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Se qualcuno ti dice che sta

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per prendere una “decisione realistica”, capisci subito che sta per fare qualcosa di brutto

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Mary McCarthy

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA

di Ferdinando Adornato

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

L’amore e la morte Abbiamo perso il senso della vita. Ci emozioniamo per un cucciolo maltrattato ma non troviamo la pietà di impedire che una ragazza sia lasciata morire senza cibo né acqua di monsignor Rino Fisichella come morte. Termine che non vorremmo mai sentire pronunciare né scrivere perché porta con sé il senso dell’estremo limite a cui nessuno vorrebbe mai arrivare. Il limite. Ecco di fatto cosa si impone alla mente e al cuore

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quando si trova dinanzi alla morte. Non è una parola vuota e neppure un concetto astratto; è un fatto, una realtà con cui si è chiamati a confrontarsi e con la quale spesso ci si scontra. Qui si tocca con mano cosa significa in concreto l’uomo e come si in-

terpreta la sua esistenza. L’enigma che rappresentiamo a noi stessi nel momento in cui riflettiamo sulla vita diventa enorme, troppo grande per noi, quando si pone dinanzi alla morte. Il «perché?» diventa spontaneo; non valgono in questo caso le ragioni

che portano a verificare l’esaurirsi di una natura che è stata fatta per spegnersi. Si vuole e si pretende qualcosa di più, soprattutto quando la morte tocca la persona che ami. segue a pagina 6

Eluana Englaro, 25 novembre 1970 - 9 febbraio 2009 Una pessima Italia non ha saputo e non ha voluto salvarla

Ciao

La ricorderemo così sorridente come non era più, viva come era. L’hanno uccisa i nostri ritardi politici e culturali e il nichilismo che domina il nostro tempo. Se n’è andata mentre chiudevamo il giornale. Speriamo che le nostre idee, scritte prima, siano comunque utili a raccontare ciò che ora sentiamo ancora di più: la fede nella vita segu2009 e a pa•giE nURO a 9 1,00 (10,00 MARTEDÌ 10 FEBBRAIO

CON I QUADERNI)

• ANNO XIV •

NUMERO

28 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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Polemiche. La politica ha finito per strumentalizzare il dramma umano che si è consumato a Udine

La costituzione di Eluana È l’unica che conta. Mentre, tra Berlusconi che attacca la Carta e Veltroni che va in piazza, si è fatto un ennesimo torto al suo corpo di Giancristiano Desiderio a politica italiana sembra fatta apposta per confondere le idee. Si era partiti dal giusto proposito di difendere Eluana e ci si ritrova in piena battaglia in difesa della Costituzione con uno scontro tra istituzioni, personalità e pezzi dello Stato che, forse, non ha precedenti nella storia repubblicana. Usando l’ironia e nobilitando i fatti possiamo dire di trovarci davanti a uno stravagante caso di eterogenesi dei fini. Chiamando le cose con il loro nome, invece, dobbiamo riconoscere che da ambo le parti - il governo e la sinistra - c’è una strumentalizzazione del corpo immobile e indifeso eppur vivo di Eluana. Stiamo, dunque, ai fatti.

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lontà del governo di portare altrettanto legittimamente il disegno di legge in Parlamento e, contemporaneamente, ribadire la immutata stima al presidente Napolitano.Tutto molto normale e pratico, ma per un paese in cui la cultura delle istituzioni non è una stanca retorica di giornata. Invece, è accaduto quel che sapete ma che vale la pena ripetere e sottolineare per capire come ci si sia improvvisamente distolti dal fine principale: Eluana. Il presidente del Consiglio, in trasferta a Cagliari per ragioni elettorali, definiva

suo ingenuo cinismo, le dava la possibilità di difendere nientemeno che gli inviolabili valori della Costituzione. L’indignazione - che è il sentimento che più facilmente monta in Italia, ancor meglio della panna - montava a meraviglia, dalla politica agli intellettuali, e tutto è finito dove finisce nel nostro paese: in piazza. Oggi, Oscar Luigi Scalfaro, l’ex presidente della Repubblica a cui si deve l’invenzione a metà degli anni Novanta della formula incostituzionale del “governo del presidente”, darà a tutti con uno dei suoi discorsi alti e nobili una

Alla fine, in questa storia terribile non ci sono né colombe né falchi, ma solo avvoltoi. L’uso della vita e della dignità di una donna in quelle condizioni per fini politici è assolutamente ingiustificabile

Il governo, mostrando di voler intervenire, aveva fatto la cosa giusta mettendo mano a un decreto. Il presidente della Repubblica aveva fatto sapere con una lettera al capo del governo che non avrebbe firmato il decreto. A questo punto la strada da seguire e che si sta seguendo - era nei fatti e, tuttavia, il «modo ancor m’offende». Silvio Berlusconi, deciso nei suoi convincimenti, non avrebbe dovuto far altro che ritenere sbagliata nel contenuto la lettera del Quirinale, ancorché legittima nella forma, e quindi manifestare la vo-

la Carta costituzionale «una Costituzione filosovietica» riuscendo così, con un colpo da maestro, a scontentare tutti, anche coloro che ben sanno che la Carta del 1948, frutto di un “compromesso storico” tra Dc e Pci, è in parte non piccola da riscrivere ma che, per ragioni storiche, proprio non possono definire «una Costituzione amica dell’Unione Sovietica». A questo punto, la sinistra quasi non credeva alle sue orecchie e ai suoi occhi: il capo del governo, con il

grande lezione sui valori non solo della Costituzione italiana ma anche del costituzionalismo tout-court. A chi, sconsolato, dovesse chiedersi cosa c’entri il “filosovietismo”da una parte e l’“anticostituzionalismo” dall’altra non abbiamo altra risposta che questa: niente.

L’unica costituzione, in senso fisico e in senso morale, che vale per noi oggi è la costituzione di Eluana. Sembra che tutti i pensieri e le preoccupazioni del

La legge, questa volta, è solo legittima difesa

Caro Panebianco, il partito “violento” era soltanto uno di Giuseppe Baiocchi

mondo politico girino oggi intorno al tragico destino della donna ricoverata nella clinica “La Quiete” di Udine. Ma, come spesso accade, le apparenze ingannano. Il mondo politico gira unicamente su se stesso e non riconosce altra legge al di fuori di sé. Non ci sono né colombe né falchi, secondo la consueta divisione ornitologica della stampa, ma solo avvoltoi. La strumentalizzazione del corpo e della dignità di Eluana per fini politici è ingiustificabile. Il presidente Napolitano, ottimo capo di Stato che continuerà a lavorare con scrupolo e serietà per la vita delle istituzioni, ha commesso un errore abbandonando incautamente il suo ruolo di arbitro. Chi non ha mai commesso un errore in vita sua scagli la prima critica. Ma l’offensiva del capo dell’esecutivo che, invece di salvaguardare l’equilibro istituzionale, cerca di indebolire il Quirinale è un errore marchiano o, peggio, un calcolo sbagliato a cui corrisponde il contraccolpo inutile del Pd. La confusione è massima, ma non casuale. Per conservare la correttezza dei comportamenti bastava conservare la chiarezza dello scopo: la costituzione di Eluana Englaro. Ma spesso la politica italiana ha fatto strame dei corpi, immaginatevi dell’anima.

n uno dei suoi ultimi scritti Norberto Bobbio constatava, accorato, la perdita di un substrato profondo di morale comune, quell’etica naturale che viene prima della norma e del diritto. Quell’etica che porta a comunque a scegliere il bene e ad avere paura del male. E confessava, da laico, di non riuscirla a definire in altro modo se non come “società timorata di Dio”, ovvero quell’intima e condivisa consapevolezza del Bene e del Male che costituisce, per forza di cose, la trama sotterranea, eppure indispensabile, della convivenza civile. E in questa società, faticosamente sedimentata in millenni di civiltà, stava, ovvia e incontrovertibile, la dignità della persona umana e la comprensione che nessuna vita è inutile e che va comunque tutelata, pur se debole o clandestina, menomata o senza voce. E così pure si affidava la delicatissima vicenda delle responsabilità sulla morte al pudore della riservatezza, al calore degli affetti familiari e alla pietosa e umanissima coscienza del medico.

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Nonostante tutto, questa sensibilità umana resta prevalente,

come portato profondo del nostro popolo, e probabilmente considera superflua la necessità di una legge al riguardo: è in sostanza l’anima di quello che Angelo Panebianco, sul Corriere della sera di ieri, chiama un “terzo partito”, silente e sconfitto, nella contesa che vede, sul tragico caso di Eluana, l’un contro l’altro armati il partito della “li-


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Il professor Gianfranco Cappello è uno dei pionieri della nutrizione artificiale

«Ne ho visti diecimila, nessuno vuole morire» di Franco Insardà i occupo di nutrizione assistita dal 1974. Ho curato migliaia di pazienti e nessuno ha mai rifiutato la terapia.Tranne uno Piergiorgio Welby». Il professor Gianfranco Cappello, responsabile del servizio di nutrizione domiciliare del dipartimento di chirurgia del policlinico “Umberto I” di Roma, ha maturato un’esperienza più che trentennale e da qualche anno sta utilizzando questa tecnica anche per curare l’obesità. In un pomeriggio normale l’ambulatorio del Policlinico è pieno di pazienti e lui è alle prese con la mancanza di personale: «Mi hanno tolto un infermiere e un amministrativo e l’altra infermiera è in malattia. Non so come fare con le oltre mille visite al mese». Professor, ma quanti casi come quello di Eluana ha in cura? Tenga presente che i trattamenti di nutrizione artificiale sono iniziati negli Stati Uniti nel 1970 e in Italia nel 1974. Da allora ho curato oltre 13mila pazienti. Oggi ne ho 414 e di questi 50 sono nelle stesse condizioni della Englaro e 25 li seguo da oltre 10 anni. Secondo lei è giusto sospendere l’alimentazione e l’idratazione? Assolutamente no. Per un paziente in fase terminale il medico può non usare i farmaci, ma i liquidi e la nutrizione sono obbligatori. Si tratta di cose diverse. Ci speghi. Si ritiene la nutrizione artificiale una pratica forzata e un trattamento rianimativo complesso. Due definizioni sbagliate. Non c’è nulla di forzato in quanto si tratta di un supporto per i pazienti che non riescono a deglutire.Applicando un ragionamento simile anche le lenti a contatto o la dentiera dovrebbero essere considerati trattamenti complessi e invasivi. Ma non mi sembra che lo siano, sono soltanto degli ausili. E poi non c’è alcuna complessità: ogni giorno applico centinaia di sondini in pochi secondi. Si dice, però, che i pazienti soffrano? Niente di più falso. Non registro alcuna sofferenza nelle 25 persone in coma alimentate artificialmente. Il professor Umberto Veronesi e il senatore Ignazio Marino hanno una posizione diversa. I due illustri colleghi non si sono mai occupati di nutrizione artificiale. Parlano per sentito dire e confondono questi casi con la donazione di organi che si fa su un paziente moribondo. La Englaro è viva da 17 anni. Il caso di Eluana ha riportato al centro del

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bertà di scelta” e quello della “sacralità della vita”.

Quello che Panebianco però trascura di notare è che questo “terzo partito”, largamente maggioritario perché all’insegna di molto buon senso e di rispetto dell’unicità di ogni persona e di ogni famiglia di fronte ai passaggi ultimi della vita, viene costretto ad assumere posizione pubblica e a schierarsi controvoglia dalla chiassosa pretesa del “primo partito”, quello che in nome di una presunta libertà individuale, vuole “normare” ,“codificare”,“protocollare”, intromettendosi negli ambiti più intimi e dolorosi che solo amore, scienza e coscienza possono davvero governare. Perché andar per tribunali, pandette e protocolli, se fa ottenere autorizzazioni pubbliche e crismi di legalità repubblicana e costituzionale (ma davvero?), spegne inesorabilmente gli spazi di creatività dell’amore, che solo può trovare la singola strada nella forza dell’affetto e nella tutela autentica della dignità della persona, anche nel momento più angosciante e doloroso. Con il risul-

tato paradossale (summum ius, summa iniuria) di sancire minutamente la soppressione di un essere umano nel modo oltretutto più crudele, attraverso la privazione di cibo e di acqua.

Questa tragica storia si è trasformata (anche per evidenti interessi politici) in una vicenda da stadio: dove una curva sa solo gridare “Devi morire” e l’altra “Salvare una vita”. E chi coltiva il dubbio e sa che la norma e le sentenze non sono un tutto assoluto, è costretto da queste laceranti circostanze ad accettare l’idea di arrivare ad una legge che almeno metta qualche paletto e salvaguardi comunque il valore della vita, per inabile, sofferente o “inutile” che sia. È troppo fondato il sospetto che attraverso questi decreti si apra la strada a forme sempre più esplicite di eutanasia e di parametri che qualifichino standard eugenetici sotto i quali la vita possa esser definita indegna di essere vissuta. In fondo, se la storia è maestra, i suoi tribunali li trovò anche Hitler quando decise di sopprimere disabili fisici e minorati mentali…

dibattito il testamento biologico. È d’accordo con una regolamentazione? No. E lo dico in base all’esperienza di tutti questi anni. Ricordo il caso del padre di Mauro Pichezzi, presidente dell’associazione Viva la Vita Onlus. Quando a Fernando Pichezzi fu diagnosticata la sclerosi laterale amiotrofica lui tentò il suicidio e non voleva che gli fosse applicato il sondino. Poi, però, non ha mai chiesto che gli fosse tolto e ha vissuto per 1473 giorni. Quindi? Se avesse firmato un documento in un momento della sua vita diverso da quello in cui ha avuto coscienza della sua malattia avrebbe preso una decisione diversa da quella che poi gli ha consentito di vivere con la sua famiglia per altri 4 anni. Chi sta lottando per la sua vita non si ucciderà mai. Qual è la funzione della famiglia in queste situazioni? È fondamentale. Questi pazienti hanno bisogno dell’amore, della dedizione dei loro cari. Cose che non si possono chiedere a un infermiere che ha conosciuto la persona quando è già ammalata. I familiari, invece, hanno ricevuto da quelle braccia, da quelle labbra e da quegli occhi un amore che ricambiano. Perché, allora, Beppino Englaro è così determinato secondo lei? Non ha mai accettato lo stato della figlia. È significativo che non l’abbia curata lui. La sopravvivenza della ragazza finora è stata legata all’amore e alla dedizione delle suore che hanno fotografato perfettamente la situazione dicendo: c’è un altro modo di amare Eluana. Nessun parente le ha mai chiesto di staccare la spina? Fino a qualche settimana fa, tranne il caso di Welby, nessuno. La figlia di un paziente, una decina di giorni fa, ha cominciato a farmi un certo discorso. Le ho detto che avrebbe potuto sospendere la terapia domiciliare. Ma ha cambiato idea. Ritiene che la vicenda Englaro abbia influito? Probabile. Ma perché, secondo lei, Piergiorgio Welby aveva deciso di morire? Welby aveva una grave forma di depressione e avrebbe avuto bisogno di essere aiutato ad accettare la sua condizione. L’ho avuto in terapia dal 2002 al 2004, poi ha deciso di sospenderla. Che cosa succederà adesso a Eluana? Andrà incontro a una morte atroce come ha testimoniato in una lettera anche il padre diTerry Schiavo.

Il ruolo della famiglia è fondamentale: questi ammalati hanno bisogno dell’amore e della dedizione dei loro cari che non possono essere delegati


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Rimedi. Dopo la pausa week end il Senato corre: il via libera finale di Montecitorio arriverà domani nel primo pomeriggio. Ostruzionismo dei Radicali

Battaglia contro il tempo Oggi Palazzo Madama vota la legge sul testamento biologico I medici di Udine resistono: «Nel testo non ci sono sanzioni penali» di Errico Novi

ROMA. Dov’è il confine tra convinzioni personali e opportunità politica? Difficile dirlo. Ma nessuno può lamentarsi per la fretta: scarnificare il dibattito è inevitabile. Il dramma di Eluana non avrebbe generato uno scontro di potere se solo fosse stato affrontato più tempestivamente. Adesso sembra fatale, per esempio, la confusione del Pd. Persino un cattolico come Giorgio Tonini non riesce a uscire dalla dialettica forzata maggioranza-opposizione. «Ci vogliono far credere che davvero è in gioco la vita di Eluana. Il presidente del Consiglio ha costruito una colossale bufala. Vorrei uscire dall’incubo, vorrei ascoltare un esponente della maggioranza che prende la parola in aula e ci dice che è tutto uno scherzo. O meglio, che siamo su “scherzi macabri a parte”…». Il voto dei veltroniani? Dal fedelissimo di Walter arriva un’indicazione di base: «Non ci asterremo. Non ha senso. Vorrebbe dire esprimere un parziale sostegno al disegno di legge. E invece noi dobbiamo smascherare la bufala. È inaccettabile far passare chi vota contro come un assassino». Almeno una parte dei cattolici democratici, e tra questi il cristiano sociale Tonini, sembra persuasa che la Englaro ha già cessato di vivere. Eppure resta il sospetto che la polemica politica abbia così violentemente agitato gli animi che le ragioni di bandiera possano prevalere persino sulle convinzioni di fondo.

Lo stesso dirigente del Nazareno ne parla con i cronisti in Senato e spiega di avere ben chiara la portata della vicenda in termini di impressione mediatica: «Tutta l’Italia è lì convinta, purtroppo, che davvero si stia decidendo se salvare o no Eluana». I riflessi si vedono. Oggi sono previste due manifestazioni. Una è quella convocata dal Pd a piazza Santi Apostoli, nel luogo cioè dove venne festeggiata la risicatissima vittoria alle Politiche del 2006. Parlerà Oscar Luigi Scalfaro, presidente del comitato “Salviamo la Costituzione”. Salvarla da cosa? Dalle minacce “antisovietiche” di Silvio Berlusconi, certo. Ma anche dalla pretesa di impedire

Come si divide il Partito democratico tra cattolici e laicisti

Veltroni: «Io voterò no, ma lascio libertà di coscienza» di Antonio Funiciello

ROMA. Il caso Englaro fa segnare al Partito Democratico un passo indietro nella sua faticosa opera di coesione e di strutturazione. Eppure, sulle questioni cosiddette eticamente sensibili, nel programma elettorale dello scorso anno si era riusciti a trovare una sintesi tra istanze e sensibilità differenti. Sull’aborto, sulle coppie di fatto, sul testamento biologico e contro l’accanimento terapeutico, il Pd era riuscito ad andare oltre il limite del ricorso puntuale alla libertà di coscienza dei suoi parlamentari, che ne depotenzia la capacità di indirizzo politico. Proprio per scongiurare questo rischio, dodici esperti, rappresentativi di tutte le culture del Pd, avevano anche stilato un lungo manifesto fondativo che valesse quale punto di riferimento per le scelte sui problemi di coscienza. Nulla di fatto. Il caso Englaro, con le divisioni che determina nel gruppo dirigente del partito, produce un arretramento rispetto alle posizioni sostenute nel programma e ai buoni propositi dei redattori del manifesto. È assai probabile che, andando verso una lunga stagione precongressuale, le questioni eticamente sensibili tengano non solo ancora banco, ma diventino uno degli elementi decisivi nella corsa alla segreteria del partito. Le scelte dei maggiori leader democratici nel voto sul disegno di legge in materia di alimentazione e idratazione presentato alle Camere dal Governo Berlusconi possono già oggi rappresentare una traccia per leggere le future contrapposizioni.

i futuri segretario e vicesegretario democratici, mina il percorso di ReD verso il congresso autunnale. Ancor più che gli attuali numeri 1 e 2 del partito,Veltroni e Franceschini, saranno insieme in aula ad esprimere voto contrario col grosso del gruppo parlamentare democratico della Camera. Il No di Franceschini è, però, da mettere in relazione anche col Sì di Beppe Fioroni. Il potente responsabile dell’organizzazione del Pd ha voluto marcare nettamente la sua posizione, distinguendosi anche dai propositi di astensione che pure circolano numerosi tra gli ex popolari. Innanzitutto per dare un segnale ai livelli periferici della corrente popolare del Pd, che indichi la necessità di non essere subalterni ai più numerosi laici ex diessini. Ma anche per sottolineare un’autonomia personale di valutazione rispetto a Veltroni, nei confronti dei quali è apparso negli ultimi tempi particolarmente schiacciato. La scelta di Fioroni ha l’obiettivo di evidenziare come il sostegno dei popolari a Veltroni non è affatto una cambiale in bianco, ma un posizionamento politico di cui il congresso d’autunno dovrà valutare il merito. Anche se vedere i popolari dividersi nei tre micro-gruppi dei favorevoli, dei contrari e degli astenuti, non giova di certo alla loro causa.

Il Pd si spacca sul ddl: Beppe Fioroni convince gli ex-popolari a votare sì e non ad astenersi come si prevedeva

Il caso Englaro rappresenta anzitutto la rottura definitiva del potenziale ticket BersaniLetta che poteva contrapporsi a Veltroni. Bersani ha definito il Ddl del Governo «uno stravolgimento di secoli di civiltà giuridica»; Letta ha espresso l’intenzione di votare a favore. Da ReD, l’associazione dalemiana nata per mettere insieme il ticket e portarlo alla guida del partito, arrivano voci sconsolate di distinguo. Ma è chiaro che una differenziazione così radicale tra coloro che dovrebbero essere

Le divisioni tra Bersani e Letta e tra Fioroni e Franceschini lasciano pensare che chi ne esce meglio da tutta questa aggrovigliata faccenda è proprio Walter Veltroni. In fondo era prevedibile che, giungendo collegialmente alla scelta del ricorso alla libertà di coscienza, lui dichiarasse la sua contrarietà al provvedimento. Era prevedibile, e nessuno gli ha neppure chiesto di agire altrimenti. Ancora una volta, insomma, Veltroni sembra essere il solo elemento capace di tenere insieme «quell’amalgama riuscito male» che secondo D’Alema è oggi il Pd.

a Giorgio Napolitano l’esercizio delle proprie prerogative. Dal punto di vista mediatico la mobilitazione voluta da Walter Veltroni rischia di passare come il serrate le fila di chi vuole a tutti i costi la fine della Englaro. Non saranno certo i dirigenti democratici a dare questa lettura, che sarà però implicitamente avvalorata dal contemporaneo svolgimento della seconda manifestazione, quella convocata sempre per oggi dal settimanale Tempi e dal quotidiano on line L’Occidentale sempre a Roma, davanti al Pantheon, “in difesa della vita”. Vi parteciperanno molte prime linee del Pdl. in un clima del genere i fraintendimenti e le interpretazioni doppie sono inevitabili.

Nessuno se ne tiene lontano, d’altronde. Nemmeno chi, come Veltroni, se la prende esplicitamente con «la strumentalizzazione politica di questo dramma», attuata, dice, attraverso le frasi pronunciate dal premier «sui familiari, sul ciclo mestruale e sul risveglio» con un «cinismo preoccupante». Lo stesso leader democratico non manca però di sottolineare la differenza di coesione tra il suo partito e quello di Antonio Di Pietro. «Da noi discuteremo per individuare un orientamento prevalente,poi ci sarà la libertà di coscienza, certo diversa da com’è concepita nell’Italia dei valori dove il leader dice una cosa e i capigruppo un’altra». Ieri i senatori della commissione Affari costituzionali hanno avuto scarsa opportunità di immergersi in lunghe riflessioni. I rappresentanti del Pd hanno eccepito sotto varie forme la costituzionalità del disegno di legge: giacché si rende obbligatoria l’alimenta-


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Le proposte di legge analizzate dal professor Francesco D’Agostino

«La famiglia non può imporre l’eutanasia» di Gabriella Mecucci

Sacconi denuncia: «In quella clinica palesi illegalità» UDINE. «Nella clinica di Udine La Quiete ci sono palesi illegalità», secondo il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi dopo l’ennesima ispezione dei Nas alla struttura che ospita Eluana Englaro. «Stiamo lavorando, certamente in un clima non proprio sereno ed in una situazione in continua evoluzione, secondo i nostri compiti e funzioni per rispondere e quindi per trovare una soluzione adeguata»: questa è la risposta giunta dalla Direzione Generale dell’Azienda per i servizi sociali n.4 Medio Friuli di Udine, cui è pervenuta la richiesta da parte dell’assessorato alla Sanità della Regione Friuli di un provvedimento d’urgenza per la clinica dove si trova Eluana. La richiesta diceva: «Qualora la Commissione accerti che nella struttura autorizzata vengono svolte attività sanitarie non ricomprese nell’autorizzazione, l’Azienda per i servizi sanitari diffida il titolare della struttura a interrompere, con effetto immediato, le predette attività».

zione artificiale anche per i malati coscienti – osservano – si viola l’articolo 32 della Carta, in ogni caso calpestato perché – sempre a giudizio dei parlamentari democratici, di laici del Pdl come Benedetto Della Vedova e dei Radicali, che hanno preparato migliaia di emendamenti – dare cibo e acqua con una macchina costi-

tuirebbe di per sé un intervento chirurgico.

Spunta anche un problema di retroattività. A rilevarla per prima è la curatrice legale della Englaro, Franca Alessio: «La sospensione è iniziata prima che il ddl fosse scritto, quindi non vale nel nostro caso». Gaetano Quagliariello prima e il ministro al Welfare Maurizio Sacconi subito dopo annunciano il rimedio: con un’integrazione al testo iniziale la norma è estesa anche ai casi in cui l’alimentazione artificiale è già stata interrotta: «Sia immediatamente ripresa», è la nuova prescrizione. L’hanno presentata i senatori di Pdl e Lega insieme con l’Udc, che con Pier Ferdinando Casini ha ribadito il proprio sì al ddl. Secondo i sanitari della clinica“La quiete” sarebbe tutto inutile: «Non è prevista una sanzione penale per chi la disattende», fanno notare, ringalluzziti anche dagli esiti finora intangibili dell’ispezione ministeriale e delle indagini avviate dalla Procura di Udine. Ieri sera la legge riveduta e integrata è stata discussa nell’aula di Palazzo Madama. Stamattina sarà licenziata al massimo per le 10 e immediatamente trasmessa alla commissione Affari sociali di Montecitorio.Tempi strettissimi anche alla Camera, dove Gianfranco Fini e i capigruppo hanno convenuto sul contingentamento e su un timing che dovrebbe consentire il via libera finale entro le 14 di domani pomeriggio, a scrutinio segreto. È tutto sospeso a un filo, dice l’associazione degli anestesisti: da giovedì in poi la mancanza d’acqua potrebbe compromettere definitivamente gli organi vitali di Eluana. Che, sistema nervoso a parte, funzionano ancora benissimo.

ROMA. La vita e la morte di Eluana sono ogget- geriatrica. In entrambe le situazioni non sono i to di uno scontro culturale, politico, istituziona- soggetti in questione a decidere, ma altri al loro le. Il Parlamento si accinge a varare una legge posto che dovrebbero rappresentarne la vofra le polemiche. Il professor Francesco D’Ago- lontà. Appena fatta la legge sul testamento biostino, presidente emerito del comitato di Bioeti- logico – è facile prevederlo – ci si accorgerà che ca, invita alla “saggezza”, a non “esagerare”. essa verrà usata da pochi. Al massimo sarà un Eppure, professore, la situazione è sempre dieci per cento delle persone che lascerà per più drammatica? iscritto le proprie disposizioni per la fine della Preferirei non usare parole come scontro. Direi propria vita. Allora spunteranno gruppi di prespiuttosto che la politica e le istituzioni risentono sione che cominceranno a sostenere la tesi che della lacerazione profonda che c’è nel paese. quella decisione può essere presa anche da Basta leggere i sondaggi: gli italiani sono divisi qualcun altro. Del resto, l’unico argomento che a metà e pochi sono gli incerti. i sostenitori del distacco del sondino a Eluana Il professor Panebianco sul Corriere della portano è che il padre sta portando avanti la voSera ha scritto che ci sono due partiti che lontà della figlia. La legge sul testamento biolosi scontrano e poi ce gico, che si va ad elaborare n’è un terzo più sagin Parlamento, deve fare gio che ritiene giusto estrema chiarezza su queche a risolvere casi sto punto: non esistono tucome quello di Eluatori, famigliari o altri delena ci pensino i medici gati a decidere. Solo il titoe la famiglia. È d’aclare della vita e della salucordo? te può farlo. È una osservazione intelliAbbiamo visto ciò che la gente, ma non tiene conto legge non deve contenere della complessità del dila possibilità che affiorino battito bioetico e demonel tempo dei delegati a grafico. Anche io ritengo decidere. L’autodetermiimportantissima la faminazione del soggetto deve essere totale? glia, ma vorrei far notare No. Penso che ci debbano che la vita e la morte riessere dei limiti. Innazitutguardano ormai anche to occorre che il paziente molte persone che non sia informato in modo hanno una famiglia: pensi esauriente e preciso di ciò agli immigrati. E poi non che firma. Il medesimo sempre la famiglia in sicontenuto potrebbe essere tuazioni come questa resottoscritto anche dal mesta unita. Se lei pensa, poi, dico che certifichi così – a cosa può accadere in sotto sua responsabilità – una famiglia nel caso di la volontà informata del un testamento che destina paziente. In secondo luogo eredità, ha ben chiaro che non possono essere richiela comunità famigliare ste pratiche che sono fuorinon è un tutt’uno, ma può legge. Ciò può apparire baaccadere che si spacchi Il professor Francesco D’Agostino nale, ma lo è molto meno anche drammaticamente. è presidente emerito se si ricorda – ad esempio – Divergenze che posssono del Comitato di bioetica che in Italia l’eutanassia è manifestarsi anche, a illegale. In terzo luogo, demaggior ragione, su questioni di vita o di morte. Quanto ai due partiti ve essere sempre garantito al medico di poter non mi sembrano così militarizzati. La verità è non rispettare i contenuti del testamento bioloche la politica è arrivata colpevolmente in ri- gico. Mi spiego meglio: ormai sono talmente tardo. Nel 2003 il comitato di bioetica aveva tanti e rapidi i passi in avanti della scienza, che elaborato all’unanimità una proposta di legge la situazione può mutare molto rapidamente. E sul testamento biologico, ma non se n’è fatto ciò che era vero alcuni anni prima, quando il paniente. Il buon legislatore è quello che anticipa ziente ha sottoscritto il testamento biologico, i fatti, non colui che li fa esplodere e solo dopo, non lo è più, dal punto di vista dell’efficacia di certe cure, nel momento in cui viene applicato. magari con l’acqua alla gola, interviene. Ormai però si è arrivati a legiferare. Come In questo caso l’unico giudice è il medico che ha la responsabilità di decidere. fare questo provvedimento? Occorre accettare l’idea dell’autodeterminazioProfessore, mentre al Senato si discute, ne del paziente. Ma deve essere chiara una cosa Eluana muore. Dicono che dopo due o tre e la legge la deve contenere: la decisione spetta giorni di mancata nutrizione e idratazione, solo al soggetto in questione e non ad altri che i danni siano irreversibili. ne rappresentino la volontà. Non a tutori che in- Non è affatto detto. Nessuno lo sa con preciterpretano gli orientamenti. Deve essere la per- sione anche perché non esiste alcuna sperisona che si autodetermina a scrivere con chia- mentazione attendibile. Può darsi che accada, rezza nel testamento biologico le proprie vo- ma è possibile anche che non accada. Ho l’imlontà. Altrimenti accade quello che è già succes- pessione che chi usa con tanta insistenza queso in Olanda. L’autodeterminazione ha finito sto argomento, voglia solo dire: ormai non c’è con l’aprire la strada all’eutanassia pediatrica e più niente da fare.

Bisogna accettare l’idea dell’autodeterminazione del paziente. Però ogni decisione spetta a lui, non ai suoi tutori


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segue dalla prima Ha ancora senso, per darci un po’ di consolazione il detto del filosofo antico: «Non temere la morte perché quando c’è lei non ci sei tu e quando ci sei tu non c’è lei!» L’espressione può dare qualche risposta nella sua stringente logica, ma riguarda solo me stesso. La morte mi tocca in prima persona quando chi mi lascia è la persona che amo. Lei se ne va mentre io rimango; dunque, la morte permane. Non solo. Io posso andarmene da questo mondo, ma rimangono le persone che amo; il loro dolore fa soffrire, perché sempre, immancabilmente quando soffre la persona che si ama quel dolore diventa nostro.

Del tutto paradossale appare la società di oggi con una cultura che mentre offre in abbondanza cibo per alimentare il proprio narcisismo e l’effimero di cui ci si nutre quotidianamente, di fatto esprime una morte precoce, irrimediabile e inavvertita. Si giunge a questo incontro impreparati e per questo si rimane ancora più storditi. Dietro l’angolo, quando meno te lo aspetti, passa lei e non ti dà neppure il preavviso. Un sabato sera tranquillo in compagnia degli amici e mentre torni a casa un altro giovane come te, ma meno prudente, nella sua corsa pazza spezza due vite. La morte ti si pone dinanzi con il suo volto atroce della beffa e dell’in-

Abbiamo perso il senso della vita. Ci emozioniamo per un cucciolo maltrattato ma non proviamo più pietà per una ragazza lasciata senza cibo né acqua. In nome di un falso diritto alla libertà si calpesta la vera libertà. L’enigma della morte si appanna quando la si interpreta alla luce del solo diritto e non permette più di ritrovare la via per la convivenza

sulto. Accade ogni momento, nessun istante è privo della sua presenza. La lotta con thanatos dura da sempre e non conosce fine. È necessario trovare la via giusta per sbarrarle la strada e sconfiggerla. Ma questo richiede assumere in sé il mistero della morte vissuta per amore e come offerta di salvezza per gli altri. Non c’è risposta convincente alla morte se non la fede in Gesù Cristo che l’ha vinta ritornando a nuova vita. Qui il mistero si fa ancora più grande, forse sconvolgente, ma necessario per approdare a una risposta che sia carica di senso davanti all’enigma della morte e della dissoluzione di sé. In questi giorni, tra tanto parlare inutile, la morte di una giovane ragazza provoca a prendere posizione. Chi ha voluto creare un caso mediatico con la sua vita, paragonata paradossalmente a quella di una pianta -

L’amore e la morte di monsignor Rino Fisichella «vegetativa» la definiscono i medici chiede ora il silenzio stampa perché sia rispettata una sentenza che agli occhi degli stessi specialisti appare contraddittoria e improvvida. Nonostante questo, anche il silenzio richiesto viene spezzato perché possa vincere la morte sulla vita, l’ideologia dell’assoluta libertà sul profondo senso della pietà. Quanta confusione e ipocrisia dinanzi al desiderio di vita e alla violenza della morte. Torna alla mente la scena che trova coinvolto il profeta Giona, quando si lamenta contro Dio

perché la pianta di ricino che gli faceva ombra viene seccata per colpa di un verme. La risposta del Signore non si fa attendere: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per una pianta di ricino? Tu ti dai pena per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita e io non dovrei avere pietà della grande città di Ninive nella quale sono più di centoventimila persone?».

Morte è un termine che non vorremmo mai sentire perché implica il limite: ecco che cosa si impone alla mente e al cuore in queste circostanze


prima pagina

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Che fastidio i presìdi e le manifestazioni di questi giorni davanti alla clinica di Udine

Sono per la vita, ma senza gridarlo in piazza! di Luigi Accattoli aro direttore, mi chiedi di Eluana e che cosa farei se fossi in Parlamento e come vedo – da cattolico liberal – il dibattito che si infittisce nel Paese. Se fossi un parlamentare voterei il disegno di legge proposto dal Governo ma non chiamo “assassino”il papà di Eluana, sono contrario alle manifestazioni davanti alla clinica di Udine e seguo con disagio ogni intervento gridato. Apprezzo invece il dibattito che si va svolgendo in ogni tribuna mediatica, dai quotidiani ai blog.

C

«Gesù cura gli ammalati» in una stampa d’epoca. A sinistra, monsignor Rino Fisichella. A destra, una manifestazione per la vita di Eluana davanti alla clinica “La Quiete” di Udine dove è ricoverata

La scena sembra ripetersi ogni qualvolta ci si emoziona giustamente per un cucciolo di cane che viene trattato male, ma non si ha pietà per una ragazza alla quale vengono tolte idratazione e nutrizione. In nome di un falso diritto alla libertà si calpesta la vera libertà di vivere con gli elementi fondamentali e basilari per ogni essere vivente. L’enigma della morte si appanna quando la si interpreta alla luce del solo diritto e non permette più di ritrovare la via per una reale convivenza sociale. Quando il richiamo al diritto diventa esclusivo, ha perso dignità il diritto. In una società come la nostra dove predomina un positivismo giuridico che fa del formalismo ermeneutico la sua mannaia per imporre la propria interpretazione ideologica, la vita e la morte non appartengono neppure più alla persona né alla richiesta di giustizia, ma sono in balia dell’interpretazione del più audace e del potente di turno. La morte non è l’ultima parola che viene pronunciata da chi crede nella vita. Essa è entrata nel mondo per la disobbedienza del peccato non per la forza dell’amore. Chi ama potrà essere solo sfiorato dalla morte, perché il suo destino è la vita quella vera che non conosce limite se non l’infinito abisso dell’amore del Signore Risorto.

Voterei a favore della proposta governativa lasciandomi guidare dall’idea che occorre cogliere ogni occasione per esprimersi in favore della vita, né ho dubbi quanto all’opportunità di sostenere Eluana con ogni mezzo fino a quando sia in grado di respirare. Da cristiano e in nome dell’amore che“tutto spera”non cesso di sognare che questa giovane donna possa risvegliarsi e che persino la fame e la sete – che il suo corpo sta avvertendo – l’aiutino a ciò. Ma non chiamo “assassino” Beppino Englaro e non considero quanto si sta svolgendo un atto di eutanasia. Sono anche contrario a qualificarlo come“omicidio”e ritengo impropria ogni espressione che tenda ad affermare certezze in una materia così nuova e sfuggente. Il papà di Eluana e quanti lo sostengono chiedono di porre fine al tentativo di rianimazione iniziato tanti anni addietro. Io sarei per non interromperlo del tutto, quel processo, ma non trovo ragionevole qualificarmi come un salvavita che si confronta con degli “assassini”. Guardo con rispetto alla decisione di quei tribolati genitori e non vorrei dire neanche una parola che metta in dubbio la loro retta intenzione.Vorrei pormi nei loro confronti nello stesso atteggiamento di attenzione e di riserbo con cui mi tengo in ascolto del debole segno di vita che viene dal respiro di Eluana. La drammatica avventura di questa donna – che ci è diventata amica con il

sorriso degli anni più freschi – ci sta introducendo in una zona inesplorata dell’umano. Non abbiamo i sentimenti e le parole per una considerazione intera di quello che le succede e che insieme succede a noi. Il suo respiro che si va indebolendo mi ricorda che mai dovremmo spegnere il “lucignolo fumigante”. Che ogni vita, pur menomata, è pur sempre a gloria di Dio. Ma non tutti, tra noi, colgono questo flebile segnale e chi l’avverte non trova le parole necessarie a convincere gli altri. Siamo nella confusione. Di questa va tenuto conto nella discussione che ci appassiona. Io vedo un buon segno di maturità civile e umana nelle modalità che va assumendo il confronto e spero che le punte di intolleranza e di ec-

La drammatica avventura di questa donna ci sta introducendo in una zona inesplorata dell’umano

cessiva sicurezza possano rientrare a vantaggio della creazione di un consenso che già potrebbe essere relativamente vasto, sia in Parlamento sia nel Paese.

L’incertezza che dovrebbe rendere tutti più guardinghi riguarda – a mio parere – non solo aspetti marginali della questione, ma i due argomenti centrali di essa: sia quello su cui fanno leva i sostenitori della cessazione del sostentamento vitale, e cioè la ricostruzione della “volontà” di Eluana; sia quello che appare decisivo nelle argomentazioni di coloro che si oppongono a tale cessazione, riguardante la necessità di non privare mai alcun “disabile” dell’idratazione e dell’alimentazione, che non possono costituire “accanimento terapeutico”. Se è arduo attribuire un valore di volontà testamentaria – o di “fine vita” – a un’esclamazione pronunciata in una conversazione familiare, a me pare altrettanto

lampante che nel caso di Eluana quell’idratazione e quell’alimentazione – che non sono soltanto “un poco di cibo e un poco di acqua”, ma dei preparati farmaceutici assai complessi – non vanno visti a sé, come aiuto a un individuo che non è in grado di alimentarsi da solo, ma come parte di un trattamento clinico ben più complesso e ambizioso, che non ha ottenuto l’obiettivo della rianimazione che si prefiggeva e che oggi si prolunga come sostentamento vitale.

Non c’è dunque nulla di scontato o di facile nell’affrontare una tale ardua questione, nuova per il nostro ordinamento. Da qui una raddoppiata esigenza di cautela e di convergenza. Questo atteggiamento a non estremizzare e a non politicizzare lo vedo confortato dal modo in cui papa Benedetto ha alluso sabato e domenica al dramma di Eluana senza nominarla e dal tenore di una telefonata di “chiarimento”tra il segretario di Stato vaticano e il presidente della Repubblica Napolitano. Papa Ratzinger domenica all’Angelus – ma altrettanto aveva fatto sabato con il “messaggio”per la “Giornata del malato”– ha invitato a pregare“per tutti i malati, specialmente per quelli più gravi, che non possono in alcun modo provvedere a se stessi, ma sono totalmente dipendenti dalle cure altrui”: era evidente il riferimento a Eluana, che però non è stata nominata. Improntato alla stessa prudenza – con l’aggiunta di uno scrupolo diplomatico a non “interferire” nel delicato confronto istituzionale e politico in atto in Italia – è risultato il comunicato di domenica sulla telefonata Bertone-Napolitano avvenuta sabato per iniziativa vaticana. Si è parlato – vi si dice – “della vicenda di Eluana Englaro come pure di altri argomenti di reciproco interesse”. “Pacatezza ed equilibrio” è infine la raccomandazione riassuntiva dell’Osservatore romano riguardo all’atteggiamento da tenere nel dibattere una questione tanto delicata.


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politica

Caso Battisti. La Farnesina ottimista: 5 giudici della Corte suprema a favore dell’estradizione, 3 i contrari

«Vinceremo 2 a 0 col Brasile» di Pierre Chartano

ROMA. «Vinceremo due a zero col Brasile. Il primo gol lo faremo vincendo con la nazionale di calcio brasiliana, il secondo con la Corte suprema». È questo lo spirito che anima il nostro ministro degli Esteri, Frattini che ha risposto ad alcuni ragazzi su Facebook, a proposito della vicenda di Cesare Battisti, l’ex terrorista al centro di una intricata vicenda internazionale. E della partita di calcio che si terrà stasera. Indiscrezioni dalla Farnesina danno come orientato verso la concessione dell’estradizione la decisione della Corte suprema brasiliana. Sarebbero 5 i giudici a favore, sugli 11 che dovranno decidere il destino del membro dei Proletari armati per il comunismo (Pac) condannato all’ergastolo dalla giustizia italiana.Tre invece vorrebbero dire no a Roma. Il terrorista italiano era espatriato in Francia, sfruttando la cosiddetta dottrina Mitterrand. Poi era fuggito - si vocifera con l’aiuto dello Sdece francese (i servizi segreti) - verso i lidi più caldi del Brasile, per evitare l’estradizione che Parigi avrebbe concesso a Roma.

Nei piani alti della Rai, si respira un’atmosfera di equilibrio e toni soft, alla ricerca della quadratura del cerchio sul caso Battisti. Un affaire diplomatico, montato anche dalle accuse provenienti dall’Italia, sul ruolo che si suppone abbia avuto la première dame. Carla Bruni in Sarkozy, sarebbe intervenuta personalmente per favorire Battisti. Pare ci fosse un suo intervento alla radice del rifiuto d’estradizione che il governo di Lula aveva posto. Un «no» che aveva provocato anche l’intervento del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e poi del mondo della politica nazionale. Si era parlato di sospendere la partita fra la seleçao carioca e la nazionale di Lippi. Il presidente della Rai, Claudio Petruccioli ha investito Massimo De Luca, responsabile dei servizi sportivi, per trovare la formula più adatta per affrontare l’argomento. La linea che è prevalsa è comunque che della vicenda se ne occuperanno le tribune informative. La partita va tenuta distinta e separata dal resto. Le accuse alla signora Sarkozy erano partite dalla Stampa di Torino e dall’associazione delle vittime del terrorismo Domus Civitas: «Sappiamo con certezza che la moglie del presidente francese Nicolas Sarkozy è intervenuta personalmente nel

in breve Rimosso Williamson, lefebrviano negazionista Al centro delle polemiche per aver negato la Shoah, il vescovo negazionista Richard Williamson è stato rimosso dalla direzione del seminario di La Reja, a una cinquantina di chilometri da Buenos Aires. Lo ha riferito l’agenzia argentina DyN, precisando che la decisione è stata presa da Christian Bouchacourt, a capo della Fraternità Pio X per l’America Latina e citando una nota inviata per fax dall’organizzazione. Non ci sono al momento conferme ufficiali. Il vescovo di origini britanniche di 68 anni è direttore del seminario argentino dal 2003.

Coppola condannato a sei anni di carcere

Il conclave della giustizia brasiliana si è riunito il 2 febbraio: a marzo arriverà la sentenza. Stasera a Londra la contestata “amichevole” tra le nazionali di calcio caso Battisti, chiedendo telefonicamente al presidente brasiliano, Lula da Silva, di non estradare Cesare Battisti». «Non ho avuto nessun ruolo, no» aveva assicurato la prima donna di Francia, chiamata per un intervista nel programma della Rai Che tempo che fa. E aveva continuato: «Non ho alcuna ideologia, non ho mai difeso Battisti e sono felice di rispondere a questa domanda e di farlo sapere ai parenti delle vittime». «Davvero non capisco come qualcuno abbia potuto pensare che la moglie di un presidente sia in grado di affrontare con un tale argomento con il presidente di un altro Stato». Ed ecco come l’orientamento espresso dal presidente Rai al responsabile dei servizi sportivi della Tv pubblica verrà tradotto durante la partita Italia-Brasile. «Ricorderemo durante la trasmissione le vicende e le polemiche che hanno accompagnato la partita. Non spetta a noi approfondire, in alcun modo, le notizie su Battisti. Questo è compito dei Tg e degli altri spazi dedicati all’informazione. Lo sport deve rimanere separato da altri ambiti. Voglio ricordare che, ci fosse stata un’invasione di campo della politica nello sport, non avremmo giocato la coppa Davis in Cile, non avremmo partecipato alle Olimpiadi di Mosca e neanche a quelle di Pechino. Lo sport sopravvive se si mantiene al di sopra di que-

ste vicende», la risposta a liberal di De Luca. Insomma a ognuno il suo mestiere, e la separazione dei temi in questo caso è di rigore. Ricordiamo che i toni, a fine gennaio, erano invece stati tenuti molto alti dalla politica nazionale. «Siamo sempre più indignati dalla decisione brasiliana di non estradare l’assassino Cesare Battisti. Lula continua a mettere in discussione la democrazia ed il sistema giuridico italiano». Aveva dichiarato il sottosegretario per gli Affari Esteri, Alfredo Mantica. Una querelle che aveva finito per coinvolgere anche il Quirinale. Il Colle aveva espresso «stupore e rammarico» in una lettera al presidente brasiliano Lula. «Il Capo dello Stato si rende interprete della vivissima emozione e della comprensibile reazione che la grave decisione ha suscitato nel Paese e tra tutte le forze politiche italiane», le parole di Napolitano.

Il conclave della giustizia brasiliana si è riunito il 2 febbraio e dovrebbe emettere la sentenza in una decina di giorni. Dalla Farnesina si aspettano «buone notizie» per i primi di marzo. A causa del trambusto del carnevale e delle difficoltà legate alla delicatezza del caso. Lula ha dichiarato che la giustizia ha un percorso autonomo rispetto alle dichiarazioni e alla volontà dei membri del suo governo. Un chiaro segnale di presa di distanza, rispetto alle dichiarazioni del suo ministro della Giustizia, Tarso Genro, a favore del terrorista italiano.

L’immobiliarista romano Danilo Coppola è stato condannato a sei anni di reclusione dai giudici della II sezione penale del tribunale di Roma per il fallimento di una sua società, la Micop. Oltre a Coppola è stata condannata a 4 anni di reclusione Daniela Candeloro, commercialista della società. Coppola e Candeloro sono stati ritenuti responsabili di bancarotta fraudolenta. Entrambi gli imputati sono stati invece assolti dall’accusa di falso.

È in aumento la pedofilia on line Oltre 36 mila bambini sono stati scambiati in internet 20 miliardi di volte per alimentare il turpe mercato della pedofilia on line. Il 42% ha meno di 7 anni e il 77% meno di 9 anni. Questa una parte delle denunce di Telefono Arcobaleno, l’organizzazione che da tredici anni lotta al fianco delle maggiori agenzie di sicurezza internazionali contro la pedofilia on line. «La pedofilia on line è un mercato che non conosce crisi e formalmente illegale ma di fatto libera, i clienti restano pressoché impuniti per la lentezza dei processi e le giovani vittime rimangono stritolate tra i meccanismi farraginosi di una giustizia che fatica a dare risposte», dice il presidente dell’organizzazione, Giovanni Arena.


economia

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in breve Marcegaglia: ai Comuni le grandi opere

Conti. Domani il ministro Fitto proverà a convincere le Regioni a liberare i fondi per il piano anti-crisi

Chi salverà Tremonti? di Francesco Pacifico

ROMA. Maggiori risorse alle regioni del Sud sulla formazione e regole meno vincolanti sulla spesa per gli investimenti. Raffaele Fitto sta ultimando il compromesso da presentare domani alle Regioni, in modo da sbloccare l’utilizzo degli oltre 120 miliardi di euro in fondi europei Fas e Fse, che pioveranno sull’Italia entro il 2013. Soldi indispensabili in una fase nella quale il Paese – come ha comunicato ieri Tremonti alla Ue – si accinge a rinviare a data da destinarsi il pareggio di bilancio. E quindi deve affrontare con più difficoltà il lancio di nuovi incentivi all’auto o ai frigoriferi (spesa prevista almeno 2 miliardi di euro) e il rafforzamento del sistema degli ammortizzatori sociali (8 miliardi il conto). Il tutto con pochissime certezze sulle coperture di questi provvedimenti.

Quella tra governi e Regioni è una querelle che va avanti da mesi. Che è centrata su fondi che finora gli enti hanno utilizzato a loro piacimento. Ma nonostante le rassicurazioni del ministro Fitto – «La distan-

za non è poca, ma sono sicuro che troveremo una soluzione» – la tensione sta salendo non poco nelle ultime ore. Intanto non è piaciuto il rilancio che ieri Berlusconi ha fatto sul ponte di Messina. Anche perché arriva mentre il Cipe non ha ancora sbloccato i famosi 16,6 miliardi per le opere già programmate. Venerdì scorso, poi, c’è stato l’attacco di Giulio Tremonti sull’incapacità degli enti di spendere i fondi europei.

Maggiori risorse al Sud sulla formazione e vincoli più leggeri sul patto di stabilità. I governatori chiederanno ulteriori garanzie sulla riforma degli ammortizzatori sociali

Non a caso queste dichiarazioni, il ministro dell’Economia, le ha fatto annunciando le nuove rottamazioni per l’auto. Così sono molti i governatori a temere che via XX settembre abbia coperto il provvedimento attingendo ancora una volta ai fondi Fas oppure a 875 milioni stanziati dalla ex 488 e tornati in capo allo Sviluppo economico perché mai utilizzati. In ogni soldi che hanno come destinazione

La Ue prepara un incontro sulla crisi a fine febbraio

Vertice straordinario europeo BRUXELLES. La presidenza di turno ceca dell’Unione europea «sta prendendo positivamente in considerazione l’idea» di tenere un consiglio informale dei 27 prima del Consiglio europeo previsto per metà marzo. Lo ha riferito il portavoce della Commissione Ue Johannes Laitenberger, dando notizia di una conversazione telefonica fra il presidente della commissione Ue Jose Manuel Durao Barroso e il premier ceco Mirek Topolanek. Sono in corso consultazioni, ha spiegato il portavoce, col presidente francese Nicolas Sarkozy e col cancel-

naturale gli investimenti al Sud, non la crisi delle quattro ruote. Rappresenta il clima Sergio D’Antoni, responsabile Mezzogiorno del Pd: «Non si tratta di attacchi occasionali, ma di tasselli di un disegno politico preciso, che vede nel Meridione solo una fonte di denaro con cui coprire tutte le misure nazionali. Un’impostazione che ha tolto finora 20 miliardi di

liere tedesco Angela Merkel: Francia e Germania, infatti, aveva annunciato una iniziativa straordinaria europea contro la crisi. Il portavoce ha spiegato che il vertice informale, il cui scopo è quello di preparare il Consiglio europeo di primavera, si dovrebbe tenere verso fine febbraio. Nell’ambito della preparazione del Consiglio di primavera, ieri pomeriggio Barroso ha partecipato alla riunione dell’Eurogruppo, mentre domani il premier ceco Topolanek sarà a Bruxelles per un incontro con Barroso e con i commissari Ue.

euro proprio alle zone più esposte agli effetti della crisi». Domani i governatori chiederanno innanzitutto a Fitto, se il governo ha avuto rassicurazioni da Bruxelles sulla rimodulazione dei Fondi sociali europei: l’esecutivo vuole recuperare da qui gli 8 miliardi per gli ammortizzatori sociali, ma la Ue vieta come destinazione la cassa integrazione. Difficilmente il ministro potrà dare garanzie, ma rilancerà promettendo più soldi alle regioni del Sud nella ripartizione sulla formazione, meno paletti sul patto di stabilità nella parte dedicata agli investimenti, e la fine degli scippi al monte Fas degli enti da parte del governo.

Il vertice potrebbe essere anche l’occasione per ritornare a trattare su due ambiti, non meno centrali per i governatori: i fondi per la sanità e quelli per i lavori pubblici. Sul primo versante gli enti locali lamentano ancora una sottostima da parte centrale tra i 7 e i 9 miliardi. E vedono questa trattativa come propedeutica al buon esito di quella sul patto per la salute. Sulle opere invece si chiede un piano anticongiunturale, che non riguardi soltanto i grandi progetti, ma anche le realizzazioni minori. Quelle che, come ha spiegato l’Ance, sono subito cantierabili.

Confindustria chiede al governo di fare «una riflessione» sulla possibilità da parte dei comuni di effettuare investimenti in infrastrutture, ora bloccati dal patto di stabilità interno. Lo ha affermato la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. «Gli investimenti in infrastrutture sono uno degli strumenti principe per dare una spinta anticiclica all’andamento dell’economia», ha detto Marcegaglia per la quale, mentre le risorse previste per il 2009 sono limitate a 650 milioni di euro, ci sono opere per 4,5 miliardi di euro che potrebbero essere effettuate nelle singole città «opere che però non possono partire e che i Comuni non possono finanziarie per il patto di stabilità interna».

Cipolletta: Fs punta al 60% di Roma-Milano Le Ferrovie dello Stato puntano a coprire una quota di mercato del 60% del totale della massa dei passeggeri tra Milano e Roma. L’ha affermato il presidente delle Fs, Innocenzo Cipolletta, ieri a Milano a margine della Mobility Conference. «Con l’alta velocità stiamo ottenendo buoni risultati - ha detto la gente apprezza i nuovi servizi. Quando usciremo da questa recessione la disponibilità di treni e aerei genererà una forte domanda di trasporto, noi a dicembre 2008 eravamo al 50% dei passeggeri tra Milano e Roma, andiamo verso il 60% nel totale della massa dei passeggeri».

Crisi e petrolio, dimezzata la crescita nel Golfo L’insieme dei Paesi del Golfo Persico dimezzerà la crescita economica nel 2009, che sarà nel complesso del 3,5%, mentre i loro ricavi dall’export del greggio saranno di 300 mld di dollari inferiori a quelli registrati nell’anno scorso. Arabia Saudita, Emirati, Kuwait, Qatar, Oman e Bahrein, ossia i paesi della zona che registra il più alto export petrolifero del mondo chiuderanno l’anno in corso con un deficit fiscale del 3,1%, mentre il 2008 il pil era aumentato del 22,8%.


panorama

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In contropiede. Nella battaglia Unicredit il leader di Cariverona è il grande sconfitto. A meno che…

Le ambizioni dell’ingegner Biasi di Francesco Pacifico a uomo prudente e amante della lirica qual è, Paolo Biasi ha dimostrato in passato di saper uscire di scena dopo una sconfitta. Ne ha dato prova nel 2003, quando il contendere era la presidenza delle Generali. Così sorprende che il presidente di Cariverona abbia chiuso la chiassosa sortita ai vertici di Piazza Castello con una mossa ancora più fragorosa: l’improvviso passo indietro su un aumento di capitale, benedetto non meno di cinque mesi fa. Biasi non ama finire sui giornali così come fare la pedina sull’asse politica e finanza. Del quale – e non solo nei confini veneti – conosce appieno le regole. Ma lo smacco subito nella vicenda Uni-

D

IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio

credit – non ha giubilato Rampl o rimodulato il potere di Profumo né ha salvato il suo dividendo – ha finito per aprire una serie di fronti che la “Sfinge” non può permettersi e tollerare. Intanto ci sono le fibrillazioni sul futuro di Cariverona, che sarà pure un feudo inarrestabile del nostro, ma sul quale

tanto il suo potere, quanto i suoi progetti. Della città scaligera l’ingegnere è il vigile dei grandi affari come degli equilibri di potere. È stato lui, in tempi non sospetti, a sponsorizzare l’idea di una grande multiutility del Veneto da estendere nel medio termine al Friuli. Ancora lui è l’unico

Non ha giubilato Rampl né salvato l’alto dividendo della Fondazione, ma il suo no all’aumento di capitale potrebbe tornargli utile c’è uno scontro sempre più esplicito tra i leghisti del sindaco Tosi e i poteri bianchi della città.

E non meno pericolosi sono i riflessi sugli equilibri di Unicredit: se nei mesi scorsi Biasi aveva coagulato tutte le fondazioni su una difesa dell’istituto che non comprendesse aiuti statali, ora il successo della linea Palenzona e dalla Crt, potrebbe spingere Piazza Castello verso scenari diversi. Sia a Verona sia a Milano, Paolo Biasi vede a rischio non sol-

che ha l’autorevolezza e il carisma per realizzare nell’area quel polo finanziario, che manca alla parte più produttiva del Paese, e finisca per blindare tutti i gioielli immobiliari (come la Fiera) vantati da Verona. Eppoi ci sono le forti erogazioni che l’ente deve garantire al territorio – e che non saranno eterne se l’Unicredit continuerà a indebolirsi – oppure gli affari personali dell’ingegnere, che spaziano dalla costruzione di caldaie a un interessante patrimonio immobiliare.

Non meno tranquilla è la situazione in piazza Castello. Tra tutti gli azionisti Biasi è sempre stato quello che ha dato maggiore copertura a Profumo e al suo progetto di banca retail che guarda all’estero. Meno finanza e più sportelli, quindi, ma all’interno di un legame granitico con Mediobanca. Lo stesso che l’Ad di Unicredit considera un peso, un orpello.

In questa logica è difficile difendersi per poi attaccare in contropiede se a Verona la Lega chiede sempre un prezzo più alto per il suo appoggio o se a Milano si rafforza Fabrizio Palenzona, uno legato a un modello di sviluppo bancario che guarda più a Intesa, al sistema renano e al territorio. È proprio per avere le mani libere, rilanciare, Blasi ha preferito rinunciare ad aderire all’aumento di capitale chiesto per difendere la capitalizzazione di Unicredit. Sarà persa la battaglia, forse la faccia, ma la guerra è ancora lunga. E potrà avere un esito diverso quando a marzo Profumo presenterà gli ultimi conti della banca.

Arriva il festival della noia, come disse il comico, quando ancora non era un santone

Per Sanremo ci vuole un ”lodo Grillo” ncora una settimana e poi, puntuale come l’influenza di stagione, ecco arrivare anche quest’anno il Festival della canzone italiana: Sanremo. Dio ci scansi e liberi da questa enorme rottura di scatole che ogni anno ci piove addosso senza che noi si possa far nulla. Ma proprio nulla. Ma perché - direte - se vuoi, non lo vedi e la cosa finisce lì. Magari fosse così facile. Per non vedere Sanremo e non sapere nulla di Sanremo bisognerebbe non vedere telegiornali per dieci giorni, non leggere quotidiani per dieci giorni, non parlare con amici e parenti per dieci giorni. Perché, purtroppo, Sanremo è ovunque. È una sorta di obbligo o, peggio, di patrimonio nazionale, anche se non si capisce assolutamente bene in cosa consista il patrimonio. Come si può sfuggire a questa malattia immortale? Bisognerebbe rinchiudersi in un monastero. Sempre che i monaci non abbiano anche lì, in convento, la scatolina magica che si collega con l’Ariston. Dunque, non c’è altro da fare: bisogna stare in campana e cambiare canale o cambiare discorso al primo segnale sospetto.

A

Intanto, qualcuno di voi starà anche pensando che avrei potuto fare benissimo a meno di scrivere un articolo su Sanremo e che, in fondo in fondo, ne sto par-

lando proprio come faranno gli altri da qui a qualche giorno. Le cose non stanno proprio così. Io semplicemente odio Sanremo e godo a parlarne male. A partire dallo slogan: «Perché Sanremo è Sanremo». Perché Sanremo è Sanremo cosa? Più o meno dovrebbe significare una cosa di questo tipo: non è bello, non è orecchiabile, le canzoni sono brutte ma dopotutto è sempre Sanremo. Che è una giustificazione a dir poco contraddittoria. Quando Beppe Grillo era ancora Beppe Grillo e si poteva ascoltare e anche essere d’accordo, andò a Sanremo e disse una cosa che faceva più o meno così: «E noi lì, diciotto milioni di idioti a vedere Sanremo». Tutti a ridere con la pancia in mano, ma il Grillo era serissimo e faceva bene a esserlo.Voleva semplicemente dire che Sanremo è una grande boiata, che non merita tutta l’attenzione che ogni anno gli viene data da tutti - Rai, giornali, radio, televi-

sioni, artisti di vario genere e a vario titolo - e giustamente quando gli offrirono la possibilità di andare a dire qualcosa dal palco dell’Ariston prese la palla al balzo e andò a dire ciò che pensava di Sanremo a Sanremo. Perché Sanremo è Sanremo, e che cavolo! Che sia una gran rottura di palloni è ammesso dagli stessi organizzatori che ogni anno sono alla ricerca della trovata geniale, del bravo presentatore, delle belle veline, degli ospiti di grido. Una volta tocca a Mike e Chiambretti, una volta tocca a Pippo, altra volta alla Ventura, quindi cercano di portare Celentano (che per fortuna, essendo intelligente, se ne sta a casa sua). Quest’anno la trovata geniale è Mina, chiamata da Paolo Bonolis. Come, viene Mina? Macché. In occasione dell’uscita del nuovo singolo dell’unica vera cantante italiana si è trovato il modo di farlo diventare la sigla di apertura e lancio del

Festival 2009.Tutto qua. Non c’è niente di straordinario. Mina è invisibile e invisibile vuole restare. Perché mai dovrebbe rinunciare al mistero che ha creato? Ci sarà la sua splendida voce e qualche immagine, così il mistero sarà ancora più misterioso. Tuttavia, tanto basta per dire ormai da settimane che quest’anno a Sanremo ci sarà il Grande Ritorno della Tigre di Cremona. Ma perché si cerca il colpaccio? Perché si rincorre il colpo di scena? La risposta al rigo seguente.

La verità è banalissima e tutti ne hanno una paura da matti: Sanremo è noioso. È addirittura più noioso di Miss Italia. Se provano a farne una sintesi - Sanremo condotto da Carlo Conti o magari da Fabrizio Frizzi - raggiungono il vertice della noia assoluta. Bonolis pensa di salvarsi facendo il verso a Sordi e Totò, ma ha stufato, qualcuno glielo dica. Tutti sono atterriti dal calo degli ascolti e allora si affannano per avere l’idea geniale, la grande trovata, l’ospite speciale. Quando la cosa più semplice di questo mondo sarebbe quella di limitarsi a fare la gara delle canzoni con un presentatore e una orchestrina e le canzoni dal vivo. Che se le vuole sciroppare, le ascolta, chi no, cambia canale. Ma tutto finisce qui, senza la retorica di quinto ordine che Sanremo è Sanremo.


panorama

10 febbraio 2009 • pagina 11

Ricorsi. Dopo mesi di gelo, i due leader domani si ritrovano per ricordare insieme la figura di Tatarella

L’incontro ravvicinato D’Alema-Berlusconi di Francesco Capozza

ROMA. Che i due si stimino e si stiano reciprocamente simpatici non è una novità per nessuno. Negli ultimi anni hanno dato prova del loro amore-odio in varie occasioni, con dichiarazioni, fendenti e con messaggi subliminali. «D’Alema è il più intelligente e il più comunista all’interno del Pd» aveva detto pubblicamente Berlusconi pochi mesi fa. «Sulla prima parte non mi pronuncio, devono dirlo gli altri, sul fatto che io sia il più comunista del Pd sì, Berlusconi ha ragione» aveva risposto un D’Alema gongolante a Crozza Italia Live pochi giorni dopo. E ancora: «Berlusconi riesce ad affascinare l’interlocutore con la sua gentilezza e con il suo garbo. Per questo motivo, personalmente, cerco di non trovarmi nella stessa stanza con lui». Segno evidente, nel gergo dalemiano, che lo stesso lìder Maximo teme di rimanere catturato dal savoire faire del Cavaliere. Stavolta, però, dopo anni di conversazioni a mezzo stampa e televisione, i due si rincontreranno dal vivo, e probabilmente siederanno anche a poca distanza l’uno dall’altro.

Sia Massimo sia Silvio erano molto legati a Pinuccio Tatarella. Domani, nel ricordarlo, potrebbe esserci un insolito scambio di battute L’occasione, infatti, è data dalla commemorazione, a dieci anni dalla morte, di Giuseppe (Peppino) Tatarella che si terrà domani pomeriggio, alle 16.00, nella sala della Lupa di Montecitorio. Ad officiare il “rito” sarà il presidente della Camera, Gianfranco

Fini (che di Tatarella era amico e compagno di partito), ma è molto probabile che il vero regista della commemorazione - e del parterre di invitati - sia stato il vice capogruppo dei deputati del Pdl, Italo Bocchino, che di “Pinuccio”fu prima assistente e poi

discepolo prediletto. Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi si diceva. I due fuoriclasse (nel bene e nel male) della politica italiana saranno gli invitati d’onore alla cerimonia di domani pomeriggio. Entrambi, con le distanza che le posizioni politiche hanno imposto, sono stati molto legati alla figura dell’ex parlamentare e ministro prima missino e poi tra i fondatori di Alleanza nazionale morto proprio 10 anni fa, l’8 febbraio 1999. Di Silvio Berlusconi, Tatarella fu ministro delle Poste e Telecomunicazioni e vice presidente del Consiglio nel primo governo, quello del 1994, e fu lui, ormai divorato dal male che se lo sarebbe portato via, a mettere per la prima volta nell’orecchio del Cavaliere la pulce del partito unico. La paternità del Pdl, quindi, è in parte anche di Tatarella. Di D’Alema, invece, fu ovviamente avversario politico, ma tra i due c’era stima reciproca e, forse, entrambi sapevano di essere due fuoriclasse senza eguali nell’uno e nell’altro schieramento. Stima che portò D’Alema a spingere affinchè la vice presidenza della commissione bicamerale per le Riforme Istitu-

Crack. Difficoltà sempre maggiori per la It Holding che controlla la prestigiosa griffe

La crisi rovina la giacca di Ferré di Alessandro D’Amato

ROMA. Ecco la prima vittima eccellente italiana della crisi finanziaria internazionale. Dopo la chiusura di molte piccole e medie imprese, ieri Itierre Spa, la società operativa del gruppo It Holding, quotato in Borsa (dove da ieri è sospeso), è stata messa in amministrazione controllata. Il consiglio di amministrazione ha preso atto della mancanza delle condizioni di certezza necessarie per la regolare prosecuzione della operatività aziendale, e ha presentato istanza per il ricorso alla legge Marzano. La società in una nota precisava ieri che andrà verso l’immediata accelerazione del rimborso del prestito obbligazionario che aveva in essere.

oggi: la profittabilità del gruppo era relativamente debole, con un profilo finanziario estremamente aggressivo e caratterizzato da elevato indebitamento, tanto che i bond della società erano stati declassati sino ad un rating di ”C”, anticamera del fallimento. Ieri Moody’s le ha declassate a D. Le obbligazioni della società quotavano venerdì intorno al 15% del valore facciale, indicando la gravità della condizione. La crisi è

lioni di euro di Pa Investments, la finanziaria di Perna. Per questo avrebbe dovuto essere garantita con nuovi mezzi la continuità aziendale, oltre ai creditori. Per mesi si era parlato di Billy Ngok, l’imprenditore cinese disponibile a rilevare Ittierre, che alla fine a inizio anno è uscito di scena. Più recentemente era circolato il nome del fondo di private equity Kingsbridge come possibile cavaliere bianco.

Un complesso gioco di scatole cinesi finanziarie minaccia uno dei pilastri del ”made in Italy”. Nei guai finiscono anche Cavalli, Malo e Versace

Un capitolo fondamentale per la società di Tonino Perna, 1800 dipendenti e un fatturato di 637 milioni di euro, attiva nel settore della moda, del design, della produzione e della distribuzione di prodotti di alta gamma, (prêt-à-porter e accessori), con marchi propri – Gianfranco Ferré, Malo ed Extè – oltre che con licenziatari: Itierre va avanti, e a breve anche It Holding la seguirà nelle procedure della Marzano, sperando alla fine di poter uscire da un tunnel difficile. E non sono una casualità, le difficoltà di

esplosa a causa del mancato accordo con il sistema creditizio e l’’impossibilità di mantenere i rapporti con i marchi licenzianti (Cavalli, Versace, Galliano e C’N’C). L’indebitamento era di 295 milioni a fine settembre contro un valore di mercato della società di circa 43 milioni. Dopo un precedente rinvio, a dicembre è scaduta una rata di 9 milioni, sulla quale c’era però la disponibilità di arrivare un nuovo rinvio ad aprile. Non era invece stato raggiunto un accordo per un finanziamento ponte. In scadenza questo mese c’è poi una rata di 20 mi-

Dal

M o l is e ,

dove ci sono decine di contoterzisti per Itierre, il presidente della Regione ha definito “un disastro” l’ipotesi di un fermo dell’azienda. It Holding è la prima vittima illustra del sistema moda italiano e del Made in Italy. «La ristrutturazione è cosa fatta. Nel prossimo triennio cresceremo a doppia cifra anno su anno», aveva dichiarato Tonino Perna a PambiancoNews solo due anni fa. La crisi ne ha vanificato le previsioni.

zionali da lui stesso presieduta nel 1997 fosse assegnata proprio a Tatarella.

Domani, dunque, non sarà certo una singolar tenzone come quella avuta dallo stesso D’Alema con Giulio Tremonti (altra simpatia destrorsa dell’ex premier) negli studi di Ballarò o, come narrano i rumors di palazzo, in un paio di cene segretissime avvenute negli scorsi mesi a casa di un comune amico. Tuttavia quella stretta di mano (e chissà, forse anche qualche scambio di battute) che sicuramente ci sarà, avrà un significato certamente non trascurabile. Il baffino «più intelligente di tutti» e l’uomo «più furbo d’Italia», secondo la definizione del segretario democratico Walter Veltroni, potrebbero entrambi prendere la parola domani pomeriggio e non è da escludere che, nonostante la “sacralità” del momento, si lascino andare a battute reciproche. D’altronde entrambi ne sono capaci e più di ogni altro sanno tenere banco a colpi di battute e punzecchiature reciproche. E poi una cosa in comune ce l’hanno: entrambi odiano Veltroni.


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Israele al voto: quali scenari si aprono alla Knesset se vince Net

L’enigma di Gerusalemme di Andrea Mancia entoventi seggi in palio, più di trenta partiti in gara, nessuna maggioranza all’orizzonte. Le elezioni di oggi per il rinnovo della Knesset restano ancora avvolte in un alone di incertezza. Gli ultimi sondaggi (quelli condotti nel mese di febbraio) vedono sempre in testa il Likud di Benjamin Netanyahu, con un minimo di 25 e un massimo di 28 seggi. Il maggiore partito di centrodestra, considerato da mesi il favorito assoluto, è però incalzato dai centristi di Kadima, guidati dall’attuale ministro degli Esteri, Tzipi Livni,

C

tante di Netanyahu) che con una risultato previsto di 16/19 seggi si candida a diventare la terza forza politica israeliana, superando i Laburisti di Ehud Barak, fermi secondo i sondaggisti a 14/17seggi.

Più distanti, i cosiddetti “partiti minori”, che però, grazie all’estrema frammentazione del quadro politico, rischiano di diventare “necessari”per qualsiasi tentativo di coalizione: i sefarditi di Shas (9/10); la micro-coalizione ultraortodossa Utj guidata da Yaakov Litzman (5/7); i socialdemocratici di Meretz (4/7); i nazio-

La destra nazionalista di Lieberman rischia di diventare la terza forza politica, superando i Laburisti di Barak. E Tzipi Livni gioca la carta della “femminilità” per convincere gli indecisi che oscillano tra i 21 e i 25 seggi e che alcuni istituti di ricerca (non tutti) vedono in forte rimonta. Alle spalle della coppia di testa, dalla quale probabilmente uscirà il nome del prossimo primo ministro, emerge quella che si annuncia come la vera sorpresa di questa tornata elettorale, la destra nazionalista di Yisrael Beiteinu - guidata da Avigdor Lieberman (ex aiu-

nalisti di HaBayit (3/4). Senza contare i vari partiti arabi - Ta’al, Hadash e Balad - che, insieme, dovrebbero racimolare circa una decina di seggi.

Sono molte, insomma, le incognite che attendono Israele alla vigilia del voto. La prima rappresenta il partito “vincente”, che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) esprimere il nome del primo ministro. Il Likud riuscirà a mantenere il vantaggio di cui ha goduto durante tutta la campagna elettorale? O Kadima, grazie anche all’intervento militare nella Striscia di Gaza, riuscirà a recuperare terreno? Nelle ore immediatamente precedenti all’apertura dei seggi, Netanyahu sembra aver improvvisamente abbandonato la tattica attendista che aveva

Oggi urne aperte, 120 seggi in palio Le operazioni di voto per eleggere la diciottesima Knesset si svolgeranno oggi dalle 7 del mattino alle 10 di sera, ora locale (un’ora in più dell’Italia nel fuso orario). Le elezioni anticipate (la scadenza naturale della legislatura sarebbe stata nel 2010) si sono rese necessarie dopo le dimissioni del primo ministro Ehud Olmert, e l’insuccesso del suo successore - Tzipi Livni - nel tentativo di formare un governo di coalizione. I partiti principali (e i loro leader) sono: Likud (Benjamin Netanyahu, centrodestra); Kadima (Tzipi Livni, centro); Laburisti (Ehud Barak, centrosinistra); Yisrael Beiteinu (Avigdor Lieberman, destra); Shas (Eli Yishai, sefardita ortodosso).

Per lo storico Eli Barnavi solo un comp

Pronti a tutto, er la prima volta nella storia di Israele l’astensionismo potrebbe influenzare l’esito delle urne. Benjamin Netanyahu, Tzipi Livni, Ehud Barak, chiunque la spunti dovrà negoziare, patteggiare e forse coalizzarsi con il rivale. Per Eli Barnavi, storico di professione, ex ambasciatore israeliano a Parigi ed ex militante di “Peace Now”, «Israele è l’unica democrazia dove il voto è veramente condizionato dalle questioni internazionali. In Europa, invece, si è più condizionti dalla politica interna e dall’economia». L’elettorato va a destra per quello che è successo a Gaza o era già una tendenza di fondo della società israeliana ? Lo spostamento verso destra degli israeliani è una vecchia storia ed è causato dall’esasperazione per un processo di pace che non ha mantenuto le sue promesse. Ma, paradossalmente, proprio questa stessa opinione pubblica, in circostanze favorevoli, sarebbe pronta ad appoggiare un piano di pace generosissimo. Il problema è che non c’è nessuno in grado di proporglielo. Ecco perchè una volta alle urne finiscono con l’andare a destra. Quindi è un fallimento della lea-

P

scelto fin dallo scorso autunno. Domenica ha piantato un albero nella Alture del Golan, con una mossa dal retrogusto nazionalista che sembra fatta apposta per riconquistare un po’ dell’elettorato perso nelle ultime settimane a favore di Yisrael Beiteinu. E recentemente si sono moltiplicati gli appelli del Likud a favore del “voto utile”. «Fate un ultimo sforzo - ha detto ieri Netanyahu agli attivisti del A destra, Benjamin Netanyahu; in basso Eli Barnavi; a sinistra Tzipi Livni e Avigdor Lieberman

partito - e ricordate a tutti che c’è solo una scelta possibile: chi vuole me come primo ministro deve votare per il Likud. Un voto ad uno dei satelliti della destra potrebbe portare alla vittoria di Kadima».

Kadima, da parte sua, sembra oggi intravedere la possibilità di una vittoria (anche se di misura) assolutamente inaspettata soltanto qualche settimana fa. L’indicazione che arriva dai sondaggisti è che gli “indecisi” siano ancora un terzo abbondante dell’elettorato potenziale. E gran parte di questi “indecisi”, secondo gli istituti di ricerca, sono donne. Ecco perché, dopo aver quasi “occultato” il proprio genere per tutta la campagna elettorale (e durante gli infruttuosi tentativi di dare vita ad un go-


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tanyahu o se rimonta il partito della Livni

me: Likud o Kadima? verno di coalizione capace di sostituire quello di Olmert), adesso Tzipi Livni ha iniziato a diffondere manifesti in cui la sua femminilità diventa un “fattore”su cui giocarsi le residue chance di successo. L’operazione, a prima vista astuta, mette anche in chiaro che - se il Likud sta cercando di recuperare voti alla sua destra Kadima punta a svuotare definitivamente il serbatoio elettorale, laico e liberal, del partito laburista.

Un’altra incognita, naturalmente, è rappresentata dalla complessità degli scenari postelettorali. Nel 1984, quando Likud e Laburisti diedero vita al primo esecutivo di “unità nazionale”, i due partiti maggiori potevano contare su un’ottantina di seggi (su 120) alla Knesset. Oggi, nella migliore delle ipotesi, per raggiungere gli 80 seggi bisognerebbe mettere insieme i quattro partiti più grandi, che vanno dalla destra di Yisrael Beiteinu al centrosinistra dei Laburisti. E se il Likud, al-

meno in teoria, può cercare di organizzare una coalizione di centrodestra/destra, insieme al partito di Lieberman e alla miriade di formazioni ultra-ortodosse e nazionaliste, Kadima avrebbe molte più difficoltà a trovare alleanze in grado di superare la fatidica soglia dei 60 seggi. I liberali del Gil sono scomparsi, i Laburisti sono in crisi e anche Hadash è ridotto ai minimi termini. Più proabile, anche se ai limiti della fantapolitica, una “Große Große Koalition” con dentro Likud, Kadima e anche i Laburisti. Si tratterebbe di un “ircocervo” dalla difficilissima governabilità (e chi sarebbe il primo ministro, poi?), ma anche di un governo in grado - almeno aritmeticamente - di fare a meno di quella pletora di partiti minori che da (quasi) sempre condizionano la vita politica israeliana.

pleto ritiro dalla Cisgiordania potrà garantire la ripresa di seri negoziati di pace. Un accordo da fare prima che le potenze arabo-sunnite perdano la loro influenza

, anche a diventare un protettorato Usa e dividere la Città Santa di Sergio Cantone dership… Abbiamo un personale politico che nel suo insieme è mediocre, e da questo punto di vista, se vuole, facciamo tutt’uno con l’Occidente.Vale a dire, i migliori, salvo eccezioni, non si dedicano alla politica. Li potete trovare nel settore dell’alta tecnologia, nelle università, qualcuno nell’esercito, anche se il livello qualitativo di quest’ultimo si sta relativamente abbassando. E comunque penso che i due fallimenti siano connessi, e quello più vecchio e più evidente è che abbiamo una legge elettorale integralmente proporzionale, che genera mediocrità. Salvo trovare, ad esempio, una risposta immediata alla crisi profonda e all’apparenza irreversibile del processo di pace? Non ci sono mille soluzioni. Bisogna evacuare i Territori. Significa far sloggiare decine di migliaia di coloni, e non vedo nessuno in Israele che abbia le capacità di farlo, nè Netanyahu, nè Tzipi Livni, nè Barak. Per questo non è poi cosí importante chi vince le elezioni.Vince Netanyahu? Meglio, così sappiamo a che punto siamo. Bisogna farla finita con la farsa del processo di pace. Così com’è, è un’illusione.

Lei che soluzione propone? Questa faccenda, che è un problema di israeliani e palestinesi, deve diventare l’affare della comunità internazionale, ossia degli americani. La sola via di uscita è che la nuova amministrazione Usa, assieme all’Unione europea e al quartetto (Usa, Ue, Russia e Onu), dicano: ora basta, questi sono i vostri margini di manovra, aspettiamo dei risultati. È fattibile, perché non c’è alcun governo israeliano, chiunque sia il primo ministro, che sia in grado di resistere a una volontà americana forte. Ma questo non equivarrebbe a una specie di ritorno al protettorato? Si, e va benissimo, non è poi la prima volta, già George Bush padre è riuscito a portare Shamir. Alla conferenza di pace di Madrid nel 1991, il primo passo verso il dialogo arabo-israeliano? Si, a Madrid. Quando gli americani vogliono, possono condizionare. Credo che con Obama ci sia qualche speranza. È essenziale capirlo e lo si può anche definire protettorato, non importa. Quali sono gli strumenti di pressione a disposizione degli americani per convincere le due parti? Gli strumenti esistono, abbiamo già il

modello per il negoziato e probabilmente anche la soluzione. Dal 2002 abbiamo la proposta di pace saudita: per la prima volta dall’inizio del conflitto, cento anni fa, un grande Paese arabo dice: non solo siamo pronti a fare la pace con Israele, ma a normalizzare le nostre realzioni reciproche, a condizione naturalmente che si ritirino dai Territori e che venga creato uno stato palestinese. E la proposta saudita è stata accettata dall’insieme dei Paesi della Lega araba. Ciò vuol dire che c’è stato un progresso formidabile al quale nessuno ha fatto molto caso ed è un peccato. La proposta saudita è una forma di riconoscimento implicito da parte di molti Paesi arabi, in primo luogo l’Arabia Saudita? Non implicita, esplicita! L’Iran incombe. La creazione di un arco sciita radicale spaventa gli stati sunniti moderati, ancora più di noi. È il panico. Siamo di fronte a una configurazione rivoluzionaria, con un mondo arabo-sunnita che si contrae, che perde la sua influenza a vantaggio di potenze non arabe: Iran, Turchia, Israele. E chi se ne rende conto e chi tenta di bloccare il contagio iraniano? La campagna contro Hamas, la guerra di Gaza devono essere viste in

questo contesto. E Israele, se solo avessimo la leadership adatta, dovrebbe prendere atto di questa nuova configurazione per fare la pace con il mondo sunnita. Ma la società israeliana è pronta a rinunciare agli insediamenti? Sì. Ne abbiamo avuto prova al momento dello smantellamento delle colonie a Gaza. I coloni pensavano che la società israeliana si sarebbe mobilitata a loro favore. Non è successo.Tutti i sondaggi lo dimostrano: una maggioranza schiacciante di israeliani è favorevole a una soluzione negoziata il cui prezzo è noto, l’abbandono di Giudea e Samaria (Cisgiordania). Siamo pronti a tutto, persino alla divisione di Gerusalemme.


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n un articolo di qualche settimana fa dal titolo “La leadership smarrita di Olmert & Co” (vedi liberal del 14 gennaio), ho fatto tre considerazioni: che la leadership israeliana si è resa artefice degli attuali problemi di Gaza; che la guerra contro Hamas ha significato ignorare la ben più pesante minaccia delle armi nucleari iraniane; e che l’obiettivo di dare più potere ad Al-Fatah è privo di senso. Queste argomentazioni hanno suscitato molte critiche da parte dei lettori, che scrivendomi hanno espresso delle interessanti considerazioni meritevoli di risposte. Sintetizzando per chiarezza gli interrogativi, replico qui ad alcuni di loro in un’ideale intervista.

I

Il suo articolo è veramente irritante. Ha qualcosa di più stimolante da dire? In questi giorni il Medio Oriente è fonte di cattive notizie a livello pressoché assoluto. Due insoliti sviluppi positivi riguardano l’economia: grazie alle riforme attuate da Binyamin Netanyahu, Israele è riuscito a svezzarsi dal debilitante socialismo dei suoi primi anni e i prezzi energetici sono scesi di oltre due terzi. Ammettendo che lei abbia ragione, i toni dell’articolo non possono far altro che incoraggiare i nemici di Israele. Un linguaggio più cauto nei confronti della situazione politica andrebbe maggiormente a vantaggio dello Stato ebraico. Provo ad offrire una critica costruttiva. Anche se i nemici di Israele traessero incoraggiamenti dalla mia analisi tutt’altro che stimolante, credo che ciò sia più che compensato dalla possibilità di dare una mano agli israeliani a comprendere i propri errori.

quella che “lavora intenzionalmente alla distruzione dello Stato ebraico per causare un altro Olocausto agli ebrei di tutto il mondo”, allora mi dichiaro colpevole. Considero la leadership ebraica incompetente, ma non malevola e men che meno suicida. Ecco una soluzione strategica per Gaza: Israele dovrebbe prendere in locazione una striscia del territorio appartenente all’Egitto da utilizzare come una buffer zone. Magnifica idea. Ad eccezione del fatto che non esiste possibilità alcuna che il Cairo sia d’accordo. La sua analisi considera erroneamente Israele come un attore indipendente, quando il governo americano ha un importante ruolo nel limitare le azioni israeliane. Mi sono occupato della questione e mi sono detto contrario al ritiro da Gaza in un pezzo intitolato “Il ritiro da Gaza da parte di Sharon è stato deciso a Washington?”, ma tale affermazione è più generica rispetto al problema di Gaza e necessita di un’analisi approfondita. In sintesi replico come segue. L’idea che Washington imponga delle pessime idee a una Gerusalemme riluttante è consolante, il che implica che gli Usa si comporterebbero così visto che la leadership israeliana sa cosa fare ma non può farlo; sfortunatamente ciò è anacronistico. Dal 1973 al 1993 quello fu in effetti lo schema seguito.Tuttavia, dagli Accordi di Oslo, la leadership israeliana non è stata soltanto una compiacente complice della sua controparte americana, ma essa ha preso spesso l’iniziativa, per esempio negli stessi Accordi di Oslo del 1993, nel ritiro dal Libano del 2000, negli incontri di Camp David II

Un’auto-intervista del direttore del Middle East Forum

Io, grande fan di Netanyahu, vi spiego tutti gli errori di Israele di Daniel Pipes

Sono convinto che le Forze di difesa israeliane non necessitino dell’approvazione Usa per attraversare l’Iraq o di supplementari armi e munizioni statunitensi per colpire obiettivi iraniani Il nemico di Israele è la fedifraga leadership che lavora intenzionalmente alla distruzione dello Stato ebraico e così facendo rischia di causare un altro Olocausto agli ebrei di tutto il mondo. Rifiutarsi di rendere ciò chiaro e continuare a nascondersi dietro l’incompetenza è il vero problema. È ora di smetterla di incoraggiare la leadership perché così si diventa a propria volta un traditore. Se uno è un traditore dello Stato ebraico per non aver visto la leadership israeliana come

del 2000, nei negoziati di Taba del 2001 e nel ritiro da Gaza del 2005. Aaron Lerner riassume questo punto in «La pressione americana non è il problema» argomentando che le «iniziative diplomatiche israeliane sono state quasi tutte portate a termine solamente con la retroattiva approvazione americana» per poi fornire degli esempi. E se a comandare nello Stato ebraico fossero i più efficienti elementi della società israeliana, vale a dire l’esercito? Ma l’esercito israeliano ha già in gran parte comandato nel fondamentale re-indirizzamen-

Dall’alto: il presidente Clinton con l’allora primo ministro di Israele, Barak e il leader palestinese Arafat. Sono a Camp David, l’11 luglio del 2000. L’attuale premier israeliano Olmert e, in basso, il generale Moshe Ya’alon

to dalla deterrenza all’appea sement avuto luogo nel 1993 Rabin, Barak e Sharon hanno dominato gli ultimi sedici anni, insieme a molti altri ex-generali - nella vita pubblica del Paese. In Israele, come nel resto del mondo, l’esercito tende ad assorbire il trito e ritrito sinistrismo prodotto dalla società civile. Questo non è il momento di guardarsi indietro e di addossare delle responsabilità, piuttosto è il momento di andare avanti e risolvere il problema. Attribuire delle responsabilità per degli errori commessi non è solamente una questione di puntare il dito contro qualcuno, ma è una questione di cruciale importanza per evitare di dover ripetere quegli errori. Che deve fare Israele adesso? In un altro articolo pubblicato questo mese dal titolo “Risolvere il problema palestinese”(vedi liberal del 19 gennaio) ho appoggiato l’opzione GiordaniaEgitto, affinché la prima assuma il controllo della Cisgiordania e il secondo di Gaza. Perché Olmert ha sprecato questa opportunità per affrontare il pericolo relativamente trascurabile rappresentato da Hamas piuttosto che affrontare la minaccia esistenziale del programma nucleare iraniano? La risposta è tutta racchiusa in un articolo pubblicato l’11 gen-


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naio sul NewYork Times e titolato «Gli Stati Uniti hanno rifiutato di concedere il loro aiuto per dei raid israeliani sul sito nucleare iraniano», il che spiega che il governo americano ha ostacolato i tentativi israeliani di distruggere gli impianti di Natanz. Tuttavia, come ho già avuto modo di dire, sono convinto che le Forze di difesa israeliane non necessitino dell’approvazione americana per attraversare l’Iraq o di supplementari armi e munizioni statunitensi per colpire obiettivi iraniani. È facile muovere delle critiche; lei pensa veramente che si potrebbe fare di meglio? Se è così, perché non si reca in Israele ed entra in politica? Un giornalista sportivo non ha bisogno di guadagnarsi le stellette sul campo prima di muovere delle critiche ai giocatori e nemmeno un analista di Medioriente deve arrampicarsi sullo scivoloso pennone della politica israeliana prima di offrire delle analisi strategiche.

Abbiamo visto “Bibi” in azione come primo ministro tra il 1996 e il 1999 e si è rivelato un fallimento. Come ministro delle Finanze è stato bravissimo. E non ripeterà gli errori del passato Cosa pensa degli altri piani alternativi che girano, due dei quali chiedono che non si dia vita a nessuno stato palestinese e che gli arabi palestinesi vengano pagati per andarsene e stabilirsi in un Paese di loro scelta, che non sia Israele? L’iniziativa israeliana è opera di Benny Elon, un membro della Knesset e l’altra è frutto del Jerusalem Summit, di cui è artefice Martin Sherman, un docente della Tel Aviv University. Plaudo a questi tentativi di pensiero creativo. Il piano Elon somiglia alla mia idea sul coinvolgimento della Giordania e dell’Egitto, anche se esso si focalizza esclusivamente sulla Giorda-

nia «come unica legittima rappresentante dei palestinesi» e chiama in causa la sovranità israeliana sulla Cisgiordania, qualcosa che io non ho reclamato. I piani del Jerusalem Summit chiedono «una generosa combinazione di trasferimento e insediamento» invitando i palestinesi ad abbandonare le zone sotto il controllo israeliano. Credo che questa proposta troverà pochi consensi. Dove si colloca il leader Binyamin Netanyahu in tutto questo? Non è un falco che si rifiuta di pensare di poter cedere delle terre israeliane, per nessun motivo al mondo? Se avessi diritto di voto nelle elezioni israeliane, oggi voterei per lui. Detto questo, lo abbia-

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mo visto in azione come primo ministro tra il 1996 e il 1999, e a mio avviso il suo incarico si è rivelato un fallimento (contrariamente a quello successivo al dicastero delle Finanze, che è stato un successo). In particolare, ricordo il suo scarso rendimento riguardo la Siria (di cui ho scritto in un articolo del 1999 dal titolo “La strada per Damasco: che cosa Netanyahu ha quasi ceduto”). Probabilmente, Netanyahu è maturato come leader, ma il vecchio adagio: «Fammi fesso una volta e vergognati; fammi fesso una seconda volta e a vergognarmi sarò io» implica che il Likud potrebbe aver reclutato un volto nuovo. Adesso che il generale (in pensione) Moshe «Boogie» Ya’alon è entrato in politica, crede che vi sia speranza per il futuro di Israele? Ammiro Ya’alon e spero che ricoprirà un posto importante nel prossimo governo. Egli riesce quasi a comprendere, come

ogni leader israeliano, gli imperativi strategici del Paese. Ad esempio, quando gli è stata chiesta la sua definizione di vittoria,Ya’alon ha risposto dicendo che essa consiste nella «radicata interiorizzazione da parte dei palestinesi che terrorismo e violenza non ci sconfiggeranno e non ci piegheranno». Ma se si esamina attentamente la sua analisi Israele e i palestinesi: una nuova strategia,Ya’alon non lavora per ottenere una simile vittoria sui palestinesi. Piuttosto, egli desidera riformare l’Autorità palestinese in modo che questa possa controllare meglio il territorio, far rispettare la legge, rafforzare la propria autorità giudiziaria, acquisire uno spirito democratico e migliorare le qualità di vita della propria popolazione. «Convalescenza economica, efficace principio di legalità e democratizzazione sono le condizioni fondamentali», egli scrive «per una riabilitazione della società palestinese». Ya’alon conclude asserendo che una riorganizzazione della società palestinese, conformemente alle sue idee, «potrebbe plausibilmente fungere da base per un futuro accordo che realizzerebbe alcune delle speranze che erano state riposte nel processo di Oslo». Pertanto, ne deduco che l’obiettivo di Ya’alon non sia la vittoria bensì un altro tentativo di compromesso e risoluzione in stile Oslo. Cosa accade agli israeliani che non combattono più in modo intelligente? Ottima domanda. Ne ho già scritto l’estate scorsa e qui ripeto: lo Stato strategicamente brillante, ma economicamente inadeguato, dei primi tempi è stato rimpiazzato dall’esatto opposto. A quanto pare le menti dello spionaggio, i geni militari e i cervelloni politici si sono lanciati nell’alta tecnologia, lasciando lo stato nelle mani di gente mediocre, corrotta e mentalmente miope. Ma ciò non spiega l’intera situazione, che è frutto di una profonda commistione di stanchezza e arroganza. Le migliori analisi su questo problema sono quelle a firma di Yoram Hazony, Lo Stato ebraico: la lotta per l’anima di Israele e di Kenneth Levin, La sindrome di Oslo: Delusioni di un popolo sotto assedio. Dottor Pipes, lei dovrebbe tentare di eliminare le tensioni esistenti tra Israele e i Paesi arabi vicini. I tentativi volti ad eliminare le tensioni sono stati un tema centrale sin dall’accordo del Km 101 del 1973. Essi falliscono perché tentano di aggirare una definitiva conclusione del conflitto arabo-israeliano. Io sono a favore di una conclusione definitiva, poiché questo è l’unico modo per porre fine al conflitto.


mondo

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Somalia. Ahmed Abdullaeh assalta le navi nel Golfo di Aden Lo abbiamo intervistato nel carcere yemenita dove è rinchiuso

Sono un pirata, non un signore «Il nostro progetto è attaccare i cargo per farvi capire che il Paese è al collasso» di Silvia Marchetti e Sasha Matthews

ADEN. Lui si definisce (il paragone è stagionato) un “Robin Hood” che toglie ai ricchi (ossia alla comunità internazionale) per dare ai poveri del suo Paese. Ma Ahmed Abdullaeh non è proprio ciò che si può definire un eroe tradizionale. Ahmed è un pirata somalo, attacca i mercantili occidentali che transitano nel Golfo di Aden sequestrando i loro preziosi cargo. Parliamo della via marittima più trafficata al mondo con oltre 60mila navi che passano ogni anno. A causa de-

ma internazionale, anche se lui afferma di non rubare ma semplicemente di “sopravvivere” ai mali del suo Paese. In Somalia la violenza e la tragedia umanitaria hanno raggiunto livelli tali che ormai, come scrive Rob Crilly di The Times, si parla addirittura di uno “Stato post-fallito”, lontano da qualsiasi speranza di salvezza. Una cosa è certa: il conflitto che da anni spacca in due il Paese ha dato luogo a realtà complesse e traffici illegali - quali la pirateria marittima - e

Siamo una forza unita che lotta per il proprio Paese. Un tempo eravamo pescatori, poi la povertà ci ha costretto ad abbracciare la pirateria per difendere i nostri mari dallo sfruttamento internazionale gli attacchi dei pirati nel 2008 (ci sono stati oltre 40 casi) il numero dei navigli è crollato a 20mila. Si tratta di una vera e propria escalation di sabotaggi: i pirati sono sempre più organizzati e prendono di mira i grandi cargo destinati al mercato occidentale, come dimostra il caso della Sirus Star che trasportava un milione di barili di petrolio. Ahmed è un giovane ex-pescatore di 26 anni che viola la legislazione maritti-

soprattutto all’esodo di migliaia di sfollati che cercano rifugio in Paesi vicini come loYemen, dove nel 2008 sono sbarcate oltre 50mila persone. Il 13 Dicembre 2008, 12 pirati somali sono stati arrestati dalla marina indiana in acque territoriali yemenite. Oggi si trovano in carcere in Aden, in attesa di giudizio. Qui abbiamo potuto intervistare uno di loro, Ahmed.

Ahmed, chi siete voi pirati? Siamo una forza unita che lotta e difende il proprio Paese. Un tempo eravamo tutti pescatori, poi siamo stati costretti dalle condizioni di povertà ad abbracciare la pirateria, soprattutto per difendere i nostri mari dallo sfruttamento dei mercantili internazionali. Il governo somalo è un fantoccio che nulla può e la comunità occidentale persegue i propri interessi senza preoccuparsi dei problemi di fondo della Somalia. La pesca illegale è iniziata con la caduta del regime di Siad Barrè nel 1991, da allora i Paesi occidentali derubano la Somalia e noi pirati dobbiamo fare come Robin Hood, togliere ai ricchi per dare ai poveri. Quindi non bisogna pensare che siamo gente che sequestra navi senza ragioni ma bisogna capire i motivi di questi sequestri. Cosa vi ha spinto ad abbracciare la pirateria, una pratica illegale? Vogliamo difendere la nostra terra e il nostro mare che vengono sfruttati dalla comunità internazionale. Le nostre acque sono state svuotate dalla pesca illegale e ogni giorno vengono inquinate dai rifiuti tossici get-

In alto, un’immagine di pirati in azione; a destra, cosa resta su un cargo internazionale dopo un attacco andato male; sotto: soldati della marina cinese nel Golfo di Aden

Indiani, cinesi, giapponesi, coreani, russi, forze Nato, Ue. L’ordine è difendere la navigazione, ma ognuno lavora per sé

Il vero scopo delle marine internazionali: affari e interessi energetici di Luca La Bella e Antonio Picasso n inseguimento al cardiopalma degno di una spy-story. È quanto sarebbe accaduto, secondo la stampa cinese, nei giorni scorsi nelle acque del Golfo di Aden, tra unità navali della Marina Militare cinese e un sommergibile indiano. Nonostante la piccata smentita del Comando Navale di Delhi, l’incidente avrebbe coinvolto un sommergibile indiano classe “Kilo”, che tentava di monitorare la rotta di due cacciatorpedinieri cinesi classe “Luyang II”, quando è stato localizzato e costretto a risalire in superficie. Se confermato, si tratterebbe del primo incidente nell’ambito degli sforzi internazionali per contrastare la pirateria di fronte al Corno d’Africa. Qualcuno potrebbe dire che c’era da aspettarselo. La compresenza in queste acque di marine di molti Paesi, fra cui anche una task-force europea, richiede la necessità di coordina-

U

re l’azione di tutte le unità navali. Tuttavia, le cose si complicano notevolmente se fra gli attori in campo esistono degli attriti pronti ad “emergere”. In questo caso, infatti, viene meno il motivo delle operazioni coordinate (i pirati che minacciano gli scambi commerciali tra Occidente e Oriente) e hanno la meglio sia la voglia di sfoggiare una flotta avveniristica sia la possibilità di spiare quelle straniere. E l’episodio in questione va visto proprio da questa prospettiva.

Oramai da tempo, nei circoli strategici indiani si guarda con preoccupazione all’espansionismo navale cinese, ritenuto una minaccia per il controllo da parte di Delhi del suo spazio vitale nell’Oceano Indiano e verso lo Stretto di Malacca. Fattore che, nonostante i significativi progressi raggiunti nel campo bilaterale negli ultimi cinque anni, va ad


mondo tati in mare dai mercantili in transito. Noi siamo diventati pirati perché ci ha costretto la povertà, non riuscivamo più a trovare il pesce per sopravvivere. Qual è il vostro obiettivo, sequestrare cargo e basta? I giovani somali non sanno più dove trovare lavoro né dove andare. Abbiamo così deciso di organizzarci, il nostro obiettivo è quello di attirare l’attenzione della comunità internazionale sui problemi della Somalia e sullo sfruttamento delle nostre acque. Nel mare sono sparite le aragoste, che sostenevano le famiglie dei pescatori. Sta dicendo che i pirati hanno un progetto comune, una missione da portare avanti? Senza le nostre azioni di pirateria nessuno s’interesserebbe alla situazione somala. Siamo costretti a sequestrare le navi internazionali per far sì che il mondo ci veda e ci aiuti. Noi non traiamo nessuno beneficio

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dall’attività della pirateria, con quello che ricaviamo dai riscatti aiutiamo il Paese. Con quei soldi si rifanno le strade e si dà una mano ai poveri per rimettere in moto la Somalia. Come vi siete trovati, voi dodici siete tutti parenti? Non siamo parenti. Siamo in tanti a fare i pirati in Somalia, noi che siamo qui in prigione veniamo dallo stesso clan, diviso a sua volta in tanti sotto-clan. Come operate? Siamo ben organizzati. Si nomina un capo per ogni zona di appartenenza. Noi veniamo dalla stessa località. Io sono il capo di questo gruppo. Sono io che gestisco, guido e mando avanti le attività. Fate distinzione sul tipo di nave da sequestrare? Assolutamente sì. I Paesi vicini, tipo lo Yemen con cui abbiamo buone relazioni, non li tocchiamo perché non vogliamo entrare in conflitto con loro. Anche se ora siamo molto dispiaciuti

di come si stanno comportando gli yemeniti nei nostri confronti. Non siamo stati ancora giudicati, ci tengono prigionieri e non ci trattano bene. Ma perché vi hanno arrestato, avete sequestrato una nave yemenita? Sì, l’abbiamo presa in acque somale ma poi l’abbiamo subito rilasciata senza nemmeno chiedere un riscatto. Ci siamo fatti guidare dai nostri saggi, perché in fondo lo Yemen è il nostro vicino con cui abbiamo importanti relazioni bilaterali. Insomma, le navi dello Yemen non vanno toccate, è una regola. Ora però siete loro prigionieri. Lo Yemen si sta comportando in un modo che non ci aspettavamo. Se non veniamo giudicati chiediamo di tornare al più presto nel nostro Paese. Non importa quale sarà il verdetto sia la morte che la libertà - ma basta che ci giudichino in tempi breve.

Senza le nostre azioni di pirateria nessuno s’interesserebbe alla situazione somala. Siamo costretti a sequestrare i mercantili per far sì che il mondo ci veda e ci aiuti

aggiungersi alle “faglie storiche” fra i due Paesi, dispute territoriali, sostegno cinese per il Pakistan e il riavvicinamento strategico tra India e Stati Uniti. Dalla seconda metà degli anni ‘80, Pechino ha manifestato una crescente dipendenza economica da risorse e mercati accessibili unicamente via mare. Questo ha spinto la Cina, tradizionalmente una potenza “terrestre”, a colmare il “gap marittimo” nei confronti della potenza navale dominante, gli Usa, e di quelle regionali, quali Giappone e India. La modernizzazione della sua flotta militare, con l’acquisizione di nuove capacità operative anti-nave e anti-sommergibile, punta allo sviluppo della capacità di operare in alto mare, al fine di pattugliare e proteggere le rotte e sorvegliare i potenziali “chokepoints”, come lo Stretto di Malacca e il Golfo di Aden. Questo sviluppo ha un’evidente dimensione energetica, in quanto la garanzia di un’ininterrotta fornitura di gas e petrolio è indispensabile per il mantenimento di sostenuti ritmi di crescita economica del regime di Pechino. Lo sviluppo di una Marina d’alto mare consente alla Cina di espandere la propria

sfera di influenza ben oltre la sua immediata collocazione geografica, permettendole di proiettarsi nel cuore dell’Oceano indiano, oltre lo stretto di Hormuz, con il motivo contingente di limitare gli incidenti di pirateria, ma ovviamente a discapito dell’India.

Questa, negli ultimi anni infatti, si è sentita vittima di ripetuti tentativi di accerchiamento da parte della Cina. Elemento cardine di questa tensione è proprio la natura energetica della disputa stessa. Specialmente in un contesto asiatico di scarsità di risorse locali e di crescita vertiginosa dei consumi da parte dei due Stati, rispettivamente il secondo e il quarto importatore di petrolio al mondo. Da anni infatti, i due Paesi registrano una feroce competizione tra le rispettive società petrolifere che spaziano dall’Asia, all’Africa e dal Medio Oriente al Sud America. A prima vista potrebbe sembrare che i due giganti asiatici abbiano fiorenti e sereni rapporti bilaterali, con scambi commerciali che ormai stanno superando i 40 miliardi di dollari annui. Al contrario, le differenze fondamentalmente scaturiscono

dal fatto che le rispettive sfere d’influenza si sovrappongono e che Pechino e New Delhi hanno divergenti visioni del mondo e rivaleggianti interessi strategici. Questa situazione getta i due attori in un classico dilemma della sicurezza, ed è per questo che la presenza di navi da guerra cinesi nelle “acque di casa” per l’India genera sospetti che possono portare a incidenti come quello avvenuto tra Gibuti e le coste yemenite.

Gli attriti nelle acque di fronte al Corno d’Africa, d’altra parte, non si limitano alla rivalità sino-indiane. In un contesto di maggiore respiro, va ricordato che è tutta la comunità internazionale che, in questo momento, si sta adoperando per contrastare la pirateria somala. Di conseguenza, in un’azione condotta da più Paesi, non si possono dimenticare le tante e differenti bandiere issate sugli alberi delle navi. Dopo l’appello dell’Onu - ancora nel 2008, il consiglio di Sicurezza aveva emanato ben tre risoluzioni in proposito - ha preso il via una serie di operazioni navali gestite in concertazione dai governi potenzialmente coinvolti nei casi di pira-

teria. Nella fattispecie, la Nato si è attivata con la missione “Allied provider”, mentre l’Ue con “Atalanta”. Contemporaneamente va ricordata la “Combined Task Force 150”, operativa dal 2002 e inserita in “Enduring Freedom”, ma soprattutto le missioni individuali di Cina, India e Russia. Tutti evidentemente spinti dalla necessità di garantire la sicurezza delle rotte commerciali internazionali. Se poi aggiungiamo che Corea del Sud e Giappone hanno deciso di intervenire con proprie navi, ci rendiamo conto di avere a che fare con una situazione estremamente delicata. Della presenza di così tante flotte si era lamentato già mesi fa il governo yemenita. Inoltre, tenuto conto della storica rivalità che persiste fra molti governi, è plausibile pensare che il network operativo tra i singoli controllori sia tutt’altro che efficiente. Da qui si arriva facilmente alla conclusione che, invece di un’efficace controllo congiunto, si stia assistendo a uno sfoggio di capacità navali. L’auspicio è che da queste grandi manovre non si arrivi a una collisione. Analisti Ce.S.I.


cultura

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Un quadro una storia. Lettura ragionata del dipinto dell’allievo di Berchem “La madre”, in mostra a Roma fino al 15 febbraio nell’esposizione dedicata alla pittura fiamminga

Sopra tutto, la famiglia Ritorno al valore civile del focolare domestico La lezione del pittore olandese Pieter De Hooch di Olga Melasecchi l caso del pittore olandese Pieter De Hooch (1629 – post 1684) è esemplare di quanto la fama di un grande artista possa essere oscurata dalla figura di un genio indiscusso alla cui ombra ha vissuto ed operato e dal quale è possibile sia stato influenzato, riuscendo a mantenere tuttavia una personalissima e affascinante impronta tematica e stilistica.

I

lo stesso Vermeer, che possiamo definire in un certo senso il poeta del gruppo, erano Jan Miense Molenaer, Hendrick Cornelisz Vroom, Hendrick Cornelisz van Vliet, Jacob Ochtervelt, Willem van Aeltst, Egbert van der Poel, Paulus Potter, Balthasar van der Ast, Jan van der Heyden e, appunto, Pieter De Hooch. Uno sguardo d’insieme sull’opera di questi artisti ci è stato

affinità formale con l’opera di Vermeer, ma una altrettanto grande differenza sul piano sostanziale.

Là dove Vermeer era divenuto interprete di valori legati all’approccio amoroso, al sottile gioco di seduzione, in cui erano implicati sentimenti come la malinconia, la nostalgia, la vanità, De Hooch scelse di raffigurare scene di valori familiari. Come l’opera intitolata La madre ora esposta fino al 15 febbraio alla mostra “Da Rembrandt a Vermeer. Valori civili nella pittura fiamminga e olan-

del neonato posto all’interno della culla di vimini lì accanto, a noi invisibile, ma verso il quale la donna rivolge un dolce sorriso materno. Alla sua sinistra un cane si ferma dritto sulle zampe nell’atto di uscire, ma con il capo verso la donna e l’ardita prospettiva del suo corpo perfettamente ortogonale al piano del quadro costituisce un collegamento ideale tra i due ambienti. Nel tratto di parete alle spalle della donna verso l’uscita si riconosce un appendiabiti da cui pende una mantella rossa resa con un sapiente studio di panneggio, attraente come il pomello dell’appendiabiti, stupefacente manufatto di colore nero lacca la cui sfericità è sapientemente suggerita dai pochi ma esatti punti di luce provenienti dalla finestra, dimostrazione della perfetta verosimiglianza di questa pittura raffinata. Proprio al di sotto della finestra si trova una piccola consolle coperta da una corta tovaglia bianca su cui si intravvedono un libro chiuso, una brocca di porcellana con coperchio e una “bugia” con una candela bianca spenta, oggetti soliti trovarsi accanto ad un letto. I toni scuri dell’atmosfera in penombra della camera da letto si rischiarano nella seconda stanza

L’arrivo a Delft, nel 1652, segna una trasformazione nel suo stile e la produzione risalente all’epoca della sua permanenza è considerata dalla critica la più alta

L’immagine dell’Olanda del diciassettesimo secolo è ormai tradizionalmente legata agli interni di Vermeer, alle sue fanciulle ridenti e ammiccanti, ai giovani corteggiatori, alla luce calda che indaga studioli con carte geografiche, o che si sofferma su spinette suonate da giovani sognanti, sui loro semplici gesti quotidiani, ma è una visione parziale seppure profondamente lirica, limitata al mondo intellettuale e cortese di Delft, città d’origine di Vermeer.

La cittadina olandese, residenza di Guglielmo d’Orange dal 1572, sede, come altre città delle Province settentrionali, della Compagnia olandese delle Indie Orientali, godeva, intorno alla metà del Seicento, di un periodo di grande benessere grazie ai commerci e alle attività artigianali, e al servizio di quella ricca borghesia era attivo un gruppo di artisti passato poi alla storia con il nome, appunto, di pittori di Delft. Tra questi, oltre

offerto da una splendida mostra organizzata nel 2007 a Modena intorno al capolavoro di Vermeer, La ragazza con la spinetta, conservato alla National Gallery di Londra. In quell’occasione sono giunti in Italia opere che testimoniano come ciascuno di loro fosse specializzato in generi diversi, dalla natura morta alla ritrattistica, dalla veduta di città alle marine, dai paesaggi con animali ai concerti, ma tutti, in quanto eredi della tradizione pittorica borgognona, accomunati dall’interesse per i valori lumistici e spaziali. Valori che regolano la costruzione di una perfetta veduta di città - per la quale si sa che la scuola di Delft aveva a disposizione un rudimentale strumento antenato della camera ottica - o la ricostruzione di un interno, definito fin nei minimi particolari. E proprio nella sapiente descrizione di interni domestici era specializzato Pieter De Hooch, l’artista che più di tutti mostra una grande

che ha un pavimento a riquadri dese del ‘600”, allestita al Muromboidali rossi e neri e dove seo del Corso a Roma. Si tratta una bambina dell’età di cinque di un olio su tela di cm. 95,2 x o sei anni si avvia con passo in102,5, proveniente, come tutti certo verso l’uscio da dove progli altri dipinti esposti, dalla viene un’abbagliante luce bianGemäldegalerie di Berlino, in ca. cui riconosciamo l’interno di Luce che inonda l’ambiente e una casa borghese, avvolto in un’atmosfera di tranquille e illumina la parete grigetta del rassicuranti certezze. Sono rifondo su cui, con un estremo costruiti due ambienti, collegasforzo realistico il pittore ha ti da una porta spalancata. Il tracciato le ombre oblique della primo, piastrellato a riquadri griglia del vetro a piombo. È fabianchi e neri posti a cile immaginare che la scacchiera, si presubimba ha appena finito me sia un’ampia standi assistere all’inza da letto. Sulla siniteressante rito stra, nella penombra dell’allattamento, Pieter de Hooch nasce a Rotterdam il 20 disi distingue infatti un a cui un giorno cembre del 1629 e la sua carriera si svolge letto incassato nella sarà lei stessa desoprattutto nelle Fiandre, all’Aia, ad Haarmuratura e coperto stinata, e ritorna lem, a Leida, ad Amsterdam e a Delft, dove da un pesante tendagai suoi giochi insi dedica soprattutto al ritratto e a scene di gio per riparo contro fantili all’esterno vita quotidiana e familiare della borghesia il freddo, sul muro acdella casa, seguilocale. Allievo di Berchem e Vermeer, i suoi canto alla tenda penta dal cane, che primi dipinti sono impostati in modo piutde uno scaldaletto in ha ancora un attimo di tosto tradizionale, ma in seguito le sue narrazioni diottone, il cosiddetto esitazione, incerto se ventano più piacevoli, meno impostate, più intime, me“prete”, su cui si rifletrimanere ancora con la no aneddotiche e misurate. te la luce che piove padrona o uscire con la In generale i suoi soggetti appartengono alla pittura di dalla finestra in alto a piccola. Come sappiagenere e spesso ricordano Vermeer per le scene tratte destra. Lo stesso famo da altri dipinti del dalla vita di tutti i giorni, per gli ambienti domestici, scio di luce illumina De Hooch, all’esterno ma de Hooch è più preciso, descrive minuziosamente il la donna seduta dadi questa casa, la cui ticontesto culturale, ed è anzi uno spettacolare testimone vanti al letto, colta pologia doveva essere della società olandese di cui fa parte. nell’intimo gesto di comune per le abitazioMuore ad Amsterdam all’incirca nel 1684. allacciarsi il corpetto ni borghesi olandesi, dopo l’allattamento dovrebbe esserci un co-

l’autore


cultura

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In queste pagine, alcune dei quadri più significativi del pittore olandese Pieter De Hooch (a sinistra): “La madre”, “Cortile a Delft con figure che bevono”, “Madre che prepara” e “Madre con bambina in un interno”

modo e spazioso cortile, in cui si svolgeva gran parte della vita degli abitanti della casa, che lì ricevevano i loro ospiti nelle giornate di sole, luogo di riposo e di svago.

Il tono benestante della famiglia è suggerito dall’abbigliamento della donna, dagli arredi e dai quadri che decorano le pareti delle due stanze. Il dipinto è datato al 1661-63 circa, anni in cui, dai pochi dati biografici relativi al pittore, sappiamo che Pieter De Hooch si era appena trasferito ad Amsterdam da Delft, con brevi spostamenti a Leida. Erano anni quindi di passaggio della sua maturità artistica, e il dipinto in oggetto si rivela ancora legato alla splendida produzione di Delft. Allievo del pittore Nicolaes Berchem della scuola di Haarlem, Pieter era figlio di un muratore di Rotterdam e di una levatrice, e dopo il suo apprendistato ad Haarlem sarebbe andato una prima volta a Delft nel 1652 all’età di ventiquattro anni, per poi stabilirvisi dal 1655, anno in cui viene registrata la sua iscrizione alla corporazione d’arte di quella città, fino al 1660 circa quando si sarebbe trasferito ad Amsterdam dove sarebbe poi morto, sem-

bra ricoverato in un manicomio. L’arrivo nella piccola città dei Paesi Bassi del Nord dalla natìa Rotterdam ha segnato una profonda trasformazione nel suo stile pittorico e la produzione risalente all’epoca della sua permanenza in questa località è considerata dalla critica la più alta e qualitativa-

maniera piuttosto veloce con pennellate sommarie e toni terragni con i quali dipingeva prevalentemente scene con soldati in riposo all’interno di osterie o lungo le strade di Rotterdam, commissionate forse dagli stessi militari, a Delft il De Hooch cambia stile e genere. Pulisce la tavolozza e perfeziona con

valori lumistici, dedicandosi questa volta a temi di tono famigliare ed urbano. Egli è considerato l’inventore delle ambientazioni di vita nei cortili domestici, la cui atmosfera anticipa quella ottocentesca dei giardini borghesi della pittura macchiaiola ed impressionista, assumendo in questo campo il ruolo di protagonista nella fase matura della scuola di Delft. Il fascino delle sue opere risiede anche nei temi trattati dedicati ora appunto alla vita famiglia-

che iconografie bibliche e neotestamentarie. La Madonna con Bambino diventa così la madre che allatta il figlio o che lo accudisce nei suoi bisogni quotidiani, la Buona Samaritana diventa l’ospite che accoglie benevola gli amici nella sua casa: viene esaltata la figura della concreta e pratica Marta rispetto alla contemplativa Maria.

In una società che aveva chiuso i monasteri non aveva senso proporre un modello di donna spirituale e virginale, a Maria si preferiva Marta, a Lia Rachele, si svuotano le chiese e si riempiono le case. Gli stessi temi verrano trattati ancora dal De Hooch al tempo della sua ultima permanenza ad Amsterdam, dove il disegno si fa più rigido e i colori più scuri. È un rigore stilistico e un tono impersonale che viene forse dettato dal tono sociale dei nuovi ambienti raffigurati, dimore sontuose abitate da ricchi committenti, forse tuttavia con poco successo se, come si sa, il nostro pittore terminò la sua vita in estrema povertà.

L’autore perfeziona con rigore prospettico la geometria delle composizioni, ma soprattutto esalta i valori lumistici, dedicandosi a temi di tono famigliare e urbano re, ma soprattutto al ruolo della donna come moglie e madre.

mente insuperabile sia sul piano tecnico che espressivo. Da una prima fase segnata da una

estremo rigore prospettico la geometria delle sue composizioni, ma soprattutto esalta i

Diventa così inteprete dei valori etici della società calvinista olandese, dove, banditi i quadri a soggetto religioso dai princìpi iconoclasti del credo protestante, si conferisce un alto valore educativo e morale alle trasposizioni laiche delle classi-


spettacoli

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Cinema. Luci e ombre sulla pellicola di Wajda che ricostruisce l’eccidio polacco del 1940

Katyn, film imperfetto ridondante e necessario di Pietro Salvatori ualche tempo fa conversavamo con alcuni nostri colleghi che ancora non avevano visto il film. Ci siamo così accorti che evocare la parola “Katyn” non porta a un immediato collegamento di senso con uno dei più dolorosi capitoli della Seconda Guerra Mondiale. «Ah, il film di Wajda candidato agli Oscar» ci ha detto qualcuno, «e Katyn chi è, la protagonista?». Quello che a noi appariva ovvio, in realtà è oscuro anche per tanti tra gli addetti ai lavori.

Q

Sopra e sotto, alcuni fotogrammi di “Katyn”, la pellicola di Wajda che ricostruisce l’eccidio del 1940 di circa 20.000 ufficiali dell’esercito polacco, perpetrato dalle truppe bolsceviche nella Russia occidentale

Vale così la pena ricordare che quando si pronuncia il nome di Katyn non ci si riferisce tanto alla foresta omonima alle porte di Smolensk, nella Russia occidentale, quanto al massacro sistematico che le truppe bolsceviche vi perpetrarono nel 1940, prima di ritirarsi, ai danni di oltre ventimila cittadini polacchi, per la stragrande maggioranza ufficiali dell’esercito. Un capitolo dolorosissimo per la già travagliata storia di un popolo, una ferita cosparsa di sale per i cinquant’anni successivi, quando gli assassini, tornati sul suolo polacco da vincitori della guerra, imposero il proprio dominio, cercando di scrollarsi di dosso la colpa dell’eccidio, addossandola alle truppe naziste. Di questo e di altro parla dunque il nuovo film del maestro Andrzej Wajda che, come già accennato, si è guadagnato una nomination agli Oscar 2009 nella categoria di Miglior Film Straniero, e che arriva nelle sale italiane in questi giorni, minacciato dal fortissimo rischio di passare inosservato. Katyn è un film necessario. Necessario per visualizzare attraverso le immagini una tragedia che per lungo tempo è stata negata nella sua essenza dai suoi autori. Necessario come tributo a una generazione che ha portato le tristi vicende del ’40 come una cicatrice indelebile sul proprio volto. Anche se, come osserva Alberto Basciani, docente di Storia dell’Urss e della Russia post-sovietica nell’ateneo capitolino di Roma Tre, «non è vero che non si sapesse che la strage era stata compiuta dai bolscevichi. Ammetterlo o no, negli anni della guerra fredda, dipendeva molto dalla coscienza personale e dall’onestà intellettuale di ognuno. Anzi, per di più in Occidente si aveva la consapevolezza che l’ecci-

dio era stato voluto dai vertici del Cremlino, da Stalin e dai suoi più vicini collaboratori. Non sarebbe bastato un semplice ordine di un qualche generale per scatenare una tale mattanza».

Il regista si muove così manipolando il tempo e lo spazio, segmentando e mescolando senza soluzione di continuità i vari momenti e le varie dimensioni, pub-

Il valore dell’opera cinematografica consiste nell’urgenza di raccontare con le immagini un pezzetto della storia recente ancora per molti sconosciuta

bliche e private, che ruotarono intorno ad una vicenda così sofferente e drammatica. Strutturato in alcuni grandi momenti narrativi, Katyn è una pellicola che, fino a venti minuti dai titoli di coda rimane sostanzialmente irrisolta, quasi che, al pari dei propri personaggi, faticasse nell’elaborazione del lutto che essa stessa narra. Ma la parte finale riscatta complessivamente l’opera, regalando allo spettatore un momento di altissimo cinema nel racconto straziante della gelida esecuzione di ventimila mariti e padri polacchi, articolata con solidità e potenza, e

con un’eleganza che rifugge qualsiasi tipo di voyeurismo. Ma il film travalica il proprio valore meramente cinematografico, ponendosi come opera dalla impagabile forza civile, storica, e documentaristica. «La ricostruzione storica è abbastanza curata - osserva ancora Basciani - certo, come in tutte le ricostruzioni cinematografiche viene lasciato un pò di spazio all’estro del regista, è normale. Ma la cura dell’aspetto iconografico di un periodo così complesso è davvero sorprendente». Periodo complesso per la compresenza sullo stesso suolo di due diversi eserciti invasori. «Bisogna tener conto del disorientamento dell’esercito polacco, che si ritrovava tra due fuochi: quello nazista e quello sovietico. Si dice ancora poco che la Polonia fu attaccata da due parti, non fu solo Hitler a dare il via al conflitto, ad averne la responsabilità. I sovietici oltretutto non dichiararono nemmeno guerra al paese confinante». Qualche voce, soprattutto in Polonia, ha proposto un parallelo con lo sterminio sistematico che da lì a qualche anno caratterizzò, come è tristemente noto, l’azione dei nazisti. Teoria che Basciani, profondo conoscitore della storia sovietica, non si sente di avallare: «A ben guardare si trovano molti punti in comune, certo, ma è bene non confondere Katyn con la Shoah. Gli ufficiali vennero uccisi perché rappresentavano un nemico di classe per gli occupanti bolscevichi, che in qualche modo procedettero ad un regolamento di conti finale di un’inimicizia profondamente radicata tra i due Paesi. Se qualche analogia la si vuole trovare, è piuttosto con le tecniche di eliminazione collettiva che i tedeschi utilizzarono in Bielorussia e Ucraina di lì a qualche anno, non certo con lo sterminio sistematico degli ebrei».

Wajda costruisce dunque un film imperfetto e a tratti ridondante, ma che rivela tutto il suo valore nella potenza descrittiva dell’ultima parte e nell’urgenza di raccontare con le immagini un pezzetto della storia recente per tanti, forse troppi, ancora sconosciuto. Il silenzio con il quale si conclude la pellicola urla tutta la propria, dolorosa, verità.


sport

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Sopra, il giocatore del Napoli Marek Hamsik e, a fianco, un’immagine della curva del Napoli. In basso, da sinistra: i calciatori Denis e Lavezzi, e l’allenatore del Napoli Edy Reja

Gli antieroi della domenica. I tempi cupi della “Partenope” calcio di Edy Reja, in poche settimane finito dalle stelle alle stalle

Il mastino napoletano non morde più di Francesco Napoli

a il volto un po’ bruciato del nocchiero navigato Edy Reja, allenatore del Napoli Calcio nuova gestione De LaurentiisMarino. Suo il record di permanenza sulla panchina, condiviso con Ottavio Bianchi; a occhio stessa tempra austroungarica, con ben quattro anni consecutivi che hanno portato dalla bancarotta al passaggio dalla C1 (2005) alla massima divisione, compreso un recente approdo in Europa smorzato sulle rive del Tago a opera del gloriosissimo Benfica.

H

Lui è lì, domenica dopo domenica, tiene il bordo della difficile navicella nei

sanero di Ballardini, Reja si mostra ancora tranquillo: risponde sereno alle domande nei multicanali analogico-digitali e satellitari della mediomaschile domenica italiana e si ha anche l’impressione che nessuno dei suoi interlocutori gli rivolga interrogativi troppo pungenti. Incute rispetto la sua trasparente convinzione che la squadra ci sia ancora, che si stia riprendendo e che resta solo una questione di risultati che tardano a venire. Però affermare che non si sono neppure accorti che c’era un calcio d’angolo dal quale poi è scaturito il primo gol non l’avevo sentito ancora, neppure ai tempi in cui all’oratorio o in se-

no strimpellando gli accordi di quel futuro successo, non avesse presente il Reja neanche di sfuggita? Neppure in quelle mitiche Panini con maglia a strisce bianche e azzurre, quelle della Spal con Sir Fabio Capello, dove Reja era ritratto di tre quarti, con una spalla poco più avanti dell’altra? «Una vita da mediano/ a recuperar palloni/ nato senza i piedi buoni/ lavorare sui polmoni». Ma è il ritratto sputato, come si suol dire, dell’attuale mister del Napoli. E già, «una vita da mediano/ con dei compiti precisi»: Edy è il novello Palinuro del Napoli Calcio, sempre abbronzato, dal profilo greco se si vuole, con un fiuto calcistico

Champions. Teneva testa ai sontuosi e blasonati galeoni dell’Italia pallonara: Inter, Juventus e Milan.

Nello slang giornalistico-sportivo ora in auge si direbbe che il Napoli in questo momento della stagione “non va benissimo”(espressione ripetuta in diversi sport e canali almeno una decina di volte soltanto nel trascorso week-end), ribaltamento eufemistico per dire che sta andando male. Se la simpatica masnada di Reja era considerata l’ammazzasette del campionato, questo stesso numero ora si declina come 7 partite fuori casa per 7 sconfitte consecutive. Un pallido 1-0 alla

7 partite fuori casa per 7 sconfitte consecutive. Un pallido 1-0 alla Lazio di Delio Rossi l’ultima incursione corsara datata al lontano 28 ottobre. Peggio di così solo nella stagione 1935-36

perigliosi mari della serie A: ha una ciurma prevalentemente fatta di ragazzi più che bravi ma alle prime esperienze che contano; ha un ottimo Direttore Generale alle spalle, Pierpaolo Marino, navigato quanto lui e sapiente nuotatore nelle acque della sirena Partenope; un presidente vulcanico, talvolta un po’ spiccio nei modi e lontano dall’ormai vetusto e ammuffito galateo della dirigenza calcistica nostrana, di sicuro solidamente imprenditoriale, rarità assoluta nel Golfo di spaghetti e manduline. Dopo l’ultimo naufragio appena consumato sulle coste di Palermo, 2-1 per i ro-

minario si smutandava a perdifiato con i propri coetanei. Certo che poi due gol in 12 minuti ammazzerebbero anche un toro (quello di serie A è già moribondo nonostante il biscotto Novellino). Pertanto in un mondo dove muovere la classifica significa sopravvivere e vincere è l’unica coniugazione accettata, faccia pure i suoi conti Edy da Gorizia, al suo posto non sarei poi così rilassato: non è facile attraversare indenni le fameliche gole di Scilla (punti conquistati) e Cariddi (ambiente muy caliente). Se Luciano Ligabue pensava di sicuro a Lele Oriali quando ha sfornato un testo strafamoso oltre il sapore effettivo della pietanza musica-parole, mi chiedo se sia possibile che Liga da Correggio, chitarra alla ma-

notevole e un naso in grado di fendere il vento, lui che è friulano doc, classe di ferro 1945, con lontane origini slave. Non sembra addormentato come il mitico nocchiero virgiliano, anzi: l’impressione è che abbia, nonostante tutto, bene in mente la rotta che gli si prospetta. Ma addormentato è il Napoli, con qualche rischio di finire nei pericolosi flutti della polemica e della classifica, e su questo i numeri parlano chiaro. A gennaio 2009 la compagine era quarta in classifica; l’allegra nave corsara sportiva del Napoli organizzata attorno ai talentuosi Lavezzi e Hamsik, supportata da un difesa solida e rocciosa pronta a rintuzzare colpo su colpo qualsiasi arrembaggio, veleggiava con tranquilla baldanza nelle acque della

Lazio di Delio Rossi – chissà se ha digerito la domenicale bistecca fiorentina – l’ultima incursione corsara del Napoli datata al lontano 28 ottobre 2008. Peggio di così solo nella preistorica stagione 1935-36. E, solitudine dei numeri perdenti, sono 5 le partite senza vittorie per Reja et company: un pareggio casalingo 2-2 con la rinata Udinese e poi solo l’amaro calice della sconfitta. Avviso ai naviganti del Napoli Calcio: se a Capodanno senza dubbio si libava nel calice dell’euforia, visto come vanno ora le cose chissà quale cinecolomba gli (e ci) attenderà a firma Aurelio de Laurentiis.


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dal ”New York Times” del 09/02/2009

Riforme alla cinese per l’Iran di Roger Cohen a cosa che l’Iran teme di più è l’emergere di una figura come Gorbachev, all’interno del regime, che in nome di un compromesso con l’Occidente svenda la rivoluzione khomeinista e ne distrugga, dalle fondamenta, l’intero edificio. Le prossime elezioni presidenziali del 12 giugno sono senz’altro le più importanti nel panorama internazionale, dopo quelle americane. Il centro del problema è: riuscirà l’Iran a gestire una riforma del sistema alla cinese, dove si riesca a mantenere al potere la vecchia nomenklatura, oppure l’apertura all’America provocherà un’implosione, come accadde in Unione Sovietica?

L

«Morte all’America» ripetuto come una litania in riunioni e assemblee, così come «morte a Israele», sembrano essere una risposta esaustiva. Ma l’Iran indossa sempre una maschera, per celare la propria raffinatezza e non è mai ciò che sembra. Jahangir Amirhusseini, un anziano avvocato che si è anche fatto il carcere per colpa dei mullah, una volta mi confessò: «Per creare fiducia, l’inganno è necessario». Lo affermava seriamente.Voleva dire che la politica è una questione di mosse artificiose, gli Usa, invece, hanno preferito usare il martello da maniscalco. E si è dimostrato uno strumento inutile. L’ascesa iraniana è coincisa con le difficoltà dell’America. Sotto la presidenza di Obama, il compito degli Stati Uniti sarà quello di convincere l’ayatollah Ali Khamenei, il leader supremo, che il prezzo di un coinvolgimento internazionale non sarà l’estinzione del regime. Questa è la chiave di volta della teocrazia iraniana al cui vertice si trova Khamenei. Ma il suo governo è tutt’altro che assoluto. Khamenei è solo il più

potente socio di minoranza (anche se detentore delle azioni spirituali più quotate) di un sistema dove convivono anche repressione, libertà da conquistare a caro prezzo, autoritarismo e democrazia. Chi ci porterà alla fatidica data delle elezioni di giugno è invece l’ex presidente Mohammad Khtami, il riformista una volta considerato il Gorbachev iraniano. Non lo era. La sua presidenza, dal 1997 al 2005, ha lasciato molti iraniani delusi. Una volta arrivato sulla breccia, si è tirato indietro. Le proteste studentesche del 1999 e del 2003 si sono spente prima di guadagnare consenso nella società. La liberalizzazione delle riforme in campo economico e il dialogo sono stati un suo marchio di fabbrica, come la cattiva gestione lo è stato per il suo successore, Mahmoud Ahmadinejad. Come nel caso dei derivati petroliferi (il Paese li importa, ndr) e della costosa pletora clientelare ad essi collegata, molti iraniani si domanda dove siano finiti tutti quei miliardi (per acquistare benzina all’estero). L’annuncio, qualche giorno fa, della discesa in campo di Khatami ha galvanizzato la corsa elettorale. Khatami ha rotto il silenzio, dopo giorni in cui si rincorrevano voci, affermando che «una storica domanda di libertà, indipendenza e giustizia» l’ha obbligato a scendere in corsa. È significativo che abbia messo al primo posto la libertà, la mai soddisfatta promessa della rivoluzione anti-sha. Suo principale avversario, e ancora favorito nelle corsa elettorale, rimane Ahmadinejad. Il suo successo nel promuovere l’immagine di un Iran, voce dei diseredati, ha avuto successo, la sua accelerazione sul programma nucleare e la sua popolarità hanno impressionato Khamenei. Ma la sua irruenza lo ha trasformato in

un oggetto non identificato della politica globale e ha fatto riflettere le Guardie della rivoluzione e molti milioni di votanti. C’è una teoria che afferma che sarà lui, Ahmadinejad a promuovere la glasnost, in risposta alle aperture di Obama perché è convinto che non sarà la teocrazia iraniana a collassare, ma l’America! Il più grande interesse per l’Occidente è impedire un altro mandato all’attuale persidente.

Per farlo non si deve assolutamente puntare il dito, ma riconoscere ciò che l’orgoglio nazionale iraniano ritiene importante. Cercando un cambiamento che non sia una rivoluzione. «Bush ha fatto un sacco di danni al movimento riformista», mi ha confidato l’ex ministro degli Interni di Khatami, Mostafa Tajzadeh. Una volta messa da parte l’opzione militare ci sarà più spazio per il dialogo. E il cambiamento delle giovani generazioni avverrà ben oltre la data del 12 giugno.

L’IMMAGINE

Gli Italiani non vogliono che Eluana muoia, si aspettano un atto di carità

Sempre più difficile

Signor Presidente Giorgio Napolitano, prenda il coraggio a due mani. Ricordi di essere partenopeo prima ancora che difensore delle istituzioni repubblicane. I figli sono “piezz ’e core”. Non permetta che si uccida un’innocente. Lei ha il potere della Grazia, quello riservato ai Sovrani, quando l’Italia era una monarchia. I Padri Costituenti vollero che fosse conservato anche a chi ha l’onore e l’onere di rappresentare la sovranità del Popolo Italiano, che non vuole macchiarsi dell’uccisione di un’innocente. Lei può decidere se passare alla storia della nostra Repubblica come colui che ha difeso la vita di ogni suo cittadino o come chi, adducendo motivazioni formali, si è lavato le mani del sangue di un’innocente. Abbia il coraggio delle sue azioni! Lucia, nei Promessi Sposi, invocando la clemenza dell’Innominato, disse: «Dio perdona tante cose per un solo atto di carità». Prego e pregherò per Lei sempre. Dio l’assista.

Con uno solo ci riescono quasi tutti, anche se con qualche difficoltà. Ma con trenta hula hop la faccenda si complica! Lo sa bene quest’acrobata della compagnia di cabaret “La Clique” che con tutti questi cerchi se la cava alla grande. Non raggiunge però il livello di Jin Linlin, entrata nel Guinness dei Primati per il maggior numero di cerchi fatti roteare simultaneamente: ben 105

Francesco Giuseppe Pianori Fisioterapista Ausl Rimini

UNA VITA DI SOFFERENZE, NON È VITA Mi chiedo quando lo spirito di Eluana Englaro sarà finalmente libero e quando le sofferenze del padre, termineranno. Dopo 17 anni di calvario. Mi chiedo come può il nostro presidente del Consiglio, che pur ho più volte avuto modo di apprezzare, definirsi oggi un liberale nel momento in cui emana un decreto che vuole impedire quel po’ di pietas umana che è rimasta in questo nostro tristissimo Paese. Più guardo le foto dell’Eluana di 17 anni fa, bellissima ragazza, e più mi rammarico di non averla conosciuta. Solo 8 anni di età ci separavano. Io stesso, o chiunque fra noi, peraltro, avrebbe potuto ritrovarsi nelle sue stesse condizioni. E finanche in quelle del padre. Comprendo

infatti il signor Beppino che, con la figlia in stato vegetativo permanente, riordinava meticolosamente le foto sorridenti della ragazza. Come si può dare addosso ad un uomo reso così fragile dal dolore per non poter più scambiare alcuno sguardo, alcuna parola, alcuna vera carezza con il sangue del suo sangue? Un figlio non è una pianta da tenere in casa o all’ospedale. È brutto dirlo, forse, perché la morte essendo una dimensione ignota ci fa paura, però Eluana era morta a 21 anni e ora il suo corpo è ridotto a un vegetale devastato. In questi giorni ho ascoltato la voce dei sostenitori della “vita” di Eluana. Rabbrividisco di fronte al dogma e al cinismo dei sostenitori della vita a tutti i costi. Ne ho orrore perché ho orrore della sofferenza

ad ogni costo. Perché penso che la morte non sia che una prosecuzione della vita stessa, il suo completamento finanche metafisico. E che una vita di sofferenze non sia degna. Non sia vita. Ne ho orrore perché penso che debba essere il buonsenso e la dignità umana a prevalere e non il dogma di chi si riempie la bocca di astrusi principi morali che

possono andar bene al massimo per talune limitate coscienze religiosamente orientate.

Luca Bagatin

COMPLIMENTI Sabato mio marito ha portato a casa il vostro giornale e ho così avuto modo di leggere un bellissimo articolo di fotografia di cui sono una grande appassionata.

Speriamo ce ne siano altri.

Penelope Orsi

ERRATA CORRIGE L’autore dell’articolo “Il baule segreto di Avedon”pubblicato su liberal di sabato 7 febbraio è di Diego Mormorio e non di Nicola Raponi così come erroneamente pubblicato. Ce ne scusiamo con l’autore e con i lettori.


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dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Signore, allunga la Tua mano verso di noi! Mio Dio, non allontanarci mai, abbi pietà di noi. Non è invano che la nostra carne e le nostre anime diventano immortali attraverso la Tua parola, che grida forte dentro di noi. Padre, non è invano che Tu ci chiami, che tu allunghi la Tua mano verso di noi, che i nostri cuori spezzati cercano rifugio in Te. Noi ringraziamo, benediciamo e lodiamo Te, o Signore per tutto quello che ci hai dato, e tutto quello che hai preparato per noi. Questo sarà, sarà! Marie! Marie! Lasciami ripetere questo nome un centinaio di volte; per tre giorni ormai è vissuto dentro di me, mi ha oppresso, mi ha messo a fuoco, non ti sto scrivendo, no, ti sto vicino. Ti vedo, ti odo. L’eternità nelle tue braccia... Inferno, paradiso, ogni cosa, tutto è dentro di te, raddoppiato. Oh! Lasciami libero di vagare nel mio delirio. La realtà monotona, inerte e restrittiva non è più abbastanza per me. Dobbiamo vivere le nostre vite in pieno, amando e soffrendo fino all’estremo! Mi credi capace di sacrificio, castità, temperanza e pietà, no? Ma basta parole... sta a te domandare, tirare conclusioni, salvarmi come credi opportuno. Lasciami libero di vagare nel mio delirio, dal momento che non puoi fare niente, assolutamente niente per me. Questo sarà, sarà! Franz Liszt a Marie Flavigny d’Agoult

ACCADDE OGGI

NEL DUBBIO… Mi sono svegliata stamane con in testa questo tormentone che non mi vuole lasciare, mi è tornato alla mente un episodio di molti anni fa. Era estate, eravamo in campeggio con i nostri tre figli, il primo campeggio della nostra famiglia e la mattina presto, molto presto, quando ancora l’umidità ricopriva la tenda, il sole aveva iniziato da poco a filtrare tra gli alberi di leccio, e noi avevamo ancora estremo bisogno di dormire, il più piccino dei nostri figli, aveva poco più di due anni, sgusciava dal sacco a pelo, apriva la cerniera della tenda quel tanto che gli bastava ad uscire a carponi, si issava sulla sedia di plastica e stando in ginocchio, posava le sue paffute braccia conserte sul tavolo iniziando a dire senza sosta: «mammallatte, mammallatte, mammallatte». Era impossibile ignorarlo, ficcare la testa sotto al cuscino, bisognava alzarsi e placare quel suo bisogno primario. Mi è tornato in testa quel ritornello, pensando a Eluana, alla sua impossibilità di dire: «mammallatte» o «mamma acqua», e al nostro mettere la testa sotto al cuscino per fingere che si stia compiendo un gesto pietoso e non un orribile e devastante gesto. Non posso non pensare a sua madre, ho letto che è molto malata, non ha retto il dolore per quanto capitato a questa figlia alla quale aveva dedicato la vita. Mi si spezza il cuore al pensiero di quella donna che oltre al dolore per quanto è capitato alla figlia deve lottare e combattere per vivere, una vita che forse per lei non ha più senso. Nessuno deve e può giudicare il dolore e la solitudine di

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

10 febbraio 1942 Glenn Miller riceve il primo Disco d’oro della storia 1947 L’Italia cede buona parte della Venezia Giulia alla Jugoslavia e Tenda e Briga alla Francia 1954 Il presidente Eisenhower sconsiglia l’intervento degli Usa in Vietnam 1967 Viene ratificato il XXV emendamento della Costituzione degli Stati Uniti 1990 Il presidente sudafricano F.W. de Klerk annuncia che Nelson Mandela verrà rilasciato il giorno dopo 1992 A Indianapolis il pugile Mike Tyson viene condannato per lo stupro di Desiree Washington 1996 Deep Blue sconfigge il campione del mondo di scacchi Garry Kasparov 1998 Gli elettori del Maine abrogano una legge sui diritti degli omosessuali approvata nel 1997 1999 Una valanga nelle Alpi francesi nei pressi di Ginevra uccide 10 persone 2005 Si commemora per la prima volta il Giorno del ricordo, in memoria delle vittime delle foibe

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

questa famiglia, lo sguardo vuoto di papà Beppino, che ripete come un mantra che nulla lo può più ferire, forse se avessero incontrato altri, se avessero percorso la strada del dolore con un’altra compagnia, Eluana dalla pelle di pesca, continuerebbe ad aprire gli occhi al giorno, a chiuderli alla notte, a tossire e ad essere accudita, ma soprattutto loro potrebbero vivere con la consapevolezza che il loro immenso dolore può essere di aiuto ad altri, può rendere la vita di altri genitori, di altri figli, meno sola, meno dura. Perdonaci Eluana, se puoi perdonaci, perché la tua agonia ci fa tutti più cinici, il tuo lento morire cambia lo sguardo con cui guardare ai nostri figli. Nessuno sa fino in fondo, nemmeno i luminari della scienza, se tu nel tuo profondo non stia implorando «mammallatte» e non hai che un colpo di tosse che tutti ignorano per cercare di far uscire dalla prigione del tuo corpo quel grido, nessuno lo sa, ma nel dubbio, lasciarti morire è un’atrocità che ci rende tutti meno uomini.

Nerella Buggio

SISTEMA ITALIA DA SALVARE Si fa un gran parlare circa l’utilizzo da parte del Governo dei fondi Fas (Fondi per le aree sottosviluppate) messi a disposizione dalla Comunità europea. La polemica verte sulla circostanza, più volte riscontrata anche durante il governo precedente, che i fondi sono dirottati verso altre necessità e, più in generale, che la politica sostenuta dal governo in carica non è in grado di superare il momento difficile di crisi economica. Nel Mezzogiorno si cominciano a ipotizzare movimenti per il Meridione e addirittura organismi autonomi meridionali nel settore di Confindustria. È iniziata, attraverso una nota emittente televisiva pugliese, una campagna per protestare contro gli interessi degli imprenditori settentrionali, che sono spesso privilegiati rispetto a quelli dell’intera categoria. La politica del governo procede quasi incurante delle polemiche e, pertanto, si attendono sia i provvedimenti circa l’utilizzo del denaro residuo dei Fas, sia le decisioni che verranno prese in seno alla Conferenza Stato-Regioni. In ogni caso non si deve perdere di vista la visione unitaria del Paese; il declino delle aree industrializzate del Nord sarebbe una grave problema per tutta l’economia italiana. Ricordiamo che molte aziende settentrionali hanno insediamenti produttivi nel Meridione, come ad esempio la Fiat che nel comune di Melfi ha lo stabilimento più moderno, ma molti altri settori merceologici sono investiti da casi di questo tipo. Quando entrano in crisi le “nostre” aziende, ovunque esse siano insediate, è il Sistema Paese a soffrirne e, di conseguenza, bisogna mettere in campo manovre per scongiurare la crisi prevenendola oppure intervenire per limitare i danni. Nel Mezzogiorno, per affrontare la crisi e imboccare la strada della ripresa, si potrebbero ipotizzare importanti interventi promossi dallo Stato che, contemporaneamente, potrebbe dare precise indicazioni relative alla politica economica e alla politica energetica del nostro Paese. Costruire i rigassificatori a Brindisi, collegare meglio il porto di Gioia Tauro con il resto d’Italia, potenziare i porti di Taranto, Napoli e Salerno e, infine, aumentare l’offerta turistica sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo: sono esempi per investire nel Sud con benefici per tutti! Il Mezzogiorno, insieme alle altre aree del Paese, è chiamato a salvare il Sistema Italia e a rilanciarlo in quel grande mercato che è costituito dal mondo globalizzato. Francesco Facchini P R E S I D E N T E PR O V I N C I A L E CI R C O L I LI B E R A L BA R I

BUFALE IN MOSTRA L’anno scorso la rete fu attraversata da un brivido: uno pseudo artista aveva voluta lanciare l’ennesima provocazione, mettendo in mostra un cane legato a una corda, e lasciandolo morire di fame e di sete nell’indifferenza dei visitatori. L’appello conteneva anche una serie di foto impressionanti. Si trattava di una bufala: nessuno farebbe mai una cosa simile. Non ad un cane.

Pietro Castagneti

Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Filippo La Porta, Maria Maggiore,

Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio

Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,

Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,

APPUNTAMENTI 20 - 21 FEBBRAIO 2009 TODI Hotel Bramante via Orvietana VII Seminario di Cultura e Politica

ATTIVAZIONI IL COORDINAMENTO REGIONALE DELLA CAMPANIA VERSO LA COSTITUENTE DI CENTRO HA ATTIVATO IL NUMERO VERDE PER LE ADESIONI: 800910529

Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma

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Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari,

Marco Vallora, Sergio Valzania

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


PAGINAVENTIQUATTRO Inghilterra. Presto accessibili per la prima volta i piani alti (e pericolosi) dell’abbazia

Westminster apre ai turisti i nascondigli di Silvia Marchetti e stanze segrete di Westminster Abbey dove riposano grandi poeti, scrittori, scienziati nonché regnanti dell’Inghilterra (dal poeta Geoffery Chaucer alla regina Elisabetta I, fino al fisico Isaac Newton) - presto apriranno al grande pubblico. Si tratta della zona soprannominata il “Traforium”, ossia l’insieme di nascondigli e angoli segreti nella parte alta dell’abbazia, vicino al soffitto, che per la prima volta nei secoli potrebbero essere accessibili a tutti. Luoghi oscuri dall’alto dei quali i principi, i vescovi e i re dell’Inghilterra per lungo tempo hanno spiato nemici e rivali, dove hanno incontrato amanti e da dove nel corso della storia sono precipitati personaggi ostili al potere costituito. Oggi il problema sta proprio nel trovare il modo sicuro per fare andarci i turisti senza alcun rischio di cadere, ma già l’attesa per l’eventuale apertura dell’attico di Westminster è forte e i blog britannici lo presentano come il «gioiello del secolo». Per gli storici si tratta della «vista interna più mozzafiato» d’Europa, un po’come il cornicione che circonda la Basilica di San Pietro a Roma.

L

Westminster vorrebbero condividere questo tesoro con il grande pubblico. Stanno consultando un’équipe di architetti per trovare la soluzione migliore all’accesso dei turisti. Molto probabilmente si tratterà di costruire un passaggio sopraelevato che circondi l’intero edificio. Innanzitutto l’accesso.Trattandosi di ambienti segreti che venivano usati soltanto da alcu-

pensando di costruire un ascensore di vetro, ma al momento i progetti sono tanti, verranno tutti presentati e considerati nei prossimi mesi. Dall’alto si potranno così osservare l’altare e la tomba di Enrico III, che rico-

SEGRETI

ni pochi eletti (i membri superiori del clero o i regnanti e le regine), bisognerà escogitare una via di ingresso adatta al grande pubblico. Ad oggi, ci si arriva tramite una piccolissima porta che sfugge all’occhio non esperto e che si trova nascosta sotto il busto del poeta Ben

struì l’abbazia nel tredicesimo secolo in stile completamente gotico, e l’intera navata centrale fino alla tomba del milite ignoto. Una panoramica a 360 gradi che toglierebbe davvero il respiro. Ma soprattutto si potranno ammirare tanti tesori mai visti fin’ora e rimasti in perfette condizioni (proprio perché nascosti sono sfuggiti ai fattori climatici esterni).

Ad oggi, ci si arriva tramite una piccolissima porta che sfugge all’occhio non esperto e che si trova nascosta sotto il busto di Ben Jonson, nella stanza dedicata ai poeti. Un’équipe di architetti sta escogitando un sistema sicuro per il nuovo accesso

L’abbazia di Westminster è il simbolo del glorioso passato letterario, storico e scientifico della Gran Bretagna, proprio come la nostra Santa Croce a Firenze, dove ogni pietra è un pezzo prezioso della storia di una nazione. È la chiesa ufficiale delle cerimonie di Stato e dei matrimoni reali, diventata una mecca per i turisti di tutto il mondo desiderosi di ammirare le spoglie dei grandi uomini del passato. E presto gli appassionati potranno anche godere di una vista elevata mozzafiato sull’interno della chiesa. Il “Triforium” si trova dietro agli archi normanni, sopra l’altare di San Edoardo il Confessore e il magnifico pavimento medievale. È il posto più segreto e nascosto dell’antica Londra, accessibile oggi soltanto ai piccioni, a qualche membro di staff dell’abbazia e del coro che accompagna le cerimonie religiose reali e i funerali di Stato. I responsabili di

Jonson, nella stanza dedicata ai poeti. Da questa porta si accede a una stretta scala circolare costruita nella pietra che porta a tanti piccoli corridoi che si snodano nella parte alta di Westminster. Un vero e proprio labirinto, che fa perdere il senso di orientamento anche a coloro che sono abilitati a entrare. Una volta arrivati all’altezza della cupola si apre subito la visuale e ci si ritrova sospesi nel vuoto, con semplicemente una sbarra di protezione.“La sfida”, così la chiama Richard Mortimer, il guardiano dell’abbazia. Lui per fortuna deve percorrere soltanto metà della scalinata per raggiungere la biblioteca, dove passa gran parte del suo tempo.

Ma i turisti, come faranno? In realtà basterebbe prendere esempio da altri casi nel mondo, primo fra tutti proprio San Pietro. Gli inglesi stanno infatti

Oltre alle finestre di vetro dipinte con colori sfavillanti e alla serie di statuette in pietra raffiguranti angeli e mostri, c’è perfino una misteriosa scultura di un uomo che, appoggiato su un gomito, sembra sognare e interrogarsi sulla vita. Ma le sorprese non finiscono qui. Nel “Triforium”, sommerse dalla polvere e dimenticate nel tempo e dalla storia, ci sono anche le tombe di due poeti dell’Ottocento, Nicholas Rowe e John Gray. Facevano parte dell’angolo dei poeti, ma poi settant’anni fa sono stati rimossi e spostati nell’attico quando, durante alcuni lavori di ristrutturazione dell’abbazia, vennero alla luce alcuni murali medievali. Rowe giaceva vicino al memoriale in onore di Shakespeare, mentre l’epitaffio che Gray ha scalfito sulla propria tomba è davvero emblematico: «La vita è uno scherzo, l’ho sempre pensato e ora ne ho la prova». Insomma, saranno finalmente i turisti a rendere loro giustizia.


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