2009_05_01

Page 1

La prova che nell’Universo

he di c a n o r c

90501

esistono altre forme di vita intelligente è che non ci hanno ancora contattato

9 771827 881004

Bill Watterson

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA

di Ferdinando Adornato

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

PRIMO MAGGIO ITALIANO: TORINO CONQUISTA DETROIT

Obama annuncia la firma dello storico accordo tra la Fiat e la Chrysler

Una giornata particolare alle pagine 2, 3, 4 e 5

Quattro morti in Olanda, un’auto contro la famiglia reale

L’attentato alla Regina AMSTERDAM. È stato un vero e proprio attentato alla famiglia reale d’Olanda. Durante la parata che si stava svolgendo in occasione della Festa della Regina, nel paese di Apeldoorn una macchina, tentando di colpire il bus con a bordo la Regina e i suoi familiari, ha investito un gruppo di presenti uccidendo 4 persone e ferendone 13. a pa gi n a 1 6

Quattro pagine speciali

HA UN SENSO L’UNIVERSO?

È da sempre la domanda delle domande. Ma oggi lo sviluppo della tecnica la rende più attuale. Rispondono tre scienziati di fama internazionale: Owen Gingerich, Christian de Duve, Elie Wiesel

da pagina 18

Febbre suina: quasi trecento i contagi accertati in tredici Paesi

Oms: «Sarà pandemia» In Italia quarantena per chi torna dal Messico i fronte al dilagare del contagio da influenza suina, il mondo si mobilita per scongiurare la pandemia. Mentre l’Organizzazione mondiale della Sanità, ufficializzando da Ginevra che i casi di infezione sono 236, rispetto ai 148 di mercoledì, fa sapere che per ora non esistono le condizioni per alzare a 6, massimo grado della scala, il livello di emergenza. In Italia, la Farnesina ha confermato che una bambina italiana, Angela, residente in Messico e figlia di padre italiano e madre messicana, è ricoverata per sospetta febbre suina. Mentre il sottosegretario alla salute, Ferruccio Fazio, «invita i cittadini che rientrano dal Messico a rimanere a casa per sette giorni a partire dalla data di rientro in Italia». Una sorta di quarantena volontaria per evitare il propagarsi del contagio. Il Messico intanto si ferma e decreta 5 giorni di blocco parziale dell’economia. Mentre emergono altri casi conclamati anche in Europa dove adesso sono sei i Paesi colpiti: gli ultimi Stati dove sono stati trovati pazienti con il virus A/H1N1, sono l’Olanda

D

gue a p•aE gURO ina 91,00 (10,00 VENERDÌ 1 MAGGIOse2009

CON I QUADERNI)

(dove si è ammalato un bimbo di tre anni che era rientrato il 27 aprile dal Messico dove aveva partecipato a una festa di famiglia) e la Svizzera, a Baden. E il mondo si attrezza per far fronte all’eventuale pandemia. Mentre il commissario Ue ha invitato a non cedere al panico, i ministri della sanità si sono riuniti a Lussemburgo per cercare di coordinare le misure per contenere il virus, confermando di essere contrari alla sospensione dei voli verso il Messico, così come già detto dalla presidenza Ue.Intanto il presidente del Messico, Felipe Calderon, ha ordinato un fermo parziale dell’economia dal primo al 5 maggio: in quei giorni lavori e servizi non essenziali saranno sospesi, compresa gran parte dell’attività della pubblica amministrazione e di molte aziende private. Nel suo primo discorso in tv da quando è iniziata l’emergenza, Calderon ha invitato i cittadini a restare il più possibile a casa durante il blocco in modo da favorire la lotta all’epidemia.

• ANNO XIV •

Continua la polemica aperta da Veronica Lario

Veline connection ROMA. Non è solo una questione di donne, naturalmente. Tant’è vero che continua la polemica politica sulla querelle aperta da Veronica Lario. Il balletto sulle «veline» è continuato ieri. Silvio Berlusconi, alla convention della Coldiretti, ha esordito spiritosamente, come nel suo stile: «Non ho portato le veline ma ho fatto alcune telefonate e ho scoperto che sono plurilaureate e hanno tanta esperienza in politica. Altrimenti non le avremmo messe in lista». Poi, mescolando parole a facce buffe e smorfie per ironizzare sulle espressioni dei suoi bersagli, ha aggiunto: «Chi aveva parlato di demagogia? Un certo onorevole Casini. Chi ha parlato di filiera italiana come fanciullaggine? Un certo D’Alema. Io non parlo mai male dei miei oppositori, ma quando se la tirano, se la tirano». E giù applausi dei fan... Ma il problema rimane e riguarda il rapporto tra il potere pubblico e la moralità privata, tema che negli Stati Uniti è molto sentito ma in Italia molto meno. Noi di liberal abbiamo chiesto di commentare questa “veline connection”a tre donne assai diverse fra loro: Assunta Almirante, Anna Maria Bernardini De Pace e Linda Lanzillotta. Che su una cosa sono d’accordo: si tratta di scene da monarchia in decadenza.

se g ue a p a gi na 14

NUMERO

86 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

a pa gi na 8

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


prima pagina

pagina 2 • 1 maggio 2009

Primo Maggio. Dalla Casa Bianca la conferma definitiva dello storico accordo tra il Lingotto e la casa di Detroit

Autostima italiana

È fatta. Obama annuncia: «La Fiat darà vita a una grande azienda americana». Torino avrà il 20%. Fallimento pilotato della Chrysler. Dopo, vetture ecologiche di Enrico Cisnetto envenuti nel grande “Fondo Sovrano dell’Auto”. Con l’accordo di ieri tra Fiat e Chrysler nasce, infatti, una nuova entità al cui vertice sale l’Imperatore dal maglioncino blu, Sergio Marchionne. Un impero dai confini indefiniti e dalle caratteristiche totalmente nuove, che non è privo di rischi: dal punto di vista industriale, delle strategie, del prodotto. Sul primo fronte, la stessa Fiat, pur in parte risanata, non si può dire che goda di ottima salute: il gruppo ha chiuso l’ultimo trimestre con una perdita netta di oltre 400 milioni di euro (la stessa cifra che esattamente un anno fa registrava con davanti il segno “più”), mentre il fatturato ha perso un quarto del suo valore. Chrysler, da parte sua, è notoriamente sull’orlo del fallimento dopo essere sopravvissuta a uno dei matrimoni più infelici della storia, quello con la Daimler, ormai diventato un caso di scuola di come si brucia valore. Altra caratteristica totalmente nuova di questo nuovo soggetto sarà la sua composizione: sarà, infatti, un impero prima di tutto sindacale – almeno fino a quando Detroit avrà restituito i prestiti allo Stato e la Fiat potrà salire di quota – con la maggioranza della proprietà in mano agli aggressivi sindacati americani (Uaw) e canadesi (Caw). Ci sono poi gli Stati, secondo “cavaliere” a sedere alla tavola imperiale: a quello statunitense andrà l’8%, a quello canadese il 2%. «Non abbiamo interesse a possedere quote attive di società nel lungo periodo, preferiamo occuparci di cose come l’influenza suina e la ricostruzione economica del Paese», ha detto tra il serio e il faceto il presidente Obama, che con l’operazione Chrysler-Fiat sigilla anche i suoi primi 100 giorni di mandato.

B

Tutti i particolari della partnership Marchionne: «Nel 2013 arriveremo al 51%» di Alessandro D’Amato

ROMA. Alla fine ha avuto ragione Sergio Marchionne. L’amministratore delegato di Fiat aveva scommesso sulla bancarotta di Chrysler, e il colosso di Detroit ieri ha chiesto ufficialmente l’ammissione al Chapter 11. Il Teroso Usa l’ha concessa, ma al tempo stesso ha garantito un finanziamento di 3,5 miliardi di dollari. Così è arrivata la firma con il Lingotto. Lo ha annunciato in diretta televisiva niente meno che il presidente degli usa Barack Obama: «La Fiat contribuirà a creare una grande azienda americana» è stato il suo commento. D’altra parte, ha aggiunto, «la possibilità di un fallimento non pilotato della Chrysler era tutt’altro che remota». L’accordo con la Fiat, invece, non solo rilancerà la casa di Detroit, ma «eviterà il licenziamento di 30.000 operai americani». Ed è per questo che i sindacati usa e canadesi hanno accettato condizioni estremamente restrittive pur di non far saltare l’accordo con Torino. Marchionne, da parte sua, ha annunciato trionfale che per l’Italia è «un momento storico». Insomma, la procedura di bancarotta non lo inficia, ma semmai lo rende più lento: invece di acquisire la sua quota (per ora il 20%, ma Marchionne ha detto che dal 2013 Fiat avrà il 51% della casa di Detroit) direttamente dalla società, la Fiat comprerà dal fallimento i rami aziendali che le interessano, e proverà a rilanciarli nell’operazione di sbarco su un mercato statunitense che, dopo il crollo delle grandi aziende americane, si preannuncia, a crisi finita, di nuovo aperto e in concorrenza. «Le condizioni dell’operazione restano le stesse

– fanno sapere fonti vicine alle trattative -. L’unico problema potrebbero essere i tempi che si allungheranno». D’altra parte, il «fallimento pilotato» della Chrysler durerà per un periodo tra i trenta e i sessanta giorni. Secondo l’agenzia di stampa statunitense Detroit Free Press, che cita «un funzionario dell’amministrazione Obama», a far scattare il ricorso alla procedura fallimentare sarebbe stata la mancata adesione di alcuni piccoli creditori: tre fondi che, insieme, avanzano un miliardo di dollari dalla Chrysler. Tre fondi in particolare hanno fatto lobby per rafforzare il fronte del no: si tratterebbe di Oppenheimer, Perella e Stairway. Secondo la stessa fonte, la mancanza di accordo con i creditori «non impedirà a Chrysler di ristrutturarsi e emergere più forte» dall’amministrazione controllata. La Detroit Free Press scrive che Chrylser potrebbe restare in amministrazione controllata per non più di 30 giorni facendo coincidere, di fatto la chiusura del periodo di amministrazione controllata con la scelta sul futuro di General Motors che ha tempo fino al 31 maggio per evitare a sua volta la bancarotta.

Dall’inizio dell’anno Chrysler ha ottenuto 4 miliardi di dollari di prestiti governativi, dopo aver comunicato che non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere con i propri mezzi a causa della forte contrazione delle vendite di auto negli Stati Uniti. A marzo la task force sull’auto scelta dall’amministrazione Obama ha rifiutato il piano di ristrutturazione presentato dall’azienda, precisando che senza un partner non sarebbe stata in grado di rimanere in vita. Il governo ha quindi dato tempo all’azienda fino al 30 aprile per stringere un’alleanza con Fiat, ottenere concessioni dai sindacati e convincere i creditori a concedere degli sconti. Il governo americano ha promesso un prestito di altri 6 miliardi di dollari ad accordo fatto. E ieri l’amministrazione Obama, per bocca del funzionario, ha dichiarato: «La bancarotta non era la soluzione preferita, ma la mancanza di un accordo con i piccoli creditori l’ha resa necessaria». Soprattutto, fa sapere il Tesoro, Chrysler non chiuderà nessuno dei suoi stabilimenti, forse nemmeno per i 30-60 giorni necessari alla procedura fallimentare.

E dunque sarà una partecipazione a tempo, ma è pur sempre significativo che la Casa Bianca, storicamente individuata come il tempio del liberismo, diventi una sorta di Ministero delle Partecipazioni statali, seppur provvisorio.

Accanto a un pezzo di “modello renano”e alla Casa Bianca, in questo strano accorpamento, ci saranno poi le banche, i fondi di investimento, ma anche altri pezzi di governi: quello tedesco, per esempio, se andrà in porto l’altra grande strategia marchionniana, quella di puntare alle operazioni europee di General Motors, ovvero fondamentalmente Opel e la gemella inglese Vauxhall. Così, in questo variegato mix imperiale entrerebbe a pieno titolo anche Angela Merkel, forte dei 3 miliardi di euro elargiti a Opel per non soccombere, e pronta a reclamare certamente un posto al sole in questa nuova unità geopolitica. Sul fronte tedesco, però, l’Impero si troverebbe di fronte a un nuovo teatro di guerra, probabilmente più arduo di quello affrontato per conquistare l’Atlantico. I sindacati tedeschi sono, infatti, molto meno teneri dei loro colleghi americani (e abituati molto meglio), e facendo trapelare nei giorni scorsi l’interesse di Fiat per Opel sono riusciti a scatenare una forte ondata di sdegno nazionalistico, anche in vista delle elezioni europee. Infine, il ruolo di Torino: che ufficialmente avrà, per cominciare, il 20% della nuova Chrysler, e poi potrà salire ancora. Ma a patto di non sborsare un euro, questo è chiaro: nemmeno un euro dai floridi profitti della finanziaria di famiglia, Exor, andrà all’auto, ha detto espressamente lo stesso John Elkann qualche giorno fa. Ma non solo: «Se dovremo essere più piccoli in un insieme più grande, ci va bene», ha suggerito il capo del casato torinese. E qui, è probabile che si verifichi allora un cambiamento a U nella strategia finora tenuta dalla famiglia. Comincerebbe a delinearsi, infatti, quel famoso “split” dall’auto che finora la dynasty torinese non aveva voluto sentire nemmeno nominare, e che aveva costituito l’unico grande paletto frapposto all’opera del salvatore della patria Marchionne. Nel frattempo, però, c’è stata la crisi, che ha rivoluzionato tutti i mercati, e dunque non si vede perché dovrebbe lasciare inalterate le regole di quello dell’auto. Infine, ultimo fronte aperto per l’Impero marchionniano sarà quello delle sinergie. Dei marchi appartenenti alla galassia Chrysler, l’unico veramente interessante e non improponibile è Jeep. Per il resto, il gruppo sconta una gamma composta da modelli di scarso appeal, vecchi di un decennio, che potrebbero beneficiare delle tecnologie a basso consumo e della leadership Fiat soprattutto nei segmenti inferiori. E Fiat, a sua volta, beneficerà della grande rete di distribuzione Chrysler


prima pagina

1 maggio 2009 • pagina 3

«I lavoratori hanno accettato condizioni disperate»: il controcanto di Carniti

«È un assurdo sindacale Ora vi spiego perché» di Vincenzo Bacarani

ROMA. Dopo una consultazione nei vari stabili- ca consiste nel fatto che ormai l’industria produmenti, circa l’ottantacinque per cento degli iscritti al sindacato United Auto Workers ha accettato la proposta dell’accordo Fiat-Chrysler con l’entrata nel capitale e nel consiglio d’amministrazione della nuova azienda della più potente organizzazione dei lavoratori americana, la Uaw appunto. Un evento in un certo senso storico perché è la prima volta che i sindacati diventano azionisti di maggioranza (con il 55 per cento), pur non avendo la governance dell’azienda, ed è la prima volta che si accollano gli oneri per garantire ai lavoratori pensioni e assistenza sanitaria che prima erano a carico della Chrysler. Sarebbe percorribile in Italia una strada del genere? E se l’eventualità si fosse presentata venti o trent’anni fa, anni in cui proprio la Fiat versava in profonda crisi, che cosa sarebbe successo? Lo abbiamo chiesto a un nome illustre del sindacalismo italiano degli anni passati, Pierre Carniti. Segretario nazionale della Fim (l’organizzazione dei metalmeccanici della Cisl) negli Anni Settanta e poi segretario generale della Cisl dal 1979 al 1985, Carniti ha poi scelto la strada politico-sociale. Deputato europeo per due legislature, ha fondato il Movimento dei Cristiano Sociali che sono poi confluiti tra i Democratici di Sinistra e, infine, nel Partito Democratico. Carniti, come giudica nel complesso questo accordo Fiat-Chrysler? Non si possono conoscere i dettagli dell’intesa e quindi è difficile esprimere un giudizio articolato. Quello che mi viene in mente è che trovo sorprendente che sui giornali italiani in questi stessi giorni venga in un certo senso chiesto ai sindacati americani di fare un passo in avanti ed entrare nel cda della Chrysler, diventando azionisti e su altre pagine degli stessi giornali si parla delle vicende della Banca Popolare di Milano, dove ai sindacati, che sono da tempo soci e sono presenti nel cda, si chiede di allontanarsi, di fare un passo indietro. E pensare che la Bpm è una delle poche banche che non si è sporcata le mani con i fondi derivati. Quando le aziende sono in crisi, ai sindacati viene chiesto di fare un passo avanti, quando vanno bene di fare un passo indietro. Curioso, no? Va bene, ma, hanno fatto bene i sindacati americani ad accettare la proposta? Direi che non avevano altra scelta. Si trovavano in mezzo a un fiume e rischiavano di annegare. È un tentativo per salvare la situazione, ma è un’impresa difficile perché la crisi automobilisti-

ce il 35 per cento in più rispetto alla domanda e temo che in futuro ci saranno ovunque lacrime e sangue. Se va bene, è un miracolo. È proponibile in Italia un’ipotesi di sindacati azionisti di maggioranza? Mi sembra che il caso americano non indichi una strada, un percorso. Ma che sia il frutto di una situazione drammatica. Diverso sarebbe stato se la decisione fosse stata presa in maniera reciproca per tentare strade diverse. Ma nella cultura capitalistica e sindacale la reciprocità si è vista raramente. Se una proposta simile vi fosse stata avanzata negli Anni Settanta, come vi sareste comportati? Beh, qui ragioniamo su ipotesi che peraltro non si sono verificate. Abbiamo avuto in quel periodo alcuni casi di aziende autogestite che poi si sono risollevate. Forse avremmo anche accettato, ma solo se l’azienda avesse chiuso i battenti l’indomani, se l’alternativa fosse stata quella di mandare tutto a rotoli. Insomma, è pessimista sull’esperimento americano? Dico che è un’impresa difficilissima che ha la mia solidarietà. Ho grande stima, peraltro, nei confronti di Marchionne che credo sia uno dei migliori manager al mondo. Dico solo che questa strada viene intrapresa ora a causa di una situazione disastrata e non si può partire da qui per dire che è un modello da seguire. Se invece questa idea fosse nata spontaneamente, in una situazione diversa e non di crisi profonda, allora sì che si sarebbe presentata l’occasione per cominciare a ragionarci sopra. Ma la situazione, in questo caso, è ben diversa. Siamo di fronte a un accordo della disperazione.

È incredibile che le Unions abbiano la maggioranza senza rappresentanti nella governance

oltreoceano. Ma, a parte il fascino del marchio Alfa Romeo – che continua ad essere apprezzato in tutto il mondo – e con l’assenza italiana in un segmento come quello delle grandi berline, bisognerà capire se e quanto gli americani saranno pronti a cambiare mentalità e abitudini, passando dai grossi suv e pickup alle minimaliste Panda e Cinquecento.

Come ogni Impero che si rispetti, dunque, anche quello marchionniano sarà sottoposto a una serie di sfide sia all’interno (compagine degli azionisti, produzione) che all’esterno (strategie nei confronti dei vicini e dei nemici, momento di mercato devastante). Per Marchionne si tratta certamente di una vittoria, che lo porta nel novero dei grandi “statisti” dell’auto, a fianco di figure come quelle di Lee Iacocca, l’altro salvatore italo-americano di Chrysler, o al franco-brasiliano Carlos Ghosn, artefice del rilancio di Renault-Nissan e modello a cui lo stesso Marchionne non fa mistero di ispirarsi. Diverso il discorso per il casato torinese, che con l’accordo di ieri si avvia a entrare a far parte di un “impero” ma si predispone, però, a cedere una corona: quella di un – pur piccolo – stato sovrano. (www.enricocisnetto.it)

Qui sopra, incorniciata tra i loghi di Fiat e Chrysler, una foto storica: l’avvocato Gianni Agnelli insieme a Vittorio Valletta ospiti di Henry Ford durante un viaggio negli Stati Uniti negli anni Cinquanta: quasi una premonizione dell’accordo annunciato ieri da Obama


prima pagina

pagina 4 • 1 maggio 2009

Ritratti. Fermo immagine sull’imprenditore italiano che ha fatto breccia nel cuore del capitalismo statunitense

Adesso Gianni si dice John È il primo trionfo della sua era. Ma in realtà tutte le mosse del giovane Elkann raccontano l’idea di un nuovo ”modello Italia” di Angelo Crespi entre i fratelli, Ginevra e Lapo, a un primo sguardo hanno molto degli Elkann, i tratti di John appaiono più vicini a quelli degli Agnelli-Caracciolo. Ma la postura timida che talvolta sembra ritrosia, il modo di guardare l’interlocutore quasi con curiosità trattenuta - uno sguardo affilato - ricordano il padre. Perfino la cravatta di maglia, non nera come quella indossata di rigore da Alain, ma colorata spesso azzurra, discendono dall’eleganza paterna, misurata e contenuta nei minimi particolari che si concede solo un piccolo vezzo.

M

Jaky, ovvero John Elkann, è il capostipite di una nuova dinastia frutto dell’incontro di due famiglie dalle storie egualmente affascinanti. Gli Elkann riassumono la complessità del mondo ebraico, la storia a tratti perfino dolorosa di una tradizione cosmopolita e da sempre in fuga. Gli Agnelli, al contrario, le solide radici di una grande famiglia di industriali italiani, piemontesi, torinesi, legati in modo direttamente proporzionale alla loro città, alla loro regione, al loro paese. Jaky è poliglotta per via paterna, torinese per via materna. Parla francese con la sorella, ma conosce alla perfezione l’inglese e il portoghese, il liceo lo ha frequentato a Parigi, ma si è laureato in ingegneria al politecnico di Torino, assecondando la carriera che il nonno Gianni aveva preconizzato per lui, puntando infine dopo i tragici percorsi del destino, e con grande intuito, su un nipote che non portava direttamente il cognome Agnelli. Ma adesso per tutti, il piccolo Jaky, cresciuto è semplicemente John Elkann. Trentatre anni sposato con Lavinia Borromeo, due figli, Leone e Oceano, John è diventato di fatto il capo di una famiglia numerosa e dalle molte diramazioni come gli Agnelli, ma è anche il maggior azionista di Fiat, che controlla attraverso Exor. Due responsabilità enormi, molti credevano troppo pesanti per spalle così giovani, assunte qualche anno fa, in un momento cruciale, quando la

crisi minava l’industria automobilistica e i lutti mettevano a dura prova le maglie del clan. Con raro under statement è riuscito a sorpassare le difficoltà ed ora raccoglie i frutti di un lungo lavoro di apprendistato. In questi giorni, John è sotto i riflettori mondiali per l’avvenuta acquisizione di Chrysler da parte di Fiat, il cui merito ovviamente va iscritto anche a un altro italiano atipico come Sergio Marchionne. John appare sicuro nelle sue sempre più frequenti eppur misurate dichiarazioni pubbliche. Non si può nascondere un certo orgoglio nel vedere un giovane imprenditore italiano che fa breccia nel cuore del capitalismo americano, proprio nel settore dell’automobile in cui gli States furono leader incontrastati.

John di fatto rappresenta l’Italia che agli italiani piace: giovane, dinamica, affidabile. Di fatto gli Agnelli sono stati la famiglia reale che non abbiamo avuto o che avremmo voluto

avere. Per decenni, uno dei vanti nazionali è stato appunto Giovanni Agnelli. Uno dei pochissimi italiani nel mondo riconosciuto, ascoltato, riverito. Le sue frequentazioni altolocate, le sue amicizie personali con i Kennedy, coi Rockfeller, con Kissinger, perfino le pose blasé, l’eleganza fuori dall’ordinario, la erre arrotata ma non stucchevole, i motti di spirito, l’ironia sferzante, risarcivano in parte noi italiani, popolo di emigranti, emendando quello stereotipo “pizza e mandolino e mafia” che all’estero persiste ancora. Anche John contribuisce a migliorare l’immagine dell’Italia al-

l’estero con stile meno eccentrico e forse ancora più efficace. Non è un caso che testate quotate come il Financial Times e l’Economist tessano le sue lodi. «Basta parole, pensino a vincere» è la sua più recente dichiarazione sulla Juventus. In essa è racchiuso l’aplomb di John: se fosse davvero il capostipite di una nuova dinastia reale potrebbe essere iscritto nello stemma nobiliare. «Basta parole, pensino a vincere».

Con questo stile dirige, spesso in posizione defilata, il mondo che gli ruota intorno oltre la Fiat; l’editoria con la Stampa, il think tank dell’Italian Aspen Institute, la fondazione Giovanni Agnelli di cui ha modificato l’ambito di ricerca, puntando tutto sul tema

L’opinione di Giampiero Mughini, scrittore e tifoso eccellente

«Eppure con lui la Juve non risorge» di Francesco Lo Dico

ROMA. «Nessuno è Rambo, e non lo è neppure John Elkann. Il tempo cambia per tutte le cose. È cambiata anche la Juventus e sono cambiate anche le storie di chi, anni fa, la portò sul tetto del mondo». Gampiero Mughini, scrittore dalle voraci passioni, ha sempre accompagnato la franchezza del pensiero con la squisitezza dell’eloquio. Non fa eccezione neppure la Juventus, la stessa che lo scorso anno, definì nel suo libro, Juve. Il sogno che continua, «l’unica donna della nostra vita che non ci ha mai tradito». Prima John Elkann rimbrotta la Juve. Poi annuncia l’accordo tra Fiat e Chrysler. Ce n’è abbastanza perché i bianconeri tornino a sognare? La realtà è che la Vecchia Signora, quella venerata da Gianni e Umberto Agnelli, non c’era più già nel 2006. Proprio come la Fiat tanto amata da loro padre, da dirigenti storici come Vittorio Valletta che le avevano dedicato un’attenzio-

ne esclusiva, e ne avevano fatto oggetto di una devozione filiale. Era amore puro, fatto di rispetto e sentimenti gentili. Amore di galantuomini. E John Elkann? Solo un flirt passeggero? Per gli Agnelli la Juve era stato tutto. Per Elkann è qualcosa di molto più piccolo. Qualcosa di diverso che ha spostato la passione per la squadra dall’asse dell’assolutezza a quello della relatività. La sento rammaricato. È inevitabile. E credo di condividere un po’ della mia amarezza con undici milioni di tifosi bianconeri. Tre anni fa hanno visto scivolare nei ricordi una squadra-capolavoro smontata in alcuni elementi chiave, venduti alle rivali. Di allora resta loro la rabbia. Assalto alla diligenza, o alla dirigenza? Non bisogna dimenticare che proprio a causa della debolezza politica ed economica della Fiat, la dirigenza non spese una parola in difesa della Triade che l’ha portata in cima al mondo e ce l’ha tenuta per anni. Nonostante Chrysler, non sarà John Elkann a risollevare la Juve, insomma. Risollevare la Juventus? In confronto, l’accordo con Chrysler è una passeggiata di salute.

dell’istruzione. Recentemente quando ha presentato il primo rapporto sulla scuola stilato dalla fondazione di famiglia ha dichiarato: espressamente «Una buona scuola è senza dubbio la base per lo sviluppo di un paese. Ma l’istruzione è ben di più. È una leva potente per la realizzazione personale dell’individuo. Uno strumento importante di mobilità sociale per chi abbia talento e motivazioni. Inoltre è il luogo primario per la formazione dei valori civici». Una sorta di programma questo per rilanciare il nostro Paese, stilato da chi, come lui, già rappresenta la nuova classe dirigente italiana. Il ricambio generazionale nel suo caso è stato velocizzato dal destino. Ma è segno di grande responsabilità che nella sua posizione stia pensando a quello degli altri suoi coetanei. Alla Stampa pochi giorni fa, ha nominato direttore Mario Calabresi, 39 anni. Un segno tangibile di come stia pensando il futuro dell’Italia e prospettando un nuovo modello di Paese.


prima pagina

ROMA. Il giorno del trionfo

1 maggio 2009 • pagina 5

Le aziende nascondono una preoccupante mancanza di ricambio generazionale

questo è un metodo seguito soprattutto dalle imprese di grandi dimensioni. Un altro sistema consiste in programmi di training, cioè periodi di affiancamento che assicurino il passaggio di conoscenze dai senior ai più giovani e quest’ultimo sistema, più prudente, è quello preferito dalle aziende con meno di 50 dipendenti (29%).

Ma dietro ai più famosi, nuovi manager (non) crescono

di Sergio Marchionne e John Elkann impone un’analisi del panorama dei manager italiani. I “babyboomers”, infatti, stanno percorrendo il viale del tramonto e all’orizzonte sembra che non si intraveda un efficace e immediato ricambio. Molti dirigenti e quadri, figli del boom economico - e cioè nati tra il 1946 e il 1964, i “babyboomers”appunto – stanno lasciando il posto di lavoro, ma parecchie aziende sembrano impreparate a sostituirli in maniera adeguata. Lo rivela un sondaggio realizzato in 14 Paesi, fra cui l’Italia, dalla “Robert Half, Finance & Accounting” che ha intervistato 3500 professionisti del settore. Ben il 54 per cento dei dipartimenti di amministrazione e finanza delle aziende del nostro Paese non si sta preparando al pensionamento dei manager. In particolare, il 65 per cento delle aziende con meno di 50 dipendenti trascura questo importante aspetto del management contro il 21 per cento delle imprese di dimensioni maggiori che risulta essere più previdente.

Che cosa accade in pratica? Un manager responsabile di un determinato settore di un’azienda (commerciale, marketing, tecnico, ma soprattutto amministrativo e finanziario) assume l’incarico all’età, per esempio, di 40 anni e mantiene quell’incarico fino alla pensione per 25 anni di seguito acquisendo, in tale arco di tempo, un’esperienza e una professionalità che diventa non solo patrimonio personale, ma - soprattutto - patrimonio dell’azienda stessa.

di Vincenzo Bacarani Quando il dirigente va in pensione, l’impresa si trova di fronte al problema di come sostituirlo e lo fa mettendo, ad esempio, al suo posto un altro quarantenne il quale però non ha avuto la possibilità di apprendere quel patrimonio di conoscenze del suo predecessore. Il nuovo manager compie pertanto i primi passi fidandosi delle conoscenze teoriche, del proprio istinto e delle pro-

Il problema, secondo Vittorio Villa, managing director della Robert Half in Italia, è che «la maggior parte delle aziende continua a preferire un responsabile senior capace di trasmettere ai più giovani gli strumenti professionali più concreti in ambito amministrazione e finanza e, di conseguenza, di apportare all’azienda reali benefici in termini di trasferimento di cono-

Un sondaggio europeo, realizzato dalla “Robert Half, Finance & Accounting”, rivela che le imprese del nostro Paese non si preparano al pensionamento dei vertici prie capacità operative, a volte commette errori ingenui, spesso non viene compreso dai suoi nuovi sottoposti e così il settore di competenza va in difficoltà innescando un meccanismo negativo che potrebbe coinvolgere anche altri settori. L’impresa stessa comprende soltanto allora quanto sarebbe stato invece più utile e lungimirante preparare per tempo sul campo il sostituto. Come evitare una situazione del genere? Ci sono diversi metodi, sperimentati con successo, da molte grandi aziende che potrebbero essere trasferiti anche in quelle di dimensioni più piccole.

scenza. L’approccio è tendenzialmente corretto, ma è strategico che ciascuna organizzazione investa da subito per strutturare il nuovo management in vista del cambio generazionale». Un intervento tempestivo potrebbe in questo modo, secondo Villa «evitare la perdita del patrimonio professionale di conoscenza e, molto importante, di relazioni che caratterizza i dirigenti senior». E ci sono diversi metodi da seguire per ovviare a questi inconvenienti. Uno è velocizzare i percorsi di carriera per poter assicurare all’azienda un solido zoccolo manageriale e

Ma c’è un terzo metodo al quale le piccole e medie imprese sono particolarmente affezionate e rappresenta forse la causa principale nel ritardo di ricambio generazionale: quello dei contratti di consulenza. Il manager sessantacinquenne va in pensione, tiene per sé conoscenze e contatti e l’azienda gli propone di continuare a lavorare, magari con contratti basati su precisi progetti. In Italia il 30 per cento di azienda piccole, medie e anche grandi segue questa strada. In quest’ultimo caso è chiaro che l’impresa non investe, o investe pochissimo, sui futuri manager e tende invece a contenere i costi con contratti di consulenza, magari a tempo determinato, rinnovabili oppure non rinnovabili. Del resto, quante persone sono realmente disposte a continuare a lavorare dopo la pensione ? Non poche, soprattutto se sono manager. E infatti il 43 per cento è per il sì, specialmente se ha lavorato in realtà di grandi dimensioni (49 per cento), se ha ricoperto incarichi di management (il 48 per cento) e se è uomo (il 50 per cento). Ed è anche per questo che il metodo dei contratti di consulenza dopo la pensione è il più gettonato.


diario

pagina 6 • 1 maggio 2009

Il piano-casa? È finito in cantina Dopo annunci e mediazioni, nessuno parla più del provvedimento di Lucio Rossi

ROMA. E il piano casa finì in cantina. È passato appena un mese, ma sembra lontanissimo il 1° aprile (data galeotta?) quando il governo siglò l’intesa che avrebbe scongiurato quanto temuto dalle Regioni: il rischio di un aumento di cubature illimitato che, secondo i governatori, l’esecutivo in barba alle competenze avrebbe voluto varare con misure urgenti (tanto da richiedere il ricorso al decreto legge) per introdurre nuovi strumenti urbanistici per un’edilizia più elastica. Tutto era cominciato con piano annunciato all’inizio di marzo e portato all’attenzione dei ministri per la prima volta il 13 dello stesso mese. Di lì, una serie di colpi di scena che, al netto del terremoto in Abruzzo, hanno riguardato praticamente tutti gli aspetti delle norme. In prima battuta era emersa l’esigenza di spacchettare in due la proposta: da una parte le misure in chiave anticiclica per il rilancio del settore e dall’altro un ddl per riorganizzare la materia edilizia nel suo complesso. Un’esigenza suggerivano al tempo i bene informati - per mettere al riparo le norme da un eventuale impallinamento del Quirinale. Poi la questione dell’aumento delle cubature:

20 per cento (in caso di ampliamento), 35 (in caso di demolizione e ricostruzione), addirittura 40 per cento facendo scattare un bonus del 20 per cento «acquistato» dal vicino di casa. Numeri che avevano esaltato i costruttori e moltiplicato le stime sull’impatto delle misure per la ripresa del settore. Pur tuttavia numeri destinati a rimanere in gran parte sulla carta anche alla luce delle dichiarazioni del 25 marzo scorso del presidente del consiglio Silvio Berlusconi che a sorpresa annunciava: «Tutte false, le indiscrezioni della vigilia sulle cubature. Lo strumento? Forse il decreto o forse no». Insomma tutto da rifare o quasi. Rimase fermo, comunque, il no delle regioni con Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Umbria e Piemonte che minacciarono il ricorso alla Corte Costituzionale: ed ecco la ragione di un altro slittamento. Niente

così come la compravendita delle cubature: gli aumenti avrebbero dovuto essere regolamentati con leggi regionali in grado di fissare limiti più restrittivi rispetto a quello del 20 per cento. Ma anche il decreto minimal annunciato per il cdm dell’8 aprile sfuma a causa un ulteriore pausa di riflessione chiesta dalle regioni e imposta dal terremoto in Abruzzo che un effetto lo produce subito, almeno sulla carta: le norme tecniche sull’edilizia antisismica entreranno in vigore dopo un lustro di rinvii (l’ultimo con il milleproroghe approvato a febbraio scorso), il 30 giugno 2009. Ma gli intoppi non finiscono qui: mentre le Regioni si trovano impegnate in una mappatura degli edifici pubblici a rischio terremoto ecco che le posizioni tornano distanti. Sul tavolo, i governatori hanno calato la richiesta di estensione degli sgravi Irpef previsti per l’Abruzzo sui lavori di miglioramento sismico, il governo propone la nullità delle compravendite in assenza del collaudo statico. Insomma nulla di fatto neppure questa settimana Intanto, solo per fare qualche esempio, la regione Sicilia e il Veneto (e a breve anche la Lombardia) si adeguano all’iniziativa (per ora senza esiti) del governo approvando le linee guida per il rilancio del settore delle costruzioni, anche in deroga agli strumenti urbanistici. In Umbria sono già state approvate leggi con misure per la semplificazione, come la super Dia, mentre il Piemonte ha giocato d’anticipo collocando gli aumenti del 20 per cento già nella legge urbanistica. Insomma, la politica degli annunici di Berlusconi non ha prodotto una legge, né un decreto, ma una gran confusione per chi decide di rinnovare la sua casa.

Un mese fa, il 1° aprile, la comunicazione trionfale dell’accordo fra governo e Regioni. Eppure il decreto non è mai arrivato in porto cdm il 27 marzo sulla bozza di decreto sui contenuti del quale, dopo il disconoscimento del premier, nessuno azzardava più nulla.

A questo punto, tutta la partita passa nelle mani del ministro Raffaele Fitto che ha il mandato a trattare con le regioni e un «ordine»: nessuno strappo con i governatori. Il 1 aprile, infine (ma si fa per dire) l’accordo con l’adozione, prevista entro 10 giorni, di un decreto per operare tutte le semplificazioni statali utili alle Regioni per adottare i propri piani-casa entro 90 giorni. Esclusa dalla bozza, di nuovo rimaneggiata, la possibilità di qualsiasi deroga ai piani urbanistici

Secondo l’Istat, il dato di aprile è 1,3%: in un mese i prezzi al consumo sono aumentati dello 0,3%

Sale l’inflazione: indizio della fine dalla crisi? di Guglielmo Malagodi

ROMA. L’inflazione ad aprile è salita all’1,3%, dall’1,2% di marzo, su base annua. Lo ha comunicato l’Istat, nella stima preliminare, aggiungendo che su base mensile i prezzi al consumo sono aumentati dello 0,3%. A livello tendenziale, il dato segna il primo rialzo, per quanto marginale, dopo sette mesi di tendenza al rallentamento: questo, in qualche modo, potrebbe segnalare una ripresa dei consumi: l’abbassamento dell’inflazione nei mesi scorsi, infatti, era dovuto essenzialmente agli effetti della crisi sull’economia reale. Infatti, secondo il responsabile delle Attività produttive, Claudio Scajola, questa lieve crescita dell’inflazione «può essere colta come un segno del mercato che si risveglia, l’inizio della fine di questa crisi economica. È un dato infinitesimo - ha aggiunto - abbiamo l’inflazione bassa e questo aiuta famiglie e imprese italiane». Gi aumenti congiun-

turali più significativi si sono verificati per i capitoli servizi ricettivi e di ristorazione (+1,1%), trasporti (+0,9%) e Comunicazioni (+0,4%); variazioni nulle si sono registrate nei capitoli abbigliamento e calzature e istruzione.Variazioni negative si sono invece verificate nei capitoli abitazione, acqua, elettricità e combusti-

Continua a scendere invece l’occupazione: a febbraio nelle grandi imprese è scesa dell’1%. Prosegue il trend negativo iniziato nel 2008 bili (-0,5%) e ricreazione, spettacoli e cultura (-0,2%). Gli incrementi tendenziali più elevati si sono registrati nei capitoli bevande alcoliche e tabacchi (+5,1%), prodotti alimentari e bevande analcoliche (+2,7%). Variazioni tendenziali negative nei capitoli trasporti (2,2%) e comunicazioni (-1,2).

Viceversa, sempre secondo l’istituto di statistica, l’occupazione, nelle gran-

di imprese, ha continuato a scendere. A febbraio l’occupazione nelle grandi imprese ha registrato una variazione negativa dell’1% al lordo della cassa integrazione guadagni e del 3,2% al netto della Cig. Il raffronto è sullo stesso mese del 2008. L’Istat aggiunge che l’indice depurato dagli effetti della stagionalità ha segnato un calo rispetto al mese precedente dello 0,2% al lordo della Cig e dello 0,6% al netto dei dipendenti in Cig. A febbraio 2009 l`indice generale delle ore effettivamente lavorate per dipendente (al netto della stagionalità) ha registrato in termini congiunturali una variazione sul mese precedente di meno 0,7%. Al netto degli effetti di calendario, l`indice ha presentato una variazione tendenziale di meno 4,4% per cento. La variazione, nella media degli ultimi tre mesi rispetto ai tre mesi precedenti, è stata di meno 1,8%; nel confronto tra i primi due mesi del 2009 e il corrispondente periodo del 2008 la variazione è stata di meno 3,2%.


diario

1 maggio 2009 • pagina 7

La nave si stava dirigendo verso le acque italiane

Alcune auto sono rimaste coinvolte: quatto i feriti

Motovedetta maltese respinta da Lampedusa

Il Po in piena travolge un ponte a Piacenza

LAMPEDUSA. Se non si può

PIACENZA. Ieri, per colpa del maltempo dei giorni scorsi che aveva gonfiato tutti i fiumi del Nord d’Italia, è crollato il ponte sul Po che collega Piacenza alla sponda lombarda, lungo via Emilia. Un’arcata ha ceduto alla furia della piena del fiume e l’asfalto si è piegato verso l’acqua trascinandovi quattro auto. La strada si è piegata in una sorta di ”v”. Le macchine sono scivolate verso il fiume incastrandosi l’una nell’altra. I passeggeri terrorizzati hanno cercato di trovare salvezza arrampicandosi verso la parte più alta del ponte rimasto ancora integro, mentre un automobilista ha atteso l’arrivo dei soccorritori aggrappandosi alla portiera della sua auto. Pochi centimetri sotto i suoi pie-

parlare di un “grave incidente” fra Italia e Malta, poco ci manca. Ma quello che è avvenuto nel Canale di Sicilia fra la notte di mercoledì e ieri pomeriggio sfiora, piuttosto, il ridicolo. Un gommone con 66 disperati, fra i quali due donne, rimasto in panne, è stato soccorso la notte scorsa a una settantina di miglia a sud di Lampedusa, ma in acque di competenza maltese (la cui costa dista oltre 100 miglia dal luogo del soccorso). Il peschereccio dopo aver preso a bordo i migranti ha proseguito la marcia lentissima (4 nodi), in direzione Lampedusa.

Come già accaduto con il caso della “Pinar” le autorità italiane hanno segnalato l’accaduto ai maltesi. Fino a mercoledì mattina, pur avendo “preso in mano” la gestione del soccorso le autorità dell’isola dei cavalieri, i migranti sono rimasti a bordo del peschereccio che li aveva soccorsi. Poi una motovedetta maltese li ha caricati e, anziché puntare verso “casa”, cioè La Valletta, ha puntato dritto dritto verso la più grande delle isole Pelagie. Questo perché i maltesi, pur avendo gestito l’operazione, ritenevano che le persone soccorse dovessero essere trasportate nel porto più vicino: Lampedusa.

L’unità maltese è arrivata fino al limite delle acque territoriali italiane dove, ad attenderla, ha trovato due motovedette battenti bandiere tricolore, una della Guardia di Finanza e l’altra della Capitaneria di porto. L’unità maltese, così come era avvenuto in precedenza per la “Cap Anamur” e per la “Pinar” non è stata autorizzata ed entrare nelle acque italiane. Questa volta, però, la motovedetta maltese è stata costretta a fare dietro front. «Il ripetersi da parte delle autorità maltesi di atteggiamenti al di fuori del rispetto delle regole internazionali non è accettabile», ha commentato la senatrice della Lega Nord, Angela Maraventano.

Brambilla senza ministero Rimpasto ancora rinviato Scoppia la grana-sicurezza: Maroni chiede la fiducia di Francesco Capozza

ROMA. «Presto verranno nominati un nuovo ministro e tre viceministri». L’annuncio di cambi nella squadra di palazzo Chigi arriva al termine del Consiglio dei ministri, poco prima di mezzogiorno. È Ignazio La Russa a dare la notizia, riferendo quanto anticipato dal premier Silvio Berlusconi durante la riunione di governo. La promozione riguarderà Paolo Romani, attuale sottosegretario alle Comunicazioni (che diventerà vice nell’ambito del dicastero dello Svilupo economico, guidato da Claudio Scaiola) e il leghista Roberto Castelli (che ricopre la carica di sottosegretario alle Infrastrutture). Diventerà “vice” al Commercio con l’estero anche Adolfo Urso (An). In queste ore, come spiegato da Roberto Calderoli, si sta studiando l’ipotesi di un quarto viceministro. Nel governo, dopo tanti tira e molla, si appresta ad entrare un altro componente abbastanza discusso: la rossa Michela Brambilla, attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega al turismo e presidente dei Circoli della libertà. Fonti ministeriali riferiscono che la Brambilla sia stata indicato dallo stesso Berlusconi in Cdm, ma c’è chi assicura che non siano stati fatti nomi. In passato si è parlato anche di Ferruccio Fazio nel ruolo di titolare del dicastero della Salute, ma a riguardo non ci sono novità, anche se le sue quotazioni per un upgrade restano alte.

vori parlamentari fa presumere che se ne parlerà dopo le europee, anche perchè il premier, dicono fonti a lui vicine, vorrebbe misurarsi personalmente nell’urna per poi presentare agli alleati il conto soppesando i nuovi equilibri politici interni. A tal proposito sembra che Berlusconi, poco prima del Cdm, abbia avuto un colloquio privato con Gianfranco Rotondi, il ministro deocristiano che aveva minacciato di lasciare l’esecutivo in segno di protesta per il fatto che il “suo” Paolo Cirino Pomicino è stato lasciato fuori dalla corsa per Strasburgo. Al Rotondi furioso il Cavaliere avrebbe dato rassicurazioni personali proprio guardando ai nuovi equilibri che è certo ci saranno dopo le europee. E c’è chi giura che Berlusconi, se il Pdl dovesse superare il 45% e lui stesso i 5 milioni di preferenze, sarebbe pronto a spendersi per il Referendum. Con un pensierino a delle elezioni anticipate questa volta plebiscitarie.

Placato Rotondi, però, nel governo c’è nuovamente un problema Lega legato al nodo Sicurezza. Martedì, infatti, si terrà una riunione tra il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, i ministri della Difesa, Ignazio La Russa, e della Giustizia, Angelino Alfano, e i capigruppo di maggioranza per verificare se si può andare avanti sul ddl sicurezza oppure se sarà necessario mettere la fiducia. Maroni non ha nascosto la sua preoccupazione per il provvedimento ed ha espresso «un forte disappunto» per il nuovo incidente di percorso che ha permesso lo «svuotamento» della norma antiestorsione, voluta anche dall’associazione antiracket e dalla procura antimafia. Nel Cdm di ieri non è stata autorizzata la fiducia, ha spiegato il titolare del Viminale, ma «ho chiesto una riunione martedì per capire se si può procedere in sicurezza oppure se le acque sono così agitate da richiedere la fiducia. Non voglio rischiare un’altra bocciatura di norme importanti, come quella sui Cie o sulle ronde. Dopo questa riunione, se sarà necessario - ha continuato Maroni - chiederò un Consiglio dei ministri straordinario che autorizzi la fiducia».

Per aumentare i dicasteri occorre una legge di riforma. E Letta annuncia: «Il premier ne discuterà con Napolitano»

Secondo indiscrezioni, che non trovano conferme ufficiali, nell’ambito di questi cambi si è tornato a discutere di un’ipotesi di avvicendamento ai Beni culturali: se Sandro Bondi, infatti, dovesse dedicarsi esclusivamente al Pdl di cui è coordinatore nazionale insieme a La Russa e Denis Verdini, l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Paolo Bonaiuti, sarebbe tra i più accreditati a ricoprire la carica di ministro. Quanto ai tempi degli “innesti”, i tre o quattro sottosegretari potrebbero essere promossi vice ministri già la prossima settimana in occasione del Cdm, mentre la nomina dei ministri sarebbe successiva, perchè richiede una modifica legislativa ad hoc e il calendario dei la-

di, in un rumore sordo e inquietante, correvano seimila metri cubi al secondo. Neppure i vigili del fuoco sommozzatori hanno potuto scendere in acqua per soccorrere gli automobilisti. Li hanno recuperati usando le autoscale. Tre sono i feriti, contusioni non serie per due, l’ultimo è stato ricoverato in ospedale ma non corre pericolo di vita.

I blocchi di cemento che si sono staccati dal ponte hanno rischiato di danneggiare anche il collegamento ferroviario che corre parallelo al ponte stradale crollato. Per precauzione, i tecnici delle Ferrovie hanno verificato la stabilità delle strutture che però non hanno subito danni. Il blocco ai treni, paventato subito dopo l’incidente, non è stato quindi applicato. Nella notte precedente, il Po in piena aveva distrutto la Motonautica di Piacenza e allagato la Canottieri di Cremona. Gonfio d’acqua prosegue verso la foce lasciando alle spalle grandi problemi all’agricoltura: la Coldiretti stima in 100 milioni di euro i danni provocati dall’alluvione. Le esondazioni hanno colpito i campi coltivati a grano, mais, ortaggi e foraggere dal Piemonte alla Liguria, dalla Lombardia all’Emilia ma anche in Veneto e, nei giorni scorsi, in Puglia e nel Lazio.


società

pagina 8 • 1 maggio 2009

Poteri. Tre donne giudicano la disputa tra Veronica Lario e il Presidente del Consiglio, mentre Berlusconi alla Coldiretti ci scherza sopra e attacca Casini e D’Alema

La veline connection l balletto sulle «veline» è continuato ieri. Silvio Berlusconi, alla convention della Coldiretti, ha scherzato: «Non ho portato le veline ma ho fatto alcune telefonate e ho scoperto che sono plurilaureate e hanno tanta esperienza in politica. Altrimenti non le avremmo messe in lista». Poi, mescolando parole a facce buffe e smorfie per ironizzare sulle espressioni dei suoi bersagli, ha aggiunto: «Chi aveva parlato di demagogia? Un certo onorevole Casini. Chi ha parlato di filiera italiana come fanciullaggine? Un certo D’Alema. Io non parlo mai male dei miei oppositori, ma quando se la tirano, se la tirano». Ma il problema rimane e riguarda il rapporto tra potere pubblico e moralità privata. Su questa “veline connection” abbiamo chiesto il parere a tre donne assai diverse fra loro: Assunta Almirante, Anna Maria Bernardini De Pace e Linda Lanzillotta.

I

Barbara Matera e Noemi Letizia: la prima, starlette televisiva, è candidata del Pdl alle Europee; la seconda è l’ormai celebre “figlioccia” di Silvio Berlusconi

ANNAMARIA BERNARDINI DE PACE

«Una monarchia in decadenza» di Errico Novi

ROMA. Ci sono molti modi di litigare. Chi può dirlo meglio di Annamaria Bernardini de Pace: di mestiere fa l’avvocato matrimonialista (si dovrebbe dire divorzista, se non fossimo tutti troppo ipocriti per usare certe parole) ed è una delle più richieste e pagate di Milano, per non dire d’Italia. Lei sa che una guerra tra coniugi può essere avvelenata dall’odio più feroce, ma che c’è sempre un modo civile e soddisfacente di accordarsi. Molti sono convinti (ma lei non conferma) che abbia offerto suggerimenti più o meno amichevoli persino alla Signora, cioè a Veronica Berlusconi. Sta di fatto che non si compiace per nulla del contegno della sua presunta allieva: «Nessuno dei due, nemmeno lei, ha fatto e detto cose giuste. È tutto imbarazzante. E soprattutto poco elegante». In America un uomo pubblico è chiamato a rispondere di tutto, a cominciare dalla vita privata. E da noi? Noi siamo in una monarchia mascherata da repubblica. Assistiamo alle cose tipiche che avvengono in una monarchia in decadenza. Tardo impero, con annessi e connessi. Nessuno degli attori ha detto cose intelligenti, interessanti. Anche l’opposizione è messa male. Perché, cos’ha sbagliato l’opposizione? Non esprime posizioni valide, non ha idee. Sa solo cavalcare la tigre quando questa minaccia di sbranare Berlusconi. Ma gli italiani si appassionano o no, a una vicenda come questa delle candidate veli-

ne, alla telenovela delle liste che sarebbero cambiate all’ultimo minuto per la lettera di Veronica? No. Non si appassionano, sono annoiati da queste cose. Crede che certi squallori, certe porcherie possano suscitare passione? Allora il Grande fratello, nel senso della trasmissione, ancora non ci possiede del tutto. Non c’è interesse, c’è un atteggiamento di indulgente sopportazione, perché si dice ‘ma sì, questo è un simpatico giocherellone, però è bravo, va sempre in Abruzzo…’. Come si faceva con i monarchi, no? Vabbe’, ma questa è anche complicità, scusi. E no. C’è la consapevolezza che non si può fare nulla. Di fronte alla recessione, a tutti i problemi che uno ha davanti, è naturale ripiegarsi un po’nel proprio orticello. Donne e politica. Quanti danni ha provocato questa storia delle candidate veline del Pdl? Non vedo cosa ci sia di nuovo. Abbia pazienza. Se andiamo indietro negli anni troviamo una sfilza di donne che si sono fatte largo grazie al proprio corpo. Anche la Mussolini all’inizio ci ha giocato, per non dire di Sofia Loren che agli esordi non si comportava certo come Maria Goretti. E allora non c’è scandalo. Da sempre ci sono donne che fanno politica contando sulla debolezza degli uomini. È un peccato che lo schema continui ad essere lo stesso anche ora che è stata raggiunta la parità dei diritti. D’altra parte, nel mio caso per esempio, il fatto di non essere brutta non mi ha certo

Squallori che ci annoiano, ma sopportiamo come si faceva con i re

aiutata. Nel mio lavoro si fa fatica a credere che una donna pur non essendo brutta possa anche essere brava. Vero anche questo. Siamo oppressi da una mentalità maschilista. Tutto quello che è successo in questi giorni è la prova del deterioramento dei valori nato da un’impostazione maschilista. Ci sono donne in politica che le piacciono? La Bonino. E anche Mara Carfagna, come ministro mi è piaciuta da subito, se non fosse per l’atteggiamento sbagliato che ha assunto nei confronti dei gay. Anziché andarci contro avrebbe dovuto porsi i problemi dal loro punto di vista. E poi ho molta stima per la Gelmini. Cosa apprezza, in particolare? La sua determinazione, la buona fede, la tenacia con cui affronta tutte le cose che fa. È una persona che studia molto. L’ultima domanda le è dovuta: Berlusconi e sua moglie si riconcilieranno anche stavolta? Secondo me nessuno dei due ha interesse a separarsi. Possono benissimo vivere da separati, non hanno interesse a cambiare questa situazione, da nessun punto di vista. Però litigare in pubblico è pesante. Be’, non hanno molte occasioni per comunicare, una sta a Macherio, l’altro a Roma o ad Arcore, non si vedono mai, così litigano a mezzo stampa… A parte l’ironia, è davvero inelegante, ripeto: entrambi hanno detto e fatto cose sbagliate. Posso capire che capiti una volta, la seconda no. Ma sa, sono le cose che avvengono nelle diverse ali del palazzo reale.


società

1 maggio 2009 • pagina 9

ASSUNTA ALMIRANTE

«Contestiamo piuttosto la legge elettorale» di Riccardo Paradisi ssunta Almirante è donna pratica e sulla questione delle liste elettorali, che rischiano a ogni giro di pista di diventare un velinodromo, tagliente e recisa va al cuore della questione e spiega: «È un problema politico». L’hanno definita ”la regina madre” della destra italiana, ”l’autorevole vedova” dell’ex segretario del Msi Giorgio Almirante, definizioni che spiegano perché in quella che è stata An le sue esternazioni hanno sempre fatto rizzare le orecchie a tutti. Donna Assunta ha la memoria lunga e parecchie carriere nel vecchio Msi hanno avuto il suo patrocino e la sua benedizione. «Giorgio si fidava molto di me. Prendevamo molte decisioni insieme – ha raccontato una volta – Al partito lo sapevano, perciò, siccome mio marito aveva un carattere chiuso, venivano da me: ”Donna Assunta, io vorrei far parte della segreteria, del comitato centrale...”. Il segretario del Msi per il suo piglio la chiamava zio Adolf. Signora Almirante che ne pensa del continuo sbarco in politica di veline letteronze, soubrette? Secondo lei ne posso pensare bene? Chissà… Non ne penso bene su. Una donna, come un uomo, non dovrebbe essere scelta per l’aspetto fisico ma per il cervello, per le sue capacità…Se un uomo è cretino ma si presenta bene resta sempre un cretino

A

e allo stesso modo se una donna è stupida ma bella sempre stupida rimane…Ma insomma c’è bisogno di dirle queste cose? Non fa male ricordarle? Detto questo però è importante che le donne vengano valorizzate in politica e va detto che Berlusconi questo l’ha fatto. Un sacco di donne sono diventate ministri in questa legislatura. Ce ne sono un reggimento di donne al potere oggi. E non di tutte è condivisibile il lavoro A chi si riferisce? A me il decreto Gelmini sulla scuola non è piaciuto per niente: manda a casa 15mila persone che hanno studiato. E poi non si è fatto niente per rivalutare il ruolo fondamentale dei docenti. Però la Gelmini non era una velina Certo, che c’entra. Quella è un’altra questione. Il problema è che Berlusconi usa in modo troppo disinvolto le belle donne in politica: a volte Berlusconi esagera. È quello che sostiene anche sua moglie, la signora Veronica Lario: ha definito ciarpame senza pudore il parterre di potenziali candidate alle elezioni europee in piedi fino a ieri. Io non voglio entrare nei fatti privati dei coniugi Berlusconi. Però se la signora Lario ha ragione nel dire che è sbagliato usare le belle donne come specchietti per le allodole sbaglia quando pensa che il

Decidono tutto i vertici dei partiti. Gli italiani non possono scegliere

problema vero sia questo. E quale sarebbe il vero problema? La democrazia nei partiti e una legge elettorale, parlo delle politiche, che non consente al popolo italiano di scegliersi i suoi rappresentanti. Io sono assolutamente contraria a questa legge elettorale. È un metodo antidemocratico e anticostituzionale, è un sistema che apre le porte alla dittatura? Addirittura. Certo. Come lo chiama lei un sistema dove il parlamento viene nominato dai partiti? Suo marito lo chiamava partitocrazia Appunto. E pensi che ai tempi di Giorgio le preferenze c’erano. A proposito che ricordo ha delle donne in politica di quella stagione? Beh non c’è paragone. Allora c’era Nilde Jotti, una donna di grandissima intelligenza. Nonostante fosse comunista ne abbiamo sempre avuto grande stima: teneva a bada la Camera anche nei momenti più turbolenti. E poi Tina Anselmi… E del Msi? Beh è più giovane di loro ma Adriana Poli Bortone è una donna di grande levatura. È stata ministro, è stata il miglior sindaco di Lecce. Poi con An ha rotto. Se n’è andata proprio perché altre che valevano di meno sono state trattate meglio. Nomi? No no, niente nomi e poi ora me ne devo andare. Però scriva che è la legge elettorale il problema non questa storia delle veline. Questa, dopo tutto, è una fregnaccia.

LINDA LANZILLOTTA

«Lui, Bossi, Di Pietro: lo stesso modello» di Marco Palombi

ROMA. Alle veline, è andata com’è andata, ma le non veline se la passano pure peggio. La settimana scorsa Camera e Senato si riuniscono per votare 28 nomine in alcuni organismi pubblici e il risultato è: 28 uomini, 0 donne. A Montecitorio si alza Linda Lanzillotta e invita le colleghe a non prestarsi alla cooptazione maschilista col risultato che in 50 estraggono i tesserini e si rifiutano di votare. Mercoledì poi, con Alessandra Mussolini, l’ex ministro del Pd manda una lettera a Fini per chiedergli di istituire un organismo che «monitori e segnali le decisioni della Camera al fine di prevenire discriminazioni o promuovere azioni di “empowerment”femminile». D’altronde, ci spiega, «in Parlamento ora ci sono più donne, ma i ruoli di potere e la gestione dei dossier importanti sono ancora tutti maschili». Di più: «Molte donne lavorano moltissimo nelle commissioni e poi mettono la loro opera al servizio del capetto di settore che ne ricava visibilità e ruolo politico». E ancora: «Qui su oltre 30 presidenze neanche il 10% è appannaggio di donne. Bisogna aiutare la Camera a rispettare la Costituzione». Fuori dai corridoi deserti di Montecitorio, però, il dibattito di genere ha tutt’altra forma: quella che gli impone la vita privata di presidente del Consiglio e consorte. «Su questo non dico niente: questa signora è ancora legata a suo marito e se ha qualcosa da dirgli potrebbe farlo a colazione». Tutta la vicenda privata di Berlusconi, spiega, «è sopravvalutata: è servita a tenere relegati in qualche trafiletto a pagina 25 i problemi reali: debito record, crisi, impoverimento

delle famiglie, eccetera». Il Cavaliere insomma, attraverso la falloforia a cui ha ridotto la vita pubblica italiana, ottiene due scopi: «Fa l’occhiolino a quelli che in cuor loro pensano che la qualità migliore delle donne sia il lato B, una massa di elettori potenziali rispetto ai quali anche così organizza consenso» e poi «evita di parlare delle questioni di cui non sa occuparsi». Certo però, ammette Lanzillotta, il dibattito sulle candidate bonazze è indicativo di un deperimento per così dire antropologico del Paese: le famigerate “euroveline”, in altri termini, non sono che «la conferma del modello sociale dominante, quello che vede premiato l’aspetto fisico e le sue prestazioni piuttosto che lo studio o la preparazione».

È il trionfo della show girl, certo, ma politicamente anche quello di un modello di potere decisamente maschile. Berlusconi, ma anche Bossi, Di Pietro: «In realtà è un modello di comando non solo maschile, ma machista e peraltro falsamente». Per l’ex ministro dietro il dispiegamento di testosterone politico si cela in realtà una sorta di impotentia coeundi a generare vera politica: «Noi assistiamo allo spettacolo di politici maschi che si atteggiano muscolarmente, parlano di celodurismo, ma poi non hanno la forza e l’energia per riformare il Paese». Lanzillotta è sicura che, riuscis-

sero a comandare, «le femmine sarebbero più pragmatiche e meno esibizioniste, perché siamo abituate ad essere misurate con severità». Il machismo – ormai incistato dal Cavaliere nel campo del dicibile – porta naturalmente con sé «un uso della donna nella chiave regressiva che vediamo, indegna di un Paese che si vorrebbe sviluppato. Se lo fossimo, chi si comportasse come Berlusconi, verrebbe cancellato dalla vita pubblica in primo luogo dalle donne. È amaro vedere che invece molte donne italiane lo apprezzano». È amaro, ma è pure «un indicatore culturale»: in questa chiave la marginalità femminile è sì «frutto della scarsa mobilità sociale italiana, ma si declina secondo un modello culturale che ha permeato nel profondo tutta la nazione ed è la mutazione genetica che Berlusconi ha imposto al Paese attraverso la tv» e che ha reso improvvisamente ciarpame l’intero blocco dei corpi intermedi. Questa sconfitta dimostra una volta di più «la fragilità della classe dirigente italiana, incapace nell’era post-ideologica di avere un vero ruolo di leadership», ma parla anche della penosa situazione della cosiddetta cultura di genere, prigioniera di un «dibattito rituale», mentre «le donne restano destinatarie di spazi concessi più che di diritti riconosciuti e continuano a sentirsi subalterne al maschio cooptatore». Altrimenti detto Papi.

Un fatto privato è servito a distrarre tutti dai problemi reali


panorama

pagina 10 • 1 maggio 2009

Rimborsi. Protestano le componenti minori del Partito della libertà che non hanno candidati alle Europee

I piccoli battono cassa (elettorale) al Pdl di Angela Rossi

ROMA. Come promesso, ha disertato il Consiglio dei Ministri. Gianfranco Rotondi, titolare del dicastero per l’Attuazione del programma di governo non si è presentato all’incontro di ieri. Deluso per la mancata candidatura dell’unico nome proposto dal suo partito, Dca, e cioè quello di Paolo Cirino Pomicino, si è limitato a dichiarare all’Asca: «Domani non andrò in Consiglio dei Ministri, per me comincia una lunga vacanza. Sono deluso ma tacerò per non disturbare la campagna elettorale del alla partito, cui fondazione ho contribuito e nel quale non mi è stato

IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio

permesso di indicare un solo candidato. Naturalmente sosterrò il Pdl e darò la preferenza a Silvio Berlusconi, ma solo in quanto mio testimone di nozze».

Forse aveva puntato sul nome sbagliato? Su un candidato che, vista la presenza nelle liste

sentare i vecchi simboli alle imminenti elezioni Europee. Oggi, però, alla luce delle esclusioni di rappresentanti, i partiti più piccoli nelle liste e cioè la Dca di Rotondi, Azione Sociale di Alessandra Mussolini, il Nuovo Psi di Stefano Caldoro, i Liberaldemocratici di Lamberto Dini, i Popolari Liberali di Carlo

Il ministro Rotondi non ha partecipato al Cdm di ieri: la prossima settimana ci sarà una specie di consiglio di guerra per decidere la linea comune di Clemente Mastella, avrebbe potuto far gridare allo scandalo del ritorno alla vecchia politica? Forse, sì. Ma adesso? I piccoli partiti confluiti nel Pdl, oltre ad essere esclusi dalle liste, saranno esclusi anche dai rimborsi elettorali milionari rimettendoci così totalmente? Nello scorso mese di marzo, al momento del congresso fondativo del Pdl, l’accordo con i partiti minori prevedeva una rappresentanza dell’otto/dieci per cento nel nuovo organismo. Percentuale di presenze che è stata concessa per quanto riguarda i delegati al congresso in cambio della rinuncia a pre-

Giovanardi e i Cristiano Popolari di Mauro Baccini, avranno almeno un rimborso economico che permetta loro di mantenere le proprie strutture? Al momento pare che l’esclusione sia totale e che tutti i partiti abbiano deciso per un momento di cosiddetta riflessione. Stand by fino al prossimo otto maggio quando ci sarà un incontro con il ministro Rotondi. In quella data si deciderà poi il da farsi. «Niente in assoluto – conferma infatti Alessandra Mussolini –. La prossima settimana ci incontreremo tutti insieme e vedremo di fare il punto. Al momento e fino ad allora nessuna

decisione». «Nessun ritorno economico – sottolinea anche Francesco Nucara il cui partito, Pri, non ha aderito comunque al Pdl –. Nessun riscontro in questo senso, per quello che ne so. Per quanto mi riguarda non ho presentato liste perché occorrevano centosettantacinquemila firme. Un meccanismo, questo delle firme, assolutamente micidiale. Comunque, al momento siamo fuori; poi decideremo chi dobbiamo sostenere e non è detto che debbano essere quelli del Pdl. Vedremo se il presidente Berlusconi ci chiamerà. Come ho scritto proprio oggi in un editoriale sulla Voce Repubblicana il consiglio che mi sento di dare all’amico Berlusconi è, quando sale le scale, di salutare tutti quelli che stanno scendendo perché prima o poi le scenderà anche lui e sicuramente non gli piacerà non essere salutato».

«E meno male – chiosa scherzando la Mussonini – che il giorno dell’incontro è l’otto e non venerdì 13 come si era pensato in un primo momento. Da napoletana, e viste le premesse, avrei temuto qualcosa di ancora più negativo».

Il caso della nave italiana Jolly Smeraldo attaccata in mare davanti a Mogadiscio

I pirati (e i postini) suonano sempre due volte remate, tremate sono ritornati i pirati. Assaltano le navi, sono avidi, vivono in mezzo al mare e fanno sognare. Sì, sognare. Sognate, sognate i pirati son tornati. Perché chi di noi non ha sognato a occhi aperti di fare il pirata alzi la mano. Altro che astronauta o ingegnere o medico: da piccoli, e anche un po’ da grandicelli, tutti noi si voleva fare i pirati. I pirati, al plurale: perché non si fa il pirata in solitudine. I pirati vivono insieme, non hanno un grande capo se non in casi rari, e sono a loro modo democratici. Violenti e sanguinari, ma democratici. Confessiamolo: quando abbiamo sentito la notizia degli assalti dei pirati alle navi italiane il primo pensiero che si è impadronito di noi è stato: «Però, esistono ancora i pirati, che bello».

T

Va bene, lo so. Non sta bene. Una cosa del genere non si può dire (anche se nessuno vi vieta di pensarla e anche di dirla). Non è mica un gioco o una storia che si legge sui libri o una affascinante leggenda. Questi sono dei fuorilegge, dei criminali che badano al sodo e non vanno dietro alle favole del Corsaro Nero. Prima all’assalto alla nave da

crociera Melody, poi l’arrembaggio alla Jolly Smeraldo. Due agguati in piena regola al largo della Somalia, due assalti andati a vuoto, anche grazie alla prontezza dei due comandanti: Ciro Pinto e Domenico Scotto di Petra. I quali, entrambi napoletani, ora avranno qualcosa di elettrizzante da raccontare alle loro moglie e ai loro nipotini: «Ascoltate questa storia, ragazzi, vi voglio raccontare quando nonno sfidò in mare aperto i pirati». Anzi, il comandante Ciro Pinto già anni addietro ha avuto un corpo a corpo con un pirata che, a largo del SudAfrica, salì sulla nave «armato di scimitarra». Proprio così ha detto il comandante che, forse, da buon napoletano ci ha ricamato un po’ sopra. L’ultima volta, invece, «erano in sei, su una piccola imbarcazione bian-

ca. Si sono avvicinati al lato sinistro della nave e hanno cominciato a sparare come pazzi». A questo punto ecco la risposta del comandante: «È intervenuta la security di bordo e hanno cominciato a sparare anche loro, mentre noi spruzzavamo acqua. così tra acqua e fuoco è sembrato come fossimo in guerra». Insomma, non è un gran racconto ma meglio di niente.

L’altro giorno, a 300 chilometri a Sud-est di Mogadiscio, la scena si è ripetuta con la Jolly Smeraldo che già era scampata a un agguato. La seconda volta i pirati hanno provato con due attacchi ravvicinati nello spazio di due ore. Nel primo caso i pirati sono intervenuti a bordo di un barchino, nel secondo le imbarcazioni erano due. In tutti e due gli episodi sono stati sparati colpi di arma da

fuoco, che non hanno provocato feriti, né danni rilevanti alla nave.

Ormai è abbastanza chiaro: in quella zona ci sono i pirati. Bisogna navigare tenendo gli occhi aperti - che poi sarebbe il radar - e prepararsi alla battaglia in mare aperto: una battaglia fatta di fucilate, mitragliate, e addirittura - secondo i racconti - con colpi di bazooka. Chi va per questi mari, questi pesci prende. E, se vogliamo dirla tutta, vedrete che da qui a un po’, se il fenomeno continua, verranno organizzati viaggi avventurosi proprio con lo scopo di incontrare i pirati del XXI secolo. Quanto a me, non mi sfiora neanche per l’anticamera del cervello di imbarcarmi per andare a conoscere di persona i moderni bucanieri. E non per la paura, ma per la delusione. Una cosa è il buon pirata immaginato, con tanto di coltello tra i denti, benda sull’occhio e l’isola del tesoro da scovare a San Cristofaro con il suo galeone, e ben altra cosa è il corsaro moderno che si muove su una imbarcazione piccola e veloce, motorizzata, e con il bazooka in spalla. Anche se - va riconosciuto - tra la Somalia e il Madagascar i corsari ci sono sempre stati. All’arrembaggio.


panorama

1 maggio 2009 • pagina 11

Strategie. Il leader democratico approfitta della campagna referendaria per abbandonare la «vocazione maggioritaria»

D’Alema prepara il «contrordine compagni» di Antonio Funiciello uando dopo le elezioni del 2006 Giovanni Guzzetta mostrò al suo maestro Mario Segni il grimaldello che aveva trovato per far saltare il lucchetto del “porcellum”di Calderoli, pochi altri intuirono la portata del referendum ideato dal costituzionalista. Nel Pd solo gli occhi di Arturo Parisi ed Enrico Morando, coinvolti da Segni, scintillarono alla lettura del quesito guzzettiano sullo spostamento dell’attribuzione del premio di maggioranza dalla coalizione alla lista vincente. Uno scintillio rivolto da un lato al nascente progetto del partito nuovo di centrosinistra, dall’altro alla frattura che il raggiungimento del quorum e la vittoria del Sì avrebbe determinato nel centrodestra tra Berlusconi e Bossi. Non a caso il solo leader di partito che si lasciò convincere da Segni fu il suo vecchio amico Gianfranco Fini, da sempre impegnato a indebolire l’asse del Nord. Non c’era ancora il Pdl, Veltroni aveva appena rivinto contro Alemanno le comunali romane e il Pd sarebbe nato solo dopo un anno. Altri tempi, insomma. E di fatti i più, da D’Alema e Fassino, da Mari-

Q

Berlusconi, Franceschini e Di Pietro sono per il Sì: se davvero si impegnassero, la consultazione potrebbe stravolgere i partiti. Compreso il Pd ni e Rutelli, derubricarono con indifferenza il referendum.

Con l’atteso (e prevedibilissimo) sì di Berlusconi, che si somma a quello di Fini, Franceschini e Di Pietro, oggi il referendum s’incarica d’essere una vera e propria bomba a orologeria. I tre partiti dei leader appena citati rappresentano il 70%

dell’elettorato attivo italiano. Una soglia di assoluta sicurezza per il perseguimento del quorum che pure si calcola su tutto elettorato potenziale, compreso dunque quello passivo. In fondo la calendarizzazione estiva del 21 giugno viene già in parte depotenziata dai tanti turni di ballottaggio che prevedibilmente interesseranno quella data. Fi-

gurarsi poi se Pdl, Pd e Idv dovessero impegnarsi davvero per portare la gente a votare. Certo, i pochi dirigenti democratici apertamente avversi al referendum (Rutelli) potrebbero accusare il Nazareno di intelligenza col nemico. Ma sarebbe troppo facile far prevalere la tesi che una vittoria del Sì metterebbe definitivamente in crisi i rapporti tra Pdl e Lega, provocando magari una inaspettata crisi di governo e una caduta anticipata dell’esecutivo. Cosa a cui probabilmente Berlusconi, in questo momento di straordinaria popolarità personale, sta per conto suo già pensando. Il “porcellum guzzettizzato”, ovvero l’attuale legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza al partito e non alla coalizione, gli consentirebbe di far sciogliere le Camere e rivincere agilmente le elezioni politiche da solo. Una tentazione troppo ghiotta per il premier.

Lo tsunami referendum travolgerebbe però anche il Pd. Tra Marini e D’Alema c’è la corsa ad archiviare la maledetta vocazione maggioritaria di marca veltroniana. Che non c’entra nulla con l’autosuffi-

Retroscena. Il premier avrebbe intenzione di silurare il candidato di Fini per il vertice di Raiuno

Mazza scende dall’ammiraglia? di Francesco Capozza

ROMA. Chi la fa l’aspetti. Così dice un adagio popolare tutto italiano. E così deve aver pensato nelle ultime 48 ore il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Già, perchè raccontano che dopo l’ultimo sgambetto subito da Gianfranco Fini - l’attacco da parte della rivista “farefuturo” dell’omonima fondazione vicina al presidente della Camera, che ha scatenato la pubblica reazione della signora Veronica Lario in Berlusconi sembra che il premier abbia pronto un bel pan per focaccia che farà spegnere il ghigno stampato da qualche giorno sul viso dell’inquilino di Montecitorio. Se tutto questo putiferio mediatico attorno alla presunta candidatura di veline e letteronze nelle fine del Pdl non si fosse scatenato, ieri all’ora di pranzo il capo del governo avrebbe dovuto incontrare Fini nel suo studio alla Camera per parlare di nomine governative e non solo.

non vuol dire che le nomine tornino in alto mare, anzi, Silvio ha fatto le sue scelte e stavolta, complice la sua ira funesta nei confronti di Fini, ha deciso di non consultarsi più con l’alleato e di chiudere la partita per conto proprio. Fonti molto vicine al presidente del Consiglio confermano che questa volta il tira e molla con Fini su Mauro Mazza (attuale direttore del Tg2 che Fi-

Il Cavaliere ha deciso di far pagare al presidente della Camera la posizione della sua fondazione, «FareFuturo», sulle candidature alle Europee

Se Silvio Berlusconi non avesse deciso di cancellare la colazione di lavoro con il capo di Montecitorio, ieri sarebbe stata la volta buona per la definizione delle ultime caselle in Rai. Questo però, si badi bene,

ni vorrebbe al timone del tiggì della rete ammiraglia Rai) è giunto al capolinea. Niente da fare per Mazza: al Tg1 andrà il giornalista berlusconiano de La Stampa Augusto Minzolini e sulla sua nomina il premier avrebbe già avuto il benestare del presidente della Rai, Paolo Garimberti, che si era opposto a Maurizio Belpietro ma che, evidentemente, non si sente di dire nuovamente no a colui che in fin dei conti a favorito la sua nomina a viale Mazzini.

Non che quest’ipotesi fosse sconosciuta fino a ieri, anzi, che il braccio di ferro per

la direzione del telegiornale lasciato orfano da Gianni Riotta sarebbe stato vinto da Berlusconi in molti lo davano già per fatto scontato. La novità delle ultime ore sarebbe però ben più scottante: il premier avrebbe infatti sancito il suo niet definitivo nei confronti della candidatura di Mauro Mazza anche per la direzione di Raiuno, paracadute dorato che il presidente della Camera avrebbe da tempo garantito al suo candidato. E allora che fine farà Mazza? Le ipotesi cui Berlusconi starebbe pensando sono due: la direzione di Rai Sport (che nel 2010, anno dei mondiali, garantirebbe comunque una certa visibilità all’attuale direttore del Tg2) o la conduzione del rinato “Il fatto”, la finestra informativa creata da Enzo Biagi e da lui condotta fino al momento del cosiddetto “editto bulgaro” berlusconiano. Chi la fa l’aspetti presidente Fini.

cienza, ma era legata all’idea che il Pd si pensasse come partito ricettivo del voto moderato, appannaggio negli ultimi quindici anni a Berlusconi. Pd partito competitivo al centro, come tutti i grandi partiti di centrosinistra nelle democrazie avanzate. È chiaro che il referendum Guzzetta-Segni fa saltare tutto per aria. La preponderanza del tatticismo delle alleanze sulla strategia maggioritaria non ha alcun senso nel contesto elettorale del “porcellum guzzettizzato”, sistema che impone una bipartitizzazione secca. Può così accadere che D’Alema e Marini comincino a lavorare a un classico “contrordine compagni”, costringendo Franceschini a fare marcia indietro. Strada tortuosa, visto che la direzione nazionale del partito ha appena votato quasi all’unanimità l’impegno a favore del Sì (e del quorum) di tutto il partito. Un bel guazzabuglio, non c’è che dire. Ma che Franceschini potrebbe utilizzare per rilanciare la sua autonomia dai maggiorenti, da cui al momento è stretto, militarizzando il Pd a sostegno del referendum a giugno e, su questa scia, riproporsi alla segreteria ad ottobre.


il paginone

pagina 12 • 1 maggio 2009

BERLINO. «È compito degli artisti costringerci a guardare nell’abisso dell’orrore. Ma è compito loro anche offrire calore, speranza e forse una via di fuga da una vita che a volte può sembrarci insopportabilmente noiosa». Così Nick Hornby titolò una volta la rubrica sui consigli da lettore che tiene periodicamente sul magazine americano The believer. Ed è proprio tenendo bene a mente il secondo “dovere”lì indicato, quello di divertire e illuminare con l’ironia i piccoli problemi quotidiani di persone comuni, che questo scrittore inglese pubblica da diciassette anni libri amati in tutto il mondo. Ogni romanzo, un best seller, ogni saggio si trasforma in una guida per gli acquisti culturali di migliaia di persone, sia che si parli di musica, libri o calcio. Da Febbre a 90° a 31 canzoni passando per Alta fedeltà, Un ragazzo, Una vita da lettore e molti altri. Ogni pubblicazione, un successo. Il suo ultimo lavoro da scrittore è Shakespeare scriveva per soldi. Diario di un lettore, edito da Guanda, raccolta di giudizi e esperienze da divoratore di libri, ma è sua la firma anche della sceneggiatura del film An education, vincitore del premio del pubblico all’ultimo “Sundance festival” e presentato con grande successo di pubblico alla recente Berlinale. Lo incontriamo proprio nella capitale tedesca. Camicia a quadri, jeans, look più che mai casual. Non è un tipo che presta troppe attenzioni alle etichette e questo rende subito amichevole il clima. Abbiamo davanti uno dei più importanti e più letti autori contemporanei, ogni spunto diventa così l’opportunità di parlare della sua carriera, dei suoi gusti e del mestiere di scrittore. Prima di fare delle parole la sua attività, è stato per qualche anno insegnante.

Scrittore di fama internazionale, sceneggiatore di successo, appassionato dei suoi b con “Shakespeare scriveva per soldi” e nelle sale cinematografiche con “An education”. E

Nick Hornby, l’educato di Andrea D’Addio Partiamo da quella sua esperienza. La protagonista di An education è una diciottenne studente modello che si allontana dal liceo quando si innamora di un delinquente che sembra poterle offrire già da subito una vita agiata e ricca di divertimenti, anche culturali. Alla fine la ragazza ritorna sui suoi passi e riesce a iscriversi all’università. Si rimarca l’importanza di “un’istruzione”, come già dice il titolo, e la si immedesima con la scuola. Il film è però ambientato negli anni ’60. Pensa che ancora oggi la scuola rivesta il ruolo massimo nell’istruzione di un individuo?

Prima dell’università, è importante l’approccio con cui lo studente si pone verso l’apprendimento. La protagonista di An education alla fine impara quanto conta, in qualsiasi caso, avere un’istruzione. Non è possibile percorrere una strada più breve, anche il sacrificio fa parte del gioco, dà valore al traguardo da raggiungere. Oggi purtroppo in molti casi non ci si rende conto della vera ragione per cui si sta studiando, ci si iscrive all’università perché così ci è stato detto dai genitori e dal modello che si è imposto nella società. Se la maggior parte degli studenti si sente obbligato a studiare è normale che il livello medio dell’i-

Posso inventare la vita di una persona, i suoi gusti, il suo lavoro, il suo passato e il suo futuro, ma devo sempre e comunque muovermi all’interno di un mondo che mi è noto: la mia Inghilterra

struzione scenda, ma ognuno ha sempre la possibilità di trarre via ogni informazione possibile ai professori, fare domande, prendere l’università come un’opportunità per capire anche se stessi e non solo un passaggio obbligato per poi presentarsi con tutte le carte in regola nel mondo del lavoro. Anche perché ormai il mondo del lavoro è strano. Con An education è ritornato a scrivere una sceneggiatura dopo aver firmato nel 1997 la trasposizione su grande schermo del suo primo romanzo, Febbre a 90°. Dopo quel successo aveva rifiutato di collaborare ai successivi film tratti dai suoi libri, Alta fedeltà nel 2000 e About a boy-Un ragazzo nel 2002. Cosa l’ha spinta a ritornare alla sceneggiatura, adattando una storia non sua ma ispirata ai ricordi della giornalista Lynn Barber? Ho scritto molto in questi anni e ho preferito concentrarmi sui libri. Da una parte c’è la mia indole, l’idea che riesca meglio in questo campo che in altri, ma dall’altra c’è anche una ragione più pratica. Quando scrivo un libro, seppure ci possano essere delle difficoltà

e delle correzioni da effettuare, ho una certa sicurezza che l’opera vedrà la luce, sarà pubblicata. Non è lo stesso per le sceneggiature. Puoi passare un anno a scrivere una storia e poi non trovare nessun produttore pronto a finanziare il progetto. Quando sei giovane puoi anche accettare il rifiuto, io che comincio a essere grande non riuscirei ad accettarlo. Con An education è stato un po’ diverso. Ho letto la storia di Lynn Barber assieme a mia moglie, Amanda Posney. Lei, che è una produttrice, ha pensato di trarne un film. Ha così trovato dei partner con cui organizzare il lavoro e si è messa alla ricerca di uno sceneggiatore. A me la storia era piaciuta molto e non volevo lasciarmi scappare l’op-

A sinistra, Nick Hornby. In alto a destra, la copertina del suo nuovo libro “Shakespeare scriveva per soldi”. Sopra, un disegno di Michelangelo Pace portunità di lavorare su personaggi così interessanti. Inoltre volevo mettermi alla prova come sceneggiatore dopo tanti anni, e farlo con una storia non mia ho pensato che potesse essere un buon test. L’aspetto più difficile? Immaginare anche ogni più piccolo dettaglio nelle descrizioni. In un libro si può lasciar spazio alla fantasia, può bastare dire che c’è una scala, in una sceneggiatura devi indicare anche di che tipo di scala si tratta.


il paginone

1 maggio 2009 • pagina 13

best seller e innamorato pazzo della sua Londra. È nelle librerie a liberal spiega come raggiungere soddisfazione, celebrità e fortuna

ore sentimentale mia personalità. In ogni storia devo potermi sentire a casa. In Shakespeare scriveva per soldi racconta le sue esperienze di lettore di romanzi. Volendo parlare solo dei migliori, quali sono gli scrittori contemporanei che legge con più piacere? Dovendo citarne solo due dico l’americana Anne Taylor e l’irlandese Roddy Doyle. Sono i miei preferiti. Nelle letture mi lascio spesso suggerire da persone che hanno i miei stessi

dettagli, non meno importanti, ma vengono naturali durante la scrittura. Le descrizioni, il contorno, sono fiori che nascono solo da uno stelo robusto. Se manca questo, la pianta muore. Sono tante le persone che cercano di pubblicare un libro, poche quelle che ci riescono. Lei quando ha capito di essere uno scrittore? Penso di averlo saputo da sempre. È una sorta di stato permanente. Sono felice quando scrivo un testo e, rileggendolo, sento che funziona. Penso che l’unica risposta che si possa dare a chi crede di essere uno scrittore è di porsi questa domanda: puoi restare molto tempo senza scrivere? Se non ce la fai, significa che lo sei. Non è importante che tu pubblichi o meno i tuoi scritti, oltretutto ormai con Internet tutti possono leggere ovunque e qualsiasi cosa, la prima risposta che si deve dare è a se stessi e non implica l’apprezzamento degli altri. Certo, è

Penso che l’unica risposta che si possa dare a chi crede di essere uno scrittore è di porsi questa domanda: puoi restare molto tempo senza scrivere? Se non ce la fai, significa che lo sei

Ho sempre saputo di essere uno scrittore. È una sorta di stato permanente. Certo, è difficile farne un lavoro vero e proprio: io mi sento scrittore per professione solo ogni volta che finisco un libro Lei è stato presente durante le riprese del film. Come è stata la vita sul set? Avvincente, ma anche difficile. I film di produzione indipendente possono scoraggiarti facilmente. Il budget è limitato e così qualsiasi difficoltà che rischia di aumentare le spese deve essere in qualche modo arginata. Ciò significa che in alcuni momenti è stato necessario fare dei piccoli accorgimenti alla sceneggiatura, trovare delle soluzioni che non

facessero perdere il senso di quanto si stava dicendo e che si adattassero a delle esigenze di natura pratica, come l’impossibilità di girare in un giorno di sole mentre pioveva o l’assenza di una poltrona dove si potessero sedere contemporaneamente padre e figlia. Piccole cose che avevano bisogno di una rilettura costante e che hanno reso dinamica, e non di semplice spettatore, la mia presenza sul set. Mi è poi piaciuta l’idea di far parte di una

squadra. In un libro sei solo, in un film la tua sceneggiatura è solo un punto di partenza su cui poi lavorano tante persone. Tutti i suoi romanzi sono ambientati in Inghilterra. Ha mai pensato di svolgere anche altrove una sua storia? Per me è molto importante lavorare e immaginare all’interno di ambienti che conosco. Posso inventare la vita di una persona, i suoi gusti, il suo lavoro, il suo passato e il suo futuro, ma devo sempre comunque muovermi all’interno di un mondo che mi è noto, quindi l’Inghilterra. Non penso di potere separare la mia immaginazione dalla mia nazione, sono due aspetti molto correlati della

interessi. Penso che per ognuno di noi sia fondamentale ascoltare i gusti e le osservazioni di gente che si stima e farne lo stimolo per scoprire nuovi orizzonti. Come raccontava nel 1992 nel semiautobiografico Febbre a 90, lei vive in una casa nel quartiere londinese di Highbury per stare vicino alla sua squadra del cuore, l’Arsenal. A distanza di anni, com’è il suo rapporto con Londra? È ancora una storia d’amore. Sono nato a Redhill, vicino Londra, ma non a Londra. Quando ero teenager, la capitale mi sembrava il simbolo di qualsiasi situazione avesse a che fare con la cultura e il divertimento. Sono cresciuto con musica, calcio e libri e tutti questi tre argomenti mi sembrava trovassero vita solamente in città. Appena ho avuto modo di decidere dove vivere, mi ci sono trasferito. Qual è il suo metodo di lavoro quando deve scrivere una storia? Prima di tutto penso molto a ciò che voglio dire attraverso la storia, il centro del tutto. Successivamente mi concentro sulla struttura, fare sì che abbia un inizio, un centro e una fine. Sono i tre momenti principali, ciò che danno ritmo al libro. Una volta fissati, puoi decidere da dove iniziare dei tre, se dalla fine con un flashback o dall’inizio o addirittura da metà. Tutto il resto sono

difficile farne un lavoro vero e proprio: io mi sento scrittore per professione solo ogni volta che finisco un libro. Significa che per almeno altri due anni potrò vivere di quello. A proposito di Internet. All’inizio di Alta fedeltà, il suo protagonista cercava di contattare via telefono, fax, lettera, in ogni modo, le ex fidanzate della sua vita per capire perché lo avessero lasciato. Oggicon social giorno, network come “Facebook”sarà possibile rimanere facilmente in contatto con tutte le persone che hanno fatto parte del nostro passato. Quanto secondo lei la tecnologia sta cambiando le relazioni tra persone? Molto, ma in fondo è stato sempre così. Lo stesso scorrere del tempo ha continuamente cambiato la società, è andata avanti su tanti temi, a partire dai diritti delle donne, e questo si è riflesso sul modo di rapportarsi tra le persone. Ora il cambiamento non tocca l’individuo, ma direttamente la natura delle relazioni che da concrete, diventano più eteree. Apparentemente è una fase diversa da superare, ma nella sostanza non c’è mai una fase di stabilità. Credo comunque che nonostante il virtuale stia superando il reale, sarà sempre fondamentale conoscersi dal vivo per piacersi a vicenda.


mondo

pagina 14 • 1 maggio 2009

Fratelli coltelli. Dalla rivolta del Texas alla rivoluzione di Pancho Villa fino alla lotta contro i narcos: cronache di un rapporto difficile

Il buono, il brutto e il suino Scontro tra Usa e Messico su chi ha provocato l’epidemia: è l’ennesima guerra della loro storia di Maurizio Stefanini a barzelletta è nota in molte versioni, ma qui è d’uopo ricordare quella relativa ai rapporti UsaMessico. Un aereo, con a bordo passeggeri di varie nazionalità, inizia a perdere quota, e il pilota allarmato grida di buttare fuori tutto quel che si può buttare, per evitare il disastro. Ma anche dopo svuotate tutte le suppellettili la caduta continua. «Si deve buttare qualcuno! Qualcuno che si sacrifichi per gli altri!». «Solo un perfetto gentleman può farlo», dice allora con perfetto aplomb un inglese. Si alza, si avvicina al portello, grida «God save the Queen!», e salta giù. «Si è raddrizzato, ma non basta! Si deve sacrificare un altro!». Si alza un francese, «Vive la France!», e cantando la Marsigliese anche lui si tuffa nel vuoto. «Mio Dio! Ce l’abbiamo quasi fatta! Ancora uno, ancora uno, e siamo salvi!». E allora si alza un texano. Si avvicina al portello, grida anche lui con fervore: «Ricordati di Alamo!» e spinge giù il messicano. Oggi la stampa Usa che attacca le condizioni igieniche degli al-

L

levamenti di maiali messicani, e i medici messicani secondo i quali l’influenza suina si sarebbe invece originata nel territorio degli States: anche se sarebbe poi diventata letale solo una volta passato il confine, per via delle maggior mobilità della più povera popolazione messicana. Nelle settimane precedenti all’allarme sanitario gli stessi giornali Usa che in segui-

Crockett; e poi la California, il Nevada, lo Utah, l’Arizona, il New Mexico e ampie porzioni di Colorado, Kansas, Oklahoma e Wyoming. Lo stesso nome ufficiale del Messico è ispirato a quello degli Usa: Estados Unidos Mexicanos. È praticamente identico l’apparato istituzionale con la terminologia: Presidente eletto direttamente dal popolo e capo dell’Esecutivo; Congresso

I due Paesi stanno assieme nella grande area di libero scambio del Nafta, e l’american way of life è un miraggio irresistibile per la maggior parte dei messicani to alla guerra del narcos descrivevano il Messico come uno Stato fallito, una specie di Pakistan o Somalia oltre il Rio Bravo; e le autorità messicane che invece ritorcevano le accuse sulla domanda di droga e sul contrabbando di armi dal Nord, obbligando gli stessi Hillary Clinton e Barack Obama a chiedere scusa nel corso delle loro visite.

“Povero Messico: così lontano da Dio, e così vicino agli Stati Uniti”, è la frase tradizionale con cui in Messico lamentano la confinanza che nel XIX secolo tra rivolta del Texas del 1835-36 e guerra del 1846-48 portò via oltre metà del territorio nazionale: lo stesso Texas, dove a Fort Alamo ci fu il famoso massacro in cui perse la vita anche Davy

composto da Camera in cui gli Stati sono rappresentati in proporzione alla popolazione e Senato dove invece hanno rappresentanza paritaria; capitale in un Distretto Federale. Il Messico è il terzo partner commerciale degli Usa, i due Paesi stanno assieme nella grande area di libero scambio nord-americana del Nafta, e l’american way of life è un miraggio irresistibile per la maggior parte dei messicani. D’altra parte, anche la cultura Usa è fortemente impregnata di Messico: dal lazo dei cow-boys allo stesso dollaro, che era in origine una moneta coloniale spagnola. Però, lo stesso giorno in cui partiva il Nafta al Sud si scatenò la rivolta zapatista, mentre al confine nord è quasi uno sport na-

zionale sul versante Usa arruolarsi in squadre di vigilantes volontari che passano il tempo libero a pattugliare il confine contro l’infiltrazione dei clandestini. «Ricordati di Alamo!»: invocazione binazionale. I messicani e l’intera America Latina si crogiolano nel vittimismo per la prepotenza dei gringos. Ma anche il nazionalismo a stelle e strisce ama in particolare quei rari episodi della storia degli Usa indipendenti in cui i combattenti yankee poterono mostrare coraggio e valore proprio per essersi ritrovati in condizione di inferiorità, come appunto ad Alamo, al Little Big Horn, a Bataan o a Bastogne; piuttosto che in tutti quegli altri, ben più numerosi casi, in cui furono invece loro a schiantare tutto dall’alto della loro maggiore potenza di fuoco.

Certo, un ricordo doppiamente selettivo. Dal versante messicano, si dimentica che la maggior parte degli abitanti di origi-

236 i casi confermati

Per l’Oms sarà pandemia. In Spagna il primo contagio indiretto di Gaia Miani

ne ispanica del Texas si unì anch’essa alla ribellione, in odio al regime dispotico di Santa Ana; e che i nomi di otto di loro figurano nella lista dei caduti di Alamo: a partire dal primo in assoluto in ordine alfabetico, il sergente Juan Abamillo. Dal versante Usa, l’oblio è per l’ostilità di noti padri della patria verso quell’espansione imposta apposta dai sudisti, nella speranza che i nuovi territori potessero diventare Stati schiavisti e riequilibrare così l’equilibrio di forze con i nordisti. Lo stesso Abraham Lincoln da congressista si oppose alla guerra del 1846-48. E il futuro comandante nordista e presidente Ulysses Grant, che pure contro i messicani ebbe il suo battesimo del fuoco e iniziò la sua carriera militare, nella sue memorie ricorderà quell’esperienza con amarezza. Scrivendo di «guerra ingiusta condotta da una nazione più forte contro una più debole»; e giudicando addirittura la

segue dalla prima Durante le giornate del blocco della pubblica amministrazione, andrà al lavoro solo il personale strettamente necessario per permettere l’attività dello Stato. Il sistema dei trasporti, ha aggiunto, continuerà a operare normalmente, e rimarranno aperti anche supermarket, mercati, alimentari, farmacie, banche e alberghi. La misura si aggiunge al blocco delle scuole a livello nazionale, fino al 6 maggio, e allo stop imposto a ristoranti, bar, discoteche, e altri locali pubblici a Città del Messico, dove vivono circa 20 milioni di persone. La febbre suina intanto amplia la sua portata. Mentre tutto il Medioriente è in stato di allerta e in Egitto il governo ha dato il via alla macellazione dei suini, due casi sospetti vengono riscontrati in Sudafrica mentre in Usa vengono accertati altri due malati in Nebraska e in Minnesota facendo salire a 93 casi il bilancio. In Spagna c’è stato un primo caso di contagio indi-


mondo

1 maggio 2009 • pagina 15

Alcune immagini di Città del Messico, che sta vivendo le sue ore più difficili e surreali: con la gente che indossa le mascherine camminando per le strade o per andare a fare la spesa. In apertura una foto d’epoca di Pancho Villa e, a fianco, Glenn Ford in un film su Fort Alamo. In basso a sinistra, i presidenti Barack Obama (Usa) e Felipe Calderòn (Messico). A destra, il confine fra i due Paesi, dove si infrangono i sogni di molti messicani in cerca di un futuro

Anche la cultura Usa è fortemente impregnata di Messico: dal lazo dei cowboys allo stesso dollaro, che era in origine una moneta coloniale spagnola. Senza dimenticare Fort Alamo grande strage della Guerra Civile come una punizione divina al peccato di imperialismo che il suo Paese aveva commesso. Dal Messico, il 9 marzo 1916 verrà l’unico attacco straniero al territorio Usa tra la fine della guerra con l’Inghilterra del 1812-15 e il raid giapponese di Pearl Harbor: quando Pancho Villa per punire i gringos del loro appoggio al suo rivale Venustiano Carranza attacca il villaggio di Columbus nel New Mexico, uccidendo 10 civili e 8 soldati. Washington manderà a prenderlo i 10mila uomini del generale John Pershing, che rimarranno in Messico per nove mesi senza cavare un ragno dal buco. L’opinione pubblica messicana ovviamente si mise a sua

volta a ricordarsi di Alamo. L’ambasciata tedesca a Washington iniziò a sondare il terreno, per vedere se riusciva a montare una guerra al sud-ovest degli Usa nel caso questi fossero davvero entrati in campo al fianco degli Alleati, in rappresaglia ai siluramenti di loro navi dirette in Inghilterra da parte degli U-Boot. I servizi segreti però intercettarono il relativo traffico. E così finì che, invece di scongiurare l’intervento Usa, Berlino lo accelerò. Precedenti che comunque spiegano il perché lo spettacolo delle bande di narcos che battono record su record di violenza appena oltre il confine finiscano per inquietare tanto il cittadino medio Usa. Dopo Columbus e Pearl Harbor,

retto (da uomo a uomo) di febbre suina: una persona si è ammalata con il virus A/H1N1 senza essere mai stata in Messico; e il contagio è avvenuto - spiegano i media spagnoli - perché la sua fidanzata faceva parte di una comitiva di studenti che si sono ammalati durante un viaggio nel Paese azteco. In Spagna ci sono stati finora 13 persone contagiate dal virus; e tutti gli altri erano stati in Messico di recente.

L’aumento dei contagiati, soprattutto nella regione catalana, ha poi provocato ieri una piccola crisi diplomatica fra il ministro della sanità tedesco e l’organizzatore del Gran Premio di Formula 1 di Montmelo, in Catalogna, per aver lasciato intendere ai propri concittadini di evitare la partenza per assistere alla kermesse sportiva. In piena emergenza anche il Canada,dove il numero di casi confermati sale a 19,secondo quanto confermato dall’ente pubblico per la Sanità (Phac). Secondo il sito del Phac nell’Ontario i casi sono sette,

infine, il territorio Usa è stato di nuovo violato nel giorno delle Torri Gemelle. E di nuovo il “ricordo di Alamo” è tornato a infiammare l’immaginario nazionale con un film del 2004 in cui i soldati messicani massacratori avevano fisionomie truci dal sapore inequivocabilmente medio-orientale, e che però si rivelò un flop tremendo.

Proprio a quell’anno, d’altronde, risale il saggio con cui Samuel Huntington, undici anni dopo aver lanciato quello slogan sullo “scontro di civiltà” da molti considerato come l’annuncio del grande confronto tra Occidente e Islam, spiega invece che la vera minaccia per l’identità americana non arriva dai musulmani o dai cinesi, ma proprio dagli ispanici in generale, e dai messicani in particolare (in italiano La nuova America. Le sfide della società multiculturale, Garzanti, 2005). «Il persistente flusso di immigran-

con tre nuovi ammalati e nella British Columbia i casi sono sei con tre nuovi ammalati. Si sono poi verificati due casi nell’Alberta e quattro nella Nuova Scozia. Nonostante il contagio si allarghi, l’Organizazzione Mondiale della Sanità ha fatto sapere che per ora non esistono le condizioni per alzare a 6, massimo grado della scala, il livello di emergenza per una possibile pandemia di influenza. A renderlo noto l’assistente del direttore generale dell’Oms, Keiji Fukuda. L’Organizzazione aveva già alzato ieri il livello di allarme a 5, giudicando l’epidemia “imminente”. Ma i dati sui casi di contagio, considerati stabili, non hanno determinato le condizioni per giungere all’ultimo grado di allarme, quello che segnala la pandemia in atto. Grande preoccupazione anche per l’impatto economico. Per Olivier Blanchard, capo economista del Fondo Monetario Internazionale, il danno potrebbe rivelarsi «piuttosto drastico» per alcuni Paesi. A soffrirne le conseguenze più gravi soprattutto il settore del turismo.

ti ispanici minaccia di dividere gli Stati Uniti in due popoli, due culture, e due lingue», è il grido del grande politologo da poco scomparso. «A differenza degli altri immigranti del passato, i messicani e gli altri latini non si assimilano alla cultura statunitense dominante, formando invece le loro énclaves politiche e linguistiche - da Los Angeles a Miami - e rifiutando quei valori anglosassoni che hanno costruito il sogno Americano». «L’America è stata creata da coloni del XVII e XVIII secolo che erano in prevalenza bianchi, britannici e protestanti. Fossero stati “francesi, spagnoli o portoghesi”, ne sarebbero venuti non gli Usa ma il Quebec, il Messico o il Brasile». Col tempo, è vero, questa specificità etnico religiosa è andata diluendosi. Ma per Huntington lo zoccolo duro della relativa mentalità è venuto comunque a informare di sé la massa dei nuovi venuti fino «all’ultimo

decennio del XX secolo», con la nuova moda «del multiculturalismo e della diversità» di cui profittano gli ispanici per non assimilarsi. Huntington sottolineava anche l’esistenza tra Messico e Stati Uniti «della più lunga frontiera terrestre in comune tra un Paese sviluppato e il Terzo Mondo». Inoltre, c’era il passato “spagnolo” del Sud-Ovest degli Stati Uniti e della Florida, che in una cultura «a differenza di quella americana centrata sul passato più che sul futuro» porterebbe gli ispanici a sentirsi non come ospiti, ma piuttosto come agenti della Reconquista di un’eredità degli avi. Appunto, quel film Alamo che sembrava voler concretizzare questi fantasmi poi ci ha rimesso al botteghino. Ma a distanza di anni il problema dell’unico confine di terra tra il Nord industrializzato e il Terzo Mondo riprende a dolere, anche attraverso la querelle sui virus.


quadrante

pagina 16 • 1 maggio 2009

Attentato contro Beatrice d’Olanda: 4 morti Durante una parata un uomo lancia l’auto contro l’autobus reale. Perdendo il controllo di Luisa Arezzo d Apeldoorn, in Olanda, doveva essere un giorno di festa. Reale. Con bandierine e applausi da dietro le transenne. Uno di quei giorni di sole in cui si portano i bambini a salutare la regina. E che invece ricorderanno quella Suzuki swift nera sbucata all’improvviso e lanciata a velocità verso il pullman scoperto dei monarchi olandesi che inciampa - come se non li vedesse affatto - su delle persone, come fossero dei birilli da buttare giù. Una, due, tre, quattro volte. Per poi perdere il controllo e andarsi a schiantare su un obelisco. Le urla di panico, gli spari (avvertiti da molti testimoni, probabilmente sparati in aria dalla polizia), la corsa degli agenti speciali, il tentativo di rianimare i feriti. E quel

A

IL PERSONAGGIO

pullman scoperto con Guglielmo Alessandro, l’erede al trono che il 70% degli olandesi vorrebbero al posto della madre, rimasta seduta nel suo vestito rosso poco più avanti, in pedi, attonito, a guardare la scena. Ancora non sapeva che quell’auto lasciava sulla strada 4 vittime, 5 feriti gravi e 8 lievi. Ma soprattutto, come poi confermato dalla procura, che un suo suddito avesse probabilmente premeditato un attentato alla sua famiglia durante la parata di celebrazione della giornata nazionale della Regina.

La polizia olandese ha escluso qualsiasi legame con il terrorismo, ma il dubbio resta: «Non c’è alcuna indicazione di un collegamento con il terrorismo», ha detto il capo degli investigatori Ludo Goossens, durante la conferenza stampa con il sindaco della cittadina olandese, Fred de Graaf. «Anche se è stato un atto probabilmente premeditato». L’uomo, che era alla guida della Suzuki Swift nera, ha 38 anni, è un cittadino olandese, figlio di olandesi e non ha precedenti penali, né ha avuto in passato problemi di natura psichica. In stato di fermo in ospedale,

l’uomo, di cui non sono state rese note le generalità, sarebbe stato sottoposto ad un intervento chirurgico e quindi non sarebbe in grado di rendere dichiarazioni. Gli agenti hanno eseguito anche perquisizioni nell’abitazione del proprietario della macchina che non è stato chiarito se sia intestata al guidatore e autore dell’incidente. Secondo le dichiarazioni dei primi testimoni, l’automobile, che procedeva ad una velocità di oltre 80 chilometri orari, aveva cercato di colpire il pullman sul quale si trovavano la regina Beatrice e i suoi familiari. Ma invece di

passaggio del pullman con la famiglia reale diretto verso il palazzo Loo, poco prima di mezzogiorno, l’auto ha superato le barriere investendo un gruppo di persone e si poi schiantata contro un monumento sul bordo della strada. La famiglia reale ha assistito da lontano all’incidente.

«Quell’auto è sbucata dal nulla», hanno riferito alcuni testimoni parlando con i media locali. «La macchina ha colpito tra le dieci e le quindici persone. C’è sangue dappertutto e i feriti stanno ricevendo assistenza medica. È terribile», hanno detto. Altre persone, sentite dai cronisti sul posto, hanno riferito di aver sentito anche degli spari. Non è tuttavia chiaro se provenissero dall’auto o dagli agenti intervenuti sul posto. Il premier Jan Peter Balkenende, arrivato a Rotterdam da Varsavia, si è detto «profondamente scioccato» e ha aggiunto di aver parlato con la regina la quale esprime tutta la sua vicinanza alle vittime e alle loro famiglie. In seguito all’incidente, la casa reale ha annunciato con un comunicato, che tutte le celebrazioni legate alla festa della regina sono state annullate nei Paesi Bassi. Che proprio ieri hanno registrato il primo caso di febbere suina: un bambino di tre anni tornato il 27 aprile scorso dal Messico dove aveva partecipato ad una festa di famiglia con i suoi genitori ed è ora sottoposto a trattamento antivirale presso la sua abitazione.

Sospese tutte le celebrazioni. Cinque feriti sono gravi. L’autore del folle gesto è un cittadino olandese di 38 anni. Ora piantonato in ospedale centrare il bersaglio avrebbe perso il controllo andandosi a schiantare contro un monumento. La dinamica, tuttavia, visto che l’andatura non era “folle” non è ancora ben chiara. Di certo, è che le squadre dell’antiterrorismo sono subito intervenute, cercando anche di rianimare i feriti più gravi. L’incidente è stato ripreso dalle televisioni e dai fotografi che stavano seguendo il corteo reale, organizzato per commemorare la regina Giuliana, madre dell’attuale sovrana Beatrice, che è morta nel 2004 e oggi avrebbe compiuto 100 anni. La regina e la sua famiglia, compreso l’erede al trono Willelm-Alexander e la moglie Maxima, si trovavano in un autobus scoperto non lontano dall’incidente. Pochi istanti dopo il

Elise Tan-Roberts. A cinque mesi la prima parola, a 1 anno la prima lettura. Oggi la bimba prodigio inglese è accolta nel Mensa. QI: 156

Il club dei geni ha una nuova recluta: di due anni di Laura Giannone cinque mesi, un giorno guardò in faccia il padre e scandì chiaramente “dada” (papà). Tre mesi più tardi camminava e due mesi dopo - a 10 mesi correva. Alla vigilia del suo primo compleanno sapeva riconoscere il suo nome scritto e conosceva l’intero alfabeto. A 15 mesi conosceva tutti gli animali e distingueva i colori, sfumature comprese. A 16 mesi contava. Anche adesso, a due anni-4 mesi-due settimane, lo fa, ma in spagnolo. Conosce 35 capitali del mondo, da quella dell’Indonesia a quella russa, riconosce un triangolo equilatero (che mima unendo pollici e indici) e altre figure geometriche. Sa fare molti esercizi di matematica. È Elise Tan-Roberts, con un quoziente intellettivo pari a 156 (Albert Einstein aveva un QI pari a 160, tanto per capirci), entrata a spron battuto nel club dei geni: il Mensa, il gruppo che raccoglie i migliori talenti del mondo. Battendo, anche qui, ogni record e piazzandosi come la più giovane“recluta” di tutti i tempi. Fino a ieri il primato spettava a Ben Woods, che nel 1990, anno del suo ingresso, di anni ne aveva sempre 2 ma di mesi 9. Scalzata anche Georgia Brown, che deteneva - dal 2007 - il primato femminile, con 2 anni e 9 mesi e mezzo. Emtrambi, però, avevano un QI inferiore: “solo”152. L’ingresso nell’esclusivo club dei geni avviene solo se al test si supera la soglia del 149 (soglia accessibile solo allo 0,2 della popolazione mondiale, visto che un uomo normale arriva a 100). Elise, nata il 16 dicembre

2006 all’University College Hospital, 8 giorni dopo il termine prefissato, è figlia di Luisa (28 anni) e Edward (34), entrambi non laureati. I due si sarebbero decisi a sottoporla al test dopo che la piccola, ricevendo dalla madre un rinoceronte giocattolo, l’ha “bacchettata”dicendole: «Non è un rinoceronte, ma un triceratopo».

A

La diagnosi degli psicologi: una formidabile memoria, anche visiva, e una capacità logica senza precedenti

Sottoposta a un complesso esame di 45 minuti, ha lasciato senza parole la commissione del Mensa che, nell’accoglierla, ha specificato: «bambina più che intelligentissima e capace: è superdotata. Possiede una memoria straordinaria - non solo visiva - e mostra capacità di apprendimento assolutamente fuori dal comune». Fra i membri del Mensa (tavola in latino, ad indicare la rotonda di re Artù, dove nessuno prevale sugli altri e che ha lo scopo di favorire contatti sociali fra i superintelligenti, oltre che scoprire e studiare la mente umana), ci sono: il campione di scacchi Garry Kasparov (QI 190), l’attore James Wood (QI 180), il premier israeliano Netanyahu (QI 180), il fisico inglese Stephen Hawking (QI 160) e il cofondatore di Microsoft Paul Allen (QI 160). A detenere il guinness dei primati dell’uomo e della donna più intelligenti del mondo ci sono il coreano Kim Ung-Yong (QI 210), che a tre anni parlava perfettamente, oltre alla sua lingua, il giapponese, il tedesco, l’inglese, il cinese e lo spagnolo; e Marilyn Vos Savant, (QI 220), americana.


quadrante

1 maggio 2009 • pagina 17

La nomina in tempi brevi forse nel mese di giugno

Gli Usa premono su Teheran per la sua scarcerazione

Il congresso Ppe appoggia la rielezione di Barroso

La Saberi inizia lo sciopero della fame, il padre chiede la grazia

VARSAVIA. Il presidente della

li Stati Uniti, attraverso il dipartimento di Stato, hanno espresso, ieri, «grande preoccupazione» per la salute della giornalista americana di origine iraniana, Roxana Saberi. La trentunenne, figlia di un padre iraniano e di una madre giapponese, da sei anni in Iran, ha cominciato uno sciopero della fame per protestare contro la condanna a otto anni di carcere per spionaggio, comminata qualche giorno fa da un tribunale a Teheran. Una condanna giunta dopo una serie di restrizioni alla sua attività di giornalista, che svolgeva per diverse testate internazionali, tra cui Bbc e Fox News. Lo ha affermato, a Washington, il segreta-

Commissione Ue José Manuel Durao Barroso incassa il sostegno dei popolari europei e il loro congresso di Varsavia spiana la strada per un secondo mandato dell’ex premier portoghese alla guida dell’esecutivo europeo. Wilfred Martens, presidente del partito, ha detto «che tutti i sondaggi danno come vincenti i popolari alle elezioni europee di giugno, sancendo così che sia questa famiglia politica a indicare chi guiderà il governo europeo». Con la decisione presa al congresso di Varsavia, sembra superata quella che è sembrata da più parti una frenata del presidente francese Nicolas Sarkozy su una ricandidatura di Barroso così come sembra essere sempre più probabile che la nomina del nuovo presidente della Commissione Ue arrivi già al consiglio europeo di giugno, in attesa che cechi e irlandesi ratifichino il trattato di Lisbona. Questo prevede una serie di altre cariche alla guida dell’Ue, a partire dal presidente del Consiglio non a rotazione e al titolare della politica estera e di sicurezza, nonché vicepresidente della Commissione europea. Barroso, che ha partecipato ai lavori dell’assise di Varsavia, ha già ricevuto il sostegno dei principali premier socialisti in Euro-

G

Nato-Mosca torna il grande freddo Decisa l’espulsione di due membri della delegazione russa di Pierre Chiartano a guerra fredda sembrava morta e sepolta, il pericolo ad est del muro di Berlino tramontato – non c’è più neanche un mattone – eppure le spie russe riescono ancora a colpire. Non è più il caso del Gru, il servizio segreto militare e il Kgb è diventato solo un’effige da vendere ai mercatini delle pulci. Dopo l’affaire Litvinenko, ammazzato col polonio, è arrivata la volta di un più classico, e meno gotico, caso spionistico. È successo nel cuore della difesa occidentale: la Nato. L’Alleanza atlantica ha ordinato l’espulsione di due diplomatici russi. Forse legati al caso di spionaggio che ha portato all’arresto di un ex funzionario del ministero della Difesa estone lo scorso anno. Lo ha rivelato il quotidiano britannico Financial Times, secondo cui la decisione sarebbe stata presa, ieri, nel corso del Consiglio Nato-Russia a livello di ambasciatori. La prima riunione dopo ben otto mesi di tensioni per la crisi tra Mosca e la Georgia. Potremo dire che si sia ricominciato col piede sbagliato. I due diplomatici espulsi farebbero parte della delegazione ufficiale presso la Nato e uno di loro, sarebbe anche un figlio d’arte – non sappiamo se anche come ”barba finta”. Secondo il FT sarebbe il figlio dell’ambasciatore russo presso la Ue. Anche se le fonti ufficiali non legano direttamente la vicenda dei due diplomatici russi al caso estone. L’imbarazzo si taglia a fette, soprattutto dopo le aperture americane che avevano riaperto al dialogo con Mosca. Infatti il portavoce dell’Alleanza, James Appathurai, interpellato sulla vicenda si è limitato a dire: «non confermo, né smentisco. Non commentiamo questioni d’intelligence». Già appunto, nessun commento. La questione è molto delicata, perché ci sarebbero di mezzo informazioni sullo scudo antimissile e sul sistema di difesa alla cyberwar. Cominciamo dall’inizio, dall’Estonia. Hermann Simm è il nome in calce al file spionistico. È un ex funzionario, di 61 anni, del ministero della Difesa estone e aveva accesso a materiale classificato Nato, riguardante il suo Paese ed altri mem-

L

bri del sistema di difesa integrato. Nel Baltico, lo scorso anno, c’erano stati molti problemi causati dalla guerra elettronica scatenata contro la rete informatica della Nato. L’inchiesta aveva portato in settembre all’arresto di Simm. L’estone si era fatto arruolare alla fine degli anni Ottanta. «Una catastrofe» la definiva un funzionario tedesco dell’Alleanza, sulle pagine del Der Spiegel lo scorso autunno.Tanto che si sono sprecati i paragoni col caso Aldrich Ames, il capo del controspionaggio Cia, che negli anni Novanta diede il colpo di grazia alla vecchia struttura dell’Agenzia americana. Ma l’intera storia odora di stantio, a cominciare dai metodi operativi. Una vecchia radio convertita in trasmettitore a onde corte, per organizzare gli incontri segreti. Il contatto russo che si spacciava per un uomo d’affari spagnolo. La moglie di Simm utilizzata come spalla nell’attività di spionaggio. Insomma, in Estonia o sono dei nostalgici o mancano di fantasia. Poi il ”colpo da maestro” della spia russa che tenta di reclutare un altro agente e si fa “sgamare”. Questo spiffera tutto alla polizia che comincia ad indagare. L’acquisto di terreni e di una grande casa a Tallinn, manco a dirlo, insospettiscono il controspionaggio estone e quello Nato. Simm nonostante sembri uscito dalle pagine ingiallite di una spy story alla Terzo Uomo, si occupava di uno dei fronti più delicati e tecnologici della Difesa: la cyberwar. Per anni mr. Simm è stato responsabile dell’ufficio che rilasciava le security clearance, i «nos» ´(nulla osta segretezza) che qualificano le persone per il livello di segreti cui possono accedere. In quella posizione può aver agevolato il lavoro di molte altre spie al soldo del Cremlino, oltre ad aver trsamesso duemila documenti tra il 1995 e il 2005. In questi giorni poi, l’epilogo diplomatico, anche se non è chiaro se ci sia un legame diretto tra le due vicende. È comunque una ritorsione e il segretario generale Nato, de Hoop Sheffer, ne ha la facoltà. Anche dalla Ue non è uscito un fiato: «Non commentiamo, è una questione che riguarda la Nato e la Russia».

L’affaire sarebbe una ritorsione per il caso di spionaggio in Estonia, che lo scorso anno portò all’arresto di una spia

pa, dal britannico Gordon Brown allo spagnolo Zapatero, che proprio ieri da Bruxelles ha affermato che darà all’attuale presidente della Commissione Ue il suo sostegno «fermo e solido». Ma il gruppo del Pse a Strasburgo potrebbe complicare la vita dei leader socialisti europei. Nell’ultima riunione, infatti, ha approvato un documento col quale annuncia che difenderà la candidatura di un presidente progressista proveniente dalla famiglia politica socialista, a cui raccomanda «di fare dipendere l’elezione del presidente e dei componenti della nuova Commissione europea dal loro impegno su un accordo per il progresso sociale col Parlamento e col Consiglio».

rio di Stato americano, Hillary Clinton, che ha invitato le autorità iraniane a liberare la Saberi. «Abbiamo una grande preoccupazione circa le condizioni di salute della signora Saberi – ha detto Hillary Clinton. È in condizione precarie sull’orlo di una depressione, non si fa una ragione per essere trattenuta in stato di detenzione. Una situazione tanto orribile e poco sopportabile, che per protesta ha cominciato uno sciopero della fame». Sulla vicenda era anche intervenuto il presidente Ahmadinejad, affinché ci fosse un processo d’appello con tutte le garanzie per la difesa della giornalista, e anche Mahmoud Hashemi Shahroudi, l’ayatollah a capo del sistema giudiziario iraniano. Secondo molti osservatori la cronista sarebbe diventata ”merce di scambio”, nella partita tra Washington e il regime dei mullah. La Clinton ha invitato l’Iran a rilasciarla immediatamente, mentre Teheran nega che la giornalista stia rifiutando il cibo. La famiglia conferma invece che è in atto da dieci giorni. La Cnn riferisce che Reza Saberi, padre di Roxana, potrebbe fare richiesta di grazia per ottenere la liberazione della figlia ad Ali Khamenei, guida suprema della Repubblica islamica.


pagina 18 • 1 maggio 2009

cultura

Quando l’uomo cerca l’origine dell’assoluto

Paura e ricerca: il “buco nero” di Hawking di Massimo Tosti l sentimento più forte e più antico dell’animo umano è la paura, e la paura più grande è da sempre quella dell’ignoto». Diceva così, parecchi anni fa, lo scrittore statunitense Howard Phillips Lovecraft. E la paura, l’effetto panico, nella storia dell’uomo si è coniugato spesso con gli esperimenti scientifici. Talvolta, con qualche legittimo motivo (come accadde per esempio dopo l’esplosione del 16 luglio 1945 della prima bomba al plutonio nel deserto prossimo alla città di Alamogordo: appena venti giorni dopo Hiroshima fu rasa al suolo dalla prima atomica); quasi sempre, senza giustificazione. Nel Medio Evo (ma anche nel Rinascimento) alchimisti e streghe (antenati e arcavoli degli odierni scienziati) venivano spediti sul rogo, che era poi un modo sbrigativo per esorcizzare la paura dell’ignoto: la stessa che accompagna ogni passo avanti della scienza. Lo stesso sentimento che provocava negli spettatori la visione del film I ragazzi venuti del Brasile che attribuiva al medico nazista Mengele la procreazione di tanti piccoli Hitler. Stephen Hawking, lo scienziato che ha maggiormente contribuito allo studio dei “buchi neri”, ha indicato l’obiettivo ultimo della scienza: capire perché noi e l’universo esistiamo: «Se riusciremo a trovare la risposta a questa domanda, decreteremo il trionfo definitivo della ragione umana: giacché allora conosceremmo la mente di Dio». E varrebbe persino la pena di correre qualche rischio per ottenere una risposta.

«I

Le paure sono fuori di luogo, come lo erano quelle dei cavernicoli quando videro per la prima volta una ruota costruita da un loro collega più sveglio. Non capivano, e quindi erano terrorizzati. Ma ebbero paura anche i pellerossa quando videro comparire la prima locomotiva, e persino i contadini europei dell’Ottocento quando si trovarono di fronte le prime biciclette. Nel 1920 in Inghilterra fu proposta una moratoria decennale sulla scienza (approvata da Europa e Stati Uniti) per dare il tempo alla società di capire. Di recente il filosofo Sebastiano Maffettone ha sottolineato la necessità di un forte dialogo tra chi la scienza la fa e chi la vive, affermando che «la scienza è una cosa troppo seria per farla fare solo agli scienziati. Non è un patrimonio esclusivo dei professionisti della ricerca ma un patrimonio della società». Soltanto una più diffusa informazione può ridurre i timori per gli effetti che la ricerca scientifica può riversare sulla nostra salute, sull’ambiente, sulla stessa sopravvivenza del nostro pianeta. Sarebbe ingiusto ricordare ancora una volta il processo del Sant’Uffizio a Galileo Galilei (di cui, peraltro, la Chiesa ha fatto ammenda). Non esiste un conflitto tra fede e ragione. Esiste una naturale, spontanea, istintiva paura dell’uomo per l’ignoto. La scienza si pone l’obiettivo – da sempre – di acquisire nuove conoscenze. Cioè, di svelare l’ignoto. È questa la ragione ultima per la quale gli uomini la guardano con sospetto. E prevedono – di tanto in tanto – la catastrofe. Ogni volta di proporzioni maggiori, come impongono le regole dei disaster movies hollywoodiani.

È da sempre la domanda delle domande. Ma, oggi, l’enorme sviluppo della tecnica la rende più attuale. Rispondono tre scienziati di fama internazionale

Ha un senso l’Universo?


cultura rancamente, mi dichiaro psicologicamente non in grado di credere che l’universo sia privo di significato. Ritengo che esso sia portatore di un senso, e la nostra più grande sfida intellettuale in quanto esseri umani consiste nel ricercarne la più intima essenza. La mia fede non costituisce il risultato di un’accecante illuminazione sulla via di Damasco. Né tantomeno porta l’impronta di un’educazione coltivata tra le mura domestiche. Un insegnante d’asilo pone nella sua semplicità molti interrogativi profondi, ma raramente essi attengono al senso dell’universo. Gli adolescenti che iniziano a diventare adulti potrebbero chiedersi “quale è il significato di tutto ciò?”. La domanda è esistenziale, ma la risposta molto più sottile. La percezione emerge non tra fulmini, terremoti e roghi, ma nella voce ancora fioca dell’universo stesso.

F

1 maggio 2009 • pagina 19

Il suo scopo è quello di ospitare individui consapevoli della propria esistenza e capaci di indagare sull’infinito

Coincidenze e misteri rivelano un Creatore di Owen Gingerich docente di Storia della Scienza alla Harvard University, astronomo emerito dello Smithsonian Astrophysical Observatory

Se alcune delle costanti fondamentali della natura fossero state differenti, non si sarebbe avuta una tale abbondanza di carbonio. Rendendo impossibile l’evoluzione di forme di vita intelligente

Lo scopo dell’universo è con buone probabilità quello di fungere da dimora ideale per quelle creature consapevoli della propria esistenza le quali sono in grado di interrogarsi a fondo e di indagare sulla natura stessa dell’universo. A poco a poco ho iniziato ad apprezza-

È una percezione che emerge non tra fulmini, terremoti e roghi, ma nella voce ancora fioca del cosmo stesso. Esistono “casualità” in misura sufficiente da indurre gli osservatori a una seria riflessione

re la magnifica predisposizione dell’universo a far emergere vita intelligente. Gli atomi di carbonio, dotati della capacità di formare tra essi legami, pongono le basi di un’immensa varietà di combinazioni nei meccanismi cellulari: nessun altro atomo offre uno spettro così ampio di possibilità. Ma il carbonio non si è generato in seguito al big bang. Esso si è formato lentamente, per milioni di anni, all’interno dei nuclei dei corpi celesti in evoluzione. Se alcune delle costanti fondamentali della natura fossero state anche solo minimamente differenti, non si sarebbe avuta una tale abbondanza di carbonio. E risulta alquanto difficile immaginare l’evoluzione di forme di vita intelligente senza la presenza un elemento con simili caratteristiche. Una rondi-

ne non fa primavera. Ma nella messa a punto dell’universo, l’abbondanza di carbonio rappresenta solo uno di tanti aspetti degni di menzione. Esistono “coincidenze”di questo tipo in misura sufficiente da indurre gli osservatori maggiormente dediti alla riflessione ad una pausa. Gli scienziati poco inclini ad accettare un universo i cui meccanismi siano pienamente funzionanti si vedono obbligati a prenderne nota. Naturalmente, se l’universo fosse in qualche modo differente da come oggi ci appare, non saremmo probabilmente qui ad osservarlo; ma una risposta di questo tipo difficilmente potrebbe soddisfare i nostri interrogativi.

Supponiamo in ogni caso che esistano effettivamente molteplici universi, ognuno dei quali con proprie intrinseche caratteristiche. In tal caso noi ci troveremmo nell’universo che, come la minestra dei tre orsi, è semplicemente adatto a noi.

Da Anassagora ad Einstein, da Metrodoro ad Heidegger, da Newton a Kundera

La scintilla della storia sull’invisibile ISAAC NEWTON: «Non credo che l’universo si possa spiegare solo con cause naturali, e sono costretto a imputarlo alla saggezza e all’ingegnosità di un essere intelligente». FRIEDRICH SCHLEIERMACHER: «Il mondo non è senza Dio, Dio non è senza il mondo». MARTIN HEIDEGGER: «La grandezza dell’uomo si misura in base a quel che cerca e all’insistenza con cui egli resta alla ricerca». ALBERT EINSTEIN: «La realtà è meno importante dell’immaginazione; la realtà è limitata, l’immaginazione abbraccia l’universo. E oltre».

ANASSAGORA: «I fenomeni visibili sono uno sguardo lanciato su ciò che non è visibile». FERNANDO PESSOA: «Saggio è colui che si contenta dello spettacolo del mondo». METRODORO: «Ricordati che sei nato mortale di natura e hai avuto un tempo limitato: ma con i tuoi ragionamenti sulla natura sei assurto all’infinità e all’eternità, e hai contemplato le cose che sono, che furono e che saranno». MILAN KUNDERA: «Gli scrittori di romanzi insegnano a tutti i lettori a considerare il mondo come una domanda».

Gli altri universi sterili, molti dei quali privi di stelle o di pianeti, esisterebbero nel proprio spazio per sempre precluso all’osservazione. Tale teoria appare pertanto come una conscarsatroargomentazione mente persuasiva. Ed anche le presenza di un solo universo congeniale potrebbe dirsi quasi un miracolo. Nell’oscuro mistero del grande esperimento creativo di Dio si possono rinvenire molteplici sfaccettature che noi, in termini umani, giudicheremmo come scopi dell’universo. Incredibile a dirsi, ritengo che ciò faccia parte della volontà del creatore di rivelarsi a dispetto dell’intelligenza e delle personalità umane. Dall’esperimento di Dio deriva la libertà di scelta, ed io scelgo di credere in universo portatore di un fine. I miei riflessivi amici atei che negano che l’universo racchiuda in sé un fine ultimo sono anch’essi a loro modo uomini e donne di fede. Forse intimoriti dalla grandezza del disegno, essi tendono a ricercare un’interpretazione dell’universo percorrendo strade differenti. Ironicamente, essi stessi potrebbero essere parte del fine ultimo dell’universo.


cultura

pagina 20 • 1 maggio 2009

NO

Perché invece di “creato” non lo pensiamo come una semplice manifestazione di una “realtà suprema”?

Sono d’accordo con Monod Il mio Vangelo è il Caso di Christian de Duve biochimico, premio Nobel 1974 per la medicina e la fisiologia

ovrei in primis puntualizzare che quella qui proposta è una domanda insidiosa, dietro a cui si celano molteplici implicazioni. Un “senso” presuppone una mente che lo concepisca, così come la capacità di metterlo in pratica. Nel caso in questione, ciò implica che colui che possiede tale mente non ha semplicemente creato l’universo in cui noi viviamo così come a noi appare, ma potrebbe altresì averne creati ed avrebbe deciso di creare quello in cui noi viviamo per un motivo specifico. L’interrogativo concerne pertanto la nostra fede nell’esistenza di un Creatore che dispone di un potere e di una libertà pressoché infiniti ma che allo stesso tempo affronta il processo tipicamente umano di ponderazione delle decisioni e fonda il proprio agire in base a tali presupposti. E questa è, in un certo senso, una visione di Dio prettamente antropomorfica.

D

Un secondo aspetto inerente a tale questione attiene alla motivazione che sottende il fine. Cosa aveva in mente Dio quando creò l’universo così come lo conosciamo? Essendo la domanda posta da noi, risulta ovvio ritenere l’uomo quantomeno parte del disegno divino. Come affermato dai sostenitori del“principio antropico”, l’aspetto più singolare dell’universo è il fatto che esso sia semplicemente dotato delle corrette proprietà fisiche per dare origine alla vita e, attraverso questa, alla mente umana. Una tale visione antropocentrica della creazione non si concilia però facilmente con quanto noi sappiamo circa l’origine evolutiva dell’umanità. Personalmente, non condivido le implicazioni del termine “senso”. Preferisco dare maggiore credito all’incontestata affermazione secondo cui l’universo sia stato concepito in maniera tale che certi eventi, ivi compresa la creazione della vita e della mente, fossero possibili, forse persino probabili, se non obbligatori. Invece di ricercare la“mente di Dio”al fine di fornire una spiegazione a fatti come questi, considero l’affermazione qui proposta come un’espressione di realtà ed un importante indizio relativamente alla natura di tale realtà. Molti scienziati e filosofi hanno assunto questo atteggiamento. Per fare un esempio, nel 1970 il fu biologo francese Jacques Monod, in seguito ad un attenta

analisi condotta sulla scia delle grandi scoperte del tempo, affermò che l’universo costituisse un’entità priva di significato all’interno della quale la vita e la mente si generarono in virtù di una straordinaria combinazione di circostanze improbabili che avrebbero potuto tranquillamente non verificarsi. Come egli sosteneva: «L’universo non era gravido di vita, né tantomeno la biosfera lo era dell’uomo», la qual cosa lo indusse a constatare con stoico atteggiamento che «dopo tutto, l’uomo sa di essere solo nella fredda immensità dell’universo dal quale egli è stato generato solo per ca-

Preferisco dare credito all’affermazione secondo cui tutto è stato concepito in maniera tale che certi eventi, compresa la nascita della vita e della mente, fossero possibili, forse persino altamente probabili, se non obbligatori

so». Molti biologi della generazione di Monod hanno fatto propria tale posizione, e sono pertanto divenuti dei propugnatori di ciò che ho definito come «vangelo della contingenza».

Da allora, il messaggio scientifico ha subito dei mutamenti. La maggior parte dei biologi odierni tende a ritenere la vita e la mente come imperativi cosmici, inscritti nella sostanza stessa dell’universo, piuttosto che dei prodotti straordinariamente improbabili del caso. Ma il contenuto filosofico della visione di Monod ha resistito all’ascesa della cosiddetta teoria del “multiverso”. Secondo questa teoria, il nostro universo non sarebbe altro che uno tra una moltitudine di altri universi che non godono delle stesse proprietà, l’unico in cui si possono casualmente riscontrare delle costanti fisiche come ad esempio il fatto che esso possa evolversi fino a generare la vita, la quale si è a sua volta evoluta e ha generato la mente. A causa della

necessità di disporre di una mente per comprendere un tale universo, il nostro è, per necessità, l’unico all’interno del multiverso che può essere percepito, almeno da entità da esso stesso generate. Al di là di quanto appena detto, nel nostro universo non vi è nulla di speciale. Ritorniamo dunque alla «fredda immensità dell’universo dal quale siamo stati generati solo per caso» di Monod. La differenza risiede nel fatto che non siamo noi ad essere stati generati per caso, ma piuttosto l’universo che si è casualmente originato all’interno del multiverso.

Non mi sento di sottoscrivere una visione del genere. La vita e la mente costituiscono infatti a mio parere delle così straordinarie manifestazioni di materia che rimangono prive di significato, indipendentemente da che esistano o siano possibili universi in cui la possibilità di creare entrambe non si palesi. L’accomunare il nostro universo a trilioni di altri universi non ridimensiona in alcun modo l’eccezionalità delle sue proprietà, che ritengo indizi rivelatori di quella “Realtà Suprema”che ne sottende l’esistenza. La scienza ci ha consentito di intravedere uno scorcio di questa realtà palesando ai nostri occhi quegli strani oggetti e concetti, pressoché irriducibili al nostro mondo conosciuto, che si celano dietro entità quali il cosmo, la materia, la vita e la mente. La musica, l’arte e la letteratura ci hanno consentito di avvicinarci ad un’ulteriore sfaccettatura di questa realtà, emotiva ed estetica piuttosto che intelligibile. Grazie alla filosofia ed alla religione abbiamo acquisito la consapevolezza dei suoi aspetti etici e mistici.Volendo racchiudere tutto ciò in un’unica manifestazione, possiamo affermare che l’amore ci ha permesso di penetrare nel cuore dell’universo. Si potrà anche sostenere che, nell’ottica di una visione di questo tipo, l’esistenza di un creatore non sia necessaria. Per definizione, un creatore non deve egli stesso essere stato creato, a meno che non faccia parte di un’infinita successione di creatori stile Matrioska. Ma allora perché volere una successione? Perché non pensare l’universo come un qualcosa non generato da alcuno, una semplice manifestazione della Realtà Suprema, piuttosto che l’opera di un creatore non creato? Vale la pena di porsi una domanda del genere.

Queste e le due pagine precedenti sono illustrate con opere di Salvador Dalì


cultura

1 maggio 2009 • pagina 21

LO SPERO

Il compito dell’uomo è liberarlo, per rigenerare un mondo diviso tra disgrazia e promessa

Ma nel mondo di oggi anche Dio è in prigione di Elie Wiesel docente della Boston University, premio Nobel 1986 per la Pace

se non ha un senso, tocca a noi conferirgliene uno. Ma prendiamo innanzitutto in considerazione i seguenti interrogativi. Perché il mondo? Perché l’uomo? Perché Dio ritenne utile o persino positivo introdurre tutti noi all’interno del suo disegno divino?

E

Se dobbiamo credere all’antica leggenda narrata nel Talmud, queste domande sono vecchie quanto le Creazione, e forse anche più vecchie. Gli angeli tentarono nei fatti di dissuadere Dio. «Quale cosa buona potranno mai essere?» chiese l’Angelo della Verità. «Gli uomini non saranno in grado di dire sempre la verità». L’Angelo della Pace aggiunse: «Gli uomini non saranno mai in grado di vivere in pace senza litigare gli uni con gli altri». E dunque perché non rinunciare? Sbagliò Dio nel non dare ascolto ai saggi avvertimenti dei suoi consiglieri celesti? La risposta che fornisce la storia appare sconsolante. Non ci volle molto ad Adamo ed Eva, nel paradiso, per disobbedire alla volontà divina. Questi pietosi progenitori lasciarono i propri figli a discutere; uno divenne l’assassino, il secondo la vitti-

ma dell’altro. Da allora la morte si presentò agli uomini anche sotto le spoglie dell’omicidio.

Incapaci di vivere in società, gli uomini fecero adirare Dio così tanto che Egli finì per rimpiangere di aver riposto tutta quella fiducia in loro. E venne il diluvio universale. Fu un errore ricominciare tutto daccapo? Messi a confronto con il proprio creatore, gli uomini sono condannati a divenirne gli avversari, o persino i nemici? Forse Suoi prigionieri? Suoi orfani? La tradizione ebraica dalla quale derivano le mie nozioni definisce il concetto in termini privi di ambiguità: noi siamo i suoi soci. Per dirla in termini molto semplici: sebbene Dio abbia creato il mondo, a noi è affidato il compito di preservarlo, rispettarlo, arricchirlo, abbellirlo e popolarlo, senza usare violenza nei suoi confronti. Poiché il mondo è fragile e vulnerabile, esso è sempre stato percepito come in pericolo. E tale minaccia proviene dall’uomo stesso. È il timore della solitudine o della morte che ci spinge a conquistare o dominare i pensieri, i sogni e le speranze di un’altra persona? Il tortu-

ratore tormenta il prigioniero o l’ostaggio per placare la propria angoscia derivante dalla consapevolezza di vivere in un universo che sopravviverà alla sua morte?

Poiché il pianeta è fragile e vulnerabile, esso è sempre stato percepito come in pericolo. E tale minaccia proviene dall’uomo stesso. È il timore della morte o della solitudine che ci spinge a dominare i pensieri e le speranze di un’altra persona?

Comprenderà l’uomo un giorno che solo Dio è solo? Che una persona in vita non è sola ma può fare affidamento solo su sé stesso o sé stessa per non sprofondare nella solitudine? E che ognuno di noi è responsabile della solitudine dell’altro? E del mondo che un altro indivi-

duo racchiude dentro di sé? Dove sta andando il mondo oggi? Difficile dirlo, ma sappiamo con certezza che ci sta andando velocemente – come un treno che sembra aumentare di velocità man mano che si avvicina al disastro. Come possiamo fermare questa corsa se non suonando l’allarme? Consapevoli dei pericoli che minacciano il pianeta, pericoli derivanti da quegli stessi individui che lo abitano, a volte è facile perdere la speranza. Così tante guerre, così tanti massacri e rancori irrompono nella Creazione che viene da chiedersi se mai Dio perderà la pazienza.

La perse decenni or sono, quando il male e la disgrazia sembravano regnare sull’Europa occupata dalle armate di Hitler? Ogni qualvolta un bambino moriva di fame, di paura, di dolore; ogniqualvolta un bambino periva tra fiamme accese dagli uomini, era giusto chiedersi: dov’era Dio in tutto ciò? Quali avrebbero potuto essere i suoi propositi quando, qui in terra, il Regno delle Tenebre si sostituiva al Regno del Creatore? Ammetto che tali interrogativi rimangono anche per me aperti. Se esiste una risposta,

la contesto. La morte brutale e crudele di un milione e mezzo di fanciulli non può né dovrebbe avere giustificazioni. Ma so questo: gli interrogativi con cui oggi siamo chiamati a misurarci hanno sicuramente una risposta; e questa ci coinvolge. Se il mondo odierno ha un senso o una sorte, questa deve essere la stessa per tutti noi. Ed ogni essere umano, con il proprio retroterra e la propria formazione culturale, è investito del dovere, verso sé stesso o sé stessa, di affermare quel senso di umanità che si genera nei confronti dei propri simili.

Il fine del mondo non può essere proporre o imporre una scelta tra la gioia per alcuni ed il tormento per altri. Una simile scelta sarebbe sinonimo di falsità ed ingiustizia. Se per essere felici fosse necessario pretendere il sacrificio dell’altro, il mondo in cui viviamo assomiglierebbe più ad una prigione che ad un frutteto. La trasformazione del mondo intero in un grande recinto rappresenta in realtà l’obiettivo di un fanatico tormentato da un odio infame ed implacabile, e non di certo quello del credente sincero e di buon cuore. L’uno – il carceriere – intende sopprimere tutti coloro che sono diversi da lui. La verità è che riesce a gettare Dio stesso nel buio di una prigione. Il compito dell’uomo consiste pertanto nel liberare Dio, consentendo così alla forza della generosità di rigenerare un mondo sempre più diviso tra la disgrazia e la promessa.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale

da ”le Monde” del 30/04/2009

Ai rossi piace il blu dell’Onu di Philippe Bolopion na rivoluzione tranquilla e silenziosa è in atto alle Nazioni Unite. Parla cinese questo lento, ma costante cambiamento nel Palazzo di vetro. Anzi più che nel palazzo, in giro per il mondo, nei vari teatri d’intervento. Pechino per molti anni è sempre stata ostile alle operazioni di peace keeping, perché le interpretava come uno strumento d’interferenza delle grandi potenze negli affari interni degli Stati. Negli ultimi sei anni però, qualcosa è cambiato ad Oriente. La Cina ha gradualmente aumentato il numero di militari impegnati sotto le insegne dei caschi blu. Con più di 2mila uomini impegnati nei vari teatri d’intervento Pechino ha scalato la classifica dei Paesi, tanto da poter essere paragonata alla Francia e un passo avanti a Regno Unito, Russia e Stati Uniti, come impegno nelle forze di pace. In Darfur, i caschi blu cinesi stanno costruendo le strade, in Liberia si stanno prendendo cura dei bambini e delle sommosse ad Haiti. «La Cina è preoccupata per la sua immagine» ha dichiarato Adam Segal, un esperto sinologo del Council of foreign relations. In risposta al tormentone della «minaccia cinese», Pechino cerca di tranquillizzare il mondo «sulla natura – continua l’esperto – pacifica e responsabile della sua ascesa». Accusata di sfruttare senza vergogna le materie prime africane, per alimentare la sua spettacolare crescita economica, la Cina sta tentando – secondo Richard Gowan, ricercatore del Centro per la cooperazione internazionale – di sfruttare della pubblicità a buon mercato, per mantenere i rapporti con i Paesi africani. Potremmo affermare che, questo rinnovato interesse della Cina per l’Onu, capita a proposito. L’organizzazione internazionale rischia il collasso, soprattutto in Africa, dove è impegnata con 115mi-

U

la uomini, sparpagliati in 18 missioni. I Paesi occidentali sono quasi tutti altrove, con la Nato, tra Afghanistan e Balcani. In questo contesto, secondo lo studio del think tank International crisis group, la Cina può dispiegare «proprio la tipologia esatta di caschi blu che servirebbero per le nuove missioni», portando anche del «prezioso sostegno politico», giocando con i buoni rapporti che intrattiene con alcuni regimi, come quello sudanese, per far accettare una missione Onu. Una tendenza che potrebbe essere anche accolta con favore, visto che le missioni avrebbero a disposizione del personale militare meglio addestrato e disciplinato, rispetto alla media. Comunque, il contributo del più grande esercito del mondo, «rimane modesto rispetto al suo potenziale», nota il diplomatico francese Alen le Roy. La Cina figura ancora al quindicesimo posto, per il contributo fornito in numero di militari impegnati nelle missioni, dopo Pakistan, India, Bangldesh e Nigeria.

Pechino paga solo il 3 per cento del conto annuale dell’Onu, che ammonta a circa 7 miliardi di euro, assegnato alle missioni di pace, contro il 26 per cento di Washington, il 7,8 di Londra e il 7,4 per cento di Parigi. Inoltre la Cina non utilizza unità da combattimento, ma solo di polizia e del genio, e neanche mezzi dell’aeronautica, di cui c’è permanente penuria nella Repubblica democratica del Congo, in Darfur e in Ciad. Ci troveremmo dunque, di fronte a dei test per l’impiego di reparti fuori confine, ma gli esperti notano un sempre maggiore

entusiasmo da parte del ministero degli Esteri cinese per queste operazioni. I principi di non ingerenza e di rispetto della sovranità nazionale rimangono ancora la pietra angolare dell’azione cinese all’estero, che non esita a bloccare col veto ogni decisione del Consiglio di sicurezza sulle vicende di Birmania, Zimbabwe o Sri Lanka. Molti rimangono però scettici sul reale peso di Pechino sulla scena internazionale, almeno come attore responsabile nella promozione della pace e non solo dei propri interessi. Spesso i funzionari Onu ammettono che i cinesi tendano ad isolarsi nelle missioni, facendo fatica a comunicare sia in francese che in inglese. Difficilmente escono dai loro compound, hanno paura di fare brutte figure nel caso ci siano dei problemi. L’Occidente disertando le missioni Onu, dopo le crisi del Ruanda e della Bosnia, ha lasciato un vuoto che la Cina sta riempiendo, e anche la Russia promette di dare il suo contributo. Per molto tempo Pechino è stato come il ragno nel centro della ragnatela, si spostava solo sulla vicenda Taiwan. Oggi è diventato un membro influente del Consiglio di sicuerezza. È cambiata un’epoca.

L’IMMAGINE

Ecco Magdi Cristiano Allam, cavaliere senza macchia e senza paura

Non ci sto più dentro

Il capolista per l’Udc sotto le insegne scudocrociate nel Collegio nordovest (Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia e Liguria) per le prossime elezioni del Parlamento europeo sarà Magdi Cristiano Allam. Catone e Cicerone elogiavano nell’autentico candidato la presenza di due innegabili e onorevoli caratteristiche morali che ne costituissero il candore, rendendolo candido. La prima è cercare e testimoniare la Verità, senza arretrare ad ogni nuova minaccia di morte da parte dei terroristi e dei fondamentalisti islamici, decuplicate con il suo battesimo. La seconda l’avere accettato la riduzione del proprio reddito personale quando per seguire sia la personale vocazione politica, sia l’invito di Benedetto XVI rivolto ai migliori professionisti cattolici di dedicarsi alla costituzione di una presenza istituzionale e alla formazione di autorevoli esponenti delle future classi dirigenti tra il laicato cattolico più fedele al Magistero della Chiesa docente, si è dimesso da vicedirettore del Corriere della Sera.

«Prima o poi mi metto a dieta», penserà questa signora che sembra “straripare” dalla tela. Il quadro dell’artista inglese Jenny Saville, esposto da Christie’s a Londra, infatti, pare decisamente troppo stretto per lei nonostante le notevoli dimensioni: 3 metri d’altezza per 1,6 metri di larghezza. Forse per contenere le sue abbondanti misure ci vorrebbe un dipinto extralarge

Matteo Maria Martinoli

LIBERATE MARTINA In una storia che ha dell’incredibile, durante una vicenda di separazione tra coniugi, in tempi di “affido condiviso”, in Firenze. A quasi quattro anni di verità disattese, è questo l’appello di due nonni, Franco e Graziella, genitori di Andrea, padre di Martina, bambina di quasi otto anni di età, falsamente accusato di violenza (accusa ufficialmente archiviata) e ultimamente tacciato di essere addirittura paranoico, malattia grave che non si inventa ed invalidante, che noi con certezza ampiamente smentiamo di nostro figlio, confortati dalle indagini mediche a cui egli stesso si è sottoposto e che hanno sconfessato del tutto la falsa diagnosi. Tutto questo al fine di sottrarre la bambina a noi nonni paterni e all’a-

more del suo babbo. Sì, liberate Martina, da personaggi senza scrupoli, da consulenti tecnici del tribunale di Firenze, interessati a tal punto da inventare pericolose patologie inesistenti, facendo così pensare ad intesa collusiva. E soprattutto liberate Martina, come tutti i bambini senza voce, dall’indifferenza di chi potrebbedovrebbe aiutarli a mantenere una crescita equilibrata, una giusta frequentazione con tutti gli ascendenti familiari, come suggerito dalle attuali disposizioni di legge, e non lo fa.

I nonni di Martina

IL CARROZZONE RAI È UN VERO STIPENDIFICIO “Di tutto, di più”: mamma Rai spreca. A dicembre 2007 l’intero gruppo Mediaset ha a libro paga

4635 lavoratori, contro 13.248 dipendenti Rai. Inoltre, la Rai ha circa 43mila contratti di collaborazione. Sono cifre stratosferiche, non raggiunte da alcun gestore televisivo pubblico o privato in Europa. La Rai mantiene un’orchestra sinfonica di 116 elementi totalmente inutilizzata da anni. Malgrado tale eccedenza di risorse umane disponibili, la stes-

sa Rai compra quasi un quarto delle sue trasmissioni da terzi. Normalmente l’industria di Stato è antieconomica. Al funzionamento del mondo privato corrisponde l’inefficienza pubblica.

Gianfranco Nìbale

IL PROGETTO RIFORMATORE Il Pdl ha materializzato un concetto che molti anni fa sembrava

astruso, quasi pindarico: la valenza della destra di governo come progetto riformatore del Paese, fuori dagli schemi passati. Questi ultimi guardavano alla democrazia come necessità della plurivalenza nelle decisioni, estesa a tutto l’arco costituzionale che non era rappresentativo di volontà popolari.

Bruno Russo


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog

dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Sono circondata da affettuose premure Papà Han, Kathe, Hans, Maria, eccovi appena un saluto. Qui non si riesce a scrivere, non per mancanza di tempo ma per le molte, troppe impressioni da cui si è assaliti. Solo su questa settimana ne avrei da raccontare per un anno intero. Sono fra coloro che sabato prossimo andranno in licenza. Che privilegio poter ripartire e rivedervi tutti. Ho fatto bene a non fuggire i primi giorni, di tanto in tanto mi metto a letto per un’ora e poi va meglio di nuovo. Valigia, vestiti e coperte sono a posto. I Mahler mi circondano di premure. Ora sono le otto e mezzo di sera e mi trovo un’altra volta nella loro cameretta ospitale, ch è una vera oasi. Accanto a me Vleeschhouwer è immerso in un libro. Mahler, sua moglie e due amici fanno una partita a carte. Il piccolo Eichwald, che mi procura fedelmente il latte, è seduto per terra in un angolino accanto al cane Humpie, e disfa il soprabito del signor Speyer di chi vuol fare un giubbotto. Il fratello di Stertzenbach (questo è per Hans) sta scrivendo delle lettere, e più tardi ci racconterà ancora qualcosa sulla sua prigionia. Il fornello della zia Lee sta in un angolo come una presenza familiare, vi si preparano molte cose buone per la compagnia. Tanti cari saluti a tutti voi, a presto. Etty Hillesum a Han Wegerif e altri

ACCADDE OGGI

BISOGNA SOSTITUIRE L’ALLEANZA CON LA LEGA CON QUELLA CON L’UDC Penso che la Lega Nord sia da sempre un partito dannoso per il Paese, perché sorto attorno a un leader estremista, già comunista iscritto al Pci negli anni ’70, che ha cavalcato una protesta giusta, ma in modo sloganistico e del tutto destabilizzante. La Lega Nord ha cavalcato la protesta delle tartassate partite Iva del nord produttivo e contro un’immigrazione irregolare senza controllo ma prima ha proposto un’astrusa (e strumentale) secessione del Nord dal Sud e poi uno pseudo-federalismo che finirebbe per aumentare le tasse, gli sprechi e la burocrazia. Da segnalare, poi, come la legge sull’immigrazione, voluta anche dalla Lega, non abbia affatto arginato la questione dell’immigrazione irregolare e così anche tutte le normative sulla sicurezza si sono rivelate vane. Penso poi alle imminenti elezioni amministrative e a come i leghisti - qui al nord - stiano facendo di tutto per garantirsi un po’di posti e poltrone sicure, arrivando anche a rompere con il Pdl laddove queste non siano garantite. Non vedo dunque negativo il fatto che il Pdl possa correre senza la Lega in molte realtà locali. Da repubblicano, poi, debbo anche dire che sono lieto che in molti comuni ci siano candidati sindaci del Pri, in alleanza con il Pdl e l’Udc. In proposito ho avuto occasione di leggere la lettera aperta di Enrico Cisnetto, presidente di Società Aperta e direttore di Terzarepubblica.it a Pier Ferdinando Casini, nella quale plaude alla recente convention del suo partito. Cisnetto, da

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

1 maggio 1954 In Giappone viene fondata Taku 1956 Il vaccino antipoliomelite sviluppato da Jonas Salk viene reso disponibile al pubblico 1967 Elvis Presley sposa Priscilla Beaulieu 1978 Il giapponese Naomi Uemura, viaggiando in slitta, diventa la prima persona a raggiungere in solitaria il Polo Nord 1982 L’Esposizione mondiale apre a Knoxville,Tennessee 1983 A San Juan, Edwin El Chapo Rosario vince il titolo vacante della Wbc, categoria pesi leggeri, battendo Jose Luis Ramirez ai punti in 12 round 1991 Giovanni Paolo II pubblica la Lettera Enciclica Centesimus Annus per i cento anni della Rerum Novarum di Leone XIII 1994 Il pilota di Formula 1, Ayrton Senna muore durante il Gran Premio di San Marino 1995 Pesanti attacchi serbi su Sarajevo e, per ritorsione, attacchi aerei della Nato su depositi di munizioni serbi

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

anni, cerca di proporre una soluzione che vada oltre il bipolarismo e guardi al bene del Paese puntando ad una serio contenimento della spesa pubblica e degli sprechi che ne derivano. Ora, io non so se sia possibile e credibile oggi una soluzione “terza”, che veda protagoniste le forze laiche e cattoliche del nostro Paese, che si uniscano in un unico programma di governo lasciando fuori le questioni etiche, che dovrebbero essere discusse unicamente in Parlamento. Chi scrive ha per diversi anni sostenuto un’operazione “terzaforzista” che vedesse unite le forze laiche, liberali, liberalsocialiste e repubblicane del Paese, con un coerente programma di governo liberale in economia e libertario nei diritti civili. Inutile dire che ci crederei ancora, ma debbo pensare anche a calarmi nella realtà dell’oggi. Una realtà che prevede una becera legge elettorale che oltre a prevedere antidemocratici sbarramenti, non prevede le preferenze. Inutile dire che riterrei credibili e democratiche solo soluzioni elettorali capaci di prevedere la massima rappresentatività degli elettori per mezzo di un ritorno al sistema proporzionale puro. Alle “macerie del Pd” preferisco un’alleanza con il “monarchicoanarchico”Pdl. Puntando, nel breve periodo, a rendere il Pdl quanto più possibile liberale, libertario e liberista. Un Pdl che ad ogni modo possa sostituire l’alleanza della Lega a quella dell’Udc e magari lanciando alleanze anche con i laici sparsi ancora nel Pd e dintorni del nostro Paese.

LA PROPOSTA DI UN PATTO SOCIALE Questa divergenza economica produce uno schema ideologico classico in virtù del quale le categorie deboli affidano alla sensibilità delle forze di sinistra le loro rivendicazioni sociali e politiche, mentre quelle che si ritengono agiate trovano la loro rispondenza negli ambienti politici di destra. Ne deriva che si trovano spiazzate le categorie sociali intermedie a questi due estremi, che perdono il loro profilo identitario, si sentono confusi e vengono trascinati in una delle due parti per effetto della situazione economica esistente. La cruda realtà congiunturale mette in crisi l’identità sociale intermedia di questi ceti in cui diverse categorie professionali si rispecchiano. Ci riferiamo, seguendo la nomenclatura tricotomica di Sylos Labini, al ceto medio, in cui gli artigiani autonomi, i commercianti, i piccoli e medi imprenditori, i liberi professionisti, i dipendenti pubblici si ritrovano; parliamo della loro posizione sociale che è poco incisiva perché affetta da particolarismi che, persistendo, non operano per una visione comune del bene. Nel fatto concreto, mancano i presupposti per una coscienza di classe delle diverse categorie dei ceti medi per la presenza di contrasti permanenti di interessi personali o per la prevalenza di una categoria sull’altra. L’aspetto che ci lascia perplessi, e nel contempo speranzosi, è il constatare che di questi gruppi fanno parte gente alfabetizzata ed esposta civilmente che è in grado di discernere il bene dal male. L’Udc intende avviare con essi un ragionamento serio per vedere di correggere i guasti politici che hanno causato coi loro instabili comportamenti. I ceti medi, siamo convinti, prescindendo dal significato economico delle loro funzioni, possono diventare una formazione morale e politica omogenea ed alternativa in quanto in essi si entra da tutte le classi economiche e l’entrarvi significa sollevarsi dalla particolarità di quelle classi per operare e giudicare per il bene comune. Coloro che appartengono al ceto medio sono dotati, non tutti nella stessa misura, di quelle qualità culturali che permettono di non sottrarsi alla lotta utilitaria, ma di superarla realizzandone i risultati in una sfera morale superiore. Rientra in gioco la buona politica con sua la volontà di ragionare a tutto campo per ricomporre l’identità ed il ruolo di queste forze sociali che, storicamente, hanno rappresentato e ancora rappresentano l’ossatura portante del nostro sistema Italia. Gaetano Fierro C I R C O L I LI B E R A L BA S I L I C A T A

APPUNTAMENTI MAGGIO 2009 VENERDÌ 15, MASSA CARRARA, ORE 18 CASTELLO DI TERRAROSSA (LICCIANA-NARDI) “Vento di Centro, verso il partito della Nazione”. Evento regionale dei circoli liberal della Toscana con la partecipazione di Ferdinando Adornato.

VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Luca Bagatin

Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Filippo La Porta, Maria Maggiore,

Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio

Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,

Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,

Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma

Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via di Santa Cornelia, 9 00060 Formello (Rm) - Tel. 06.90778.1

Amministratore Unico Ferdinando Adornato

Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69922118

Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Marco Staderini Amministratore delegato: Angelo Maria Sanza Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato,Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Emilio Lagrotta, Gennaro Moccia, Roberto Sergio Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: 0669924747

Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani,

Emilio Spedicato, Davide Urso,

Tipografia: edizioni teletrasmesse Editrice Telestampa Sud s.r.l. Vitulano (Benevento) Editorial s.r.l. Medicina (Bologna)

Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari,

Marco Vallora, Sergio Valzania

Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.”

Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner,

Abbonamenti

06.69924088 • fax 06.69921938 Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro

Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc

e di cronach

via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it

Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.