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Fare facilmente ciò

he di cronac

che gli altri trovano difficile è talento; fare ciò che è impossibile al talento, è genio

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Henri Frédéric Amiel

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA

di Ferdinando Adornato

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

LA RIFORMA CHE NON C’È Un “contromanifesto” teorico-politico agli spot della Lega e del Pdl. Ecco a quali condizioni si può davvero realizzare una grande svolta

Processo al falso federalismo di Bruno Tabacci

Il nome giusto per una svolta necessaria

Il partito della nazione di Enrico Cisnetto orse ci siamo. Uso prudenza, non fosse altro per scaramanzia, ma ho la sensazione che finalmente qualcosa si stia muovendo in direzione della creazione di un terzo polo, estraneo al centrodestra e al centrosinistra così come li abbiamo conosciuti fin qui. a pagina 14

F

Testamento biologico: Pd ancora diviso

Nuovo strappo di Rutelli di Marco Palombi

ROMA. Il Partito democratico si spacca sui temi etici. Ieri, la capogruppo del Pd in Commissione sanità, Dorina Bianchi, non ha firmato gli emendamenti presentati dal suo partito. Mentre Francesco Rutelli ha proposto una linea alternativa a quella ufficiale. Oggi Franceschini tenta una mediazione. a pagina 9

Bollywood milionaria, dall’oppio all’Oscar di Vincenzo Faccioli Pintozzi a pagina 12

alle pagine 4 e 5

Moody’s boccia la Fiat e Trichet lancia l’allarme: «Tutto il sistema è in pericolo»

Obama vuole prendere Citigroup Il Tesoro entrerebbe al 40% ma Wall Street non approva di Alessandro D’Amato

Come può reagire l’Europa

ROMA. Sui mercati

le nazionalizzazioni. Il guaio è che mondiali (e nelle stanze dei bottoni Wall Street non ha dell’economia) è apprezzato, girando subito in negatistata una giornata vo. Di certo, quella in altalena, di queldi Obama è una le che è difficile legmossa dal valore gere in modo unistorico (anche dal voco. O almeno punto di vista simunitario. E, dunque, bolico, bisogna amvediamole nell’ordine, le notizie di metterlo), e non priieri. Partiamo dalva di insidie. La nuova amministral’Italia: l’inflazione zione sa che con è in calo, ma è in questa scelta piovecrescita quella sui ranno comunque beni alimentari, secritiche pesanti, e condo il Codacons. argomentate: «La Quel che cala sicubanca è una “black ramente è il rating Obama ha annunciato che il Tesoro Usa hole”, e non sembra di Fiat: Moody’s ha entrerà nella proprietà di Citigroup averne mai abbatagliato quello sul debito a lungo termine da «Baa3» a «Ba1». stanza di inghiottire dollari. I contribuenti In Europa, il presidente della Bce, Trichet, hanno già garantito 300 miliardi del suo ha lanciato l’allarme: «Il sistema è in peri- debito, e non sembra averne abbastanza. colo». Negli Stati Uniti, infine, il presiden- Citigroup sta chiedendo altro capitale, e te Barack Obama ha mosso un passo deci- pretende che qualcuno la salvi», si leggeva sivo all’interno della crisi mondiale: ha già ieri sui siti finanziari americani. E c’è detto sì a una parziale nazionalizzazione da scommettere che oggi molti editoriali di Citigroup (il Tesoro ha annunciato che dei maggiori quotidiani criticheranno la rileverà una quota tra il 25% e il 40%). In- decisione di Obama. se g u e a pa g i n a 2 somma: la strada è segnata ed è quella del-

segu2009 e a pa•giE na 9 1,00 (10,00 MARTEDÌ 24 FEBBRAIO URO

CON I QUADERNI)

• ANNO XIV •

NUMERO

38 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

«È iniziato il declino americano» colloquio con Piero Barucci «Quelle che sono mancate all’economia mondiale in questi anni sono state regole in grado di garantire etica e guadagni». Piero Barucci, padre delle privatizzazioni italiane, ex ministro dei governi Amato e Ciampi, esce dal suo tradizionale riserbo e parla della crisi. «Tutti sono d’accordo, nell’ultimo quarto di questo secolo l’economia statunitense sarà superata da quella delle nuove potenze: anche io sono della stessa opinione». Quanto all’ottimismo predicato dal premier, dice: «In Italia non vedo particolari preoccupazioni per nostro il sistema bancario, ma per il resto ci sono solo motivi di ansietà». a pagina 3

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


prima pagina

pagina 2 • 24 febbraio 2009

Recessione. Giornata di caos sui mercati internazionali dopo la storica decisione di Washington

Obama, il nazionalizzatore Il Tesoro Usa nella proprietà di Citigroup ma le Borse non approvano Un’operazione senza precedenti: «L’unico modo per salvare i risparmi» segue dalla prima In realtà, c’è anche chi chiede «la nazionalizzazione subito» delle banche, ma si tratta di voci isolate. E, a quanto si capisce, che non hanno seguito nell’opinione pubblica. Piuttosto, ha qualche possibilità di essere apprezzata, in questo momentom l’opinione del leader della maggioranza democratica al Senato Harry Reid, che - dal suo punto di vista ha messo i puntini sulle i: «Non chiamatela nazionalizzazione, stiamo proteggendo gli interessi dei contribuenti». Un portavoce del Tesoro spiega che il nuovo piano di stabilizzazione finanziaria del sistema finanziario, varata due settimane fa dal segretario al Tesoro, Timothy Geithner, prevede la possibilità di trasformare in ordinarie le azioni privilegiate attualmente detenute dal Tesoro Usa. Le autorità finanziarie Usa hanno comunque assicurato che le maggiori banche americane sono ben capitalizzate, allontanando così la prospettiva di una nazionalizzazione. In un comunicato congiunto, Federal Reserve, Tesoro Usa e altre autorità americane, si sono dette convinte che le banche resteranno in mani private e che un eventuale aiuto finanziario pubblico sarà “temporaneo”. «Ha ragione il compagno Alan Greenspan quando sostiene che una nazionalizzazione parziale delle banche rischia di essere inevitabile», ha invece detto il Nobel dell’economia Paul Krugman in un fondo pubblicato sul New York Times. Poi il Nobel si è parzialmente corretto subito: «Ok, non esattamente. Quello che Alan Greenspan, l’ex presidente della Fed - uno strenuo difensore dei mercati liberi ha detto è “potrebbe essere necessario nazionalizzare temporaneamente alcune banche in modo da agevolare una ristrutturazione morbida e ordinata”. Sono d’accordo».

In Europa, invece, i titoli delle maggiori banche hanno trascinato in avvio i listini

continentali, dopo le indicazioni del vertice dei capi di Stato e di governo europei, che si sono detti intenzionati a intervenire per regolamentare e sostenere le società finanziarie dopo i rovesci dei mesi scorsi. I Tremonti bond hanno ricevuto l’ok definitivo dalla Commissione Europea, nelle tre

versioni (per un impegno a breve, un impegno lungo o con capitale pubblico e privato), e ora la palla passa agli istituti. Che però hanno ricominciato a perdere dopo l’apertura di Wall Street. E soprattutto, dopo le parole di Jean Claude Trichet, il quale ieri ha dichiarato che «il flusso netto del credito

nell’Eurozona è rimasto di segno positivo per quasi tutto il periodo di turbolenze finanziarie, che ormai va avanti da un anno e mezzo, ma nelle ultime settimane sono emersi i primi segnali di un calo dell’offerta di credito». E il presidente della Bce è stato ancora più chiaro: «Il sistema finanziario

Il presidente della Bce, Trichet, è stato chiaro: «Il sistema finanziario sta compromettendo la ripresa dell’economia reale e la recessione sta aggiungendo pressioni sul sistema finanziario»

Vacilla la popolarità di Barack È passato dal 68% al 63%

sta compromettendo la ripresa dell’economia reale e, allo stesso tempo, la recessione sta aggiungendo pressioni sul sistema finanziario».

NEW YORK. Le nuove misure annunciate dal governo Usa per soccorrere le banche non convincono Wall Street, e gli indici estendono le loro perdite. Forti rialzi per Bank of America e Citigroup, i due istituti più interessati dal piano, che, in controtendenza, guadagnano rispettivamente il 7,39% e il 10,77%. Bene anche General Motors, che sale del 4,52% sulle attese di nuovi finanziamenti statali. Male i tecnologici, con Hp, Microsoft, Ibm e At&T tutti in deciso ribasso. Un altro risvolto della privatizzazione annunciata di Citigroup riguarda la popolarità di Obama che, con la disoccupazione in aumento e Wall Street in crisi, perde qualche punto in percentuale dal giorno dell’insediamento il 20 gennaio. «L’aureola dell’insediamento sta cominciando a svanire», suggerisce un sondaggio Gallup secondo cui il lieve calo di popolarità è da attribuire agli elettori repubblicani che in novembre avevano saltato il fosso snobbando il candidato del partito, John McCain. Il 63% degli interpellati approvano l’operato di Obama contro il 68% all’inizio del mandato. L’indice è in ogni caso superiore a qualsiasi altro presidente dell’era moderna a un mese dall’ingresso alla Casa Bianca. Intanto, hanno chiuso in calo per le principali borse europee, che soffrono l’andamento negativo di Wall Street, in rosso per le incertezze sul futuro del sistema finanziario Usa, dopo che il Tesoro si è detto pronte a concedere nuovi aiuti alle banche. L’indice Ftse100 di Londra perde lo 0,99% a 3.850,7 punti. Il Cac40 di Parigi cala dello 0,82% a 2.727,87 punti. Il Mibtel di Piazza Affari lascia sul terreno l’1,29% a 12.639 punti. Scivola ai minimi di quattro anni il Dax di Francoforte, che scende sotto la soglia psicologica dei 4.000 punti e cede l’1,95% a 3.936,45 punti. Lo Smi di Zurigo arretra dell’1,11% as 4.797,12 punti, con Ubs che scende ai minimi storici e arretra di oltre il 9%, dopo che le autorità Usa hanno avviato un’azione legale per costringere la banca svizzera a rivelare i nomi di 52mila clienti statunitensi che avrebbero evaso il fisco.

Intanto, in Italia l’inflazione è scesa a +1,6% dal +2,2% di dicembre, secondo il preliminare Istat. I dati certificano un calo dell’inflazione per i prodotti acquistati con maggiore frequenza (alimentari, tabacchi, carburanti, giornali, ecc.), ma l’aumento dei prezzi degli alimentari preoccupa il Codacons, secondo il quale l’impatto sulle famiglie italiane sarà quest’anno di 480 euro. L’incremento, afferma l’associazione in una nota, «dovrebbe mettere in allarme il governo. Se, infatti, questo dato si mantenesse costante per tutto il 2009 si determinerebbe un ulteriore aumento della spesa alimentare delle famiglie italiane di 180 euro, che sommati ai 300 euro già determinati dagli effetti che gli aumenti del 2008 avranno sul 2009, porteranno le famiglie italiane ad avere complessivamente una spesa alimentare nel 2009 di 480 euro in più rispetto al 2008”. Si tratta, chiude l’associazione, di “una cifra insostenibile per i 22,5 milioni di italiani che sono a rischio povertà, più di un terzo della po(a.d’a.) polazione».


prima pagina ROMA. «La crisi? Colpa del doppio deficit dell’economia statunitense. Se ne esce rispettando il vincolo di bilancio, l’unica soluzione per costruire realtà sociali che combinino crescita e giustizia sociale». Piero Barucci, oggi componente dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, e già professore di economia politica all’Università di Siena nonché ministro del Tesoro nei governi Amato e Ciampi (il suo nome è legato alle prime grandi privatizzazioni degli anni ‘90), rompe il suo tradizionale riserbo per dire la sua sull’attuale crisi economica. Professor Barucci, innanzitutto ci può spiegare dal suo punto di vista chi sono i “responsabili”della crisi dei subprime? I governi? Le banche centrali? Gli istituti finanziari? Siamo di fronte ad una crisi di estese e profonde dimensioni. Ha origini lontane, anche se è esplosa nel segmento dei cosiddetti “subprimes”. Il fatto è che ancora non ne conosciamo correttamente la dimensione e che non siano, conseguentemente, in grado di individuare ed in quale proporzione ne è stato colpito. Secondo l’idea che mi sono fatto, la ragione strutturale che ha determinato la grave crisi è da ricercare nel doppio deficit dell’economia statunitense che dura ormai da qualche lustro. Ciò ha provocato degli importanti flussi di valuta che si sono tradotti in anomale riserve valutarie di parecchi paesi oltre che l’esigenza degli Usa di creare le condizioni macroeconomiche per trovare qualcuno disposto a comprare i titoli del passivo americano. E siccome i tassi di interesse erano relativamente bassi, bisognava cercare di garantire rendimenti anomali di capitali e favorevoli occasioni per chi andava ad investire sul capitale di imprese basate Usa. La condizione di questo scenario era dunque duplice: bisognava mantenere alto il tasso di crescita dell’economia Usa e lasciare che gli intermediari finanziari escogitassero dei modi per mantenere elevati i tassi di rendimento delle attività finanziarie creando delle condizioni, e dei mercati, che fossero alternativi rispetto a quelle rintracciabili nei mercati organizzati ufficiali. E quindi? Se i tassi di riferimento erano, in ipotesi del 4%, visto che i costi di capitali in gestione erano più o meno di questo livello, strumenti finanziari che garantivano rendimenti del 7, 8% l’anno, contenevano in realtà alte aliquote di rischio assunte in modo non tanto inconsapevole, quanto non rese note. Ma il risparmiatore aveva tutte le possibilità di rendersi conto che andava a investire in strumenti finanziari tutt’altro che indenni dal rischio del mercato. La responsabilità principale dell’attuale stato di cose va ritrovata in chi negli Usa ha permesso uno sviluppo non sostenibile. Le autorità di vigilanza, adattando le regole ai nuovi mercati senza l’aspirazione a regolamentarli, hanno avuto le loro responsabilità. Gli intermediari hanno fatto voracemente, e senza una visione lungimirante, il loro mestiere, cercando di cogliere ogni opportunità che l’assetto legislativo esistente loro permetteva. Oggi è relativamente agevole fare valutazioni di questo tipo (o una analoga o diversa) e spartire le responsabilità fra i diversi protagonisti. Mi chiedo quale sarebbe stato il costo, politico e sociale, da sopportare tre o quattro anni fa, quando tutto sembrava andare per il meglio, per

Parla Piero Barucci: l’Italia corre meno rischi bancari. Gli effetti della crisi però colpiranno anche noi

«È cominciato il declino Usa, ma non è la fine del capitalismo» di Alessandro D’Amato

Credo che ci saranno profondi mutamenti. Non sarebbe male che potesse prendere corpo anche una diversa scala di valori sociali. Ma non m’illudo

una Autorità che avesse deciso apertamente di porre fine ad un ciclo che sembrava dispensare a tutti sviluppo, benessere, occupazione e certezze. C’è chi paragona la crisi al 1929. Secondo lei quanto è credibile il parallelo? Quali sono le somiglianze, e quali le differenze? Crisi di questo genere non hanno precedenti, in particolare quando si compiono confronti fra realtà che distano ottanta anni. Cerchiamo di fare i conti con la crisi con cui abbiamo a che fare e lasciamo le comparazioni a chi fa storia. Basterà dire che la dimensione, la struttura degli eventi, il quadro istituzionale di riferimento, l’ampiezza, sono oggi del tutto diversi da quelli del 1929. C’è chi dice che ha fallito l’ideologia del liberismo, e chi risponde che il capitalismo ha ancora «i secoli contati». Lei da che parte sta? In proposito non mi sembra utile abbandonarsi alla voglia di giungere a conclusioni troppo generalizzanti su temi che richiederebbero un libro per essere affrontati. Mi limiterei a due notazioni. La prima: il criterio, ovvero, il principio di rispettare il vincolo di bilancio in strutture altamente concorrenziali mi sembra che rappresenti l’unica soluzione per costruire realtà sociali che riescano a combinare crescita e giusti-

zia sociale. La seconda: seguo con atteggiamento distaccato questa discussione sulla «fine del capitalismo», non perché si tratti di temi che non meritino attenzione, ma perché mi pare che si debba prestare più riguardo alla vitalità del principio della libera impresa, ai mille modi in cui può manifestarsi, ai sistemi comparati diversi che esso può essere in grado di conseguire: il tutto secondo il ruolo che la politica decide di assegnarsi. È possibile vedere in questa crisi un declino dell’economia retta dagli Usa come paese-guida? E all’emersione di nuove potenze economiche? Quello degli Usa e della sua economia è un declino atteso.Tutti i futurologi dicono che nell’ultimo quarto del secolo avverrà il sorpasso. Per quanto mi riguarda azzarderei a prevedere che nel nostro secolo emergano «nuove potenze». Mi fermerei qui, aggiungendo che c’è un ciclo storico che caratterizza ogni civiltà. Questo accadrà anche per gli Usa. Sulla natura e la lunghezza del ciclo non avverto alcun bisogno di fare previsioni. La crisi in atto è uno spartiacque che cambierà la vita, i paradigmi economici e sociali nel prossimo futuro? Credo che, come per tutte le crisi rilevanti e profonde, anche in questo caso si avranno dei mutamenti. Non sarebbe male che potesse prendere corpo anche una diversa scala di valori sociali. Ma non mi faccio troppe illusioni.Temo che fra quattro o cinque anni il valore preminente tornerà ad essere quello del massimo profitto e che quello della giustizia sociale continuerà ad essere un obiettivo asintotico al quale tutti vorrebbero tendere, ma con scarsa fortuna. Passiamo ai piani per affrontare l’emergenza. Ritiene che i salvataggi statunitensi e il Tarp siano la strada giusta da perseguire l’obiettivo? Mi sembra che anche i suoi autori non abbiano certezza alcuna sulla efficacia delle misure che stanno varando. Ma questo dipende dalle ragioni che ho schematizzato nella prima risposta.Tutti sono alla ricerca della misura opportuna, ma temo che tutti stiano cercando di capire le ragioni originarie ed il sistema delle interdipendenze che da esso

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ne sono derivate. I primi passi di Obama sono sostanzialmente in linea con quelli della precedente amministrazione. Pensa che il presidente Usa caratterizzerà in modo più netto, in futuro, le sue scelte? Sulla carta, il presidente Usa in carica aspira ad essere diverso dal precedente. Vedremo che cosa sarà capace di fare. Sono un po’ preoccupato per la valanga per le attese che ha attivato. Gli faccio gli auguri più sinceri. L’Europa: il sistema economico dei singoli paesi ha risentito, chi più chi meno, alla crisi. Da una parte c’è l’Inghilterra, dall’altra la Germania. Ritiene che sia stato fatto abbastanza, finora, per superare le difficoltà? Non trascurerei la Conferenza Elvetica, i paesi scandinavi e, naturalmente, l’Islanda.Tutti i paesi le cui banche hanno patrimoni in gestione, banche di investimento, o passività che sono state in qualche modo “trattate”, sono state colpite dalla crisi. Ogni paese ha cercato di porre in atto le misure che poteva e che gli erano consentite dalle condizioni del bilancio, dal ruolo della Banca centrale, e così via. Ho idea che ancora, sia in Usa, che in Europa, che in Italia si dovrà tornare con un mix di misure diverso caso da caso. L’Italia e la crisi: il governo usa toni rassicuranti, ma il rischio che gli istituti bancari finiscano nel vortice esiste. Un suo parere. Non scorgo nessuno che usi toni rassicuranti a proposito della crisi. In Italia non sembra vi siano soverchie preoccupazioni per il nostro sistema bancario, ma per il resto ci sono solo motivi di ansietà. Nei prossimi mesi sui mercati finanziari arriveranno offerte enormi di titoli di stato (tutti i paesi che fanno politiche di deficit spending lo fanno finanziandosi così..) Ci sarà una forte concorrenza tra i vari paesi, e il mercato privilegerà quelli più solidi: Germania, ad esempio, ma anche Usa (nonostante il fortissimo debito pubblico). Pensa che ci troveremo in difficoltà? L’anno in corso prevede un ricco programma di emissioni, netto e semplici rinnovi, per imprese e Stati. Ci sarà senza dubbio molta concorrenza, ma azzardo a dire che l’Italia non dovrebbe avvertire grandi difficoltà a rinnovare il proprio passivo. In fondo abbiamo l’euro e non la lira e gli equilibri garantiti a livello europeo dovrebbero essere una garanzia per tutti. La riduzione crescente nello spread fra bund e Btp mi sembra sia una ragione in più per non sottovalutare i rischi, ma anche per non farsi prendere da timori ad oggi non motivati.


politica

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Contromanifesto. Ecco come risolvere i problemi e le contraddizioni del ddl Calderoli, frutto di compromessi tra le varie anime della maggioranza

Il federalismo dei furbi Processo a una riforma che chiede di essere approvata “al buio”: tre proposte al governo per fare davvero una grande svolta di Bruno Tabacci arlare di un federalismo fiscale solidale è sempre più una chimera. E non a caso le diverse rappresentanze istituzionali sembrano operare in uno spirito di trattativa sindacale e non di perseguimento dell’interesse generale. La scelta della legge delega, infatti, è carica di contraddizioni: si presta al rischio che non emerga un disegno organico, ma un assetto istituzionale e fiscale frutto di compromessi tra i diversi livelli. Di fronte ad una riforma di questa portata sarebbe stato preferibile evitare la strada del decreto delegato, il cui contenuto è quasi totalmente nelle mani del governo, per affrontare il percorso di una legge ordinaria, approvata dopo approfondita discussione dai due rami del Parlamento. In particolare avrebbe chiarito i rapporti finanziari e fiscali tra Stato e Regioni ed Enti locali, in quanto assai scarse sono le indicazioni contenute in questa materia nella nostra Costituzione.

P

Ben diversa è la situazione, per esempio, del federalismo fiscale in Germania dove la Legge Fondamentale, che ha valore costituzionale, stabilisce con precisione i tributi propri dello Stato Federale (Bund), quelli propri degli Stati Regionali (Laender) e quelli comuni per Bund e Laender, indicando anche per alcuni di questi ultimi (imposta sul reddito delle persone fisiche e imposta sulle società) la misura in cui il loro gettito deve essere ripartito tra Bund e Laender, mentre rinvia ad una legge ordinaria il compito di ripartire il gettito dell’imposta sugli scambi, corrispondente all’Iva italiana. Sono tanti i nodi ancora aperti e che finiscono per intrecciarsi con la tempistica dei decreti delegati. La prima questione da affrontare riguarda la disomogeneità dei dati contabili degli enti territoriali, come emerso dalle audizioni della Ragioneria generale dello Stato e dell’Istat. La possibilità di utilizzare i dati contabili degli enti territoriali risente fortemente dell’assenza di bilanci omogenei e in modo particolare quelli delle Regioni e delle Province autonome. Altro elemento di complicazione del quadro conoscitivo è rappresentato dalle cosiddette esternalizzazioni, per le quali il disegno

di legge dà un’indicazione assolutamente generica. Poiché non sono disponibili bilanci consolidati degli Enti locali e delle loro società e aziende partecipate non si è in grado di definire con precisione il livello di spesa pubblica degli Enti territoriali. In molti casi gli Enti hanno esternalizzato anche le fonti di finanziamento; ne deriva che i loro bilanci sono fasulli e non rappresentano le attività svolte a livello locale. Si pensi all’intreccio e alla ragnatela di partecipazioni di numerose amministrazioni provinciali in concessionarie autostradali, aeroporti, banche, società turistiche e consorzi industriali. Non appare poi per nulla chiarito quali attività amministrative siano da ricondurre ai livelli essenziali delle prestazioni per le Regioni e quali alle fusioni fondamentali per gli Enti locali.

E qui sta il problema. Il ministro dell’Economia non è nella condizione di indicare la quantificazione finanziaria, perché non c’è la puntuale indicazione di tali funzioni, essendo per esse prevista la copertura integrale del fabbisogno standard, mentre per le spese riguardanti le restanti funzioni è prevista la perequazione delle differenti capacità fiscali. È il cane che si morde la coda! Emerge poi il nodo connesso alla classificazione e alla quantificazione dei trasferimenti erariali. Ma per decidere quanto spetta a ciascuno, sarebbe necessario stabilire prima cosa fa ciascuno. Purtroppo l’ispirazione di fondo del disegni di legge resta quella della pretesa territorialità delle imposte. Criterio infondato, distruttivo delle responsabilità ter-

ritoriali, e in grado di indurre un’ulteriore deresponsabilizzazione. In nome della presunta territorialità, di fatto la delega procede ad una appropriazione di quote rilevanti di tributi erariali (come ha dimostrato l’Isae) di modo che la responsabilità fiscale rimane a carico dello Stato centrale, mentre il potere di spesa (una malintesa autonomia) diventa regionale. Alla faccia del 28 per cento dell’economia sommersa che continuerà a prosperare incidendo pesantemente sulle basi imponibili. Su questo punto (articolo 2, comma 2, lettera d) il richiamo al contrasto è assolutamente generico, come se si dovesse continuare a vivere in una economia sommersa di queste proporzioni. Il contrasto al sommerso dovrebbe essere il cuore di un provvedimento federalista. Ma il prestigiatore federalista estrae il coniglio: il moralizzatore, ovvero il responsabilizzatore

ce anche elementi di forte complessità, per lo più associati alla definizione dei costi unitari di produzione, che presuppone la conoscenza delle sottostanti funzioni di produzione». Siamo di fronte ad una promessa politica, alla quale dovremmo credere per dogma. In realtà essa nasconde un sicuro aumento della spesa pubblica. Come si fa a garantire, al costo standard, il livello dei servizi per la promozione dei diritti civili e sociali fondamentali e le funzioni pubbliche in tutto il territorio nazionale, senza tra l’altro rideterminare le risorse riservate alle Regioni a Statuto speciale (operazione assolutamente necessaria e imprescindibile!) e senza attuare una drastica razionalizzazione istituzionale a tutti i livelli di governo (la questione del superamento delle Province non può essere elusa!)?

La questione istituzionale ritorna con tutta la sua forza. La

Se non si costruisce un nuovo patto fiscale tra Stato, autonomie locali e cittadino il sommerso non diminuirà e il peso delle aliquote per chi paga le tasse sarà sempre più insopportabile della spesa, è il costo standard. Cos’è? A quale livello si misura? Anche il Ragioniere generale dello Stato ha messo le mani avanti. «Tuttavia sul piano tecnico ciò introdu-

Carta delle autonomie avrebbe dovuto procedere il disegno di legga sul federalismo fiscale e contenere tutti quegli articoli con contenuto ordinamentale oggi inseriti in questo ddl (città metropolitane, funzioni degli enti locali, Roma Capitale) e affrontare altresì il nodo dei controlli, che andrebbero resi penetranti nel quadro del rafforzamento dei poteri dei Consigli comunali, di fronte all’elezione diretta dei sindaci. Si comprende che in un contesto così confuso e approssimativo la richiesta di chiarezza sulle cifre e sul funzionamento integrale da parte dello Stato delle funzioni attribuite agli Enti territoriali non può che cadere nel vuoto.

Per questo e non per altro nel testo (articolo 26 comma 1) non c’è una esplicita clausola di copertura finanziaria, ma si fa riferimento ad una generica clausola di “salvaguardia finanziaria” agganciandola agli impegni assunti in sede comunitaria e superando con superficialità il precetto costituzionale di cui all’articolo 81. Non potendo assicurare, tra l’altro che gli asseriti risparmi di spesa determinassero una riduzione della pressione fiscale dei diversi livelli di governo, all’articolo 26, comma 2b, si retrocede alla formula di «non produrre aumenti della pressione fiscale complessiva». È un artifizio lessicale che nasconde o l’inevitabile aumento della pressione fiscale o il riconoscimento che questa delega in realtà afferma un manifesto ideologico. Mi sono chiesto più volte come, con una predicazione intrisa di violenza verbale (per fortuna), sarebbero andate le cose in Italia, se non avessimo avuto in tasca l’euro e sottoscritto nei decenni impegni comunitari così solenni e importanti, nel solco della guida degasperiana. Abbiamo corso il rischio di finire come nella vicina Jugoslavia, dove croati, sloveni, serbi, montenegrini, bosniaci hanno fatto scorrere il sangue! Un po’più di equilibrio non guasterebbe certo. Bisogna battere il federalismo delle furbizie, che poggia nell’intesa esclusiva tra governo e Enti locali, dove ognuno pensa di ricavare qualcosa di più. Se non si parte dalla spesa, si incrocia l’aumento della pressione fiscale.


politica

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blica, che consenta valutazioni univoche in merito alle grandezze economiche e finanziarie più significative e all’andamento delle singole politiche nei diversi livelli territoriali; su questa problematica è stata avviata una data room, alla quale partecipano il ministero dell’Economia e delle Finanze, rappresentanti degli Enti territoriali, la Banca d’Italia, l’Istat, la Corte dei Conti e l’Isae; in tale ambito, occorre acquisire elementi informativi sui dati in materia di entrate e di spese delle Regioni e degli Enti locali attualmente disponibili e sui rapporti finanziari tra le diverse categorie di enti, con particolare riferimento alle grandezze finanziarie rilevanti per le funzioni regionali relative ai livelli esenziali e alle spese per le funzioni fondamentali degli enti locali (nella misura in cui tali funzioni risultano attualmente identificabili), nonché per quelle non riconducibili a tali categorie, nonché informazioni in merito alle basi imponibili nei diversi territori e alle quote di gettito riferite ai tributi devoluti. Il Parlamento deve essere messo in grado di condividere tale base informativa.

È meglio prendersi due anni e discutere con serietà ogni decreto delegato Mi permetto di formulare alcune proposte per l’attuazione modulare della delega, a cui si legano il giudizio politico, il voto parlamentare e ovviamente le iniziative emendative dell’Unione di Centro. In tema di entrate emerge l’esigenza di contemperare i principi di flessibilità e di manovrabilità dei tributi con le perduranti esigenze di semplificazione e razionalizzazione del sistema tributario. A tal fine sarà necessario adottare ogni cautela affinché la maggiore autonomia tributaria degli enti territoriali – e, segnatamente, la possibilità di manovra loro riconosciuta in tema di deduzioni, aliquote ed agevolazioni – non comporti una eccessiva frammentazione delle basi imponibili e moltiplicazione dei centri di prelievo, posto che una ulteriore complicazione del sistema, oltre ad allontanare i cittadini dalle istituzioni, potrebbe alimentare indesiderabili fenomeni di elusione ed evasione fiscale. Il riconoscimento di una più ampia autonomia impositiva agli enti territoriali non dovrà, infine, tradursi in alcun caso in un incremento del prelievo fiscale. Riguardo al controllo della spesa pubblica e al necessario coordinamento della finanza pubblica, anche al fine del rispetto dei vincoli e degli obiettivi posti dal Patto di Stabilità europeo, si rileva come i meccanismi di

coordinamento tra i diversi livelli di governo ai fini della ripartizione degli obiettivi di riduzione del deficit e del debito non siano del tutto chiari. Occorrerebbe infatti spiegare come il nuovo patto di convergenza di cui all’articolo 17 si coordini con i criteri di delega sul coordinamento e sulla disciplina fiscale dei diversi livelli di governo di cui all’articolo 16. Inoltre non è sufficientemente chiaro il tema più generale relativo ai vincoli e ai condizionamenti – derivanti in parte per lo Stato in parte per gli enti decentrati dal disegno di riforma – nell’utilizzo di determinate leve e strumenti di politica fiscale per il conseguimento degli obiettivi di deficit programmati o in vista della definizione di manovre di risposta ad eventuali shock economici.

dito pro-capite (questo sembra essere il parametro), mentre usufruiranno invece di quella perequazione se il reddito pro-capite del loro territorio risulti inferiore al valore della media nazionale. Il principio del «superamento» del criterio della spesa storica presuppone che anche per le Regioni a statuto speciale e le Province autonome l’adeguatezza delle risorse (in entrata) dovrà essere valutata in rapporto agli oneri che essi devono sostenere per l’esercizio delle funzioni che sono loro attribuite.

Per le Regioni ad autonomia speciale, appare opportuno acquisire una valutazione delle possibili ipotesi di modifica dei rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni per effetto dell’introduzione dei principi di concorso agli obiettivi di perequazione e solidarietà definiti dall’articolo 25. I principi della delega stabiliscono che anche le Regioni a statuto speciale e le Province autonome debbano contribuire a finanziare il sistema di perequazione nazionale se “ricche”in termini di red-

cessario definire un processo di attuazione del federalismo fiscale di carattere progressivo, da articolare nei 24 mesi in fasi successive, nell’ambito delle quali ogni decreto legislativo dovrebbe essere sottoposto al parere parlamentare vincolante della Commissione bicamerale. In primo luogo occorre una ricognizione della situazione attuale delle Amministrazioni locali, ai fini della definizione di una base di dati condivisa tra i soggetti istituzionali e le amministrazioni esperte in tema di finanza pub-

Mi sento di proporre l’attuazione “modulare”della delega. È ne-

Successivamente il primo decreto legislativo dovrebbe individuare i principi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci pubblici, volta ad assicurare la redazione dei bilanci delle autonomie territoriali in base a criteri predefiniti e uniformi, coerenti con quelli che disciplinano la redazione del bilancio dello Stato ed agevolmente riconducibili ai criteri rilevanti ai fini dell’osservanza del patto di stabilità e crescita europeo (articolo 2, comma 2, lettera h, del disegno di legge delega). Poi il secondo decreto legislativo dovrebbe procedere alla individuazione nel dettaglio delle funzioni per le quali è necessario definire le prestazioni ai livelli essenziali (sanità, assistenza e istruzione), e, soprattutto, le funzioni fondamentali degli Enti locali (che dovrebbero essere quelle che si riferiscono alle caratteristiche proprie dell’ente/governo del territorio, trasporto locale, smaltimento dei rifiuti, viabilità, ecc.) evitando pertanto una loro definizione solo in via transitoria

dividuando la loro distribuzione territoriale, posto che tali trasferimenti dovranno essere soppressi ed essere sostituiti da tributi, compartecipazioni e quote del fondo perequativo, essendo consentiti, secondo l’articolo 119, solo trasferimenti di tipo perequativo. In tale ambito, occorrerà svolgere una riflessione più ampia in ordine alla necessità di ricondurre nell’ambito delle competenze esclusive statali talune funzioni che risentirebbero negativamente di una segmentazione tra vari livelli di governo (come nel caso delle materie produzione, trasporto , trasporto, distribuzione nazionale dell’energia, grandi reti di trasporto e navigazione, ecc.).

Un terzo decreto legislativo dovrebbe individuare i livelli essenziali delle prestazioni (Lep) e il livello adeguato del trasporto pubblico locale; i Lep potrebbero essere concepiti come standard di qualità essenziali (minimi) per alcune tipologie di servizi ritenute meritevoli di tutela costituzionale e per le quali possa anche configurarsi l’insorgere di un diritto soggettivo, la cui esigibilità debba essere garantita sull’intero territorio nazionale. Occorrerà, poi, procedere alla determinazione dei costi standard per i Lep e alla stima della spesa standard per le funzioni fondamentali degli Enti locali. Il disegno di legge considera la definizione dei fabbisogni di spesa sulla base dei costi standard, il che è ancora più complesso di quanto implichi la costruzione di indicatori di spesa standard, come l’esperienza della sanità ha dimostrato. Si tratta, infatti, di costruire le“funzioni di produzione”delle varie prestazioni e di superare la spesa storica che, oltre al costo dei servizi, ingloba anche le inefficienze delle singole amministrazioni. Attualmente esistono problematiche con riferimento sia alla non omogeneità dei criteri contabili tra le Regioni, sia alla mancanza di una vera contabilità analitica. Definito nel dettaglio“chi fa cosa, quanto deve essere fatto e quanto costa farlo”si potrà procedere alla definizione di un quadro generale di finanziamento degli enti territoriali e a formulare ipotesi di definizione su base quantitativa della struttura fondamentale dei rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni e gli Enti locali, con l’indicazione delle possibili distribuzioni delle risorse, così come previsto dall’articolo 2, comma 6, del disegno di legge; sul punto occorrerà acquisire il parere parlamentare. Soltanto alla fine, dopo un lungo e condiviso percorso, potrà procedersi alla esatta individuazione del paniere di tributi propri e derivati e compartecipazioni da assegnare a Regioni ed Enti locali, alla fissazione delle aliquote standard e alla definizione dettagliata dei modelli di perequazione.

La riforma dovrebbe essere attuata progressivamente in 24 mesi e in fasi successive e ogni decreto legislativo sottoposto al parere parlamentare vincolante della Commissione bicamerale come previsto dal disegno di legge; contestualmente, dovranno essere individuate nel bilancio dello Stato le singole voci connesse a competenze da trasferire agli enti decentrati – in base all’articolo 117 della Costituzione – indicando il livello di spesa storica da cui partire, quale punto iniziale per la costruzione del sistema di finanziamento. Si dovrà inoltre procedere alla regionalizzazione delle spese connesse alle competenze da trasferire, nonché alla selezione dei trasferimenti verso gli enti decentrati, in-


diario

pagina 6 • 24 febbraio 2009

Napolitano: «Ora basta tagli all’università» «Gli atenei sono il futuro del Paese». Gelmini: «Ma così noi eliminiamo gli sprechi» di Francesco Lo Dico

ROMA. «La ricerca e la formazione sono la leva fondamentale per la crescita dell’economia. Questa è una verità difficilmente contestabile, e apparentemente non contestata nel nostro Paese». In visita all’ateneo di Perugia, che compiva ieri settecento anni dalla sua fondazione, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, striglia il governo in seguito alla drammatica riduzione dei fondi destinati alla ricerca e all’università. «Mi auguro che siano maturi i tempi per ripensare e rivedere scelte di bilancio improntate a tagli indiscriminati», ha auspicato il capo dello Stato, ma la risposta di viale Trastevere non si è fatta attendere. «Premiare le università migliori e tagliare gli sprechi: è questo quello che vuole fare il governo», ha replicato la numero uno del dicastero, Mariastella Gelmini. Che rimarca come «le preoccupazioni del Capo dello Stato sono anche le preoccupazioni del governo». Nell’intervento perugino, Napolitano ha sottolineato che, nonostante la crisi, occorre un deciso rilancio della conoscenza e della ricerca, «leva fondamentale per la crescita economica e sociale» e unica carta vincente nella sfida dei mercati globali.

Inevitabile non scorgere dietro il monito presidenziale e la pronta replica del governo, il sorgere di nuove polemiche sul ferreo regime dimagrante imposto agli atenei dall’ultima Finanziaria, che a partire da quest’estate avevano paventato la cessata attività causa mancanza fondi. Nel mirino la manovra triennale approvata dal Parla-

meritofobia, in un tronco che sente e che pena.Tra l’azzeramento dei finanziamenti all’edilizia universitaria, i blocchi del turnover, i disagi abitativi e le borse di studio insufficienti, e la sempre più esigua attenzione rivolta al mondo della ricerca, l’Università nostrana ha mostrato quest’anno ulteriori e sinistri scricchiolii. Detto che nel World university rankings 2008, graduatoria britannica stilata da The Times, bisogna scorrere duecento posizioni per trovare traccia di un ateneo italiano, e quattrocento per individuarne altri otto, il numero degli iscritti alle università italiane è calato nel 2009 del 4,4 per cento a fronte di un numero di diplomati notevolmente accresciuto.

Il capo dello Stato indica nella ricerca e nelle risorse umane le carte vincenti nella sfida globale.Anche se infuria la crisi mento la scorsa estate, un provvedimento presentato dal governo come la fine di sprechi e privilegi a favore della meritocrazia, e accolto dai rettori come un colpo d’accetta del valore di più di un milione e mezzo di euro ai danni del Fondo di finanziamento ordinario. Un’emorragia di capitali che già da quest’anno ha trasformato il sistema universitario italiano, di suo ingessato e afflitto da

Un segnale di sconforto dettato sì dalla crisi, ma di certo legato all’aumento conseguente delle tasse universitarie e delle difficoltà logistiche di studenti immersi in un quadro generale che sembra azzopparne le prerogative occupazionali, in funzione di drastici tagli. Bisogna «valorizzare le risorse di capitale umano e di sapere evitando la dispersione di talenti e risultati troppo spesso sottovalutati», ha ricordato a tutti il capo dello Stato, che ha invitato a non abbandonarsi a «generalizzazioni negative e liquidatorie». Fatto sta che, ovunque sia la verità, posti gli atenei italiani come pazienti in debito di ossigeno, premiare quelli più volenterosi è certo meritevole. Il problema è staccare alla spina a quelli in difficoltà. Perché a rimetterci non è chi spreca, ma chi spreca il suo futuro: i giovani.

Fini: dialogo contro il terrorismo Il presidente della Camera al Cairo dopo l’attentato: «Aprite a Israele» Andrea Ottieri

IL CAIRO. «Il terrorismo colpisce chi vuole la pace e non a caso ha colpito ancora l’Egitto». Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, in visita ufficiale al Cairo è tornato a condannare con queste parole il terrorismo che ha colpito ieri l’altro nella capitale egiziana. Al termine dell’incontro con il presidente dell’assemblea del popolo egiziano, Ahmed Fathi Sorour, Fini ha rilevato: «L’Egitto è un paese strategico per la pace in Medio Oriente, è impegnato in prima linea per garantire un accordo tra le fazioni palestinesi è il successo della conferenza di marzo a Sharm per la ricostruzione a Gaza e per garantire un avvenire libero dal terrorismo. Per questo riceve un grande apprezzamento dalla comunità internazionale».

Secondo Fini, «la lotta al terrorismo si vince creando condizioni di benessere per i popoli e se si da vita a una politica di reciproco rispetto e di ascolto delle ragioni dell’altro. La strada della pace passa comunque anche dalla volontà di Israele di far corrispondere alle parole i fatti. La guerra si può fare da soli, ma la pace si fa sempre in due». Di fronte agli interlocutori egiziani che ribadivano la condanna degli atti “criminali” compiuti da Israele nella recente guerra di Gaza, Fini ha rilevato: «Ognuno deve rispondere dei suoi atti» e ha invitato ad attendere «prima di dare

per scontato il nuovo governo israeliano potrà fare un passo indietro sulla via della pace. Aspettiamo di vedere la composizione del governo, anche perché già in passato, come nel caso del governo Begin, è capitato che un esecutivo di destra in Israele si sia messo a lavorare per la pace. Ripeto, aspettiamo prima di dire che l’esito delle elezioni in Israele è contrario alla pace». Il presidente dell’Assemblea del popolo egiziano Sorour, dal canto suo, ha confermato i dubbi sul futuro dei rapporti con Israele e ha rilevato che anche l’ulti-

notizia ufficiale ancora da parte delle autorità, che stanno interrogando centinaia di persone come testimoni. La dinamica dell’accaduto non è ancora chiara alle forze dell’ordine. Tre le versioni da verificare: la prima parla di una o due bombe, forse granate, lanciate da una balconata. Per il ministero dell’Interno si tratta invece dell’esplosione di un ordigno nascosto in un contenitore di bevande posto sotto un sedile in pietra vicino un caffè, non lontano dalla moschea di Al Hussein. Ultima ipotesi, quella forse meno credibile, sarebbe quella di bombe lanciate da persone a bordo di una motocicletta in transito. Quello che è sicuro è che, la bomba piena di chiodi ed altri oggetti metallici, doveva essere molto potente. La giovane francese uccisa faceva parte di una comitiva di studenti arrivati in Egitto nei giorni scorsi e che sarebbero dovuti rientrare in patria ieri.Tra i 24 feriti anche quattro egiziani, un tedesco di 37 anni e tre sauditi. Quello di ieri l’altro è stato il primo episodio di terrorismo contro stranieri avvenuto nella capitale dell’Egitto dall’aprile 2005. Commenti di sdegno sull’episodio continuano ad arrivare da parte delle autorità egiziane: anche il grande imam di Al Azhar, Sayyed Mohamed Tantaui, ne ha parlato con il presidente della Camera, Gianfranco Fini.

Il leader di An in visita di Stato in Egitto: «La guerra si può fare da soli, ma la pace si fa in due. Ascoltiamo le ragioni di tutti» mo attentato al Cairo «è premonitore degli esiti possibili di una politica estremista da parte di Israele, che ostacoli la pace nella regione».

Quanto all’attentato nel suk del Cairo in cui è morta una ragazza francese di 17 anni, non è ancora stata chiarita con certezza la dinamica. Tre le persone fermate e poi rilasciate dalla polizia nel bazar di Khan el-Khalili, un uomo e due donne, bloccati sul posto immediatamente dopo l’attentato. Nessuna


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24 febbraio 2009 • pagina 7

La libertà di stampa costa centomila euro Il veto sulle intercettazioni può essere annullato dalla Corte europea di Marco Palombi

ROMA. All’incirca 100mila euro. Tanto costerà far annullare per sentenza dalla Corte europea dei diritti umani le norme“bavaglio”sulla stampa che il governo ha inserito nel cosiddetto ddl intercettazioni (e che in realtà è molto di più di un semplice regolamento degli ascolti di polizia). Informalmente le associazioni degli editori e dei giornalisti lo hanno fatto già sapere ai deputati di maggioranza, che da ieri discutono la legge nell’aula della Camera - l’approvazione è prevista entro marzo - e un primo riflesso di questa consapevolezza si può notare da due indizi. Il primo è il parere (scritto da Giorgio Lainati, ex ufficio stampa del Cavaliere) con cui la commissione Cultura ha approvato il testo: considerato che «la previsione della pena detentiva prevista per i reati commessi dai giornalisti non appare rispettosa del principio di proporzione della pena» bisognerà «ridurre al minino la pena detentiva (…) stabilendo altresì l’alternativa della medesima con la pena pecuniaria».

Il secondo è l’intervento svolto in aula dalla relatrice del ddl, Giulia Bongiorno, secondo cui in questo modo «si comprime forse eccessivamente il diritto di cronaca, quindi in-

vito l’Assemblea a una riflessione su questo punto». Si annunciano ennesime modifiche, quindi, ma non è ancora chiaro di che genere. Ma cosa c’è in questa legge da spingere i suoi stessi promotori, tra cui il relatore, a parlare di compressione del diritto di cronaca? È presto detto: il disegno di legge messo insieme dal ministro Alfano vieta la pubblicazione di ogni atto di indagine preliminare, anche per riassunto, e di ogni altro atto “acquisito al fascicolo” da accusa e difesa «anche se non sussiste più il segreto, fino a che non siano concluse le indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare». Ogni atto ben oltre il segreto istruttorio, si badi bene, e quindi non solo le intercet-

tempo e non si sarebbe letta una riga sullo scandalo dell’ospedale Santa Rita. Perché? Perché le indagini sono ancora in corso.

Dicevamo però dei 100mila euro. Sarebbe più o meno il costo necessario ad impugnare la prima sentenza contro la stampa fino alla Corte europea dei diritti dell’uomo, la cui Convenzione è stata ratificata anni fa dall’Italia. Nel silenzio quasi generale, infatti, un precedente esiste già e non è rassicurante per il nostro governo. Si tratta di una sentenza del 7 giugno 2007 riguardante un caso francese: due giornalisti - Jérôme Dupuis e Jean-Marie Pontaut – pubblicarono in un libro brogliacci, interrogatori al giudice istruttore e schede di intercettazioni illegali ordinate dal presidente Mitterrand negli anni ’80 e su cui stava all’epoca indagando la magistratura francese. Ebbene la Corte ha stabilito che il diritto di cronaca, cioè il contenuto di quegli atti, fa premio persino sulle esigenze di segretezza dell’istruttoria, soprattutto se le persone coinvolte – avendo un ruolo pubblico – si sottopongono già di per sé al doppio controllo stampa-opinione pubblica. Bocciatura che i giudici di Strasburgo hanno esteso anche alle sanzioni pecuniarie per i giornalisti, che possono avere - anche se moderate un effetto“dissuasivo”sulla libertà di stampa.

Il disegno di legge del ministro Alfano può essere scavalcato da una sentenza che difende «la rilevanza dei fatti» tazioni, che però vantano un divieto in più: chi pubblichi conversazioni destinate alla distruzione perché non considerate rilevanti per le indagini potrà essere incarcerato anche per tre anni, mentre gli editori rischiano una supermulta da 500 mila euro. Se questa fosse stata la legge, i giornali avrebbero scritto dello scandalo Parmalat solo un anno fa, dei furbetti del quartierino da ancor meno

La promessa di Berlusconi: «La Tav si farà» Il premier a “Le Figaro”: «Il governo ha deciso e ora per la Torino-Lione è tutto pronto» di Guglielmo Malagodi

ROMA. «La Torino-Lione si farà»: parola del premier Silvio Berlusconi, in un’intervista al giornale francese Le Figaro, alla vigilia del summit che oggi lo vedrà incontrare a Roma il presidente francese Nicolas Sarkozy. «Poche settimane fa - ha detto Berlusconi al quotidiano conservatore francese - il mio governo ha confermato il commissario Mario Virano alla presidenza dell’Osservatorio tecnico sulla Torino-Lione. Intendiamo accelerare il lavoro per completare il Corridoio 5. L’Alta Velocità era nel nostro programma elettorale, c’è pieno accordo nel governo. Noi attribuiamo un’importanza strategica allo sviluppo delle infrastrutture - prosegue il presidente del Consiglio -. Ab-

Alla vigilia dell’incontro con Sarkozy a Roma, il Cavaliere rilancia la grande opera che costerà 7,6 miliardi di euro biamo riaperto tanti cantieri chiusi dal precedente governo, tenuto sotto ricatto dal fanatismo ambientalista, e mi fa piacere che anche a livello europeo stia prevalendo un’idea nata con la presidenza italiana della Ue nel 2003, cioè l’emissione di eurobond per finanziare le grandi infrastrutture continentali, idea che ha avuto la sua traduzione politica nelle conclusioni della presidenza francese». A settembre, la Francia aveva confermato l’impegno per la costruzione del futuro tunnel della Torino-Lione annunciando l’intenzione di acquistare, a partire dal 2009, i terreni necessari per realizzare il progetto. I lavori della Tav Torino-Lio-

ne hanno costi stimati pari a 7,6 miliardi di euro che verranno finanziati per il 63 per cento dall’Italia e per il restante 37 per cento dalla Francia. A questi va detratto il contributo di 672 milioni di euro che l’Unione europea ha previsto a sostegno del progetto.

Le parole di Berlusconi sulla Tav hanno suscitato immediate reazioni nel mondo politico: «Che il governo si impegni a fondo per la realizzazione della Torino-Lione è sicuramente un fatto positivo e da incoraggiare. Ma credo sia altrettanto opportuno e necessario ricordare al Presidente del Consiglio che la Torino-Lione rientra tra le opere sostenute, caldeggiate e proposte sin dall’inizio dall’Ulivo prima e dal Partito democratico successivamente», ha detto per esempio Giorgio Merlo, del Pd, membro della Commissione trasporti della Camera. Più tranchant, ovviamente, il commento di Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione: «Il premier continua a riproporre la Torino-Lione, e cioè la Tav, senza affrontare gli enormi problemi ambientali che comporta un’opera simile e senza spiegare a cosa dovrebbe servire. Capiamo che Berlusconi sia molto sensibile agli interessi delle ditte coinvolte negli appalti dell’Alta velocità ma questo è un problema suo e non del Paese», sono le parole affidate da Ferrero a un comunicato stampa. Che conclude con un consiglio: «Si pensi piuttosto ad ammodernare la linea attuale e si faccia l’unica vera grande opera che oggi serve all’Italia: mettere a norma tutte le scuole del Paese e renderle tendenzialmente autosufficienti sul piano energetico attraverso l’impiego dell’energia solare».


politica

pagina 8 • 24 febbraio 2009

Involuzioni. Il partito nato dalle «ceneri di Gramsci» adesso rischia di smarrire ogni traccia di riformismo

Se comanda Dossetti Il Pd “cattocomunista” di Franceschini si profila più radicale di quello veltroniano di Riccardo Paradisi l primo ex democristiano a guidare il principale partito del centrosinistra italiano dove sono confluiti gli eredi del vecchio Pci. Una virata verso il perimetro moderato dell’elettorato. Una svolta storica nella continuità col progetto veltroniano. È la lettura più corrente dell’elezione di Dario Franceschini alla guida del Partito democratico, l’interpretazione mainstream della risposta che il Pd ha elaborato dopo il lancio della spugna di Veltroni. Una lettura a prima vista inconfutabile. Franceschini proviene dalle fila della Dc, ha dipanato dentro quella storia il suo percorso. Di più: la sua vicedirezione era una tutela per le istanze popolari e centriste del partito democratico, che avevano accettato la leadership di Veltroni in cambio di sufficienti garanzie di rappresentatività interna. Tutto vero.

I

Ma è troppo facile. Eppure forse è possibile un’altra lettura della segreteria Franceschini, speculare a quella che ormai si impone come vulgata.

Una lettura per cui la segreteria Franceschini non segna un’evoluzione ulteriormente moderata del Pd ma un suo attestarsi su posizioni di maggiore intransigenza, meno nazionalpopolari e più radicali. Il giuramento sulla Costituzione come atto simbolico rivolto polemicamente verso Sivlio Berlusconi – gesto che ha raccolto l’immediato plauso di Antonio di Pietro – il richiamo al cristianesimo sociale di Dossetti e La Pira, la netta presa di posizione sul testamento biologico: segnali che fanno presagire la costruzione di un percorso più definito rispetto a quello tentato e fallito daVeltroni. La stessa formazione di Franceschini del re-

sto è quella dura e pura dei cattolici democratici: la Lettera a una professoressa di Don Milani, l’antifascismo di don Primo Mazzolari, il Concilio Vaticano II e appunto Dossetti e La Pira. «Quando si dissolse la Dc – racconta Francesco Cossiga – Franceschini al seguito dei Cristiano sociali di Gorrieri e Carniti si era già iscritto ai Ds… Fu Ciriaco de Mita a riportarlo nel Ppi». Ma cosa ne pensano di questa lettura altra intellettuali e politici di questa sinistra oggi più che mai in cerca di se stessa? Lucio Villari storico dell’età contemporanea dice che la radicalizzazione del Pd attraverso la segreteria Franceschini è un’ipotesi ben fondata. «Gli ascendenti culturali a cui fa riferimento appartengono a un mondo cattolico moderno e innovatore, in contrasto con qualunque atteggiamento conservatore che ha caratteriz-

zato il Pci sui temi della morale e del costume». È il dato della laicità – secondo Villari – la cartina di tornasole per capire la progressività della sinistra: «Un chiaro pronunciamento su un tema come il testamento biologico

era necessario e Franceschini l’ha fatto. È corretto dunque vedere nel nuovo segretario del Pd l’erede di qualcosa di socialmente più preciso rispetto a quanto ha espresso Veltroni». Già, perché, secondo Villari Veltroni s’è

La sinistra reclama il posto di responsabile dell’organizzazione: oggi è di Fioroni, che potrebbe fare il capogruppo alla Camera

Parte il totonomine per i cento giorni di Dario di Antonio Funiciello

ROMA. Dopo i vari azzeramenti annunciati nel discorso alla Fiera di Roma di sabato scorso, questa settimana Dario Franceschini ha più di un nodo da sciogliere in fretta. Insieme ai pieni poteri, infatti, lo statuto gli conferisce anche un breve tempo d’azione, fino al prossimo congresso. Si dice otto mesi, ma in realtà Franceschini dovrà puntare sui primi cento giorni della sua segretaria. Passati quelli, saremo al dopo elezioni europee, ufficialmente in campagna congressuale, con i suoi competitors (Bersani, se ci sarà ancora, e/o altri) in campo. Sarà il tempo del rompete le righe, con il Pd impegnato ovunque in una discussione senz’altro aspra che, così com’è iniziata, rischia di vedere l’un contro l’altro armato un candidato ex dc (lo stesso Franceschini, forse) e un ex pci, con conseguente rischio di scissione al centro o a sinistra. In questa chave, la scelta più importante del capo del più grande partito dell’opposizione è quella che concerne i due capigruppo alla Camera e al Sena-

to. I problemi di Veltroni sono cominciati quando, dopo una campagna elettorale passata ogni giorno a differenziarsi dal governo Prodi, confermò i due capigruppo Soro e Finocchiaro del Pd prodiano. Franceschini se lo ricorda bene e, da politico navigato, è consapevole che un cambio al vertice dei due gruppi parlamentari caratterizzerebbe, meglio di ogni altra scelta, l’annunciata linea decisionista. D’altro canto, non è un caso che Soro e Finocchiaro siano stati tra i più strenui sostenitori del passaggio di consegne tra Veltroni e Franceschini e sedessero accanto a lui durante l’assemblea nazionale di sabato. La loro riconferma potrebbe essere un tassello fondamentale per non lasciar vacillare il fragile equilibrio che nel gruppo dirigente del Pd ha portato all’elezione del nuovo segretario. Il bivio principale dei cento giorni di Dario comincia da qui: confermarli o no? Nel caso dovesse sostituirli, si aprirebbe un ”totocapigruppo” che se durasse troppo a lungo potrebbe danneggiare parecchio Franceschini. È evi-

dente che il nuovo segretario non potrà uscire in nessun modo dal sistema metrico binario che regola il Pd. Lo schema «un popolare da una parte e un diessino dall’altra» (vedi Soro e Finocchiaro), per quanto resti sul lungo periodo uno meccanismo letale per il partito, rappresenta nel breve dei cento giorni di Dario una necessità ineludibile. Forzare la mano e imporre due ex diessini a fronte della sola segreteria popolare produrrebbe un’immediata crisi di rapporti di forza interni.Tanto più che gli ex ds reclamano l’incarico all’organizzazione del partito, che è al momento di Fioroni, e Franceschini non potrà fare a meno di concederlo. Restando, quindi, valido l’approccio binario, potrebbe essere proprio Fioroni a sostituire Soro come capogruppo alla Camera. Al Senato Franceschini si troverebbe a scegliere tra un ex ds fassiniano (Cabras?), o veltroniano (Vitali?), o dalemiano (Latorre?). Un caos non da poco, che alla fine è assai probabile suggerisca a Franceschini il congelamento di Soro e Finocchiaro.

Avendo a disposizione solo cento giorni, risulterà irrilevante per gli incarichi di partito la scelta di Franceschini per il responsabile esteri o quello delle politiche giovanili. Oltre ai due capigruppo, tre rimangono le scelte delicate. Anzitutto - come s’è già detto - il responsabile dell’organizzazione. Si fa un gran parlare di Migliavacca, ultimo responsabile organizzazione dei Ds, che proprio in virtù di questo curriculum sarebbe la soluzione più contraddicente l’annunciato decisionismo di Franceschini. È un ruolo caldissimo perché direttamente interessato alla chiusura del tesseramento 2009, vincolante per il corretto svolgimento del congresso d’autunno. Resta poi da capire chi seguirà la formazione delle liste per le europee e la partita delle amministrative e chi si occuperà della politica economica e sociale del Pd. Dopo la ”veltronomics” di Morando, Boeri e Ichino, e in tempi di crisi come questi, una scelta assolutamente decisiva.


politica

24 febbraio 2009 • pagina 9

Ancora una rottura sul testamento biologico

Il nuovo strappo dei rutelliani di Marco Palombi

accomodato sulle sfumature, sulle ambiguità, sui non detti. «La sua risposta alle intemerate anticostituzionali di Berlusconi è stato debole. Che significa dire che è un irresponsabile? Franceschini ha espresso un giudizio più netto, rispondendo con un atto forte. È una diversità di linguaggio che è anche una diversità di linea».

te concrete». Come LINDA la collocazione tra i LANZILLOTTA socialisti in Europa e Veltroni ha detto il testamento bioloche ha sbagliato gico? «Certo, scelte a non consentire che Franceschini ha che ci sia stata dovuto definire visto maggioranza che un partito che e minoranza. deve affrontare una Franceschini battaglia politica coha il ruolo sì impegnativa non di rafforzare Ma se per Villari l’ipotesi di un può fare della libertà l’identità del Pd. Franceschini più a sinistra di Vel- di coscienza una Il cui sfumarsi troni è ben fondata per il vice- bandiera». Insomma ha prodotto la crisi presidente del gruppo Pd al Se- pragmatismo. Ma se nato Nicola La Torre si tratta di ognuno è il risultato una lettura strumentale. «È una della sua storia pertesi funzionale a chi vorrebbe sonale chi è Franceschini? «Una preciso. Però io non arriverei a drenare l’area centrista del Pd in cosa è vera – dice a liberal il di- spiegare queste cose arrivando a un nuovo soggetto di centro. Ma rettore delle Ragioni del sociali- Gramsci e Gobetti. Siamo in una è anche un’analisi fatta con cate- smo Emanuele Macaluso – Fran- dimensione più modesta». Come gorie vecchie. È un falso proble- ceschini ha assunto posizioni più La Torre anche l’esponente Pd ma domandarsi se il Pd si sia di sinistra e più laiche di quelle Linda Lanzillotta non ci sta alla spostato più a sinistra o più a de- di Veltroni. Ma questo non signi- lettura di un Franceschini radical: stra. La segreteria Franceschini fica che la tradizione dossettiana «Il fatto che un partito nuovo sia segna una continuità col percor- sia più a sinistra di quella gram- fortemente ancorato a valori e ideali antichi non significa che so del Pd fino ad oggi. Un parti- sciana. questi si debbano riprodurre auto progressista che ha smesso di ragionare sulle sue origini e che E poi Veltroni mica ha espresso tomaticamente. Franceschini è dovrà essere giudicato sulle scel- la tradizione di Gramsci ma una stato animatore di un partito che sintesi al ribasso tra aveva come ragione della sua naMargherita e Ds, una scita la modernizzazione del Paemediazione. Veltroni se: oggi la sua segreteria rilancia EMANUELE aveva un suo questo progetto». E niente – seMACALUSO pantheon sconfinato condo Lanzillotta – annuncia un Franceschini di riferimenti, una bu- ritorno alla diffidenza per un’esembra voler limia inclusiva di conomia di mercato di certa sinifare scelte più idee, personaggi sug- stra e di certo cattolicesimo. «La chiare rispetto gestioni. Un tutto in- segreteria Franceschini può sea Veltroni. sieme che s’è tradotto gnare lo sviluppo più determinaL’adesione in un magma senza to del Lingotto. Veltroni ha detto al gruppo forza. Franceschini che se ha fatto un errore è stato socialista sembra voler fare questo: non aver consentito che in Europa scelte più chiare: l’a- ci sia stata maggioranza e minoper esempio desione al gruppo so- ranza. Franceschini ha il ruolo di e il testamento cialista in Europa e il rafforzare l’identità del Pd. È stabiologico testamento biologico to lo sfumarsi dell’identità a prosono qualcosa di più vocare la crisi».

ROMA. Il tre, si sa, è il numero perfetto. Quello che non si sapeva è che pare valere anche per la cosiddetta «Dichiarazione anticipata di trattamento» (Dat), fattispecie nota alle cronache come testamento biologico. Il provvedimento messo insieme dal relatore Raffaele Calabrò (Pdl) è infatti alle battute finali in commissione Sanità del Senato e quindi gruppi, gruppuscoli e singoli hanno in questi giorni alacremente lavorato agli emendamenti: circa 600 ne sono stati depositati, un centinaio dalla maggioranza e oltre 250 dai radicali. Il tre, come si diceva, la fa da padrone in due delle posizioni più intriganti dell’ultim’ora: la terza via - forse in omaggio all’amato Tony Blair - scelta da Rutelli tra il sì e il no all’alimentazione forzata e la trimurti degli elementi naturali fondamentali predicata da Laura Bianconi, Pdl come il relatore. Veniamo al Pd. La “posizione prevalente” lanciata dal fu Veltroni continua a tenere nelle peste il gruppo in Senato, visto che la capogruppo in commissione Dorina Bianchi non fa che sostenere posizioni in contrasto con la maggioranza del partito (ieri, ad esempio, non ha firmato nemmeno gli emendamenti comuni): per questo stamattina, prima della ripresa dell’esame del testo fissata alle 14, il neosegretario Dario Franceschini dovrebbe andare a palazzo Madama per risolvere la faccenda. La sua posizione, peraltro, l’ha già espressa sabato alla Fiera di Roma: «Non è accettabile» che alimentazione e idratazione siano imposte contro la scelta del paziente. Il confronto si preannuncia complicato tra i sostenitori della libertà di scelta e chi sostiene che la vita non è un bene disponibile e quindi va tutelata comunque. È in questo dissidio che si iscrive, sotto forma di emendamento, la terza via rutelliana: alimentazione e idratazione sono sì «forme di sostegno vitale» e come tali non possono essere oggetto di Dat, ma «nelle fasi terminali della vita o qualora il soggetto sia minore o incapace di intendere e volere la loro modulazione e la via di somministrazione (…) debbono essere il frutto di

una interazione e comune valutazione tra il medico curante, cui spetta la decisione finale, l’eventuale fiduciario e i familiari». Nella sostanza, un veltroniano «no, ma anche sì».

Tra le sorprese riservate dagli emendamenti, però, va segnalata anche la proposta di modifica di Laura Bianconi: oltre ad alimentazione e idratazione anche la ventilazione deve essere considerata un sostegno vitale obbligatorio. D’altronde, ha spiegato la senatrice, «si tratta di tre elementi naturali, della triade perfetta, cioè aria, acqua e cibo», laddove forse la memoria ha suggerito alla Bianconi la reminiscenza classica dei quattro elementi naturali (aria, acqua, fuoco e terra) che però effettivamente hanno il difetto di non avere molto a che fare col testamento biologico. «Capisco che si tratta di una grossa forzatura – ha ammesso infatti - perché sarà già uno strappo avere nutrizione e idratazione obbligatorie, ma noi ci proviamo».

Dorina Bianchi, capogruppo del Pd alla Commissione sanità, non ha firmato gli emendamenti del partito: si cerca una mediazione


panorama

pagina 10 • 24 febbraio 2009

Dibattito. In Italia e nel mondo il Vaticano ha contestato sia politiche di destra sia di sinistra

La Chiesa è di centro (ma non lo dice) di Luigi Accattoli aro direttore, in margine al seminario tenuto a Todi dalla Fondazione Liberal conviene chiedersi se la Chiesa sia di destra o di sinistra, o non piuttosto di centro, come parrebbe dalla frequenza con cui le sue indicazioni sembrano accolte più dalle formazioni politiche mediane che da quelle che formano i due poli. Dico in breve che a mio parere la Chiesa sta al centro più che ai due poli ma non lo dice e non lo dirà mai, perché ha scelto di non mescolarsi alla politica e di non parteggiare, volendo essere patria comune di tutti i battezzati quale che sia la loro scelta di parte o di partito.

C

Conviene porre la questione nel concreto dei fatti più recenti: il caso Englaro, il “pacchetto sicurezza”, l’elezione di Obama negli Usa. Ma può anche essere utile interrogarsi sui momenti di maggiore frizione che si sono sperimentati in Italia tra i gover-

IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio

ni e le autorità della Chiesa cattolica lungo gli ultimi anni. Troveremo che i governi guidati da Berlusconi hanno avuto lo scontro più forte con la Chiesa nella primavera del 2003, in occasione della guerra anglo-americana all’Iraq di Saddam Hussein; mentre i governi presieduti da ProdiD’Alema-Amato hanno attirato i

della Curia romana, Agostino Marchetto, deplorava vivacemente quella scelta.

Altrettanto ampia e chiara – e meglio raccordata al nostro paese – risulterà la ripartizione dei temi favorevoli alla destra e di quelli vicini alla sinistra se riandiamo all’epica visita a Monteci-

Dalle contestazioni al governo Prodi sui «dico» a quelle contro le ronde delle Lega e di Berlusconi La Santa Sede ha sempre puntato all’equidistanza maggiori strali ecclesiastici con il disegno di legge sui Dico, nei primi mesi del 2007. Già le cronache degli ultimi giorni parlano chiaro. A metà della scorsa settimana ci fu l’incontro di Papa Benedetto con Nancy Pelosi, speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, cattolica liberal favorevole alle scelte di Obama su aborto e staminali: e il papa a richiamarle il dovere per “tutti i cattolici”di «proteggere la vita umana in ogni suo momento». Poco dopo il nostro governo proponeva le “ronde” antistupro e un arcivescovo

torio, alle Camere riunite, fatta da papa Wojtyla il 14 novembre del 2002, quando ancora camminava aiutandosi con il bastone e con voce provata ma decisa parlò per più di un’ora toccando ogni questione che gli stava a cuore.A parte gli applausi di cortesia, era evidente dalla tribuna stampa l’entusiasmo con cui la destra del nostro Parlamento gli batteva le mani sui temi della vita, della famiglia e della libertà di educazione; mentre la sinistra esprimeva analogo trasporto sui temi della giustizia sociale e della pace, dell’accoglienza degli

stranieri e del segno di clemenza per i carcerati. Era visibile anche la fortunata posizione dei parlamentari di centro, che potevano spontaneamente partecipare agli applausi degli uni come a quelli degli altri. Ma se ci sono quelli che sempre applaudono perché gli uomini di Chiesa non esprimono un favore nei loro confronti? Perché la Chiesa del Vaticano II ha stabilito di non lasciarsi coinvolgere nelle opzioni politiche. Ha compiuto quella scelta per gelosia della propria libertà e al fine di poter parlare sempre e a tutti, oltre ogni schieramento.

Le forze di centro sono in una posizione fortunata rispetto alle indicazioni che vengono dalla Chiesa: uso la stessa espressione con cui qui sopra narravo dei parlamentari che sedevano nei banchi di centro in occasione della visita del Papa a Montecitorio. Di tale posizione devono fare tesoro, cavandone tutti gli insegnamenti che ne possono venire per l’elaborazione della loro politica, ma ben sapendo che il nostro non è più il tempo delle investiture dall’alto.

Quel giorno che il giornalista scomparso presentò il suo libro a Sant’Agata dei Goti

Il mio Candido ricordo di Cannavò aro Candido, avrei dovuto scriverti questa lettera qualche mese fa. Adesso è troppo tardi, ma non dispero che un postino speciale te la possa recapitare nel luogo oltreumano nel quale ora ti trovi. Quando, a novembre, sei venuto dalle mie parti, in quella Sant’Agata dei Goti citata anche nel tuo ultimo libro, Pretacci, eri in ottima forma. Tutti ti aspettavano e tutti erano un po’ increduli: «Ma è vero che viene Candidò Cannavò?». Sì, è vero. E mi colpiva che tutti, grandi e piccoli, ti conoscessero, anche se non erano tutti lettori della tua Gazzetta dello Sport.

C

Poi, il tuo arrivo. Da Milano a Sant’Agata dei Goti per parlare di preti che non praticano il pulpito ma il marciapiedi, della libertà dietro le sbarre di una galera, di disabili che ci insegnano la bellezza e la forza della vita. Una sala strapiena, silenzio, tanta attenzione e tu in piedi sull’umile palco a parlare con parole semplici delle storie di uomini e donne di valore che avevi incontrato nel viaggio della tua corsa in bicicletta. Era il tuo giornalismo: il racconto di storie e cuori. Ecco perché tutti ti chiamavano Candidò Cannavò e non il direttore della Gazzetta, perché avevano la netta sensazione, pur non conoscen-

doti personalmente, di aver a che fare prima di tutto con una persona, poi con un professionista - come si dice - della carta stampata. Hai legato il tuo nome e il tuo giornalismo alla Gazzetta. Il direttore in rosa, il giornalismo in rosa, il sorriso in rosa. Il colore di una vita non facile da ripetere. Sapevi parlare un po’ di tutto e soprattutto di tutti gli sport nei quali riconoscevi uno strumento di educazione alla vita umana. Ci sentimmo in luglio, prima delle Olimpiadi e mi dicesti: «Non posso venire adesso, sono in partenza per la Cina, sai le Olimpiadi. Ci vediamo dopo, in ottobre». Non hai mai perso in vita tua un’Olimpiade: sempre presente, sempre sul posto, sempre al momento giusto. Prima di tutto bisognava esserci, vedere, rendersi conto, testimoniare. Ma quando ci siamo incontrati, hai messo da parte lo sport e hai parlato d’altro. «Mi sono inventato una nuova vita», hai detto a chi voleva

capire perché il giornalista sportivo, quello che seguiva e organizzava il Giro d’Italia, si era messo a scrivere libri sui detenuti, sui disabili, sui pretacci. «Tutti credevano: adesso questo si toglie dai piedi e invece eccomi ancora qui: ho ripreso a lavorare e questi libri, in cui racconto delle storie meravigliose di lotte, sacrifici, grandi passioni e tanto amore, dalle quali ho imparato tanto, questi libri sono diventati dei best-seller». Ma ti piaceva sottolineare che il successo di quei libri era dovuto, in pratica, a due fattori: le storie di persone umili che hanno dedicato la vita alla vita e la tua semplicità nel raccontarle. E avevi ragione.

Quella sera di novembre si doveva presentare il tuo ultimo libro: Pretacci. Ma tu, a sorpresa, avevi portato delle copie anche degli altri due libri. A due passi da te c’era la tua valigetta. La prendesti mentre continuavi a parlare per mostrare il libro sui detenuti, poi il

libro intitolato E li chiamano disabili. Di quest’ultimo ti venne naturale mostrare la copertina. «Vedete questa splendida donna, questa ballerina, ognuno di voi guardandola vedrà il suo passo, la sua armonia, la sua bellezza, nessuno di voi farà caso che questa donna non ha le braccia». Brusio in sala. E lui: «Se non lo avessi detto io ora, nessuno di voi lo avrebbe notato». E raccontasti la grande forza e la bella anima della “disabile”. Quella sera, caro Candido, sarà ricordata per molto tempo da coloro che vi hanno preso parte. Ogni tanto qualcuno la ricorda con piacere e parla del tuo discorso, della tua semplicità, della tua passione. Della tua sincerità: perché quello che raccontavi lo dicevi con il cuore prima che con la testa. Non c’era calcolo nelle tue parole, ma solo desiderio di partecipare ad altri delle esperienze degne di essere conosciute, vissute, apprezzate, sostenute. Quando si è saputo che stavi male più di un amico mi ha chiesto notizie di te. Gli ho detto: «È grave, ricordiamolo con quel suo sorriso rosa». Il campionato di calcio si è fermato per un minuto di silenzio a te dedicato. Hai dedicato una vita allo sport, è giusto che lo sport ti dedichi qualcosa di più di un minuto. Ciao, Candido, sei stato un esempio da seguire.


panorama

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Polemiche. C’è troppa confusione sulle norme che regolano l’individuazione degli illeciti che si diffondo nel web

Vi spiego l’emendamento su internet di Gianpiero D’Alia acché Cina o Birmania! Il mio emendamento sulla rete, definito impropriamente in questi giorni «carogna», «bavaglio», «oscura Rete» e «ammazzaFacebook» (ne dimentico certamente qualcuno) non oscura nulla e non ha niente a che fare con la censura. Si tratta di uno strumento operativo non generalizzato, che vuole colpire le singole condotte illecite e non certo cancellare dalla rete Facebook o YouTube.

M

Il processo con cui ciò avviene è scritto chiaramente nel testo: solo su segnalazione dell’autorità giudiziaria, il ministro dell’Interno può intervenire e diffidare i gestori per impedire la prosecuzione dell’atto incriminato, chiedendo di attivare gli strumenti necessari a interrompere la singola attività illecita: se il sito ha sede legale in Italia, il ministro dell’Interno, su segnalazione della magistratura, si rivolgerà prima al gestore dello stesso e poi a chi dà la connettività, se invece ha sede legale in uno stato estero con cui non

Una volta identificato il reato, la magistratura deve poter intervenire: non è vero che tutto quel che capita in rete è frutto di libertà e democrazia c’è un accordo di collaborazione, lo Stato dovrà rivolgersi preliminarmente al provider in Italia. Le modalità tecniche per il filtraggio sono stabilite dal ministero dello Sviluppo economico, d’intesa con quello dell’Interno e dell’Innova-

zione attraverso un regolamento: è in quella sede che si deve aprire un confronto tra i gestori e lo Stato alla ricerca delle soluzioni più praticabili. La sanzione finale, ricordo, è una multa da 50 a 250 mila euro, sempre ricorribile davanti

all’autorità giudiziaria. Questo strumento, insomma, vuole solo dare maggiori poteri di azione alle forze di polizia, ancor più necessari nel caso in cui la rete non collabori nell’illuminare le sue aree d’ombra o i social network non abbiano regole chiare per espellere dalla loro comunità chi commette reati di apologia o istigazione a delinquere, spesso trincerandosi dietro l’anonimato. Non mi sottraggo al confronto nel merito delle soluzioni proposte: credo tuttavia che le letture di comodo date in questi giorni al mio emendamento servano solo a mettere la testa sotto la sabbia e a far finta di non vedere i misfatti che vengono perpetrati nelle zone franche di Internet: salvo che non valga il principio, largamente diffuso in questi giorni, di una certa intangibilità della rete. Come se, in nome di una libertà di espressione tutta da dimostrare, si potessero legittimare gli insulti, le nefandezze di cui è già piena la nostra società reale, lo stesso diritto di parola di chi incita alla mafia, al terrori-

Proposte. Solo un ritorno alle origini dell’Ulivo può garantire un futuro al Pd

Ora rinascerà il partito del trattino? di Gerardo Bianco on si poteva chiedere a Walter Veltroni, né lo si potrà pretendere da Dario Franceschini, di infrangere la legge di Simon che recita: «Qualsiasi aggregato prima o poi cade a pezzi»! Veltroni è la vittima sacrificale di un’operazione politica sbagliata. Non si fondono, senza nuovi fondamenti, tradizioni culturali e politiche radicalmente diverse. L’operazione del Partito democratico è figlia della presunzione politologica che ritenne, con primarie e regolette, di dar vita ad una forza politica, senza fare i conti con la storia e le dottrine che hanno permeato l’azione dei partiti confluiti nella nuova formazione politica. A Veltroni sono state addossate responsabilità che appartengono a tutti coloro che hanno preteso di trasformare l’alleanza dell’Ulivo in un soggetto unico, facendo cadere quel trattino tra centro e sinistra che insieme distingueva e collegava.

N

ri, che hanno sfasciato il Ppi, con l’attivo contributo dei suoi vertici. Ora, questi ulivisti, con le loro astrattezze, minano la stessa creatura che hanno contribuito a creare, e che rifiutano perché non «a loro immagine e somiglianza». Il Pd, per le sue origini artificiali, ha in sé limiti oggettivi, ma non si può disconoscere che ha suscitato vive speranze e che rappresenta una forza che oggi pesa nella vita politica del Paese. Ma il partito potrà sottrarsi al teorema

C’è ancora spazio per una formazione neo-laburista che tragga forza dall’apporto di esponenti del cattolicesimo democratico

Quel trattino fu decisivo per il successo del 1996 e oltre. Doveva essere allungato, è invece sparito. Di qui una delle ragioni, non ultima, delle sconfitte subite. L’Ulivo, forgiato nell’anno del Signore 1995, non era affatto il progetto rivendicato, con spirito avanguardista, dagli ulivisti puri e du-

di Ginsberg se non imboccherà un preciso percorso, a partire dallo schieramento nel Parlamento europeo? Questa scelta è essenziale anche per la messa a punto di indirizzi e concezioni che abbiano più consistenza delle procedure che, poco sensatamente, si presume possano supplire alla debolezza di una buona impostazione politica. Considerando la composizione del Pd, e la preminenza della componente di sinistra, è prevedibile che lo sbocco logico, sia pure a passi lenti, felpati, vada verso l’intesa con il Partito socialista europeo. Ciò gioverebbe molto al Pd. Scioglierebbe un no-

do finora irrisolto, e comincerebbe a configurarsi la fisionomia politica del partito che, anche con l’apporto di esponenti del cattolicesimo democratico, potrebbe assumere un profilo neo-laburista. Oltre mezzo secolo fa, De Gasperi aveva profetizzato un simile esito nel caso di una possibile rottura della Democrazia Cristiana.

Una chiarezza negli orientamenti di fondo è, di per sé, un contributo importante che può venire dal Pd alla definizione del panorama politico italiano, che è più variegato dello schema bipartitico nel quale lo si vuole costringere. Il sistema non ha trovato ancora un punto di equilibrio. Il vuoto è al centro. È questo vuoto che va riempito; un vuoto determinato dall’assenza di una forza politica che si ispiri al popolarismo, corrente decisiva nel secolo scorso, senza la quale l’assetto politico italiano continuerà a rimanere sbilanciato e il Pd resterà al palo, con la sua vocazione maggioritaria, ma senza munizioni. Il ritorno del trattino potrebbe essere la soluzione, come nel 1996.

smo, alla violenza, alla pedofilia, agli stupri di gruppo.

Abbiamo letto e condannato la storia del disabile picchiato da una baby gang e il cui filmato è stato poi messo orgogliosamente in rete, come dei due ragazzi che per finire su YouTube si sono provocati ustioni sul 60% del corpo. Siamo di fronte a due problemi diversi, ma ugualmente gravi: nel primo caso parliamo di un vero e proprio reato, da trattare come tale sia nel reale che nel virtuale. Il secondo, invece, rientra più nell’ambito culturale: se due ragazzi rischiano la vita per poter finire su YouTube, significa che ci si deve interrogare a lungo sul rapporto che lega le giovani generazioni a internet e su quanto incidano certi modelli appresi nella rete sullo sviluppo della loro coscienza e personalità. Mi immagino con preoccupazione che giovani senza valori né punti di riferimento possano accedere a siti che inneggiano alla mafia o al terrorismo e togliersi definitivamente ogni dubbio.


il paginone

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Cerimonia senza sfarzo, a Hollywood: dopo il trionfo indiano, tutti festeggiano Sean Penn e il suo ”Milk”

La crisi si affaccia anche nella notte delle stelle di Anna Camaiti Hostert

LOS ANGELES. Non è stata una sorpresa, all’ottantunesima edizione della notte degli Oscar, la quantità i premi collezionata dal film Millionaire diretto dal regista inglese Danny Boyle: migliore regista, miglior film, migliore sceneggiatura non originale, migliore cinematografia, migliore colonna sonora, migliore canzone originale, migliore sound mixing e miglior editing. Un film che ha fatto discutere ma che distribuito negli Stati Uniti da Fox Searchlight, conferma il successo del cinema indipendente, specialmente straniero e con esso la necessità di ristrutturare l’intero sistema degli studios e perfino dell’organizzazione del premio più ambito di tutta la comunità dello show business. È la storia di un bambino che dopo avere perduto la madre ed essere rimasto solo e senza casa con il fratello di poco più grande cresce abituandosi a vivere di espedienti in una zona depressa dell’India e giunge da adulto, per una serie di eventi fortunosi, a partecipare alla trasmissione televisiva Chi vuol essere milionario vincendo una cospicua cifra di denaro che cambierà la sua vita. Il film ed il suo regista si sono tro-

aradiso del cinema asiatico, rampa di lancio per migliaia di giovani attori che sognano la gloria della celluloide, industria da miliardi di dollari. Ma anche il maggior bacino di utenza della prostituzione indiana, uno dei gangli dello smercio internazionale di droga, la lavatrice preferita della mafia del sub continente. Bollywood è tutto questo: croce e delizia del governo di Delhi, fiore all’occhiello dell’economia interna e centro indiscusso degli scandali nazionali. Il suo nome è una felice fusione di Hollywood e Bombay, con cui i colonizzatori inglesi definivano la vecchia capitale. Con esso si intende il cinema popolare hindi - a volte viene tradito a favore dell’urdu - che si caratterizza per delle specifiche che lo allontantano sia dal cinema indiano d’autore (che risale alla fine dell’800) che dalle altre cinematografie indiane. Spesso, infatti, Bollywood calpesta e ingloba la fama dei cineasti tamil, malayalam, telugu e bengali. Questi non si appoggiano ai suoi centri di produzione, ma le loro creazioni volano sulle decine di milioni di spettatori l’anno.

P

Eppure, non contano nulla rispetto a quella che è stata definita «la nuova Mecca del cinema», consacrata dagli otto premi Oscar che l’Academy statunitense ha conferito a The Milionaire, ultimo capolavoro del britannico Danny Boyle girato nei bassifondi indiani. La nascita di una vera e propria cinematografia indiana risale al 1913, quando viene girato

vati di fronte a concorrenti temibili come Il curioso caso di Benjamin Button di David Fincher , Frost/Nixon di Ron Howard, The Reader di Stephen Daldry e Milk di Gus Van Sant, e li hanno sbaragliati tutti.

Forse con l’unica eccezione di Milk che comunque ha regalato il premio come miglior attore protagonista a Sean Penn. Molta sorpresa, pure, ha destato il premio al miglior film straniero assegnato al giapponese Departures di Yojiro Takita. Scontato, invece, il premio a Wall-e quale miglior film di animazione.

La serata è all’insegna della sobrietà, con un budget ridotto da parte dell’Academy e con una esibizione moderata di eleganza da parte delle grandi star che ormai hanno rinunciato da tempo a sfarzose esibizioni. Presentatore della kermesse il brillante quarantenne attore australiano Hugh Jackman proclamato dalla rivista People l’uomo più sexy del mondo. Ma la novità più apprezzabile di questa ottantunesima edizione della notte degli Oscar 2009 è stata la presentazione dei premi attribuiti ad attori e attrici protagonisti e non protagonisti. Le cinque nomination, infatti, sono state annunciate da altrettanti attrici e attori che in precedenza hanno vinto premi Oscar nella stessa categoria e hanno dedicato ad ognuno dei colleghi in lizza una breve menzione della loro performance. Così, il premio di attrice non protagonista vinto da Penelope Cruz per Vicky, Cristina, Barcelona di Woody Allen è stato presentato da Eva Marie Saint, Whoopi Goldberg, Tilda Swinton, Goldie Hawn e Angelica Huston, mentre quello per attrice protagonista vinto da Kate Winslett per The Reader da Sophia Loren, Shirley MacLaine, Halle Berry, Nicole Kidman e Marion Cotillard.

Viaggio nella “fabbrica delle luci” hindi, che ha dato notorietà al sub continente e 8 p

Bollywood, tra oppi di Vincenzo Faccioli Pintozzi Raja Harishchandra di Dhundiraj Govind Phalke: si tratta del primo film mitologico dell’allora colonia inglese. Il filone verrà preso e spremuto fino all’inverosimile: non c’è divinità del pantheon induista a cui non siano stati dedicati decine di lungometraggi. D’altra parte, la religiosità indù - che prevede l’intervento attivo e fattivo degli dei nella vita quotidiana dei fedeli che ne siano degni - non considera blasfemia questo florilegio cinematografico. Questo, anzi, è una sorta di sacrificio gradito agli dei, che apprezzano gli sforzi di chi vuole descriverli con immagini

smo indù, attori fra i più grandi della “fabbrica delle luci” asiatica. Parliamo di Dev Anand, eroe noir e protagonista di polizieschi spesso incomprensibili per chi non capisce la realtà locale; Dilip Kumar, l’Errol Flynn dai radi baffetti e dal colorito scuro, e Raj Kapoor, noto anche come regista e produttore. Quest’ultimo merita una menzione speciale, in quanto abbandona i miti e le leggende della tigre asiatica per analizzare – nel pieno della crisi economica e politica degli anni sessanta – l’imponente esodo verso le città di enormi masse di contadini.

Nella “Mecca del cinema indiano” sono nati alcuni fra i più amati eroi d’Asia. Qui, persino l’islam integralista è riuscito a coniugarsi con la modernità del cinema e ha concesso libertà alle sue donne ai fedeli. Il periodo che va dagli anni quaranta ai sessanta del secolo scorso è universalmente considerato come l’epoca degli anni d’oro del cinema indiano.

È in questo periodo che nascono gli eroi del nazionali-

Si tratta della fine di un’epoca durata millenni, che cede il passo alla modernizzazione e ai suoi conseguenti sconquassi sociali. Non vanno dimenticate le grandi dive (spesso figlie predilette di quell’islam non fuggito verso il neonato Pakistan), che hanno rappresenta-


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grande compostezza hanno ringraziato l’Academy per l’onore dedicato al loro caro, mentre in sala c’è stato un silenzio assoluto e la comunità degli artisti si è stretta intorno alla famiglia ancora in lutto. Altro momento toccante è stato quello della consegna da parte di Eddie Murphy del premio umanitario Jean Hersholt a Jerry Lewis per i suoi sforzi negli anni dedicati a combattere la distrofia muscolare. Più tardi, durante l’annuale ricordo dei personaggi scomparsi nell’anno in corso il pubblico presente in sala si è alzato applaudendo ai nomi di Anthony Minghella, Sidney Pollack e soprattutto a quello di Paul Newman che ha ricevuto una lunga standing ovation. In questa pagina, dall’alto in senso orario: Mickey Rourke in “The wrestler”; Heath Ledger nel “Cavaliere oscuro”; Penelope Cruz e Kate Winslett. Nella pagina a fianco, Brad Pitt e Sean Penn. Sotto, una scena di “Millionaire», il film che ha avuto otto Oscar, compreso quello per la regìa a Danny Boyle.

Ci sono stati momenti di commozione quando è stato attribuito il premio di attore non protagonista a Heath Ledger per Il cavaliere oscuro. Annunciato da Alan Arkin, Cuba Gooding Junior, Joel Grey Christopher Walken è toccato a Kevin Kline attribuire il premio alla memoria del giovane attore scomparso. A ritirarlo c’erano il padre, la madre e la sorella che con una

Infine dopo la presentazione del migliore attore protagonista da parte di Anthony Hopkins, Michael Douglas, Adrien Brody, Ben Kingsley e Robert De Niro e la proclamazione da parte di quest’ultimo di Sean Penn per Milk, l’attore già premiato per Mystic River di Clint Eastwood nel 2004, lo ha dedicato con grande classe e intensità al suo collega in lizza Mickey Rourke il quale poco prima nell’intervista con Barbara Walters aveva raccontato la sua solitudine, il suo passato disperato di addiction e il suo ritorno al cinema. Alla domanda della giornalista se l’Oscar avrebbe cambiato davvero la sua vita nel caso lo avesse ricevuto, l’attore con un certo pudore e un pizzico di umorismo ha risposto: «Certo, per me sarebbe un grandissimo onore, ma allo stesso tempo so bene che non posso mangiare la statuetta, non ci posso fare l’amore e che certamente non sarebbe il mio passaporto per il paradiso».

premi a Danny Boyle. Fra droga e riciclaggio

sa è quasi immediata, e questa volta è lo Stato a intervenire. Aldilà dell’indiscusso valore sociologico dei film, Delhi si accorge di quanto questi valgano sul mercato: decide di rimpiazzare i produttori-spacciatori e ordina di riaccendere i riflettori. All’inizio degli anni novanta la transazione si ferma, e al governo subentrano nuovi produttori interessati al mercato. È il momento della vera esplosione, questa volta sul palcoscenico mondiale, dei prodotti indiani: Londra ne è entusiasta, e dedica a Bollywood centinaia di retrospettive. Che si spostano negli Stati Uniti attirando l’attenzione della sorella maggiore, quella Hollywood che fino a quel momento si era tenuta in disparte.

io e Oscar to modelli di eleganza, bellezza e anche modernità: fra queste Nargis, Waheeda Rehman, Vijayantimala, Nutan, Meena Kumari e molte altre. Donne intraprendenti, coraggiose e a volte tragiche eroine romantiche, icone con cui il pubblico trovava una grande identificazione. Attrici che riescono a spezzare il filo molto stretto della loro religione, che apprezza l’ingresso dell’islam sul grande schermo ma non esita a comminare pesanti scomuniche a chi recita senza velo o si abbandona a effusioni sulla scena. Per quanto effimere, non sono gradite dagli imam.

Sono gli anni del boom, anni in cui i nazionalisti e i laici si uniscono nelle poltroncine di tutto il Paese per ammirare la bellezza dell’India e la purezza dei suoi abitanti. Ma basta un decennio perché Bollywood mostri le prime crepe. I primi a saltare sono i tycoon del cinema anni settanta: i loro investimenti, copiosi e quasi infiniti, non passano inosservati e – più che il fisco locale – mettono sull’avviso l’Interpol. Una serie di indagini accurate uniscono i trattini fra

Le prime crepe vengono alla luce negli anni Settanta, quando un giro di produttori viene arrestato perché investe in eroina. Dopo la ripresa delle attività è la volta della prostituzione, un racket che sfrutta le aspiranti attrici e le butta sulla strada paradisi fiscali off shore, capitali investiti in eroina e set cinematografici: partono i primi arresti, e la “Mecca”della cellu-

loide indiana ferma i lavori. Troppo oppio per continuare a mettere in scena la purezza dell’amore hindutva. La ripre-

M a u n n u o v o s c a n d a lo è dietro l’angolo: questa volta, a farne le spese sono le attrici, migliaia di giovani provenienti da ogni angolo dell’India, che vengono sfruttate senza ritegno dal racket della prostituzione. Convinte a dei “provini”senza veli, si ritrovano protagoniste involontarie di film a luci rosse che faranno – grazie a Internet – il giro del mondo. Per quanto denunciato e punito, questo fenomeno non ferma la produzione. Ci sono oramai troppi soldi in circolo per bloccare di nuovo la grande giostra, e sfruttare il sesso in fin dei conti non è poi così grave come gli illeciti in bilancio. D’altra parte, le celebri colline californiane hanno lasciato anche in questo la loro impronta: the show must go on.


politica

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Appunti sulla proposta di Todi

Il Partito della Nazi one, l a s t r ad a g i u s ta per uscir e dal d ecl ino di Enrico Cisnetto

orse ci siamo. Uso prudenza, non fosse altro per scaramanzia, ma ho la sensazione che finalmente qualcosa si stia muovendo in direzione della creazione di un terzo polo, estraneo al centro-destra e al centro-sinistra così come li abbiamo conosciuti fin qui, a sua volta premessa indispensabile per rompere quel maledetto assetto bipolare che ha procurato al Paese il declino strutturale che lo ha progressivamente soffocato e marginalizzato negli ultimi tre lustri. E il superamento del bipolarismo, a sua volta, è condizione necessaria – anche se non sufficiente sul piano degli esiti finali – per chiudere l’esperienza fallimentare della Seconda Repubblica ed aprire quella della Terza, magari sancita dalla solennità di un’Assemblea Costituente.

F

E se davvero questo processo si è avviato, le cronache destinate a rimanere nel tempo diranno che

Adriana Poli Bortone raccoglie l’appello di Casini: «Bisogna salvare l’unità del Paese»

«Sto con il Centro, il Pdl è un inganno» di Errico Novi

ROMA. «An non ha il coraggio di dire alla propria base “siamo noi la destra del Pdl”. Preferisce parlare di “partito dei moderati”e presentare il proprio scioglimento come una svolta verso il centro. Allora, moderati per moderati, se permettete scelgo io con chi stare». Adriana Poli Bortone adotta un tono che può anche sembrare provocatorio, ma che in realtà – almeno per chi ha seguito il suo appassionato intervento al seminario di Todi – testimonia un disagio vero: «Rimpiango la democrazia che c’era nei vecchi partiti, fondata sul senso dello stare insieme. Nel Pdl non esiste libertà di esprimersi secondo la propria coscienza, tanto di cappello all’Unione di centro che ha saputo mantenere la propria individualità di partito». La senatrice non ha condiviso il voto sul federalismo: lo spostamento verso nord dell’asse della maggioranza l’ha convinta a creare un suo “Movimento per il Sud”. Non entrerà nel Pdl, e tiene a dire che «è An ad aver deciso la propria eutanasia senza consultare al proprio interno chi poteva dire qualcosa». Adesso l’ex sindaco di Lecce non esita ad annunciare la propria adesione alla Costituente di centro, il percorso attorno a cui dovrà nascere una nuova grande formazione dei moderati, come annunciato lo scorso fine settimana da Pier Ferdinando Casini. Lei è delusa per lo scarso approfondimento sui contenuti che accompagna la nascita del Pdl. La crisi del Pd non rischia di incoraggiare ancora di più questo approccio superficiale? Credo che possa esserci una suggestione molto forte di questo tipo: c’è ancora un’ondata favorevole, la sinistra è ormai innocua, perché mai dunque ci si dovrebbe impegnare a scrivere regole di convivenza corrette? Eppure non ci si può limitare alle percentuali sul potere, bisognerebbe darsi obietti-

vi comuni. In extremis An ha annunciato una propria mozione. Ma non si capisce a cosa serva. Se fosse rifiutata dalla controparte non ci sarebbe certo il tempo di annullare il matrimonio. È una mozione rinunciataria, è inaccettabile il modo in cui è stato definito il cosiddetto pantheon: andrà bene per i giovani, ma in An ci sono anche quelli che sono impegnati da una vita. Ma davvero nei congressi locali di An filerà tutto liscio?

La mozione di An viene presentata alla base solo ora per impedire la discussione sui contenuti. Se avessero voluto favorirla si sarebbero mossi con mesi di anticipo

Non credo proprio, ma il processo è stato organizzato in modo che non ci fosse tempo per discutere. Si è impedito alla base di esprimersi sui contenuti. Se si fosse voluta creare partecipazione ne avremmo parlato in questi mesi. Ora ci troviamo con una mozione proposta il 20 febbraio e da votare non oltre il 14 marzo. Molte assise chiuderanno il 7…

Ormai è tardi. Credo che sarebbe stato giusto concedere il tempo di una riflessione anche personale, intima. In un passaggio del genere ci sarebbe bisogno di starsene con se stessi a pensare. Invece i tempi sono dettati da un bipartitismo forzato che è quanto di più lontano da quello che gli italiani si sarebbero aspettati. Si aggiunga lo sconcerto di chi come la sottoscritta si è sempre guadagnata l’elezione e che stavolta è stata scelta da un’oligarchia. Lei crede che un nuovo partito dei moderati, una “forza tranquilla” impegnata a pacificare il linguaggio della politica, come si è detto a Todi, sia la strada giusta per salvaguardare l’unità del Paese? Sì, ne sono convinta. In questo momento l’unità nazionale è in crisi. Ci affanniamo tutti a fare politica sul territorio ma sempre con la speranza di non perderci l’Italia. Ho trovato molto efficace l’invito di Casini a creare insieme un “partito della Nazione”, un movimento reale della politica. La nuova forza di cui parliamo nascerà al termine di un processo che ha un nome: Costituente di centro. Lei se la sente di prendervi parte? Certo che me la sento. A parte la posizione solitaria, coraggiosa e persino eroica di Storace in Italia la destra non ha spazio. O almeno: il Pdl si annuncia come un partito di moderati, ma allora, appunto, scelgo io con chi costruirlo. Nel caso del Pdl il problema è che dell’identità, di destra o no, si è discusso poco. Ricordo quei cortei in favore dei palestinesi: adesso quelle stesse persone si schierano dall’altra parte. In queste condizioni come si fa a discutere di destra o di moderatismo? Avrei voluto parlarne nei luoghi dovuti, ma non è stato possibile.

il convegno di liberal a Todi di venerdì e sabato scorsi ne ha rappresentato una tappa fondamentale. In quell’occasione, Pier Ferdinando Casini – che ringrazio per aver voluto citare nel suo intervento il lavoro di Società Aperta per l’edificazione della Terza Repubblica – ha proposto la nascita di un “Partito della Nazione”, capace di svolgere il ruolo di collante di tutte quelle forze, cattoliche e laiche, che vo-


politica gliono salvare l’Italia dalla drammatica deriva in cui è scivolata. Mi sembra giusta l’idea, che – mi permetto di sottolineare – è in perfetta sintonia con quanto da sempre il movimento d’opinione da me rappresentato sostiene, e mi pare buono anche il nome, visto che dopo il delirio botanico degli anni del “nuovismo”recupera il senso più alto della Politica e delle Istituzioni.

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Ora, però, dobbiamo passare dall’enunciazione alla concreta realizzazione di questo progetto, e nel farlo dobbiamo stare attenti a due pericoli, tra loro interconnessi, che vedo non ancora scongiurati. Il primo, a mio giudizio, è quello di ridurre la creazione del nuovo soggetto politico in una pura operazione trasformistica: l’Udc cambia nome ma rimane se stessa. È quello che, credo, è già successo con la nascita dell’Unione di Centro, complice la medesima sigla della vecchia Udc. È evidente che una certa nomenclatura spinge in questa direzione “conservativa”, ma è un errore che va evitato a tutti i costi. Così come bisogna secondo me evitare che il nuovo partito sia, nei fatti, solo cattolico. E la riproposizione dell’Udc sotto altre spoglie finirebbe col far commettere anche questo secondo errore. Che sarebbe tale anche se il comportamento fosse quello laica-

mente degasperiano: un conto è guadagnarsi il rispetto dei laici (non laicisti), altro è convivere nello stesso partito.

Il modo con cui evitare questi pericoli l’ho scritto in quello che avrei voluto fosse il mio intervento al convegno di Todi se solo non fossi stato impedito a parteciparvi, e che Liberal ha pubblicato con grande evidenza: il partito holding, che sappia rispettare le diverse peculiarità politiche e culturali; l’assoluta e preventiva distinzione tra programma di governo e temi etici, da affidare al Parlamento (quello che è mancato nel Pd). Sono convinto, caro Casini e cari amici, che se saranno rispettate le premesse, la strada del cambiamento per questo benedetto Paese potrà davvero aprirsi. E la potremmo costruire e percorrere insieme. (Presidente Società Aperta)

L’apprezzamento di Magdi Cristiano Allam per il manifesto di Todi

«Rottamiamo le nostre cattive coscienze» di Franco Insardà

ROMA. «I governi oggi per uscire dalla crisi non devono partire dalla rottamazione dell’auto, ma dalla rottamazione delle nostre cattive coscienze». Così Magdi Cristiano Allam ha concluso il suo intervento al seminario della Fondazione liberal a Todi durante il quale ha annunciato di aderire con il suo movimento, “i Protagonisti Per l’Europa Cristiana”, al manifesto dell’Unione di Centro. Coscienze e politica: un binomio difficile? Il ruolo della politica oggi è fondamentale per la formazione di una coscienza che faccia correttamente prendere atto della realtà senza mistificarla. Senza filtri ideologici. La politica deve cioè riuscire a riaccreditare delle certezze e a ricostruire un tessuto di valori e di regole. Stessa ricetta anche per affrontare la crisi? Occorre agire su delle basi qualitativamente diverse con un modello di sviluppo economico e socio-culturale che metta al centro la dignità della persona che tenda al bene comune e all’interesse generale. Quali sono i punti del manifesto presentato a Todi che l’hanno convinta di più? Mi piace ricordare la massima di Alcide De Gasperi: «Il politico è colui che pensa alle prossime elezioni, lo statista è chi pensa alla prossima generazione». Oggi mancano proprio gli statisti. Non ho dubbi che tra i politici ci siano persone di buona volontà, ma la mancanza di cultura politica ha prodotto il quadro desolante, preoccupante e pericoloso che è ben descritto nel manifesto della Fondazione liberal e che condivido totalmente. Che cosa bisogna fare per arginare questa deriva? È necessario partire da un impegno per la riforma etica della cultura politica in Italia che va cambiata eticamente per formare degli statisti e non dei politicanti.

Savino Pezzotta, nel suo intervento, ha sottolineato la condizione dei cristiani costretti a difendersi. È d’accordo? È una realtà. Oggi in terra di cristianità, nella culla del cattolicesimo, c’è una profonda crisi. Professarsi cristiani, e ancor più cattolici, rappresenta quasi una sfida in un contesto dove è dilagante il laicismo, l’ostilità preconcetta nei confronti della Chiesa e in particolar modo nei confronti di questo Pontefice. Benedetto XVI è immaginato come un integralista che neghe-

Il modello di sviluppo economico e socio-culturale deve necessariamente mettere al centro la dignità della persona che tenda al bene comune e all’interesse generale

rebbe la laicità e la ragione, quando è all’opposto il Papa di fede e ragione. Dopo la mia conversione ho riscontrato che le stesse cose che dicevo da musulmano non andavano bene dette da cattolico. Come è possibile invertire questa tendenza? Rifacendosi alle parole di Giovanni Paolo II quando disse, con estrema chiarezza, che era necessario ricri-

stianizzare l’Europa, considerandola di fatto una nuova terra di evangelizzazione. Anche se ci troviamo in una società multiculturale? La multiculturalità riguarda il mondo intero: ovunque c’è la presenza di persone che appartengono a etnie, a culture e a confessioni diverse. Quello che crea confusione è il multiculturalismo, cioè con una ideologia che si illude, ed è stato questo il suo fallimento, che la nuova realtà possa prescindere dalla presenza di un comune collante identitario, valoriale e di regole. Che sia, cioè, sufficiente elargire a piene mani diritti e libertà a tutti, senza chiedere in cambio l’ottemperanza dei doveri e il rispetto delle regole. Ma l’Italia è razzista? Bisogna fare attenzione a non dare la sensazione, totalmente infondata, di un Paese inospitale o peggio ancora razzista. In Italia il livello del tenore di vita degli immigrati, la loro imprenditorialità, è in costante crescita, altrimenti non verrebbero o andrebbero altrove. Fermo restando, comunque, che vanno denunciati tutti gli episodi di razzismo e le barbare e incivili aggressioni nei confronti dei singoli. Ma non bisogna generalizzare. Come intervenire? Affrancandoci dall’ideologia del buonismo e abbracciando il parametro etico del bene comune, che significa diritti e doveri per tutti, senza alcuna distinzione e discriminazione. A proposito di doveri, come giudica le misure del governo in tema di sicurezza? È una politica ispirata dalla Lega, con un evidente impatto mediatico, per produrre delle reazioni forti che possano trasformarsi in consensi. Ma non c’è la volontà autentica di risolvere il problema. Diventa quasi inutile andare a verificare la sostanza di provvedimenti che non si pongano l’obiettivo del bene comune e dell’interesse generale.


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Repressione. L’Himalaya si prepara a festeggiare il Capodanno e Pechino teme rivolte sociali. Per fermarle, censura e arresti

L’assedio del Tibet A 50 anni dall’invasione di Mao Zedong i soldati tornano nella regione del Buddha di Massimo Fazzi l Losar, la festa di Capodanno celebrata da molti popoli dell’Asia meridionale e orientale, è più antico del buddismo. Nei tempi in cui si iniziava a festeggiarlo, il suo sopraggiungere imponeva la fine di tutte le ostilità in corso, una sorta di pace obbligata rispettata persino dai mongoli, etnia da sempre restia a ogni forma di spiritualità. Ma quest’anno, in Tibet, la festività più sacra verrà deturpata da una massiccia (quanto blasfema) presenza di soldati, fucili e propaganda. Pechino, nel cinquantesimo anniversario dell’invasione della regione ad opera di Mao Zedong, teme un ritorno di fiamma delle deva-

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ni di persone tornano alla spiritualità ancestrale dei “popoli delle montagne”, una miscellanea che unisce riti naturalistici, spiritualità familica e innalzamento della tribù d’appartenenza.

Durante il Losar, alcune fra le più antiche civiltà del pianeta guardano agli insegnamenti dei propri avi per ricordare e onorare la supremazia del Tan – il padre cielo – che con la sua magnanimità concede all’uomo un posto in cui vivere. Il Buddha non viene rinnegato: semplicemente, ne viene ricordata la natura umana. D’altra parte, Siddharta il Gautama è un principe che indica la via

Il Losar è più antico del buddhismo, e celebra la fine e il rinnovamento del ciclo terrestre. Per festeggiarlo si mette da parte persino Siddharta e si torna all’animismo, vero fulcro dell’etnia stanti manifestazioni di marzo quando Lhasa, un tempo capitale indiscussa del buddismo mondiale, è divenuta per un mese teatro di scontri sanguinosi e repressioni. Nei quindici giorni che compongono il periodo di rinnovamento (entriamo nell’Anno del bue, il 2136 dell’era animista), milio-

dell’illuminazione, non un Dio. La sua è una filosofia di vita e un esempio da seguire, un sentiero che fino ad ora non è riuscito a entrare nel bagaglio interiore degli altri uomini. Gli anziani tibetani, che celebrano i riti misterici alla presenza degli iniziati e quelli pubblici davanti all’intera popolazione, gli

dedicano una particolare menzione in cui viene descritto come “il primo figlio di Tan”. Il Losar segna la fine dell’inverno e la ripresa dei lavori nei campi, che devono essere propiziati con immense bevute e mangiate per prepararsi alla fatica e con offerte alle divinità regolatrici dei cicli naturali. Le donne, quasi sempre discriminate nella società himalayana, divengono il tramite per comunicare con la Terra, che ha bisogno del loro sacrificio e della loro transizione per rigenerare le sue zolle. Mentre i bambini vengono portati nei pascoli ad assistere alla nascita dei puledri e ricevono l’unzione rituale con la placenta. Un modo per ricordare che la natura è legata all’uomo come il cavaliere lo è al suo destriero.

Un a t r a d iz io n e s p i r i t u a l e che ha superato ogni rivolta, persino quella religiosa: quando la religione animista Bon venne soverchiata dall’organizzato buddhismo, infatti, nell’altipiano venne adottato il calendario lunare cinese. Ma nessuno ha rinnegato la tradizione di festeggiare i primi boccioli di pesco che compaiono, in questi giorni, in Tibet. Per i tibetani, il Losar in senso lato è iniziato il 2 febbraio; le prime feste sono

I tibetani boicottano le festività per protesta contro la Cina che militarizza il Tibet

I cingoli sono già al confine di Pierre Chiartano i chiama Losar, è il capodanno tibetano che si festeggia il 25 febbraio. Ma quest’anno per gli abitanti del tetto del mondo ci sarà poco da festeggiare. I residenti della regione denunciano che sono stati interrotti tutti i collegamenti internet, per poterli isolare dal resto del pianeta. Negli ultimi giorni Pechino ha aumentato la già massiccia presenza di polizia e dell’esercito in Tibet - sono arrivati anche i carri armati - e nelle zone più prossime di etnia tibetana, in Gansu, Sichuan e altrove. Da tempo ha già interdetto queste zone ai turisti stranieri. Nel 2009 cade il 50mo anniversario dalla rivolta anticinese del 10 marzo 1959. Repressa nel sangue e che provocò la con-

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seguente fuga in esilio del Dalai Lama. Dai tempi di piazza Tiananmen l’esercito non è mai intervenuto per fare solo da spettatore. Allora i vertici delle forze armate di Pechino, del People’s liberation army, temevano che le truppe potessero fraternizzare con la protesta sostanzialmente pacifica degli studenti.

Allora, dopo i primi giorni in cui la tensione era scemata, si fece una scelta precisa. Lo Stato maggiore e i vertici del Partito comunista cinese fecero affluire truppe e mezzi corazzati di reggimenti formati prevalentemente da militari mongoli, che parlavano un “dialetto”poco comprensibile per chi capisce il mandarino. Fu quella scelta a provocare la

genesi delle violenze che seguirono dopo il 14 aprile del 1989. I due o tremila morti - secondo fonti della Croce rossa cinese - sono stati semplicemente rimossi. È rimasta solo nella memoria di tutti la foto di Jeff Widener della Associated press e del suo «unknown rebel» che si agitava di fronte a un carro T-59. Scatti rubati dal sesto piano dell’hotel Pechino. Era il 5 giugno e sembrava dovesse accadere un miracolo. I cingoli degli stessi tank sarebbero poi passati sopra i corpi di quegli studenti che non volevano rassegnarsi alla permanenza di una dittatura che continuava ad opprimere il popolo del Chung Quo. Un evento che potrebbe ripetersi anche in Tibet. Il Losar è la festa più importante

per i tibetani, ma quest’anno molti hanno deciso di non festeggiarlo, per protesta contro la dura repressione dell’esercito cinese nel marzo 2008, che continua tuttora. Le autorità cinesi hanno risposto al boicottaggio del Losar, con arresti e intimidazioni.

L’esercito cinese si è accampato alla periferia di Kangding (Sichuan), zona densamente popolata da tibetani, e pattuglia le vie della città. La propaganda spiega le sue ali per avvolgere nella nebbia la protesta e l’identità di un popolo. Il messaggio che passa è stato ampiamente collaudato, prima dell’evento olimpionico dell’estate scorsa, quando Hu Jintao aveva mandato un messaggio


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giustificare le proteste in Tibet puntando il dito contro il Dalai Lama, che per Pechino è “un pericoloso indipendentista”; molto più difficile spiegare una violenta repressione interna, resa necessaria dall’unico periodo dell’anno in cui questa antica etnia ritrova il suo spirito guerriero. Secondo padre Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere e direttore dell’agenzia AsiaNews, «è impossibile che si verifichino scontri violenti in Tibet: c’è troppo controllo da parte delle autorità. Questo però dimostra la debolezza di Pechino: come dicono molti dissidenti cinesi, non si può tenere un popolo sempre incatenato. È necessario dialogare, ma i colloqui, anche quelli con il Dalai Lama annunciati durante le Olimpiadi per salvare la faccia del regime, si sono arenati senza arrivare a nulla».

Prima di arrivare al potere, il presidente cinese Hu Jintao regnava su Lhasa: conosce le problematiche e sa come affrontarle, ma ne ha molta paura. A ragione, perché rischia grosso state celebrate il 10, e dovrebbero concludersi il prossimo 25 con la tradizionale, grande preghiera del Monlam. Ma all’interno della comunità tibetana s’è aperto un dibattito fra chi vuole trasformare, nel mondo, questa celebrazione in un evento di protesta, ricordo e preghiera e chi dice che non cele-

brare il Losar sarebbe un modo per darla vinta al regime comunista. Per il momento, non sembra che il governo tibetano in esilio a Dharamsala sia orientato per il boicottaggio. Il Dalai Lama, nel suo piccolo regno globalizzato, accoglierà i dharmapeople mondiali e quei pochi, coraggiosi tibetani che

agli opinion maker di mezzo mondo: «Durante gli ultimi 57 anni, il Tibet ha fatto un balzo in avanti nello sviluppo storico di sistemi sociali per camminare nella via del socialismo. Con l’abolizione della servitù feudale, sotto la quale il popolo tibetano è stato a lungo soffocato e sfruttato, milioni di servi di allora, che non avevano neppure i minimi diritti umani, si sono ora alzati in piedi e sono diventati padroni delle loro vite. Oggi tutti i gruppi etnici godono pienamente dei diritti politici, economici, culturali e di altri ancora con un controllo completo del loro destino». Queste sono le mistificazioni del regime di Pechino.

Oltre la propaganda più pura, esiste anche la forza, perché i tibetani hanno dimostrato più volte di essere un popolo che non ama piegare la testa. Tende a reagire. Come è successo nel marzo del 2008. E i cinesi se lo sono ricordato. E già in passato hanno dimostrato come la pensano. Scioccanti le immagini del

scenderanno dalle montagne cercando di raggiungere l’India. A coloro che sono rimasti nella regione è stato recapitato un messaggio: comportatevi come meglio credete, ma non mettete a rischio la vostra vita.

D’altra parte, il governo cinese non vuole fermare la tradizione: ha soltanto il terrore di vederla trasformarsi in una rivolta popolare. Nelle zone a maggioranza tibetana delle province cinesi del Gansu e del Sichuan, il controllo militare è ancora più stretto: una cosa è

La questione, prosegue padre Cervellera, «va vista da un’altra prospettiva. La politica cinese, oramai, non ha altre carte da giocare anche rispetto alla sua popolazione. Questa continua a protestare, ma si trova davanti un muro di soldati. La ricchezza, che doveva essere l’ideale comune della nuova Cina, è finita nelle tasche di pochi privilegiati. E questo sta sfaldando il tessuto sociale». Intanto i cinesi hanno deciso di sfrondare ogni resistenza anche con un’arma commerciale. Pechino ha lanciato in grande stile il turismo in Tibet per il Losar e si aspettano fra gennaio e marzo oltre 800mila visitatori, anche grazie alla nuova ferrovia che unisce le metropoli cinesi con la vetta del mondo. Le proteste che hanno contrassegnato il periodo olimpico hanno portato a una forte riduzione del flusso turistico (in massima parte interno) da 4 milioni di visitatori nel 2007 a 2 nel 2008. Per questo le agenzie cinesi praticano sconti e offerte

su trasporti e hotel a Lhasa. Per calmare gli animi, inoltre, il governo della regione ha previsto un aumento del reddito regionale di oltre il 10 per cento. Ma non bisogna dimenticare che, prima di giungere al massimo seggio di Zhongnanhai (il quartiere blindato di Pechino, nei pressi della Città Proibita, che ospita il governo cinese), il presidente Hu Jintao era segretario regionale proprio del Tibet. Conosce la popolazione, le problematiche legate alle questioni religiose e il fuoco che cova negli indipendentisti che vivono lontano da Lhasa.

Negli ultimi giorni, su suo diretto ordine, la polizia cinese ha iniziato controlli serrati su case in affitto, hotel, karaoke, internet cafè. Gli agenti hanno schedato circa seimila persone, di cui almeno duemila espulse. Anche gli stranieri devono registrarsi alla polizia se si fermano in città per più di tre giorni. Alcune fonti parlano di carriarmato e divisioni di fanteria ammassati ai confini meridionali della regione montuosa, pronti a entrare in azione se convocati dalla leadership locale. Anche se i monaci buddisti faranno di tutto per evitare un nuovo bagno di sangue, è probabile che qualcuno si lasci prendere la mano. Perché qualcosa si è rotto, nel periodo del Losar. I meno arrabbiati fra i tibetani riporteranno per le strade e nei monasteri i chaam, canti rituali che invocano il Tan, e tireranno fuori dai bauli le maschere terrifiche dei demoni tentatori, le vestiti di broccato dei sacerdoti Bon, l’Oracolo di Nechung in comunicazione con le divinità. Ma i flash dei turisti e le lucide divise della polizia in assetto anti-sommossa cercano di rendere le loro preghiere meno potenti. E questo, nel corso dei secoli, è un affronto che il popolo tibetano ha dimostrato di non poter perdonare.

tiro al bersaglio delle guardie di frontiera cinesi contro le colonne inermi di pellegrini che si recavano nei luoghi sacri del buddhismo, attraverso i valichi montuosi. Questo è ciò che vale la vita di un tibetano per il governo di Pechino?

A Lithang, nella contea di Kardze, una settimana fa sono stati arrestati 24 tibetani, scesi in piazza per inneggiare al Dalai Lama e sostenere il “boicottaggio” per il capodanno. Come risposta la polizia, in tenuta antisommossa, ha istituito posti di blocco a Yajiang, un centro lungo la strada per Lithang. Lo stretto controllo delle forze di sicurezza e il bando degli stranieri ha molto colpito l’industria del turismo, per molte aree della regione una delle principali fonti di reddito. La povera Kangding (che vuol dire «dardo», per i tibetani) era una meta turistica molto frequentata. Ma le notizie delle proteste e della repressione hanno fatto scappare i turisti, creando ulteriori problemi all’economia locale.

Il celebre fotogramma scattato da un tetto durante le rivolte di piazza Tiananmen del 1989. In alto, monaci buddhisti festeggiano il Losar, il Capodanno del Tibet. Nella pagina a fianco, il Dalai Lama


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Disgelo. Una relazione bipartisan della Commissione Esteri del Senato, guidata da un repubblicano

Congresso Usa: stop all’embargo su Cuba di Maurizio Stefanini repubblicani Usa iniziano a schierarsi per la fine dell’embargo a Cuba. Il democratico Barack Obama, nuovo presidente, parla della necessità di stabilire un’“atmosfera nuova” nelle relazioni tra i due Paesi. Offre di incontrarsi con Raúl Castro, rispondendo ad analoghe offerte dall’altra parte. E promette anche di ridurre le limitazioni a visti e invio di denaro nell’isola da parte degli esuli residenti negli Stati Uniti. Malgrado ciò, secondo lui l’embargo “deve continuare”, perché costituisce comunque uno strumento di pressione importante. Ma è Richard Lugar, capogruppo repubblicano alla Commissione Esteri del Senato, a spiegare che la politica dell’embargo va ripensata, proprio perché non ha conseguito il suo obiettivo di riportare Cuba alla democrazia.

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La posizione è espressa in un documento bipartisan che è uscito ieri. «Dobbiamo riconoscere l’inefficacia della nostra politica attuale e dobbiamo trattare con il regime cubano in un modo che rafforzi gli interessi statunitensi», ha scritto Lugar. È stato il membro più importante del suo team, Carl Meacham, che a gennaio ha viaggiato a Cuba, redi-

gendo il rapporto ora distribuito agli altri senatori della Commissione Esteri. Tecnicamente, il documento non chiede la fine dell’embargo. Spiega però che offre al governo dell’Avana il comodo “capro espiatorio” di cui ha bisogno per giustificare difficoltà economiche in realtà quasi del tutto dipendenti dall’inadeguatezza delle proprie politiche. Inoltre, questa scelta vecchia ormai di quasi mezzo secolo finisce per

in Congresso nel 1992 e 1996: quest’ultima, poco dopo l’abbattimento da parte di caccia cubani di due aerei appartenenti a un’organizzazione di esuli in ricognizione per contribuire al salvataggio di balseros alla deriva. E proprio la legge del 1996 impedisce agli Usa di normalizzare le proprie relazioni col governo cubano fino a quando uno dei due fratelli Castro resterà al potere. Una breccia è stata però resa possibile dalla legge del 2000 che ha permesso la vendita di generi agricoli e medicine dagli Stati Uniti a Cuba “per ragioni umanitarie”: locuzione che ha permesso di far crescere tale commercio da zero fino ai 440 milioni di dollari dell’anno scorso, in cui gli Stati Uniti si sono confermati i principali fornitori di alimentari a Cuba. Appunto, alla faccia dell’embargo, che rimane appunto solo come comodo pretesto per tacciare quegli stessi Stati Uniti di “affamatori”.

Anche Obama insegue un miglioramento delle relazioni tra i due Paesi. Ma resta scettico sull’abbandono delle sanzioni ignorare del tutto le evoluzioni politiche più recenti, oltre che impedire alla Casa Bianca di ottenere una «comprensione più ampia degli eventi nell’isola».

Ovvero: «al dirigere la politica verso uno scenario improbabile di transizione democratica a breve termine e al rifiutare la gran parte degli strumenti di compromesso diplomatico, gli Stati Uniti finiscono per restare come uno spettatore impotente, che è costretto a guardare gli sviluppi degli eventi solo a distanza». Una possibile evoluzione, però, non dipende solo dalla Casa Bianca. Gran parte dell’embargo dipende infine dalle leggi votate

Il rapporto offre anche un’idea dei temi a proposito dei quali Obama potrebbe iniziare un dialogo con Raúl Castro. In particolare, si parla di lotta al traffico di droga, migrazione e terrorismo. Per eventuali evoluzioni, però, c’è un generale accordo che bisognerà aspettare la partecipazione di Obama al Vertice delle Americhe, in agenda per aprile a Trinidad e Tobago.

Stati Uniti. Chiamato da Milwaukee per sostituire Edward Egan, è giovane e piace agli anti-abortisti (e alla stampa)

È Dolan il nuovo arcivescovo di New York di Guglielmo Malagodi monsignor Timothy Dolan il nuovo arcivescovo di New York, scelto da papa Benedetto XVI per sostituire Edward Egan, che lascia il suo posto per raggiunti limiti di età. Per la prima volta in oltre due secoli, l’arcidiocesi di NewYork passa di mano con il titolare ancora in vita. Egan, che aveva puntato tutto sulle sue indiscutibili capacità organizzative e manageriali (che hanno permesso alla diocesi di estinguere un debito intorno ai 50 milioni di dollari) era stato, negli ultimi anni, accusato di esercitare una leadership “poco accomodante”. Mentre Dolan, secondo il New York Times, pur teologicamente “ortodosso”, è visto come un prelato capace di utilizzare più la “persuasione” che la “punizione”con i cattolici che non condividono le sue idee. Sarebbe questo, insomma, il motivo principale per cui papa Ratzinger ha preferito lui ad altri candidati con idee altrettanto tradizionaliste (come gli arcivescovi di Hartford, Harry Mansell, di Atlanta, Wilton Gregory, di Newark, John Myers e di San Juan, Roberto Gonzalez Nieves).

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Monsignor Dolan, che era vescovo di Milwaukee, è nato 59 anni fa a Saint Louis, in Missouri, e dal 1964 al 1968 è stato alunno del St. Louis Preparatory Seminary South, prima di entrare nel

Cardinal Glennon College, dove si è laureato in Filosofia. Inviato a Roma nel 1972 al Pontificio Collegio Americano del Nord, ha frequentato l’Angelicum dove ha ottenuto il Master in Teologia, per poi essere ordinato sacerdote (il 19 giugno 1976) nell’arcidiocesi di Saint Louis.

Dopo il sacerdozio, Dolan è stato viceparroco nella Immacolata Parish a Richmond Heights e conferenziere e confessore delle Suore Carmelitane (19761979). Ha continuato gli studi e ha conseguito la laurea in Storia Ecclesiastica presso l’Università Cattolica di Washington (1979-1983). È stato successivamente vice-parroco della Curé of Ars Parish in Shrewsbury Curé of Ars Parish di Shrewsbury (1983-1985) e poi nella Little Flower Parish, sempre a Richmond Heights (1985-1987). Collaboratore presso la nunziatura apostolica a Washington (1987-1992), vice-rettore al Seminario Maggiore Kenrick-Glennon nell’arcidiocesi di Saint Louis; rettore del Pontificio Collegio Americano del Nord a Roma (1994-2001), Dolan è stato nominato Vescovo titolare di Natchez ed Ausiliare di Saint Louis il 19 giugno 2001 e ha ricevuto la consacrazione

episcopale il 15 agosto dello stesso anno. Il 25 giugno 2002 è stato nominato Arcivescovo di Milwaukee, in Wisconsin.

Il nuovo arcivescovo di New York è stato energico anche nell’affrontare lo scandalo dei preti pedofili negli Stati Uniti. Nel 2004 fu tra i pochi vescovi americani a pubblicare i nomi dei sacerdoti della sua diocesi fondatamente accusati di pedofilia. Anche se l’associazione per i diritti delle vittime, Survivors Network of those Abused by Priests, lo ha accusato di non aver collaborato a sufficienza con le autorità. Dolan è stato definito «uno degli eroi pro-life» dal gruppo anti-abortista American Life League. Non ha però mai negato la comunione ai politici pro-choice, lasciando ai singoli fedeli la decisione se avvicinarsi o meno al sacramento. Conviviale e accessibile dai media, Dolan gode senz’altro di “buona stampa”, anche se solleva qualche perplessità il fatto che non conosca lo spagnolo, lingua madre di oltre due milioni e mezzo di cattolici che vivono nella Grande Mela.

Per la prima volta in duecento anni, l’arcidiocesi della Grande Mela passa di mano con il titolare ancora in vita


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Alleanza Atlantica. Si è tenuto a Cracovia l’ultimo vertice prima del summit per il 60°anniversario, previsto in aprile a Strasburgo

Nato, impegno su Afghanistan e pirati di Mario Arpino

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missioni della Nato. Ritornando all’agenda del vertice, hanno avuto ampio spazio le operazioni in Afghanistan, la situazione in Kosovo e lo svilupparsi della pirateria internazionale.

Essendo l’ultimo di questo livello, in preparazione del Summit del Giubileo per il 60° anniversario dell’Alleanza previsto in aprile a Strasburgo, l’agenda è stata particolarmente nutrita, gli ospiti non-Nato numerosi e la cornice, per un’ampia visibilità a livello locale, di sicura efficacia. Basti citare un forum, introdotto da Jaap de Hoop Scheffer, che ha raccolto partecipanti dei principali think-tank europei per discutere il ruolo dell’Alleanza nel sistema di sicurezza internazionale, le relazioni transatlantiche, la politica delle porte aperte e le future

Due eventi collaterali, che hanno avuto luogo ai margini del secondo giorno di incontri, sono tuttavia da menzionare. La commissione NatoGeorgia, creata a seguito del conflitto, ha fatto il punto sulla collaborazione civile-militare a favore della sicurezza del Paese e sull’assistenza in atto per la riforma e il riarmo delle forze armate. Successivamente, i ministri hanno espresso le loro valutazioni sulle basi russe ancora sul territorio georgiano ed hanno confermato l’impegno dell’Alleanza nello spirito del vertice Nato di Bucarest dell’aprile 2008. Il secondo evento di particolare rilievo, tenendo anche conto della recente problematica Gazprom-Ucraina, è stata la riunione della commissione NatoUcraina, dove i ministri hanno discusso circa il modo migliore per procedere con i supporti di parternariato, anche alla luce della qualifipartecipazione cata delle forze armate ucraine ad operazioni

interessante notare che, dopo gli accadimenti dell’agosto scorso in Georgia, fatto salvo il vertice di Londra di settembre, i vertici più o meno informali dei ministri della Difesa dei Paesi della Nato si sono svolti negli ex-dominii del defunto impero sovietico. Così, sulla scia delle visite in Lettonia e a Tiblisi già compiute dal Segretario Generale, della riunione del Comitato Militare di settembre a Sofia e del vertice informale di Budapest di metà ottobre, il 19 e il 20 ultimi scorsi il periodico vertice informale dei ventotto ministri della difesa si è tenuto a Cracovia.

IL PERSONAGGIO

internazionali guidate dalla Nato. Non è sfuggito, agli osservatori, come nei due incontri il Segretario Generale abbia accuratamente evitato di parlare di nuovi ingressi nell’Alleanza, esprimendo però «determinazione della Nato nel supporto ai processi di riforma delle rispettive strutture di sicurezza e difesa e nel continuo sviluppo di queste partnership strategiche».

Questi vertici preparatori non vengono certo caratterizzati da decisioni storiche. Sono stati comunque salutati con favore il primo annuncio ufficiale di un sostanzioso aumento di truppe Usa in Afghanistan, l’incremento del contributo nazionale militare e civile tra cui quello italiano - di diciotto nazioni, Nato e non, per conferire maggiore cornice di sicurezza alle elezioni del prossimo agosto. Infine, l’invio nei prossimi mesi di una nuova task force per contrastare la pirateria lungo le coste somale, nel quadro del più ampio contesto dello sforzo internazionale.

Dopo la crisi dello scorso agosto in Georgia, tutti gli incontri si sono svolti nell’ex Unione Sovietica

Vaithilingam Sornalingam. Insieme ai suoi fratelli ebbe l’idea di utilizzare l’aviazione con i guerriglieri Tamil

L’uomo che insegnò a volare alle Tigri di Laura Giannone aithilingam Sornalingam, alias Colonnello Shankar, è morto 52enne nel 2001. Eppure, è diventato lui il protagonista dell’ultima imprevista, drammatica evoluzione della guerra nello Sri Lanka. Ormai costrette dall’offensiva dell’esercito in uno spazio di appena 100 chilometri, dopo aver perso il loro Quartier Generale e la loro capitale, le Tigri Tamil sono tornate a sorpresa alla controffensiva con un raid aereo sulla capitale Colombo. Ottenendo così di poter offrire una tregua al governo, pur rifiutata, senza per questo aver l’aria di arrendersi. Riportando alla ribalta l’ingegnere aeronautico che ebbe l’idea di creare le Tigri del Mare e le Tigri dell’Aria: unico caso nella storia mondiale di un movimento guerrigliero fornito di aviazione. Nato nel 1949, Shankar era parente del capo stesso delle Tigri: Valupillai Prabhkaran, il “Piccolo Fratello”. Campione universitario di calcio e cricket, dopo la laurea era emigrato in Nord America, a lavorare per conto dell’Air Canada. Sotto banco, però, già nel 1973 si è imbrancato col movimento nazionalista tamil, e in Canada si è messo a comprare affannosamente imbarcazioni, radar, apparati di telecomunicazione e armi, per preparare la guerriglia. E quando questa inizia, lui nel 1983 torna in patria a combattere: anche se le sue prime azioni armate piuttosto che contro i governativi sono contro un gruppo tamil rivale. Già nel 1984 entrano comunque in campo le Tigri del Mare, la sua prima “trovata”. Forti di 3000 uomini, con barchini esplosivi,

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Il raid aereo sulla capitale dello Sri Lanka riporta alla ribalta l’ingegnere che ha creato i ribelli dell’aria (e dell’acqua) uomini rana e navi da carico, questa flotta ribelle non si limita a introdurre armi di contrabbando o a compiere atti di pirateria, ma conduce anche azioni kamikaze, affondando per lo meno una trentina di navi. Alla testa della marina tamil non va però Shankar ma Thillayampalam Sivanesan, alias ”Colonnello Soosai”: un “ammiraglio”che presumibilmente è rimasto ucciso lo scorso 7 febbraio.

Shankar, infatti, sta preparando una trovata ancora più spettacolare: appunto, le Tigri dell’Aria. Non lo distraggono neanche i lutti che gli decimano la famiglia: il fratello Manoharn, suicidatosi con una pastiglia di cianuro; un secondo fratello di nome Vaseekaran, “Tenente Siddharth”, che salta in aria mentre prepara la bomba per un attentato; e un terzo fratello desaparecido dopo l’arresto. Già nel 1998 le Tigri proclamano che ha iniziato a volare la loro aviazione: probabilmente, all’epoca consistente solo in un elicottero R44 Astro, di fabbricazione americana. Forse la costruzione delle Tigri dell’Aria è in parte rallentata dall’impegno che nel 2000 Shankar si assume di accompagnare Prabhkaran come interprete, all’inizio dei negoziati di pace con la mediazione norvegese. E il 26 settembre 2001, mentre guida nella jungla, Shankar è poi tolto di mezzo dalla già citata mina, probabilmente piazzata da un’unità speciale srilankana. Ma nel 2006 trapela la notizia che le Tigri dell’Aria hanno acquistato anche due aerei cechi Zlín Z-143, e forse anche di qualche Cessna. Il primo attacco, non confermato dal governo di Sri Lanka, è rivendicato l’11 agosto del 2006. Al 26 marzo 2007 risale il primo attacco accertato, sulla base aerea di Katunayake. Seguono il 23 aprile un secondo raid sulla base di Palali, il 26 un primo sorvolo di Colombo, il 29 il primo bombardamento su Colombo, e poi tempo altri cinque raid. L’ultimo, con modalità kamikaze, proprio venerdì, dopo che il governo ha annunciato la fine delle Tigri.


cultura

pagina 20 • 24 febbraio 2009

Sacro e profano. La sregolatezza della festa si annuncia già nella indeterminatezza dei tempi che la caratterizzano. L’unica certezza è la fine: il mercoledì delle ceneri

L’«anarchia» del Carnevale I Saturnalia romani, il Medio Evo cristiano, la Grecia dionisiaca. Ecco le diverse possibili origini delle sfilate carnascialesche di Alfonso Piscitelli l Carnevale è il tempo in cui tutto si inverte. E anche la vita del Carnevale manifesta una curiosa inversione. Della esistenza di un uomo si sa che la nascita è certa: la data della morte sfuma invece in una indistinta lontananza o vicinanza, a seconda dei casi. Del Carnevale invece si conosce da sempre il termine irremovibile: il mercoledì delle ceneri, che conclude i bagordi del martedì grasso; ma l’inizio sfuma in una data flessibile. L’anarchia di questa festa si annuncia già nella indeterminatezza dei tempi che la caratterizzano. Ma anche le origini storiche indietreggiano ad epoche sempre più arcaiche: il Medio Evo cristiano, il mondo Romano con i suoi Saturnalia, la Grecia dionisiaca, Babilonia.

I

La festa prende vita improvvisamente nei mesi d’inverno, quando «il mondo è a capo chino» come nella canzone di Guccini sui dodici mesi. In alcune tradizioni cittadine è la data del 17 gennaio a segnarne l’inzio, ma questo riferimento è tutt’altro che condiviso. Più in generale il mese tipicamente carnascialesco è febbraio: giornate fredde, anche nevose, ma più lunghe nella durata della luce. I caratteri meteorologici già annunciano la mescolanza di elementi contraddittori che è tipica del carnevale. Ma che significato ha questo termine? Carnes levare: togliere le carni dopo le orge gache stronomiche esaurivano le scorte di carne accumulate nell’inverno; mettere da parte la carne per il periodo di contrizione quaresimale, come nell’interpretazione promossa dai chierici. Oppure Carni levamen: sollievo della carne, liberazione momentanea del corpo dal peso del senso di colpa: una interpretazione più frivola, ma storicamente inconsistente. Alfredo Cattabiani nella sua operetta Calendario avvalora un’altra interpretazione: car navale, carro navale. Una lettura del nome che ci riporta

all’antichità precristiana, quando un Dio giungeva dal mare su un carro navale portando l’ebbrezza di un frutto molto speciale… Un proverbio diffuso nel bergamasco e anche nel bresciano contribuisce a far retrocedere le origini della festa all’epoca precristiana. «Dopo natale è subito carnevale» reci-

antichi Saturnalia, che segnavano il passaggio al nuovo anno che ritualmente si inaugurava a gennaio (il mese di Janus, Dio degli Inizi). Ma anche il carnevale cristiano si pone nella fase di passaggio dall’anno vecchio che esaurisce nell’inverno tutte le sue potenzialità e il nuovo anno che fiorisce a pri-

In alcune tradizioni cittadine e agricole è la data del 17 gennaio a segnarne l’inzio. Più in generale, il mese in cui si sfila e ci si maschera è oramai febbraio ta l’audace motto che golosamente congiunge i festeggiamenti natalizi a quelli carnevaleschi. Ma anticipare al periodo natalizio la festa anarchica del Carnevale significa creare un nesso con l’antica festa licenziosa dei Saturnalia. Allora nella fase di passaggio dal vecchio al nuovo anno, i

servi momentaneamente prendevano il posto dei padroni. Si giocava d’azzardo, si consentiva l’osceno. Veniva eletto un “re” nelle feste che veniva fatto oggetto di affettata reverenza e di crudele scherno. Saturno era il re dell’età dell’Oro: epoca di innocenza primitiva e di abbondanza, che non richie-

deva lavoro. La licenziosità della festa evocava la nostalgia religiosa per un paradiso perduto. La Chiesa per non turbare il Natale volle espellere i Saturnalia dal termine cronologico dei giorni più santi. Il carnevale dell’epoca cristiana eredita comunque molti caratteri degli

mavera. Febbraio e marzo lasciano intravedere la nuova nascita della Terra dalla tomba dell’inverno; religiosamente assistono alla resurrezione di Cristo dalla momentanea morte. L’uccisione del “re del carnevale” nei contesti

delle feste agricole esprime la volontà di bruciare gli ultimi residui dell’anno passato, affinché il nuovo anno fiorisca. Proprio perché brucia il passato e inneggia con frenesia alle gioie di un nuovo anno, il carnevale contemporaneamente rappresenta una esaltazione della vita, ma anche un doloroso momento di riflessione riguardo alla sua caducità. Laddove il piacere si fa più intenso, proprio allora si rivela momentaneo e perciò illusorio. La vita e la morte ancora una volta si confermano facce di una stessa medaglia.

E il carro navale a cui accennava Cattabiani? Incominciamo col dire che il carnevale è una festa di movimento e di corsa. I carri sfilano, le maschere corrono per strada. Il passo di danza della allegria collettiva si alterna alla fuga di chi deve correre per infliggere uno scherzo o evitare un castigo. Nel carnevale romano, ancora al principio dell’Ottocento – e Goethe ne è testimone – si perpetuavano le corse imperiali dei cavalli: le corse dei berberi. Non più al Circo Massimo, ma lungo la via lata. L’attuale via del Corso. Ma la sfilata allegorica dei carri ricorda da vicino anche una festa dionisiaca dell’antica Grecia, la festa delle Antisterie. Tre giorni di ebbrezza nel mese di Anthesterion (metà febbraiometà marzo). Nel primo giorno si aprivano i vasi di argilla e ci si ubriacava di vino novello. Nel secondo un corteo celebrava l’arrivo di Dioniso dal mare: sul “carro navale” Dioniso ostentava i grappoli d’uva circondato da satiri nudi e da maschere. Molte di quelle maschere erano in realtà figurazioni di morti: le Antisterie avvicinavano i morti alla terra, così come il carnevale moderno che sempre evoca la maschera della morte. L’avvicina per tenerla a distanza. Ne parla con familiarità per tentare di esorcizzarla. Il carro navale di Dioniso offre all’uomo l’ebbrezza del vino. Ma Dioniso era anche dio civilizzatore, in lui si celebrava la vita. Il carro di carnevale però

facilmente si tramuta in “nave dei folli”: la celebrazione della vita in ogni eccesso conduce a una sregolatezza estrema, che rischia di spingere alla follia, dunque alla morte. Per questo è importante che il carnevale, raggiunto il suo massimo sfogo, sia condotto al suo termine: alle ceneri del mercoledì di quaresima.

Una volta all’anno è lecito impazzire. Ma solo una volta. Scrive l’esoterista René Guenon che «si tratta insomma di canalizzare in qualche modo tali tendenze (orgiastiche) e di renderle il più possibile inoffensive dando loro l’occasione di manifestarsi, ma soltanto


cultura basilari dell’umanità, si comprende anche perché alla nostra epoca esso smarrisca la sua spontaneità e tenda alla artificiosità. Anche nelle città di più antica e radicata tradizione carnevalesca, la celebrazione della festa appare ormai edulcorata. La sua esecuzione accontenta le esigenze di commercianti e promotori turistici. Ma la trasgressione prende ormai altre strade. Rispetto alle antiche società agricole, il mondo della produzione moderna conosce il ritmo settimanale della alternanza tra giorni di lavoro e giorni festivi. Nei paesi a intensa produttività, il fine settimana finisce col configurarsi come un piccolo carnevale fatto di ubriacature e licenziosità non solo consentite, ma quasi prescritte. E al di là questa articolazione del tempo “borghese”, negli ultimi tempi si è fatta strada una generazione che, cresciuta in epoca di crescente benessere, ha concepito il sogno ingenuo di trasformare tutta la vita in un carnevale. Nel carnevale le identità possono cambiare con la facilità del gioco: oggi alcuni imprudenti maestri di pensiero insegnano che non esistono identità consolidate, ma che in base al principio del piacere si può cambiare “genere”. Il diffondersi delle nuove tecnologie di comunicazione via internet abitua a modificare di volta in volta i tratti manifesti della propria personalità cambiando “avatar” o “nickname”nella conversazione online. Anche alcuni guru dell’alta finanza fino a qualche giorno fa prospettavano il paese di bengodi: la possibilità di guadagnare in una maniera che prescindesse completamente dal lavoro produttivo.

per brevissimi periodi e in circostanze ben determinate, e assegnando così a questa manifestazione stretti limiti che non le è permesso oltrepassare. Se infatti queste tendenze non potessero ricevere quel minimo di soddisfazione richiesto dall’attuale stato dell’umanità, rischierebbero per così dire di esplodere e di estendere i loro effetti alla intera esistenza sia dell’individuo che della collettività, provocando un disordine molto più grave di quello che si produce soltanto per qualche giorno riservato particolarmente a questo scopo».

Se il carnevale è stato in passato valvola di sfogo di pulsioni

In alto a destra, il manifesto in stile futurista del Carnevale di Viareggio che Uberto Bonetti realizzò nel 1931. Sopra, un disegno carnascialesco di Michelangelo Pace. Nella pagina a fianco, una giovane donna sfila seminuda al Carnevale brasiliano di Rio de Janeiro e, a fianco, una tipica maschera del Carnevale di Venezia

La nostra epoca, dopo le lugubri apparizioni delle ideologie totalitarie e le tragedie di due guerre mondiali, ha voluto dilatare lungo tutto l’arco dell’anno la libertà carnevalesca. Ma la ricerca del piacere, se prolungata fino a divenire permanente, è fonte di angoscia, di disperazione. A ben vedere, anche il Carnevale ha le sue regole, i suoi comandamenti ferrei. Osservava acutamente Glauco Sanga: «I comportamenti carnevaleschi non sono liberi, ma costretti: si deve ridere, si devono scatenare gli appetiti, in forma eccessiva. L’obbligo dell’eccesso si trasforma in quel sottile senso di inquietudine e di angoscia che pervade i carnevali tradizionali»… E ancor più le società moderne, in cui “divertirsi”,“far vacanze”,“sballarsi”sono diventati tediosissimi obblighi. Ma l’obbligo del carnevale alla fine durava pochi giorni. Poi giungevano le ceneri della quaresima. Studiando gli ultimi avvenimenti, non sono in pochi a concludere che la festa è finita, e che siano giunte alfine “le ceneri dell’Occidente”.

24 febbraio 2009 • pagina 21

La città ricorda Uberto Bonetti, nel centenario della nascita

A Viareggio sfila il Burlamacco futurista di Mario Bernardi Guardi iareggio dedica quest’anno il suo mitico Carnevale al “genio futurista” del concittadino Uberto Bonetti, nel centenario della nascita (31 gennaio 1909). E siccome è anche il centenario dello scoppiettante Manifesto marinettiano (20 febbraio 1909), doppia festa. Anzi tripla, con i corsi mascherati che hanno fatto la prima sfilata domenica 7 febbraio e che torneranno, multicolori e irriverenti, oggi e il 1° marzo. Per tornare a Bonetti, c’è da dire che il suo era davvero un ingegno “multiforme”. Nonché perfettamente “conforme” al progetto di “ricostruzione futurista dell’universo”caro a Balla, Prampolini e Depero, con la benedizione dell’esplosivo Ftm: un’avanguardia poliedrica e affamata di futuro che accende micce creative dappertutto e rimodella il mondo a propria immagine e somiglianza. Dunque assaltando con fervore innovativo pittura, scultura, architettura, poesia, teatro ecc. e più che mai impugnando gli strumenti modernissimi della grafica e della pubblicità.

V

Il “segno” futurista deve avere visibilità là dove si posano gli occhi della gente. Dal “Manifesto” ai manifesti: quelli che riempiono i muri delle città e a colpi di figure, colori e frasi “sintetiche”informano e stimolano potentemente la fantasia. Come un bel manifesto di Carnevale nella carnascialesca Viareggio. E’ quello che disegna nel 1931 il ventiduenne futurista e aeropittore Uberto Bonetti, l’inventore del Burlamacco. In realtà, in quell’anno, il nome non c’è ancora. Arriverà soltanto nel ’39, da un mix tra burla e Burlamacca, il canale che costeggia il molo della città. Anche se c’è chi dice che il nome Burlamacco sia una voluta storpiatura di Buffalmacco, pittore fiorentino di non piccola fama (affrescò anche il Camposanto di Pisa), ricordato nel Decamerone di Boccaccio come autore di beffe (insieme a Bruno), a danno del povero Calandrino (pittore anche lui ma mediocre). Bene, la maschera che compare sul manifesto del ’31 balza tutta da un immaginario futurista, che è andato a rovistare nelle botteghe della Commedia dell’Arte e della “viaregginità”: un abito tubolare che assomiglia alla tuta inventata da Thayath, giochi di geometrie bianche e rosse che strizzano l’occhio a Depero, ad Arlecchino, alle maglie dei bagnini e agli“spicchi”degli ombrelloni, uno svolazzante mantello nero alla Dottor Balanzone, una gorgiera bianca tipo Capitan Spaventa, un copricapo rosso“ritagliato”a mo’di barchetta o di timone. Accanto a Burlamacco, una leggiadra, flessuosa fanciulla con costume monopezzo: Ondina. Ma lei sparirà subito. Il manifesto di Bonetti vince e convince: e da allora sarà quasi sempre Uberto (pittore, grafico, caricaturista, bozzettista pubblicitario, scenografo) a firmare il Carnevale. Fino al 1993, l’anno della scomparsa. Ma Viareggio lo vuol vivo, come vuol vivo il Futurismo. E così il manifesto di quest’anno è un omaggio all’Aeropittore. Lo ha disegnato Arnaldo Galli, ottantadue anni, decano dei carristi, satiro di prim’ordine, 20 premi collezionati con la sua graffiante cartapesta, famoso anche per aver collaborato, come coreografo e creatore di marchingegni, al Boccaccio 70 di Fellini. Per l’amico Uberto il miglior Galli del pollaio ha ideato uno scenario con tre “sequenze”: nella Burlamacca un colorato pesce umanoide tende le braccia verso l’alto, poi si alza in volo e perde le scaglie mentre inizia il processo metamorfico, infine diventa a pieno titolo “maschera”, e cioè un Burlamacco trionfante nell’azzurro. E ovviamente ghignante, come prevede da sempre il “copione”viareggino, tutto beffe e sberleffi, irriverenze ed effervescenze, nonché «movimenti aggressivi, insonnie febbrili, passi di corsa, salti mortali, schiaffi e pugni». Alla futurista. Ragazzi, questo è il Carnevale d’Italia: giganti di cartapesta, lazzi e frizzi, coriandoli e stelle filanti, estri e malestri libertari contro l’Italia dell’eterno Carnevale, così potente, prepotente e impotente, logorante e logorroica. Qualche risata la seppellirà?


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dal ”New York Times” del 23/02/2009

La battaglia fra repubblicani di Jackie Calmes e Robert Pear repubblicani d’America si stanno dividendo sul modo in cui affrontare la crisi economica. Per i membri del Gop - Grand old party, come viene definito amichevolmente - è stato dunque un weekend di passione, alla ricerca della formula magica per risolvere i problemi di banche, industrie e soprattutto cittadini a corto di liquidi, senza tradire la propria storia politica e culturale. Il partito ha intrapreso una lunga strada verso una ridefinizione della propria identità a seguito delle ultime sconfitte elettorali. Al direttivo della associazione nazionale dei governatori sono emerse le spaccature sull’analisi e i giudizi sullo stimulus.

I

Non solo, anche nella gestione dei deficit di bilancio degli Stati che governano ci sono scuole di pensiero diverse. Alcuni leader del partito affermano che si dovrebbe scendere a compromessi con l’amministrazione Obama, insomma muoversi verso il centro politico per attirare i voti degli indipendenti. Un altro gruppetto, ma molto rumoroso, di governatori più conservatori, è dell’opinione che invece bisognerebbe contrastare l’attuale politica salva-economia della Casa Bianca, che si basa su spesa pubblica e tasse. Solo così si riuscirà a riguadagnare la fiducia degli elettori repubblicani. Il senatore Mark Sanford, uno dei leader repubblicani conservatori, ha affermato che «è in atto una guerra interna al partito, per decidere la rotta da prendere». «Io sono uno di quelli continua il senatore - che afferma che serve tornare ai valori base delle idee repubblicane, altri la pensano diversamente. La decisione finale dipenderà da chi vincerà questo tiro alla fune». Tra quelli che tirano la fune repubblicana in senso contrario c’è anche

il governatore della California, Arnold Schwarzenegger. Solo la scorsa settimana aveva concluso una dura battaglia politica, contro gli stessi legislatori repubblicani dello Stato, per far approvare un deficit di bilancio di ben 42 miliardi di dollari. Tanto per meglio comprendere il clima.

Quando Schwarzenegger era a Washington alla riunione dei governatori, in California, alla convenzione del partito, circolavano delle mozioni contrarie alla sua scelta di politica di bilancio. Ma domenica scorsa sulla Abc l’ex mister Olimpia della politica ha ribattuto: «Chi la pensa in quella maniera ha perso il contatto con la volontà della maggioranza dei californiani». Non solo si è difeso, ma ha rilanciato, affermando che riproporrà il suo progetto per garantire un’assicurazione sanitaria per tutti i californiani, anche se dovesse costare nuove tasse. «Anche se è contro i tuoi principi e la tua filosofia, un pubblico amministratore ha il dovere di fare ciò che la maggioranza dei cittadini vuole – ha sottolineato Schwarzenegger – invece di rimanere ancorato alle proprie ideologie». Molti dei governatori repubblicani si sono uniti ai democratici, durante l’annuale meeting di Washington, che ha avuto anche un coté alla Casa Bianca con una cena offerta dal presidente, Barack Obama. Le divisioni interne ai repubblicani riflettono l’erosione elettorale degli ultimi anni, che ha colpito gli Stati del Midwest, dell’Ovest e del Nordest. Lasciando solo a quelli del Sud la bandiera del conservatorismo dell’elefantino (il simbolo dei repubblicani, ndr). Ragion per cui la maggior parte dei governatori del Sud, con am-

bizioni nazionali, si sono schierati contro la politica di Obama. Infatti lo stimulus al Congresso ha ricevuto i voti di soli tre repubblicani sui 219 senatori della Camera alta americana. Le critiche più dure oltre che da Sanford, sono arrivate anche dal governatore Bobby Jindal, della Lousiana, da Rick Perry, già presidente del partito, nel 1990, e da Sarah Palin.

Sull’altro versante del Gop c’è invece chi pensa che in momenti così difficili non serva essere bipartisan per aiutare il Paese, il cui leader - ricordano è oggi il presidente Obama, ma basterebbe essere nonpartisan. Insomma i dati sulla disoccupazione mordono l’economia e la vita dei cittadini. Di fronte a questi problemi la maggior parte dei 22 governatori rep, sembra animata da uno spirito di servizio pubblico e dalla volontà di fare bene per il Paese. Per loro le beghe di partito possono anche aspettare.

L’IMMAGINE

Dario Franceschini sbaglia ad attaccare Silvio Berlusconi sulla Costituzione

Piedi d’artista

Dario Franceschini, che passa per un moderato, ha esordito nel peggior modo possibile, attaccando Berlusconi sulla Carta Costituzionale. Non che Berlusconi sia un difensore della Costituzione, ma da qui ad attaccarlo e, soprattutto, da qui a scegliere come primo argomento della sua segreteria dei democratici mi sembra un’assurdità. Il Partito democratico ha bisogno come il pane di recuperare il contatto con la realtà e il buonseno. Franceschini, che pure non è estraneo al mondo della politica e ha fatto la sua esperienza, dovrebbe usare maggiore cautela e cercare di parlare non solo ai suoi grandi elettori ma anche agli elettori italiani che, tutto sommato, si ritrovano ancora in larga maggioranza sulle posizioni del governo Berlusconi. Franceschini dovrà cercare di distiguere la posizione politica del Pd da Antonio Di Pietro che, invece, pur esercita una egemonia culturale sui gruppi parlamentari di opposizione.

«È fatto con i piedi!», non è proprio un complimento per un lavoro. Eppure c’è chi con i piedi riesce a realizzare opere d’arte. Come Xi Fu, artista di strada (qui in un momento di relax) che grazie ai suoi “pollicioni” si guadagna da vivere. Dalla nascita, il trentenne di Pechino soffre di gravi problemi alle mani e per esprimere la sua vena artistica, ma anche per bere e mangiare, ha imparato a usare i piedi

Frida Gernani

INSANO MASOCHISMO Il secondo posto a Sanremo di Povia ha sancito che gli italiani non credono alla teoria che omosessuali si nasce. Il pezzo Luca era gay tratto da una storia reale, ha spiegato la vera genesi dell’omosessualità: gli errori educativi dei genitori. È fuor di dubbio che genitori assenti o incapaci di trasfondere e imprimere ai figli l’identità maschile o femminile, generino nella fase di crescita gravissime patologie identitarie. Privati di uno “specchio genitoriale” in cui riflettersi ed identificarsi, i giovani disorientati si illudono di compensare le loro carenze psico-affettive stabilendo relazioni con individui dello stesso sesso. Ma l’errore più grave in cui incappano i presunti omosessuali, è quello

di scambiare la libidine sessuale per amore autentico. Ma può dirsi amore ciò che non è apertura alla vita? Non nascondiamocelo, il sesso fine a se stesso, è solo egoistico piacere. I gay, invece di continuare a piangersi addosso e di scaricare la loro infelicità esistenziale sulla solita scusa del pregiudizio omofobo della società e della Chiesa, perché non prendono in considerazione la possibilità di farsi“curare”? In Italia e nel mondo grazie ad alcuni esperti specializzati in questa singolare branca della psicologia, molti ex gay e lesbiche hanno ritrovato se stessi. Lo stesso Povia e Luca ce l’hanno fatta. Errare è umano, ma continuare a farsi del male non è insano masochismo?

Gianni Toffali Verona

LA CASTA INCASSA I politici sono generosissimi con se stessi e con coloro che li assistono. All’unanimità, astenuti i radicali, il Senato ha approvato i rimborsi elettorali alle prossime “europee”, non solo ai partiti rappresentati – che superino lo sbarramento del 4 per cento - ma anche agli sconfitti, che superino la

soglia del 2 per cento. Nel 1986 il Quirinale costava in valuta attuale 73,5 milioni di euro: in vent’anni la spesa reale, depurata dall’inflazione, è triplicata e continua a salire – 224 milioni nel 2007, 231 milioni nel 2009. Gli strombazzati tagli e risparmi sono superati dagli incrementi di spesa. Essere antifascisti e rispet-

tare la Costituzione – signori politici, più o meno “progressisti” – significa anche e soprattutto attuare una fortissima riduzione (assoluta e relativa) dei costi diretti e indiretti della politica. Questa è la basilare aspettativa dell’“uomo della strada”, ora ridotto a suddito sfruttato.

Gianfranco Nìbale


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dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Volta a volta ti spoglio e ti rivesto Non potrò scriverti domani, mia amata, né forse dopodomani, ma venerdì al più tardi riceverai una mia lunga lettera. Partiamo domattina (farò in modo che sia solo dopo l’arrivo del postino), per un viaggetto a 9 leghe da qui, da cui non torneremo che mercoledì notte.Visiteremo qualche antica abbazia gotica, Jumièges, dove è sepolta Agnès Sorel, Saint-Wandrille, ecc. Ti penserò durante questo viaggio. Ti rimpiangerò. Se tu sapessi come sono lunghi i miei giorni e come sono fredde le mie notti ora che sono vedove di ogni felicità d’amore! Non faccio niente, non leggo, non scrivo più. Se non a te. Dov’è la mia povera e semplice vita di lavoro di un tempo? Dico di un tempo perché è già lontano. Non la rimpiango, perché non rimpiango nulla. Come dici tu fa parte del mio sistema. Se è successo, è che così doveva essere. E poi assaporo tanta dolcezza nel pensiero di te, volgo e rivolgo con incanto così profondo il tuo ricordo nel mio cuore! Venti volte al giorno di rivedo, con le vesti che ti conosco, le espressioni che ho osservato sul tuo volto. Volta a volta ti spoglio e ti rivesto. Rivedo la tua cara testa accanto a me sul cuscino, la tua bocca si protende, le tue braccia mi circondano. Ti amo sempre più, vorrei provartelo incessantemente. Gustave Flaubert a Louise Colet

ACCADDE OGGI

ITALIANI: DIRITTI CIVILI SÌ, MA ALL’ESTERO L’Italia non aiuta a nascere, non consente di vivere come si dovrebbe, non permette di morire come si vorrebbe. Da noi l’esistenza comincia così. All’anagrafe ti danno la cittadinanza e si prendono la libertà, ti attribuiscono un codice fiscale e ti rendono subito partecipe del terzo debito pubblico al mondo. In parrocchia ti danno un sacramento e, inconsapevolmente, ti vincolano per sempre. Così diventi ostaggio del nostrano sincretismo politico-religioso, stretto a tenaglia tra Stato e Chiesa. Se vuoi un figlio, non puoi averlo fuori dal matrimonio. Se non lo vuoi, e sei sposato, pecchi. Se il bimbo non arriva, non puoi avvalerti della procreazione assistita. Ma, volendo, puoi sempre andare all’estero. Una volta nato, prova a campare come vuoi o come si dovrebbe. Prova a farlo in un Paese che non cura, non istruisce e non garantisce. Che non dà lavoro, né sicurezza e dignità. In compenso ti prescrivono come vivere e pensare. Sei cittadino di un paese che non tutela il diritto di tutte le opinioni a confrontarsi liberamente, non salvaguarda le libertà di ciascuno e l’uguaglianza di tutti dinnanzi alla legge. Un Paese a sovranità limitata, dove il peccato s’identifica col reato, il precetto dottrinale col vincolo normativo, la legge divina col diritto civile, la morale religiosa con l’etica pubblica. Però, volendo, puoi sempre andare all’estero. Un Paese che, in ultimo, non ti permette di morire se lo vuoi, quando vuoi, come vuoi. Qui, anche il tuo corpo è in ostaggio. Eppure la legge sul consenso informato attribui-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

24 febbraio 1839 William Otis ottiene il brevetto per la scavatrice a vapore 1848 Re Luigi Filippo di Francia abdica 1918 L’Estonia si proclama indipendente dalla Russia 1922 Va in scena al Teatro Manzoni di Milano la prima dell’Enrico IV di Pirandello 1945 Il premier egiziano Ahmed Maher Pasha viene ucciso in Parlamento 1946 Juan Domingo Perón viene eletto presidente dell’Argentina 1975 I Led Zeppelin pubblicano il doppio album Physical Graffiti 1980 A Lake Placid, negli Stati Uniti, si chiudono i XIII Giochi olimpici italiani 1981 Buckingham Palace annuncia il fidanzamento del Principe Carlo del Galles con Lady Diana Spencer 2002 Si chiudono i XIX Giochi olimpici italiani di Salt Lake City 2007 La Nazionale taliana di rugby vince la sua prima partita esterna nel Sei Nazioni, battendo la Scozia con il punteggio di 37 a 17

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

sce alle persone il diritto di sapere e decidere. Così da sottrarre alle istituzioni e alla medicina la facoltà di impadronirsi del tuo corpo e di utilizzarlo come credono. Per simmetria, la persona, in scienza e coscienza, dovrebbe avere il diritto di informare del proprio consenso alla vita le istituzioni e la medicina, perché facciano del suo corpo quanto egli desidera. In fondo, la Costituzione, all’art.32, garantisce che: «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Non c’è, quindi, alcuna volontà maggioritaria che possa prevaricare la volontà della singola persona su se stessa. Invece, no. In Italia, oggi, si pretende anche di decidere come e se devi morire. Di fatto, quello proposto in Parlamento, è un testamento biologico già pre-scritto per cittadini espropriati della facoltà e della libertà d’intendere e volere. Però, volendo, anche per questo, puoi sempre andare all’estero.

Gianfranco Pignatelli

IL PROBLEMA STRUTTURALE DEL PD I dalemiani hanno paura ad alzare la cresta, perché sanno di essere i favoriti alla successione del Pd; Di Pietro si mette a disposizione per guidare la sinistra, lui che si è sempre dichiarato uomo conservatore; Franceschini deve ancora insediarsi e già arrivano frecciate sul suo passato democristiano che lo rendono incompatibile con i requisiti dell’opposizione di sinistra. Il Pd ha un problema strutturale, che difficilmente potrà cambiare: è formato da pezzi di diversi aerei che devono far volare il corpo unico.

B.R.

Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Filippo La Porta, Maria Maggiore,

Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio

Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,

Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,

MA SANREMO È SANREMO Il Fmi ha messo la parola fine ad una certa confusione sull’attuale situazione economica. È stato chiaro: gli effetti della crisi finanziaria non si sono ancora fatti sentire, come inevitabilmente sarà nei prossimo mesi, sull’economia reale. In pratica ci aspetta un periodo di enorme incremento della disoccupazione. È quindi la prova provata sia delle difficoltà dell’attuale esecutivo nel dare risposte adeguate non solo mediatiche e sia di quanto fosse ridicolo invitare la gente a non cambiare lo stile di vita. Personalmente avevo anche aggiunto che questa falsa propaganda rovina le famiglie in quanto a erosione di risparmi per spese inutili o rinviabili. A parte lo statale, nessuno, dipendente, piccolo o medio imprenditore o professionisti può essere sicuro al 100% del suo reddito prossimo futuro sia nel suo livello che nella sua esistenza. Se in passato si soffriva di un calo del Pil del 0,8%, pensate gli effetti nei prossimi mesi di cali del 10 o 15%. Quali saranno le ripercussioni sociali è difficile immaginare. Ma che anche il ministero degli Interni abbia qualche preoccupazione mi sembra scontato. La totale assenza in Parlamento della sinistra radicale crea fonti di preoccupazione. Lo sfogo al Nord sul voto leghista sta terrorizzando il Pdl. E sarà sempre più difficile giustificare la sicurezza del posto di lavoro degli statali ora non compensata da uno stipendio minore rispetto il settore privato come in passato. Se al Nord si formerà un senso comune sul tema tra i piccoli imprenditori sia commerciali che della terra, pressati dal fisco e dalle banche, e i dipendenti privati che restano senza lavoro e magari anche senza ammortizzatori sociali per carenza di fondi e con rate di mutuo non pagate, la miscela può essere esplosiva. Dopo l’amplificazione del caso Eluana, degli stupri, della mano di Adriano, sicuramente si inventerà qualcos’altro. Ma resta il fatto che il problema oggi è: quanto durerà? Cicli economici come questi possano durare poco, solo se la scelta sarà quella dura e cioè lacrime e sangue: salvare le banche ma non le imprese. Scegliere l’amputazione per evitare la cancrena. Liberare lo Stato dal parassitismo e dalle spese inutili non con il bisturi ma con la mannaia. Adeguare gli stipendi all’effettiva produttività, perché prima di tutto è giustizia sociale, anche verso il basso, nello Stato tagliando i mille rivoli, come gli incentivi, che non incentivano nulla ed ingrossano solo lo stipendio. Lavorare tutti seriamente perché nessun pasto è gratis. Mi pare invece che, al di là delle parole, la scelta sia statalismo, statalismo e statalismo ancora. Ci ritroveremo meno liberi e più poveri, come direbbe il professor Antonio Martino. Ma tanto c’è Sanremo: e Sanremo è Sanremo! Leri Pegolo C I R C O L O LI B E R A L PO R D E N O N E

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PAGINAVENTIQUATTRO

Insofferenze. Circolano ormai da tempo voci insistenti sui continui dissidi tra Ancelotti e la società rossonera

Crisi del settimo anno per di Francesco Napoli uando lo si vede in passerella ora davanti a una telecamera e ora davanti a un’altra, dicendo grosso modo sempre le medesime cose per colpa del balordo sistema delle interviste delle tre tavolette imposto dalle televisioni italiane, Carlo Ancelotti parla sempre molto tranquillo, un po’ tra i denti e un po’ pensando ad altro, forse all’incontro appena terminato o ai suoi trascorsi da calciatore. L’allenatore del Milan, classe 1959, accoglie con nonchalance l’«insofferenza», come dice lui con eufemistico garbo, che c’è nei suoi confronti dagli spalti della Scala del calcio. Certo, non è che sia aiutato più di tanto se il Presidente dopo la rimonta in Uefa nel turno di coppa ad opera dei teutonici calciatori di Brema ha avuto molto da ridire. Circolano da qualche tempo battute del tipo: Ancelotti è sicuro che quest’anno non è stato il suo ultimo derby milanese perché ha già un contratto con Moratti; fiducia all’allenatore che sta facendo il suo lavoro bene e che l’anno prossimo proseguirà ancora meglio come commentatore a Controcampo. Ma lui ci è abituato. Talvolta gli hanno anche suggerito la formazione, come ai tempi della locomotiva Serginho, o un modulo più spregiudicato, ma lo fanno tutti i Presidenti-Padroni in Italia. La sensazione dall’esterno, e quindi da prendere con beneficio d’inventario, era che lui attaccava il ciuccio dove voleva il padrone, come suona un proverbio napoletano: otteneva così due piccioni con una fava, tanto per restare in ambito proverbiale, e cioè riusciva a dare dimostrazione pratica che l’allenatore più bravo era sempre lui e che le opinioni tutti le possono dire, ancor più chi paga, ma le conseguenze possono essere brutte figure a go go.

Q

essere uno dei magnifici cinque ad aver vinto Champions da calciatore e da mister, al pari del Trap nostrano. Nonostante in bianconero la curva lo avesse appellato con odiosi paragoni suini di bassissimo lignaggio, Carlo da Reggiolo non ha mai battuto ciglio, è andato per la sua strada come un concorrente di Affari tuoi, rifiutando le offerte e andando avanti. Quest’anno a un certo punto del campionato gli

sono di molto più feroci dei cronisti sportivi, è una questione di legami: i primi danno conto a un padrone, l’editore, e devono fare veri scoop; i secondi sono pienamente nel sistema del pianeta calcio, con tutte le conseguenze del caso.

Un rimpianto forse ce l’ha avuto a lungo Carlo, più prode del re d’Inghilterra che probabilmente mai ci sarà, e risale al 1982, quando nien-

DON CARLO? han tirato su una commedia mica da ridere. L’hanno tormentato alla vigilia di un RomaMilan di qualche rilievo per la classifica, allora e non più ora. Come al solito lo davano già su un’altra panchina, nell’occasione proprio quel-

Per uno come lui, devono essere bazzecole questi odierni malumori milanisti provenienti dal più alto scranno rossonero al più basso della curva: ha la forza per gestire questo e altro, come ha sempre dimostrato e continuerà a fare

Navigato è navigato: come calciatore ha una carriera alle spalle non indifferente (Parma, Roma e Milan nell’ordine) fatta di molte conquiste, avendo vinto un po’ tutto, soprattutto in rossonero, e perfino uno scudetto con la Roma, quella ormai mitica di Liedholm con Conti e Falcao; da allenatore proprio con i rossoneri ha smentito l’infingarda voce dei gobbi (tifosi della Juve) di essere un eterno secondo, andando a conquistarsi trofei su trofei fino a

la di Spalletti al quale con una spallata avrebbe tolto lo scettro della squadra giallorossa. O una pantomima o l’ennesima bufala: la seconda che ho scritto. Carlo l’ha risolta da maestro del cabaret, ben spalleggiato da Spalletti, con una pantomima della pantomima: inchini e “prego si accomodi” del secondo verso il primo e poi un abbraccio (con coltelli alla Idi di marzo? Chissà). Per uno come lui, perfino Cavaliere Ordine al merito della Repubblica nel 1991, devono essere bazzecole questi odierni malumori milanisti provenienti dal più alto scranno rossonero al più basso della curva. Ci vuol ben altro per un robusto campagnolo emiliano: ha la forza per gestire questo e altro, come ha sempre dimostrato, e quasi quasi più difficile deve essergli stato avere a che fare con la stampa ai tempi della fine del suo matrimonio. Si sa che i cacciatori di gossip

te Spagna per lui e niente Mundial con Bearzot a causa di un grave infortunio. Ci ha pensato la terragna madre Cecilia a consolarlo e a spronarlo: «Invece d’andare in Spagna a correre dietro a un pallone, verrai da noi, a Reggiolo... In campagna da giugno ad agosto tuo padre ha proprio bisogno d’un contadino in più. Forza Carlo, devi reagire come se non fosse successo niente». Che tempra, la madre ovviously. Carlo Ancelotti riesce perfino a non turbarsi più di tanto dopo un faticato 1-0 a un Cagliari in salute nell’ultima cerimonia domenicale. «Nei miei confronti c’è un po’ di insofferenza», dice commentando i fischi di San Siro dopo la sostituzione di Superpippo Inzaghi che non mangia arachidi da un bel po’. Nel dopo partita il tecnico arriva perfino a dire, forse sarà vero o forse ci crede o forse chissà, che la «società ha grande stima nei miei confronti anche se dopo sette anni qualche volta si discute». Attenti: la crisi del settimo anno può essesre dietro l’angolo!


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