2009_04_30

Page 1

ISSN 1827-8817 90430

È un’immensa prova d’inferiorità in un uomo non sapere fare della propria moglie la propria amante

di e h c a n cro

9 771827 881004

Honoré De Balzac

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA

Dopo il sì al referendum di Berlusconi

Ora la Lega non sa se fidarsi ancora del Cavaliere

di Ferdinando Adornato

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Veronica: «Vai ai 18 anni di una qualsiasi Noemi e non a quelli dei tuoi figli» Silvio: «Sei manipolata dalle menzogne della sinistra». La contestazione sull’uso delle veline diventa un caso familiare e nazionale

di Errico Novi

ROMA. È un balzo improvviso. E come spesso capita, Berlusconi lo compie in modo apparentemente casuale. Un anno e mezzo fa la svolta del predellino sembrò al primo impatto una trovata mediatica estemporanea, utile a uscire dall’angolo in cui il Cavaliere s’era cacciato a furia di spallate andate a vuoto. Così anche il pronunciamento di martedì sera sul referendum elettorale potrebbe apparire come un’improvvisazione, innescata più dall’insistenza dei cronisti che da una strategia. E invece il voto favorevole ai quesiti annunciato dal premier segna una cesura nei rapporti con la Lega. se gu e a p ag in a 10

Il ritorno (in tv) di Enrico Mattei Domenica e lunedì andrà in onda una fiction sul fondatore dell’Eni.

Scandalo al sole

Sono solo fatti loro oppure, come in America, la moralità personale va considerata un affare pubblico? alle pagine 2, 3, 4 e 5

di Parisella e Tosti alle pagine 12 e 13

Caso Specter: storia dei ribaltoni Usa

I Mastella di Washington di Andrea Mancia

Non si ferma l’espansione del nuovo virus: molti contagiati anche in Europa

Febbre in Texas: allarme di Obama Muore un bambino negli Usa. In Italia venti casi sospetti di Andrea Ottieri

e manca uno. Un solo senatore perché il partito democratico raggiunga la fatidica “quota 60” conquistando, di fatto, il controllo totale del Congresso. Con 60 senatori, infatti, i democratici avrebbero una maggioranza a prova di ostruzionismo, negando qualsiasi margine di manovra politica ai repubblicani. E il “senatore mancante” potrebbe arrivare presto, se - come sembra - sarà confermata (a cinque mesi dal voto) la contestatissima vittoria di Al Franken su Norm Coleman in Minnesota. Arlen Specter, dal 1980 senatore della Pennsylvania, ha scelto infatti di abbandonare il partito repubblicano per correre, come democratico, alle prossime elezioni di mid-term.

N

s eg u e a pa gi n a 1 4

La controstoria (virale) dell’umanità

ROMA. La nuova febbre suina fa il primo morto negli Stati Uniti e il presidente Obama lancia l’allarme: «La situazione è seria, talmente seria da richiedere le massime prefazioni». Non è bastata l’acqua lanciata sul fuoco dalla Organizzazione mondiale della Sanità («Bisogna stare attenti, ma la pandemia si può evitare»), l’allarme per il nuovo virus continua a crescere. Sia in Europa sia negli Stati Uniti. In Texas un bambino di due anni è la prima vittima al di fuori e del Messico. Nel Vecchio Continente, invece, si è estesa la mappa del contagio, con i primi tre casi accertati in Germania e un altro in Austria. Salgono a tre i contagi accertati in Gran Bretagna e a quattro quelli in Spagna. Timori e preoccu-

gue a p•aE giURO na 91,00 (10,00 GIOVEDÌ 30 APRILEse2009

CON I QUADERNI)

di Maurizio Stefanini ggi, il grande interrogativo sull’influenza suina è se non possa addirittura azzoppare la ripresa economica abbozzata con i nuovi grandi piani di intervento di Barack Obama. Oppure, quanto meno, affossare definitivamente l’area di libero scambio del Nafta: precipitando quel divorzio tra gli Stati Uniti e l’America Latina contro il quale si batte anche Obama.

O

pazioni anche in Italia: nel salernitano un’antropologa messicana che soggiornava nel convento-albergo San Michele si è sentita male ed è stata trasferita all’ospedale «Cotugno» di Napoli.

• ANNO XIV •

s eg u e a pa gi n a 8 NUMERO

85 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

s eg u e a pa gi n a 8 IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


prima pagina

pagina 2 • 30 aprile 2009

Il vizietto. Lei condanna i rapporti disinvolti con le ragazze e il disinteresse per i figli. Lui replica: «Credi alle bugie della sinistra»

Dallas a Portici

Scontro Veronica-Silvio sulla moralità pubblica e privata del premier Una telenovela “familiar-nazionale” che divide a metà l’Italia di Marco Palombi

ROMA. A pensarci bene la faccenda delle “euroveline” - che siano vere passioni o ninnoli mentali di un signore avviato a una recalcitrante pace dei sensi - è un fatto assolutamente secondario. Veronica Lario ha sganciato contro suo marito, che è poi anche il presidente del Consiglio, la bomba H della critica matrimoniale: ha messo cioè in dubbio l’interesse dell’uomo che ha sposato per i suoi stessi figli.

Per gustare appieno la stilettata assestata dalla signora B al signor B - nella leggenda autobiografica padre e figlio amorevolissimo e marito un po’ scavezzacollo ma presente - la cronaca va ricostruita con calma. Eccola. Domenica sul tardi l’aereo del Cavaliere atterra, un po’ a sorpresa, a Capodichino, Napoli: da lì il corteo delle auto si dirige a Villa Santa Chiara, casermone per ricevimenti sulla Circumvallazione esterna, all’altezza della non ridente cittadina di Casoria. Il premier è lì per festeggiare il 18esimo genetliaco di Noemi Letizia, avvenente studentessa di grafica pubblicitaria nonché valletta in una tv privata, di cui è amico di famiglia «dai tempi dei socialisti, ma non possiamo dire di più…», spiegano i Letizia, padre impiegato comunale nel settore fognature, madre titolare di una profu-

Noemi Letizia, diciott’anni pietra dello scandalo di “papi” NAPOLI. Perché si parla tanto di lei, ormai è chiaro. Più complicato dire chi è Noemi Letizia e come mai domenica scorsa, alla festa dei suoi diciott’anni in un villa di Portici, affittata per l’occasione, sia capitato il premier Silvio Berlusconi. E, ancora, perché mai lei sia abituata a chiamarlo “papi”. Insomma, questa Noemi è la pietra dello scandalo: Miriam Bartolini, alias Veronica Lario, è rimasta colpita dal fatto che il marito abbia festeggiato i 18 anni della napoletana sconosciuta e non quelli dei suoi figli («benché invitato»). Lei, Noemi, bionda e maliziosa, nicchia: «Il fatto è che è un amico…». Proprio pensando a questa importante amicizia, Noemi non ha ancora deciso se per il suo futuro preferisce la tv o la politica. Ma intanto, su facebook, non si fa scrupolo di pubblicare qualche sua foto maliziosa.

«Per me avere a che fare con “papi” è normale, ma di trovarmelo alla festa non me l’aspettavo. E non vi dico i miei amici. A loro mica avevo mai raccontato di “papi”, tanto non mi avrebbero creduto. Ma poi lui è stato così simpatico con tutti. Lui è sempre tanto cordiale». Madre casalinga, padre impiegato comunale: La famiglia Letizia conosce Silvio Berlusconi da anni, pare: «Mi conosce da quando ero piccola piccola – spiega Noemi -. Mio padre frequentava i socialisti e così conobbe Silvio». Il quale ricambiò l’affetto con tante visite a Portici. Mai a mani vuote, per altro, come quella volta in cui regalò alla piccola una bella foto con dedica: «Alla mia piccola Noemi, alla mia piccola grafica pubblicitaria dal suo papino putativo». Già, perché Noemi, a tempo perso, studia da grafica. Hai visto mai.

meria ed ex miss Tirreno. Alla spiegazione vagamente misteriosa dei due amici, s’è aggiunta poi quella evasiva dello stesso Berlusconi: «La mia partecipazione era stata chiesta da una famiglia a cui sono legato per diversi motivi del passato. Mi trovavo a pochi chilometri da una riunione politica a cui dovevo partecipare, quindi sono passato da lì per fare un semplice brindisi». In ogni caso è proprio la scenetta tra «Papi» (così lo chiama la ragazza) e Noemi ad aver irritato di più Veronica Lario, che infatti ha chiosato velenosamente - per

iscritto, vale a dire a freddo - all’Ansa: «Che ne penso? La cosa ha sorpreso molto anche me, anche perché non è mai venuto a nessun diciottesimo dei suoi figli, pur essendo stato invitato». E qui sta l’attacco più cattivo: Berlusconi, per ben tre volte (i 18 anni di Barbara, Eleonora e Luigi) non s’è degnato di andare alla festa dei suoi figli eppure accorre a Casoria per quella di una sconosciuta. «Voglio che sia chiaro che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla e ci fa soffrire». E chissà quanto è peggiorato il suo umore quando ha letto le dichiarazioni della fe-

Varsavia - Credo di essere il più amato tra i genitori». Sistemata la faccenda Noemi, Lady Berlusconi non ha mancato di bastonare il consorte anche sulle avvenenti aspiranti politiche che gli circolano attorno: «Quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore, tutto in nome del potere». Di più: «Attraverso il paravento delle curve e della bellezza femminile, che è ancora più grave, c’è la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che offende la credibilità di tutte». Parole difficili da digerire e infatti, su questo tema, il premier non s’è affatto messo sulla difensiva: «C’è una manovra montata dalla stampa di sinistra e dell’opposizione sulle nostre liste con notizie assolutamente infondate» e «anche la signora (così, senza neanche il nome, ndr) «ha creduto a quello che hanno messo in giro i giornali, mi dispiace». Poi, preso dall’irritazione, ha detto pure che lui vuole «rinnovare la classe politica con persone che siano colte, preparate e garantiscano la loro presenza a tutte le votazioni, che magari non siano maleodoranti e malvestite come altri personaggi che circolano nelle aule parlamentari». Cosa che ha avviato un minimo dibattito nell’aula di Montecitorio e molti divertimenti in Transatlantico tra chi stilava liste di presunti maleodoranti.

La sortita della signora, per altro, non è piaciuta nemmeno ai militanti berlusconiani che frequentano il sito del Pdl. Si va da «non sei mai stata una grande attrice e hai una vita da favola grazie a tuo marito, piantala di infangarlo» a «Silvio hai una moglie di sinistra, liberatene»; da «sputi nel piatto dove mangi» a «velina Veronica, ricordati che Silvio ti ha visto al cinema in Attila il flagello di Dio». Paolo Guzzanti, che ha il copyright della definizione «mignottocrazia», è più comprensivo: «Sta diventando un caso patetico anche lei. Verrebbe da dirle: si ribelli. Capisco che ci saranno dietro anche questioni di soldi, di assi ereditari, ma la moglie di Berlusconi appare come l’agnello sacrificale di un costume talmente esposto al ludibrio da esserne lei stessa investita». Noemi sembra invece felicemente inconsapevole del bailamme che s’è creato: ieri ha chiarito che non si presenterà alle prossime regionali, «preferisco candidarmi alla Camera, ci penserà Papi Silvio».

Sulla singolare lite della coppia, s’è scatenato anche il mondo dei blog. Sul sito del Pdl impazzano insulti che vanno da «velina Veronica, sputi nel piatto dove mangi» a «Silvio hai una moglie di sinistra, liberatene» steggiata: «Gli faccio compagnia: lui mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero e io lo raggiungo. Resto ad ascoltarlo e poi cantiamo assieme». Adesso, ricomincia a circolare una voce che aveva già accolto la lettera della Lario a Repubblica del 2007: dietro questi litigi pubblici ci sarebbe in realtà la difficile spartizione del cospicuo patrimonio Berlusconi tra i 5 figli, due di primo letto e i tre più giovani. Come che sia, il Cavaliere non può sopportare che la sua immagine di padre sia messa in discussione: «I miei figli mi vogliono un bene dell’anima - ha detto da


prima pagina

30 aprile 2009 • pagina 3

A sinistra, la foto ufficiale di SIlvio Berlusconi con i tre figli nati dalla seconda moglie Miriam BartoliniVeronica Lario (nella foto in basso, nella pagina a fianco). A destra, tre neocandidate del Pdl: dall’alto, Licia Ronzulli, Lara Comi e Barbara Matera. Nella pagina a fianco, la diciottenne Naomi Letizia, giovane amica del premier

Nel sito del Pdl i post contro la First Lady Ieri mattina il sito del Pdl, www.popolodellaliberta.it, è stato invaso da frasi contro Veronica Lario. Il post-it si è riempito rapidamente. Vi proponiamo un sunto degli “insulti” azzurri.

• Qualcuno la faccia tacere. Anzi, le ricordi il suo passato da attricetta. • Si dica chiaro e tondo che la signora Veronica si permette di criticare e poi sta seduta sulla montagna di miliardi del marito. • Le esternazioni della signora Lario lasciano esterrefatti, se voleva ricordarci che esiste l’ha fatto nel modo peggiore. • Ha perso una buona occasione per stare zitta. Troppo comodo fare la moglie di Silvio, goderne gli agi e poi attaccarlo. • Hai la cabina elettorale per esprimerti, lascia perdere i giornali! Offendendo tuo marito offendi te stessa e tutti quelli che hanno fiducia in lui. • Non sei mai stata una grande attrice e hai una vita da favola grazie a tuo marito. Piantala di infangarlo. • Le mogli dei premier europei non si sognerebbero mai di ridicolizzare i propri mariti. • Non è la prima volta che lei delegittima suo marito, si ricordi che è il padre dei suoi figli.

Presentate le liste del Pdl, Berlusconi risponde alle accuse

Le mie candidate? Solo tre di Errico Novi ROMA. C’è un verbo, un participio pas- protagoniste di un’esistenza virtuale, sato per essere precisi, che nel caso delle giovani aspiranti eurodeputate del Pdl proprio non è il caso di usare – giacché l’equivoco è dietro l’angolo – anche se hanno vissuto la stessa mortificante esperienza di chiunque si sia trovato a un passo dall’essere eletti. Niente da fare, dunque, nonostante l’acceleratissimo corso di formazione politica frequentato la scorsa settimana in via dell’Umiltà: Angela Sozio, Camilla Ferranti, Eleonora Gaggioli e altre avvenenti attrici, showgirl o semplici belle ragazze di ambiente forzista hanno visto sfumare all’ultimo momento il posto in lizza per Strasburgo. Si “salvano” solo l’ex annunciatrice Rai Barbara Matera e la fisioterapista del premier, prima dei non eletti alle Politiche, Licia Ronzulli. Un trauma, per altre, assolutamente certe dell’investitura fino a mezzogiorno di ieri.

esposta a decisioni e volontà imperscrutabili. Si prenda il caso di Giovanna Del Giudice, venticinquenne napoletana e assistente parlamentare di alcuni senatori, tra i quali l’ex governatore del Piemonte Enzo Ghigo: martedì pomeriggio ammetteva candidamente di essere tra gli alfieri del Pdl per il 6 e 7 giugno: «Aspettiamo che sia ufficiale», aggiungeva, più per pudore che per cautela. Dopo la bufera scatenata tra Macherio, Varsavia e via dell’Umiltà si è trovata a meditare sugli appunti presi da Mario Mauro l’altro martedì e su quella frase del presidente del Consiglio: «Molte di voi non lo sanno, ma saranno candidate».

“Salvate” solo l’annunciatrice Barbara Matera, la fisioterapista Licia Ronzulli e Lara Comi. «Il corso? Per le assistenti»

Qualcosa è andato storto proprio nell’ultima riunione, iniziata ieri mattina presto, a cui hanno partecipato i tre coordinatori del Pdl, DenisVerdini, Sandro Bondi e Ignazio La Russa. In collegamento con Varsavia dove Silvio Berlusconi si trovava già da martedì per il congresso del Ppe, si è deciso per la sterzata già concepita il giorno prima, dopo lo scatenarsi della polemica in cui è entrata anche la moglie del premier. D’improvviso le ragazze sono scomparse, smaterializzate, come se fossero

Bellissima è anche Elisa Alloro: non ha la notorietà delle altre, salvo che a Reggio Emilia e dintorni, dove la riconoscerebbe chiunque abbia fatto zapping almeno una volta tra le emittenti locali. Aveva già in tasca il biglietto per Strasburgo Camilla Vittoria Ferranti: ex “tronista” (termine oggettivamente inquietante) della trasmissione “Amici” e poi protagonista di “Incantesimo”. Cosa è successo? Berlusconi si premura di fornire personalmente la chiave del rebus: «Quel corso non era per diventare eurodeputate, serviva a preparare assistenti parlamentari: a Strasburgo sapete che si guadagnano 15mila euro e si possono avere anche tre o quattro collaboratori a testa». E poi «aveva organizzato tutto Franco Frattini». È proprio la presenza

del ministro agli Affari esteri, insieme con quella del più autorevole candidato alla presidenza del Parlamento europeo, Mario Mauro appunto, ad aver avvalorato la finalità “elettorale”del corso. Ma adesso il premier minimizza, «non c’entro nulla con questa cosa», al limite sono le ragazze ad essersi passate la voce, come quelle del club “Silvio ci manchi”, «ma il corso non era diretto a loro», dice il presidente del Consiglio un attimo prima di riprendere i lavori del Ppe.

Il giallo si arricchisce anche di una rivelazione, fatta sempre dal premier, su Rachele Restivo, «una ragazza davvero bellissima che ha letto il proprio nome sui giornali e mi ha telefonato chiedendomi: e io che c’entro? Neanche sono andata al corso…». Barbara Matera è invece rimasta in lista: «È laureata, fidanzata con il figlio di un amico di Letta: è così che l’ho conosciuta», dice ancora Berlusconi, «mentre la Ronzulli è bravissima, lavora in una clinica delle Marche che cura bambini del Bangladesh». In lista, dunque. Così come un’altra donna avvenente che però ha già una discreta carriera politica alle spalle: è Erminia Mazzoni, cooptata ieri pomeriggio, proprio in extremis, non solo tra i candidati del Pdl per la circoscrizione Sud ma anche nella direzione nazionale del Pdl. Ci sono alcune altrettanto gradevoli parlamentari nazionali, come Laura Ravetto, che però già sanno di dover correre solo per lasciare eventualmente il posto ai primi dei non eletti. C’è infine Lara Comi, dirigente dei giovani forzisti schierata al Nord. Anche lei al gran ballo delle debuttanti, con i capilista Berlusconi e (solo al Nord) La Russa.


prima pagina

pagina 4 • 30 aprile 2009

Paralleli. L’opinione di una italo-americana sul rapporto tra morale e potere qui da noi e Oltreoceano

Un tipo poco affidabile Negli Usa un leader deve mostrare almeno un’apparente dedizione alla famiglia. Altrimenti non è “macho”, ma inattendibile di Anselma Dell’Olio

Parlano i sondaggisti Mannheimer, Piepoli, Pessato e Crespi

Ma gli italiani lo assolvono di Riccardo Paradisi on è solo un’altra baruffa coniugale quella tra il premier Silvio Berlusconi e Veronica Lario. La signora di Macherio stavolta non accusa solo il marito di inveterato gallismo e di insensibilità maschilista, non si limita a rampognare pubblicamente Silvio tramite lettera aperta a Repubblica pretendendo e ottenendo le sue scuse come accadde nel 2007. No, stavolta c’è anche la politica di mezzo, stavolta la signora Lario tira dentro la nuova arroventata polemica contro il Cavaliere anche la politica, definendo «ciarpame senza pudore» l’uso delle candidature di veline e letteronze che a suo avviso si sta facendo Berlusconi per le elezioni europee. E specifica, come a prendere le distanze nette dal premier: «Voglio che sia chiaro che io e i miei figli siamo vittime e non complici di questa situazione. Dobbiamo subirla e ci fa soffrire». Non basta, stavolta Veronica schiera nel nuovo attacco contro il marito-premier anche i figli. E a proposito della sortita di domenica sera di Berlusconi che puntualmente, si è presentato alla festa per i diciotto dell’ennesima show-girl, Noemi Letizia, una ragazza bionda e avvenente che chiama papi il presidente del Consiglio,Veronica dice «Che cosa ne penso? La cosa ha sorpreso molto anche me, anche perchè non è mai venuto a nessun diciottesimo dei suoi figli pur essendo stato invitato».

N

a crisi matrimoniale di Silvio Berlusconi ha un sapore tutto italiano. La presenza del marito alla festa dei diciotto anni di una ragazza in una discoteca di Napoli ha ulteriormente esasperata la First Lady Veronica Lario. Il presidente del consiglio “pur invitato” non è mai stato presente a una celebrazione per quel rito di passaggio dei loro tre figli. Dopo gli anni della contestazione, in cui tutti i riti tradizionali erano caduti in disgrazia, c’è stato da noi un grande riflusso. Per tutto ciò che riguarda quel figlio quasi sempre unico poi, non si bada a spese e ogni occasione è buona per coccolare questi fiori da serra che sono i nostri ragazzi.

L

Che succederebbe a un politico americano se scoppiasse una polemica simile? Se s’isola la questione dal suo contesto – la querelle di una coppia pubblica in crisi – bisogna dire che un’accusa del genere sarebbe una pallottola spuntata. Negli Stati Uniti i diciotto anni non sono un traguardo di particolare importanza famigliare: si diventa adulti, si può votare e si è liberi di decidere del proprio destino senza il consenso genitoriale. Ma a diciotto anni gli americani sono già molto più autonomi dei loro coetanei italiani. La patente si può prendere a sedici anni, e anche meno in campagna. Alla

maggior età i ragazzi hanno in mano il diploma, perché il liceo dura un anno di meno, e sono già partiti per il college dopo aver fatto un giro in Europa e/o Asia con zaino e sacco a pelo, da soli o con amici. L’università è spesso lontano, l’inizio di una separazione dai luoghi d’origine che caratterizza gli americani fin dalla nascita della nazione.

Diversa è la reazione se saltano fuori storie di rapporti extra matrimoniali di un politico. Fa più impressione negli Usa un personaggio pubblico che non conosca il nome dei medici, del dentista o dello psicoterapeuta che curano la propria prole. A Woody Allen è stato tolto l’affidamento dei figli non tanto per la sua storia clandestina con la figlia della compagna Mia Farrow, ma perché ignorava tutti i dettagli della vita - scuola, medici, passatempi - persino del figlio di sangue e del bambino adottato in proprio. Uomo di spettacolo o politico, la società americana esige almeno l’apparenza di dedizione alla famiglia e di fedeltà alla consorte, non tanto nelle ricorrenze ufficiali ma nella vita di tutti i giorni. Se un politico sposato fa il dongiovanni, o ha una famiglia clandestina come François Mitterand, non è considerato, come nelle culture latine più maschio degli altri, solo un tipo poco affidabile.

il giudizio già negativo su Berlusconi degli elettori di centrosinistra e di sinistra. Ma chi ha accettato il costume del premier e il Berlusconi style non si fa certo impressionare da queste cose». Insomma zero a zero e palla al centro. «D’altra parte – specifica Maurizio Pessato, della Swg – non sono questi i casi in cui un premier si gioca la fiducia politica. La gente è preoccupata della crisi economica, guarda all’efficienza del governo. La fiducia nel premier dopo la permanenza in Abruzzo colpito dal terremoto è ulteriormente salita». E sul fatto che stavolta Veronica tiri dentro anche i figli? «Nessuno è perfetto, risponderebbe la maggioranza degli italiani. E poi è pericoloso utilizzare politicamente questo argomento così privato: sa in questi casi a essere senza peccato sono pochi». Un non evento dunque: così lo definisce Nicola Piepoli: «È come un placebo, non aggiunge né toglie nulla. Anzi…». Anzi il premier, sostiene addirittura Piepoli, potrebbe guadagnare ulteriori consensi dal duello a distanza con la moglie indispettita: «La volta precedente è accaduto proprio questo: la gente si diverte ad assistere a questo fotoromanzo popolare, dove si agitano gli archetipi eterni della commedia umana, e dice che bello, anche i ricchi litigano». Piepoli, le cui rilevazioni in questi giorni danno il Pdl al 42% dei voti alle europee, concede però che in America Berlusconi avrebbe avuto grane serie per il suo atteggiamento: «Lì certe disinvolture non si perdonano a un personaggio pubblico, soprattutto questa cosa di non andare al compleanno dei figli. Da noi però i panni sporchi di famiglia non si lavano in pubblico e il privato è privato».

Il Paese sembra scontare tutto a Berlusconi: il nuovo capitolo della lite con Veronica non incrina la fiducia nel premier

Che cosa pensa Veronica Lario dunque è chiaro. Meno chiaro quello che pensano gli italiani di questo nuovo sipario famigliare di casa Berlusconi. Incide nel giudizio su Berlusconi questa sua disinvoltura esistenziale? Incidono, in negativo, in un Paese tradizionalmente mammista e familista, le accuse che gli muove la moglie caricandolo della responsabilità di dimenticarsi dei figli il giorno del loro compleanno ma non del compleanno di diciott’anni di una ragazza che è più giovane del più giovane dei suoi eredi? E questa storia delle veline in lista toglie credito alla sua politica e alla sua persona? Sorprenderà qualcuno ma tutti i sondaggisti interpellati da liberal – da Renato Mannheimer a Nicola Piepoli, da Maurizio Pessato a Luigi Crespi – rispondono in coro che a Berlusconi questa vicenda non sposta né un voto né uno zero virgola di percentuale di fiducia popolare. Una grana privata insomma che peraltro il premier liquida in fretta: «La signora – dice dalla Polonia – si fa influenzare dai giornali di sinistra». Un colpo a vuoto dunque quello di Veronica? «Non credo che sposti nulla degli equilibri del Paese – dice Renato Mannheimer – l’esito più probabile di questa storia è che verrà rafforzato

Il più dubitativo di tutti è Luigi Crespi. Non sulla percezione pubblica del rapporto coniugale tra Berlusconi e Veronica e nemmeno sull’attrazione reciproca che lega il Cavaliere alle veline – «Questi semmai sono elementi che acutizzano la mitologia vitalistica che circonfonde la figura di Berlusconi» – piuttosto sul nodo dei figli: «Ecco – dice Crespi – qui in un Paese come l’Italia è più dura. Per tutti un attacco come quello che ha fatto la Lario a Berlusconi sui figli costituirebbe un colpo all’immagine molto duro. Ma per lui potrebbe essere diverso. Berlusconi non risponde alle leggi della fisica. Per questo non escludo che questa vicenda gli porti anche un vantaggio.Vedremo nei sondaggi di lunedì a quanto è arrivato il suo indice di fiducia». Quello di questa settimana lo dà al 74%. «Quest’uomo ha sedotto l’immaginario collettivo del Paese, non solo quello maschile, persino quello femminile». Berlusconi è un fenomeno paranormale?


prima pagina

30 aprile 2009 • pagina 5

L’opinione di Karim Mezran, direttore del Centro Studi americani di Roma

«Da noi perderebbe il consenso» di Pierre Chiartano

ROMA. Abbiamo chiesto a Karim Mezran, direttore del prestigioso Centro studi americani di Roma, un’analisi su quanto contino i comportamenti degli uomini pubblici, dei politici, al di qua e al di là dell’Atlantico. Quale è la carta d’identità del politico americano, dal punto di vista dei comportamenti? Innanzitutto l’assoluta trasparenza della propria vita. Questa è già un grande differenza rispetto ai politici italiani. Il politico americano sa che, dal momento che entra in campo, ma anche prima, nella fase di preparazione alla carriera pubblica, tutto ciò che fa, dice e pensa non può essere privato. Qualche esempio? Si vede bene nella famiglia dei Kennedy. Anche Obama ha visto scrutinati i suoi rapporti con le donne, con la religione, con la moglie, anche nella parte più privata. Giova ricordare Bill Clinton, quando dovette ammettere di aver fumato «ma non inalato» uno spinello. Chi entra nella vita pubblica vie-

ne analizzato dal periodo del college all’ultimo giorno, e penalizzato quando viene preso in fallo. Importa la trasparenza di tutta la vita, compresa quella matrimoniale, personale. L’esatto contrario di ciò che si fa in Italia, dove, invece, tra sfera pubblica e privata vi è una cesura quasi completa. Sappiamo pochissimo della vita privata dei politici italiani. E quando scopriamo qualcosa, non fa una grande differenza... Esatto, poca differenza. L’etica statunitense mette al centro un’altra questione basilare: la menzogna. Tante volte è meglio ammettere una colpa, piuttosto che dire una bugia. In Italia spesso, tra i serio e il faceto, in ambiente politico, si dice che sia meglio negare, mai ammettere una colpa. Negare a tutti i costi. Negli Usa mentire è un fatto grave. Se Clinton avesse ammesso la famosa scappatella, nulla sarebbe successo. Invece il problema fu che aveva mentito. Caliamoci nella cronaca. Veronica Lario ha accusato il marito, il premier Berlusconi, di non aver partecipato alla festa dei diciott’anni dei fi-

«Se Michelle Obama avesse detto che il marito non segue i figli, l’opinione pubblica ne avrebbe tratto le sue conseguenze»

gli. Il cavaliere cita sempre l’America, come riferimento ed esempio, ma lì come sarebbe stato giudicato questo comportamento da genitore assenteista? Malissimo. C’è una mitologia da rispettare. Il presidente deve essere un perfetto marito e un padre esemplare, un vero condottiero e un generale senza macchia. Se Michelle Obama avesse detto che il marito è così preso dal lavoro da non potersi interessare dei figli, oppure che non sia andato a un compleanno di uno o alla prima comunione di un altro, ciò sarebbe stato percepito negativamente dall’opinione pubblica. È una costante nel tempo o ci sono segni di un affievolimento dell’etica? No, è costante. È un atteggiamento ancora presente. Basti pensare al senatore Tom Dashel. Nominato segretario di Stato alla Sanità e poi costretto a dimettersi, perché non aveva pagato i contributi alla colf. È mancanza di onestà, per cui non puoi fare il ministro. Loro ci tengono a queste cose. Possiamo considerarli naive, ingenui, ma è così. Lì, chi sbaglia, paga. Dunque dal filtro americano passerebbero pochi politici italiani? Quasi nessuno.

Il politologo Paolo Pombeni e lo storico Roberto Menotti dell’Aspen Institute

«No, il privato non è politico» di Gabriella Mecucci

ROMA. Se la moglie del presidente degli States trattasse pubblicamente il marito con la durezza di Veronica Berlusconi, se gli rimproverasse di trascurare i figli e di candidare alle elezioni le veline, se usasse termini come «ciarpame» per definire il comportamento del consorte, cosa succederebbe negli Stati Uniti?

Dall’alto: Woody Allen e Mia Farrow, poi Bill Clinton e Monica Lewinsky: le loro carriere pubbliche hanno subito colpi significativi in seguito alle loro disavventure private

Risponde Roberto Menotti, studioso degli Usa e delle reazioni interatlantiche dell’Aspen Insitute: «Esiste un pezzo importante della società americana culturalmente conservatrice che non lo potrebbe sopportare. È questa probabilmente la fetta maggioritaria dei cittadini: oscilla fra il 50 e il 55 per cento. Richiede alla “prime family” un “comportamento etico” e un atteggiamento riservato. Criticherebbe sia il comportamento di Silvio Berlusconi sia quello della moglie che ha messo in piazza una così delicata vicenda famigliare. Probabilmente chi la pensa così - come dicevo - è la maggioranza degli americani. La società però è divisa in due: esiste infatti un 45 per cento di cittadini antitradizionalisti e liberal che darebbero all’episodio un peso secondario. Del resto non bisogna dimenticare che furono molti, la maggio-

ranza, quelli che perdonarono Clinton per le sue intemperanze sessuali con una stagista della Casa Bianca. E anche quello non fu bel vedere».

Nella faccenda Berlusconi però non c’è solo uno scontro famigliare, ma c’è il fatto che le “veline” vengono promosse parlamentari europee per volontà del capo. «Gli americani – interviene Menotti – sono molto amanti delle novità e della promozione dei giovani. Da questo punto di vista la scelta – soprattutto se fosse una autocandidatura – potrebbe pagare. Se però la fa un partito, magari allo scopo – questo il sospetto – di catturare consensi attraverso l’uso della bellezza o del fascino giovanile, allora gli elettori ne potrebbero risultare infastiditi e punire chi si rende protagonista di questa operazione».

conosce «a sufficienza le reazioni di quella società per poter fare previsioni». Aggiunge che Veronica «non dovrebbe rendere pubblici e con tanto clamore i problemi interni alla sua famiglia».

Non è però un problema famigliare la candidatura delle veline alle elezioni europee? «È vero – interviene Pombeni – ma questo attiene al modo in cui i partiti italiani stanno facendo le liste per questa importantissima scadenza elettorale». E a dire il vero «non c’è nessuna forza politica che ci risparmi degli spettacoli poco esaltanti». «Tutti – secondo Pombeni – tendono a mandare a Strasburgo personaggi minori causando un gravissimo danno all’Italia. Occorrerebbe infatti farsi rappresentare da donne e uomini di grande qualità perché la dimensione europea della politica sta diventando sempre più importante. E perché dai rappresentanti che mandiamo dipende anche la credibilità del nostro Paese».

«La moglie del premier non dovrebbe diffondere, per di più con tanto clamore, i problemi interni alla sua famiglia»

Agli stessi quesiti risponde anche Paolo Pombeni, politologo. Ritiene che «sino a quando si tratta di vicende private, queste non hanno e non dovrebbero avere un gran peso sull’opinione pubblica». Quanto al comportamento degli americani non


diario

pagina 6 • 30 aprile 2009

Scuola privata, il governo rassicura L’autentica interpretazione della circolare sarà a brevissimo ufficializzata di Angela Rossi

ROMA. Da più parti è stata definita addirittura come roba da Soviet Supremo. A scatenare reazioni bollenti è stata una circolare dell’Agenzia delle Entrate che tra gli indicatori di potenziale evasione fiscale inserisce l’iscrizione di un figlio ad una scuola privata. La frequentazione di una scuola paritaria è stata quindi equiparata al possedere una barca da diporto o al frequentare qualche circolo super lussuoso. Prevenzione e contrasto all’evasione fiscale, è la circolare “incriminata”e datata 9 aprile che sta creando non pochi disagi in molte famiglie italiane nonostante le preannunciate ma ancora non ufficializzate rassicurazioni da parte del ministro dell’Economia Giulio Tremonti e dell’onorevole Giorgio Jannone, il quale cerca di placare gli animi e sottolinea come tutto si sia risolto grazie alla chiarezza fatta dal governo sull’autentica interpretazione del documento che sarà a brevissimo ufficializzata. Nella

circolare comunque, il fisco inserisce tra i beni cosiddetti di lusso anche l’iscrizione dei propri figli ad una scuola privata. Per la serie: chi spende di più nasconde evidentemente altri redditi oltre quelli ufficialmente dichiarati.

Cosa che ha spinto non pochi genitori a telefonare in maniera anonima all’Agenzia delle Entrate per chiedere: «Ma se iscrivo mio figlio a una struttura privata, poi mi controllate la dichiarazione dei redditi»? «Va sviluppato un attento esame di elementi di spesa e di investimento indicativi di capacità contributiva - si legge nel docu-

chiarito a quali scuole si riferisce la circolare dell’Agenzia. Ci si augura che queste indicazioni non intendano segnalare le scuole paritarie che, secondo la legge 62/2000, fanno parte del sistema nazionale pubblico di istruzione - sono le testuali parole di un comunicato unitario diffuso dalle nove associazioni - In questo caso quelli che sono dei diritti garantiti dalla Costituzione, la libertà di educazione e di scelta scolastica delle famiglie, verrebbero considerati come le spese per beni superflui mentre - sottolinea ancora il comunicato occorrono segnali positivi ed equi che rimettano in moto non solo l’economia, ma ancora di più la speranza: per questo bisogna favorire le famiglie e una pluralità di offerta formativa e scolastica». Un allarme che, dalla giornata di ieri, sembra rientrato in qualche modo ma che non ha eliminato tutta la scia di disagi e soprattutto di dubbi che tra molti genitori continua comunque ad essere presente.

Ma nonostante la precisazione, il documento continua a creare forti disagi e a destare serie preoccupazioni nelle famiglie italiane mento - Si raccomanda, altresì, di tenere in debita considerazione la profonda trasformazione sociale e i nuovi stili di vita che hanno ampliato lo scenario dei beni e dei servizi indicativi di elevata agiatezza». Cosa sottintende il concetto? Che una retta di qualche migliaio di euro all’anno che magari una famiglia racimola a botte di sacrifici per fornire ai propri figli un’occasione di studio e futuro, viene equiparato al possedere uno yacht ormeggiato a Montecarlo? La situazione ha provocato la decisa presa di posizione delle associazioni che raggruppano le scuole private: Agesc, Fidae, Agidae, Ciofs-Scuola, Cnos-Fap, Fism, Foe, Msc. Tutte sono pronte a scendere in campo contro la circolare dello scorso 9 aprile chiedendo che vengano forniti chiarimenti definitivi. «È necessario che venga

Nonostante le rassicurazioni del deputato del Pdl, Giorgio Jannone, presidente della commissione Enti previdenziali, che aveva anche preannunciato un’interrogazione parlamentare, iniziativa che non è poi andata avanti. «Allarme rientrato - rassicura Jannone - nessuna interrogazione e nessuna polemica. Ormai dopo il nostro intervento il governo ha fornito le dovute precisazioni sull’autentica interpretazione della circolare. Ci sarà una risposta ufficiale e quindi tutto tranquillo». Il deputato, di simpatie “tremontiane”, butta acqua sul fuoco e sottolinea ancora: «Nessuna polemica, l’interpretazione è chiara».

Il ministro dell’Interno vuol chiedere all’esecutivo di porre la fiducia sul provvedimento osteggiato anche dentro al Pdl

Maroni teme «mal di pancia» sulla sicurezza di Gaia Miani

ROMA. Oggi, il consiglio dei ministri dovrà decidere a proposito dell’eventualità di mettere la fiducia sul disegno di legge sulla sicurezza; o meglio su quel che ne rimane, dopo che nelle scorse settimane, a causa dell’ostilità anche di una parte della maggioranza, il provvedimento era stato “depurato” delle cosiddette ronde e della norma che avrebbe previsto il prolungamento del fermo per identificazione degli immigrati a sei mesi di tempo. Il nodo – come ha ammesso testualmente il ministro degli Interni Maroni – è che ci siano dei «mal di pancia all’interno del Pdl» lungo l’iter in corso alla Camera. Maroni ha ribadito – appunto – che oggi chiederà in Consiglio dei Ministri di valutare la possibilità di mettere la fiducia sul provvedimento per evitare che «venga svuotato di significato». «Ci sono timori - ha spiegato il ministro - che i mal di

pancia all’interno del Pdl si riflettano ancora una volta negativamente su un provvedimento coerente e orientato a combattere la criminalità». Questa notte, ha aggiunto, «alcune votazioni mi hanno confermato questa preoccupazione. Infatti, una norma fortemente voluta dal Ministero e dalle associazioni antiracket, che obbliga a segnalare i tentativi di estorsione da parte di chi ha commesse pubbliche, è stata emen-

La Camera discute del disegno di legge, dopo che sono state tolte le norme sulle ronde e sui tempi di identificazione degli immigrati data contro il parere del Ministero e svuotata di significato». Per Maroni «non si può andare avanti cosi». Il rischio, ha sottolineato, «è che si ripeta in Aula ciò che è accaduto sulla norma che prevedeva il prolungamento della permanenza nei Cie e che ci ha costretto a rimettere in libertà oltre mille

clandestini che ora sono liberi di girare per l’Italia come se nulla fosse».

Quanto all’opposizione di sinistra, la presidenza del gruppo del Pd della Camera dei deputati ha incontrato una rappresentanza delle associazioni (Cgil, Asgi, Fcei, Ugl, Emmaus Italia, Antigone, Uil, Cir, Libera, Terra di fuoco, Inca, Arci, Coordinamento donne contro il razzismo, Donne per la sinistra, Cantieri sociali, Acli) che ieri hanno manifestato davanti a Montecitorio contro l’approvazione delle norme in materia di immigrazione contenute nel ddl sicurezza. A Filippo Miraglia dell’Arci e Piero Soldini della Cgil, Antonello Soro, Marina Sereni e Gianclaudio Bressa hanno riconfermato l’impegno del Pd «contro leggi disumane e criminogene che anziché combattere, favoriscono l’immigrazione clandestina». Antonello Soro, poi, ha invitato tutte le associazioni a partecipare a un’assemblea sul tema che sarà organizzata dal Partito democratico per mercoledì 6 maggio.


diario

30 aprile 2009 • pagina 7

Ieri davanti a Mogadiscio l’assalto a una portacontainer

Secondo l’Istat, l’aumento in un anno è del 3,5%

Un’altra nave italiana sventa un attacco dei pirati

Marzo 2009: tornano a crescere gli stipendi

ROMA. Un mercantile portacontainer italiano, il Jolly Smeraldo, della genovese Compagnia Messina di navigazione, è sfuggito ieri a un attacco di pirati mentre si trovava 300 miglia a sud-est di Mogadiscio. È accaduto qualche minuto prima delle 15. Secondo quanto si è appreso, la nave è stata avvicinata da un barchino con sette persone a bordo, ma è riuscita a sventare l’attacco con delle manovre diversive. Nessun ferito tra le persone a bordo, anche se i banditi hanno sparato colpi d’arma da fuoco contro la nave. In tutto, i membri dell’equipaggio sono 24: 15 italiani, gli altri nove dell’est europeo.Tutti hanno potuto subito comunicare con le proprie famiglie e tranquillizzarle, come ha fatto sapere la compagnia. Il comandante è Domenico Scotto Di Perta di Procida, in provincia di Napoli. La Jolly Smeraldo, una portacontainer da circa tremila tonnellate, era partita ieri da Mombasa, in Kenya, ed è diretta a Jeddah, in Arabia Saudita, dove è attesa il 6 maggio prossimo. Il 15 maggio rientrerà a Genova.

ROMA. Le retribuzioni contrat-

Fiat-Chrysler, il giorno dell’accordo Oggi l’ufficialità. Il 55% andrebbe ai dipendenti di Alessandro D’Amato

ROMA. Sembra fatta, anche se manca ancora l’ufficialità. Che dovrebbe arrivare nel pomeriggio di oggi. Il matrimonio Fiat-Chrysler pare a un passo, anche se Marchionne ieri non ha escluso l’ipotesi bancarotta. A dichiararlo è stato il presidente del Canadian Auto Workers (Caw), Ken Lewenza, il quale, dopo una cena con il numero uno di Fiat, anche se dimostratosi “cauto”, avrebbe detto che «dovendo scommettere» in questo momento, punterebbe sul ricorso al Chapter 11 di Detroit. Scaramanzia o meno che sia, tutto sembra pronto affinché gli Agnelli possano prenotare il volo per gli Usa, e porre la loro firma sull’accordo che li porterà a creare un colosso di dimensioni notevoli, anche se non sono ancora quelle auspicate dall’ad. E anche il piano del lavoro essere sembra soddisfacente. L’intesa raggiunta con i sindacati della Chrysler limita notevolmente la possibilità di pressioni da parte dell’Uaw, che si è impegnato a non indire più scioperi almeno fino al 2015. La votazione sull’accordo, già presentato ai 28mila membri dell’organizzazione, è stata indetta da ieri fino a stasera sera, quando scade il termine fissato dall’Amministrazione Obama perché siano conclusi tutti gli accordi di ristrutturazione e possa essere così finalizzata l’alleanza. Fonti del sindacato hanno commentato che l’accordo «è molto duro, ma non riteniamo ci fosse altra scelta». E di certo costituirà un titolo di merito, per il Lingotto, essere riuscito nel limitare il potere delle Unions americane: nemmeno gli hedge funds c’erano riusciti. Nuovi limiti agli straordinari, taglio di alcuni giorni di vacanza e sospensione di alcuni aumenti legati al costo della vita: questi i sacrifici chiesti ai lavoratori, che avranno un impatto sugli operai al di là e al di qua della regione dei Grandi Laghi, che separa gli Usa dal Canada, ma non Chrysler. Dal punto di vista finanziario, lo schema riportato dalla stampa internazionale prevede che i nuovi soci di Chrysler siano per il 55% i suoi operai sindacalizzati, per il 35% siano gli italiani di Fiat e per il rimanen-

te 10% siano divisi fra il Dipartimento del Tesoro di Washington e i creditori. Ma una voce fuori dal coro è arrivata. «Il piano di salvataggio messo a punto dal governo per Chrysler attraverso l’unione con l’italiana Fiat potrebbe trasformarsi in un un grande bidone che potrebbe costare miliardi di dollari ai consumatori americani se fallisse», ha scritto ieri il New York Post, sottolineando come «Fiat, dipinta come salvatrice, hai i suoi problemi. L’amministrazione Obama ha cercato di salvare Chrysler per mesi, ma diversi analisti si sono interrogati sui meriti di una fusione con la casa italiana, che ha già problemi». Il Post ospita anche una dichiarazione dell’ad di Miller Mathis & Co, Robert Miller: «Ora che mettiamo insieme queste due società, significa forse che avremo un cieco che ne guida un altro? Non ci dimentichiamo che Chrysler a un certo punto si è unita a Daimler e tutti abbiamo visto come è andata a finire». Ma sembrano le ultime scaramucce prima della fine della trattativa.

Il 35% del capitale va agli italiani di Fiat e il rimanente 10%, diviso tra creditori e Dipartimento del Tesoro di Washington

Ma, anche se questo assalto è stato sventato, continua l’emergenza pirati nelle acque somale. La scorsa settimana, un’altra nave italiana - la Melody della compagnia Italiana Msc Crociere, con 991 passeggeri a bordo e 536 membri dell’equipaggio - è sfuggita a un’attacco di banditi: la sicurezza armata a bordo è intervenuta, rispondendo al fuoco degli assalitori. E ieri, il comandante del Jolly Smeraldo, per sfuggire agli assalitori, ha compiuto una manovra diversiva molto simile a quella della Msc Melody: ordinando «avanti tutta» alla sala macchine e facendo rollare lo scafo in modo da evitare l’arrembaggio con rampini. Il fallimento dei due attacchi sembra stia rendendo particolarmente nervosi i pirati somali: sono molti giorni, infatti, che non riescono a portare a termine un’azione.

tuali orarie a marzo sono cresciute dello 0,1% rispetto al mese precedente e del 3,5% rispetto a marzo 2008. Lo ha comunicato ieri l’Istat. Nello stesso mese l’inflazione si è attestata all’1,2% su base annua. L’incremento congiunturale dello 0,1% dell’indice orario delle retribuzioni contrattuali, ha rilevato l’Istituto di statistica, è il risultato di miglioramenti economici previsti in cinque contratti: servizio smaltimento rifiuti nelle aziende private e per le municipalizzate (si tratta di due accordi contrattuali differenti), radio e tv private, banche centrali ed enti pubblici non economici. A fine marzo, i contratti in vigore erano 56, per

Intanto, la Commissione europea ha autorizzato aiuti per investimenti a finalità regionale pari a 46 milioni di euro, che le autorità italiane intendono concedere a Fiat per un progetto di investimento volto a produrre un nuovo modello di automobile in Sicilia. Gli investimenti previsti dal progetto serviranno ad ampliare lo stabilimento Fiat di Termini Imerese, a modificare il processo di produzione e a diversificare la produzione. Gli investimenti dovrebbero permettere di salvaguardare i posti di lavoro esistenti nella regione. La Commissaria responsabile della concorrenza Neelie Kroes ha dichiarato: «In un momento così difficile è fondamentale salvaguardare i posti di lavoro esistenti, cosa che questo progetto di investimento farà in Sicilia senza distorcere indebitamente la concorrenza». L’aiuto pubblico di 46 milioni di euro è a fronte di un progetto di investimento che ammonta complessivamente a 319 milioni di euro. Questo permetterà a Fiat di produrre nello stabilimento di Termini Imerese una nuova vettura del marchio Lancia, che sostituirà l’attuale Lancia Ypsilon.

circa 10,7 milioni di dipendenti; in attesa di rinnovo, invece, 20 accordi per circa 2,4 milioni di lavoratori (il 20,4% del monte retributivo). Agricoltura e industria avevano una copertura totale, i servizi privati dell’81,4% e la pubblica amministrazione del 47,9%. L’incremento congiunturale dello 0,1%, sottolinea l’istituto di statistica, è legato ai miglioramenti economici previsti in cinque contratti (servizio smaltimento rifiuti di aziende municipalizzate e private, radiotelevisioni private, banche centrali ed enti pubblici non economici). Per quanto riguarda il confronto settoriale, a fronte di una variazione tendenziale media di +3,5%, gli incrementi maggiormente elevati interessano l’edilizia (6,7%), acqua e servizi di smaltimento rifiuti (5,9%), regioni e autonomie locali (5,5%), servizio sanitario nazionale (5,4%) e legno, carta e stampa (5,3%).

L’Istat ha rilevato infine un forte calo delle ore di sciopero registrate all’inizio dell’anno, partendo proprio da gennaio, mese in cui si è registrato un calo di circa il 92% rispetto al valore corrispondente del 2008. Secondo l’Istat, il 32% del totale è da imputare a licenziamenti e alla sospensione dei dipendenti.


società

pagina 8 • 30 aprile 2009

Migrazioni. Se la Sars ha rischiato di bloccare il boom cinese, la nuova febbre potrebbe far divorziare gli Usa dal Messico

Storia virale dell’umanità Tutte le volte in cui le epidemie sono state più forti della politica e dell’economia di Maurizio Stefanini segue dalla prima Qualche anno fa, si pensò che la Sars avrebbe potuto porre fine al boom cinese; mettere in crisi il regime comunista; forse esporre il mondo a un «inverno nucleare elettronico» per scarsità di hardware. La mucca pazza fu interpretata come un campanello d’allarme per la deregulation di derivazione thatcheriana. Il recente colera nello Zimbabwe ha costretto infine Robert Mugabe a condividere il potere con l’opposizione. E qualcuno spiega pure che è stato l’aids a porre termine al modello libertino che si era impo-

standolo ad Avignone. E lo Stato Pontificio si era così frapposto all’unità nazionale. Ma come aveva potuto, a sua volta, la Chiesa spodestare da Roma i Cesari, se non con l’aiuto della pasteurella pestis? Sarebbero state infatti le epidemie di peste del Basso Impero ad aprire la via alle invasioni barbariche.

Un’altra pestilenza, che infuriò nel Medioriente del VII secolo d.C., avrebbe infiacchito i due imperi rivali, bizantino e sasanide, rendendoli incapaci di reagire all’invasione araba. Esploso grazie alla peste, però, l’Islam implode a partire dal

Da anni si studia l’incidenza delle pandemie sulle trasformazioni: il colera scoppiato nel primo Ottocento a Budapest, Praga e Zagabria avrebbe innescato la caduta dell’Impero austro-ungarico sto nel ’68. Esagerazioni? Indubbiamente, è un po’ una tendenza dei media di oggi quello di esasperare la minima tendenza di breve periodo, per farla assurgere a svolta epocale. Però, sull’ipotesi che virus e batteri possano influenzare la storia è da almeno una trentina d’anni che vari storici stanno lavorando seriamente. Per dirne una: sarebbero state le epidemie di colera del primo Ottocento a innescare la caduta dell’Impero austro-ungarico. La rapida decimazione della borghesia di lingua tedesca in città come Budapest, Praga o Zagabria non avrebbe infatti dato il tempo al sistema scolastico di formare in tempi adeguati “ricambi germanofoni” tra i figli dei contadini acculturati, dando così spazio a un nuovo ceto medio di lingua magiara, ceca e croata, sensibile alle sirene dei nuovi nazionalismi. L’Impero, indebolito dal vibrione del colera, non poté ostacolare il Risorgimento, a sua volta “ritardato” per secoli dal plasmodio della malaria. Era stato infatti l’effetto micidiale delle punture di anofele sui non italiani a convincere i Sacri Collegi dei Cardinali a riservare il soglio pontificio ai soli nativi della penisola, dopo il fallimento del tentativo di una “leva” di papi francesi di allontanare il papato dalle paludi pontine spo-

XVIII secolo, in coincidenza sospetta col momento in cui i neoconvertiti bengalesi iniziano a portare in pellegrinaggio alla Mecca i vibrioni colerici endemici nel delta del Gange. Visto che l’allarme odierno viene dal Messico, forse è a questo punto opportuno ricordare come il punto di partenza di questo nuovo filone di studi sia proprio nella nozione di “genocidio preterintenzionale” coniata per la demografia americana post1492. In particolare, è stata la “Scuola di Berkeley” a elaborare proiezioni secondo cui gli indigeni amerindi sarebbero passati dai 90-112 milioni del 1492 ai 4,5 milioni a metà del XVII secolo: un massacro superiore sia ai 50 milioni di vittime provocate dalla pandemia di febbre spagnola del 1918, sia ai 30 milioni di morti della peste nera del XIV secolo, anche se mentre i cadaveri della spagnola si ammucchiarono in soli quattro mesi e quelli della peste nera in quattro anni il “genocidio preterintenzionale” si spalmò invece nell’arco di due secoli.

La scuola di Berkeley è contestata dalla scuola minimalista che fa capo ad Angel Rosenblat, secondo la quale il decremento demografico sarebbe stato minore: da 13,3 milioni del 1492 a 10 milioni nel 1650.

Ma anche questa seconda ipotesi ci descrive uno scenario apocalittico, non spiegabile solo con quella ferocia dei Conquistadores contro cui Bartolomé de Las Casas scrisse pagine veementi. E non perché la violenza non fosse presente, ma perché non era qualitativamente peggiore di quella utilizzata nello stesso periodo dagli ottomani nei Balcani o dagli spagnoli durante il Sacco di Roma, per non parlare dei metodi di guerra che, nella stessa Mesoamerica, avevano avuto gli Aztechi. Ma anche la spagnola seguì la Prima guerra mondiale, e la peste nera fu un effetto “collaterale” delle invasioni mongole. Più che degli eventi bellici, le grandi pandemie vanno considerate conseguenza dei movimenti di globalizzazione, nei quali i soldati in marcia sono per virus e batteri veicoli efficaci quanto e più di commercianti e turisti. Se la peste nera colpì l’Europa con la stessa violenza con cui il “genocidio preterintenzionale”avrebbe colpito di lì a un secolo e mezzo l’America, però, l’impatto psicologico fu ben diverso. Concentrando ingenti fortune nelle mani dei sopravvissuti, distruggendo antiche caste chiuse, migliorando il rapporto tra popolazione e risorse, annientando la vecchia mafia intellet-

tuale che aveva mantenuto il latino come strumento di esclusione delle masse dalla cultura, il massacro di metà della popolazione europea, più che annichilire il Continente, valse invece a rimuovere le remore che lo tenevano ancora chiuso in se stesso, dando il via al vorticoso moto di progresso che avrebbe posto fine al Medio Evo e dato inizio all’Età moderna. Al contrario, le culture precolombiane furono traumatizzate per sempre da quello sterminio.

Le malattie, dunque, possono modificare la storia, ma non sono indifferenti al contesto culturale in cui operano. Col loro

senso – anche abnorme – di un peccato originale che Dio poteva periodicamente punire a colpi di catastrofi, gli europei del Medio Evo avevano comunque le risorse psicologiche per farsene una ragione e ricominciare da capo. Per i precolombiani, invece, il “silenzio degli dei” di fronte alle preghiere dei fedeli era una spinta ulteriore a rinunciare alla vita, o per lo meno alla propria cultura ancestrale, favorendo l’accettazione del nuovo Dio portato dai cristiani. Su questo peculiare punto di vista dei “vinti” hanno insistito in particolare gli studi di Nathan Wachtel a proposito del Perù e quelli di Tzvetan Todorov a pro-

Prima vittima negli Stati Uniti. In Italia sono venti i contagiati sospetti

Anche Obama lancia l’allarme di Andrea Ottieri segue dalla prima Sul caso della donna ricoverata a Napoli, dunque, si sono concentrati i timori delle autorità. Ma non solo di quelle mediche, tanto è vero che poco dopo il sottosegretario al welfare Ferruccio Fazio ha dichiarato: «Ci aspettiamo a breve i primi casi di influenza suina in Italia. Abbiamo infatti molti turisti rientrati dall’estero e molti casi sospetti. Dunque è verosimile pensare che nelle prossime ore, o nei prossimi giorni, ci sia qualche caso in Italia». Per maggior chiarezza, il sottosegretario ha spiegato che «In Italia non c’è nessun caso di influenza della tipologia che si è diffusa in Messico. In Italia ci so-

no venti casi sospetti, ma nessuno è confermato». La nuova febbre, per altro, secondo Fazio è «ex suina, perché si trasmette ora da uomo a uomo. Il primo contagio è avvenuto da maiale ma quelli malati sono in Messico, non qui. Quella che ci preoccupa è l’influenza che si sta trasmettendo da uomo a uomo».

Inoltre, «da domani - oggi, ndr - avremo presso l’Istituto superiore di sanità un sistema più automatizzato e accurato per fare i sequenziamenti, ovvero per verificare se un caso è o no di nuova influenza». Con gli assessori regionali, ha conclulso Fazio, «metteremo a punto delle metodologie di raccordo tra il piano pandemico


società

30 aprile 2009 • pagina 9

civiltà, dunque, corre lungo uno stretto sentiero, in bilico tra i condizionamenti socioeconomici che determinano il parassitismo macro e i condizionamenti climatici che determinano il parassitismo micro. Un esempio dal libro: in India, gli invasori ariani lasciarono il Sud agli aborigeni dravida proprio perché il clima di quell’area era troppo caldo per il loro sistema immunitario. Ma il loro macroparassitismo ha comunque creato una pressione tale sulle risorse che la cultura locale ha dovuto inventare le pratiche ascetiche dei fachiri e dei santoni, come incentivo spirituale per un’ampia fascia della popolazione, che rinuncia così a pesare sui circuiti del consumo.

Le grandi pandemie vanno considerate conseguenza dei movimenti di globalizzazione, nei quali i soldati in marcia sono per virus e batteri veicoli efficaci quanto e più di commercianti e turisti posito del Messico. Ma per chi riesce a trovarli in biblioteca, ci sono in particolare due volumi da leggere: quello dei francesi Jacques Ruffi e Jean-Charles Sormia, pubblicato in italiano col titolo Le epidemie nella storia dell’uomo, e, ancor di più, La peste nella storia. Epidemie, morbi e contagio dall’antichità all’età contemporanea, dell’americano William H. McNeill. Partito dall’analisi del caso del

Messico dopo la Conquista, McNeill è arrivato a costruire un’originale griglia interpretativa che affianca il microparassitismo degli agenti patogeni al macroparassitismo delle élite dominanti. Sia i parassiti micro che i macro, argomenta, hanno interesse a spremere risorse dalle loro vittime. Ma quando esagerano e le uccidono finiscono per soccombere a loro volta, per mancanza di cibo. La

nazionale e quelli locali». Il ministero della Sanità di Vienna ha riferito che una donna di 28 anni è risultata positiva ai test per il virus H1N1 al rientro da un viaggio in Guatemala, in cui aveva fatto scalo in Messico. La Germania ha reso noto di aver accertato tre casi, due donne (di 22 e 37 anni) e un uomo di quasi quaranta. Cresce l’allarme in Spagna, con due nuovi casi confermati di influenza dei suini che portano il totale a quattro. Il ministero della Sanità di Madrid ha anche annunciato che il numero di casi sospetti e’ salito da 32 a 59.Tutti i casi sospetti e accertati in Spagna riguardano persone che erano state recentemente in Messico. Altri tre casi sono stati confermati in Gran Bretagna. Lo ha annunciato il premier Gordon Brown che ha specificato che gli episodi sono a Londra, Birmingham e Torbay. Tra i contagiati c’è anche una ragazzina di 12 anni. La scuola che frequenta è stata chiusa per precauzione. Per altro, lo stesso Barack Obama ha proposto la medesima soluzione per affrontare il caso del bimbo di 23 mesi morto in Texas: il presidente ha detto

Il culmine per questi studi è stato il celebre Guns, germs and steel, scritto nel 1997 dall’americano Jared Diamond (in italiano, Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni, Einaudi). Perché è stata la civiltà “europea”a conquistare il mondo, si chiede Diamond? Non certo per «naturale superiorità della razza bianca», ma perché, di tutte le aree adatte allo sviluppo dell’agricoltura, nessuna presentava una simile varietà di piante idonee all’alimentazione – in un clima temperato e in una zona vasta – come quella del Mediterraneo. Il Mare Nostrum dei romani, inoltre, a cavallo fra tre continenti, aveva una posizione strategica particolarmente adatta a favorire scambi di idee e conoscenze. Si aggiunga che, dei quattordici grandi mammiferi addomesticati, ben tredici sono originari dell’Eurasia o del Nord Africa, mentre le specie provenienti dall’Africa sub-sahariana rifiutano la cattività. Fu dunque l’allevamento, con l’assuefazione ai virus degli animali domestici, a dare all’uomo occidentale un vantaggio decisivo non solo dal punto di vista tecnologico ed economico, ma anche immunitario.

che sarebbe opportuno chiudere la scuola. La Francia, invece, chiederà all’Unione europea di vietare i voli verso il Messico per proteggere i viaggiatori dall’epidemia. Ma le autorità messicane hanno rivisto drasticamente a sette il bilancio delle vittime del virus che fino a poco prima era stato fissato a 20. È invece aumentato il numero delle morti ”probabilmente” causate dall’influenza: 159 decessi, sette in più rispetto alla valutazione fatta in precedenza.

In totale 1.311 persone sono in ospedale dopo aver manifestato i sintomi della malattia. Ieri, proprio l’Organizzazione mondiale della sanità aveva chiarito la questione che stava allarmando tutto il mondo: dei centocinquanta morti dichiarati dalle autorità messicane, infatti, l’Oms ne ha confermati solo sette. Queste, dunque, sarebbero le sole morti attribuibili al nuovo virus: per tutte le altre si aspettano conferme mediche più attendibili. Quindi per il momento sono classificate come morti «probabili».

Al centro della pagina, un quadro sulla peste di Firenze (1348). Dall’alto: la peste di Atene (430 a.C.) vista dal pittore Nicolas Poussin; un ospedale da campo allestito durante l’influenza spagnola (1918); medici pronti a intervenire contro l’epidemia della Sars (2003); tre immagini di febbre suina: una mappa mondiale del contagio, un clochard con la mascherina e un centro di ricerca in Svezia


panorama

pagina 10 • 30 aprile 2009

Premi. Dal Senato via libera al federalismo, ma ora pesa il sì del premier sul referendum

La guerra fredda tra Silvio e il Senatùr di Errico Novi segue dalla prima Non è uno strappo immediato, ma certo c’è il tentativo di interrompere una prima fase della legislatura scandita quasi esclusivamente dalle richieste di Bossi, se non fosse per le emergenze dei rifiuti e del terremoto che hanno impegnato Berlusconi in prima linea. Non è un caso che l’endorsement referendario del presidente del Consiglio sia arrivato alla vigilia del voto sul federalismo a Palazzo Madama. La conquista realizzata ieri sera dal Carroccio rischia di suonare come l’ultimo valzer tra Silvio e il Senatùr. Adesso infatti la strada verso il raggiungimento del quorum, per Guzzetta e Segni, diventa almeno praticabile, per quanto comunque impervia. Il governo non si impegnerà direttamente nella campagna elettorale: farlo d’altronde sarebbe impossibile, giacché

implicherebbe l’istantanea fuoruscita dei ministri lumbard dall’Esecutivo. Ora però saranno legittimati a spendersi in prima persona tutti coloro che nel Pdl hanno dovuto quasi nascondere la loro simpatia per la consultazione.

Si mobiliterà la ex An, e non a caso uno dei primi a difendere ieri la scelta del premier è stato Italo Bocchino, che due anni

chiedersi se e con quale spirito si consumeranno altre cene del lunedì ad Arcore. D’altronde è chiara ormai l’insofferenza di Berlusconi per un Carroccio debordante rispetto all’agenda politica della maggioranza – anche per l’atteggiamento spesso inerte del Pdl.

Ieri è arrivato il sì a un federalismo nebuloso, virtuale, che a questo punto rischia di tenere Bossi attaccato a stento al patto di legislatura. I padani non hanno rinunciato alle ronde, hanno negoziato sì sui tempi di permanenza nei Cie ma s’illudono di riproporre la norma sui medicispia nel primo ddl utile. È un pressing che il Cavaliere sopporta sempre più malvolentieri: da qui nasce la forzatura su un referendum che concederebbe al suo partito il 55 per cento dei seggi anche con quel 40 per cento di consensi attestato oggi dai sondaggi. Un sistema elettorale sul quale Maroni si aspetta un atteggiamento cauto da parte del Pd: «Dopo le parole di Berlusconi, Franceschini forse capirà quanto sia masochista la sua linea». Il ministro spera di «evitare il danno prima che avvenga, perché se avviene, poi tanti saluti…». Ma oggi nessuno, nemmeno la Lega bisognosa di tenere desta l’illusione del federalismo, può trattenere Berlusconi dallo strappo ultra-maggioritario.

«Siamo preoccupati, sui quesiti elettorali proveremo a far cambiare idea al presidente del Consiglio», dice Maroni. Sempre più in crisi l’asse del Nord

IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio

fa curò personalmente la raccolta di quasi 200mila firme attraverso le federazioni sparse per l’Italia. Via della Scrofa finanziò il comitato promotore con 150mila euro, che il curatore del disciolto partito, il finiano doc Donato Lamorte, potrà recuperare solo se il fatidico quorum sarà raggiunto. C’è da aspettarsi dunque un’attenzione forte da parte di ampi settori del Pdl verso il voto sui quesiti elettorali del 21 giugno: sommata a eventuali nuovi “spot” di Berlusconi, la mobilitazione potrebbe anche produrre una clamorosa vittoria del sì. Nulla sembra poter essere più come prima, dunque, tra la Lega e l’alleato. Lo lascia intendere Roberto Maroni quando si dice «preoccupato» per la posizione assunta dal premier e avverte: «Proveremo a fargliela cambiare». C’è da

Il profilo del giornalista attraverso il suo nuovo libro «Europa Cristiana Libera»

Allam, anatomia di un candidato serio criveva ieri su queste pagine Errico Novi: «Magdi Cristiano Allam è un candidato serio». La sua serietà la conoscete perché avrete letto le sue inchieste, i suoi articoli, lo avrete sentito parlare in televisione, sempre con argomenti validi e informazioni certe, non per sentito dire come accade nella stragrande maggioranza dei casi, e forse avrete letto anche i suoi libri tra i quali voglio ricordare qui quello intitolato Io amo l’Italia. Ma gli italiani la amano? Ora sempre per Mondadori è uscito un altro titolo di Magdi: Europa Cristiana Libera. L’ex vicedirettore ad personam del Corriere della Sera sa di cosa parla e per cosa lavora e vive. Ma, scusate, cosa significa «vicedirettore ad personam»? Non è una cosetta secondaria. Anzi, vi fa capire in cosa consista la serietà del candidato Udc e del presidente dei Protagonisti Per l’Europa Cristiana.

S

Gli ultimi libri di Magdi Cristiano Allam, già prima della sua conversione al cristianesimo, parlano anche e soprattutto della sua vita, ma non semplicemente della sua persona. Parlano di ciò che fa, che pensa, di ciò per cui lotta e lavora e conosce e prova a far conosce-

re anche agli altri. Prendono le mosse da casi e avvenimenti reali della sua vita. Anche questo è così: inizia dalla stanza del direttore del giornale di via Solferino che all’epoca, 12 gennaio 2009, era diretto ancora da Paolo Mieli. L’appuntamento era per le 12,30 e il vicedirettore Allam è puntuale: arriva cinque minuti prima e non dopo. È emozionato e un po’ agitato, forse anche un po’ triste, ma è convinto della sua decisione: lasciare non solo il Corriere, ma anche la sua importante e brillante carriera giornalistica che ha costruito in oltre trent’anni di passione, lavoro e percorso spirituale. Scrive: «Se pensate che sono arrivato in Italia da studente immigrato nel 1972, con i soli effetti personali e una borsa di studio offertami dal governo italiano, e che sono riuscito a diventare vicediret-

tore del primo quotidiano d’Italia, che cosa ci si può attendere di più?». Già, che cosa? Ma cosa significa «ad personam»? Significa che sei vicedirettore ma non lo fai, ne hai la qualifica e lo stipendio, ma non ne svolgi le mansioni pratiche e ti puoi dedicare alla scrittura, ai tuoi interessi, ai temi che da sempre coltivi e poi ti lascia tanto tempo libero che puoi utilizzare per leggere, approfondire, conoscere, scrivere libri, andare in televisione, parlare discutere e, insomma, fare il giornalista come testimone del tuo tempo. Ecco perché di Magdi Cristiano Allam ci si può fidare, ecco perché è una persona seria. Quella mattina al primo piano del palazzo del Corriere della Sera lui sta per dire addio a questo tipo di vita che non solo è bel-

la e interessante, ma anche comoda e sicura per il presente e soprattutto per il futuro per te e la tua famiglia: stipendio, soldi, pensione dorata. Ma tutto questo sta per finire. Si cambia vita.

Arriva Mieli. È come suo solito gentile, “affettuoso” dice Magdi. E gli si può credere. Sono stato anche io in quella stanza, accolto con cortesia e affetto da Mieli in un giorno particolare: 9 marzo 2006, il giorno in cui lui firmò un editoriale in cui in sostanza per il voto di aprile schierava il Corriere della Sera dalla parte di Romano Prodi: un fatto senza precedenti. Ma in quella occasione il direttore era calmo, razionale, gentile. «Caro Paolo - gli dice Magdi, si conoscono da trent’anni - ho imparato dalla vita che i fatti vanno accettati come si presentano, individuando in essi il segno della Divina Provvidenza. Anche le tensioni che ci sono state fra noi le considero come un segno da valutare positivamente. Evidentemente il Signore ha scelto per me una strada diversa. Da sempre coltino la passione per la politica e probabilmente è arrivato il momento di fare questa esperienza, che accolgo a braccia aperte come una missione di vita». Un candidato serio.


panorama

30 aprile 2009 • pagina 11

Riflessioni. Il terremoto dell’Aquila invita a rileggere il grande poeta e le «magnifiche sorti e progressive»

La protezione civile secondo Leopardi di Franco Ricordi el dibattito che si è aperto in relazione al rapporto fra politica e calamità naturali, crediamo sia molto importante rileggere il nostro più grande poeta moderno, Giacomo Leopardi, che perviene nel suo capolavoro ultimo La Ginestra, o il fiore del deserto, alla propria maturità etica, civile e filosofica. La stessa politica sembra affrontata da Leopardi proprio sulla più radicale comprensione di colei che dei mortali è «madre di parto e di voler matrigna», la Natura, la vera nemica dell’uomo.

sato, proprio in un celebre inciso de La Ginestra, quelle «magnifiche sorti e progressive» che assurgono a emblema di una fatua e illusa fiducia nelle allora, come oggi, decantate promesse della società. Così non si può dire che il messaggio civile di Leopardi sia di sinistra, come ha proposto anche Nino Borsellino ne Il socialismo della Ginestra, ma tanto meno di destra o di altre posizioni politiche.

N

Il poeta, di fronte alla memoria della catastrofe pompeiana del 79 d.C., risolve la propria filosofia asserendo come, al di là delle lotte interne ai partiti e alle correnti ideologiche, l’uomo deve affrontare di petto la propria umile situazione, tenendo per ferma la consapevolezza di essere comunque un granello di sabbia, una vera e propria formica, di cui la Natura si può far gioco a proprio piacimento. Così compito civile è quello di fare un vero e proprio fronte comune, senza remore interne, per fronteggiare in maniera per lo

Il suo messaggio è attuale anche perché non vuole fondare una ideologia, ma sottopone la politica alla contemplazione metafisica meno nobile e non indegna la forza superiore della Natura. Che si tratti di un terremoto, o di una eruzione vulcanica, l’uomo è tenuto a non credere in alcuna superstizione teologica né ad acquisire una fede tecnologica: l’uomo è e rimane una entità inferiore, ma questo non significa che non possa emanciparsi dal-

le «superbe fole» del teismo o dal mendace progressismo tecnologico. Così la proposta politica di Leopardi è stata interpretata, nella famosa «svolta del ‘47» ad opera di Walter Binni e Cesare Luporini, all’interno di una ragione progressiva di cui il recanatese si sarebbe fatto alfiere. In realtà Leopardi ha avver-

La fase finale della poesia e del pensiero leopardiano è stata analizzata sempre un po’ tendenziosamente, senza notare come in realtà il poeta intuisca proprio il rischio di quella che, comunemente, siamo portati a definire partitocrazia.Tuttavia è proprio di fronte alle grandi catastrofi naturali che l’uomo intuisce la quintessenza della propria ragione politica e civile. La “poesia civile”di Leopardi non è certo assimilabile a quella che oggi si chiama poesia, letteratura, tanto meno teatro civile, sempre e dichiaratamente schierati: al contrario essa nasce proprio nel momento in cui ci si avvede che il peggiore di tutti i mali è proprio quello di una mancanza di solidarietà nei

momenti del bisogno, causati in modo particolare dalle divergenze ideologiche. Soltanto unendo gli uomini «tutti fra sé confederati e con vero amor», soltanto evitando i dissidi interni si potrà affrontare «Colei che veramente è rea», la Natura. Il messaggio di Leopardi è più che mai attuale, anche perché non vuole fondare una ideologia, ma al contrario sottopone proprio le stesse possibilità dell’azione politica umana al di sotto della contemplazione metafisica che interessa tutta la seconda parte della poesia, con la conclusione tragica per la quale l’uomo tende comunque ad arrogarsi un vanto di eternità, laddove la Natura lo distrugge e risulta assolutamente ignara di lui. In tal senso crediamo che Leopardi si possa definire come il più grande maitre à penser del moderatismo: non perché ci spinga o ci prescriva un pensiero moderato, ma proprio perché rinuncia alla ricerca ideologica per approfondire il senso pragmatico del fare politico in particolare di fronte «agli alterni perigli e alle angosce della guerra comune»; in altre parole nei confronti di quella che oggi risulta essere il compito della protezione civile.

Elezioni. Il vertice del Pd più che le Europee, teme di perdere molte amministrazioni locali

Franceschini e l’incubo del cappotto di Antonio Funiciello el Pd si comincia a parlare di emergenza provinciali. Preso atto che al Nazareno tutti si aspettano un risultato elettorale alle Europee che attesti il partito poco sopra il 25%, l’attenzione si sposta così sul rinnovo delle tante amministrazioni provinciali. Il 6 e 7 giugno la metà delle province italiane va, infatti, al voto, con un netto vantaggio iniziale del centrosinistra sul centrodestra. Sono tutte giunte consolidatesi nel turno elettorale del 2004, col secondo esecutivo Berlusconi in carica e in piena crisi di consensi; di lì a pochi mesi sarebbe anche arrivata la debacle delle Regionali del 2005. Il bilancino delle province perse e di quelle conservate sarà di certo determinante per verificare la tenuta complessiva del Pd, date per irrimediabilmente perse le europee. A meno di una sconfitta ancora più drammatica che potrebbe venire al centrosinistra da amministrazioni comunali simbolo, come Firenze o Bologna.

N

Reggio Emilia con spaccature profonde nel partito locale, nelle regioni rosse il Pd dovrebbe riuscire a non subire cambi di fronte. Eppure è considerata assai probabile è la perdita di molte amministrazioni provinciali del Sud, in coerenza col pessimo risultato conseguito dal Pd alle politiche dello scorso anno. Lo scontro vero si sposta allora nel Nord. Le province settentrionali al rinnovo

faticosa del previsto, avvenne in virtù del mancato accordo tra Berlusconi e Bossi, come nei casi di Padova,Verona, Bergamo, Brescia, Pordenone. Stavolta la musica è un’altra, col centrodestra unito e molto più competitivo e un ribaltamento delle posizioni che potrebbe trasformare quel 13 a 7 per il centrosinistra in uno spaventoso 21 a 5 per il centrodestra. Cosa che crea più di un problema al partito di Franceschini. I quattro anni di opposizione al governo nazionale che restano al Pd potrebbero più proficuamente essere interpretati se, come in passato, i democratici potessero contare sulla grande maggioranza delle amministrazioni locali. Una sconfitta sonora alle provinciali di quest’anno, unita ad un’altra alle regionali del prossimo, complicherebbe forse fatalmente il cammino del Pd per tornare concorrenziale a livello nazionale per le politiche del 2013. Una prospettiva di medio-lungo periodo a dir poco fosca.

Bologna e Firenze sono due roccaforti a rischio. Ma in tutto il nord i democratici sanno di essere destinati a perdere molti comuni e province

La partita delle elezioni provinciali il Pd se la gioca tutta al Nord. Si dà per scontato che il centrosinistra riesca a difendere le province emiliane, romagnole, toscane e umbre. Pur con qualche difficoltà, vedi il caso di

sono venti - più la neo costituita Monza, che per la prima volta elegge un presidente e un consiglio provinciale. Il risultato di partenza è 13 a 7 per il centrosinistra.Tale esito fu prodotto dalla stessa condizione che permise a Prodi di battere Berlusconi nel 1996: la Lega andava da sola al primo turno contro Forza Italia e Alleanza Nazionale. In 8 delle tredici province conquistate, il centrosinistra avrebbe perso le elezioni se il fronte del centrodestra fosse andato compatto.

Anche dove ci fu la vittoria del centrodestra, ancorché solo al secondo turno e più


il paginone

pagina 12 • 30 aprile 2009

Dalla Resistenza al petrolio; dal potere al Palazzo: arriva la fiction

Il ritorno di E

di M

A sinistra, una foto di Enrico Mattei. Nella pagina a fianco, De Gasperi con alle spalle il fondatore dell’Eni al raduno di Cuneo dei partigiani cristiani (1951). In basso, Massimo Ghini veste i panni di Enrico Mattei nella fiction di RaiUno

l 27 ottobre 1962 un piccolo aereo, un bireattore di proprietà dell’Eni, precipitò – per cause mai completamente accertate – in un campo in località Bascapè, una frazione del comune di Landriano, a poco più di dieci chilometri dall’aeroporto di Linate. A bordo, oltre al pilota Irnerio Bertuzzi, c’erano un giornalista inglese, William Mc Hale, e il presidente dell’Eni, Enrico Mattei. Le condizioni atmosferiche erano pessime, ma forse non tali da giustificare l’incidente. L’aereo era decollato da Catania alle ore 16,57. L’ultimo contatto radio con l’aeroporto di Linate, avvenne alle ore 18,57. Quasi subito si formò

I

1997, un Pubblico Ministero di Pavia giunse alla conclusione che l’aereo fosse stato abbattuto da una «limitata carica esplosiva, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello».

Un attentato, dunque. Ma – a distanza di mezzo secolo – i magistrati che hanno cercato di ricostruire la verità non sono stati più in grado di scoprire gli autori materiali del crimine, limitandosi a formulare ipotesi (opinabili, come tutte le ipotesi) sui presunti mandanti. Sosteneva di aver capito tutto Pier Paolo Pasolini (nel suo romanzo postumo, Petrolio) che indicò in Euge-

A partire dal 1953, alla guida dell’Eni rivoluzionò completamente la politica energetica italiana spostando l’attenzione del mondo sui produttori arabi, contro le Sette Sorelle americane il sospetto che l’aereo fosse stato sabotato. Di lì a pochi giorni – il 6 novembre – Mattei si sarebbe dovuto recare in Algeria per firmare un accordo, giudicato molto scomodo per le “Sette sorelle”, le principali società petrolifere mondiali, con le quali l’Eni si era messa da tempo in concorrenza. La Procura di Pavia aprì un’inchiesta per i reati di omicidio pluriaggravato e disastro aviatorio. Tre anni e mezzo più tardi, l’indagine si chiuse con una sentenza di non luogo a procedere “perché i fatti non sussistono”. Il caso fu riaperto nel 1970 in seguito alla scomparsa di un giornalista siciliano, Mauro De Mauro, che stava svolgendo indagini approfondite sul disastro aereo e le sue possibili cause. Nel

nio Cefis (successore di Mattei alla guida dell’Eni) il mandante dell’attentato. Ma un anno prima di morire (il 14 novembre 1974) in un articolo sul Corriere della Sera (che provocò grandissimo scalpore) Pasolini rivelò la fonte di tutte le sue certezze nelle materie delicatissime degli attentati e delle stragi dei quali sosteneva di conoscere gli autori: «Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, d’immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace».

Oggi la figura di Mattei (e, di conseguenza, anche le cause eventuali e indirette della sua morte) è materia di dibattito (e di ricerche) fra gli storici. Ma è ancora un personaggio attuale, per il coraggio (e la spregiudicatezza) che accompagnarono la sua vita; per la indiscutibile capacità imprenditoriale, per la passione politica e per l’amore per il potere. Quarant’anni fa, Indro Montanelli ne descrisse la personalità complessa in poche righe, come sapeva fare soltanto lui. Scrisse che, alla fine della guerra (di cui era stato un protagonista, come capo partigiano), Mattei non aveva deciso se dedicarsi alla politica o agli affari. «Per gli affari, gli mancava il maggiore propellente: la sete di denaro. Mattei

era più ricco prima di creare la sua azienda che durante e dopo. Egli amava solo il potere, e l’amore del potere esclude tutti gli altri. Ma probabilmente si era già accorto che la politica in Italia non conduce al potere. Conduce solo alla politica, perla quale a lui mancavano non solo le qualità, ma anche i difetti che contano ancora di più: era un pessimo oratore e credeva in ciò che faceva con una convinzione e ostinazione che lo rendevano inaccessibile a quell’arte del compromesso di cui la politica ormai non fa più il mezzo, ma il fine. Tuttavia la sua scelta fu solo di strumento, non di obiettivo. Preferì il petrolio al parlamento perché pensò che fosse più facile dominare il parlamento col petrolio che il petrolio con il parlamento».


il paginone

30 aprile 2009 • pagina 13

n che affronta una delle figure più paradigmatiche del nostro Novecento

Enrico Mattei

Massimo Tosti

Carlo Maria Lomartire, che ha dedicato a Mattei una corposa biografia (Storia dell’italiano che sfidò i signori del petrolio) ricorda una celebre battuta di Mattei che riassume il suo rapporto con la politica: «Per me i partiti sono come dei taxi: li prendo, mi faccio portare dove voglio e alla fine della corsa pago e scendo». Lomartire mette a confronto le opinioni di chi adulava e di chi avversava questo boiardo di Stato. «Per i suoi sostenitori è il terzomondista e l’antiamericano che lotta contro l’arroganza delle grandi potenze neocolonialiste, il paladino dei paesi in via di sviluppo che tentano di liberarsi dal rapporto subordinato con chi sfrutta le loro ricchezze. Per i suoi denigratori, è l’antiliberista che abusa del controllo sull’energia di Stato

per condizionare la vita economica e politica italiana, un uomo che elargisce senza scrupoli denaro pubblico per i suoi scopi. Qualcuno, per il suo rapporto spregiudicato con la politica e i partiti, oggi lo considera addirittura il padre di Tangentopoli».

Domenica e lunedì Mattei tornerà in primo piano con la fiction di RaiUno Enrico Mattei, l’uomo che guardava al futuro. Saranno inevitabili i confronti fra l’interpretazione di Massimo Ghini, nel ruolo del protagonista, e quella (memorabile) di Gianmaria Volontè nel film diretto da Franco Rosi nel 1972. Rosi puntò sull’inchiesta politica, quando erano ancora attuali le polemiche sulla morte del presidente dell’Eni, vittima di un incidente aereo dieci anni prima.

Oggi è lecito attendersi una biografia storica che ponga in primo piano l’avventura umana di quello che fu, senza alcun dubbio, uno dei protagonisti della politica e dell’imprenditoria di

nominato presidente. L’Eni ebbe l’incarico di ristrutturare tutto il settore delle fonti di energia, superando la frammentarietà e la sovrapposizione di compiti che caratteriz¬zavano le diverse so-

Il 27 ottobre 1962 un piccolo aereo privato cadde vicino a Linate: a bordo, oltre al pilota e a un ospite, c’era l’uomo che stava per firmare un contratto con l’Algeria. Incidente o attentato? Stato negli anni del miracolo economico. Un uomo discusso e scomodo, al quale De Gasperi affidò il ruolo di liquidatore dell’Agip, che lui si rifiutò di liquidare, vincendo la sua battaglia. Nel 1953 fu promulgata la legge che istituiva l’Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) di cui Mattei fu

cietà pubbliche operanti in quel campo. La scelta in fa¬vore della proprietà pubblica delle fonti di energia era condivisa da ampi settori politici, che la consideravano un passo necessario per stimolare l’economia ita¬liana. La legge istitutiva affidò all’Eni il monopolio dello

sfruttamento dei giacimenti di metano scoperti nella Valle Padana, trasferì al nuovo ente i pacchetti aziona¬ri dell’Agip, dell’Anic e della Snam. Mattei intuì il ruolo emergente dei Paesi produttori di petrolio e – stabilendo con loro criteri di collaborazione da Stato a Stato – riuscì a insidiare il monopolio delle grandi compagnie angloamericane, le cosiddette Sette Sorelle. Ma ebbe soprattutto il merito – che nessuno contesta – di aver contribuito a ridare speranze agli italiani negli anni difficili della ricostruzione. Il cane a sei zampe della Supercortemaggiore (che ancora campeggia sui distributori dell’Agip) dette a tutti gli italiani l’illusione di aver scoperto il petrolio nel giardino di casa, o nel cortile del condominio.

Così Massimo Ghini, che lo interpreterà nella prima serata di Rai Uno domenica 3 e lunedì 4 maggio, per la regia di Giorgio Capitani

«L’uomo che accompagnò l’Italia nel futuro» di Francesca Parisella

ROMA. Conquistare il pubblico e fidelizzarlo per il secondo appuntamento non è sempre possibile e così Rai Uno, per confermare il successo finora ottenuto con le sue fiction, ha deciso di chiudere la stagione sostituendo il remake di Pinocchio, che vede nei panni della Fata Turchina Violante Placido, con la miniserie in due puntate dedicata all’imprenditore partigiano Enrico Mattei, il padre fondatore dell’Eni misteriosamente scomparso in un incidente aereo nell’ottobre del 1962. La fiction, girata a Viterbo, andrà in onda in prima serata domenica 3 e lunedì 4 maggio. Una coproduzione Rai Fiction e Lux Vide, di Matilde e Luca Bernabei, che, dopo Il Caso Mattei del 1972 diretto da Marco Rosi e interpretato da Gian Maria Volonté, porta nuovamente sul piccolo schermo l’uomo che «riuscì a far dialogare l’Italia con i grandi produttori di petrolio e a portarci così verso il boom economico», come Massimo Ghini descrive il protagonista della fiction, da lui interpretato. Uno spaccato dell’Italia di quegli anni che si incrocia con le vicende personali di Mattei, l’uomo dalle origini contadine che seppe migliorare la sua condizione, prima ottenendo il diploma in ragioneria, frequentando le scuole serali, per poi lavorare come operaio a soli 15 anni, muovendo così i primi passi nel mondo del lavoro e segnando il suo de-

stino, fatto di tanta fatica, voglia di affermarsi e un susseguirsi di successi. È nel lavoro che Enrico Mattei dimostrò subito le sue capacità, ottenendo prima il ruolo di direttore della fabbrica, passando successivamente a fondare una sua impresa di oli e saponi, fino ad arrivare al giorno della grande chiamata, quella dell’allora presidente del Consiglio De Gasperi che lo incaricò di liquidare l’Agip, un carrozzone pieno di debiti che stranamente aveva ricevuto molte proposte di acquisto da diverse multinazionali. Furono il sospetto legato alla svendita dell’Agip e la consapevolezza che l’Italia, per crescere, aveva bisogno di energia a basso costo, a portare Mattei a opporsi alla vendita, rilanciando la società petrolifera con la fondazione nel 1953 dell’Eni, confermandosi così come l’uomo che guardava al futuro, come suggerisce il titolo della miniserie, sceneggiata da Monica Zampelli, Claudio Fava e Giorgio Mariuzzo, per la regia di Giorgio Capitani. Un titolo che piace molto anche all’attore protagonista Massimo Ghini: «Mattei è un uomo che ha partecipato in maniera concreta al passaggio di un Paese contadino a un Paese industriale. Un uomo con luci e

ombre, con grandi contraddizioni e un grandissimo progetto per il suo Paese. Un uomo che viene spinto dall’amore che prova per l’Italia e che lo porterà a sedersi a tavoli importantissimi dell’attività finanziaria mondiale, creando il presupposto perché il Paese guardasse al futuro. Molti dei suoi collaboratori sono ancora vivi. Un giorno mentre giravamo a Viterbo ho notato un signore anziano che ci osservava. Più tardi è venuta una donna, spiegandomi che quello era un ex collaboratore del presidente dell’Eni, che avrebbe voluto conoscermi ma poi si è emozionato vedendomi recitare». Un aspetto umano ben presente in Enrico Mattei. L’uomo che guardava al futuro, è un racconto che mette in evidenza anche il suo aspetto privato: «Questo film tv vuole raccontare tutta la sua vita, evidenziandone anche il rapporto con la moglie e il loro dramma privato», conferma Massimo Ghini. È Vittoria Belvedere a vestire i panni di Greta, la ballerina austriaca di cui Mattei si innamora perdutamente e che rimane sempre al suo fianco, disposta a restare spesso da sola mentre Enrico insegue il sogno di trovare il petrolio. I due condividono anche un

Oltre al ruolo che ricoprì nel Paese, la mini-serie racconta anche la sua vita privata, come il forte legame che ebbe con la moglie Greta (Vittoria Belvedere)

altro sogno, quello di avere un figlio, sogno che per la coppia si trasforma in un incubo, legato alla loro impossibilità ad avere figli. «Greta era una donna dura e triste, forse perché per amore dovette abbandonare tutto: il suo paese e il suo lavoro, senza però riuscire a costruire la famiglia che sognava», racconta Vittoria Belvedere. E il sogno mai realizzato di avere figli, porta Mattei a circondarsi di persone giovani, come Ottavio, l’operaio che sarà il rappresentate di quel popolo di cui Mattei si è sempre sentito parte e interpretato nella fiction da Simone Montedoro, e Attilio Fabbri, il giovane incontrato durante la prigionia che condivide con Mattei il sogno di conquistare la libertà, di scappare in America, e che, come Enrico, è dotato della volontà di cambiare il corso delle cose.

Questa fiction storico-biografica, che ancora una volta si propone di raccontare momenti importanti della nostra storia, ponendo così l’accento su un uomo orgoglioso che vedeva attorno a sé un Paese povero, senza peso nella scena politica internazionale ed economicamente arretrato. «È stato un lavoro importante e impegnativo nel quale tutti noi abbiamo creduto. Mi sembra utile e giusto quando la tv dà spazio raccontando la nostra memoria, parlando soprattutto ai giovani quando ricorda qual è la storia da cui veniamo».


mondo

pagina 14 • 30 aprile 2009

Stati Uniti. Storia dei (pochi) ribaltoni conosciuti al Congresso

I Mastella d’America Il repubblicano Arlen Specter passa ai democratici. Quante altre volte è successo negli Usa? di Andrea Mancia dalla prima Nella conferenza stampa con cui ha annunciato il “ribaltone”, Specter ha parlato di un Gop scivolato troppo a destra per un moderato come lui. La realtà, invece, è più prosaica. Specter è sempre stato considerato un “rino” (republican in name only) dalla base del partito. Già sfidato - e quasi battuto - alle primarie nel 2004, nel 2010 Specter avrebbe dovuto nuovamente raccogliere la sfida di Pat Toomey, presidente del Club for Growth (un influente think tank dell’ala “liberista” del partito). Con una significativa differenza rispetto al passato: nei sondaggi Toomey viaggiava con più di 20 punti percentuali di vantaggio rispetto a Specter. Odiato dalla base, mal sopportato dalla leadership del Gop (soprattutto dopo il voto favorevole allo stimulus di Obama) e indietro nei sondaggi, Specter ha deciso che i suoi giorni nella “big tent” reaganiana erano terminati, scegliendo il cambio di casacca per evitare la fine di una lunga carriera politica. A meno che, naturalmente, qualche democratico non si metta di traverso.

La reazione del partito repubblicano all’abbandono di Specter è stata piuttosto dura, con l’eccezione di qualche altro esponente dell’ala moderata, soprattutto alla luce di un precedente che risale al 2001. Quando Jim Jeffords, repubblicano moderato del Vermont, abbandonò il partito regalando la maggioranza del Senato ai democratici, Specter propose «una regola per impedire ogni futuro cambio di partito ai senatori in carica». Una regola che, se applicata, gli avrebbe oggi impedito il partyswitch. Ripercorrendo la storia recente degli Stati Uniti non si trovano molti episodi del genere. Partiamo dal Senato. Il caso più recente è quello di Joe Lieberman (Connecticut): eletto al senato nel 1988 come democratico; rieletto nel 1994 e nel 2000; candidato (sconfitto) alla vicepresidenza nel 2000 in ticket con Al Gore; dopo la sconfitta alle primarie democratiche nel 2006 decide di correre come indipendente e vince le elezioni. Oggi resta“indipendente”anche se nel caucus democratico, malgrado il sostegno a McCain alle ultime presidenziali. Il caso di James Jeffords (Ver-

L’opinione del direttore del Weekly Standard

Una buona notizia per il Gop! di William Kristol l 24 maggio del 2001, scrissi un editoriale per il Washington Post dopo il cambio di partito del senatore del Vermont, James Jeffords. Sostenevo la tesi che, malgrado il fatto costasse ai repubblicani il controllo del Senato, la situazione poteva trasformarsi in un’ottima opportunità per il presidente Bush. Non solo per le ragioni che sollevavo nell’editoriale, la storia mi diede ragione. Bush fu comunque in grado di ottenere una sufficiente collaborazione da parte del Congresso nel successivo anno e mezzo. E fu in grado di correre con successo contro i democratici nell’autunno 2002, quando il Gop riconquistò il controllo del Senato. Oggi, al contrario, mi chiedo se il party-switch di Arlen Specter, questa volta a favore del partito del presidente, non possa

I

mont) è senza dubbio quello più eclatante. Repubblicano dal 1989 al 2001, il suo cambio di casacca porta i democratici a controllare il Senato - che in quel momento è diviso 50-50 con il voto decisivo del vicepresidente Dick Cheney - fino alla vittoria del Gop alle elezioni di mid-term del 2002. Uno switch rilevante, al contrario di quello brevissimo (dal 13 luglio al 1 novem-

rivelarsi un fatto negativo per Obama e i democratici. Con il probabile insediamento di Al Franken in Minnesota, i democratici avranno 60 seggi al Senato, dando ad Obama una maggioranza totale di governo in entrambi i rami del Congresso. Questo attirerà sul presidente una responsabilità assoluta. Il problema dell’ostruzionismo repubblicano scomparirà. E la “storia del giorno” diventeranno le defezioni dei democratici. Questo renderà più semplice per i candidati del Gop nel 2010 chiedere di essere eletti per riportare a Washington un po’ di checks and balance. Intanto, il “ribaltone” di Specter non produrrà grandi cambiamenti nel passaggio di legislazione-chiave. Perdere Specter oggi, insomma, potrebbe aiutare il Gop ad ottenere più seggi nel 2010, rendendo più luminoso il futuro del partito. Senza contare che, adesso, saranno i democratici ad essere costretti a trattare con il senatore della Pennsylvania.

1995 al 1964 troviamo soltanto qualche democratico passato ai repubblicani. Nel 1995, Ben Nighthorse Campbell (eletto appena due anni prima), rimasto in carica fino al 2005. Nel 1994, Richard Shelby (Alabama), eletto con i democratici nel 1987 e ancora oggi esponente di rilievo del Gop. Entrambi erano classici prototipi di Reagan Democrats, tornati a casa

Il caso più recente è quello di Joe Lieberman, candidato democratico alla vicepresidenza nel 2000, che nel 2008 diventa indipendente e appoggia la corsa (perdente) di John McCain alla Casa Bianca bre del 1999) che coinvolge Robert Smith (New Hampshire), passato dai repubblicani agli indipendenti per poi tornare quasi immediatamente al Gop, in cambio della succulenta presidenza della commissione ambiente, lasciata libera dalla morte del senatore repubblicano del Rhode Island, John Chafee. Tornando indietro nel tempo, dal

dopo la “rivoluzione conservatrice”del 1994. Poi niente, fino al caso di Harry F. Byrd, Jr. (Virginia), che nel 1971 abbandona il partito democratico che lo aveva fatto eleggere nel 1965, in polemica con la leadership del partito in Virginia. Byrd, figlio d’arte, non entra nel Gop ma resta indipendente fino al 1983 e continua a votare - più

o meno - in linea con i democratici.

Più clamoroso fu l’addio di J. Strom Thurmond (South Carolina), democratico dal 1954 al 1964 e poi repubblicano fino al 2003. Thurmond è stato il terzo senatore statunitense a superare i cent’anni d’età e l’unico a festeggiare il secolo di vita ancora in carica. Spirito irrequieto fin dagli esordi, Thurmond (eletto governatore della South Carolina nel 1946), partecipa alle presidenziali del 1948 - fondando di fatto i Dixiecrat sudisti in polemica con la decisione di Harry Truman di abolire la segregazione razziale nell’esercito. Supera il milione di voti, ottiene il 2,4% dei consensi e conquista 39 grandi elettori, tutti negli stati del Sud. Nel 1950 si candida al Senato ma viene sconfitto dal democratico Olin D. Johnston. È la sua unica sconfitta in un’elezione locale. Alle presidenziali del 1952 appoggia il repubblicano Dwight D. Eisenhower. Due anni dopo viene eletto al Senato con il 63% dei voti, battendo un altro record: è il pri-

Sopra: J. Strom Thurmond. Sotto: Joe Lieberman. In alto: Arlen Specter. Nella pagina a fianco: Newt Gingrich

mo candidato write-in (non presente nella scheda elettorale, ma il cui nome deve essere scritto manualmente dall’elettore) a vincere una consultazione elettorale negli Usa. Con l’inizio della “southern strategy” repubblicana, Thurmond decide di abbandonare il partito d’origine e il 16 settembre del 1964 entra nel partito repubblicano di Barry Goldwater, in cui resta fino alla morte. Trovando il tempo, di


mondo

30 aprile 2009 • pagina 15

Il confronto poco amichevole tra le due anime del partito dell’elefante

Gingrich: «Un traditore» Snowe: «Ha ragione lui» di Simone Ciarla n traditore, un uomo per tutte le stagioni, un ideologo che voleva una riforma del Partito repubblicano. È vivace e multicolore il dibattito che l’abbandono di Arlen Specter ha scatenato nel Gop, che si interroga sul proprio futuro. E che non condanna all’unanimità il senatore della Pennsylvania.

U

Nel 1964, J. Strom Thurmond (candidato segregazionista dei Dixiecrat alle presidenziali del 1948) abbandona il suo partito per entrare nel Gop. Ci resterà fino al 2003, anno della sua morte sconfessare gran parte delle politiche segregazioniste che aveva appoggiato negli anni precedenti.

Per trovare altri “Mastella d’America”al Senato bisogna spingersi ancora più in là. Wayne Morse (Oregon) parte repubblicano (1945-1953), diventa indipendente (1953-1955) e finisce democratico (1955-1969). Henrik Shipstead (Minnesota) inizia la sua carriera nel Farmer-Labor (1923-1941) e la prosegue nel partito democratico (1941-1947).All’inizio del ’900, infine, fa storia la dinastia La Follette in Wisconsin che lascia il partito repubblicano per correre sotto le insegne Progressive. Ripercorrere la storia della Camera è molto meno interessante, soprattutto perché mai il passaggio di un con-

gressman da un partito all’altro ha provocato cambi di maggioranza o scossoni politici. Ricordiamo, per amor di cronaca, il caso di Nathan Deal (Georgia), passato ai repubblicani nel 1996 e diventato uno dei membri più conservatori del partito. E quello di Bill Tauzin (Louisiana), co-fondatore dei Blue Dog Democrats (il caucus dei democratici moderati), approdato al Gop nel 1995. Più recente, infine, il “ribaltone” di Rodney McKinnie Alexander (Lousiana), che aderisce al partito repubblicano appena prima della deadline elettorale del 2004, in polemica con la vittoria di Kerry alle primarie. Uno switch che fa infuriare i democratici e provoca la reazione entusiasta del Gop e del presidente Bush. Sembra trascorso un secolo.

Secondo Newt Gingrich, ex speaker della Camera, «la decisione di lasciare evidenzia ancora di più come un governo che alza le tasse, spende di più e comanda in questo modo sia inaccettabile per gli elettori repubblicani. Il suo cambio di bandiera è nato in funzione di una sopravvivenza personale, e renderà ancora più chiare le differenze fra noi e i democratici. Il nostro partito propone una politica di abbassamento del cuneo fiscale che abbia meno burocrazia, tutto condito da etica del lavoro e controllo locale. Quando i deputati repubblicani hanno dimenticato che il loro è un partito composto da contribuenti e riformatori, hanno perso il controllo. Quando hanno accettato il piano proposto da Bush nel 2008, ne hanno perso ancora. Quando il senatore Specter ha votato a favore di una legge che propone lo stanziamento di 787 miliardi di dollari, un testo che nessuno ha mai neanche letto, ha ingigantito lo spazio che c’è fra lui e la base del partito. Questa scelta renderà le elezioni previste per il 2010, e quelle presidenziali del 2012, ancora più chiare». La senatrice repubblicana del Maine, Olympia J. Snowe, sostiene invece: «L’abbandono del partito repubblicano deciso dal mio buon amico Arlen Specter rappresenta una perdita tremenda. Che evidenzia non soltanto la tremenda situazione della politica interna alla Pennsylvania, ma anche e soprattutto i più gravi problemi del nostro partito. Quando Jim Jeffords decise di divenire indipendente, nel 2001, è iniziato un declino reso pubblico dalle sconfitte del 2006 e del 2008: siamo giunti ad avere una delle più piccole rappresentanze nella storia dei repubblicani. Non possiamo ottenere la maggioranza se stringiamo ancora di più i confini della nostra ideologia. L’annuncio di Specter deve essere accolto da un esame di coscienza da parte dei repubblicani. Ho lavorato al Congresso per trent’anni, e ho

sempre detto che ci devono essere repubblicani in tutto lo spettro politico. Capisco che esistano punti dove essere un conservatore significa far parte di una realtà politica o geografica particolare. Ma, proprio come i repubblicani non sarebbero nati senza i conservatori, ora non possiamo sperare di vincere in futuro senza i moderati. La linea di demarcazione è semplice: vinciamo quando risolviamo i problemi e quando dimostriamo che siamo gli unici in grado di governare bene. Abbiamo successo quando diamo ascolto alle preoccupazioni e ai desideri degli americani che lavorano, e applichiamo il senso comune per dare soluzioni alle loro problematiche quotidiane. Dovremmo, in sintesi, seguire il suggerimento di Reagan: enfatizzare le cose che ci uniscono, e renderle il test per essere un repubblicano. Il nostro credo nel ridurre le spese governative, politiche a favore della crescita, la difesa nazionale e il massimo della libertà personale. Dobbiamo partire da queste parole per ricostruire il partito».

Meno tenero Jim Leach, ex deputato repubblicano per l’Iowa e professore a Princeton, che dice: «Il nostro partito è stato fondato come unione di diritti e iniziative individuali. Ha guidato la lotta contro la schiavitù, dando alle donne il diritto di votare e rompendo il monopolio delle corporazioni. Oggi è più orientato verso i movimenti di base: pro-life, pro-armi, anti Nazioni Unite, che si sono spinti fino ai propositi irrazionali di secessione espressi da Texas e Alaska. Arlen Specter, in tutto questo, non si trova a suo agio. Non è l’unico. Molti repubblicani tradizionali rispettano i valori dei movimenti di base, ma non sostengono la loro lotta per imporsi nella società. Sono istintivamente pragmatici, non ideologici; tolleranti piuttosto che sostenitori di una regolazione statale di questi valori. Possono votare democratico, ma per una serie di motivi non si rivedono nel conservatorismo moderno o nel vecchio liberalismo. Un numero crescente di americani semplicemente non si rivede in nessuno dei due partiti. E questo non vuol dire che ci sia spazio per un terzo: vuol dire che vogliono vedere persone che calmano gli animi, lavorano insieme e pongono gli interessi nazionali prima di quelli politici o personali».

L’ex speaker della Camera: «Ormai era troppo lontano dalla base. Il suo cambio di bandiera è nato per sopravvivenza personale, e renderà ancora più chiare le differenze fra noi e i nostri avversari»


quadrante

pagina 16 • 30 aprile 2009

«Perché abbiamo diritto all’atomica» Il ministro degli Esteri iraniano conferma la cooperazione con gli Usa in Afghanistan di Sergio Cantone o sciismo di guerra è anche questo: avere più facce anche sullo stesso problema, ma un solo signore del gioco. Nel caso, la Guida suprema della rivoluzione ayatollah Ali Khamenei. E al suo volere si piegano tutte le fazioni: quella del protagonista di questo incontro, il ministro degli Esteri iraniano Manucher Mottaki, o quella del presidente Mahammoud Ahmadinejad. Le regola è: mai manifestare una posizione fissa su nulla, da Israele all’Iraq, passando per il nucleare e gli Usa. Ciò che può sembrare contraddittorio ritrova un suo ordine naturale nell’imperativo della necessità del regime dei mullah. Come spiega in questa intervista lo stesso Mottaki. Il suo Paese si dice pronto a riprendere i negoziati cinque più uno sul nucleare. Cosa siete pronti a offrire? L’Iran aggiornerà le offerte dell’anno scorso. Il mondo è cambiato, data la crisi economica e monetaria e i cambi di alcune amministrazioni: ed ecco perché era necessario rivedere il nostro pacchetto e prepararne uno nuovo. La questione più importante è chiaramente il nucleare. Siete pronti a offrire qualcosa di nuovo? Pensiamo che il diritto dell’Iran non sia una questione di accordi; il diritto delle nazioni ad avere l’energia nucleare è un diritto di tutti nel mondo, di tutti gli stati membri dell’Onu. Il nostro slogan è in questo senso chiarissimo: energia nucleare per tutti e armi nucleari per nessuno.

L

IL PERSONAGGIO

Pensa che disporre di armi nucleari sia il diritto di altri Paesi che non le hanno? Alla testa del primo gruppo di Paesi ce n’è uno che ha la più grande quantità di queste armi. Fortunatamente possiamo registrare una nuova posizione rispetto alla fine della II Guerra mondiale. Noi siamo disposti ad aiutare questo Paese ad andare avanti in questa direzione più che accettabile. Ma lei pensa che i discorsi fatti da Ahmadinejad siano utili in un mondo nel quale l’Iran prova a negoziare e ad aprirsi, in particolare con una nuova amministrazione Usa, più aperta delle precedenti? Lei prova diplomaticamente a stabilire dei legami tra queste due questioni. Ma non è necessario, anche attualmente negli Usa ci sono diversi gruppi che stanno prendendo questa posizione, che è «perchè dovremmo legare tutti i nostri interessi a quelli di Israele?».

che vive nella regione, Israele. Cosa ne pensa? Questa è la falsa letteratura proveniente dalla conferenza di Durban II [ride]. La prego, vada avanti. No, è semplicemente una domanda: non pensa che il suo discorso sia altrettanto razzista? Proprio per niente. Perché? Stiamo parlando di un problema, di una crisi, che è una realtà della regione e nessuno è in grado di risolvere questo problema. E noi spieghiamo perché è impossibile risolvere questo problema. Noi non siamo parte di questo problema. Noi, nella nostra regione siamo sempre stati parte della soluzione, per quanto riguarda l’Iraq, il Libano, l’Afghanistan… Così siete disposti a cooperare per risolvere I problemi in Iraq e Afghanistan? Abbiamo delle responsabilità in questa regione. Nel corso degli ultimi sei o sette anni abbiamo avuto una parte importante nel sostenere gli sviluppi in Iraq, nell’istituzionalizzazione di alcune parti del corpo del governo iracheno, del parlamento e tutto il resto. Noi sosteniamo questo processo. Cosa pensa della politica del bastone e della carota degli Usa? Le politiche che si sono dimostrate sterili in passato dovrebbero servire a far pensare diversamente. E portare le menti delle parti in causa a fissare delle politiche nuove. Non sarebbe un problema per l’Iran un embargo sulla benzina e il gasolio di manifattura occidentale? Non appena lo faranno, scopriranno la nostra reazione, non preoccupatevi. Che reazione? Ne parleremo se prenderanno una tale decisione.

«Se Washington lancia un duro embargo nei nostri confronti, avrà la risposta che si merita. Ma questa è solo un’ipotesi» Questa retorica serve a irrompere con forza nel nuovo negoziato che gli Usa hanno deciso di intraprendere in Medioriente? Dovremmo cercare la causa all’origine della crisi nella regione e questa è la legittimazione di questo regime [Israele] nella regione, come è stata stabilita: la terra [la Palestina] non era senza un popolo, perchè c’erano i palestinesi, musulmani, cristiani, ebrei, che ci vivevano. E questa gente in Europa non era gente senza terra, ma erano cittadini di Paesi europei, diversi Paesi europei, vivevano là. Il suo è semplicemente un discorso razzista su di un altro Paese, un altro popolo

Ajmal Amir. Come in Benjamin Button, l’età entra di prepotenza nel processo contro l’unico attentatore ancora vivo della strage di Mumbai

Lo strano caso del terrorista islamico di Massimo Fazzi riuscito a uccidere e a sopravvivere alla reazione della polizia. Il problema, per lui, è quello di essere maggiorenne. L’unico terrorista superstite dell’attacco a Mumbai, quindi, potrebbe essere anche giustiziato. Mohammad Ajmal Amir, meglio conosciuto come Kasab, ha sempre sostenuto davanti ai giudici di avere 17 anni e per questo il suo avvocato, Abbas Kazmi, ha chiesto a più riprese che il suo assistito venisse giudicato da un tribunale minorile. L’esame medico della dentatura e delle ossa di Kasab ha invece rivelato che l’attentatore di origine pakistana ha più di venti anni. Kazmi ha chiesto alla Corte di istituire una seconda commissione di esperti per verificare il risultato, ma l’accusa ha presentato alla Corte anche due testimoni che affermano che Kasab è maggiorenne. Swati Sathe, commissario della polizia carceraria, afferma che al suo arrivo in prigione il terrorista stesso aveva detto di avere 21 anni e di essere nato il 13 settembre del 1987. Una conferma arriva anche dal secondo testimone presentato dall’accusa: Venkat Ramamurthy, medico dell’ospedale in cui Kasab era stato ricoverato per le ferite dopo gli attentati di Mumbai, afferma che l’accusato aveva dichiarato allora di avere 21 anni. Per rispondere ai testimoni presentati dall’accusa, Kazmi ha chiesto alla Corte di raccogliere la deposizione di altri due teste provenienti dall’ospeda-

le in cui Kasab era stato ricoverato. Ora il verdetto rimane nelle mani dei giudici, poco inclini a concedere una possibilità a quello che è divenuto - a ragione - il nemico pubblico numero uno dell’Unione. Il dossier sulla strage di Mumbai in mano ai giudici indiani comprende più di 11mila pagine, all’interno delle quali sono raccolti documenti e prove che dimostrerebbero il coinvolgimento di elementi pakistani nell’attentato.

È

All’arresto dichiara 21 anni: poi ritratta e ne confessa 17, unico modo per evitare la forca. Ma i medici lo smascherano

New Delhi punta il dito contro il gruppo fondamentalista Lashkar-e-Taiba, che avrebbe goduto di sostegni nell’ambiente dell’intelligence e delle forze di sicurezza del Pakistan. Islamabad ha ammesso che gli autori della strage avevano parte della base logistica e operativa sul proprio territorio. Nel corso dei diversi attentati, avvenuti in contemporanea a partire dalla sera del 25 novembre scorso, sono morte circa 170 persone. Nel mirino dei terroristi, i grandi hotel di lusso della capitale finanziaria dell’India che ospitano stranieri. Attaccato anche un centro ebraico di preghiera, dove morirono una decina di israeliani. Della strage, in ogni caso di chiara matrice islamica, si continua a parlare moltissimo in tutti e due i Paese, che si contendono il ruolo di guardiani dell’Occidente contro il terrorismo. Ma che stanno perdendo sempre più colpi agli occhi di Londra e Washington.


quadrante

30 aprile 2009 • pagina 17

Il Tribunale ne trattiene altri due Hezbollah: cade una vecchia bugia

Incassato l’appoggio tedesco il portoghese aspetta Parigi

Omicidio Rafic Hariri, il Tpi libera due generali

Commissione Ue, Zapatero e Brown per un Barroso bis

BEIRUT. Sono usciti ieri di prigione due dei quattro generali libanesi di cui il tribunale speciale per il Libano ha disposto la scarcerazione. Le emittenti Tv hanno mostrato convogli di auto della polizia che scortavano le auto civili su cuisono saliti il generale Jamil al Sayed e Raymond Azar, mentre gli altri due, Mustafa Hamdan e Ali al Hajj, dovrebbero lasciare il carcere quanto prima. Il tribunale speciale sul Libano (Tsl) dell’Aja, presieduto dal giurista italiano Antonio Cassese, è stato istituito dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 30 maggio 2007. Compito principale del Tsl è indagare sull’omicidio dell’ex premier libanese Rafik Hariri, ucciso il 14 febbraio 2005 da un autobomba assieme ad altre 22 persone. Il tribunale può prendere in esame anche altri omicidi, se collegati al caso Hariri. Le discussioni in in vista dell’istituzione della Corte avevano diviso le grandi potenze all’Onu. Usa e Paesi europei premevano per la creazione del Tsl, mentre Russia e Cina (appoggiati da Sudafrica, Indonesia e Qatar) frenavano, sostenendo che le indagini dovevano essere esclusivamente lasciate alle autorità libanesi. Il fronte del no si era poi ammorbidito, astenendosi alla votazione finale. Dopo la

BRUXELLES. Il primo ministro

Sichuan, dopo il sisma Pechino usa la polizia Messo sotto sorveglianza chi cerca di indagare di Vincenzo Faccioli Pintozzi l governo di Mianyang, città della provincia cinese del Sichuan flagellata dal terremoto del 12 maggio 2008, in una direttiva del 24 aprile raccomanda di «mettere sotto sorveglianza chiunque possa danneggiare la stabilità sociale o sia conosciuto come autore di petizioni e fomentatore di problemi». Per l’anniversario del disastro, le autorità vogliono evitare proteste pubbliche delle famiglie che hanno perso i figli nel crollo delle scuole e alle quali Pechino ha negato qualsiasi giustizia. Intanto nuove direttive cercano di prevenire il rischio di ulteriori suicidi tra i funzionari della zona. Nel disastroso terremoto sono morte 88mila persone, tra cui migliaia di bambini sotto il crollo delle scuole. Il governo parla di seimila studenti morti ma non ha mai fornito i loro nomi e le età, trattati come dati “segreti”. Altre fonti parlano di 10mila scolari morti. I genitori denunciano che le scuole sono crollate mentre gli edifici circostanti sono rimasti in piedi. Secondo il risultato delle prime indagini dell’Ufficio nazionale di controllo, la colpa è dei funzionari locali corrotti, che hanno sottratto oltre l’85 per cento dei fondi destinati all’edilizia scolastica nel Sichuan. L’Ufficio aggiunge che simili “sottrazioni” non sono rare nell’edilizia scolastica nelle zone rurali e parla di 1,26 milioni di yuan di “fondi cassa”spesi per comprare auto ai funzionari. Solo l’1,8 per cento dei fondi stanziati (918 milioni di yuan, solo 92 milioni di euro) sono stati con certezza utilizzati per la manutenzione degli edifici. Anche se i fondi per l’istruzione sono stati portati dal governo da 53,6 miliardi a 156 miliardi di yuan negli ultimi 3 anni, il rapporto dice che in 29 delle 54 contee i funzionari hanno sottratto ai lavori commissionati almeno 300 milioni di yuan, costringendo le ditte costruttrici a operare con appena il 55 per cento del budget previsto. Li Shuisha, ricercatore dell’Istituto nazionale cinese per le ricerche sull’istruzione, spiega che «le scuole rurali, sia primarie che superiori, non hanno potere decisionale. Le loro casse sono spesso vuote perché i fondi sono presi da

I

autorità regionali». Le ditte costruttrici sono pagate poco e devono limitare i costi: risparmiano anche sui materiali. Pechino ha all’inizio promesso rapide indagini sulle responsabilità ma di recente ha vietato qualsiasi indagine sulle cause dei crolli, ufficialmente attribuiti solo alla gravità del terremoto.

L’artista Ai Weiwei ha iniziato a raccogliere sul suo sito dati sugli studenti morti. Ma il sito è stato censurato e Ai ha denunciato frequenti minacce della polizia contro chi raccoglie simili notizie. Wang Xiaodong, volontario che a Chengdu aiuta i genitori a raccogliere prove che la Scuola media Beichai (Mianyang) è stata costruita con materiale scadente, dice che la polizia è venuta a prendere informazioni su di lui. È convinzione comune che le molte vittime siano anche conseguenza di edifici mal costruiti per la diffusa corruzione. Dopo che due importanti funzionari delle zone terremotate si sono suicidati negli ultimi 6 mesi, le autorità cercano di fornite un sostegno psicologico ai quadri del Partito. Il 27 aprile sono state emanate nuove misure di sostegno psicologico. È persino previsto un elenco di chi mostra “instabilità emotiva e comportamenti non normali”, che sarà sottoposto a un’attenta osservazione e avrà incontri settimanali per discutere la propria situazione. Song Shinan, studioso dell’Università del Sichuan, commenta però al South China Morning Post che la vera ragione di suicidi e depressione tra i dirigenti è lo “scontro” quotidiano con i terremotati che chiedono aiuto e giustizia, che spesso le autorità negano. Dice che Feng Xiang, funzionario di Beichuam che si è impiccato il 20 aprile, «è una vittima che ha perso il suo unico figlio [morto nel crollo della scuola] e voleva sapere la verità, come tutti gli altri genitori. Invece, come vicedirettore del locale dipartimento per la propaganda, gli è stato ordinato di nasconderla». Una manovra che, sempre più spesso, sostituisce accurate indagini e processi. Non soltanto per le crisi politiche: anche per le catastrofi.

Nel disastroso terremoto del maggio 2008 sono morte circa 90mila persone. Oggi chi chiede giustizia finisce in galera

internazionale sollevazione che aveva seguito l’attentato contro Hariri, la Siria - ritenuta da più parti responsabile dell’omicidio o almeno coinvolta era stata di fatto costretta a porre fine alla sua decennale presenza in Libano. Dopo l’annuncio, diverse le reazioni nel Paese. Il movimento islamico di Hezbollah ha dichiarato, tramite un suo portavoce: «Oggi è il giorno della caduta della coalizione che ha governato sulla base di invenzioni e menzogne». Mentre Saad Hariri, figlio dell’ex premier e politico di razza lui stesso, ha espresso «fiducia nella giustizia internazionale, cui rimetto ogni decisione in merito al processo». Soddisfazione della Siria.

spagnolo, il socialista Josè Luis Zapatero, ha confermato pubblicamente a Bruxelles il sostegno del suo governo. In una conferenza stampa di ieri ha detto infatti: «Io sostengo il presidente Barroso. Il mio è un sostegno molto fermo e solido, e non cambierà». Il premier spagnolo ha insistito anche sulla necessità di procedere in modo rapido per la decisione, attesa al vertice Ue di metà giugno, nonostante il presidente francese Nicolas Sarkozy abbia proposto di attendere l’esito del secondo referendum irlandese sul Trattato di Lisbona, in autunno. A favore di Barroso si sono espressi nelle settimane scorse anche due altri leader di

peso del Pse, il primo ministro portoghese Josè Socrates e il premier britannico Gordon Brown. A bocciare il mandato bis per l’ex premier portoghese sono rimaste alcune voci all’interno del gruppo parlamentare del Pse, tra cui quella del presidente della delegazione italiana, Gianni Pittella (Pd), che ha accusato Barroso di essere «una figura sbiadita, un burocrate al servizio dei capi di governo». Martin Aubry, la segretaria del Ps francese, non è stata più tenera: «L’Europa che voglio non è un’Europa diretta da Barroso e dai suoi amici». Uno dei temi della campagna europea del Ps è proprio la non conferma di Barroso, considerato ultraliberale e poco efficace nel far fronte alla crisi economica e finanziaria. Ma il primo a nutrire pochi dubbi su un suo eventuale secondo mandato europeo è lo stesso Barroso, che si detto “certo” di potere contare anche sul sostegno di Sarkozy, nonostante il clima più freddo tra la Commissione e Parigi. «Non penso che la sua rielezione sarà messa in seria discussione», ha riconosciuto il ministro degli Esteri tedesco, il social democratico Frank-Walter Steinmeier. Solo una improbabile sconfitta del Ppe alle prossime elezioni europee potrebbe cambiare questo scenario.


cultura

pagina 18 • 30 aprile 2009

In libreria. Marcello Sorgi ricostruisce per Rizzoli l’insolita e focosa relazione della figlia del Duce, per anni rimasta nel dimenticatoio delle cronache

La Liberazione di Edda L’appassionata storia d’amore, consumata alle Eolie, tra la Ciano e l’ex partigiano Leonida Bongiorno di Pier Mario Fasanotti e l’episodio non fosse vero, e ben documentato, si avrebbe la tentazione di ascriverlo alla serie della fanta-storia o della fanta-politica. Invece è tutto vero: Edda Ciano, figlia di Benito Mussolini e moglie di Galeazzo Ciano, prima ambasciatore poi ministro degli Esteri, si innamorò di un ex ufficiale dell’esercito italiano, ex partigiano e militante comunista. Accadde nell’isola di Lipari, dove Edda venne mandata per ordine ministeriale dell’Italia liberata.

S

A ricostruire l’insolita e focosa storia d’amore è Marcello Sorgi nel libro Edda Ciano e il comunista (Rizzoli). Lei era «la sorvegliata speciale numero uno». Arrivò nell’isola nel settembre del 1945, a cinque mesi dallo scempio di piazzale Loreto. In terra siciliana, affascinata dal sole e da una accoglienza discreta e cordiale, rimase dieci mesi. A fine giugno ’46, per effetto dell’amnistia firmata da Togliatti, allora ministro della Giustizia, tornò a Roma. Di malavoglia, tutto sommato, perché intuiva di rimanere per molto tempo nel mirino degli antifascisti più accesi. Si innamorò di Leonida Bongiorno, figlio di Eduardu, l’uomo che in qualche modo organizzò la fuga di alcuni esiliati. Una love story non tenuta segreta, ma infilata successivamente nel dimenticatoio delle cronache. Leonida era un siciliano dal carattere forte, personaggio carismatico, per nulla in soggezione dinanzi ai grandi politici tanto che scrisse direttamente al presidente americano, sentendosi autorizzato dal fatto che aveva combattuto al fianco dei soldati statunitensi. Marcello Sorgi ha scovato l’epistolario di Leonida ed Edda. Dopo un corteggiamento «selvatico, cauteloso e un poco diffidente», Buongiorno, laureato in economia, colto, e padrone di diverse lingue, cominciò a tra-

scorrere ore d’amore sul terrazzo, di notte, sulle spiagge assolate, nella camera di lei. La chiamava «Ellenica». La casa dei primi incontri Edda l’aveva battezzata “Petite Malmaison”: abituata a residenze di lusso, soffrì un poco delle ristrettezze. E per i lutti familiari, e pure per

L’incontro avvenne nell’isola di Lipari, dove la donna venne mandata per ordine ministeriale dell’Italia liberata

il dissidio con la madre, aveva lunghe ore di umor nero, di noia e di angoscia. Sotto il sole delle Eolie fu Leonida a trascinare nuovamente alla vita quella quarantenne snella, slanciata, che portava sempre gli occhiali scuri e in spiaggia audacemente indossava il bikini. Leonida ridette voglia di vita a una donna che, non voluta dalla Svizzera (dove si era rifugiata dopo il crollo italiano), era sbarcata da una lancia e venne «scaricata quasi come una prigioniera o un pacco afflosciato». Si legge in una lettera del comunista militante: «El-

lenica mi apparve subito come una rondine ferita dalle ali infrante, che non avrei potuto non aiutare». Erano momenti in cui il partigiano Bongiorno non immaginava ancora la nascita di una «storia, di una favola breve». Fu passione forte, fu un reciproco cercarsi per intrecciare corpi, menti e ricordi. Edda lo vide un giorno nella piazza principale di Lipari. E s’informò di lui. Di lì a poco si conobbero. Lei gli scrisse, con il suo tono malinconico, mondano e svagato: «Dio mi guardi dal monopolizzare il vostro tempo. Ma ho della malinconia. Del buon vecchio umor nero e desidererei udire delle storie fantastiche, tenere, allegre e buffe. Ecco il mio appello. Viva la Repubblica». Passavano lunghe ore a parlare. Di politica? Anche, e si prendevano in giro. Quel che era appena successo nel mondo non li ossessionava. Leonida citava gli autori latini, ma soprattutto brani dell’Odissea che aveva imparato a memoria. Lei rispondeva con i versi di Byron. Insieme alternavano l’italiano con l’inglese e il francese. Ma l’aria raffinata delle ambasciate se n’era andata per sempre. Edda ave-

A fianco, una foto di Benito Mussolini insieme con Hermann Göring, Galeazzo ed Edda Ciano e, sotto, il Duve e la figlia in vacanza al mare. In basso, Mussolini e i suoi figli a Villa Torlonia a Roma e, a sinistra, uno dei recenti scatti di Edda Ciano. Nella pagina a fianco, la donna insieme al marito, Galeazzo Ciano

va ricordi freschi e terribili. A parte la morte del padre, seguita dal ludibrio pubblico, si sentiva umiliata: lei figlia del tribuno che governò l’Italia per 20 anni, raccontava a Leonida di essere stata portata al confino dal questore Saverio Polito. Un uomo volgare che aveva molestato in auto Rachele Mussolini, mentre nell’estate del ’43 portava la ex fist lady nella casa di Rocca delle Carminate. Giudizio affilato della moglie del Duce: «Polito ha il

gusto governativo dell’antico cortigiano che può maltrattare il principale decaduto». Per quel gesto sconveniente venne processato e condannato a Salò. Lui se ne vantò, contento di avere un “merito” come neoantifascista. Riammesso in servizio gli fu dato l’incarico di sorvegliare proprio Mussolini. Altro vanto del “cortigiano”: l’aver lasciato Edda Ciano a Lipari, «in un tugurio lurido, e senza mezzi».

Fu l’ex partigiano comunista Bongiorno a trovare una sistemazione più decorosa per la figlia del Duce. Che aveva trascorso settimane senza mangiare e bevendo alcolici. Al confino l’avevano mandata in base a una frettolosa legge del 26 aprile ’45, che prevedeva misure di polizia per le persone che avessero «tenuto una condotta ispirata ai metodi e al malcostume del fascismo». Edda doveva altresì discolparsi per «aver con continuità ispirato e dato il proprio contributo alla politica estera del regime fascista che condusse all’al-


cultura

leanza con la Germania e alla guerra». E ancora «per aver mantenuto rapporti amichevoli e di collaborazione con numerose personalità politiche tedesche, dimorato lungo tempo in Germania, contribuendo in modo rilevante ad asservire la politica estera italiana a quella tedesca». Nel memoriale del marito Galeazzo, che lei vendette per convenienza politica, si legge che Edda, «recatasi a Palazzo Venezia, aveva detto al padre che il Paese voleva la guerra e che la continuazione della neutralità sarebbe stata una vergogna». Se aveva spinto l’Italia in guerra come mai solo il confino? Questa era una delle domande che si poneva, ragionando con l’amante, Leonida il rosso, uno dei rarissimi alpini provenienti dalle isole siciliane. Edda gli chiedeva consiglio. Lo chiamava “Baiardo”, come il cavallo nominato nell’Orlando Furioso dell’Ariosto. Leonida le raccontava delle donne che aveva posseduto durante la guerra, tra cui un’affascinante Françoise. Ma c’era stata anche una certa Gianna, pare una ricca signora piemontese che il focoso siciliano considerava «la compagna ideale». Fu Gianna a scrivergli dicendogli che tutto era finito. E fu Edda, che ricevette le adolescenziali confidenze del neo-amico, a consolarlo. In una lettera scrisse:«È sempre duro essere congedati:

anche se il congedo è causato dai più nobili motivi e avvolto dalle parole più dolci. Avrei voluto dirvi la mia comprensiva simpatia (anch’io so, per averla data, l’amarezza delle cose che finiscono). Ma voi eravate troppo avvilito e risentito, e io troppo distratta dal grande sole». Edda conosceva bene i patimenti dell’infedeltà. Galeazzo era un donnaiolo impenitente. Lei, dopo una prima violenta reazione, cercò di adeguarsi. E si procurò vari amanti. A Leonida raccontò di quel giorno in cui andò a sfogarsi col padre a Palazzo Venezia. Il Duce ascoltò la figlia con attenzione. Poi la congedò dicendole: «Una donna italiana fascista deve saper portare le corna». A poco a poco la vedova Ciano arrivò a rivelare all’amico di essere innamorata di lui. Gli spiegò la sua riluttanza iniziale a causa della sua abitudine di non concedersi facilmente. «Mi piace sentirmi pulita dentro». Lui la soffocava di attenzioni. Alla vigilia della caduta definitiva delle barriere, lei avvertì una sua incertezza. Per usare le sue parole, entrambi erano su una «china scivolante e insaponata». Poi «la più dolce delle sofferen-

ze, quella di credere di essere amata». In un foglio si parla di «baci e carezze». Con questo commento: «Che momenti!». E un accenno ad «amori esotici».

Edda era già stata in Sicilia e aveva constatato le tremende condizioni di povertà del Sud «cencioso», la fame, la paura che faceva scappare gli isolani «come lepri nella campagna». Leonida le fece comprendere che nell’isola tutto era rimasto come un secolo prima. Lipari, nota per l’estrazione della pomice, aspettava da decenni la realizzazione della sua vocazione turistica. Ma l’utilizzo di quella terra meravigliosa come colonia penale non aveva fatto altro che esaltarne la desolazione. Edda, curiosa, era entrata nella casa in cui avevano vissuto Emilio Lussu, uno dei tre confinati che fuggirono via ma-

30 aprile 2009 • pagina 19

nessuna soluzione. Ci vuole qualcosa di più forte, che vi obblighi a seguire quella strada. Non uno sperdersi nelle paludi». Sul comunismo dell’amante ironizzava: «Mio adorabile allievo di sieur Palmiro, non trovate che nei confronti dell’amore la politica non ha alcun senso?». E ancora: «Come riuscite a conciliare il vostro squisito amor di patria con questi appena velati Ukase di Mosca? Cercherò per voi il libro di un giornalista americano che partì entusiasta per la Russia. Vi dimorò sei anni, e ritornò».

re nel ’29 assieme a Carlo Rosselli. Insieme all’amante andava spesso a Vulcano. Era il loro “regno”. Leonida ribattezzò una fetta di spiaggia come «baia di Ellenica». Edda al sole scopriva la pancia: «Detesto sudare». Annotazione di lui: «Ellenica è casta. Bisogna ammettere che, tanto nella vita movimentata, quanto nella sua carriera amorosa, semplicissima, è stata una donna estremamente saggia. Non a causa di scrupoli religiosi, o del sendo della morale, o del grande amore. Ma per mancanza di temperamento e orrore della promiscuità». Parlavano di politica, di tanto in tanto. Lui entusiasta: «Adoro questo grande popolo invisibile. È in agguato nelle piazze». Lei lo compativa con la sua amarezza: «Mio grande ragazzo, non si può essere onesto e politico nel contempo. Credete a qualcuna che se ne intende». A Leonida non nascondeva il dolore per il cadavere del padre appeso a Milano. E si chiedeva se mai avrebbe potuto occuparsi lei della salma del Duce: «Perché non lasciano tranquillo quel povero corpo che ha già sofferto gli insulti e gli oltraggi?». Era anche un modo di conciliarsi con il padre che praticamente aveva mandato a morte il conte Ciano. Spesso se la prendeva con chi aveva firmato il decreto del

Poi arrivò, quando lei era al ristorante, la notizia della sua liberazione. La prese con distacco, quasi con indifferenza. Fu allora che affiorò, ma senza esplodere, la notizia del legame sentimentale con il comunista. I giornali accennarono prudentemente a «un esponente di un partito politico». La figlia del Duce a letto con un comunista, scrive Marcello Sorgi, «era una notizia complicata». Edda non ebbe l’euforia della ritrovata libertà di movimento. Sapeva di essere comunque una “indesiderata”, un problema per l’ordine pubblico. Doveva e voleva però riabbracciare i suoi figli, rimasti in Svizzera. La contessa Ciano lasciò le Eolie. Poco prima incoraggiò Leonida, uomo molto prestante, a dar retta alle donne che gli sta-

suo esilio: «Ma avete letto la condanna con la quale sono stata spedita qui? Come se non avessi già pagato abbastanza, questo piccolo porco paese vorrebbe presentarmi un conto che non è il mio». Il comunista le prometteva di non lasciarla sola, poco importa se lei diceva di «essere rimasta fascista». Sulla Germania pare non disse né scrisse cose importanti. Edda era sempre stata convinta dell’alleanza con Hitler. Suo marito Galeazzo no, anzi la considerava «una disgrazia». Con Leonida cercava di spiegare la propria posizione politica:«È strano ma vero che temperamenti assolutamente individualistici come me possano comprendere e amare la dittatura. Ma questa toglie loro un’infinità di problemi. Quando si vede un problema in cento modi diversi, non si arriva a

vano attorno come mosche. Tra esse c’era quella che Edda aveva “chevelue”, soprannominata donna capelluta. Era Angela Cusolito, che diventò poi la signora Bongiorno. L’epistolario continuò, loro ormai lontani: «Caro amico e fidanzato», «Carissimo e unico comunista», «Adorabile Baiardo», «Amico delle lunghe giornate», «Purosangue», «Terribile comunista». A Roma Edda Ciano meditava di «tastare il polso a qualcuno dei grossi berretti del governo», nello stesso tempo pensava di trasferirsi in Argentina o in Sudafrica. A Leonida scrisse un giorno: «Ho l’impressione di parlare con un’ombra perché voi non rispondete». Si rividero, molti anni dopo. Lui a fianco della moglie, ingrassato. Lei con il volto scavato e gli occhi un po’ spiritati. Come il padre nei suoi ultimi terribili giorni.


cultura

pagina 20 • 30 aprile 2009

In basso, la copertina del volume (il primo di un’opera assai più vasta) “La letteratura e il sacro. Vol. I Storia - Fonti - Metodi (secc. XIX-XX)”, di Francesco Diego Tosto. A fianco, un disegno di Michelangelo Pace

i sono due espressioni, una nella Presentazione, scritta da Don Giuseppe Calambrogio, direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose “San Luca” di Catania, e un’altra nella Prefazione, recante l’autorevole firma di Giorgio Bàrberi Squarotti, che introducono assai bene alla lettura dell’importante lavoro di Francesco Diego Tosto, La letteratura e il sacro. Vol. I Storia - Fonti - Metodi (secc. XIX-XX) (Edizioni Scientifiche Italiane).

V

La prima affermazione suona nei termini seguenti: «Non si dà letteratura chiusa al sacro, nel duplice significato di una approfondita ricerca della risposta alle domande radicali sul senso della vita e della morte, dell’amore e del dolore, nonché di una attenta considerazione della speranza che nasce dalla fede religiosa propria del cristianesimo». Bàrberi Squarotti, da parte sua, propone questa chiara osservazione: «Tutte le letterature occidentali, dalla Russia fino alle Americhe, sono più o meno direttamente influenzate dalla tradizione ebraica e cristiana». Si tratta, come si è detto, di due indicazioni preziose per comprendere la fruttuosa fatica dell’autore, ma, al tempo stesso, di due importanti tesi interpretative aventi un valore che va oltre il libro che le ospita e che si allarga fino a una considerazione più ampia della relazione che lega la letteratura, e l’arte in generale, alla dimensione religiosa, per giungere alla decisiva conclusione secondo la quale universo estetico e ambito del sacro sono legati inscindibilmente. E proprio il libro di Tosto, denso e impegnati-

Tra gli scaffali. Il primo volume di un’opera più vasta ne indaga il rapporto

Quando il sacro sposa la letteratura di Maurizio Schoepflin vo primo tomo di un’opera più vasta, attesta in maniera particolarmente convincente l’esistenza e la fecondità di tale legame, il quale, inteso secondo un’accezione larga, scompagina schemi eccessivamente angusti, come l’autore stesso afferma con chiarezza: «Pensiamo, quindi, ad una letteratura religiosa, laddove il termine non implichi una finalità, ma una ricerca di senso in direzione di una realtà ulteriore e metastorica, un bisogno di infinito, di assoluto e di incondizionato; una letteratura, insomma, come interrogazione di se stessi e del proprio destino, che interagisca con quell’inquietudine umana, non riconducibile ad una integralità di fede, ma ad una di-

profondi che la vita propone costantemente all’uomo: «Credenti e non credenti, religiosi e laici, pertanto, saranno accomunati da un unico filo

cerca un fine nobile che gli restituisca idealità, un’alternativa al tragico quotidiano e non può perciò prescindere dal religioso». Il volume si compone di una prima parte, suddivisa in undici capitoli, e di una seconda sezione, che accoglie sette diversi interventi, tra i quali spiccano un’intervista a Mario Luzi e un contributo di Giorgio Bàrberi Squarotti. Nei vari contributi presenti nel primo segmento dell’opera, Tosto affronta alcuni temi tipici di una ricerca finalizzata a far luce sui rapporti fra letteratura e sacro, tra i quali segnaliamo: il dibattito sulla poesia religiosa, le relazioni fra teologia e creatività letteraria, i rapporti tra Chiesa e arte, la presenza della dimensione cristologica e di quella

Spiega l’autore Francesco Diego Tosto che l’iniziativa «nasce soprattutto dal bisogno di parlare con onestà dell’essenziale, del senso della vita. Il silenzio è colpevole: significa spesso compromesso e perdita di identità» mensione umana questionante e permanente». Ciò fa capire perché Tosto non limiti la sua indagine ad autori dichiaratamente cattolici o, più generalmente, cristiani, ma la ampli a tutti coloro che non si sono sottratti agli interrogativi più alti e

conduttore, costituito dal tentativo di carpire il fondamento e il senso dell’esistenza nella letteratura, intriso della consapevolezza che l’uomo contemporaneo, costretto al confronto negativo col dolore, con le forze disgregatrici della storia,

mariana nello spazio letterario contemporaneo. A ribadire un concetto-chiave caro a Tosto è proprio Mario Luzi che, in risposta a una domanda relativa alla ricerca di Dio attraverso la poesia, afferma: «Beh, Dio, coscientemente o inconsciamen-

te, è in fondo a tutte le esperienze e anche a tutte le singole composizioni. Ripeto: coscientemente o inconsciamente, che uno lo nomini o non lo nomini, che uno lo sappia o non lo sappia, che lo abbia chiaro e prefisso in mente o no». Il poeta e lo scrittore diventano così inevitabilmente “evangelisti”, annunciatori della Buona Novella, anche quando non lo sanno e, addirittura, anche se non lo vogliono, quasi che la letteratura fosse di per sé religiosa. È ancora Luzi a venirci in aiuto: «La stessa narratio, il respiro, sono pieni di religione, nel senso che il mondo cerca di superare la sua grettezza, la sua brutalità in un respiro ulteriore. Del resto, l’infinito è presente continuamente e ciò vale per tutti gli scrittori. È questa la religione della letteratura».

È proprio questa la convinzione centrale manifestata da Tosto e corroborata continuamente lungo le belle e intense pagine del libro: «Questa nostra iniziativa - si legge in apertura del volume - nasce soprattutto dal bisogno di parlare con onestà dell’essenziale, del senso della vita. Il silenzio è colpevole: significa spesso compromesso e perdita di identità. Non solo l’identità del cattolico, del laico, del credente o del non credente, ma l’identità dell’uomo che cerca la verità e nella crisi del tempo presente riscopre la sua natura religiosa ponendosi di fronte al mistero e all’ineffabile». Come ebbe a dire, circa sedici secoli fa, con parole di insuperabile suggestività, nelle sue immortali Confessioni, Sant’Agostino: «Ci hai fatti per Te, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in Te».


spettacoli

30 aprile 2009 • pagina 21

Anteprime. Presentato il cartellone del 52° Festival dei due mondi al via il 26 giugno: spiccano le opere di Allen e Wilson

I Giorni felici di Spoleto di Francesco Lo Dico

mmaginate Woody Allen alla regia di un’opera lirica, monsignor Ravasi nelle vesti di drammaturgo, Elio delle Storie Tese nei panni di attore, e uno come Bob Wilson che li indossa di nuovo dopo decenni da metteur en scène. Il programma del 52° Festival dei due mondi spillato ieri a via del Collegio Romano somiglia molto a un Sagrantino di Montefalco: profumo caratteristico, sapore vellutato, e un discreto tenore alcolico che apre la mente alle più impensabili spericolatezze. Sotto la direzione artistica di Giorgio Ferrara, che ne ha preso la guida lo scorso anno, la kermesse spoletina nata nel 1958 per volere del maestro Gian Carlo Menotti, è un inno all’osteopatia: meno ginnastica posturale, e più manipolazione. Meno gessi, e approccio olistico. «Voglio vedere piazza Duomo ballare», si augura il direttore di Spoleto nell’annunciare il concerto conclusivo della manifestazione dedicato a Gershwin. Cultura senza compartimenti stagno, dunque. Libera di schizzare da una padella all’altra come olio bollente.

I

Bollente come Gianni Schicchi (vietato confonderlo con Riccardo), anteprima europea che apre il Festival il 26 giugno. Beffa nella beffa. Perché è una delle opere liriche di Giacomo

gnora del teatro, Adriana Asti, è uno spettacolo che sposterà sulle colline umbre anche i più testardi habitué della battigia. Per quelli che sono ben lieti di sacrificare a Bob un intero weekend, domenica 28 arriva il bis con la

alla regia, e di nuovo sul palco come attore dai tempi di Hamlet: a monologue. Gradito a tutti, ministro Sandro Bondi in testa, il ritorno della poesia, in uno spazio a cura di Ernesto Galli Della Loggia. Letture di versi dai nostri poeti del Risorgimento, che il 10 e l’11 luglio faranno staffetta ideale con quelli del Novecento. Lunedì 29 può essere la volta buona per vedere in scena nuovi talenti nazionali. Un piccolo gioco senza conseguenze di Eleonora D’Urso, annunciato come una macchina comica con cinque giovani protagonisti in scena, e poi Il sogno di una notte di mezza estate, saggio di diploma degli attori dell’Accademia Silvio D’Amico.

Il ritorno di Pina Bausch, l’Apocalisse a cura di monsignor Ravasi, il Figaro di Elio delle Storie Tese: la kermesse di quest’anno brilla per originalità e capacità di contaminazione Puccini, l’unica che non fa piangere, e probabilmente anche l’unica diretta da Woody Allen per questa vita. E probabilmente, visti gli esiti a Los Angeles, farà un sacco ridere. Menzione speciale, il 27 giugno, per il ritorno di Luca Ronconi con L’altro gabbiano, studio ad alta voce che riflette su snodi e drammaturgia di Cechov. E, autentica gemma di quest’edizione, Giorni felici di Samuel Beckett. Diretto da quella «pietra miliare del teatro sperimentale» che da più di 40 anni incombe sulla testa dei registi di piccole e grandi ambizioni: il pluridecorato Robert “Bob” Wilson. Recitato da nostra si-

prima assoluta de L’ultimo nastro di Krapp. Ancora Beckett, ancora Wilson

Per chiudere con il teatro, c’è grande attesa anche per l’Apokàlipsis di Marcello Panni, commissionata dal Festival e basata sul testo sacro di Giovanni. Interprete d’eccezione, monsignor Gianfranco Ravasi, che ha curato l’adattamento, e che salirà sul palco in occasione del prologo, e poi per i commenti e l’intermezzo. Alle voci di Andrea Giordana e Sonia Bergamasco, la recitazione vera e propria. L’appuntamento con la musica parte già

Nella foto grande, piazza del Duomo a Spoleto, sede di concerti ed eventi durante il Festival dei due mondi. A destra, il direttore artistico Giorgio Ferrara. Sopra, Robert Bob Wilson, dirige Giorni Felici e L’ultimo nastro di Krapp di Samuel Beckett. A sinistra, l’attrice Adriana Asti

dalla prima serata con l’omaggio a Menotti, quando l’Orchestra Giuseppe Verdi di Milano intonerà i suoi brani più celebri. Martedì 30 passeggiata per le vie medievali di Spoleto e poi, concerto di mezzogiorno della Scuola di musica di Fiesole e quello serale, curato dall’Umbria Jazz, e dedicato a Nat King Cole. Ulteriore e caleidoscopico tributo, quello che Elio delle Storie Tese, dedicherà alle composizioni di Gioacchino Rossini l’undici luglio con Figaro il barbiere. Menù di tutto rispetto anche quello riservato alla danza, che vede spiccare su tutti Coreography today di Alessandra Ferri, e il ritorno a Spoleto di Pina Bausch, con Bamboo Blues. Linfa fresca anche in ambito figurativo, grazie al lavoro di Vittorio Sgarbi. In mostra due giovani artisti come Klaus Merkens e Lino Frongia. Cento anni in due, ma poco più che adolescenti per l’anagrafe artistica italiana. Refrigerio, mescolanza e retrogusto postmoderno. Sono questi gli ingredienti del nuovo Festival di Spoleto al via a fine giugno. C’è da scommettere saranno giorni felici. Mai come quest’anno, la frescura umbra, val bene una sdraio.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale

da ”le Figaro” del 29/04/2009

Bagatelle per un massacro di Delphine Chayet a Francia degli orrori è un prodotto della letteratura del XIX secolo, ma i cittadini d’Oltralpe l’hanno riscoperta il 13 febbraio 2006. La cifra della cronaca è scritta a margine di un nome: Ilan Halimi, un giovane ebreo. Il corpo trovato lungo una linea ferroviaria verso Parigi, legato, imbavagliato e coperto di ustioni. Dopo tre anni da quell’evento si è aperto ieri il processo alla «banda dei barbari». Le udienze verranno tenute a porte chiuse nella corte d’Assise, nonostante le proteste dei genitori della giovane vittima.

L

«La catena d’eventi che hanno condotto trenta giovani incensurati a un comportamento che si associa alla barbarie, non è un fatto puramente penale, ma una questione che deve investire tutta la società francese – si lamenta l’avvocato, Jean Balan – altrimenti accadrà ancora». I ventisette imputati nelle gabbie dell’aula di giustizia, di cui 19 già detenuti, hanno un’età cha va dai 23 ai 35 anni. Sono uomini e donne. Quasi tutti provengono dalla cittadina di Pierre-Plate, un centro dell’Alta Senna, dove ha preso origine la tragedia.Yousouf Fofana è il leader di questa gang. Rischia l’ergastolo, con l’accusa di «omicidio premeditato, causato dalla reale o presunta appartenenza della vittima a una determinata fede religiosa». Insomma, perché Ilan era ebreo. «Rapimento da parte di una banda organizzata (…) e atti di tortura e barbarie» sono alcuni dei passaggi del capo d’imputazione di Yousuf. Provocatorio, imprevedibile «profondamente arrogante», queste le definizioni date da alcuni dei trenta avvocati che nel corso di questi due anni hanno, di volta in volta, rimesso il mandato della difesa.Yousuf è un personaggio vera-

mente detestabile. Dopo aver ammesso una parte delle accuse, «non ha partecipato alla fase istruttoria del procedimento penale», afferma Emmanuel Ludot, suo attuale legale, che aggiunge: «Fofana è stato dipinto in maniera odiosa, è stato raffigurato come il diavolo, prima ancora di provarlo». Attraverso le testimonianze dei membri della banda, l’accusa vuole ricostruire la personalità del capo branco. È dalla primavera del 2005 che Yousuf aveva maturato l’idea di eliminare fisicamente degli ebrei, definiti con gli epiteti peggiori. Venticinque anni, originario della Costa D’Avorio,Yousuf viene descritto come persuasivo, seducente e brutale, caratterische che gli servono per mettere insieme gli sciagurati necessari per portare a termine il progetto e fargli passare l’idea di poterlo abbandonare. Dai suoi si fa chiamare «Osama», «il grande capo», «Yousuf il barbaro».

«Con lui ci sentivamo protetti» dirà un membro della gang agli investigatori della brigata criminale. Dopo alcuni tentativi falliti, il ventitreenne Ilan cade nella trappola tesa da Fofana, il 20 gennaio 2006. Il giovane venditore di telefoni cellulari viene attirato in un tranello da una giovane ragazza. È picchiato e poi addormentato con l’etere, per poi essere portato in un appartamento di Bagneux. Il suo interminabile calvario comincia proprio là. In una casa vuota e senza riscaldamento. Ammanettato e con i piedi legati, il nastro adesivo gli copre

tutta la testa eccetto il naso, per farlo respirare. Ogni tanto gli danno da mangiare dei panini e qualche dolce, ma rimane digiuno anche per 24 ore. Una notte lo spostano in un seminterrato non lontano dalla ferrovia, l’appartamento deve essere lasciato libero. Un posto dove il freddo è ancora più intenso, circa 4 gradi, e lo sporco è indicibile. L’ostaggio è costretto a urinare in una bottiglia. Col passare del tempo aumenta anche la violenza dei suoi carcerieri. Quando il ragazzo chiede una sigaretta, le risposte passano per le vie di fatto, sorprendentemente sempre più brutali. La gang ha chiesto un riscatto di 450mila euro alla famiglia.

Hanno prodotto foto e registrazioni di Ilan, mentre piange e supplica i suoi di pagare. Ma gli appuntamenti mancati e il rapimento che dura da più di venti giorni, stanno mettendo a dura prova il sistema nervoso dei carcerieri. Secondo l’accusa, all’alba del 13 febbraio, Fofana lascierà il corpo di Ilan dentro un’auto rubata. Verrà soccorso da un passante, un paio d’ore dopo, sotto choc, incapace di parlare. Ilan Halimi morirà in ospedale. Sette degli imputati rischiano l’ergastolo, gli altri trent’anni di galera.

L’IMMAGINE

Efficienza e risparmio consigliano l’unicameralismo: serve il bene comune La Costituzione è perfettibile. La nostra Carta comprende 139 articoli e 18 disposizioni transitorie e finali. Rischia prolissità e bizantinismo. Gli articoli 56, 57 e 59 prevedono 630 deputati e 315 senatori eletti, più i senatori a vita: sono troppi e costosi. Il procedimento di formazione delle leggi è troppo lento e travagliato e inadatto al bisogno d’efficienza e rapidità amministrativa. I disastri provocati dall’esecutivo forte del passato regime tirannico hanno consigliato i costituenti di rafforzare al massimo il Parlamento. Risulta oltremodo indebolito il governo, che appare quasi impotente. Efficienza e risparmio consigliano l’unicameralismo: serve il bene comune, contro i particolarismi del potente esercito partitocratico. La Costituzione prevede le province che invece vanno abolite. La sovranità appartiene al popolo ma fattualmente il comando è detenuto da una privilegiata oligarchia. Il domicilio – inviolabile costituzionalmente – può essere, in realtà, violato dai criminali. Manca il rispetto della vita umana.

Gianfranco Nìbale

PACELLI, ROOSEVELT E CHURCHILL L’odierna “Lettera contemporeanea” dell’illustre socialista Giuliano Amato è una lettura arricchente e una finestra dischiusa sulla fitta rete di influenti relazioni internazionali intrattenute dall’ex statista. Quando si approva la tempistica dell’entrata in guerra degli Usa e la scelta del presidente Roosevelt nel 1942 di non dichiarare guerra all’Urss, non posso che ricordare la lettera di Papa Pio XII indirizzata sia al presidente americano sia al premier britannico nella quale avvertiva gli alleati di due ineludibili realtà: il nazismo era la più diabolica delle reazioni alla rivoluzione bolscevica e il suo frutto più riuscito, ma già essa era un nemico peggiore alla li-

bertà e al bene comune dell’umanità di qualsiasi prezzo bellico fosse costato combatterla, esponendosi anche contro il generale Inverno. L’americano rispose “al Signor Pacelli” che si occupasse di religione e non di politica, mentre Churchill che aveva prima tentato invano di convincere Stalin a non allearsi con Hitler e infine ripetutamente implorato il renitente Roosevelt di entrare in guerra a fianco degli Inglesi, rispose in modo ben più rispettoso dando ad intendere con inequivocabile diplomazia di avere le mani legate, ma anche lui ben chiaro quale mortale nemico fosse l’Urss. Fu poi Churcill nel suo celebre discorso del 1946 a Fulton in Usa a convincere il presidente Truman,

Profumo di buono Se vedete un serpente che vi fa la linguaccia non vi preoccupate, sta solo cercando di capire se siete commestibili! La sua lingua biforcuta, infatti, funzionando come una specie di naso, riesce a captare le minuscole particelle presenti nell’aria e a individuare così eventuali gustose prede. Una dote utile anche in amore: i maschi con la lingua sentono l’odore delle femmine

succeduto a Roosevelt a dare avvio alla Guerra fredda ben prima che Pio XII scomunicasse i comunisti nel 1949.

Matteo Maria Martinoli

CONCORDIA NAZIONALE Ho sentito con piacere alla radio, che molti cittadini iniziano a lodare l’azione del nostro premier in quanto egli, pur di aiutare la ricostruzione istantanea dell’A-

bruzzo ed altre iniziative, è pronto anche a rimandare indietro altre proposte. Ciò spezza gli indugi e porta verso la concordia nazionale che, in caso di provvedimenti di urgenza per calamità naturali, è oltremodo essenziale. Cordialmente ringrazio per la vostra attenzione e per l’ospitalità sulle pagine del vostro giornale (che leggo quotidianamente). A presto e un sincero augurio di

buon lavoro a tutta la redazione di liberal.

Lettera firmata

CONDOGLIANZE La redazione di liberal si stringe attorno al dolore della collega Diana Izzo per la scomparsa improvvisa della mamma, avvenuta nella mattinata di ieri. A Diana e ai suoi cari vanno le condoglianze e il forte abbraccio di tutti noi.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog

dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Non volevo essere una semplice amica… Khalil si era svegliato con un dolore forte alle tre e mezzo di notte. Più tardi ha preso qualcosa in farmacia e ha cominciato a star meglio, ma era ancora un p’ depresso. Gli ho fatto vedere le pezze di tessuto che avevo preso da Toby per i copricuscini, rosa pallido, blu e verde, e un marezzato oro con imbottitura pesante di colore grezzo per gli schienali. Gli sono piaciuti quanto erano piaciuti a me, e ha acconsentito che li cucissi, cosa che ho registrato come un progresso, dato che non mi aveva mai permesso alcuna faccenda. Gli ho espresso il mio desiderio, in caso di sua morte, di andare al Monte Libano con la sua salma, dietro sua autorizzazione. «Potrebbe andare qualunque amico, sarebbe solo un segno di rispetto», così ha risposto. Ma io intendevo essere qualcosa di diverso da una semplice amica. Pur non sapendo in che modo gliel’abbia detto, lui lo ha capito e ha risposto: «Tu sai cosa direbbe la gente». Ho protestato che non m’importava, e in ogni caso, chiunque di noi due muoia per primo, il modo in cui abbiamo redatto i rispettivi testamenti farà dire alla gente la medesima cosa. Kahlil si è molto turbato, con mia grande sorpresa. «Perché Mary, perché stai parlando di questo?». Mary Haskell a Kahlil Gibran

PERCHÉ DOVREI SENTIRMI UN ESTREMISTA SE VOGLIO BENE A DIO? Ho scoperto che essere cattolici praticanti equivale a esser tacciati come estremisti-fascisti. Spesso infatti vengo purtroppo additato come tale, poiché i miei principi sono considerati dalle persone con cui spesso parlo troppo radicali: la tutela dell’identità cristiana dell’Italia e dell’Europa; la difesa della sacralità della vita e della famiglia; guardare, con la massima tolleranza, verso tutti gli altri culti religiosi, promuovendo il dialogo tra le culture e le civiltà purché ci sia alla base un rispetto per la storia e la simbologia cristiana del nostro Paese; impedire l’allargamento dell’Unione europea a tutti quei Paesi la cui storia sia incompatibile con quella degli altri stati europei; chiedere il ripristino del concordato Stato-Chiesa del 1929 (Patti Lateranensi), in modo che la Chiesa Romana riprenda pienamente il ruolo di guida spirituale del popolo. Perché dovrei sentirmi un estremista se voglio bene a Dio e al mio Paese? Perché devo essere accusato d’essere un fascista quando non lo sono? Non è detto che un cattolico vada per forza in giro a sventolare bandiere con croci celtiche o altro! Si sbaglia forse nell’esser turbati dall’avanzamento dell’integralismo islamico o, ancor peggio, dell’ateismo in Europa e nel mondo? Perché non dovrebbe inquietarci il massacro dei cristiani in India? Noi cristiani non andiamo negli altri Paesi a fare guerre sante, noi si va per aiutare gli altri, con la parola di Dio e non con i fucili! Tutti parliamo di integrazione razziale, e ciò è giusto, ma co-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

30 aprile 1977 Prima marcia delle Madri di Plaza de Mayo, che reclamavano informazioni sui figli desaparecidos, scomparsi 1993 Durante un cambio di campo al torneo di tennis di Amburgo, Monica Seles viene accoltellata da uno squilibrato sostenitore della rivale Steffi Graf 1998 La Nato si espande approvando l’ingresso di Repubblica Ceca, Ungheria e Polonia 1999 La Cambogia si unisce all’Associazione delle Nazioni del sud-est asiatico 2002 Un referendum in Pakistan approva il governo militare di Pervez Musharraf per altri cinque anni 2004 Viene notato Sasser, un worm che in pochi giorni arriva ad infettare una buona parte dei computer del mondo 2006 Monsignor Luigi Biraghi, fondatore della Congregazione delle suore Marcelline nel 1838, viene beatificato da Benedetto XVI 2008 Gianfranco Fini viene eletto presidente della Camera dei deputati

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

me possiamo accettare liberamente altre culture, talune diversissime dalla nostra, se non riflettiamo bene sul nostro passato politico e religioso? Oltre duemila anni di cristianesimo non si possono cancellare con un colpo di spugna, eppure sembra che al giorno d’oggi nessuno ci dia importanza… Quanti sono d’accordo con me? Quanti mi danno torto? Che mi diano pure dell’estremista, del fascista (e ribadisco di non esserlo), che dicano di me le cose peggiori, ma alla storia del mio Paese e al crocifisso nei luoghi pubblici ci tengo, perché fa parte della mia identità, del mio essere cristiano, del mio essere cattolico, del mio essere italiano. Forse gli altri no, ma Dio mi capirà e, qualora avrò sbagliato, mi perdonerà.

Mirco Pervilli - Albinea (RE)

IL RITORNO DELLA DROGA La severità giuridica e giudiziaria sul caso droga è un problema che deve essere ripreso dal governo al più presto. A Mergellina, noto luogo napoletano di natura e ristoro, ho visto varie persone sniffare la coca in tutta tranquillità. Dopo tutti i provvedimenti improbi del passato, non è che poi si può facilmente passare alla risoluzione del problema, solo perché finalmente abbiamo il governo giusto. Il danno che è stato fatto in passato dal buonismo di molti ministri della sinistra, ha contribuito all’affermazione di un vero e proprio status, che si presenta libero proprio in quelle zone dove l’assembramento umano facilita l’uso e lo smercio.

DALL’ASSEMBLEA NAZIONALE DELL’UDC UN IMPORTANTE DIBATTITO SUL FUTURO DELL’ITALIA L’assemblea nazionale dell’Unione di Centro ha rappresentato un importante momento di dibattito sul futuro dell’Italia. Nel corso dei lavori sono intervenuto per raccontare l’esperienza dei giovani dei Circoli Liberal, un movimento che abbraccia due generazioni, quella dei ventenni e quella dei trentenni. In questi mesi di impegno sul territorio ci siamo spesso interrogati sulle cause della crescente sfiducia nel futuro che si avverte nel Paese. Pensiamo che una della cause sia riconducibile al fatto che da tempo la politica si è allontanata dalle persone comuni, creando un solco sempre più ampio tra istituzioni e cittadini. E quando la politica arretra, lascia inesorabilmente spazio ad altro: ai tanti particolarismi e alle troppe rendite di posizione che il Paese non può più sostenere. Si è così smarrito il senso di concetti basilari per un Paese maturo, quali il merito, la responsabilità, il giusto rapporto tra diritti e doveri. Una delle conseguenze è stata l’incapacità di porre mano a profonde riforme strutturali in un Paese che ha accumulato notevoli ritardi e che sta crescendo al di sotto della media europea. Questo ci impone di andare ad affrontare rapidamente e concretamente molti dei nodi irrisolti del sistema Italia. Penso ad un rilancio dell’economia che sappia coniugare la crescita con la solidarietà, ad una riforma della macchina dello Stato e di tutti i servizi pubblici, finalizzata a ridurre i troppi sprechi e a riportare i cittadini al centro di ogni scelta di vita pubblica, ad una riforma della giustizia finalizzata a garantire diritti primari quali la certezza del giudizio, la certezza della pena per chi ha commesso reati e il giusto risarcimento per chi è stato danneggiato, alla riscoperta dei concetti di merito, capacità, competenza. Perché ciò sia possibile è necessario il responsabile contributo di tutti, maggioranza e opposizione. È necessario andare ad invertire l’ordine delle priorità della politica. Per ritornare alla politica del bene comune, dando il buon esempio, recuperando il senso dell’etica nella vita pubblica, riportando i cittadini a recuperare fiducia nelle istituzioni. È questa, infatti, la condizione essenziale per avviare una fase nuova all’insegna di una ritrovata coesione sociale, in cui tutti i cittadini possano riprendere a remare nella stessa direzione, nell’interesse del Paese. Mario Angiolillo P R E S I D E N T E NA Z I O N A L E LI B E R A L GI O V A N I

APPUNTAMENTI MAGGIO 2009 VENERDÌ 15, MASSA CARRARA, ORE 18 CASTELLO DI TERRAROSSA (LICCIANA-NARDI) “Vento di Centro, verso il partito della Nazione”. Evento regionale dei circoli liberal della Toscana con la partecipazione di Ferdinando Adornato.

VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

B.R.

Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Filippo La Porta, Maria Maggiore,

Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio

Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,

Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,

Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma

Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via di Santa Cornelia, 9 00060 Formello (Rm) - Tel. 06.90778.1

Amministratore Unico Ferdinando Adornato

Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69922118

Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Marco Staderini Amministratore delegato: Angelo Maria Sanza Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato,Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Emilio Lagrotta, Gennaro Moccia, Roberto Sergio Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: 0669924747

Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani,

Emilio Spedicato, Davide Urso,

Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna)

Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari,

Marco Vallora, Sergio Valzania

Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.”

Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner,

Abbonamenti

06.69924088 • fax 06.69921938 Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro

Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc

e di cronach

via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it

Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.