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La ricchezza è fonte di grandi
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privilegi. Il più invidiabile è quello di poter intensificare all’estremo pensieri e sentimenti
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Honoré De Balzac
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA
di Ferdinando Adornato
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Otto giorni dopo la condanna di al Bashir
Rapimento a orologeria
Sequestrati in Sudan tre medici “senza frontiere” tra i quali un italiano. I banditi chiedono un riscatto. Ma è evidente la sfida alla sentenza dell’Aja alle pagine 2 e 3
Un saggio sull’etica del nostro tempo
alle pagine 12, 13, 14 e 15 Confindustria: cassa integrazione mai così alta. Istat: Pil mai così basso
Nuovi atei vi rispondo, Fini: «Stati generali dell’economia» ecco le tre vie E rilancia la collaborazione tra maggioranza e opposizione per capire Dio Progetto di Franco Insardà
di Michael Novak “neo-atei” hanno venduto più di un milione e mezzo di copie di libri nel quale vengono sferrati attacchi contro l’ebraismo ed il cristianesimo – in particolare le opere di Richard Dawkins e Christopher Hitchens, ma anche quelle di Sam Harris e di altri. Questi nuovi atei hanno rilasciato varie interviste e preso parte a molti dibattiti pubblici; dibattiti ai quali ho dedicato particolare attenzione. Forse a sorpresa, il tema di Dio risveglia un vasto e profondo interesse – anche tra quanti affermano che Dio non esiste. A dire il vero, i negazionisti si rivelano essere decisamente appassionati di Dio.
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Madoff in prigione: «Sono colpevole» Bernard Madoff ha ammesso la truffa da 50 miliardi a Wall Street. È stato chiuso in carcere
di Pierre Chiartano a pagina 17
ROMA. «Pensiamo al bene comune». È l’invito del presidente della Camera Gianfranco Fini a maggioranza e opposizione per combattere la crisi evitando un dialogo tra sordi. La tribuna è quella televisiva di Porta a Porta dalla quale Fini rilancia la proposta dell’ex presidente di ConfinLuca dustria, Cordero di Montezemolo, degli «Stati generali dell’economia». L’obiettivo? «Guardare al di là del contingente, cercando una strategia generale. Se ci fosse da parte di entrambi gli schieramenti una maggiore capacità di ascolto delle proposte, riusciremmo a portare avanti dei provvedimenti più incisivi». L’appello del presidente della Camera arriva in un giorno particolarmente difficile per la nostra economia. Infatti, se qualcuno aveva ancora dei dubbi sulla crisi, i dati diffusi dal Centro studi di Confindustria e dall’Istat li hanno definitivamente fugati. Più cassa integrazione e meno salari: è questa la sintesi drammatica che emerge dalle cifre rese note ieri. E, come se
seg2009 ue a p•agEiURO na 9 1,00 (10,00 VENERDÌ 13 MARZO
CON I QUADERNI)
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non bastasse, l’Istat ha corretto al ribasso la stima del Pil per il quarto trimestre del 2008: diminuito dell’1,9 per cento rispetto al trimestre precedente e del 2,9 per cento nei confronti del quarto trimestre del 2007. Era dal 1980 che non si registravano cali trimestrali così forti. Secondo il Centro studi della Confindustria, la cassa integrazione si avvicina ai massimi del 1993. A febbraio il monte ore è stato pari all’1,16 per cento della forza lavoro contro lo 0,8 per cento di gennaio, mentre nel 1993 il picco era stato dell’1,4 per cento e quello nel 1994 al 2,1 per cento. Altro segnale davvero preoccupante che viene evidenziato dal Centro studi di Confindustria è quello relativo al credito. Il 9,9 per cento delle imprese italiane ha difficoltà per la carenza di credito da parte del sistema bancario. Anche se gli industriali spiegano in una nota che: «La qualità del credito in Italia rimane buona».
contro emergenza di Francesco D’Onofrio entiamo molto spesso affermare che l’Italia, comunque, non sarà più la stessa al termine di questa straordinaria crisi finanziaria ed economica. Si tratta di un’affermazione certamente veritiera ma che solo raramente cerca di andare a fondo delle prospettive con le quali è iniziata questa crisi e delle conseguenze che la conclusione, verosimilmente non imminente della crisi medesima, avrà. Sembra opportuno interrogarsi seriamente sul rapporto che vi è, perché non può non esservi, tra l’intensità e le modalità con le quali la crisi viene affrontata in Italia e cosa sarà della stessa Italia individuale, familiare e produttiva, al termine della crisi e all’inizio di una auspicata nuova stagione di sviluppo.
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NUMERO
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WWW.LIBERAL.IT
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IN REDAZIONE ALLE ORE
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Darfur. L’attentato contro gli operatori umanitari, fra cui un italiano, potrebbe aprire un periodo di grande instabilità
Rapimento ad orologeria
Otto giorni dopo la condanna di Bashir, sequestrati tre medici. Médicins Sans Frontières si ritira dalla regione. Assieme ad altre 13 Ong di Luisa Arezzo a Obama a Ban Kimoon, passando per il Parlamento europeo, tutti a indignarsi per la decisione di Al Bashir di espellere le Ong dal Darfur e a rinnovare l’appello, già lanciato nei giorni scorsi, affinché il governo sudanese annulli l’ordine. E questo mentre Medecins Sans Frontieres, in seguito al rapimento dei suoi operatori, fra cui un italiano, il medico Mauro D’Ascanio, decide di interrompere «i servizi di assistenza medica e richiamare tutto lo staff internazionale» dalla martoriata regione del Darfur. Il sequestro, che ha consegnato nelle mani dei ribelli il nostro medico vicentino, un infermiere canadese (Laura Archer) e un coordinatore medico francese (Raphael Meonier) della sezione belga di Msf è avvenuto in circostanze ancora poco chiare e ha visto entrare in azione un commando nell’ufficio di Msf a Saraf Umra - un paese a circa 200 chilometri da El-Enfadar, capoluogo della provincia sudanese del Darfur del Nord - intorno alle 20 ora locale di
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Che senso ha una giustizia che non può far rispettare le proprie sentenze? mercoledì (quando in Italia erano le 18). Dopo un primo momento in cui si è temuta una “vendetta” di Al Bashir, dopo il mandato d’arresto spiccato nei suoi confronti dal Tribunale Penale Internzionale dell’Aja il 4 marzo scorso (che Msf - secondo l’accusa del Sudan avrebbe sostenuto) il governo di Khartoum ha invece assicurato una veloce liberazione degli ostaggi, che starebbero bene, condannato il sequestro e denunciato l’atto come «un’azione utile a destabilizzare il governo», indicando fra i ribelli del Jem (Justice and Equality Movement) la mente
La sentenza del Tribunale dell’Aja non ha calcolato le conseguenze
Ora chi ci libererà dal dittatore? di Andrea Margelletti erve realmente una corte internazionale che non sia in grado di rendere effettivi “i suoi desideri”? La vicenda sudanese ne è assolutamente un chiaro esempio. Il Sudan è un Paese in stabile instabilità da molti anni. Il presidente Bashir si è reso colpevole di inenarrabili orrori per alcuni, e di terribili e colpevoli omissioni per altri. Non di meno esiste un dovere morale della comunità internazionale nei confronti della popolazione di questo doloroso Paese. Sono oramai decenni che sui media occidentali vediamo immagini di pulizia etnica nel Darfur. Non è questa la sede per discutere le ragioni di tale attività che non sono soltanto e semplicisticamente religiose, ma che hanno anche un profondo impatto sull’economia della regione. È triste rilevare ancora una volta che le sensibilità occidentali, quando si tratta di genocidi nel continente africano, improvvisamente si attenuano. Citiamo il Ruanda solo come uno dei tanti tristi casi. È vero, esiste un doppio standard di valutazione: quando si tratta di massacri vicini alle porte di casa nostra o ancora peggio in sistemi politici riconducibili a ideologie nelle quali credono ancora molti cittadini europei, im-
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mediatamente deve partire un’operazione di pace. Ora il presidente Bashir è sotto la pesante lente di ingrandimento del ricco mondo occidentale, ma la delibera del tribunale internazionale dell’Aja quali risultati concreti è in grado di portare? Non si vede al momento una credibile alternativa democratica all’attuale leadership di Khartoum, nessun Paese è lontanamente intenzionato a invadere il Sudan per catturare il criminale. Cosa dovremmo aspettarci quindi, che sia il popolo stesso a liberarsi del tiranno? È possibile quindi che il tribunale dell’Aja divenga una sorta di volano della democrazia, per alcuni, o una sorta di pericoloso megafono che incita all’insorgenza per altri. Quello che pare invece evidente è che questo sia l’ennesimo “pasticciaccio”, dove realtà che dovrebbero applicare con saggezza la legge si muovono come se potessero giudicare in un mondo ideale e non nel mondo in cui viviamo.
del rapimento. Con il passare delle ore, però, ha preso piede l’opzione di un’azione di banditismo. Secondo informazioni ancora non confermate, infatti, i responsabili avrebbero chiesto denaro in cambio del rilascio degli ostaggi. Le trattative, al momento della chiusura del nostro giornale, sono ancora in corso, mentre la Farnesina ha fatto sapere di aver «avviato tutte le necessarie azioni per la positiva soluzione del caso» e chiesto il silenzio stampa. Dopo il verdetto della Corte Penale dell’Aja Khartoum ha espulso - fino ad oggi - 13 organizzazione non governative. Dal Darfur meridionale e occidentale sono state cacciate tutte le equipe di Msf, ma nel nord continuavano a lavorare i team di Spagna, Belgio e Svizzera. L’espulsione è stata ordinata il 5
Presidente Ce.S.I.
marzo e da allora, secondo l’Onu, oltre 180 cooperanti stranieri hanno abbandonato il tormentato Paese; mentre un centinaio è ancora in attesa del visto per partire.
Dal 2003 la guerra nel Darfur è una delle emergenze del pianeta, con più di 300mila morti e oltre 2,7 milioni di sfollati, le cui condizioni - senza le Ong internazionali - sono destinate a peggiorare drammaticamente. Ma, e questo è il punto - non era assolutamente prevedibile - nel momento in cui si decide di emettere un mandato di arresto per un Capo di Stato nel pieno delle sue funzioni, che quest’ultimo, accusato di crimini contro l’umanità, non la prenda bene e decida per un giro di vite che possa mettere ancor più ginocchio la popolazione del Darfur? Seppur favorevoli al lavoro del Tribunale dell’Aja, è o non è - anziché strac-
ciarsi le vesti per l’espulsione delle Ong - lecito chiedersi che senso ha una giustizia che non ha i mezzi per far rispettare le proprie sentenze? Lo stesso Luis Moreno Ocampo, procuratore capo del Tpi, ha dichiarato al canale satellitare Al-Arabiya che non «invierà nessuno ad ammanettare il presidente sudanese». E nessuno ci ha ancora spiegato chi dovrebbe andarlo ad arrestare. Il Tribunale, creato sotto l’egida dell’Onu nel 2002 con il Trattato di Roma, è attualmente riconosciuto da 108 Stati. Ma tra i Paesi che non lo hanno riconosciuto, ci sono grandi potenze come gli Usa, la Russia, l’India, la Cina, Israele e molti Stati africani e arabi. La Cina, che ha enormi interessi economici in Sudan, e i regimi arabi, si sono già mobilitati per chiedere una sospensione della sentenza, come prevede un articolo del Trattato, attraverso una risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu.
Mentre Bashir ha già accettato l’invito al prossimo summit della Lega Araba a Doha con le autorità del Qatar che non hanno alcuna intenzione di imprigionarlo. D’altronde, non fa una piega che i leader della Cina e del Medio Oriente, che violano quotidianamente i diritti umani, e che temono che il Tribunale possa un giorno emettere una sentanza contro di loro, difendano Bashir. Inoltre, il mandato d’arresto mette in difficoltà gli Stati Uniti per implementare il trattato di pace con il Sud del Sudan, che prevedeva, fra l’altro, elezioni generali nel 2009 e un referendum per l’autodeterminazione della regione nel 2011. Un processo evidentemente ora sospeso. Non solo: nel rapporto del Tpi, benché si faccia menzione del possibile caos interno generato dal mandato d’arresto, si specifica che quest’ultimo potrebbe tornare utile a far crollare il regime del dittatore, di fatto, a livello internazionale, delegittimato. Ma chi dovrebbe, un domani, sostituirlo?
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L’opinione di John Bolton, ex ambasciatore Usa al Palazzo di vetro
«Moreno Ocampo ha bloccato l’Onu» di Massimo Fazzi a sentenza della Corte penale internazionale e il mandato di cattura spiccato contro il presidente del Sudan «hanno sparigliato le carte in mano alle Nazioni Unite. Dopo questo gesto, l’Occidente si trova impigliato in una situazione molto scomoda, che ricadrà sulla pelle della popolazione locale. La Corte si è dimostrata quanto meno irresponsabile». È il durissimo giudizio espresso a liberal da John R. Bolton, ex ambasciatore degli Stati Uniti all’Onu, che commenta lo stallo del Paese africano e il ruolo “incosciente”dei giudici internazionali. Ambasciatore, cosa pensa delle agitazioni che continuano a scuotere il Sudan e qual è, oggi, il ruolo del presidente Omar al Bashir? Credo che la situazione si sia deteriorata, dopo la sentenza della Corte penale internazionale. Questo è il motivo per cui ritengo che quel verdetto sia inappropriato ed emesso con troppa leggerezza. Sarebbe molto più opportuno – nel caso del Sudan - applicare quella che noi negli Stati Uniti chiamiamo “feel good policy”. È giusto controllare al Bashir, è giusto raccogliere prove contro i massacri da lui ordinati ed è giusto aiutare la popolazione civile in ogni modo. Ma al Bashir è ancora il presidente, e soprattutto ha il pieno controllo del suo Paese: può espellere le Organizzazioni non governative, può bloccare i visti e può – anche se è soltanto un’ipotesi – ordinare il rapimento di persone che si trovino sul suo territorio. Può continuare a guidare delle operazioni militari in Darfur, e fare in modo che sia impossibile accedere a quell’area martoriata. Le Nazioni Unite hanno messo in pratica una “feel good policy”, ma nei confronti dell’Occidente: in questo modo hanno peggiorato la situazione. La sua risposta mette in luce una grossa falla: cosa potrebbe fare la Corte penale internazionale, all’atto pratico, per eseguire la sua sentenza? È una domanda molto importante. Perché fino ad ora nessuno si è chiesto cosa fare, una volta emesso il giudizio, per costringere il destinatario a subirlo. Al momento attuale, l’Organizzazione delle Nazioni Unite dispongono di forze di pace, non di attacco. E non dimentichiamo che la popolazione locale
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In alto, profughi del Darfur. In basso, un’immagine di Msf; a sinistra: Omar al Bashir e il procuratore generale del Tpi Luis Moreno Ocampo. A destra, John Bolton
Msf: 37 anni di lavoro e un Nobel per la pace Co-fondata nel 1971 da Bernard Kouchner, attuale ministro degli Esteri del governo Sarkozy, Medecins sans Frontieres, “multinazionale dell’assistenza medica” presente in 63 Paesi del mondo, è stata insignita nel1999 del Premio Nobel per la pace. Ogni giorno con la collaborazione di circa 27mila tra medici, infermieri, logisti, esperti d’acqua e fognature, amministratori e altri professionisti qualificati - garantisce assistenza sanitaria in molte parti del mondo. Nel 2007, i team di Msf hanno effettuato più di 8.500.000 visite mediche, curato 1.300.000 casi di malaria, vaccinato 2.5 milioni di persone contro la meningite e 430mila bambini contro il morbillo, effettuato più di 53mila interventi chirurgici, assistito 12mila donne vittime di violenza sessuale, aiutato a nascere più di 100mila bambini, fornito il trattamento antiretrovirale a 112mila persone sieropositive.
Le fazioni del Darfur che lottano contro il regime di Khartoum non sono migliori di Al Bashir. Il fatto di essere avversari del presidente sudanese non gli conferisce automaticamente delle credenziali democratiche. Khalil Ibrahim, il capo del Jem, uno dei movimenti dei ribelli del Darfur, non è un “libertador”. Per la cronaca, Ibrahim, nato in Darfur e appartenente alla tribù Zaghawa, è stato ed è tuttora un seguace di Hassan al-Turabi, il chierico che ospitò Bin Laden in Sudan. L’impressione, come sottolinea bene l’esperto di cooperazione internazionale Barducci, è che in questo affaire del mandato di arresto del Tribunale Penale sia mancata totalmente la politica internazionale. E le idee chiare su come spodestare un dittatore.
sarebbe sottoposta a un rischio troppo grande per pensare a soluzioni non ortodosse. Mi devo ripetere, ma ritengo che la sentenza della Corte sia stata programmata per ottenere un risultato politico, non giuridico e tanto meno umanitario. È chiaramente una sfida che nessuno potrebbe ignorare, e al Bashir non è certo un presidente democratico. O un amico delle istituzioni internazionali che considera vicine all’Occidente e prevenute nei confronti del resto del mondo. Cosa pensa possa fare, ora, la comunità internazionale per aiutare il Sudan? Ritiene corretta la politica morbida di Pechino e degli Stati africani nei confronti di Khartoum o pensa sia più utile un atto di forza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite?
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Era necessaria una politica più accorta, senza colpi di mano. Grazie alla Corte, l’Onu non potrà fare più nulla per fermare il leader di Khartoum
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Credo che sia molto difficile dare una risposta a questa domanda. Di nuovo, la mano della Corte ha sparigliato le carte in mano all’Onu, perché una risoluzione del Consiglio di Sicurezza a favore di una sospensione della sentenza sarebbe interpretata – da al Bashir e da molti altri leader – come una sorta di lasciapassare che il Palazzo di Vetro viene costretto a concedere. Questa è una sfortunata situazione, che nasce da una gestione scorretta, irresponsabile e assolutamente non lungimirante della Corte. Certo, una politica internazionale troppo morbida darebbe il via libera a uno status quo inaccettabile. Ma non credo ci siano molti altri strumenti a disposizione dell’Occidente.
politica
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Recessione. Secondo Confindustria, il numero delle cassintegrazioni non è mai stato così alto: «La risposta deve essere eccezionale»
Lo spariglio di Fini Il presidente della Camera: «Stati generali dell’economia» e rilancia un patto fra governo, opposizioni e parti sociali di Franco Insardà segue dalla prima Sulla riforma delle pensioni è ritornato anche il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini che, a margine della presentazione del libro di Arnaldo Forlani “Potere indiscreto”, ha detto: «Siamo molto rammaricati che il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, non abbia colto l’opportunità di una riforma delle pensioni che è indispensabile». Pier Ferdinando
Con una battaglia a colpi di spot tra governo e opposizione non si va da nessuna parte».
Gianfranco Fini ha ripreso anche l’idea di un “patto generazionale” per facilitare l’elevazione dell’età pensionabile delle donne che lavorano nel pubblico impiego a 65 anni.
Casini: «Siamo rammaricati che Sacconi non abbia colto l’opportunità di una riforma delle pensioni che è indispensabile»
Sulla riforma delle pensioni, infatti, Fini ha spiegato: «Se a una madre si chiede sei disposta a lasciare il lavoro qualche anno più tardi dando dei vantaggi ai tuoi figli? Non credo che quella donna abbia nulla in contrario. Se invece - ha obiettato il presidente della Camera - si innalza l’età senza dire con trasparenza come le risorse rese disponibili dalla riforma verranno utilizzate dallo Stato, è chiaro che il cittadino tende a non fidarsi. Sono d’accordo a fare un patto generazionale, ma va spiegato bene e applicato non appena entri in vigore l’eventuale innalzamento dell’età pensionabile».
E le donne sono uno degli anelli deboli del mercato del lavoro che in questo momento particolare stanno subendo i peggiori contraccolpi come denuncia appunto Laura Spezia della segreteria nazionale della Fiom-Cgil: «I dati ufficiali del coordinamento statistico dell’Inps dicono che nel 2008, su un totale di circa 690 mila lavoratori messi in Cassa integrazione ordinaria, le donne sono ben 380 mila, ovvero più del 55 per cento. Se si considera che nel complesso dell’industria le donne sono soltanto il 28 per cento degli occupati, risulta evidente che sono pro-
Casini ha espresso un concetto simile a quello del presidente della Camera Fini sostenendo che: «Questo è il momento di un impegno congiunto: maggioranza ed opposizione si rimbocchino le maniche per lavorare insieme nell’interesse del Paese e delle future generazioni. Tutto il resto è un tirare a campare e nella migliore delle ipotesi confidare nello stellone italiano.
I dati Istat sul 2008
Il Pil ormai in caduta libera: -1,9% in tre mesi di Alessandro D’Amato
ROMA. Il dato peggiore dal 1980. E la revisione al ribasso rispetto alle prime stime fa capire che l’ottimismo è pericoloso, sia quando sono gli istituti di ricerca ad affidarsene, sia quando è il governo a spargerlo. Nel quarto trimestre del 2008 il prodotto interno lordo italiano è diminuito dell’1,9% rispetto a quello precedente e del 2,9% nei confronti del quarto trimestre del 2007. A certificarlo è l’Istat, correggendo quindi al ribasso la stima preliminare del Pil rilasciata il 13 febbraio scorso, che aveva rilevato una diminuzione congiunturale dell’1,8% e tendenziale del 2,6%. Non si erano mai registrati cali trimestrali così forti dal 1980, ovvero dall’inizio delle serie Istat.
Recita il bollettino dell’istituto di statistiche che nel
Gianfranco Fini e, sotto, la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. Si dice sempre più spesso che quella che stiamo vivendo è la prima crisi della globalizzazione. In realtà è un modello sociale ad essere andato in crisi: è arrivato il momento di progettare il futuro
prio le donne quelle che pagano il prezzo più pesante della crisi e delle ristrutturazioni aziendali».
Commentando i dati di Confindustria il segretario dell’Ugl, Renata Polverini, ha sottolineato che: «Le previsioni sulla cassa integrazione conferma la necessità di intervenire affinché si mantengano i posti di lavoro riducendo il ricorso a processi di allontanamento dai luoghi di lavoro. Se è importante garantire gli ammortizquarto trimestre 2008 si rileva un andamento congiunturale positivo del valore aggiunto per il settore agricolo (+4,1%) e invariato per il settore degli altri servizi. Si rilevano invece contrazioni per l’industria in senso stretto (-6,2%), per le costruzioni (-3,5%), per le attività del commercio, alberghi e pubblici esercizi, trasporti e comunicazioni (-1,8%), e per il settore del credito, assicurazioni, attività immobiliari e servizi professionali (-0,1%). In termini tendenziali, rispetto al quarto trimestre 2007, il valore aggiunto dell’industria in senso stretto è diminuito dell’8,4%, quello delle costruzioni del 4%; per il settore dei servizi si è avuta una diminuzione dell’1,2%. L’agricoltura ha registrato una crescita del
zatori sociali d’altro canto è prioritario evitare che si possa abusare di queste misure. Bisogna attivare strumenti di solidarietà, sollecitare le banche ad erogare i crediti alle aziende, specialmente quelle piccole, e definire incentivi alla produzione con l’obbligo di mantenere i livelli occupazionali». Per evitare che l’aumento delle settimane di cassa integrazione faccia aumentare il rischio di ricorso al lavoro nero il segretario della Cisl Raffaele Bonanni dice: «Abbiamo chiesto
5,9%. Da registrare la soddisfazione della Coldiretti: «L’agricoltura è l’unico settore economico italiano in espansione, con una crescita del valore aggiunto nel 2008 del 2,4%». Per la Confederazione agricola i numeri confermano il ruolo centrale che può assumere il settore primario in tempi di crisi e la grande professionalità degli imprenditori agricoli, anche se, rimarca la Coldiretti, «occorre superare le distorsioni nel passaggio degli alimenti dal campo alla tavola che colpiscono i redditi delle imprese e dei consumatori».
Crolla anche il settore delle costruzioni, che registra una contrazione annua del 4%. È quanto rileva A livello con-
politica
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Bisogna cogliere l’occasione della crisi per ridisegnare la società
Progetto o emergenza? Il futuro passa di qui di Francesco D’Onofrio segue dalla prima Non occorre riandare con il pensiero alla Grande Depressione del 1929 perché è ormai di tutta evidenza che si tratta di una crisi strutturalmente diversa da quella di quasi ottanta anni or sono. Sentiamo infatti affermare che siamo in presenza per un verso della prima crisi finanziaria ed economica dell’epoca della globalizzazione; il che è vero perché è di comune esperienza il fatto che viviamo da pochi anni in una stagione radicalmente diversa dalle stagioni del passato proprio in riferimento alle due coordinate di fondo che hanno sempre caratterizzato le epoche storiche diverse le une dalle altre: lo spazio e il tempo.
che tutte le operazioni vengano fatte Regione per Regione, perchè essendo più vicine a ciò che succede sul lavoro c’è maggiore controllo sociale e meno rischi che si incorra in questi inconvenienti».
In accordo con il profilo da leader equilibrato Fini è tornato anche sulla questione dei regolamenti parlamentari, aperta due giorni fa da Berlusconi, indicandoli però come «l’ultimo anello della catena» e sollecitando piuttosto il recupero giunturale la riduzione è stata del 3,5% per le costruzioni e del 6,2% per l’industria. Stazionario il credito, le assicurazioni e le attività immobiliari (-0,1%). Le importazioni di beni e servizi in termini congiunturali hanno registrato una riduzione del 6%. Nella domanda le esportazioni sono calate del 7,4%, gli investimenti fissi lordi del 6,9% e i consumi finali nazionali dello 0,6%. Per quanto riguarda i consumi finali la spesa per le famiglie residenti è diminuita dello 0,8% quella della pa e le istituzioni sociali private è rimasta stazionaria. In termini tendenziali le esportazioni hanno registrato una flessione del 10,7%, le importazioni dell’8,8%. E viene anche confermato il dato dell’anno scorso: il Pil cor-
della cosiddetta bozza Violante: «C’è una riforma della seconda parte della Carta lasciata ai posteri nella scorsa legislatura dalla commissione Affari costituzionali: credo sia giusto ripartire da lì, dal superamento del bicameralismo perfetto e dalla diminuzione del numero dei parlamentari. Spero ancora in una legislatura costituente», ha detto il presidente della Camera, distinguendosi così, non solo dal punto di vista della «sensibilità», dal Cavaliere.
retto per gli effetti di calendario è diminuito dell’1,%. Una perdita secca, un calo così pesante che non si registrava dal 1975. L’effetto trascinamento sul 2009, chiarisce l’Istat, è pari all’1,9%. In altre parole, se la crescita 2009 fosse nulla, il Pil scenderebbe comunque dell’1,9%. Tanto per spiegare nel modo più lineare la gravità della situazione, se ce ne fosse ancora bisogno.
Male anche il deficit: secondo le previsioni della Banca Centrale Europea, l’Italia è tra i paesi che «supereranno quest’anno il valore di riferimento del 3% del Pil rimanendone al di sopra nel 2010». Secondo la Bce «il deterioramento dei conti pubblici è diffuso nei paesi dell’area dell’euro».
Per quanto riguarda lo spazio, eravamo stati abituati – soprattutto nel Settecento, nell’Ottocento e nel Novecento – a considerare le crisi come una delle manifestazioni dei rapporti tra Stati nazionali sovrani e indipendenti. Nella fase presente, soprannominata delle globalizzazione, non vi è dubbio che lo spazio è quello dell’intero pianeta perché quel che accade in una parte del pianeta – soprattutto se si tratta degli Stati Uniti d’America – ha conseguenze in ciascuna altra parte del pianeta, data l’evidente interconnessione sempre più stringente che esiste tra finanza e mercati di ogni parte del pianeta medesimo. Per quel che concerne il tempo, si può del pari affermare che viviamo ormai da qualche anno nell’epoca del cosiddetto tempo reale: internet è in qualche misura la nuova dimensione che la comunicazione interpersonale ha assunto rispetto al tempo ormai antico della posta a motore, per non parlare di quella a cavallo. Anche in riferimento alla nuova dimensione del tempo, si può pertanto affermare che la crisi investe contemporaneamente anche se in modo ovviamente diverso le diverse parti del pianeta. Se peraltro spazio e tempo assumono in questa crisi le caratteristiche nuove dell’epoca della globalizzazione è molto probabile che anche l’organizzazione politica ed istituzionale sarà in qualche modo coinvolta dalle modalità con le quali la crisi è affrontata nelle diverse parti del mondo e risulterà pertanto modificata proprio in conseguenza della soluzione che sarà data in ciascuna parte del pianeta a questa crisi. Se pertanto la crisi è globale non di meno le modifiche politiche ed istituzionali di ciascuna parte del pianeta saranno specifiche proprio in conseguenza delle diverse modalità che in ciascuna parte saranno state adottate per far fronte alla crisi medesima. Non sorprende in questo contesto che l’attenzione in qualche modo persino spasmodica venga data alle decisioni immediate, viste soprattutto nel senso di decisioni idonee a tamponare gli effetti almeno più vistosi della crisi medesi-
ma: lavoro e credito. Occorre però avere la capacità di valutare con qualche freddezza le ragioni di fondo della crisi medesima e gli strumenti che sono stati e saranno adottati nelle diverse parti del pianeta in riferimento alla crisi medesima.
Nel corso dei secoli precedenti all’èra della globalizzazione si erano venute affermando sostanzialmente due filosofie complessive che avevano conseguenze significative proprio in riferimento a lavoro e credito: la filosofia liberista e la filosofia socialista. Entrambe affrontavano il problema del rapporto tra Stato e mercato in termini anche alternativi l’una rispetto all’altra. Rispetto a queste due grandi filosofie (che costituivano in qualche modo una sorta di bipolarismo ideologico tra destra e sinistra economiche) si era progressivamente venuta costituendo, anche se con fatica, una elaborazione prevalentemente di ispirazione cristiana che aveva finito con il dar vita ad una ipotesi che era terza rispetto a queste due alternative: l’economia sociale di mercato. Per un verso si trattava di una scelta di fondo favorevole al mercato visto quale strumento preferibile per la formazione dei prezzi delle cose e quindi per la determinazione del costo del lavoro, e per altro verso di una scelta che vedeva nello Stato il soggetto chiamato a farsi carico dei problemi della povertà e del disagio non dovuti a scelte dei singoli ma in qualche modo conseguenze non volute del sistema economico generale.
Occorre avere la capacità di valutare con freddezza le ragioni di fondo della situazione e capire quali strumenti sono stati adottati nelle diverse parti del pianeta
La scelta dell’economia sociale di mercato si è venuta progressivamente caratterizzando per una diversa considerazione positiva della politica ambientalistica, sì che in tempi più recenti si è affermato soprattutto dai tedeschi che è necessario muoversi nel senso di una economia sociale di mercato ecologicamente sostenibile. La crisi in atto sta ponendo dovunque nel mondo in discussione proprio le premesse filosofiche di queste tre grandi costruzioni ideali perché si vede che Paesi tradizionalmente liberisti invocano lo Stato considerato non solo quale regolatore delle attività finanziarie ed economiche ma anche quale gestore diretto delle une e delle altre, laddove si assiste a comportamenti di Stati tradizionalmente sensibili al suo intervento in economia che muovono nel senso di un rispetto radicale della libertà di iniziativa economica. Allo stesso tempo si assiste all’espansione numericamente molto significativa della disoccupazione intesa sia nel senso di perdita di lavoro precario, sia di nuove difficoltà all’ingresso nel mercato del lavoro, sia di uscita dal lavoro per cessazione delle attività produttive. Occorrerà ritornare su tutti questi aspetti perché risulti il più possibile chiaro quale noi riteniamo possa essere e debba essere l’Italia durante e dopo la crisi tra emergenza e progetto.
diario
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Maggioranza in bilico sulle impronte Troppi assenti, con il nuovo sistema il vantaggio alla Camera si assottiglia di Marco Palombi
ROMA. «Oggi ho visto un sacco di facce nuo-
mentare del suo leader: è evidente dai comportamenti di molti degli onorevoli berlusconiani che ad essere assente, oltre al corpo, è anche lo spirito, il rispetto per la funzione che si ricopre. È questa constatazione che ha spinto il presidente della Camera Gianfranco Fini, tempo fa, a ironizzare sul fatto che alcuni vivono la loro presenza nelle istituzioni come «una condanna penale», e a ribadire ieri, durante la registrazione di Porta a porta, che «nessuno è stato costretto a fare il deputato». Adesso, con l’innovazione tecnologica, potrebbero arrivare anche le prime sanzioni: le ha annunciate sempre il presidente della Camera dopo che ieri mattina, in aula, sono riapparsi i pianisti.
ve, sembrava il primo giorno della legislatura». Roberto Giachetti, cerbero d’aula del Pd alla Camera, scherzava così coi colleghi sulle molte nuove presenze del Pdl durante le votazioni di mercoledì, quelle in cui – discutendo di election day e delle assai importanti pregiudiziali di costituzionalità su intercettazioni e ddl sicurezza – ha debuttato sul serio il nuovo sistema di voto con le impronte. Silvio Berlusconi, preoccupato per le continue assenze dei suoi deputati, aggravate peraltro da quelle della folta pattuglia di ministri e sottosegretari che a Montecitorio non mettono mai piede, ha chiamato tutti a raccolta per il debutto delle minuzie e la cosa, almeno dal punto di vista dei risultati, ha funzionato: il centrodestra ha portato a casa i suoi voti. In realtà la faccenda è più complicata: rispetto al solito il Pdl è riuscito a recuperare solo una decina di deputati (l’altro ieri i presenti erano 198 invece dei soliti 190 o quasi) e solo le molte assenze dell’opposizione hanno impedito – in questi primi due giorni col nuovo sistema – che governo e maggioranza prendessero un sonoro ceffone.
«Con le minuzie la maggioranza non esiste più», va dicendo e scrivendo da giorni il giornalista e deputato del Pdl Giancarlo Lehner. Mercoledì, ad esempio, il Pdl con-
day che proponeva di abbassare dal 4 al 3 per cento la soglia per ottenere i rimborsi elettorali. In questa occasione, la votazione numero 17, il centrodestra ha messo insieme solo 230 voti e deve ringraziare solo le assenze dell’opposizione se non è andato sotto (133 presenti su 218 per il Pd, 9 su 27 per Idv, 12 su 33 per l’Udc). A dimostrare che questo è un trend, anche nelle mozioni votate ieri – fra cui quella Franceschini sull’assegno unico di disoccupazione – la maggioranza s’è attestata sempre poco sopra i 260 presenti (cioè undici presenti in meno del solo gruppo del Pdl).
Se non si ottura questa falla, ha scritto Lehner, «ogni volta che le opposizioni decideranno di azzerare la casella degli assenti e di votare compatte, diventeranno con poco sforzo maggioranza schiacciante. Non potranno governare, ma potrebbero bloccare l’azione del governo». Ci sarebbe da saltare sulla sedia, se non fosse che l’opposizione non pare intenzionata ad approfittarne: solo mercoledì poteva, volendo, affossare il disegno di legge sulla sicurezza e quello sulle intercettazioni – due “leggi-bandiera” del governo – facendo approvare le sue pregiudiziali di costituzionalità. In tutto questo colpisce, come detto, il ritorno in scena dei pianisti: nella seduta di ieri Carmelo Lomonte dell’Mpa e Guido Dussin della Lega hanno votato anche, rispettivamente, per i colleghi Elio Belcastro e Matteo Salvini. Forse Italo Bocchino, che mercoledì aveva pronunciato una orazione funebre in memoria dei pianisti scomparsi, ha parlato troppo presto.
Tornano i pianisti: in due sorpresi a votare per colleghi che si erano rifiutati di lasciare le “minuzie”. Avanti a stento il ddl sicurezza tava 198 presenti su 270, la Lega 44 su 60, l’Mpa sei su otto: una novantina in tutto tra assenti e in missione, un numero tale da annullare qualunque vantaggio nei confronti delle opposizioni (che formalmente arrivano a 290 onorevoli). Questo ha quasi mandato in crisi il centrodestra: nella serie di votazioni dell’altroieri il margine sull’opposizione era di trenta voti nella seconda votazione ed è poi sceso a venti, a dieci e fino a quattro voti a metà pomeriggio su un emendamento al decreto sull’election
Il fatto è che il partito del predellino sconta probabilmente non solo la scarsa professionalità del suo gruppo, ma anche la continua retorica (per non parlare della pratica) antiparla-
Secondo i medici, sono duecentomila le italiane, a volte giovanissime, che soffrono di questa malattia
L’anoressia prima causa di morte per le ragazze di Andrea Ottieri
ROMA. Quando il cibo diventa un nemico: sono almeno 200 mila le ragazze italiane, a volte giovanissime, che soffrono di anoressia o bulimia nervosa. «Ma tenuto conto dei casi atipici e di quelli non classificati, il numero potrebbe anche triplicare», spiega Giovanni Spera, ordinario di endocrinologia e malattie metaboliche dell’Università Sapienza di Roma. L’esperto, nel corso della conferenza sulle «Cure coercitive nell’anoressia e nella bulimia nervosa» che si è tenuta ieri a Roma, ha ricordato come i disturbi alimentari siano la prima causa di morte per malattia tra le ragazze di 12-25 anni italiane. «Si tratta di patologie in continuo aumento – ha poi evidenziato Roberto Ostuzzi, presidente della Sidca (Società italiana per lo studio dei disturbi del comportamento alimentare) - tanto da rappresentare ormai un vero allarme socio-sanitario.
Far accettare una terapia a queste pazienti è particolarmente difficile, e per questo spesso i problemi diventano cronici». Il rischio è molto alto: nel 30% dei casi si parla di malattia molto resistente alle cure e di cronicità, con il manifestarsi di complicanze mediche o psichiatriche, e rischi letali. Gli anni di
Per il sottosegretario al Welfare Francesca Martini, occorre adottare un «trattamento sanitario obbligatorio» digiuno finiscono per piegare il corpo e la mente. Così la mortalità per suicidio o complicanze da malnutrizione è del 10% a dieci anni dall’inizio della malattia e del 20% a venti anni.
La soluzione, secondo il sottosegretario al Welfare Francesca Martini, potrebbe essere un percorso di trattamento sanitario obbligatorio (Tso) ad hoc, ovvero «dedicato», per i casi più
gravi: l’ipotesi è allo studio nell’ambito della revisione della legge 180 sull’assistenza psichiatrica. «L’anoressia è una patologia in crescita - ha detto Martini intervenendo al dibattito - anche nell’età pediatrica. È fondamentale - ha proseguito - la diagnosi precoce ed una maggiore informazione rispetto al problema, anche da parte dei medici». Quanto all’ipotesi di Tso nei casi più gravi, ha spiegato, «non si può pensare ad una sua applicazione tout court, bensì ad una forma di Tso specifico che preveda la disponibilità di accoglienza in centri specializzati e non il passaggio attraverso i servizi di salute mentale, che a questo riguardo risulterebbero inadeguati». Martini ha quindi posto l’urgenza di strutture dedicate, in cui ci sia la continuità di trattamento per le pazienti, ricordando come in Italia non tutte le regioni siano dotate di strutture specifiche. Occorre, ha concluso, mappare il territorio per capire la diffusione delle patologie ed evidenziare le carenze strutturali.
diario
13 marzo 2009 • pagina 7
Pesa la crisi sulla tradizionale classifica di ”Forbes”
Il rilancio del territorio attraversato dalla Tav
Diminuiscono i miliardari. Ferrero primo italiano
1,387 miliardi di investimenti per l’area Torino-Lione
ROMA. La crisi colpisce anche
TORINO. Il piano strategico di
il patrimonio dei miliardari. Tanto che, rispetto allo scorso anno, un terzo esce dalla celebre classifica di Forbes: un anno fa erano 1.125, oggi sono 793, e hanno perso circa 2mila miliardi di dollari. Anche in testa alla graduatoria pesano gli effetti dello tsunami finanziario che ha attraversato il 2008. Torna in prima posizione Bill Gates, con 40 mld di dollari, seguito dall’americano Warren Buffet, con 37 miliardi, e dal magnate messicano delle telecomunicazioni Carlos Slim con 35. Ma per tutti e tre si registrano forti perdite: il patron di Microsoft un anno fa godeva di una fortuna di 58 miliardi, Buffet di un patrimonio superiore ai 62 miliardi e Carlos Slim di 60 miliardi di dollari. In totale, fanno 68 miliardi di dollari in meno. Per arrivare ad un nome italiano è necessario scendere alla quarantesima posizione, occupata dal padre della Nutella, Michele Ferrero, con un patrimonio valutato intorno ai 9,5 miliardi di dollari. Seguono, a distanza, al settantesimo posto Silvio Berlusconi e famiglia con 6,5 miliardi di dollari e Leonardo del Vecchio di Luxottica, al settantunesimo posto con 6,3 miliardi. Per trovare altri italiani bisogna scendere di molto. Si arriva a
sviluppo destinato all’area interessata dal progetto della Torino-Lione è stato presentato ieri nel capoluogo piemontese a conclusione dei lavori del comitato di pilotaggio. Si tratta di un’area che interessa il territorio di 71 Comuni, per un’estensione di circa 100 km, in cui risiedono più di 1,5 milioni di abitanti. Per realizzare il piano, è stato necessario un anno di lavoro con il Censis, l’Ires e altri esperti, per arrivare a un documento condiviso
«Dialogo aperto con Gerusalemme» Il Papa incontra la delegazione del Gran Rabbinato di Vincenzo Faccioli Pintozzi ancora il riferimento alla conoscenza e al dialogo il perno su cui Benedetto XVI poggia per il dialogo con il mondo ebraico. Ricevendo ieri in Vaticano la delegazione del Rabbinato di Gerusalemme, infatti, il papa tedesco ha ricordato il suo prossimo viaggio “da pellegrino” in Terra Santa e ha richiamato le radici comuni dei due grandi monoteismi. Nessun accenno, con i rabbini, alle recenti polemiche sui lefebvriani negazionisti e alle questioni legate alla nomina episcopale di un sacerdote austriaco. Il pontefice apre il suo discorso con un richiamo al predecessore, Giovanni Paolo II, che «ha iniziato quel dialogo in cui siamo ora impegnati». Il papa ripercorre poi la storia degli ultimi anni di confronto con quelli che, in più occasioni, ha definito “i nostri fratelli maggiori”: «INon soltanto è cresciuta l’amicizia fra la Commissione cattolica per il dialogo con gli ebrei e il Rabbinato, ma siamo stati in grado di riflettere su quegli importanti temi che sono rilevanti per le tradizioni ebraiche e cristiane. Dato che entrambi riconosciamo l’importante e ricco patrimonio spirituale composto da quel dialogo basato sulla comprensione e sul rispetto reciproco». La conclusione dell’udienza è riservata al prossimo viaggio del pontefice in Israele, previsto per maggio: «Mi sto preparando per visitare da pellegrino la Terra Santa. La mia intenzione è quella di pregare in maniera particolare per il prezioso dono dell’unità e della pace dentro quella regione e nell’intera famiglia umana. Possa la mia visita rendere inoltre ancora più profondo il dialogo della Chiesa con la popolazione ebraica, di modo che, insieme ai cristiani ed anche ai musulmani, possano vivere in pace e armonia in questa Terra Santa». Nessun accenno, dunque, alle polemiche che nelle scorse settimane hanno agitato il rapporto fra ebrei e cristiani. Dopo il caso Williamson, moltissimi - anche nella Chiesa - avevano chiesto alla Santa Sede una presa di posizione più dura sulla questione. E, pur senza inquinare l’udienza alla delegazione del Rabbinato, il papa
È
ha risposto anche a loro. Con una lettera inviata ai vescovi di tutto il mondo, resa pubblica sempre ieri, Benedetto XVI ha usato frasi molto forti per esprimere la sua amarezza di fronte agli attacchi e all’ostilità di alcuni ambienti cattolici dopo la sua decisione di revocare la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani. Nel testo, il papa cita la lettera di San Paolo ai Galati - nota all’epoca come una delle comunità cristiane meno unite - per affermare che anche nella Chiesa di oggi, proprio come allora, «ci si morde e ci si divora».
Quanto alla vicenda del prelato lefebvriano, papa Ratzinger scrive: «Una disavventura per me imprevedibile è stata il fatto che il caso Williamson si è sovrapposto alla remissione della scomunica. Il gesto discreto di misericordia verso quattro vescovi, ordinati validamente ma non legittimamente, è apparso all’improvviso come una cosa totalmente diversa: come una smentita della riconciliazione tra cristiani ed ebrei, e quindi come la revoca di ciò che in questa materia il Concilio aveva chiarito per il cammino della Chiesa». Nelle parole di Benedetto XVI emerge tristezza, dato che «proprio la riconciliazione tra cristiani ed ebrei fin dall’inizio era stato un obiettivo del mio personale lavoro teologico». Il pontefice aggiunge: «Sono rattristato dal fatto che anche alcuni cattolici, che in fondo avrebbero potuto sapere meglio come stanno le cose, abbiano pensato di dovermi colpire con un’ostilità pronta all’attacco. Proprio per questo ringrazio tanto più gli amici ebrei che hanno aiutato a togliere di mezzo prontamente il malinteso e a ristabilire l’atmosfera di amicizia e di fiducia». Il caso Williamson «ha suscitato all’interno e fuori della Chiesa cattolica una discussione di tale veemenza quale da molto tempo non si era più sperimentata». In conclusione, il papa esprime il desiderio di «ringraziare di cuore tutti quei numerosi vescovi e fedeli, che in questo tempo mi hanno donato segni commoventi di fiducia e di affetto e soprattutto mi hanno assicurato la loro preghiera».
Benedetto XVI: «Sono pronto al viaggio in Terra Santa. Da pellegrino pregherò per la pace nella regione e nel mondo»
Giorgio Armani al duecentoventiquattresimo posto con 2,8 miliardi.
L’effetto crisi modifica notevolmente anche la geografia della ricchezza mondiale. Soprattutto per le perdite registrate dai miliardari russi, indiani e turchi. New York è tornata ad essere «Paperopoli», con 55 super ricchi, rimpiazzando Mosca, che l’anno scorso ne aveva 87 e oggi ne conta «solo» 32. Ad uscire come assoluto vincitore dall’anno della crisi è il sindaco della Grande Mela, Michael Bloomberg. È l’unico magnate a non aver accusato perdite, avendo anzi incrementato il proprio patrimonio da 11,5 a 16 mld di dollari. Secondo Forbes, è oggi l’uomo più ricco di New York.
che entro il 30 marzo sarà ufficializzato al Ministero delle infrastrutture per il finanziamento. Particolarmente soddisfatto il presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta: «L’obiettivo che ci siamo posti con il Piano strategico – ha commentato - è stato quello di fare in modo che questo territorio potesse ritrovare una coesione ed un progettualità unitaria».
Sono previsti interventi a breve (5 anni), medio (10 anni) e lungo periodo (20 anni) in cinque ambiti (mobilità sostenibile, sviluppo economico sostenibile, riqualificazione ambientale e territoriale, messa in sicurezza del territorio, sviluppo integrato del territorio montano) con un volume di investimenti dell’ordine di 1,387 miliardi di euro, di cui il 46% del totale di co-finanziamento statale. All’incontro ha partecipato anche il commissario del governo Mario Virano, presidente dell’Osservatorio tecnico sulla Torino-Lione, che sul problema della finanziabilità delle opere in un momento di grande crisi economica, ha invitato il comitato di pilotaggio «a identificare in tempi brevi, all’interno del piano strategico, gli interventi direttamente imputabili al progetto della Torino-Lione e selezionare le opere chiave, indispensabili, fra quelle previste nel breve periodo, in modo da poter facilitare l’assunzione di impegni cogenti da parte del governo».
politica
pagina 8 • 13 marzo 2009
Poltrone. Voci di una soluzione per Viale Mazzini: una promozione interna che aprirebbe la girandola delle nomine
La Rai si è Riotta? Il direttore del Tg1 corre per la presidenza con il sostegno di An e di una parte del Pd di Francesco Capozza
ROMA. Gianni Riotta presidente della Rai? Secondo un’indiscrezione del quotidiano online Affaritaliani.it sarebbe questa la carta di Dario Franceschini per superare lo stallo dopo il rifiuto di Ferruccio De Bortoli e il no del premier Silvio Berlusconi alla riconferma di Claudio Petruccioli. Una scelta, quella del direttore del Tg1, che - sempre secondo Affaritaliani - sembrerebbe gradita anche al Pdl. O almeno a una sua parte. L’idea di mandare Riotta al vertice della Rai trova sostenitori soprattutto in An. «È un professionista di caratura internazionale. Che in questi anni, da direttore del Tg1, ha garantito qualità del prodotto e pluralismo. Se la proposta
Rai da New York. Una “buonuscita”che i boatos di Viale Mazzini assegnano da tempo proprio all’ex vicedirettore de La Stampa per la scontata rimozione dalla direzione del telegiornale. Il nome di Riotta trova comunque sostenitori nel centrodestra anche al di fuori di An. Per Gianfranco Rotondi, ministro per l’Attuazione del programma di governo, «magari fosse vera l’intesa sul nome di Gianni Riotta per la presidenza Rai: si chiuderebbe in bellezza una vicenda indecorosa nei tempi e nei modi».
«Il direttore del Tg1 ha dato in questi anni prova di grande professionalità ed equilibrio. Sareb-
Nel pranzo di mercoledì con Berlusconi, Fini ha nuovamente sponsorizzato Mauro Mazza alla direzione del Tg più importante. Questo il motivo dell’entusiasmo, adesso, a via della Scrofa dell’opposizione per la presidenza della Rai fosse Riotta sarà facile trovare la necessaria convergenza», ha affermato Italo Bocchino, vicepresidente del gruppo Pdl alla Camera.
Per Domenico Nania, vicepresidente del Senato, «se fosse quello di Gianni Riotta, direttore del Tg1, il nome indicato per la presidenza della Rai, sarebbe un buon nome di qualità e non una seconda scelta». Lusinghe che possono suonare come una captatio benevolentiae, considerato che ad An piacerebbe l’avvento di Mauro Mazza alla direzione del Tg1 (candidatura che, secondo alcune ricostruzioni giornalistiche sarebbe stata caldeggiata dallo stesso Gianfranco Fini durante il pranzo di ieri a Montecitorio con Berlusconi). L’operazione-Riotta potrebbe riaprire i giochi anche per la scelta del nuovo corrispondente
be l’uomo giusto per uscire da una situazione che è ormai divenuta insostenibile», assicura Stefania Craxi. Luciano Sardelli, membro della Commissione di Vigilanza Rai in quota Mpa, ha già una richiesta per Riotta, in caso di nomina al vertice di Viale Mazzini: «il Movimento per le autonomie chiederebbe subito all’attuale direttore del Tg1, proprio riconoscendo la sua professionalità, di dimostrare diversa attenzione ed equilibrio verso il Mezzogiorno, di cui anche la sua testata quotidianamente offre una immagine non completa».
Se nel centrodestra si sono levate molte voci plaudenti all’eventualità che sul direttore del Tg1 possa convergere la maggioranza parlamentare necessaria per portarlo al piano più alto di viale Mazzini, dal Pd - pur non essendoci smentite sul nome di Riotta - sono in molti a frenare. «Il vertice Rai deve essere nominato al più presto, al di là delle valutazioni e delle polemiche politiche.
Ma gli stessi vertici di viale Mazzini non devono essere il dell’improvvisazione, frutto delle casualità e delle più o meno interessate autocandidature. Una ragione in più per evitare di confrontarsi con il gossip e con la moltiplicazione dei candidati a cui assistiamo in questi giorni» ha affermato Giorgio Merlo vice presidente democratico della Commissione di Vigilanza. «Da qualche giorno leggiamo sui giornali, e oggi sulle agenzie, nomi di possibili presidenti della Rai. E’ un esercizio fastidioso, frutto di ricostruzioni inventate o molto spesso anche interessate» è stato poi il commento di Piero Martino, portavoce del segretario del Partito Democratico. E proprio il segretario del Pd, Dario Franceschini, in un’intervista a L’Espresso in edicola oggi si è lamentato perchè «questo è l’effetto di una legge assurda, che prevede la maggioranza dei due terzi nella commissione di vigilanza per scegliere il presidente, nel contesto di un Cda già politicizzato». Franceschini ha poi aggiunto: «Io sono stato costretto a una trattativa sgradevole proprio da questa legge. In ogni caso, ci impegneremo a fondo per cambiarla». Dall’Italia dei valori, già fuori da ogni «sgradevole trattativa», l’unica riflessione proveniente dal partito del gabbiano che vola è che «Franceschini non ha bisogno dei nostri consigli, ma lo inviteremmo a presentare candidati che amano la Costituzione, capaci di dire no ad ogni lista di proscrizione, di opporsi alla sola idea di rea-
Qui accanto, da sinistra in senso orario: Andrea Manzella, Giuliano Amato, Ferruccio de Bortoli, Claudio Petruccioli e Paolo Mieli: in varie occasioni in queste settimane sono stati tirati in ballo per la successione al medesimo Petruccioli. Nella pagina a fianco, Linda Lanzillotta e Renata Polverini
politica
13 marzo 2009 • pagina 9
Mussolini (Pdl) e Concia (Pd) chiedono il 50% di posti alle donne
«A Viale Mazzini è ora di una direttora» di Riccardo Paradisi e almeno metà delle poltrone in palio per la direzione della Rai non sarà destinata alle donne partirà lo sciopero rosa del canone». È una minaccia e una promessa quella agitata con vigore dalla pattuglia trasversale di deputate – Alessandra Mussolini (Pdl), Paola Concia (Pd) e Melania Rizzoli (Pdl) – che ieri ha animato una vivace protesta alla Camera contro l’esclusione delle donne dalla partita per le direzioni del servizio pubblico televisivo. A dare il via alla piccola bagarre è stata proprio Alessandra Mussolini che si è alzata durante i lavori dell’assemblea protestando “la vergogna” di una Rai che sta facendo trattative solo con gli uomini escludendo da ogni coinvolgimento il genere femminile.
«S
Secondo Dario Franceschini, il sistema di nomina del consiglio d’amministrazione della Rai andrebbe radicalmente rivisto in modo da evitare le «trattative sgradevoli» di queste settimane lizzare il polo “Raiset”, di ridurre ulteriormente il pluralismo e in grado, se necessario, di sbattere la porta e rivolgersi con autorevolezza alle massime autorità istituzionali in Italia e in Europa». E’ la proposta, per la presidenza della Rai, che avanza Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo 21 e deputato, appunto, dell’Idv. «Non è importante che questo candidato sia di destra o di sinistra. A destra, per esempio, ci sono tante personalità ad avere questo profilo: Renata Polverini, Massimo Fini, Franco Cardini, Joacquin Navarro Valls. Poi, ci sarebbero insigni costituzionalisti, ex presidenti della Corte, grandi giornalisti».
La premessa del ragionamento di Giulietti è che «il presidente del Consiglio ha già annunciato la sua intenzione di voler realizzare una repubblica presidenziale a reti unificate, di espellere dal video autori, giornalisti e soprattutto tutti quei temi che gli fanno venire l’ansia a cominciare dalla crisi economica e sociale, dalla crescente povertà e dal malessere che attraversa milioni di italiani, ma che non dovrà trovare adeguata rappresentazione mediatica. Si tratta di un disegno dichiarato e che tenterà di portare a compi-
mento con inaudita brutalità, aiutato dai suoi mazzieri mediatici». Ma di nomi, in effetti, ne girano molti e dei più disparati. Dagospia, il sito di pettegolezzo e mondanità di Roberto D’Agostino, per esempio, ieri ipotizzava uno scenario ben più complesso per l’intesa sul presidente dell’ente televisivo. «E se l’antico Zavoli percorresse lo steso tragitto di Petruccioli, vale a dire da capo della Vigilanza a presidente Rai?». Questa, secondo il team dei D’Agostino Boys, è l’ennesima ipotesi spuntata ieri mattina, oltre quella riesumata di Enzo Cheli e la new entry di Giorgio Assumma, amatissima da tutti il mondo dello spettacolo. Sul fronte della direzione generale si sussurra di due vice-direttori generali: una è di sicuro Antonio Marano, l’altro non si sa ancora perché Fini deve ancora decidere (spera sempre più inultimente che Berlusconi gli conceda Mazza al Tg1). Per il telegiornale dell’ammiraglia si parla adesso, oltre a Mario Orfeo e Belpietro (quest’ultimo sempre un filo sopra gli altri, secondo i bookmakers), di Roberto Napoletano, direttore de Il Messaggero, molto caro a Gianni Letta e a Pier Ferdinando Casini. Per ora Riotta tace e «la gente mormora».
Poi dopo aver ottenuto l’attenzione dell’assemblea con questo raid a sorpresa insieme a Concia e Rizzoli si è precipitata in sala stampa, dove con toni stentorei ha formulato un ultimatum: «Se non viene rispettato l’articolo 51 della Costituzione che stabilisce chiaramente le pari opportunità tra uomini e donne assegnando la metà dei vertici Rai alle donne noi proporremo lo sciopero rosa del canone». Ma non basta: la Mussolini, alla fine della conferenza stampa alza ancora di più il tiro, chiedendo che la stessa presidenza Rai venga data a una donna: «Ci sono personalità femminili che potrebbero benissimo fare il presidente, come la segretaria dell’Ugl Renata Polverini». E sulla Polverini sarebbe d’accordo senza riserve anche Paola Concia: «È una donna molto intelligente e capace, è un nome interessante – dice a liberal l’esponente del Pd. Ma di nomi se ne potrebbero fare anche altri». Per esempio? «Per esempio quello di Linda Lanzillotta: ha fatto il segretario della presidenza del Consiglio, è una donna di grande esperienza, dotata di grande equilibrio e di visione. Sono qualità note a tutti eppure al dunque si pensa sempre agli uomini». Beh però al vertice della Rai hanno seduto anche donne come Letizia Moratti e Lucia Annunziata. «Vero – dice la Concia – anche se – puntualizza il deputato del Pd – alla luce di quanto è avvenuto poi va registrata come un’anomalia. In quei frangenti evidentemente si sono allargate le maglie del potere maschile, che poi si sono richiuse subito». E quando Concia parla di potere maschile non fa distinzioni tra potere maschile di destra o di sinistra, di maggioranza o di opposizione: «Sono responsabili di questa situazione il governo e la maggioranza ma anche l’opposizione. Anche il Pd è in gran insensibile a questo problema. Che sembra assurdo dover continuare a porre visto che il mondo è abita-
to da uomini e da donne. Non si può pensare a responsabilità solo in mano agli uomini. È antidemocratico». Insomma l’accusa è che gli uomini cooptano gli uomini, che tra maschi scatterebbe una solidarietà di genere che chiuderebbe tutti gli spazi al potere femminile. Concia la definisce addirittura “un’omosessualità politica tra uomini”. «Purtroppo – chiosa amaramente la Concia – tra donne non scatta sempre la stessa solidarietà». E così, secondo questa ricostruzione, le donne restano sempre un passo indietro. «Ma possibile che nessuno si domandi perché non c’è nemmeno un direttore di Tg che non è donna? Eppure quante giornaliste bave ci sono». Nomi? Anche qui, dalla Concia, quanti se ne vuole: «Il direttore dell’Unità Concita de Gregorio, il direttore del Secolo d’Italia Flavia Perina, Sandra Bonsanti, Maria Latella, direttore di A». Insomma di destra o di sinistra purché sia
Nella partita per la guida della tv pubblica, secondo il fronte trasversale femminile Pd-Pdl, si starebbe violando l’articolo 51 della Costituzione che garantisce le pari opportunità donna. E se si obietta a Paola Concia che ci sono ambiti, come la scuola per esempio, dove la presenza maschile è ridotta a una percentuale da riserva indiana, lei risponde che «le donne studiano di più e vanno meglio nei concorsi».
Alessandra Mussolini se possibile va oltre: «Ma è possibile che finito l’8 marzo le donne siano rimandate nelle cucine a lavare i piatti sporchi? È una vergogna: tavole rotonde, convegni, attestati di solidarietà, impegni presi con declamazioni retoriche sulla parità e poi un sonoro benservito. Eh no. Noi donne non ci stiamo». Per la Mussolini addirittura si «viola l’articolo 51 della Costituzione se non si garantisce il 50 per cento di presenza femminile in un ambito strategico come quello della Rai». Ma a proposito di Pari opportunità che dice del tema il ministro competente Mara Carfagna? «Bella domanda – risponde Alessandra Mussolini – comunque a noi piacerebbe che un’esponente del governo prendesse posizione». La solidarietà tra donne, appunto.
panorama
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Ritorni. L’ex-segretario democratico starebbe lavorando (nell’ombra) in vista del congresso
La rivoluzione d’ottobre di Veltroni di Antonio Funiciello
ROMA. Torna o non torna? Non ha fatto in tempo a dimettersi, neppure un mese fa, che l’assenza di Walter Veltroni è già la più ingombrante presenza nel dibattito interno al Pd. Negli ultimi giorni, paradosso dei paradossi, lo si deve proprio a D’Alema, che ha rilanciato pesante sulla roulette delle responsabilità dell’ex segretario sullo stato attuale del partito. Sulla rete è partita una massiccia campagna di marzo antiveltroniana da parte dei blog e degli aggregatori dalemiani. Su Left Wing, ad esempio, la vecchia gestione del Pd è accusata d’essere stata velleitaria e antidemocratica e di avere stillato «un micidiale veleno» tra dirigenti, militanti ed elettori. Parole grosse, ma che al momento non fanno che riportare al centro della scena l’odiato Veltroni. Quelli che in realtà potrebbero lamentarsi più a ragione delle sue dimissioni sono proprio i veltroniani, che si ritrovano a dover costruire in tempi strettissimi un percorso di distacco dalla vedovanza, per essere
IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio
pronti a giocare un ruolo nella fase congressuale.
Tuttavia, a conti fatti, nel Pd amico e nemico (che Schmidt ci perdoni) si fanno la stessa domanda: ma Walter torna o non torna? E se sì, quando torna? Se la fanno, anzitutto, i popolari e Franceschini in testa, che senza l’apporto di un nutrito battaglione di ex diessini non ha alcuna possibilità di restare segretario dopo il congresso d’ottobre. E, difatti, ha esplicitamente dichiarato di non volersi ricandidare, lasciando implicitamente intendere che solo
no che gli ex diessini veltroniani, fondamentali per rendere credibile e vincente la sua riconferma.
Veltroni ha avuto un ruolo determinante nella scelta di Franceschini come suo successore. Non è azzardato sostenere che per la prima volta nella sua vita ha fatto il capocorrente chiamando, subito dopo l’abbandono, uno per uno i dirigenti a lui vicini per convincerli a sostenere la soluzione Franceschini. E c’è riuscito quasi con tutti. L’argomento usato un mese fa per persuadere i veltroniani, inizialmente più che riottosi, ad appoggiare il suo vice è lo stesso che potrebbe indurlo a tornare in campo. Argomento che ha un nome e un cognome: Pierluigi Bersani. Così come D’Alema si è ormai ritagliato un ruolo da eminenza grigia che manovra dietro le quinte del palcoscenico democratico, Veltroni potrebbe insomma decidere di fare lo stesso, facendosi garante di quell’accordo tra popolari ed parte degli ex diessini che stava alla base della sua leadership, trovando un nuovo punto di sintesi nella persona di Franceschini. Intanto, però, Bersani ha accumulato un tale vantaggio nella strutturazione della sua proposta di governo del Pd (contro la linea del Lingotto, la vocazione maggioritaria e l’attuale forma partito) che una semplice regia occulta veltroniana contrapposta a quella dalemiana rischia ormai di risultare insufficiente.
Quando nel partito ci sarà la conta, gli uomini di Walter avranno un solo obiettivo: battere gli ex-Ds. Per questo si stanno già muovendo se glielo chiedessero in molti potrebbe dare battaglia contro Bersani. E siccome i suoi gliel’hanno già chiesto, occorre che la sua riconferma sia rafforzata da un sostegno diffuso tra gli ex diessini. Fassino e i suoi, al momento, lo sostengono. Ma si sa quanto i confini di questa componente siano labili con quella dalemiana. Prendiamo il caso del nuovo responsabile organizzazione del Pd Migliavacca, vecchio organizzatore dei Ds, entrato in segreteria in quota Fassino. Non ce n’è uno dentro o fuori il Nazareno disposto a scommettere che, nel caso di uno scontro congressuale tra Franceschini e Bersani, Migliavacca non stia col secondo. Così a Franceschini non resta-
Sconfitto dal Manchester, il tecnico interista ha preso a pugni un tifoso inglese
Processate Mourinho (per calcio molesto) cusate lo scontato gioco di parole, ma che cosa ha di speciale lo Special One? Secondo Alba Parietti, che ha visto in José Mourinho il suo uomo ideale, la follia negli occhi: «Lui pensa solo a se stesso, non gli frega niente di tutto il resto, ha la follia negli occhi, è il mio uomo ideale». Se lo prenda pure, perché una cosa è certa: il tecnico dell’Inter non è l’allenatore ideale. Chi è più importante nella squadra di Moratti: Ibra o Mourinho? Dove sarebbe oggi l’Inter senza i gol determinanti dello svedese? Mourinho ha poco da fare lo spaccone e se è vero quanto scrivono in Inghilterra, cioè che avrebbe dato un pugno ad un tifoso del Manchester United, beh, farebbe bene a pensare a quel che dice e a quel che fa prima di dire quel che pensa e vuole fare. Molti lo amano per la sua schiettezza, il suo carattere che ne fanno un gran bel personaggio. Ma proprio qui è il punto che duole: va bene il personaggio, ma a conti fatti non era meglio l’Inter di Mancini?
S
Quando lo scorso anno arrivò in Italia sembrava il profeta del gol e del bel gioco. Si mise subito in mostra per le sue conferenze stampa: determinato,
volitivo, cattivo. In una sola parola: presuntuoso. Voleva l’attenzione su di sé, prima ancora che sulla squadra. E l’ha ottenuta. Ma il campionato dei nerazzurri non è stato mai un granché: il primato in classifica è più frutto dei demeriti delle rivali che dei meriti del tecnico porUn toghese. campionato, tutto sommato, minore. La stessa eliminazione di Inter, Roma e Juve dalla Champions e il passaggio delle squadre inglesi lo confermano al di là di ogni pregiudizio. L’allenatore del Manchester, Sir Alex - Alex Ferguson - ha liquidato l’Inter di Mourinho a Milano prima che a Manchester e in casa ha giocato al gatto col topo: un gol per tempo e ha archiviato la pratica. Così Mourinho non più Mourinho e ha intonato il lamento e, sia pure sotto la nota dell’ar-
roganza, ha iniziato a fare la vittima: «Ora tutta Italia sarà felice per la nostra eliminazione». No, caro Special One, l’Italia non gioisce per l’eliminazione dell’Inter e non è neanche contenta perché tu sei andato a battere il muso: gli italiani interisti compresi - si chiedono semplicemente perché mai tu dovresti essere considerato un “mago”? Le tue magie, al momento, sul campo non si sono viste e, invece, sono balzate agli onori della cronaca le tue trovate pubblicitarie, i tuoi colpi di testa senza pallone che, se i fatti verranno confermati, ti hanno portato a dare un pugno ad un tifoso inglese che ti sfotteva: «You’re going home, you’re going home» (te ne vai a casa). Secondo l’accusa, il tecnico portoghese avrebbe dato un pugno a un tifoso
prima di salire sul pullman dell’Inter: «Poco dopo mezzanotte abbiamo ricevuto l’esposto di una persona che sostiene di essere stata colpita all’esterno dello stadio», dice una nota della polizia. Il Manchester United non ha commentato. La polizia ha chiesto le immagini della tv a circuito chiuso dello stadio Old Trafford per verificare l’accusa. Un portavoce della polizia di Manchester ha dichiarato che al momento si sta verificando l’accusa e che, in ogni caso, si tratta di «un caso di piccola entità». Sarà senz’altro vero: un cosa da niente.
Eppure, significativa. Per il Sun e il Times, infatti, il tifoso che avrebbe ricevuto in faccia un pugno di Mourinho, stava intonando con ironia «You’re going home». La scena è abbastanza verosimile: Mourinho non ci avrà visto più - la follia negli occhi secondo l’ammiratrice Alba Parietti - ed è partito col pugno. Lui ha smentito e - che sia vera o falsa la notizia poco conta - per una volta non è stato all’altezza del suo personaggio: del suo carattere, della sua collera, della sua rabbia. Mourinho non è Mourinho. E poi - lo sanno tutti l’Inter di Mancini giocava meglio.
panorama
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Imprese. Piero Sansonetti e Antonio Padellaro tentano di mettere in piedi nuovi quotidiani. In competizione
«L’altro fatto»: la sinistra cerca due giornali di Gabriella Mecucci
ROMA. La sinistra perde voti ma non la voglia di fare i giornali. Se tutto andrà per il verso giusto, Piero Sansonetti, ex-direttore di Liberazione, farà uscire il suo quotidiano fra la fine di aprile e i primi di maggio. Si chiamerà L’Altro e verrà fatto al risparmio: cinque giornalisti in tutto e un po’ di collaboratori. Il target è quello di una certa sinistra vendolianmussian- favian-verdeggiante. Insomma, libertaria e garantista, ma sinistra-sinistra. Anche se il nuovo quotidiano non sarà in alcun modo un organo di partito. L’area di sinistra è superaffollata di quotidiani.
Se si eccettua il Riformista che cerca di conquistare il coté più moderato, per il resto abbiamo in edicola: l’Unità (definito però ormai come “morente”), Il Manifesto (troppo “anni Ottanta”), Liberazione con la quale Sansonetti ha qualche conto da regolare visto che lo hanno letteralmente cacciato. Il giornale rifondarolo punta poi su un’area veterocomunista, mentre quelli de L’Altro vorrebbero collocarsi lontano da quell’anima della gauche ormai vecchia e fuori moda. Insomma, Sansonetti punta sul fatto
L’ex-direttore di “Liberazione” vorrebbe uscire all’inizio di maggio. L’ex de “l’Unità”, invece, basa il suo progetto sulle inchieste di Marco Travaglio che nessun quotidiano della sinistra al momento se la passa bene. Anzi, sono tutti in crisi. E prova a farne uno nuovo: hai visto mai trovasse la formula giusta e funzionasse? La prima risposta al nuovo quotidiano non gliela daranno solo e tanto le edicole, ma soprattutto le elezioni europee di giugno. Grazie alle urne, si potrà contare la
platea potenziale del quotidiano sansonettiano e vedere se ha un’ampiezza sufficiente, oppure è persino più ristretta di quella veterocomunista. Ma queste sono tutte cose che si sapranno in futuro. Per il momento, si sa che si sta lavorando alla costituzione di una società di cui dovrebbero far parte una trentina di piccoli imprenditori.
Metterebbero pochi soldi a testa con il risultato che il quotidiano non avrà un “padrone” vero e proprio, ma una serie di azionisti. E pochi soldi. Mentre procedono i contatti con i possibili finanziatori, Sansonetti sceglie anche i giornalisti della redazione. Ci sarà il compagno di tante avventure, Stefano Bocconetti. Ci sarà Andrea Colombo e l’ex responsabile della settore cultura di Liberazione. Quanto alle “firme” non resta che attendere le prime indiscrezioni. Per ora quelli de L’Altro sono abbottonatissimi. Giurano che non diranno una parola sino a quando non sarà costituita la società.
Se Sansonetti spera di realizzare il suo sogno in tempi brevi, sta procedendo con passi più lenti la costruzione del secondo nuovo paper gauchiste: Il Fatto. L’ex direttore de l’Unità, Antonio Padellaro si sta muovendo già da sette-otto mesi e ci va con i piedi di piombo. Il nuovo giornale sarebbe figlio della casa editrice «Chiare Lettere» che ha pubblicato – guadagnandoci parecchi soldi – gli ultimi libri di Marco Travaglio. Il titolare di «Chiare Lettere» è Lorenzo Fazio, ex Einaudi ed
Polemiche. Alle elezioni campane, chi assegnerà due preferenze, dovrà darne una a una donna
Arrivano le quote obbligatorie di Angela Rossi
NAPOLI. È stata approvata dal Consiglio regionale della Campania dopo una notte intera di discussioni che hanno visto contrapposti da un lato Udeur, An e Fi, contrari, e dall’altro Pd, Mpa, La Sinistra, Udc, Verdi e Idv che hanno votato a favore. Alle prossime elezioni si voterà quindi con la nuova legge elettorale che resta comunque basata sul sistema proporzionale. Ecco le novita: è stato abolito il listino presidenziale e quindi l’attribuzione del premio di maggioranza alle liste della coalizione vincente e che ottengono almeno il sessanta per cento dei seggi; introdotto l’obbligo, nel caso si vogliano esprimere due preferenze per altrettanti candidati, di riservare la seconda ad una donna pena l’annullamento della stessa preferenza; la previsione che nelle liste sia gli uomini che le donne non possano essere rappresentati oltre i 2/3.
liante, la definisce «fortemente innovativa con la possibilità per i partiti di mettere in campo la miglior classe dirigente possibile», il coordinatore di Fi, il sottosegretario Nicola Cosentino, è di tutt’altro avviso.
«Questa legge è illegittima – ha affermato infatti Cosentino – come illegittimo
Il sistema resta proporzionale, eliminato il listino del governatore. Per Cosentino (Fi), «assomiglia a un copione di “Scherzi a parte”»
Appena nata, però, la nuova legge sta già facendo parlare di sé e non ha mancato di suscitare polemiche. E se il vicepresidente della Regione, Antonio Va-
è l’esecutivo che governa la Campania. Senza voler entrare nel merito di un provvedimento che più che ad un assunto normativo somiglia ad un copione per Scherzi a parte, riteniamo che il progetto di riforma della legge elettorale presenti diversi profili di illegittimità che potrebbero rendere necessario un ricorso alla Corte Costituzionale. Ma al di là dei profili di legittimità della legge discussa appaiono sempre più inappropriate le iniziative che continua ad assumere un esecutivo privo di consenso popolare». «Questioni sostanziali e non di
semplice esercizio di stile che convergono – ha concluso Cosentino – verso una sola conclusione: la Campania ha bisogno di qualcosa di diverso da Bassolino e dalla sinistra se vuol tornare a essere una regione normale». Anche il capogruppo di Fi al consiglio regionale, Paolo Romano definisce la legge un atto illegittimo ed annuncia: «La partita non è chiusa. La legge così come è stata approvata è un coacervo di regole scritte ad uso e consumo di chi l’ha votata. È una legge illegittima che non assicura la presenza delle donne in consiglio». Stesso parere, infine, da parte del capogruppo Udeur, Fernando Errico: «La legge elettorale approvata oggi presenta evidenti profili di incostituzionalità e di inapplicabilità e non rispetta i territori in quanto penalizza fortemente le circoscrizioni provinciali con un numero basso di candidati».
ex Bur. Il risultato sarebbe che l’uomo forte del quotidiano o del settimanale – ancora la scelta definitiva deve essere fatta – diretto da Padellaro sarebbe Travaglio e l’asse culturale, neanche a dirlo, il “travaglismo”. La compagnia un po’ di soldi ce l’ ha, ma non ha disdegnato di chiedere in giro a qualche imprenditore dell’editoria di entrare nella compagine proiprietaria. La risposta è stata però un secco no. Essendoci di mezzo Travaglio, Il Fatto sarà un giornale molto legato a certe Procure e il dipietrismo la farà da padrone. Il target di riferimento dal punto di vista elettorale è discreto e i sondaggi lo danno in espansione. Padellaro poi potrebbe puntare sulla crisi verticale de l’Unità che, almeno in parte, ha sinora soddisfatto le brame giustizialiste di un certo pubblico. Insomma, le sconfitte elettorali non hanno spento i bollenti spiriti editoriali che si muovono a sinistra. Non avranno vita facile anche perché i giornali sono troppi e si dovranno fare una guerra sino all’ultima copia. Ciò detto, siccome è meglio un giornale in più che un giornale in meno, buona fortuna a tutti.
il paginone Un saggio in risposta ai non credenti che affronta i problemi dell’etica del nostro tempo. Perché anche i “negazionisti” sono appassionati di religione segue dalla prima Anzi, molti tra coloro che da anni non rivolgono le loro menti a Dio percepiscono improvvisamente che la questione, ora che è stata sollevata, li tocca nel profondo. La maggior parte tra loro appare priva di certezze. Un tale dibattito ci aiuta a chiarire un altro aspetto. Molti detestano buona parte di ciò che vedono o sentono sulla religione. In cima alla loro lista del disprezzo possiamo citare: i peccati di natura sessuale commessi dagli esponenti del clero a danno dei più giovani; qualsiasi manifestazione di ipocrisia ed ignoranza; la negazione dell’evoluzionismo. Altri aspetti meno ovvi rappresentano per gli atei altrettanto motivo di sdegno. Ad esempio, alcuni rimarcano che i credenti non dedichino attenzione alcuna al principio di falsificabilità. Se, ad esempio, ha luogo un evento positivo, essi rendono grazie alla “provvidenza”; se ha luogo un evento negativo, essi, allo stesso modo, ne rinvengono le cause nella “provvidenza. Si comportano come quei Verdi che attribuiscono la responsabilità tanto di un’estate calda quanto di una fredda al riscaldamento globale.
Alcune riflessioni sollevano altresì una moltitudine di interrogativi circa le pratiche e le convinzioni dei Cattolici. Strani interrogativi come questo: come mai nel Brasile d’oggi le religiose danno ai contadini analfabeti delle pillole che recano al loro interno una piccola figura di carta con le sembianze di un “santo” locale? E come mai esse non educano invece i malati all’uso dei moderni medicinali e non si preoccupano di reperirli? E non è forse disgustoso che la costruzione della Basilica di San Pietro a Roma sia stata finanziata attraverso la vendita delle indulgenze? E perché il cristianesimo si dichiara così contrario ai matrimoni fra persone dello stesso sesso, e perché la Chiesa Cattolica si rivela così refrattaria all’apertura alle donne? Maggiore preoccupazione destano i subdoli attacchi agli ebrei ed alla Bibbia cristiana. Vari atei fanno rilevare quanto sgradevole l’immagine di Dio a volte risulti nei testi sacri quanto dispotico, arrogante, crudele ed insensibile Egli appaia in alcuni passaggi. A riprova di ciò, essi indicano altri brani in aperto contrasto con la scienza, per non menzionare il comune buonsenso. Oggi, molti affermano di rintracciare consigli più saggi ed affidabili nella psicologia contempora-
nea e nelle scienze moderne. Perché attenersi ad un testo talmente inadeguato? Un testo che nel corso dei secoli è stato così spesso travisato? Ad esempio, relativamente alla giustificazione della schiavitù. E via così con altre obiezioni. Esse contengono tutte degli elementi d’interesse. Il progetto dell’ateismo non implica, dopo tutto, il rifiuto dell’ebraismo, del cristianesimo o di qualsiasi altro credo religioso. Non implica un rifiuto di Dio, di qualsiasi Dio, persino il Dio di Aristotele, di Cicerone, di Seneca e di altri “pagani” non profanati dalla cristianità o dall’ebraismo. (In sostanza, comunque, ricerche affidabili stimano che la metà degli agnostici ed un quinto degli atei credono nel Dio della ragione). La questione più spinosa concerne la totale negazione di Dio; ciò costituisce un rifiuto diretto.
La tesi contenuta nel mio libro, No One Sees God, afferma la possibilità di sviluppare un civile ed utile dialogo tra atei e credenti, nella misura in cui ci si attenga ai metodi ed alle leggi di un’indagine ragionata. Una tale tesi si è chiaramente palesata in me dopo anni di attente letture di scritti filosofici e delle opere della letteratura mondiale. Una considerevole conferma circa la conoscenza di Dio scorre attraverso tutta l’esperienza umana. Le generazioni più giovani le quali vedono l’ateismo come un elemento di
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Nuovi atei vi rispondo, ecco le tre vie che portano a Dio di Michael Novak palesa, e non è legato (come noi siamo) ai concetti di tempo e spazio. La ragione costituisce un elemento sufficiente a comprendere questi minimi ma immensamente fruttuosi insegnamenti sull’essenza di Dio. Insegnamenti appresi mediante l’osservazione e la definizione
Ciò che gli atei rifiutano di fare è permettere che il proprio senso di soggezione, maestosità e bellezza li induca a gettarsi tra le braccia della natura che continuano a ritenere inanimata
normalità costituiscono in realtà un’aberrazione. La persistente inadeguatezza della razza umana nel corso della storia ci appare come giustificazione della perenne presenza di Dio, presenza percepibile attraverso un basilare e secolare apprendimento. Ma proviamo ad affrontare tale questione anche dal punto di vista della fede cattolica. Il Concilio Vaticano I (1870) insistette sulla possibilità per l’individuo di giungere ad un determinato grado di conoscenza di Dio attraverso l’uso della ragione. L’uomo è in grado di percepire la Sua presenza, la Sua “esistenza”in ciò che lo circonda e dentro sé stesso. Attraverso la ragione, è inoltre possibile discernere ciò che Dio non è – non è un elemento materiale, in Lui la materia non si
me piuttosto solida. Noi pensiamo alla fede cristiana come ad un elemento di conferma e di complemento ma non come elemento distruttivo del lavoro della ragione.
Una mia amica mi ha riferito di essersi a lungo interessata ai conflitti, reali e potenziali, tra scienza e fede. Al tempo frequentava l’università di Chicago e, dalla lettura di un afori-
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di una concezione di giudizio realistico sul mondo che ci circonda e su noi stessi. Tali principi sono stati fatti propri da molte culture “pagane” e trasmessi in molte lingue. Come disse San Paolo nel suo famoso discorso di fronte all’altare eretto “al Dio ignoto” di Atene (Discorso dell’Areopago, Atti 17: 22-34), la Chiesa Cattolica sostiene la validità della conoscenza di Dio così come appresa dal “Libro della Natura” – vede il progetto di Dio nel creato che ci circonda. L’uomo discerne la presenza di Dio nel mondo mediante l’uso dell’umana ragione, e ciò avviene ben da prima della venuta dell’ebraismo o del cristianesimo. Noi cattolici guardiamo al Dio della natura percepito attraverso la ragione come ad una scoperta nel suo insie-
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Nuovi atei come Christopher Hitchens si distaccano dai predecessori perché ammettono di non far esclusivo affidamento sulla scienza, non essendo immuni al richiamo del mistero
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il paginone
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Nella pagina a fianco, in alto, Michael Novak; in basso, Christopher Hitchens. In basso a destra, le raffigurazioni di Aristotele e Averroè. Nelle pagine successive, Charles Darwin e lo scienziato Galileo Galilei
sma di Padre Theodore Hesburgh, concluse che, se ella avesse mai riscontrato un conflitto tra fede e ragione, avrebbe dovuto rivedere tutta la sua posizione. E inoltre disse: «Non esistono conflitti tra scienza e teologia, eccetto quando si confrontano cattiva scienza e cattiva teologia». La mia amica ha fatto di questa sua massima un affidabile principio a cui attenersi a vita, e così ho fatto anch’io, anche se ciò implica il vivere nella paziente attesa che ulteriori indagini rivelino chi o cosa abbia sbagliato. In ogni caso, No One Sees God non è stato scritto per porgere le scuse alla fede cristiana o ebraica. Lo scopo di questo libro è molto più umile. Esso intende mostrare attraverso un aperto scambio di visioni (e dunque attraverso il dialogo) con quanti oggi si dichiarano pubblicamente atei che, anche se si riscontra una radicale divisione circa gli argomenti della fede, esiste una condivisione in merito a molte tematiche accessibili alla ragione. Al fine di alimentare un dialogo positivo, ragionato e civile non è necessario che io diventi ateo o che gli atei diventino ebrei o cristiani praticanti.
Questo mi sembra il tema ideale con cui iniziare a riflettere sul modo in cui atei e fedeli affrontano la scelta che li separa. Senza ombra
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Tra credenti e non, esiste comunque una condivisione di molte tematiche accessibili alla ragione. Ma la ragione stessa porta certi individui a essere fedeli più alla razionalità che alle illusioni
di dubbio, un’indagine su un punto come questo non ci conduce ancora al Dio cristiano o ebraico. Ciò a cui perveniamo percorrendo tale sentiero è piuttosto un Dio più simile a
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quello descritto, nei tempi antichi, da Platone, Aristotele, Cicerone, Plotino, Marco Aurelio e Seneca. Una tale visione di Dio non è dissimile da quella alla luce
della quale alcuni studiosi musulmani dell’alto medioevo quali Al-Farabi, Avicenna ed Averroè ci insegnarono utili locuzioni e distinzioni. Il mio principale obiettivo consiste nel capire come mai così tanti individui, in tutte le epoche, siano giunti a percepire la presenza di Dio intorno a sé e dentro di sé. Propongo qui tre vie attraverso cui pervenire alla consapevolezza della presenza di Dio.
1) La via della bellezza Lo splendore del creato eleva il cuore verso l’infinito a prima via è la via della bellezza. Fotografie di pianeti, lune, stelle ed intere galassie scattate dal telescopio Hubble, dalla Nasa e dagli osservatori universitari incutono soggezione in molti spettatori. Ci riteniamo fortunati a vivere in una generazione in cui molte di queste meraviglie sono state
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rese visibili per la prima volta. Alcuni di noi rimangono affascinati da tali meravigliose immagini: i loro magnifici colori, la vastità degli spazi bui che li circondano, la miriade di punti di luce al di là del nostro sistema solare, i fasci di luce di stelle lontane che si fondono assieme.
Indagare il modo in cui fedeli e atei affrontano la scelta che li divide, ci conduce a una visione di Dio simile a quella Aristotele o di studiosi musulmani come Averroè
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Piuttosto incisivi risultano essere i commenti di vari atei della nostra generazione se paragonati a quelli di molti atei delle generazioni precedenti. Christopher Hitchens e Michael Schermer (direttore della rivista Skeptic) si affrettano ad insistere sul fatto che essere ateo non significa smarrire il proprio senso di soggezione o il senso del sacro e del trascendente. Hitchens descrive sé stesso ed i pensatori a lui vicini: «Non facciamo esclusivo affidamento sulla scienza e sulla ragione… Non siamo immuni al richiamo della meraviglia, del mistero e della soggezione; noi abbiamo la musica, l’arte e la letteratura». Pertanto nessuno può collocare Hitchens nel ristretto gruppo di quanti ritengono che la scienza sia l’unica via verso la conoscenza, in quanto egli conferisce particolare importanza alla poesia. Allo stesso modo, altri nuovi atei si sono distaccati dal positivismo caratteristico delle passate generazioni di atei, i quali sostenevano che l’unico sentiero verso la conoscenza passasse
il paginone
attraverso la più rigida pratica empirica, oltre che attraverso la logica e la matematica. Tali positivisti consideravano le altre forme d’indagine come meramente “emotive”. I nuovi atei si contraddistinguono per un più coerente approccio alla realtà.
Ma non è tutto. I nuovi atei insistono sul fatto che anch’essi gioiscono della bellezza della cattedrale di Chartres. Ammirando silenziosamente le sue linee gotiche che si stagliano verso l’alto, essi sono dominati dalla soggezione. Essi vi diranno che non è necessario essere credenti per rispondere alla bellezza con ammirazione e silenziosa contemplazione. Anche gli atei possono scalare le Alpi, ed il disegno della natura può togliere loro il fiato, la quiete può sbalordire momentaneamente le loro menti, antica maestà, gigantesca e silenziosa al centro dell’Europa. Ciò che gli atei rifiutano di fare è permettere che il proprio senso di soggezione, maestosità e bellezza li induca a gettarsi tra le braccia di una natura che ritengono inanimata, nella presunzione che tali sensazioni rappresentino un fatto personale. Non possono concedersi di innalzare i propri cuori in ringraziamento come farebbero con una persona. No, le loro menti razionali suggeriscono loro che quella di cui è fatta la cattedrale è solo fredda pietra; che è solo un’arida distesa viola ed arancione a ricoprire i pianeti; che quella che soffia tra i placidi monti è solo aria fredda. Dopo aver percepito la maestosità delle vette, le loro menti plasmate all’insegna del pragmatismo si rivolgono alle enormi placche in movimento nelle profondità della terra e alla costante formazione di rilievi collinari prodotto dell’erosione del sole ardente, di violente piogge, di nevischio e di neve ghiacciata. Per quanto straordinariamente belli, essi ritengono più opportuno non osservare tali fenomeni con occhio “romantico”. Fedeltà alla ragione piuttosto che intense illusioni. Ma la ragione stessa porta altri individui a riconoscere che una così grande bellezza travalica le esigenze della mera scienza e della gelida ragione. Una bellezza così intensa evoca lodi e apprezzamenti spontanei – una sorta di “bravo” alle sue origini. Le menti di quegli individui non riescono a passare dai segni dell’umano ingegno a quelli di un ingegno grande abbastanza da aver dato origine all’immensa bel-
lezza del nostro cosmo e del nostro mondo. Il cuore vuole esplodere dalla gioia, urlare la propria gratitudine. (Gioia e gratitudine sono movimenti del cuore espressi quasi quotidianamente dai credenti, raramente tra gli atei, ugualmente commossi dalla bellezza.) Per molti di noi, le vite e le opere di grandi artisti – Mozart, Shakespeare, Raffaello – ci invitano altresì a scoprire l’ingegno in una scala così al di sopra di quello umano, di un tipo così diverso da quello umano, ci invitano a scoprire che per un tale ingegno i nostri antichi progenitori coniarono l’accezione “divino”. Quella intuizione permane ad oggi nel nostro linguaggio. La forma artistica più elevata sembra trarre la sua essenza dall’estetica, dall’amore e dall’adorazione.
Una storiella dei nostri tempi narra di uno scienziato che si incontra con Dio e si lascia sfuggire queste parole: «Un tempo Tu ricopristi un grande ruolo, e noi ci leviamo il cappello in segno di deferenza. Ora però non abbiamo più bisogno di Te. Abbiamo appreso come fare praticamente tutto ciò che Tu hai fatto, e continueremo, incessantemente, ad apprendere. Oggi Tu rappresenti un anacronismo». «Dimmi di più», dice uno stupefatto Dio. «Beh, senti, Tutto ciò che tu puoi creare, possiamo crearlo anche noi. Abbiamo imparato a costruire cuori artificiali. Abbiamo creato bambini con capsule di Petri. Abbiamo sviluppato qualsiasi tipo di cura per far fronte alle malattie. Abbiamo definito metodi di
prevenzione delle epidemie che evitano quelle inutili sofferenze vissute per secoli, e che tu non hai saputo evitare». «Impressionante», dice Dio. «Potresti mostrarmi come fare?». Lo scienziato riflette un attimo, quindi dice, «Guarda questo!». Si china e raccoglie un piccolo cumulo di terra. «Fermati un attimo», dice Dio. «Non è giusto. Tenetevi la vostra sporcizia». Non è solo la
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ta biologica. Una tale unità fu da lui denominata “evoluzione”. Egli fornì così una base di coerenza teoretica che non esisteva in precedenza. Ma quella coerenza teoretica dipende sicuramente dall’intelligibilità, persino dall’ingegno, che sottende tutti i suoi studi – tutti i fossili, le ossa e tutti i reperti del passato. Nessuna coerenza intelligente, nessuna scienza. Sin da
Per molti di noi, le vite e le opere di grandi artisti ci invitano a scoprire che per l’ingegno i nostri progenitori coniarono l’accezione “divino”. Quella intuizione permane ad oggi nel nostro linguaggio bellezza della Terra e del cosmo ad essere così sbalorditiva. Ciò che sorprende è che essa ebbe origine agli albori della creazione, circa 13 miliardi di anni fa. Non vi era nulla, solo caos ed oscurità apparente. Quindi ebbero inizio i tempi. Ed improvvisamente, la scienza ora suggerisce: bang! Ma tale versione della creazione appare tanto discutibile quanto quello della filosofia antica, e forse anche maggiormente discutibile. I filosofi dell’antichità vedevamo almeno il cosmo come prodotto di una squisita intelligenza, a tal punto che la sua inerente intelligibilità ci permette di affidarci all’indagine razionale, e non al mero caso, al mito o ai bastoncini dello Shanghai. Dopotutto anche Darwin riscontrò un filo conduttore di intelligibilità che unisce generazione a generazione nelle disparate generazioni della vi-
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quel momento, Darwin elaborò una teoria al fine di eliminare la necessità di un Creatore, anche se per molto tempo egli si dimostrò riluttante a rivelare pubblicamente le sue scoperte. La teoria si basava a sua volta su evidenti regolarità che egli riscontrò nella natura e nei suoi cicli storici. Se la teoria darwiniana non dipende da un Creatore, essa dipende in ogni caso da un’intelligibilità percettibile nelle manifestazioni della natura. Anche quando Darwin scrisse della sopravvivenza del più adatto, egli faceva affidamento su altri percettibili modelli della vita biologica sul pianeta. Egli attribuì la paternità di tali modelli al caso. Beh, forse. Poco convincente in ogni caso. (Sembra palesarsi una “Volontà di non credere” così come una “Volontà di credere”). È la bellezza del creato, lo splendore delle forme ad ele-
vare in principio il cuore di buona parte degli individui fino a giungere alla percezione di un senso di potere, di bellezza e di gloria al di là delle umane capacità. Il più grande tra gli artisti terreni ne ha assaporato la meraviglia e la gratitudine. È questa bellezza, questo ingegno di intelligente coerenza, che ispira altresì legioni di scienziati a sopportare la disciplina, le lunghe ore votate alla ricerca, le delusioni ed i fragili successi che segnano il passo del progresso scientifico.
I fatti di scienza danno origine al sospetto (di molti, non di tutti) che dietro la bellezza del cosmo si celi un’intelligenza infiammata essa stessa da una sua bellezza interiore. La natura stessa del nostro ardente desiderio di comprendere, un desiderio infinito nel suo incessante flusso di interrogativi, che indaga sulle entità finite del nostro mondo, ci trasmette non solo un concetto, ma anche una tensione verso l’infinito. Se esistesse realmente, l’infinito costituirebbe l’ultimo depositario delle risposte ad ogni infinita indagine della nostra instancabile mente. La Luce Infinita che si proietta verso le infinite legioni di menti alla ricerca della luce. Lo scetticismo è positivo. Esso non costituisce un supremo impedimento. Poiché le domande fanno parte dello scetticismo. E porci degli interrogativi ci apre la via ad un tentativo di scalata della montagna. L’interrogarsi senza fine o senza limiti ci fa tendere verso l’infinito.
2) La via della comunione delle anime Avvicinarsi al trascendente e agli altri individui in nome della verità a seconda via è il cammino di comunione delle anime. E cioè la comunione di cui Anatoly Sharansky divenne consapevole quando fu rinchiuso (per lungo tempo in isolamento) nelle prigioni dei Gulag sovietici. Lì, nel cuore della tundra ghiacciata, una copia rovinata de I Salmi di Davide giunse in qualche modo sino alla sua cella, forse poiché i censori sovietici non erano in grado di comprendere il testo ebraico. Quando Sharansky iniziò a leggere, egli sentì, con sua grande sorpresa, un istantaneo sentimento di comunione con l’uomo che 4.000 anni prima aveva composto quelle lamentazioni, quelle confessioni e quei tripudi che gli parlavano con così grande immediatezza. Sharansky iniziò inoltre ad avere una vaga percezione di continuità nella comunità di
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coloro che avevano letto testi in lingua ebraica, quella comunità che nel corso dei secoli aveva preservato i salmi e li aveva riversati in quel libro sciupato che aveva raggiunto la sua cella solitaria. Questa si rivelò un’altra esperienza che gli illuminò veramente la via verso la comunione delle anime. Sharansky era
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tarono punizioni per aver perseguito le indagini che ardevano nei loro petti. Galileo era il suo eroe speciale. Un giorno l’interrogatore di Sharansky tentò di inculcargli in testa che nessuno avrebbe mai saputo nulla di ciò che Sharansky avrebbe loro raccontato. Tutto sarebbe finito in un fascicolo che nessuno avrebbe mai letto.
Lo scetticismo è in buono stato, ma non costituisce un supremo ostacolo. L’interrogarsi senza fine o senza limiti, infatti, ci fa tendere verso l’infinito. Apre la via al tentativo di scalata della montagna
un medico di professione, ed anche un medico molto bravo. Particolare rilevanza assunsero nella sua formazione la storia del pensiero scientifico ed i racconti di quegli eroi della coscienza scientifica che affron-
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Quindi l’interrogatore rimarcò che persino Galileo aveva confessato i propri “errori”, e quanto un tale atto ne aveva leso la figura storica? Il sentir pronunciare il nome del suo eroe scosse il prigionie-
ro. Ecco qui Sharansky, 340 anni dopo la morte di Galileo, tentato di rinnegare la verità. Mantendolo in isolamento per buona parte del suo periodo di detenzione, i sovietici volevano estorcere a Sharansky confessioni di crimini che egli non aveva mai commesso ed indurlo ad accusare con una falsa testimonianza altri membri della sua cerchia di complicità.
Il problema di Galileo era più complesso. Nel linguaggio biblico, il sole gira attorno alla Terra, dall’alba al tramonto. Gli studi compiuti da Galileo dimostravano che la Terra effettuava una rotazione completa sul suo asse ogni 24 ore e compiva un movimento di rivoluzione attorno al sole ogni anno. Gli interrogatori della Chiesa pretendevano che egli giurasse fedeltà alla visione biblica. Galileo ammise con rilut-
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Darwin elaborò una teoria al fine di eliminare la necessità di un Creatore, attribuendo al caso la paternità di alcuni modelli di vita biologica (teoria assai poco convincente), anche se per molto tempo si mostrò riluttante a rivelare pubblicamente le sue scoperte. Il problema di Galileo, invece, fu molto più complesso...
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tanza che la visione della Chiesa (dal punto di vista dell’esperienza comune) aveva valore. Si narra che Galileo, relativamente alla rotazione terrestre sul proprio asse mormorò a bassa voce: «Eppur si muove». L’interrogatore di Sharansky giocava sull’abiura da parte di Galileo delle proprie tesi. Sharansky intuì il piano. Galileo, il suo eroe, aveva tenuto fede alla verità, e tuttavia aveva anche abiurato. Dunque, se Sharansky avesse tradito la verità confessando crimini che non aveva commesso, e se avesse inoltre coinvolto altri con false dichiarazioni, il suo nome sarebbe stato dato in pasto al successivo prigioniero per indurre anche questi a confessare. «Vedi», avrebbe detto il successivo interrogatore alla successiva vittima, «anche Sharansky era testardo come te, ma alla fine ha detto la verità». Quella “verità” che altro non è se non la Bugia del regime sovietico. Così si lega un’anima all’altra. Così un’anima è resa dipendente dalla fermezza dell’altra, a riprova del fatto anche gli individui più umili possono tenere fede alla verità. Così sono tutti coloro che, nel corso dei secoli, hanno ricercato e servito la verità nell’alveo di una comunione. Allo stesso modo, molte anime viventi attraversarono i gironi infernali dell’apparentemente
infinita catena di prigioni del XX secolo ed appresero a loro spese che dire la verità conta e rappresenta una perla di inestimabile valore. Ciò che gli interrogatori effettivamente volevano ottenere era la complicità dei prigionieri nella Bugia Sovietica (o Fascista o Islamofascista). Il loro scopo era rendere la Bugia la forma universale del linguaggio.
E tuttavia gli avvenimenti umili ed ordinari contano, e la verità è di gran lunga più preziosa della Bugia. Per la verità è lecito mettere a repentaglio la propria vita, anche se si muore nella più totale oscurità, anche se nessuno eccetto noi stessi ed il nostro torturatore saprà dell’ultimo sacrificio. Il potere insito nella semplice verità generò in molti turbati prigionieri un attento esame di coscienza. Quale mai poteva essere l’origine di una così elevata considerazione nei riguardi della verità, anche contro gli interessi del proprio corpo e della propria stessa vita? «Cosa mai vive dentro di me, che chiede a me una così grande prova?». Questa era la seconda via nell’avvicinamento ad un’altra forma di trascendenza, intrecciata nel tessuto delle nostre vite: la dipendenza di ogni anima da una lunga tradizione di altre anime. Una dipendenza di spirito e di verità.
3) La via (assai difficile) del bene Abbandonare il male significa tendere alla consapevolezza della presenza di Dio a terza via attraverso la quale alcuni giungono alla consapevolezza della presenza di Dio ha origine dal problema del bene. C’è così tanto bene intorno a noi, e non soltanto i beni prodotto della bellezza delle montagne e dei mari, e l’intelligibilità che gli scienziati rinvengono ovunque essi rivolgano il proprio sguardo – dagli astri più distanti agli insetti più piccoli, dalle galassie al nucleo dell’atomo. Una così grande bontà è altresì racchiusa nell’essere umano. In un certo senso, il male umano è facile da comprendere. Il male è ciò che si compie quando si è privi di virtù – quando i nostri istinti più bassi costituiscono il fulcro di qualsiasi nostra azione; quando in ogni azione si inseguono propositi egoistici; quando ci si abbatte su tutti coloro che sbarrano il nostro cammino o che semplicemente ci irritano; quando si rompono i vincoli di autocontrollo anche di fronte ad una situazione tragica. (Alcune settimane fa un articolo di giornale raccontava la storia di un giovane uomo di buone maniere che nel corso di una sola notte si era trasformato in un individuo violento e criminale ed
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aveva commesso un terribile omicidio). Il meccanismo insito nel raccontare piccole bugie al fine di evitare al prossimo sofferenze o dolorosi dissidi ci sfugge facilmente di mano. E la nostra affidabilità se ne va di colpo.
Il male scorre in noi con così grande facilità che, se si osserva la realtà, sembrerà assolutamente straordinario che vi siano tra noi così tante persone di buon cuore, così tanti atti di benevolenza, così tante dimostrazioni di incredibile generosità e gratuita abnegazione per il bene del prossimo. In tale contesto, alcuni asseriscono persino che una delle sole dimostrazioni della verità del cristianesimo sia il meraviglioso impulso a compiere azioni belle e positive che esso ha trasmesso a molti tra i suoi più rigorosi fedeli, a cominciare dalle legioni dei santi conosciuti e sconosciuti. Secondo altri criteri, una delle argomentazioni di più forte detrimento di tale visione è comunque rappresentata dai peccati scarlatti commessi dai suoi membri meno degni. Ma tale argomentazione si dimostra fallace per un altro motivo: l’eroismo morale e l’umile
bontà non sono virtù che si limitano ai cristiani. La bontà è infatti così comune tra gli uomini che siamo abituati a intravedere nella natura della bontà un connotato“umano”. Quando si dice che qualcosa denota un carattere di “umanità”, ci si riferisce ad atti di bontà. Nei suoi studi relativi ai campi di concentramento nazisti, il Professor Abraham Maslow ha rilevato come svariati atti di gentilezza e di bontà si verificassero anche di fronte a simili squallide sofferenze, di fronte ad un male che non conosceva precedente. Sebbene le esistenze di noi tutti siano segnate da una serie passi falsi ed incertezze, il mondo è in perenne lotta contro il male, il quale il bene alberga negli uomini in minor misura rispetto al male. Una tale inclinazione trae origine da quella che definiamo come umanità dell’uomo (ed in alcuni casi, o almeno più limitatamente, una mancanza della stessa). Non avete mai incontrato degli amici le cui vite siano vincolate alla cura di un genitore, della consorte o di un figlio afflitti da gravi malattie? Alcuni si sobbarcano un tale impegno da anni nei confronti di perfetti sconosciuti, in ospedali
in terre remote. Uno dei fenomeni della nostra epoca che minor attenzione riceve è proprio l’opera di milioni di individui veramente di buon cuore che tutti i giorni, in ogni angolo della terra, prestano il proprio servizio.
Un tale diffuso spirito d’abnegazione, di bontà e di amore per quanti versano in condizioni di estrema indigenza ispira in noi meraviglia e stupore. Quando Platone racconta del fuoco del sommo Bene che ci guida a sé in tutte le azioni etiche della nostra esistenza; quando Dante invoca «L’Amor che move il sole e l’altre stelle»; e quandoYeats insiste sul fatto che«tutto ciò che vediamo è benedetto», le nostre menti rispondono con sono riconoscimento. Per di più, sorgono in noi interrogativi circa la natura e l’esistenza del cosmo che vanno al di là dell’ambito puramente scientifico. Mediante il suo metodo d’indagine, la scienza si impegna ad indagare solo gli elementi materiali accessibili all’indagine empirica. Essa dichiara che, al di là dei suoi confini, nessuna realtà sia rintracciabile; nessuna realtà simile per lo meno a quel Sommo Bene di Platone, Luce,
“Spirito e Verità”, Atto Puro da cui tutto trae origine, l’energia del Bene che ispira i cuori degli uomini. Di tutte le cose dell’universo, le realtà appena citate si collocano al di fuori della portata della scienza. Ciononostante, la meraviglia insita in tali manifestazioni ha dominato il pensiero dei filosofi sin dagli albori della filosofia. Per secoli, argomenti di ragione sono stati sviluppati e sottoposti ad indagine. Ed i filosofi, come di consueto, si dividono in fazioni opposte. Nel frattempo, la maggior parte degli uomini in Terra sembra essere pervenuta da sola alla percezione del bene. Gli atei eruditi hanno spesso confidato di voler credere ma di non riscontrare alcun elemento a favore di ciò. L’individuazione di conferme relativamente a tali questioni è impossibile se perseguita attraverso il metodo scientifico. Inarrestabile, l’inarrestabile problematica ricerca altre vie. Ai giorni nostri, sembra quasi che tali interrogativi turbino la tranquillità di molte persone. Quanto più laico il mondo diventerà, tanti più roghi verranno appiccati per le praterie.
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Messico. Il presidente Usa invierà la Guardia nazionale a presidiare il confine per bloccare i trafficanti
Obama dichiara guerra ai narcos di Etienne Pramotton postamenti di truppe al confine sud. Un tempo un annuncio di questo tipo poteva significare solo un evento: la guerra. Questa volta la guerra, la Casa Bianca la vuole dichiarare ai narcos. Il presidente americano, Barack Obama sta valutando la possibilità di rafforzare i controlli lungo la frontiera con il Messico, inviando le truppe. «Esamineremo se avrà senso inviare la Guardia Nazionale», ha affermato Obama nel corso di un incontro con la stampa. Le autorità americane sono preoccupate per i crescenti episodi di violenza che vedono protagoniste le bande criminali messicane. Nel 2009 si contano già mille vittime, lungo il confine. Nel 2008 i morti sono stati 5.800. Più di quelli provocati dai conflitti in Medioriente. «È inammissibile che le gang di narcotrafficanti varchino il confine per uccidere cittadini americani», ha conti-
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nuato il presidente, che ha precisato che non intende «militarizzare il confine». Obama ha comunque espresso parole di apprezzamento per l’operato del presidente messicano Felipe Calderon, «che sta lavorando duramente e sta correndo enormi rischi» per combattere il traffico di droga. Dall’interno dell’amministrazione Usa sono arrivate subito precisazioni e dati: «bisogna ricordare che oltre 200 cittadini americani sono stati uccisi in questa guerra della droga, perché erano coinvolti nei cartelli o perché erano vittime innocenti ha dichiarato Loretta Sanchez, presidente del sottocomitato per la sicurezza dei con-
Seattle, Gil Kerlikowske, è stato nominato «zar della droga», cioé direttore dell’Office of national drug control policy, è la prima. Poi è stato deciso di puntare sul recupero dei criminali, piuttosto che sulla loro incarcerazione. Entrambe le misure, scrive il Washington Post, dimostrano quanto sia lontana l’amministrazione Obama dai metodi precedentemente utilizzati.
Ma che relazione c’è tra lo «zar» – laureato all’Accademia Fbi di Quantico – e le comunità per tossici al posto delle prigioni? A dare la spiegazione è stato ieri lo stesso Kerlikowske, dopo essere stato nominato dal vice presidente John Biden – che da senatore si è occupato a lungo della lotta al narcotraffico. Lo «zar» ha spiegato che per arginare i traffici dei cartelli della droga dall’esterno, soprattutto dalle frontiere messicane, bisogna ridurre la domanda interna di stupefacenti. «Il problema della droga nel nostro Paese è un problema di sofferenza umana. E sia come poliziotto che come essere umano posso dire di aver sperimentato gli effetti che le droghe possono avere», ha dichiarato, riferendosi al suo figliastro maggiore, arrestato in passato per crimini legati alla droga. Non si sa ancora con quali fondi, ma il governo intende investire di più sulle comunità di recupero in cui inviare gli arrestati per droga che non abbiano compiuto atti violenti.
Le autorità americane sono preoccupate per la violenza delle gang. Soltanto nel 2008 i morti sono stati 5.800 fini - è essenziale che il dipartimento per la Sicurezza Interna continui a lavorare ad un piano di emergenza per bloccare il rigurgito di violenze lungo il nostro confine». Obama, comunque, ha sottolineato come si debba bloccare il flusso di «soldi e le armi che arrivano dal nord». «La droga va verso il nord, mentre dagli Stati Uniti arrivano soldi ed armi a sud - ha affermato - e così i cartelli assumono sempre più potere: il nostro obiettivo è stabilire una politica complessiva». Sono due le più importanti misure decise ieri dalla Casa Bianca: il capo della polizia di
Olanda. Giro di vite del premier Balkenende: il mercato delle droghe è nelle mani della criminalità organizzata, chiudiamo i bar
Coffee-shop (e canne libere) addio di Livia Timarche o canne libere? No party. In Olanda, dopo il No alla sigaretta nei locali pubblici e la chiusura parziale delle vetrine a luci rosse del centro storico di Amsterdam, il governo conservatore del primo ministro Jan Balkenende vorrebbe eliminare per sempre anche i mitici coffeeshop, i locali dove oggi si può comprare e fumare in piena tranquillità cannabis, hashish e marijuana. Il dibattito infiamma il Paese e nell’aria c’è una revisione generale della legge sulla liberalizzazione delle droghe leggere. Sarebbe una vera anti-rivoluzione. Seppellire la tradizione dei coffee-shop significherebbe dare l’ultimo colpa di frusta alla libertà di costumi che ha sempre contraddistinto l’Olanda. I gestori dei locali sono sul piede di guerra, ma il governo cristianodemocratico è intenzionato ad andare avanti per la propria strada.
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Togliere i coffee-shop a una città come Amsterdam sarebbe come togliere piazza Navona o Fontana di Trevi a Roma: un colpo al turismo. In tutta l’Olanda si contando oltre 800 coffee-shop. Si tratta di una giro di affari di circa due miliardi di euro l’anno, caduto negli ultimi tempi nelle mani della criminalità
organizzata straniera. Gruppi spesso marocchini, che si sono sostituiti al coltivatore fai-da-te che una volta teneva le piantine di marijuana nel giardino. La legge olandese autorizza, infatti, la vendita e il consumo delle droghe leggere, ma ne vieta la produzione e la distribuzione. La mafia marocchina controlla così le coltivazioni illegali e gestisce l’approvvigionamento dei coffee-shop del Paese. Insomma, se negli anni Settanta il governo di Amsterdam legalizzò l’uso delle droghe leggere, lo fece proprio per ostacolare il sorgere della criminalità. Ma oggi che quest’equazione viene meno, i politici si rendono conto che tenere in vita i coffee-shop crea l’effetto opposto: disagio sociale e traffici illegali di droga. È da un po’ di tempo che il vento permissivista in Olanda ha iniziato a soffiare da un’altra parte. Due i motivi principali che spingono Balkenende sulla via del proibizionismo. Uno: i coffee-shop sorgono nel pieno centro abitato, vicino a scuole, asili e ospedali. Negli ultimi tempi sono diventati luoghi per malavitosi e delinquenti e molti gestori hanno dovuto
piazzare guardie all’ingresso. La polizia afferma che negli ultimi 5 anni ci sono stati 25 morti collegati alla vendita di stupefacenti.
Insomma, non è più come prima. Due: i Paesi confinanti, Germania e Belgio, hanno iniziato a criticare il turismo della droga, ossia il flusso settimanale di ragazzi che fanno una scappata oltre confine per fumarsi una canna. Le prime chiusure forzate sono iniziate proprio in numerose cittadine di frontiera. Maastri-
La mafia marocchina controlla ormai le coltivazioni illegali e gestisce l’approvvigionamento di tutti i locali cht e Roosendaal hanno visto sparire numerosi coffee-shop. Ma entro il 2011 anche Amsterdam ne chiuderà ben 43 dei suoi 234 locali “ad cannabis”. Alle proteste dei cittadini che si lamentano del rumore e del via-vai sospetto attorno ai coffee-shop, si aggiungono dunque quelle dei Paesi vicini. Per il primo ministro olandese, aspirante a un ruolo di primo piano nella prossima legislazione europea, sono“grane”che è meglio non avere.
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Grecia. “Lotta Rivoluzionaria” chiama alla rivolta e rivendica attacchi a sedi Citibank: «Volevamo colpire degli innocenti»
Atene, incubo guerriglia urbana di Silvia Marchetti a Grecia ripiomba nel terrorismo. Dopo anni di apparente silenzio, le bombe, le agitazioni di piazza, gli assalti a negozi e istituzioni degli ultimi mesi riportano il Paese indietro ai tempi bui delle rivolte marxiste-comuniste. Ma l’escalation di violenza, riproposta l’altro giorno con l’esplosione di una bomba davanti alla filiale Citibank di Atene, fa pensare a un ritorno nel passato ancora più virulento. Fin’oggi nessuna vittima, ma non è escluso che possa arrivare. Gli analisti locali sostengono, infatti, che una nuova forma di estremismo greco, più pericolosa di quello della generazione passata stretto attorno al gruppo“Novembre 17”, stia riprendendo di mira i simboli del capitalismo, lo Stato e le forze dell’ordine. Le autorità pensavano di avere debellato la matrice terroristica interna, che ha sempre unito frange dell’estrema sinistra comunista con anarchici, studenti, no-global. Ma oggi temono che sia soltanto l’inizio di una nuova ondata di attacchi indiscriminati. I gruppi terroristici greci, attivi nel Paese da decenni, non hanno mai mirato a provocare stragi, come le milizie repubblicane irlandesi o i jihadisti islamici. Sono sorti sul modello delle Brigate Rosse italiane, seguendo la tecnica delle operazione e degli omicidi mirati, e hanno continuato la loro azione sovversiva contro lo Stato. Nascono dalla resistenza avvenuta dal 1967 al 1974 in opposizione
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IL PERSONAGGIO
alla dittatura militare dei generali e si sono sempre posti come protettori dei poveri e degli oppressi, definendosi dei “rivoluzionari urbani”che sposano gli ideali dell’anti-capitalismo, anti-americanismo e la retorica anti-europea.
Sta di fatto che oggi il Paese ha da temere, forse più di ieri. In prima linea proprio il gruppo marxista chiamato “Lotta Rivoluzionaria” che ha rivendicato gran parte delle azioni messe in atto, le bombe alle sede Citibank, nonché la granata tirata addosso all’ambasciata americana nel 2007, che sembra spinto dalla voglia tout court di spargere terrore in maniera indiscriminata. L’escalation di violenza è iniziata a fine 2008 e in soli due mesi il Paese è caduto nel vortice dell’insicurezza. I terroristi hanno voluto sfruttare l’esito mediatico delle agitazioni anti-governative di dicembre, scoppiate dopo che la polizia aveva sparato a un giovane studente. A questo, si aggiunge la strumentalizzazione della crisi economica che ha colpito anche la Grecia. Il governo conservatore viene percepito come incapace di tamponare la forbice crescente tra ricchi e poveri, l’aumento della disoccupazione e della criminalità che infesta le città greche. In una lettera dello scorso mese in cui rivendicava l’esplosione di un ordi-
gno che ha ferito un poliziotto,“Lotta Rivoluzionaria”scrive: «La crisi finanziaria è soltanto l’inizio della disintegrazione di un sistema in apparenza luccicante ma marcio dentro. Da oggi in poi dobbiamo difendere i poveri e i dannati di questa società con le armi». La rivendicazione è stata letta dagli esperti come una chiamata alle armi per altri gruppi interessati a diventare dei“combattenti della guerriglia urbana”. Nel testo mancava qualsiasi accenno all’ideologia di base che fomenta di solito i gruppi rivoluzionari. «Noi non facciamo politica, facciamo guerriglia urbana», scrivono. La paura
L’escalation di violenza è iniziata a fine 2008 e in soli due mesi il Paese è caduto nel vortice dell’insicurezza sta proprio nel cambio di strategia di questi nuovi terroristi. Dagli attacchi mirati a quelli di massa, è questo l’elemento chiave che caratterizza i rivoluzionari di oggi. Il colpire alla cieca nel mucchio. Brady Kiesling, ex funzionario all’ambasciata Usa di Atene, sta scrivendo un libro sul terrorismo in Grecia. «Stanno deviando dalla loro tradizione, - spiega non c’è più la convinzione che la vita umana sia preziosa. Ed è sempre stato questo credo a tenere per lungo tempo il Paese lontano dalla violenza estrema».
Bernard Madoff. Dai piani alti di Wall Street al monolocale della galera, un percorso tutto interno al quartiere finanziario di Lower Manhattan
Bernie il truffatore: 170 anni di carcere? di Pierre Chiartano ernard Madoff, detto Bernie, nato il 29 aprile del 1938 a New York City, è l’uomo dei record. È probabilmente l’autore della più vasta frode finanziaria commessa da una singola persona. Avrebbe vaporizzato circa 50 miliardi di dollari, attraverso la sua società, fondata nel 1960, la Bernard L. Madoff Investment securities Llc. Bernie, ieri, si è dichiarato colpevole in tribunale (ed è stato immediatamente arrestato), per una truffa che ha ingannato tantissimi di investitori in tutto il mondo. Il finanziere americano, comparso davanti ad un tribunale federale di Lower Manhattan, si è dichiarato colpevole di tutte le 11 imputazioni elencate nell’atto d’accusa. Secondo le stime del Federal Bureau of Investigation (Fbi) Madoff rischia fino a 170 anni di carcere. I giudici dovranno ora decidere se liberarlo su cauzione o trattenerlo in carcere fino alla sentenza. Era diventato uno degli gnomi di Wall Street, di quelli certificati da nomine e incarichi di prestigio, che a pochi isolati a nord di Battery Park, vuol dire molto. Era stato presidente del Nasdaq stocks exchange, la borsa dei titoli tecnologici, il salotto di pregio di quello che prima della grande crisi, era il tempio della finanza mondiale. Harvey, l’amico Pitt, ex responsabile della Sec – la Consob americana – aveva calcolato una cifra per difetto, sui danni provocati da Bernie e dal suo «Ponzi scheme», ma potremo dargli anche un altro nome, perché già Charles Dickens nel suo Martin Chuzzlewit aveva ben descritto
Ponzi nel 1910. Che cos’è? La catena di Sant’Antonio, tanto per essere chiari, dove i dividendi dei partecipanti allo schema, vengono pagati dai nuovi entrati, fino a quando la grande «aporia» come l’avrebbe definita Jaques Derrida – uno spostamento ad altri luoghi e significati del valore del denaro – giunge al collasso finale. Per Bernie quel momento è stato l’11 dicembre del 2008, quando sono scattate le manette degli uomini badge&gun di Robert S. Mueller. Poi gli arresti domiciliari, per poter preparare le memorie difensive e soprattutto per dare qualcosa in mano ai giudici.
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Il finanziere confessa davanti al giudice e viene arrestato in tribunale. Deve rispondere di 11 capi d’accusa questo tipo di raggiro. Harvey aveva calcolato intorno ai 17 miliardi, la cifra della “stangata”, somma sempre ragguardevole, se parliamo di qualcosa nato dalla «grande bugia», come l’ha definita lo stesso Madoff. I giudici federali, visti i tempi, ha largheggiato. Non si sa mai. Sono 4.800 i clienti truffati dalla frode inventata da Charles
Ieri, si è presentato in abito grigio e giubbotto antiproiettile. È arrivato sotto scorta dal suo attico di Park Avenue, con largo anticipo rispetto all’inizio dell’udienza delle 10 ora locale, le 17 in Italia. Si è fatto largo tra una folla di vittime inferocite, ad alcune delle quali il giudice Denny Chin ha permesso di parlare in aula sull’opportunità o meno di prorogare gli arresti domiciliari, in attesa della sentenza. Che potrà arrivare tra settimane, se non addirittura mesi. In caso contrario, il carcere che aspetta Madoff sarà il Metropolitan Correctional Center sulla punta sud di Manhattan, lo stesso dove era finito il finanziere italiano Raffaello Follieri. Forse di lì potrà continuare a guardare gli splendidi tramonti di Battery. Sì, a striscie però.
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Storia. Il Cremlino decise con freddezza l’holodomor, uno dei crimini peggiori del XX secolo. È arrivato il momento di fare chiarezza su ciò che è successo
L’olocausto di Stalin La grande fame del 1932 distrusse il popolo ucraino Un convegno riporta la discussione su quel genocidio di Ettore Cinnella Oggi si apre all’Università John Cabot di Roma il convegno di studi su quello che molti hanno definito l’olocausto ucraino: la morte per carestia di milioni di kulaki. Organizzato dal Guarini Instituye for Public affairs e con il patrocinio della Fondazione liberal, l’incontro - dal titolo Testimone scomodo: Gareth Jones e la carestia ucraina del 1932-33 - cercherà di approfondire l’holodomor e l’impatto sull’Europa di quegli anni.
opo il libro di Robert Conquest The Harvest of Sorrow - Raccolto di dolore, apparso in inglese nel 1986 e tradotto in italiano, per iniziativa della Fondazione liberal, nel 2004 – gli storici sia in Occidente che nell’Unione Sovietica non poterono più ignorare la spaventosa tragedia dello sterminio per fame (l’holodomor), che falcidiò la popolazione ucraina nel 1932-1933. Fino allora quei fatti raccapriccianti erano stati ricordati e denunciati pubblicamente quasi soltanto dagli emigrati ucraini. Prima del crollo del regime sovietico, in Occidente i cosiddetti “revisionisti” erano ancora pieni d’ammirazione per la Russia comunista, pur movendo in modo rispettoso critiche agli aspetti più lugubri della storia e dell’attualità dell’Urss. Reagirono con indignazione o silenzio a un libro che accusava il regime staliniano d’aver fatto morire di fame milioni di contadini in tutta l’Unione e, in special modo, in Ucraina. Per fortuna, altri studiosi occidentali (non molti, in verità), seppero cogliere il senso della ricerca di Conquest, discutendone con onestà asserzioni e conclusioni. Intanto, nell’Urss, grazie agli spiragli di libertà del post-Gorbaciov, gli storici si misero a studiare senza dogmi la collettivizzazione e la carestia. Le loro ricerche si rivelarono ben più istruttive del confuso balbettio dei “revisionisti” occidentali e animate da grande coraggio intellettuale perché, specie all’inizio della perestrojka, c’era sempre il timore che il venticello della libertà nell’URSS potesse cessar di soffiare. Dopo il crollo del comunismo e l’apertura degli archivi, molti “revisionisti” occidentali furono lesti a mutar ca-
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Fra i relatori, Karel Berkhoff (dell’Università di Amsterdam), Ettore Cinnella dell’ateneo di Pisa, Nigel Linsan Colley e Yuri I. Shevchuk della Columbia University. Al termine dei lavori verrà proiettata la prima italiana del film I vivi, di Serhii Bukovsky, girato proprio in Ucraina nel 2008. Riportiamo di seguito ampi stralci dall’intervento del professor Cannella, che analizza i fatti e le interpretazioni di questo massacro dimenticato.
sacca, convertendosi al nuovo approccio storiografico. In Ucraina, già prima dell’indipendenza, storici e pubblicisti si diedero a raccogliere materiali e testimonianze sulla carestia e sull’holodomor. Il primo sostan-
zioso frutto di tali indagini fu un grosso volume di studi e documenti uscito a Kiev nel 1990. Nel frattempo, sul finire degli anni ‘80 due nobili giornalisti avevano deciso di raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti. Grazie al loro lavoro, nel 1991 gli ucraini ebbero a disposizione una preziosa documentazione di prima mano sulla massima tragedia storica del loro Paese. Da allora è apparsa, in Russia e Ucraina, un’enorme quantità di studi e pubblicazioni sulla collettivizzazione e sulla fame. C’è tuttavia un punto che va ricordato: se un decennio fa gli storici russi e ucraini potevano ancora dialogare liberamente, in maniera fruttuosa, su temi scientifici, oggi un confronto sia pur polemico appare, se non proprio impossi-
bile, certo vieppiù difficile. L’editorialista del Corriere della sera Sergio Romano ha scritto di recente che gli ucraini farebbero meglio a smetter d’irritare i loro suscettibili vicini con l’insistere sull’holodomor. Dubito che siffatti consigli ispirati ai princìpi della più cruda Realpolitik possano essere accolti dai vasti settori dell’opinione pubblica ucraina insofferenti della tutela moscovita. Il fatto è che, con il ritorno in auge del culto di Stalin e la marea montante del furore sciovinistico e revanscistico, nella Russia di Putin la libera indagine sugli orrendi crimini dell’epoca comunista riesce ogni giorno più ardua. Gli stori-
Ioseb Besarionis Dze Jughashvili, detto Stalin, entra in Ucraina. Sotto, alcuni contadini ucraini - i kulaki - vengono indottrinati da un funzionario del locale partito Comunista sul nuovo piano agricolo deciso dal governo russo, che produrrà una carestia senza precedenti nel Paese. Nella pagina a fianco, una ragazza ucraina in una foto d’epoca
ci ucraini hanno commesso, senza dubbio, sbagli ed esagerazioni nell’approccio alla drammatica questione. L’errore più grande riguarda il numero delle vittime. Apriamo, per fare un esempio, l’istruttivo e commovente libro curato da Jurii Mytsyk L’olocausto ucraino. Testimonianze dei
sopravvissuti (Kiev 2003). Nell’introduzione alla raccolta, Mytsyk tocca i maggiori problemi storici, tra cui quello dei costi umani della carestia: il numero totale delle vittime dell’olocausto ucraino ammonterebbe, a suo dire, ad una cifra compresa tra 9 e 14 milioni. La verità è al-
cultura dustrializzazione e della collettivizzazione: aumento improvvido dell’area seminata, brusca diminuzione degli animali da tiro e da lavoro, deterioramento dei metodi di coltivazione, cattive condizioni climatiche. La stupefacente conclusione dei due dotti suona così: «Non vogliamo affatto assolvere Stalin per la carestia. La sua politica verso i contadini fu spietata e brutale. Ma la storia emersa da questo libro è quella di dirigenti sovietici in lotta contro la crisi della carestia, la quale in parte fu causata dalla loro politica errata, ma in parte fu inattesa e non voluta».
La sentenza di mezza assolu-
quanto diversa, come ha dimostrato l’insigne storico ucraino Stanislav Kul’cytsky, il quale ha calcolato intorno a 3-4 il numero dei morti per inedia. In un recentissimo libro - L’holodomor come genocidio, Kiev 2008 - egli ha ribadito le sue stime, notando come esse coincidano con gli ultimi calcoli dello studioso australiano Wheatcroft (uno dei più eminenti “revisionisti”). Questi, è bene ricordarlo, in passato tentò a lungo di minimizzare l’entità della catastrofe demografica e solo negli ultimi tempi, per così dire, si è arreso all’evidenza; ma su altre questioni, come dirò più avanti, egli è rimasto fedele a se stesso.
Il fatto è che non è facile calcolare il numero delle vittime, perché la documentazione è lacunosa (c’è il sospetto che una parte delle fonti sia stata distrutta o manipolata dal regime comunista). Su tali problemi si è soffermato lo studioso ucraino Hennadii Boriak, il quale ha coniato a questo proposito un nuovo termine: archivocidio (per analogia con genocidio). Val la pena concludere queste brevi osservazioni sui costi umani del’holodomor citando le parole che leggiamo nel saggio dedicato all’argomento da Jacques Vallin e altri (nel libro Holodomor: Reflections on the Great Famine of 1932-1933 in Soviet Ucraine,Toronto 2008): «La crisi fu tanto grave da ridur-
re bruscamente nel 1933 la speranza di vita alla nascita a 7 anni per i maschi e a 10 anni per le donne. E la cosa più sconcertante è che la carestia fu il risultato d’una deliberata azione umana, non dei capricci del clima».Quest’ultima asserzione tocca un altro aspetto, non meno controverso, della carestia: la vera natura dell’holodomor. La carestia fu un atto terroristico e un genocidio ai danni dei contadini e dell’intera nazione ucraina? Nessuno mette più in dubbio il fatto che milioni di contadini ucraini morirono di fame. Ma essi perirono perché contadini o perché ucraini? Ci fu la precisa volontà di sterminare gli agricoltori ribelli o la carestia fu il risultato di sbagli nella gestione della politica agraria? Nel dottissimo libro, pieno zeppo di dati e tabelle, dedicato all’agricoltura sovietica nel 19311933 (The Years of Hunger, Basingstoke and New York 2004), i “revisionisti” impenitenti Robert Davies e Stephen Wheatcroft hanno sottolineato le cause tecniche e climatiche della grande carestia del 19321933 sullo sfondo della frenetica in-
zione ha poco a che vedere con la realtà d’uno dei più bestiali crimini del XX secolo. La morte per fame di milioni di contadini fu, in verità, il risultato di una precisa scelta politica. In che senso? Nell’estate 1932 i massimi gerarchi comunisti non pensavano affatto d’affamare i contadini, ma anzi, in un primo momento tentarono di risolvere la grave crisi alimentare nelle campagne. Ciò è comprovato, fra l’altro, dalla lettera di Stalin a Kaganovic e a Molotov del 18 giugno 1932, nella quale il padrone del Cremlino osservava come in Ucraina una serie di distretti si trovasse «in una situazione di rovina e di fame». Fiutando la gravità della situazione, Stalin cercò di porvi rimedio con misure che, in ogni caso, non ribaltassero la politica economica seguita fino allora. Stalin, inoltre, si proponeva di migliorare la situazione economica in Ucraina, temendo che il maresciallo Pilsudski approfittasse della crisi per destabilizzare l’Urss. All’inizio, dunque, Stalin pareva incline a fare concessioni ai contadini ucraini.
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Nello stesso tempo, il gran khan di Mosca era deciso a proseguire il programma di collettivizzazione forzata e ad esigere la scrupolosa attuazione dei piani economici. Fu per sua iniziativa che il 7 agosto venne promulgata la «legge delle 5 spighe» (così ribattezzata dai contadini), che comminava la pena di morte o lunghi anni di prigione a chiunque fosse colto a rubare beni appartenenti ai colcos (le fattorie collettive). Questa politica contraddittoria andò avanti per qualche settimana. Poi, in autunno, si ebbe
Le vittime furono fra i 4 e i 6 milioni, ma gli storici si sono sempre divisi fra chi cerca una giustificazione valida e chi condanna Mosca una brusca svolta. Forse Stalin aveva pensato davvero che le concessioni promesse avrebbero indotto i contadini ucraini a portare all’ammasso quanto fissato dal piano.
Ma gli agricoltori, già provati dalla fame, non potevano dare quel che non avevano. Sentendosi più sicuri alla frontiera occidentale dopo il miglioramento dei rapporti con la Polonia, i signori del Cremlino reagirono alla generale disobbedienza interna con il più spietato terrore. Un’ondata di repressione s’abbatté sul Caucaso, sul Volga e soprattutto sull’Ucraina. Si cominciò ad estorcere i prodotti agricoli con ogni mezzo: il partito e i poliziotti perlustrarono i villaggi, razziando le derrate alimentari. Ai contadini della zona non rimase più nulla da mangiare. Ebbe così inizio la grande fame. In autunno i gerarchi comunisti decisero di sottrarre ai contadini dell’Ucraina e di altre regioni dell’Urss tutti i loro prodotti agricoli, pur sapendo che la fame già mieteva vittime. Stalin trasformò la carestia in uno strumento per domare una volta per tutte la resistenza contadina alla collettivizzazione. In tutta l’Unione Sovietica perirono di fame in quei mesi almeno 6 milioni di persone (la cifra esatta forse non si saprà mai). La catastrofe
più orripilante si ebbe nel Kazachistan, dove circa un milione e mezzo di nomadi morirono o fuggirono in Cina. Dopo la tragedia kazacha, l’holodomor fu la più spaventosa catastrofe demografica di quel periodo.
Tuttavia, si potrebbe forse cogliere una differenza tra le due immani tragedie. La morte per inedia degli allevatori e agricoltori kazachi fu dovuta, oltre che alla feroce volontà di soggiogare la popolazione nomade, all’ignoranza della reale situazione nell’Asia centrale e al caos amministrativo. Nel caso dell’Ucraina i capi comunisti sapevano bene come stessero le cose. Con la chiusura delle frontiere, la campagna ucraina venne di fatto trasformata in un gigantesco ghetto della morte, dal quale era difficile fuggire in cerca di cibo nei territori limitrofi. Alle caotiche migrazioni il governo rispose con misure poliziesche e terroristiche. Non è dunque lecito dubitare del carattere artificioso e premeditato della grande fame, che annientò il popolo ucraino. Possiamo a ragione parlare di genocidio, così come non appare fuori luogo adoperare lo stesso termine a proposito dello sterminio della popolazione nomade del Kazachistan. Una volta chiarita la legittimità del termine “genocidio” per l’holodomor, bisognerebbe precisare meglio la sua natura, stabilire cioè se si sia trattato d’un genocidio sociale (contro i contadini) o nazionale (contro l’Ucraina). La questione controversa continua a suscitare dispute accanite e interminabili. Sappiamo con certezza che, mentre la carestia terroristica falcidiava la popolazione rurale, il governo conduceva un durissimo attacco contro l’intellighenzia patriottica. La documentazione in nostro possesso non è in grado di dimostrare la correlazione tra i due crimini. Dalle fonti emerge con chiarezza che, nello stesso tempo, i contadini ucraini vennero puniti nel modo più crudele perché renitenti alla collettivizzazione e, altresì, che gl’intellettuali subirono durissime repressioni perché sognavano un’Ucraina indipendente. Non giova granché avventurarsi in ipotesi non suffragate da documenti e discettare sulle recondite finalità del genocidio ucraino. I fatti sono di per sé eloquentissimi. Milioni di agricoltori vennero lasciati morire d’inedia tra i tormenti, e scomparve il fior fiore dell’intellighenzia. Dinanzi ad un così spaventevole e barbaro misfatto, che annientò i figli migliori della terra ucraina, ha davvero senso stabilire se lo sterminio per fame ebbe finalità sociali o nazionali? Basta sapere, e ribadire con fermezza, che un intero popolo venne orribilmente straziato e letteralmente decimato, vittima sacrificale dell’imperialismo moscovita e del comunismo staliniano.
cultura
pagina 20 • 13 marzo 2009
Polemiche. Associazionismo e volontariato possono debellare il “male corporativista”
Salvare il teatro? Impariamo dagli Usa redete davvero che nelle cose della cultura sia così decisiva una diversa, più equilibrata suddivisione tra denaro pubblico e denaro privato? Ho invece l’impressione che se dietro a una iniziativa culturale c’è un assessore (smanioso di autopromozione) o invece un imprenditore (interessato al profitto), il risultato è lo stesso: vedremo sfilare in ogni caso - e inesorabilmente - le stesse facce, gli stessi nomi, gli stessi personaggi, legittimati da un sistema fondato su logiche corporative. Altro che democrazia culturale! E’ così inevitabile?
C
Quando ho letto l’articolo di Alessandro Baricco sulla prima pagina di Repubblica, confesso di aver avuto una reazione di adesione immediata. Ed ero ancora più contento perché mi dava l’occasione di parlar bene - finalmente - di Baricco, dopo tante critiche e invettive, a volte ingenerose (si sa, la polemica prende la mano)! E se il neoliberismo, oggi declinante, ritrovasse slancio nel campo della cultura? Eliminare Fondazioni, Case,Teatri stabili. Ridare fiducia al mercato. Liberare la cultura da assessori e politici. Investire denaro pubblico su scuola e tv. Come non concordare con Baricco? Il punto è che tutto questo non basta, e anzi può essere persino fuorviante. Ho
di Filippo La Porta
dotati di principi morali saldi». Ma dove potrebbero formarsi? Attraverso una scuola riformata e una tv con vocazione didattica sovvenzionate dallo Stato? Ho qualche dubbio. Guardiamo piuttosto a modelli di democrazia un po’più collaudati del nostro.
infatti l’impressione che si aggiri il vero nodo italiano, la nostra malattia endemica, che ha un nome antico e un po’ sinistro: corporazioni. Così come nella società il nemico di ogni governo sono le corporazioni(dai tassinari ai farmacisti…), anche nel mondo della cultura ci troviamo di fronte a corporazioni potenti e invisibili, trasversali a pubblico e privato, che attraversano case editrici, gruppi finanziari, giornali, testate televisive…
Mi limito alla letteratura. Benché nuovi, intrepidi editori spuntino ogni giorno, i libri recensiti, presentati e anticipati sui grandi quotidiani appartengono
i “consumi culturali” (assai meno faticosi e più veloci), che hanno soprattutto la funzione di marcare una appartenenza, che funzionano da status sym-
ventano sempre più insensibili alla qualità. Come nel ‘700 scrisse Lichtenberg: «Mangiano di tutto e non hanno appetito per niente». Baricco, che pu-
La democrazia americana se ne frega di classifiche, festival ed eventi sponsorizzati. Per quanto riguarda l’Italia, Baricco forse ha ragione, ma liberare la cultura da assessori e politici, oggi, non basta quasi sempre alle stesse case editrici. Così gli autori invitati nelle trasmissioni televisive o nei festival letterari: non tanto una corporazione professionale quanto una casta che si autoriproduce per cooptazione e che ha reazioni di tipo corporativo. Si dirà: ma questi autori se lo meritano, vendono tanto e dunque hanno acquistato un consenso reale, unico parametro difendibile in democrazia. Ne siamo sicuri? La democrazia non è solo consenso ma attitudine riflessiva, spirito critico. Possibile che non ci accorgiamo come alla cultura si sono sostituiti
bol. I lettori, frastornati dalla pletora di romanzi di esordienti, intimiditi dalle pile di bestseller in libreria, ormai assuefatti a quella dozzina di autori che vengono loro proposti diIn alto, un’immagine del famoso Festival di Mantova. A sinistra, uno scatto di Alessandro Baricco. A destra, il Teatro Greco di Taormina
re ha scritto una sua parafrasi dell’Iliade in cui non si riesce a distinguere bene tra ciò che dice Omero e ciò che dice lui, auspica giustamente «cittadini informati, minimamente colti,
La democrazia americana si fonda in gran parte, a partire da Jefferson e Thomas Paine, sull’associazionismo e sul volontariato. Bene, sempre limitandoci alle cose letterarie conosco alcuni gruppi di lettura del tutto spontanei - formati da persone di ogni ceto e livello di istruzione (bancari, giornalisti, idraulici, impiegati dell’Enel…), che si riuniscono una volta al mese per leggere scrittori, perlopiù classici (una persona a turno si incarica ogni volta di approfondire l’argomento e introdurre l’autore con una scheda), fregandosene di classifiche, festival ed eventi sponsorizzati. Un’esperienza certamente minoritaria ma - almeno spero potenzialmente contagiosa. E’lì, presumibilmente, al di fuori di qualsiasi programma ministeriale, benché illuminato, o di qualsiasi logica virtuosa del mercato, che si formano cittadini più consapevoli e responsabili. In questo senso la mia è una critica a Baricco da un punto di vista ultraliberale. Forse bisognerebbe solo credere di più negli individui, nella loro spontanea capacità di auto-organizzazione - anche favorendola e sostendendola, quando si può senza pretendere di educarli o di alfabetizzarli dall’alto.
spettacoli
13 marzo 2009 • pagina 21
Musica. Grande successo nelle classifiche country statunitensi per il nuovo disco di Wynonna Judd “Sing: Chapter 1”
Il ritorno della Signora in rosso di Valentina Gerace lum l’attività di scrittrice con l’uscita della sua biografia, Coming home to myself una panoramica sulle lotte e le avversità affrontate durante la sua carriera e la sua vita. Altrettanto autobiografico il doppio cd e dvd Her story: Scenes from a lifetime, un viaggio musicale autobiografico che raggiunge i primi due posti della classifica degli album country più ascoltati d’America.
considerata una tra le più grandi interpreti del femminile. country Spingendosi sempre oltre i confini del repertorio country classico, è diventata un’icona della musica americana, con alle spalle 25 anni di carriera, più di dieci milioni di album venduti, venti singoli ai primi posti delle classifiche country in America, e esibizioni dal vivo che hanno registrato sempre il tutto esaurito. Dopo più di vent’anni anni dal suo esordio, Wynonna Judd si reinventa, creando un disco che rappresenta un viaggio epico attraverso i più storici brani di musica americana di tutti i tempi. Sing: Chapter 1, in uscita dal 3 febbraio 2009, è un invito a cantare e a percorrere la sua vita come fosse un racconto, un libro. Iniziando dal primo capitolo. Un disco autobiografico di estrema classe e finezza definito dalla stampa americana tra i migliori dischi country mai composti. Sing: Chapter 1 non abbandona le sfumature classiche e il gusto un po’ retrò: 12 fantastici, storici standard country, blues, gospel e R&B scelti dal repertorio di classici che più di altri l’hanno appassionata e ispirata.
È
Sin da quando era bambina e sognava di cantare con uno dei suoi miti musicali, Bonnie Raitt, o incontrare Jimi Hendrix. Ogni singolo brano del disco è un’esplosione di ricordi e sentimenti. Che Wynonna esprime al meglio. Un connubbio esplosivo, vincente di ingredienti perfetti insieme, scelta dei brani, arrangiamenti, voci, ritmi. Il tutto in un disco nuovo, originale, efficace, estremamente affascinante e fine. Sing: Chapter 1 è ancora una prova di come Wynonna Judd riesca a dare il meglio in qualsiasi genere musicale. Negli anni Settanta Wynonna Judd è già conosciuta come sofisticata interprete del duetto dei The Judds, formato con la madre Naomi. I Judds incidono vari album tra cui Wynona e Naomi (1983), Heartland (1987), River of time (1989) Love can bring a bridge (1990) e Big bang boogie (2000). Il duetto madre-figlia porta un’ondata di novità e originalità alla scena musicale country del periodo. Due generazioni a confronto, due voci che raccontano i valori tradizionali, la famiglia, l’amore, le piccole cose di cui è fatta la vita della gente semplice. Gente cresciuta in ambienti rurali, come il Kentucky da do-
ve le Judds provengono. Ed è proprio la loro origine umile e semplice che porta tantissimi americani a rispecchiarsi nei loro racconti, nelle loro ballate che non fanno altro che tradurre in musica le battaglie quotidiane di ogni persona. Proprio come ogni ballata country deve fare. I Judds catturano l’attenzione di milioni di fan e vincono il premio come migliore band country dell’anno dal 1985 al 1991. Successivamente Naomi si ritira dalla scena musicale per problemi si salute, e Wynonna intraprende la carriera da solista. Il suo carisma la porta lontano. Basandosi sui suoi miti musicali, Bonnie Raitt, Elvis, Stevie Ray Vaughan, Merle Haggard, colonne portanti del blues internazionale, Wynonna ripropone un country nuovo, moderno, ma basato rigorosamente sulla tradizione.
la sua raffinatezza viene confermata nel disco del 1993 Tell me why nel più introspettivo Revelations del 1996 e nel rock-blues The other side (1997). Nel 2000 produce per la prima volta un suo album, è la volta di New day dawning in cui interpreta cover di Joni Mitchell e The Fabulous Thunderbirds e ballate southern gospel e soul, alcune delle quali cantate con la madre Naomi. Eccellente il disco del 2003 What the world needs now is
E come se non bastasse, oltre alla carriera con i Judds, i dischi da solista e l’attività di scrittrice, Wynonna è resa popolare anche da alcune importanti collaborazioni con grandi icone della musica. Duetta con l’icona mondiale del rock and roll, Elvis, reinventando Santa Claus is Back in Town nell’Elvis Presley Christmas dalla Duets realizzato SonyBmg Entertainment. Il primo duetto con Elvis e la prima compilation di natale di questo genere mai composta. Lavora con la Bbc prestando la sua voce per alcuni documentari sulla musica internazionale, e nella celebrazione di Stevie Wonder,icona della musica nera. Partecipa a dischi di Sam Moore, Patti Labelle, Ann Wilson e Dionne Warwick. E partecipa a una delle trasmissioni di musica country piu famosa d’Amerca, Nashville Star. E per coronare il tutto, Wynonna rende noto il suo impegno in campo umanitario. Partecipa con Michael McDonald e Eric Benet alla realizzazione del tour “Heart of America” per la raccolta di fondi per aiutare le
Alle spalle ha 25 anni di carriera, più di dieci milioni di album venduti, 20 singoli ai primi posti delle classifiche country Usa ed esibizioni dal vivo che hanno registrato il tutto esaurito
Sopra, l’artista country Wynonna Judd. Grande successo nelle classifiche per il nuovo disco “Sing: Chapter 1”
Ogni suo disco è un viaggio attraverso il mondo della musica americana, dal country al blues, dal rock al gospel. Una musica che parla al cuore, che rimargina ferite o semplicemente vuole raccontare. Sin dal suo primo disco del 1992 Wynonna, al primo posto delle classifiche country americane, si è affermata come artista di riferimento. La sua eleganza,
love che consolida il suo stile inconfondibile, un country fine, elegante, classico ma anche sofisticato, moderno, colorato da banjo, mandolini, chitarre, percussioni e pedal steel. E da uno scoppiettante ritorno della madre in Files on the butter. Nel disco interpreta con Jeff Beck il classico pop di Mick Jones I want to know what love is riproponendolo in versione country e una versione di Burning love di Elvis. Favolose le voci di madre e figlia in Sometimes I fell like Elvis o (No One’s Gonna) Break Me Down che potrebbe benissimo essere stata scritta da Nick Lowe e Dave Edmunds. Nel 2005 Wynonna aggiunge al suo curricu-
vittime dei disatstri naturali (raccogliendo circa 90 milioni di dollari). E continua tuttoggi a interessarsi al problema dell’Aids, ricoprendo l’incarico di ambasciatrice americana per l’Aids infantile, per il quarto anno consecutivo. Non solo una cantante dunque. Non solo un’icona del country mondiale, scrittrice e performance di spessore e carisma. Ma una donna forte, energica e piena di fede. Che crede in ogni cosa che fa e invita con la sua musica a sperare e a non smettere mai di sognare. Perché è solo credendo nei sogni che li si può realizzare. Cos’è questo credo se non l’american dream?
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da ”le Figaro” del 10/03/2009
Le tasse di Sarkò di Claire Guélaud nche Nicolas Sarkozy dovrà aumentare le tasse. Questa lettura di carattere iconoclasta si genera dopo le analisi di carattere macroeconomico fatte dallo stesso governo in carica. Con un deficit di bilancio raddoppiato nel 2009, rispetto all’anno precedente. Si è arrivati dunque, a quasi 104 miliardi di euro di buco nelle casse statali, che porta il disavanzo pubblico alla quota del 5,6 per cento del Pil. E un debito che, dal 2002, è cresciuto del 20 per cento.
A
Possiamo dunque affermare che la finanza pubblica francese sia decisamente entrata in una fase di marcato deterioramento. Da qui nasce la domanda su quanto sia auspicabile un aumento della pressione fiscale. Tra i recenti tagli tributari, promessi dal presidente Sarkozy al recente forum sociale del 18 febbraio, e la decisione di dimezzare l’Iva nel settore della ristorazione, il governo giudica l’eventualità di un aumento poco opportuna, se non irrilevante, commentano a Matignon. Le proiezioni del periodo 2009-2012 dicono però che, alla fine del quinquennio, il livello dei tributi avrà un incremento dello 0,4 per cento, che lo riporterebbe al dato statistico del 2008, cioè il 42,9 per cento. Numeri che si scontrano col progetto dell’Eliseo di ridurre la pressione fiscale di 4 punti percentuali rispetto alla media europea. Solo Philippe Séguin (nume tutelare della destra neogollista francese, stimato anche dagli avversari politici, oggi a capo della magistratura amministrativa ndr) ha osato chiamare le cose col loro nome: «Non possiamo escludere che l’aggravamento, quasi generalizzato, dei deficit porti i governi di tutto il mondo ad aumentare la pressione fiscale», ha affermato il presidente della Corte dei Conti, il 4 marzo, durante un’audizione davanti all’Assemblea nazionale.
Nella maggioranza, le menti più lucide ammettono che l’attuale situazione stia per diventare insostenibile. «Il saldo della pubblica amministrazione è peggiorato in maniera drammatica, e ogni giorno ha il suo carico di cattive notizie, come la riduzione dell’Iva per il settore della ristorazione», spiega Philppe Marini, relatore dell’Ump (Union pour un mouvement populaire) alla commissione Finanza dell’Assemblea (il Parlamento francese, ndr). L’umore che emerge nel mondo della politica è che i governi possano fare ben poco per la crescita economica, ma siano invece in grado agire in maniera oculata, limitando le spese e regolando le entrate fiscali. In pratica la Francia non avrebbe altra scelta che aumentare le tasse, tagliando le spese inutili e ingiuste. Questo è il parere dei centristi. Lavorando su di una riduzione delle spese per i governi locali e per una riforma che razionalizzi il funzionamento dello Stato - secondo questa corrente di pensiero - porterebbe a un risparmio di 10 miliardi di euro in 5 anni.
Un altro membro dell’Ump in commissione Finanze, Gilles Carrez, ha affermato che «non possiamo permetterci di finanziare nuovi tagli fiscali» su Iva o settori professionali specifici. L’unica soluzione praticabile è quella di una redistribuzione fiscale - ha spiegato Carrez - con un migliore utilizzo della spesa su di una base di maggiore equità. Ed è proprio sul piano dell’equità fiscale che la sinistra insiste molto. «Sarebbe inconcepibile immaginare di mettere sul tavo-
lo degli aumenti tributari, senza parlare del rovinoso pacchetto fiscale del 2007 - è il parere del presidente socialista della commissione Finanze, Didier Migaud. Ma se il governo continua su questa strada sarà molto difficile raddrizzare i conti pubblici.
E saranno poi in molti a dover pagare per delle agevolazioni fiscali concesse a pochi. Sull’aumento del carico fiscale, per un socialista come Jerome Chauzac, che tiene un elenco aggiornato dal 2007, di tutte le tasse e i balzelli finora introdotti, esiste la certezza che verrà attuato. Attraverso l’incremento di altre accise, come è spesso già avvenuto, nonostante la linea politica del governo fosse pubblicamente contraria. Insomma, per la Francia di Sarkozy non è più tempo di cosmesi, servono interventi sostanziali e scelte precise.
L’IMMAGINE
Il Papa denuncia il dissesto del Pianeta: l’uomo torni alla cività dello spirito Papa Ratzinger è intervenuto più volte contro la degradazione, puntando il dito del dissesto umano e sociale del Pianeta, direttamente sul denaro, divinizzato esageratamente e assunto a conduttore e poi distruttore, della maggior parte delle condizioni esistenti da sempre. Se ciò rappresenta il lento inizio della civiltà del nuovo secolo, basata sullo spirito e non sulla materia, credo che le parole del Papa siano la più bella notizia che potevamo avere, seguita parallelamente dalla lotta che Obama sta portando contro i ricchi per rifare la sanità negli Stati Uniti. Però stiamo attenti, che i problemi di etica e di coscienza non uniscono ma talvolta dividono, perché è chiaro che la trasversalità delle opinioni è un fatto reale e visibile. Ciò non significa che avremo in futuro due schieramenti, ma che il ruolo della giustizia e della Chiesa dovrà essere tale, da salvaguardare la libertà dell’individuo, di modo da non demandare troppo le decisioni alla politica.
Lettera firmata
BAMBINI TERRIBILI Alcune scuole sono passate da un costume negativo all’altro: dall’autoritarismo al lassismo, al libertinaggio e al perdonismo. Oggi, bambini terribili possono aggredire impunemente la maestra, anche a calci sugli stinchi. Possono disturbare sistematicamente la lezione, distraendo e cercando di coinvolgere altri scolari. Può essere malvista - da bambini agitati - la maestra che espleti il suo dovere e la missione educativa, e quindi mantenga l’ordine in classe, contrastando l’indisciplina recidiva e più grave. Alcuni genitori, arrendevoli di fronte a ogni richiesta dei figli, potrebbero costituire una combutta e premere sul direttore didattico, affinché sostituisca la maestra non permissiva con una
supplenza, anche plurimensile. Cedevole alla forza prepotente della numerosità, il direttore – ritenuto coniglio dalla maestra – potrebbe forzarla moralmente a collocarsi in “malattia”, per morbi del tipo “esaurimento nervoso”, spesso d’obiettività modesta o nulla. Anche perciò, è necessario contrastare seriamente l’assenteismo, che talvolta froda lo Stato e quindi tutti i cittadini. Secondo esperti, viziare i fanciulli insaziabili ed egoisti – cedendo a ogni loro pretesa, anche irragionevole – rischia d’indirizzare quelli più fallibili e deboli sulla via della violenza.
Gianfranco Nìbale
RISSOSI PER COSTITUZIONE Evviva. La Francia ci dimostra che ripensare alla Costituzione
Arrampicati sugli specchi Alcuni addetti alle pulizie detergono gli specchi della Banca centrale a Seoul, in Corea del Sud. L’Istituto ha deciso di affidarsi al loro contributo, perché a conti fatti eseguono in meno tempo, e con un minore esborso, le pulizie di ogni singola finestra lavata dagli inservienti in una maniera più tradizionale. Gli effetti della crisi avanzano anche in Asia
non è poi così in dramma. E la riorganizzazione delle competenze territoriali può non essere per forza scintilla di presunti scontri sociali o chissà quale ipotesi di nuova dittatura ventilata a ogni piè sospinto. Anche dalla Francia ora ci tocca subire una nuova lezione di ammodernamento costituzionale.
Alberto Moio
ABBASSO BARICCO Non se ne parla proprio. Già la situazione della cultura italiana è abbastanza disastrata di suo, per dare retta a un Baricco che spende e spande soldi pubblici per i suoi film fallimentari, e dirige la sua scuola tutta fumo e niente arrosto. Se si tolgono i soldi alla cultura, pure i pochi che difendono il patrimonio di autori e opere teatrali sa-
ranno seppelliti dalla tv spazzatura. Diceva Garcia Marquez che la cultura sicuramente costa. Ma l’incultura costa molto di più. Non possiamo lasciare in mano il Paese a gente che ha trasformato persino l’informazione in un varietà e cancella le vere notizie per occuparsi del tronista di turno. Abbasso Baricco, viva il teatro.
Mauro Ronco
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dai circoli liberal
LETTERA DALLA STORIA
Tenga il bastone per amore mio Crede forse che io possa scrivere un’opera comique nella stessa maniera di un’opera seria? Quanto più l’opera seria deve essere povera di superficialità e ricca di sapienza e di giudizio, tanto più l’opera buffa deve invece essere povera di sapienze e ricca di frivolezze e di gaiezza. Se si vuole che in un’opera seria ci sia anche della musica comica, io non posso farci niente. Qui però si opera una distinzione molto netta fra questi due generi. Nella musica mi sembra che il pagliaccio non è stato ancora eliminato e su questo punto hanno ragione i francesi. Spero dunque di ricevere i miei vestiti con la prossima posta. Non so quando partirà il postale, ma credo che questa lettera le arriverà prima. Perciò la prego di tenere il bastone per amor mio. Qui si usano i bastoni, ma per andare a passeggiare, e per questo è adatto qualsiasi bastoncino. Ci si appoggi dunque lei al mio posto e, se possibile, lo porti sempre con sè. Forse in mano sua non riuscirà a vendicare il suo ex padrone? Ma si capisce, accidentaliter o per puro caso. Quel somaro affamato non mancherà di ascoltare il mio discours, perché il vederlo e il dargli un calcio nel sedere sarà tutt’uno. Stia bene, le bacio mille volte la mano. Wolfgang Amadeus Mozart al padre
ACCADDE OGGI
TASSA PATRIMONIALE: MEGLIO UN PROGRAMMA Tassare i redditi superiori a una certa cifra può senz’altro essere una misura per tamponare l’emergenza. Il problema è che le politiche di riequilibrio sociale non possono essere affidate a iniziative estemporanee ma andrebbero studiate a tavolino. La crisi incombe da tempo ma qui in Italia continuiamo a brancolare nel buio, seduti sulla riva del fiume ad aspettare che il cadavere passi. Non si possono elargire mance o miserevoli cifre ai pensionati. Si devono attuare innanzitutto linee programmatiche capaci non solo di fronteggiare la crisi, ma di ridimensionare in modo efficace il divario esistente fra quel dieci per cento di fortunati che detiene il 50 per cento delle ricchezze nazionali, e l’altro 50 di persone di status medio-basso che si dividono gli avanzi di un’enorme torta già spartita.
Vincenzo
SORU, L’IMMAGINE CON NIENTE INTORNO In 24 anni di Politica non ho mai visto un politico così capace di ingraziarsi l’uditorio con una consumata abilità da attore. Si parla tanto del cavaliere, ma ascoltare Soru in televisione non fa che restituirci il frammento di uno specchio rotto in mille pezzi. Quello di politici che usano il mezzo televisivo con perizia e scaltrezza, per poi non agire mai in modo concreto. Ha ragione Baudrillard quando dice che l’immagine ha consumato la realtà.
Lettera firmata
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)
13 marzo 1865 Guerra di secessione americana
1900 In Francia la lunghezza della giornata lavorativa per le donne e i bambini viene limitata per legge a 11 ore 1921 La Mongolia dichiara l’indipendenza dalla Cina 1943 Olocausto: le truppe tedesche deportano gli ebrei del ghetto di Cracovia 1957 L’Fbi arresta Jimmy Hoffa e lo accusa di corruzione 1972 Milano, si apre il XIII congresso del Pci, nel corso del quale Enrico Berlinguer sarà eletto segretario del partito 1987 Ravenna 13 operai trovarono la morte all’interno delle sentine della nave gasiera Elisabetta Montanari 1991 Il Dipartimento della Giustizia Usa annuncia che la Exxon ha accettato di pagare 1.000 milioni di dollari per la bonifica delle coste dell’Alaska richiesta dal disastro della Exxon Valdez 2003 La rivista Nature riporta che impronte di un umano dall’andatura eretta vecchie di 350.000 anni sono state trovate in Italia
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
LA DINAMICA DELLA PICCOLA IMPRESA VA RIAVVIATA La dinamica della piccola impresa va riavviata; essa rappresenta l’arteria dove scorre il sangue per il corpo industriale del nostro Paese. Il governo non è stato troppo a pensarci su, come avrebbe fatto la sinistra con i continui richiama di Bruxelles, ed è andato al sodo, prefigurando anche che le Banche, dopo il combustibile economico offerto dal governo, si rivolgano verso il cliente in difficoltà con un diverso modo di procedere. Del resto spesso mi sono chiesto se con tutti i passaggi telematici relativi alle operazioni bancarie, non sia necessario un innesto di denaro contante, che non può avvenire da parte del cittadino ma dallo Stato e dai suoi Istituti.
B.R.
L’ARROGANZA DI MOURINHO Al tempo giusto, ma il destino beffardo si è vendicato della presunzione di Mourinho. Sbraita a fine partita, si appella alla fortuna che è mancata proprio lui che di solito invita a non cercare alibi in pali e traverse, ed esce dalla coppa ”a testa alta”. Ora non venga a dire che se i giornali scrivono che l’Inter ha giocato male, si tratti di prostituzione intellettuale. La squadra nerazzurra è stata nettamente inferiore al Manchester nel computo delle due partite. E perciò è uscita. Senza se e senza ma. Al contrario della Roma che meritava di vincere, ha lottato in modo leonino, e ha perso alla lotteria dei rigori.
QUESTIONE MERIDIONALE DA RIAPRIRE Eternamente, sempre lì tra mille tomi di sociologia e politica applicata alla realtà, il problema meridionale in alcune aree del Mezzogiorno d’Italia sembra irrisolvibile. Secondo alcuni sociologi il problema meridionale è un problema eminentemente culturale. Allo stato dell’arte il problema del meridionalismo non è nell’agenda politica del Governo dei partiti che affollano l’emiciclo Parlamentare. Eppure, molti passi in avanti ha fatto il Mezzogiorno e molti ne potrà ancora fare se tutte le sue componenti remassero nella stessa direzione. I meridionali, da un studio effettuato, hanno contribuito per oltre 50 anni alla crescita e alla ricchezza della nazione italica, anche se raramente sono stati apprezzati dagli apparati di potere economico dominante. I meridionali hanno contribuito alla ricchezza nazionale, in termini di una cifra superiore a trenta volte quanto l’intero Mezzogiorno ha ricevuto in 50 anni dalla cassa depositi e prestiti. Eppure allo stato attuale non ci sono politiche serie nazionali e regionali per rilanciare alcune aree del Paese, tra cui la Sicilia, la Calabria, la Campania e la Puglia, come mai? Sembra che mantenere il Sud in uno stato di perenne crisi faccia comodo a una certa economia del Nord che di continuo di rifornisce di braccia e menti nel Sud del Belpaese. Poco è stato fatto con convinzione per il rilancio del Sud. Molto invece può esser fatto negli anni a venire dalle nuove generazioni.Trovandomi tempo fa a un forum politico economico nel Nord, un dirigente industriale di primo piano a livello nazionale ed internazionale, a una specifica domanda sul Mezzogiorno d’Italia ebbe a dire: «Il Mezzogiorno andrebbe lasciato al proprio destino». Silenzio in aula, dopo averla sparata grossa rettificò il tiro. Questo è solo un esempio per dimostrare che è necessaria una nuova politica meridionalista, che porti lo Stato apparato a investire nella macchina della giustizia, che sblocchi e definisca le opere pubbliche cantierizzate oltre 30 anni fa come la Salerno-Reggio Calabria, che si investa realmente sulle nuove tecnologie e nella formazione delle nuove generazioni facendo sì che le stesse divengano strumento vivo per il riscatto del Sud. Lo Stato, quando vuole sa esser presente. La questione meridionale non è stata mai del tutto risolta, perchè non è stata mai del tutto affrontata. Luigi Ruberto C I R C O L I LI B E R A L MO N T I DA U N I
APPUNTAMENTI MARZO 2009 SABATO 14 - PUGLIA, GROTTAGLIE (BARI), ORE 18 Presentazione del libro “Una vita non basta” di Giorgio De Giuseppe, organizzata dal Circolo liberal di Grottaglie. LUNEDÌ 23 - SICILIA, PALERMO, ORE 11 SAN MARTINO DELLE SCALE Presentazione Circoli liberal, regione Sicilia, con il presidente Ferdinando Adornato, il senatore Salvatore Cuffaro e i parlamentari dell’Unione di Centro siciliana. VENERDÌ 27 - CAMPANIA, PAGANI (SALERNO) ORE 17 Inaugurazione Circolo liberal città di Pagani. VENERDÌ 27 - CASERTA, ORE 20 GRAND HOTEL VANVITELLI - CENA MEETING Presentazione manifesto dei “liberi e forti” per la Provincia di Caserta con il cordinatore regionale Massimo Golino, gli onorevoli De Mita e Zinzi e il presidente Ferdinando Adornato. Con la partecipazione dei parlamentari Udc della Campania. VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL
Biagio Ferrino
Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,
Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Filippo La Porta, Maria Maggiore,
Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio
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il bimestrale di geostrategia
in edicola il primo numero del 2009
120 pagine per capire il pianeta • La difficile coabitazione • Il ritorno di Tsahal • Il nuovo volto di Hamas Mario Arpino, Pietro Batacchi, Fabrizio Braghini, Mauro Canali, Pierre Chiartano, Fabrizio Edomarchi, Giovanni Gasparini, Egizia Gattamorta, Riccardo Gefter Wondrich, Oscar Giannino, Virgilio Ilari, Ludovico Incisa di Camerana, Beniamino Irdi, Gennaro Malgieri, Ahmad Majidyar, Andrea Margelletti, Andrea Nativi, Michele Nones, David J. Smith, Emanuele Ottolenghi, Walter Russell Mead, Stefano Silvestri, Andrea Tani