ISSN 1827-8817 81218
Nessun piacere è un male in assoluto. Ma alcune fonti del piacere procurano spesso più male che bene
di e h c a n cro
9 771827 881004
Epicuro
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA
La Ru486 contro gli stessi principi sanciti dalla norma sull’aborto
Quella pillola è fuorilegge: tradisce la 194
di Ferdinando Adornato
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
APPALTI E POTERE Tempesta sul Comune di Napoli: tredici arresti, tra cui due assessori. Indagati anche Bocchino (Pdl) e Lusetti (Pd). E tutto lascia credere che si stia ripetendo il copione degli anni ‘90
di Gabriella Mecucci ttenti, la pillola Ru486 non solo è pericolosa e molto dolorosa, ma è anche contro la legge. La “scorciatoia” per l’aborto entra in contraddizione con la 194 che prevede regole precise, nonché una parte purtroppo inapplicata che riguarda la prevenzione. Insomma non saremmo di fronte soltanto ad una “kill pill” che ha già provocato la morte di sedici donne, ma se la mettessimo in commercio, finiremmo con l’andare contro quella legge che tutti dichiarano di voler difendere. La 194 stabilisce che l’aborto può essere fatto solo in strutture sanitarie pubbliche. È noto però che con l’uso della Ru486 l’interruzione di gravidanza ha una durata non ben definita che può raggiungere persino una o due settimane.
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s eg u e a pa gi n a 8
Su Eluana litigano giudice e ministro
Rosa Russo Iervolino, sindaco di Napoli nella bufera. Renzo Lusetti e Italo Bocchino, coinvolti nell’inchiesta della magistratura campana
Tangentopoli 2 Riparte la guerra tra magistratura e politica: l’imprenditore Romeo sarà il nuovo Mario Chiesa? alle pagine 2, 3, 4 e 5
di Guglielmo Malagodi a pagina 13
Questione politica, non procedurale
Perché non si riesce a cambiare la Costituzione di Francesco D’Onofrio partire dal 1994, ogni volta che si profila una modifica della costituzione vigente si ascolta da un lato il grido di chi dice: «Mai a colpi di maggioranza!» e dall’altro quello di chi afferma «Se sono in maggioranza in Parlamento, la costituzione la cambio quando voglio». Si tratta di due affermazioni sostanzialmente politiche e non di diritto costituzionale, perché è di tutta evidenza che non si può parlare di “colpi”se la maggioranza è tale, ed è del pari di tutta evidenza che non sempre basta una maggioranza parlamentare in presenza di leggi elettorali maggioritarie per cambiare la costituzione. s eg u e a pa gi n a 1 1
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Si arroventa la polemica con il presidente della Camera sulle leggi razziali
La Chiesa risponde: Fini stia zitto «Lui è l’erede del fascismo: oggi è un meschino opportunista» di Vincenzo Faccioli Pintozzi
ROMA. Il contrattacco è durissimo, del
famia delle leggi razziali fu unico retipo che generalmente non ci si aspetsponsabile e dal quale pure da tempo ta da quella che più volte è stata defiegli vuole lodevolmente prendere le dinita la diplomazia più fine del mondo. stanze, chiami ora in causa la Chiesa Eppure, il breve corsivo apparso ieri cattolica. Dimostrando approssimaziopomeriggio sul L’Osservatore romano ne storica e meschino opportunismo – intitolato laconicamente A proposito politico». Va detto che lo scontro era delle dichiarazioni di Gianfranco Fini – stato cercato dallo stesso Fini, che due deve aver colpito il presidente della giorni fa aveva definito le leggi razziali Camera come uno schiaffo in faccia. «un’infamia a cui la Chiesa non si opD’altra parte, sentirsi definire «uno depose». Scatenando una ridda di polemigli eredi politici del fascismo» non deche nel mondo politico e accademico, Fini aveva parlato dei rapporti ve aver fatto piacere a chi, dai tempi cattolico e non, che ha costretto l’ex leafra Chiesa e razzismo: del famoso congresso tenutosi a Fiugder di Alleanza nazionale a definire il «L’Osservatore romano» gi, cerca in ogni modo di levare l’àncosuo ragionamento «quasi banale, e nello ha tacciato di opportunismo. ra da un passato troppo ingombrante lo stesso tempo ben piantato nella per la terza carica dello Stato. Il quotirealtà storica». Come a voler ignorare diano d’Oltretevere non si è risparmiato: «Sorprende e ama- che, in questa vicenda, la storia conta poco. reggia che uno degli eredi politici del fascismo, che dell’inse g ue a p a gi na 6
seg2008 ue a p•agEinURO a 9 1,00 (10,00 GIOVEDÌ 18 DICEMBRE
CON I QUADERNI)
• ANNO XIII •
NUMERO
243 •
WWW.LIBERAL.IT
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IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Colpa di Alfredo. Napoli messa a soqquadro dalla magistratura: giunta decapitata, indagati anche Bocchino e Lusetti
Romeo come Mario Chiesa? Nell’inchiesta campana, tutto ruota intorno all’imprenditore arrestato «Una complessa rete di illeciti»: comincia a tremare il mondo politico di Errico Novi
NAPOLI. Al party si accederà «solo su invito». Così i manager del “Romeo Hotel” ammoniscono alla presentazione della struttura, giovedì scorso. La festa serale è riservata alla crema della città. Dovranno esserci tutti i volti noti. Peccato che non si presenti quasi nessuno, alla fine. Né politici, né amministratori, né imprenditori. La bufera è in arrivo. Tutti lo sanno e preferiscono non farsi vedere.
Tutti sanno, non da giovedì scorso ma da un mese, che un ciclone giudiziario sta per abbattersi su Napoli. Ieri mattina il ciclone è arrivato: 13 ordinanze di custodia cautelare, una sola eseguita in carcere, ed è proprio quella notificata ad Alfredo Romeo, 55 anni, imprenditore, il predestinato dell’appalto “Global service”, 400 milioni per la manutenzione delle più importanti strade del capoluogo. Agli altri indagati, accusati anche di associazione a delinquere, sono concessi gli arresti domiciliari: tra loro ci sono due assessori comuniali in carica, Ferdinando Di Mezza e Felice Laudadio, due ex componenti della Giunta (uno dei quali, Enrico Cardillo, dimessosi il giorno prima del suicidio di Giorgio Nugnes), e un colonnello delle Fiamme gialle considerato dagli inquirenti partenopei la “talpa” che informava tutti gli altri sugli sviluppi delle indagini. Nell’inchiesta risultano coinvolti anche due parlamentari: il vice capogruppo del Pdl alla Camera Italo Bocchino e il deputato del Pd Renzo Lusetti. Romeo non si è mai fermato davanti a niente. Nelle carte dei pm si racconta che abbia usato toni risoluti persino di fronte ad appalti in via di assegnazione in Vaticano. A lui spetta tuttora la manutenzione del Quirinale e del Senato. Il coinvolgimento di Lusetti riguarda il tentativo di orientare a favore dell’immobiliarista napoletano una sentenza del Consiglio di Stato. Solo di recente la giunta Alemanno
Lo strapotere dei ras locali, l’assenza di controlli e il senso d’impunità
Dal federalismo al feudalesimo di Francesco Pacifico interesse di pochi contro quelli del territorio. Poteri sconfinati che si accompagnano a una mole di denaro spaventosa. E nessun controllo terzo, a livello statale o locale, nessun contrappeso. Quanto avviene a Napoli, a Pescara o a Potenza dimostra che il processo federale si è risolto nella creazione di un sistema feudale.
L’
La magistratura giudicante dirà se sono stati commessi reati, ma nei fatti della Campania, dell’Abruzzo o della Basilicata protagonista è sempre un gruppo di potere trasversale, politico e imprenditoriale, connivente o costretto a fare capo a quelle figure dai contorni indefiniti, che sono i governatori. La degenerazione – politica – ha avuto avvio nel 2001 con la riforma del titolo V della Costituzione, che lascia allo Stato piena potestà soltanto su politica estera, difesa e giustizia. Sul resto le Regioni possono e devono dire la loro. In più il legislatore ha concesso autonomia di entrata e di spesa, ma non regolato il meccanismo per il reperimento delle risorse: così a pagare è sempre lo Stato. A chiudere il cerchio dell’autoreferenzialità - o dell’impunità? - è lo stato comatoso nel quale vivono le assemblee dei rappresentanti locali, primi controllori di governatori e sindaci. Come in Parlamento, nei Consigli regionali o comunali si passano giornate a litigare o ad approvare per alzata di mano le delibere passate in giunta. Le commissioni sono soltanto un’occasione per avere un gettone in più. È in questo clima che nascono e si rafforzano i gruppi di potere. Che si verificano pericolosi
incroci tra politiche e imprese. E non potrebbe essere diversamente visto che il sistema degli enti locali gestisce almeno 30-40 miliardi per la sanità, un’altra decina per la formazione, assegna gli appalti e controlla la fornitura di servizi attraverso le utilities. Il problema di un riequilibrio tra centro e periferia dello Stato è ormai un’emergenza se il numero dei conflitti d’attribuzione davanti alla Consulta è aumentato dal 2001 dell’80 per cento. Se Giulio Tremonti, per fare le opere pubbliche, deve “scippare” i fondi europei (Fas e coesione sociale) destinati alle Regioni. Ma se nel 2005 la Casa delle Libertà aveva sfidato il centrosinistra con la Devolution, oggi la necessità di approvare il federalismo fiscale potrebbe spingere il Pdl a non imporre ai governatori un riallineamento dei poteri.
Infondo quello che ci offre la cronaca non è una novità. Se eliminiamo la magistratura, sembra di essere all’estate del 2006, alla famosa guerra per banche, quando la dorsale emiliana dei Ds voleva imporre a quella toscana la fusione tra Unipol, Monte dei Paschi e Bnl. Oppure quando Quercia e Margherita piemontesi si gettarono palate di fango per spartirsi ogni strapuntino le poltrone in Compagnia di San Paolo, primo azionista dell’istituto. Oggi a Napoli il grosso degli appalti è gestito da una ristretta cerchia vicino a Bassolino, mentre la sanità è gestita da uomini ex Margherita. In Abruzzo è stato un consigliere di Rifondazione, Maurizio Acerbo, a scoperchiare il malaffare sulla sanità. L’unica differenza quindi sta nell’intervento della magistratura.
A sinistra, Italo Bocchino, vice-capogurppo del Pdl alla Camera. A destra, Renzo Lusetti, deputato del Pd: entrambi sono indagati nell’inchiesta napoletana
ha provveduto a revocargli l’incarico per la manutenzione delle strade nella Capitale. Altro affare interessante, concluso dall’imprenditore con l’amministrazione di Walter Veltroni, e costato alle casse del Campidoglio circa 45 milioni. L’infinita tela si è estesa anche a MIlano e Venezia. Di certo le amicizie importanti non mancano, a questo ineffabile monopolista della gestione di pubblici patrimoni. Nel 1989 è il primo in Italia ad aggiudicarsi un appalto del genere, naturalmente a Napoli. Da semplice venditore di immobili (la Romeo immobiliare continua ad avere quote importanti di mercato) si trasforma in custode di strade e case popolari. Comincia con un incarico da 100 miliardi di vecchie lire. Finisce nelle maglie della Tangentopoli del Golfo, scattano gli arresti. Ne viene fuori alla grande. Non solo perché nel 2000 i reati gli verranno prescritti. Dal Comune di Napoli ottiene anche una proroga di sette anni del mega appalto. Sono gli anni dell’inarrestabile Bassolino. E Romeo appare come l’imprenditore di riferimento di quella amministrazione e di quella classe politica.
Ma l’albergo, il Romeo Hotel, è tutto, racconta tutto. Ora è sotto sequestro come altri immobili del potente Alfredo. Ma quei dodici piani sul lungomare di via Marina hanno una forza evocativa enorme. Innanzitutto perché quella facciata a vetri è la stessa di Achille Lauro. C’era la sede della flotta, in quel palazzo poi finito all’asta dopo la sventurata fine dell’impero. Adesso nella struttura inaugurata giovedì scorso da Romeo è stato aperto anche un ristorante. Nome inevitabile: “Il comandante”. Sorprendente ossequio a un uomo di un’altra epoca, a un potere intaccato da una consolidata e probabilmente sproporzionata (visti i fatti di oggi) mitologia negativa. Alfre’, come lo chiamavano al telefono gli as-
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La politica fa quadrato intorno ai deputati inquisiti
«Italo e Renzo, due persone pulite» di Marco Palombi
ROMA. Il 17 febbraio di sedici anni fa Antonio Di Pietro fece arrestare Mario Chiesa. Dieci mesi dopo, il 15 dicembre, arrivava il primo avviso di garanzia a Bettino Craxi. In questa parabola è racchiuso l’incipit di Tangentopoli, la preparazione di quello che i critici di quella stagione chiamano, alludendo alla rivoluzione francese,“l’anno del terrore”, il 1993. Stavolta però la politica italiana, pure impaurita e confusa come non le accadeva da tempo, non sembra intenzionata a cedere senza lottare.
L’immobiliarista in carcere, ai domiciliari gli altri dodici arrestati. Il sindaco: «Devo riflettere». Ma è da 15 anni che il Golfo è il regno dell’illegalità sessori, non dimentica nessuno, non lascia mai fuori l’opposizione. Il“Romeo Hotel”spiega tutto anche per un’altra suggestiva ragione. Dal Pio Albergo Trivulzio di Mario Chiesa cominciò, nel 1992,Tangentopoli. C’è una nuova ondata giudiziaria in corso, diversa da quella di allora perché ha sì un bersaglio prevalente, quel Partito democratico colpito da una sequenza impressionante di arresti, ma è esteso praticamente a tutte le forze politiche. Anche l’epicentro è rovesciato: non Milano ma Napoli. Che meglio di qualunque altra amministrazione travolta dalle inchieste rappresenta il carattere bipartisan dell’uragano.
All’inaugurazione di giovedì scorso dovevano esserci tutti. Alfredo Romeo aveva pochi nemici, ma il miracolo non deriva dalle sue straordinarie capacità. Piuttosto è la conseguenza di un sistema di potere stranissimo, quello che ha governato Napoli negli ultimi quindici anni, appunto. Nella stagione del primo Bassolino il consenso per il centrosinistra era così alto che all’opposizione restava solo un’opzione: accontentarsi di briciole di potere. D’altronde anche il livello di illegalità era ed è molto elevato: basti raffrontare le condizioni misere-
voli degli alloggi popolari della città gestiti da Romeo e la determinazione con cui la giunta Iervolino, tra il 2006 e il 2007, ha fatto l’impossibile per assegnare allo stesso Romeo il mega appalto da 400 milioni, poi sfumato per mancanza di fondi; in simili condizioni, le amministrazioni del capoluogo campano hanno sempre avvertito in questi anni la necessità di coinvolgere l’opposizione, o almeno una parte di essa, per ottenere il massimo della copertura possibile. Le poche eccezioni nella politica locale sono state condannate all’emarginazione. E un magistrato come Agostino Cordova, capo della Procura in quegli anni, ha visto scatenarsi contro di lui un’ostilità assoluta, al punto che i pm chiesero e ottennero dal Csm la sua rimozione per incompatibilità ambientale. «Ero incompatibile con una città in cui l’illegalità sa imporsi in modo assai più efficace dello Stato», ha sempre detto il Procuratore. Non è detto che la tempesta di queste ore basti a rendergli fino in fondo giustizia. Basti pensare che persino un giudice napoletano è stato sospeso dal Csm per i favori accordati a Romeo. E che la Iervolino, dopo aver sospeso gli assessori arrestati, ha chiesto tempo per riflettere.
Prova ne siano le parole che ieri sera il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dedicato all’argomento: «Si pongono con urgenza problemi di equilibrio istituzionale nei rapporti tra politica e magistratura ed esigenze di misure di riforma volte a scongiurare eccessi di discrezionalità, rischi di arbitrio e conflitti interni alla magistratura nell’esercizio della funzione giudiziaria, a cominciare dalla funzione inquirente e requirente». E se non fosse chiaro il suo pensiero, il capo dello Stato ha auspicato anche riforme «che riguardino anche la migliore individuazione e il più corretto assolvimento dei compiti assegnati al Csm dalla Carta Costituzionale». Frasi che, fatta la tara ad abitudini verbali e riserbo istituzionale del presidente, non avrebbero sfigurato in bocca ad un pasdaran berlusconiano. E che hanno trovato in Umberto Bossi un convinto sostenitore: «Faremo la riforma del federalismo e poi quella della giustizia, altrimenti le istituzioni si sputtanano». Non a caso anche Gaetano Pecorella, giurista caro al Cavaliere, reagisce alle notizie in arrivo da Napoli (e da Potenza, dall’Abruzzo, eccetera) appellandosi al dovere della grande riforma con toni ultimativi: «Il Parlamento deve procedere nelle riforme a prescindere e senza interessarsi di quello che può accadere ad alcuni parlamentari», anche perché «ogni volta che ci muoviamo ci sono interventi di magistrati, avvisi di garanzia, arresti e tutto si blocca. Questo è il momento di dire: potete arrestare anche mezzo Parlamento, ma l’altra metà andrà avanti a fare le riforme». L’arresto di mezzo Parlamento non è al momento alle viste, ma dà l’idea del clima che si respira nei palazzi romani: voci di avvisi di garanzia in arrivo da mezza Italia per importanti
leader dell’opposizione, i 4 anni e otto mesi per corruzione chiesti per David Mills al processo di Milano da cui è stato stralciato Silvio Berlusconi (ieri ai box per influenza), la messa sotto inchiesta dei vertici Alitalia dal 2000 al 2007, tutto cospira a riportare il calendario all’inizio degli anni Novanta. «Sembra di essere tornati indietro nel tempo, quando innocenti e colpevoli venivano messi nel tritacarne con l’unico scopo di dimostrare che la politica è una cosa sporca», commentava preoccupato il vicepresidente della Camera Maurizio Lupi (Pdl).
Lo scabroso, e bipartisan, caso napoletano resta comunque il punto più avanzato di questo iceberg. Antonio Di Pietro, ad esempio, ha annunciato ieri sera che Italia dei valori uscirà da «tutte le giunte campane» finché non sarà risolto il caso giudiziario. Dal canto loro i due indagati, Renzo Lusetti (Pd) e Italo Bocchino (Pdl), hanno ricevuto solidarietà da colleghi e membri del governo e si sono detti disposti a collaborare coi magistrati, ma la loro è una posizione scomodissima: nessuna carta che li riguardi è ancora arrivata alla Giunta per le autorizzazioni di Montecitorio e, nell’indeterminatezza, ogni suggestione è possibile: si è sparsa addirittura la voce che la Procura di Napoli è pronta a fare ricorso alla Consulta se riceverà un rifiuto dalla Camera. Particolare calore, poi, ha mostrato il sindaco di Roma Gianni Alemanno, forse perché la sua giunta ha rescisso il contratto (stipulato dalla giunta Veltroni) con l’impresa di Alfredo Romeo, ora fulcro delle indagini napoletane. «Sono tutte situazioni che abbiamo ereditato dal passato - ha detto Alemanno. Auguriamo alla magistratura di fare un lavoro chiaro e trasparente».
Alemanno è il più tranquillo di tutti: «Noi abbiamo solo ereditato il contratto con Romeo. Lo aveva firmato Veltroni e noi lo abbiamo subito rescisso»
Dal canto suo, Italo Bocchino, in conferenza stampa, ha contrattaccato: s’è detto “sconcertato” dal fatto che i magistrati abbiano chiesto l’arresto suo e di Lusetti ed ha annunciato che chiederà lui stesso l’utilizzo delle intercettazioni visto che, a suo parere, provano la sua correttezza. Una vicenda “kafkiana”, l’ha definita, e infatti nei corridoi del Castello corre la paura che questi sedici anni siano passati invano.
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Ricorsi. Allora cominciò sottotono, con la politica che reagiva infastidita, ma anche stavolta i partiti non sembrano in grado di capire la realtà
Se la storia si ripete Tutte le (inquietanti) coincidenze con la stagione iniziata nel 1992 che portò alla fine della Prima Repubblica di Renzo Foa paralleli sono ormai troppi per non aver paura di parlare di una seconda Tangentopoli. Così come nel 1992 tutto cominciò con l’arresto di un personaggio di seconda fila, come era Mario Chiesa, anche adesso i dirigenti coinvolti sono tutti esponenti del potere locale, forse con la sola eccezione di Ottaviano Del Turco, figura di rilievo nazionale anche se al momento dello scandalo era governatore dell’Abruzzo. Così come nel 1992 il suicidio del deputato socialista Moroni drammatizzò fin dall’inizio la stagione di “Mani pulite”, anche ora un altro suicidio, quello dell’ex assessore comunale Nugnes, ha creato un clima di turbamento nel mondo politico. Poi, come nel 1992, la vicenda giudiziaria ebbe un epicentro, a Milano, per poi diffondersi in tutta Italia, anche ora c’è stato prima un epicentro lungo l’asse Abruzzo-Napoli e ora c’è una diffusione più ampia, a macchia di leopardo da Genova alla Basilicata, passando per Firenze. E molto, a quanto si legge sui giornali, deve ancora avvenire, molto può ancora scoppiare.
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Ma soprattutto, come nel 1992, la magistratura si mosse perché l’assetto dell’allora maggioranza di pentapartito (Dc, Psi, Psdi, Pli e Pri) non aveva un contrappeso politico visto che il Pci aveva attraversato il decennio Ottanta standosene sull’Aventino a consumare la sua crisi italiana ed internazionale, anche adesso nella rete dei poteri locali manca – ormai da tempo immemorabile – una vera e propria opposizione. Per troppo tempo l’Italia è stata segnata nei Comuni, nelle Province e nelle Regioni da un’estesa macchia rosa (se per rosa intendiamo il colore del Partito democratico e, prima, del centrosinistra) con l’eccezione di pochi puntini azzurri (rappresentanti il centrodestra), a testimoniare di un potere quasi senza controlli politici, scrivevo che per troppo tempo l’Italia è stata così per non arrivare poi al punto di un intervento della magistratura, a svolgere – secondo una corrente definizione – un vero e proprio ruolo di
supplenza politica. Nello stesso modo, si sta riproponendo, soprattutto negli ambienti del Partito democratico, la domanda che quattordici, quindici, sedici anni fa venne ripetutamente posta: se cioè non ci fosse allora nella magistratura o nella parte più militante di essa un intento dichiarato di distruggere i due maggiori partiti di governo, la Dc e il Psi, e se questo
Anche oggi come negli anni Novanta, la politica non ha altri contrappesi se non quello della magistratura stesso intento non ci sia oggi nei confronti del Pd, che raccoglie oltre a reduci democristiani soprattutto i reduci del partito, il Pds, che cavalcò a lungo la
tigre giustizialista. C’è, qua e là, la raffigurazione dei giudici che stanno in qualche modo completando l’opera iniziata nel 1992, quando destrutturarono la Prima repubblica, una Prima repubblica – va in ogni modo ricordato – che i partiti avevano comunque logorato e in cui il sistema politico viveva già in una condizione di discredito, rivelando una notevole incapacità di autorinnovarsi. In altre parole, già serpeggia qua e là la domanda se alla Seconda repubblica non sia riservato lo stesso destino della Prima, cioè quello di una destrutturazione dovuta all’intervento di un altro potere dello Stato, appunto la magistratura.
Un altro parallelo è costituito dalla difficoltà dei partiti coinvolti di difendersi. Allora i vertici del Psi impiegarono diverso tempo prima di capire di essere diventati il vero bersaglio di “Mani pulite”dove venne inven-
Qui accanto, lo storico pool di Mani pulite di Milano negli anni Novanta. Sotto, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nella pagina a fianco, il politologo Giovanni Sartori
tato il teorema secondo il quale i massimi dirigenti, a cominciare da Bettino Craxi, «non potevano non sapere» della rete di corruzione diffusa ad ogni livello, per poi diventare i protagonisti negativi dei principali filoni delle indagini, fino a essere trasformati in veri e propri “capri espiatori”, come diventò il leader del Garofano. Quanto alla Dc, come tutti ricordiamo,
Napolitano: «È il momento di riforme bipartisan» ROMA. La Costituzione italiana può essere modificata ma non nei suoi principi fondamentali permanentemente validi. E l’auspicio è che un eventuale modifica della Carta avvenga in un clima di costruttivo confronto e nella ricerca della più ampia condivisione. È l’invito rivolto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel suo saluto alle alte magistrature della Repubblica. «Ho sempre detto che il mio convincimento che la Carta del ’48 non possa considerarsi, e in effetti non sia mai stata considerata un tutto intoccabile. Decine di suoi articoli sono stati d’altronde modificati in questi decenni, anche se non hanno avuto successo i tentativi di riforma complessiva - ha notato ancora il Capo dello Stato - essenzialmente della seconda parte della Costituzione». Relativamente alla riforma della giustizia, poi, Napolita-
no ha aggiunto che «la lotta contro la criminalità, e soprattutto il crimine organizzato, contro la corruzione e ogni sorta di illegalità richiede un impegno incessante, come quello di cui va dato atto alle forze dell’ordine e alla magistratura, meglio definendone però i rispettivi ruoli e le necessarie sinergie».
lo scudo crociato non oppose resistenza e si cullò a lungo nell’illusione (fino alle elezioni del ’94), soprattutto nel periodo della segreteria del saggio, affascinante ma perdente Mino Martinazzoli, di poter resistere e di poter reggere un virtuoso rapporto con l’opinione pubblica, non rendendosi conto della stanchezza che aveva colpito il proprio elettorato. Oggi il Pd – e prima la Quercia e la Margherita – hanno reagito seguendo il metodo dei socialisti. Alle prime schermaglie con la magistratura, e penso soprattutto alla vicenda che ha avuto al suo centro l’Unipol, è stato mostrato un “volto duro”soprattutto da parte di Massimo D’Alema e di Piero Fassino, i due esponenti chiamati in causa. Forse in quel momento – si parla di parecchio tempo fa – si confidava ancora nei vantaggi che i Ds avrebbero potuto trarre dal loro vecchio rapporto con fette importanti della magistratura, forse si rieteneva che giudici inquirenti come la Clementina Forleo fossero isolati, forse si pensava che una forza politica consistente avrebbe potuto resistere anche grazie alla compattezza del proprio “zoccolo duro” e ad una vecchia immagine di “pulizia” e di “onestà” di fronte alla pubblica opinione. Forse si alla credeva propria propaganda sulla “superiorità morale” della
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L’opinione di Giovanni Sartori, Antonio Padellaro e Philippe Ridet
Gli analisti politici: «È un nuovo terremoto» di Riccardo Paradisi
ROMA. Uno spettro torna ad aggirarsi per l’Italia: «Non è una nuova Tangentopoli, è una cosa diversa. Non migliore di Tangentopoli. In questi anni i partiti hanno fatto come gli struzzi, hanno messo la testa sotto la sabbia e dal ’92 ad oggi non hanno mai avuto la forza e il coraggio di fare pulizia del marcio che avevano in casa e il marcio è dilagato. Questo riguarda trasversalmente tutta la politica». Le parole sono di uno dei più fedeli apostoli del dipietrismo italiano: il capogruppo dell’Italia dei Valori alla Camera, Massimo Donadi. Più che un’analisi una minaccia. Soprattutto verso il Pd: «Veltroni – avverte Donadi – non deve fare un passo indietro ma uno in avanti. Ha ricevuto un mandato da milioni di cittadini italiani e se ha una colpa, ed è grossa, è quella di aver tradito quel voto per omissione: non ha trasformato il Pd in un partito nuovo ma in un semplice assemblamento di gruppi di poteri preesistenti». sinistra. Di certo è che – lungo tutta questa vicenda, dall’Unipol fino all’altro ieri, fino all’arresto del sindaco di Pescara – i Ds prima e i democratici dopo hanno sottovalutato davvero il pericolo, rappresentato dall’esercizio di un vastissimo e fortissimo potere locale – tanto più vasto e forte dopo l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di provincia e di regione e dopo la riforma del Titolo V della Costituzione – che è risultato essere privo di controlli e di contrappesi. Non a caso si è parlato del “partito dei cacicchi”.
C’è poi ancora un parallelo. Nel 1992 le opposizioni – rappresentata in primo luogo dal Pds, ma non dimentichiamoci che c’era anche il Msi, destinato a trasformarsi ben presto in Alleanza Nazionale – cavalcarono la tigre giustizialista che stava risolvendo il problema del loro ruolo nel sistema politico italiano e del loro futuro. Il garantismo fece tale fatica ad affacciarsi, sia nella sinistra che nella destra, da essere associato esclusivamente alla figura di Silvio Berlusconi e alle scelte di Forza Italia. Anzi, si può dire che a lungo non ci fu traccia di garantismo a sinistra e in una parte del centrodestra. Oggi, se si eccettuano alcuni interventi di Fabrizio Cicchitto, è difficile trovare tracce di garantismo nel Pdl e nel centrodestra, a cominciare dal suo leader, il Silvio Berlusconi che ha sempre (e giustamente) rimproverato i propri avversari di averlo criminalizzato con un vero e proprio pregiudizio di colpevolezza. Si può dire che il
Partito democratico sia solo ad affrontare la tempesta come erano stati soli, dal 1992 in poi, i dirigenti del pentapartito convocati davanti ai giudici.
Comincia dunque ad essere possibile, con tutti questi paralleli, parlare di una seconda Tangentopoli, non solo per la meccanica dei fatti, ma anche per i suoi effetti sulla pubblica opinione, così come ha mostrato l’elettorato abruzzese disertando massicciamente le urne domenica e lunedi scorsi. Una seconda Tangentopoli che, va detto, proprio per la stanchezza degli italiani difficilmente può limitarsi a colpire ed a schiacciare solo il Pd che stenta a contrastare l’immagine negativa che ormai lo avvolge davanti alla pubbblica opinione. Tutto il sistema politico sembra sotto tiro, se è vero che un quarto degli elettori del Nord-Ovest sono propensi ad astenersi alle prossime elezioni (stando ad un recente sondaggio della Stampa) e se è vero che l’astensionismo abruzzese può diventare contagioso. Viviamo in una condizione in cui appare tardivo anche il tentativo di risolvere la partita aperta tra magistratura e politica attraverso la riforma a cui sta lavorando il ministro Alfano. Non è certo presto per temere il rischio di un’implosione della Seconda repubblica, che non è certo stata migliore della Prima.
L’alleanza tra Idv e Pd sembra già materia d’archivio. Ma è davvero, come dice Donadi, una nuova Tangentopoli il terremoto politico giudiziario che sta interessando molte regioni italiane? E che effetto avranno le inchieste in Toscana, Campania, Basilicata, Abruzzo – dove il Pd è ancora sotto shock per l’arresto del suo segretario regionale nonchè sindaco di Pescara Luciano D’Alfonso – sugli equilibri politici del Paese? Quali saranno stavolta le conseguenze sul sistema? «Tangentopoli non è mai finita – dice il procuratore capo di Pescara, Nicola Trifuoggi – la considerazione nuova che si può fare è che mentre una volta il centro delle attenzioni economiche erano i partiti, oggi sembra che vi sia più individualismo». Il Pci di Berlinguer di vent’anni fa, era un partito ideologico che aveva forti regole, ricordava ieri Luciano Violante, «che aveva forti barriere ideologiche che non si sono più per una serie di modifiche nella società italiana». È la stessa valutazione a ben guardare di quella del magistrato abruzzese. E del politologo Giovanni Sartori: «Se questa è una nuova Tangentopoli? Beh facile rispondere: direi proprio di si, questa è la Tangentopoli numero due – dice a liberal il professore – la differenza con Tangentopoli 1 è che stavolta il fenomeno ha una fisionomia locale, regionale. Non è più il quartier generale a essere bombardato ma la periferia, sempre più autonoma rispetto al centro». E le conseguenze sul sistema politico italiano? Cosa aspettarsi da questo nuovo ciclone di scandali? «Niente di buono per la sinistra – risponde Sartori – gli effetti più devastanti di questa nuova campagna giudiziaria saranno per il Pd. Che tra l’altro ha nella sua tradizione la rivendicazione dell’alterità morale rispetto alla destra. E la realtà non è che la magistratura si sia messa a perseguitare la sinistra
dopo aver colpito i partiti della Prima repubblica è che la sinistra in questi anni è peggiorata». Eppure, malgrado l’esposizione totale alla questione morale del Pd nel Pdl l’atteggiamento è molto prudente, soprattutto dopo il coinvolgimento nelle più recenti inchieste di esponenti di primo piano del Pdl. Certo, c’è chi sostiene che la questione morale e le indagini che stanno attraversando il Pd non sono un elenco di singoli casi, ma l’ultima tessera mancante del puzzle di tangentopoli ma la linea di Forza Italia sembra essere quella espressa dal vice presidente del gruppo Pdl alla Camera, Osvaldo Napoli: «Tante inchieste in città diverse e tutte con lo stesso obiettivo. Non è il secondo tempo di Tangentopoli, come si sostiene, i magistrati si sono svegliati con lo stesso pensiero: come inchiodare sindaci e amministratori del Pd. La frequenza dei loro interventi sono tali da lasciar presagire quasi una dichiarazione di guerra contro una parte politica». Di più:«Sarebbe stata lanciata da parte della magistratura una sfida al Pd per piegarlo ai ricatti del giustizialismo di Di Pietro. Dietrologie secondo l’ex direttore de l’Unità Antonio Padellaro: «Se l’esito di questa slavina morale sarà un inciucio per legare le mani alla magistartura, per addossarle ancora una volta la responsabilità dei mali del Paese le conseguenze saranno devastanti per tutta la politica. Non solo il partito dell’astensione arriverà a dimensioni mai viste ma in una situazione economica di questa gravità la gente potrebbe arrabbiarsi sul serio».
Secondo molti osservatori, gli effetti più devastanti di questa stagione giudiziaria li subirà il Pd che aveva investito molto sulla moralità politica
Insomma la questione morale secondo Padellaro esiste e dovrebbe essere la stessa politica a porvi rimedio, autoriformandosi in fretta: «Non è accettabile che Veltroni dica che questo non è il suo Pd. Qual è allora il suo Pd? Ce lo faccia conoscere o ci spieghi che cosa ha impedito fino ad ora la costruzione di un nuovo partito. Finora si è visto un partito che non è migliore degli altri e che da mesi è sulle prime pagine dei giornali per fatti di corruzione politica». Un’analisi non diversa da quella che fa il senatore del Pd Gerardo D’Ambrosio, che è stato capo della Procura di Milano negli anni di Tangentopoli: «Occorre che il Pd non assuma lo stesso atteggiamento dei partiti che furono colpiti allora. Si rischia grosso ad avviare una delegittimazione dei magistrati. I partiti devono affrontare il problema dell’etica.Tutti». Eppure visto dagli occhi più distaccati di un osservatore straniero, come Philippe Ridet, corrispondente di Le Monde in Italia, le analogie con Mani pulite non sono così forti: «Non vedo similitudini con Tangentopoli. A differenza di allora qui non siamo di fronte a un centro che coordina un sistema. Non vengono colpite le alte cariche dello Stato. Non credo che ci sarà una Terza repubblica dopo questa nuova stagione giudiziaria. Credo piuttosto che Veltroni sarà costretto a immaginare un nuovo Pd. Perché quello di oggi esce a pezzi da questo uragano».
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politica
Polemiche. La storia non può essere usata a senso unico, quando si giudica una tragedia come le leggi razziali
La Chiesa: «Fini stia zitto» di Vincenzo Faccioli Pintozzi segue dalla prima
Se per storia, infatti, intendiamo quella catena di fatti conclamati e generalmente accettati dagli studiosi, non si può negare che nella vicenda non c’entra quasi nulla. L’apertura delle sezioni degli Archivi segreti vaticani relative a quegli anni bui del Continente europeo non hanno fatto altro che aumentare ricerche sospette e dichiarazioni infondate. Il pontefice Pio XI è stato alternativamente definito da studiosi e accademici di chiara fama un “Papa nero” o santo martire, carnefice o pietoso benefattore, fine diplomatico o pazzo visionario. E il bandolo della matassa è rimasto intatto. Ieri, intervistati da Radio Vaticana, sono intervenuti i due campioni della storiografia cattolica: Andrea Riccardi e Francesco Malgeri.
Mills: il pm chiede 4 anni e 8 mesi Il pm Fabio De Pasquale ha chiesto la condanna a 4 anni e 8 mesi per David Mills, rimasto l’unico imputato di corruzione in atti giudiziari nel processo in cui la posizione di Silvio Berlusconi è stata separata, in attesa che la Corte Costituzionale decida sulla legittimità del lodo Alfano. «Non fu una corruzione occasionale, Mills aveva un rapporto di sudditanza e dipendenza economica con Berlusconi e il suo gruppo. Ha preso tanti soldi per dire il falso nei processi a carico di Berlusconi», ha detto il pubblico ministero. Secondo il pm il rapporto di «sudditanza e dipendenza economica» comincia nel 1995 e va avanti fino al 2004. La difesa di Mills parlerà a gennaio, quando ci sarà anche la sentenza.
È Parma la città più “eco-mobile”
Per il primo - presidente della Comunità di S. Egidio (“l’Onu del Vaticano”) e ordinario di Storia contemporanea presso la Terza Università degli Studi di Roma - l’intervento di Fini è fuori luogo. Pur definendo il discorso «bello nel contesto», Riccardi sottolinea: «La Chiesa cattolica, a suo modo, resistette. Resistette alle leggi razziali, questo va detto e abbiamo la dichiarazione di Pio XII sull’antisemitismo. Certo, si mosse come una forza debole quale era la Chiesa in una realtà di regime autoritario. E poi, resistette durante l’occupazione tedesca con l’aiuto agli ebrei». Gli fa eco Malgeri, docente di storia contemporanea alla Facoltà di Scienze politiche dell’Università La Sapienza di Roma, che sostiene: «Le reazioni alle leggi razziali ci furono e furono immediate. Basti pensare all’articolo sul L’Osservatore romano nel quale si denunciava un provvedimento che innanzitutto veniva a colpire il Concordato». Padre Giovanni Sale, storico della Civiltà Cattolica (edito dalla Compagnia di Gesù), ricorda poi che Pio XI «dichiarò in aperta polemica con il Manifesto della razza che “il genere umano non è che una sola e universale razza di uomini. Non c’è posto per delle razze speciali. La dignità
in breve
L’Osservatore definisce il presidente della Camera «uno degli eredi politici del fascismo» e critica l’attacco alla Chiesa, «meschino opportunismo politico»
umana consiste nel costituire una sola e grande famiglia, il genere umano, la razza umana. Questo è il pensiero della Chiesa”». Ancora più rivelatrice l’Enciclica Mit brennender Sorge, firmata
da papa Ratti nel 14 marzo 1937, che denuncia “il nazionalismo esasperato e il culto della razza, nonchè le aberrazioni del nazismo e le dottrine anticristiane da esso sostenute”. E attacca “le rivelazioni arbitrarie che alcuni banditori moderni vorrebbero far derivare dal cosiddetto mito del sangue e della razza”, per finire con la minaccia dell’ira divina contro “colui che predica o permette che siano predicate tali aberranti dottrine”. La nuova piega dello scontro, dunque, non può essere posta sul piano della storia. Tanto meno se si cerca di strumentalizzarla con argomentazioni non correlate da evidenze o accuse.
Per cercare di fermare le polemiche, e difendere l’immagine di un Fini forse vittima di un discorso letto in maniera superficiale, intervengono non meglio precisati “ambienti della presidenza della Camera”. Che, a mezzo agenzie, dicono: «Opportunismo sarebbe stato far finta di nulla di fronte ad una questione storica più volte discussa, anche in ambienti vaticani». Rilanciando la palla dall’altra parte del Tevere dove, forse, verranno messe a tacere quelle voci che vorrebbero difenderne l’onore. In nome della diplomazia.
C’è Parma in testa alla classifica delle città più “eco-mobili” d’Italia. La città emiliana vince infatti la palma d’oro per trasporto pubblico, gestione della mobilità, auto a basso impatto e smog sotto controllo. Nella top-ten - contenuta nel secondo rapporto “Mobilità sostenibile in Italia: indagine sulle principali 50 citta”, elaborato da Euromobility e Kyoto Club - seguono Bologna, Firenze e Venezia a pari merito, Padova è quinta. Al sesto posto Torino e al settimo Bari, seguite da Modena, Ferrara e Genova. Fanalini di coda Taranto, L’Aquila e Campobasso.
Istat: “realizzato” un italiano su tre Poco meno di un italiano su tre si sente realizzato sul lavoro, per la precisione il 28,2%. Lo rivela l’indagine dell’Istat “Competenze, attività e condizioni lavorative delle professioni in Italia”, basata sulle informazioni raccolte dall’istituto nel corso del 2007. In cima alla classifica dei più realizzati si collocano i comandanti navali e i piloti di aeromobili di linea; seguono i compositori, i musicisti, cantanti, i magistrati e i docenti universitari. Tra i più scontenti del proprio lavoro ci sono, invece, i lavoratori manuali e gli addetti alle vendite.
politica
18 dicembre 2008 • pagina 7
Contese. Oggi il nuovo incontro fra Sabelli e Spinetta. Ma Lufthansa rilancia (aiutata da Formigoni)
Francesi o tedeschi? Si chiude l’asta per Alitalia di Alessandro D’Amato
ROMA. Siamo al rush finale. Dopo l’appuntamento di ieri con British Airways, oggi Rocco Sabelli incontrerà i vertici di Air France. Il giro delle sette chiese dell’ad e direttore generale di Cai è ormai in dirittura d’arrivo, e dall’entourage non si nasconde che la favorita per l’alleanza internazionale che dovrà aiutare la Nuova Alitalia a decollare è proprio Parigi: il partner entrerà nel capitale attraverso un aumento riservato, di circa 250 milioni se la quota sarà del 25%. Smentita quindi la preferenza espressa da Silvio Berlusconi, che aveva auspicato una partnership commerciale invece di un’alleanza azionaria. Ma Sabelli è stato categorico, e già durante l’incontro con Ba ha ribadito che «l’ingresso nel capitale è uno degli aspetti ritenuti essenziali» per la scelta del partner. Facile comprenderne il motivo, visto che in questo modo nelle casse di Cai entrerebbero anche soldi freschi, consentendo così ai soci di rinviare ancora
agli occhi del paese e di smascherare adesso le bugie di Cai, del Governo, della politica e dei sindacati firmatari». Nel frattempo, il presidente dell’Enac Vito Riggio nei giorni scorsi ha fatto sapere che la nuova Alitalia ha rispettato i requisiti tecnici per avviare l’attività: «Siamo un po’ stretti ma ci stiamo», ha dichiarato, ricordando che la spesa attuale della compagnia è «tra i 60 e i gli 80 milioni al mese, che equivalgono a circa 250 milioni in tre mesi»’. Questa cifra corrisponderebbe alla linea di credito che può vantare Alitalia. «Il regolamento europeo è tassativo: non si può avere licenza senza avere la capacità di stare in piedi da soli, senza entrate, per almeno 3 mesi». Dando così la possibilità di delineare maggiormente il piano di rilancio di Colaninno e Sabelli: la disponibilità a coprire i regolamenti da parte di Cai è offerta non tramite cash, ma attraverso linee di credito (quelle che garantirà Intesa).
Sempre oggi, a Fiumicino, ulteriore manifestazione del ”fronte del no”: «Per noi è l’ultima occasione per smascherare Cai». Invece dall’Enac arriva il via libera all’attività (sine die?) l’apporto finanziario che si sono impegnati a corrispondere entro gennaio.
Tutto deciso, dunque? Non proprio. Perché per Sabelli c’è un ultimo ostacolo da superare, e potrebbe essere il più duro: quello rappresentato dal suo presidente, Roberto Colaninno. Perché Roberto Formigoni, presidente della Regione Lombardia, ha fatto sapere che Cai ha espresso una preferenza di massima per Lufthansa, dopo un incontro avuto proprio con Sabelli. Le dichiarazioni di Formigoni sono servite proprio a sostenere Colaninno, il quale aveva già fatto conoscere la sua preferenza per una partnership con l’azienda di Mayrhuber. Ma la mossa di Formigoni, al quale Cai non ha ufficialmente replicato nemmeno con una smentita di prammatica, ha rischiato a quel punto di creare un nuovo, piccolo “incidente diplomatico” tra presidente e amministratore delegato, poi comunque rientrato. E con i parigini qualche punto di dissenso ancora c’è: Sabelli ha
chiesto a Jean-Cyril Spinetta una commissione più alta per i biglietti che Alitalia oggi vende per Air France, mentre Parigi chiede il ridimensionamento di Linate per portare tre o quattro voli intercontinentali in più a Malpensa. L’accordo non è vicinissimo.
E infatti le sirene tedesche si fanno ancora sentire, e forte: «Se la nuova Alitalia sceglierà Lufthansa ci saranno sinergie per oltre 500 milioni di euro. E l’ingresso in un network multi hub e multi brand che consentirà alla compagnia italiana di essere un partner paritario, autonomo e forte», ha affermato Holger Hatty, membro del board della compagnia tedesca, in una intervista concessa al Messaggero. Hatty dichiara di avere consegnato ai soci Cai il piano di Lufthansa e di essere in attesa di riscontri. Il consigliere di amministrazione smentisce che «Lufthansa sia disposta a entrare solo se avrà il 45% del capitale». Ma soprattutto, dice no all’ipotesi che Malpensa sarà l’hub di riferimento: «Vogliamo avere
due hub, Fiumicino e Malpensa - dice Hatty. I due scali avranno pari forza e dignità». In base al piano di Lufthansa, afferma il membro del board, Fiumicino dovrebbe puntare sul turismo mentre Malpensa alla clientela business.
Sempre oggi avrà anche luogo una manifestazione a Fiumicino del “fronte del no“. A organizzarla sono le sigle sindacali che non hanno sottoscritto gli accordi di Palazzo Chigi, Anpac, Up e Sdl. «Ci sono molte persone che ancora pensano che gli esuberi di Alitalia siano circa 3.000, tutti pensionabili e tutti garantiti. Noi sappiamo che la realtà dei numeri è drammaticamente diversa», dicono i sindacati. «I cassaintegrati e i precari senza lavoro e senza prospettive dicono - hanno invece tutta l’intenzione di essere visibili
E la scelta di non integrare AirOne da subito sembra quindi dettata (anche) dall’esigenza di rispettare i requisiti finanziari richiesti dalle norme comunitarie per il rilascio della licenza alle nuove compagnie: disporre di risorse finanziarie (liquide o fideiussioni) sufficienti a coprire i costi di tre mesi di operatività senza includere nelle medesime i ricavi attesi. «L’incorporazione delle attività di AirOne avrebbe fatto salire tale requisito per la nuova società mentre il mantenimento come vettore separato, che già dispone della licenza e non è soggetto a verifica del requisito richiesto per gli start up, evita questo inconveniente», commenta il professor Ugo Arrigo dell’Università Milano Bicocca. «E poiché si parla parla di soli 250 milioni di costi in tre mesi anziché, si può dedurre che la parte ex Alitalia avrà un debutto molto contenuto, con un piccolo numero di voli offerti. Con un costo di 250 milioni in tre mesi, corrispondenti a 2,8 milioni al giorno si possono sostenere non più di 300 voli al giorno. Solo un paio d’anni fa erano circa un migliaio».
in breve La Russa: più soldi ai nostri soldati «O i nostri soldati potranno contare su risorse che garantiscano il massimo livello possibile di sicurezza o le missioni non avranno il via libera da parte di questo ministero. Su questo non ci sono “se”o “ma”». Non usa mezzi termini, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, nell’annunciare che l’Italia farà «solo missioni sulle risorse che ci sono state assicurate».
Europa: settimana a 48 ore di lavoro Il Parlamento Europeo si è pronunciato sulla revisione dei requisiti minimi in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, chiedendo di limitare a un massimo di 48 ore la durata media settimanale di lavoro in tutti gli Stati membri e respingendo la possibilità di derogarvi sostenuta dal Consiglio. Il Parlamento propone poi di considerare come orario di lavoro anche i periodi di guardia ammettendo «inattivi», però che siano calcolati in modo specifico ai fini dell’osservanza del massimale settimanale. La direttiva 2003/88/CE1 stabilisce requisiti minimi in materia di organizzazione dell’orario di lavoro, tra l’altro, in relazione ai periodi di riposo quotidiano e settimanale, di pausa, di durata massima settimanale del lavoro e di ferie annuali, nonché relativamente a taluni aspetti del lavoro notturno, del lavoro a turni e del ritmo di lavoro.
Catanzaro, chiusa l’inchiesta Why not La Procura generale di Catanzaro ha chiuso l’indagine «Why not». Oltre cento persone hanno ricevuto l’avviso di conclusioni indagini. La maxi inchiesta era stata avviata dall’ex sostituto procuratore di Catanzaro Luigi De Magistris e aveva coinvolto numerosi esponenti politici. L’indagine ha riguardato diversi filoni, da quello legato ai dipendenti della società di lavoro interinale «Why not», legata alla Compagnia delle Opere, a quello relativo alla gestione dei depuratori che inizialmente era nell’inchiesta denominata «Poseidon».
società
pagina 8 • 18 dicembre 2008
Aborto chimico. L’interruzione di gravidanza può avvenire solo nelle strutture pubbliche. Non sono ammesse scorciatoie
La pillola fuorilegge L’introduzione della Ru486 entrerebbe in conflitto con le regole della 194
È una violenza, non una conquista di Luisa Santolini
Q
uello che si temeva sta avvenendo e a mio avviso la introduzione della pillola Ru486 in Italia rappresenta una ennesima sconfitta delle donne. La letteratura scientifica internazionale registra da tempo i pericoli insiti nell’uso di questo antiabortivo, ma pare che tutto questo non preoccupi più di tanto non solo coloro che si apprestano a registrare il farmaco in Italia, ma anche le tante donne che invocano la sua adozione per fare dell’aborto un atto meno traumatico e meno doloroso. Le morti accertate non sono un’opinione e la difficoltà di risalire alle cause di queste morti non attenua la responsabilità di questa pillola se è vero che l’Ente cinese dei farmaci ha dichiarato fuori legge la vendita nelle farmacie e in India la Commissione dei diritti umani dello Stato del Rajasthan ha stabilito che l’aborto chimico deve essere effettuato solo in strutture sanitarie attrezzate, visto l’alto numero delle donne decedute soprattutto nelle campagne. Il Parlamento inglese, nel corso di indagini parlamentari, ha denunciato tre decessi. E tutto questo è più scandaloso se si pensa che altri farmaci sono stati banditi dalla commercializzazione perché ad essi era stato associato un numero di decessi molto inferiore. Ma venendo al caso Italia, va chiarito in premessa che i tempi dell’aborto chimico non sono sempre costanti per tutte le donne. La Legge 194 prescrive chiaramente che il processo abortivo deve avvenire in ospedale e le stesse valutazioni tecniche sulla Ru486 hanno precisato
che essa va utilizzata solo in ambito ospedaliero e nel pieno rispetto della 194. Allora va chiarito che proprio la Legge 194 si oppone all’uso delle pillole abortive: è evidente che per rispettare la 194 l’aborto chimico va fatto in strutture sanitarie, ma è altrettanto evidente che è impensabile che le donne stiano vari giorni (in alcuni casi settimane) in ospedale in attesa di abortire. La logica che guida l’uso della Ru486 è proprio quella di semplificare le procedure, di rendere tutto più facile ed evitare traumi da sala operatoria. Allora come si concilia la Ru486 e relativo aborto faida-te con la tutela che la 194 garantisce alle donne? Cosa dicono quelle donne che da sempre sono per una strenua difesa della Legge 194? Si può difendere contemporaneamente una pratica chirurgica e una chimica che sono in palese contrasto? Siamo in attesa di risposte serie e non di scorciatoie e soprattutto vorremmo che le donne non fossero usate ancora una volta come cavie da laboratorio, con una informazione distorta sia sulla loro salute che sui rischi che corrono e non fossero usate per risolvere i problemi di quei medici non obiettori che non ne possono più di fare aborti e trovano la brillante soluzione di relegare ancora una volta le donne nella loro solitudine e nei loro silenziosi drammi. Si parla tanto di donne e delle violenze che subiscono. La Ru486 è una ennesima violenza sulla loro psiche, sulle loro angosce, sulle loro tragedie, sul loro futuro. Ed è tragico che tutto questo venga fatto passare per una conquista.
di Gabriella Mecucci segue dalla prima Le donne però vengono rispedite a casa fra la somministrazione di misoprostol, che provoca la morte del feto, e quella della prostaglandina, che determina l’espulsione del feto (talora questa fase dura giorni e giorni). C’è di più: la 194 prevede che la donna, prima che l’aborto venga autorizzato, incontri uno psicologo e che le vengano prospettate presso un consultorio le possibili alternative all’interruzione della gravidanza. Un percorso di tutela che rischierebbe di saltare se passasse l’idea della scorciatoia. Il conflitto fra la legge vigente e la pillola abortiva è stato sollevato da numerosi commentatori e da un documento di Pdl-Udc-Lega che chiede al governo di impegnarsi a non introdurre la Ru. Cosa pensano le donne parlamentari dei diversi schieramenti politici su questo tema?
Il ministro Giorgia Meloni condivide l’allarme lanciato dalle sue colleghe. «Il proble-
che comporta quella drammatica scelta». Di parere opposto è l’ex ministro della Salute, la democratica Livia Turco. «Non diciamo stranezze - dice - la pillola Ru è un farmaco e come tale va trattato. Per quello che mi riguarda non sono né favorevole né contraria, aspetto che i medici mi diano tutte le risposte sulla sua efficacia, sulla sua percolosità e su tutto
Giorgia Meloni: «Si rischia di annullare o rendere meno efficaci le tutele medico-sanitarie e psicologiche per la donna». Livia Turco: «Meno chiacchiere, serve un atto di indirizzo» ma - osserva - esiste. Noi da tempo chiediamo la piena applicazione della 194 e, in particolare, di quella parte che riguarda la prevenzione. Questa battaglia - è del tutto evidente - entra in rotta di collisione con l’uso della pillola abortiva che rende l’interruzione volontaria della gravidanza più sbrigativa e solitaria. Così facendo, inoltre, si finirebbe col far venir meno o comunque col rendere meno efficaci le tutele medico-sanitarie e psicologiche previste dalla 194. Deve essere chiaro, la Ru non è un’aspirina né tantomeno un anticoncezionale. È una pratica abortiva più drammatica e pericolosa di quella chirurgica. Insomma, invece, di aiutare le donne ad evitare l’aborto, si scaricherebbe più che mai solo su di loro il dolore e la solitudine
il resto. Quanto in all’entrare contraddizione con la 194, questa è veramente una tesi insostenibile. Nessuno di noi pensa di consentire l’uso della Ru al di fuori delle regole che stabilisce la legge vigente. Se io fossi ministro, anziché fare tante chiacchiere, farei un atto di indirizzo che preveda la possibilità di abortire chimicamente solo nel pieno rispetto di tutti i limiti che stabilisce la 194. Solo in un paese strampalato come il nostro può svilupparsi una discussione come questa. In realtà, però, dietro a questa discussione c’è un retropensiero: se rendo l’aborto meno doloroso, più faci-
Qui sopra, «L’amore sacro e l’amor profano» di Tiziano. Sotto, Giorgia Meloni, Livia Turco, Paola Binetti e Isabella Bertolini. Nella pagina a fianco, Margherita Boniver le, lo banalizzo. Ebbene, questo retropensiero mi fa orrore. Non conosco una donna che prenda alla leggera l’aborto. La pillola Ru, se le autorità scientifiche l’autorizzano, è solo una possibilità di scelta in più. Quanto alla prevenzione, le voglio raccontare che cosa sta combinando questa maggioranza. Domani voteremo l’articolo 3 della legge 85 che prevede facilitazioni per l’accesso al mutuo delle famiglie con figli. Lo sa da dove prendono i fondi per finanziarlo (si tratta di solo 25 milioni in tutto)? Da un provvedimento che facemmo noi del centrosinistra per rafforzare i consultori. Mi domando perché la Chiesa non alzi la voce contro simili scelte».
La senatrice Paola Binetti, anche lei del Pd, ha una posizione diversa da quella della Turco. «La Ru - dice - è pericolosa, è dolorisissima,“privatizza” l’aborto. Sono contraria alla pillola abortiva e, in quanto cattolica, sono contraria ad ogni forma di aborto. La 194
società
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L’opinione controcorrente di Margherita Boniver
«Sono favorevole, ma solo in ospedale» colloquio con Margherita Boniver di Francesco Capozza
ROMA. «Le concedo molto volentieri quest’in-
Isabella Bertolini: «L’utilizzo della pillola sarebbe in contrasto con la tutela della salute prevista dalla Costituzione». Paola Binetti: «Informiamo le donne della sua pericolosità» però è legge dello Stato. La mia prima battaglia sarà quindi quella di chiedere che un’eventuale introduzione della pillola venga sottoposta a tutte le regole e a tutti i limiti che la legge prevede. Sulla base di questa si deve fare tutto il possibile per evitare l’aborto che, qualora venga praticato, deve essere fatto con il massimo di sicurezza per la salute e nelle strutture pubbliche. Nessuno pensi di scavalcare queste regole che sono a tutela non solo del corpo ma anche della psicologia delle donne. Queste devono essere informate in modo serio e completo a che cosa vanno incontro usando la Ru: un’interruzione di gravidanza dolorosissima, che dura almeno tre giorni, che ha già provocato 16 morti e che le lascia in uno stato di solitudine e di profonda debolezza psicologica».
Per Isabella Bertolini, deputata del Pdl e una delle promotrici del documento che impegna il governo a non introdurre la Ru: «Deve essere chiaro
che con questa pillola l’aborto viene deospedalizzato. Si prende un primo farmaco, poi la donna va a casa e, infine, le viene dato un secondo farmaco per espellere il feto già morto. Qualcuno paventa anche che si possa arrivare a nuove forme di clandestinità. Basta citare questo fatto per rendere evidente la contraddizione con uno dei criteri fondanti della 194 e cioè la sicurezza fisica della donna. Ma c’è di più: forse l’uso della Ru 486 non è in linea con la stessa Costituzione che prevede la tutela della salute: lo Stato, introducendo la pillola abortiva, non realizzerebbe appieno questo principio per quanto riguarda le donne».
A difesa delle tesi di Livia Turco si schiera, invece, Marianna Madia: «In questo dibattito c’è un’invadenza della politica rispetto alle valutazioni tecnico-scientifiche. Aggiungerei che va rispettata la libertà di scelta delle donne. La Ru è una possibilità, non un’imposizione».
tervista su un tema così delicato, tuttavia vorrei precisare che parlo a titolo personale, come parlamentare della maggioranza, certo, ma esprimo il mio personalissimo pensiero». Non è una presa di distanza dal governo, un mettere le mani avanti, la precisazione che ci fa Margherita Boniver, ex sottosegretario agli Esteri e parlamentare del Pdl. Piuttosto la volontà di parlare come donna prima ancora che come esponente del partito che esprime la maggioranza governativa. Onorevole Boniver, lei non è un medico o un’esperta di medicina, però è da sempre una donna impegnata socialmente e civilmente. Cosa ne pensa della probabile imminente introduzione sul commercio italiano della pillola abortiva Ru486? Innanzi tutto mi consenta di fare una precisazione: io sono assolutamente contraria all’aborto, da sempre, ma favorevole alla legge 194 che, invece, tutela la donna. Beh, in pratica mi ha risposto... No, attenzione. Non corra troppo. Pur essendo contraria all’interruzione di gravidanza se non come prevista dalla 194, sono invece tendenzialmente favorevole all’introduzione in Italia della pillola RU486. Non crede che sia una contraddizione in termini? No. Assolutamente. Bisogna essere molto chiari nella distinzione tra l’interruzione di gravidanza attraverso l’asportazione del feto, così come previsto dalla legge 194 del 1978 e l’utilizzo della pillola abortiva. Il primo intervento viene fatto entro tre mesi dal concepimento mentre l’utilizzo della seconda è autorizzato solo nelle prime settimane. Però è lo stesso l’uccisione di una vita. No, precisiamo: è l’interruzione di un processo vitale. Attenzione a non fare confusione. È però anche l’introduzione di una forma di interruzione che in molti Paesi è già presente da vari decenni. Diciamo che potremmo diventare un Paese civile anche noi, almeno sotto questo aspetto. Ma non crede che una donna, dopo aver preso questa pillola, potrebbe andare incontro a pericoli e dolori fisici? Perché di questo si sente parlare. Guardi, io non sono certo un medico che può spiegarle gli effetti collaterali di un trattamento di questo tipo.Tuttavia credo che ci sia davvero tanta confusione in giro, anche tra voi giornalisti che riportate delle notizie che a volte sono, francamente, non vere. Allora mi faccia capire... Le ripeto, non sono un medico, però posso dirle che sono anni che la Ru486 viene sperimentata in centri specializzati in molte Regioni italiane. E poi va precisata un’altra cosa. Cosa, onorevole Boniver? Bisogna precisare che questa pillola non sarà una pillola da banco. Non si troverà, cioè, in farmacia come la pillola del giorno dopo (che al contrario è un contraccettivo, lo preciso
perché ho letto anche articoli in cui si confondono le due cose). La Ru486 potrà essere somministrata solo in strutture mediche adeguate, preferibilmente in ospedali e cliniche convenzionate. Nè più, nè meno di come avviene oggi secondo quanto stabilito dalla legge 194. Dove la paziente godrà di ogni assistenza medica e professionale. C’è chi dice, però, che sarà presa in day hospital e che poi, quando si dovessero verificare delle controindicazioni, la paziente sarà a casa, senza assistenza. Cerchiamo di non avere sempre una visione apocalittica però. Guardi, io sono sicura che i medici non la prescriveranno senza prima aver fatto degli accertamenti clinici e senza che la paziente sia davvero convinta di quello cui sta
“
Non sono un medico, ma credo sia meglio un farmaco preso entro qualche settimana e in un luogo sicuro, piuttosto che un vero e proprio intervento chirurgico
”
andando incontro. In termini psicologici intendo. Sul piano medico sono tra quelli che si fida ancora del nostro sistema sanitario Onorevole, ha letto l’appello lanciato ieri da Giuliano Ferrara sulla prima pagina de Il Foglio? No, non l’ho letto. Di che si tratta? In buona sostanza di quello di cui stiamo parlando. Fa un appello affinché ci si ripensi. Non voglio polemizzare con un quotidiano diretto da un amico. Ho le mie opinioni e rispetto quelle degli altri. Un’ultima domanda onorevole: lei crede che all’interno del governo ci sia una visione unitaria rispetto alla pillola Ru486? Ne dubito. Spero si riesca a superere una visione squisitamente ideologica e si cerchi di guardare alla persona, non alle ideologie.
panorama
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Polemiche. La “social card” aiuta una minoranza disperata: ma che cosa si fa per le famiglie?
La povertà che Tremonti non vede di Claudio Melchiorre empo fa, viaggiando insieme alla first lady di un ente locale meridionale provavo a mettere a fuoco una teoria. Specie al Sud, la povertà si nasconde dietro la dignità e dietro le tende di casa, quindi non si vede. Ma c’è. La risposta fu sorprendente. La first lady mi rispose che non era vero. Che il Sud era ricco e che lei sapeva bene come vivevano le persone più povere. Era amica della sua cameriera, mi disse, e in fondo la questione non era grave.
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Credo alla buona fede della signora. Ma se la crisi delle famiglie è nascosta dietro la tenda, ella non può vederla perché è fuori da quella prospettiva. Chi, come tanti professionisti e giornalisti, non è stato toccato dalla crisi perché è tuttora ricco o benestante, non vede e non può vedere la povertà. Il resto lo fa il senso di dignità. Chi invece è finito nel tritacarne della povertà, dei debiti, dei mutui, affoga, chiede troppo tardi solidarietà
IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio
che non arrivano e, alla fine, non sa come difendersi. Il ministro Tremonti cerca di intervenire con una card da 120 euro.Vale a dire la spesa prevista in media per il Natale 2008. È un intervento visibile, percepibile, pratico. Ha tutte le premesse per poter funzionare. Ma servirà a fare la spesa ordinaria, non cer-
vono a poco. Gli inviti a consumare di più sono folli. Queste sono forme di keynesianesimo straccione. Il tentativo di spingere i consumi senza mettere risorse sul piatto. La nostra strada non è questa. L’Italia ha bisogno di rimettersi a produrre ricchezza. La crisi mondiale in fondo ci tocca meno di quanto
Le professioni di ottimismo servono a poco e gli inviti a consumare di più sono folli: alla fine le iniziative prese risulteranno inutili to a far passare un Natale sereno alle famiglie. I dati elaborati dai consumatori in questo periodo sono drammatici. Vale la pena utilizzarli perché l’Istat è alla fine arrivata alle medesime conclusioni dei consumatori, un anno dopo. Ed allora scopriamo che le famiglie italiane utilizzeranno la tredicesima per curarsi, per coprire spese che hanno lasciato indietro, per sopravvivere a un’ingiunzione, una cartella esattoriale, un debito di una carta di credito o, peggio, una rata di mutuo. Le professioni di ottimismo ser-
si dica e la conferma sta nel fatto che i gruppi finanziari nazionali sono stati toccati relativamente poco dalla crisi internazionale. Il nostro fattore di debolezza principale, quello di avere aziende medie e piccole, in queste condizioni è un fattore di vantaggio, Il mercato globale avrà sempre una nicchia da attaccare per il vantaggio di un piccolo competitor.
Per farlo, però, dobbiamo sforzarci di aiutare il Paese a funzionare. I consumatori sarebbero felici di queste misure.
E invece, arrivano 120 Euro per famiglie disagiate e 100 miliardi di interventi per la finanza e le grandi imprese. Che bruceranno queste somme sui mercati finanziari internazionali. Come hanno già fatto alcune banche francesi. Non solo queste iniziative saranno inutili, ma alla fine peseranno sulle tasche di chi paga le tasse e vuole sicurezze in un mercato finanziario che in questi anni ha avuto controlli allegri e ora chiede che il conto sia pagato da qualcun altro. Insomma: in sostanza alla crisi delle famiglie oggi si risponde con il sostegno a chi quelle famiglie le ha messe nei guai. Ma la povertà delle famiglie sta crescendo. La risposta alle loro esigenze è la produzione di ricchezza. Mentre l’attenzione continua ad essere concentrata sul terziario non troppo avanzato che detiene il potere amministrativo di questo Paese. Non sono poteri forti. Sono poteri in pantofole. Che non vogliono pagare conti e preferiscono le pantofole alle scarpe da marcia. Speriamo che qualcuno voglia ascoltare le parole dei consumatori.
Non capire e recensire, discettare e polemizzare: un bel libro di Massimo Onofri
Ode alla critica letteraria che non c’è più o timore a scrivere questo articolo perché mi appresto a parlare su di un libro di Massimo Onofri che s’intitola Recensire (Donzelli) e dice che cos’è una recensione e quando è buona o cattiva, riuscita o malfatta. Ho timore perché Onofri è un critico letterario (con relativa cattedra universitaria, anche se con onestà intellettuale sa che l’università non serve a un tubo in questo come in altri “campi” del sapere) e quindi potrebbe giudicare il mio articoletto con severi canoni estetici o, più modestamente ma anche con maggiore insidia, bocciare il mio stile giornalistico facendo appello alle regole del buon giornalismo che sicuramente conoscerà praticando ogni mattino la hegeliana preghiera laica della lettura del giornale.
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Però, mi faccio coraggio e affronto il pericolo per due motivi: perché il libro di Onofri è intelligente e muove l’intelligenza altrui - è stimolante, insomma - e perché il critico letterario somiglia un po’ alla famosa araba fenice, che vi sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa. Un tempo, certo, un tempo il critico letterario esisteva, eccome se esisteva. Anzi, è probabile, forse, che il critico letterario sia stata l’ultima incarnazione o l’ultimo prodotto della cultura umanistica: l’uomo di lettere -
ben presto poi sostituito dal non meglio definito e definibile “intellettuale” che aveva buon gusto e in forza del suo gusto e del suo canone letterario e civile sapeva giudicare il bello (e, si capisce, il brutto), la poesia (e, si capisce, la non-poesia), e quindi, l’arte, la letteratura e, addirittura - tenetevi forte - il mondo. Un tempo questa figura c’era. Ma oggi? Sapete a cosa somiglia oggi il critico letterario? A quelle figure di una volta, come il maestro, il prete, il mail resciallo, farmacista che erano qualcosa di più di ciò che erano e che oggi sono qualcosa di meno o di diverso da ciò che dovrebbero essere. E così dicendo mi rendo conto che questa recensione è già tutta sbagliata perché non sta rispettando le buone regole dell’arte del recensire: il riassunto, l’informazione, l’interpretazione, la valutazione. Provo a dare una sterzata, ma ormai è venuta così.
Dunque, Onofri lo scorso anno pubblicò La ragione in contumacia. La critica militante ai tempi del fondamentalismo. Un libro che pur facendo il punto sullo stato della critica militante era qualcosa di più di un saggio sulla critica letteraria perché il suo “contenuto” riguardava - si potrebbe dire - la critica in sé e, quindi, il suo rapporto con la libertà. Recensire ne è la naturale prosecuzione: dalla teoria alla pratica (meglio non dire come dice Onofri «dalla dimensione trascendentale alla concretezza empirica»). Detto in altre parole: se il primo libro rappresenta una “teoria del giudizio”, il secondo è l’esercizio del giudizio nel campo ristretto della letteratura. Sulla base di questo programma, armato di una cultura estetica e più genericamente filosofica che va da Kant a Croce passando per il fior fiore della nostra critica, da De Sanctis a Borge-
se a Debendetti, il nostro critico letterario che la sa lunga entra in polemica con Emanuele Trevi, Antonio D’Orrico, Cesare Segre e racconta loro il fatto loro. Fin qui, bagattelle e sassolini che Onofri si toglie dalla scarpa. Il discorso critico di Onofri diventa serio e degno di considerazione quando prende di mira lo strutturalista Tzevan Todorov e la sua improvvisa conversione alla letteratura come vita, critica e mondo. Anzi, il bersaglio di Onofri non è neanche Todorov, ma tutta la prosopopea dei giornali italiani - dal Corriere della Sera a scendere - che un anno fa “recensendo” La letteratura in pericolo (Garzanti) ne parlavano incantati come solo ci si incanta davanti alla scoperta dell’acqua calda. Ha ragione Onofri: Todorov ha predicato e praticato per anni la morte dell’autore, del reale, del significato, poi si converte, scopre che la sua ragione aveva torto e che i torti dello storicismo e dell’umanesimo italiano avevano ragione e allora i docenti universitari di un’università che non serve a un tubo cambiano strada, mentre i giornali plaudono all’allievo di Roland Barthes che finalmente ci spiega che cosa sono il mondo, la letteratura, la vita: «Che cosa è successo in questo paese? Perché è ridotto a tali forme di conformismo e provincialismo?». È morta la critica.
panorama
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Polemiche. L’impasse sulle possibili modifiche alla Carta deriva da ragioni di natura politica, non procedurali
Perché non riusciamo a cambiare la Costituzione di Francesco D’Onofrio segue dalla prima Occorre andare alle origini storico-istituzionali dell’attuale sistema previsto in Costituzione per modificare la Costituzione medesima. Allorché – nel 1947 – si trattò di definire le maggioranze necessarie per le riforme costituzionali, si stabilì che per cambiare la Costituzione si poteva procedere con o senza un referendum: possibile se la riforma costituzionale fosse stata votata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera o impossibile qualora la riforma medesima fosse stata votata a maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera.
Ma è di tutta evidenza storicocostituzionale che in quella Assemblea bastava il consenso della Dc e del Pci per fare in modo che le riforme costituzionali concordate da essi non potessero correre neanche il rischio di un referendum confermativo delle riforme deliberate in Parlamento. Ed è del pari significativo che allora il sistema elettorale vigente fosse quello proporzionale, sì che la maggioranza parlamenta-
Quando fu pensata, nel 1947, era funzionale all’equilibrio fra Dc e Pci, oggi tutti vogliono modificarla «a colpi di maggioranza» re corrispondeva normalmente alla maggioranza popolare. Le due procedure che la Costituzione prevede per le proprie modifiche, avevano un rilevante significato di garanzia dei due gruppi parlamentari maggiori, il cui consenso era pertanto necessario perché le riforme costituzionali proposte non mettessero a rischio i valori costituzionali che ciascuno di essi – o dei loro allea-
ti – riteneva essenziali. E la legge elettorale proporzionale rinforzava ulteriormente questa garanzia costituzionale. Ed è proprio a partire dal 1994 che non solo non vi sono più i gruppi parlamentari della Dc e del Pci, ma che anche la legge elettorale è stata modificata, passando da un sistema pressoché integralmente proporzionale ad un sistema prevalentemente
maggioritario, con la conseguenza che si è in fondo passati dalla cultura delle alleanze politiche a quella dei cartelli elettorali. Ne è conseguita una sostanziale modifica di fatto del sistema originariamente previsto per le modifiche costituzionali, nel senso che dal significato storico e politico originario della garanzia dei due maggiori gruppi parlamentari si è passati ad un dato quasi esclusivamente numerico, per di più condizionato dal mutamento della legge elettorale. Di qui la tentazione nella quale sono caduti entrambi i maggiori schieramenti politici nati proprio dopo il 1994: approvare profonde riforme costituzionali a maggioranza parlamentare non di due terzi, rimettendo in qualche modo al successivo referendum la decisione sulle riforme costituzionali adottate in parlamento. È come se un principio popolar/maggioritario si fosse sostituito - anche per le complesse procedure costituzionali - al principio delle alleanze politiche successive al voto.
Sono queste le ragioni per le quali la decisione sulle riforme
costituzionali è prevalentemente politica: se si opera con una cultura di cartello elettorale legittimato da un voto popolare a maggioranza si finisce con il preferire una riforma costituzionale a maggioranza dei componenti di ciascuna Camera; qualora, al contrario, si opera con una cultura sostanzialmente di alleanza politica si cercherà l’intesa anche con forze politiche non di governo, in modo da raggiungere una maggioranza di due terzi dei componenti di ciascuna Camera. Quel che conta è cercare di capire quali sono per queste formazioni politiche le questioni costituzionalmente più decisive. La cosiddetta Prima Repubblica ha una costituzione tuttora vigente, anche se non vi sono più la Dc e il Pci ed anche se la legge elettorale è oggi maggioritaria: politica era allora la questione delle riforme costituzionali, politica è oggi. Altro che fredde regole del gioco! Si tratta di fondamentali questioni di politica costituzionale e non certo di questioni, anche se raffinate, di procedura parlamentare.
Monete. La storica decisione di Bernake per un’America che vuole aggredire le crisi
Una rivoluzione a tasso zero di Gianfranco Polillo a decisione di Bernanke, il presidente della Fed, sarà iscritta d’ufficio nel guinness dei primati. Per la prima volta, in quasi 100 anni di storia, i tassi di interesse, negli Stati Uniti, toccano il fondo dello zero assoluto. Misura necessaria, almeno così si spera, per allentare la morsa della recessione e consentire al più forte paese dell’Occidente di bruciare le tappe in vista di una possibile ripresa.
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Ma ciò che sorprende non è tanto questo, quanto la rapidità con cui l’Amministrazione americana sta fecendo fronte alla crisi. E i cambiamenti radicali che sono stati introdotti nella gestione di quella potente macchina economica. Fino a ieri era il trionfo del mercato all’insegna di una deregulation selvaggia. Oggi l’intervento dello Stato si esercita con un piglio che sembra essere degno del più spinto dirigismo. Iniezioni di capitale pubblico nella gestione delle banche. Assorbimento dei titoli tossici da parte della banca centrale. Un intervento miliardario a sostegno degli investimenti nelle infrastrutture ed aiuti alle famiglie più bisognose. Quelle che spendono e non usano le nuove provvidenze per incrementare il proprio risparmio. Una vera e propria rivoluzione su cui tutti – a partire dalla sinistra italiana – dovrebbero riflettere, per lasciarsi alle spalle il peso di una tradizione, non più adeguata per far
fronte ai temi nuovi che questa crisi pone all’ordine del giorno. Basta guardare, per averne una riprova, al comportamento imbarazzato dell’Europa. Incerta nelle soluzioni. Costretta a defatiganti compromessi. Incapace di liberarsi, in definitiva di vecchi schemi ed altrettanti sospetti. Funzionerà la ricetta americana? O non si tratta, invece, di dejà vu come pure temono tanti economisti? Il riferimento obbligato è all’esperienza praticata dal Giappone tra il 2001 ed il 2006. Anche allora la politica monetaria assunse l’aspetto di una manovra eccezionale.
Il fallimento delle principali banche d’affari Usa ha azzerato gli speculatori: Questo renderà più efficace l’annullamento del costo del denaro Tassi di interesse vicini allo zero. Eccesso di liquidità. Ma queste misure non rimisero in moto il meccanismo di sviluppo ed il Giappone, che sembrava essere candidato alla leadership assoluta dei paesi sviluppati, subì una profonda regressione. Le linee di credito non furono utilizzate per aprire il mercato interno alla concorrenza internazionale. Non vi fu una spinta all’innovazione produttiva, con conseguente ricambio della classe dirigente. Al contrario quelle facilitazioni furono utilizzate dal vecchio establishment in spericolate operazioni finanziarie. Ci si indebitava in yen per acquistare as-
set sui mercati di mezzo mondo. Il convento rimaneva povero, ma i frati si arricchivano.
Negli Usa, questo pericolo è meno forte. Il fallimento delle principali banche d’affari ha estromesso dal mercato i grandi soggetti della speculazione internazionale. Chi è rimasto – si veda Madoff – conteggia le perdite delle sue truffe miliardarie e contempla, con tristezza, un futuro preoccupante. In America non c’è pietà per i vinti. Né per gli apprendisti stregoni. Le misure decise – compresa quella che mira a finanziare con maggior base monetaria il deficit pubblico – potranno anche favorire gli hedge fund. Ma si tratta, in ogni caso, di interventi fuori della portata del grande pubblico. E gli investitori professionali sono adulti e vaccinati. Specie dopo il bagno di sangue subito. Resta solo l’incognita della futura inflazione. Me in economia, e non solo, non si può ottenere tutto. L’eccesso terapeutico può anche uccidere il paziente. Ma se la malattia è grave, primum è vivere. Al resto si penserà una volta scongiurato il pericolo del decesso.
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Da un silenzioso lavoro dietro le quinte (malinterpretato da molti) al deciso “colpo di reni” sulla vita d
La donna che visse di Roselina Salemi
ugenia Maria Roccella Cavallari (Bologna, 15 novembre 1953), attuale sottosegretario al Welfare non è conosciutissima, almeno non nel senso che si intende oggi, perché non ha partecipato all’Isola dei Famosi come Vladimir Luxuria, non ha un passato da showgirl come Mara Carfagna, o una chioma fiammeggiante e scompigliatrice come quella di Michela Vittoria Brambilla. Il fatto che sia stata giornalista, ricercatrice universitaria e scrittrice di fotoromanzi, molto prima di essere eletta deputato in quota An e diventare viceministro, non è sufficiente a imbastire una biografica stuzzicante. Ma famosa rischia di diventare adesso, e di botto, perché la decisione di non far morire Eluana Englaro, quando ormai sembrava tutto deciso, il dove e il come, (sulle ragioni c‘è una sentenza della Corte di Cassazione), l’uscita pubblica che ha dato il via alle polemiche, si deve a lei.
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Ha lavorato dietro le quinte, senza strepiti, senza proclami, perché, dice chi la conosce bene, «Eugenia è convinta di una cosa: le battaglie culturali vanno fatte e anche vinte». Tecnicamente è un colpo di scena, come la grazia del go-
rinnegato niente e il suo percorso è più lineare di quanto possa sembrare a prima vista (anche se, dicono, ha periodi blu e rosa, come Picasso). E’ rimasta “radicale come metodo”e laica come approccio. E’ rimasta femminista, non come nel mondo anglosassone, un femminismo dell’uguaglianza, ma della Differenza (per capirla, leggetevi Dopo il femminismo, Ideazione editrice, 2001). E’ rimasta favorevole alla 194, ma ha combattuto e combatte contro la Ru486 (sulle due cose i cattolici duri e puri non fanno distinzione) e, essendo tosta, più che televisiva, non è caduta nella piccola trappola di Michele Santoro. Lui voleva farle dire che l’aborto è una conquista per le don-
Figlia di uno dei fondatori del Partito Radicale, entrata a 18 anni nel Movimento di liberazione della donna, femminista, poi organizzatrice del Family Day, era difficile da collocare allora. E lo è anche adesso vernatore al condannato a morte che arriva quando la procedura per l’iniezione letale o la sedia elettrica è cominciata. Intellettualmente è il punto d’arrivo di una lunga riflessione, l’iceberg che emerge proprio quando una parte del mondo cattolico le rimproverava una certa freddezza o forse, soltanto il silenzio sulle questioni di etica che improvvisamente tengono banco, mentre il sistema dei consumi, la girandola del denaro che genera denaro comincia a franare. Figlia di uno dei fondatori del Partito Radicale, Franco Roccella, entrata a diciotto anni nel Movimento di liberazione della donna, femminista, ma spesso controcorrente, era difficile da collocare allora, e lo è anche adesso. In piazza con Marco Pannella, era anomala come radicale. Al Family Day del quale è stata portavoce, stimata e sostenuta da Camillo Ruini, era anomala perché credente, ma non cattolica. Ha una coerenza tutta sua, e seguendola con pazienza, leggendo i suoi articoli, le prese di posizione, i libri, si capisce la logica profonda di quello che fa. Eugenia Roccella può non piacere, e a tanti non piace, ma delle sue molte vite, non ha
ne. Lei ha specificato che «l’aborto non è mai una conquista, la legge sì». Battezzata a cinque anni, laureata in Lettere, ricercatrice alla “Sapienza”di Roma, editorialista per Avvenire, sposata dal ‘76 con lo stesso uomo, una rarità anche tra i cattolici militanti, madre di due figli che si preoccupa di trascurare, ora che la politica l’ha acchiappata e le ha puntato i riflettori addosso, ha fatto a lungo esperienza della cura.
Si è occupata dei bambini, quando erano piccoli, scegliendo di rimanere a casa a scrivere fotoromanzi. Si è occupata dei genitori, da vecchi, affrontando la prova durissima, incomprensibile per chiunque non la viva, di stare accanto, fino all’ultimo a una madre che
A sinistra, il sottosegretario all’Welfare Eugenia R A fianco, il ministro Maurizio Sacconi e, nella pagina a fianco, un’immagine di Eluana En Sopra, il quadro “Donna a Mosca” di Vasilij Kand
era stata artista, attrice, pittrice, spenta lentamente dall’Alzheimer. Non che sia un santino, non che non abbia ambizioni, oppure orgoglio. Ma è un’outsider, lo sanno le sue amiche, la storica Lucetta Scaraffia, la scienziata cattolica Assuntina Morresi che lavora felicemente con lei e per lei, dietro non ha grandi apparati, giusto la stima di
Gianni Letta e una competenza non contestabile. Senza volerlo, forse senza saperlo, si trova nello snodo cruciale del confronto tra etica laica e cattolica e ha sufficiente autostima da affrontarlo.
Naturalmente, non tutti la capiscono, anzi. Com’è possibile che un’ex femminista sia contro la Ru486, un regalo fatto alle donne, un atto di libertà? Com’è possibile che abbia accettato la legge 40 sulla fecondazione assistita? E com’è possibile che dalle battaglie a favore del divorzio sia passata al no assoluto a Pacs e Dico in tutte le loro forme accanto a vescovi, suore, ciellini e quant’altro? E’ possibile, se si parte dal principio che laici e cattolici si possono incontrare sul tema della difesa dell’umano. E questo, proprio mentre le posizioni si sfumano e si confondono, con cattolici a favore dell’eutanasia e laici contro, con
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della Englaro. Fenomenologia di Eugenia Roccella
due volte modifica delle norme originali sull’interruzione della gravidanza. Non è, ovviamente una pura questione giuridica. La Ru486 “legalizza la clandestinità” lascia le donne sole, con il dolore sia fisico che psicologico. Proprio quello che la 194 doveva evitare (ci ha scritto sopra un libro La favola dell’aborto facile. Miti e realtà della pillola Ru486, con Assuntina Morresi, pubblicato da Franco Angeli nel 2006). In questo è rimasta radicale e lo ammette. Ma poi non le piace la tecnoscienza, l’illusione della soddisfazione totale, per cui ognuno può decidere se essere uomo o donna, essere madre o no delegando a un medico il controllo assoluto del corpo femminile. E in questo interrogarsi trova strani e diversi compagni di strada, che, a sorpresa non sono bacchettoni, teocon, ma anche gente di sinistra perplessa.
Roccella.
nglaro. dinskij
strazianti dibattiti sulle cellule staminali e i diritti dell’embrione. Così, Eugenia Roccella usa la legge 194 per affondare la Ru486 segnalando l’incompatibilità tra le due pratiche: in Francia, dove la pillola abortiva è usata regolarmente, è stata necessaria una
In questo fronte mobile, la donna che ha vissuto due volte e forse più di due, la ragazza che scendeva in strada con il megafono e che dovremmo etichettare, sbagliando forse, come liberal-radicale, perché è anche tante altre cose, è decisa e capace di astuzie politiche, è tutto, tranne che maneggevole. La guardano un po’ straniti, temono la sua energia intellettuale spiazzante, la stessa di quando aveva il coraggio di individuare nella facile ironia sul romanzo rosa, uno degli elementi collegati alla svalutazione del mondo femminile. Perché un uomo non si vergogna di leggere i gialli o la Gazzetta dello Sport e le donne si vergognano di leggere i giornali di moda o i romanzi d’amore? Torniamo alla Differenza. Perciò, anche chi non se lo aspettava, da oggi dovrà fare i conti con lei, il “fattore E”. Eugenia. Una signora che non è stata showgirl e non studia il lato più telegenico del suo profilo. Una signora della quale si conoscono poco i gusti, a parte il fatto che il suo libro preferito è Il maestro e Margherita. Una signora che è capace di passare la notte al computer e poi dormire serena sino a mezzogiorno. Quando vogliono farla arrabbiare e soprattutto quando non riescono a seguire il filo della sua logica e se la ritrovano da un’altra parte, («quanto sei radicale!», la rimproverano a destra; «ma stai diventando papista?» buttano lì inorridite le amiche di un tempo) la invitano con un sospiro a mettersi d’accordo con se stessa. Eugenia sorride. Se stessa è la persona con la quale si trova, da sempre, assolutamente d’accordo.
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Lamanna: «Il sondino si può staccare anche subito»
Eluana: è scontro tra governo e giudici di Guglielmo Malagodi rmai è “guerra aperta” tra magistratura e governo sul caso di Eluana Englaro. Martedì il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, aveva diffuso un “atto di indirizzo” dell’esecutivo per impedire - di fatto - alle strutture sanitarie private di praticare l’interruzione della idratazione e della nutrizione ai pazienti in stato vegetativo. Ieri è arrivata la “risposta” di Filippo Lamanna, il giudice della prima sezione civile della Corte d’Appello di Milano, estensore del decreto con cui, lo scorso luglio, Beppino Englaro era stato autorizzato a sospendere l’alimentazione che da quasi 17 anni tiene in vita la figlia Eluana. Secondo il magistrato milanese, per staccare il “sondino” non servono ulteriori certificazioni. «Il decreto non ha bisogno di alcuna ulteriore certificazione di esecutività - dice Lamanna - perché la legge dice che tutte le volte che un provvedimento giudiziario non è più soggetto a impugnazione diventa definitivamente esecutivo». Il giudice, pur affermando di non conoscere ancora il contenuto dell’atto di indirizzo del ministro Sacconi, aggiunge che «non potrebbe escludersi la possibilità teorica di sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale nei confronti del governo». Un conflitto che, spiega lo stesso magistrato, la Corte d’Appello probabilmente non solleverà «per ragioni d’opportunità». L’atto di indirizzo, secondo Lamanna, sarebbe equivalente ad una semplice circolare. E non impegnerebbe i dipendenti della pubblica amministrazione a darvi attuazione, nel caso in cui la stessa circolare sia contraria alla legge. «Senza considerare - aggiunge il giudice - che non può escludersi neppure un profilo di responsabilità, laddove si potrebbe cercare di imporre alle strutture sanitarie e ai medici comportamenti contrari ai loro doveri d’ufficio». Una “minaccia” a cui Sacconi ha replicato con prontezza. «Certi comportamenti determinerebbero inadempienze con conseguenze im-
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maginabili», ha risposto il ministro ai giornalisti che gli chiedevano se la casa di cura “Città di Udine” rischiasse di perdere la convenzione con il servizio sanitario nazionale. Sacconi ritiene che il servizio «debba operare informandosi a quei principi omogenei su tutto il territorio nazionale». «È ovvio aggiunge il ministro - che noi solleciteremo l’applicazione di quei principi. Credo che si porrebbe un problema di inadempienza di un erogatore privato convenzionato che non rispettasse quei principi. Il servizio sanitario nazionale è composto da erogatori accreditati e convenzionati. Noi siamo responsabili del comportamento del servizio sanitario nazionale e credo che difenderemo in ogni sede le ragioni legate ai principi omogeneamente applicati». Un duro attacco nei confronti del giudice è arrivato anche da Luca Volontè, deputato dell’Udc, che parla di un «invito esplicito alla disobbedienza», chiedendo a Lamanna a «rispettare la direttiva del ministro Sacconi». «Non è la prima volta - scrive Volontè in una nota - che il che il giudice Lamanna esula dalle proprie funzioni. La sua dichiarazione di oggi è un esplicito invito alla disobbedienza rispetto alla direttiva del ministro. Questo atteggiamento conferma tutte le nostre preoccupazioni nei confronti di una piccola e combattiva parte della magistratura ideologizzata e assolutamente creativa a discapito dei diritti fondamentali delle persone». «Mi chiedo - conclude il parlamentare centrista - come la sezione disciplinare del Csm possa rimanere inerte anche questa volta». Contro Sacconi, invece, è arrivata la presa di posizione dei legali del padre di Eluana. «La lettera del ministro - scrive l’avvocato Vittorio Angiolini - non è atto amministrativo vincolante né ha contenuto prescrittivo. E non è idonea a produrre alcun effetto giuridico sull’attuazione dei pronunciamenti della Corte di cassazione e della Corte di appello di Milano». La guerra, inesorabile, continua.
Dura replica di Sacconi: «La clinica di Udine potrebbe perdere la convenzione con il servizio sanitario». Volontè: «Basta magistrati ideologizzati»
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Scenari. Dall’Antartide alle Everglades, i cambiamenti climatici e l’invadenza umana minacciano i siti turistici più famosi
Le meraviglie a rischio Sono 37 i luoghi destinati a scomparire se non verranno chiusi al pubblico di massa di Laura Helenie hi visita per la prima volta la Grande barriera corallina potrebbe pensare di ritrovarsi immerso in un dipinto impressionista. La barriera – un vero e proprio caleidoscopio vivente di migliaia di specie uniche al mondo – esercita un fascino magnetico. Sono circa 2 milioni i turisti che ogni anno vanno in vacanza nell’Australia nordorientale per ammirare lo spettacolo del Mar dei Coralli, apportando così nelle casse del Paese 5,5 miliardi di dollari. Immaginiamo ora un possibile futuro. È il 2050 e l’aumento delle temperature marine provocate dai cambiamenti climatici ha ucciso le alghe simbiotiche che vivono dentro ai coralli. Al contempo gli scarichi delle aziende agricole sulla costa hanno intasato di sedimenti le acque. Quasi tutti i pesci sono spariti e quei pochi rimasti sono perseguitati da barche di turisti. Questo è il peggiore degli scenari possibili, ma non tanto improbabile. Il turismo e l’inquinamento già minacciano la barriera corallina. Un rapporto commissionato nel 2004 dal Queensland e dal Wwf ha previsto che il 95 per cento dei coralli potrebbe morire entro la metà del secolo qualora la temperatura degli oceani dovesse aumentare di 2.7 gradi Fahrenheit, come prevedono gli scienziati.
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La barriera corallina è soltanto uno dei luoghi unici al mondo assediati da forze locali e mondiali. Dall’Antartide alle Everglades, da Venezia alle foreste montane dell’Africa orientale, i cambiamenti climatici e la crescente invadenza dell’uomo stanno mettendo in pericolo molte importanti destinazioni turistiche mondiali. Fra i pericoli vanno annoverati l’innalzamento del livello del mare, l’inquinamento, lo sviluppo industriale, i cambiamenti climatici e i flussi turistici. Anche i luoghi potrebbero infatti essere messi in pericolo. Alcune iniziative locali volte a tutelare questi patrimoni stanno dando buoni frutti, mentre preservare altri siti richiederà una strategia concertata a livello planetario. «Una minaccia che pesa come
una spada di Damocle su ogni luogo» afferma Kimberly Lisagor, co-autrice del volume Disappearing destinations: 37 places in peril (Destinazioni in via di estinzione: 37 luoghi in pericolo), appena pubblicato dalla casa editrice Vintage Books. Lisagor sostiene che i cambiamenti climatici sono il pericolo più incombente e difficile da combattere. I climatologi prevedono che i ghiacciai del Kilimanjaro, la più alta vetta Africana e pilastro dell’industria del turismo in Tanzania, che registra entrate pari a quasi 1 miliardo di dollari, scompariranno in meno di 15 anni. Il Glacier National Park nel Montana potrebbe essere costretto a
sopravviva». Il governo italiano spera che un sistema alquanto controverso di paratoie mobili a scomparsa del valore di 7 miliardi di dollari, denominato Mose, possa salvare la città. Quando verrà completato nel 2012 il progetto consisterà in 78 barriere che potranno essere elevate o abbassate dal fondale in risposta alle maree. Resta ancora da vedere se questo sistema potrà ritardare l’inevitabile, ossia una lenta resa all’innalzamento del livello del mare.
La minaccia dei cambiamenti climatici s’insinua all’interno dalle coste. Secondo un rapporto del 2007 del World Heritage Center dell’Unesco, la Torre di
2050, futuro prossimo: la barriera corallina potrebbe essere morta,Venezia preda di continue inondazioni e le nevi del Kilimangiaro sparite per sempre. Una previsione tragica, ma non impossibile cambiare nome se i ghiacciai dovessero scomparire prima della metà del secolo. E in Antartide, che il ricercatore Stephen Ackley dell’Università di San Antonio in Texas definisce «l’ultimo originario ecosistema sulla Terra», la scomparsa del mare di ghiaccio stagionale determinerebbe la morte di pinguini e foche. Una minore quantità di ghiacci implica una maggiore quantità d’acqua e l’innalzamento del livello degli oceani potrebbe ben presto arrivare a lambire molte città. Immaginate Venezia, l’effetto combinato del livello del suolo che si abbassa, dei terribili nubifragi e dell’innalzamento dell’acqua stanno già spingendo in questa direzione. Le alte maree stagionali, che gli abitanti locali chiamano “acqua alta”, inondano oggi la famosa laguna un centinaio di volte l’anno rispetto alle sei volte di un secolo fa. L’acqua salata che vi si riversa dal mar Adriatico sta sgretolando mura centenarie. «La città viene divorata dall’acqua», afferma Anna Somers Cocks, presidente della Onlus Venice in Peril (Venezia in Pericolo). «Dal punto di vista ecologico è del tutto artificiale, come New Orleans.Venezia sopravvivrà fino a quando vorremo che
Londra e il palazzo di Westminster potrebbero essere danneggiati da violenti straripamenti del Tamigi provocati da un innalzamento del livello del mare e da temporali e nubifragi. «Questi edifici millenari sono sopravvissuti alla guerra civile che insanguinò l’Inghilterra e alle terribili incursioni naziste, ma il rischio di un’inondazione quintuplicherà entro il 2050», afferma May Cassar del Centre for sustainable heritage dell’University college di Londra. «Questi monumenti sono
stati inseriti nella lista del patrimonio mondiale in virtù del loro valore universale e ogni danno sarebbe una perdita culturale che infliggerebbe una ferita non solo alla Gran Bretagna». Inoltre, secondo un recente studio ambientale finanziato dall’Unione europea, in tutto il
Nord Europa i livelli crescenti di umidità potrebbero accelerare la diffusione di microbi le cui escrezioni acide divorerebbero i monumenti storici. E sulla vetta del Kilimanjaro molti tesori andrebbero perduti. Doug Hardy dell’Università del Massachusetts si sta affrettando a
La denuncia della Wmo: sciolti 2mila milioni di tonnellate di ghiacci
Caldo e disgelo, 2008 anno nero di Silvia Marchetti e quest’anno l’estate è stata torrida e l’inverno sembra essere arrivato con un netto ritardo, non è un’impressione ma un dato di fatto scientifico. Il 2008 è stato infatti il decimo anno più caldo dal 1850, data storica d’inizio delle prime misurazioni. Mentre l’Europarlamento approva il pacchetto clima con le misure 20-20-20 per il raggiungimento degli obiettivi previsti nell’Unione europea entro il 2020, da Ginevra arriva un altro rapporto allarmante sul surriscaldamento globale. Stando ai dati preliminari diffusi dall’Organizzazio-
S
ne meteorologica mondiale (Omn) tra cicloni, scioglimento dei ghiacci, innalzamento del livello del mare e aumento dell’effetto serra c’è davvero di cui preoccuparsi.
Gli scienziati ginevrini non fanno così che confermare ciò che ormai è chiaro a tutti: la tendenza generale è che farà sempre più caldo. La temperatura media dell’aria quest’anno è di 0,31 gradi superiore rispetto al periodo 19611990 e ai due poli s’intensifica il processo di disgelo. L’estensione della banchisa polare artica
mondo
Il Glacier National Park nello stato del Montana potrebbe vedersi cambiare il nome se i suoi ghiacciai dovessero scomparire prima della metà del secolo
raccogliere antichi dati metereologici studiando i nuclei dei ghiacci prima che si sciolgano. Alcune minacce sono di portata più locale. Quando, più di una decina di anni fa, il Taj Mahal ha iniziato a trasformarsi da bianco a giallo, molto probabilmente a causa degli agen-
ti inquinanti atmosferici, è intervenuta la corte suprema indiana. Da allora migliaia di fabbriche, sono state trasferite o chiuse e oggi più di 8mila turisti al giorno utilizzano i bus elettrici e le carrozze per visitare questo luogo. Sta di fatto che in tutta l’Asia la crescita demografica e una selvaggia urbanizzazione costituiscono una minaccia per i siti culturali, mentre nuove strade stravolgono gli ecosistemi animali e gli agricoltori incuranti strappano pezzi di terra alle riserve naturali e alle foreste vergini. E se il turismo è fonte di reddito per un Paese, esso lascia spesso un’impronta indelebile. Alberghi, ristoranti e aeroporti minacciano i siti fragili e delicati. In Ecuador le isole Galápagos sono un caso che merita di essere studiato in quanto esemplificativo del fatto che i turisti possono rappresentare sia una parte del problema che la sua soluzione. Questo ecosistema selvaggio attira più di 120mila visitatori e 400 milioni di dollari di introiti l’anno. Cifre che sono in crescita. «Si tratta di isole che costituiscono un incredibile laboratorio naturale per l’evoluzione» afferma Michael Romero della Tufts University. Ma qui si può anche intravvedere una potenziale tragedia ecologica: flora e fauna
è diminuita in maniera drastica durante la stagione di fusione dei ghiacci raggiungendo il suo secondo livello più basso dal 1979, anno d’inizio delle misurazioni satellitari. Altri effetti collaterali dell’aumento generale della temperatura terrestre sono ciò che l’Organizzazione meteorologica mondiale definisce “fenomeni estremi”, come il ciclone Nargis che ha colpito la Birmania causando circa 80mila vittime. A sostegno dei dati provenienti dall’istituto di Ginevra arrivano le ultime elaborazioni satellitari della Nasa, l’agenzia spaziale americana, che saranno presentate oggi a San Francisco alla conferenza dei geofisici statunitensi. Una preoccupante fotografia che giunge dallo spazio, dove è evidente il ritiro progressivo dei ghiacciai e l’aumento delle acque terrestri. Stando ai dati della Nasa dal 2003 si sono sciolti più di 2mila milioni di tonnellate di ghiaccio
non autoctona, varie patologie che hanno già devastato parti dell’ecosistema e una pesca eccessiva. Nel 2001 un incidente che ha coinvolto una petroliera ha provocato la perdita di 130mila barili di diesel.
Si può tuttavia intravvedere qualche segno di speranza. In alcuni casi sono state adottate misure per salvaguardare le destinazioni in pericolo. Gli stessi venti che sospinsero nel 1835 il brigantino Hms Beagle della famosa spedizione scientifica di Charles Darwin vengono ora sfruttati per produrre energia rinnovabile. Lo scorso autunno sono state installate tre turbine eoliche sull’isola di San Cristóbal, dove vive la maggior parte dei 20mila abitanti dell’arcipelago, nell’ambito di un progetto da 10,8 milioni di dollari volto a ridurre la dipendenza delle Galápagos dai combustibili fossili. In soli sei anni alcuni cacciatori hanno liberato l’isola Isabela da decine di migliaia di capre selvatiche e distruttive portate lì dai primi marinai. Il turismo è ancora fortemente regolamentato; soltanto l’1% della superficie delle isole è aperto ai visitatori che devono comunque avvalersi dei servizi di guide professioniste. E chiunque trovi un Nemo (o qualsiasi altro
in Groenlandia, Antartide e Alaska causando un innalzamento globale del livello del mare di circa mezzo centimetro. A essere maggiormente colpita da questo fenomeno è stata la Groenlandia, dove si concentravano più della metà degli iceberg ormai spariti.
Ma i guai non finiscono qui. Il disgelo, come in una reazione a catena, provoca a sua volta altro surriscaldamento globale. Stando a due nuovi studi geofisici americani, lo scioglimento delle calotte di ghiaccio in Siberia e Alaska causerebbe il rilascio di metano, il secondo gas serra più potente al mondo. Igor Semiletov, professore dell’Università dell’Alaska, non ha dubbi: rispetto all’inizio degli anni Novanta il livello di metano nel mare della Siberia orientale e nel mare di Laptev, nell’oceano Artico, è ben dieci volte più alto.
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pesce pagliaccio) fra gli anemoni di mare della grande barriera corallina, dovrebbe ringraziare la strategia lungimirante di conservazione messa in atto una decina di anni fa. Al fine di ridurre al minimo l’impatto esercitato da milioni di visitatori, è stato avviato un programma di eco-certificazione per gli operatori turistici locali, che collaborano con l’autorità del parco marino. Nel 2004 sono state ampliate le zone in cui era vietata la pesca per comprendervi più di un terzo del parco acquatico. Alcuni studi hanno dimostrato che queste misure di tutela hanno portato alll’aumento dei grandi pesci. Oggi anche i pescatori sono favorevoli a questa strategia perché i pesci potrebbero riversarsi nelle parti della barriera dove la pesca è consentita. Il Queensland ha altresì avviato un piano per la tutela della qualità delle acque della barriera corallina al fine di diminuire la quantità di limo e lo scarico di sostanze chimiche e fertilizzanti provenienti dalle vicine aziende agricole.
Questa strategia adottata in Australia è stata accolta con favore come un nuovo modello di conservazione dell’ecosistema marino. Gli obiettivi sono «altrettanto ambiziosi che nel resto del mondo - afferma Steve Palumbi, ecologista marino all’Università di Stanford – «e tutto sembra lasciar sperare per il meglio» a seguito dei recenti provvedimenti adottati. «Grazie a questa alleanza di così tanti protagonisti, la barriera è un grande esempio di conservazione che si basa sulla collaborazione», afferma Kelly Bricker della Società internazionale di ecoturismo. Il turismo responsabile può costituire una vera e propria salvezza per un sito in pericolo. Il messaggio rivolto dalla Bricker ai turisti responsabili è: «Documentativi sulle destinazioni e riducete al minimo l’impatto sull’ambiente. Scegliete operatori turistici che considerano la tutela dell’ambiente una priorità, che sostengono i programmi di conservazione a livello locale e sono interessati a conoscere gli specifici problemi che colpiscono quella particolare destinazione e le modalità per ridurre al minimo o eliminare l’impatto del turismo su di essa».«Senza il turismo», afferma Jonathan Tourtellot, direttore del Centro per le destinazioni sostenibili della National Geographic Society, «habitat naturali quali le foreste pluviali del Costa Rica sarebbero ormai pascoli e gli unici elefanti rimasti starebbero allo zoo». Ciò contribuisce a spiegare il motivo per il quale un gorilla di montagna è più prezioso di uno psichiatra a Manhattan. La caccia di frodo, la deforestazione ed il conflitto armato minacciano questi animali con i quali condividiamo il 98 percento dei
nostri geni. Meno di 700 esemplari sono sopravvissuti sui lussureggianti pendii dei vulcani del Virunga in Africa orientale lungo il confine con Rwanda, Uganda e Congo. Di recente, sia il Rwanda che l’Uganda hanno più che raddoppiato il prezzo da pagare per vedere i gorilla portandolo a 500 dollari a persona, ed i turisti arrivano da lontano, ben disposti a pagare quel prezzo per incontri di un’ora rigidamente regolamentati e controllati. Alcuni degli introiti vengono rigirati alle comunità locali dando così ai residenti un incentivo per tutelare questi giganti gentili. Ma alcuni problemi sono di così vasta portata che soltanto una strategia di conservazione a lungo raggio e sponsorizzata dal governo potrà avere una qualche speranza di successo. Nel secolo scorso gli acquitrini, le paludi e le pinete delle Everglades in Florida erano attraversate da canali, avvelenate dai pesticidi e stritolate dall’agricoltura e dallo sviluppo urbano. Il Comprehensive Everglades restoration plan, approvato nel 2000 dal Congresso, ha visto la costruzione di nuovi argini, canali ed opere di difesa per garantire un controllo delle inondazioni e salvaguardare le specie ittiche e selvatiche autoctone nella più grande distesa naturale degli Stati Uniti ad est delle Montagne Rocciose.
È il più grande progetto di ripristino ambientale della storia, con un investimento che ha già superato i 10 miliardi di dollari. Eppure nonostante questi lodevoli sforzi, secondo alcune previsioni entro la fine del secolo l’effetto combinato di fattori quali tempeste e nubifragi sempre più forti e l’innalzamento del livello del mare potrebbero inondare di acqua salata la maggior parte del River of Grass delle Everglades. Si potrebbe avere l’impressione di essere sopraffatti da un così lungo elenco di problemi da risolvere. Prova ne è il recente aumento del cosiddetto “turismo da ultima spiaggia”, con i turisti intenzionati a vedere a tutti i costi determinate mete prima che esse spariscano dalla faccia della terra, ad esempio i ghiacciai che si stanno sciogliendo o l’habitat dell’orso polare nel Canada settentrionale. Ma un elenco altrettanto lungo di soluzioni, sia già collaudate che allo studio, fornisce più che un barlume di speranza. Anche dopo aver ultimato il suo libro, la Lisagor afferma di nutrire ancora fiducia che questi siti possano essere salvati, sebbene ammetta «che si dovranno mettere in campo sforzi di non poco conto. Se non saranno affrontate le questioni locali e mondiali - afferma - si può prevedere, con grande rammarico, che molti di questi grandi siti mondiali non faranno più parte delle guide turistiche ma dei libri di storia».
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mondo in breve Premio Sakharov “consegnato” a Hu Jia
Riunioni. Quattro vertici a poche ore l’uno dall’altro, per unire il continente e prendere le distanze dagli Usa
Un Soviet sudamericano di Maurizio Stefanini isale al 1991 il Mercosur: Mercato comune dell’America del Sud nato col Trattato di Asunción del 26 marzo 1991 e di cui fanno parte Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay come membri fondatori; più il Venezuela entrato nel 2006; più Bolivia, Cile, Colombia, Ecuador e Perù come associati; più il Messico come osservatore. Risale al 1983 il Gruppo di Contadora, poi trasformatosi nel 1991 in Gruppo di Rio, con l’unione tra l’intesa a quattro Messico-Colombia-Venezuela-Panama e il “Gruppo di Appoggio”Brasile-Argentina-Uruguay-Perù che avevano mediato nei conflitti in America Centrale; più le successive adesioni di Bolivia, Cile, Ecuador, Paraguay, Costa Rica, El Salvador, Guatemala, Honduras, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Comunità Carainica Caricom, Belize, Haiti, Guyana e adesso anche Cuba. Risale al 2004 la Comunità Sudamericana delle Nazioni poi diventata nel 2007 Unione delle Nazioni Sudamericane “Unasur”: i cinque membri del Mercosur, più i quattro della Comunità Andina (Colombia-Ecuador-Perù-Bolivia), più i due membri sudamericani del Caricom Guyana e Suriname, più il Cile, più Panama come osservatore. È stato infine costituito proprio ora il Vertice dell’America Latina e dei Caraibi sull’Integrazione e lo Sviluppo (Calca). Difficile stabilire le differenze tra un Mercosur e una Unasur entrambe ispirate all’Unione Europea, a parte la differente membership. E ancor più difficile stabilire la differenza tra Gruppo di Rio e Calca. Tra membri e invitati, però, gran parte degli ospiti avrebbero finito per coincidere. E così è stata l’idea del Brasile quello di ospitare quattro vertici in uno, a poche ore di distanza l’uno dall’altro.
R
Chi come Chávez non ha fatto in tempo a arrivare per il Mercosur ha potuto così sfogarsi a Unasur e Gruppo di Rio, ed è stato fortissimo il segnale di un’America
Latina che cerca l’unità e i proprio modelli di sviluppo nel momento in cui il Nord del mondo arranca in una crisi di cui non si riesce ancora a intravedere l’uscita. La decisione dell’Unasur di istituire il Consiglio di Difesa Sudamericano da una parte, quella del Gruppo di Rio di ammettere Cuba dall’altra, hanno ancora di più rafforzato l’immagine di un Continente che si organizza non solo contro gli Usa
avrebbe dovuto essere il segnale più forte, cioè la partenza di una tariffa doganale comune per tutto il Mercosur, in modo da trasformarlo da una semplice area di libero scambio in una vera e propria unione economica sul modello europeo. Alle permanenti tensioni tra gli interessi brasiliani e argentini si aggiunge quello scontro tra Argentina e Uruguay che sta bloccando il Mercosur almeno dal 2006, e che si è tradotto anche nel veto di Montevideo all’elezione dell’expresidente argentino Néstor Kirchner alla segreteria dell’organizzazione. Non ci sono di mezzo problemi ideologici, come quelli che hanno contrapposto ripetutamente la Colombia ai governi filo-Farc di Chávez in Venezuela o di Correa in Ecuador: il presidente uruguayano Tabaré Vázquez, proveniente dal Partito Socialista e alla testa di una coalizione di cui fanno parte perfino gli ex-guerriglieri Tupamaros, è di sinistra come i coniugi Kirchner, e forse di più. Ma c’è la storia di una cartiera costruita dall’Uruguay al confine: l’Argentina l’ha accusata di inquinare; l’Uruguay ha respinto l’accusa; l’Argentina ha interrotto strade e accessi per protesta; e l’Uruguay ha fatto ricorso al Mercosur per violazione del Trattato istitutivo. Né è questa la sola spina. Il Venezuela, ad esempio, si considera membro pieno del Mercosur, ma in realtà nel sito ufficiale dell’organizzazione figura ancora come osservatore proprio perché il senato del Brasile non ha ancora ratificato l’adesione. E lo stesso Brasile è ora ai ferri corti con l’Ecuador perché il governo di Correa ha dichiarato illegittimo anche un prestito brasiliano. D’altra parte, il default ecuadoriano minaccia ora di ripercuotersi sui bond venezuelani e argentini, che erano a esso collegati.
Convocati in casa Lula il Mercosur, il gruppo di Rio, l’Unasur e la Calca. Fra tensioni interne e strizzate d’occhio, nasce una nuova consapevolezza in fase di transizione politica e economica, ma contro di essi. E d’altra parte in questo momento Bolivia e Venezuela sono tutt’ora impelagati con Washington nella guerra diplomatica che ha portato al ritiro reciproco degli ambasciatori: e la Bolivia anche a un ritiro del regime di preferenze doganali da parte degli Usa. Anche il Nicaragua di Daniel Ortega si trova sul punto di vedersi tagliare gli aiuti da Stati Uniti e Unione Europea per le polemiche sui brogli alle ultime elezioni amministrative. E l’Ecuador di Rafael Correa ha appena dichiarato una moratoria unilaterale nel pagamento degli interessi dei propri bond giudicandoli “illegittimi”, pur disponendo in realtà dei soldi per pagarli.
Il primo default ideologico della storia, volto espressamente a dinamitare ulteriormente un sistema finanziario mondiale già a pezzi, per accelerare la partenza di un sistema finanziario regionale “alternativo”. Ciò senza contare le sempre più insistite tresche di Paesi latino-americani con Russia, Cina e Iran. Eppure, è mancato quello che
Il Parlamento europeo ha idealmente consegnato, anche se in sua assenza, il premio Sakharov 2008 per la libertà di pensiero al dissidente cinese Hu Jia. In un videomessaggio diffuso in plenaria a Strasburgo, la moglie di Hu Jia, Zeng Jinyan, ha fatto sapere che il dissidente è stato messo al corrente dell’attribuzione del premio, nonostante sia ancora in prigione. «Non posso fare granchè, ma vorrei utilizzare i 50mila euro del Premio per avviare una fondazione destinata a sostenere le famiglie dei militanti dei diritti dell’uomo imprigionati in Cina», così come auspica da tempo lo stesso Hu Jia, ha detto la donna. Il premio è stato consegnato a «Hu Jia a nome di tutte le persone private di parola in Cina e in Tibet». Attivo soprattutto nel campo ambientale e dei malati di Aids, Hu Jia, 35 anni, è stato condannato lo scorso aprile, al termine di una sola giornata di processo, a tre anni e mezzo di reclusione per alcuni articoli pubblicati su internet e delle interviste rilasciate alla stampa straniera.
Gb in festa: l’Ue salva la pinta La Gran Bretagna esulta: un accordo è stato raggiunto con l’Unione europea, grazie al quale il Regno Unito potrà continuare ad usare pinte, miglia e libbre accanto al sistema metrico. La decisione è stata approvata con un voto del parlamento europeo, mettendo così fine al tentativo di convertire la Gb al sistema metrico, che aveva incontrato dure resistenze.
Pirateria in Somalia: 4 attacchi in 24 ore Malgrado l’accresciuta presenza di navi da guerra nelle acque somale - è ormai operativa anche la missione dell’Ue - la pirateria continua ad imperversare. Quattro attacchi tra in 24 ore, uno - a un vascello cinese - sventato grazie alla resistenza dell’equipaggio, una trentina di marinai, e il pronto intervento di elicotteri della forza internazionale che hanno costretto alla fuga i bucanieri.
mondo
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Guerre. Riaperti a Ginevra i colloqui fra Russia e Georgia: crolla la credibilità dell’Unione TBLISI. Quattro mesi dopo la fase calda della guerra della Russia alla Georgia, Mosca continua a violare gli accordi di cessate il fuoco - raggiunti con la mediazione dell’Unione Europea - siglati il 12 agosto e l’8 settembre. Nonostante questo, il 2 dicembre l’Unione ha ripreso i colloqui sugli Accordi di collaborazione e cooperazione con la Russia, che erano stati sospesi il primo settembre a causa dell’aggressione russa alla Georgia. Le conseguenze di questa diplomazia altalenante sono potenzialmente disastrose non solo per la Georgia, ma anche per l’integrità della diplomazia dell’Unione Europea e degli interessi geopolitici dell’Occidente. La Russia aveva accettato di ritirarsi dalle aree georgiane adiacenti i territori separatisti dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud, e di tornare ai confini precedenti il 7 agosto, ma non ha fatto nulla di tutto ciò. Fuori da questi due territori, Mosca mantiene un vistoso distaccamento di fanteria a Perevi, un villaggio nel distretto di Sachkere, nella Regione Imereti, la parte occidentale dell’Ossezia del Sud, ed ha occupato anche Akhalgori - un distretto della Regione di Mtsketa-Mtianeti, a est dell’Ossezia del Sud - con circa mille soldati, dozzine di mezzi di trasporto blindati e una manciata di carri armati. All’interno, il ritiro entro i confini precedenti il 7 agosto ha implicato che tutti coloro che stavano in questi territori prima della guerra – eccetto i peacekeepers – se ne sono dovuti andare, mentre la Russia ha occupato la parte superiore
L’Europa tratta con Mosca, ma il danno è già stato fatto di David J. Smith dell’Abkhazia (anche nota come Kodori Gorge), che prima della guerra era sotto il controllo georgiano.
Per di più, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud sono diventate due teste di ponte russe pesantemente armate sul lato georgiano delle montagne caucasiche, e l’aggiunta di Akhalgori all’occupazione dell’Ossezia del Sud dà alle forze russe un altro punto d vantaggio grazie all’accesso alle arterie vitali del Paese, l’autostrada e la ferrovia che attraversano la parte settentrionale della Georgia da est ad ovest. Inoltre, la strada di Akhalgori interseca l’autostrada est-ovest in un pun-
stretti del’Ossezia del Sud, e prima si chiamava Leninogorsk… Non ci sono dubbi che Leninogorsk dovrebbe far parte dell’Ossezia del Sud, e lo stesso vale per il villaggio di Perevi, perché secondo l’ultima divisione amministrativa dell’Unione Sovietica questo villaggio apparteneva all’Ossezia del Sud». Il messaggio imperialistico della Russia è chiaro quanto l’obiettivo strategico dell’occupazione del territorio georgiano. L’inchiostro della firma del presidente russo, Dmitry Medvedev, sugli accordi del secondo cessate il fuoco era ancora fresco quando il suo ministro della Difesa ha dichiarato che la Russia non si sarebbe ritirata entro i confini precedenti il 7 agosto. Piuttosto, ha detto Anatoly Serdyukov, la Russia avrebbe presidiato i territori georgiani occupati con 3.800 soldati. Il 19 novembre, il Capo di Stato Maggiore russo, Nikolai Makarov, ha annunciato che circa un numero analogo di uomini ha già il controllo della base aerea di Gudauta e della base marina di Ochamichire, in Abkhazia, e che una forza di pari entità detiene basi a Java e intorno
Sminuita la leadership americana, Bruxelles e Parigi non sono riuscite a tenere il governo russo lontano da terre georgiane che non gli appartengono e che hanno invaso to più vicino a Tbilisi di 45 km, rispetto alla strada principale fuori dall’Ossezia del Sud, e riduce il numero di attraversamenti fluviali sulla via che porta alla capitale della Georgia. La permanenza della Russia a Perevi sembra di minore rilevanza strategica, ma il rappresentante russo all’Ocse, Anvar Azimov, ne ha chiarito l’importanza politica: «Akhalgori è uno dei cinque di-
Tskinvali, in Ossezia del Sud. Alcuni credono che le truppe russe presenti in Georgia siano già molto più numerose, ma, a prescindere dal numero, le forze russe in Ossezia del Sud stanno costruendo tre nuove basi destinate a più di 10mila uomini. Nel frattempo, Mosca sta trasformando Gali, un distretto nell’estremità orientale dell’Abkhazia, controllato dai separatisti, in una piattaforma per forze di fanteria. Da queste postazioni, le forze russe possono rapidamente troncare le arterie vitali della Georgia, occupare il porto di Poti e la vicina stazione petrolifera di Supsa, invadere Mtskheta – il luogo di nascita della cristianità georgiana – e raggiungere Tbilisi. Con tale posta in gioco, le forze georgiane dovrebbero dare tutte se stesse per impedire un ulteriore attacco russo.
Il punto è che l’acquiescenza europea al disprezzo di Mosca per gli accordi siglati sta creando un focolaio, nel Caucaso meridionale, più volubile dello status quo precedente la guerra. Il presidente russo Vladimir Putin ha un ruolo preciso in questa partita: il 3 dicembre, in un intervento televisivo, ha dichiarato che, per quanto riguarda il sostegno russo, si deve sapere che gli accordi di cooperazione con l’Ossezia del Sud e l’Abkhazia sono stati firmati, e questa è la migliore garanzia che la
Russia non sta per lasciare queste regioni. Di fonte a questo, l’Europa non ha il coraggio di insistere per l’osservanza degli accordi del cessate il fuoco, e ne ha anche meno per fare pressione ai colloqui di Ginevra - o in qualunque altro luogo - per una vera soluzione del conflitto. Nel breve termine, questo potrebbe riaccendere il focolaio nel Caucaso meridionale, ma in una prospettiva di tempo maggiore svilirebbe la diplomazia europea. Quando l’America ha abdicato al suo ruolo di superpotenza, la scorsa estate, la leadership del presidente francese Nicolas Sarkozy, e la rapida spedizione di duecento osservatori in Georgia da parte dell’Unione Europea, sono stati passi importanti verso una politica estera e di sicurezza comune. Ma il fatto che la firma di Sarkozy sugli accordi per il cessate il fuoco sia stata apposta con inchiostro delebile frantuma la credibilità europea, sminuisce la sua leadership e incoraggia ulteriori aggressioni russe, che avranno come obiettivo il corridoio est-ovest, un vitale interesse occidentale. Non è un mistero che i molteplici attacchi aerei e missilistici - un po’ timorosi dell’oleodotto di Baku-Supsa - dello scorso agosto sono stati i primi passi di una strategia di strozzamento del corridoio estovest da parte del Cremlino. Perché un attacco alle arterie vitali della Georgia è un attacco anche a questo corridoio.
Un carroarmato russo entra nei territori dell’Ossezia meridionale sotto la giurisdizione giorgiana durante l’attacco della scorsa estate. Ieri si sono riaperti a Ginevra i colloqui fra Mosca e Tblisi sull’attacco russo. L’Europa ha deciso di riaprire il negoziato con Medvedev
cultura
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Scrittori rimossi. L’autore de “Il giardino dei Finzi Contini” e “Gli occhiali d’oro” che si oppose all’egemonia culturale delle avanguardie neorealiste
Bassani, il narratore Antifascista e socialista, era però giudicato un “moderato” non in sintonia con i rivoluzionari post-sessantottini di Mario Bernardi Guardi Nel 1958 Giorgio Bassani, direttore editoriale di Feltrinelli, volle fortemente la pubblicazione del “Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, rifiutato sia da Mondadori che da Einaudi. La storia non rispondeva a certi canoni estetici egemoni in campo culturale. Era scritto secondo i moduli della narrativa “tradizionale” da un gran signore siciliano che non era un meridionalista “democratico” o “gramsciano”, ma un “reazionario” con venature “decadenti”
na filanda nei pressi di Olate. È mezzogiorno: l’ora che le ragazze escono dal lavoro. Sono ragazze delle campagne lì intorno, e a gruppi se ne vanno verso i loro villaggi e casolari. Nell’aria meridiana del giorno d’autunno, si sentono le loro risa, le loro canzoni. Uno di questi gruppi sale la stradetta pietrosa che va verso Olate. Ed ecco che a una svolta appaiono fermi da un lato della strada di monte, a cavallo, due giovani e nobili cavalieri. Essi guardano da intenditori il gruppo delle ragazze che si avvicina e che, scorgendo i due, si è improvvisamente ammutolito. Appena sono arrivati alla loro altezza, i cavalieri si affiancano alle ragazze che continuano serie, tenendosi a braccetto, per la loro strada. Con un misto di impudenza e di degnazione, i cavalieri rivolgono loro dei complimenti. Le filandiere sembrano non dare retta: una o due soltanto rispondono, sgarbate e lusingate insieme».
«U
Ci fermiamo un attimo per chiedere al lettore: non vi sembra di “conoscere” questa storia? Non vi sembra che queste immagini vi siano familiari? E, andando a pescare nella vostra memoria, non è che avete già “scoperto”qualcosa? Ma se tutto si ferma a una reminiscenza vaga e fluida, a qualche nebulosa suggestione, andiamo avanti: «Gli occhi di uno dei cavalieri - Don Rodrigo: un signore, anzi il signore di quei luoghi - si sono appuntati sopra una, in particolar modo, delle ragazze. Costei è, di tutte, la più bella e la più vereconda. Don Rodrigo le si affianca col cavallo e, dopo averla inutilmente interpellata, si china sulla sella e tenta di farle, come si suol dire, “ganascino”. La ragazza ha un gesto d’istintiva difesa, quasi esagerato. Il cavaliere - e alcune compagne della ragazza - si mettono a ridere.“Come ti chiami?”, chiede Don Rodrigo». Già, la storia che stiamo leggendo è “I Promessi Sposi”. O meglio, qualcosa che ripropone situazioni dei “Promessi Sposi”. Sviluppando alcuni cenni manzoniani, rielaborando degli sce-
Fino a metà degli anni Sessanta aveva goduto di ampio credito, ma verso la fine del decennio era stato sottoposto alle critiche e agli strali della neoavanguardia
nari, inserendo note di colore e scelte lessicali (il “ganascino”) estranee magari allo stile del Gran Lombardo. Ma non lontane dal nostro “immaginario”: non è così che “vediamo” le sequenze della vicenda? Ecco, “vediamo”e “sequenze”ci fanno pensare subito al cinema: ed infatti, quel che abbiamo letto è l’incipit di un trattamento cinematografico del romanzo manzoniano, firmato da un nome illustre della letteratura italiana,
Giorgio Bassani, nel 1955. Insomma, una insospettata “storia milanese” che “dialogava” con le “Cinque storie ferraresi” a cui lo scrittore stava lavorando da tempo e che sarebbero state pubblicata un anno dopo (cfr. Salvatore Silvano Nigro, “I mancati sposi”, in Giorgio Bassani, “I Promessi Sposi. Un esperimento”, Sellerio, 2007). Una “storia milanese”(il dattiloscritto fu ritrovato nel novembre del 2001 dai figli di Bassani,
Paola ed Enrico) che sarebbe dovuta appunto diventare un film, prodotto dalla Lux. E, nelle intenzioni, capace di dire qualcosa di più e di diverso rispetto alla celebre opera di Mario Camerini del 1941, di discreto livello, intendiamoci, e sostenuta dalla presenza di attori illustri (Gino Cervi, Dina Sassoli, Armando Falconi, Ruggero Ruggeri, Carlo Ninchi, Evi Maltagliati), ma fin troppo rispettosamente “scolastica”.
Il progetto del nuovo film andò comunque a monte. Troppo libera e anticonformista la rilettura bassaniana? Troppo at-
tenta a quel che nei protagonisti era responsabilità personale e a quel che del turbinoso e torbido Seicento poteva essere “attualizzato”? Troppo poco didascalica ed edificante? O ci furono problemi di “budget”e la Lux non si sentì di affrontarli? Sia come sia (cfr. in proposito l’op. cit., pp. 9-25 e 145-152), non se ne fece nulla. Peccato. Sarebbe stato interessante confrontare il “Manzoni”di Bassani (sia pure solo sceneggiatore) col “Bassani”di chi trasformò in film i libri dello scrittore ferrarese, per proporre nuovi elementi di dibattito sulla specificità del linguaggio cinematografico rispetto a quello narrativo. Insomma, quali sono i gradi di libertà e di “reinvenzione”
cultura
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denza che, per occulte vie, opera sempre a buon fine; mentre in Bassani, ammesso che un disegno divino, pur incomprensibile, ci sia, l’uomo deve affrontare il dramma del destino e della responsabilità. Non gli sono consentite né deleghe né deroghe: spesso è solo, più solo ancora quando il carico è insopportabile, quando la razza imprime un ulteriore marchio sull’esclusione.
era stato sottoposto agli strali della neoavanguardia fieramente sperimentalista, ideologizzata e avversa a tutti gli scrittori che non coniugavano il “privato” col “politico”. Bassani, benché ebreo, antifascista e socialista, era giudicato un “moderato”, non in sintonia con le aure “rivoluzionarie” post-sessantottine. Disturbava la sua scrittura nitida, sobria, elegante, aliena da tutto ciò che è oscuro e involuto, anche se carica di interne tensioni e di vibrazioni liriche; disturbava il fatto che fosse in grado di conservare unità di stile mescolando il “sermo cotidianus” e le voci dialettali e gergali al linguaggio molto più elaborato della classe di provenienza, la borghesia ebraica di Ferrara, forte delle sue tradizioni ma anche della “apertura” europea, grazie alle buone letture, ai
viaggi, alle frequentazioni importanti. E disturbava la vocazione intimista dello scrittore che, pur collocando i suoi personaggi in un preciso scenario storico (e di storia “sofferta”), si teneva lontano da ogni didascalia e da ogni predicozzo ideologico per scavare nell’angoscia personale, guardare con “pietas” a tutto ciò che di irrisolto e di traumatico poteva contrassegnare un destino, cogliere il senso tragico dell’isolamento e della emarginazione che toccava ai “diversi”.
La critica a Bassani era, in molti casi, una sorta di antipatia verso un signore garbato e colto che aveva il grave torto di essere ancorato a una idea non strumentale della letteratura. E in particolare del “grande romanzo” la cui universalità non poteva esprimersi certo nell’impegno militante. Il che non significava negare accesso alla compatibili col rispetto di un lezione della Storia, con tanto testo che non può essere considi maiuscola, purché essa non derato solo “pretesto” per dire condizionasse l’intreccio con quello che si vuole? I film “basuno schema politico, ma facessaniani” ebbero comunque rise liberamente fluire l’“umasultati controversi: “La lunga nità” dei personaggi. Non è innotte del ’43”, tratto da “Cinque fatti l’”umanità”che la letterastorie ferraresi”e diretto da Flotura è chiamata a raccontarestano Vancini nel re? E la Storia, nel 1960, piacque al pubsuo infinito variare blico e alla critica; “Il di situazioni, non giardino dei Finzi deve costantemenContini” (1970), pur te misurarsi con Nato a Bologna, il 4 marzo 1916, Giorgio Bassani firmato da Vittorio De l’eternità di ciò che trascorre l’infanzia a Ferrara. Nel 1940 esce la sua Sica e aureolato con è “umano” e dunprima opera “Una città di pianura”. Nel 1944 publ’Oscar per il miglior que, in qualche moblica le poesie “Storie dei poveri amanti e altri verfilm straniero, riempì do, “esemplare”? si”, mentre nel 1947 scrive una seconda raccolta di le platee ma fu stronSe, come crediaversi “Te lucis ante”. Al 1953 risale “Passeggiata cato dai recensori che mo, queste non soprima di cena”, al 1954 “Gli ultimi anni di Clelia maltrattarono anche no soltanto cifre Trotti”. Nel 1956 pubblica le “Cinque storie Ferrare“Gli occhiali d’oro” manzoniane, ma si”, con le quali vince il Premio Strega. Nel 1957 è (1987) di Giuliano caratterizzano anvicepresidente della Radiotelevisione Italiana e nel Montaldo. che la poetica di 1958 pubblica “Gli occhiali d’oro”. Come direttore Ma forse le critiche, Bassani, va subito editoriale della Feltrinelli, Bassani riesce a far pubper lo più provenienti aggiunto che nelblicare “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di da sinistra, volevano l’opera del Gran Lampedusa. E lavora come sceneggiatore con Vicolpire anche lo scritLombardo, se non sconti, Soldati e Zampa. Il massimo successo editotore. Il quale fino a è la Storia a ririale lo ottiene nel 1962, con la pubblicazione di “Il metà degli anni Sesscattare l’uomo giardino dei Finzi-Contini”. Muore a Roma il 13 santa aveva goduto di dagli eventi e priaprile 2000 dopo una lunga malattia. ampio credito ma verma ancora da se stesso la fine del decennio so, a farlo è la Provvi-
l’autore
Con tutto ciò, il racconto del dramma, del disagio e del dolore è qualcosa di diverso dal documento e dalla cronaca, e su questo aspetto Bassani è molto preciso. E in tempi assolutamente “non sospetti”, perché, già nel 1948, da redattore della rivista “Botteghe oscure”, si oppone al trionfante neorealismo, mettendo in risalto come la presunzione della verità oggettiva possa avere i tratti artificiosi della costruzione “ideologica”. Insomma, da uomo di sinistra, prende le distanze da
il realismo socialista tanto caro a Stalin e a Togliatti «un’ipotesi, un sogno, una chimera».
Il che non significa rifugiarsi nella torre d’avorio della letteratura ma far propria una “tensione narrativa” che, per l’appunto, sappia parlare della Storia nelle storie, e viceversa, e mai programmaticamente o “ex cathedra”, ma come qualcosa che nasce e si esprime nella vita stessa dei personaggi, nei loro sentimenti, nelle loro relazioni, in quello che pensano, dicono, fanno. È quel che avviene nel “Gattopardo”, il romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che Bassani, nel 1958, “volle, fortissimamente volle”, contro i “no” dei censori di neorealistica “osservanza”. Forse vale la pena ricordare quel che accadde. Tomasi, di illustre stirpe aristocratica e di grande cultura, era morto nel 1957, senza esser riuscito a pubblicare il suo romanzo. La Mondadori lo aveva infatti respinto e Vittorini non aveva voluto pubblicarlo nei “Gettoni” Einaudi. Perché? Ci sia concessa una risposta brutale: la storia non rispondeva a certi canoni estetici che erano, poi, canoni politici egemoni in campo culturale. Il romanzo era infatti scritto in una prosa alta, ampia, ricca, variegata, secondo i moduli della narrativa “tradizionale” da un gran signore siciliano che, con ogni evidenza, e benché guardasse alla sabauda liberazioneconquista del Sud con tutto il disincanto del caso, non era un meridionalista “democratico” o “gramsciano”, ma un “reazionario”, con venature “decadenti”. Bassani intuì subito il valore dell’opera e senza preoccuparsi della “visione del mondo”, scetticamente antiprogressista o addirittura antipolitica, dell’Autore, la fece pubblicare, nel 1958, nella collana “ I Contemporanei”di Feltrinelli.
Disturbava la sua scrittura nitida, sobria, elegante, aliena da tutto ciò che è oscuro e involuto, anche se carica di interne tensioni e di vibrazioni liriche quella che è, per eccellenza, l’estetica della sinistra comunista (già fascista). Qualche tempo dopo, definirà
Notoriamente editore di sinistra ma capace di sacrificare al “mercato” le personali predilezioni ideologiche: un anno prima aveva infatti dato alle stampe con successo “Il Dottor Zivago” di Boris Pasternak. Anche “Il Gattopardo” fu un successo: in pochi mesi raggiunse la diciottesima edizione, in tre lustri superò il milione di copie, imponendosi come un vero e proprio “caso”. E forse anche questo non fu perdonato a Bassani su cui di lì a qualche anno scrittori e critici “sperimentali” avrebbero puntato i loro fucili, al grido di “Unica soluzione la rivoluzione/rimozione”. Ma il “rimosso”, nonostante tutto, continua a vivere nelle sue opere.
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cultura
Arte. Ombre, immagini e suggestioni: Roma ospita una piccola antologica del videoartista americano Bill Viola
L’eternità e la cibernetica di Angelo Capasso
ROMA. Pioniere della videoarte, Bill Viola presenta a Roma Visioni Interiori (Palazzo delle Esposizioni fino al 6 gennaio 2009) una piccola antologica di opere significative che ci offrono uno sguardo complessivo sul suo lavoro. Da oltre 35 anni, Bill Viola lavora nel settore dell’arte elettronica e ha attraversato la storia della tecnologia, passando per il Vhs, le video installazioni, gli ambienti sonori fino ai quadri digitali. Bill Viola nasce il 25 gennaio del 1951 a New York. Nel 1973 si laurea in Studi Sperimentali all’Università di Syracuse. Durante gli anni ’70 vive per 18 mesi a Firenze, dove diventa Direttore Tecnico per la produzione di uno dei primi “video art studios” di tutta Europa. Nel 1977 Viola viene invitato a esporre i suoi lavori alla Trobe Univerisity (Melbourne, Australia) dalla allora direttrice artistica Kira Perov. Quell’incontro sarà fatale: i due stringono una collaborazione artistica che porterà Kira Perov a New York e al successivo matrimonio, nel 1980, che segna l’inizio di un periodo particolarmente proficuo per Viola.
È proprio a cura di Kira Perov questa Visioni Interiori che si concentra sull’aspetto del Sacro, una delle dominanti del lavoro di Viola. La mostra presenta opere alquanto diverse: installazioni in grande formato tra le quali The Crossing e The Veiling; rivisitazioni in video di opere della storia dell’arte come The Greeting, lettura digitale della Visitazione del Pontormo (1514-16) o Emergence, rivisitazione della Pietà di Masolino da Panicale (1424). A queste si aggiungono delle vere e proprie icone nuove che propongono temi del sacro in modo originale, quali ad esempio The Crossing, un’installazione monumentale che apre il viaggio dello spettatore all’interno dell’arte di Viola. È un’opera che contrappone i due elementi fondanti della vita: l’acqua e il fuoco. Sono elementi ricorrenti di tutta la videografia di Bill Viola e interpretano l’opposizione di forze generatrici, la dialettica del linguaggio, la vita e la morte, la dannazione e la purificazione. Entrambi gli scenari, quello che immerge l’uomo nel fuoco e quello che lo ricopre di acqua, sono vissuti come condizione di confine, ovvero come un passaggio necessario ed inevitabile della vita umana. La redenzione e il peccato sono, secondo Viola, due aspetti complementari della vi-
ta sulla base di una unica origine: il Cosmo, la Natura. L’acqua è elemento sostanziale anche di Departing Angel - part one of Five Angels for the Millennium. Il lavoro di Bill Viola si concentra sulla dimensione co-
quella parte della videoarte che ha inteso il video come nuovo canale per l’introspezione, di cui il progenitore è certamente Nam June Paik, padre dell’arte elettronica, e autore nel 1968 di una mostra a New York Elec-
tronic Art che metteva al centro dell’attenzione dello spettatore il televisore come new medium per l’ascesi. Nello stesso anno, il Moma di New York presentava The machine as seen at the end of the mechanical age, una grande mostra curata da Pontus Hulten che segna il passaggio dall’epoca della macchina a quella della tecnologia. In questa mostra Nam June Paik utilizza per la prima volta un primitivo videoregistratore e nello stesso anno, dall’altra parte dell’oceano, all’Institute of Contemporary Art di Londra Jasia Reichardt realizza il progetto espositivo Cybernetic serendipity insieme ad un esperto di tecnologia ed uno di musica: i visitatori vengono avvertiti che non avrebbero capito con facilità se le opere erano state realizzate da un artista o da uno scienziato. Bill Viola fa parte della stessa genia di artisti: un po’vate dell’elettronica, un po’ ingegnere prestato all’arte. Una forma di artista che apre a nuove forme d’arte per il futuro.
Il suo lavoro si concentra sulla dimensione cosmica della vita dell’uomo e affonda le radici nell’arte occidentale e orientale così come nelle diverse tradizioni spirituali smica della vita dell’uomo (la nascita, la morte, la natura, la relazione con l’universo) e affonda le radici nell’arte occidentale e orientale così come nelle diverse tradizioni spirituali, dal buddismo Zen, al sufismo Islamico, passando per il misticismo Cristiano.
Riconducendo l’arte alle sue ragioni fondamentali, Viola la ricollega all’esperienza comune d’ognuno di noi ai grandi cicli cosmici universali: il luogo dell’arte non è nel quotidiano, ma in un canale superiore che definiamo “l’eterno”. Quello è il meandro oscuro che l’arte digitale può esplorare grazie alla rapidità e alla precisione del mezzo che si oppone ad ogni forma retorica e si propone di rappresentare la vita così com’è, in alta definizione. Per questa sua forte ascendenza metafisica Bill Viola si pone come uno dei protagonisti di
Qui sopra, Bill Viola con Kira Pirov, curatrice della mostra romana. A destra, l’artista sul set e, in alto, l’installazione «Emergence»
spettacoli iù volte l’ha definita la «strega capricciosa» che monopolizza ogni attimo della sua esistenza, che gli chiede dedizione assoluta, che si impossessa della sua mente per giorni interi finché non trova compimento in uno spartito. È la musica, l’amore e l’ossessione di Giovanni Allevi. Il pianista e compositore marchigiano racconta il suo ultimo tour Evolution in un libro edito da Rizzoli, In viaggio con la strega, nelle librerie dallo scorso 26 novembre. Una narrazione per immagini dei momenti di euforia sul palco e di quelli più intimi nel backstage si intreccia con un diario privato. Allevi dà sfogo ai suoi pensieri e alle sue paure, rivelando la sensibilità di un grande artista ma anche le debolezze di un grande uomo. La dispotica protagonista è sempre lei, la “strega”, che lo ha accompagnato da giugno ad agosto in giro per tutta la penisola e che, nel bene e nel male, non lo abbandona mai.
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Alle confessioni, Allevi ci aveva abituati già con La musica in testa (60 mila copie vendute da marzo ad oggi e nove edizioni), ma in questo nuovo libro offre a chi lo ama e a chi ha voglia di conoscerlo una chiave per avvicinarsi alla sua intimità e quindi per conoscere meglio la sua musica. Perché da quando, a soli sei anni, ascoltava tutto il giorno la Turandot di Puccini e memorizzava le sinfonie dei grandi compositori classici, la sua vita è la musica e la musica è la sua vita. Ripercorre così la sua evoluzione artistica, la difficoltà di vincere lo scetticismo e l’indifferenza per affermare un concetto moderno di musica sinfonica, i timidi approcci con il pubblico fino alla massima popolarità con Evolution, l’album che in nove mesi è stato venduto in 80mila copie. Ora si appresta a replicare il successo con il primo cofanetto da collezione, Alleviall, che raccoglie gli album No Concept, Joy, Evolution e il dvd di Joy Tour 2007. «Quando mi è stato chiesto di realizzare un libro fotografico che fosse una testimonianza del tour di Evolution racconta Allevi - non ho voluto che le mie parole fossero una celebrazione di un successo travolgente, sotto gli occhi di tutti, fotografato in tanti splendidi scatti. Ma ho voluto evidenziare la fatica, il sacrificio, i tanti anni di studio accademico che mi hanno permesso di offrire al mondo una nuova musica sinfonica. Il mio vuole esse-
Musica. Nuovo libro, nuovo cofanetto e nuovo tour per il compositore marchigiano
Il favoloso mondo di Giovanni Allevi di Annalisa Lospinuso re un messaggio forte ed univoco rivolto alle nuove generazioni: anche in un momento di crisi come il nostro, se si ha la costanza e la determinazione di confrontarsi con i grandi del passato, e di rinnovarne l’esempio attraverso canoni nuovi, è possibile intraprendere entusiasmanti avventure». Il suo non è stato un percorso in discesa, nella sua memoria è ancora ben impresso il 9 aprile 1991, giorno del suo 22esimo
anni dopo, proprio da Napoli, dall’Auditorium Scarlatti è partito il No concept tour. Neppure un biglietto invenduto. Ora quei cinque spettatori sono soltanto un lontano ricordo, ma è per loro che Allevi ha deciso di andare avanti anche quando tutto sembrava insuperabile.
Dalle pagine del libro si scorge la sofferenza per una vita vissuta in gabbia, in balia della “strega”, tanto amata quanto in
la vena creativa come un vero e proprio dono di Dio. «È vero ora ci sono i successi, le grandi folle – dice il compositore - ma non ho pudore di nascondere che un cammino in salita è costellato anche di fallimenti e delusioni, passaggi obbligati per chi sceglie una vita senza riparo, all’inseguimento di un sogno. Tutto questo per dire ai giovani di credere fortemente nei propri ideali e di non fermarsi davanti agli ostacoli per-
«Mi rivolgo soprattutto ai giovani, spingendoli a credere fortemente nei propri ideali e a non fermarsi davanti agli ostacoli. Perché come sempre accade, proprio quando il buio sembra più fitto, ecco nascere un’idea» compleanno. A Napoli doveva tenere il suo primo concerto in trasferta. Vestito di tutto punto, con lo smoking, entra nella sala e davanti a lui conta soltanto cinque persone. Dopo la freddezza iniziale l’atmosfera si riscalda, la sua musica conquista gli spettatori e gli regala una violenta commozione. Quindici
Sopra, il compositore marchigiano Giovanni Allevi, in questo momento in giro per l’Italia con il suo “Evolution” tour. A destra e sinistra, le copertine di alcuni dei suoi album di maggiore successo
certi momenti odiata, fino all’orlo di una crisi personale. Confessa la paura che ogni volta lo attanaglia al cospetto del pubblico e delle telecamere, l’ansia di non essere all’altezza delle aspettative della sua famiglia, ma anche la sua convinta fede religiosa. Una spiritualità profonda che gli fa interpretare
ché come sempre accade, proprio quando il buio sembra più fitto, ecco nascere un’idea». Senza i dubbi, le incertezze, i ripensamenti forse la sua musica non sarebbe stata percepita così vera e autentica e probabilmente non avrebbe conquistato le vette delle classifiche dei dischi, non ci sarebbe stato il tut-
to esaurito nelle città italiane raggiunte dall’Evolution tour e non avrebbe avuto l’attuale popolarità in Italia e all’estero. Record impensabili per un pianista contemporaneo o hip hop, come egli stesso ama definirsi.
Nel libro In viaggio con la strega emerge anche il suo disagio nelle relazioni interpersonali e nei rapporti con i colleghi. Racconta quando, nel 2001, il giorno dopo l’esame per il diploma in Composizione al Conservatorio di Milano, è entrato a far parte come tastierista della band di Jovanotti, che gli aveva già prodotto il disco 13 Dita. «Gli altri mi vedono come un extraterrestre, un topo di biblioteca. Nella band conta soprattutto quanto appari figo». I rapporti con il tempo si sono fatti sempre più camerateschi, quando Lorenzo non c’era subiva il nonnismo degli altri musicisti, finché un giorno ha sbagliato un arrangiamento di archi e ha così deciso di abbandonare il mondo del pop. Il cammino in compagnia della “strega” è stato ed è ancora faticoso, ma gli ha anche regalato tante soddisfazioni. L’ultima, in ordine temporale, è la gioia di essere stato chiamato a dirigere il concerto di Natale che si svolgerà, il prossimo 21 dicembre, nell’aula di Palazzo Madama. Con l’orchestra sinfonica “I Virtuosi Italiani”, eseguirà sue composizioni e alcuni brani di Giacomo Puccini, in ricordo del 150esimo anniversario dalla nascita.
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da ”le Monde” del 16/12/2008
Guantanamo aspetta ordini di Corine Lesnes on c’è alcun piano», per il numero due del campo di detenzione di Guantanamo, il marine Jeff Hayhurst, è tutto come prima, in attesa di nuovi ordini. Le direttive arriveranno, probabilmente, appena si insedierà il nuovo inquilino della Casa Bianca. Tutti sanno che dopo il 20 gennaio Barack Obama vorrà tenere fede alla sua promessa: chiudere la prigione di «camp X-Ray». Sono ancora 250 i prigionieri della guerra al terrorismo, detenuti in quel lembo orientale dell’isola di Cuba. E ci vorrà del tempo prima che vengano chiusi i battenti. «Servirà risolvere alcune questioni delicate prima di smobilitare», afferma il contrammiraglio David Thomas, responsabile del centro di detenzione, che aggiunge: «mettere quei detenuti sugli aerei è la parte più facile dell’operazione». Dipenderà tutto dall’iter politico che prenderà l’iniziativa. Se il nuovo capo dell’esecutivo in Pennsylvania Avenue deciderà di utilizzare la via breve del decreto presidenziale, oppure se verrà scelta la più lunga via legislativa, come suggerito dal segretario alla Difesa Robert Gates. Allora si potrebbe accendere un dibattito.
«N
Nell’attesa di questi eventi nulla è cambiato a Guantanamo – come racconta il reportage di le Monde – dove i marines attendono, chiusi dentro una moderna “fortezza Bastiani”, l’arrivo dei nuovi ordini. Nel frattempo il clima è più tranquillo, i giornalisti possono fare quattro passi senza l’onnipresente scorta militare. Pochi edifici nuovi e il prefabbricato servito come tribunale per il processo a uno degli attentatori dell’11 settembre, Khaled Sheikh Mohammed, è stato smantellato. Il Penta-
gono ha abbandonato i sogni d’espansione. Gli avvocati si lamentano ancora per i limiti posti al rapporto con i loro assistiti, ma ai giornalisti è permesso avere visione di tutto il materiale a disposizione dei prigionieri. Dallo shampoo ad «alta sicurezza» alle penne morbide, in maniera che non possano essere utilizzate come arma.
Le coperture delle celle sono fatte in fibra rinforzata, tanto dura da impedire la fuga, non abbastanza da reggere un corpo appeso. La frase della settimana che puoi leggere all’ingresso del campo è «rispetto». Nel blocco 4 del complesso c’è l’area a bassa sicurezza, dove i detenuti hanno le divise bianche, posso stare all’aperto e non subiscono l’isolamento dai compagni di detenzione. C’è anche un’aula per le lezioni e una biblioteca. Qui hanno diritto a quattro libri e tre riviste alla settimana, che un bibliotecario-detenuto consegna con un carrellino. Hayhurst ci tiene a far vedere gli internati giocare a calcio, fare esercizi fisici e guardare video. Ma in questa sezione ci sono solamente il 30 per cento dei reclusi, il resto è considerato «non-cooperativo» o «pericoloso» e occupa i campi 5 e 6. Nel compound 7 invece sono stati chiusi i responsabili diretti dell’11 settembre e non si sa bene dove sia dislocato. C’è una unità speciale, chiamata Task force Platinum, responsabile della sicurezza che prevede la sorveglianza a vista per ogni detenuto. Il campo 5 è un braccio ad alta sicurezza e il clima è meno cordiale e rilassato. Nelle celle c’è una freccia che indica la direzione della Mecca. Sul pavimento è trac-
ciata una linea che i responsabili della consegna dei pasti non devono superare. È una misura utile per trovarsi fuori dalla portata del lancio di «fluidi corporei», come recita il regolamento. I ben conosciuti lanci di “merda” che in passato causarono molti problemi. Per le guardie e per alcune loro ”reazioni”. Ora funziona il riscaldamento ad una temperatura di 20 gradi centigradi che ha aumentato la vivibilità del posto. Gli ufficiali tengono molto a sottolineare il lavoro di «stimolazione intellettuale» che nel campo si cerca di promuovere. In una stanza c’è un cavalletto con una tela.
La figura di un tulipano, disegnata dall’insegnante militare, è lì a presidiare lo spazio vuoto. Il corso d’arte dura tre mesi e alcuni detenuti si sono iscritti. I guardiani segnalano il lavoro di un prigioniero arabo, che considerano particolarmente dotato. Cosa ha disegnato? - domanda il giornalista – e il comandante risponde: «degli orologi».
L’IMMAGINE
I Padri Missionari hanno fatto conoscere la vera essenza della storia del Cristo L’evento epocale dell’elezione del Cardinale Ratzinger a Papa del nuovo secolo, è stato il riflesso di tre prospettive precise: realizzare una continuità con Carol Woijtyla che ha fatto da scudo alla Chiesa in pericolo nel precedente secolo. La seconda era il preferire la rigidità ed esperienza come “scelta di transizione”al rinnovamento consistente in un Papa oltreoceano. La terza era la più interessante potendo riguardare quel Papa di colore, che molti attendono e che poteva dare una spallata positiva all’assetto e a ruolo ascetico dell’Istituto clericale, spettatore di una crescente influenza del mondo fondamentalista in molte nazioni povere. La terza era il riflesso concettuale, che il centro del mondo cattolico non è propriamente Roma ma l’Europa, della quale realtà il mondo teutonico rappresenta la parte più solida e affidabile. Ma l’Europa è il luogo principale dove la celebrazione cristiana non ha più la forza della gioia e della festa, che si è scoperto in altri paesi, dall’Asia all’America, ove l’opera dei Padri Missionari è riuscita a far conoscere la vera essenza della storia del Cristo.
Bruno Russo - Napoli
W IL RICAMBIO UMANO!
SON DISPERATI I SINISTRORSI?
L’opposizione dovrebbe fare una riflessione: se in una coalizione, la componente che ottiene l’unico successo elettorale è la minoritaria, e parliamo dell’Italia dei Valori, vuol dire che le cose stanno proprio messe male. Il cittadino tasta il polso alla politica attraverso il voto, e riscontra che la sinistra ha una febbre da cavallo. La medicina necessaria è il ricambio umano e la controindicazione e il distacco dalle poltrone. Indipendentemente da tali considerazioni, resta il fatto che si ha la sensazione che la destra sia compatta, seria, decisa e soprattutto dotata di uno schermo anti sobillazione indotta dall’unica politica che viene dal fronte opposto: il capo di accusa.
Diciamo la verità, gli ex comunisti che stanno nel Pd, e altrove, sono disperati. Oggi vestono abiti costosi, guidano auto di lusso, viaggiano, hanno la colf, la badante per il nonnone, la villetta al mare, l’appartamento in montagna, sono famosi, curatissimi, e talvolta bellissimi, ma restano infelici. Dal 1989, da quando hanno abbandonato la casa paterna, ciascuno di loro ha vissuto più tragedie e stravolgimenti che in vent’anni di Beautiful o in tre stagioni di Desperate housewife. Diligenti come non mai, anche nel corso del 2008, ce l’abbiamo messa tutta e abbiamo cercato di seguire tutto. Non ci siamo persi le loro fuitine, i matrimoni, i diverbi, i litigi, le lotte fratricide, gli abbandoni e i divorzi. Insomma, non è cambiato niente. Tutto come sempre
Bruno
Bolle spaziali Sospesa nel cosmo a 5 mila anni luce da noi galleggia una coloratissima “bolla” gassosa: la nebulosa NGC 6888 immortalata dal telescopio Chandra. Secondo alcuni studiosi è stata generata da potenti venti stellari emessi da un astro in fin di vita. Per altri,invece, si tratterebbe della traccia brillante lasciata dall’esplosione di una supernova: un “detrito” spaziale destinato a scomparire a sinistra. Incredibile, vero? Grato dell’attenzione. Distinti saluti.
Pierpaolo Vezzani Correggio (Re)
VELTRONI E LE FAVOLE In un futuro non ben precisato, Walter Veltroni racconterà ai suoi nipoti gli eventi che lo hanno portato a sposarsi con Di Pietro, Orlando, Pancho Pardi, Donati, Travaglio e
Flores D’Arcais. La storia è lunga e appassionante, d’accordo. Gli eventi sono tanti, hanno a che fare con la gioiosa macchina da guerra, coi magistrati rossi, con gl’idealisti egualitari e democratici, con le mani pulite, coi gazzettieri progressisti e con la diversità etica dei generosi, dei limpidi e dei disinteressati. Cose serie, insomma. Ma si sa come fanno i vecchi quando rivangano la giovi-
nezza. Si prendono a cuore il compito col rischio d’esagerare. Anche perchè, all’epoca, Veltroni era giovincello e spensierato e, più che cercare l’amore d’una vita, viveva da bohémien insieme a D’Alema, Prodi e Parisi. Insomma, speriamo che il Walter racconti ai nipotini anche tutte le cose che ha combinato prima d’incontrare il vero amore.
Lettera firmata
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L’intimità: un sogno di felicità indicibile Lei ha fatto male a scrivermi, ma per la prima volta la perdono e la ringrazio! Ho dovuto frenarmi per non risponderle, per non fare io stesso una scorrettezza ed una imprudenza: la sua lettera mi ha fatto un bene immenso: è tutto ciò che io potevo desiderare da lei per la mia povera esistenza. Aprendola ho tremato come un bambino per il male che poteva contenere, e quando dopo le prime linee, compresi, quasi non potevo credere che proprio da lei mi venisse una parola di conforto. Ho sofferto da giovane mali indicibili per l’amore respinto o tradito: ho sentito parecchie volte sui miei capelli il solco della morte certo di non ingannarmi; ma non ho mai sofferto in un modo più crudele. Il suo presentimento non l’ha ingannata: io ho sofferto tanto che ancora il ricordo mi fa male: per la prima volta nella mia vita ho creduto che il male fosse più forte della mia intelligenza, e che nulla, né amore dell’arte, né lusinghe di gloria potesse più salvarmi: ho visto dinanzi a me la mia rovina completa di uomo e di artista. Oh, lei non può pensare le ore disperate che ho passate! Ore in cui il ricordo della nostra antica intimità così bella e serena mi pareva un sogno indicibile di felicità, di una felicità non goduta abbastanza e che potrebbe non tornare più. Enrico Thovez a una sconosciuta
ACCADDE OGGI
REVISIONE COSTITUZIONALE Sembra un ritornello: tutte le volte che la classe politica non riesce a dare risposte concrete alle domande ed esigenze popolari viene spolverato l’argomento della poca efficienza della burocrazia e della necessità della riforma della Costituzione. E così facendo si rimanda la soluzione dei problemi alle… calende greche. Non sarà invece colpa dell’impreparazione, della contraddittorietà della classe politica dominante? Il problema primario per molte famiglie è quello economico perché, ormai da tempo, in troppe hanno difficoltà ad arrivare alla quarta settimana. Si percepisce in giro molta sfiducia nel futuro e ciò è un sintomo grave che non dovrebbe essere sottovalutato.
Luigi Celebre
SOFFERENZE PADOVANE Padova continua a soffrire, anche per estremismi ideologici e propaganda del verbo marxista leninista. La cementificazione, vantaggiosa per speculatori e immobiliaristi, si estende perfino a piazzale Boschetti e al Pp1, che al contrario dovrebbero costituire l’ampliamento dei giardini. Anziché perequare, si incrementa il divario fra il centro e le periferie; con “San Gaetano”, auditorium, tram, nonché imbellettature, investimenti, mutazioni, nuovi rifacimenti di precedenti ristrutturazioni del centro stesso. All’enorme esborso di pubblico denaro non corrispondono vantaggi per gli abitanti. Scarseggiano i parcheggi. Il
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)
18 dicembre 1932 Viene inaugurata la città di Littoria 1939 La nave da guerra tedesca Admiral Graf Spee, chiamata dai britannici “pocket battleship”, “corazzata tascabile”, viene fatta affondare dal suo equipaggio a largo di Montevideo 1958 Il Niger diventa indipendente 1983 38 marinai del distaccamento M.M. di Aulla (MS) rimangono vittime di uno spaventoso incidente sul viadotto di Nervi. Solo tre si salvarono dal tragico volo di 70 metri 1987 Larry Wall rilascia Perl 1.000 1993 Si inaugura l’Mgm Grand Las Vegas, il più grande albergo del mondo 1994 Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi presenta le dimissioni a Oscar Luigi Scalfaro 2003 Pier Giacomo Grampa diventa Vescovo di Lugano 2004 La rivista Archäologisches Korrespondenzblatt pubblica la notizia della scoperta dello strumento musicale più antico del mondo: un flauto di 35.000 anni fa costruito da una zanna d’avorio
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Francesco Rositano, Enrico Singer, Susanna Turco Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio,
traffico è caotico e intasato. La cremazione di defunti salva il Comune dalle insufficienze sulla cura e sull’ampliamento dei cimiteri. La qualità della vita periferica sprofonda. Alcuni decenni fa, le frazioni cittadine erano belle, serene e incontaminate: molto verde, poco cemento e scarso traffico. Sono stati costruiti casermoni e alveari, specie in nuove aree peep. Le periferie sono diventate irriconoscibili: il degrado deborda. La bassa politica “sinistra” d’accoglienza indiscriminata di moltitudini di stranieri ha favorito l’arrivo di troppi clandestini. Padova è una delle aree italiane più sofferenti per delinquenza; è primatista per spaccio di droga, nonostante l’impegno e il sacrificio delle forze dell’ordine.
Gianni Franco
ALLA FACCIA DELLA PARITÀ Il termine eguaglianza, male interpretato da più di trent’anni, si appresta, dopo la scuola, ad arrecare danni anche in un altro settore, quello pensionistico. L’Europa invita il governo ad innalzare l’età e Brunetta, novello Don Chischiotte, si appresta a partire per un’altra avventura. Personalmente non so in Europa, ma in Italia la famiglia si regge sul doppio o triplo lavoro della donna, che al rientro a casa inizia a svolgere il ruolo di Cenerentola con la forza della donna bionica e il sorriso rassicurante di un angelo. E tutto questo per che cosa?... Solo per essere equiparati all’Europa.
Orsola Pezzullo
Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Alberto Indelicato, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania
dai circoli liberal
APPELLO AI MODERATI LUCANI Si è insediato a Potenza il comitato promotore dell’Unione di Centro, composto da Agatino Mancusi, Vincenzo Ruggiero Palmiro Sacco (Udc), Gaetano Fierro e Gianluigi Laguardia (Liberal), Antonio Flovilla (Rosa per la Basilicata), Mimmo Cervellino e Giuseppe Molinari, nominati nei giorni scorsi a Roma da parte dei leader nazionali Casini, Cesa, Adornato, Sanza, De Mita e Pezzotta. Nel corso della riunione, si è proceduto a nominare il segretario regionale dell’Udc di Basilicata, Agatino Mancusi, coordinatore regionale dell’Udc, che avrà la responsabilità insieme a tutti i componenti di avviare sul territorio le iniziative finalizzate a divulgare il manifesto politico e l’organizzazione del nuovo Partito. Inoltre, sono state analizzate le questioni sociali ed economiche di crisi della Basilicata, le prospettive politiche dell’Unione di Centro, l’organizzazione territoriale, le regole e i principi chiave ai quali tutti coloro che intendono aderire dovranno ispirarsi. L’Unione di Centro dovrà contribuire al rilancio della politica in Basilicata di fronte alla crisi dei due grandi poli di riferimento Pd e Pdl, per questo si candida ad essere forza politica attrattiva e di governo, portatrice di nuove idee e di un nuovo modo di interpretare la politica che i lucani attendono da anni. La mancanza di una seria programmazione regionale, i risultati modesti conseguiti in questi anni nonostante l’utilizzo di ingenti risorse finanziarie, la crisi della politica, la confusione dei partiti, con una gestione sempre più oligarchica, impone la necessità di avviare un nuovo percorso per la riaggregazione dei moderati e di quanti non si ritrovano più nei due grandi Poli di riferimento. In uno scenario politico alquanto confuso non servono di certo nuove sigle o nuovi contenitori; è necessario, invece, ripensare ad un nuovo Partito popolare, liberale, d’ispirazione cattolica, nazionale ed europeo capace di rilanciare le diverse “emergenze” e le questioni che frenano lo sviluppo e la crescita delle nostre comunità. L’Unione di Centro rappresenta la casa di tutti coloro che si sentono liberi e svincolati da logiche di potere con il Pd e la Pdl, al fine di evitare la politica del “doppio binario” che crea solo confusione. Intende costruire un nuovo progetto politico, ispirato al bene comune, al servizio della famiglia, della nostra comunità, del mondo del lavoro, del ceto medio, della libera impresa, della cultura, dell’innovazione, per incoraggiare le nuove generazioni a scommettere su un futuro diverso della Basilicata. Il Comitato promotore Unione di Centro
APPUNTAMENTI VENERDÌ 16 GENNAIO 2009 ROMA - PALAZZO FERRAJOLI - ORE 11 RIUNIONE NAZIONALE DEI CIRCOLI LIBERAL
ATTIVAZIONI IL COORDINAMENTO REGIONALE DELLA CAMPANIA VERSO LA COSTITUENTE DI CENTRO HA ATTIVATO IL NUMERO VERDE PER LE ADESIONI: 800910529
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PAGINAVENTIQUATTRO Libri. Una «Garzantina» piena di storie, record, miti e passioni
L’enciclopedia che racconta lo sport come una di Nicola Fano o sport è un tempio di certezze: o si vince o si perde. Il pareggio è stato inventato dalla politica; l’epica (dello sport) è stata aggiunta dalla letteratura, il resto è tifo che ha a che fare più con la sociologia che con lo sport. Sicché un’enciclopedia dello sport è quanto di più pertinente si possa immaginare, al pari della chimica, dell’arte o del diritto. Se lo devono essere detto anche alla Garzanti, prima di mettere in cantiere quel kolossal di nomi, storie, dati, misure e regole che è – appunto – la Garzantina dello sport, or ora in libreria a 45 euro (sono quasi 1700 pagine) a cura di Claudio Ferretti e Augusto Frasca, con la collaborazione di Paolo Ferretti.
L
Recensire un’enciclopedia è privo di senso, anche perché compulsare con rigore 1700 pagine non è cosa da poco. Né, in fondo, è utile per un’operazione editoriale del genere. Nelle enciclopedie ci si deve poter muovere in libertà, trovando sempre risposte e suggestioni, scoprendo qualcosa di nuovo e di evocativo. Per le evocazioni fa testo la solida stirpe dei Ferretti (Claudio, figlio d’arte, è stato uno dei cronisti sportivi più seri e creativi di questi decenni, mentre il figlio Paolo è un notevole distillatore di dati e riferimenti sportivi, lui pure da anni); resta da suggerire al lettore il percorso che abbiamo fatto noi dentro questo strumento maestoso. Per esempio: sapevate che Borzacchini, il pilota automobilistico degli anni Venti, in realtà facesse di nome «Baconin» e non Mario Umberto come dicono le cronache? Io no. E ho scoperto qui dentro che quell’appellativo viene – ovviamente – dall’ammirazione che il padre aveva per Bakunin. Ho scoperto, poi, che il mio diletto di bambino ha un nome difficile: cheecoting. Che poi sarebbe il gioco delle biglie da spiaggia, detto in inglese. In italiano, in effetti, non ha nome (noi si diceva “giochiamo a palline”) anche se sfido chiunque sia stato bambino negli anni Sessanta a negare di aver tirato almeno una volta una biglia su una pista di sabbia aerodinamica o di aver schiccherato un tappetto sul marciapiedi. Be’, quella roba lì si chiama cheecoting: le enciclopedie servono anche a questo, a usare le parole giuste, quando esistono. Poi ho scoperto che il Tour de France passò sul Tourmalet per la prima volta nel 1910 e che il Col du Torumalet è un luogo preciso nei Pirenei (a circa trenta chilometri da Tarbes, dice senza supponenza la Garzantina) mentre non è un luogo preciso del mondo la Cima Coppi, bensì la cima più alta del tracciato
SCIENZA del Giro d’Italia, che cambia volta a volta. Ciò che unisce i due colli, tuttavia, è che sul primo Fausto Coppi passò per primo due volte (nel 1949 e nel 1952) finendo per vincere il Tour, mentre il secondo fu all’inizio (1965) fissato sullo Stelvio dove il medesimo Coppi aveva fatto il matto nel 1953. Sì, avendo sotto mano questa Garzantina viene da fare i pedanti, in materia di date: è il destino di un libro così. Va bene, altre scoperte. Per quanto ne sapevo io, evidentemente ignorante, anche Gigi Rombo di Tuono Riva aveva avuto una fugace cadute nel pallonetto, nel cucchiaio propriamente detto, oggi. E invece no: qui mi dicono – e io mi fido – che il
Naturalmente, ho finalmente capito quali siano le regole esatte del curling (alle Olimpiadi di Torino le avevo intuite) ma soprattutto ho capito le vere regole del baseball, che ho sempre considerato uno sport incomprensibile, anche quando mi sono imposto di vederlo sui canali satellitari per insolentire Michael Jordan, nel suo irragionevole interregno da giocatore di Baseball. A proposito di Air, ho riletto in fila tutti i suoi record e ho capito perché resterà il giocatore di basket più importante della storia. Anzi, “pallacanestro”, perché i nostri Ferretti e Frasca saggiamente dànno nomi italiani alle cose (salvo le biglie da spiaggia, come abbiamo visto): anche in questo caso vale la regola che, quando esistono, vanno usate le parole giuste. Sicché ho scoperto che il mio ruolo di vetusto giocatore di basket (ops, pallacanestro) è quello di ala forte e non – come pure pensavo – di guardia; meglio così. Sempre alla lettera P, ho trovato Eraldo Pizzo, colonna portante della Pro Recco di pallanuoto, ma non ho trovato – ahimé – Pier Luigi Pizzaballa, che, quand’ero bambino, era il portiere della Roma e mi sembrava che almeno il suo nome (tra il simbolico e l’onomatopeico) meritasse due righe. Ma, si sa, il difficile di un’enciclopedia è escludere nomi e lemmi con un criterio. Se il criterio è quello della popolarità nazionale, mi inchino all’esclusione del mio personalissimo mito Pizzaballa: mi pare di ricordare che anche il Dizionario del calcio compilato anni fa da Baldini&Castoldi lo abbia trattato con sufficienza. Ed ecco spiegata la differenza tra il tempio delle certezze e il tifo. Sì, perché il bello di questo autentico monumento allo sport (mille volte complimenti) è quello di non tirare in ballo le passioni ma solo i dati sicuri: nomi, date, maglie. Certo, con qualche piccola concessione d’autore, tuttavia fatta con rigore. Un esempio? La voce di Gianni Brera, che avrebbe potuto consentire qualche slittamento poetico, trasuda giusta ammirazione per l’oggetto e lo dimostra nell’elenco apparentemente freddo dei neologismi da colui inventati: «Llibero, centrocampista, palla-goal, cursore, forcing, goleada, melina, incornata, rifinitura, Padania». Quando si dice che lo sport è una scienza…
Millesettecento pagine ricche di scoperte così come di nomi e vicende note: dalle regole di tutte le discipline ai segreti della tecnica, fino alle avventure dei campioni celebri ma anche di protagonisti ormai dimenticati cucchiaio fu inventato dopo, da certo Antonin Panenka agli Europei del 1976 che con un rigore galeotto diede la vittoria ai suoi, i cecoslovacchi, contro i tedeschi. Ho controllato la voce di Riva, naturalmente, e di cucchiai non c’è traccia, sicché avevo torto. Ma certo la Garzantina non può tacere la strafottenza del celeberrimo cucchiaio di Totti agli olandesi negli Europei del 2000. Più freddezza, la Garzantina ostenta nei confronti del cucchiaio di quell’odioso di Zidaine ai Mondiali ultimi scorsi, seppure lo registra, come si addice a un’enciclopedia che si rispetti.