ISSN 1827-8817 90415
L’intelligenza non è
di e h c a n cro
non commettere mai errori, ma scoprire subito il modo di trarne profitto
9 771827 881004
Bertolt Brecht
QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA
di Ferdinando Adornato
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Le Borse salgono, le banche guadagnano ma non bisogna farsi illusioni
Chi di finanza si ferisce... di finanza non guarisce
IL REFERENDUM DELLA DISCORDIA
Maggioranza ai ferri corti. La Lega alza la voce: niente election day. Fini invece lo vuole. Ora Berlusconi deve decidere se, in piena emergenza terremoto, buttare via 400 milioni di euro
di Carlo Lottieri omincia ad emergere un qualche ottimismo all’interno dell’economia, anche se il presidente Usa Barack Obama ieri ha gettato acqua sul fuoco. All’origine ci sono gli ultimi conti della Goldman Sachs (una delle principali protagoniste del dissesto fnanziario globale), rivelatisi sopra le attese, dato che il primo trimestre 2009 è stato chiuso con un utile netto di 1,8 miliardi di dollari: ben più di quanto era stato realizzato lo scorso anno. Oltre a questo, la banca statunitense ha annunciato un aumento di capitale, tramite offerta pubblica di titoli ordinari, del valore di 5 miliardi: e questo con l’intento di ripagare una parte dei 10 miliardi ottenuti grazie al programma federale di sostegno alle banche in difficoltà. La notizia è positiva, ma certo non va sopravvalutata.
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Anche un call center contro i pirati somali
Le Idi di giugno alle pagine 2 e 3
di Luisa Arezzo a pagina 8
Da domani, le elezioni politiche
Viaggio nel cuore del nazionalismo indiano di Robert D. Kaplan e lo spirito dell’India moderna possiede un nucleo geografico, questi è sicuramente rappresentato dal Gujarat, stato nord-occidentale confinante con la regione pakistana del Sindh. Mohandas Karamchand Gandhi, termine sanscrito per“grande anima”, era un cittadino del Gujarat, nato nel 1869 a Porbandar, sul Mar Arabico. L’evento di più grande portata del movimento per l’indipendenza dell’India fu la Marcia del Sale a cui Gandhi, assieme a migliaia di persone, diede inizio nel marzo del 1930 nella regione del Gujarat, dall’eremo di Sabarmati fino alla località di Dandi, 241 miglia più a sud, lungo il Golfo di Khambhat. Lì Gandhi raccolse una manciata di sale sulla spiaggia, sfidando le leggi britanniche.
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Polemiche sul 5 per mille. L’opposizione punta su obbligazioni e una tantum
Abruzzo bond per la ricostruzione Casini lancia la proposta. Pd d’accordo: lavoriamo col governo di Franco Insardà
ROMA. Il clima di unità nazionale che si è creato dopo la tragedia abruzzese resiste. E dalle opposizioni arrivano proposte e inviti al governo per aiutare le popolazioni. Pier Ferdinando Casini non è andato in Abruzzo, ma non ha fatto mancare il suo apporto ai terremotati. Ieri, durante una conferenza stampa a Montecitorio per presentare le otto proposte dell’Udc, insieme con il segretario Lorenzo Cesa, Casini ha detto: «Ho aderito all’appello di Berlusconi, ma questa regola di sobrietà deve valere per tutti, maggioranza e opposizione. No a show e passerelle che rischiano di distrarre e intralciare l’opera dei soccorritori». Anche il segretario del Pd, Dario Franceschini, ha lanciato un appello affinché, dopo l’attenzione dei primi giorni, non vengano dimenticati i drammi e
seg2009 ue a pa•giEnURO a 9 1,00 (10,00 MERCOLEDÌ 15 APRILE
CON I QUADERNI)
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le necessità della popolazione. «Davanti al dolore e alla sofferenza - ha detto Franceschini - non possono esserci polemiche politiche, adesso sappiamo che un’opposizione in un Paese democratico deve controllare soprattutto quando i riflettori si spegneranno perché le promesse non vengano tradite e gli impegni vengano rispettati». Quindi ha annunciato che in Parlamento verranno discussi i provvedimenti per ricercare le risorse che servono. E proprio al reperimento dei fondi sono indirizzate le otto proposte dell’Udc, presentate ieri. Tra queste l’una tantum dell’1 per cento in più sull’Irpef per i redditi superiori ai 120 mila euro e un’emissione di “Abruzzo bond”. segue a pagina 4 SERVIZI ALLE PAGINE 4 E 5 WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Padani. Nonostante la crisi e l’emergenza terremoto, il vertice dei lumbàrd dice no all’election day il 6 e il 7 giugno
La sprecopoli leghista
Il Carroccio non cede: niente accorpamento delle Europee con il referendum, «convinceremo anche Berlusconi». Il niet di Bossi costerà 400 milioni di euro di Marco Palombi
ROMA. «Mi permetto di dire ai responsabili del Pdl: attenti all’ira dei giusti». Nelle flâneries bibliche di Mario Borghezio si specchia il nuovo capitolo della guerra scoppiata tra Lega e Pdl, oramai l’unico vero movimento strutturale della politica italiana. I referendum elettorali, infatti, chiamano in causa il modo stesso in cui il Carroccio si pensa sullo scenario politico nazionale: in altre parole - a quorum e vittoria dei sì ottenuta - il partito di Bossi sarebbe ridimensionato all’istante essendo a quel punto il Popolo delle libertà (in virtù del premio di maggioranza per la lista anziché per la coalizione) capace, in buona sostanza, di governare il Paese anche da solo. Per questo la Lega, ancora nella segreteria politica tenuta ieri a Milano, si oppone a un accorpamento con le europee che garantirebbe quasi automaticamente il quorum alla consultazione: «Noi manteniamo la nostra assoluta contrarietà alla coincidenza della data del referendum con le elezioni europee, perché crediamo che sia incostituzionale. Lo abbiamo anche ripetuto al telefono a Berlusconi», ha spiegato Roberto Calderoli dopo la riunione. E sempre per questo, al lato opposto del campo di battaglia, la fondazione Fare Futuro, che fa riferimento a Gianfranco Fini, scrive sul suo sito che – al contrario di quanto detto da Calderoli – la vittoria dei referendari non comporterebbe nessun rischio di “fascismo”o di “tirannide”, ma al contrario significherebbe «andare verso il giusto equilibrio tra esigenze di rappresentatività e di stabilità dell’esecutivo». Il compromesso
andrà come sembra, le polemiche saranno durissime, ma la Lega e Umberto Bossi conoscono bene l’adagio “primum vivere”e, proprio per sopravvivere, il partito della rivolta fiscale è disposto anche a passare da sprecone agli occhi dell’opinione pubblica. La valanga d’altronde è già partita, se è vero che il Pd ha già iniziato a parlare di una “Bossi-tax” da 400 milioni e cavalca l’idea, difficilmente criticabile, di utilizzare questa somma per la ricostruzione delle zone colpite dal sisma.“Sono i costi della democrazia”, hanno sostenuto ieri Calderoli e Castelli, sottolineando una presunta incostituzionalità dell’accorpamento. Come dimostra la pubblica posizione di Fare Futuro o il comunicato di ieri di Benedetto Della Vedova, non sono pochi nel Pdl quelli che storcono il naso di fronte all’ennesimo dictat leghista e questo clima di scontro non più latente è materia che nel Carroccio si discute oramai apertamente.
Sivlio Berlusconi e Umberto Bossi: verso una rottura sull’election day? Sotto, il promotore del referendum sulla legge elettorale, Giovanni Guzzetta dei ballottaggi, peraltro, è una data perfetta per questa operazione: è utile a mostrare la buona volontà “referendaria” del governo da un lato, ma dall’altro – visto che il secondo turno riguarderà più o meno solo il 20% delle province italiane – renderebbe il quorum quasi un miraggio. Il tema, come dovrebbe essere oramai chiaro, è quello dei costi. Gli economisti de “lavoce.info” hanno calcolato il maggior esborso per lo Stato in caso di mancato accorpamento in 400 milioni di euro tra costi diretti (costo del personale del seggio, del trasporto, per gli straordinari degli agenti di sorveglianza) e indiretti (giornate di lavoro perse, scuole chiuse, tempo perso per recarsi al seggio). In realtà anche l’accorpamento coi ballottaggi – a stare sempre ai precisi calcoli degli economisti –
Alla fine si troverà un accordo sul 21 giugno: una scelta che però costerà allo Stato oltre 300 milioni
possibile, che dovrebbe venir ratificato da una riunione Bossi-Berlusconi questa è settimana, quello proposto da Ignazio La Russa già qualche settimana fa: far votare i quesiti il 21 giugno, in contemporanea con i ballottaggi delle amministrative, e strappare al premier l’impegno a schierare il Pdl sulla linea dell’astensione o almeno del disinteresse. Quella
non porterebbe poi tutto questo risparmio: tenendo conto che, in genere, solo un terzo degli enti locali votanti vanno ai ballottaggi (quindi, in questo caso, 21 province su 63 più sei o sette comuni su 17), il maggior costo dei referendum sarà di 313 milioni, vale a dire solo 87 in meno rispetto all’unificazione con le elezioni generale del 6 e 7 giugno.
In ogni caso il governo, secondo la legge sulla convocazione dei comizi elettorali, ha tempo fino a domani per decidere l’accorpamento il 6 e 7 giugno, se nulla accade le possibilità restano due: il week end successivo, il che vorrebbe dire portare il Paese al voto per tre domeniche di fila, oppure l’unificazione coi ballottaggi, che però – essendo fuori dalla finestra per l’indizione del referendum prevista dalla legge – richiederà l’approvazione di un decreto. Se tutto
Ancora ieri la scelta di Bossi è stata quella di rendere Berlusconi l’unico garante del vincolo di coalizione, ma è evidente che i lumbard sono in difficoltà davanti all’alzata di capo degli alleati. E, come sempre in questi casi, i toni si alzano fino al cielo e vengono mandati in avanscoperta i cavalli pazzi dell’apparato leghista. Basti leggere la dichiarazione di lunedì del già citato Borghezio: «Nelle decisioni del Pdl su un tema così delicato e importante si sentono degli scricchiolii che fanno insospettire». E quindi, occhio, perché «i patti come si stringono si possono anche rompere». Non mancano nemmeno gli allerta storici: non bastasse il “rischio fascismo”evocato da Calderoli, ieri il senatore Piergiorgio Stiffoni ha sviluppato un ardito paragone tra il rifiuto formale della scheda referendaria per chi voglia astenersi in caso di accorpamento con altre elezioni, e quella che «il mio Veneto, nel 1886, fu costretto con un referendum-truffa all’annessione al Regno sabaudo. Allora i cittadini furono costretti a palesare pubblicamente il loro voto e in caso di rifiuto vennero passati per le armi».
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Roberto D’Alimonte: l’opinione del premier peserà sul risultato, a questo punto è inutile nascondersi dietro la data
«Ma ora Berlusconi dica come voterà» di Errico Novi
ROMA. Il «tormentone» sulla data? Durerà poco. Nel giro di poche ore, fa notare Roberto D’Alimonte, «bisognerà assumere una posizione chiara sul merito del quesiti. Non ci si potrà più nascondere dietro la Lega», ricorda uno dei più avvertiti studiosi di sistemi elettorali, «tutti dovranno venire allo scoperto a cominciare da Berlusconi: la sua indicazione peserà eccome sull’esito del referendum». Ma c’è o no la tentazione, per il premier, di liberarsi del Carroccio? Il sogno di unificare tutta la destra risale al ’94 e in parte è stato realizzato. Certo che a Berlusconi farebbe piacere inglobare la Lega o renderla irrilevante, ma non credo voglia tentare una mossa così rischiosa. Un monocolore Pdl avrebbe troppe incognite? Bisogna capire quale sarebbe il processo: far uscire la Lega dal governo significherebbe aprire la crisi: dopodiché Berlusconi che fa? Chiede a Napolitano di sciogliere le Camere? Sono scenari complessi e pericolosi. Perciò credo che sulla data del referendum ci sarà un compromesso con la Lega. E in ogni caso il problema non è solo quello, va subito chia-
rita la posizione del Pdl sui quesiti. E qui si entra in un campo minato. Ci sono sostenitori della consultazione e settori contrari. Quale sarà l’indicazione ufficiale? Assumeranno un atteggiamento agnostico? E soprattutto, cosa farà Berlusconi? Può permettersi di non dire nulla? Credo proprio di no: questo complicherebbe ulteriormente i rapporti con la Lega. La via d’uscita potrebbe consistere nell’invito all’astensione con l’impegno di fare la riforma in Parlamento. Certo, è un argomento efficace. D’altra parte non si può che ragionare di questo, cioè della scelta tra il sì o il no, o dell’astensione sui quesiti referendari. Perché sulla data mi pare che pesi molto l’emergenza terremoto: a questo punto se la cosultazione venisse indetta per il 14 avremmo una sollevazione popolare. Il 21 è un compromesso ma comporta una spesa maggiore rispetto al 7, anche se non esattamente quantificabile, visto che non sappiamo neanche quanti saranno i ballottaggi. In ogni caso è ora che cominci una bella campagna, che si mettano a confronto le diverse opinioni sulla legge elettorale. Ma allora Calderoli sbaglia, quando dice che l’abbinamento con le Europee altererà il quorum?
Si arrampica sugli specchi. La Lega ha ben altri argomenti per dimostrare che questo referendum è sbagliato. Intanto sembra tornato il vento dell’antipolitica, che potrebbe favorire il sì. C’è indubbiamente la tentazione di semplificare il quadro politico, ma allora perché non si viene allo scoperto, perché ciascuno non spiega la propria posizione? Finora mi pare che tutti si
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La vittoria del sì produrrebbe un sistema inadeguato. Il premio alla lista più votata aggiunge problemi a quelli che già ci sono
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nascondano, non solo il Pdl, ma anche Franceschini, Casini, lo stesso Di Pietro che ora ha certamente un interesse diverso, rispetto a quando era sotto il 3 per cento e raccoglieva le firme. Soprattutto: cosa dirà Berlusconi? Se spingesse per il no, o per l’astensione, non finirebbe lui stesso per sfidare l’antipolitica? Non si renderebbe impopolare?
Intanto l’idea di suggerire l’astensione in vista di una buona legge elettorale da discutere in Parlamento mi pare una posizione convincente. E poi credo che sarà come minimo questa la contropartita che la Lega chiederà per dare il via libera all’abbinamento con i ballottaggi e, a maggior ragione, con l’election day. A quel punto Berlusconi utilizzerà tutti gli argomenti di cui dispone per convincere i cittadini. Tutti gli riconoscono popolarità e capacità di farsi ascoltare, giusto? Scusi, professore, ma lei crede che dal referendum verrebbe fuori una buona legge? No. Assolutamente. La strada maestra mi è sempre sembrata diversa: introdurre quelle cinque o sei modifiche nell’attuale sistema. È la proposta che ho avanzato nel 2007, i partiti non si sono mossi e hanno preferito lasciarsi piovere sulla testa il referendum. Che non risolve i problemi, gravi, di questa legge elettorale. Anzi: l’attribuzione del premio di maggioranza alla lista più votata ne crea altri. I referendari dicono: è l’unico modo per sollecitare la riforma. È un argomento debole, ma almeno è un argomento: a questo punto mettiamoli tutti sul tavolo. Nel modo più chiaro possibile.
Il politologo Paolo Feltrin: «Comunque vada, troveranno un accordo per fare una nuova legge elettorale»
«La Lega nel Pdl? Non ci pensa nessuno» di Gabriella Mecucci
ROMA. La Lega può sopportare l’election day? Cosa chiederà a Berlusconi in cambio? Cosa ci perderà e cosa ci guadagnerà? Sono queste le domande che sin da oggi tutti si pongono. Ne parliamo con Paolo Feltrin, politologo dell’Università di Trieste e studioso della Lega e del suo elettorato. Allora professore cosa faranno Bossi e Berlusconi se il referendum raggiungesse il quorum? Innanzitutto, l’accordo alla fine sarà di fare l’election day nel turno di ballottaggio delle amministtrative e questo non cambia quasi nulla ai fini del raggiungimento del quorum. E se invece il quorum fosse raggiunto e la proposta referendaria avesse concrete possibilità di passare e il premio di maggioranza andasse alla lista anziché al Polo? Troverebbero comunque un accordo per tenere in piedi all’interno dei due Poli maggiori un pluripartitismo limitato. A Bossi notoriamente non conviene che passi la posizione dei referendari, perché questa toglierebbe presenza e visibilità alla Lega. Ma in fin dei conti anche a Berlusconi non conviene che si arrivi a questa soluzione. Il Pdl è infatti un partito con forte insediamento nel centro-sud, mentre la Lega è molto presente al nord e in particolare
in alcune zone della Lombardia e del Veneto. Berlusconi preferisce prendere tutti i voti possibili nel centro-sud e lasciare alla Lega tutta la sua rappresentatività nel Lombardo-veneto. Meglio trattare con un partito politico strutturato che si fa portavoce degli intressi di certi territori che averli al proprio interno, dove magari si strutturano in una sorta di corrente e possono metterlo in difficoltà nella gestione del Pdl. Anche se Bossi aumenta ancora un po’
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Secondo i sondaggi, la Lega cresce nelle zone dove prima non c’era. Ma nei suoi territori d’elezione, Lombardia e Veneto, perde voti
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di voti al nord, a Berlusconi non dà nessun fastidio. La proposta referendaria prevede dei Poli monopartito: quale accordo possono trovare Berlusconi e Bossi per scongiurare questo rischio? Non si può legiferare contro il risultato referendario... Guardi, se fra loro c’è l’intesa che io credo ci sia, allora non sarà difficile fa-
re una legge elettorale atta alla bisogna. I costituzionalisti esistono anche per questo. Certo è che la Lega non può sparire dalle schede proprio ora che i sondaggi registrano una sua potente avanzata. Attenzione, la Lega non aumenta voti – sempre secondo i sondaggi – nelle zone dove è più forte. Anzi, in alcuni luoghi della Lombardia o del Veneto, dove aveva raggiunto il 25 o il 30 per cento, tende a calarli di due o tre punti. I consensi invece crescono dove sino ad oggi ce n’erano pochi o addirittura quasi nessuno. Aumentano in Piemonte, in Liguria, in Emilia e persino in Toscana, in Umbria, nelle Marche e nel Lazio. Insomma, la Lega si allarga geograficamente, va ben oltre i suoi insediamenti del Nord, ma a Varese o a Treviso diminuisce anche se in piccola parte la propria presa. E perché? Perché nel lombardo-veneto alle ultime elezioni aveva preso tantissimi voti. Ed è difficilissimo confermarli tutti. Anche perché la Lega è stata favorita in questo dalla nascita del Pdl. Un democristiano che non vuole proprio votare un ex fascista, dà il proprio consenso alla Lega. E lo stesso fa l’ex fascista che dovrebbe votare per un de-
mocristiano. Non è detto, dunque, che i consensi presi così rientrino tutti in elezioni diverse dalle politiche. E perché invece la Lega crescerebbe molto in regioni come il Piemonte o l’Emilia o il Lazio? Perché la Lega non prende mica i voti sul federalismo, ma per la politica che propone sugli immigrati, contro la criminalità. Questi temi una volta erano uno specifico del Msi e di Alleanza Nazionale. Oggi, con An all’interno del Pdl, né Fini né altri rivendicano più quelle posizioni. La Lega ha ben capito invece che questi sono argomenti molto importanti per un certo elettorato e se n’è appropriata scippandoli a chi li agitava in passato. L’elettorato di destra dell’intero centro-nord voterà o comunque prenderà in considerazione il voto per Bossi. E che rapporto c’è fra l’elettorato legista e quello dell’Udc? Sono assolutamente incompatibili. Votare Lega significa aver rotto almeno con alcune delle posizioni cattoliche. Penso alla solidarietà, alla carità, all’apertura. Per quanto sia di destra un elettore cattolico è difficile che vada d’accordo con un leghista. Questi è più radicalmente di destra di lui.
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Assestamenti. A differenza dell’Umbria e delle Marche qui è stato colpito il capoluogo della Regione. Decapitata la rete di comando del territorio
Emergenza bipartisan Parlamentari di maggioranza e opposizione lavorano insieme Intanto la Cei destina altri due milioni di euro alle vittime di Riccardo Paradisi i vorranno anni per ricostruire in Abruzzo – come ha detto il premier Silvio Berlusconi – anni perchè l’Aquila torni una città pienamente operativa e normale. Certo, ma intanto ci sono le priorità, le cose da fare subito, le emergenze a cui far fronte immediatamente. La prima risposta dello Stato è stata efficace e al netto delle polemiche di rito, inappuntabile. È per primo il sindaco di L’Aquila Massimo Cialente (Pd) a riconoscerlo e a definire inopportune critiche malcentrate e polemiche pretestuose.
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Ma fatta fronte all’emergenza del primo soccorso s’apre ora la seconda fase, quella della ricostruzione e del ritorno alla vita sociale e civile dell’Abruzzo. Che passa per il calcolo dei danni e per il reperimento delle risorse necessarie per far ripartire il territorio, un capitolo su cui ora sembra accendersi il confronto politico. Un territorio quello abruzzese che mai come oggi ha bisogno d’ascolto e vicinanza da parte di istituzioni la cui presenza non è certo mancata. E del resto non c’è nessun deputato o senatore abruzzese di nascita o di elezione che non sia sul territorio regionale. Giovanni Legnini, senatore del Pd, è da giorni L’Aquila dove oggi il Partito democratico abruzzese farà un punto sulla situazione. «La situazione è molto grave e non si è ancora entrati nell’ottica di far fronte alla seconda grande emergenza che è quella della chiarezza delle proporzioni del danno arrecato dal terremoto e della strategia per la sua riorganizzazio-
La proposta di Casini
Esenzioni fiscali e blocco dei mutui per le vittime segue dalla prima Secondo il leader dell’Udc è possibile recuperare 500 milioni di euro facendo emettere alle Regioni obbligazioni speciali rimborsabili in trent’anni a interessi zero, da far sottoscrivere alla Cassa depositi e prestiti. Un altro miliardo e mezzo di euro potrebbe essere reperito attraverso un programma di rientro di capitali dall’estero. Casini poi ha chiamato all’appello anche le fondazioni di origine bancarie: se impegneranno l’1 per cento del loro patrimonio, la ricostruzione potrebbe contare altri 500 milioni. «Le risorse raccolte», ha spiegato il leader dei centristi, «vanno indirizzate alla ricostruzione delle infrastrutture». Per facilitare la cosa. Si ipotizza di escludere dai vincoli di finanza pubblica la Regione, le Province e tutti i Comuni colpiti dal terremoto. L’obiettivo è lanciare in breve tempo un piano che incida in tempi brevi, e direttamente, sugli enti locali e sulle famiglie. Infatti nel pacchetto non manca la sospensione per due anni dei pagamenti delle rate dei mutui, con un allungamento della durata, ma senza aumentare gli interessi. E ancora l’esenzione dall’Irpef e dall’Ici per chi affitta seconde case in Abruzzo agli sfollati e un fondo sociale per contribuire al pagamento del canone di locazione. Infine agevolazioni fiscali per la ricostruzione, destinate sia a chi acquista gli immobili sia alle imprese che costruiscono. Casini ha anche invitato i suoi colleghi a mostrarsi generosi, «perché devono essere i parlamentari i primi a dare l’esempio». (f.i.)
ne». Le risorse che da una prima stima approssimativa sono necessarie in questa seconda fase sono di enorme entità: «Si continua giustamente a ragionare su una raccolta random di fondi, a cominciare dall’accorpamento del referendum con le elezioni europee – dice Legnini – ma da questi provvedimenti si possono recuperare alcuni milioni di euro: qui si parla di cifre intorno ai dieci miliardi». In Umbria e nelle Marche i danni dei terremoti che hanno colpito negli anni Novanta quelle regioni si sono assestati sui sei-sette miliardi, «in Abruzzo – continua Legnini – il danno è ancora maggiore anche perché è stato colpito il capoluogo, è stata decapitata la testa del territorio». Tutti gli edifici pubblici dell’Aquila sono stati distrutti o danneggiati: università, prefettura, Regione, provincia, ospedali. «Questo è un dato che rende esponenziale il danno all’intero sistema abruzzese. Per questo o si assume questa vicenda come una priorità nazionale, che sta sopra a tutta la politica infrastrutturale immaginata dal governo, come il ponte sullo stretto, o sarà necessario mettere mano alla fiscalità». Ma c’è anche la quotidianità appunto, la normalità da ristabilire. «Quanto tempo possiamo pensare – si interroga Legnini – che le persone possano restare nelle tende? Occorre accertare presto l’agibilità delle case. Se è vero che dalle verifiche sismiche risulta che metà del patrimonio edilizio si può recuperare sarebbe bene farlo presto. Insieme all’organizzazione di unità abitative magari in legno. Per queste cose dobbiamo ragionare in termini di mesi non di anni». Peraltro nelle tendopo-
li, come rileva Paolo Tancredi, senatore del Pdl, la situazione non è ancora ottimale. «Il primo intervento è stato straordinario. Ora dobbiamo ottimizzare la prima sistemazione degli sfollati e subito dopo dare una prospettiva oltre l’emergenza. Qui la priorità assoluta è il ritorno alla normalità, la fine dello stato di sfollamento mentale di questa zona. Il 40% delle abitazioni è stato definito agibile, con i tempi e le precauzioni dovute il rientro nelle case di molti abruzzesi potrebbe segnare un primo passo. Anche per far ripartire l’attività economica e amministrativa. Gli uffici pubblici sono fermi. L’ufficio del bilancio regionale, lesionato come tutto il resto, non può procedere coi pagamenti alle aziende. È un circuito vizioso che va spezzato». Il premier Berlusconi ha promesso
Parla il sindaco di L’Aquila Massimo Cialente
«L’Abruzzo lo ricostruiamo noi» l sindaco di L’Aquila Massimo Cialente è un terremotato tra i terremotati: anche lui ha la casa lesionata, ha due figli che non vanno più a scuola e che quest’anno hanno gli esami, anche lui non ha nemmeno un minuto per respirare. Eppure non si sottrae all’intervista che gli chiede liberal: «Perché è importante – dice Cialente – che certe cose siano continuamente ribadite e ripetute, soprattutto que-
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sta: la ricostruzione dell’Aquila parte riavviando il nostro sistema economico. Per noi è essenziale ottenere, anche solo temporaneamente, misure come la dichiarazione di zona franca, la defiscalizzazione, il credito d’imposta e l’inserimento nell’Obiettivo 1. In questo momento abbiamo azzerato l’economia trainata dall’università, che genera il venti per cento della ricchezza dell’Aquila, e dal turismo, compreso quello con-
gressuale, che vale un altro 15 per cento». Adesso quali sono dopo la prima emergenza le prossime tappe dell’intervento? La prima fase non è ancora finita. Dobbiamo ancora aggiustare alcune cose, perfezionare la qualità delle tendopoli e le condizioni di alloggio. Dopo di che dobbiamo certificare l’esatto numero degli sfollati e poi verificare quanti sono quelli che hanno la casa inagibile e quanti
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Il direttore della Caritas e la polemica sul 5 per mille
«Il volontariato non conti sullo Stato» di Franco Insardà
ROMA. La Chiesa cattolica si mobilita
Sopra una tendopoli per gli sfollati. Nella foto sotto il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente. A destra il cardinale Angelo Bagnasco che non saranno costruite baraccopoli; un buon intento ma anche una promessa impegnativa secondo Tancredi: «L’alternativa alle baracche infatti non può essere la permanenza degli sfollati nelle tende».
Anche perché la primavera di L’Aquila non è temperata: stanotte nel capoluogo abruzzese il termometro ha segnato -1 e non è pensabile che ancora a metà agosto ci possano essere persone nelle tende. «Già oggi ci sono molti nuclei famigliari che non hanno riscaldamenti adeguati», racconta Maurizio Acerbo di Rifondazione comunista, operativo a L’Aqui-
quelli che invece potrebbero tornare nelle loro abitazioni. Le tendopoli saranno presto un problema. Stanotte a L’Aquila ha fatto -1. C’è chi, in Abruzzo, parlando di ricostruzione, ha detto che non potrà esserci una gestione verticistica della ricostruzione. Su questo io ho sempre detto che se da un lato c’è la totale volontà di piena collaborazione con il governo e la protezione civile dall’altro noi non abbiamo nessuna intenzione di disimpegnarci sul fronte della ricostruzione. Un passaggio a cui le istituzioni e il territorio abruzzese non hanno solo il diritto ma anche il dovere di partecipare. Non è pensabile che dall’esterno si arrivi e si ricostruisca. Collaborazione e protagonismo dunque.
la coi suoi compagni dai primi giorni del terremoto. Ma Acerbo mette anche il dito sul punto controverso della governance della ricostruzione: «Passata l’emergenza la gestione non può essere fatta solo dalla protezione civile, deve esserci una discussione che coinvolga la popolazione. Parliamo di scelte che segneranno la regione Abruzzo e la provincia dell’Aquila per decenni». Al ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini che oggi sarà a L’Aquila Anna Paola Concia, deputato del Pd chiede un provvedimento d’urgenza: «Ai ragazzi abruzzesi si dovrebbe consentire di frequentare le scuole delle città dove sono sfollati. Per ora infatti non hanno nessuna intenzione di tornare negli istituti dell’Aquila». Dove lo sciame sismico continua a scuotere la terra.
Il comune che sta facendo per tentare di far ripartire la vita a L’Aquila sindaco? Abbiamo cominciato a riattivare le banche: sono già stati montati molti bancomat mobili. Si stanno riaprendo i supermercati, negozi di agroalimentari, stamattina (ieri per chi legge, ndr) è stata riaperta anche l’accademia delle Belle arti. Oggi è a L’Aquila il ministro dell’Istruzione. Una visita importante. Con il ministro Mariastella Gelmini faremo il punto sulle scuole agibili dove comunque le famiglie hanno paura a mandare i ragazzi e prenderemo delle decisioni su cosa fare con l’emergenza scuola. Sa io ho due figli: uno deve fare gli esami di terza media e l’altro di quinta liceo. (r.p.)
per l’Abruzzo. Ieri il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha visitato i luoghi colpiti dal terremoto insieme con il capo della Protezione civile, Guido Bertolaso, e ha incontrato i cittadini. «Domenica prossima - ha annunciato - la Cei promuoverà in tutte le parrocchie una colletta straordinaria a favore della popolazione colpita dal sisma». Quindi ha spiegato che «i soldi che raccoglieremo andranno a incrementare il contributo di 5 milioni di euro già deciso per la costruzione di un centro di accoglienza per la Diocesi dell’Aquila e per la ricostruzione della sede del Vicariato, che è andata completamante distrutta». Bagnasco ha anche dato notizie sulla visita di Benedetto XVI in Abruzzo: «Il Papa manterrà la sua promessa. Non so ancora la data, credo debba essere ancora decisa. È certo, comunque, che sua Santità non mancherà di compiere questa visita». Il presidente vescovi italiani si è complimentato con i Vigili del fuoco per il lavoro svolto e al termine della sua visita all’ospedale da campo de L’Aquila ha sottolineato: «Ho notato, oltre alla grande efficienza di questa struttura provvisoria, dovuta al lavoro e all’abnegazione della protezione civile, dei volontari e del personale ospedaliero soprattutto, tra la gente e tra i malati, la grande forza “aquilana”di resistere e di superare questo tragico momento. Una volontà all’insegna di un’energia interiore e anche di una grande ispirazione di fede, di religiosità che sprigiona dalle loro parole e dai loro volti».
lo e nella carità di Gesù Buon Pastore.Vi diciamo con tutto il cuore nostro e delle comunità cristiane, cuore che si traduce nelle forme più opportune attraverso la Caritas Nazionale con l’ausilio di quelle Diocesane».
Anche il direttore della Caritas nazionale, don Vittorio Nozza, era ieri a L’Aquila con il cardinal Bagnasco e si è soffermato con liberal sulla loro azione di sostegno alle popolazioni. «Il modo di procedere della Chiesa e quindi della Caritas è quello di esserci fin dal primo momento per aiutare le popolazioni per quelle che sono le nostre competenze». La Caritas, infatti, ha creato il centro di coordinamento nazionale a L’Aquila per sostenere le 11 strutture diocesane dell’AbruzzoMolise. «Il nostro ruolo dice don Nozza - è quello di organizzare in questa prima fase l’accoglienza, la compagnia, far fronte, insomma, a quelli che sono i bisogni primari degli anziani, dei disabili e delle famiglie sfollate. Da ieri è partita la seconda fase del nostro intervento. Quella, cioè, di organizzare la nostra presenza sul territorio abruzzese per il periodo medio lungo». Si tratta di 220 Caritas diocesane, raggruppate in sedici delegazioni ecclesiastiche, che hanno iniziato a operare nelle otto aree nelle quali è stato diviso il territorio colpito dal terremoto. Sono state messe in contatto con i parroci abruzzesi, si stanno organizzando per assistere le popolazioni, per poi intervenire, in una seconda fase, quella della ricostruzione. Intanto in questi giorni il mondo del volontariato e anche quello della Chiesa sono al centro di discussioni legate alla riprogrammazione dei fondi che vengono raccolti con il 5 per mille e l’8 per mille. Su questo don Vittorio Nozza ha una posizione molto chiara: «Noi sollecitiamo la libera disponibilità delle persone e la colletta che ci sarà domenica prossima nelle parrocchie va proprio in questa direzione, senza voler entrare in quelle forme più istituzionalizzate che, riteniamo debbano fare il percorso indicato. Se poi si decide di orientarle diversamente non rientra nelle nostre preoccupazioni. Il grosso legame che la Chiesa ha nelle parrocchie, nei gruppi e nelle associazioni lo intendiamo valorizzare più nella sollecitazione libera che non, invece, andare a caricare eccessivamente quelle forme che, giustamente, pensiamo le istituzioni mettano in atto».
Bagnasco: «Domenica prossima la Cei promuoverà in tutte le parrocchie una colletta straordinaria»
Durante l’omelia della messa, celebrata nel campo di piazza d’Armi, il cardinale Bagnasco ha sottolineato: «Nel cuore della Pasqua vi porto l’affetto e la vicinanza dei vescovi italiani e delle loro comunità. Saluto ciascuno con l’abbraccio di Cristo Risorto, e saluto con particolare fraternità il vostro Pastore, monsignor Giuseppe Molinari, confratello e amico. Da subito per telefono ci siamo sentiti, e da subito ho compreso che il Pastore e il suo popolo erano stati colpiti ma non schiacciati dal sisma che ha rubato cose e persone care nel cuore della notte. I vescovi italiani - ha ricordato ancora il cardinale - si rendono presenti oggi con discrezione, come coloro che servono nella verità del Vange-
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pagina 6 • 15 aprile 2009
Contratti, la Cgil minaccia il caos Il leader della Fiom, Gianni Rinaldini: «Non applicheremo le nuove intese» di Francesco Pacifico
ROMA. Dovrebbe essere un passaggio formale, invece la vidimazione dell’accordo sulla riforma dei contratti, sta lacerando i confederali. Questa sera si rivedranno al tavolo delle trattative Guglielmo Epifani, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, ma è improbabile che ci sia una ricomposizione tra il leader della Cgil, pronto a ribadire il suo no, e i suoi colleghi di Cisl e Uil. E così sono in molti a temere il picco di scontro che si registrerà tra qualche mese, quando il fronte sindacale passerà dalle discussione sulla regole al rinnovare importanti contratti di categoria.
Infatti da corso d’Italia arrivano messaggi contrastanti sull’atteggiamento che si terrà in futuro. E che in ogni caso portano verso uno stallo delle relazioni industriali. Da sinistra Gianni Rinaldini, il leader della potente sigla dei metalmeccanici, fa sapere senza giri di parole: «Diciamo da subito che noi quelle regole non le applichiamo». Dal fronte riformista il segretario confederale Susanna Camusso è meno drastica ma
annuncia: «Possiamo fare schemi comuni, ma naturalmente questi non possono recepire i contenuti di un accordo che non abbiamo firmato». La Cgil, quindi, ha le mani libere: se il protocollo firmato dagli altri sindacati e da Confindustria introduce una durata triennale, un recupero della produttività in ambito aziendale e manda in pensione l’inflazione programmata, corso d’Italia potrebbe invece applicare gli istituti del 1993. E allora sarebbe il caos, con l’unico effetto tangibile di allungare i tempi di rinnovo e aumentare la tensione sociale. Quanto meno sarebbe necessario andare a una conta, come è successo qualche settimana fa alla Piaggio. Al riguardo spiega Gianni Baratta, il segretario confederale della Cisl che si è occupato della riforma dei contratti: «Per le
soffia sul fuoco», ha sbottato il leader del Cisl. A stretto giro, in una nota del suo segretario, è arrivata la replica durissima di corso d’Italia: «Questa volta Bonanni ha passato il segno. Nulla giustifica se non un intento inaccettabilmente strumentale, le considerazioni sulla Cgil che il segretario della Cisl. Chiaramente Raffaele Bonanni sta prendendo lucciole per lanterne: o non è in grado di interpretare quello che legge oppure comincia a manifestare una volontà manipolatoria delle affermazioni altrui un po’ allarmante». Che non ci siano margini, almeno nel breve tempo, di ricomporre la frattura, lo ha chiarito anche il leader della Uil, Luigi Angeletti: «Ci dispiace per la Cgil ma non possiamo fermare il mondo se loro non sono d’accordo». Così la mente va al 2003 quando Sergio Cofferati non firmò il Patto dell’Italia a differenza dei suoi colleghi Savino Pezzotta e Angeletti. E quando Cisl e Uil, abbandonate dall’allora governo e da Confindustria, pagarono non poco sul territorio in termini di consenso. Ma oggi in via Po come in via Lucullo si spera che le divisioni interne nella Cgil e la necessità di rispondere alla crisi limitino gli effetti del muro contro muro. «Anche se le dichiarazioni ufficiali fanno pensare il contrario», spiega un dirigente della Cisl, «in corso d’Italia i riformisti sono di più di quanto si pensi. E usciranno di fuori di fronte all’arroccamento di Epifani sull’asse meccanici-statali. Per non parlare delle tante intese che a livello territoriale o di categoria che i confederali hanno stretto assieme».
Scambio di battute tra Bonanni e Epifani. «Cavalchi la tigre della rivoluzione», l’accusa. «Hai passato il segno», la replica intese che sono in scadenza a giugno, le cui trattative potevano inziare già a gennaio, ci saranno piattaforme ibride, che recepiranno in parte le nuove regole. Che invece si applicheranno in pieno sui contratti in scadenza a dicembre, come quella dei metalmeccanici».
Un antipasto di quello che potrebbe succedere lo offrono le polemiche di questi giorni. Intervistato dal Corriere della Sera, Raffaele Bonanni ha accusato la Cgil di ambiguità sui rapimenti dei manager verificatisi in Francia o in Belgio. «Epifani liscia la tigre della rivoluzione e
Condannata per l’omicidio D’Antona, l’ex-terrorista aveva reso possibile la decrittazione dell’archivio dei brigatisti
Libera Cinzia Banelli, pentita delle nuove Br di Andrea Ottieri
FIRENZE. Cinzia Banelli, la prima pentita delle nuove Brigate rosse, potrà lasciare il carcere di Sollicciano a Firenze. Alla ex ”compagna So”, condannata per l’omicidio del professor Massimo D’Antona a 12 anni di reclusione, il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha concesso gli arresti domiciliari. Parere favorevole era stato espresso sia dalla procura della capitale sia quella di Bologna. Banelli, 45 anni, fruiva già del programma di protezione, ma era rimasta nel carcere fiorentino in attesa del parere della Sorveglianza. L’ex brigatista ha una casa a Vecchiano, in provincia di Pisa, dove vivono il marito e il figlio di cinque anni. Ma, in base a quanto previsto dal Viminale per i collaboratori di giustizia, sarà trasferita in una località segreta insieme alla sua famiglia. Inoltre le sarà assegnata una nuova identità e le sarà riconosciuto un sussidio. L’ex ”compagna So” era dete-
nuta a Sollicciano dal dicembre del 2006, da quando era diventata esecutiva la condanna per l’omicidio D’Antona. Una prima richiesta per i domiciliari era stata respinta dalla Sorveglianza di Roma il 24 gennaio dello scorso anno.
Ex dipendente ospedaliera a Pisa, Banelli era stata arrestata il 24 ottobre del 2003 in seguito agli sviluppi delle indagini dopo l’arresto di Nadia Desdemona
Usufruirà del programma di protezione: avrà un nuovo domicilio, una nuova identità e un sussidio da parte dello Stato Lioce, la brigatista che sta scontando due ergastoli per gli omicidi Biagi e D’Antona. Nell’estate 2004, dopo aver partorito un figlio durante la detenzione, aveva cominciato a collaborare con gli inquirenti, diventando la prima pentita delle nuove Br. Decisiva era stata la rivelazione delle password che consen-
tirono agli investigatori di decrittare l’archivio delle Brigate rosse. Era stata coinvolta anche nell’inchiesta per l’omicidio del professor Marco Biagi. In appello, a Bologna, era stata condannata a 15 anni e quattro mesi di reclusione, sentenza annullata dalla Cassazione perché non le era stata riconosciuta l’attenuante speciale della collaborazione. Il 12 marzo del 2008 in un nuovo processo a Bologna era stata condannata a dieci anni e cinque mesi e le era stata riconosciuta l’attenuante. A oggi ha scontato oltre un quarto della pena.
Sia la decisione del ministero dell’Interno di concederle il programma di protezione due anni fa (all’epoca del governo Prodi) sia quella giudiziaria che si è conclusa ora con la concessione dei domiciliari chiudono una vicenda che andava avanti da anni. Per due volte, con il governo di centrodestra, la richiesta del programma di protezione avanzata dalle Procure di Roma e Bologna era stata respinta.
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15 aprile 2009 • pagina 7
Mario Vanni, condannato per i delitti del «mostro di Firenze»
Marano precisa: condurrà ancora. Botta e risposta Di Pietro-Gasparri
È morto l’ultimo «compagno di merende»
“Annozero”: Santoro resta (le polemiche anche)
FIRENZE. Mario Vanni, l’ex po-
ROMA. Non si placano le pole-
stino di San Casciano condannato all’ergastolo per i delitti del «mostro di Firenze», è morto all’ospedale fiorentino di Ponte a Niccheri. Vanni, 82 anni, era da tempo ricoverato in una casa di cura di Pelago ed era stato condannato all’ergastolo per concorso negli ultimi quattro duplici omicidi del Mostro di Firenze: Montespertoli (’82), Giogoli (’83), Vicchio (’84) e Scopeti (’85). La pena, a causa delle precarie le condizioni di salute, era stata sospesa nel 2004 e l’ex postino viveva in una casa di cura nei pressi di Firenze. Vanni era l’ultimo «compagno di merende» di Pietro Pacciani ancora in vita. E proprio a lui si deve la definizione di «compagni di merende»: fu infatti il Vanni, nel corso della sua deposizione al primo processo a Pacciani, nel 1994, a sostenere che loro due andavano solo a fare merende.
miche politiche che oramai da giorni hanno investito la trasmissione Annozero e il suo padrone di casa Michele Santoro. Anche ieri diversi botta e risposta hanno affollato l’informazione online e non, chi sostenendo il conduttore e la puntata incriminata (quella cioè relativa al devastante terremoto che ha colpito l’Abruzzo lo scorso 6 aprile), chi invece continuando a mentar fendenti «sull’indecenza della trasmissione». Il primo ieri a difendere Santoro è stato il leader dell’Italia dei valori, Antonio Di Pietro: ««Tralascio le invettive rivolte alla trasmissione da parte di lacchè di governo come Fabrizio Cicchitto, pidui-
Del resto Vanni era l’ultimo, forse, a detenere ancora in mano la verità sul mostro di Firenze: sulle sue affermazioni, per altro, si è basata anche una parte dell’inchiesta sui mandanti, quella che poi è finita assolvendo l’ex farmacista Calamandrei. Giancarlo Lotti, il pentito dell’inchiesta, era morto nel 2002. Al 1998 risale invece il de-
Telecom va alla guerra contro l’Argentina E in Italia l’Antitrust la multa per 735mila euro di Alessandro D’Amato
ROMA. Telecom Italia ha intenzione di ricorrere in appello contro la decisione dell’Antitrust argentino, sollevando dubbi di incostituzionalità sulla scelta dell’Autorità di annullare i diritti di voto dell’azienda italiana nella controllata, vista la posizione al suo interno del maggior azionista, Telefonica de Espana, la quale possiede anche il secondo maggior operatore sul mercato. Per questo, con una mossa a sorpresa, nel week-end l’Antitrust di Buenos Aires ha inibito i consiglieri espressi da Telecom Italia negli organi delle società a monte e a valle di Telecom Argentina dall’esercitare i diritti di voto. Una decisione che – fino a quando non verrà revocata – consegnerà la compagnia telefonica all’unico azionista locale, la famiglia Werthein, che da mesi ha ingaggiato un duro braccio di ferro con il gruppo guidato da Franco Bernabè per ostacolarne l’esercizio delle opzioni sulla propria quota nella holding di controllo Sofora, il 50%, alla pari con gli italiani. La settimana prossima è in programma il consiglio di quest’ultima che dovrà decidere la lista per il rinnovo del cda all’assemblea di fine aprile. Nel consiglio uscente Telecom Italia esprime tre consiglieri su sei, tra i quali il presidente Enrique Garrido, cui spetta il voto decisivo in caso di parità. Ma alla prossima riunione solo i tre amministratori nominati dai Werthein avranno voce in capitolo.
significa che le decisioni delle due società sono praticamente condivise». E intanto andrà al voto una mozione, proposta dalla Defensoría del Pueblo de la Nación, per bloccare l’acquisto (che si doveva effettuare tramite call option) del 50% rimanente di Telefonica Argentina, che appartiene per il 48% alla famiglia Werthein e per il 2% a France Telecom. Dietro l’iniziativa non è difficile scorgere, oltre all’interesse “nazionale”, anche quello “particolare”dei Werthein, che vorrebbero portarsi a casa l’intera azienda utilizzando l’argomento del “dagli allo straniero”, molto popolare in Argentina (come in Italia, del resto). Ma questo impedirà nel breve a Telecom per lo meno di consolidare nel bilancio l’azienda.
Anche in Italia la “guerra”contro i regolatori va male per Franco Bernabé: ieri l’Antitrust ha comminato a Telecom Italia una multa per pratiche commerciali scorrette, per complessivi 735mila euro. E sempre ieri è arrivato l’ennesimo botta e risposta tra Commissione Ue a Autorità per le tlc sugli impegni presentati da Telecom Italia per migliorare l’accesso alla rete da parte dei concorrenti. Bruxelles ha chiesto ancora la notifica ufficiale degli impegni, per poterli mettere al vaglio della Commissione, ma Roma ha ripetuto che l’obbligo non c’è. La questione va avanti da alcuni mesi: da quando, cioè, a dicembre scorso, l’Agcom aveva accettato gli impegni presentati dall’ex monopolista che prevedono una diversa organizzazione interna (con la funzione Open Access) mirante a facilitare l’accesso alla rete favorendo così la concorrenza. Il Commissario europeo Viviane Reding aveva espresso perplessità sulla procedura seguita, sottolineando la necessità di ricevere informazioni preventive su questo tema. E già allora il presidente dell’Agcom Corrado Calabrò aveva chiarito che non c’erano obblighi di notifica ufficiale, ma solo di assoluta trasparenza. Intanto il tempo passa, e la neutralità della rete, in Italia, appare sempre più come una chimera.
Le autorità sudamericane bloccano le mire di Bernabé per via di un eccesso di presenza di Telefonica de Espana
cesso di Pacciani. «Sono innocente, io non ho fatto nulla. È tutta colpa di quel bugiardo del Lotti, mi accusa, mi infama e non capisco perché», disse Vanni piangendo dopo lettura della sentenza. Successivamente alcune sconclusionate dichiarazioni dell’ex postino sono state all’origine di una terza inchiesta che ipotizzava dietro ai delitti l’esistenza di una setta satanica. Il linguaggio colorito e le uscite rabbiose di Vanni durante le udienze del processo lo hanno resto un personaggio quasi al pari di Pacciani. Dietro a quei terribili delitti, secondo le sentenze di condanna, c’erano uomini di campagna senza arte né parte, che si esprimevano solo in vernacolo.
Anche la politica sembra essere schierata decisamente in favore della “squadra di casa”: la Commissione parlamentare di Vigilanza sul mercato ha deciso che la presenza della spagnola Telefonica con una quota di minoranza nel capitale di Telecom Italia viola le leggi nazionali contro il monopolio, visto che le divisioni delle due aziende controllano gran parte del mercato della telefonia fissa e mobile e dei servizi Internet in Argentina. L’ombudsman Eduardo Mondino ha affermato che «sebbene la quota di Telefonica sia molto piccola, in termini operativi, consente di farli entrare nel processo decisionale e questo inevitabilmente
sta tessera numero 2232, e Maurizio Gasparri», ha tuonato l’ex pm, per poi aggiungere: «Fino ad oggi i politici hanno falsamente invitato a non strumentalizzare la tragedia per fini elettorali, oggi io chiedo loro di non strumentalizzare la tragedia per imbavagliare Santoro e chi vuol fare vera informazione». Non si è fatta attendere la replica di Maurizio Gasparri: «Di Pietro eviti gli insulti. Ne conosco la viltà. È un uomo la cui storia è costellata di vicende oscure ed ambigue. Spiace che in un momento di coesione nazionale usi il suo linguaggio. Ma è tipico di un uomo che ignora onestà e congiuntivi. Noi conosciamo la sua storia, nei dettagli. E capiamo perché reagisce così».
Ad ogni modo, l’unica vera notizia di ieri circa l’affaire Santoro è passata per la bocca del direttore di Raidue, Antonio Marano, che ha smentito la voce secondo cui il giornalista intenderebbe lasciare Annozero per fare l’autore in proprio. «Un’affermazione - ha sottolineato - destituita di ogni fondamento». Il nuovo Piano di Produzione di Raidue, ha detto Marano, infatti «prevede la messa in onda di 14 puntate del programma di Santoro, a partire dal prossimo 17 settembre».
mondo
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Arrembaggi. Altri due cargo nelle mani dei terroristi mentre continuano le trattative per liberare gli ostaggi italiani
Il call center anti-pirati Al via un centralino, attivo 24 ore su 24, per aiutare le navi attaccate in Somalia di Luisa Arezzo a lancia dei pirati si avvicina sempre più alla tua imbaracazione? Riesci a vedere distintamente fucili e mitra? Allora chiama. Più in fretta che puoi. Lo 0060-320785763 è attivo 24 ore su 24 ed è vivamente consigliato preregistrare il numero sul telefono satellitare di bordo. Se per qualsiasi motivo foste impossibilitati a chiamare, mandate una mail a piracy@icc-ccs.org.
L
intenderci), in modo da evidenziare in presa diretta ogni movimento pirata. A navigare il sito, nella sezione Live Piracy Report, si prova un brivido lungo la schiena: 16 attacchi negli ultimi dieci giorni, raccontati minuto per minuto: nel dettaglio. Almeno in tutti quei casi andati a buon fine, ovvero con l’abbandono da parte dei pirati dell’obiettivo prescelto. Si va dalla manovra azzeccata dal comandante, che
Non è uno scherzo di cattivo gusto. Ma il call center del Maritime Bureau Piracy Reporting Centre, una divisione no-profit nata nel 1992 per volere della Camera di Commercio Internazionale e dedicata alla salvaguardia del trasporto su mare. Inzialmente volta solo al monitoraggio del traffico navale nelle aree di rischio, si è poi trasformata in centralino anti-pirateria. Di stanza a Kuala Lumpur, in Malaysia, dove all’epoca i pirati tenevano sotto scacco lo Stretto di Malacca (lo fanno ancora, ma il fenomeno è in netta diminuzione dopo una serie di “risposte”mirate), oggi offre il suo supporto soprattutto alle imbarcazioni che transitano nel Golfo di Aden, proprio all’anticamera del Golfo di Suez, segnalando tutti gli abbordaggi (sia quelli riusciti che quelli abortiti) e stilando una sorta di memorandum per ogni operazione (quanti uomini, dove, con quali barchini - in gergo chiamati skiff - con quante armi, con quali tecniche, con quale nave madre) e piazzando una bandierina colorata su una mappa dell’area (una mappa di Google earth, per
Se allertato, l’operatore avvisa le forze presenti nella regione per farle correre in soccorso. E poi provvede a telefonare all’armatore. Dopodiché stila un memorandum a fini statistici in tempo reale è riuscito a sventare l’arrembaggio, al tempismo di qualche marinaio che ha avvistato per tempo lo skiff in arrivo. E non è facile farlo, visto che si muovono sempre nelle ore più indicate all’azione criminale (Master & Commander insegna...), ovvero le prime luci dell’alba oppure la notte.
Ma cosa fa l’operatore del call centre se avvisato di un attacco in corso? Per prima cosa avvisa il Mschoa, il Ma-
ritime Security Centre Horn of Africa. Istituito dall’Unione europea per integrare le iniziative di politica di sicurezza e difesa, è anch’esso dotato di un call centre (base a Bruxelles, numero altrettanto prezioso da tenere registrato) in diretto contatto con tutte le forze navali presenti nella regione. Come dire: la nave da guerra di stanza nell’area dell’attacco viene allertata in tempo reale con capacità di
dirigersi sul bersaglio in breve tempo. Una volta assicurato l’intervento navale, il centralinista provvede a mettersi in contatto con l’armatore della nave sotto attacco per fornire le prime indicazioni. Poi, per parlare in gergo, continua a monitorare la situazione ma passa“la palla” alle autorità competenti.
In alto: gli ostaggi francesi da poco liberati con un blitz. Sotto: un gommone Usa impegnato nella lotta contro i pirati. A destra: l’arresto di sette “corsari”
mondo di razzi multicolori e di suoni delle sirene. Se invece la sorpresa ha la meglio sull’intero equipaggio, tentare almeno di lanciare il Mayday. Dopodiché non oppore resistenza alcuna, restare calmi e cooperare con i malviventi. Mai, e dicasi mai, cadere nella tentazione di scattare una foto.
Purtroppo però, nonostante l’affollamento di navi da guerra e un servizio di monitoraggio permanente, i pirati somali non si fermano. Tre gli assalti in poche ore nelle acque del Golfo di Aden. Dopo i blitz di Francia e Stati Uniti costati la vita a cinque banditi, e dopo aver ancorato nel Puntland il rimorchiatore battente bandiera italiana con 16 uomini di equipaggio, di cui 10 italiani, («C’è un pò di preoccupazione, ma la situazione è tranquilla e contiamo che si risolva in fretta» ha detto in un’intervista il ministro della Difesa, Ignazio La Russa), i predoni hanno abbordato il cargo porta-granaglie greco “Irene E.M.”. La nave ha a bordo 22 persone di equipaggio, tutte filippine. Catturato anche il mercantile da 5mila tonnellate “Sea Horse” che batte bandiera del Togo, ma secondo alcune fonti marittime potrebbe essere americano. E sempre ieri i pirati hanno anche aperto il fuoco su una terza nave.
La parola d’ordine, mentre si naviga in acque pericolose, è quella di rollare alla massima velocità. Senza fermarsi: i pirati faticano ad assaltare una nave se questa si muove e fa manovre diversive La competenza accumulata nel corso degli anni, ha anche fatto compilare al Piracy Reporting Centre un vademecum su come comportarsi in caso di arrembaggio. Per prima cosa, è opportuno che l’intero equipaggio non solo lo legga, ma faccia anche delle simulazioni pratiche sulla sua applicazione prima di partire. È ormai statistica che chi ha provveduto ad attrezzarsi in tal senso, rischia di meno. Ci sono consigli pratici per tutti: dalla compagnia armatrice al cliente che sceglie di trasportare via mare, dal comandante alla ciurma. Fondamentale dotarsi di ogni mezzo di comunicazione veloce. Detto questo, la parola d’ordine, mentre si naviga in acque pericolose, è quella di rollare alla massima velocità. Senza fermarsi mai: i pirati fanno fatica ad assaltare una nave se questa si muove e fa anche manovre diversive. Benvenuti tutti i portelli a chiusura stagna e antiproiettile capaci di garantire l’incolumità dell’equipaggio. Come dire: restare chiusi finché si può. E dotarsi di ogni segnale luminoso e sonoro possibile. È statisticamente provato che i pirati tendono ad abbandonare il campo se il cielo si riempie
Lo riferiscono fonti della Nato. Dieci banditi a bordo di tre barchini hanno aperto il fuoco con mitragliatrici e lancia granate contro la nave battente bandiera liberiana Safmarine Asia di 21.887 tonnellate di dislocamento. Al momento non si ha notizie di feriti.
Il capo dell’Ufficio internaNoel zionale marittimo, Choong, si è detto favorevole all’adozione della linea dura, pur riconoscendo i rischi di rappresaglia nei confronti delle navi e degli equipaggi. Ad oggi sono 17 le imbarcazioni nelle mani dei pirati e oltre 250 i marittimi in ostaggio. E mentre la Casa Bianca valuta come e quando iniziare una vera e propria lotta contro la pirateria, una tv americana è riuscita ad aggiudicarsi l’esclusiva delle operazioni della marina statunitense nel golfo di Aden contro i pirati per realizzare un reality: “Pirate Hunters: USN”. Due troupe di Spike Tv saranno a bordo della Uss San Antonio (nave anfibia) e della portaerei d’assalto Uss Boxer che già incrociano a largo delle coste somale per seguire le operazioni da dietro le quinte.
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Le leggi e il mare: parla Natalino Ronzitti, docente di diritto internazionale
«Fermarli è possibile, ma l’ordine non arriva» «C
hiariamo il quadro: Le regole del diritto internazionale del mare, codificate nella Convenzione di Ginevra del 1958 sull’alto mare e nella Convenzione sul diritto del mare del 1982, sono chiare. Ciascuno Stato può fermare e catturare una nave pirata in alto mare. Ma nessuno è autorizzato ad entrare nelle acque territoriali altrui. Il Golfo di Aden costituisce un’eccezione, autorizzata dalle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». È fermo ma con una voce suadente Natalino Ronzitti, ordinario di Diritto Internazionale all’Università Luiss di Roma, mentre ci spiega come è possibile contrastare, sotto un profilo giuridico certo, la pirateria. Professore, come si sta affrontando questa emergenza somala? Intanto diciamo che sarà difficile venirne a capo fintanto che la Somalia continuerà ad essere un Paese strutturalmente instabile e privo di un apparato statale in grado di attuare un’efficace politica preventiva e repressiva. La comunità internazionale ne è consapevole e dovrebbe agire di conseguenza. Sì, ma il tempo non sempre è galantuomo e questa è una strategia di lungo periodo. Nel breve cosa si può fare per arginare il fenomeno dei sequestri? In primo luogo il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha adottato due risoluzioni 1816 del 2 giugno 2008 e 1838 del 7 ottobre 2008 con cui autorizza gli Stati con navi nella zona ad entrare nelle acque territoriali somale. Le risoluzioni sono state adottate all’unanimità, anche se la Cina ed altri Paesi del terzo mondo hanno precisato che l’ingresso nelle acque somale non costituisce un precedente per modificare le regole del diritto del mare. La Marina internazionale è autorizzata ad entrare per mantenere l’ordine. Come dimostra anche la missione “Atlanta”. Però gli arrembaggi si susseguono… Un ammiraglio ha fotografato brillantemente la situazione: l’elefante alle prese con il classico topolino. Appunto. Ma è possibile che tutte queste marine non riescano a catturare i prati? Ma alcuni lo hanno fatto: sono gli americani, i francesi e i danesi. Non è vietato e il diritto del
“
mare è estremamamente chiaro in proposito. Non solo: se catturate, queste persone sono perseguibili per reato di pirateria. Gli Usa stanno discutendo in queste ore se processare il pirata da loro arrestato durante il blitz di domenica. E hanno tutto il diritto di farlo perché è stato catturato da una nave americana. Il prigioniero è di chi lo cattura. Certo, sarebbe logico che venisse processato dallo Stato dove è stato arrestato, ma in Somalia questo è un problema.Tanto che sono stati stipulati degli accordi con il vicino Kenya. È tuttavia implicito che dovrebbe essere garantito il diritto di giustizia.. Molte persone si chiedono: perché non sparano contro di loro? Il diritto internazionale del mare non lo vieta. Diciamo che bisognerebbe osservare delle regole, come quella di un uso graduale della forza: prima si spara un colpo di avvertimento vicino alla prua e se l’imbarcazione non risponde si procede con un colpo al timone e così via. Dunque tutte le navi che pattugliano il Golfo di Aden potrebbero intervenire? Certamente. Così come è possibile intervenire quando sono stati catturati degli ostaggi. Alcune risoluzioni, oltretutto, consentono di intervenire anche sulla terraferma. L’uso della forza è consentito per proteggere i propri connazionali all’estero. Se non lo fanno è perché avranno ricevuto ordini dai singoli governi in tal senso. È vero che se anziché chiamarli pirati li si definisse terroristi sarebbe più semplice intervenire? No. Il pirata agisce per fini privati (depredazione), mentre il terrorista agisce per fini politici. Sotto il profilo del diritto la differenza è enorme. Non solo: tutto quello che abbiamo detto finora vale per i pirati. Le regole che consentono alle navi da guerra di intervenire afferiscono alla legge del mare. Se li definissimo terroristi la disciplina giuridica sarebbe diversa. Alcuni propongono di far viaggiare le navi con un equipaggio armato. La pirateria può essere contrastata solo da navi da guerra autorizzate, non dalle imbarcazioni private. Ma se un privato rispondesse a colpi di arma da fuoco a un attacco non sarebbe un ille(l.a.) cito internazionale.
La pirateria può essere contrastata solo da navi da guerra autorizzate. Ma se un privato rispondesse a colpi di arma da fuoco a un attacco non sarebbe un illecito
”
panorama
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Poltrone. Riparte il carosello: Mimun alla Rai e il direttore di «Panorama» al suo posto al Tg5
Tg1, Belpietro scende dalla giostra di Francesco Capozza
ROMA Niente Tg1 per Maurizio Belpietro. Sarà stata l’emergenza terremoto. Sarà stato il fatto che i sondaggi danno il Pdl in netta crescita e la popolarità del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha raggiunto nuovamente livelli bulgari. Sarà stato lo storcere di naso di Paolo Garimberti, il neo-presidente della Rai. O forse sarà stato quel tetto di 250 mila Euro annui imposto a tutti i diridell’Azienda genti pubblica. Probabilmente tutte queste motivazioni messe insieme hanno contribuito all’inversione di rotta che ha fatto crollare le quotazioni del direttore di Panorama come successore di Gianni Riotta al timone del primo telegiornale nazionale. A sentire voci all’interno della redazione la candidatura Belpietro «è morta e sepolta» e «per molteplici ragioni».
mento delicato forse non è il caso di spingere l’accelleratore sulla candidatura di Belpietro. È un ottimo direttore e un grande giornalista, ma creerebbe più malumori che altro». Quindi, se questa fonte dice il vero, Berlusconi sarebbe orientato a ritirare dalla corsa il suo “cavallo”. A mettersi di traverso sulla strada di Belpietro per viale Mazzini ci si è messo, inoltre, anche Garimberti. Il neo presidente della Rai, infatti, non gradirebbe per nulla una condidatura “dall’alto” per una poltrona così delicata e prestigiosa come quella lasciata vuota dal nuovo direttore del Sole 24 Ore. Stando a quanto raccontato a
pronto il suo asso nella manica: spostare il fidatissimo direttore del Tg5, Clemente Mimun, a viale Mazzini, affidare il telegiornale della rete ammiraglia Mediaset a Belpietro e premiare il “suo” Augusto Minzolini con la direzione di Panorama.
Quest’ultimo Risiko, tra l’altro, sarebbe l’unica mossa per poter accontentare Minzolini che sull’idea di andare a dirigere il settimanale patinato di Mondadori c’aveva fatto la bocca da tempo. Esattamente da quando la nomina di Belpietro al Tg1 era data da tutti per «cosa fatta». Inoltre la promozione a Panorama era stata promessa al giornalista direttamente dal premier, il che è una garanzia assoluta. A spianare la strada a questo giro di poltrone tutte berlusconiane sono però le reticenze di Mimun a tornare al timone di quella testata che ha già diretto per tre anni. Oltre a non avere una redazione propriamente “amica” (a cominciare dal nemico Francesco Giorgino), Mimun in Rai andrebbe a guadagnare quasi la metà di quanto percepisce a Mediaset e questo, raccontano, è uno dei motivi per cui lo stesso Belpietro non avrebbe fatto i salti di gioia a trasferirsi al Tg1. A Silvio non si può dire di no, ma è anche vero che pecunia non olet.
Ricominciano le trattative per le testate Rai. Fini vuole promuovere Mauro Mazza, mentre anche Paolo Garimberti vuole dire la sua
Sicuramente il Cavaliere non avrà avuto negli ultimi giorni molto tempo da dedicare alla questione Rai, tuttavia qualcuno a lui vicino racconta che «in questo mo-
IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio
liberal da un autorevole fonte Rai, Garimberti pur di ostacolare l’ascesa di Belpietro al Tg1 sarebbe pronto addirittura a fare sponda con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, promuovendo la candidatura del direttore del Tg2 Mauro Mazza. Berlusconi, però, è persona quanto mai scaltra e non accetterebbe mai di scendere a compromessi né con Garimberti né con Fini, almeno che questi non cambi l’indirizzo della sua presidenza a Montecitorio. Per questo il Cavaliere ha già
La nascita (reale e simbolica) di un bambino, domenica, nella tendopoli di Paganica
Natale a Pasqua. In una tenda abruzzese na tenda non è una grotta, ma poco ci manca. In una tenda è venuto alla luce Maichol. La vita rinasce. Riprende. La vita continua. Sembrano frasi fatte e scontate. Soprattutto se messe a confronto con il dramma di una terra che continua a tremare. Eppure, è semplicemente la verità dei fatti umani: la vita che nasce è la vita che inizia e mette al mondo un mondo nuovo che si muove con la speranza. “Speriamo bene” è una tipica espressione cristiana: il sentimento della speranza o il principio speranza è proprio del cristianesimo che ama il mondo più di quanto ami l’Altromondo. La speranza è la vita che inizia. “Perché ci fosse un inizio”, dice in modo splendido Agostino, “fu creato l’uomo”. Maichol è il nuovo inizio. La nuova L’Aquila. La nuova Paganica. Maichol, infatti, è nato domenica sera nel campo di Paganica Tre gestito dalle Misericordie. Il bimbo sta bene e insieme alla madre è stato trasferito in ospedale a Pescara. Lunedì pomeriggio, invece, nella chiesa allestita in una tenda del campo di Paganica sono stati battezzati due neonati. Per una bimba di nome Giada, nata circa un mese fa, i genitori hanno voluto come padrino un volontario della Mi-
U
sericordia di Roma Sud, Silvio Fiorini, che nell’ultima settimana è stato loro particolarmente vicino.
Nascere nel giorno di Pasqua in una tendopoli allestita per soccorrere una comunità travolta dalla terra prima amica e poi nemica è un miracolo della forza della volontà umana. Quale sia la differenza tra il Natale e la Pasqua lo spiegano i teologi e la liturgia. A me interessa poco: voglio solo notare che la vita umana è al centro dei due avvenimenti. La vita che viene accolta e difesa e che cambia la vita. L’uomo è colui che cambia proprio perché rinasce, inizia, rinnova. La sua forza è la forza della volontà. Che cosa strana è la volontà. Ancora più strana quando è “buona volontà”. Nei giorni scorsi è stata dedicata atten-
zione ad alcune parole di Benedetto XVI in cui il “papa professore” criticava un suo “connazionale”: il filosofo Nietzsche e la sua “volontà di potenza”. Che cos’è? Un pensiero non semplice e anche equivoco, senz’altro tuttavia manipolato, nella sua essenza dovrebbe significare l’accrescimento della vita e l’accoglimento della vita nei suoi aspetti di gioia ma anche di dolore senza senso. “Dire sì alla vita” anche se la vita fa male, anche se la vita a volte non si mostra degna di essere vissuta.“Dire sì alla vita” senza ingiuriarla, senza maledirla, senza rinnegarla, bensì accettarla nella sua intera tragica grandezza. La nascita di Maichol nella tendopoli tra le macerie di Paganica sembra la personificazione di questa “volontà di potenza” ossia “volontà dell’esistenza” che ha dentro di sé indissolubil-
mente il cristianesimo: la “buona volontà”. Nietzsche non era poi così lontano dal cristianesimo e chi ha detto che fu un “cristiano inconsapevole” non ha detto un’eresia. Maichol è venuto al mondo accolto dal mondo che si è mosso con l’intelligenza e l’amore della “potenza della volontà”.
Il mondo libero della vita umana si fonda su questa volontà che afferma se stessa come volontà che sceglie il bene. Perché anche il bene ha bisogno di essere scelto per essere fatto: per essere messo al mondo. Non esiste in sé, in un mondo a parte, in un mondo immutabile, fisso, come le stelle del cielo (ammesso che siano fisse e ferme) ma in un mondo umano e oltreumano in cui ogni azione è frutto di una lotta per superare il male che ci portiamo dentro. Il bene non sembra quasi di questo mondo, tanto è fragile e dipendente dalla volontà umana. Al mondo c’è la forza che si oppone ad altra forza e trovare lo spazio per il bene sembra un’impresa disperata. Spetta all’uomo con le sue azioni inserire il bene nel mondo: il bene è un’azione, non è un oggetto, non è un calcolo, non è una stella. Il bene nasce, come Maichol, tra le forze della natura.
panorama
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Recessione. I dati che arrivano dalle Borse internazionali producono un ottimismo del tutto ingiustificato
Non basta la finanza per risolvere la crisi di Carlo Lottieri segue dalla prima D’altra partre, il tunnel della crisi è ancora molto lungo e ci vorranno numerose altre buone notizie – soprattutto sul fronte della politica economica e monetaria – perché sia possibile guardare con più fiducia al futuro.
Quando si considerano a 360 gradi le cause fondamentali della crisi risulta evidente che si è ben lontani dall’avere affrontato con rigore i problemi maggiori. Sul piano della politica monetaria, ad esempio, gli effetti dell’espansione che ha facilitato un “boom” artificioso e il successivo “bust” – quella crescita drogata a cui ha fatto seguito la crisi – non sono stati per nulla eliminati. Sulla spinta degli interessi dei gruppi industriali, nel corso dell’ultimo anno si è anzi provveduto ad ampliare ancor più la massa monetaria, adottando tassi di interesse molto bassi. Ma c’è qualcosa che è perfino peggio. In un certo senso, i problemi causati dalle politiche che hanno generato la crisi potrebbero anche essere in via di soluzione. Nella sua complessità e quale siste-
Ieri Goldman Sachs ha annunciato con molta enfasi che per la prima volta, dopo molti mesi in nero, i suoi conti si sono chiusi in positivo ma altamente sofisticato, costituito da innumerevoli adattamenti e da costanti innovazioni e modifiche, il mercato globale dei prodotti e dei servizi avrebbe già potuto superare talune delle principali difficoltà dei mesi scorsi se nel frattempo ai vecchi problemi non se ne fossero aggiunti di nuovi.
Perché ormai il problema cruciale dell’economia internazionale non è tanto la crisi esplosa sul finire dell’estate scorsa, ma quell’insieme di misure emergenziali che sono state assunte un po’ ovunque con l’intento di affrontare, e sconfiggere, le difficoltà della congiuntura. Come ebbe a dichiarare con straordi-
naria franchezza il presidente ceco Vaclav Klaus al premier britannico Gordon Brown, più della crisi ora devono preoccupare le soluzioni adottate per vincerla. Quanti si sono interrogati sulla crisi attuale hanno più volte fatto riferimento alla Grande Depressione del 1929: e a dispetto delle molte specificità delle due distinte situazioni è fuori di discussione che vi siano vari punti di contatto. Il primo risiede nel fatto che in entrambi i casi il disfacimento del sistema economico è stato causato, per una misura rilevante, da scelte monetarie espansive e quindi da “cattivi investimenti”. La scelta di moltiplicare il credito e generare una crescita immotivata non può che causare problemi assai seri.
potuta superare ben prima. Il rischio è che ora si debba fare i conti con una situazione analoga. Negli Stati Uniti, ad esempio, le scelte dettate da Barack Obama (che a fine 2009 comporteranno un deficit del 12%) stanno trasferendo una quantità considerevole di risorse dai settori più produttivi a quelli più politicamente protetti, da quelli che meglio soddisfano i consumatori a quelli che rispondono maggiormente alla nuova retorica pubblica. A tale proposito, basta aprire un qualunque giornale economico per vedere come tutte le imprese stiano ripensando «in senso ambientalista» le proprie produzioni: essenzialmente al fine di intercettare il denaro pubblico.
Ma un altro punto di contatto sta nel fatto che pure stavolta le difficoltà economiche si sono rivelate una formidabile opportunità di espansione dei poteri pubblici. Il New Deal rooseveltiano – anche nelle sue versioni europee, comprese quelle della Gemania nazista e quella dell’Italia fascista – aggravò e radicalizzò una crisi che altrimenti si sarebbe
Non può del tutto sorprendere, allora, che alcune società finanziarie statunitensi – in prima fila tra i beneficiari dell’aiuto di Stato – vedano aprirsi prospettive rosee di fronte a loro. Ma c’è un’alta probabilià che questo abbia luogo a scapito dell’economia nel suo insieme e, in particolare, a scapito delle imprese che meglio sanno stare sul mercato.
Polemiche. Le grandi compagnie aeree mondiali sono in rosso, come il nuovo vettore italiano
Alitalia a terra (e con le casse vuote) di Andrea Giuricin l trasporto aereo mondiale è in piena crisi; esso si caratterizza da un alto livello competitivo ed è fortemente influenzato dagli shock esterni. La crisi economica ha un impatto importante sui conti economici delle compagnie aeree, tanto che la Iata, l’associazione che raggruppa il 90 per cento dei vettori mondiali, prevede perdite per diversi miliardi di dollari nel settore. La risposta delle compagnie è stata quella di diminuire l’offerta sia nell’ultimo semestre sia per l’estate 2009. D’altro canto, si adotta anche la strategia di abbassare i prezzi dei biglietti, per cercare di non perdere ulteriori clienti. Ma se i vettori aerei hanno problemi, anche i produttori di aeromobili sono in grandi difficoltà: Airbus e Boeing hanno previsto di dimezzare le vendite nel 2009 rispetto allo scorso anno.
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meglio; nei primi tre mesi dell’anno il traffico negli aeroporti è diminuito dell’8 per cento. Proprio dall’inizio dell’anno è nata una nuova compagnia aerea derivante dalla fusione delle ceneri di Alitalia con Airone. I primi dati relativi al vettore vedono un load factor molto inferiore rispetto alle aspettative. La liquidità non è il punto forte di Alitalia che ha speso oltre
Malgrado il monopolio Roma-Milano, la società di Colaninno ha speso più degli investimenti fatti. In attesa della ricapitalizzazione francese
In questo clima altamente preoccupante vi è un unico fattore positivo; la crisi economica ha provocato un crollo dei costi legati al carburante grazie alla discesa del prezzo del petrolio. Se il trasporto aereo mondiale va male, quello italiano non va
1,8 miliardi di euro per l’acquisto di Airone e i pezzi della compagnia fallita, a fronte di una ricapitalizzazione inferiore a 1,2 miliardi di euro. Ma quali sono i punti di forza di Alitalia? Certamente il fatto di essere monopolista sulle rotte domestiche, grazie alla legge 166 del 2008, rinominata “Salva Alitalia”, varata dal Governo nell’autunno scorso. Si sente spesso affermare che l’alta velocità ferroviaria permette una concorrenza all’aereo. Questo è vero, ma solo per il 10 per cento del mercato aereo domestico; tanto vale la Linate-Fiumicino, mentre per il restante 90 per
cento del mercato interno esistono seri problemi di concorrenza. Tale posizione monopolistica, secondo il Piano Fenice stesso, porterà dei ricavi aggiuntivi di 2,1 miliardi di euro in 5 anni a causa di prezzi dei biglietti aerei più elevati.
Nonostante questa rendita di posizione, la nuova compagnia rimane un piccolo vettore nel panorama europeo; Alitalia trasporterà un passeggero su quaranta in Europa e soprattutto a fine anno rischia di trovarsi con delle perdite superiori ai 500 milioni di euro. E se a fine anno i soldi saranno terminati? A quel punto si dimostrerà che l’italianità, in un trasporto aereo globale, era una bellissima “foglia di fico”; i francesi probabilmente saranno gli unici a ricapitalizzare e diventeranno i soci di maggioranza della nuova compagnia. Alitalia, nel trasporto aereo mondiale, non può più avere una posizione indipendente; peccato solo che sarà evidente a molti con due anni di ritardo e diversi miliardi di euro dei contribuenti buttati nei motori della compagnia di “bandiera”.
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segue dalla prima Leggi che ne impedivano la raccolta o la vendita a chiunque non facesse parte delle autorità coloniali. Dopo l’aria e l’acqua, il sale costituisce senza dubbio il bene di più stretta necessità per l’uomo. «È il condimento dei poveri», scrisse Gandhi. L’identificazione di Gandhi con i poveri sottendeva tutta la sua filosofia universalista. Per proteggere i poveri dalle devastazioni del capitalismo, il quale apporta benefici solo alla maggioranza e non alla totalità della popolazione, l’India adottò la forma di governo socialista una volta ottenuta l’indipendenza. Nella sostanza, sebbene gli Hindu fossero in maggioranza, essi non potevano ignorare o calpestare i diritti di decine di milioni di musulmani. Infatti, il bene supremo imponeva che la coscienza della nuova nazione e del Partito del Congresso al potere fosse
Bjp, di stampo hindu-sciovinista. I gruppi locali di attivisti per i diritti umani sottolineano come il pogrom abbia avuto inizio il 27 febbraio 2002 a Godhra, centro urbano con un’ampia popolazione musulmana, con l’incenerimento di 58 hindu passeggeri di un treno durante una sosta nel percorso da Gujarat a Uttar-Pradesh, nella parte centro-settentrionale dell’India. I musulmani che, da quanto fu riferito, appiccarono il fuoco erano stati apparentemente scherniti da altri hindu di passaggio diretti ad Ayodhya, nell’Uttar Pradesh, per prendere parte un manifestazione che chiedeva la costruzione di un tempio hindu nel luogo in cui un tempo sorgeva una moschea Moghul.
L’analista americano racconta da vicino il governatore dell
Viaggio nel cuore del di Robert
Modi, da poco nominato governatore, decretò per il 28 febbraio un giorno di lutto, così che i funerali dei passeggeri potessero celebrarsi nella centra-
È a capo di un potente motore dell’economia nel suo Paese, ma è stato anche il testimone del più tremendo scontro etnico degli ultimi decenni nel continente: il massacro del 2002 esplicitamente laica. Ma lo spirito dell’India ha subito un inquietante mutamento in questa nuova era di capitalismo rampante e di implacabili tensioni etniche e religiose, che nascono in parte come reazioni violente proprio nei confronti di quell’omogenizzazione sociale prodotto della globalizzazione. La regione del Gujarat si ritrova ancora una volta al centro delle questioni più spinose che agitano l’India, al centro di ciò che minaccia di frenare il paese nella sua ascesa a grande potenza globale. In India risiedono 154 milioni di musulmani, la terza più grande popolazione musulmana dopo l’Indonesia ed il Pakistan. L’India ha senza dubbio molto più da perdere dall’Islam estremista che ogni altro paese al mondo.
Le accresciute tensioni religiose nel Gujarat hanno avuto inizio nel corso del 2002, come viene semplicemente definito da chiunque nella regione e nel resto del paese. Nel gergo locale, tale anno è assurto a simbolo tanto vivido quanto l’11 settembre per gli americani. Esso denota un’atrocità che non svanirà, un settario mito in costruzione che costituisce una spaventosa inversione di marcia rispetto alla Marcia del Sale gandhiana. E ad epicentro di tutto ciò si erge un altro cittadino del Gujarat, Narendra Modi, il governatore della regione, un’icona della crescita economica e dello sviluppo dell’India, ed uno degli esponenti più in vista del Bharatiya Janata Party (Partito del Popolo Indiano), o
lissima Ahmedabad, il centro urbano più popoloso del Gujarat. «Era un chiaro invito alla violenza», scrive Edward Luce, corrispondente dall’India per il Financial Times, nel suo libro A dispetto degli Dei: l’inaspettata ascesa dell’India moderna. «I quartieri musulmani di Ahmedabad e di altre città del Gujarat si trasformarono in trappole mortali per migliaia di hindu che lì si erano diretti». Nel pieno dei tumulti, Modi citò con tono di approvazione la terza legge di Newton: «Ogni azione comporta una reazione uguale e contraria». Le folle si coalizzarono e gli uomini hindu violentarono le donne musulmane, prima di far trangugiare a loro ed ai loro bambini kerosene e dare loro fuoco. Gli uomini musulmani furono obbligati ad osservare tali massacri rituali prima di essere anch’essi mandati a morte. Più di 400 donne furono vittime di abusi sessuali; 2000 persone, in maggioranza musulmani, vennero uccise; e altre 200mila in tutta la regione rimasero prive di alloggio. Gli assassini indossavano sciarpe color zafferano e pantaloncini cachi, l’uniforme della Rss, la Rashtriya Swayamsevak Sangh (Organizzazione dei Volontari Nazionali), il corpo militante del movimento nazionalista hindu, e giunsero armati di spade e bombole di gas, così come dei registri elettorali e di copie degli indirizzari. La polizia rimase in disparte osservando semplicemente il massacro ed in alcuni casi, secondo quanto afferma lo Human Rights Watch, fornì persino aiuto ai rivoltosi. Dopo la carneficina, il 2002
continua a riecheggiare, anche a causa delle successive conquiste politiche di Modi. Nei suoi ragguardevoli tre mandati da governatore, egli non ha mai offerto pubblicamente le proprie scuse, né ha mai mostrato alcun rammarico per quanto avvenuto nel 2002, e proprio per questo è diventato un eroe agli occhi del movimento nazionalista hindu.
Inoltre, la sua straordinaria efficienza, la probità finanziaria e la dinamica gestione della macchina governativa hanno reso il Gujarat una mecca dello sviluppo, in cui la percentuale di investimenti interni risulta più alta di qualsiasi altra regione indiana. C’è qualcosa della Singapore di Lee Kuan Yew nel Gujarat di Modi. Per di più, la sua oratoria ipnotica e la sua predisposizione alla teatralità hanno spinto alcuni a paragonarlo a Hitler. Quel che è certo è che Modi risulta il leader politico indiano
più carismatico dai tempi di Indira Gandhi. Naturalmente, Modi non è né Lee Kuan Yew né tantomeno Adolf Hitler. Egli è ciò che è, una nuova razza di politico ibrido, in parte direttore generale con prodigiose capacità gestionali, in parte demagogo, tanto impressionante quanto inquietante, con un seguito altamente ideologizzato. Mentre Barack Obama può ridare speranza a milioni di persone nel nuovo secolo, un leader come Modi dimostra come il secolo può anche tramutarsi in un qualcosa di negativo quando i politici carismatici usano le moderne tattiche elettorali al fine di creare e di sfruttare le divisioni sociali, e quindi per perseguire i propri obiettivi politici ed economici con fredda efficienza burocratica.
Ed ecco il motivo per cui Modi risulta così importante: sebbene egli non sarà il portabandiera del proprio partito alle elezioni politiche di questa pri-
È Narendra Mo mavera, la sua popolarità e la sua influenza all’interno del BJP implicano che egli un giorno potrebbe governare la più grande democrazia del mondo. In quanto ideologo Hindu ed innovativo direttore generale della ditta Gujarat, Mody incarna sotto molti aspetti la storia del suo stato: il suo carattere esprime alla perfezione il vibrante spirito imprenditoriale di una regione rivolta verso l’esterno ed il suo autonomismo dai contorni ben definiti; e la sua traiettoria segue i maggiori trend che hanno portato la regione, ed il paese, a questo non facile stadio. L’ampio litorale del Gujarat, il più esteso dell’India, guarda ad ovest verso il Medio Oriente e l’Africa, e la regione è stata terra di commerci e movimenti migratori. Nel corso dell’epoca imperiale
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lo stato indiano del Gujarat ed esponente di spicco del Bjp
l nazionalismo hindu D. Kaplan
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po hinduista, prima fra tutte nel 1925 la Rss, un vasto corpo di volontari che conta solo sulle proprie forze.
Narendra Modi, nato nel 1950 in una famiglia del Gujarat appartenente alla casta media, si unì ad un gruppo studentesco che prendeva spunto dalla Rss per poi diventare un pracharak, un propagatore o propagandista per la stessa Rss. Non sposati, i pracharak conducono una vita frugale, ispirando centinaia di lavoratori ma rimanendo al tempo stesso anonimi, nello sforzo di eliminazione del proprio ego. Il praLe elezioni indiane - le più affollate di tutto il charak medio presta servizio mondo democratico - si svolgeranno in cinsolo per due o tre anni prima di que fasi. La prima inizierà domani, 16 aprile; sposarsi e di ricominciare una l’ultima partirà il 13 maggio (nella cartina il dettaglio). L’annuncio dei risultati finali è vita normale. Modi è diverso. previsto per sabato 16 maggio. Secondo la Egli ricoprì il ruolo di prachacommissione elettorale indiana, a formare rak per circa un decennio. Nel l’elettorato attivo sono 714 milioni di cittadi1987 si unì al Bjp, che era stato ni indiani, con fondato nel 1980 al 16 aprile 23 aprile un aumento di fine di favorire la 30 aprile 7 maggio 13 maggio 43 milioni rispetdiffusione dell’Hin16,23 aprile 16,22,30 aprile 16,22,30 aprile 7 maggio to alle elezioni dutva anche nella ogni giorno 23,30 aprile del 2004. Le 543 sfera politica. Un 30 aprile 7,13 maggio 7,13 maggio circoscrizioni dianno più tardi, divise nei 35 tra venne il segretario stati e territori generale del partito. dell’Unione, hanModi fece il suo inno in totale 828. gresso nell’arena 804 seggi di voto politica nel momennei quali sono to in cui nuove, più impiegate 1.368. grandi forze inizia430 macchine per vano a dare slancio il voto elettroniallo Bjp. L’informaco. Dalle scorse tica permise a verelezioni, infatti, il voto in India avviene solo sioni standardizzate ed ideolotramite macchinette elettroniche. Tra gli eletgizzate tanto dell’Hinduismo tori, il 48% è rappresentato da donne mentre quanto dell’Islam di emergere: il 24% ha meno di 35 anni. Insieme alle elezioni politiche, in tre stati (Andhra Pradesh, Orissa e Sikkim) si voterà anche per eleggere le assemblee legislative locali. Ogni coalizione di partiti ha scelto un candidato premier che diventerà primo ministro se la coalizione raggiungesse la maggioranza di voti necessaria a formare un governo. I principali candidati sono Manmohan Singh (Partito del Congresso) e Lal Krishna Advani (Alleanza proprio quando gli Sciiti ritrodemocratica nazionale). varono l’unità nel Medio Oriente, gli hindu ritrovarono l’unità in India, e lo stesso avvenne per i musulmani sunniti. Nel frattempo, la diffusione dell’istruzione rese gli individui consapevoli della propria damento della rete d’affari, in ticità nell’esperienza storica storia, la qual cosa fece maturare in loro un risentimento quanto ha fornito una base so- della regione. prima assente. Le riforme ecociale e culturale. E ciò ha consentito a due comunità etniche La collocazione del Gujarat nomiche degli anni ’90, che e religiose devote e totalmente all’interno della zona di confine hanno portato l’India all’avandistinte tra loro di operare sen- con il subcontinente espose lo guardia della globalizzazione, za particolari difficoltà nel tes- stato a ripetute invasioni mu- hanno al tempo stesso acuito suto cosmopolita del Gujarat. sulmane. Alcune tra le peggiori tali tendenze hindu-scioviniste. Oltre a primeggiare nell’India depredazioni vennero perpetra- Poiché lo stato-nazione socialiodierna per governance elettro- te da parte del condottiero dei sta di hindu e musulmani apnica ed indici di libertà econo- Turco-Persiani Mahmud di pariva ormai come un qualcomica, la regione si distingue al- Ghazna, che penetrò impetuo- sa da consegnare al passato, dall’Afghanistan entrambi i gruppi avevano bisotresì per le più rigide restrizioni samente in campo alimentare: l’alcool è orientale e nel 1025 distrusse il gno di un’identità collettiva più proibito nella terra di Gandhi, tempio hindu di Somnath, che forte per agganciarsi ad un’ined il vegetarianismo (in parte si affacciava sul mare. Una tale sipida civiltà globale. risultato dell’influenza religiosa combinazione di storia e geo- In questo scenario, Modi ha acdei Giainisti) è molto diffuso. In grafia ha reso il Gujarat un fer- quisito un consenso sempre effetti, gli hindu del Gujarat as- tile brodo di coltura per l’Hin- maggiore. Promosso a segretasociano negativamente il con- dutva (l’essere hindu) e per il rio nazionale del BJP nel 1995, sumo di carne con l’epoca tar- movimento nazionalista hindu, egli fornì un grande aiuto neldo-medievale dei Moghul, i salito alla ribalta per la prima l’organizzare la scalata al poteconquistatori provenienti dal- volta negli anni ’20 e che da al- re del proprio partito. Dopo l’Asia centrale che rappresenta- lora ha dato origine a tutta una aver diretto uno dei ministeri rono un ulteriore fattore di cri- serie di organizzazioni di stam- chiave all’indomani del disa-
714 milioni di elettori votano da domani al 13 maggio
stroso terremoto che colpì il paese nel 2001, è stato rieletto due volte, diventando così il leader politico del Gujarat ad aver governato più a lungo. Nel corso delle sue visite ai villaggi, le donne incinte toccano regolarmente i suoi piedi affinché i figli che portano in grembo possano diventare un giorno come lui. Egli è così onesto che i doni a lui indirizzati vengono regolarmene depositati nella tesoreria dello stato, una bella differenza rispetto alla corruzione ed al nepotismo così abituali nel governo indiano. Anche quei cittadini indiani che disprezzano la politica di Modi riconoscono le sue capacità ed il suo potere.
L’ufficio di Modi si trova all’ultimo piano di un massiccio, incrostato edificio ministeriale a Gandhinagar, una cittadina in cui risiedono tutti i dipendenti governativi a nord di Ahmedabad e che rappresenta un monumento a quei difettosi schemi architettonici dell’India del periodo socialista. Fuori dalla sua porta, gli uomini d’affari e gli investitori occidentali vestiti con abiti costosi si ritrovano dopo essere andati a colloquio con il governatore. Modi siede dietro una scrivania che rivolta verso un lungo tavolo per le riunioni. Indossa i tradizionali pantaloni paijama ed un lungo, elegante kurta marrone; ironia della sorte, l’abito tradizionale indiano venne importato dai Moghul. All’interno
Sotto il suo potere, la regione si è trasformato in una roccaforte dominata dagli estremisti hindu, che hanno distrutto la visione ghandiana di laica convivenza tra diversi gruppi religiosi
odi il futuro della democrazia indiana? britannica, i commercianti della regione vendevano tessuti agli yemeniti e ricevevano in cambio argento che essi prestavano ai mercanti britannici, che a loro volta acquistavano caffè proveniente dallo Yemen, lo vendevano e ripagavano così i propri prestatori, così che gli imprenditori del Gujarat ricavavano un profitto duplice. Nel XIX secolo, grandi comunità di cittadini del Gujarat sorsero nell’Africa orientale.
In seguito, quando l’America allentò le proprie restrizioni sui visti per l’ingresso nel paese, i cittadini del Gujarat si riversarono sulle coste statunitensi, diventando tra le altre cose proprietari di motel e magnati dell’informatica nella Silicon Valley. La fede tanto hindu quanto musulmana ha costituito il fon-
della tasca vi sono una serie di penne disposte ordinatamente in fila. Occhiali con montatura a giorno poggiano sul suo volto. La sua barba sale e pepe è ben curata. Un viso di bell’aspetto, accogliente. Un piccolo mucchio di documenti giace di fronte a lui. Li lancia verso di me prima ancora che io possa anche solo fare una domanda: «Ho sentito che siete interessato allo sviluppo della regione, ecco qui le vostre risposte». Non sono i soliti opuscoli promozionali, bensì lunghe liste di statistiche messe insieme da un assistente. Dal 2002, il Gujarat ha conosciuto una crescita media annua del proprio Pil pari al 10.2%. Sono state create otto nuove università. Lo stato si classifica al primo posto nella lotta alla povertà, al primo posto per la produzione di energia elettrica. «Lei sta cercando di creare un’altra Singapore o un’altra Dubai nel Gujarat? Un luogo che sarebbe stato, in senso positivo, diverso/distinto dall’etichetta indiana?» gli chiedo.
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«No - risponde - Singapore e Dubai sono delle città-stato. Qui possono sorgere molte Singapore o Dubai. Creeremo una Singapore a Kutch», dice agitando il braccio con aria sdegnosa, «e la Gift (Gujarat International Finance Tec-City, un nuovo insediamento urbano high-tech la cui costruzione è stata pianificata lì vicino) può diventare come Dubai. Il Gujarat nel complesso sarà come la Corea del Sud. Il commercio globale è la nostra linfa vitale,» aggiunge, alzando le sopracciglia con tono enfatico. C’è una teatralità studiata nel modo in cui parla. Riesco ad intravedere il carisma con il quale muove le folle, o come prende possesso delle stanze del potere. Ho incontrato Jimmy Carter, Bill Clinton ed entrambi i Bush. Al confronto, Modi li batte tutti per carisma. Ogniqualvolta apre bocca, egli improvvisamente rende la sua presenza reale, ipnotica.
La sua ambizione sembra grandiosa: la Corea del Sud è la 13ª economia mondiale.Tuttavia intuisco perfettamente il paragone. Come il Gujarat, la Corea del Sud è una vasta penisola scalo delle maggiori rotte marittime. È salita alla ribalta come centro industrializzato della media borghesia, e non sotto un governo democratico ma nell’alveo dell’autoritarismo paternalista degli anni ’60 e ’70 impersonato dalla figura di Park Chung Hee. Riferisco tutto questo a Modi. Ed egli risponde affermando che la politica non gli interessa, preferisce focalizzarsi sullo sviluppo. Naturalmente, la politica rappresenta la libertà, e la sua momentanea mancanza di interesse nella politica non è un fatto casuale. Il modus operandi di Modi denota connotati antidemocratici, quantunque assolutamente efficaci, che pongono l’accento su una burocrazia snella, sobria sulla quale egli esercita un controllo pressoché totale, anche se egli ha spinto il proprio partito ai margini, quasi con disprezzo. Gli chiedo quindi lumi circa il contributo dei musulmani, che rappresentano l’11% della popolazione. «Noi siamo un popolo spirituale e timorato di Dio», risponde. «Siamo nel complesso vegetariani. Vogliamo erigere un tempio buddista per onorare i resti del Buddha». Non ha altro da dire. Le sue risposte la dicono lunga: dopo tutto, i musulmani sono dei mangiatori di carne. Quindi chiedo specificamente se rimpianga o meno il 2002. Egli afferma: «A tal proposito esistono varie correnti di pensiero. Chi sono io per poter giudicare?». Mi riferisce che una commissione stabilirà la sua effettiva responsabilità nei tumulti. Nei fatti, un rapporto preliminare redatto da una commissione del suo stesso apparato burocratico lo ha già assolto per tutti i capi d’imputazione.
ll “dittatore” onesto del Gujarat È un amministratore capace, ma «emana potere e controllo» ome mi ha riferito Atul Tandan, direttore del Mudra Institute of Communications «è necessario separare l’ideologia politica di Modi dalle sue capacità gestionali. Poiché sulla sua persona non sussiste il benché minimo sospetto di corruzione, Modi risulta efficace in quanto la popolazione ritiene che le sue decisioni siano focalizzate sui risultati. Persino molti tra i musulmani hanno dimostrato rispetto per Modi e per i suoi sforzi volti ad infrangere un colpo mortale al gioco d’azzardo ed ai racket criminali che hanno infestato alcune loro comunità».
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Modi snocciola i risultati ottenuti: strade moderne, linee ferroviarie private con container a due piani, 50.000 km di rete a fibre ottiche, 2.200 km di condotte per il gas, 1.400 km di condotte per l’approvvigionamento idrico a 7.000 villaggi, energia elettrica erogata 24 ore su 24 nelle aree rurali, il primo stato indiano con insediamenti portuali privati, un piano integrato di sviluppo costiero, due terminal di Gnl (Gas Naturale Liquefatto) già operanti e due nuovi in fase di ultimazione. Le statistiche e le liste sembrano esercitare su di lui un fascino incredibile. Quantifica qualsiasi cosa. È un uomo molto motivato, senza vita privata, da quanto mi è parso di capire. Egli emana potere e controllo. E mi chiedo come può non essere stato parte in
causa nel pogrom del 2002. Alcuni Hindu, tutti appartenenti alla classe illuminata e cosmopolita, così come alcuni musulmani e vari scrittori stranieri, mi hanno confidato che la personalità di Modi racchiude in sé i connotati del fascismo. Lo è realmente? Sebbene alcuni episodi della sua carriera politica ed il suo ruolo negli eventi del 2002 costituiscano elementi a sostegno di tale tesi, la risposta sembra essere in ultima analisi negativa. «Ciò che rende Modi diverso da Hitler», spiega Prasad Chacko, direttore di una ong locale, «è il fatto che mentre Hitler considerava il fascismo come il risultato finale dell’evoluzione politica, Modi sa che l’Hindutva rappresenta solo una fase che non può durare per sempre, così ora egli preferisce focalizzarsi sullo sviluppo, e non sulle divisioni comunitarie». Conformemente a ciò, Modi ha di recente redarguito quella frangia nazionalista degli hindu che gli ha consentito di giungere al potere, imponendo un freno all’attivismo di alcuni membri di un gruppo hindusciovinista. Nel soddisfacimento delle proprie ambizioni, Modi è agevolato dalla generale voglia di maggiore civilizzazione. La minaccia dell’anarchia islamica nella regione si inserisce perfettamente nel processo di ulteriore consolidamento del nazionalismo hindu, anche ove le tensioni tra gruppi rappresentino, a ben vedere, una minaccia più profonda per i destini del
paese persino rispetto alla sempre più cronica carenza d’acqua. Quando nel corso di alcune interviste conobbi alcune delle violenze del 2002 ciò che mi colpì fu non tanto la radicalizzazione, bensì delle loro alienazione dall’India, e ciò emergeva in forma evidente nel loro ritiro all’interno delle rispettive comunità, nella loro riluttanza ad avventurarsi tra la popolazione hindu. L’equivalente paura dell’Islam da parte hindu corre in parallelo con un più sobrio ma palpabile desiderio di ordine. Come ha sottolineato Vimal Ambani, eminente uomo d’affari di estrazione liberale: «A conti fatti, Modi continua ad offrire il modello migliore per la governance dell’India».
Naturalmente, il curriculum di Modi a partire dal 2002 non è privo di zone d’ombra. A causa di quanto accaduto, gli è stato negato il visto per gli Stati Uniti, ed un tale marchio ha generato ripercussioni negative sugli investimenti stranieri, sebbene il Gujarat sia diventato il luogo centrale negli accordi di politica interna. Malgrado i vari progetti infrastrutturali, il Gujarat non può vantare risultati apprezzabili dal punto di vista dello svi-
Strade moderne, linee ferroviarie private, 50.000 km di fibra ottica, 2.200 km di condotte per il gas, 1.400 km di condotte per l’acqua a 7.000 villaggi, energia elettrica erogata 24 ore su 24 luppo umano in India: la malnutrizione affligge quasi la metà dei bambini di età inferiore a cinque anni, tre quarti della popolazione femminile soffre di anemia, ed il tasso d’istruzione dei due terzi della popolazione risulta appena al di sopra della media nazionale. In realtà, ciò che impedisce effettivamente a Modi di compiere il grande passo a lungo sognato, e cioè il trasformare il Gujarat in un porto franco globale ed antisettico sull’esempio di Singapore e Dubai, è rappresentato dalla palla al piede della paesaggistica indiana. Prendiamo Ahmedabad, avvolta in una soffocante coltre di smog, affollata da motociclette stridenti ed auto risciò, i suoi marciapiedi fatiscenti punteggiati da vacche randagie e mendicanti. Fondata nel 1411 da Ahmed Shah del Sultanato del Gujarat, negli anni ‘50 la città divenne una sorta di parco giochi per rinomati architetti, quando le élite occidentali iniziarono a guardare all’India di recente indipendenza come al baluardo delle speranze dell’umanità. Ma se escludiamo alcune rare gemme, Ahmedabad, con una popolazione di 4.5
milioni di individui, rimane oppressa dalla stessa piaga che affligge altri centri urbani del paese: pochi elementi architettonici degni di nota o d’ammirazione accanto ad una serie di magnifici monumenti musulmani dell’epoca medievale ed un’accozzaglia di abitazioni stile Dubai dei cosiddetti nuovi ricchi costruite in acciaio e vetro.
Il 37% della superficie dell’India è occupato da insediamenti urbani. Entro i prossimi due decenni la superficie urbana occuperà il 50%. Modi non ha fatto nulla per regolare le comunità che sono sorte nel corso del suo mandato. L’antica città fortificata all’interno di Ahmedabad rimane al momento una delle poche zone in cui i musulmani che costituiscono il 9% della popolazione della città e gli hindu possano effettivamente mescolarsi tra loro. L’architettura, con i suoi eleganti stucchi e le griglie decorative, fonde lo stile islamico e quello hindu in un composto noto come indo-saraceno. Ma almeno fino a quando i progetti del parco e del lungofiume non verranno ultimati, non esisterà nessun’altra me-
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Nelle pagine precedenti, Narendra Modi, governatore dello stato indiano del Gujarat. Qui a sinistra, l’hotel Taj Mahal di Mumbai durante l’attacco terroristico del 26 novembre 2008. In basso, un’immagine dei disordini scoppiati nel 2002 nello stato del Gujarat, che videro la morte di quasi duemila musulmani
scolanza di popoli nell’Ahmedabad odierna: la folla allo Sarkhej Roza era esclusivamente musulmana. Per dieci ore ho viaggiato in autobus ed in macchina verso la località costiera di Diu, l’estremità più a sud della penisola di Kathiawar, località in cui sorgono monumenti portoghesi di grande rilevanza per la storia dell’India nel suo complesso.
Abbiamo percorso strade dissestate attraverso un’infinità di tuguri, incontrando carretti cigolanti e polverosi, baracche e piccole costruzioni di tela da sacco e di ferro arrugginito ed increspato simboli dell’India rurale. Tuttavia, nel corso di questo viaggio per il Gujarat, in molti luoghi mi sono imbattuto in strade pavimentate, e quasi ovunque ho potuto verificare la presenza approvvigionamenti idrici ed energetici. Per quanto primitivi tali quadretti possano sembrare, ho potuto constatare nel corso di molti viaggi attraverso i più poveri stati dell’India come il Bihar ed il Bengala occidentale come molti progressi siano stati effettivamente compiuti. E dunque la Corea del Sud? No, almeno non nei prossimi decenni. L’India potrebbe diventare una grande potenza regionale ed uno stato di fondamentale importanza nel quadro geopolitico globale, ma è molto probabile che essa non raggiunga i livelli di sviluppo delle economie delle Tigri Asiatiche.
Nel tempio distrutto dai musulmani Il luogo diventato simbolo della guerra di religione con l’Islam oiché gli imperi sorgono e crollano, solo le loro idee possono perdurare, adattate alle esigenze del popolo che un tempo governavano. I portoghesi, dediti unicamente al saccheggio ed allo sfruttamento, non portarono idee fatta salva la religione cattolica, che affondò deboli radici tra gli hindu ed i musulmani. I britannici, al contrario, apportarono tangibili sviluppi, costruendo porti e linee ferroviarie e creando le basi di uno stato moderno. E ciò che più importante, essi trapiantarono la struttura della democrazia par-
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cui la competizione tra molteplici verità costituisce il germe della libertà.
In tal modo i britannici, malgrado tutte le loro mancanze, hanno posto le basi di un’ideale di grandezza indiana. E, come vi diranno gli indiani illuminati, tale grandezza è impossibile da conquistare senza una componente morale. Poiché anche se l’influenza di un’India economicamente in via di sviluppo soffia ora verso ovest e verso est, verso l’altopiano iraniano ed il Golfo del Siam, essa potrà però prosperare solo in quanto pro-
I portoghesi erano dediti al saccheggio. I britannici, al contrario, apportarono tangibili sviluppi, costruendo porti e linee ferroviarie e creando le basi di uno stato moderno lamentare che gli indiani, i quali già coltivavano delle tradizioni indigene fondate sull’eterodossia e sul pluralismo, furono in grado di modellare a seconda delle loro esigenze. In effetti il pantheon hindu, con le sue molte divinità invece che una sola, spinge verso la realizzazione del principio secondo
dotto della coesistenza tra comunità, una forza che riposa sulle potenzialità dell’India in quanto democrazia più grande al mondo. In altri termini l’India, qualora non dovesse riuscire a mantenere un minimo di armonia, non sarà altro che un’altra nazione profondamente turbata malgrado la sua ecce-
zionale crescita economica. Fortunatamente, le forze della democrazia indiana sono sopravvissute già a 60 anni di instabilità, il che testimonia della stabilità delle coalizioni governative successive alla fase del Partito del Congresso.
Tali forze appaiono sufficientemente attrezzate o per respingere la candidatura di Modi sul piano nazionale o per contenerne gli impulsi più biechi nel suo viaggio – come molti ritengono avverrà – da Gandhinagar a Nuova Delhi. Il nocciolo della questione risiede nel fatto che gli hindu nel resto dell’India hanno una mentalità meno comunitaria di quella degli hindu del Gujarat. Ma almeno nel Gujarat la pace non giungerà facilmente. A Diu ho noleggiato un’auto e dopo due ore di viaggio verso ovest sono giunto nei pressi della costa di Somnath, luogo in cui sorge il tempio hindu distrutto tanto da Mahmud di Ghazna quanto da altri invasori, e ricostruito per la settima volta a partire dal 1947. Questo tempio, con la sua imponente shikhara (torre) di color ocra pallido ed il suo rigoglio di cupole, si erge sul bordo di una vasta marina resa vitrea dal ca-
lore. Le scene cosmiche che si dipanano e si contorcono lungo la facciata risultano così complesse da creare l’equivalente scultoreo dell’infinito. Una volta arrivato, ho ascoltato le preghiere che risuonavano dagli altoparlanti. Era un manicomio per via della luna piena. Centinaia di fedeli depositavano il proprio bagaglio in un logoro guardaroba e deponevano le proprie scarpe in mucchi sparsi. Dei cartelli avvertivano che non era consentito portare all’interno alcun cellulare o altro apparecchio elettronico, ma io ho trasgredito. Non volendo lasciare il mio BlackBerry nel caos del guardaroba, e poiché mi aspettavo la consueta perquisizione svogliata da paese in via di sviluppo, l’ho infilato nella tasca dei pantaloni. Quindi mi sono unito alla fila indiana per entrare all’interno del tempio. All’entrata sono stato selvaggiamente perquisito, ed il mio BlackBerry è stato scoperto. Sono stato giustamente redarguito ed intimato di fare ritorno al guardaroba. «Per via del terrorismo islamico», mi dice un fedele. Dal guardaroba mi sono rimesso in fila per entrare nel tempio.
La semioscurità mi avvolgeva mentre I fedeli baciavano un idolo ornato di fiori dalle sembianze di un bovino. L’aria era irrespirabile mentre corpi pigiati l’uno contro l’altro si avvicinavano al sancta sanctorum. Mi sentivo come se stessi violando un mistero. Sebbene i non-credenti fossero ufficialmente persone non gradite, sapevo di trovarmi al di fuori dei confini dell’organismo della folla – termine con cui il filosofo Elias Canetti indica un folto gruppo di persone che abbandonano la propria individualità per abbracciare un intossicante simbolo collettivo. Il rifugio era come un vortice di fede pulsante. Alcuni lasciano andare le braccia, si inginocchiano ed iniziano a pregare sul pavimento di pietra. Avevo provato in precedenza la stessa sensazione visitando due tra I luoghi più sacri del cattolicesimo e dello sciismo: il santuario della Madonna Nera di Czestochowa, in Polonia; e la Moschea Imam Alì a Najf, in Iraq (nella quale entrai furtivamente mescolandomi ad una comitiva di imprenditori turchi in visita). Non si può far altro che comprendere le sensazioni degli hindu alla vista delle depredazioni compiute in tale tempio dai musulmani, una delle dodici Jyotirlinga dell’India, i “luoghi pieni di luce”che simboleggiano il dio Shiva. E tuttavia, mentre le emozioni crepitavano dentro di me come corrente elettrica, non potevo far altro che pensare a quanto Hanif Lakdawala mi aveva chiesto, una supplica più che una domanda: «Cosa, noi poveri musulmani d’oggi, possiamo fare per farci perdonare Mahmud di Ghazna?».
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Le nuove tecniche del colpo di Stato Bolivia, Thailandia, Georgia, Madagascar, Moldavia. Quando la piazza rovescia i governi di Maurizio Stefanini egli anni ’70 l’America Latina diede al mondo il golpe: non tanto il fenomeno, già attestato ai tempi di Grecia e Roma; ma la parola, che rimbalzò nel mondo dopo i drammatici eventi cileni dell’11 settembre 1973. Negli anni ’90, finita l’ondata di regimi militari che a colpi di stato si erano appunto imposti a quasi tutto il Continente e tornate al loro posto le democrazie, l’America Latina ha dato al mondo il golpe de calle: 1997 Ecuador; 1999 Paraguay; 2000 di nuovo Ecuador e Perù; 2001 Argentina; 2002 Venezuela, golpe e contro-golpe; 2003 Bolivia; 2005 per la terza volta Ecuador e per la seconda Bolivia… Non Haiti nel 2004, quando Jean-Bertrand Aristide è stato abbattuto né da un golpe militare tradizionale e né da un golpe de calle, ma piuttosto da una sollevazione armata simile a quelle che negli ultimi due decenni hanno imperversato in vari Paesi di quell’Africa cui Haiti è collegato da chiarissime affinità culturali e spirituali: dalla Liberia alla Costa d’Avorio passando per il Ruanda, il Congo o la Sierra Leone. Nel “colpo di strada”, invece, in linea di principio l’esercito non interviene, se non per omissione: rifiutandosi in particolare di sparare sui dimostranti. E
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IL PERSONAGGIO
neanche si costituiscono veri e propri gruppi armati. Ma la logica, quella di un governo democraticamente eletto che viene rovesciato, è del tutto simile, anche se è la piazza ad agire. E del tutto simile è anche lo scenario che si verifica. 1997 Ecuador: scontro tra un Presidente e il Congresso (mutatis mutandis, appunto come in Cile nel 1973…). 1999 Paraguay: contrasto tra un presidente e un vicepresidente dello stesso partito, ma di correnti ferocemente avversarie. 2000 Ecuador: contestazione di una riforma monetaria. 2000 Perù: accusa di brogli elettorali. 2001 Argentina: improvviso collasso della valuta e blocco dei conti bancari. 2002 Venezuela: epurazione governativa nella società petrolifera di Stato. 2003 Bolivia: contestazione di un progetto di esportazione del gas. 2005 Ecuador e Bo-
spesso approvate. Ma c’è anche un dato negativo: un po’ per volta, la tecnica del golpe de calle è diventata parte del gioco politico corrente. In Venezuela nel 2002 Hugo Chávez è stato riportato al potere da un golpe de calle appena 48 ore dopo essere stato deposto da un altro. E in Bolivia Evo Morales, dopo aver fatto saltare due presidenti, è ora affrontato da un’opposizione che utilizza sistematicamente il metodo del golpe di strada come strumento di lotta.
A differenza del golpe, però, quello di golpe de calle è un termine che non si è affermato nel linguaggio politico internazionale. Ma è innegabile che si stia diffondendo. In Asia con la Thailandia dove le “Camice Rosse”, seguaci di quel Thaskin già rimosso dal potere dalla piazza, tentano di rinsediarlo. In Africa con il Madagascar, dove nel 2002 con un golpe de calle i seguaci di Ravalomanana costrinsero alle dimissioni e all’esilio il presidente Ratsiraka, per poi deporre, lo scorso marzo, lo stesso Ravalomanana a favore di Andry Rajoelina. In Georgia, dove la piazza sta ora contestando quel Mikheil Saakasvili andato al potere con la Rivoluzione delle Rose del 2003 contro quell’Eduard Shevardnadze che a sua volta, undici anni prima, aveva sostituito in modo traumatico Zviad Gamsakhurdia, anche se allora lo scenario era stato piuttosto quello di una rivolta armata con breve ma sanguinosa guerra civile. E ormai il fenomeno è approdato in piena Europa e ai confini dell’Ue, con le proteste che stanno scuotendo la Moldavia in seguito alle accuse di brogli per le ultime elezioni.
Nel “golpe di strada” l’esercito si rifiuta di sparare sui dimostranti. E non ci sono gruppi armati. Ma il governo viene rovesciato livia: contestazioni di piani economici. Solo che non sono più i militari a agire: screditati dal generale fallimento dei loro governi degli anni ’70 e/o dalle massicce violazioni dei diritti umani di cui si resero colpevoli; atterriti dai processi cui poi sono stati minacciati e anche ormai poco vogliosi di assumersi in prima persona la responsabilità di scelte impopolari. Il dato positivo: in linea generale, queste crisi si sono sempre risolte con un rispetto formale della legalità istituzionale. Nuovi presidenti sono stati così designati dai Congressi; elezioni anticipate hanno sanato il vulnus costituzionale; anche nuove costituzioni sono state
Roxana Saberi. Arrestata a Teheran con l’accusa di aver passato informazioni non autorizzate a emittenti straniere rischia grosso. Ma Hillary Clinton la difende
Una giornalista nell’Iran degli ayatollah di Etienne Pramotton oxana in Nord Dakota ha studiato. Da quelle parti d’inverno fa freddo e il basket va per la maggiore. Gran parte degli abitanti sono emigrati tedeschi del XIX secolo. Molti sono luterani, ma comincia a vedersi anche qualche frutto della globalizzazione. La famiglia Saberi è una di queste. Papà iraniano e mamma giapponese hanno dato a Roxana una bellezza unica, meticciato di due sapori d’Oriente. Quello a metà strada e quello estremo. Nel 1997 vince il concorso di miss Nord Dakota, ma continua gli studi come se niente fosse. Neanche una pausa per assaggiare la popolarità nel college e fare qualche pubblicità sui network locali. Diritta alla meta verso la laurea. Da fine gennaio è in carcere a Teheran. L’accusa è pesante: spionaggio. Un reato che prevede la pena di morte sotto la legge dei mullah. Ieri è cominciato il processo a Roxana Saberi, ufficialmente giornalista americana, ma anche cittadina persiana. Sarà giudicata davanti alla Corte rivoluzionaria della capitale. il portavoce del ministero della Giustizia, Alireza Jamshidi, citato dall’agenzia Mehr, ha detto che la Saberi ha potuto «parlare in sua difesa» e ha aggiunto che la sentenza è attesa «presto, al massimo fra due settimane». Ma Roxana come ha riempito lo spazio tra le colline del Nord Dakota e gli altopiani dell’Iran? La 31enne giornalista ha trascorso gli ultimi sei anni nel Paese
d’origine del padre, durante i quali ha studiato e scritto un libro. Teheran la considera quindi cittadina iraniana e non le riconosce la cittadinanza americana.
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L’accusa del tribunale è pesante: spionaggio. Un reato che prevede la pena di morte sotto la legge dei mullah
Nella Repubblica islamica ha lavorato come freelance per la National Public Radio, la Bbc e Fox News. Ma le autorità iraniane hanno detto che da due anni le era stato revocato l’accredito di giornalista e quindi non era più autorizzata a svolgere questa attività. IL motivo? «Aver inviato all’estero informazioni non autorizzate a emittenti straniere». Un mese dopo aver comprato una bottiglia di vino, il negoziante si è ricordato di lei e l’ha denunciata alle guardie teologiche. È stata arrestata e incarcerata nella prigione di Evin, vicino Teheran, ma con un’accusa ben più grave. È una donna in gamba, come giornalista e scrittrice, e una donna, Hillary Clinton, nuovo segretario di Stato dell’amministrazione Obama è subito intervenuta in sua difesa, chiedendone l’immediata scarcerazione. L’avvocato di Roxana, Abdolsamad Khorramshahi, non ha voluto fare commenti per non danneggiare la posizione della sua cliente e ha aggiunto che parlerà solo fra qualche giorno.Tempo fa era stata fotografata, in chador, col viso scoperto, mentre intervistava il leader riformista Khatami. Oggi, in carcere, penserà a quando sarà possibile leggere Lolita a Teheran.
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Il Dpef lacrime e sangue della Tigre Celtica colpisce i “paperoni”
Il ”No” degli Usa alla conferenza sul razzismo di Ginevra
La mannaia del fisco irlandese cade sugli U2
Durban 2, arriva Ahmadinejad Obama lascia
l sogno economico è finito. Per l’Irlanda si preannuncia un cambio di rotta nella politica fiscale e nel regime di“tax heaven”, tanto invidiato nel resto d’Europa. E il governo di Dublino ha dovuto presentare il piano economico più drastico della storia del Paese. Il Dpef irlandese preannuncia tagli alla spesa pubblica e un innalzamento generale delle tasse. In un Paese dove c’è sempre stato un regime di bassa corporate tax che facilitava l’ingresso dei capitali esteri, quasi un paradiso fiscale, inasprire la leva fiscale significa dire addio al passato glorioso. L’arduo compito di presentare il nuovo budget è toccato al ministro delle finanze Brian Lenihan. In realtà si tratta di un budget “aggiuntivo” di emergenza messo a punto proprio per far fronte alla crisi economica. Lo tsunami finanziario ha generato in Irlanda il più alto deficit d’Europa. La crisi economica ha dato un freno violento alla crescita senza limiti degli ultimi 14 anni, lasciando nelle casse pubbliche un buco di 23 miliardi di euro. E come se non bastasse, ultimamente è arrivata pure la batosta finale: ossia un declassamento di rating da parte dell’agenzia Standard & Poor’s.Tra un inasprimento del prelievo fiscale e una riduzione della spesa pubblica l’esecutivo ha intenzione di incassare più di 3.5 miliardi di euro nei pros-
a conferenza mondiale dell’Onu contro il razzismo, Durban 2, che si aprirà il 20 aprile a Ginevra e che già nelle scorse settimane aveva dato fuoco alle polemiche, con l’Italia in prima linea, non smette di fare discutere. Due le notizie principali, entrambe deflagranti: la prima arriva dall’agenzia di stampa iraniana Irna e, laconica, comunica che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad parteciperà alla conferenza. La seconda arriva dalle colonne del Washington Post, che in modo meno sintetico avvisa il mondo di una defezione eccellente: Barack Obama non ci sarà ed è pronto a boicottare l’evento sulla scia dell’Italia, dell’Olanda,
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Minaccia nucleare, Pyongyang ci riprova Il puzzle strategico che Washington tenta di ricomporre di Pierre Chiartano Onu ci aveva provato a tirare le orecchie ai nordcoreani. La risposta alle critiche delle Nazioni Unite non si è fatta però attendere: il regime ha deciso di boicottare i «colloqui a sei» e di ripristinare i siti in cui il programma nucleare era stato sospeso. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu aveva condannato all’unanimità il lancio di un missile che secondo gli annunci di Pyongyang avrebbe dovuto mettere in orbita un satellite, ma che pare fosse un test per un vettore balistico. Un caso di assoluta tempestività nel record degli interventi del Palazzo di vetro. Comunque la vicenda del «nucleare strategico», per distinguere ciò che è uso civile da ciò che potrebbe diventare un utilizzo improprio dell’atomo, è un po’ intricata. Pyongyang rischia di trasformarsi nell’utile giocatore dei nuovi equlibri in Estremo Oriente. Come è stato per anni il leader libico Gheddafi. Quando quest’ultimo lanciava minacce, al Congresso Usa passava con una certa facilità la fattura del Foreign militare financing program: un conto da 2.3 miliardi di dollari all’anno a diretto sostegno della sicurezza dello Stato d’Israele. Niente di male nello sfruttare le contingenze internazionali per snellire le pastoie politiche.
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de l’ora che sia raggiunta una certa autonomia di teatro per coloro che, come Isreale, godono dello status di Major non-Nato ally. Oggi più di ieri, la priorità americana è anche quella di ridurre le spese di un apparto militare globale che non può più far conto solo sulle proprie forze. Riguardo al “pericolo” nord coreano, occorre spiegare che per Pechino è serissimo: in caso di una cattiva gestione economica e di carestie ci sarebbe un flusso incontrollato di profughi oltre i confini cinesi. Un incubo per la nomenclatura comunista. L’ultimo test missilistico nordcoreano è finito dove probabilmente doveva finire: in mezzo al mare. Il vettore Taepodong 2 a due o tre stadi, ha potenzialmente una gittata che arriva a 10mila chilometri, ma è solo teorica.Visto la presenza tempestiva di un caccia della classe Aegis lungo la costa sudcoreana. È una delle unità della Marina statunitense che garantiscono la protezione antimissile alle formazioni navali. Tra i numerosi sistemi attivi c’è ne anche uno che è in grado di “spegnere”tutti i sistemi elettrici di bordo, che si tratti di un aeromobile o di un missile. La nota del ministero degli Esteri nordcoreano di «condanna risoluta» dell’Onu che, aggiunge, «viola la sovranità della Corea del Nord e svilisce gravemente il suo popolo» è parte di un teatrino della politica internazionale, che fa comodo a molti. Ciò non toglie che sia utile e necessario riportare al tavolo dei colloqui il governo di Pyongyang. La Corea del Nord respinge al mittente «l’ingiusta azione» di condanna dell’Onu sul lancio del missile-satellite del 5 aprile e decide un pesante contrattacco. A poche ore dalla dichiarazione approvata all’unanimità dai 15 del Consiglio di Sicurezza, il regime comunista ha annunciato l’intenzione di riaprire gli impianti di trattamento del plutonio e di riprendere i programmi atomici. Giappone, Russia, Corea del Sud e Cina, le parti con Usa e Pyongyang coinvolte nei «colloqui a sei», hanno espresso a vario titolo preoccupazione e l’auspicio perché prevalga la linea del confronto, nonché l’invito al regime nordcoreano affinché torni sui suoi passi.
A poche ore dalla condanna dell’Onu, il regime comunista ha annunciato la ripresa dei programmi atomici
simi mesi. Ad essere colpiti soprattutto «quelli che potranno permetterselo», ossia i “paperoni” d’Irlanda. In primis, la mannaia del governo potrebbe abbattersi proprio sugli artisti, attori e musicisti che hanno il domicilio fiscale in Irlanda dove pagano tasse irrisorie, vicine allo zero. Aumenti di tasse toccheranno senza dubbio alcol, tabacco, petrolio e diesel ma non in maniera esagerata poiché il governo teme ricadute negative sul fronte del commercio estero. Tra le voci di spesa da tagliare, le infrastrutture tra cui strade e ferrovie e gli aiuti a paesi stranieri. Non solo: purtroppo il governo non potrà fare a meno di ridurre una parte dei sussidi a favore dell’infanzia e prevede d’istituire un fondo per gestire gli asset bancari (s.m.) tossici.
Oggi è il Giappone che potrebbe godere delle “pantomime” nordcoreane, già classificate dal Director of central intelligence, ammiraglio Dennis Blair come un pericolo, ma non di quelli da toglierti il sonno. Il Giappone con il suo apparato militare che deve, costituzionalmente, essere a carattere difensivo, ha delle serie difficoltà a muoversi nei nuovi scenari asiatici. La Japan self-defence force è costretta in una camicia di forza, che ne autorizza l’utilizzo come proiezione estera, solo con funzioni non-combat. Insomma quando si tratta di aggiornare esercito e forze armate, nel Sol levante nascono un’infinità di problemi. L’attivismo ”balistico” nordcoreano potrebbe diventare un utile occasione dietro cui riuscire a cambiare la natura della difesa di Tokyo. Washington non ve-
del Canada e di Israele. E questo nonostante l’ammorbidimento del progetto di dichiarazione finale rispetto ad un primo documento giudicato ostile ad Israele.Posto che il suo arrivo non è mai stato certo (ma uno spiraglio sembrava essersi aperto), l’Amministrazione americana sembra adesso aver deciso di tener fede alla scelta di boicottare definitivamente Durban 2. Una decisione che non ha mancato di deludere molti gruppi di attivisti ed Ong perché riguarda il primo presidente nero degli Stati Uniti. «La mancata presenza dell’Amministrazione Usa a questo appuntamento globale è oggetto di delusione. Se il diniego fosse arrivato dal presidente Bush avremmo capito», ha dichiarato Imani Countess, del TrasnAfrica Forum, un gruppo di attivisti particolarmente attento alla politica estera americana - ma detto da Obama è un segnale davvero deludente. Speriamo che invii almeno una delegazione al vertice». Di simile avviso anche Thomas Hammarberg, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, che ieri ha lanciato un appello: «Gli Stati membri del Consiglio d’Europa devono partecipare, perché Il lavoro di preparazione per questo incontro di revisione è stato difficile ed estremamente politicizzato. Dobbiamo essere costruttivi».
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Biografie. Un libro di Lorenza Rocco Carbone ripropone la parabola umana e narrativa di una donna di grande successo
La Furia di Napoli Matilde Serao, giornalista o scrittrice? Comunque lo specchio fedele di una città di Luciano Luisi on so perché, mi sono ricordato di un racconto surreale di Giorgio Soavi, in cui una donna, a causa dell’immenso amore del suo amante, cresce, si gonfia, si dilata fino ad occupare tutto l’appartamento, tanto da dover tenere le braccia fuori dalle finestre e le gambe fuori della porta. Me ne sono ricordato mentre leggevo l’appassionata biografia-saggio che Lorenza Rocco Carbone ha dedicato a Matilde Serao, con tale partecipazione e affetto che il titolo del libro è Cara Matilde, anche se seguito, professionalmente da «La Serao, la scrittura e la vita» (edizioni Kairos, Napoli). Mi sono ricordato di quel racconto non perché stessi pensando alla figura imponente della scrittrice napoletana, che Anna Banti, con poca carità e cortesia, definisce «disgustosamente e ridicolmente grassa», ma perché procedendo nella lettura, cioè nel percorso di questa donna straordinaria , ho avuto davvero la sensazione che la sua personalità sia così rapidamente emersa , si sia imposta, sia diventata modello e guida nel mondo giornalistico e letterario, da dilagare in ogni aspetto della vita culturale e sociale del suo tempo.
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perché ricercato come antiborbonico. La differenza sociale tra i due genitori rappresenta il primo dei contrasti che segneranno tutta la vita della Serao. Pigra e svogliata da giovanissima, diventerà una lavoratrice indefessa, tanto da intimidire gli uomini che collaboravano con lei; conservatrice e trasgressiva, amante del popolo, ma amica di donne come Eleonora Duse e persino della
me soggetti più deboli, sarebbero state le donne a pagare.
Dotata di grande volontà, la Serao grazie anche alla sua ben nota caparbietà riuscì da giovanissima a superare ogni ostacolo per entrare, «a forza di urti e gomitate», nel mondo giornalistico, E la Rocco così ne riassume felicemente il carattere. «La Serao fu davvero possente per forza, determinazione, coraggio, pazienza, spirito di libertà e autonomia». Chiuso il periodo borbonico, la famiglia poté tornare a Napoli, dove il padre, lavorava come giornalista a Il pungolo e Matilde ha così modo di respirare l’aria del giornale, di ammalarsi di quella febbre che la accompagnerà per tutta la vita. Ma il guadagno del padre è molto modesto e Matilde, dopo aver preso il diploma di maestra, per aiutare il magro bilancio, non esita a entrare ai Tele-
«Disgustosamente e ridicolmente grassa», la definisce Anna Banti; «vestita come un sorcio», insiste D’Annunzio: non passavana mai inosservata
Non a caso le tante caricature che le sono state dedicate la fanno gigantesca tra i personaggi, generalmente famosi, che la circondano: e non soltanto per la sua mole. In quanto al suo fisico, lei stessa racconta senza velare la verità: «Ero una bimba grassa, grossa, con i capelli castani ruvidi e folti» e quelle caratteristiche fisiche la accompagneranno per tutta la vita. Matilde Serao era nata nel 1856 a Patrasso, in Grecia, da madre greca (Paolina Borelly, che discendeva dai principi Scanavy) e da padre napoletano che aveva dovuto lasciare la sua città
regina Margherita. E ancora: assertrice persuasa e appassionata della partecipazione delle donne alla vita sociale, si oppose al suffragio femminile e al divorzio, convinta che, co-
la scrittrice
Matilde Serao nacque il 7 marzo del 1856 a Patrasso, in Grecia dove il padre, anti-borbonico, si era rifugiato. Ma il suo era sangue napoletano e infatti tra Roma e Napoli ha sempre vissuto, segnando di sé non solo il mondo del giornalismo ma anche quello della letteratura. Grassa, bassa, collerica, la Serao fece invaghire di sé Edoardo Scarfoglio, figura emergente del giornalismo di fine Ottocento e lo sposò nel 1885. Amica di Giosué Carducci, temuta da Gabriele D’Annunzio, la Serao ha scritto per diversi giornali, fino a gestire il «Corriere del mattino» di Napoli e poi fondare «Il Giorno». Tra i suoi libri più importanti ci sono: «Il ventre di Napoli» (straordinaria inchiesta sulle contraddizioni della città) del 1884, «Il romanzo della fanciulla» del 1886, «Il paese di cuccagna» del 1891, «Suor Giovanna della Croce» del 1901. Candidata al Nobel, non vinse il premio (che poi andò all’amica-rivale Grazia Deledda) per l’intervento del regime fascista (cui lei era fortemente avversa) presso l’Accademia di Svezia.
grafi di Stato. Lavora e studia e comincia a frequentare alcuni salotti letterari, ma sopra tutto scrive. Sono bozzetti e ritratti, piccoli racconti che costituiranno, nel 1878 (a ventidue anni dunque) il suo primo libretto Opale, primo di una bibliografia impressionante: La Rocco elenca ben settanta titoli, pur se con qualche riedizione. Un corpus letteraria impressionante se pensiamo che nello stesso tempo la Serao ha lavorato intensamente da protagonista nel mondo giornalistico.
Ma seguiamola, guardiamola vivere come prima donna su un
palcoscenico che lei ha dominato e che ha visto partire da Napoli un autentico rinnovamento nella pubblicistica italiana in quegli anni cruciali a cavallo tra l’800 e il ’900 che rappresentarono il passaggio verso il secolo dell’innovazione, dell’avvento della modernità. Collabora a diversi giornali, frequenta le redazioni ma non è soddisfatta. Nel 1882 lascia Napoli per andare alla Conquista di Roma, come suona il titolo di un suo libro. Accompagnata dal suo precoce successo entra nei circoli letterari e nei salotti borghesi come un ciclone, guardata con curiosità per la sua figura tozza, il suo vestire dimesso, e annunciata spesso dalla sua fragorosa risata che Annie Vivanti («con acrimonia femminile», commenta la Rocco) definisce «da pescivendola». Nei successivi tre anni, anni di grande fervore creativo, accadono alcuni avvenimenti essenziali per la sua vita. Nel 1883 pubblica il romanzo Fantasia, considerato da molti un vero capolavoro. Erano di questo parere Panzacchi, Nencioni, Chiarini, Martini. Croce riconosce in questo romanzo la maturità della narratrice e il Carducci definisce la Serao «il primo scrittore d’Italia».
Contro questo coro di elogi si alza la voce di Edoardo Scarfoglio, (che «non ha ancora conosciuto la donna che segnerà la
cultura Qui a destra, Palazzo Sant’Anna, uno degli edifici più celebri e celebrati della Napoli delle meraviglie borboniche. A sinistra e sotto, due classiche vedute ottocentesche della città, sempre sospesa tra la bellezze degli scorci marini e le contraddizioni del suo popolo. Nella pagina accanto, un classico ritratto di Matilde Serao e la sua firma
sua vita») che le dedica una violenta stroncatura . L’incontro con Scarfoglio avviene nella redazione de Il Fracassa e la Serao, dimenticando la stroncatura, resta affascinata da quel giovane bello, elegante e vivacissimo. Hanno gli stessi interessi culturali, le stesse passioni, Nasce una relazione che fa scandalo. La Serao è tutt’altro che bella e il suo innamoramento si spiega, ma lui? Ecco le confidenze che Scarfoglio fa in una lettera alla sua
amica Febea: «Questa donna tanto convenzionale e pettegola e falsa tra la gente e tanto semplice, tanto affettuosa, tanto schietta nell’intimità, tanto vanitosa con gli altri e tanto umile meco, tanto brutta nella vita comune e tanto bella nei momenti dell’amore, tanto incorreggibile e arruffona e tanto docile agli insegnamenti, mi piace troppo, troppo, troppo». È nato un amore, ma sopra tutto un sodalizio. Scarfoglio fonda Il Corriere di Roma e la Se-
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rao vi contribuisce non soltanto con i suoi scritti ma anche invitando le migliori firme del momento, tuttavia il giornale non decolla per la concorrenza de La Tribuna il quotidiano più diffuso. Ma quelle difficoltà sommuovono l’ispirazione della scrittrice che pubblica, prendendo lo spunto da quell’esperienza, il romanzo Vita e avventure di Riccardo Joanna che Croce definisce «il romanzo del giornalismo», stroncato poi dalla Banti, ma che invece la Rocco considera «uno dei libri più validi della Serao, di grande modernità, non solo nella concezione tecnica, ma nel rilievo dei personaggi, nell’analisi delle reazioni psicologiche».
e si era convertita al cattolicesimo) i due compagni di vita e di lavoro si sposano. Scrive la cronaca di quel grande avvenimento letterario e mondano, sulla Tribuna, dove si firma
dopo i gemelli Carlo e Paolo. Frattanto Il Corriere di Roma va ormai verso la liquidazione ma interviene un banchiere ebreo livornese che paga i debiti e invita la Serao e Scarfoglio a tornare a Napoli per assumere la direzione de Il Corriere di Napoli che nasce dalla fusione del Corriere di Roma con Il Corriere del Mattino. La Serao ne è la vera ispiratrice, la sua presenza è incombente, e mostra le sue contraddizioni fra pezzi a favore delle classi più povere, e articoli sulla vita mondana, della quale innegabilmente sente il fascino. Accanto alla sua, le firme di Carducci e D’Annunzio, di Borghi, di Martini di Panzacchi. Scarfoglio è sempre più assente, all’inseguimento di facili avventure fino alla relazione devastante con Gabrielle Bessard, e la Serao è praticamente la vera direttrice.
Dal sodalizio, anche umano, con Edoardo Scarfoglio nacquero alcune delle imprese giornalistiche più importanti dell’epoca a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento
L’avventura continua vertiginosamente. Il 28 febbraio del 1885 con rito civile, e il primo marzo con quello religioso (a sedici anni la Serao aveva abiurato la religione ortodossa
”Duca Minimo” , Gabriele D’Annunzio: «La sposa, vestita di un elegantissimo abito grigio sorcio, parlava e sorrideva assiduamente comunicando a tutti gli amici quella giovialità cordiale ch’è una delle sue più belle e resistenti virtù di donna. Lo sposo, quella singolare figura di don Chisciotte, giovane e vivace e pieghevole a tutte le eleganze del vestire moderno». Nell’86, il primo figlio, Antonio; l’anno
Nel 1902 si separa da Scarfoglio. Dà le dimissioni dal Mattino. Nel 1903 entra nella sua vita un altro giornalista, l’avvocato Giuseppe Natale e l’anno successivo lo sposa, e dopo quattro figli maschi, mette al mondo una bambina che chiama Eleonora in segno d’ affetto per la Duse. Con Natale al fianco, fonda (prima donna nella storia del giornalismo) e dirige un nuovo quotidiano Il Giorno. Ora è libera di affermare le sue idee, di fare le sue battaglie in favore del popolo. Nei momenti più caldi della vita politica assume una fiera posizione antifascista, che le preclude il Nobel, caldeggiato invece da Mussolini per la Deledda. In un famoso incontro Mussolini le chiede perché gli sia così ostile e la Serao, seraficamente, gli risponde di non avercela con Mussolini ma con il fascismo. Rimasta sola, dopo la morte di Scarfoglio e di Natale, continua con la stessa vitalità e passione il suo lavoro giornalistico e letterario. Muore, piegando la testa sul tavolo dove sta scrivendo, il 27 luglio del 1927. Era più scrittrice o giornalista? Si chiede in narratore napoletano Carlo Bernari. Un altro napoletano, Michele Prisco, sembra rispondergli: «La pagina della Serao è di una aderenza rappresentativa, di un’umana e poetica persuasione che nessun altro ha più ottenuto scrivendo di Napoli». E la Rocco, che ha pubblicato saggi sulla Deledda, la Ginsburg, la Ortese, la Morante, e la Pimentel, e che qui dedica un’ampia analisi critica a molte opere della Serao, inquadrandola in quella grande stagione della cultura europea, non esita a dire esplicitamente che certi racconti della Serao non sono secondi a quelli di Verga, di Di Giacomo e di Maupassant.
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cultura
In libreria. Storie di donne caparbie, fieri adolescenti, invidie e menzogne veritiere nel nuovo romanzo di Antonella Cilento
Aquila, Maddalena e le altre di Matteo Marchesini
ecensendo La Storia di Elsa Morante, costruita su trame e archetipi attratti dal mito del Grande Racconto Ideale, Giovanni Raboni parlò del «romanzo di chi ha sognato un romanzo». Luigi Baldacci, più severo, pur ammirando il coraggio di una scrittrice che pareva voler lavorare non contro ma senza il ’900, rilevò che non si esce dalla storia se non per ricadervi: e che chi oggi volesse tornare al sistema tonale «riscriverebbe semplicemente la Bohème».
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Mentre intrecciava i fili di Isole senza mare, romanzo di donne caparbie e fieri adolescenti, di invidie e di menzogne veritiere che attraversano la Storia moderna, Antonella Cilento aveva certo in mente gli atemporali miti morantiani, oltre alla letteratura «idalga» (così, perfettamente, Cesare Garboli) di Anna Maria Ortese. D’altra parte, nei Ringraziamenti afferma in modo esplicito che questo libro ponderoso è nato appunto da una performance su Morante e Ortese: e se è vero che della loro biografia resta qui appena l’ombra, da un punto di vista poetico svettano trionfanti. Già il titolo, Isole senza mare, sembra una parafrasi dell’epigrafe dell’Isola di Arturo secondo cui «fuori del limbo non v’è eliso»; o un’eco dell’ortesiano Il mare non bagna Napoli, in cui pure s’agitano donne condannate a sognare invano un’altra vita («perché tutte le isole, alla fine, non sono che carceri»). La Cilento fa procedere in parallelo la vicenda di Aquila, nobile fanciulla spagnola di famiglia ebrea costretta dall’Inquisizione a emigrare a Roma nella prima metà dell’Ottocento, e quelle di Nina e Maddalena, sorelle discese da quella stessa Spagna pirenaica e destinate a trascorrere il Novecento tra Napoli e la Sardegna. Aquila vive il tramonto dello Stato Pontificio da prostituta di lusso, amando perdutamente l’arcitaliano Giampietro Campana, antiquario vorace e truffaldino. Nina e Maddalena, invece, sono i frutti estremi di questo crogiuolo zingaro di razze. Per loro, i viaggi picareschi degli antenati s’identificano ormai in un marinaio lontano; e da vecchie son costrette a sopportarne la parodia guardando i Giochi senza frontiere alla tivù. La storia di Aquila rappresenta quindi l’avventura narrabile - cioè il romanzo sognato, ottocentesco; mentre Nina e Maddalena incarnano le tragedie ine-
narrabili del Novecento e dei giorni nostri: il dolore muto di malattie e suicidi, di gelosie e di esili non sublimabili in fiaba, ma descrivibili solo mettendo in gioco la propria biografia e il proprio laboratorio poetico. Infatti, parlando delle due sorelle novecentesche di cui si sente l’ultima erede, la Cilento si ritrae nell’atto di analizzare sulla carta il gap tra ricordi e vita presente, tra le ave e se stessa. Non a caso, l’altro te-
que i «tèttari», i «morti stecchiti» che tracciano storie su cui funghiscono subito altre storie, in progressione esponenziale. E il protagonista di questo libro è davvero l’atto del narrare. Raffinata e chiara, lapidaria ed elegiaca, bulimica e sobria, innamorata dei segni zodiacali fissati in amuleti, siano essi una cedola o una collana o un nome (la Maria, la Maddalena, quell’Azara che ha in sé l’etimo dei fiori d’arancio...),
glio di sé quando in questa scorpacciata di leggende incastona anche il proprio profilo o il paesaggio del 2000: cioè quando tematizza il plot a un tempo come salvezza e come scacco. Ecco uno scorcio su Nina e il marito: «A volte, Nina guardava le cale e le sembravano bocche che mangiavano il mare. E Aldo, che stava lì, in riva, a pescare, le sembrava il dentista di quelle bocche, che sottraeva i pesci alle fauci della terra». Meno efficaci risultano invece i brani da narratrice “senza tempo”, e i tentativi d’immettere nel plot ottocentesco una Storia monumentale addomesticata troppo in fretta.
Il protagonista di “Isole senza mare” è l’arte del narrare. Raffinata e chiara, lapidaria ed elegiaca, l’autrice non smette mai d’inseguire i dettagli delle sue scenografie domestiche e fastose ma che affianca il “testo a fronte” l’autrice non smette mai d’inseguire i di ’800 e ’900 è quello del rapporto dettagli delle sue scenografie domestitra sorelle e fratelli assaliti da un dop- che e fastose: li fa passare di mano in pio fantasmatico o reale. Si veda l’e- mano, lascia che si combinino in perisempio di Aquila, che da adulta conti- pezia provocando delitti e sortilegi di nua a rivolgersi a una gemella immagi- cui poi dipanerà i motivi aggrappandonaria, Secunda, dopo aver scoperto che si ad altri ninnoli e fondali, ad altri in realtà la seconda è lei, nata dopo una scampoli di sartoria teatrale. E dà il mebambina morta in fasce; o la competizione di sensibilità e bellezza tra Nina e Maddalena, il passaggio di consegne tra Espedito ed Eduardo; o infine la lotta tra il fascinoso Campana e Giacomo, il suo fratello “invisibile” che morirà in silenzio per salvarlo. Da un Mediterraneo all’altro, da una Spagna faSopra, Antonella Cilento e, a destra, volosa a un’Italia spagnola copertina del suo romanzo “Isole lesca, il filo conduttore desenza mare”. Nel tondo, Elsa Morante. gli arabeschi di Isole senIn alto, un disegno di Michelangelo Pace za mare restano comun-
Ecco un salotto pontificio: «Campana si alzò in piedi, barcollante, e iniziò il comizio: “Amici miei, siamo qui per celebrare l’Antichità! Rendiamo omaggio ai nostri avi, ai Greci, ai Latini, agli Italiani! Viva l’Italia!” Adam gli fece subito eco. “Oh, bene! Rendiamo omaggio a questo belissimo paese, belissimo davvero, che non è ancora nazione... really?”“Accidenti a Pio che c’impedisce d’essere paese!”». La Storia, qui, non è ben digerita: lacerti di didascalie scolastiche e di sceneggiati Rai intoppano il racconto. Forse è l’eredità meno edificante della Ortese: la poetica per cui, più che fare un romanzo, si romanza. Ma nella scrittura della Cilento c’è anche qualcos’altro. In Isole senza mare, questo altro spesso prevale; e speriamo che in futuro s’imporrà.
spettacoli
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Scala le vette delle classifiche country il nuovo album di Jake Owen “Easy does it”. Aveva visto il successo già nel 2006 con “Startin’ with me”
a talento. È giovanissimo, ha soli 27 anni, ed è originario della Florida (Vero Beach). Jake Owen non lascia indifferente chi lo guarda. Tipico ragazzo della porta accanto, un po’ scomposto ma curatissimo nei particolari. Già conosciuto per il suo singolo Startin’ with me del 2006, e per l’omonimo disco dello stesso anno, Owen fa parte della famiglia dei giovani artisti country che si rifanno alla tradizione americana: Chris Cagle, Craig Morgan, Steve Carlson, Luke Brian, Jason Aldean, Chris Young, Brad Paisley. E i suoi tour con i grandissimi Brad Paisley, Carrie Underwood, Little Big Town e Sugarland non fanno che consolidare il suo prestigio.
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Dallo scorso 24 febbraio è nei negozi di dischi con una nuova produzione, Easy does it, una raccolta di dieci nuove ballate country tutte coscritte da lui e dal produttore Jimmy Ritchey. Un album d’altri tempi che catapulta chi lo ascolta nella realtà del Sud statunitense. Fin dalla prima canzone, Tell me, un fumoso rock anni ’50 che lascia immaginare l’affascinante e giovanissimo interprete del disco con una birra in mano, in un pittoresco locale di una Nashville impregnata più che mai di musica country e rock’n roll. O Eight second ride, un rifacimento di una canzone del suo primo disco, una ballata intrigante che racconta l’incontro tra una ragazza e un affasinante cowboy di cui si innamora a prima vista. E ancora il singolo Don’t think I can’t love you, una romantica ballata ai primissimi posti delle classifiche musicali americane. Sfiziosa e ironica è Cherry on top, un omaggio alla sua donna che osserva ballare indossando solamente il suo intimo, e che adora proprio nei momenti più naturali, semplici. Altrettanto sopra le righe è Who Said Whiskey (Was Meant to Drink a Woman Away) che ricorda l’artista country dell’Arizona, Dierk Bentley e che descrive una donna che assume fascino e sensualità sempre di piùdop oaver bevuto qualche bicchiere di troppo. Le riflessioni sulla vita e su se stesso non mancano in Green Bananas dove ribadisce l’importanza di vivere il presente e non concentrarsi su un tempo che ancora non è arrivato. È impossibile programmare troppo, ammette, poiché non sappiamo cosa sia il futuro. Every Reason I Go Back è una serenata alla vita di paese, una vita semplice, fatta di piccole cose, piccoli gesti. Anche aspetti negativi, ma sono poi anche quelli che caratterizzano quello stile di vita e di cui si sente il bisogno quando vengono a mancare. Splendida poi
Musica. Torna con un nuovo album l’artista country dalla faccia acqua e sapone
Jake Owen, la star della porta accanto di Valentina Gerace
Brano dopo brano racconta lo stile di vita di un ragazzo americano del Sud che crede nei valori semplici: famiglia, infanzia, amore Nothin’ Grows in Shadows che racconta come sia bello lasciare che i bambini si esprimano liberamente e siano quello che sono, senza inibizioni.
Brano dopo brano, Owen racconta la sua visione della vita, rispecchiando lo stile di vita di un tipico ragazzo americano del Sud che crede nei valori semplici, la famiglia, l’infanzia, l’amore, il colpo di fulmine. La sua voce maschile, forte riesce ad essere gentile, romantica, morbida, familiare al primo ascolto. E dipingere con colori
caldi la vita di paese, la vita di una tipica città americana come Nashville, dove Jake vive da quando ha 25 anni. E pensare che la sua passione e ambizione erano lo sport e il golf che Jake desiderava perseguire e livello professionale.
Dopo la laurea alla Florida State University che frequenta col fratello gemello, un brutto incidente con lo scii d’acqua lo costringe a stare fermo per lungo tempo e quindi a non praticare sport che fino a quel momento aveva costituito la sua unica grande carica vitale. È proprio in quei mesi che Jake prende la sua prima chitarra in mano, chiesta in prestito a un vicino di casa, senza troppo impegno. Inizia a interpretare per gioco famosi brani country anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, con i quali è cresciuto. Canzoni dei suoi miti musicali, da Marty Robbins a Waylon Jennings, da Merle Haggard,
Vern Gosdin a Keith Whitley, Alabama e Keith Whitley. a Ernest Tubb. Suonare lo appassiona sempre più fino a che inizia a comporre canzoni nuove, e a esibirsi in piccoli locali del suo paese, solo con la sua chitarra acustica. Si esibisce davanti a cento persone che poi diventano trecento, quattrocento guadagnando cento dollari ogni singola serata. La formazione di una band è la conseguenza naturale a un tale successo. Gli Yee Haw Junction, dal nome di un piccolo paese che Jake conosce bene, hanno un enorme successo e le loro cover country seducono un numero di audience sempre maggiore, soprattutto femminile. E guardando le sue performance non è difficile capire il perché. Con la sua chitarra in spalla Jake si sposta a Nashville, la città del jazz e del country, meta indiscutibile e obbligata per chi vuole fare della musica la sua vita. Continua a esibirsi con la sua band e a gira-
re gli Stati Uniti in tour, chitarra in spalla e vita on the road. Eppure le sue performance sono tutt’altro che on the road. Ogni dettaglio è curato e ogni sua ballata è perfetta, sofisticata, delicata. Piena di classe. È proprio a Nashville che Jake incontra colui che sarà il produttore di entrambi i suoi dischi, il produttore e compositore Jimmy Ritchey, che valorizza il suo talento e lo porta a Chicago dove Jake firma il suo contratto con la Rca Records. Jake e Jimmy scrivono il singolo Ghosts che racconta la vita di un ragazzo che vive nell’angoscia degli errori che ha commesso e che vive perseguitato dal rimorso di ciò che avrebbe voluto fare diversamente. Ghosts è seguito dal singolo Yee haw una ballata ironica e allegra che porterà al successo il suo album Startin’ with me prodotto nel 2006. Undici ballate di country tradizionale tra cui You Can Thank Dixie, un duetto con Randy Owen (cantante del gruppo Alabama), la title track Startin’with me in cui Jake esprime il suo desiderio di rimettersi in gioco, ricominciare da capo, e cambiare la sua vita. Proprio partendo da se stesso. Di estrema profondità anche la triste The bottle and me, Bad in me e Something about a woman. Per più di trentacinque settimane Startin’ with me resta ai primi cinque posti delle classifiche country americane. Entrambi i suoi album, Startin’ with me e Easy does it colpiscono per la semplicità, per l’autenticità dei valori che canta. Perché Jake Owen non è un divo, una star. O per lo meno non è ciò che vuole sembrare. Sono le piccole cose che ama cantare. Parole che molte donne vorrebbero sentirsi dire e molti uomini vorrebbero dedicare alla loro donna. Da vero compositore country, ogni sua canzone è un omaggio alla vita semplice, alla donna, all’amore.
Ogni sua ballata trascina chi ascolta in quella realtà americana, la stessa in cui Jake è nato e cresciuto. La stessa in cui tantissimi altri musicisti sono nati e continuano a esibirsi giorno per giorno. Ed è questo il suo obiettivo, quello di trascinare, coinvolgere, emozionare. E facendo questo, rendere omaggio ai suoi miti musicali, i padri della musica country, tra cui Eddie Rabbit e Waylon Jennings di cui jake adora indossare le magliette durante i suoi concerti e ricordare a tutti chi sono i personaggi musicali a cui si ispira e che gli hanno trasmesso l’amore per la musica country.
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da ”The Newyorker” del 13/04/2009
Ahmadinejad: «Yes, we can» di Jon Lee Anderson n uomo in mezzo ai poveri. Nella campagna elettorale di quattro anni fa, era questa la chiave per capire il candidato alle presidenziali iraniane, Mahmoud Ahmadinejad. Aveva aperto un blog, Personal memos, dove esponeva i suoi pensieri su Dio, la filosofia, parlava della sua infanzia e rispondeva alle email dei lettori. C’erano poi due video, da trenta minuti l’uno, che sostanzialmente lo ritraevano fra gli ultimi della società iraniana, intento a spiegare cosa avrebbe potuto fare per loro, per riscattarli da quelle condizioni. Il claim politico di fondo era: «Si può fare e noi lo faremo». Alla base della campagna di comunicazione elettorale c’era un personaggio che Ahmadinejad aveva conosciuto durante gli anni dell’università a Teheran. Javad Shamaqdari è l’art adviser del presidente. Un mese fa aveva preteso che Holliwood facesse le scuse al popolo persiano per l’accanimento e le falsità proposte negli ultimi trentanni in celluloide. Anche se poi citava il più recente 300 e The Wrestler, con Mickey Rourke, lottatore che combatte con un fantomatico avversario sul ring, dal nome assai poco immaginifico di Ayatollah. Comunque, durante la campagna il ruolo di Shamaqdari era del tutto simile a ciò che rappresenta un direttore della comunicazione americano. Durante la lunga guerra Iran-Iraq l’ex compagno d’università di Mahmoud girava documentari sulla vita dei soldati al fronte. Poi passò a progetti più impegnativi, come la ricostruzione, in Sandstorm, della fallita missione di salvataggio degli ostaggi nell’ambasciata americana di Teheran nel 1980. Shamaqdari afferma che quando Ahmadinejad vinse, nel 2003, le lezioni da sindaco della capitale, rifiutò gli emolumenti da pubblico amministratore, dichiaran-
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do che sarebbero bastati quelli che già prendeva da professore universitario. «Sentivo che l’Iran avrebbe avuto bisogno di persone come lui alla guida, perciò mi feci avanti per aiutarlo». Il regista mi fece vedere degli spezzoni che il presidente aveva considerato troppo intimi e personali, per poter essere utilizzati nei filmati. Ritraevano Ahmadinejad col suo anziano padre, mentre lo accarezzava teneramente e gli recitava delle poesie. «Guardando queste scene gli iraniani non avrebbero potuto non votarlo» sottolineava l’art director del presidente. Così deve aver pensato anche tutta la nomenklatura della teocrazia iraniana. Primo fra tutti, la guida suprema, Alì Khamenei che riuscì a vanificare gli sforzi del riformatore Khatami, perché li avrebbe condotti verso un Iran troppo aperto e modernizzato. Così nel giugno del 2005, il cavallo su cui avevano puntato tutti i conservatori vinse con il 62 per cento dei voti.
Quest’anno a giugno si ripeterà il rito elettorale e Shamaqdari sta ripercorrendo la stessa strada. Stesso messaggio, stessa tecnica comunicativa. Ahmadinejad ha arrotolato il tappeto cerimoniale del palazzo presidenziale e lo ha mandato nelle teche di un museo. Ha rifiutato gli appartamenti nello stessa reggia istituzionale, volendo continuare ad abitare nel suo modesto appartamento della periferia di Teheran. Solo gli addetti alla sicurezza gli avrebbero fatto cambiare idea. È l’uomo che non ha voluto il posto da vip sull’aereo presidenziale e via discorrendo. Un’immagine di un politico che ri-
fiuta privilegi e rendite. Insomma, sarebbe un populista alla Hugo Chávez, uno che prima di diventare presidente era stato all’estero solo un paio di volte: in Iraq. Oggi anche in America molti - fra questi il deputato Lee Hamilton, copresidente dell’Iran study group - hanno capito che l’Iran è alla disperata ricerca del rispetto, che vorrebbe ottenere attraverso il programma nucleare. Adesso le cose sono un po’ cambiate. Il Paese è stato colpito duramente dalla crisi globale, dalla caduta del prezzo del greggio. Al posto di George W. Bush, alla Casa Bianca c’è Barack Obama. E il programma nucleare è in dirittura d’arrivo per ottenere gli obiettivi prefissati. Ora sarà più difficile per la retorica iraniana aver buon gioco sulla realtà dei fatti. Sempre Hamilton sottolinea come gli Usa non possano aspettare che Ahmadinejad venga sostituito da un leader riformista, ma debbano procedere con un’agenda diplomatica seria. «Non possiamo aspettare» i comodi degli iraniani, è l’America adesso che deve dettare i tempi del dialogo.
L’IMMAGINE
Un concilio per discutere sull’unificazione di tutte le Chiese Riceva, caro direttore, i miei più cordiali saluti. Siamo di fronte a un mondo che cambia. Stiamo arrivando alla fine di questo tempo. Stiamo assistendo a una trasformazione completa in tutti i sensi. Con un’era di pace e prosperità nell’essere razionale. Il mondo è in constante conflitto: intrighi, discordie, guerre religiose tra fratelli (israeliani e arabi). Bisogna lasciare le porte delle chiese aperte, per una riforma che ci unisca tutti in una sola chiesa, poiché “c’è un solo Dio” con diversi nomi e diversi culti, che in una maniera o in un’altra sempre arrivano al Signore. Invito tutti i lettori di liberal nella maniera più cortese a chiedere alla Chiesa di convocare un concilio/sínodo ecumenico con la partecipazione delle principali Chiese del mondo per discutere sull’unificazione di tutte le Chiese in una sola.
Georges
SPESSO I PROFETI VENGONO DA LONTANO Vorrei condividere con chi legge la mia gioia per due lietissimi eventi che forse rischiano di essere sommersi nel bailamme mass-mediatico che ogni giorno invade le nostre coscienze. Magdi Cristiano Allam, presidente del partito “Protagonisti per l’Europa cristiana”, si presenterà come capolista nelle file dell’Udc per la circoscrizione del NordOvest alle prossime elezioni europee: il presidente dell’Unione di centro, Rocco Buttiglione, ha intelligentemente coronato l’intesa con Allam dicendo apertamente che «spesso i profeti vengono da lontano». Che Magdi Cristiano sia animato da spirito profetico lo si vedrà col tempo;
intanto Buttiglione, e io sono del tutto d’accordo, lo ha accolto come profeta, forse memore del detto evangelico: “chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta”. L’altra lieta notizia è che in aprile uscirà il libro Europa Cristiana Libera, che delineerà il programma elettorale del nuovo candidato Udc per le Europee. Il titolo del libro è già parecchio eloquente ed esprime qualcosa che tutte le persone ragionevoli intuiscono e che il più grande antropologo vivente, accademico di Francia, Renè Girard, ha espresso con le seguenti emblematiche parole: «L’alternativa al cristianesimo è la barbarie». Dunque mi piace esercitare una ragionevole fantasia e pensare anche ad un’Italia cristiana
Concimi spaziali Non chiamatela spazzatura. I resti di supernova - gas e polveri liberati da antiche esplosioni stellari - non sono come si potrebbe pensare, inutili rifiuti cosmici. Ma preziosi “fertilizzanti” celesti che arricchiscono l’universo di nuovi elementi chimici, favorendo la nascita di stelle e pianeti. Nella foto di Hubble, un residuo di supernova sospeso a 2600 anni luce da noi
libera e, nel mio piccolo, ad un’Ovada cristiana libera, e, perché no, ad un mondo cristiano libero. Vorrei concludere con una nota polemica in riferimento alle prossime elezioni amministrative e provinciali: se è vero, come è vero, che l’Udc lavora per un’Europa cristiana come può allearsi con un Pd che invece ha scelto di disertare in Europa l’area politi-
ca di ispirazione cristiana? “Senza visione il popolo perisce” e il Pd, a quanto pare, ha perso la visione e direi anche la vista!
Gianluca Valpondi
SAREBBE ORE DI FARE CHIAREZZA Una vera democrazia deve camminare dopo aver fatto piazza pulita di tutti i lati oscuri del suo passato. Non si può andare certo
ai tempi delle stragi di Stato, ma non capisco perché l’indagine Why not, che in molte radio dipingono come un pozzo di concussione ad alti livelli, si sia bloccata in qualche radura oscura. I precedenti governi di centrosinistra hanno molto da nascondere in tale meandro: sarebbe ora di fare chiarezza.
Gennaro Napoli
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dai circoli liberal
LETTERA DALLA STORIA
La guerra a me sembra uno spazio obliquo Caro Amico, non ho pensato che le forze planetarie si fossero annullate, ma che avessero subito uno scambio di territorio, di mondo. Mi sarebbe piaciuto vederla, prima che divenisse improbabile. La guerra a me sembra uno spazio obliquo. Se ci saranno altre estati, verrà forse? Ho scoperto che se ne era andato per caso, come mi capita di scoprire che se ne sono andati i sistemi, o le stagioni dell’anno, e non ne trovo una causa - ma deduco che si tratta di un tradimento del progresso - che si dissolve nel momento in cui passa. Carlo è ancora qui e gli ho detto: «per formalizzarli in quanto tali, guadagni. I guadagni migliori devono essere misurati sulle perdite». Il mio irsuto alleato assentì. Probabilmente la morte, la morte che colpisce in modo tagliente e presto negli anni, mi ha inculcato un riverente timore per gli amici, per questo da allora ho stabilito rapporti di amore - fragile - più di apprensione che di pace. Sono sicura che lei oltrepasserà il limite della guerra e per quanto non sia stata educata alla preghiera - quando in chiesa si tengono funzioni speciali per il nostro esercito, io includo anche lei. Qualora conoscesse l’immortalità prima che le arrivi questa mia, chi mi informerà dello scambio? Emily Dickinson a Thomas W. Higginson
ACCADDE OGGI
IL (MAL) GOVERNO LOCALE A Poviglio sono diffusi lo scontento e la delusione verso il (mal) governo locale, e lo stanno a dimostrare la nascita di diverse liste civiche, di diverso orientamento, per convogliare verso se stesse - di fronte alla debolezza della maggioranza che amministra da più di dieci anni il comune - quei suffragi “in libera uscita” dal partito dominante: il Pd. Sicché non pochi elettrici ed elettori sono persuasi che, per uscire da questa grave situazione sia necessario e indispensabile l’avvento di nuovi amministratori, capaci di risanare il bilancio, di dare fiducia ai cittadini per risollevare il paese dallo stato di crisi e di immobilismo in cui si trova da anni, per l’uso indiscriminato della speculazione edilizia che ha stravolto il territorio comunale e caratterizzato la gestione del Comune, anche per l’uso populistico e clientelare delle finanze comunali. Il Pd affronta perciò questa campagna elettorale dotato di numerosi e prezzolati propagandisti, mezzi economico-finanziari più che adeguati, stampa e pubblicazioni e il sostegno dei mass media “amici”, ma tutto ciò non gli potrà consentire di colmare le gravi lacune che ha lasciato, e anche tenuto conto che la sua organizzazione e presenza politica nella società civile è ridotta ad una ben poca consistenza e incisività, rispetto ai successi elettorali “bulgari” che gli garantirono, nella passate elezioni, dei grandi successi. Oggi, il consiglio comunale di Poviglio è guidato da una maggioranza sempre più debole e asfittica, e de-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)
15 aprile 1959 A Ispra (VA) si inaugura il primo reattore nucleare italiano 1978 Presso Murazze di Vado un deragliamento causa un incidente tra un treno passeggeri e la Automotrice della “Freccia della Laguna” 1982 Giustiziati al Cairo cinque dei responsabili dell’assassinio del presidente Anwar al Sadat 1989 96 persone muoiono schiacciate nella calca all’interno dello stadio di Hillsborough a Sheffield, in occasione della partita di calcio tra Liverpool e Nottingham Forest 1994 Rappresentanti di 124 paesi e dell’Unione europea firmano l’Accordo di Marrakesh per riorganizzare i traffici mondiali 2000 Al Museo archeologico nazionale di Napoli viene riaperta al pubblico la collezione riservata dei Borboni “Gabinetto Segreto” 2008 Elezioni politiche: vengono resi noti i risultati delle elezioni, vince il Pdl con circa 8 punti percentuale di vantaggio.
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
stinata a lasciare il campo, alle prossime elezioni del 6-7 giugno, a nuovi amministratori, più idonei e capaci, perché il Pd ha malgovernato il comune, non riuscendo a garantire un’apprezzabile e positiva amministrazione e la trasformazione in senso moderno, concreto e accettabile del paese. Quella specie di esaltazione collettiva per la persona del sindaco Carpi, erroneamente considerato di notevole capacità amministrativa e di conclamata attitudine alle grandi imprese e alle audaci iniziative, capaci di portare ai cittadini chissà quali benefici effetti e risultati; ebbene, questa forma di esaltazione si è sciolta come neve al sole, basta guardare al miserevole e striminzito bilancio presentato che ha lasciato sorpresi e disgustati migliaia di cittadini, che hanno viste deluse le grandi speranze riposte nella capacità e attività del sindaco pidiellino, al potere da quindici e più anni ininterrottamente, e il cui “culto della personalità”che l’ha accompagnato alla conquista della carica di primo cittadino prefigurava ben altre potenzialità e risultati. Il carattere di battaglie e azioni civili e riformistiche che prevale nei programmi elettorali delle liste civiche concorrenti risponde quindi ad un’esigenza effettiva di rinnovamento, cui la classe politica cattocomunista povigliese non sembra più in grado di assolvere perché, vedasi nuovamente il bilancio annuale e pluriennale presentato, manca di un progetto di crescita economico-sociale valido e attendibile.
VENTO DI CENTRO Nel Paese ed in Basilicata soffia un vento di Centro e di rinnovamento della Politica e delle Istituzioni e la presenza di tanti giovani alla due giorni dell’Assemblea Nazionale dell’Unione di Centro deve incoraggiare i tanti moderati e tutti coloro che si ispirano ai valori cristiani e liberali a rompere gli indugi e a sostenere con convinzione il nuovo progetto politico fortemente voluto da Casini, Cesa, Adornato, De Mita e Pezzotta rivolto a scompaginare i due Poli e a candidarsi al governo della cosa pubblica. Alla kermesse romana ha partecipato una nutrita delegazione lucana guidata dal coordinatore regionale Agatino Mancusi, da quelli provinciali Palmiro Sacco e Vincenzo Ruggiero, dal commissario cittadino Vincenzo Salvato e dal commissario dei giovani Francesco Coviello, oltre ai rappresentanti dei Circoli Liberal, della Rosa per l’Italia e Popolari di De Mita, dai consiglieri regionali Gaetano Fierro, Francesco Mollica ed Antonio Flovilla e dal consigliere provinciale di Matera Dino Calciano. Bisogna dare atto del proficuo lavoro portato avanti in questi difficili anni con coraggio e dignità politica, dai tanti dirigenti, militanti ed elettori dell’Udc che possono guardare con fiducia e speranza al nuovo partito della Nazione lanciato da Pier Ferdinando Casini, che non aspira di certo ad essere l’ago della bilancia della politica italiana e lucana, ma che ha un programma più ambizioso che dovrà essere costruito con umiltà, equilibrio e responsabilità da tutti coloro che nutrono ancora tanta passione civile. Un plauso infine e un grazie di cuore ai tanti giovani lucani che con entusiasmo hanno partecipato ai lavori della prima Assemblea Nazionale dell’Unione di Centro. Sono certo che la voglia di cambiamento ed il vento del nuovo porterà tanti di loro al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica per cercare insieme di rinnovare la Politica, il Paese e le nostre Istituzioni. Gianluigi La Guardia C O O R D I N A T O R E PR O V I N C I A L E CI R C O L I LI B E R A L PO T E N Z A
APPUNTAMENTI APRILE 2009 VENERDÌ 17, ROMA, ORE 10,30 PALAZZO FERRAJOLI - PIAZZA COLONNA Riunione della Direzione Nazionale dei Circoli liberal con la partecipazione straordinaria del segretario dell’Udc, onorevole Lorenzo Cesa. VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL
Angelo Simonazzi
Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,
Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Filippo La Porta, Maria Maggiore,
Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio
Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,
Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,
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e di cronach
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PAGINAVENTIQUATTRO Cartoons. Arriverà in autunno la nuova serie diretta da Enzo D’Alò
La vita a colori, raccontato con gli occhi degli di Livia Belardelli
re animaletti strampalati in giro per il mondo. Sono l’orsetto lavatore Pipì, l’uccellino verde Pupù e la buffa coniglietta Rosmarina, protagonisti della nuova serie tv per bambini di Enzo d’Alò.Tre piccoli amici alla ricerca del Mapà, una figura indefinita, un po’ mamma e un po’ papà, che li porta a vivere mille avventure. Un pubblico di bambini (e non solo) ha applaudito lo scorso week end l’anteprima della serie in animazione firmata da Enzo D’Alò e Vincenzo Cerami, Pipì, Pupù e Rosmarina, coprodotta da Rai Fiction, Cometa Film e la lussemburghese PTD. «Sono tre scapestrati che viaggiano alla ricerca di qualcosa che forse non troveranno mai. Il loro è soprattutto un viaggio di formazione, più interiore che fisico, alla ricerca di se stessi. Ho costruito intorno a questi animaletti una piccola cosmogonia. Incontrano tanti personaggi ma non si limitano a parlare solo con loro, interagiscono con piante, sassi, sole, luna, stelle e attraversano paesaggi selvaggi ma anche civilizzati. Nel loro viaggio però non incontrano mai umani perché sono loro stessi metafora degli umani» ci racconta il regista, autore di La Gabbianella e il Gatto, incontrato a Rapallo in occasione del Festival Cartoons on the Bay. In questo mondo animato senza confini «i tre piccoli scellerati» – scherza Vincenzo Cerami, autore delle sceneggiature – affrontano i casi della vita stupendoci con scelte spiazzanti. «Ho voluto guardare il mondo con gli occhi di un bambino, con l’ingenuità di chi non è mai uscito di casa. È tutto un gioco al limite del surreale e del sorprendente. Non ci interessava costruire una struttura logica della narrazione ma scherzare con questi personaggi e al tempo stesso dare delle piccole pillole di filosofia» continua D’Alò.
T
Così, attraverso lo scanzonato comportamento dei protagonisti, si parla di temi fondamentali come l’amicizia, la solidarietà, il pregiudizio e lo stare insieme. «Ad esempio in un episodio Pipì, Pupù e Rosmarina contemplano il cielo pieno di stelle. È un momento poetico. Ma poi si girano e il maialino che è con loro si trasforma ai loro occhi in un piatto arrosto. Non sono cattivi, come non ci sono nemici nella serie. C’è semmai la specificità dell’essere animali, il loro bisogno primario di nutrirsi rac-
contato con ironia, tanto che i tre prendono a cuor leggero persino un leone che ha cercato di mangiarli». Dietro a questo viaggio, nato dalla fantasia di Enzo D’Alò, c’è un’orchestra di professionisti che, con il proprio strumento, ha dato un personalissimo contributo a questa favola
la colonna sonora di Daniele Di Gregorio, compositore e musicista, specializzato in tastiere e percussioni, da sempre appassionato alla musica per immagini. «Suono pensando a delle immagini» ci dice «ho sempre avuto quest’esigenza istintiva. Mi sento un disegnatore della mu-
ANIMALI d’autore. La voce narrante è di Giancarlo Giannini, le musiche di Daniele Di Gregorio, i disegni di Anna Laura Cantone mentre Vincenzo Cerami si è occupato della sceneggiatura.
«Mi sono calato nel mondo di queste tre figurine innocenti e deliziose con grande curiosità. Senza accorgermene ho scritto quasi 500 pagine di sceneggiatura» racconta Cerami. «In-
sica e sono molto legato ai colori. Questa serie è coloratissima e proprio le sfumature e la sua composizione unica mi hanno emozionato e facilitato il compito. Ho cercato di orchestrare il cartone in maniera personale, ho voluto mettere la mia firma senza sovrappormi agli altri».
Anche Anna Laura Cantone, nota illustratrice di libri per bambini, occhi grandi e viso da cartone animato – somiglia un po’ alla protagonista femminile – ribadisce come la serie raccolga le forze positive di ognuno. Proprio i colori, che tanto hanno emozionato Daniele Di Gregorio, nascono dalla sua tavolozza. «Sono molto barocca. Mi piace utilizzare ritagli di stoffe, texture di piastrelle e materiali diversi dando equilibrio attraverso le velature. Uso colori desaturati, li spengo un pochino per armonizzare la composizione». Dalla sua matita, doppia linea di contorno e tratto volutamente impreciso, nascono i volti buffi di Pipì, Pupù e Rosmarina. «Disegnare Pipì e Pupù è stato facile, ho avuto qualche problema in più con Rosmarina. L’avevo disegnata cicciona e bassina, un po’ vecchiarella… Ora invece disegno più lei degli altri». Per lei che nasce come illustratrice, questa prima esperienza nell’animazione la fa sentire come Geppetto con Pinocchio. «Per la prima volta i miei personaggi hanno davvero una voce. Finalmente hanno preso vita». Ma per vederli così, animati e parlanti sugli schermi televisivi, i bambini dovranno aspettare ancora un po’. L’appuntamento è per il prossimo autunno su Rai Tre.
È la storia di tre personaggi in giro per il mondo: l’orsetto lavatore Pipì, l’uccellino verde Pupù e la buffa coniglietta Rosmarina. Tre amici che vivono mille avventure alla ricerca del Mapà, una figura indefinita, un po’ mamma e un po’ papà ventare storie è il mio mestiere, conosco bene il mondo della fiaba e sono l’ambasciatore di Andersen in Italia. Ho preso spunto da Esopo ma anche dalle favole laziali romane che anni fa ho tradotto in lingua». Lo scrittore, entusiasta dell’esperienza, ci racconta il senso del viaggio dei tre protagonisti alla ricerca del Mapà. «È un percorso verso la trascendenza condotto però nell’immanenza e nella quotidianità. Non è una ricerca affannosa, i protagonisti vengono continuamente distratti dalla vita e muovendosi nel quotidiano ricercano qualcosa di più alto». E dall’alto giunge la voce del narratore, sorta di Virgilio, commentatore delle loro gesta, ironico affettuoso nume tutelare. «Interloquisce con loro, prova a consigliarli, ad aiutarli, ma non sempre ci riesce. Spesso i tre chiedono il suo aiuto ma poi non lo ascoltano perché è adulto e troppo assennato. A loro piace essere anarchici». In quest’avventura corale li accompagna