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ISSN 1827-8817 81230

Corri dietro alla fortuna,

e di h c a n o cr

ma non correre troppo! Tutti cercano quella che è alle spalle di chi corre

9 771827 881004

Bertolt Brecht

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA

di Ferdinando Adornato

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Gerusalemme verso l’attacco di terra. Sale di ora in ora il numero delle vittime

Gaza infiamma il mondo Israele: «Rovesceremo Hamas». L’Iran risponde invocando “nuovi martiri” mentre Hezbollah chiama all’intifada di Vincenzo Faccioli Pintozzi ell’attesa dell’attacco via terra - parte fondamentale di quella che il ministro della Difesa israeliano Barak ha definito «una guerra totale» contro Hamas - è pesantissimo il bilancio dei primi tre giorni di raid lanciati da Israele sulla Striscia di Gaza. In 72 ore, le bombe sganciate dall’aviazione di Gerusalemme hanno colpito un centinaio di obiettivi sensibili - fra cui l’Università islamica, il ministero dell’Interno e il quartier generale di Hamas - nel primo attacco aereo contro un edificio governativo. L’ufficio delle Nazioni Unite a Gerusalemme ha diffuso un bilancio ufficiale delle vittime civili palestinesi dei bombardamenti aerei israeliani: su 380 morti (ma il numero è in continuo aumento), almeno 90 sono civili. I dati rilasciati, sottolinea il portavoce del Palazzo di Vetro, Christopher Gunness, «sono prudenti e certamente destinati a salire». Il bilancio del capo dei servizi di soccorso di Gaza, Moawiya Hassanein, aggiornato a ieri, è invece di 401 morti. Fonti dell’intelligence israeliana hanno poi co-

N

municato ieri che alcuni commando israeliani sarebbero già penetrati nella Striscia, per colpire i miliziani impegnati a lanciare razzi contro Israele, prima di scomparire di nuovo dietro le dune di sabbia della Striscia. Il compito di questi soldati è duplice: marcare obiettivi chiave per successivi attacchi e spianare la strada a una prossima incursione di blindati. E, al di là della preparazione di Israele, fa impressione la chiamata alle armi lanciata dal fondamentalismo islamico dell’area. Hezbollah chiama i suoi militanti alla terza intifada, e il leader iraniano Khamenei, guida della Rivoluzione, chiede nuovi martiri contro Israele. In cambio, la promessa della felicità eterna. Il degno premio di chi muore per la causa. Israele non ha alcuna intenzione di permettere la reunion degli integralisti del Medio Oriente sulla Striscia, e ha schierato i soldati in assetto di guerra, pronti per l’intervento di terra. se gu e a p ag in a 2 Se r vi zi a p a gi na 2, 3 ,4 e 5

L’Oroscopo dell’Italia Previsioni, consigli (e speranze)

Come sarà il nostro 2009 Ariete John Elkann di

Gianfranco Polillo

Toro Luciano Benetton di

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Gemelli Francesco Rutelli di

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seg2008 ue a pa•gE inURO a 9 1,00 (10,00 MARTEDÌ 30 DICEMBRE

CON I QUADERNI)

All’interno otto pagine speciali • ANNO XIII •

NUMERO

249 •

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IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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mondo

La guerra. Ucciso nei raid il capo della Jihad islamica. Tzipi Livni accusa: «Hamas non vuole la pace»

La paura del mondo su Gaza In continuo aumento il numero delle vittime, salta la visita del Papa Iran e Hezbollah chiamano al martirio e alla “terza intifada” di Vincenzo Faccioli Pintozzi segue dalla prima Secondo Ehud Barak, che insieme ai commando ha permesso a un centinaio di camion di aiuti umanitari di superare le linee di fuoco, «questa operazione [ribattezzata Piombo fuso nda] si estenderà e si approfondirà quanto necessario. Siamo entrati in guerra per infliggere un duro attacco ad Hamas e per cambiare la situazione nel sud di Israele».

Ovviamente, ha sottolineato il titolare della Difesa, «eviteremo, per quanto possibile, di colpire i civili mentre la gente di Hamas e gli altri terroristi che si nascondono deliberatamente e operano tra la popolazione civile. Non vogliamo colpire i bambini e le donne e non impediremo che gli aiuti umanitari arrivino nelle Striscia». E, nonostante la conta dei morti sia in continuo aumento, alcuni dati sembrano dare ragione al ministro: oltre 200 militanti di Hamas sarebbero morti nei raid, che ad ora conta circa 390 vittime. Fra questi, anche un importante comandante della Jihad islamica, ucciso ieri pomeriggio in un raid israeliano nei pressi di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza. Ziad Abu-Tir, 35 anni, è morto nel bombardamento della sua abitazione: con lui sono rimasti uccisi un fratello, un nipote di nove anni - altre fonti parlano del figlio - ed altre due persone. Un portavoce dell’ala militare della Jihad ha denunciato l’ennesimo “crimine e massacro”commesso da Israele e per il quale lo Stato ebraico «deve attendersi una risposta del gruppo». Tra i feriti, riferiscono fonti di Hamas, anche il caporale israeliano Gilad Shalit, rapito nel giugno 2006 dai fondamentalisti. Ma per il

Parla un esperto dell’intelligence israeliana

Tsahal, l’esercito as pe t ta l’or dine per attac car e via terra colloquio con il gen. Jacob Amidror di Pierre Chiartano

Tra i feriti ci sarebbe anche il caporale Shalit, ostaggio dei palestinesi dal giugno del 2006. Nessuna conferma da Israele momento, non c’è alcuna conferma ufficiale da parte di Gerusalemme: fonti militari israeliane ritengono infatti che Shalit sia custodito in un luogo sicuro perché potrebbe essere scambiato con centinaia di prigionieri palestinesi.

La notizia del suo ferimento, aggiungono queste fonti, potrebbe essere dunque «un espediente di guerra psicologica» o anche «un tentativo di indurre forze israeliane ad entrare a Gaza per cercare di liberarlo». Prosegue anche il lancio di razzi palestinesi dalla Striscia. Un israeliano è morto e altri 14 sono rimasti feriti per l’esplosione di un missile Grad nella città costiera israeliana di

ROMA. Tsahal, l’esercito israeliano è pronto sul confine di Gaza. Aspetta solo un ordine. Le forze armate con la stella di David, non si sono fatte più cogliere impreparate. Abbiamo voluto chiedere a chi è stato membro della commissione di valutazione del conflitto libanese del 2006, il generale Jacob Amidror, già ufficiale dell’intelligence, un parere sulle operazioni. Cosa ne pensa della crisi di Gaza? L’operazione su Gaza potremmo definirla ancora “invisibile”. Fino a quando Hamas continuerà col lancio di missili su Israele, non potremo che incrementare la forza. Nel 2005 abbiamo abbandonato quei territori da qualsiasi tipo di controllo. Da allora in poi non hanno più visto un solo militare o civile israeliano. Hamas si è mosso dall’inizio della nostra smobilitazione e nel 2006 ne ha

Ashkelon. Cinque dei 14 feriti versano in gravi condizioni.

Almeno 17 razzi sono caduti nella mattinata in Israele, otto dei quali hanno colpito Ashkelon. Cinque razzi sono caduti invece su Sderot e altri quattro hanno colpito varie comunità nel Negev occidentale. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, lo scopo di Hamas sarebbe quello di uccidere Ehud Barak e il ministro degli Esteri Tzipi Livni. Il portavoce di Hamas, Fatah Hamad, ha anche minacciato di colpire la dirigenza di Fatah in Cisgiordania e «coloro nel mondo arabo che hanno cospirato contro di noi». Fuori dal gruppo, sicuramen-

conquistato il controllo totale. Da allora non ha fatto niente di positivo per i suoi abitanti. Hanno solo usato Gaza per attaccare Israele. Generale ci dia i numeri. Parliamo di più di 3mila lanci di missili Qassam, e più di 5mila testate belliche che sono arrivate sul nostro territorio dal ritiro unilaterale. Israele non può convivere con una simile situazione. La posizione dell’Europa, come dell’America è molto importante, se riescono a costringere Hamas a firmare un accordo. Non abbiamo posizioni preconcette di natura politica, ma la devono smettere di attaccarci. Fino ad allora le operazioni militari continueranno. Non pensa che Hamas stia cercando dei morti civili, da mettere sul tavolo della Casa Bianca dopo il 20 gennaio?

te, il leader delle milizie sciite degli Hezbollah libanese Hassan Nasrallah che ha lanciato ieri un nuovo appello per una terza intifada contro Israele. Il capo del partito sciita ha sottolineato, nel corso di un discorso pronunciato di fronte ad una folla dei suoi seguaci alla periferia di Beirut e trasmesso in diretta da varie tv arabe, che Hezbollah «unisce la sua voce a quella dei dirigenti palestinesi che si sono appellati ad una terza intifada». La prima intifada risale alla fine del 1987 e si è conclusa con la firma degli accordi di Oslo nel 1993 che hanno portato alla creazione dell’Autorità nazionale palestinese. La seconda intifada risale al 2000 quando le forze armate israeliane guidate dall’allora premier Ariel Sharon entrarono nel complesso della moschea di al Aqsa, sulla Spianata di Gerusalemme.

Alla chiamata risponde anche l’Iran: un gruppo di studenti iraniani sta reclutando volontari per combattere contro Israele dopo la nuova manifestazione di protesta organizzata a Teheran contro l’offensiva israeliana a Gaza. Gli studenti hanno dichiarato di aver dato inizio alla loro campagna per rispondere al decreto religioso emesso dall’ayatollah Ali Khamenei, secondo cui «chiunque muoia per difendere Gaza viene considerato un martire». Il nodo principale rimane l’Egitto, interlocutore fonNon so se l’intenzione di Hamas sia diretta ad influenzare Barack Obama. Secondo i principi fondanti di quel movimento, gli obiettivi sono ben altro che il controllo di Gaza. Sono la distruzione dello Stato d’Israele. Meglio, agiscono come se non esistesse. In Occidente non li prendono tanto sul serio, perché hanno un comportamento illogico, per chi dovrebbe avere delle responsabilità politiche. Per Israele è un problema che Hamas abbia della capacità militari, perché le userà, anziché sviluppare quelle politiche. Si hanno notizie di scontri a fuoco fra palestinesi ed egi-


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I retroscena e i motivi dell’attacco di Israele

La pace si fa con il nemico. Sì, ma sconfitto di Enrico Singer on le immagini di morte che arrivano dalla Striscia di Gaza non è facile mettere da parte le emozioni e ragionare a mente fredda. Eppure è necessario farlo se vogliamo sfuggire alla retorica del buonismo che si rinnova ogni volta che una guerra fa strage di esseri umani, ma che, alla fine, non propone soluzioni. Se non quella – tanto convincente in astratto, quanto difficile da realizzare in concreto – di sostituire il dialogo alle armi, di fermare i combattimenti e di riannodare le trattative. Con il corollario della teoria che la pace si fa con il nemico. Come dire che Israele, invece di bombardare Hamas, dovrebbe riconoscerlo come interlocutore. Tesi che mette tra parentesi, però, un aspetto assolutamente non secondario: è vero che la pace si fa con il nemico, ma la storia ci ha insegnato che si fa con il nemico sconfitto. Tanto più se questo nemico non è un popolo che lotta per affermare i suoi diritti, ma è un movimento che ha nel suo statuto la distruzione d’Israele, che vuole imporre un regime fondamentalista islamico nella fetta di Palestina che controlla e che è contestato da una parte consistente degli stessi palestinesi, a cominciare dal presidente Abu Mazen. Tra gli effetti della vittoria elettorale di Hamas nella Striscia di Gaza nel 2006, il più rilevante è stato proprio la trasformazione della questione palestinese da problema nazionale - un popolo che rivendica per sé uno Stato - a problema ideologico di un movimento che vuole cancellare Israele dalla carta geografica. Hamas non lotta più per creare uno Stato palestinese, del resto accettato dagli israeliani con gli accordi di Oslo, ma per attaccare lo Stato ebraico. Con i razzi Qassam o con i kamikaze. Nella speranza di provocare uno scontro complessivo che coinvolga Hezbollah, Iran e Siria.

C

Nella foto sopra, scene di guerra da Gaza. Ieri, secondo fonti israeliane, i militanti di Hamas hanno risposto ai raid aerei con il lancio di missili contro Israele. Nella pagina a fianco, il dolore di una famiglia. Sotto, soldati israeliani

damentale per la crisi di Gaza.

Il Paese nordafricano condivide infatti con l’Europa e con gli Stati Uniti le preoccupazioni relative non soltanto al destino dell’enclave palestinese, ma anche una strategia di lungo respiro, volta a scongiurare l’acquisizione di armi nucleari da parte dell’Iran e la crescita dell’influenza di Teheran nella regione. Il Cairo, come Israele, ha bisogno di risolvere il problema di Gaza, dove la propaganda di Hamas continua ad esercitare un’attrazione notevole presso la popola-

ziani a Rafah, qual è il ruolo del Cairo in questa crisi? Gli egiziani stanno tentando di convincere Hamas a firmare un accordo. Se così fosse noi smetteremmo di combatterli anche nel West Bank, come facciamo ora, perchè non possiamo che raggiungano le capacità militare che hanno a Gaza. Il Cairo sta facendo il possibile, ma non sembra sia sufficiente Gli egiziani affermano che il passo di Rafah è aperto per il passaggio dei feriti, ma sono le autorità palestinesi a tenerlo chiuso. Non ne sono assolutamente sorpreso. Non si preoccupano per i diritti e il benessere della propria gente. Preferiscono che muoiano dentro Gaza, per comparire in qualche foto che faccia il giro del mondo. Così impediscono ai propri feriti di essere curati, anche loro sacrificati in nome della guerra ad Israele.

zione egiziana, invitata a rivolgersi con sempre più decisione ai Fratelli musulmani.

Ma non è pensabile che il problema di Gaza possa essere risolto dal Cairo. Soltanto una nuova mediazione su entrambi i governi, esercitata in maniera congiunta da Washington e Bruxelles. Con un invito non alla pace, ma alla convivenza: che però presuppone il riconoscimento dei due Stati. Un riconoscimento che Hamas non ha intenzione di concedere.

Siamo all’inizio di un’altra guerra? Non penso che sia così, almeno nel termine classico. L’obiettivo è quello di ridurre gradualmente, ma decisamente le capacità militari di Hamas. I bombardamenti servono anche a smontare le loro capacità informative, in maniera che si possa entrare più facilmente con l’esercito. L’idea di entrare a Gaza non ci piace, ma se Hamas non dovesse cedere alle pressioni internazionali, saremo costretti a fare ciò che è necessario Tsahal è pronto a muoversi? Sì, è pronto. Che differenze ci sono con il conflitto libanese del 2006? Una differenza totale. Da quell’esperienza abbiamo imparato molto e ora siamo preparati. L’area è completamente diversa, non abbiamo colline, gole o zone rocciose. Gaza è molto più facile da penetrare rispetto al Libano. Anche il lavoro d’intel-

ligence è più agevole. Si tratta di pochi chilometri quadrati.Nonostante ciò potrebbe non essere così facile. Lunedì il Guardian titolava che l’operazione fosse il frutto di sei mesi di preparazione da parte di Israele... Il Guardian fa spesso questo genere d’errori, non è credibile quando parla d’Israele. Il cessate il fuoco è stato violato da Hamas non da noi. Come avremmo potuto pianificare un’azione? Abbiamo piani per molte situazioni, è il nostro mestiere, ma ciò che ha scritto il quotidiano inglese non è vero. Come è possibile difendersi dai missili Qassam? L’unico modo è controllare l’area da cui partono i missili. Sarà così anche nel West Bank». L’attuale crisi durerà? Sì, penso che occorrerà del tempo. Parlo di settimane non di giorni.

Il gruppo fondamentalista islamico ha trasformato la questione nazionale palestinese in una guerra totale allo Stato ebraico

I pacifisti delle diverse latitudini geografiche e politiche che consigliano a Israele di trattare con il suo nemico, dovrebbero prima individuare bene di quale nemico si tratta. È un’organizzazione terroristica, come ha stabilito anche l’Onu che ha messo Hamas nella lista nera dei gruppi eversivi internazionali? O è il legittimo rappresentante del popolo palestinese? È possibile un accordo con Hamas, ammesso che il movimento fondamentalista sia disposto a negoziarlo con Israele? O la pace sarà possibile soltanto dopo una sconfitta di Hamas che liberi, prima di tutto, i palestinesi da quello che Abu Mazen definisce il loro “nemico interno”? Anche quando nell’Europa sull’orlo del disastro della seconda guerra mondiale si discuteva sull’opportunità di trattare con la Germania nazista, c’era chi credeva possibile un accordo. Ed anche chi lo sottoscrisse con il patto Molotov-Ribbentrop del 23 agosto 1939 che, nel giugno del ’41, finì con l’invasione tedesca della Russia. Non si tratta di proporre paragoni impossibili tra il fondamentalismo islamico e il regime hitleriano. Ma è possibile, anzi è opportuno, mettere a confronto i teoremi della pace col nemico di ieri e di oggi. Per constatare che una pace duratura e condivisa si può raggiunge soltanto dopo la sconfitta di chi predica l’odio e la distruzione degli altri.


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Scenari. La linea dura della guerriglia prevale sul confronto: chi combatte vuole una Palestina che non abbia bisogno di dialogare con Gerusalemme

Il collasso di Hamas Haniyeh e Abu Mazen sono ormai allo scontro aperto E nessuno riesce più a controllare le milizie di Antonio Picasso a linea dura ha prevalso sul dialogo. Tra le tante cause di questa devastante escalation di Gaza, bisogna annoverare le profonde spaccature interne ad Hamas. L’ambiguità nel definire il movimento islamista un partito politico - una costola della Fratellanza Musulmana che ha scelto la strada del radicalismo oppure un gruppo terroristico - nasce proprio dalla mancanza di concordia in seno ad Hamas. Del resto anche il presidente dell’Anp, Abu Mazen, ne è consapevole. Recriminando che questa crisi si sarebbe potuta evitare, facendo leva sugli spazi offerti dalla corrente moderata di Hamas, dimostra come, anche per Fatah, il suo più ostico avversario appare un soggetto politico dalle complesse sfaccettature.

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D’altra parte, già in precedenza questi contrasti avevano provocato altrettante ricadute della crisi per la Striscia. Tutte pagate con profonde sofferenze da parte della popolazione palestinese. Ormai tre anni fa, le elezioni politiche da cui Hamas uscì come incontrastato vincitore furono osteggiate dai fautori di una linea operativa di massima intransigenza. Lo stesso

gida strategia militare ed esclude qualsiasi cambiamento di rotta, che preveda un confronto ed eventuali concessioni con Israele. Per le fazioni più intransigenti, quindi, la sola Palestina possibile è quella che nascerebbe dopo la cacciata in mare di tutti gli israeliani. Non ci sono alternative, né spazi per il compromesso.

Ed effettivamente il contesto appare vantaggioso a questa opzione. Perché la popolazione di Gaza – stremata dalle sanzioni, dal blocco navale e dei valichi – vede nel ricorso alle armi ormai l’unica, per quanto triste, soluzione possibile. Ma anche perché l’inflessibilità palestinese appare speculare a quella israeliana. Oltre la frontiera, infatti, il livello di nervosismo collettivo viene soddisfatto dai falchi che preferirebbero chiudere il “capitolo Gaza” in modo definitivo. A Gaza, è il caso specifico delle Brigate Ezzedine alQassam, braccio armato di Hamas, le quali ultimamente hanno accresciuto la loro capacità operativa. Poco prima dell’ondata di violenza di questi ultimi giorni, in Israele era circolata la notizia che il loro capo, lo sceicco Ahmed Jaabri – 45 anni di lotta arma-

§ La spaccatura del movimento ha radici profonde, importanti oggi come non mai nella vita della Striscia di Gaza. Che paga una gestione e una convivenza forzata di fazioni agli antipodi “caso Shalit” nacque da questo. Il sequestro del soldato israeliano avvenne perché il governo Haniyeh – al momento del rapimento in carica da nemmeno sei mesi – era pressato da coloro che anteponevano e antepongono l’azione militare a qualsiasi confronto politico. Dimostrazione ulteriore giunse nell’estate del 2007, quando Hamas assunse il controllo della Striscia mediante un repentino colpo di mano. I tre esempi confermano che il concetto di resistenza palestinese resta per alcuni inserito sui binari di una ri-

ta contro Israele – avrebbe assunto de facto il comando di tutte le forze di sicurezza nella Striscia. Se così fosse, il suo peso politico di fronte a Ismail Haniyeh sarebbe quello di un leader autonomo, capace di prendere decisioni senza dover rendere conto a nessuno.

Del resto, Jaabri non è il solo esponente della linea dura. Mohamed Zahar, ex ministro degli Esteri del governo Haniyeh, resta il personaggio chiave di questa corrente. A lui è attribuito il colpo di ma-

no a Gaza nel giugno 2007 e con questo il fatto di aver costretto tutta Hamas a rifiutare qualsiasi proposta di negoziato. Se infine aggiungiamo la presenza di Jihad palestinese, un altro gruppo notoriamente orientato a risolvere il problema con Israele con i metodi più sbrigativi, abbiamo chiaro il quadro del fronte radicale, che in questo momento sta assumendo decisamente il controllo della Striscia. Di conseguenza, ecco spiegata la scarsissima visibilità di cui sta godendo Haniyeh in questi giorni. Di fronte a una crisi di così alto livello, quello che viene indicato come il leader di Hamas non è ancora comparso in televisione, non si è lasciato fotografare in mezzo alla popolazione di Gaza – atteggiamento che, a dispetto del pericolo, i rais arabi sono soliti fare – e soprattutto ha reso note le sue dichiarazioni solo attraverso il suo portavoce, Fawzi Barhoum, anch’egli famoso per la sua durezza.

Quale conclusione si può trarre quindi da questo stato di cose? Che Haniyeh, a suo tempo contrario a prendere Gaza con la forza, adesso paga lo scotto della sua moderazione? Possiamo davvero considerare l’ex premier – con la

Nella foto a destra, militanti di Hamas manifestano contro gli attacchi israeliani lanciati contro la Striscia di Gaza. Il governo di Gerusalemme accusa i membri del gruppo di operare usando come scudo umano i civili: nei tre giorni di raid, secondo le Nazioni Unite, sarebbero morte oltre cento persone innocenti. Sotto, il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, che ha chiesto un’immediata interruzione delle ostilità nei territori controllati dai palestinesi. Nella pagina a fianco, il presidente dell’Anp Abu Mazen


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Tutti chiedono atti unilaterali a Olmert. Ignorando che è Hamas a volere la guerra

Quanto è ipocrita chiedere il cessate il fuoco soltanto al governo di Israele di Emanuele Ottolenghi on sono passate che quarantott’ore dall’inizio dell’operazione israeliana a Gaza e gli appelli per un cessate il fuoco hanno riempito l’etere. Dall’Onu al Santo Padre, passando per il ministro degli Esteri britannico, David Miliband, tutti vogliono il cessate il fuoco. Un bello slogan neutrale che in realtà significa: Israele deve smettere le operazioni militari e sperare che Hamas smetta di lanciare razzi. Ma la crisi è iniziata per una decisione di Hamas – deliberata, calcolata e ben meditata – di scatenare un inferno di missili e colpi di mortaio contro i centri civili del sud d’Israele. Come del resto hanno abbondantemente chiarito in molti – non solo il presidente americano George Bush, ma anche il presidente palestinese Abu Mazen, il ministro degli esteri egiziano e la Cancelliera tedesca Angela Merkel, la responsabilità ricade su Hamas. È su Hamas che si deve esercitare pressione, non su Israele. Israele ha persino aspettato troppo a intervenire a Gaza e ora la sua operazione merita di ricevere tutto il sostegno internazionale. La sofferenza della popolazione civile di Gaza è uno spettacolo terribile, ma la causa è il comportamento folle e irresponsabile di Hamas, che quelle immagini del resto strumentalizza per ripararsi dietro alle sottane dei mezzi d’informazione occidentali. Israele ha l’obbligo, non solo il diritto, di ristabilire la calma per i suoi abitanti bersagliati da anni dai razzi di Hamas. Se non lo facesse, violerebbe il più fondamentale dei principi di governo su cui si regge il contratto sociale: l’obbligo di proteggere la popolazione civile. È un obbligo da non dimenticare mentre si guardano le dolorose immagini che ci arrivano sugli schermi da Gaza. Un obbligo che ci aspetteremmo adempiuto dal nostro governo in simili circostanze senza dispiegare tutta la pazienza e l’esitazione che ha mostrato invece Israele, complice anche la pressione esercitata sul suo governo dalla comunitá internazionale. Se siamo arrivati a tale situazione non è perché – come gridano gli ipocriti fautori del cessate il fuoco – Israele risponde in maniera feroce e sproporzionata ai missili di Hamas.

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te fosse chiaro che Hamas, da partito ideologico e fanatico che è, non si sarebbe mai ravveduto, non avrebbe mai sposato una linea pragmatica, e non avrebbe mai rinunciato alla lotta contro Israele – neanche al prezzo dell’inenarrabile sofferenza causata alla popolazione civile di cui solo Hamas è responsabile.

Hamas ha cercato la crisi dalla sua presa del potere a Gaza, nel colpo di stato sanguinoso messo in atto nel giugno 2007. Da allora, il movimento fondamentalista ha continuato quotidianamente a bombardare Israele con missili sempre a più lunga gittata, in chiara contravvenzione degli obblighi cui è sottoposta nel diritto internazionale e con la chiara intenzione di provocare un conflitto. La tregua spesso violata degli ultimi sei mesi è servita a Hamas per riarmarsi e per consolidare il suo potere, anche grazie alle forniture d’armi iraniane. È la decisione di Hamas di riaprire le ostilità il 19 dicembre che segna l’inizio di questa nuova fase della guerra, non gli attacchi israeliani. Sarebbe ora che se ne accorgessero, i fautori del cessate il fuoco. E avrebbero più credibilità i loro appelli se si fossero degnati di articolarli allorché i missili di Hamas hanno cominciato a piovere su Israele, non solo quando Israele ha finalmente deciso di esercitare il suo sacrosanto diritto alla legittima difesa. Certo, il numero delle vittime è diverso – ma non è sui numeri che si determinano le responsabilitá delle guerre. Israele, nel rispondere, sta cercando di neutralizzare le capacità offensive di Hamas per evitare che ricomincino i lanci di missili appena Israele smette le sue operazioni. È inevitabile che ci siano vittime tra la popolazione civile, specie visto che Hamas nasconde le proprie installazioni, le proprie basi, le proprie postazioni lanciamissili, i propri laboratori di razzi, e i propri depositi di munizioni, nel cuore di centri abitati. Perché stupirsene, del resto? Lo hanno sempre fatto: per loro, la popolazione civile, specie se soffre, specie se dal vivo in televisione, è sempre stata un’efficace strumento di propaganda. Ci auguriamo che gli osservatori più accorti e meno faziosi vedano attraverso la cortina fumogena creata da Hamas e i suoi complici morali e intellettuali e riconoscano che, tre anni dopo il ritiro israeliano da Gaza e uno e mezzo dal colpo di stato di Hamas, non esiste più altra opzione che l’uso della forza. E speriamo che nel suo ricorso alla forza, il governo israeliano di oggi abbia imparato le lezioni dei suoi errori commessi due anni fa in Libano.

È sull’Autorità palestinese che si deve fare pressione. Gerusalemme ha persino aspettato troppo prima di intervenire a Gaza. Ora la sua operazione merita il sostegno internazionale

L’unica speranza potrebbe venire da Khaled Meshal, leader di Hamas in esilio a Damasco. È il solo ad essersi speso per la liberazione del caporale Shalit e vuole la pace con gli israeliani sua capacità politica e la sua disponibilità a fare concessioni – isolato di fronte alla rinvigorita intransigenza del suo movimento? A queste domande, si aggiunge un ultimo dubbio. Quando si parla di Hamas, infatti, non si può dimenticare il Segretario generale, Khaled Meshal, in esilio a Damasco dal 1999.

Negli ultimi giorni , le sue dichiarazioni sono apparse come strali di guerra affinché Hamas riprenda la sua resistenza armata contro Israele. D’altra parte, proprio

Meshal si era speso in passato per la liberazione di Shalit, confermando la possibilità di arrivare a negoziati vantaggiosi per tutti. Segno, questo, che la sua impostazione è tutt’altro che ingessata sulla lotta armata. Lecito, di conseguenza, auspicare che proprio Meshal sfoderi il suo carisma in seno al movimento e lo renda consapevole che questa nuova guerra altro non fa che provocare Israele e gravare sulla popolazione di Gaza. *Analista Ce.S.I.

Ci siamo arrivati perché Israele ha fatto per mesi quello che gli è stato chiesto: non rispondere, non reagire, non lasciarsi provocare. Israele ha fatto di tutto per evitare la guerra – ha negoziato attraverso la mediazione egiziana, ha offerto il rilascio di prigionieri, e ha continuato a fornire gli aiuti umanitari che la disastrosa gestione di governo di Hamas a Gaza rendeva indispensabile.Tutto questo nonostan-


politica

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Scontri. Per il presidente della Camera «non c’è democrazia senza equilibrio tra governo e parlamento»

Nuovo j’accuse di Fini di Francesco Capozza

ROMA. Nemmeno il tempo di digerire il panettone e per Silvio Berlusconi torna la “grana Fini”. Il presidente della Camera è infatti tornato a parlare del difficile rapporto tra parlamento e governo, facendo palesemente intendere che, a suo avviso, il primo è svilito dal secondo. Per Fini «non può esistere una democrazia senza un rapporto equilibrato tra potere esecutivo e potere legislativo, tra governo e parlamento». Il presidente della Camera, che già in occasione delle polemiche su un ricorso del governo a decreti legge giudicato eccessivo aveva preso posizione al riguardo, lo ha ribadito ieri in un’intervista al canale satellitare della Camera, mezzo comunicativo da lui stesso seguito con grande attenzione. Nel mondo esistono vari modelli, ha ricordato il numero uno di Montecitorio, a partire da quello presidenziale americano «che a mio parere non è certamente il migliore per un Paese come l’Italia» ma dove comunque accanto «a un governo forte c’è un Congresso altret-

tanto forte», come ha dimostrato la recente bocciatura del piano anticrisi del presidente Bush.

Per Fini è giunta l’ora di avviare un ragionamento affinché «anche in Italia l’esecutivo sia in condizione di governare con tempi certi e corsie preferenziali per i suoi provvedimenti».Tuttavia, per Fini serve anche «un parlamento che deve controllare, indirizzare ed essere centrale in ogni momento del dibattito». Parole che hanno un peso, ancor di più perché a pronunciarle non è il leader di Alleanza nazionale Gianfranco Fini, ma la terza carica dello Stato che, per prassi, dovrebbe essere al di sopra delle parti mentre per il premier, forse, dovrebbe parlare meno e pensare a dirigere l’aula di Montecitorio piuttosto che esternare. Come ricordato, l’attuale presidente della Camera non è nuovo a qualche

tirata d’orecchi verso la maggioranza che lo ha eletto e di cui, almeno informalmente, fa parte. Che lo faccia per una standing ovation delle opposizioni (come malignato da più parti in area berlusconiana), o perché il ruolo super partes che gli impone la sua carica istituzionale gli sta un po’ stretto (come invece sibila qualche “peones”dalle parti di via della Scrofa) non è chiaro, sta di fatto che non è la prima volta che Fini rompe l’etichetta istituzionale irrompendo prepotentemente sulla scena politica.

La questione sollevata dal presidente della Camera è molto spinosa, e si sa. Anche perché il gran capo di Montecitorio, sollevandola, non si è solo ulteriormente sdoganato agli occhi del Pd e dell’Udc (nessun commento, pare, dall’Italia dei Valori, ma da quelle parti hanno ben altre gatte da pelare al momento), ma si è anche fatto portavoce di quei

Dopo la recente denuncia dell’abuso di decreti legge, torna a criticare l’esecutivo. Stavolta, però, trova più di una sponda nella maggioranza “piccoli” cespugli che ruotano attorno al Pdl che da tempo sono costretti a mascherare qualche mal di pancia. Non è un caso, infatti, che le prime reazioni di condivisione delle parole di Gianfranco Fini siano arrivate da Gianfranco Rotondi, ministro in carica ma al contempo leader della Dca, che ha definito «attenta e giusta l’analisi fatta dal presidente Fini», e da Elio Belcastro dell’Mpa che ha precisato: «Ha ragione il presidente della Camera quando afferma che non può esistere democrazia che non abbia rapporto equilibrato tra potere esecutivo e potere legislativo, tra governo e Parlamento». Il Cavaliere, però, non ne vuole sapere di ridimensionare il ruolo politico e neppure quello istituzionale del governo da lui presieduto. Per Berlusconi, non è una novità, il parlamento dovrebbe solo ratificare le scelte dell’esecutivo e, possibil-

mente, senza fiatare e con solerzia. Ma c’è di più, altra carne al fuoco è stata gettata ieri da Fini. Sarà la tecnologia o forse la voglia di “arrivare” anche al cittadino, chissà, ma il più importante inquilino di Montecitorio da quando ha preso dimestichezza con il portale internet della Camera dei deputati (modificandolo a proprio piacimento) e col canale satellitare dell’istituzione, è diventato davvero un fiume in piena. Ieri, per esempio, ha trovato anche il tempo (in un’intervista in cui era chiamato a commentare il bilancio interno per il 2009 della Camera) di parlare dei rapporti tra maggioranza e opposizione. «Sono ancora più convinto, rispetto a sei mesi fa – ha precisato Fini – della necessità di una comune assunzione di responsabilità da parte delle forze politiche. Il dialogo spesso è tra sordi, bisogna invece confrontarsi seriamente e approfonditamente sui grandi temi». Quindi, a leggere tra le righe, Fini in un colpo solo ha accusato il premier di aver esautorato il ruolo del parlamento e di aver instaurato un dialogo «tra sordi» con le opposizioni. Un bel colpo, non c’è che dire, che sicuramente segna un’altra crepa tra i rapporti già tesi tra le due alte cariche dello Stato che, oltretutto, sono formalmente anche alleati politici.

Un duro colpo, però, non tanto per il premier, ma per lo stesso Fini, che rischia di vedersi ritorcere contro queste punzecchiature al governo. Secondo un uomo molto vicino al presidente del Consiglio, «Fini si sta giocando anche le sue ultime chances di succedere a Berlusconi. Ogni giorno di più il presidente della Camera si allontana dalla prospettiva di diventare il leader del Pdl nel momento in cui il premier si farà da parte o sarà chiamato ad altro incarico (Quirinale? ndr)». Un boomerang vero e proprio, a sentire la nostra fonte. Queste prese di posizione, dunque, rischiano di far terra bruciata intorno a Fini. Ed è proprio questo che lascia perplessi. Perché Gianfranco Fini, dopo aver rinunciato all’identità di An, sciogliendola per confluire assieme a Forza Italia nel Pdl, si comporta in modo tale da inimicarsi l’alleato storico Silvio Berlusconi? Una vaga idea liberal ce l’ha, ma sarà il tempo a dirci se avevamo ragione oppure torto.

in breve Di Pietro Jr lascia l’Idv: «Non voglio imbarazzare papà» Cristiano Di Pietro lascia l’Italia dei Valori. Troppo il clamore suscitato da alcune sue telefonate intercettate nell’ambito dell’inchiesta “Global Service” della Procura di Napoli. «Non voglio creare imbarazzo a nessuno», ha spiegato il figlio dell’ex magistrato molisano. Antonio Di Pietro commentando invece la scelta del figlio ha parlato «di un gesto corretto e per certi versi forse eccessivo visto che Cristiano non è nemmeno indagato ma lo rispetto e ne prendo atto». Il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri sulla vicenda che investe i Di Pietro è durissimo: «Andremo avanti come un carro armato sulla questione morale che travolge l’Italia dei cosiddetti valori. Cristiano si occupava di architetti e fornitori di lavori pubblici, usando un potere derivato dagli incarichi di papà».

Scontro tra procure, Apicella rischia il trasferimento Trasferimento in vista per il procuratore di Salerno Luigi Apicella. La richiesta è stata avanzata al Consiglio Superiore della Magistratura dalla procura generale presso la Corte di Cassazione. Il pm è stato protagonista nelle scorse settimane dello scontro con la procura di Catanzaro legato alle inchieste dell’ex pm del capoluogo calabrese Luigi De Magistris. La sezione disciplinare del Csm esaminerà la richiesta il prossimo 10 gennaio.

Istat: il lavoro fa ammalare 10 milioni di italiani Sono oltre 10 milioni gli occupati, pari al 44% del totale, che percepiscono nello svolgimento del proprio lavoro la presenza di almeno un fattore di rischio per la propria salute. Lo riferisce uno studio dell’Istat su salute e sicurezza sul lavoro. In particolare 8.706.000 di lavoratori avvertono la presenza di fattori di rischio che possono compromettere la salute fisica, mentre sono in 4.058.000 a ritenere di essere esposti a rischi che potrebbero pregiudicare l’equilibrio psicologico.


economia

30 dicembre 2008 • pagina 7

A fianco, la sede centrale di Unicredit di piazza Cordusio. Gli storici istituti del Nord sono nel mirino di imprese e governo per le prime strette sull’erogazione di crediti alle imprese manifatturiere (foto in basso) dell’area, che hanno sempre avuto un rapporto privilegiato con le banche. Indipendentemente che fossero nomi come Comit o Sanpaolo o le radicate casse di risparmio

Campanelli d’allarme. Denuncia dell’Isae: il 46,6 per cento degli imprenditori locali lamenta difficoltà nell’ottenere prestiti

Rischio credit crunch a Nordovest di Francesco Pacifico

ROMA. Non basta avere uno sportello ogni 1.400 abitanti. O poter contare sue due colossi che – al netto della crisi – valgono in Borsa almeno 30 miliardi di euro l’uno. E che restano le prime due banche del Paese. È nel Nordovest – macroarea che ha visto nascere nomi come Comit, Credito italiano o il Sanpaolo – che è più difficile l’accesso al credito. Lo ha denunciato il 46,4 per cento degli imprenditori intervistati dall’Isae nel rapporto mensile sulla fiducia delle aziende italiane. E se a livello

tore generale di SanIntesa, Pietro Modiano, diceva che «come è alto lo strepitio delle imprese così cresce la liquidità alle stesse. Il tutto attiene alla paura più che a condizioni oggettive». Al riguardo aggiunge il presidente dell’Aifi, l’associazione che raccoglie le realtà del private equity: «Le banche non hanno fatto una stretta, anche perché il nostro sistema finanziario, che è sottocapitalizzato, ha al mondo il più alto rapporto tra crediti erogati e totale dei propri attivi. D’altro lato Bankitalia prima e il governo dopo hanno imposto loro più alti li-

gno, vista la ritrosia di americani e russi a fare acquisti, o all’indotto dell’automobile. Regge chi fa beni strumentali, perché sta lavorando su ordinativi pregressi, già calati del 30-40 per cento. Ma risentirà della crisi in primavera».

stanti dai loro clienti. Ne hanno verticalizzato la gestione. Mentre le realtà più piccole, tipo quelle del credito cooperativo, mantengono una relazione con il territorio». Per concludere sull’ex piazza Castello che «fuori da Torino la parola Sanpaolo non si ascolta più». A ben guardare il Nordovest – anche perché più stabile rispetto all’altro motore nazionale, il Nordest – garantisce tassi di sofferenza del 4,3 per cento contro il 5,6 del Sud. Eppure piccole e medie imprese dell’area hanno visto arretrare gli investimenti dell’8,7 a fronte di

Soltanto in Piemonte ci sono 14 grandi crisi aziendali di altrettante Pmi, che hanno spinto politica, impresa e sindacati a sedersi allo stesso tavolo per trovare una soluzione. Proprio a realtà intermedie come queste, il presidente dell’Aifi ricorda che «si riesce a trovare cre-

un rischio contenuto. Giampio Bracchi, presidente dell’Aifi e numero della Milano-Serravalle, segnala che maggiori difficoltà li «registrano i comparti più legati alle esportazioni e quelli con una rigidità produttiva. Penso al le-

dito per le operazioni di taglie medie, fino a 40 milioni di euro. Di conseguenza le Pmi potrebbero aprirsi al private equity e non soltanto al capitale di debito per finanziarsi». Ripercussioni non mancherebbero neanche per i più grandi.

I comparti più colpiti sono l’automotive e la lavorazione del legno. Bracchi (Aifi): «Un successo mantenere le esposizioni attuali». Squinzi (Mapei): «Ci sono già ritardi nei pagamenti» nazionale la fiducia è crollata fino 66,6 punti, nel Nordovest fa temere che il 12,7 per cento delle aziende si sia vista rifiutare un prestito o un mutuo negli ultimi mesi. Qualcosa di impensabile in un’area che molto prima della nascita dei grandi conglomerati bancari ha stretto un patto di mutua assistenza con le efficienti casse di risparmio. In una parte di Paese che produce Pil per 450 miliardi di euro e che incide per il 31,6 per cento sulla ricchezza nazionale. Difficile capire se si è di fronte a sentori di credit crunch. Nel pieno della crisi l’ex diret-

velli di patrimonializzazione, le difficoltà sono in fase di rinegoziazione del debito, di conseguenza è già un successo mantenere l’attuale monte prestiti. Fatto sta che proprio la defenestrazione di Modiano da Ca’ de Sass è stata l’occasione per la politica torinese e per alcuni azionisti pubblici di chiedere ai “milanesi” Corrado Passera e Giovanni Bazoli un riequilibrio tra Lombardia e Piemonte.

Spiega Bruno Manghi, sociologo del lavoro e soprattutto consigliere della Compagnia di San Paolo: «Le fusioni bancarie hanno reso gli istituti più di-

Giorgio Squinzi, patron di un colosso come Mapei e leader di Federchimica, nota «che al momento si registrano rallentamenti nei pagamenti da parte di alcune imprese, soprattutto le piccole e le medie». E la cosa non può che non essere collegata «con le difficoltà che hanno queste realtà di accedere al credito. Da parte delle banche serve una rinconversione a U: o si lavora come un tempo oppure conosceremo il credit crunch all’inizio del 2009».

Le banche, in verità, stanno provando a invertire la rotta e a concentrare più attenzione sulle Pmi. L’esempio migliore l’ha fornito Unicredit – l’unica banca italiana impelagata con titolo tossici –, quando qualche settimana fa ha lanciato i comitati locali. Soprattutto si studiano mosse per affrontare al meglio il primo e il secondo trimestre del prossimo anno, quando inizierà una fase ancora più critica. Spiega un banchiere del Nordovest: «Finora non c’è stata restrizione nell’offerta di crescita anche perché non è salita la domanda. Salvo spaventarsi, le parti, banche e aziende sono ferme. Diverso il discorso tra sei mesi, quando peseranno il calo degli ordinativi e degli investimenti». E in questa fase «il primo effetto sarà che le grandi imprese rallenteranno il pagamento dei loro fornitori per avere soldi in cassa, mentre le banche alzeranno il livello di guardia».


in edicola il secondo numero del 2008

I QUADERNI DI LIBERAL Alla fine dell’anno nero del mercato e delle borse, la risposta agli interrogativi più urgenti della nostra epoca • Dio ci salvi dal New Deal • L’enigma delle banche • Paradosso! Più Stato e più mercato • Pinocchio a Wall Street • La crisi non è di sistema • La vera chance dell’Europa • Il capitalismo di massa • Meno figli meno sviluppo • Cronaca di un disastro annunciato Giuliano Cazzola, Enrico Cisnetto, Pierre Chiartano, Giancarlo Galli, Jacques Garello, Ettore Gotti Tedeschi, Carlo Pelanda, Michele Salvati, Carlo Secchi


SPECIALE

L’OROSCOPO DELL’ITALIA

Previsioni, consigli (e speranze) Come sarà il nostro 2009

Ariete • John Elkann Toro • Luciano Benetton Gemelli • Francesco Rutelli Cancro • Walter Veltroni Leone • Giulio Tremonti Vergine • Umberto Bossi Bilancia • Silvio Berlusconi Scorpione • Pupi Avati Sagittario • Pier Ferdinando Casini Capricorno • Gianfranco Fini Acquario • Cesare Geronzi Pesci • Paolo Mieli

Gianfranco Polillo di Carlo Lottieri di Francesco D’Onofrio di Savino Pezzotta di Bruno Tabacci di Giuseppe Baiocchi di Gennaro Malgieri di Alessandro Boschi di Renzo Foa di Andrea Mancia di Alessandro D’Amato di Sergio Valzania di

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L’OROSCOPO DELL’ITALIA 2009 Ariete

John Elkann (NEW YORK - 1 APRILE 1976)

Un matrimonio (riparatore) di Gianfranco Polillo osa augurare ad un giovane - John Jacob Philip Elkann - che, a 32 anni, è presidente di tutto, fuorché della Fiat di cui è “solo”vicepresidente? Il minimo è che possa continuare nella strada già intrapresa. Che gli astri, nonostante un oroscopo venato da luci ed ombre, gli siano ancora favorevoli. Gli garantiscano l’energia sufficiente per affrontare i non facili problemi che gli sono di fronte. I primi mesi del 2009 avranno, ancora, delle code velenose. La fusione di Ifil in

C

te e rampollo di una nobile famiglia, avrà sangue nelle vene e doti di condottiero. I collaterali non sono cattivi. La Fiat, nonostante la crisi, presenta i conti in ordine. Lo stesso Elkann ha fatto balenare l’idea che la casa automobilistica può reggere ad una flessione del mercato pari al 20 per cento, rispetto all’anno appena terminato. Gioca a suo favore un utile, finora accantonato, di oltre 3 miliardi di euro. Exor Group ha nella pancia liquidità per un altro miliardo di euro. La crisi americana potrebbe addolcirsi grazie agli interventi che Obama dovrà decidere per sostenere il settore dell’auto. Insomma: la situazione è difficile, ma non c’è nessuna catastrofe all’orizzonte. Non è la prima volta, del resto, che l’economia mondiale vive un periodo di crisi profonda. E’ già avvenuto nel 1983 e nel 1992. E da quel baratro siamo venuti fuori. L’importante è di non rimanere con le mani in mano. Ma cogliere la necessità e l’opportunità del cambiamento.

rità si avrà solo in primavera.

Dicono che nei primi giorni di aprile Marte si opporrà a Saturno ed allora tutto diverrà più difficile. Fantasie da Medioevo. Quello che invece appare più certo è che in quei giorni la crisi finanziaria, che gela il cuore dell’Occidente, avrà raggiunto il suo possibile apogeo. Ed allora tutti i nodi verranno al pettine. Ci vorrà sangue freddo per compiere le scelte necessarie ed avere lo sguardo lungo. Capace

Dovrà guidare l’apertura a un partner straniero, se necessario accettando un ruolo di minoranza Ifi, per dar luogo al grande Exor Group, ha lasciato sul campo più di un malumore. Azionisti scontenti che, nell’assemblea che doveva preparare il grande evento, hanno votato contro. Mentre il titolo Ifi, in borsa, subiva una piccola disfatta. L’operazione si completerà nei prossimi giorni: il periodo più favorevole ai nati nel segno dell’Ariete. Ma il momento della ve-

di cogliere non il movimento imperscrutabile degli astri, ma quello non meno difficile dei mercati. Si tratterà allora di decidere se un vecchio impero industriale – quello di Fiat – deve ancora rimanere tale. O non dovrà, invece, essere portato in dote per un possibile matrimonio. Al giovane Jaki competono quindi scelte difficili. Si vedrà allora se l’Ingegnere, figlio d’ar-

Per Fiat non sarà diverso. Sergio Marchionne ha già reso

Toro

pubbliche le sue previsioni. Nei prossimi anni, l’industria automobilistica non potrà non subire un energico processo di concentrazione. Alla fine di quel travaglio si conteranno solo 4 o 5 grandi gruppi internazionali. Fiat vuol restare nella partita. Ed il giovane Elkann non si fa soverchie illusioni. Fino a prefigurare l’ipotesi di ammainare la vecchia bandiera.

Se necessario, consentirà all’eventuale matrimonio, accettando anche un ruolo di minoranza. L’importante è trovare il partner giusto. Cosa non facile in questi tempi di raggiri. In cui grandi manager – si pensi solo a Madoff – hanno mostrato al mondo il lato oscuro del loro carattere. Certo, l’industria non è la finanza. La complessità della sua struttura si presta meno alle manipolazioni contabili, ma la scelta rimane ugualmente difficile ed impegnativa. E se le stelle non sembrano favorevoli – stando almeno all’oroscopo dei nati i primi giorni di aprile – resta però il peso, nonostante la giovane età, dell’esperienza maturata.

Luciano Benetton (TREVISO - 13 MAGGIO 1935)

Decidersi tra mercato e Stato di Carlo Lottieri

eader di un’azienda che (anche grazie alle campagne pubblicitarie firmate da Oliviero Toscani) si è affermata a livello globale come un marchio che sa fare profitti imponendo pure un proprio personalissimo stile, Luciano Benetton è nato sotto il segno del Toro. E fin da qui appare chiaro come il suo successo fosse scritto nelle stelle fin dalla nascita.

L

Il più anziano dei quattro fratelli veneti che hanno dato vita al gruppo (un tempo focalizzato nell’abbigliamento, ma ora con investimenti in varie direzioni) potrebbe conoscere un 2009 ricco di novità positive, a dispetto del fatto che lo scenario globale sia segnato dall’incertezza. In virtù della presenza di Plutone nel suo elemento, l’imprenditore trevisano potrebbe collocarsi in quella ristretta cerchia di capitalisti che riescono a sfruttare le opportunità delle crisi dopo aver saputo mettere fieno in cascina nelle fasi espansive. Perché non c’è dubbio che vi sono buoni affari da realizzare negli anni di vacche magre come ce ne sono in quelli di vacche grasse. D’altra parte, pa-

re che il 2008 – per molti un vero annus horribilis – non sia stato negativo per il Benetton Group. Tutt’altro. I dati dei primi nove mesi mostrano ricavi netti in crescita del 4,3% (1.534 milioni di euro), e questo attesta che nemmeno la rivalutazione dell’euro sul dollaro ha più che tanto ostacolato l’espansione negli Usa del marchio italiano. Ma l’anno a venire dovrà soprattutto far comprendere agli osservatori se – superate le trappole di un 2008 bisestile, ma non funesto – il nuovo Big Luciano dell’Italian jet-set vorrà candidarsi a essere il miglior imprenditore di mercato, oppure se si accontenterà di molto meno, iscrivendosi anch’egli (e definitivamente) alla scuola dei rentier della razza italica. Dovrà decidere se essere più affermato tra i borghesi piccoli e medi del Nord-Est rampante, oppure se intende ereditare il ruolo simil-nobiliare che già fu di Gianni Agnelli: riducendosi ad essere un imprenditore nutrito di politica, un borghese in cerca di titoli araldici di marca parastale, tanto abile nell’intercettare monopoli in libera uscita quanto cinico nell’incamerare

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slot-machine consegnategli da amministratori pubblici di consolidata amicizia. L’indecisione dettata da Giove potrebbe trattenere Benetton – una volta di più – a metà del guado. E così gli astri ci sembrano dire che egli permarrà un capitano d’industria tra i meglio attrezzati a sfruttare le occasioni dell’economia globalizzata, ma pure assai attento ad incistarsi nel cuore del sistema politico-economico nazionale. Bisogna infatti ri-

menti e ricerca, in direzione di un’internazionalizzazione sempre più necessaria e soprattutto in vista della soddisfazione dei consumatori), da un lato, e l’opportunità di sviluppare quel nuovo “modello Fiat”, centrato sull’amplia-

L’imprenditore veneto in bilico tra vero business e ricerca di protezioni “politiche” cordare che, grazie a Sintonia Spa, da tempo egli controlla Autostrade per l’Italia e ha pure rilevanti interessi nelle Grandi Stazioni e in vari aeroporti. Per non parlare della ristorazione riservata ai viaggiatori e, new entry di non poco rilievo, nella nuova Alitalia guidata da Roberto Colaninno.

I legami con i segni di terra e di aria lasciano quindi pensare che, anche nell’anno a venire, il nodo non verrà sciolto. La scelta tra un modello imprenditoriale davvero di mercato (basato su investi-

mento della gestione di attività ex-pubbliche e spesso ancora monopoliste, dall’altro, resterà un dato costante anche nel 2009. Facendo di Benetton, e forse definitivamente, un capitalista italiano a tutto tondo.


L’OROSCOPO DELL’ITALIA 2009 Gemelli

Francesco Rutelli (ROMA - 14 GIUGNO 1954)

Cercate un nuovo Ambiente! di Francesco D’Onofrio mondo intero proprio su questo punto sarà stata all’origine della convergenza delle stelle sul tema dell’ambiente considerato come tema dominante del 2009. L’Italia avrà bisogno pertanto di gente coraggiosa capace di combinare il risanamento ambientale con le esigenze della produzione, perché è di tutta evidenza che da un lato l’ambiente non è più un lusso e dall’altro non può essere l’utopia

embra che finalmente, nell’anno 2009, l’oroscopo dei Gemelli riesca a mettere insieme le prospettive del lavoro, degli amori e della salute dei nati sotto questo segno: l’Ambiente! La grande crisi che anche l’Italia attraverserà nel 2009 sarà innanzitutto una crisi dell’occupazione e quindi del lavoro. Sarà necessario darsi da fare per cercare molti nuovi lavori produttivi senza limitarsi a far lavorare la gente per scopi inutili. E l’Ambiente sembra proprio il campo giusto in cui creare molti, positivi e nuovi posti di lavoro.

S

Per quel che concerne l’amore è ormai certo che per voi non vi sarà nessun trigono tra Plutone e Nettuno, mentre Venere vi sorride dall’alto di un cielo ricco di stelle. E non vi è ambiente più idoneo di questo per gli innamorati. Soltanto coloro che si dedicheranno ad una rigorosa tutela dell’ambiente personale ed esterno, non soffriranno di alcuna patologia del corpo o della mente. Se gli antichi dicevano mens sana in corpore sano, in

leanze politiche fondate su valori scelti da altri: chi vuole essere protagonista – e tu Gemelli sei nato per essere leader – ha posto per tempo la questione del “conio”delle alleanze: non si tratta soltanto di una questione di eleganza formale, ma di una questione di sostanza culturale e politica: e nulla più dell’Ambiente ha le caratteristiche per essere sostanza e non forma.

Il 2009 sarà certo quello delle politiche ecologiste, ma Francesco pensi davvero a ”nuove alleanze” fondo erano dei veri e propri ambientalisti.

E nessuno più di Francesco Rutelli potrà essere entusiasta per quel che le stelle prevedono per il 2009, perché, dopo tantissimi anni di tribolata esistenza degli ambientalisti – dapprima irrisi quasi da tutti; in seguito accolti con sufficienza a destra, al centro e a sinistra; ed infine in grande difficoltà perché l’ambientalismo sembra diventato patrimonio essenziale della si-

nistra alternativa – è finalmente venuto il tempo che farà dell’ambientalismo puro e duro il punto centrale della politica mondiale, o quanto meno dell’intero Occidente. Se infatti si legge con attenzione il programma strategico di Barack Hussein Obama, si vede che gli investimenti straordinari sono destinati proprio al tema dell’ambiente visto come capace di dare risposte alternative alle fonti di energia tradizionali. La sfida che Obama porrà al

Cancro

di una palingenesi mondiale destinata ad affascinare soltanto gli utopisti. Ma tu, caro Rutelli, sai bene che nell’alleanza politica denominata del “Partito democratico” il tuo ambientalismo non riesce ad imporsi rispetto all’ambientalismo della sinistra alternativa, proprio perché è questo il vero punto di intersezione tra strategia dell’alternativa e strategia riformista. Le stelle ti stanno dando ragione. Ormai non è più tempo di al-

Se tu pertanto, caro Francesco, vorrai cercare di essere protagonista e non soltanto comprimario, per di più tollerato e persino talvolta definito spurio, dovrai molto presto sciogliere il nodo del conio delle alleanze: vecchio o nuovo? Le stelle ti consigliano di non avere nessuna preoccupazione: per far vincere il tuo Ambientalismo non dovrai aver paura persino di rompere qualche giocattolo.

Walter Veltroni (ROMA - 3 LUGLIO 1955)

È l’anno della scelta decisiva di Savino Pezzotta ome tutti i nati sotto questa costellazione, Veltroni si presenta abile, intelligente, duttile e dotato di senso pratico. Nel 2009 dovrebbe sfruttare bene le qualità intuitive che l’ascendente gli regala con grande generosità e che gli consente di contenere la tipica suscettibilità cancerina entro limiti di ragionevolezza. Ciò nonostante sarà costretto ad abbandonare un certo narcisismo, e la convinzione che fino a oggi l’ha accompagnato, di essere investito da una missione da compiere e che pertanto ma non deve dimenticare che, come tutti coloro che nascono sotto questo segno, deve uscire dalle incertezze per decidere cosa vuole veramente. Cosa che per un cancerino è alquanto difficile.

C

Una lettura attenta delle congiunzioni astrali ci dice che nel 2009 la sua sfida politico-astrologica sarà esattamente quella di decidere dove e con chi vuole andare. Non è facile, dopo la quarta sconfitta elettorale (Politiche, Regionali siciliane, Roma, Abruzzo), è giunto a un punto di non ritorno e deve decidere senza sfuggire ai problemi correndo in avanti. Secondo gli astri nel 2009 il Pd dovrà definirsi e uscire dalla retorica del partito nuovo e moralmente diverso. I fatti di questi giorni mostrano che nessuno è mai nuovo e che la corruzione alligni anche dove meno si aspetta. Saranno perciò costretti ad abbandonare il “perfettismo” e la “differenza”

che hanno ereditato per decidere cosa realmente sono.

Le stelle e le ascendenze varie non possono risolvere quello che è risolvibile solo dagli uomini. Finché il dibattito interno sarà solo tra ex Pci, ex Pds, ex Ds senza la non partecipazione logicamente impossibile per diversità di impostazione culturale degli ex popolari e con i prodiani in posizione critica, non si andrà molto lontano e diventa facile prevedere una continua

Il leader del Pd dovrà abbandonare l’illusione del bipartitismo e costante fibrillazione. Non sarà nemmeno in grado di decidere le alleanze e le separazioni. Del resto credo sia molto difficile produrre alberi nuovi innestando olivi e margherite sulle querce. Questo avviene nei racconti di fantascienza. Nella realtà ogni pianta ha delle sue specificità. Sempre l’oroscopo dice che sarà costretto a oscillare tra l’evocazione del dialogo e la tentazione dello scontro continuo. Gli astri e le loro congiunzioni, alla luce delle ultime dichiarazioni e le propensioni presidenzialistiche del Presidente del Consiglio, indicano a Walter l’opportunità di decidere di non essere l’ombra dell’at-

tuale governo e di impostare un nuovo modo di fare opposizione. Al Paese e alla nostra democrazia serve un’opposizione governante e non alternativista come quella di Di Pietro; serve un’opposizione in evidenza e non in ombra, ma questo esige scelte precise e un raccordo tra le opposizioni che non sia finalizzato esclusivamente alle alleanze elettorali ma a far governare meglio l’Italia. Per Walter il 2009 sarà l’anno delle scelte fondamentali, senza più nascondimenti. Se lo augurano le stelle ma soprattutto gli italiani. Quest’anno le stelle spingeranno tutti a non sentirsi più perfettamente soddisfatti nel proprio guscio, a concentrarsi sul presente, a definire chi siamo e dove vogliamo andare se non vogliamo consegnare in eterno il Paese alla deriva presidenzialistica e monocratica. Spingeranno verso un patto nazionale per fare fronte unitariamente, a senza confusioni di ruoli, alla crisi.

Il segno di Veltroni appartiene ai romantici dello zodiaco. Per questo invoca costantemente il nuovo tenendosi legato al passato e alla cura del proprio nido, anche se il mondo intorno sta cambiando ed esige più limpidezza che ombre. Finalmente abbandonerà le tentazioni bipartitiche perché la congiunzione in Giove, con la sua spinta al futuro, farà generare la consapevolezza dell’inadeguatezza delle strade fin ora seguite.

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L’OROSCOPO DELL’ITALIA 2009 Leone

Giulio Tremonti (SONDRIO - 18 AGOSTO 1947)

L’eterno nemico, la presunzione di Bruno Tabacci

uguro al ministro Giulio Tremonti un 2009 meno duro di quello che è ragionevole attendersi. Ovviamente questo augurio è in relazione stretta con le preoccupazioni degli italiani, in particolare di quelli che si trovano ad affrontare le situazioni più difficili e disagiate. Penso che il ministro Tremonti resterà in sella, an-

A

ni che non sono state mai del tutto chiarite. Tutto questo non significa che le cose andranno bene anche per il nostro Paese, che dovrà invece affrontare una congiuntura economica e sociale, forse la più grave e profonda dal 1945 ad oggi. Ma si può restare al governo per ragioni obiettive derivanti dalla condizione politica del Paese e non riuscire a gettare le basi per quella grande rico-

Solo se saprà armarsi della corazza dell’umiltà, riuscirà a resistere e forse anche a convincere che perché dell’attuale governo Berlusconi è indubbiamente il più capace, fino al punto da suscitare qualche preoccupazione nello stesso presidente del Consiglio.

In altri termini non gli capiterà una replica del 2004, quando fu sostituito per ragio-

struzione morale e civile di cui gli italiani avrebbero assoluta necessità.

Ora, se gli astri sembrano delineare per Tremonti un percorso di continuità, è necessario che egli si guardi dai rischi di cui è disseminato il suo cammino. Anche personali. Intanto non gli giova questa polemica, sotterranea in Ita-

Vergine

lia, ma esplicita all’estero, con il governatore della Banca d’Italia Draghi. L’invidia, ovvero la sospettosa preoccupazione per il ruolo internazionale di Draghi è uno stato d’animo dal quale deve guardarsi: è indice di debolezza, non di quella forza che pure dovrebbe derivare dal vedere concentrate nelle proprie mani le leve decisive del potere dell’intero governo. E poi lo accom pa gna un eccesso di presunzione, come se tutto quello che è avvenuto l’avesse davvero previsto. Poiché non è così, l’armarsi della corazza dell’umiltà diventa una condizione obbligata e gli suggerisce di accettare gli interlocutori più scomodi, vincendo la tentazione così diffusa e praticata dal suo capo di attorniarsi di signorsì e di privilegiare solo quelli che gli danno ragione. È un tem po di gr andi contraddizioni, in cui anche le sicurezze più granitiche vengo-

no messe a dura prova. Se il Ministro Tremonti riesce a condividere questa condizione, allora la sua continuità governativa potrà essere utile per il Paese, diversamente avrà effetti negativi sugli interessi generali.

In conc lusione, nel 20 09 Giulio Tremonti resterà al suo posto, ma questo si rivelerà utile per l’Italia soltanto se saprà mettersi in dicussione e aprirsi ai tanti italiani che non gli hanno dato (e non gli danno) ragione, ma magari vorrebbero potergliela dare. E forse, più che insistere sugli effetti annuncio di un Robin Hood tanto effimero quanto provinciale, sarà necessario che il ministro si applichi ad una rigorosa ristrutturazione della spesa pubblica, passando dai tagli lineari, che non servono a niente, a quelli mirati e puntuali; e che si faccia paladino delle vere riforme strutturali, che hanno anche un valore civico, di cui il Paese ha realmente bisogno.

Umberto Bossi (CASSANO MAGNAGO - 19 SETTEMBRE 1941)

C’è una grande svolta nell’aria di Giuseppe Baiocchi Bossi sono piante arboree robuste e tenaci, che attecchiscono anche su terreni poveri e, da sempreverdi regolati a forma di siepe da mano umana, sono elemento naturale del paesaggio italiano di pianura e di collina.

I

L’unico vero nemico che hanno è il peso della neve, che se eccessiva e bagnata, li abbatte e li schianta. In tempi di “global warming”, con il riscaldamento dei ghiacci e le alte e scomposte grida sulla desertificazione imminente, il futuro dei Bossi appare sicuro e consolidato: ma le nevicate, stranamente, non sono scomparse: e forse i prodromi del 2009 si preparano ad essere sul clima ben più “dispettosi” della vulgata pseudoscientifica sull’allarme climatico. E ai Bossi fanno già male le gelate dell’economia, laddove la crisi finanziaria e il conseguente interventismo degli Stati nazionali stempera e allontana le esigenze di autonomia delle “piccole patrie”alle quali la rivoluzione federalista doveva dare equità e innovazione, anche se contenuta nei limiti angusti della fiscalità. Certo, il federalismo fiscale, quasi per estenuazione politica, si farà: e tuttavia sarà un lento percorso di redistribuzione di quote di imposta, con la prospettiva realisti-

ca di impiegare minimo nove anni per arrivare a regime. Una risposta purchessia alla sempre più folta armata pacifica di sindaci e assessori che costituiscono dal territorio il nerbo dell’espansione leghista. Ma forse “il Bossi” si aspetta e prepara qualcosa di più: con quell’istinto da “animale politico” che ormai tutti gli riconoscono, vede sbriciolarsi in tempi molto più rapidi del previsto la sponda politica che poteva fargli da leva per muovere la sedentarietà di un’alleanza di governo che gli sembra solo specchiarsi nella contemplazione della sua forza. E’ il rapporto di amore-odio con la sinistra (che l’ha sempre vituperato perché entrava da profeta e da facile vincitore nei pascoli popolari un tempo recinto esclusivo del mito di classe) che giunge al suo traguardo lungamente agognato, quello cioè di renderla esecutrice docile e tutto sommato culturalmente subalterna di un’azione davvero riformatrice: ma quando i tempi sono finalmente maturi, ci sarà ancora quando serve il contrafforte dal quale prendersi la spinta? Oppure, nel declino confuso in cui si consuma la alterigia autoreferenziale di una sinistra che le ha

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sbagliate tutte, si troverà di fronte soltanto il suo unico e tardivo imitatore, quel Di Pietro popolaresco e determinato che l’aveva pizzicato (e fatto condannare – unico leader di partito – nel lontano 1993 nel processo Enimont) e che ripercorre e installa nelle contrade impiegatizie meri-

le alle Europee, sfatando la tradizione. Ma è soprattutto sul territorio (in quelle amministrative dove voterà mezza Italia) che si prepara ad incassare un consenso cospicuo in competizione con il Pdl, meno presente e meno radicato nel tessuto dell’immensa provincia non solo padana ma forse anche nazionale.

La difesa a spada tratta delle Province, l’attenzione ai settori protetti come l’a-

Il timore di non raggiungere il federalismo potrà imporgli qualche “colpo di testa” dionali la brutta copia della Lega? Il dilemma non è da poco: e pure, per logico contrasto, al suo innato movimentismo è da presupporre che sovrapponga la quiete rassicurante di una inedita saggezza, che l’incipiente canizie finisce alla lunga per avvalorare, circondato com’è da un cerchio di corrusche badanti. Almeno fino al voto di tarda primavera: forse, per la prima volta nella sua ormai lunga storia, la Lega non andrà ma-

gricoltura, e la gestione in proprio della sicurezza e dei problemi dell’immigrazione stanno definendo i caratteri sempre più conservativi di un movimento che si proclamava rivoluzionario e che ha superato da tempo la condizione di “stato nascente” per strutturarsi come l’unico vero apparato politico. E non è da escludere che, quando si riapriranno, dopo il voto, i margini di manovra, il Senatur non rispolveri in sostanza uno slogan che serviva all’inizio a rassicurare quei ceti medi incuriositi e disponibili alle riforme: «La Lega è la nuova Dc…».


L’OROSCOPO DELL’ITALIA 2009 Bilancia

Silvio Berlusconi (MILANO - 29 SETTEMBRE 1936)

Alt, l’ottimismo può ingannare di Gennaro Malgieri l nuovo anno sarà particolarmente impegnativo per Silvio Berlusconi. Non che quelli passati non lo siano stati, naturalmente. Tuttavia, il 2009 si presenta offuscato dalle nebbie di una crisi economica senza precedenti nella storia recente e dalle sue conseguenze che non mancheranno di avere risvolti dolorosi non soltanto per il nostro Paese.

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L’acuirsi di un disagio generalizzato e di un impoverimento difficilmente fronteggiabile, in Italia come nel resto dell’Occidente, imporranno l’adozione di misure eccezionali, non sempre comprese e accettate, ma anche il mutamento di stili di vita improntati ad una maggiore sobrietà. A questo intreccio tra politica e costume, non potrà dirsi, per ovvie ragioni, estraneo il governo. E, dunque, Berlusconi in prima persona. Il quale, come si sa, per carattere, è poco incline al pessimismo e all’assunzione di politiche rigoriste. Non di meno dovrà acconciarsi in modo tale da far capire agli italiani che la severità è la sola arma a di-

sposizione dei popoli che vogliono risalire la china. E perciò l’ottimismo di maniera, sfoggiato spesso e volentieri dal presidente del Consiglio, dovrebbe essere bandito. Intendiamoci: la speranza che la situazione migliori è negli auspici di tutti. Ma invitare ossessivamente a essere ottimisti, per quanto lo si faccia in buona fede, non credo che aiuti. Un sano pessimismo della ragione potrà indurre i cittadini a prendere la disperazione per affrontare e superare le difficoltà, com’è accaduto in altre epoche della nostra storia. Diversamente, ritenere che comunque le cose si aggiusteranno strada facendo, senza che intervengano sacrifici necessari e mutamenti nella sfera individuale e collettiva, significa condannarsi ad una peregrinazione eccessivamente lunga tra i

vo per esserlo considerando la gestazione della nuova creatura politica la quale non mi sembra che partorisca dalla calda discussione delle idee, ma da una negoziazione burocratica, mentre il suo promotore potrebbe imprimere all’operazione, se lo volesse, linfa nuova, una passione insomma che finora non s’è vista (e chi sostiene il contrario mente). Un partito neces-

nell’opinione pubblica e nella società politica un sano riformismo nel quale iscrivere, tra l’altro, anche il presidenzialismo. Non basta un annuncio, a margine di una conferenza stampa, per immaginare un percorso già compiuto. Occorre il coinvolgimento di vaste e consapevoli platee. Perché Berlusconi non s’intesta la promozione di un’Assemblea costituente che,

Sia nella gestione della crisi che nella nascita del Pdl, il Cavaliere vincerà solo con il realismo

disagi. Allora, presidente, giù l’ottimismo e si aggrappi al realismo che non sarà piacevole come il sogno che avrebbe voluto regalare agli italiani, ma in questo momento noi tutti siamo quasi costretti ad apprezzare la sincerità, per quanto dura essa possa apparirci.

E all’ottimismo Berlusconi non si aggrappi neppure per ciò che concerne la nascita del Pdl. Francamente non vedo il moti-

Scorpione

sita di un’anima. Francamente nel costituendo Pdl nessuno l’ha scorta. C’è ancora tempo. Berlusconi ci metta riparo se non vuole che il soggetto da lui tanto desiderato abortisca o, nella migliore delle ipotesi, faccia la fine del Pd. Non glielo auguriamo avendo sostenuto, in compagnia di una minoranza, in tempi non sospetti, la formazione di un movimento dalla vita tutt’altro che effimera. Da ultimo, mi permetto di consigliare Berlusconi di far sì che cresca

superando la logica delle maggioranze e della rissosità delle opposizioni, possa riscrivere la Carta costituzionale? E’ un tema antico che ritorna.

E un consiglio disinteressato da parte di chi, pur non essendo ottimista, ha sempre cercato di operare sapendo che per riuscire è necessario comunque intraprendere e sperare. Con intelligenza e quasi sempre con sofferenza. Buon anno, comunque presidente.

Pupi Avati (BOLOGNA - 3 NOVEMBRE 1938)

Se tutti avessero il suo genio... di Alessandro Boschi econdo quelli che se ne intendono, lo Scorpione si trova a meraviglia con il Leone. Se Pupi Avati, in quanto regista e non titolare del suddetto segno, si trovasse a meraviglia (si fosse trovato) con Leone Sergio, che Leone non era ma Capricorno, ci saremmo però piuttosto stupiti. Ma forse nemmeno troppo, in quanto non è raro che gli opposti si attraggano. Ma, a parte queste considerazioni sulle compatibilità (artistiche) di due personaggi davvero diversi, proviamo a prevedere il 2009 del maestro bolognese.

S

Daremmo per certa l’uscita di un suo film, che immaginiamo girato per almeno un mese a Cuneo. Non ce l’ha detto un commilitone di Totò, ma lo sappiamo per certo. Potrebbe essere un film di genere, alla Zeder o tipo La casa dalle finestre che ridono? Dobbiamo dirla tutta? Noi ce lo auguriamo proprio, perché a nostro modo di vedere Pupi sa davvero essere eccellente in questo tipo di film, come un vero Scorpione che sa così bene sorprendere proprio perché è difficile “da” sorprendere. Se i difetti poi sono l’essere permaloso, geloso ed eccessivamente passionale, va anche detto che i pregi sono davvero tanti. Il primo, perfetto per un regista, consiste nella continua ricerca di superare se stessi per arrivare al risultato migliore. A Pupi non difetterà l’Ego in questo 2009, statene

certi. D’altra parte uno che partorisce un film all’anno come fa lui se lo può anche permettere, e poi pazienza se i suoi leggendari “Azione!!!” gridati sul set terrorizzano cast, troupe e collaboratori vari… Ma Pupi sa sempre redimersi, e non è una battuta, in quanto non passa domenica senza che lui non varchi la soglia di una chiesa. È implacabile in questo, e anche al Lido Di Venezia, luogo notoriamente di perdizione, il nostro non se ne perde una. Ogni santa domenica, ecco, potrebbe essere il titolo del prossimo film, Oliver Stone permettendo. Di una altra cosa siamo convinti. Dal momento che lo Scorpione è dotato di ottimo intuito psicologico, è verosimile che considerando le congiunzioni astrali e soprattutto politiche del periodo che sta inaugurandosi, potrebbe accadere che qualche carica istituzionale di un certo rilievo rientri nelle possibilità future. Se così non fosse a Pupi resterebbe la musica. Resterebbe, però, è davvero riduttivo. Perché per il regista di Ma quando arrivano le ragazze e di Bix e Jazz Band la musica è molto più di un ripiego. E allora concediamoci una previsione che sia anche un augurio. Ci immaginiamo che Pupi, a causa di un naufragio durante il quale nessuno affoga o si fa male, arri-

vi ad un approdo tranquillo, un po’ come il protagonista di Onda su onda (la canzone, non il film, il film non c’è).

Qui, sull’isola, si accorgerebbe che dalla nave è arrivato, galleggiando insieme a lui e anzi salvandolo dalle acque, un grosso baule. Con dentro dei magnifici strumenti musicali, proprio quelli che servono ad una banda jazz. Poi, dopo avere stretto amicizia con gli indigeni dell’isola dei quali avrebbe con-

All’Italia serve uno scatto di competenza e di fantasia: l’esempio viene dal cinema... quistato la fiducia facendo loro vedere tutti dico tutti i suoi film (sì, dentro al baule c’era anche un lettore dvd e una tv), poi, dicevamo, insegnerebbe loro a suonare e magari anche a recitare. A quel punto, profeta in terra straniera, il 2009 risulterebbe per Pupi Avati davvero un anno fantastico. La nave che affonda, l’artista che si salva. Altro che l’orchestra del Titanic!

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L’OROSCOPO DELL’ITALIA 2009 Sagittario

Pier Ferdinando Casini (BOLOGNA - 3 DICEMBRE 1955)

Il coraggio può portare lontano di Renzo Foa cosa può aspirare Pier Ferdinando Casini nell’anno che si apre? Il leader centrista ha vissuto nel 2008 il passaggio peggiore della sua vicenda politica: alla vigilia delle elezioni si è trovato improvvisamente di fronte all’autaut berlusconiano che non poteva che respingere, è stato di conseguenza escluso dalla maggioranza di centrodestra, ha poi subito una scissione soft di eletti e di amministratori e ha dovuto ascoltare un fastidioso ritornello del presidente del Consiglio sulla scomparsa dell’Udc. Ha però resistito. Si è presentato come la seconda opposizione, distinto dal Pd ma aperto al dialogo. E ha anche gettato le basi per cogliere, nel 2009, le possibili occasioni di ritrovare un più rilevante spazio di manovra nel quadro politico italiano. In questa prospettiva, la domanda più impegnativa a cui deve dare risposta riguarda il ruolo che dopo un quindicennio, dopo lo sfortunato tentativo guidato da Mino Martinazzoli e Mario Segni nel 1994, potrebbe avere un centro tra la destra del Pdl e la sinistra moderata del Pd.

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Sarà possibile? Gli auguro di sì, anche se si tratta di un’impresa difficile in un anno che sarà contrassegnato da elezioni come

quelle europee dove – andando alle urne con la legge elettorale in vigore, che pure ha il merito di conservare la preferenza – c’è da aspettarsi una forte dispersione di voti in ogni direzione. Si tratta di un’impresa difficile fondamentalmente perché l’Udc è chiamata al compito di rifondare se stessa, di ricostruirsi magari partendo dalle fondamenta, di mostrare una forte competività, riaffermando una forte identità e cercando di occupare, appunto, uno spazio centrale in una fase, com’è questa, di grande trasformazione: tutto questo – e non è davvero poco – comporta una lotta per tentare di affermare una nuova egemonia. In parte Casini ha già aperto questo

come qualcosa in più dell’Udc che esiste in questo momento e che appare ancora come la “grande esclusa” dal centrodestra. Sull’altro versante, quello del Pdl, si può nello stesso modo ipotizzare l’apertura di un problema serio, nel momento in cui l’identità della creatura berlusconiana resta abbastanza confusa, in parte affidata ad un atto notarile ed in parte costruita sulle due gambe rappresentate dalla ancora breve storia di Alleanza nazionale e dalla predominanza di un ceppo radical-socialista, cioè il famoso partito “anarchico”di cui ha parlato il presidente del Consiglio. La domanda che si pone oggi a Casini è questa: può una nuova e più vasta formazione centrista avere un appeal in questa vasta area occupata dal Pdl che fino ad aprile aveva un dominante tratto moderato e che ora sembra esposta, anche nelle tattiche politiche, a spinte centrifughe, senza mediazioni e senza chiari valori di riferimento?

Nella perdurante crisi del sistema la difficile scelta dell’Udc potrebbe rivelarsi vincente cantiere con la costituente di centro a cui ha chiamato altre forze ed altre energie. Ma in larga parte c’è ancora tutto da fare, con un’azione a vasto raggio di fronte a quel che potrebbe rivelarsi come l’inizio della fine del disegno bipartitico (disegno, va ricordato, di cui l’Udc è stata finora la principale vittima). Su questo fronte la vera e più importante sfida riguarda la concorrenzialità con il Partito democratico, da un lato, e con il Popolo della libertà dall’altro. C’è intanto da immaginare, senza bisogno di ricorrere a sondaggi, che come già è avvenuto in questi mesi in un immediato futuro il Pd potrebbe cedere quote di energie e di consensi ad una formazione centrista capace di presentarsi

Capricorno

Il centro politico che c’è oggi ha certamente uno svantaggio, perché coincide con il ristretto spazio occupato dall’Udc, ma ha anche un grande e possibile vantaggio: esprime una cultura, rappresenta una ricerca di identità, risponde ad un bisogno diffuso di moderazione, che significa soluzione dei problemi del Paese. In altre parole: la politica. Auguro a Casini la capacità di tenere tutti questi fili e di sfruttare l’anno che si apre – che è l’anno della possibile consunzione del bipartitismo, tra seconde Tangentopoli e mancate risposte alle crisi strutturali del Paese – per ridare vitalità, appunto, alla politica e renderla più forte dell’antipolitica che sta giocando di nuovo le sue carte sia a destra che a sinistra.

Gianfranco Fini (BOLOGNA - 3 GENNAIO 1952)

Il pericolo? La subalternità di Andrea Mancia

bbandonato” da Giove già il 6 gennaio, ma aiutato dalla presenza costante di Saturno, il 2009 del Capricorno – segno zodiacale di Gianfranco Fini – avrà risvolti double-face. Se da un lato non ci saranno più echi del “furore” che ha caratterizzato gran parte del 2008, dall’altro la posizione di Venere (in congiunzione con quella di Marte) sembra promettere giorni decisivi per rimettersi in gioco e ritrovare la propria identità, un po’ offuscata nell’anno che sta per chiudersi.

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Per il presidente

porre fine alle polemiche “religiose”che hanno costellato di incidenti, più o meno gravi, il 2008. Meno scontri con la Chiesa, dunque, perché Saturno si appresta a regalare autorevolezza e maturità al segno, rendendolo maggiormente pronto ad affrontare anche le situazioni più complicate. Questo, almeno, fino a ottobre.

A ottobre, infatti, Saturno abbandona il trigono per entrare nella quadratura della decima casa (la più importante, per il Capricorno) e il quadro astrale si fa decisamente più complicato. A livello professionale ci saranno da rivedere alcune cose che sembravano

stire una crisi “esterna” causata dalla posizione di Saturno, Marte e Urano, che spingerà a rivedere non tanto il proprio modo di lavorare e di farsi carico delle cose, quando il metodo con cui vengono gestiti i rapporti interpersonali con le persone più vicine, soin prattutto ambito professionale, rapporti che i “capricorni” – come Fini – tendono spesso a sottovalutare. Con conseguenze a volte disastrose. Una gestione più matura dei rapporti interpersonali, dunque, potrebbe regalare quella solidità “sociale” sufficiente per tentare il “grande salto”. D’altronde il 2009 sembra davvero l’anno giusto per sfruttare la brillantezza portata al segno da Mercurio e, indiret-

Nel 2009 è necessario, per il presidente della Camera, cominciare a capire cosa “fare da grande”

della Camera e leader di Alleanza nazionale (o di quel che ne rimane), insomma, sarà un anno impegnativo, sia sul fronte lavorativo che su quello delle relazioni sentimentali. Tra alti e bassi, la carriera politica dovrebbe continuare a dare soddisfazioni per raggiungere vette di grande prestigio negli ultimi mesi del 2009. L’avvicendarsi di Giove con Saturno, poi, dovrebbe finalmente

scontate. E arriverà il momento per dare finalmente vita a quello “scatto di reni” decisivo per raggiungere gli obiettivi prefissati. Può essere il mese giusto, per esempio, per abbandonare una posizione di subalternità subita troppo a lungo (qualcuno ha detto “Silvio Berlusconi”?). In ogni caso, si tratterà di ge-

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tamente, da Marte. Servirà molta diplomazia, però, oltre alla capacità di entrare più facilmente in contatto con gli altri, smussando quelle durezze e quelle spigolosità che spesso rendono il Capricorno brusco e sgradevole. Mercurio è il pianeta giusto per cercare di essere più adattabili, più ironici (o meglio, autoironici), in buona sostanza maggiormente inclini verso il compromesso. Non ci sono alternative: per il raggiungere “grande obiettivo” bisogna faticare. E faticare parecchio.

Fin dai primi mesi del 2009, il transito “nervoso” di Venere nel segno genera un po’ di incertezza, ma la soluzione giusta è quella di guardarsi intorno con attenzione, per decidere quale sia il momento più efficace per agire. E per tentare l’impresa, il periodo giusto sarà certamente nella seconda metà dell’anno.


L’OROSCOPO DELL’ITALIA 2009 Acquario

Cesare Geronzi (Marino - ROMA - 15 FEBBRAIO 1935)

Gli astri dicono: non strafare! di Alessandro D’Amato er l’Acquario si annuncia un anno semplicemente straordinario: la crisi economica che è partita dall’America del moral hazard ha trovato da noi come in molti altri Paesi un capro espiatorio perfetto come il “liberismo” e il “mercatismo sfrenato”, e in più la situazione difficile della nostra economia richiederà il ritorno in auge dei cosiddetti “banchieri di sistema” e del “capitalismo assistito”. Una situazione ideale per

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dere o a trovarsi in difficoltà saranno i banchieri “di mercato”, che hanno rappresentato in questa fase storica l’alternativa al potere di Geronzi.

Primo tra tutti, quell’Alessandro Profumo con il quale lo scontro per la governance su Mediobanca era arrivato a cime altissime verso la seconda metà dell’anno appena passato, e che però ha dovuto prima fare buon viso a cattivo gioco nel momento in cui si è trovato

È riuscito ad ottenere tutto quello che voleva: a questo punto l’unico rischio è “l’onnipotenza” Geronzi, che strategico lo è stato e ci si è sempre sentito, e che lui, insieme al vecchio amiconemico Nanni Bazoli, è pronto a tornare ad assolvere.

Nel nuovo-vecchio corso, spazio quindi ai salvataggi governativi per aziende e banche in crisi e per l’imprenditoria “di Stato”: in questa visione, a ca-

a perdere la battaglia della governance su Piazzetta Cuccia (che ha visto anche il ridimensionamento forse definitivo della coppia Nagel-Pagliaro), e poi è finito travolto dall’ondata della crisi dei subprime, oggettivamente a causa di una serie di errori di gestione che potevano essere riparate. Più che la congiunzione con Nettuno (tra maggio e agosto), che certifica che vi sarà un for-

te aumento d’interesse per le questioni spirituali, mistiche e religiose, Geronzi quindi potrà guardare la costellazione del capitalismo senza capitali italiano per rallegrarsi: la sistemazione delle difficoltà di Zaleski e del Banco Popolare rafforza indirettamente anche lui, oltre che Bazoli; la partita

Pesci

di Alitalia non gli ha visto recitare un ruolo da protagonista (a causa delle resistenze dell’ad e del direttore generale), ma se alla fine la Cai si alleerà con Air France, Mediobanca potrà dire di aver contribuito a tessere la tela. E alle nuove battaglie – in primis quella della vicepresidenza di Generali – si potrà presentare confidando di avere in mano le armi giuste. Per la gioia di quelli convinti che tutto sommato lo Stato imprenditore e i banchieri-monsignori sono in grado di gestire e convogliare le poche risorse del sistema capitalistico italiano in modo più saggio di quanto possa fare il “terribile” mercato.

In più, la presenza di Giulio Tremonti all’Economia gli assicura grandi opportunità di riuscita, specialmente se il ministro continua la sua battaglia con Mario Draghi, che da Bankitalia aveva anche lui sollevato più di un’obiezione sullo strapotere del banchiere di Marino. Gli astri però consigliano a Geronzi di non cercare di strafare. Perché la berlusconizzazione di Mediobanca potrà anche costituire per lui motivo di accrescimento della sua influenza, ma in questo modo si rischia anche di romanizzare troppo un istituto che è milanese per mentalità prima ancora che per geografia. E questo non farebbe piacere non solo a Enrico Cuccia, ma anche e soprattutto a chi pensa ancora che una cosa è puntellare un sistema (che scricchiola sempre più paurosamente, e invece andrebbe rifondato), l’altro esserne troppo convinti sostenitori. E anche a coloro – ma sono pochissimi – che in Italia ancora pensano che una cosa è la politica, un’altra la finanza.

Paolo Mieli (MILANO - 25 FEBBRAIO 1949)

Media, tempo di ripensamenti di Sergio Valzania egno doppio quello dei pesci, come i Gemelli e la Bilancia. Segno d’acqua, che avvolge, unisce e accoglie. Segno invernale, mite e collaborativo, ma anche tenace e laborioso. Per l’Italia si tratta del segno del giornalismo per eccellenza, dato che il più giornalista di tutti, Paolo Mieli, direttore del Corrierone, è nato il 25 febbraio proprio nel Pesci, prima decade e quindi ancora attratto da qualche eccentricità e svagatezza da Acquario.

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Tutte doti utili a chi si occuperà di giornalismo, spettacolo e comunicazione nel 2009. Non sarà un anno di novità e di scontri frontali, di battaglie e di trasformazioni. Piuttosto di consapevolezze e ripensamenti. Perchè no, di umiltà e di riflessione. La caratteristica di segno d’acqua aiuterà i Pesci ad abbandonare le pretese da grillo parlante che parte della stampa italiana ha esibito fin troppo a lungo. A ritornare nel ruolo consapevole di lavoratori dell’informazione, consci del fatto che nella società contemporanea la comunicazione deve essere considerata una materia prima di grande valore. Neppure si può star più troppo dietro alle gerarchie. Sono stati gli storici a mescolare le carte per primi, quando hanno tolto al racconto coevo la dignità di fonte primaria e si sono anzi incaponiti per smontare le inesattezze, per non dire bugie, che narrazioni interessate contenevano. Pure la qualifica di oggetto storico di importan-

za centrale è stata messa in discussione dalla scuola degli Annales prima che dall’Isola dei Famosi. Quest’ultima ci ricorda con passione la stessa verità: decidere quali siano i fatti più significativi e importanti è difficile, e non si deve credere di essere gli unici a saperlo fare. Se Luxuria si esibisce di fronte a Santoro in atteggiamento diverso da quello che aveva con la Ventura è merito della sua intelligenza, ma anche della forza rituale che segna appuntamenti dal sapore differente. Si capisce che quello nel

si poveri stracci binari c’è poco spazio per le rivendicazioni di lignaggio. Allora val la pena di ricordare che il postino era un personaggio di rispetto in un’epoca nella quale pochi sapevano leggere, anche se non scriveva la corrispondenza che recapitava. Questo suggerisce la necessità di conquistareconsapevolezze nuove e profonde, peraltro omogenee alla natura dei pesci. Si tratta di accettare la commistione della comunicazione moderna con il giornalismo storico, accogliere le lezione di Google, You Tube e Facebook nel campo dell’interscambio.

L’informazione italiana ha bisogno di maggiore nsiderare il fatumiltà e insieme di spregiudicatezza to che ormai inCoItalia girano mipiatto è un pesce dalle posate che ci vengono fornite per mangiarlo. Allora l’informazione deve rassegnarsi e nello stesso tempo ambire a confondersi coraggiosamente con lo spettacolo, riconoscendone la fratellanza nella famiglia della comunicazione, ricordando che fra i parenti illustri va calcolata anche la sorella arte. E poi la pubblicità, la propaganda e chissà quanti altri parenti dei quali non abbiamo ancora chiara cognizione. In un’epoca nella quale fotografie e telefonate, brani musicali e ultime notizie, partite di calcio e operazioni di borsa viaggiano lungo le stesse strade telematiche indossando gli stes-

gliaia di web radio attraverso le quali è possibile incontrare qualsiasi tipo di voce e di suono. Nel mondo ce ne sono milioni. Il futuro bifronte dei Pesci sta quindi nel talento che sapranno dedicare a far convivere i giganti della comunicazione, i capodogli dell’etere e della carta stampata, con il placton che sale dalle profondità degli abissi e che a volte si organizza in forme nuove e affascinanti, riempiendo il mare della sua luminescenza cangiante.

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L’OROSCOPO DELL’ITALIA 2009 L’opinione di Barbara Massimo

Arriva l’Era dell’Acquario, vinceranno anticonformismo e Grandi Cambiamenti colloquio con Barbara Massimo di Rossella Fabiani ompasso e dati alla mano e, a partire dalla precisione dei numeri, gli studiosi di stelle, pianeti e satelliti, scrivono la loro interpretazione astrologica. Perché in una società che segue la dea Ragione, l’astrologia appaga la profonda esigenza di ogni essere umano di riappropriarsi dell’intuizione, del pensiero analogico, dell’immaginazione creativa. Nel tempo, l’arte di leggere nelle stelle ha conquistato i più svariati media, sono nati giornali dedicati all’astrologia alla quale si sono affiancate la parapsicologia, l’esoterismo, le terapie naturali, senza mai dimenticare la dimensione spirituale. Ma l’era dell’Acquario nella quale siamo entrati impone di volgere lo sguardo anche a ciò che accade nel mondo e dunque di occuparsi dell’attualità: dalla politica allo spettacolo, dalla cronaca al costume. Per questo abbiamo interpellato l’astrologa Barbara Massimo, fidanzata con il principe Scipione Borghese. Appartiene alla famiglia più antica dell’Urbe e anche d’Europa. Il motto sullo stemma è Cunctando restituit. Infatti narra la leggenda che i Massimo discendano dalla Gens Fabia a cui apparteneva Quinto Fabio Masssimo, il temporeggiatore (cunctator), vincitore di Annibale. Barbara è una studiosa della storia di Roma. Si chiama come una sua antenata Savelli che sposò un Massimo destinato a sposare Cristina di Sassonia. Questo suo avo fu il mecenate che ospitò nella sua cinquecentesca dimora un alchimista-occultista che lavorava in uno studio, chiuso dalla famosa «Porta magica» con i suoi inquietanti geroglifici ancora indecifrabili, tuttora visibili a Piazza Vittorio all’Esquilino. E allora principessa Massimo cosa dicono gli astri per il 2009? Il prossimo anno non ci sarà un segno infausto o un segno superfavorito: le stelle si mostreranno eque. E questo, a ben vedere, è già un incipit rassicurante. In questi giorni è sotto gli occhi di tutti la tragedia che si sta consumando nella striscia di Gaza. Cosa si deve aspettare Israele? Purtroppo nulla di buono. Israele è collegato al segno dei Pesci con Saturno e Urano in opposizione fino a ottobre. Questo significa un periodo turbolento fino a fine agosto. Non è una crisi che si risolverà presto. Anzi la situazione è esplosiva. Ci vorrebbe qualcuno che mediasse. Un personaggio capace di fare incontrare le parti. Questa sarà uno dei banchi di prova del nuovo presidente Usa, Barack Obama che è nato sotto il segno del Leone con ascendente in Acquario. E come sarà il 2009 per il primo presidente nero nella storia degli Stati Uniti? Il nuovo anno segnerà la rivincita degli uomini con Plutone in Vergine come è appunto Obama. Poche settimane prima della sua elezione la combinazione fra Plutone in Vergine, amante dei dettagli, e l’ascendente in Acquario, pazzo per i new media, ha funzionato al meglio. Obama ha messo su YouTube il suo primo discorso da presidente agli elettori. La sua luna in Gemelli lo rende maestro delle soluzioni bipartisan, anche se sta ricevendo critiche dalla sinistra per avere inserito nell’esecutivo nomi dell’ex governo Clinton e personalità che non sono certo progressiste, come alcuni repubblicani. Ha incontrato il suo ex rivale McCain per concertare una nuova stagione di riforme e ha nominato segretario di Stato Hillary Clinton, sua antagonista alle primarie. Come tutti gli uomini

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che ricevono protezione dalla Terra (elemento nel quale il neopresidente ha Marte, Saturno e Plutone), Obama cerca di avere al suo fianco figure femminili importanti che lo aiutino a realizzarsi. La prima donna della sua vita, sua più grande sostenitrice, è la moglie Michelle (Capricorno) e nel suo esecutivo ha affidato alle donne posizioni chiave: ha nominato l’amica e politica di Chicago, Valerie Jarret, consigliera personale, Susan Rice ambasciatore alle Nazioni Unite, Janet Napolitano ministro delI’Interno, Hillary Clinton segretario di Stato. La presidenza Obama inizierà il 20 gennaio 2009. In quel momento Nettuno in Acquario avrà da poco oltrepassato l’ascendente di Barack, a testimonianza dell’inizio di una fase importante della sua vita. Obama si presenterà messaggero di una cultura di pace e di tolleranza, anche se la presenza dei pianeti in Acquario comporta il rischio di un certo velletarismo. Nettuno potrebbe favorire significativi passi avanti nelle questioni calde: un sistema assicurativo più equo, un aiuto concreto alle famiglie in difficoltà, la battaglia contro la detenzione di armi nelle grandi città, il graduale ritiro dall’Iraq, la chiusura del carcere di Guantanamo, la ripresa dei temi ecologici. Il nuovo governo nasce sotto la luce dei valori più cari all’Acquario: tolleranza, uguali diritti, pari opportunità, rispetto delle diversità. Principessa Massimo sul fronte economico cosa dobbiamo aspettarci nel 2009? Mala tempora currunt. Dunque meglio essere tutti prudenti sul piano finanziario, indipendentemente dal segno sotto il quale si è nati. L’opposizione tra Saturno e Urano fa prevedere un impoverimento generale per il prossimo anno. Saturno è il pianeta che taglia le risorse. Quali saranno le tendenze che caratterizzeranno il nuovo anno? Giove, dopo 12 anni, (tanto dura il suo ciclo) entrerà in Acquario il 5 gennaio, questo comporterà uno sviluppo importante nel campo delle comunicazioni che diventeranno sempre più sofisticate e futuriste. I più audaci azzardano che il 2009 potrebbe essere l’anno in cui inventeranno la macchina del tempo. I più realisti invece prevedono importanti sviluppi per internet, telefonini, telecomunicazioni e, forse, satellitari per tutti. La presenza dell’Acquario, segno filantropico e contestatore, creerà grande interesse e attenzione per i diritti umani e per la tutela dell’ambiente. La foresta amazzonica avrà nuovi paladini. Anche nella moda ci sarà un ritorno ai figli dei fiori, agli hippy, seguendo la tendenza anticonvenzionale e rivoluzionaria dell’Acquario, come pure una tendenza al moderno con l’uso di platino e metallo nelle creazioni d’Alta Moda e di prêt-à-porter, seguendo in questo caso l’eccentricità e l’anticonformismo del segno d’acqua. Il 2009 vedrà anche una rivalutazione dell’astrologia e importanti nuove scoperte astronomiche. Potrebbero esserci nuovi viaggi nello spazio e forse anche si scopriranno nuovi pianeti. Con Urano in Pesci e Saturno in Vergine in opposzione ci saranno ancora problemi legati all’acqua: inondazioni, grandi piogge e frane. L’ingresso di Plutone in Capricorno, avvenuto il 27 novembre 2008 è molto importante. Plutone caratterizza le generazioni, dà le tendenze delle epoche e il suo ingresso in Capricorno ci deve mettere in guardia dal rischio di dittature, di politiche e sistemi totalitari, da despoti e da mancanza di democrazia.Tuttavia, tutto questo lo vedremo nel tempo perché Plutone è un pianeta molto lento.


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cultura

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Apocalisse. Così fu definita la tragedia più grave causata dalla natura nel continente europeo a memoria d’uomo

1908: la terra trema Cento anni fa, il violento terremoto di Messina che seppellì sotto le macerie 150mila persone di Massimo Tosti iù di ottantamila morti soltanto a Messina, che contava allora 130mila abitanti; 15mila a Reggio Calabria, un terzo della popolazione; alcune decine di migliaia nei paesi e nelle campagne circostanti. Secondo alcuni storici le vittime furono 150mila, ma i calcoli sono comunque approssimativi, in quanto non erano attendibili al cento per cento neppure i registri anagrafici, e molti andarono perduti. Fu un’apocalisse, la tragedia più grave causata dalla natura nel continente europeo a memoria d’uomo. Tutto in pochi secondi, il 28 dicembre 1908, cento anni fa. Luigi Barzini, inviato del Corriere della Sera, scris-

P

scrivere corrispondenze con un vago sapore letterario.

Nei primi giorni gli articoli erano più convulsi, dominati dall’angoscia. «Che cosa accade nelle profondità di questa terra?», si domandava un altro giornalista del Corriere, Guelfo Civinini. «È una convulsione continua, che non ha tregua, che non ha riposo, che ad ogni momento, coi suoi sobbalzi, agita in lunghi tremiti le acque e scuote lugubremente le macerie cadenti. Le giornate passano tranquille ma non appena il sole tramonta, le scosse ricominciano, sordi boati giungono dalle viscere del suolo, qualche cosa che si schianta e rovina di continuo sotto questi colli e

Più di 80mila morti soltanto nella città siciliana, che contava allora 130mila abitanti;15mila a Reggio Calabria,un terzo della popolazione;alcune decine di migliaia nei paesi e nelle campagne circostanti se: «Qualche facciata di palazzo è rimasta in piedi lungo la marina con delle finestre sfondate e gli stipiti anneriti dagl’incendi; ma dietro alla facciata è uno sfacelo. Sono delle apparenze, come quinte di un teatro tenute in piedi per nascondere gli orrori della distruzione. A chi sbarca pare che il terremoto abbia avuto una specie di pudore nel suo delitto». Annotazioni a freddo: erano già passati più di dieci giorni dal sisma, e si potevano

A destra, in alto e nella pagina a fianco, alcune drammatiche immagini di quel che rimase della città di Messina dopo il violento terremoto del 28 dicembre 1908. Sotto le macerie, solo nella città siciliana, morirono circa 80mila persone su un totale di 130mila abitanti

questo mare». Non c’era il buco dell’ozono, allora, al quale attribuire la responsabilità di qualunque sciagura naturale, dallo tsunami nel Sudest asiatico (del 26 dicembre 2004) al tifone Katrina, che rase al suolo New Orleans il 23 agosto 2005. Non c’erano neppure gli strumenti tecnici per misurare con precisione la magnitudo del terremoto e del maremoto (allora si chiamava così, e non tsunami) che cancellò Messina e Reggio. Il re, Vittorio Emanuele III, ar-

rivò sul luogo del disastro quarantotto ore dopo che si era verificato (prima di Bush a New Orleans), ma non aveva neppure lui la minima idea di quel che si potesse – o si dovesse – fare. La regina Elena si dette da fare per assistere i feriti,“tra indescrivibili scene pietose”, scrisse il ministro di Grazia e Giustizia Vittorio Emanuele Orlando al presidente del Consiglio Giovanni Giolitti che, a Roma, tentava (con scarso successo) di coordinare i soccorsi. Erano tempi antichi, nel 1908. E qualcuno paragonò i racconti dei superstiti a quelli di Plinio il Giovane sull’eruzione del Vesuvio del 79 dopo Cristo che cancellò sotto uno strato di cenere Pompei ed Ercolano. Giolitti aveva inviato nei luoghi del disastro due rappresentanti del governo: il ministro dei Lavori Pubblici Pietro Bertolini e Vittorio Emanuele Orlando, siciliano di nascita. I primi calcoli fatti sul posto avevano già accertato che i morti erano più di ottantamila. Pochissimi edifici erano rimasti in piedi. Lo scenario che si offriva ai soccorritori era spettrale. Il rischio epidemie era spaventoso, aggravato dal fatto che era chiaramente impossibile recuperare tutti i corpi rimasti sotto le macerie. Il maggiore sismologo italiano, il professor Giuseppe Mercalli, avvertì le autorità che la possibilità di trovare persone ancora vive era piuttosto alta, come dimostravano episodi precedenti storicamente accertati. Le pa-

role di Mercalli miravano a scongiurare il progetto, che raccoglieva molti consensi, di evitare le epidemie coprendo di calce tutte le macerie o, addirittura, di cannoneggiare le due città colpite dal sisma e dal successivo maremoto. Il 30 dicembre, rispondendo a un telegramma di Bertolini, Giolitti annunciò la partenza per la zona colpita del piroscafo Duca di Genova, con a bordo tremila uomini, con torce, disinfettanti, generi di necessità, medici e medicinali, ma anche una grande quantità di calce.

Il giorno precedente Giolitti (che ricopriva ad interim anche la carica di ministro degli Interni) aveva reagito con de-

plorevole nervosismo a un telegramma inviatogli dal sindaco di un paesino della Calabria (che sollecitava interventi urgenti, anche di ordine economico) scrivendo al prefetto di Catanzaro: «Voglia Vostra Signoria rivolgere sindaco Martirano severo richiamo per telegramma sconveniente da lui diretto questo ministero e vedere se sia il caso di adottare rigorose misure. Non intendendo tollerare che nuovo infortunio serva di pretesto per ingiuste e indecorose recriminazioni verso governo». L’apocalisse veniva derubricata al livello di «nuovo infortunio». Pensate se accadesse oggi. Pensate alla valanga di accuse piovute sul capo di Bush


cultura

Scrisse all’epoca il “Corriere della Sera”: «Qualche facciata di palazzo è rimasta in piedi lungo la marina con delle finestre sfondate e gli stipiti anneriti dagl’incendi;ma dietro alla facciata è uno sfacelo» dopo il disastro di New Orleans (che provocò un migliaio di morti: tantissimi, ma nulla al paragone del bilancio di Messina e Reggio Calabria). Pensate alle polemiche sul Protocollo di Kyoto e sulle responsabilità negli squilibri dell’ecosistema. Pensate ai discorsi sulla temperatura della Terra che aumenta e provoca lo scioglimento dei ghiacciai (mentre molti eminenti scienziati sostengono esattamente il contrario). Pensate a quelli che hanno scritto che l’uragano Katrina era una punizione del Cielo, contro una società avida e ingiusta, guidata da un presidente ingiusto e ignorante (riprendendo inconsapevolmente le parole del papa Clemente VIII che attribuì la più grave piena del Tevere (che, la vigilia di Natale del 1598, fece più di mille vittime a Roma) alla volontà divina di punire i peccati dei cittadini dell’Urbe.

Il vecchio spettro della Natura assassina, e guai a chi sostiene che la Natura è benevola. La stessa furia di una bomba atomica, di un’incursione dei caccia americani su Dresda, o degli Stukas tedeschi su Coventry. E anche gli uomini –

con le loro malvagità, con le loro passioni perverse, con l’odio sordo che spinge alla guerra e alla distruzione del nemico – sono creature della Natura. «Gli abitanti del mondo preindustriale», ha scritto Piero Melograni (La modernità e i suoi nemici), «si sentivano circondati da maghi, streghe, spiriti, gnomi, angeli e diavoli, poiché la presenza di tante insolite creature aiutava a spiegare le terribili minacce dell’ambiente circostante. Il grande mutamento è intervenuto allorché la gente, anziché domandarsi “chi” scatena le epidemie, i fulmini, le tempeste e i terremoti, ha iniziato a chiedersi ‘che cosa’ sono questi fenomeni naturali, trovando alcune risposte scientificamente fondate». Ed è corsa ai ripari, trovando i mezzi per prevenire (o almeno prevedere) le sciagure, e ridurne gli effetti. Un secolo fa – a Messina e Reggio Calabria – le difese erano molto più deboli di quelle di oggi. La scossa più forte, valutata al decimo grado della scala Mercalli si verificò alle 5 e 20 del mattino, per essere esatti. Ai danni della scossa sismica, di origine tettonica, si aggiunsero quelli provocati dal maremoto,

tre successive ondate che raggiunsero altezze considerevoli. Il 90 per cento dei fabbricati – sia a Messina che a Reggio – si sbriciolò. Le onde del maremoto raggiunsero i dieci metri di altezza, il terzo piano di un palazzo, e risucchiarono interi quartieri, e interi paesi sulle coste calabre e siciliane.

L’Italia intera si mobilitò, dimostrando una grande generosità. Comitati di soccorso si costituirono in Inghilterra, in Francia, in Germania e in America. Pochi giorni dopo la disgrazia fu proclamato lo stato d’assedio nelle due province, per contrastare l’opera degli sciacalli che si erano già abbandonati a ruberie e saccheggi. L’8 gennaio del 1909 la Camera dei deputati approvò lo stanziamento di 30 milioni di lire per la ricostruzione degli edifici pubblici. Per la copertura della spesa fu raddoppiata la tassa di bollo sui biglietti ferroviari e di navigazione e furono aumentate del 5 per cento le tasse sugli affari e le imposte sui terreni, sui fabbricati e sui redditi di ricchezza mobile. Il presidente del Consiglio Giovanni Giolitti, chiudendo la discussione parlamentare, disse: «I popoli forti, anziché lasciarsi abbattere dalle sventure, devono con ogni energia, proporsi di ripararvi efficacemente ed immediatamente. Messina e Reggio dovranno risorgere. È un impegno solenne che oggi

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assumono Governo e Parlamento. Ma prima che questo possa avvenire, è urgenza assoluta provvedere alle persone colpite, ricostituendo in quelle due province la vita civile, ora purtroppo distrutta». Il Mattino di Napoli del 9 gennaio 1909 raccolse questa testimonianza di un sopravvissuto: «Le scosse tutte sussultorie venivano a raffiche violente, fittissime: i mobili saltavano in aria, i vetri si rompevano con frastuono e dalle finestre entrava un vento violentissimo; il periodo sussultorio durò una ventina di secondi circa, e fino a quel momento non udii cadere nessuna casa, ma solo un grido altissimo, una invocazione suprema, un gemito di pianto che tutta Messina levava al cielo prima di morire. I muri erano sbattuti come foglie; da tutte le case e le finestre una grandine di tegole, di vasi, di parapetti, di davanzali, di cornicioni si abbatteva nelle strade con un frastuono altissimo. Subito dopo il movimento divenne ondulatorio: fu la fine di tutto. Io che prima ero lanciato in aria come una palla, fui scaraventato contro il muro: ebbi il tempo passando dinnanzi alla finestra di scorgere una visione di case crollanti, illuminate da una luce intensissima, che mi abbagliò, come quella di un’aurora boreale”. Era “la morte di Messina e di centomila persone. Poi un rotolare di pietre come il brontolio di un temporale ingrandi-

to mille volte, inframmezzato dai tonfi delle case e delle mura che cadevano e sottolineato da un coro di gemiti e di urla che durò circa mezz’ora. Gli ultimi secondi del movimento tellurico erano stati movimento vorticoso. Mi ricordo che udii cadere le campane della cattedrale, e pensai: addio Messina, addio vita; siamo morti». I superstiti ebbero la sventura di assistere anche agli scempi dei giorni seguenti, quando si cercò di deportare i superstiti per semplificare la gestione dello stato d’assedio e si moltiplicarono le fucilazioni sommarie degli sciacalli, colti a saccheggiare le abitazioni distrutte, a frugare fra le macerie per appropriarsi dei beni di chi era stato sepolto.

Le Istituzioni non si dimostrarono all’altezza del compito (che era, comunque, titanico). La gente, l’Italia intera, scoprì invece la solidarietà. Si scoprì Nazione, forse per la prima volta. Migliaia di volontari accorsero da tutta la Penisola (come accadde cinquant’anni più tardi, ai tempi dell’alluvione di Firenze). Quel terremoto fu la prima prova generale di un sentimento di appartenenza e di identità nazionale. La prova generale di quel che sarebbe accaduto pochi anni più tardi quando la migliore gioventù italiana finì in trincea, sul Piave e sulle alture del Carso, per completare l’unità nazionale.


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spettacoli

Sotto tono. Il bilancio del 2008 è sconfortante: poche emittenti radio e televisive hanno trasmesso il genere

Quel che resta del jazz di Adriano Mazzoletti

l 2008 sta volgendo al termine e tentare un bilancio di ciò che è successo nei dodici mesi appena trascorsi può rinfrancare la memoria, ma soprattutto aiuta a capire se si può archiviare il 2008, novantunesimo anniversario della nascita “ufficiale” del jazz (la prima incisione con la parola jazz risale al 1917), come un anno positivo oppure no, per questa musica.

I

In ambito discografico bisogna constatare una notevole flessione nelle vendite. Il disco nel jazz è da sempre, come abbiamo già detto più volte, ciò che la partitura rappresenta nella musica accademica, perciò è un mezzo insostituibile per comprendere il jazz nella sua evoluzione e per capire altresì l’importanza di un determinato artista. I dischi nel loro complesso hanno evidenziato una recessione notevole. Le ragioni sono molteplici, ma per quanto riguarda il jazz possiamo individuarla nei troppi dischi sul mercato e spesso di scarso interesse. Rare purtroppo le incisioni di pregio. Il disco di jazz però sta per essere colpito da un’altra “sciagura” se vogliamo chiamarla cosi. Infatti negli ultimi anni, accanto alle nuove produzioni, una notevole importanza hanno avuto e stanno avendo piccole etichette discografiche che ripropongono incisioni storiche da lungo tempo fuori catalogo di

grande interesse per lo studio approfondito di questa musica. Una legge comunitaria infatti permette di pubblicare incisioni, registrazioni radiofoniche o altre provenienti da concerti a condizione che siano trascorsi cinquant’anni dall’uscita del disco originale oppure dalla data di registrazione del concerto. Nel 2008 era possibile pubblicare liberamente opere risalenti al 1957. Una proposta di legge attualmente in di-

nale. La stampa specializzata europea e americana, non manca quasi mensilmente di dedicare ai nostri migliori musicisti ampi servizi. Ma a differenza di ciò che spesso succede in Italia l’attenzione è indirizzata verso gli autentici musicisti di jazz e non su coloro che non avendo nulla a che fare con questa musica cercano di cavalcare un momento assai propizio. Fortemente apprezzati Enrico Rava, Fabrizio Bosso, Flavio Boltro, Enrico Pieranunzi, Rosario Giuliani, ma anche Gianni Basso e Dino Piana. Fra i circa duecento festival che vengono organizzati ogni anno, la palma spetta ancora a quello di Pescara che non si è mai lasciato tentare da escursioni di dubbio gusto e soprattutto nella ricerca del facile successo di pubblico ospitando più o meno grandi star del rock o del pop.

Ma è sul piano mediatico invece che il jazz non è rappresentato come dovrebbe dato il successo di pubblico che sta ottenendo. Radio e televisione pubbliche e private brillano per la loro assenza. Solo Red tv (canale 890 di Sky Italia) in cui Gerlando Gatto ogni martedì alle 23.15 presenta “Jazz Life”, realizza l’unica trasmissione jazz nell’immenso panorama televisivo a disposizione del pubblico italiano. Grande successo stanno ottenendo, presso il pubblico giovanile di ogni città i numerosi locali notturni di jazz. A Roma ne esistono una decina. Carenza grave nell’ambito jazzistico di casa nostra è la mancanza di un vero centro di documentazione e studio dove poter raccogliere e mettere a disposizione di studiosi, studenti o semplici appassionati dischi, registrazioni radiofoniche e televisive, pubblicazioni, partiture, interviste registrate su supporto magnetico o su cartaceo di grande utilità per le molte migliaia di studenti che ogni frequentano le scuole di jazz. La totalità dei contributi pubblici vanno invece nell’organizzazione di concerti e festival, spesso di scarso interesse, che una volta terminati vengono immediatamente dimenticati. Infine in questo succinto panorama è da segnalare il disco Liebman Meets Intra che Enrico Intra e David Liebam hanno realizzato per Alfa Music (distribuzione Egea) e che ha ottenuto il Premio della critica 2008. Opera di grande rilievo che ricorda, a trentaquattro anni di distanza, un’altra importante opera di Intra, quella realizzata con Gerry Mulligan.

In ambito discografico si registra una notevole flessione nelle vendite. Mentre una proposta di legge mina la pubblicazione delle incisioni successive al 1918 scussione al parlamento europeo vorrebbe far retrocedere a novant’anni il limite per il pubblico dominio (da non confondersi ben inteso, con il diritto d’autore che decade dopo settant’anni dalla scomparsa del compositore). Se questa legge dovesse essere approvata, scomparirebbero dal mercato tutte le incisioni successive al 1918 - quando il jazz era appena apparso - con un notevole impoverimento culturale.

Vediamo ora a grandi linee quali sono stati i momenti e i musicisti più significativi del 2008, anche se per ovvie ragioni la nostra analisi deve limitarsi all’Italia. Ciò che colpisce è l’importanza del jazz italiano in ambito internazio-

in breve Incassi film: ancora in testa “Natale a Rio” Continua la sfida tra “Natale a Rio” e “Madagascar 2”: Cinetel dà il primo in testa con 15,6 milioni, contro i 15,1 del cartoon della Universal. Nel fine settimana, in particolare, “Natale a Rio” ha incassato circa un milione in più di “Madagascar2” (7,8 contro 6,9). “Il cosmo sul comò”di Aldo Giovanni e Giacomo è terzo con 8,72. Le sorprese possono essere considerate “Il bambino col pigiama a righe” (nono) e “The Millionaire” (11/mo).

Addio a Prini, il «platonista cristiano» Lutto nel mondo della cultura: il filosofo Pietro Prini, docente emerito di storia della filosofia all’Università “La Sapienza” di Roma, uno dei maggiori pensatori italiani di ispirazione cattolica del Novecento, è morto a Belgirate (Novara), dove era nato nel 1915, all’età di 93 anni. Autodefinitosi «esponente di un platonismo cristiano», Prini era considerato uno dei massimi rappresentanti dell’esistenzialismo cattolico europeo e il caposcuola del «pensare nella fede» nell’università italiana, secondo quanto ha ricordato il filosofo Dario Antiseri.

Natalie Imbruglia, a marzo album autoprodotto Natalie Imbruglia ritorna e questa volta anche nella veste di produttrice. La cantante australiana infatti a marzo farà uscire il suo nuovo album di inediti, che sarà prodotto dall’etichetta di sua proprietà. Dopo la separazione dalla casa discografica Sony, Natalie ha scelto la via dell’autoproduzione ed ora è ansiosa di rientrare in gioco, come spiega sul suo sito ufficiale: «Sono davvero eccitata. Speriamo di rispettare i tempi ma posso già dire di essere molto felice. È una sensazione stupenda essere nella posizione di non dover rendere conto a nessuno delle proprie scelte artistiche». Per la metà febbraio è atteso il primo singolo, poi partirà un tour che toccherà anche l’Europa.


sport

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Gli antieroi della domenica. Tra una clinica e l’altra, continua a scomparire e riapparire lasciando tutti sempre a bocca aperta

L’illusionista Gascoigne di Francesco Napoli

n Inghilterra gli avevano già organizzato uno speciale del “Celebrity Big Brother”, un Grande Fratello per vip, per provare davanti alle telecamere l’ennesima riconciliazione con la moglie Sheryl; in Italia gli avremmo potuto offrire un “Chi l’ha visto”, casomai riunendo anche i suoi ex compagni della Lazio e il povero Dino Zoff che quale allenatore l’ha dovuto più d’una volta riprendere a muso duro, di certo non conduceva quella che si dice vita d’atleta, e chissà con quale fatica per il taciturno friulano; ma Paul Gascoigne, albionico guascone classe 1967, ha magistralmente confezionato il suo “Scherzi a parte”: è scomparso da qualche giorno senza dare più notizie di sé (poi riapparso ieri dando la colpa della sua “evasione”al figlio).

I

Atteso a casa da mammà e famiglia per il pranzo di Natale non si era presentato. Non è la prima volta che piglia e sparisce: in Ungheria quest’anno, ospite di un concerto degli Iron Maiden, era come al solito ubriaco e la pubblica sicurezza è stata costretta ad allontanarlo, intimandogli di tornare nelle patrie terre. Ma Paul ci ha pensato da solo: si è dileguato senza esser visto da gulasch e vini del Balaton per tornare alle sue nebbie inglesi. Un gran pezzo di bravura tecnica, indubbiamente, che ha appena rifatto: dribbling, con scarto di gambe fenomenale, uno dei suoi, l’ennesimo nei confronti di una vita sregolata come pochi. Da qualche tempo era in cura in una clinica inglese, disintossicazione dal solito abuso di alcol e droghe, lui che si vantava di bere fino a 60 Red Bull al giorno, isolato dal mondo in una sorta di ippoterapia, l’«Equine Assisted Psycotherapy»: l’unico contatto previsto, oltre i medici e gli infermie-

In alto, Paul Gascoigne ai tempi della Lazio; con la sua “bibita” preferita; con la maglia dei Rangers e dell’Inghilterra; con la moglie Sheryl; in uno dei suoi momenti di sana follia e in una delle ultime immagini prima dell’ennesimo ricovero

ri, i quattro zampe con i quali poteva e doveva discorrere.Troppo, forse, per Gazza, matto come quei cavalli con i quali era costretto a interloquire, e così di sussurro in sussurro si è allontanato dalla clinica senza più tornare, né in terapia né a casa.

Paul Gascoigne in Italia ha vissuto tre stagioni alla Lazio lasciando un segno alquanto delebile, con qualche exploit non certo sportivo. All’italica fucina pedatoria ha mostrato la sua presenza nel 1992, contornato dal solito strombazzare per le indubbie doti tecniche ma, soprattutto, con più di un giustificato dubbio sulla sua integrità fisica. Lo volle con forza il presidente laziale di allora, Calleri, proprietario della Mondialpol. Avrà

pensato fra sé e sé: io lo prendo, so che è un po’ irregolare e che ha la tendenza a finire le serate in qualche localino notturno, ma lo faccio pedinare. So come fare, è il mio mestiere. Povero illuso. Non so cosa gli riferissero i suoi piantoni sguinzagliati per la Capitale, ma nella Città eterna Gazza trovava come svicolare, tornare a casa quando voleva, passar le notti

Il calciatore, del quale negli ultimi giorni si erano (di nuovo) perse le tracce, ieri è stato ritrovato in un hotel inglese ubriaco fradicio certo non a letto, e l’indomani lasciare con un palmo di naso i tanti ispettori Clouseau che si sono avvicendati alle sue calcagna. Era imprendibile, più fuori che in campo in verità; era lestissimo a rifugiarsi in angolo, di un bar o di una discoteca. Sei gol in tre stagioni alla Lazio sono davvero pochi, pensando al potenziale che lui sapeva esprimere molto meglio fuori del campo con genialate d’autore. Allenamento alle 14. Un compagno di squadra lo passa a prendere, citofona, lui apre il cancello della villa all’Olgiata dove risiedeva. E qui scatta l’estro: Gazza ha l’intuizione giusta, lo scatto per la mossa decisiva: come un ragazzino esce dalla parte opposta e chiude il cancello e il suo compagno nel giardino di casa. Fino alle 20. Poteva mai il malcapitato spiegare il giorno dopo a Dino Zoff l’accaduto? No. Ma Gazza era fatto così: brillante e lucido, almeno fino a una cert’ora, poi il buio. Eppure la sponda tiberina del tifo biancoceleste ricorderà il primo dei suoi gol. Derby: e Gascoigne vivacchiava in campo con irritante strafottenza, con scarsa voglia poi la magia: 89° minuto, cross e gol del pareggio 1-1 e un anno di possibi-

li sfottò della sponda opposta svanisce per l’unico gesto sportivo di questo guascone che l’Italia ricordi. L’altro momento memorabile, quel temerario rutto lanciato dai microfoni della televisione all’indirizzo di un esterefatto giornalista. Irripetibile e unico, esemplare superiore di goliardia spinta fino all’impensabile.

In Italia e in Inghilterra sono in tanti ad essere preoccupati per lui. Torna o meno non si sa, ma spero lo faccia presto per

curarsi come si deve. Al momento è già previsto per il prossimo 5 gennaio un documentario sulle reti britanniche: Saving Gazza, neanche fosse una razza in via d’estinzione. Aspetto la risposta italiana all’avvenimento televisivo e, perché no, un documentario del duo Angela, figlio e padre dominatori della divulgazione scientifica sul piccolo schermo italiano.Titolo? “L’alcol è il nemico dell’uomo”, ma la risposta di Gazza non tarderebbe ad arrivare: “Chi fugge al nemico è un codardo”.


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da ”Asahi Shimbun” del 29/12/2008

Giappone, la grande fuga di Youkio Hashimoto attive notizie per la borsa del Sol levante. I soldi degli investitori stranieri stanno scappando dal Paese che fu degli Shogun e oggi è delle Keiretsu, gli imponenti conglomerati economici. I grandi fondi d’investimento europei ed americani pare non trovino ragioni convincenti per restare in Giappone, spinti dai venti della crisi finanziaria, preferiscono rientrare nei porti d’origine, per sanare le perdite patite in patria. Al di là di una crisi generalizzata che trova pochi ad essere immuni, il segnale non è dei migliori.

C

C’è qualche motivo di preoccupazione per il governo di Tokyo, e per la seconda economia mondiale, perché il rapporto netto tra acquisti e vendite d’azioni, nella terza settimana di dicembre, ha totalizzato un saldo negativo per 3.600 miliardi di yen (circa10,8 miliardi di euro) nelle piazze di Tokyo, Osaka e Nagoya.Tenendo conto che il volume di transazioni mobiliari messo in moto dagli investitori stranieri ammonta a circa il 60 per cento del totale, non c’è da stare allegri. Dicembre è stato il mese da dimenticare, con tre settimane consecutive di saldo negativo. Erano state la riforme dell’ex primo ministro, il liberale, Junichiro Koizumi, qualche anno fa, a facilitare lo sbarco dei fondi stranieri nel mercato finanziario giapponese. Un periodo particolare, tanto da essere definito “Era Koizumi” per i cambiamenti culturali che aveva provocato, anche nel mondo dell’economia. Già dal 2001 l’azione positiva di questi investimenti aveva spinto in alto l’indice Nikkei. Ma era stato tra il 2003 e il 2007 che si era sviluppato il periodo d’oro per le borse, esprimendo il massimo degli effetti benefici sul-

l’economia giapponese. Nel 2003 lo sviluppo aveva ripreso la marcia al 2 per cento del Pil, per raggiungere il 2,8 per cento nel 2005, dopo anni di rallentamento e di una sorta di apatia economica da cui sembrava non in grado di uscire. Alle prime avvisaglie della crisi subprime, era incominciato un lento, ma costante, deflusso di risorse finanziarie. È comunque stato il crollo della banca americana Lehman brothers a innescare il botto finale, a rompere le dighe, come si usa dire. A quel punto il mercato azionario giapponese era stato inondato da vendite. A fare la parte del leone - che si ritira e smette di ruggire - erano stati gli investitori istituzionali europei ed americani, per far fronte alle crisi domestiche. Mentre per gli operatori individuali che giocavano in borsa, il mercato ha mantenuto ancora un certo interesse, visto che molti titoli sono stati erroneamente sottoquotati dalla dinamica negativa del mercato. Tanto che, nello stesso periodo di dicembre, il saldo attivo di questa categoria di investitori – tra cui ci sono anche alcuni fondi pensione - aveva raggiunto i 1.100 miliardi di yen (circa 3.3 miliardi di euro).

Non sufficienti però, a ridare slancio al mercato, a reinnescare un ciclo economico virtuoso. Ben nove società straniere sulle 16 quotate alla borsa di Tokyo, hanno fatto le valigie quest’anno. Siamo ben lontani dalle 127 aziende straniere che si erano messe in mostra su quel mercato asiatico, nel 1991, e che contribuirono non poco alle alterne vicende di quel periodo. Oggi la crisi che si allarga alla seconda economia mondiale e fa scappare i soldi con

targa estera potrebbe essere un dato non positivo in un quadro generale già cupo. Un situazione da monitorare con attenzione, perché il Paese era fino al mese scorso, quando è stato superato dalla Cina, il primo possessore di debito pubblico americano.

Pile altissime di Treasury bond sono in mano a investitori giapponesi e ad un’economia che, dal novembre scorso, è ufficialmente in recessione. Anche il mondo della finanza straniera, presente in forze in Giappone, sta attuando una cura dimagrante. Si riducono le vele per affrontare meglio la tempesta che sembra non voler ancora passare. Sono 3.100 le lettere di licenziamento partite questo dicembre, su un totale, non indifferente, di 28mila impiegati nel settore e altre 1.100 partiranno il prossimo anno. Tanto per cominciare sotto i migliori auspici il 2009.

L’IMMAGINE

Crisi reale o semplicemente virtuale? Solo la Befana risponderà al quesito La crisi economica e finanziaria non sembra proprio che abbia colpito il cenone di Natale e, in generale, le feste. È vero che le associazioni dei consumatori hanno parlato di un calo del 20 per cento dei consumi, ma è anche vero che gli italiani non possono rinunciare alla tradizione natalizia. Sono andate bene le vendite di pandori e panettoni, roccocò e susamielli (per mettere insieme Milano e Napoli), ma anche i viaggi e le gite fuori porta non stanno andando male. Magari si fa una vacanza più breve ma comunque si fa. E il viaggio natalizio non è neanche una abitudine di lungo corso; anzi è un’acquisizione della più recente società del benessere diffuso. Ora si tratta di capire se la crisi, di cui tanto si è parlato e si parla, è effettivamente reale o se, invece, non sia una realtà virtuale indotta dai media. Probabilmente, lo sapremo con la conclusione delle festività. Quando verrà l’Epifania, che tutte le feste si porta via, sapremo effettivamente se il 2009 inizierà con il ritornello della crisi o con la crisi di fatto.

Simonetta Apuzzo

SPERPERI ITALIANI IN GIOCHI E SCOMMESSE Malgrado la crisi, nel 2008 si registrano 47,5 miliardi di puntate degli italiani (oltre 50 miliardi previsti nel 2009) in giochi e scommesse: gratta e vinci, new slot, scommesse sportive; addirittura i 9 miliardi di euro spesi nel 2008 per il solo “gratta e vinci” potrebbero diventare 11 nel 2009. Giochi e scommesse non risultano approvabili moralmente perché esprimono la speranza in facili guadagni e arricchimenti improvvisi, senza fatica e sacrificio. Al contrario delle assicurazioni, tali scommesse sostituiscono la certezza con l’incertezza e creano artificiosamente il rischio, dato dalla posta in gioco. Giochi e scommesse possono

giovare solo alla voracità fiscale della statolatria invadente, mortificatrice della creatività e dell’iniziativa individuale.

Gianfranco Nìbale

O ROMA O BOLOGNA, TERTIUM NON DATUR Sono proprio contento che per risparmiare qualche minuto nel percorso Milano-Bologna, le Ferrovie abbiano investito un ingente capitale. Ora sì che siamo moderni e al passo con l’Europa. Gli scomparti sono veri salotti con tanto di hostess. Però io ho preso un treno IC Genova-Milano e, pur essendo in prima classe, mi sono trovato in una carrozza che faceva veramente schifo.Vecchia da far paura e sporca in maniera inaccettabile. Per fortuna mi ser-

Ricordi di gioventù Ogni anno in autunno le farfalle monarca (Danaus plexippus) abbandonano il Nord America, dove vivono, per andare a svernare in Messico. Chissà se i lepidotteri ripenseranno alla loro “infanzia” da bruchi. Sembra infatti che alcune farfalle riescano a ricordare le esperienze sensoriali avute durante la fase larvale. Stimoli dolorosi, odori e sapori dei cibi rimarrebbero impressi nella loro memoria vo raramente del treno, ma non me ne dolgo affatto. D’altronde non è che per viaggiare con un minimo di decoro bisogna obbligatoriamente andare a Bologna o a Roma.

Angelo Rossi

EVASIONE E REVISIONE FISCALE Tra il 1° gennaio e il 30 novembre le somme riscosse a seguito di

accertamenti tributari hanno raggiunto i 2,3 miliardi di euro, facendo segnare un + 46% rispetto allo stesso periodo del 2007. Questo miliardo in più di gettito del 2008 va restituito ai contribuenti: o innalzando la no taxarea o devolvendolo al pagamento degli interessi sul debito pubblico, così da ridurre il deficit complessivo con minori tagli ag-

giuntivi alla spesa pubblica corrente. In ogni caso si otterrebbe quell’alleggerimento dell’abnorme pressione fiscale che costituisce l’unica vera legittimazione di una repressione ferrea e doverosa dell’evasione fiscale, al di là di ogni retorica pauperistica (es. scala mobile) o patriottarda (es. tassa sul macinato).

Matteo Maria Martinoli


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LETTERA DALLA STORIA

L’amore è la felicità che reciprocamente ci si dona L’ho desiderata ogni giorno questa separazione, almeno per un’ora al giorno. Con questa vita ho potuto scendere a patti solo attraverso gli sforzi di coraggio e degli slanci d’amore. Oh, perché tu questi non li sai far durare? Perché con te il cuore non basta mai? Ci vuole in più carattere, eroismo, devozione, e io non possiedo nulla di tutto ciò, anche perché sento che non ti lasceresti imbroglaire, non ne vorresti sapere. L’amore è la felicità che reciprocamente ci si dona. O mio Dio, muovo dei rimproveri proprio a te che soffri tanto? Perdonami, angelo mio, amato e sventurato. Anch’io soffro tanto e non so con chi prendermela. Protesto con Dio, invoco dei miracoli. Ma lui non ne fa, ci abbandona. Che ne sarà di noi? Uno di noi due dovrebbe trovare la forza o per amare o per guarire dall’amore, ma non ingannarti, non possediamo né l’una né l’altra, né l’uno più dell’altra. Tu credi ancora di potermi amare, perché ogni mattina puoi ancora sperare in ciò che la sera prima hai negato. Hai ventitré anni e io ne ho trentuno, e tante disgrazie, tante lacrime, tante ferite alle mie spalle! Dove pensi di andare? Che cosa ti aspetti dalla solitudine e dall’esaltazione di una sofferenza già così profondamente straziante? Ma tu ancora speri? George Sand ad Alfred de Musset

ACCADDE OGGI

L’ANNO PROSSIMO A GERUSALEMME Ancora guerra! Migliaia d’anni passati a sbudellarsi per conquistare “la terra dove scorrono latte e miele”. Un Eden? Balle! Una pietraia riarsa dal sole attraversata da un fiume con poca acqua ma bagnata da tanto sangue. “Terra maledetta” altro che “terra promessa”. Eppure la mia cultura occidentale è impastata anche con quelle pietre, con quel sangue, con quella maledizione; Atene e Roma sono nella mia ragione ma, che mi piaccia o no, “La Santa” è nel mio io profondo. Infanzia con Davide, elementari con le Scritture, via via mi porterò Gerusalemme fino alla fine, sigillo di immortalità certa. Se quella “spianata” non ci avesse commosso, come sarebbe stato possibile che, allo scoppio della guerra dei sei giorni, io e altri studenti si decidesse di partire per aiutare un popolo che rischiava di scomparire? Solo senso di colpa per l’ignavia dei nostri genitori che nulla avevano fatto per impedire l’olocausto? Forse sì, di certo non volevamo e non potevamo permettere che Abele, un’altra volta, si beccasse la biblica pietrata. Ci salvò il buon senso israeliano e la brevità della guerra. In questi giorni, però, tutto mi è più difficile e penso: se fossi quel giovane incosciente, vorrei partire ancora? E chi dovrei salvare? Chi è Davide e chi Golia? Tre religioni, ognuna con il martirio a testimonianza, potranno mai convivere? Vedo che il perdono, unica via alla pace, non sembra a portata di mano. «Alla fine ne resterà solo uno» come nel film sugli Im-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

30 dicembre 1922 Viene costituita l’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss) 1924 Edwin Hubble annuncia che gran parte delle nebulose sono galassie fuori dalla nostra Via Lattea 1927 La Linea Ginza, la più vecchia linea metropolitana dell’Asia, apre a Tokyo 1943 Chandra Bose issa la bandiera dell’indipendenza indiana a Port Blair 1953 Il primo televisore a colori viene messo in vendita a 1.175 dollari 1965 Ferdinand Marcos diventa presidente delle Filippine 1968 Frank Sinatra incide My Way 1987 Papa Giovanni Paolo II pubblica la Lettera Enciclica Sollicitudo Rei Socialis 1993 Israele e il Vaticano stabiliscono relazioni diplomatiche 2004 Argentina: 175 morti e oltre 800 feriti nell’incendio in una discoteca di Buenos Aires. Causa del rogo il lancio di un petardo 2006 L’ex dittatore dell’Iraq Saddam Hussein viene giustiziato mediante impiccagione

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria), Francesco Rositano, Enrico Singer, Susanna Turco Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio,

mortali? O nessuno? Augurare ad Isacco e Ismaele: l’anno prossimo a Gerusalemme, sarà sempre utopia?

Dino Mazzoleni

SE TANZI FOSSE MINISTRO Buone feste a tutta la“tribù”liberal! Finalmente un periodo sereno per chi ama la legalità: una bancarotta da 30.000 dei vecchi miliardi, una finanziaria, finisce in manette. Naturalmente, come sempre, i truffati non recupereranno quasi niente perché Tanzi, il solo colpevole, non avrà più un soldo. Chi può credere che il “lattaio”, da solo, possa aver organizzato una truffa internazionale di questa portata e, più ancora, di essere capace di nascondere una tale perdita? Ad ascoltarlo, si direbbe che altro sia stato il suo ruolo, sembra quasi un “pupo”e, a ben guardare, si intravedono strani fili. Mesi prima dell’incidente, era già nell’aria che Parmalat avesse qualche neo, tanto che quasi nessun professionista di Borsa è rimasto con il cerino in mano, ma rogo per il vasto parco buoi “inghiottonito”dagli alti tassi di interesse; e le banche si sono disfatte di titoli a valore zero. Un campagnolo come me può solo avere dubbi: nessuna copertura delle solite, nessun santo e nessun banchiere coinvolti? Un solo birbaccione al comando: Tanzi maglia rosa! Il mercato può stare tranquillo, chi controlla la correttezza del gioco è vergine e sempre all’erta sta! Stimo Tremonti, ma Tanzi sembra molto più bravo e con la crisi che c’è, bando a stupide questioni morali: un autodidatta genio va fatto ministro!

Lettera firmata

Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Andrea Nativi, Ernst Nolte, Michele Nones, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania

dai circoli liberal

LA LEZIONE DI TETTAMANZI A parte Berlusconi - che ha l’ottimismo di chi, che per male che vada, potrà comunque passare gli ultimi anni della sua vita a contare soldi - la crisi economica in essere, e in particolare le conseguenze in termini di occupazione e povertà dei prossimi mesi, sembra finalmente entrare nell’immaginario collettivo. Il gesto simbolico del cardinale Tettamanzi in questo è stato molto significativo ed efficace. La propaganda in questi casi, infatti, cerca di governare le aspettative, ovvero ritarda la presa di coscienza dei problemi economici in modo che i comportamenti di massa in quanto a consumi e investimenti negativi, non aggravino la situazione. Nel frattempo i problemi congiunturali magari si risolvono e se la ripresa in qualche modo anticipa o coincide con la ritardata presa di coscienza della crisi, saranno i dati economici positivi a convincere che la fase negativa è passata e che bisogna ricominciare a consumare e investire. In situazioni straordinarie, tuttavia, la propaganda ottimistica fuori luogo può essere pericolosa e può significare la rovina per famiglie e imprenditori. Anche se la crisi è nella testa della gente, i consumi natalizi non sembrano evidenziare comportamenti conseguenti. In economia le aspettative sono razionali, mediamente razionali o adattative e quindi ognuno di noi dovrebbe in qualche modo capire a quale categoria appartiene: cicala o formica. La posizione di Tettamanzi è agli antipodi di quella di Berlusconi ed è più in linea con quella di Tremonti; di recente, infatti, il Cardinale ha dichiarato che è un eufemismo parlare solo di crisi. Ma il passaggio più significativo di Tettamanzi è quando ha affermato che questa crisi è solo, in termini di effetti, nella fase iniziale e quindi ha invitato le comunità cristiane della diocesi ad essere attivi, a prestare attenzione alle famiglie in difficoltà, tagliando le spese parrocchiali rinviabili, per destinare fondi ad aiuti mirati e non a pioggia o puramente assistenziali. Una bella lezione per i politici di tutto l’arco costituzionale sentire da un Cardinale e non da un leader politico la verità nuda e cruda, e l’invito alla virtù ossia a rimboccarsi le maniche e impegnarsi per tutti quei valori come la dignità umana, la fratellanza e la solidarietà, che sono i principi fondanti anche della nostra Costituzione. Leri Pegolo CIRCOLO LIBERAL PORDENONE

APPUNTAMENTI VENERDÌ 16 GENNAIO 2009 ROMA - PALAZZO FERRAJOLI - ORE 11 RIUNIONE NAZIONALE DEI CIRCOLI LIBERAL

ATTIVAZIONI IL COORDINAMENTO REGIONALE DELLA CAMPANIA VERSO LA COSTITUENTE DI CENTRO HA ATTIVATO IL NUMERO VERDE PER LE ADESIONI: 800910529

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e di cronach

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



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