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La cosa triste, a proposito

di e h c a n cro

dell’intelligenza artificiale, è che le manca l’artificio e quindi l’intelligenza

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Jean Baudrillard

QUOTIDIANO • DIRETTORE RESPONSABILE: RENZO FOA

Le rivelazioni del Pontefice («Non pensavo di essere eletto») e la sua politica di ascolto

Le aperture di Ratzinger, Papa «per forza» di Luigi Accattoli

di Ferdinando Adornato

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

L’ITALIA MALATA Un anno dopo, da Napoli a Palermo, è ancora emergenza rifiuti. Colpa delle discariche che non funzionano o di consumi sfrenati? La bacchetta magica del premier non è bastata

aro direttore, propongo ai tuoi lettori di memorizzare un motto detto da Benedetto XVI sabato, colloquiando con una folla di bambini: «Non avrei mai pensato di diventare Papa». Quelle parole aiutano a cogliere il disinteresse e la libertà di spirito con cui egli porta avanti la sua missione, come di chi risponde a una chiamata che ancora lo sorprende. Ci sono tre o quattro fatti, precedenti l’elezione, che danno corpo alla confessione fatta sabato e attestano come egli davvero non pensasse al Pontificato, non solo da piccolo ma neanche negli ultimi tempi. Qui li metto in ordine. Sabato – dunque – durante una conversazione a braccio con settemila appartenenti all’Opera per l’Infanzia missionaria, una bambina gli chiede: «Quando eri ragazzo hai mai pensato di diventare Papa?».

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se gu e a p ag in a 11

Disastro aereo, italiani tra le vittime

A volte ritornano alle pagine 2 e 3

di Nicola Accardo a pagina 17

Usa, Russia e i test della Corea

Non è tempo di nuovi trattati per il disarmo di John R. Bolton l presidente Obama si è impegnato per un mondo senza armi nucleari, non come un progetto lontano, ma come un obiettivo a portata di mano. Hillary Clinton, il segretario di Stato, gli ha fatto eco, affermando che lo smantellamento dell’arsenale e la non proliferazione sono al top delle sue priorità. Nonostante gli occhi siano al momento tutti puntati sulla minaccia nordcoreana, questo piano può rivelarsi molto pericoloso. Primo: gli obiettivi di Washington giocano al momento interamente a favore della Russia. La fretta Usa di riscrivere un secondo (e nuovo) trattato entro la fine dell’anno, come vorrebbe la Clinton, rischia di passare il manico del coltello a Mosca.

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Le opposizioni lo attaccano per i voli di Stato: la Procura apre un’inchiesta

Il Times contro il «play-premier» Duro il quotidiano inglese: «Berlusconi è un anziano libertino» di Errico Novi

Perché Bossi attacca Casini e l’Udc

ROMA. Nei toni e nelle risposte Berlusconi sembra voler uscire dall’angolo, voler persino dismettere l’abito del leader solo contro tutti, incalzato dai complotti ma sempre pronto a scardinarli. Eppure sono i fatti quotidiani a restituire del Cavaliere proprio l’immagine di un capo isolato, effettivamente schiacciato dal peso delle vicende. Ieri ci ha pensato il prestigioso Times di Londra a sferrare un attacco durissimo al presidente del Consiglio. Parole feroci annunciate da un titolo altrettanto spietato: «Cade la maschera del clown». E non è soltanto il riferimento alle stoccate sull’«anziano libertino» che «fa la parte del playboy». Non sono solo i passaggi sulle «minacce ai quotidiani», sulle «dichiarazioni elusive e contraddittorie» e le «melodrammatiche promesse di dimettersi qualora venisse scoperto a mentire», a colpire.

Il durissimo attacco del Times a Silvio Berlusconi, accusato di avere rapporti che «hanno dello scandaloso» e di «non rispettare prima di tutto il popolo italiano» gira il coltello nella piaga di un premier che ormai è sulla graticola da giorni per via dei suoi comportamenti.

s eg u e a pa gi n a 4

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di Gabriella Mecucci

s eg u e a pa gi n a 1 4 gue a •paEgURO ina 91,00 (10,00 MARTEDÌ 2 GIUGNOse2009

CON I QUADERNI)

• ANNO XIV •

NUMERO

107 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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Spazzatura. Botta e risposta fra maggioranza e opposizioni per la situazione sempre più critica in Campania e nella Sicilia

La guerra dell’immondizia A Napoli, dopo un anno, sono ritornati i sacchi mentre scoppia una nuova polemica a Palermo invasa dai rifiuti. È davvero una sfida persa dal governo? di Riccardo Paradisi apoli chiama Palermo e Palermo chiama Guido Bertolaso. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e capo della Protezione civile ormai costretto a dividersi su una pluralità di fronti drammaticamente aperti: l’Abruzzo terremotato, Napoli e la sua provincia di nuovo chiazzata dall’esondazione di immondizia e infine Palermo, dove l’emergenza rifiuti, dopo aver covato settimane, esplodere all’improvviso e con violenza. Da una settimana la raccolta dei rifiuti non avviene regolarmente e il capoluogo siciliano è ormai coperto di sporcizia. Una situazione destinata a peggiorare visto che i 2.700 operatori ecologici hanno fatto sapere che non svolgeranno il loro servizio senza tutti i dispositivi di sicurezza previsti dalle norme, come hanno fatto fino ad ora. Uno sciopero bianco insomma teso ad avere certezze sugli stipendi che non arrivano più, perché l’azienda che dovrebbe erogarli è in una situazione disperata.

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Un fronte molto caldo quello palermitano e non solo per il sole e il caldo che rende l’aria irrespirabile generando il rischio di vere e proprie emergenze sanitarie, ma anche per l’incandescenza della temperatura politica siciliana. Dopo l’azzeramento della vecchia giunta e il nuovo monocolore lombardiano voluto dal governatore la tensione nell’isola è altissima. Il governatore Raffaele Lombardo accusa i suoi predecessori per l’emergenza rifiuti ma l’ex presidente della Regione Sicilia Totò Cuffaro (Udc) replica che le macerie che stanno sommergendo la Sicilia Lombardo non le ha ereditate. «Di certo – dice Cuffaro – io non ho lasciato in macerie l’ alleanza che mi aveva fatto eleggere alla più alta carica della nostra regione. Né ho votato a favore dell’utilizzo dei Fas al Nord Italia come invece hanno fatto i deputati ed i senatori del suo partito che ora rivendicano ciò che hanno prima regalato». Una polemica

«I limiti della propaganda: ora toccherà al terremoto»

Macaluso: «Il prossimo flop? L’Abruzzo» di Franco Insardà

Dal Vesuvio ai Quartieri Spagnoli: torna la «munnezza»

Affacciati sullo schifo quotidiano di Giancristiano Desiderio volte penso che la volgare frase “questo è un mondo di merda” abbia più un significato materiale che morale. Mi affaccio dalla finestra di casa mia, e cosa vedo? Spazzatura su spazzatura, monnezza su monnezza su bidoni stracolmi di rifiuti e un gatto che scala la montagna immonda, annusa, piscia, strappa le buste, rovista, raspa, cerca cibo attirato dalla puzza che a me dà la nausea e a lui lo eccita. E dire che non abito mica a Giugliano o a Marano, paesoni dell’hinterland napoletano con i rifiuti in decine di discariche e per le strade, ma a Sant’Agata dei Goti, in un bellissimo centro storico. Purtroppo, il servizio nettezza urbana non funziona più come un tempo e ora anche qui è facile trovare i rifiuti per strada per giorni e giorni.

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pre più piene e le tonnellate di rifiuti che ogni comune deve scaricare non si sa dove metterle: la spazzatura ordinaria va in una discarica, quella straordinaria va in un’altra. Quando le discariche chiudono cominciano i “viaggi della speranza”. I camion devono fare lunghi giri e tutto il ciclo di raccolta, già precario di per sé, ne risente, così la spazzatura resta e si accumula nei cassonetti. È ricomparsa anche a Napoli: nei Quartieri Spagnoli e a pochi passi dal Comune e dalla Provincia. L’unico termovalorizzatore attivo, quello ormai celebre nel mondo, quello di Acerra, non solo gira a basso regime, ma l’altro giorno lo si è dovuto fermare per un guasto. Insomma, questo è un mondo di merda e questa volta il significato della frase è anche morale.

L’unico termovalorizzatore attivo, quello di Acerra, non solo gira a basso regime, ma adesso è fermo per un guasto

Mi metto in auto e vado a Caserta e sulla strada che collega Maddaloni a Caserta, sotto un cavalcavia, immancabili a destra e a sinistra cumuli di rifiuti di ogni tipo: giganteschi pneumatici di camion o trattori, un frigo, una poltrona, infissi vari, buste celesti e nere strapiene e abbandonate al loro destino stradale, mentre proprio sulla strada sfrecciano le auto che non di rado devono scansare i rifiuti che “straripano”. Ma qui la situazione è sotto controllo. Sì, qua e là ci sono rifiuti abbandonati, ma ormai fanno parte del paesaggio e - proprio questo è il punto - nessuno ormai ci fa più caso. Ma è a Giugliano, Marano, Melito, Qualiano, San GiuseppeVesuviano, Palma Campania, Massa di Somma che la situazione è infelice. Le discariche sono sem-

ROMA. «Il problema è politico. La spaccatura del partito del Cavaliere in Sicilia sta avendo effetti devastanti e sta portando alla luce tutte le difficoltà delle amministrazioni locali. Si tratta di un primo segnale che lo stellone di Berlusconi comincia ad avere qualche problema di caduta». Emanuele Macaluso è uno che conosce bene la sua Sicilia, quanto i meccanismi che regolano la gestione della cosa politica. Onorevole Macaluso, i rifiuti sono riapparsi prima in Campania e ora anche in Sicilia: che sta succedendo? Si tratta di amministrazioni locali che non sono in grado di gestire i rifiuti né di

Guido Bertolaso è sempre in prima linea. Ogni volta che c’è un guaio nazionale lui c’è. Il governo lo sposta da una parte all’altra, come se non ci fosse più nessuno in grado di occuparsi di emergenze nazionali, cioè di guai. Ma come farà quest’uomo a passare dai rifiuti di Napoli al terremoto de L’Aquila ai continui allarmi sul maltempo? Tutti gli siamo e gli dobbiamo essere riconoscenti, ma a volte credo che non possa fare tutto, semplicemente perché si rischia di non fare tutto bene. Ci dovrà pur essere un modo più sicuro e certo per uscire dall’emergenza continua in cui sembra vivere da almeno dieci e passa anni la nostra stramaledetta e amata Italia? Io e i miei amici napoletani abbiano il diritto di affacciarci alla finestra senza guardare e dire: «Questo è un mondo di merda».

adeguarsi con i sistemi di raccolta differenziata. Queste cose succedono sempre in campagna elettorale. Una coincidenza? Può darsi, ma il battage mediatico che Berlusconi mise in piedi lo scorso anno per i rifiuti in Campania oggi dovrebbero farlo a Palermo, dove da tempo governa il centrodestra. Se invece di affrontare i problemi seri e strutturali, si mette tutto sul piano della propaganda elettorale, non c’è via d’uscita. Che cosa bisognerebbe fare? Le amministrazioni dovrebbero iniziare una vera e propria battaglia civile con le

durissima a cui non si sottrae naturalmente il segretario del Pd Dario Franceschini che sottolinea come a Palermo ci siano rifiuti ovunque, «ma siccome la città è di destra, la Regione è di destra, le tv non fanno vedere niente». E mentre il centrosinistra chiede conto dell’amministrazione anche l’Mpa di Lombardo reclama le dimissioni del sindaco Pdl di Palermo Diego Cammarata.

Una frattura quella tra Mpa e giunta palermitana di cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi per ora non vuole occuparsi. Il premier dà però il pieno sostegno a Cammarata indivuando a sinistra le radici del disastro ambientale palermitano: «Come loro abitudine, mistificano la realtà e tentano di addossare la responsabilità della crisi economico-finanziaria dell’Azienda per la raccolta dei rifiuti, all’amministrazione comunale di Palermo. La verità - sostiene il premier - è che l’ex sindaco Leoluca Orlando (Idv) e la sinistra hanno lasciato in eredità al sindaco Cammarata un enorme bacino di precari, oltre 7mila persone, e lui ha dovuto assumersi l’onere di una stabilizzazione costosa per le casse comunali». Berlusconi offre anche la sua soluzione: da un lato cala l’asso Bertolaso, dall’altro promette la copertura finanziaria per ripianare il buco di bilancio della municipalizzata Agli attacchi di Silvio Berlusconi Orlando risponde accusando: «Quando io ero Sindaco i bilanci del Comune erano in ordine e godevano della fiducia delle banche e del mondo finanziario internazionale. Invece, da quando c’è al Comune un uomo di Berlusconi, i bilanci sono dissestati da spese folli e non hanno più avuto alcun riconoscimento di rating finanziario». Tutti contro tutti insomma mentre il prefetto di Palermo Giancarlo Trevisone spiega di non poter precettare gli operatori ecologici dell’Amia-Essemme perché «non hanno proclamato uno sciopero, la loro è un’astensione dal lavoro perché sprovvisti di alcune dotazioni indispensabili per lavorare». È questa l’emergenza anche politica che popolazioni, combattendo sul fronte della riorganizzazione dei sistemi di raccolta e di smaltimento dei rifiuti. Come spiega che l’emergenza ci sia in due regioni, Campania e Sicilia, dove è forte presenza della criminalità organizzata? È strettamente legata al modo in cui, in questi anni, le organizzazioni mafiose e camorristiche sono potute penetrare nelle strutture e nelle aziende pubbliche. C’è stata scarsa attenzione della politica – ma in certi casi vera e propria complicità – nel ritenere che concedendo spazio alla criminalità orga-


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Ecco perché gli altri termovalorizzatori restano sulla carta

Vi spiego i veri i guai di Acerra di Lucio Rossi

Qui sopra, Palermo; sotto, Napoli. Le due città in questi giorni sono di nuovo al centro della cronaca perché l’immondizia è tornata a «conquistarle». Il duplice caso, ovviamente, ha scatenato le polemiche tra maggioranza e opposizione che si accudano a vicenda per la terribile situazione

dovrà affrontare Bertolaso, intanto inseguito dalla recrudescenza dell’immondizia napoletana. «Sacchetti di spazzatura elettorale, o rifiuti che non hanno a che vedere con lo smaltimento» la definisce Berlusconi. E certo i cumuli fotografati nei giorni scorsi in zone come Quarto ed Ercolano se non sono paragonabili a quelli dell’anno scorso – tolti dall’azione del governo – segnano però una macchia fastidiosa nell’operato di Berlusconi e

Bertolaso. Il quale muove severi rilievi agli accertamenti condotti dalla Procura sull´impianto di Acerra. «Comprendiamo e apprezziamo l´attenzione che viene dedicata al nostro lavoro - premette Bertolaso - è tutto legittimo». Però il capo della Protezione civile teme «che questi continui interrogatori possano intimidire qualcuno, che possa pertanto allentare l´attenzione e l´impegno con la quale si sta dedicando a questo lavoro».

nizzata, ci si potessero garantire facili consensi politici. La cosa ha riguardato sia il centrosinistra sia il centrodestra? Purtroppo sì. Il centrosinistra in molti casi non ha combattuto, come la storia vorrebbe, battaglie di legalità, mentre il centrodestra solitamente si adegua a quello che passa il convento. La vicenda napoletana, cavalcata mediaticamente dal Cavaliere, è stata una vittoria di Pirro? È stata un’operazione d’immagine, come sta fsta avvenendo anche per il terremoto. Si tratta di saper utilizzare i media e le tragedie. E in questo, bisogna riconoscere, Berlusconi è maestro in que-

ste operazioni, guarda caso sempre alla vigilia di campagne elettorali. Il suo populismo raggiunge le massime espressioni, ma passata la festa gabbato lo santo... Onorevole, crede che il problema dei rifiuti in Sicilia si ritorcerà contro il premier e annullerà tutti i suoi sforzi in vista delle Europee? Nell’isola c’è da affrontare prima la rottura nel partito di Berlusconi. Una rottura avvenuta su un terreno franoso, con un governo che ha tagliato fuori dalle politiche nazionali il Mezzogiorno e la Sicilia. Così si aiutano soltanto Miccichè e Lombardo a cavalcare qualcosa di forte e di concreto.

ROMA. «Dopo Acerra partiremo con la Sicilia e il Lazio». Era stato profetico il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi lo scorso 26 marzo, data storica dell’inaugurazione del primo termovalorizzatore in Campania: l’emergenza rifiuti, dopo aver toccato il Lazio con le inchieste legate al termovalorizzatore di Colleferro, è sbarcata infine in Sicilia. Al centro della scena la bocciatura da parte del Consiglio comunale della proposta avanzata dal sindaco Cammarata: aumentare la tassa dei rifiuti per contenere il buco di bilancio registrato dalla municipalizzata palermitana Amia. Nelle ultime settimane però anche il caso Campania (e in particolare l’impianto di Acerra) è tornato al centro delle polemiche oltre che delle inchieste, l’ultima della Guardia di Finanza sulla nomina di alcuni componenti della commissione di collaudo. Da giugno 2008 a fine maggio sono state gestite dalla struttura del sottosegretario di Stato Guido Bertolaso 2,4 milioni di tonnellate di rifiuti che equivalgono a circa la produzione della regione in undici mesi. Il sistema però non è ancora in equilibrio se si pensa che oltre 120 mila tonnellate di immondizia hanno lasciato la Campania per finire in Germania o in altre regioni italiane, che quasi 700mila tonnellate passano dagli ex impianti di cdr per essere depositati in attesa dell’incenerimento ad Acerra, solo tra qualche mese a pieno regime. Poi c’è la partita degli stoccaggi e cioè della ripulitura di tutte quelle aree come il sito di Ferrandelle in provincia di Caserta dove nei mesi sono state depositate provvisoriamente oltre 300mila tonnellate di rifiuti che ovviamente di lì dovranno andare via. Il peggio è passato insomma, ma guai ad abbassare la guardia: ora c’è una disponibilità di discarica per tre milioni di tonnellate, ma dopo Acerra gli altri quattro termovalorizzatori annunciati rimangono sulla carta. Come del resto la raccolta differenziata, se è vero che i comuni inadempienti su questo fronte sono oltre 200.

co Diego Cammarata che però non ha nessuna intenzione di dimettersi di fronte alla protesta degli addetti alla raccolta che rischiano di rimanere senza stipendio. La questione del costo del personale dell’Amia difficilmente potrà essere risolto dal tavolo operativo con la Protezione civile che il governatore Lombardo ha istituito per superare il caos creatosi dopo alcuni giorni di astensione dal lavoro dei dipendenti. L’opposizione e i sindacati accusano: «Anni di gestione dissennata e clientelare, assunzioni di amici e parenti, politici trombati inquadrati come dirigenti, carriere fulminanti, spese in bilancio per viaggi negli Emirati Arabi Uniti e in Bahrein, dove venivano messe sul conto dell’Amia persino le gomme da masticare: alla luce di tutto questo il sindaco Cammarata vuol farla pagare ai cittadini e ai lavoratori dell’azienda». Berlusconi reagisce accusando la precedente amministrazione, quella del sindaco Orlando colpevole di aver lasciato in eredità un enorme bacino di precari, oltre 7000 persone «e Cammarata ha dovuto assumersi l’onere di una stabilizzazione costosa per le casse comunali», sottolinea garantendo «l’impegno finanziario del governo».

La situazione non era ancora precipitata per l’invio di rifiuti in Germania e nelle altre regioni

Il buco nei conti c’è e si vede, come ha denunciato la magistratura contabile nei mesi scorsi: la voce più preoccupante non è quella dell’indebitamento (pure grave), ma quella del cosiddetto cash flow e cioè lo sbilancio sull’anno corrente che attiene più direttamente alle risorse messe a disposizione del Comune: in una parola, il personale più che ridondante e la maggior parte del quale assunto al III livello contrattuale (2700 dipendenti a cui aggiungere la voce delle lavorazioni esternalizzate) ha fatto andare in tilt il sistema, provato già dal mancato adeguamento del contratto di servizio con il comune e dall’aggravio per la municipalizzata del costo del conferimento dei rifiuti nella discarica comunale di Bellolampo. Una miscela esplosiva che ha determinato già lo scorso anno un aumento della tarsu del 75 per cenE in Sicilia? La bufera rifiuti sta in- to: ora il comune vuole ulteriormente vestendo la giunta del comune di Pa- ritoccarla del 30 per cento: per i palerlermo e rischia di travolgere il sinda- mitani si annuncia una vera mazzata.


politica

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Diplomazie. Mentre il premier apre un nuovo fronte di polemica internazionale, in Italia la Procura apre un’inchiesta sul caso degli amici sui voli di Stato

Duro attacco del Times «Clown», «anziano libertino», «disprezza il suo popolo»: il quotidiano conservatore inglese dichiara guerra al Cavaliere di Errico Novi segue dalla prima A impressionare di più è la parte finale dell’articolo, in cui si avanzano forti critiche sul ruolo dell’Italia nelle relazioni internazionali, a cominciare dalla capacità stessa del governo di Roma di organizzare un evento fondamentale come quello del prossimo G8. «Gli elettori italiani, alla vigilia del voto europeo, dovrebbero riflettere su come viene condotto il loro governo, sui candidati che vengono giudicati adatti a Strasburgo e sul livello di sincerità del primo ministro in tempi di subbuglio politico ed economico». Quindi le parole più pesanti: il caso Berlusconi, si legge nell’editoriale del Times, «riguarda tutti», giacché «l’Italia quest’anno ospita il vertice del G8. In quel forum si tengono importanti discussioni in cui i governi occidentali chiedono maggior cooperazione nella lotta al terrorismo e al crimine internazionale. Berlusconi è considerato un amico di Vladimir Putin». Puntualizzazione non casuale. Come la successiva: «Il suo Paese è un importante membro della Nato. È anche parte dell’Eurozona, che è messa alla prova dalla crisi finanziaria globale». E la chiosa finale: «Non sono solo gli elettori italiani a chiedersi cosa stia succedendo. Lo fanno anche gli alleati perplessi dell’Italia».

Sembra solo un assaggio di quello che potrebbe essere il clima in vista del summit dell’Aquila. L’intervento del più importante quotidiano britannico potrebbe essere l’anteprima di una campagna sulla scarsa credibilità dell’Esecutivo di Roma e del suo vertice in grado di creare un serio imbarazzo. Eventualità che rischia di essere ancora più pesante e insidiosa delle notizie su Noemi o della sentenza del processo Mills. Di certo dall’editoriale del Times discende l’immagine di un Cavaliere ancora più oppresso da molte spine. Ma almeno stavolta è proprio Berlusconi a reagire con un piglio meno accalorato

Che cosa si nasconde dietro agli insulti di Bossi a Casini e all’Udc

La Lega vuole i voti «in libera uscita» di Gabriella Mecucci l durissimo attacco del Times a Silvio Berlusconi, accusato di avere rapporti che “hanno dello scandaloso» e di «non rispettare prima di tutto il popolo italiano» gira il coltello nella piaga di un premier che ormai è sulla graticola da giorni e giorni. L’attacco è particolarmente significativo perché viene da un giornale conservatore, difficilmente influenzabile da una campagna orchestrata dalla sinistra. Ma a problema si aggiunge problema: per la prima volta dalle elezioni trionfali del 2008, il Pdl è in calo nei sondaggi. Due o tre punti, si mormora ormai da giorni negli ambienti ben informati, che riguarderebbero il voto cattolico.Tanto è vero che questi consensi sono in pericolo che è già iniziata la gara per accaparrarseli. Fini non può drenarli visto che con le sue prese di posizione si è autotagliato fuori, e nel Pdl non esistono altri dirigenti nazionali particolarmente autorevoli in grado di fare «l’operazione recupero»: Formigoni è stato “rinchiuso” in Lombardia, Pisanu conta ormai poco e Bondi non ha l’autorevolezza per tentare di trattenere i cattolici. L’unico che era riuscito a fare il miracolo di sommare questi voti con quelli di laici e socialisti, era Berlusconi. Ma ora è proprio lui la causa della “rottura”.

I

tolici” da Berlusca, allora tutto è diventato più chiaro: Bossi vuol catturare quel consenso e per fare questo spara giù duro contro l’unico altro partito che potrebbe intercettarlo e cioè l’Unione di Centro. La speranza leghista è quella di andare ben oltre il 10-11 per cento assegnatogli dai sondaggi. Per fare questo ha messo un po’ di sordina anche ad alcune sue posizioni anti immigrati che turbano la sensibilità dei cattolici. Lo stesso Maroni, che tanto ha insistito per una legge draconiana sulla sicurezza, adesso preferisce glissare o comunque abbassare i toni. L’impressione è che la vicenda Noemi e dintorni lavori sotto traccia e che lentamente, ma inesorabilmente corroda la credibilità del premier. Probabilmente tutti i frutti di questo «lavoro in profondità» non si sentiranno alle elezioni europee, ma potrebbero essere il primo grave colpo ad un consenso massiccio che solo da qualche giorno ha preso a vacillare. Ma ce ne vorrà prima che crolli.

Per la prima volta dalle elezioni del 2008, il Pdl è in calo nei sondaggi: due o tre punti, probabilmente voti cattolici

E allora si è aperta la caccia a quel 2-3 per cento che non voterebbe più Pdl. Ed ecco pronta, anzi prontissima la Lega che attacca ad alzo zero l’Udc. Lì per lì quella scarica di insulti su Casini è apparsa difficilmente comprensibile, ma quando si è saputo del “distacco dei cat-

Anche perché il leader del più forte partito d’opposizione, Franceschini, ce l’ha messa tutta per dare una mano a Brelusconi con quella infelicissima frase che suona grosso modo così: affidereste l’educazione dei vostri figli al cavaliere? Una battuta che ha avuto l’effetto di ricompattare tutti i discendenti del cavaliere. E infatti la possibile “diaspora” cattolica non favorirebbe certo il Pd, che resterebbe inchiodato nei sondaggi riservati a percentuali assai deludenti. Dello “scandalo” berlusconiano e degli eccessi verbali dei democratici potrebbero invece giovarsene la Lega e l’Udc. Da qui la sparata di quella vecchia volpe di Bossi.

rispetto ai fedelissimi: intervistato alla radio, liquida i dossier Mills e veline come «calunnie pure e semplici che si ritorceranno contro chi le ha agitate». Senza ribadire le abituali parole d’ordine sulla magistratura eversiva ma accusando piuttosto gli avversari politici, specificamente quella sinistra «con cui sono in stretto collegamento i giornali stranieri». Anche le durissime critiche del Times sono, per il premier, «cose ispirate e insufflate dalla sinistra italiana».

Sono alcuni dei suoi uomini a evocare ancora lo spettro dei

complotti. Attestato più di tutti su questa linea è Daniele Capezzone: «C’è un nucleo di interessi forti che vorrebbe un’Italia più debole e che vede nell’attacco permanente a Berlusconi lo strumento per realizzare questa strategia». Non è svanita dunque l’ombra dell’accerchiamento riconducibile addirittura a epicentri internazionali e legato alle posizioni eccessivamente filo-russe del presidente del Consiglio. L’interpretazione d’altronde sembra adatta a riflettere un dato oggettivo della politica estera italiana: l’orientamento di Berlusconi sulla scena internazionale

sembra destinato a pesare sul serio anche nei prossimi mesi, e ieri per esempio il presidente della commissione Ue Barroso ha definito «assai improbabile» l’ipotesi che l’Unione si faccia carico del debito che l’Ucraina ha con la Russia per le forniture di gas, contraddicendo così il premier italiano che la settimana scorsa aveva annunciato un suo impegno al vertice europeo di metà giugno «perché gli Stati della Ue si facciano carico del 50 per cento di quel debito».

Dei rapporti con Mosca si parlerà sicuramente al primo faccia a faccia che Berlusconi avrà con Obama tra due settimane. «Sarà un incontro normale, un incontro di lavoro», dice il presidente del Consiglio. In questi ultimi giorni di campagna elettorale il clima interno è destinato a sua volta a farsi ancora più difficile. Antonio Di Pietro e i parlamentari del Pd annunciano interrogazioni parlamentari sul caso dei voli militari adope-


politica

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Il politologo Paolo Pombeni: «Udc e Lega in crescita»

«Silvio paga il gossip, i cattolici lo lasceranno» di Francesco Lo Dico n altri frangenti, la scelta del corpo a corpo non creerà sconquassi. E finché l’Udc non saprà atcon la stampa e l’opposizione ha consentito testarsi a un dieci, dodici per cento, mostrandosi cioè al Cavaliere di rinserrare i ranghi dei suoi capace di incidere a fondo sulle politiche nazionali, sostenitori. Questa volta, seppur in modo resterà una sorta di avanguardia critica, operativa non ancora rilevante ma significativo, la scelta del ma minoritaria. E poi non va dimenticata l’altra bepremier non ha pagato. L’ineficiaria di questo minudea di controbattere al scolo travaso: la Lega. fuoco di fila del gossip, di Le ultime indicazioni la tutelare la propria onoradanno in crescita. Meno bilità in ragione di quel male che Silvio c’è? certo spirito vanesio che è È una crescita dovuta più disceso nei suoi elettori, e a meriti propri, che a deda lì ha proceduto a conmeriti del Cavaliere. Il partornare la sua immagine di tito di Bossi non è così lonun alone favolistico, si è ritorta contro di lui. La figu- tano dalla piattaforma ideologica del Pdl, ma ha una ra del premier è ancora vivida, ma appannata. Uno classe politica radicata sul territorio come poche. Il status che ne incrina le credenziali morali presso al- Carroccio svicola lontano da veline e guai giudiziari, cune frange di elettori legate al cattolicesimo tradi- aggira il gossip e derive tipiche della società dello zionale». Paolo Pombeni, politologo e docente di Sto- spettacolo, in nome di una spettacolarità discutibile ria dei sistemi politici europei, commenta così il lieve ma coerente. I lumbàrd fanno la voce grossa, si moribasso del Pdl prennunciato da più parti in vista del- strano tenaci e appaiono come i veri eredi dei partiti della Prima Repubblica. Sguaiati, impertinenti o trula tornata elettorale europea. ci, secondo molti. Per molProfessore, si parla di tissimi che li votano, semun calo di due punti plicemente coerenti. E in percentuali per il Pdl. grado perciò, laddove altri Dove finiranno questi non danno sufficienti gavoti? ranzie, di avere a dispetto È innegabile: le ultime videlle critiche, una paradoscissitudini del presidente sale credibilità. ROMA. Berlusconi trascina l’Italia nel fango: del Consiglio hanno susciCrescono la Lega, l’Udc e è questa, dunque, la sostanza del durissimo tato malumori all’interno l’Italia dei Valori. Siamo aleditoriale del prestigioso quotidiano conserdel mondo cattolico. Alcul’inizio di un processo che vatore di Londra Times. «L’aspetto più di catne sezioni di elettori votate tivo gusto del comportamento di Silvio Berluabbatterà la gigantografia ai tradizionali valori della sconi non è che egli sia un buffone scioviniberlusconiana? famiglia, devono aver avsta - scrive il quotidiano -, né che egli si acDirlo adesso è prematuro, vertito molto disagio ricompagni con donne che hanno 50 anni meanche perché vige la legge spetto al tourbillon di riveno di lui, abusando della sua posizione per dei vasi comunicanti. Se lazioni e foto piccanti, fanoffrire loro lavori come modelle, assistenti un bacino di voti perde tasie postribolari e dettagli personali o persino, assurdamente, candidate qualche unità, bisogna ospruriginosi che ha travolto per l’Europarlamento. La cosa più scioccante servare in quali altri bacini l’Italia nei giorni scorsi. E è l’assoluto disprezzo con cui tratta gli italiasi redistribuiscono. Un’eanche se i voti del popolo ni. L’anziano libertino può trovare divertente, quazione che al momento cattolico non hanno da o anche temerario, fare la parte del playboy, non sembra premiare il Pd, tempo una fisionomia polivantandosi delle sue conquiste, umiliando l’unica forza che nel breve tica omogenea, tuttavia è sua moglie, o facendo commenti che per molo medio termine può spelecito credere che una certe donne sono inappropriati in maniera grotrare di prendere le briglie ta componente di quel tesca. Non è il primo o il solo il cui comportadel Paese. I sondaggi dicomondo, meno disposto a mento privo di dignità sia inappropriato per no invece, a riprova di una transigere su questioni in la sua carica. Ma quando vengono poste dosensazione generale, che il apparenza torbide, spomande legittime su rapporti che toccano lo partito di Franceschini sia sterà attese e preferenze scandaloso e i quotidiani lo invitano a spiegain una sorta di perenne verso il centro di Casini. re delle associazioni che, nella migliore delle Berlusconi e la Chiesurplace. Pronto a lanciare ipotesi, lasciano perplessi, la maschera del sa. Fine della luna di la volata, ma sostanzialclown cade. Minaccia quei quotidiani, e telemiele? mente fermo sui pedali. visioni che egli controlla, invoca la legge afÈ indubbio che, sulla scorD’altra parte va considerafinché protegga la sua privacy, rilascia dita delle prese di posizione ta la crescita dell’Idv. Un chiarazioni elusive e contraddittorie e poi sussulto ma niente di più, di figure influenti sulla copromette melodrammaticamente di dimetterperché i voti dati a Di Piemunità dei credenti, all’insi se verrà scoperto a mentire». «La vita pritro esprimono uno stato terno della realtà cattolica vata di Berlusconi è, ovviamente, privata d’animo, più che una direserpeggino interrogativi e prosegue l’editoriale - Ma come ha scoperto il zione. Un voto contro, piutobiezioni. Qualcosa ribolle presidente Clinton, lo scandalo non va d’actosto che a favore. Una setra i cattolici. C’è il sospetcordo con un’alta carica. Ai suoi critici, Berrie di fatti che rendono per to che gli uomini del Pdl, e lusconi risponde che egli ha ancora alti indiil momento la flessione di il loro leader, non siano del ci di popolarità, che controlla fermamente il Berlusconi per niente tutto rappresentativi di suo governo e che non verrà intimidito da drammatica. Il padrone di quei valori etici che gli quelli che chiama tentativi dell’ opposizione casa è sempre il premier. È elettori cattolici delegano di infangarlo. Ma questa è una sciocchezza sempre a capotavola, ma loro. Certo, si tratta ancora detta con senso di superiorità». gli è cascata qualche bridi una corrente carsica, ciola. Ecco tutto. che scorre sottotraccia e

«I

Alcune frange di credenti sono deluse dal premier e si sposteranno al centro: sono un’avanguardia critica, anche se ancora minoritaria

Ecco tutte le parole del quotidiano inglese

rati dal premier anche per trasportare in Sardegna amici «senza cariche istituzionali» come il cantante Apicella, caso sul quale la Procura di Roma aprirà un fascicolo. Non mancherà certo di produrre nuove puntate la telenovela familiare, dopo le dichiarazioni a Libero di Daniela Santanché sul compagno di Veronica Lario: questione sulla quale Berlusconi sostanzialmente sorvola ma che innesca la reazione del leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini: «Non è possibile che la campagna elettorale si svolga su rivelazioni e smentite relative alle faccende private del premier». L’aria divenuta quasi irrespirabile fa crescere le contestazioni pubbliche a Berlusconi (fischiato ieri mentre saliva al Quirinale) e l’insofferenza dei suoi: il sottosegretario ai Beni culturali Francesco Giro ha invocato un nuovo purificatore ritorno alle urne per sgombrare il campo dalle illazioni. Tutto fa credere che non sia il solo a pensarla così tra i berlusconiani.

Silvio Berlusconi durante la puntata di “Porta a Porta” dedicata al suo rapporto con la diciottenne Noemi Letizia. In quell’occasione, il premier espose le sue verità, che però in diversi casi sono state contraddette da altri protagonisti della brutta vicenda. Nella pagina a fianco, Umberto Bossi che sta cercando di intercettare i voti in ”libera uscita” dal Pdl


diario

pagina 6 • 2 giugno 2009

G8-boomerang per il governo? «Noi, spettacolo per i grandi: ecco perché non parte la ricostruzione» di Francesco Capozza

L’AQUILA. Sono passati quasi due mesi da quella notte in cui la terra ha tremato cambiando la vita di migliaia di persone a L’Aquila e provincia. E poco più di un mese manca al vertice del G8 che il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi - con abile mossa mediatica - ha voluto spostare dalla Maddalena, in Sardegna, a queste zone terremotate. Un modo per mettere al centro dell’attenzione mondiale un territorio così fortemente provato, a dire dello stesso Berlusconi, un ulteriore ostacolo alla ricostruzione a sentire, invece, molti cittadini de L’Aquila e provincia. Per capire qual’è l’umore della popolazione, in gran parte costretta a vivere in tende da campo con il rischio di passare, come in questi giorni, dal caldo insopportabile al freddo e alla pioggia, liberal è tornato nuovamente qui, suoi luoghi del disastro che dal 6 aprile scorso ha cambiato il volto ad una regione.

San Demetrio, Onna, Fossa, Paganica, sono paesi che hanno visto per lo più cancellato un volto secolare. Oltre a numerosissime case qui sono crollati pezzi di storia: monasteri antichissimi, residenze nobiliari, musei e chiese. Fare due passi per

le tendopoli mette un certo disagio. È domenica pomeriggio e qui tutto sembra surreale, una tranquillità quasi spettrale avvolge questi accampamenti. Gente in giro se ne vede poca davvero, le uniche facce che si incontrano sono per lo più quelle delle Forze dell’ordine. Conversando con alcuni cittadini ci viene il dubbio che tra la gente stia montando un’inquietudine legata alla ricostruzione, alle sue lungaggini inaspettate, al timore che l’arrivo dei grandi della Terra sia motivo di ulteriori slittamenti rispetto alle tempistiche che il governo aveva promesso. C’è come l’impressione che si voglia preservare tutto così com’è, quasi fosse un tetro spettacolo da mostrare agli autorevoli visitatori che si apprestano a raggiungere l’Abruzzo da ogni parte del globo. Fa impressione vedere la compostezza e la grande forza d’animo di

tatte» ci dice quasi sconfortato un rappresentante della comunità locale di Fossa, «eppure, i centri storici di questi paesi sono come blindati: non si può accedere neppure per vedere che ne è delle nostre case». Di più, nell’aria aleggia come uno spettro la paura che prima o poi, con l’estate ed il caldo alle porte, le condizioni igienico sanitarie inizieranno ad essere precarie e i disagi ancora più forti. Già ora i bambini assistono alle lezioni scolastiche in tende dove manca l’aria condizionata e dove, nei giorni scorsi in cui le temperature hanno dato un assaggio d’estate, l’aria è diventata pressochè irrespirabile. C’è poi il lato puramente economico di tutta questa faccenda, che pure non può essere sottovalutato: chi ha perso la propria abitazione crede possibile ritardi nei rimborsi e addirittura c’è chi pensa che le somme promesse possano diminuire drasticamente. All’orizzonte ci sono i flash della stampa e delle televisioni di tutto il pianeta che tra non molto saranno qui, la compassione delle super potenze che vedranno coi propri occhi quello che la forza della natura ha creato, o meglio distrutto in questo lembo meraviglioso d’Italia. Ma c’è pure il pericolo legato alla protesta che qui forse più che ai No-Global sarà legata alle promesse mancate. Silvio Berlusconi parla spesso di boomerang per la sinistra quando cerca di cavalcare le sue vicende personali per screditarlo, ma non è da escludere che nella vicenda legata alla ricostruzione delle zone terremotate ci sia il rischio, questa volta per il premier, che i ritardi si trasformino in un boomerang contro di lui in un momento di massima esposione mediatica.

Viaggio in Abruzzo due mesi dopo tra paesi blindati e inaccessibili: chi vuole risistemare le case a proprie spese, non può farlo queste persone che, oltre che ad amici e parenti, hanno perduto case, oggetti, ricordi. Ma al contempo fa rabbia sentire dalla loro viva voce la paura di essere abbandonati, il timore che i rimborsi, se mai arriveranno, potrebbero non essere dell’entità che l’esecutivo ha assicurato. Ma c’è anche stupore nel capire che forse questi cittadini hanno ragione: lo slittamento di moltissimi rientri nelle abitazioni sembra essere stato “congelato” per privilegiare l’allestimento del vertice.

«Molte case sarebbero pure agibili, meno della metà sono crollate e un gran numero di quelle rimaste in piedi sono per lo più in-

Il giudice di New York dà il via libera alla cessione della casa di Detroit. Obama: «Rinascerà più forte di prima»

Il tribunale: sì alla vendita di Chrysler a Fiat di Guglielmo Malagodi

ROMA. Il giudice federale di NewYork ha dato il via libera decisivo per la vendita degli asset buoni della Chrysler alla nuova società condotta dalla Fiat che gestirà la casa automobilistica americana. Il giudice ha approvato il piano, spalleggiato dal governo Usa, che dà via libera alla partnership Fiat-Chrysler e fa uscire la società americana dalla procedura prevista dal Chapter 11 per i fallimenti. La decisione dopo una maratona di tre giorni di udienze. Il 55% del pacchetto azionario della nuova società che guiderà Chrysler, secondo il New York Times, farà capo a un fondo pensionistico sindacale. La Fiat avrà una quota del 20% che potrà salire al 35%, mentre i governi degli Usa e del Canada avranno due quote di minoranza. Il nuovo presidente della società dovrebbe essere Robert Kidder, ex presidente di Borden Chemical e di Duracell. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha dichiarato che il sì del

tribunale farà riemergere la casa di Auburn Hills più forte di prima. La decisione della corte, ha detto Obama in una nota, «apre la strada a una nuova Chrysler che emergerà dalla bancarotta con successo, come un’azienda nuova, più forte e più competitiva per il futuro».

Quanto all’altro gigante dell’auto americana, General Motors, ora è ufficiale: è in bancarotta. E il governo degli

Anche la Gm è in fallimento: lo Stato si accolla i debiti, tanto che la stampa ha già battezzato la nuova società «Government Motors» Usa è il suo primo azionista, con una quota del 60% a fronte di ulteriori aiuti per 30,1 miliardi di dollari. Non a caso, molti commentatori chiamano già «Government Motors» la società che emergerà dalla bancarotta. «Manterremo la quota non più del necessario», spiegano dall’amministrazione Obama, precisan-

do che il governo «non intende interferire o esercitare controllo sulla gestione giornaliera. Nessun rappresentate del governo sarà impiegato nel consiglio di amministrazione o nella società». La bancarotta di Gm, data la sua complessità, durerà più a lungo di quella della Chrysler: l’amministrazione prevede 60-90 giorni. Per facilitare nell’ambito del processo di bancarotta la vendita degli asset della vecchia Gm a una nuova società, il Tesoro concederà un finanziamento debtor-in-possession pari a 30,1 miliardi di dollari. Oltre a questi fondi «il Tesoro non prevede ulteriore sostegno finanziario per Gm. Anche in uno scenario particolarmente conservativo riteniamo - osservano dall’amministrazione - che i fondi siano sufficienti per far tornare Gm a crescere. Anche perché quella delineata è una soluzione permanente per Gm». Oltre a una quota di circa il 60%, il Tesoro riceverà 8,8 miliardi di dollari fra debito e azioni privilegiate. Alla ristrutturazione di Gm parteciperà anche il Canada.


diario

2 giugno 2009 • pagina 7

Al Festival dell’Economia presentata una ricerca del Censis

“L’Osservatore romano” dopo l’assemblea della Cei

Un italiano su quattro cerca di farsi raccomandare

Da Bagnasco prime aperture per i divorziati

TRENTO. Un quarto degli italia-

CITTÀ DEL VATICANO. Il presidente dei vescovi italiani, Angelo Bagnasco ritiene che la Chiesa italiana debba compiere un «investimento ancora più capillare» nella pastorale famigliare, ma non sposa l’idea di un gesto di misericordia papale nei confronti dei divorziati risposati lanciata dal cardinale Carlo Maria Martini in un passaggio del suo recente libro Incontro al Signore risorto. L’Osservatore romano, che ha pubblicato ieri un’intervista al cardinale Angelo Bagnasco, ricorda la discussione sui divorziati risposati e domanda se c’è «la necessità di porre un’attenzione particolare alla pastorale del matrimonio». «In realtà, da sempre c’è atten-

ni ricorre alle raccomandazioni, e si rivolge quindi a un politico, ai diversi livelli istituzionali, per ottenere la soluzione di un problema inerente ai rapporti tra pubbliche amministrazioni e cittadini. È quanto emerge da una ricerca del Censis, realizzata in collaborazione con Trentino School of Management, presentata al Festival dell’Economia di Trento. A questo dato, sottolinea il Censis, va aggiunta anche la quota di quanti hanno preferito non rivelare tale comportamento. La motivazione più frequente (indicata dal 6,1%) è legata a una emergenza di salute, per evitare liste di attesa o ottenere un ricovero in ospedale. Seguono la richiesta di favori sul posto di lavoro (4,4%) e la richiesta di aiuto per trovare un lavoro per un figlio o parente (5,2%), per accelerare la pratica della pensione (3,5%), per iscrivere il figlio a scuola (3,2%) o per sveltire altre pratiche amministrative (3,2%). Se nelle grandi città il fenomeno appare più contenuto, nei centri più piccoli la conoscenza diretta di politici e funzionari favorisce le logiche clientelari: laddove sale al

27,7% la percentuale di quanti si rivolgono ai politici per la richiesta di favori.

In una fase congiunturale dell’economia critica come quella attuale, il rinnovamento della macchina pubblica rappresenta per l’Italia un’esigenza non più rinviabile. Il Censis mette in risalto alcuni temi a lungo dibattuti. Innanzi tutto i costi, ancora troppo alti. L’Italia è, dopo la Grecia, il Paese Ocse dove è più costoso avviare un’impresa. Occorrono in media 5.681 dollari, contro i 1.960 della Germania, i 347 della Francia, i 318 degli Stati Uniti, i 285 del Regno Unito. Ma è anche il Paese in cui è meno conveniente fare impresa. Nel 2009 l’incidenza complessiva delle imposte e dei contributi è arrivata al 76,2% dei profitti, sopra Francia (66,3%) e Stati Uniti (46,2%).

È tregua armata tra Lombardo e gli ex alleati Rinviato il vertice dei coordinatori nazionali del Pdl di Franco Insardà

ROMA. Raffaele Lombardo vuole fare il governatore con pieni poteri e ha adottato il dividi et impera per raggiungere il suo obiettivo. Ha premuto sull’acceleratore con l’appoggio di Dell’Utri e Miccichè e adesso va avanti. Si dice disponibile a discutere, ma non accetta le fughe in avanti dei suoi ex alleati di Pdl e Udc. Sta giocando una partita a scacchi molto complicata, arroccato come è sulle sue posizioni. Ha fatto sapere di aver apprezzato che l’incontro, previsto per questa sera a Catania, dei coordinatori nazionali del Pdl sulla crisi politica alla Regione siciliana non ci sarà. Giuseppe Castiglione, co-coordinatore regionale ha chiesto il rinvio, spiegando che in questo momento «accelerare non serve ad alcuno, tanto meno alla Sicilia: è invece opportuno abbassare i toni e cercare una soluzione condivisa».

L’invito di Castiglione non è stato raccolto da Totò Cuffaro che ha dichiarato: «Al presidente della Regione eletto dalla coalizione di centrodestra, vorrei pacatamente far notare che le macerie stanno sommergendo la Sicilia, in tutti i campi: politici, amministrativi e sociali. E non sono certo macerie che ha ereditato da me. Ho lasciato una macchina amministrativa perfettamente funzionante. Nei sette anni del mio mandato il bilancio della regione è stato sempre approvato entro il 31 dicembre. Il documento di programmazione dei fondi Europei relativo al 2007/13 che i miei uffici avevano preparato è stato il primo in Europa a essere approvato, mentre ora grazie alla girandola di direttori, che Lombardo in solitudine ha voluto, non è stato ancora utilizzato un solo euro. A distanza di due anni non è ancora stata emanata la legge che consente di utilizzare i fondi Europei. L’unico assessorato a essere in grado di farlo, perché ha provveduto per tempo, è l’Industria retta da un assessore udc e che forse proprio per tale motivo cacciato». Lombardo, intanto, ha chiamato in causa anche il presidente della Repubblica: «Sono sicuro che Napolitano non promulgherà il Ddl

di modifica dello Statuto regionale. È un’intimidazione per dar forza alle loro truppe. Lo facciano, così mi faranno raggiungere la maggioranza assoluta perché le porte del mio movimento sono aperte per tutti». Il riferimento è chiaramente agli esponenti nazionali del Pdl, siciliani in testa, che hanno proposto la modifica dello Statuto. E il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri, si è detto «dispiaciuto che Lombardo abbia chiamato in causa il capo dello Stato. Lombardo fa propaganda per raggiungere la soglia del 4 per cento alle Europee, ma noi andremo comunque avanti».

Le posizioni dei vari schieramenti appaiono distanti, ma l’attesa dei risultati delle urne della prossima settimana rende tutto più fluido. Da una parte Lombardo sostiene la sua nuova giunta con i tre assessorati congelati, dall’altra la richiesta di Pdl e Udc di azzerarla dopo le Europee e riaprire le trattative. La battaglia continua anche sull’ipotesi di due mozione di censura, una di PdlUdc e l’altra del Pd, che saranno presentate nella seduta straordinaria dell’Assemblea regionale siciliana convocata per il 4 giugno alla quale, si dice, Lombardo non dovrebbe esserci. Intanto ieri il governatore ha replicato: «La mozione di censura ipotizzata da alcuni deputati del Pdl all’Ars nei miei confronti è una ridicolaggine. Si dimettano se vogliono essere coerenti fino in fondo». Quindi ha chiarito le voci suoi suoi rapporti con il presidente del Senato Renato Schifani e con il ministro della Giustizia Angelino Alfano: «Sia con il presidente Schifani sia con il ministro Alfano, ci sono rapporti civilissimi, come la buona educazione prescrive. Con Alfano c’è stato anche un incontro nei giorni scorsi, e ho apprezzato al sua dichiarazione ispirata al buonsenso». La partita è ancora aperta, gli incontri e le trattative continuano, ma al momento non si va oltre una tregua armata. Le somme si tireranno dopo le Europee.

Pronte due mozioni di censura per la seduta straordinaria dell’Ars del 4 giugno, ma il governatore non ci sarà

zione verso la pastorale del matrimonio», risponde il porporato. «Il Vangelo della vita, della famiglia, del matrimonio sono questioni da sempre al centro dell’evangelizzazione. Certamente in questi ultimi anni, a seguito di quella diffusa fragilità che si individua in molte situazioni in cui purtroppo il matrimonio e la famiglia entrano in crisi, si richiede un investimento ancora più capillare. Quindi l’attenzione della Chiesa, che da sempre è rivolta all’istituzione familiare, ritenuta cellula fondante della società e rispondente al disegno divino e al sacramento che Cristo ha istituito, deve essere ancora maggiore - conclude Bagnasco - nelle nostre comunità cristiane».

N e l l ’ i n t e r v i s t a c h e commenta i lavori dell’assemblea della Cei, il cardinale bagnasco aggiunge che i vescovi «rilevano con preoccupazione il persistere di alcune situazioni di disagio diffuso di tante famiglie che hanno perso o stanno perdendo il lavoro». «Dal punto di vista della contingenza economica, se sta passando, se ci sono segnali, questo non posso dirlo perché non ho la competenza sufficiente. Come pastori noi, naturalmente, lo speriamo».


mondo

pagina 8 • 2 giugno 2009

Ue. Secondo l’ultima indagine Eurobarometro, tra i cittadini del Vecchio Continente il disinteresse cresce più dello scetticismo

L’Europa va a vuoto L’affluenza per le elezioni europee è scesa dal 63% di trent’anni fa al 43% del 2004. E oggi… di Michele Marchi a vera sfida delle prossime elezioni europee non sarà quella di rubare elettori agli avversari politici ma quella di riuscire a mobilitare una porzione consistente dei propri elettori abitual». Questo è il punto di vista di un esperto parlamentare europeo francese, condiviso dai principali analisti ed addetti ai lavori. Uno spettro si aggira per l’Europa: l’astensionismo. Sembra davvero che l’annunciata fuga di massa possa tramutarsi in realtà alle elezioni che, tra il 4 e il 7 giugno prossimi, chiamano al voto 375 milioni cittadini europei, un corpus elettorale secondo solo a quello delle elezioni indiane. La politologia continentale insegna che il voto per il Parlamento di Strasburgo è oramai univocamente considerato un’elezione di “second’ordine”. Addirittura in contesti come quello francese, nel quale l’elezione presidenziale è ritenuta il momento cruciale della vita democratica del Paese, si può parlare di “scrutinio marginale”.

«L

Se guardiamo al livello di partecipazione dal 1979 (prima elezione a suffragio universale diretto) ad oggi il trend è effettivamente quello di un costante calo. Trent’anni fa si recarono alle urne il 63% degli aventi diritto, non bisogna dimenticare che si trattava di un’Europa a nove Stati e di conseguenza piuttosto omogenea. Il primo segnale preoccupante è quello del 1989, quando il livello di partecipazione è sceso sotto il 60%. Ma i dati davvero allarmanti sono quelli del 1999 (49,8%), e del 2004, quando la prima elezione dell’Europa a 25 ha fatto registrare un misero 43,66% di partecipazione. Le ultime proiezioni parlano di un livello di partecipazione che, nella migliore delle ipotesi, dovrebbe replicare il pessimo risultato delle elezioni del 2004. Dunque l’Europa del deficit democratico in realtà è un’Europa composta da cittadini che, nel momento di massima espressione democratica, decidono di voltarle le spalle. Il paradosso pare davvero la peculiarità principale dell’Europa di

oggi. È possibile spiegare questo paradosso? È possibile delineare alcune caratteristiche di questo euroscetticismo? Siamo in grado di rilevare continuità e discontinuità? Ma soprattutto possiamo cercare ci comprendere se il rifiuto è nei confronti dell’Europa come idea o dell’Europa in quanto peculiare forma istituzionale e politica, così come si manifesta? Per provare ad abbozzare qualche parziale analisi, sono di particolare interesse l’ultima indagine Eurobarometro, proprio centrata sul voto di giugno, e un’inchiesta ricca di spunti prodotta dalla francese Fondation pour l’innovation politique , in collaborazione con la Fondation Robert Schuman e la Konrad Adenauer Stiftung. Per entrambe le inchieste è necessaria una premessa: il vero dato preoccupante che emerge non riguarda in realtà un senso diffuso di antieuropeismo o

ropee, anche in Paesi a forte tradizione europeista come Germania e Spagna, i cittadini rispondono massicciamente “no”. Solo il 45% degli spagnoli e il 42% dei tedeschi si dichiarano “certi di recarsi alle urne”. Si è accennato in precedenza al disinteresse per l’elezione e un elemento di incognita sarà valutare quanto di questo (il 46% dei cittadini si definisce “disinteressato”) si tramuterà realmente in astensionismo.

Non si deve però sovradimensionare l’importanza di questo dato e dimenticarsi che ad esso si accompagna una dose molto importante di disinformazione sulle questioni europee. Forse più informazione potrebbe portare a ridurre, almeno in parte, l’astensionismo? Secondo l’ultima indagine Eurobarometro (i dati sono relativi ai primi di maggio 2009) solo un europeo su due è a conoscenza del fatto

Il voto per il Parlamento di Strasburgo è ormai univocamente considerato un’elezione di “second’ordine”. In contesti come quello francese, si può addirittura parlare di “scrutinio marginale” di vero e proprio euroscetticismo. Le risposte sono spesso contrastanti e dominate da una certa incoerenza, ma soprattutto a fare da padrona è la tendenza a scivolare verso una sorta di disinteresse europeo: l’Europa potrebbe essere un’opportunità di grande livello, ma finisce per non concretizzare questo suo potenziale. Questa l’opinione diffusa.

Il primo dato da sottolineare riguarda la geografia di questo debole europeismo. Al solito la Gran Bretagna si trova ai primi posti nella classifica del disinteresse, ma Londra questa volta è preceduta da una pattuglia consistente di nuovi Paesi membri (Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia) e anche da Finlandia e Olanda (rispettivamente con intenzioni di voto ferme al 33% e al 30%). Già in questa parte iniziale delle analisi non mancano i risultati in netta discontinuità rispetto al passato. Alla domanda sull’interesse rispetto alle elezioni eu-

che le elezioni si terranno a giugno prossimo. Ma il dato ancora più interessante lo si incontra quando si cerca di approfondire e di comprendere le ragioni del probabile alto livello di astensionismo. Il 60% dei cittadini europei dichiara di non sapere se voterà dal momento che non conosce bene le funzioni del Parlamento europeo e un consistente 59% ritiene che a Strasburgo ci si occupi in maniera troppo scarsa dei veri problemi europei. La contraddizione con la realtà è evidente: oggi Strasburgo orienta circa l’80% delle leggi continentali. Insomma ancora una volta determinante risulta la questione della comunicazione. L’Ue non è sufficientemente in grado di spiegare cosa realmente fa per influire sulla vita dei suoi cittadini. L’Europa è distante, l’Europa non influisce nella vita reale dei cittadini o lo fa su questioni che finiscono per essere considerate marginali. Eppure nella scala delle priorità dei suoi cittadini i primi posti sono tutti

occupati dall’emergenza economica. In piena crisi economico-finanziaria globale i cittadini europei sembrano non avere dubbi: la campagna elettorale per le europee dovrebbe trattare di disoccupazione (57%), crescita economica (45%), pensioni (31%), inflazione e potere d’acquisto (29%). Il tema della criminalità è salito al terzo posto con il 32% delle preferenze, mentre quello dell’immigrazione si trova solo all’ottavo delle preferenze (22%). Lo studio della Fondation pour l’innovation politique a permettere di approfondire ulteriormente l’indagine. Mentre le campagne elettorali di molti Paesi Ue (Italia, Francia e Austria su tutti) stanno insistendo sul tema dell’immigrazione, alla domanda «votereste più volentieri per un candidato che vi propone un intervento europeo sull’immigrazione o sull’economia e sull’impiego?» la risposta è senza appello: economia batte immigrazione 65% a 28%. È abbastanza evidente come di fronte all’oggettiva difficoltà europea e nazionale di influire sulle dinamiche economiche globali, le classi dirigenti dei singoli Paesi membri finiscano per scegliere la strada più semplice e propagandistica della questione immigrazione.

È tempo ora di affrontare in maniera diretta due importanti paradossi. Il primo riguarda l’apparente contraddizione tra due dati: il 56% degli intervistati ritiene che l’Unione europea sia un’opportunità nel contesto generale della globalizzazione. Contemporaneamente il 46% degli stessi intervistati si definisce disinteressato alle elezioni del 4-7 giugno prossimo. Si può quindi concludere che l’Europa

Dall’alto: il presidente della Commissione Ue, José Manuel Durão Barroso; il presidente del Parlamento europeo, Hans-Gert Pöttering; il presidente di turno del Consiglio, il ceco Jan Fischer


mondo

2 giugno 2009 • pagina 9

I temi etici assenti dal dibattito e dai programmi elettorali

L’Italia nell’Unione non porta la famiglia di Luisa Santolini iamo ormai alle porte delle elezioni e si moltiplicano gli incontri, le tavole rotonde e i dibattiti televisivi con molti partiti che spesso sono più impegnati a polemizzare con gli altri che a far conoscere i loro programmi sia a livello locale che a livello europeo. La cosa che più colpisce in questi giorni di campagna elettorale è la totale assenza nel dibattito politico dei temi cosiddetti eticamente sensibili che, viceversa, sono i più vicini alla gente e ai suoi bisogni. Non si parla delle biotecnologie che in alcuni Paesi europei la fanno da padrone e che sempre più avranno influenza sulle scelte della Ue, non si citano mai i problemi delle famiglie, che in Europa come nelle amministrazioni locali sono del tutto ignorate, non si sfiora neanche l’emergenza educativa anche se l’eclisse dell’educativo sta devastando un numero crescente di giovani. Perché? Non sono affatto convinta che siano questioni marginali che non interessano alla gente: basta andare in giro e parlare con chiarezza alle persone e si notano una grande curiosità e un gran desiderio di difendere questi aspetti della vita, con l’inevitabile seguito «ma che possiamo fare noi?». La verità è che i partiti censurano, primariamente per questioni ideologiche, questi argomenti. Nessuno di essi è in grado di elaborare una proposta condivisa da tutti i membri del partito, in quanto sia il PdL che il Pd raccolgono sensibilità e culture diverse e dunque su questi temi si manifestano idee opposte. Risultato: vita, famiglia ed educazione non esistono per la politica e l’ Europa dei 27 non solo è incapace di mettere in campo una politica estera o una politica economica condivise, ma metterà in soffitta queste questioni cruciali, salvo poi avventurarsi in fughe in avanti proprio sui diritti individuali e sulla presunta e totale autodeterminazione delle persone che negano il valore del matrimonio, che riducono la famiglia a vicenda del tutto privata, che ignorano la sacralità della vita sull’altare degli interessi economici delle potenti lobby che albergano a Bruxelles.

S

I giovani sono i più interessati a procedere sulla via dell’integrazione. Osservando la crescita demografica, però, il rischio è quello di trovarsi presto con un’Europa sempre più euro-scettica interessa ma non altrettanto le sue elezioni? Ma allora, cosa realmente interessa ai cittadini europei quando si parla di Bruxelles e di Strasburgo? E qui si inserisce il secondo paradosso. In questa difficile congiuntura l’Europa dovrebbe impegnarsi per garantire maggiori investimenti a livello di educazione e di formazione (41%), ma non per migliorare la sua difesa e la sua sicurezza (solo l’8% considera questo un ambito determinante di spesa sul quale investire). Addirittura un europeo su tre si augura che l’Ue diminuisca la sua spesa per aiutare i Paesi in difficoltà (e gli eventuali nuovi candidati all’ingresso) e per il capitolo relativo a sicurezza e difesa (già oggi a livelli insufficienti per sostenere una coerente politica estera e di sicurezza comune).

In questo scenario di paradossi un ultimo, apparente, elemento positivo riguarda il clivage generazionale. I giovani compresi tra i 18 e i 24 e tra i 24 e i 34 anni sono senza dubbio i più interessati e i più disposti a procedere sulla via dell’integrazione. Se si riflette però con attenzione osservando i bassi livelli di crescita demografica il rischio è quello di trovarsi, tra un ventennio, con un’Europa sempre più vecchia e quindi sempre più euro-scettica. In attesa che dalle urna esca il verdetto definitivo l’impressione che emerge dalla lettura di queste indagini è che le classi

politiche nazionali e i futuri europarlamentari si trovino di fronte ad un compito gravoso. Più che una ripresa dell’ideale europeo delle origini all’orizzonte sembra emergere la richiesta di una “nuova idea di Europa”, una sorta di “potenza pubblica supplementare”, in grado di fornire un surplus di protezione soprattutto a livello economico, laddove si ritiene che i singoli Stati nazione non siano più in grado di svolgere un ruolo determinante.

Non si tratta di un’idea di Europa sovranazionale, destinata a sostituirsi agli Stati Nazione, ma quella di un’unione in grado di accostarsi all’operato delle entità nazionali. Spetterebbe a questo punto, ma il condizionale è d’obbligo, alle élite politiche spiegare che avere “più Europa” comporta un serio impegno politico e un non trascurabile sforzo economico. Osservando le principali campagne elettorali dei Paesi dell’Ue a 27 non si può che essere scettici. Le liti di bottega e le questioni nazionali (quando non locali) sembrano dominare. Disinteresse e confusione finiscono per accomunare elettori e candidati. Quindi il primo e più immediato obiettivo è certamente quello di portare il maggior numero possibile di elettori alle urne. Il secondo, forse ancor più gravoso impegno, è quello di ottenere da questo voto lo slancio per una nuova ripartenza.

è che le famiglie per prime ne siano consapevoli e acquistino coscienza del proprio ruolo e dei propri compiti nella società.

Il progetto politico e sociale dell’Europa deve attraversare la visione della famiglia quale soggetto sociale indispensabile per lo sviluppo e il benessere dei popoli ed è grandemente positivo che il Partito Popolare Europeo di recente abbia ribadito la sua fedeltà alla famiglia fondata sul matrimonio e la sua difesa della sacralità della vita. In questa decisione un ruolo decisivo l’ha giocato la delegazione italiana dell’Udc ed è stato molto importante, perché alla vigilia della competizione europea era cruciale combattere una deriva relativista che vede la famiglia come un fatto privato e non come una presenza socialmente

I grandi partiti italiani, come Pdl e Pd, censurano questi argomenti perché nessuno di essi è in grado di elaborare una proposta condivisa da tutte le loro componenti

In questo panorama desolante, l’Udc ha inviato in tutte le sedi provinciali e ha messo sul sito del partito il “Pacchetto famiglia”per le elezioni amministrative ed il “Manifesto per l’Europa delle famiglie” per le elezioni europee, nella convinzione che gli organi di governo di un territorio autonomo ed il ruolo dell’Europa saranno sempre più cruciali per il futuro delle famiglie, non solo italiane. L’Europa dovrà necessariamente fare i conti con la famiglia per non diventare solo un Unione di mercanti e di banchieri, ma la precondizione

rilevante. Questo significa abbandonare la famiglia agli attacchi che le vengono sferrati in tutto il mondo, significa negare il valore sociale del matrimonio, significa negare che l’Europa ha bisogno delle famiglie per declinare i valori che fondano la sua identità: solidarietà, sussidiarietà, pace, giustizia, libertà, accoglienza, uguaglianza di diritti e doveri, rispetto delle diversità. Il Ppe ha deciso di ribadire i valori su cui si fonda e gli elettori europei dovranno decidere se mettersi a difendere la famiglia e la vita o coloro che le combattono. Le prossime elezioni non si giocano solo sulla crisi economica o sugli scandali di cui le cronache sono piene: si giocano ancora una volta su una visione di società, su una idea di civiltà, su un progetto di vita che poi dovranno essere declinati nelle aule parlamentari e nelle sale consiliari disegnate dai cittadini. E ancora una volta occorrerà decidere davvero da che parte stare.


panorama

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Richiami. Il governatore di Bankitalia chiede più coraggio a Giulio Tremonti e a Maurizio Sacconi

Se Draghi salva soltanto Brunetta di Francesco Pacifico

ROMA. A definirla una «relazione brunettiana», come fa lo stesso Renato Brunetta, ce ne corre. Eppure proprio il ministro della Pubblica amministrazione, nelle Considerazioni finali di Mario Draghi, è l’unico esponente governativo promosso in riformismo da Bankitalia. Nella sua relazione il governatore ha evitato di attaccare frontalmente Palazzo Chigi. Di più, ha compreso le difficoltà nelle quali si opera e gli sforzi per far quadrare i conti. Però finiscono per essere lette in una luce diversa le frasi dedicate agli «interventi attuati finora per attenuare i costi sociali della recessione», che hanno «soprattutto utilizzato

IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio

risorse già stanziate per altri impieghi». Oppure il passaggio sulla necessità di creare «un buon sistema sociali per chi cerca un nuovo lavoro», che sia in grado di «attenuare la preoccupazione dei lavoratori, sostenere i consumi, accrescere la mobilità tra imprese e settori, favorire la

sti per evitare lo scatafascio. Sembra passato un secolo dal Tremonti che proponeva una rivoluzione fiscale che ricalcava il modello della flat tax o che spingeva per incrementare le datassazioni per chi reinvestiva i capitali guadagnati. Di Sacconi, che è stato uno degli artefici della rifor-

E se Tremonti è riuscito a frenare le ire e i dubbi di Bruxelles sull’allegra finanza italiana, Sacconi, con il suo asse verso Bonanni e Angeletti, ha evitato che il Paese fosse preda ogni giorno di manifestazioni di protesta. Ma tutto questo, a che prezzo? Il prezzo di questa pax sociale l’ha chiarito lo Mario Draghi. Senza riforme, e «una volta superata la crisi, il nostro Paese si ritroverà non solo con più debito pubblico, ma anche con un capitale privato – fisico e umano – depauperato dal forte calo degli investimenti e dall’aumento della disoccupazione». Nel breve termine non riformare le pensioni e frenare le liberalizzazioni è il migliore antidoto contro la piazza, ma sul lungo periodo avrà come unici effetti un aumento della spesa e un abbattimento della produttività. Così, «per riassorbire il debito pubblico, diverrebbe al tempo stesso più cogente la necessità di politiche restrittive per garantirne la sostenibilità». Alzare le tasse, per chi non l’ha capito.

Palazzo Koch mette in luce il deficit di riformismo del governo: oltre all’emergenza bisogna affrontare il capitolo pensioni e le liberalizzazioni riallocazione delle competenze individuali verso gli impieghi più produttivi».

Gioco forza, sono chiamati in causa Giulio Tremonti e Maurizio Sacconi, e la cosa – al netto degli scontri più o meno sotterranei tra Palazzo Koch e il governo – finisce per fotografare una realtà impensabile fino a qualche anno fa: i campioni del riformismo del centrodestra sono costretti a soprassedere dai loro propositi innovativi e finiscono soltanto per gestire lo status quo: per mettere pezze nella speranza che ba-

ma Biagi, è recente l’ambizioso lavoro del Libro bianco: ma come si farà a dare un taglio allo Stato «erogatore passivo» di servizi, se non si libereranno risorse con la riforma previdenziale? Il ministro dell’Economia e quello del Lavoro ripetono che non sono maturi i tempi per innalzare l’età pensionabile o per riformare gli ammortizzatori sociali. Per ora, fanno intendere, è stato un successo rendere competitivi i nostri Btp rispetto ai bund tedeschi oppure estendere a parte dei precari tutele un tempo impensabili.

Sono sempre più numerosi i casi di multe irregolari sulle strade d’Italia

Prigionieri di un autovelox (truccato) altro giorno ho pagato una multa di 274 euro per eccesso - si fa per dire, e poi capirete perché - di velocità. L’avvocato mi ha detto: «Guarda, devi pagare perché non c’è niente da fare. Se non paghi e fai ricorso rischi soltanto di vederti raddoppiare in poco tempo la multa». Ho pagato. Non l’avessi mai fatto: la Guardia di Finanza di Sala Consilina, in provincia di Salerno, ha sequestrato quell’apparecchio infernale - autovelox - che è risultato semplicemente taroccato. Cioè non omologato, in pratica truccato. Nell’inchiesta sono coinvolti ben settanta comuni, mentre sono oltre 80mila le multe che andranno molto probabilmente annullate. L’autovelox non era in grado di verificare la velocità di alcunché, eppure le multe venivano spedite che era una bellezza. Dite la verità: è capitato anche a voi.

L’

Anche voi vi siete beccati non solo la multa, ma anche la ramanzina da vostra moglie: «Non stai mai attento, hai sempre la testa tra le nuvole, chissà a cosa pensi». Eppure, non è vostra abitudine mettervi in auto a sentirvi la reincarnazione del mitico Senna. Con tutto il traffico che c’è, come fai a correre?

Eppure, anche voi siete stati raggiunti a casa da una multa per eccesso di velocità, magari perché andavate a 90 km/h e il limite era di 60. Ecco, proprio qui è il punto. Anche se la macchinetta è sana come un pesce, cioè non truccata, come è possibile fare una multa per eccesso di velocità a un’automobile che va a 90 km/h su una strada a scorrimento veloce? Già, come si fa? Il caso sollevato dalla Guardia di Finanza avrà, molto probabilmente, come effetto quello di alzare il velo - in verità, alzato già altre volte - sull’uso improprio che i Comuni e gli enti locali fanno degli autovelox. Diciamo pure sull’abuso. Lo scopo del controllo della velocità è la moderazione, ma per i comuni è la cassa. Ai comuni interessa praticamente zero assoluto la moderazione dell’automobilista: ciò che gli sta

a cuore, anzi, è l’esatto opposto, ossia la velocità sostenuta perché sanzionabile. E per essere più sicuri che l’automobilista - padri di famiglia, lavoratori, gente che si muove perché non ne può fare a meno - cada nell’occhio tecnologico dell’autovelox, i comuni decidono di piazzare la macchinetta infernale in un punto in cui il divieto indica un limite molto basso - 50 o 60 km/h - e le auto quasi sempre sono in un eccesso oltremisura. Qui ci troviamo di fronte a uno stravolgimento del senso del codice della strada.

I casi del semafori truccati - ricorderete senz’altro la notizia dei semafori che avevano il tempo del giallo praticamente pari a zero in modo tale che gli automobilisti passavano e venivano fotografati con il rosso - testimoniano,

del resto, che la cosa non è neanche sconvolgente, ma più “comune” di quanto non si sia disposti a credere. Ora il caso dell’autovelox non omologato, cioè truccato, conferma l’uso distorto che si fa del codice della strada: non è usato per tutelare gli automobilisti e la sicurezza sulla strada, bensì per taglieggiarli. Un tempo per strada c’erano i briganti. Chi andava per strade poco sicure lo faceva a suo rischio e pericolo. Oggi al posto dei briganti ci sono semafori e autovelox truccati. La differenza rispetto al passato è che i briganti rischiavano in proprio. E forse non erano neanche così numerosi come quelli di oggi. Gli autovelox sono un vero e proprio affare. Quando in un comune non si sa dove andare a prendere i soldi si decide di piazzare uno o più autovelox su una strada che cade nel proprio territorio. L’esperienza mi dice che con un buon autovelox si può arrivare a rimpinguare le casse comunali anche arrivando a 500mila o un milione di euro al mese. Fateci caso: contate gli autovelox che incontrate sulla strada che percorrete. Secondo voi sono tutti necessari? Tutti indispensabili? O stanno lì per far soldi?


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2 giugno 2009 • pagina 11

Destini. Le sue parole, sabato scorso, sulle aspettive in Vaticano, rivelano un tratto importante del suo pontificato

E Ratzinger divenne papa “suo malgrado” di Luigi Accattoli segue dalla prima Questa la risposta: «A dire la verità, non avrei mai pensato di diventare Papa perché, come ho già detto, sono stato un ragazzo abbastanza ingenuo in un piccolo paese molto lontano dai centri, nella provincia dimenticata. Naturalmente abbiamo conosciuto, venerato e amato il Papa — era Pio XI — ma per noi era a un’altezza irraggiungibile, un altro mondo quasi (…). E devo dire che ancora oggi ho difficoltà a capire come il Signore abbia potuto pensare a me, destinare me a questo ministero. Ma lo accetto dalle sue mani, anche se è una cosa sorprendente e mi sembra molto oltre le mie forze. Ma il Signore mi aiuta». Ma davvero il “cardinale decano” che tutti i media davano tra i “papabili”, nell’aprile del 2005, restò sorpreso dall’elezione, avvenuta al quarto scrutinio e a sole 24 ore dall’inizio del Conclave? Io sono convinto della sorpresa e provo ad argomentarla partendo dal maglione nero sotto l’abito bianco con cui si presentò alla folla un’ora dopo l’elezione.

L’emozione sul volto e le braccia in nero sono stati i due

in cui espresse quel “sogno”: quando compì 15 anni di “servizio” curiale e poi venti, e al settantesimo e poi al settantacinquesimo compleanno. Ma Papa Wojtyla non lo lasciava andare ed egli ubbidiva.

Nel suo sobbarcarsi un peso non cercato c’è un aspetto molto significativo della sua missione: una disponibilità totale che si fa totale apertura primi messaggi al mondo, quando si affacciò al balcone della Sala delle Benedizioni. Quel maglione stava a dire che il “decano” non aveva con sé in Conclave neanche una camicia, non pensando di essere eletto. Uno dei cerimonieri gli disse: «Santità le do la mia camicia». Ma il neoeletto rispose: «Vado così». Come «umile

lavoratore nella vigna del Signore», quale appunto si presentò. Che egli non vedesse l’ora di tornare in Baviera per godersi in pace un’ultima stagione con il fratello don Georg nella casa tra i prati che si erano acquistati – dividendo la spesa – alla periferia di Regensburg, è cosa nota. Ci sono decine di occasioni pubbliche

Meno noto è che in un volumetto intitolato Immagini di speranza pubblicato in Germania nel 1997 – cioè al compimento dei settanta e tradotto in italiano dalla San Paolo nel 1999 – egli avesse scritto, dando per imminente il ritorno in patria, queste parole rivelatrici: «Durante gli anni da me trascorsi a Roma...». Sempre del 1997 è il volume autobiografico La mia vita (anch’esso pubblicato in italiano dalla San Paolo), che si chiude con la rievocazione della leggenda dell’orso di Corbiniano, che era nel suo stemma cardinalizio e che è ancora in quello papale. Il monaco bavarese in cammino per Roma si imbatte in un orso che gli uccide la cavalcatura, forse una mula; e il santo ordina all’orso di prendere il posto della bestia uccisa. Così concludeva il cardinale: «Di Corbiniano si racconta che a Roma restituì la libertà

Strategie. Perché il segretario del Pd continua a puntare sullo scontro con il premier?

Franceschini alla guerra dei valori di Antonio Funiciello

ROMA. Nessun cambiamento di strategia: l’ultima settimana di campagna elettorale sarà identica a quelle che l’hanno preceduta. Il Pd va alla guerra dei valori contro il Pdl o, meglio, contro Berlusconi. Franceschini l’ha detto più volte che tra centrodestra e centrosinistra si tratta di due orizzonti di valori diversi. Niente sconti, quindi. Un pezzo d’Italia contro un altro pezzo d’Italia: il copione che da quindici anni pressoché ininterrottamente occupa la scena mediatica, dalla politica al cinema, dalla televisione alla pubblicistica.

Per quanto nel Pd siano molti

te le formalità che devono portare i democratici a congresso «entro e non oltre la domenica successiva al secondo lunedì di ottobre del 2009» (cioè entro il 18 ottobre, ma ai redattori dello statuto democratico piaceva di più scritto così). È fin troppo evidente che le molte variabili legate al voto condizioneranno in maniera determinate la corsa alla segreteria del Pd. Anzitutto la percentuale e il numero in valore assoluto dei voti raccolti, in rapporto col bottino elettorale dello scorso anno. Quindi, il di-

sentiti dal Nazareno hanno rafforzato i convincimenti di Franceschini di andare alla lotta dura senza paura. Le indagini rivelano che il numero di coloro che decideranno negli ultimi giorni se disertare o meno i seggi è, come al solito, elevatissimo. Si tratta di elettori del Pd assai delusi, che solo in minima parte si faranno ghermire dalle sirene dipietriste e che, per lo più, se ne staranno a casa o andranno al mare. L’offensiva sui valori scatenata da Franceschini mira a convincerli a confermare il voto democratico più su un piano emozionale che razionale. Per questa ragione anche gli ultimi slogan saranno centrati a colpire il cuore dell’elettorato più che la testa, suscitando il diffuso sentimento di ripulsa antiberlusconiano in favore di valori più alti che ad esso si contrappongano. Max Weber avrà pure scritto che «chi aspira alla salvezza della propria anima e alla salvezza di altre anime, non le ricerca sul terreno della politica». Ma nella campagna elettorale del Pd per il voto di giugno davvero non c’è posto per la filosofia.

Tutto è lecito in vista di un confronto elettorale nel quale il leader si gioca il futuro: che dipende non solo dai voti ottenuti, ma anche dai distacchi

ad essere incerti sulla strada intrapresa e sull’effettiva tenuta elettorale che potrà garantire, le bocche resteranno rigorosamente cucite fino alla chiusura dei seggi. A una settimana dal voto a nessuno va di passare per titubante, bastiancontrario o, addirittura, menagramo. Per ora si combatte a testa bassa; la sera dell’8 di giugno, a risultati delle amministrative acquisiti (lo spoglio per le europee comincia invece nella notte tra il 7 e l’8), si vedrà. Al Nazareno sarà immediatamente convocata una riunione della Direzione del partito, per discutere gli esiti della tornata elettorale e regolare tut-

stacco dal Pdl, che nel 2008 era di 4 punti percentuali e un milione e mezzo di voti. Infine, il numero di province confermate rispetto all’exploit del centrosinistra di cinque anni fa, soprattutto al Nord.

Molti avevano chiesto che l’offensiva del Pd si tematizzasse maggiormente sui contenuti di governo e meno sull’attacco personale al premier o sulla polemica intorno ai valori. Non sarà così. I sondaggisti

all’orso. Se questo se ne sia andato in Abruzzo o abbia fatto ritorno sulle Alpi, alla leggenda non interessa. Intanto io ho portato il mio bagaglio a Roma e ormai da diversi anni cammino con il mio carico per le strade della città eterna. Quando sarò lasciato libero, non lo so, ma so che anche per me vale il detto di Sant’Agostino: sono divenuto una bestia da soma, e proprio così io sono vicino a te».

Il Papa teologo tornò sulla leggenda dell’orso il 9 settembre 2006 parlando alla folla di Monaco di Baviera: «L’orso di san Corbiniano, a Roma, fu lasciato libero. Nel mio caso, il “Padrone” ha deciso diversamente».Trovo qualcosa di biblico, del Signore che porta qualcuno dove non vorrebbe, nella chiamata al pontificato che “sorprende” Ratzinger a 78 anni. In questo sobbarcarsi un peso non cercato vedo l’aspetto più avvincente della missione di papa Benedetto: qualcosa come il segno di una disponibilità totale che si fa totale apertura. Oltre le attese, oltre le vedute coltivate. www.luigiaccattoli.it




mondo

pagina 14 • 2 giugno 2009

Corea del Nord. Pyongyang prepara il lancio di un missile capace di raggiungere gli Usa. La Clinton: verrà abbattuto. Seoul trema

La sfida di Kim continua Il test potrebbe avvenire il 16 giugno, giorno del vertice fra Obama e Myung-bak di Luisa Arezzo a Corea del Nord mostra ancora i muscoli e trasporta oggi il suo più avanzato missile intercontinentale multistadio, capace di raggiungere Alaska e Hawaii, nella base di Dongchang-ri. E il segretario Usa alla Difesa, Robert Gates, conferma che Pyongyang potrebbe preparare un lancio balistico a lunga gittata, anche se le intenzioni «non sono chiare». Come dire: ci vuole cautela. L’iniziativa del regime è ulteriore benzina sul fuoco in Estremo Oriente e moltiplica i timori di un test che secondo fonti sudcoreane potrebbe avvenire in poche settimane, se non - ipotizzano i media di Seul - il 16 giugno, quando il presidente Lee Myung-bak sarà alla Casa Bianca da Barack Obama.

L

Gli Usa, ha spiegato Gates da Manila, dove ha fatto tappa di ritorno dal vertice di Singapore sulla sicurezza in Asia, «non stanno accelerando» per cercare altre opzioni sulla Corea del Nord che non siano i colloqui a Sei (che interessano pure le due Coree, Cina, Giappone e Russia) al fine di esercitare pressione per l’abbandono dei suoi piani nucleari. «Abbiamo osservato alcuni segnali secondo cui essi potrebbero fare qualcosa con un altro missile Taepodong-2, ma a questo punto le loro intenzioni non sono chiare», ha aggiunto Gates sull’ipotesi balistica. Una lettura avvalorata da Corea del Sud e Giappone che, con il portavoce del governo Takeo Kawamura, ha rimarcato l’impegno di Tokyo, all’interno del Consiglio di sicurezza dell’Onu, per adottare una risoluzione che includa sanzioni al regime dopo l’esperimento nucleare della scorsa settimana. Il vettore, trasportato via treno, è giunto a Dongchang-ri, il sito sulla costa occidentale della Corea del Nord ad appena 60 chilometri dal confine con la Cina. Il convoglio, partito sabato dal centro di ricerca militare vicino Pyongyang, non ha invece raggiunto, come era ipotizzabile, la base di Musudan-ri, nel nordest della provincia di Hamkyong del Nord, da dove sono stati provati finora tutti i test balistici a

Obama e Clinton vogliono ridurre gli arsenali. 3 motivi per cambiare idea

Non è ora di pensare al disarmo nucleare di John R. Bolton segue dalla prima Francamente, non c’è alcuna fretta e sarebbe più che sufficiente estendere la durata del Trattato già esistenre per preservare lo status quo. Mosca lo sa, e per motivi punto diversi al momento si rifiuta di entrare in questa nuova negoziazione. Paradossalmente, l’amministrazione Obama sembra ansiosa di procedere molto più velocemente di Mosca e in maniera un po’ frettolosa sta cercando di definire il numero di testate nucleari da smantellare. Ma cosa ancor più seria, Washington in questo modo preventivamente concesso ai russi la possibilità di decidere (prima del negoziato) la propria agenda di difesa strategica: sia trasformando l’accettazione russa al suo progetto come una concessione che verrebbe fatta agli States, sia facendo capire che alcuni progetti specifici, come lo scudo antimissile previsto in Polonia e Repubblica Ceca, potrebbero essere archiviati per sempre se necessario.

Secondo: Obama sta danneggiando la capacità di difesa americana. Il dipartimento della Difesa ha proposto un taglio al budget per la sicurezza interna a vantaggio di un incremento di spesa per la protezione delle forze impegnate in teatri di guerra. Giusto. Ma non a scapito della sicurezza nazionale. Reagan su questo punto era - a ragione - irremovibile. Non solo, una maggiore debolezza rispetto a un eventuale attacco in territorio Usa, ci rende deboli agli occhi di molti alleati, Giappone in testa. E

questa valutazione è stata segnalata anche dal Pentagono. Terzo, il presidente sta resuscitando l’agenda (mai terminata allora) di Bill Clinton, in particolare il Test Ban Treaty (divieto di effettuare esperimenti nucleari), che renderebbe definitiva la scelta di non operare più in quella direzione. Non solo, si sta dedicando a porre fine alla gara di approvvigionamento di materiali ”proibiti” come l’uranio e il plutonio. E in più sta spingendo l’accelleratore affinché Israele aderisca al Trattato di non proliferazione nucleare (e che dunque dismetta il suo arsenale). E tutto questo, al netto degli esperimenti e dichiarzioni di Iran e Corea del Nord, non fa che rendere felici i due protagonisti del momento, che non solo non hanno intenzione di “mollare”la presa, ma sono perfettamente in sintonia nell’avallare come positiva la politica di Obama per poi irriderla alla prova dei fatti.

Senza una robusta e decisa risposta alle loro continue violazioni, i loro ultimatum al mondo continueranno. E renderanno tutti più deboli. Se dunque Obama non sembra accorgersene, sarebbe il caso che almeno Capitol Hill lo facesse. E quando chiamto a votare sui Trattati sopracitati (per l’approvazione dei quali è necessaria una maggioranza dei due terzi del parlamento) si metta di traverso ai progetti dell’Amministrazione. Per non avere sulle proprie spalle il peso di una responsabilità che mette a repentaglio sia gli Stati Uniti che il mondo occidentale.

breve e lungo raggio. Incluso l’ultimo missile-satellite del 5 aprile scorso, il cui lancio ha attirato sul regime una condanna dell’Onu come conseguenza delle violazioni delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza.

Secondo quanto riferito dall’agenzia sudcoreana Yonhap, i movimenti del vettore sarebbero stati rilevati grazie agli aerei da ricognizione americani. Episodio finito nel mirino di Pyongyang che ha denunciato 200 casi di spionaggio aereo a maggio, con un aumento di 30 casi rispetto allo stesso mese del 2008. La Corea del Nord ha

sotterraneo effettuato nei giorni scorsi dalla Corea nord è stato anche al centro di un colloquio telefonico che il ministro degli esteri russo, Serghei Lavrov, ha avuto con il segretario di stato americano Hillary Clinton. La lady della diplomazia Usa, secondo l’agenzia Interfax, avrebbe fatto sapere al collega di lavorare all’ipotesi di abbattimento del missile qualora realmente lanciato. Nel frattempo, fonti diplomatiche occidentali al Palazzo di Vetro hanno assicurato che «i paesi chiave del Consiglio di Sicurezza sono d’accordo nell’appesantire le sanzioni contro la Corea del Nord».

Il vettore, trasportato via treno, è giunto a Dongchang-ri, il sito sulla costa occidentale del Paese ad appena 60 chilometri dal confine con la Cina. Potrebbe raggiungere l’Alaska avviato otto anni fa la costruzione di Dongchang-ri, che dista meno di 100 chilometri dall’impianto nucleare di Yongbyon ed è più grande della base di Musudan-ri. Pyongyang, per rimarcare le sue intenzioni, ha messo al bando la navigazione nell’area centro-settentrionale del mar Giallo, una mossa che ha spinto il governo di Seul a rafforzare l’allerta nella zona, memore degli incidenti del 1999 e del 2001. Secondo quanto detto a Seul da fonti vicine ai servizi d’intelligence, a destare preoccupazione è l’inusuale durata del divieto di navigazione di quasi due mesi: fino alla fine di luglio. Il nuovo possibile test oltreché l’andamento delle discussioni in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu sulla situazione creatasi dopo il test nucleare

«C’è una determinazione chiara in seno al gruppo P5+2 di andare verso sanzioni», hanno detto le fonti ai giornalisti dando conto dell’esito di contatti a porte chiuse di delegati di Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti più Giappone e Corea del Sud tesi a stabilire i principi di una nuova risoluzione prima di prospettarne i contenuti agli altri membri del Consiglio. Secondo le fonti Russia e Cina, che spesso hanno frenato i partner occidentali di fronte alla minaccia nordcoreana, stavolta non mostrerebbero analoghe ”reticenze”. Sarebbe in discussione “il tipo di sanzioni” da adottare, non il principio che vadano adottate. E oggi, se non la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, già potrebbero arrivare le prime risposte ufficiali.


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2 giugno 2009 • pagina 15

A fianco, una batteria di missili davanti all’International Convention Center di Jeju, in Sudcorea; il dittatore nordcoreano Kim Jong-il e il presidente russo Vladimir Putin. Sotto: una torre di vedetta per il controllo dei cieli nell’isola di Yeonpyong, Corea del Sud. In apertura, un pannello con i disegni dei missili in dotazione di Pyonyang nel centro studi di Panmunjom, al confine fra le due Coree

Il regime vuole monetizzare i suoi ultimatum e dettare le condizioni al Consiglio di Sicurezza

Il grande ricatto di Pyongyang al mondo di Osvaldo Baldacci a penisola coreana senza pace scruta il cielo timorosa di veder passare nuovi missili. Quelli che Pyongyang preavvisa di voler continuare a lanciare per nuovi esperimenti, o peggio quelli che minaccia di scagliare contro la Corea del Sud, con cui non ha mai firmato una vera pace, se Seoul e Washington non accetteranno alcune condizioni, come smettere di ispezionare navi in cerca di armi illegali e la soluzione del contenzioso su alcune isole. Ma la risposta americana è chiara: altri missili nordcoreani saranno abbattuti. Tutto questo pochi giorni dopo il secondo esperimento militare atomico nordcoreano riuscito in pochi mesi e la riapertura delle centrali nucleari. Proprio mentre Obama continua a tendere le mani. E se in questi anni si è combattuto contro le presunte armi di distruzioni dell’Iraq e l’attenzione è tutta incentrata sul nucleare dell’Iran, è dall’Estremo Oriente che arrivano gli echi radioattivi dei più concreti e minacciosi passi di uno dei regimi più chiusi al mondo.Tutto questo merita alcune riflessioni: prima domanda: perché Pyongyang alza la sfida? La risposta è complessa. Da una parte non si può non tener conto degli atteggiamenti a volte non del tutto razionali di un regime tra i più chiusi al mondo. Un regime scosso da una serie di problemi che tradizionalmente ben si nascondono con l’orgoglio di nuove conquiste e la tensione di una escalation internazionale. Il caro leader è scomparso dalla scene per un po’, e solo di recente ha rassicurato sulle sue condizioni. E la successione non è così scontata. Inoltre la Corea del Nord è alla fame e certo questo tempo di crisi farà sentire i suoi morsi anche nel

L’

regno eremita. Arma di distruzione di massa quindi, ma anche arma di ricatto. Il mondo non può permettersi troppe crisi di fronte alla situazione economica mondiale, quindi ecco che la Corea si fa avanti per vedere quale dei due vantaggi incassare: infilarsi in un momento di difficoltà per raggiungere obiettivi come l’arma nucleare, un’arma politica che cambierebbe le carte in mano in vista di futuri inevitabili negoziati; oppure monetizzare un forfait che gli venga offerto con una certa sbrigatività per smetterla di creare problemi in questo tempo che già vede abbastanza affanni.

Senza dimenticare che a ridosso della Corea c’è la Cina, la quale potrebbe da una parte avere interesse a far giocare la Corea per guadagnare posizioni sullo scacchiere, ma dall’altra stavolta potrebbe proprio essere lei, anch’essa di fronte a una certa crisi, la destinataria delle minacce politiche più che militari di Pyongyang che le vuol far capire che se non otterrà abbastanza può mettere in imbarazzo Pechino. Seconda domanda: la Corea del Nord è una minaccia reale? Certo, ma bisogna analizzare anche aspetti diversi da quelli più appariscenti. Un’arma nucleare in mano a un regime ai limiti della follia, disperato per la situazione economica, oltranzista e pericolante per le sue condizioni politiche, non può non rappresentare una vera preoccupazione per tutto il mondo

e specie per i suoi vicini sudcoreani e giapponesi. Anche perché poco si sa delle garanzie di controllo di tali armamenti all’interno del sistema di controllo e comando nordcoreano. Ma aldilà della follia dell’eventuale uso della bomba atomica, le preoccupazioni maggiori sono altre, ma sono anche stemperate da condizioni proprie di quell’area. La vera preoccupazione internazionale è che la Corea possa raggiungere una tecnologia militare da vendere in giro per il mondo. Questo preoccupa più di altro: se infatti finora la Corea si è giovata di un approccio internazionale più morbido, questo è per tre buoni motivi: La Corea è sullo scacchiere dell’Estremo Oriente, quindi isolata dalle più temute realtà del Medio Oriente e del terrorismo internazionale, che tra l’altro ha difficoltà a raggiungere uno Stato così isolato; nel caso della Corea sono coinvolte Cina e Russia direttamente, con interessi sostanzialmente analoghi a quelli occidentali, e non divergenti come nel ca-

so dell’Iran, del Venezuela e di altre realtà di questo genere. Terzo, il vero pericolo che il mondo vede in Corea del Nord è il crollo improvviso del regime: lo squilibrio della nord Corea con ciò che la circonda è talmente alto che un improvviso crollo creerebbe una massa di disperati che destabilizzerebbero del tutto l’economia e le società di Sud Corea, Cina, forse persino Russia e Giappone.

Se oggi la Corea è usata per investimenti nell’interesse di tutti i vicini e con l’obiettivo di favorirne lo sviluppo, un crollo precipiterebbe nel caos tutte le aree vicine, e questo proprio non ci vorrebbe. Ecco perché oggi nessuno punta a una rapida riunificazione della Corea o a una esportazione di troppa e troppo veloce libertà al nord. E tantomeno a una guerra, con tutti i costi diretti e indiretti connessi. E anche Pyongyang lo sa, e a volte se ne approfitta. Terza domanda: sta funzionando la politica internazionale? E cosa bisognerebbe fare? Beh, facile dire che non sta funzionando. Come si poteva prevedere le troppe mani tese di Obama in certe culture danno più l’impressione della resa che del dialogo. Peraltro anche la Cina e il resto della comunità internazionale non sembrano aver chiaro cosa poter fare con la Corea e la situazione sembra essergli sfuggita di mano. Ma una cosa è certa: con la Corea del Nord ci vuole pazienza e capacità di destreggiarsi fra timide aperture e feroci altolà. Certamente la via è molto stretta e va percorsa con grande attenzione.


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quadrante

L’Iran guarda al Libano e seduce Nasrallah Teheran si allontana da Hamas e punta su Hezbollah. Con la bendizione degli ayatollah di Antonio Picasso endorsement tanto atteso è arrivato. Nella sua ultima arringa alla folla, il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha dichiarato che il grande alleato iraniano è pronto a sostenere politicamente e con le adeguate forniture militari un Libano governato dalla coalizione composta da Hezbollah stesso, dall’altro partito sciita Amal e dal Movimento Patriottico Libero (Mpl) di Michel Aoun. L’alleanza tra il governo di Teheran e il “Partito di Dio”, quindi, viene ulteriormente suggellata proprio a ridosso delle elezioni per il 7 giugno.Venerdì scorso, Nasrallah è apparso sui megaschermi di un comizio nella roccaforte sciita di Baalbek. Durante il suo discorso, il carismatico mullah ha sottolineato la disponibilità di Teheran ad appoggiare la sua coalizione, se vittoriosa alle urne. Ancora più importante sarebbe l’intenzione di fornire le Lebanese Armed Forces (Laf) dell’adeguata tecnologia per la difesa dei cieli del Paese. Va sottolineato, però, che dall’Iran non è giunta nessuna conferma al

L’

riguardo. La rivelazione di quest’ultimo faceva riferimento a quanto detto dal vicepresidente Usa, Joe Biden, due settimane fa, nel corso della sua visita a Beirut. In quell’occasione, il numero 2 della Casa Bianca aveva confermato le intenzioni del suo governo a proseguire il rifornimento di armi e strumentazione di difesa per le Laf.

Si tratta di una partnership avviata nel 2006 e che ha raggiunto un ammontare totale di oltre un miliardo di dollari. Secondo Nasrallah, i punti critici della promessa di Biden sono due. La to-

guata tecnologia, le Laf non possono fermare queste operazioni. Inoltre, l’amministrazione Obama sarebbe disposta a cambiare il suo atteggiamento di apertura qualora la coalizione guidata dal “Partito di Dio”ottenesse la maggioranza in parlamento. Al contrario, Teheran sarebbe pienamente disponibile sia a riconoscere la vittoria del suo alleato, sia a sostenerlo nella sua lotta contro il “nemico israeliano”. Così facendo l’Iran consolida la sua presenza politica in Libano. In una fase in cui il processo di pace mediorientale è in attesa di nuove evoluzioni, l’attenzione del mondo è concentrata da una parte su Beirut, dall’altra sul complesso e frammentato mondo palestinese.Teheran, dal canto suo, invece di disperdere le risorse tra Hezbollah e Hamas, preferisce appoggiare unicamente il primo, in quanto dotato di una solidità politica di cui il secondo è privo. In realtà, i rapporti tra l’Iran e Hamas si sono incrinati in seguito alla cattiva conduzione, a detta di Teheran, della guerra contro Israele all’inizio dell’anno. Appoggiando Hezbollah, così,Teheran conferma la sua intenzione di instaurare un regime sciita sulle coste del Mediterraneo. Per farlo, Hamas risulta un interlocutore inaffidabile e, in quanto sunnita, privo della medesima identità confessionale utile per la realizzazione di questa impresa.

Ahamadinejad avrebbe promesso di fornire alle forze armate del Paese dei cedri la tecnologia aerea per la difesa dei cieli tale mancanza di un contributo per quanto riguarda la difesa aerea, ma soprattutto la condicio sine qua non per cui Washington si riserverebbe il beneficio di inventario a seconda di chi vinca le elezioni. Secondo il leader di Hezbollah, quindi, gli Usa preferirebbero non esporsi a sostenere in modo troppo efficiente l’aeronautica libanese, affinché i cieli del Paese restino liberi per i voli perlustrativi compiuti da Israele. Il“Partito di Dio”ha sempre rimarcato che, senza l’ade-


quadrante

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Guantanamo, riapre tribunale militare: èla prima udienza dell’era Obama

Il sussidio potrà essere cumulato ad altri redditi

Tv e mail ai terroristi, ma ripartono i processi

454 euro al mese per i più poveri. Ecco la riforma sociale di Sarkò

GUANTANAMO. Il Pentagono

PARIGI. Durante la sua campagna presidenziale nel 2007, Nicolas Sarkozy l’aveva sparata grossa: «Voglio fare in modo che i poveri in Francia diminuiscano di un terzo entro la fine del mio mandato». Da ieri è entrata in vigore la sua grande riforma sociale: l’Rsa (Revenu de solidarité active), un nuovo sussidio per i poveri che secondo gli economisti aiuterà 700mila francesi a superare la soglia di povertà, che è fissata a 880 euro al mese. L’Rsa sostituisce il Sussidio minimo di reinserimento (Rmi, Revenu Minimum d’Insertion), voluto dal Primo ministro socialista Rocard nel 1990. Con l’Rmi fino a ieri i disoccupati di lungo periodo ricevevano un assegno di 454 euro (somma che aumentava a seconda dei

offre qualche opportunità di intrattenimento in piu’ ai detenuti di Guantanamo, in attesa di decidere cosa fare di loro.Tv satellitare, corsi di Internet - ma a circuito chiuso - e sudoku del New York Times, sono andati ad aggiungersi a libri e rassegna stampa (censurata) già disponibili. Nello stesso tempo, però, nella base americana a Cuba è stata riaperta l’aula giudiziaria dei contestati tribunali militari. Camp Justice, l’area di Guantanamo dove l’amministrazione Bush aveva fatto realizzare le strutture per i processi militari, è tornata ad animarsi dopo mesi di paralisi. Il presidente Barack Obama, non appena arrivato alla Casa Bianca, aveva congelato tutto l’iter giudiziario di Guantanamo in attesa di decidere cosa fare. Ma la necessità di tenere un’udienza preliminare per il detenuto canadese Omar Khadr, 22 anni, ha costretto a riaprire l’aula. Khadr ha chiesto di rinunciare agli avvocati militari che gli sono stati assegnati dal Pentagono e un giudice si pronuncerà a luglio sulla sua istanza. L’udienza ha riportato a Guantanamo vari giornalisti e osservatori, dopo mesi in cui anche le visite dei media erano state congelate, e l’occasione ha permesso di scoprire una serie di novità nelle

Volo Air France sparisce nell’Atlantico A bordo 228 passeggeri, almeno 10 sono italiani di Nicola Accardo na tragedia che non ha una spiegazione, un aereo sparito nel nulla, sommerso in chissà quale abisso dell’Oceano Atlantico. Un unico dato certo: sul volo Air France AF 447 in partenza da Rio de Janeiro poco dopo la mezzanotte e atteso a Parigi alle 11 e 10 di ieri c’erano 216 passeggeri e solo un miracolo potrebbe averli salvati. Tra loro un neonato, sette bambini, 126 uomini e 82 donne. A cui bisogna aggiungere i 12 membri dell’equipaggio che verso le 3 e 30 del mattino non hanno più dato notizie dell’A330200, quando si trovavano a circa 350 km dalle coste del Brasile. Una tragedia che nel pomeriggio di ieri prendeva connotati nazionali: i passeggeri erano in maggior parte brasiliani, i francesi dovrebbero essere una sessantina (quaranta secondo il Ministero dei trasporti transalpino), una ventina i tedeschi e gli italiani una decina secondo la Farnesina. Ci sono certamente tre persone residenti a Trento, appartenenti all’associazione Trentini nel mondo, recatisi in Sud America per visitare le strutture dell’emigrazione locale. Sono Rino Zandonai, direttore dell’associazione, il consigliere regionale Giambattista Lenzi (Unione per il Trentino), Gianni Zortea, sindaco di Canal S.Bovo.

U

surizzazione che ha fatto esplodere il velivolo, «allo stato delle cose ogni ipotesi è falsa», ha tagliato corto Dominique Bussereau, segretario di stato ai Trasporti. Il fulmine è in ogni caso l’ipotesi più accreditata da Air France, che spiegherebbe l’improvviso ko di tutti i dispositivi di collegamento ai radar e alle radio. Ma si tratta di un aereo in grado di resistere a un fulmine, perfino nella burrascosa foresta di nuvole nere dove si era infilato verso le 4 e un quarto del mattino.

Era l’ultimo messaggio automatico che segnalava che il circuito elettrico era andato in panne. Poi più nulla.Verso le otto la situazione è abbastanza grave per dare l’allarme sulla «catastrofe aerea», ufficializzata all’aeroporto di Charles de Gaulle solo alle 14 e 15 dal direttore generale di Air France Pierre-Henry Gougeon, che davanti a una folla di giornalisti ha letto con le lacrime agli occhi il comunicato della compagnia. Il resto è lutto, dolore, condoglianze. Una massiccia presenza di medici e psicologi si occupano di parenti e amici dei passeggeri colpiti dallo choc all’aeroporto, tenuti alla larga dai giornalisti. Anche Nicolas Sarkozy ha fatto la sua comparsa nel terminal 2D, il cui tabellone non indica più la voce retardé a fianco del volo, rimasta a lungo illuminata come a nutrire la speranza. Ad aerei militari brasiliani e francesi è ormai affidata la sola speranza di trovare le tracce dell’Airbus, disperso tra le acque e le isole dell’Atlantico compreso tra il Brasile e il Senegal. La tragedia si aggiunge ad un’altra di recente memoria, dieci mesi fa il McDonnell Douglas MD-82della Spanair si era schiantato nelle vicinanze della pista dell’aeroporto Barajas di Madrid subito dopo il decollo. Le vittime erano state 154, il più grave incidente aereo di sempre in Europa. Un anno prima, il 18 luglio del 2007, protagonisti un’altra volta un Airbus e il Brasile: un A320 (più piccolo dell’A330 scomparso ieri) si era schiantato contro un edificio dell’aeroporto Congonhas di San Paolo, facendo 200 morti.

Un fulmine e un corto circuito al sistema elettrico le prime ipotesi. Fino a oggi l’Airbus 330 era considerato il più sicuro

celle, come l’accesso alle tv, ai quotidiani, a una biblioteca e al sudoku. Privilegi speciali sono riservati a un gruppetto di 17 cinesi musulmani di etnia uigura, che il Dipartimento di Stato cerca da anni - per ora invano di trasferire a Paesi disponibili a dar loro asilo politico. È di ieri la richiesta di Obama al governo australiano di farsene carico. Le iniziative sono state prese in un clima ancora di incertezza sul futuro dei 240 detenuti. Obama ha promesso la chiusura di Guantanamo entro gennaio e ha presentato un piano in cinque punti per smistare i prigionieri in vari gruppi. Ma alcuni tra gli elementi più pericolosi resteranno ancora a lungo in un limbo giuridico.

Ad ogni incidente aereo c’è una sensazione che invade tutti i viaggiatori rimasti sani e salvi a terra: sarebbe potuto capitare anche a me. E sì, perché l’Airbus A330-200 è il numero due dei voli commerciali (dopo il Boeing 737), gode di un’eccezionale reputazione, serve 97 compagnie aeree, tra cui quelle che noi italiani e europei utilizziamo correntemente: Lufthansa, Air One, Swiss, o ancora altre compagnie di bandiera come Air France, l’irlandese Air Lingus e la portoghese Tap. Ce ne sono 600 in circolazione, gli ordini sono in tutto 950. Mai, dalla sua inaugurazione nell’agosto del 1997, aveva avuto un incidente. Perfino il presidente francese Nicolas Sarkozy lo ha scelto come futuro aereo presidenziale. Un fulmine, un guasto al motore, un incendio, una depres-

figli a carico), che diminuiva drasticamente nel caso il beneficiario trovasse un impiego, anche se part time e mal pagato. «La rivoluzione sociale» dell’Rsa, così come l’ha chiamata il ministro del lavoro Brice Hortefeux sta nel fatto che anche chi troverà un impiego potrà continuare a beneficiare dell’Rsa. Un esempio concreto: un impiegato di pulizie pagato 500 euro al mese riceveva soltanto 135 euro di Rmi, ora gli spettano 270 euro di sussidio, il doppio. Troppi erano coloro che si accontentavano dell’Rmi perché lavorare non apportava un grande vantaggio economico. Nei dipartimenti in cui è stato messo alla prova l’Rsa negli ultimi sei mesi, il ritorno all’impiego è aumentato del 10%. La riforma, che costerà allo Stato francese 9,8 miliardi e interesserà 3 milioni di famiglie e 7 milioni di francesi, è una creatura di Martin Hirsch, stratega politico da sempre impegnato nella lotta alla povertà. L’ex presidente di Emmaus, la più grande organizzazione di beneficenza e solidarietà di Francia (fondata dall’Abbé Pierre), era stato consigliere del ministro Kouchner e di Martine Aubry durante il governo Jospin. Prima della campagna elettorale, aveva convinto anche Segolene Royal a inserire l’Rsa nel suo programma. Un’altra prova dello spirito di “ouverture” di Nicolas Sarkozy. (n.a.)


cultura

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Riletture. Un libro di Roberto Festorazzi ribalta la versione ufficiale sull’uccisione dei fratelli Rosselli per ordine dei vertici fascisti

Il segreto del Conformista Ipotesi informate sulla vita di Giacomo Antonini, “protagonista” del romanzo di Alberto Moravia di Pier Mario Fasanotti lla fine del 1949 Alberto Moravia scrive a Giuseppe Prezzolini: «Ho finito un lungo romanzo che si chiama Il Conformista e ora lo riscrivo. Uscirà verso la fine del 1950, spero». In effetti sarà pubblicato nel 1951, da Bompiani. L’omonimo film, per la regia di Bertolucci, sarà proiettato nel 1970 (con JeanLouis Trintignan e Stefania Sandrelli). È la storia di un uomo, Marcello Clerici, che ragiona tortuosamente sul concetto di normalità («che significa non avere idee quasi su niente»), un essere grigio che attraversa il ventennio fascista, destinato a fine anni Trenta a infiltrarsi nell’ambiente di Giustizia e Libertà dei fratelli Carlo e Nello Rosselli, esuli a Parigi. Riceve l’incarico dall’Ovra, la polizia segreta di Mussolini, di spiare l’intellettuale avverso al regime e di creare le condizioni per la sua eliminazione fisica. I Rosselli erano figli di Amelia Pincherle (zia di Moravia) esponente dell’alta borghesia israelita di tradizioni risorgimentali, in gioventù frequentatrice del salotto di Margherita Sarfatti, la donna che fu per lunghi anni “suggeritrice” del Duce. Il padre era Joe, ricchissimo nipote di Ernesto Nathan, massone che fu sindaco di Roma dal 1907 al 1913.

A

Moravia, nel libro-intervista di Alain Elkann, afferma: «Risentii molto di quel delitto tanto è vero che, anni dopo, scrissi un romanzo, Il Conformista, nel quale è adombrata la vicenda dei Rosselli in maniera però capovolta, cioè vedendola dalla parte di colui che contribuì a farli uccidere. Insomma scrissi il romanzo “non per i Rosselli” ma “su” i Rosselli. E questo perché pensai che doveva essere una tragedia sia pure a sfondo storico e non una storia agiografica, edificante». Il “conformista”, funzionario della Polizia Politica, ha

una latente personalità omosessuale che gli deriva dall’aver ucciso un uomo losco e laido. A Parigi si mette sulle piste del professor Edmondo Quadri, che altri non è che Carlo Rosselli. Del delitto Rosselli si è molto parlato e pochi rifiutano la “vulgata” ufficiale secondo cui a

che l’uscita del romanzo fu un durissimo colpo per Amelia Pincherle, madre degli assassinati. A questo proposito ricorda il nipote Nello: «La rottura tra mia nonna e Alberto fu definitiva, anche se i rapporti si erano già incrinati.

Ma come, il romanzo presentava un antifascista come “Qua-

Se non fu l’Ovra o qualche altro servizio segreto del regime, chi davvero fu a massacrare i due fratelli socialisti?

dri” così cinico e indifferente? Essa sentì questo come un affronto alla memoria dei suoi figli, che per i loro ideali erano stati ammazzati». Ammazzati, ma da chi? Festorazzi si rifiuta di aderire alla versione data per scontata, ribadita di recente dallo storico Mimmo Franzinelli aderente alla tesi “colpevolista” che vedrebbe come responsabile il vertice fascista. «Un «giudizio storico che non ha prove» scrive Festorazzi, e quelle fornite sono inesatte per date e circostanze. E a questo punto ricorda le indagini, ritenute da sempre molto scomode, di Franco Bandini, e il libro di Paolo PillitAlberto Moravia nasce a Roma il 28 novembre 1907, in teri. Anche questi un’agiata famiglia borghese. L’infanzia trascorre transe la prende con il quilla fino ai nove anni, quando si ammala di una gracinismo di Morave forma di tubercolosi ossea, che lo costringerà a più rivia, impietoso verprese all’immobilità fino ai 17 anni. Non ancora venso i cugini e assai tenne inizia la stesura de “Gli indifferenti”. Nel 1930, avverso al «milieu di per motivi giornalistici, inizia a viaggiare: Londra, Pavelleitari borghesi, farigi, New York; nel 1936 si reca in Cina. Nel ’41 sposa la talmente destinati a fiscrittrice Elsa Morante. Dopo la fine del fascismo e la nire schiacciati in Liberazione, e dopo anni di stenti economici, inizia a mezzo alle due grandi collaborare a quotidiani e periodici (“Il Mondo”, il rivoluzioni politiche “Corriere della Sera”, “L’Europeo”), mentre le sue opere del Ventesimo secolo: narrative ottengono successo. Gli anni Sessanta vedono la palingenesi fascista la crisi dei rapporti tra Moravia e la Morante. Lo scrite quella comunista, il tore conosce Dacia Maraini, che proprio in quegli anni rosso e il nero». Pillitsi affaccia alla vita letteraria. Continua intanto la sua teri adombra l’ipotesi infaticabile attività di viaggiatore e scrive con regolache Moravia si sia carità romanzi, racconti, recensioni cinematografiche e lato nei panni del sicronache di viaggio. Muore nel 1990. cario per uccidere “simbolicamente” uccidere i due fratelli antifascisti furono i sicari di Mussolini.Tra questi pochi c’è il giornalista e storico Roberto Festorazzi autore de Il segreto del Conformista (Editore Rubbettino, 257 pagine, 15 euro). Ribalta la versione che piace ai più, basandosi su documentazioni minuziose. Nello stesso tempo attacca violentemente Moravia per il cinismo con cui descrive Carlo Rosselli e la sua morte. C’è in effetti da ricordare che lo scrittore romano non ebbe mai buoni rapporti con i cugini Rosselli. E c’è da aggiungere

l’autore

A fianco e nelle foto piccole, alcune immagini dello scrittore italiano Alberto Moravia. Qui sotto, a destra, uno scatto di Carlo Rosselli, l’intellettuale ucciso sotto il regime fascista. In basso a destra, lo scrittore francese Albert Camus

Quadri, alias Rosselli. Se non furono gli agenti dell’Ovra o di qualche altro servizio segreto del regime, chi davvero fu a massacrare i fratelli socialisti e a gettare su un prato i loro cadaveri? Festorazzi ribadisce quel che tutti vennero a sapere dai giornali, ossia che il crimine venne perpetrato da un gruppo paramilitare dell’estrema destra francese, “La Cagoule” (gli incappucciati), abile nelle azioni di depistaggio e molto attivo a fornire «copertura all’attività degli agenti della Nkvd sovietica che in quel tempo stava conducendo in Francia e in Spagna una vasta operazione di “decontaminazione” del terreno politico dalle scorie del trotzkismo, sulla scia delle purghe di Mosca». Sia la magistratura italiana sia quella francese giunsero alla conclusione che il duplice omicidio fosse stato opera dei “cagoulard”.

Ci furono poi l’individuazione, l’incriminazione e la condanna degli esecutori materiali del crimine. Connivenze con killer fascisti italiani? È un groviglio di ipotesi, ma le testimonianze dovrebbero smentire definitiva-

mente chi addossa a Mussolini o a suo genero Galeazzo Ciano la responsabilità della licenza di uccidere. E il “conformista” esistette davvero? Certo. Si chiamava Giacomo Antonini, figlio di un nobile veneziano e di una donna olandese. Un avventuriero e un intellettuale. Capace di muoversi disinvoltamente in diversi ambienti politici. E con numerosi importanti amici, tra cui Aldo Garosci e Indro Montanelli. Lo dimostrano i carteggi conservati al “Vieusseux”di Firenze, ossia gli epistolari con Angioletti, Alvaro, Brancati, Montale, Piovene, Soldati, Vittorini, Sibilla Aleramo, Bonsanti, Gadda. E qui si entra nella nebulosa degli “a-fascisti” e di quelli che prima di diventare rossi furono fiancheggiatori o comunque debitori del regi-


cultura

me. Corrado Alvaro, destinatario delle sovvenzioni del Minculpop, era spesso nel salotto della Sarfatti.Vitaliano Brancati divenne nel 1933 redattore capo della rivista Quadrivio, da lui fondata assieme a quel Telesio Interlandi che poi fu cantore della razza ariana.

Prima di passare alle dipendenze di Valentino Bompiani, Elio Vittorini scrisse pagine esaltanti sul regime nelle pagine del Tevere e del Bargello e nel ’42 partecipò al convegno degli scrittori europei a Weimar, alla presenza di Joseph Goebbels. Mussolini, verso la fine degli anni Trenta, confidò al suo biografo: «Bilenchi e Vittorini saranno sempre dalla mia parte». E aggiunse, appropriandosi di competenza letteraria: «Bilenchi, lui sì, rimarrà nella no-

stra letteratura». Il “conformista”antonini si mette alle costole di Rosselli. Anzi è al suo servizio all’interno del gruppo “Giustizia e Libertà”con vari incarichi. Rosselli tra il ‘36 e il ’37 pensava di estendere “il rogo” della guerra di Spagna anche in Italia. Addirittura immaginò una spedizione alla Carlo Pisacane, con sbarco in Liguria. Duemila volontari, francesi e italiani, avrebbero dovuto combattere e morire per rovesciare il regime fascista. A poco a poco dubita del suo liberal-socialismo, stando ai rapporti di Antonini alla Polizia Segreta di Roma, e dà prove di ammirazione per i comunisti. Ma quelli russi, non gli occidentali. Sferzante un suo giudizio: «I letterati italiani sono di una meschineria e di una stupidaggine senza pari, non è con loro

che si farà una nuova Italia». Antonini (nato nel 1901), colto e conoscitore di molte lingue, scrive racconti, fa il giornalista. Prima di lasciare Berlino per Pari-

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che la guerra d’Etiopia possa far da detonatore in grado di accelerare la caduta di Mussolini. Don Sturzo oppone ragioni umanitarie. Si arriva al 9 giugno 1937. La vecchia Ford di Carlo e Nello Rosselli è seguita a distanza da un commando di sette uomini della “Cagoule”. Siamo nei pressi della stazione di Bagnoles de l’Orne (Normandia). Poco dopo le 18 scatta l’agguato. Spari e anche pugnalate. I cadaveri sono trascinati in un bosco e saranno ritrovati solo 36 ore più tardi. Antonini pare sia in Olanda. Nessuno può affermare che sia stato vicino al luogo dell’attentato. Di certo si sa che nell’agosto del ’38 si iscrive ai Fasci italiani in Francia, allarga il suo lavoro giornalistico e diventa agente letterario, per editori italiani e stranieri. Allo scoppio della guerra decide di partire per gli Stati Uniti. Ma una serie di vicende glielo impediranno, non ultima la frase attribuita a Galeazzo Ciano: Antonini è filo-francese e filo-inglese, non deve lasciare l’Italia. Riesce comunque a raggiungere prima Berlino, dove intravede Hitler, e poi l’amata Parigi. Qui fa amicizia con Gaime Pintor, avverso agli intellettuali collaborazionisti. Pintor in uno scritto riassume la condizione della Francia, la definisce “attendista”, un Paese

nita, il “conformista” Giacomo passa un periodo buio, anche in prigione sotto accusa di collaborazionismo. I suoi colleghi italiani vorrebbero vederlo radiato dall’Ordine. A soccorrerlo è Bompiani, che gli propone di diventare suo agente in Francia. Nomi importanti della letteratura mondiale come Jean Paul Sartre e Albert Camus entrano nella scuderia Bompiani. Frequenta anche Sergio Romano, il quale ricorda: «Mi dissero che anche nella vita di Antonini vi erano state alcune pagine oscure. Qualcuno sosteneva che il suo nome fosse stato trovato negli elenchi dell’Ovra… altri, a cui non prestai fede, che aveva avuto una piccola parte nell’assassinio dei fratelli Rosselli. Ma quando lo conobbi aveva ricominciato a fare con grande urbanità il suo vecchio mestiere di sensale tra la cultura italiana e la cultura francese».

Quando l’ambasciatore italiano a Parigi, Pietro Quaroni, chiede informazioni al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giulio Andreotti sul passato di Antonini, per il quale medita incarichi culturali, la risposta non si fa attendere: «Ci sono prove inconfutabili della sua attività (informatore politico dell’Ovra, ndr)». Ma il conformista Giacomo, pur sotto il giogo dell’epurazione, sa attendere. Si rialza, approfittando del fatto che l’attenzione accusatoria dei politici francesi nei suoi confronti si è rarefatta. Scrive per la Fiera Letteraria, occasionalmente anche per il Mondo di Mario Pannunzio, e la sua firma compare anche nelle terze pagine della Nazione e del Resto del Carlino. E diventa agente letterario di Moravia, col quale ha una fitta corrispondenza. Sovente il narratore romano “bussa quattrini”. L’anno di svolta è il ’51, quando Moravia chiede «al caro amico» un parere su Il Conformista. Il romanzo non piace proprio all’ex spia. Da quel momento l’epistolario si fa formale e sempre più rado. Moravia non aveva più bisogno di lui. E lui, il conte Antonini, non può che riflettere sull’impietoso ritratto moraviano di Quadri-Rosselli: personaggio ripugnante, anche fisicamente, piccolo, gobbo, barbuto, di aspetto «imbelle, malsano e laido». In un passo del romanzo: «La sua specialità era l’apostolato… egli non poteva però provare, gettando i suoi adepti nella lotta cospirativa, alcuna di quelle preoccupazioni umanitarie che, dato il suo carattere, si sarebbe tentato di attribuirgli; anzi li sacrificava con disinvoltura in azioni disperate….». Domanda: Moravia odiava intimamente il cugino? «Romanzo su Rosselli» come ha dichiarato. Il suo malanimo è dunque ancora più vistoso.

Si venne a sapere dai giornali che il crimine venne perpetrato da un gruppo paramilitare dell’estrema destra francese gi, il regista Friz Lang lo ha allettato proponendogli di fare lo sceneggiatore. Alla fine del ’34 il capo della Polizia Angelo Bocchini decide di stringere il cappio di sorveglianza al collo di Carlo Rosselli. Quattro anni prima tre esponenti di Giustizia e Libertà sono stati arrestati: Riccardo Bauer, Ernesto Rossi e Ferruccio Parri. Antonini viene arruolato con numero 353.

Dal 1935 comincia a inviare rapporti da Parigi e ottiene la fiducia, anche politica, di Rosselli. Fa sapere che il liberal-socialista ha incontrato Don Sturzo, proveniente da Londra. Tra i due c’è dissenso. Rosselli crede

che sta a guardare e che mercanteggia con tutti, rischiando di perdere «il senso umano della virilità. Pintor è un fine germanista e fin dal ’41 ha lavorato con Bompiani, sotto la direzione di Vittorini, per la realizzazione della collana antologica “Germanica»”, uscita nel ’42 dopo la mitica “Americana”. Nel ’43 esplode il caso Proust. Einaudi vuole i diritti. Ma in gara ci sono anche Bompiani e Mondadori.Vince l’editore torinese. Pintor annuncia a Cesare Pavese che la trattativa si è conclusa con successo, grazie anche alla mediazione di Giacomo Antonini. Einaudi prende carta e penna e scrive all’ex spia: «Ho il letterone di Gallimard e non so dirle quanto sia grato a lei di tutto». A guerra fi-


spettacoli

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oger Planchon, nato il 12 settembre 1931 a Saint-Chamond (Loira) e deceduto il 12 maggio 2009 per una crisi cardiaca a Parigi, drammaturgo, regista e cineasta francese». Due sole righe per descrivere l’avventura terrena di un grande Maestro del Novecento. Faro del teatro francese post bellico, grande innovatore, ha avuto il merito di scatenare il dibattito sulla funzione pubblica del teatro.Tanto detestato dai puristi che lo hanno accusato di presunzione e vilipendio, quanto osannato per la sua irriverenza. Uno dei pochi registi in grado di dividere la critica mondiale. Amava definirsi un autodidatta e indubbiamente le sue radici, saldamente ancorate alla madre terra (di umili origini, fino a quindici anni ha vissuto in campagna prendendosi cura del bestiame di famiglia) gli hanno lasciato in dote umiltà, determinazione e un forte senso della realtà.

«R

La scintilla per il teatro scatta presto e si concretizza nel debutto, poco più che diciottenne, con una compagnia amatoriale.Tre anni dopo lo ritroviamo a Lione fondatore del Théatre de La Comédie. Completamente dedito alla scena, si nutre di teatro e lo restituisce con un numero impressionane di repliche ed esperimenti di ogni tipo, non disdegna neppure la pantomima. In questi anni di for-

Ritratti. Chi era e cosa ha fatto il grande regista scomparso il 12 maggio scorso

Planchon, l’autodidatta che illuminò il teatro di Enrica Rosso gli spettacoli appetibili e formativi, democratici, a costo di stravolgere i testi. Gli esordi non sono rosei, ma il ragazzo è motivato e la sua prima vittoria si intitola I tre moschettieri.

de teatro e diventato patrimonio di tutti e non più privilegio esclusivo di chi vive nelle metropoli, soprattutto ha avuto il merito di regalare nuova vita ai classici spazzando via l’am-

Irriverente e determinato, la sua missione (riuscita) fu quella di mettere l’arte al servizio della gente, confezionando degli spettacoli appetibili e formativi, democratici, anche a costo di stravolgerne i testi mazione sul campo prende forma il suo alfabeto creativo sviluppando uno spiccato gusto per il burlesque messo al servizio del teatro sociale. Ma il bello deve ancora venire: nell’arco di un quinquennio il ragazzo Planchon si guadagna il prestigioso ruolo di direttore del Théatre de la Cité ouvrière di Villeurbanne, primo importantissimo seme di quello che si evolverà nel Théatre National Populaire. Planchon ha le idee chiare: mettere l’arte al servizio della gente confezionando de-

Nel medesimo arco di tempo il Théatre National Populaire di Parigi, dopo la morte del suo fondatore Jean Vilar, cade in disgrazia. Chiuderlo e girarne i sussidi pubblici al periferico teatro di Villeurbanne parve a tutti essere una scelta naturale: era nato il decentramento. Il passo successivo sarà affidare, o meglio condividere, la direzione artistica del TNP con Patrice Chéreau per aver l’agilità di far conoscere il suo lavoro in tutto il mondo. La Francia gli deve molto. Grazie a lui il Gran-

In questa pagina, alcune immagini del grande regista di teatro francese Roger Planchon, vero e proprio faro nonché “rivoluzionatore” della Scena francese post-bellica. È scomparso all’età di 77 anni lo scorso 12 maggio a causa di un improvviso arresto cardiaco

morbante staticità delle letture tradizionali tanto care alla Commedie Française. «Il mio scopo è divertire e commuovere il pubblico» dichiara senza troppi giri di parole. Concetti semplici, comprensibili a tutti, quelli con cui presenta la sua poetica teatrale. Sempre attento alle esigenze della sua utenza è stato un grande ascoltatore e un fine educatore, mai pe-

dante, mai banale, la sua più sagace intuizione è stata accostarsi con totale libertà ed esuberante spregiudicatezza al repertorio del teatro classico francese spaziando da Molière (è stato proprio Il Tartufo a guadagnargli la fama oltre confine e a fargli incontrare negli anni Sessanta il Piccolo Teatro di Giorgio Strehler) a Marivaux e a Racine. Per poi dedicarsi ai contemporanei come Arthur Adamov e Michel Vinavier. E ancora a confrontarsi con i giganti che hanno scritto la storia del teatro di tutti i tempi: Brecht (con la messa in scena quasi integrale di Terrore e miseria del terzo Reich), Calderon, Shakespeare (da cui rimase folgorato), Pinter, Bernhard… imponendo una visione teatrale nitida e popolare che gli è valsa in vita la stima e l’affezione di colleghi eccellenti. Molta intensa è stata anche l’esplorazione degli autori russi: Golgol e con particolare interesse Checov.

Sempre alla ricerca di quell’inafferrabile diaframma che rende indissolubili la scena della vita dalla vita sulla scena. Inarrestabile decide che il materiale composto da altri non lo rappresenta più, decide quindi di dedicarsi in prima persona alla scrittura. Nascono cosi testi memorabili, grazie anche alle sue scelte registiche e doti interpretative, come quell’Edipo 2007 a Colono che due anni fa presentò al Teatro Festival di Parma, altra meta in territorio italiano a lui particolarmente gradita. A tutto questo si affianca l’attività registica di cineasta che lo vede interprete di alcune pellicole: Paris Molière, Dandin. La più interessante rimane un Toulouse-Lautrec datato 2007 in cui ricopre il ruolo del titolo. A marzo ha calcato le scene per l’ultima volta al fianco della moglie Colette Dompietrini. Come sempre con incredibile energia, dandosi con generosità in un ruolo che lo vedeva recitare, cantare e ballare ne Amedeo o come sbarazzarsene di Ionesco. Una quindicina di giorni fa l’epilogo. Se n’è andato di notte, un martedì di maggio, a 77 anni. Un attacco cardiaco lo ha sorpreso disteso nel suo letto, a Parigi, mentre si dedicava alla lettura di un testo teatrale. Peccato, speriamo fosse già arrivato alla fine dell’ultimo atto.


sport

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Gli antieroi della domenica. Shawn Crawford, argento nei 200 metri a Pechino, restituisce il podio allo squalificato Churandy Martina

La medaglia del fair-play di Francesco Napoli

A fianco, uno scatto dei 200 metri delle scorse Olimpiadi di Pechino. La gara fu vinta dal giamaicano Usain Bolt (nella foto in basso). Il secondo e il terzo posto furono inizialmente assegnati a Churandy Martina e Wallace Spearmon, subito dopo squalificati per aver calpestato la riga che delimita la corsia. La medaglia d’argento venne quindi assegnata a Shawn Crawford

hurandy Martina, Antille Olandesi, deve aver rimosso già da subito, da quel fatidico 20 agosto dell’anno scorso, il terribile frantumarsi di un sogno. Era riuscito a prevalere nella finale degli esseri umani sui 200 metri piani alle Olimpiadi di Pechino, piazzandosi secondo dietro Usain Bolt, il bipede più veloce del mondo. Era riuscito a battere tutti gli altri, a cominciare da un americano, Wallace Spearmon, giunto terzo. Poi: il regolamento è regolamento si sa, ad ogni latitudine e in ogni disciplina, e guai se così non fosse. I giudici l’hanno colto, insieme a Wallace, calpestare per un attimo appena percettibile, la riga che delimita la propria corsia. Inflessibile la sentenza: squalificati tutti e due. Così l’argento va a Shawn Crawford, l’altro americano in finale. All’albo della storia olimpica viene così consegnato il risultato tecnico di questa disciplina, ma quello umano era ancora tutto da scrivere e raccontare. Shawn Crawford sale sul podio, sul gradino appena più in basso di Bolt l’irraggiungibile, e avverte un crescente disagio, si sente fuori posto. Certo: è il suo momento di gloria per gli annali, oro ad Atene e un secondo posto alle spalle del mostro di Kingston è il massimo possibile, ma il risultato sportivo, quello realizzato in pista, gli pesa.

C

Da quarto ritrovarsi secondo è un bel salto, può far piacere naturalmente, ma l’uomo di sport, l’atleta che è in lui si sveglia, lo scuote. Lo spirito olimpico sembra allora aleggiare

intorno a questo uomo che non riesce a rimuovere quei subitanei venti secondi della finale appena disputata. È possibile immaginare come nei cartoni un piccolo Crawford con le alette che gli ronza intorno, ha cinta la testa di un alloro a mo’ d’aureola, gli parla fitto fitto e solo l’atleta di colore americano può comprendere quello che sta dicendo: gli suggerisce cosa fare subito dopo, quando l’ufficialità della cerimonia è archi-

Il collega era stato penalizzato per aver calpestato la linea della propria corsia. Una recente sentenza ha confermato la decisione dei giudici sportivi viata definitivamente. Presentarsi di persona da Churandy proprio non se la sente, ma quell’argento è per lui imbarazzante. Coglie allora il momento giusto. Attende l’occasione propizia che gli si presenta sotto forma di meeting d’atletica di Zurigo. È trascorsa appena una settimana dalla notte di Pechino; scende alla reception dell’albergo che ospita gli atleti presenti alla manifestazione e consegna una scatolina rossa, con la medaglia d’argento e una lettera «per il signor Churandy Martina». Un peso in meno, quella medaglia non l’aveva mai sentita vera-

mente sua. L’ha pure scritto al povero Churandy che non gli spettava: «questa medaglia è tua». Churandy ha appena chiuso le valigie, sta andando via quando alla reception lo richiamano per consegnarli la scatolina rosso fuoco. L’apre, legge la lettera e si commuove almeno lo si può immaginare ma è un tuffo nel rimosso, in un avvenimento messo nell’archivio della coscienza. Sprofonda allora in un vortice di pensieri: si sente lusingato del gesto di Wallace ma Crawford sente anche che è una restituzione da non accettare. Lui e la sua federazione hanno fatto

riscorso contro il verdetto della giuria di Pechino e attendono fiduciosi la sentenza. La giustizia sportiva ha il suo corso. Così torna a casa, a Curaçao, lascia sul tavolino all’ingresso la scatolina con la medaglia e la lettera di Wallace. In bache-

ca c’è spazio, ma non l’apre per esporre quella medaglia forse legittima sul piano della prestazione ma che ancora non è sua: aspetta la sentenza che sancirà la graduatoria definitiva di quei maledetti 200 metri piani del 20 agosto 2008.

Passano i giorni e a marzo di quest’anno il Tas di Losanna emette la sentenza che conferma l’operato dei giudici di Pechino. Ora la scatola è un peso enorme per Churandy. Le regole son regole e se ha calpestato quella maledetta striscia bianca sa che deve liberarsi di quella medaglia. «Non è mia, non so cosa farne. Shawn non la vuole ma neanch’io merito questo argento». Non c’è nulla da fare: né Shawn né Churandy vogliono quel trofeo, nessuna conciliazione è possibile tra questi duellanti d’onore d’un tempo che non c’è più. L’argento dei 200 metri piani di Pechino giace in fondo a una scatolina rossa. Ora è in programma un mondiale di atletica a Berlino. Lì, come è noto, c’è un giudice davvero bravo e particolare, quello ogni tanto invocato a destra e a sinistra, ma anche per lui sarà impossibile assegnare l’argento che nessuno vuole più.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale

da ”Asharq Alawsat” del 30/05/2009

Che succede nello Swat? di Diana Mukkaled iente di nuovo sul fronte dello Swat. L’esercito pakistano, entrato nei santuari di talebani e al Qaeda, non sembra essere giunto ancora alla fine delle operazioni. Non ci sono segnali certi in questo senso. Ciò che invece sembra palese è la crisi umanitaria che ha investito le migliaia di sfollati dalla valle del Pakistan occidentale. E questo esodo di circa due milioni di persone, con altre migliaia rimaste sigillate nello Swat e con poche chanche di sopravvivenza, potrebbe diventare la causa della nascita dei talebani del terzo tipo.

N

Questa è una guerra nuova e il Pakistan è testimone della più grande migrazione dal tempo della separazione dall’India. È una guerra che possiede una caratteristica: poche informazioni e poche immagini. Una sensazione che non è certo mitigata dai continui lanci d’agenzia, dalla fuga di notizie ufficiali e dalla testimonianza di gruppi di profughi che scappano da una morte certa. Lo Swat è una regione completamente devastata. La somma di complicazioni, a livello locale ed internazionale, ha portato i talebani a ottenere il controllo della regione. Ora è Islamabad che sta tentando di riconquistare il potere di Stato in quella zona che gli studenti coranici avevano trasformato in una piccola Kandahar. Proprio come i talebani si esibivano in esecuzioni e pubbliche fustigazioni di donne, ora salta fuori la documentazione fotografica di torture che l’esercito pakistano avrebbe utilizzato contro prigionieri talebani e membri di al Qaeda. L’argomento non è di quelli facili da affrontare, perché la situazione è legata a equilibri che travalicano la situazione in Pakistan e Afghanistan. Ma i tentativi di scoprire la realtà sul terreno, prima che comin-

ciasse l’offensiva – a maggior ragione ora – si sono rivelati un compito molto difficile. Il numero dei giornalisti che coprono la campagna militare nello Swat va diminuendo, in proporzione alle numerose esperienze di reporter che hanno rischiato di lasciare la pelle nelle zone delle operazioni. Tutti i quotidiani della regione hanno cessato la loro attività e anche le notizie fornite via internet sono scarse. Chi è rimasto nella valle non è più in grado di seguire gli aggiornamenti attraverso le tv satellitari, visto che i talebani hanno distrutto l’unica rete via cavo che forniva questo servizio. Per quanto riguarda le autorità pakistane, hanno introdotto il coprifuoco, per la sicurezza di giornalisti e operatori televisivi. I talebani invece raramente trattano bene i reporter che nei loro pezzi li descrivono come «combattenti» e non come «mujiahiddin». Qual è il numero reale delle vittime civili?

È vero che i talebani stanno mettendo in atto la decimazione della popolazione rimasta nella regione? La tattica usata dai militari pakistani di bloccare l’approvvigionamento di cibo e acqua potabile, sta fiaccando la resistenza talebani che li porterà alla sconfitta, oppure sta solo ammazzando la gente rimasta nello Swat? Ancora una volta la sorte dei più deboli e poveri è stata compromessa. Prima gettati nelle mani dei gruppi estremisti, ora vengono salvati in una maniera che non mitiga le loro sofferenze. Complesse e squallide circostanze causate da una serie di errori nella gestione del proble-

ma dello Swat, stanno portando ora il Pakistan sull’orlo della disintegrazione. Se ciò dovesse avvenire le conseguenze non investirebbero solo il Pakistan. I media non stanno facendo il loro dovere nel racconto di questa guerra. E quando parliamo dei media non ci riferiamo alla stampa pakistana. Ci sono circa due milioni di sfollati e la città di Mingora è stata praticamente distrutta, senza poter vedere nessuna immagine della devastazione. Tutto ciò che abbiamo potuto guardare è stato un padre che portava con passo lento la figlia ferita in ospedale.

Questa è stata una delle poche immagini messe in onda sui network internazionali ed è qualcosa che rende chi l’ha vista ancora più ansioso di sapere come stiano veramente le cose laggiù. È probabile che l’esercito di Islamabad riesca a riconquistare il controllo della zona, ma non sappiamo bene ancora di cosa saremo testimoni in futuro.

L’IMMAGINE

Individui sempre più virtuali e alla ricerca di una propria identità si incontrano su Fb Facebook può essere un buon “veicolo” per promuovere il proprio sito, il proprio blog, le proprie iniziative, ma per me evidenzia solo un grande vuoto di comunicazione fra gli individui. Individui sempre più virtuali e alla ricerca di una propria identità: vera o presunta che sia. Se l’identità che virtualmente si assume è ad ogni modo veritiera, si tende comunque a presentarsi al meglio sia nelle foto sia nel proprio profilo e lo si fa quindi per autopromuoversi. Nulla di male, per carità. Purché il “reale”non rischi di essere oscurato dal “virtuale”. Molti sono entusiasti di Facebook perché lo considerano un mezzo che permette loro di vedere e ri-sentire persone i cui contatti si sono perduti da anni. Già di per sé il fatto che tu non le veda e non le senta da anni forse significa che un motivo c’è... non credi? Quando poi finisce che su Fb li “aggiungi agli amici”, loro magari lo fanno anche: ti danno una bella stretta di mano via web, ti chiedono come stai e buona notte al secchio.

Luca Bagatin

TANTE DOMANDE UN SOLO SOSPETTO Un governo che difende e propone personalità dello spettacolo è troppo leggero? Un governo di destra che ha i suoi esponenti separati o divorziati è ipocrita? Poi se il governo stesso difende a spada tratta le parole del Papa è bigotto? Ma non è che dietro troppe definizioni e generalizzazioni si difende un vero spirito di differenziazione che è alla basa delle discriminazioni?

Bruno Russo

IL VERO PROBLEMA È IL LAVORO Se la xenofobia è un sentimento diffuso nel Paese vuol dire che ne è affetta una grande fetta dell’illuminata sinistra: è una questione di numeri. Invece non è così; ci sono solo degli eventi isolati, che vengono adoperati come modello gene-

rale dalla solita politica lamentosa dell’opposizione. Il Paese è sano da questo punto di vista, e il problema semmai riguarda il lavoro: siamo il fanalino di coda del guadagno, i più tartassati dall’erario, il Paese dai mille impieghi e dai facili guadagni. La nostra paura è che per il basso costo, il popolo extracomunitario venga avvantaggiato nella conquista del primo impiego.

Gennaro Napoli

OBAMA E BERLUSCONI Obama ha annunciato la chiusura di Guantalamo. Adesso i media parlano della diffusione delle foto che lo stesso Presidente ha dovuto prima promettere e poi negare, per motivi legati all’equilibrio economico nazionale. Il vil denaro influenza tutto, anche la possibilità di mostrare la verità,

La maestra perfetta Saya è una robottina... in carriera. Creata da alcuni ricercatori giapponesi, dopo un periodo da segretaria all’Università della Scienza di Tokyo, è passata a fare la maestra. E nonostante l’inesperienza se la cava bene anche quando - grazie a 18 motori facciali - aggrotta la fronte per chiedere il silenzio. Con la sua presenza e un vocabolario di 700 parole, Saya svelerà ai bambini il lato più innovativo e divertente della robotica

la testimonianza. L’America sta lentamente facendo i conti con un presidente che è più sincero e incisivo di quello che ci si aspettava, tanto da imbarazzare la sua stessa parte politica. Poi cerca di frenare Netanyahu su un possibile attacco all’Iran, che tutti profetizzano ma nessuno è pronto ad azzardare. Cosa succederà se in-

vece sarà sferrato da un momento all’altro? Gli analisti della politica sanno comunque, che c’è un filo sottile che lega la politica vincente del nostro premier a quella di Barak: fare le cose senza guardare in faccia a nessuno, pensando più alle necessità che alle conseguenze.

Giovanna Santoro

ANDIAMO TUTTI A VOTARE L’egemonia provinciale è l’unica fortezza inespugnata della sinistra, che ha determinato non pochi problemi alla ripresa del Paese. Spero che la gente possa rendersi conto dell’importanza delle prossime amministrative, con una larga partecipazione.

Guido Mirella


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dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Ustica, isola amena e colorata La mia impressione di Ustica è ottima sotto ogni punto di vista. L’isola è grande 8 chilometri quadrati e contiene una popolazione di circa 1300 abitanti, dei quali 600 coatti comuni, cioè criminali parecchie volte recidivi. La popolazione è cortesissima. Non siamo ancora tutti accomodati: ho dormito due notti in un camerone comune con gli altri amici; oggi mi trovo già in una cameretta d’albergo e forse domani andrò ad abitare una casetta che stanno ammobiliando per noi: siamo trattati da tutti con grande correttezza. Siamo assolutamente separati dai coatti comuni, la cui vita non saprei descriverti con brevi tratti: ricordi la novella di Kipling intitolata Una strana cavalcata? Mi è balzata di colpo alla memoria tanto mi sembrava di viverla. Finora siamo 15 amici. La nostra vita è tranquillissima: siamo occupati a esplorare l’isola che permette di fare passeggiate abbastanza lunghe con paesaggi amenissimi e visioni marine, di albe e di tramonti meravigliosi: ogni due giorni viene il vaporetto che porta notizie, giornali, e amici nuovi tra i quali il marito di Ortensia che ho avuto tanto piacere di incontrare. Ustica è molto più graziosa di quanto appaia dalle cartoline illustrate che ti invierò: è pittoresca e piena di colore. Antonio Gramsci a Tatiana

IL SECONDARIO NON DEVE DIVENTARE IL FONDAMENTO DELLA VITA «Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza» (Dante Alighieri, Divina Commedia, XXVI canto, Inferno). La frase, sintesi perfetta dell’essenza di Ulisse, sempre teso a soddisfare il desiderio ardentissimo di conoscere il mondo, i vizi umani e l’umano valore, sembra oggi essere diventata di attualità in una società, come la nostra, chiamata a ritrovare se stessa. E i confronti con il presente nascono spontanei. Anzitutto Ulisse, l’uomo curioso ed assetato di sapere. Ulisse, per certi versi, dovrebbe essere un esempio per noi giovani; rappresenta infatti colui il quale è arso dal desiderio di conoscenza e sapienza. Troppo spesso, nella società attuale, la voglia di conoscenza e sapienza viene surclassata da messaggi vuoti di significato che giungono a noi per il tramite di spot pubblicitari, talk show e programmi televisivi in cui il niente viene venduto come il vero contenuto della vita. La figura di Ulisse ci sprona, ci esorta a scrollarci di dosso quel torpore che da tempo si è radicato nella nostra cultura e che è figlio di un relativismo che ci fa diventare schiavi di tutto ciò che è effimero, allontanandoci dai valori e dal Vero. Negli ultimi anni i giovani sono stati sempre più attratti da programmi televisivi in cui gruppi di persone si facevano riprendere 24 ore su 24, assurgendo, a volte, a vere icone, a mo-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Responsabile Renzo Foa Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Gloria Piccioni Stefano Zaccagnini (grafica)

ACCADDE OGGI

2 giugno 1954 Il senatore statunitense Joseph McCarthy asserisce che i comunisti si siano infiltrati nella Central Intelligence Agency 1965 Guerra del Vietnam: il primo contingente di soldati combattenti Australiani arriva nel Vietnam del Sud 1967 Le proteste a Berlino Ovest, contro l’arrivo dello Scià dell’Iran, si tramutano in scontri, durante i quali il giovane Benno Ohnesorg viene ucciso da un agente di polizia 1979 Papa Giovanni Paolo II visita la sua natia Polonia, diventando il primo Papa a visitare un paese comunista 1985 Papa Giovanni Paolo II pubblica l’enciclica Slavorum Apostoli, ai vescovi, ai sacerdoti, alle famiglie religiose a tutti i fedeli cristiani nel ricordo dell’opera evangelizzatrice dei santi Cirillo e Metodio dopo undici secoli 1997 Un treno merci con un carico di auto, trainato da una coppia di E633, si incendia nella galleria dell’Exilles tra ChiomonteSalbertrandt

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

delli cui ispirarsi e cui tendere, nell’illusione di dare senso alla propria vita anziché lasciarsi catturare da sfide importanti, ma impegnative, che impongono fatica e sacrifici per essere realizzate. Il concetto viene nitidamente espresso anche da Guccini nella canzone Addio in cui il cantautore dice: «E dico addio al mondo inventato del villaggio globale, alle diete per mantenersi in forma smagliante, a chi parla sempre di un futuro trionfale e ad ogni impresa di questo secolo trionfante, alle magie di moda delle religioni orientali che da noi nascondono soltanto vuoti di pensiero, ai personaggi cicaleggianti dei talk-show che squittiscono ad ogni ora un nuovo “vero”, alle futilità pettegole sui calciatori miliardari, alle loro modelle senza umanità alle sempiterne belle in gara sui calendari, a chi dimentica o ignora l’umiltà... ». Anche il cantante-poeta lancia lo stesso monito che l’Alighieri ci trasmette dalle pagine della Divina Commedia, sottolinea come ciò che è secondario non deve per nessuna ragione diventare il fondamento della vita.Vestiti o scarpe griffate non danno significato al nostro esistere, ma la testimonianza di uomini e donne veri a cui guardare, che con la loro vita siano da esempio per la nostra, possono essere determinanti per la nostra storia, per il nostro cammino, per il nostro diventare grandi.

IL REFERENDUM TRUFFA Si leggono frequentemente polemiche contro chi, come noi, sostiene il sistema proporzionale e fa propaganda per l’astensione dal voto al referendum del 21 giugno. Vi è chi sostiene che sia nostro interesse solo tornare alla politica dei “due forni”; chi propone il maggioritario, sostenendo che impedisca la formazione di governi controllati dai poteri forti; chi, infine, ritiene che solo il bipartitismo possa garantire la governabilità. Ebbene, ritengo che le affermazioni di cui sopra siano prive di ogni fondamento. La cosiddetta politica dei “due forni”è un falso giornalistico a cui ormai credono tutti, ma non è mai stata praticata dalla Dc né dall’Udc. A praticarla sono alcuni degli attuali partiti che mascherano gli interessi propri e delle lobby a sé vicine come interessi del Paese.Vorrei far presente come i poteri forti non abbiano bisogno del proporzionale per gestire più facilmente le istituzioni. Basta loro il totale controllo dei media, per sostenere e favorire partiti privi di una base e di un ceto politico autorevole. Infine, la difesa del bipartitismo non ha un vero fine, ma è frutto di pregiudizi ideologici verso il pluralismo politico. La selezione della classe dirigente non può avvenire attraverso una legge elettorale, bensì attraverso le scelte degli elettori. La convinzione di creare la governabilità in laboratorio attraverso sistemi elettorali, purtroppo, appartiene a molti intellettuali, tra cui Guzzetta e Segni. Costoro non hanno compreso un elemento importante della politica: non sono le sigle politiche a fare la differenza, ma i politici che ne sono rappresentanti. Ridurre le sigle politiche a due non produce alcun effetto, perché il problema è costituito dall’élite politica attuale, in prevalenza priva di un disegno globale di riforma del Sistema Paese, perché legata a vecchie ideologie politiche ormai sconfitte dalla storia. E comunque, pur limitando l’offerta politica italiana a due soli partiti, è positivo dover scegliere tra due partiti a vocazione maggioritaria che non hanno mai dimostrato di governare bene? È necessario capire che l’Italia è un Paese nato dal pluralismo politico. Abolire il proporzionale significa abolire il pluralismo politico, la base su cui è nato il nostro sistema politico, l’intero Paese. Un qualunque altro sistema elettorale sarebbe dunque in contraddizione con l’Italia stessa. Il proporzionale è dunque l’unico sistema capace di garantire la sostenibilità del Nostro sistema. Con buona pace dei referendari. Roberto Ganau C O O R D I N A T O R E LI B E R A L GI O V A N I SA R D E G N A

APPUNTAMENTI GIUGNO 2009 VENERDÌ 19, ROMA, ORE 11 PALAZZO FERRAJOLI - PIAZZA COLONNA Riunione nazionale dei Coordinatori Regionali e Provinciali e dei Presidenti Comunali dei Circoli liberal. VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Simone Malnati Segretario Movimento Giovanile Udc Provincia di Varese Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich,

Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Filippo La Porta, Maria Maggiore,

Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio

Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,

Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,

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e di cronach

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


PAGINAVENTIQUATTRO Ricordi. A Roma un museo ricorderà gli esodi in massa dalla Penisola

Quando a emigrare erano costretti gli ITALIANI di Maurizio Stefanini amma mia dammi cento lire/ che in America voglio andar». In realtà non era solo in America; non era solo nell’800, epoca della famosa canzone; e non riguardava solo poveracci. Molte le conferme che verranno date, ma anche molti gli stereotipi che verranno invece smentiti, nelle informazioni anticipate con la conferenza stampa che ieri ha annunciato il nuovo Museo nazionale dell’emigrazione Italiana: promosso dal ministero degli Esteri in collaborazione con il ministero per i Beni culturali; allestito negli spazi della Gipsoteca del Vittoriano; e inaugurato concretamente il prossimo 25 settembre. Nell’attesa, si sa che il museo si svilupperà in tre sezioni.

«M

Un percorso storico, ulteriormente suddiviso in cinque sottosezioni: le migrazioni pre-unitarie; il periodo 1876-1915; quello 1916-42; il secondo dopoguerra fino al 1976; e le comunità italiane nel mondo oggi. Un percorso regionale, che si propone in particolare di mettere in rete l’immenso materiale già esistente a livello di iniziative locali. Un viaggio nell’emigrazione attraverso varie aree tematiche interattive: dal cinema alla letteratura, alla fotografia, alla musica e all’oggettistica. E un primissimo assaggio è costituito da alcune foto che sono state mostrate in anteprima. Un passaporto del primo ‘900, con un baffuto capofamiglia assieme alla moglie e a quattro bambini dallo sguardo penetrante. Una folla di uomini coi cappelloni dell’epoca e di donne in gonna lunga ammucchiati sul ponte di una nave. Le alunne disciplinatamente composte e coi capelli rassettati, nella sezione femminile di una scuola italiana a New York nell’anno 1892. Un gruppo di bambini e ragazzi per la maggior parte a piedi scalzi, alla luce di un sole che malgrado l’ingiallimento del bianco e nero si inSopra: emigranti tuisce ancora intenso, di fronte a un davanti alla Torre Eiffel. Sotto, cavatori cotonificio di San Paolo del 1900. di pietra in Brasile. Un gruppo di giovanotti vestiti da Foto grande: cow-boy ma che invece di lazo e piGiuseppe Biagioli, stole impugnano grossi martelli, e ultimo a dx, in posa che apprendiamo essere cavatori di con un gruppo di amici emigrati pietra italiani nel Rio Grande do in Francia nel 1920. Sul attorno al 1910. Donne con il tiIn alto, minatori po di camicione e di pettinatura a a Vellerupt, 1900 caschetto che l’autore di queste note ricorda di avere sempre associato a sua nonna fino alla di lei morte, nel 1992; e che sono operaie italiane di un’impresa parigina di recupero stracci del 1925. Pure dalla Francia viene un gruppo di uomini anch’essi con un onnipresente berretto che ci parla di altre epiche, e che sarebbero piacentini di fronte a

Un viaggio - diviso in percorsi storici e regionali - che partirà il 25 settembre nella Gipsoteca del Vittoriano attraverso varie aree tematiche interattive: dal cinema alla letteratura, alla fotografia, alla musica e all’oggettistica un ristorante-bar italiano, anno 1926. Intensa è la foto dei minatori col casco e il volto nero di carbone, che in una miniera francese accendono candele a un altare di Santa Barbara: la cui morte per un fulmine rende la eloquente patrona di chiunque per lavorare debba maneggiare gli esplosivi.

Un’altra miniera francese attorno al 1900, ci mostra un gruppo di italiani al lavoro, con picconi, martelli e altri aggeggi. A Esch-sur-Alzette, Lussemburgo, 1902, altri minatori stanno invece all’aria aperta, sopra e di fronte a un vagone ferroviario. Ma quella degli emigranti non era solo una vita di fatiche, e dal tempo libero ci viene una famigliola che in uno studio fotografico si è fatta immortalare “a bordo”di una ingenua silhouette d’aereo fatta di cartone, epoca tra il 1920 e il 1930. Mentre un altro gruppo di umbri si è fatto immortalare davanti alla Torre Eiffel attorno al 1960: epoca a noi già abbastanza vicina, non fosse che per quelle cravatte che oggi nessun

gruppo di gitanti si sognerebbe di esibire. Pure incravattati si vedono d’altronde gli emigranti con le loro pesanti valige alla stazione tedesca di Wolfsburg, attorno alla metà degli anni ’60. Infine, inondati di sole, un gruppo seduto di fronte all’Hotel des Inmigrantes di Buenos Aires: la data non è indicata, ma dai berretti dovremmo essere tornati al primo ‘900.

Una caratteristica di questo museo è che viene creato a due anni dalla ricorrenza del 150° anniversario della proclamazione del Regno d’Italia, e dal centesimo dell’inaugurazione dello stesso Vittoriano. Una polemica implicita, seconda una certa moda storiografica corrente, di fronte agli esiti del processo unitario? Certo, è incontrovertibile che la grande ondata che portò 29 milioni di italiani fuori dalla Penisola iniziò in grandissima parte dopo il 1861. È pure incontrovertibile che ondate analoghe provennero da tutti i Paesi d’Europa, qualunque fosse il loro regime politico. E più incontrovertibile ancora è che non ci fu la minima differenza tra le aree che entrarono nel Regno d’Italia e quelle pure di cultura italiana che ne restarono fuori: i trentini sudditi asburgici emigrati in massa in Brasile, come i ticinesi cittadini svizzeri che riempirono l’Argentina o i corsi di passaporto francese finiti inVenezuela e a Porto Rico. È invece vero che tra gli italiani costretti all’estero la consapevolezza di una comune identità venne spesso prima che non nella stessa Penisola: per lo meno fino alla Prima Guerra Mondiale. Lo aveva già spiegato Edmondo De Amicis, col suo Piccolo Patriota Padovano.


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