla emotività ansiogena che oggi da più parti sembra prevalere. In Poveri ma Belli troviamo una celebrazione intrecciata dei valori della famiglia e dell’amicizia. Quando l’Italia si stava rico-
17 dicembre 2008 • pagina 21
«C
Teatro. Lo spettacolo “Poveri ma belli” raccontato dall’artista napoletano
Massimo Ranieri e l’estetica di Pulcinella colloquio con Massimo Ranieri di Alfonso Piscitelli
Porto in scena la Roma anni ’50 di Dino Risi, fatta di famiglie piene di bambini che testimoniavano la vitalità di una nazione che usciva da un periodo buio
“
”
struendo, la forza motrice principale era appunto caratterizzata dalle famiglie. Famiglie piene di bambini che testimoniavano la vitalità di una nazione che usciva da un periodo buio, quando l’eco delle bombe ancora risuonava nell’aria. C’era l’idea che le difficoltà si risolvono meglio se ci sono legami forti tra le persone, siano essi familiari o amicali. Esattamente. Quell’idea che oggi si è affievolita. Forse è stata data una importanza eccessiva alla rivendicazione di diritti individuali rispetto alla consapevolezza del fatto che bisogna
saper vivere insieme. Vero è che per convivere bisogna essere molto intelligenti... bisogna aver ricevuto una educazione alla convivenza. La mia generazione è cresciuta forte perché ha avuto grandi famiglie alle spalle. Questo legame familiare così intenso è la lezione italiana per eccellenza, e mi permetto di aggiungere in la lezione napoletana in particolare. Da qualche tempo a questa parte invece l’attenzione si è spostata sulla esteriorità e sul superfluo e ciò ha comportato un generale impoverimento interiore. Lei ha dichiarato che lo spettacolo Poveri ma belli voleva anche essere un omaggio alla romanità. A quel modo di vivere un po’ scanzonato, un po’ indolente. Un omaggio che oggi suona controcorrente... Roma sembra essere diventata il simbolo di tutto ciò che non va in Italia. Ovviamente io mi riferisco alla romanità di Dino Risi, di Marcello Mastroianni, di Federico Fellini. Alla Roma di Via Veneto, del Pincio, di piazza di Spagna. Una capitale che per secoli ha esercitato un fascino ineguagliabile su tutto il mondo. E che
Di scena al teatro Sistina di Roma il nuovo spettacolo dell’artista napoletano “Poveri ma belli”, omaggio a Dino Risi e a quella Roma degli anni Cinquanta simbolo di bellezza e forza rinnovatrice
forse oggi si può apprezzare soltanto di notte, quando il traffico si placa. Nei confronti di questo mondo ho voluto esprimere tutta la mia ammirazione di romano adottivo. Lei è un grande interprete napoletano che però non ha mai scisso la napoletanità dal senso della identità italiana. Negli ultimi anni molti esponenti napoletani della cultura e delle arti sembrano voler compiere una “secessio-
ne”, separando radicalmente la napoletanità dalla italianità. Questo non riguarda solo i napoletani, la disaffezione verso l’identità nazionale riguarda l’italiano in genere che oggi tende a dare più forza alle appartenenze locali: una secessione fai-da-te... Forse negli ultimi tempi non è stato insegnato a sufficienza tutto ciò che l’Italia come nazione ha dato al mondo. Il 75 per cento di tutto il patrimonio artistico mondiale è in Italia: basterebbe considerare questo dato per suscitare con forza un sentimento forte di identità. D’altra parte se l’identità regionale si separa da quella nazionale diventa una macchietta. E io macchietta non voglio esserlo! Se non in scena quando mi propongo di rappresentare la macchietta. Nella vita voglio essere napoletano e italiano. Lei è stato definito l’ultimo Pulcinella. L’ultimo Pulcinella non ci sarà mai. Ci sarà sempre un Pulcinella in procinto di nascere e di esprimersi. Perché l’anima pulcinellesca è dentro di noi: un archetipo della napoletanità. Con la sua simpatia, ma anche con la tristezza, il dolore, la perspicacia, la fortuna. Mi sbaglio o Pulcinella ha un rapporto continuo con la morte, con lo spavento mortale che spinge questa maschera a una perpetua fuga? Tutte le maschere coltivano dentro di sé il senso della morte: è una costante che caratterizza tutte le figure del carnevale,che pure è la massima espressione della gioia di vivere. Ma pensiamo anche a Totò, che per certi aspetti era un clown triste, che ride per camuffare l’angoscia profonda che si porta dentro l’essere umano. Dietro il comico spunta sempre il tragico. Assolutamente sì. E viceversa: dentro il tragico sorge irrefrenabilmente il risvolto comico. Qual è il suo rapporto con Dio? È stretto, personale, quotidiano. Lo tengo accanto a me tutti i giorni, ogni tanto gli rivolgo qualche domanda, con l’umiltà di sapere che ha altro da fare di più importante che non rispondermi. E in definitiva ha imparato a nuotare? Ah sì! In senso stretto sì: ma nel mare immenso della vita non si smette mai di imparare a nuotare. E sono sempre in cerca di maestri.
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da ”Asahi Shinbum” del 12/12/2008
Se Maometto va in Giappone di Manabu Hara a finanza di Maometto viaggia sempre più ad oriente. I soldi secondo le regole del Corano, stanno per entrare anche nel Sol levante. Il governo giapponese si appresta a varare alcune leggi che permetteranno l’introduzione della finanza islamica nel sistema economico nipponico.
L
Agli inizi di dicembre la Financial services agency ha aggiornato la regolamentazione giapponese in materia per permettere alle banche nazionali di gestire prodotti “islamici”. In questo periodo di grande crisi finanziaria e di crollo della fiducia dei cittadini-risparmiatori nei confronti della banche che cosa vorrà dire? Che il mercato con gli occhi a mandorla è rimasto affascinato dall’etica musulmana negli affari? Sembra di no. Sono i petro-fondi a interessare il mercato. «Il compito della finanza islamica dovrebbe essere quello di convogliare in Giappone - per stimolare la ripresa dell’economia - tanti soldi prodotti dalla dinamica petrolifera», sostiene Yoshihiro Watanabe, direttore dell’Istituto internazionale per gli affari monetari. Non è che la materia sia molto conosciuta da quelle parti. Sono stati pubblicati solo tre libri sulla finanza secondo il Corano, e due sono stati scritti da Etsuaki Yoshida, un alto funzionari della Banca giapponese per la cooperazione internazionale (Jbic). Sostiene Yoshida, che «è proprio l’attuale fase di crisi a rendere positivo il significato di un coinvolgimento in questa dimensione degli affari». È convinto che il modello di sukuk, le obbligazioni islamiche, possa aiutare a espandere il mercato asiatico delle security. Quindi, dopo Parigi, anche Tokyo corteggia il riba (tasso di sconto) alla musulmana.
Comunque la decisione non cade dal cielo. Già da tempo il sistema bancario nipponico era stato coinvolto in numerosi progetti per il finanziamento di opere nel mondo arabo. Dalle miniere saudite ai servizi in Malaysia, si sta definendo il contorno di un nuovo business. Ma non è finita, perché anche la borsa di Tokyo si è adeguata e assieme a Standard&Poor ha sviluppato un indice delle società che rispettano le regole della Shariah. Novità giungono pure dalla borsa di Singapore, dove si è fatto strada un listino di fondi gestiti come Maometto comanda. Già dal 2006 all’interno della Jbic opera il Shariah advisory group che studia come muoversi tra «versetti» e ratei, tra attività halal e haram, tra il permesso e il proibito.
È la prima istituzione giapponese ad aver aderito all’Islamic financial service board, un’organizzazione, con sede in Malaysia, che ha lo scopo di promuovere questi particolari servizi nel mondo dell’economia. Di fatto l’elemento portante delle transazioni è che il rischio vada ripartito equamente fra banche e clienti, che gli affari vadano bene oppure che provochino perdite. Una bella differenza rispetto alla voracità dei nostri istituti di credito in cui il cliente diventa una risorsa da ”spremere” o un acquirente cui rifilare prodotti non proprio brillanti. Comunque, col prezzo del barile che precipita e le turbolenze finanziarie che continuano, sarà difficile vedere la moneta petrolifera come salvatrice di un’economia allo sbando, nonostante l’opinione ottimistica di Watanabe. Pare che addirittura, in Medio Oriente, ci sia stato uno “sboom”e si sia innesta-
ta la retromarcia per la Shariah finance, che più che regole, richiede obbedienza a determinati standard. Restano alcuni ottimisti che considerano che i fondi alimentati dalle entrate petrolifere continueranno a crescere, anche se con un passo più lento. Sono stati introdotti cambiamenti che permetteranno di attuare transazioni anche sulle merci, un attività attualmente non consentita in ambito bancario. Misure analoghe a quelle messe in campo in Francia dal ministro Lagarde la scorsa estate. A dimostrazione dell’interesse internazionale di questa nuova branca - per l’Occidente naturalmente - dell’intermediazione bancaria.
Ciò proprio per facilitare asset tipici dell’ambiente musulmano come il Murabahah. Insomma, in mezzo a tanti scandali e disastri annunciati e non, avere a che fare con un sistema che considera sia la maisir (speculazione) come il riba (interesse) proibiti (haram), qualche sostenitore lo troverà sempre, e non solo in Giappone.
L’IMMAGINE
Chi perde si dimette, ma mai in Italia Quando potremo avere un salutare ricambio? Peggio di così non poteva andare. La sconfitta del centrosinistra e del Partito democratico e, naturalmente, di Walter Veltroni era ampiamente prevedibile. Il voto ha semplicemente sancito ciò che tutti già sapevano: l’inaffidabilità della sinistra e del suo leader. Questa sconfitta ha un’origine ben precisa: il vizio, tutto della politica italiana, di non rassegnare le dimissioni quando si perde. In questo modo si fa perdere ulteriore credibilità ad un sistema politico e istituzionale che di credibilità ne ha ormai ben poca. Adesso si apriranno i conti, ci saranno le solite polemiche, le immancabili occasioni di rivalsa per poi esibire una unità tutta di facciata. E così la commedia riprenderà. La politica avrà un senso solo quando gli sconfitti andranno a casa, lasciando non solo il proprio posto ma anche che si verifichi sul campo un fisiologico e salutare ricambio. Ma, anche in questa occasione, tutti rimarranno al loro posto, come se nulla fosse accaduto.
Giuseppina Valente
RONCALLI, LA PARABOLA UMANA La sera del prossimo Santo Natale, potremo vedere su Rai Uno e tre giorni dopo su La7, la nuova pellicola intitolata Papa Giovanni, il pensiero e la memoria. Una polifonia di voci e immagini, testimoni e protagonisti dell’epoca, con le loro parole hanno ricomposto, nel film il mosaico di una parabola umana che non si finisce mai di scoprire. Certo ciò che resta sempre più impresso nella memoria della gente è il Papa Giovanni XXIII del “discorso della luna”, pronunciato ai fedeli di piazza San Pietro la sera dell’11 ottobre del 1962, giorno dell’apertura del Concilio Vaticano II. Disse, improvvisando, a conclusione del suo discorso alla folla: «Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e di-
te loro che è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima da asciugare, dite una parola buona. Il Papa è con voi, specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza». Giovanni XXIII, beatificato da Giovanni Paolo II, si staglia in tutta la grandezza delle sue aperture, in tutta la forza delle sue intuizioni, in tutto l’umile splendore della sua carità e della sua fede profonda, ancorate nella grande tradizione della Chiesa.
Angelo Simonazzi
DDL PRO WRITERS? NO, GRAZIE Abbiamo letto su La Sicilia l’articolo su una proposta di Ddl “prograffiti”di alcuni studenti di un liceo di Castellammare. I ragazzi parlano di esigenze di creatività, di espressione artistica da non inibire. In realtà, a nostro parere,
Mistero in famiglia Vista così potrebbe sembrare un’opera d’arte. E in un certo senso lo è. Questa è, infatti, la ricostruzione di una parte di dna (la proteina CDC14Bretro) di un preistorico ominide. Una particella dalla struttura molto complessa, che gli scienziati stanno studiando poiché potrebbe essere coinvolta nello sviluppo di alcune capacità intellettive del nostro cervello siamo di fronte alla solita retorica e demagogia della lobby dei writers, che mira a confondere concetti ed esigenze diverse e a scambiare per arte l’esibizionismo. Non è vero che i writers non hanno spazi: possono usare fogli di carta, tele o pannelli, oppure i muri interni delle loro case. Non è vero poi che i muri sono necessari per la creatività artistica. Pi-
casso,Van Gogh e gli altri non sono stati inibiti nella loro creatività per il fatto di non dipingere sui muri. Infine non è vero che i graffiti abbelliscono il paesaggio. Il paesaggio vive della visione d’insieme e dell’armonia e non di particolari assurdi, che nulla c’entrano col contesto.
Angelo Mandelli Associazione Anti Writing
ERRATA CORRIGE In riferimento all’articolo a firma di Luca Volontè “Cara Roccella, perché non fate niente?” pubblicato su liberal di ieri a pagina 13, precisiamo che non si parlava di Adriano Pessina bensì di Vittorio Possenti. Ci scusiamo con l’autore e coi nostri lettori.
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LETTERA DALLA STORIA
La vita non si rivela che nell’atto che tutto spiega Ti vorrei dire quanto ho temuto prima di baciarti. Tu dovevi sentire che desiderio furioso gonfiasse i miei labbri, ma sempre c’era una cosa terribilmente fredda in mezzo. Vedi, Gioietta, io guardo ora con occhi chiari: dicevamo: - Anna non è donna. Io t’ho sentita tutta donna, profonda carne come la terra, nelle mie braccia. E quando t’ho baciata perché il timore più non era, e non esisteva altro che la mia bocca un poco distante dalla tua - dunque in mezzo c’era tutto il mondo - e quel mondo doveva esser soppresso: - io ho sentito nel mio fremito, in quello sgomento indicibile d’uno spasimo fermo, d’una calma tutto moto che per la prima volta provavo, sentivo in me come tu avevi invocato dalla vita l’amore. Tu prima dovevi sentirti distrutta. Vedevi solo che solo il darsi era la vita; ma in questo darsi vedevi occhi torbidi e un ruggito del gatto. Sì, gatti erano gli uomini nell’unico momento della loro vita, in cui dovevano essere leoni. Ma ora dimmi Gioietta: la carne vedi com’è serena e limpida, più che lo spirito in noi? È inutile parlare. La vita non si rivela che nell’atto che tutto spiega. Il dubbio anche se ci ronza intorno non è, perché noi ci siamo baciati. Scipio Slataper a Gioietta (Anna Pulitzer)
ACCADDE OGGI
DOV’È FINITA L’URGENZA DELLA RIFORMA SCOLASTICA? Furia francese e ritirata spagnola. La locuzione s’addice alla cosiddetta riforma Gelmini. Tanto clamore per nulla. Un mucchietto di disposizioni spacciate per riforma, e varate pure per decreto. Strumento, di norma, utilizzato per legiferare in casi straordinari di necessità e urgenza. Fatto approvare da creature acefale, trasformate in pianisti automi, messi lì a digitare sempre sugli stessi tasti – Si o No – come ordina l’impresario della politica che li ha ingaggiati. Nani, soubrette, replicanti e guitti da spartire, al mattino, tra Camera e Senato e, la sera, nei talk show televisivi. Per settimane hanno assediato le nostre serate televisive per convincerci della necessità e dell’urgenza della loro riforma scolastica. Ma proprio quando c’eravamo rassegnati al meno e al peggio è arrivata la smentita. Il maestro, nella primaria, sarà scelto dai genitori “alla carta”: uno, due o a volontà. Le secondarie, invece, non saranno toccate fino al 2010-11. Su l’università tutto tace, vale di più solo se spende meno. Insomma, una ritirata su i tutti fronti dell’istruzione. Della ministra, ribattezzata “beata Ignoranza”non si avvertiva né la necessità né l’urgenza.
Gianfranco Pignatelli
ESTEROFILIA E DROGA A PADOVA Dalle ore 21 alle 23 del venerdì, su Telenuovo, domina la scena il sindaco propagandista: il signor Zanonato, ex Pci, Pds e Ds, - “paron”di Padova per lungo tempo - che guida una giunta di parte,
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)
17 dicembre 1932 Nasce il consorzio per la tutela dell’Asti spumante
1935 Primo volo del Douglas DC-3
1941 I nazisti iniziano l’assedio di Sebastopoli 1944 Il Western defense command emana una dichiarazione che pone fine all’internamento dei giapponesi negli Usa 1961 L’India strappa Goa al Portogallo 1969 L’aviazione degli Stati Uniti annuncia che le sue investigazioni sugli Ufo non hanno dato prove dell’esistenza di astronavi extraterrestri 1970 Rivolte di massa nelle città costiere della Polonia finiscono con il massacro degli operai dei cantieri navali a Gdynia 1970 Si apre il processo per il massacro di My Lai 1973 L’American psychiatric association toglie l’omosessualità dalla sua lista di malattie mentali 1989 Il Brasile tiene le sue prime elezioni libere in 25 anni 1989 I Simpson debuttano negli Stati Uniti in episodi di mezz’ora in prima serata sulla rete Fox
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Francesco Rositano, Enrico Singer, Susanna Turco Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio,
sbilanciata e squilibrata a sinistra. Valga l’esempio dell’oltranzismo della signora assessore di Rifondazione comunista. Addolora l’avversione viscerale per Berlusconi – con durissimi scritti sulla stampa locale – d’un assessore comunale cattocomunista. L’esterofilia della giunta è plateale e pelosa: politica delle porte aperte per moltitudini di stranieri – retti e disonesti, regolari e clandestini, moderati ed estremisti pericolosi - nonché discriminazione positiva a favore di forestieri, con concessione di case, aiuti, sovvenzioni, cessione gratuita di beni e servizi, donazioni monetarie, sistematica tolleranza d’illegalità straniera. Lo straniero viene strumentalizzato per averne il voto di scambio.Tra le 103 province italiane, Padova è primatista o comprimaria per spaccio di stupefacenti; inoltre, risulta fra le aree peggiori per intensità della delinquenza.
Franco Nìbale
ALTRO CHE MOVIDA Quello che è successo in uno chalet a Mergellina, sull’ameno lungomare di Napoli, è significativo. Non è la prima volta che avviene una sparatoria per una ragazza o una battuta di troppo: non prendiamocela con la movida all’aperto e al chiuso, ma col fatto che molti ragazzi possiedono già in tenera età l’auto, la moto, il potere e, in taluni ambienti, la droga e la pistola: cosa possiamo aspettarci da questi giovani che sono abituati a tutto e subito, e senza nessun tipo di sforzo o sacrificio.
Lettera firmata
Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
dai circoli liberal
RINNOVABILI PER DAVVERO? 20-20-20, potremmo iniziare così questa riflessione sulle rinnovabili. In realtà è una sequenza numerica che ha un senso, è il progetto europeo per l’aumento del 20% dell’energia dalle fonti rinnovabili, la riduzione del 20% delle emissioni inquinanti entro il 2020. Il Mezzogiorno è al centro di questo enorme investimento: la Regione Puglia, e l’area dei Monti Dauni in particolare, è ai primissimi posti per gli investimenti nel settore delle rinnovabili. Per essere davvero rinnovabili, gli investimenti dovrebbero essere meno oligopolistici e più da supporto alla creazione di nuova occupazione, con la nascita di opifici per la costruzione di tutti gli elementi che sono strutturali alla costruzione di un impianto di energia alternativa. Lo stesso dicasi per gli investimenti e gli indennizzi economici che vengono elargiti ai territori e agli enti che ospitano le nuove frontiere dell’energia pulita. È necessario creare dei bonus sociali per tutti i cittadini che ospitano sul proprio territorio centrali produttrici di energia pulita. La politica economica dovrebbe interessarsi maggiormente della questione delle politiche energetiche e delle reali ricadute occupazionali ed economiche di un area o di un territorio, che in tal caso potrebbe essere utile strumento per molte aree del Paese. Creare dei distretti produttivi per le energie pulite è una delle strade da perseguire, come fatto già in alcune aree dell’Ue. Le politiche energetiche sono state sempre un tallone d’Achille delle nostra politica nostrana, bisognerebbe dunque apprendere dagli errori del passato per costruire nuovi percorsi economici, per rilanciare le aree marginali anche dei piccoli comuni, con politiche energetiche innovative, che vadano incontro con un’adeguata defiscalizzazione intercomunale. Sulla politica delle rinnovabili, dopo le intese che saranno trovate in Europa sul pacchetto clima, dovrebbe aprirsi un nuovo dibattito politico culturale, sulla reale azione economica che nel nostro Paese si sta producendo con le nuove fonti di energia. Nuove politiche energetiche, nuove politiche economiche, quindi, atte a spalmare la ricchezza per creare un mercato economico sempre più equilibrato deve essere punto di ripartenza anche per il contrasto reale alla crisi economica in essere. Ogni scelta diversa non potrà che perpetrare l’attuale situazione stagnante. Luigi Ruberto CLUB LIBERAL MONTI DAUNI
APPUNTAMENTI VENERDÌ 16 GENNAIO 2009 ROMA - PALAZZO FERRAJOLI - ORE 11 RIUNIONE NAZIONALE DEI CIRCOLI LIBERAL
ATTIVAZIONI IL COORDINAMENTO REGIONALE DELLA CAMPANIA VERSO LA COSTITUENTE DI CENTRO HA ATTIVATO IL NUMERO VERDE PER LE ADESIONI: 800910529
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PAGINAVENTIQUATTRO Fumetti. In libreria, l’attesa saga di Neil Gaiman, Sam Keith e Mark Dringenberg
Tra l’ordine e il caos c’è di mezzo di Giampiero Ricci
elle edicole e nelle librerie specializzate in fumetti d’autore è possibile mettere le mani sulla edizione della Planeta DeAgostini di The Sandman di Neil Gaiman, Sam Keith e Mark Dringenberg, graphic novel datata 1989, pubblicata negli Usa dalla Vertigo, etichetta con la quale la DC Comics arriva con successo sul mercato indipendente evitando di pagare il prezzo di essere la major che pubblica Batman.
N
contrasti dai colori caldi, gli spaccati del viaggio di Morfeo sono tratteggiati da disegni degni della migliore pop art. Indimenticabile e terrificante la visione dell’inferno di Sam Keith allorché Morfeo giunge a far visita a Lucifero, come indimenticabili sono le copertine di McKean, dove vengono sperimentate diverse
SANDMAN
La saga di The Sandman oltre ad aver vinto più premi di qualunque altra serie di fumetti, oltre il prestigioso World Fantasy Award e una quantità incalcolabile di citazioni e introduzioni - da Norman Mailer a Stephen King fino a Tori Amos contribuì in modo determinante alla innovazione del linguaggio fumettistico sia sotto il profilo del soggetto e della scrittura, che sotto il profilo grafico. Il lettore viene proiettato nel mondo di Morfeo, il Signore del Sogno, in un viaggio onirico che spazia per locations dantesche e una contemporaneità trasfigurata, da una lettura filosofica profonda, nel palcoscenico di un dramma millenario quello dello scontro tra ordine e caos. Il lavoro è frutto del connubio tra un autore borderline, lo scrittore/cartoonist inglese Neil Gaiman, oggi nelle librerie italiane conosciuto soprattutto per il romanzo Buon Apocalisse a tutti (pessima traduzione del titolo originale Good Omens), Mondadori, 2007, pagg. 381 e la raccolta di racconti Il cimitero senza lapidi e altre storie nere, Mondadori, 2007, pagg. 219 ma anche per la serie tv Neverwhere (1996) e il film Stardust (2007), produzioni frutto di suoi script e due disegnatori allora alle prime armi come Sam Keith e Mark Dringenberg oggi firme di prim’ordine tra i disegnatori americani, entrambi affiancati per le copertine dal ventiduenne fresco fresco dell’accademia d’arte Dave McKean. Gaiman si butta anima e corpo nella costruzione di un personaggio dove il mito di Morfeo, la divinità greca padrona del regno dei sogni, si attualizza in un formato popolare ma non per questo superficiale, un personaggio complesso che vive di riferimenti alla teogonia greca, supereroismo, fantasy e spiritualismo commerciale. I disegni sono tavole uniche in cui Sam Keith e Dringerberg poi (passando da inchiostratore a disegnatore tout court) riescono ad appoggiare il racconto noir grazie ad un chiaroscuro e dei
Pagina dopo pagina, il lettore viene proiettato nel mondo di Morfeo, il Signore del Sogno, in un viaggio onirico che spazia per locations dantesche e una contemporaneità trasfigurata da una lettura filosofica profonda tecniche, una varietà di stili con le cornici attorno ai personaggi su cui vengono incastonati strani oggetti. Il Principe del Sogno viene chiamato per errore sulla terra da un incantesimo finito male in cui Roderick Burgess, un occultista inglese, si era cimentato nel 1916 con l’intenzione di evocare e catturare sulla terra la morte: Burgess voleva far sì che fatta prigioniera essa non avesse più a trebbiare con
la sua falce la vita degli uomini. Ma è Morfeo per errore a venire catturato ed a rimanere imprigionato per decenni e privato degli strumenti del mestiere: una maschera, un gioiello e un sacchetto pieno di sabbia.
Liberatosi, Morfeo comincia il suo viaggio attraverso la nostra, la sua realtà e quella degli inferi, incontrando sulla sua strada, per ritrovare i tre oggetti andati perduti: un personaggio che per linee guida e storia spalanca le porte alla narrazione cinematografica del Constantine di Keanu Reeves (2005) o a Il Corvo di Brandon Lee (1994), di cui a buon titolo The Sandman può essere ritenuto una fonte certa di ispirazione. Quando a proposito di Comics, si guarda alla fine degli anni Ottanta come alla fine dell’epoca aurea del comic world, intimamente legato ai successi di Marvel e DC, un comic world che in quegli anni si accrebbe del boom dei Frank Miller, John Byrne, Mike Mignola e Todd Mc Farlene, si dimentica spesso che di fine apparente deve pur parlarsi. Infatti l’impoverimento dei classici supereroistici iniziò proprio in connessione con l’esplosione dell’interesse attorno alle etichette indipendenti e a successi come The Sandman, che lanciarono al successo editoriale quel genere underground che ha finito per contaminare e farsi contaminare in modo irrimediabile oltre che dal cinema anche dalla letteratura con la “L” maiuscola. The Sandman è una graphic novel imperdibile, un fedele spaccato del virtuoso interesse per tutto ciò che è spirituale che resta ancora oggi uno dei tratti caratteristici dell’estetica popolare targata Usa.