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La libertà non è altro

he di c a n o r c

che una possibilità di essere migliori, mentre la schiavitù è certezza di essere peggiori

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Albert Camus di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • SABATO 27 GIUGNO 2009

La foto ufficiale del G8 dei ministri degli Esteri iniziato ieri a Trieste

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Duro intervento della Casa Bianca: «La repressione messa in atto dal regime di Teheran allontana la possibilità del dialogo»

Soltanto Obama Gli ayatollah: «Puniremo la rivolta senza pietà». Ma il G8 di Trieste si limita a “deplorare”. Senza le parole del presidente Usa, la gente dell’Iran sarebbe sola nel mondo alle pagine 2, 3, 4 e 5 Il gioco delle due carte contro Cesa

Il dr. Giornale e Mr. Berlusconi di Franco Insardà oemi, Patrizia, Lucia, Barbara sono ormai il pane quotidiano che ogni giorno arriva sulle nostre tavole. A niente valgono gli appelli del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, del presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, dell’Udc con Casini e Cesa in testa per mettere in campo quelle riforme che garantirebbero al Paese di poter uscire dal pantano nel quale è sprofondato con tutte le escort al seguito.

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Una lettera dall’Associazione

Confcommercio: sì, liberalizziamo

Il governo vara la «manovrina»: detassazioni e cassa integrazione

Anche il premier contro Draghi «Basta annunciare cali del Pil del 5%. La crisi è solo psicologica» di Francesco Pacifico

ROMA. Una manovra timida pare da 4 miliardi, della quale non si conosce con certezza l’entità e che sicuramente non darà una scossa all’economia. Soprattutto la promessa delle parti (la Cgil resta sola) di «mantenere la pace sociale». Ieri il governo ha approntato le sue armi per allentare la morsa della crisi e incentivare la ripresa nel 2010. Operazione difficile visto il testo redatto da Giulio Tremonti. E il primo a saperlo è lo stesso Silvio Berlusconi. Il quale non a caso si è richiamato

Questa volta ha vinto Tremonti

anche ieri «al fattore ottimismo, fondamentale per uscire dalla crisi, per far rialzare i consumi». E che sempre non a caso ha accusato di disfattismo «quelle organizzazioni internazionali che un giorno sì e un giorno no dicono -5 per cento, la crisi si risolverà nel 2010, nel 2011...». Parole che a tutti sono apparse come un siluro contro Mario Draghi.

Tremonti: bene, bravo, bis. Anzi, ter. Forse l’entità della“manovra d’estate” varata ieri dal Consiglio dei ministri sarà considerata “povera” rispetto a quanto si fa ad altre latitudini – dove però del debito pubblico non è alto come da noi – ma si tratta di un segnale incoraggiante.

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di Enrico Cisnetto

di Sergio De Luca e Mariano Bella

Il mistero di Jacko: la morte abitava già la sua vita

Riceviamo e volentieri pubblichiamo. entile direttore, servono sempre 24 ore per decidere se fare una replica o no all’articolo di Carlo Lottieri che avete publicato il 25 giugno, con il titolo «Sfide tra poveri. Commercianti contro bancarelle». Ma considerata l’autorevolezza della testata e la sensibilità che Confcommercio ha nei confronti del tema della rappresentanza e delle liberalizzazioni si è deciso di farla.

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oleva avere un bel naso. Essere bianco, o almeno il più bianco possibile. Michael Jackson voleva essere Peter Pan, l’eterno ragazzo capace di volare sopra le nuvole. E deve essere stato terribile per lui ritrovarsi a cinquant’anni davanti a uno specchio, alla vigilia di un tour che sarebbe stato un pallido riflesso degli antichi successi, dei meravigliosi deliri che lo avevano consacrato “Re del Pop”. Nelle ultime settimane, circondato dai creditori, inseguito da migliaia di pagine di promemoria degli avvocati – tutte notizie disastrose, a parte la prevendita dei biglietti andata piuttosto bene (95 milioni di dollari) – aveva provato per sei ore al giorno.

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di Roselina Salemi

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s eg ue a p a gi na 11 s eg ue a (10,00 pagina 9CON EURO 1,00

I QUADERNI)

• ANNO XIV •

NUMERO

126 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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Summit/1. Dal presidente americano una severa condanna al regime: «Ora il dialogo è diventato più difficile»

Obama sconfessa il G8 L’ayatollah Khatami: «Puniremo tutti i rivoltosi senza pietà» Trieste si limita a «deplorare». Washington invece usa parole forti I ministri degli Esteri in posa davanti al Molo Audace di Trieste per il G8. Sotto, l’ayatollah fondamentalista Ahmad Khatami (omonimo dell’ex presidente). Nella pagina a fianco, da sinistra, Putin, Chávez, D’Escoto e Lula: tutti si sono schierati con Ahmadinejad

di Vincenzo Faccioli Pintozzi bama è tornato a parlare di Iran. E lo ha fatto dopo l’incontro con la Cancelliera tedesca Angela Merkel, atterrata a Washington. Il presidente ha detto che «le violenze perpetrate contro il popolo iraniano sono un oltraggio» e ha elogiato «il coraggio dei manifestanti contro la brutalità». La violenza che sta prendendo piede in Iran, ha detto, «è scandalosa e incoraggio il Paese a rispettare le norme internazionali. Come ho detto in precedenza alla fine sarà il popolo iraniano a giudicare le azioni del governo, ma l’Iran deve rispettare i diritti e la volontà della sua gente». Da parte sua, la Merkel ha aggiunto che «gli iraniani devono avere il diritto di protestare in modo pacifico nel loro Paese». Da Teheran, in mattinata, era giunta una presa di posizione ancora più dura, anche se contro gli oppositori del regime. I manifestanti sono «nemici di Allah, che meritano la pena di morte e nessuna pietà».

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Eccolo, il vero volto del regime teocratico iraniano: lo dipingono con maestria le parole pronunciate dall’ayatollah Khatami, uno dei maggiori esponenti del clero conservatore iraniano, che nel suo sermone di “preghiera” ha accostato la sua posizione a quella dei peggiori totalitaristi della storia mondiale. Mentre a Teheran - dice l’emittente araba al Jazeera - regna una calma innaturale, le parole del religioso cadono come un fulmine sul Paese: «Esorto il potere giudiziario ad un decisivo confronto con i leader di queste manifestazioni illegali e chiedo per loro la pena di morte senza pietà». Subito dopo l’uo-

Ahmadinejad ringrazia il vertice della viltà di Enrico Singer a montagna ha partorito un topolino. Se non ci fossero di mezzo decine di morti nelle strade di Teheran che testimoniano sotto gli occhi di tutti una tragedia che molti fanno finta di non vedere, ma che è paragonabile al massacro di Tienanmen, questa immagine irriverente e quasi spiritosa sarebbe perfetta per definire quello che è successo ieri al G8 di Trieste. I Grandi della terra hanno «deplorato le violenze in Iran». E sono giunti a questo strabiliante risultato, che è un vero capolavoro di ipocrisia dipolomatica, dopo ore di discussione spese non per trovare la formula più incisiva per condannare – ecco, sarebbe bastato usare proprio questo semplice quanto inequivocabile verbo – la repressione sanguinosa ordinata e perpretata dal regime degli ayatollah, ma per scovare la formula più equivoca possibile per non dispiacere al presidente Mahmoud Ahmadinejad. Franco Frattini aveva promesso una posizione «comune e dura» da parte dei ministri che interpretano la politica estera degli otto Grandi. Complimenti.

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Deplorare le violenze senza nemmeno distinguere tra vittime e carnefici può essere letto addirittura come una presa di distanza da chi scende in piazza a dimostrare e come una giustificazione di chi reprime le proteste. Di sicuro non è il modo migliore per far sentire a chi rischia la sua vita che il tanto decantato “governo mondiale” è al suo fianco. A leggere tutto il comunicato, naturalmente, si capisce che non è proprio così. Che il G8 ha almeno “invitato”il governo iraniano a «risolvere attraverso il dialogo» la crisi esplosa dopo le contestate elezioni e a «rispettare i diritti fondamentali», tra cui quello della «libertà di espressione». Ma la differenza tra una chiara condanna e una diplomatica deplorazione resta. E pesa co-

me un macigno. Perché dimostra, più che l’impotenza, l’inesistenza del “governo mondiale”.

Di fronte alle vittime di questi giorni drammatici, aveva detto Frattini entrando nella riunione dei suoi colleghi del G8, «anche la Russia non farà mancare il suo appoggio a una posizione forte». Purtroppo si era sbagliato. Il ministro Sergei Lavrov è stato irremovibile. E la condanna è diventata deplorazione. I fanatici della realpolitik diranno che è stato ottenuto il massimo. Diranno che per mettere d’accordo su un testo comune Usa, Russia, Giappone, Canada, Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia un compromesso era inevitabile. Perché Mosca ha l’interesse strategico di coltivare l’amicizia con Teheran: non è un caso che, appena otto giorni fa, a Ekaterinburg, Ahmadinejad stringeva la mano al presidente russo, Dmitri Medvedv. Perché gli europei - Germania e Italia per primi - sono i migliori partner commerciali dell’Iran. Perché Barack Obama scommette ancora sulla carta dell’apertura lanciata con il discorso pronunciato all’università del Cairo il 4 giugno scorso scorso. Anche se, nel caso dell’Iran, si rende ormai conto che i margini di dialogo sono sempre più esigui e ieri lo ha detto apertamente smarcandosi anche dal comunicato del G8. Sarebbe ingenuo pensare che tutte queste considerazioni potessero essere messe tra parentesi a Trieste. Ma ci sono dei limiti anche alla prudenza diplomatica. Siamo sicuri che se il G8 avesse scelto la condanna, e non la mera deplorazione, delle violenze, Ahmadinejad avrebbe chiuso anche l’ultimo spiraglio al dialogo? Quello che è sicuro è che oggi i duri del regime si sentono più forti e che il fronte di chi rivendica maggiore democrazia si sente tradito. E, attenzione, non si trattava di decidere nuove sanzioni economiche, ma di avere almeno il coraggio di parlare, come ha fatto Obama. Per essere ascoltati e non derisi dagli ayatollah.

mo - che a suo tempo pronunciò la condanna a morte di Salman Rushdie - ha accusato i dimostranti di aver volontariamente ucciso la giovane Neda Aqa-Soltan, diventata il simbolo della protesta, come «atto di propaganda contro il governo. È stata uccisa perché qualcuno come Obama possa spargere lacrime da coccodrillo». Ovviamente, la colpa è poi rimbalzata sull’Occidente: Gran Bretagna, Francia e Germania si macchiano da giorni di «interferenza negli affari iraniani. Al momento giusto sapremo dare a questi Paesi una risposta».

A tutto questo sfoggio di volontà democratica, il G8 dei ministri degli Esteri ha risposto con una cartolina che affossa ancora di più il ruolo tradizionale di baluardo democratico. Riuniti a Trieste, gli otto hanno espresso “preoccupazione” sulla repressione delle manifestazioni a Teheran e si sono spinti fino a lanciare un appello alle autorità iraniane perché la crisi venga risolta “attraverso il dialogo democratico”. Nella dichiarazione della presidenza, emessa alla fine dei lavori, si legge: «Siamo preoccupati dalla situazione post-elettorale in Iran. Rispettiamo appieno la sovranità dell’Iran, ma allo stesso tempo esprimiamo rammarico per le violenze che si sono verificate dopo le elezioni che hanno portato a vittime tra la popolazione civile». Certo, i nocchieri della politica estera delle grandi potenze non si fanno mancare l’accenno umanitario: «Esprimiamo la nostra solidarietà a coloro che hanno subito le repressioni mentre manifestavano pacificamente e chiediamo all’Iran di rispettare i diritti umani fondamentali, compresa la libertà di espressione, come garantito dai trattati internazionali che ha ratificato». Dopo questo volo carpiato di prudenza, arriva il vero contenuto: «Restiamo impegnati nella ricerca di una soluzione diplomatica sulla questione del programma nucleare iraniano e sosteniamo i rinnovati sforzi a questo scopo, come la disponibilità degli Stati Uniti a impegnarsi in negoziati diretti e l’invito indirizzato da parte di Cina, Francia, Germania, Russia, Regno Unito e Stati Uniti


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La mappa della vergogna Tutti coloro che appoggiano la violenza. Della serie: in che mondo viviamo? di Maurizio Stefanini n Iran il sangue continua a scorrere, e sia il G8 che l’Onu intervengono. «Minacce alla pace e alla stabilità della regione», è l’allarme nel comunicato finale al vertice dei ministri degli esteri di Trieste. «È in atto un colpo di Stato», denuncia il presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu: quel Miguel d’Escoto già ministro degli Esteri sandinista che (ricordate?) Bonolis aveva inviato a pontificare al pubblico tv italiano di pace nel mondo e diritti umani, all’ultimo Sanremo. Cresce dunque la mobilitazione contro Ahmadinejad? Non proprio. In realtà, i timori del G8, peraltro fondati, sono rivolti alla Corea del Nord e ai suoi test missilistici e nucleari. Sull’Iran pure c’è “preoccupazione”, ma nell’ambito di un linguaggio che implica una serie di colpi a catena tra tanti cerchi e tante botti: «solidarietà per chi ha sofferto», ma anche «rispetto della sovranità iraniana». «I ministri degli Esteri hanno chiesto il rispetto dei diritti fondamentali umani, come la libertà d’espressione»; «la crisi deve essere risolta pacificamente e il volere del popolo deve riflettersi nel processo elettorale». Però, come ha spiegato Frattini, «se dovessi dire chi sia il vincitore, non lo potrei dire perché non ho in mano gli elementi delle autorità iraniane»: «la comunità internazionale non ha gli strumenti per verificare se sono state compiute irregolarità». In conclusione: «Speriamo sinceramente che Teheran colga l’opportunità di dare alla diplomazia una chance per trovare una soluzio-

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all’Iran per riavviare i negoziati, così come il coinvolgimento costruttivo degli altri partner dei G8 nel processo». Per poi allinearsi alla posizione già espressa da Obama: «Riconosciamo che l’Iran ha il diritto a un programma nucleare civile, ma questo si accompagna alla responsabilità di ristabilire la fiducia nella natura esclusivamente pacifica delle sue attività nucleari». Nel frattempo, il Consiglio dei

ne». E sì: la speranza è sempre l’ultima a morire. Nessun dubbio sull’impegno fermo in favore della protesta contro Ahmadinejad di governi come quelli di Obama, di Sarkozy o di Angela Merkel. Però nel G8 c’è pure la Russia, e a Trieste il ministro degli Esteri di Putin ha ribadito con forza come secondo lui «l’isolamento è un approccio sbagliato: nessuno vuole condannare il processo elettorale, perché è un esercizio di democrazia».

Quanto a D’Escoto, la sua denuncia di un golpe in corso si riferisce… all’Honduras! Dove il presidente Manuel Zelaya da un po’ di tempo ha svoltato bruscamente nell’area di Chávez contro il volere della maggioranza del Congresso e del proprio stesso Partito Liberale, fino a indire infine per domenica un referendum sull’opportunità di aggiungere alle elezioni di novembre anche una consultazione per una riforma costituzionale che non può non echeggiare quel che hanno fatto Chávez in Venezuela, Morales in Bolivia e Correa in Ecuador: anche se lui spergiura di voler solo rendere il Paese più moderno, e non di puntare affatto a strappare il diritto a ricandidarsi. Comunque, il Congresso gli ha detto di no; lui ha indetto il referendum lo stesso; il capo di stato Maggiore delle Forze Armate ha rifiutato di dispiegare i mili-

Guardiani incaricato di giudicare sui brogli avvenuti nel corso delle elezioni presidenziali si è reso protagonista di un curioso siparietto. Mentre in mattinata aveva decretato che non è stato commesso alcun broglio nella tornata che ha visto la vittoria di Mahmoud Ahmadinejad, in serata ha cambiato idea.

E ha deciso di istituire una commissione speciale compo-

tari ai seggi; il presidente lo ha destituito; la Corte Suprema ha annullato la destituzione, mentre lo stesso ministro della Difesa si dimetteva per protesta; Zelaya è andato in tv a parlare di golpe; e tutta l’area chavista è scesa in campo ad appoggiarlo, dallo stesso Chávez, appunto, a D’Escoto. Nel contempo, Chávez si era subito pronunciato a favore di Ahmadinejad, usando la sua trasmissione Aló Presidente per chiedere al mondo di «rispettare l’Iran», e anche per accusare chi vorrebbe «scuotere la saldezza della rivoluzione iraniana».

Anche Lula ha espresso appoggio per Ahmadinejad, ma in modo goliardico: «Gli oppositori iraniani mi ricordano tifosi di calcio che non vogliono accettare la sconfitta della propria squadra». Va detto che il governo e il suo stesso partito lo hanno subito ridimensionato, spiegando che parlava a titolo personale. In compenso Paolo Coelho, forse il più noto scrittore brasiliano vivente, ha preso una posizione fermissima a favore dell’opposizione iraniana, offrendo ospitalità al medico che aveva curato Neda Agha. E anche l’uruguayano Eduardo Galeano, quello il cui best-seller terzomondista Le vene aperte dell’America Latina Chávez aveva regalato a Obama, ha confessato che quando lo stesso Chávez parla di Iran “gli ven-

Il Medioriente si congratula con il presidente, ma prevale l’imbarazzo per un regime poco tollerato

sta da rappresentanti anche dei candidati sconfitti per stilare un rapporto sulle elezioni. Lo ha detto il portavoce del Consiglio, Abbasali Kadkhodai, all’agenzia Isna: «Il 10 per cento dei voti verranno ricontati alla presenza della commissione e verrà reso pubblico un rapporto». Quindi esistono dei dubbi, nonostante i proclami. I manifestanti, dal canto loro, hanno scelto una nuova forma di comunicazione: le

gono i brividi”. Sono importanti new entry nel fronte di intellettuali che già vede in prima linea l’impegno di André Glucksmann e di BernardHenri Lévy.

Scontato l’atteggiamento della Cina, che aumenta anzi i propri affari con l’Iran; defilata l’India, alcuni dei cui diplomatici scrivono sulla stampa pamele contro Mousavi; la maggior ambiguità è quella del mondo islamico. A partire dal primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan, che in un incontro con la stampa a Bruxelles si è dichiarato “equidistante” tra Mousavi e Ahmadinejad, e assicura pure che «presto tutto andrà a posto in Iran. C’è stato un processo elettorale. Quello che gli altri Paesi possono fare è osservarlo e rispettarlo». Addirittura felicitazioni a Ahmadinejad hanno mandato i Fratelli Musulmani e Hezbollah, ma il tono generale in Medioriente è di imbarazzo. Da una parte, i governi vedono tutti il regime degli ayatollah come il fumo negli occhi; ma hanno tutti procedure elettorali, quando le hanno, in confronto alle quali quelle iraniane appaiono addirittura un modello di pluralismo; e dunque non gradiscono che si crei un precedente di interferenza internazionale pericoloso. Dall’altra, molti movimenti islamisti vedono invece il regime di Teheran un alleato naturale, perfino sunniti; ma ovviamente anche l’applaudire a un regime che spara contro i dimostranti costituisce un precedente per loro pericoloso.

banconote. Secondo una testimonianza raccolta dal Washington Times, infatti, gli oppositori stanno facendo circolare slogan e parole d’ordine scrivendoli sulle banconote. Il testimone, che ha chiesto l’anonimato, racconta che è stata diffusa un’enorme massa di email che consigliano a chi viene avvicinato dalle autorità iraniane di dire di aver ricevuto l’eventuale banconota “sovversiva” da altri.

Fra gli slogan che circolano assieme al denaro (e che vengono scritti solitamente sopra l’effige del leader della rivoluzione islamica iraniana del 1979, l’ayatollah Ruollah Khomeini), alcuni recitano: «Dittatore, cosa ne è stato dei nostri voti?»; «Morte alla guardia golpista»; «Il leader supremo (Ali Khamenei, ndr) è uguale allo scià» e «Il governo bara, il leader supremo approva».


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Summit/2. È un’istituzione fragile che non rappresenta più la mappa del potere mondiale dopo la crisi

Sono grandi solo gli affari La debolezza dei vertici del G8 ha una spiegazione: la politica è vittima dei mercati. Parlano Mario Arpino, Carlo Jean e Fabio Mini di Pierre Chiartano ull’Iran, i ministri del G8 riuniti mercio iraniano sta diminuendo verso «hanno trovato un linguaggio Occidente e aumentando verso Oriente, chiaro per condannare quanto in particolare verso la Cina. Pechino accaduto», come rivendicato dal sarà il punto chiave per valutare la cacapo della diplomazia di Berlino, Frank pacità internazionale di fare pressioni Walter Steinmeier, che ha definito «in- più efficaci sull’Iran». Però Germania e sopportabile quello che abbiamo visto a Italia sono due ottimi clienti di Teheran, Teheran» in questi giorni. «La repres- solo l’Eni ha investito più di due miliarsione brutale contro coloro che manife- di di euro nel settore energetico, fa notastano per la libertà di espressione». re liberal. «Sono due ottimi clienti, però I Grandi e i rappresentanti dell’Ue, nel cosa dovremmo fare? Come si può atdocumento conclusivo, hanno dichiara- tuare una politica di sanzioni efficaci to che la «più grande minaccia» è anco- colpendo la classe dirigente e non la popolazione? È uno ra rappresentata MARIO ARPINO strumento difficidalla «proliferaziole da utilizzare». ne delle armi di di«Non ha più Allora non c’è struzione di mascredibilità. sa». Insomma, se È un problema speranza di incidere sulla rivolta non alla fiera delle di formula dell’onda verde? ovvietà, ci siamo ave formato vicinati a un risultaper il G8. Non Jean è pessimista. «Oltre le to che è lo specchio rappresenta c’è chiacchere della fragile credipiù gli otto ben poco da fare, bilità della formula Paesi più ricchi se non allinearsi del G8. Troppe cose del mondo, con la posizione sono cambiate nelle dopo la crisi americana. more della crisi ecoeconomica» Quando la cononomica. sceremo, perché Abbiamo chiesto a un panel di esper- Obama sembra la stia aggiornando. Se ti di affari internazionali come vedono l’Occidente si dovesse mostrare unito, Europa, G8 e vicenda iraniana nello allora forse, anche russi e cinesi potrebspecchio dei nuovi equilibri mondiali. bero aderire a una linea di sanzioni, Comincia il generale Carlo Jean con puntando alla correttezza delle elezioun’analisi tranchant. «La posizione del- ni». Il generale ha poca fiducia anche l’Europa non avrebbe nessuna influen- nei mezzi di soft power. «Il regime diffiza. Chi deciderà le sanzioni saranno gli cilmente si lascerà impressionare. Per Stati Uniti, la Cina e la Russia. Il com- loro è questione di vita o di morte». Sul-

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l’evoluzione nelle prossime settimane e mesi Jean prevede una dinamica «lenta», ma di consolidamento del potere. «Ahmadinejad ha già sostituito molti degli uomini che non hanno usato il pugno di ferro con i manifestanti. Le purghe sono cominciate». Il problema per noi sarà quello di «accelerare il processo d’isolamento, facilitare il riavvicinamento di Siria e Israele. Soprattutto convincere la Cina a non approfittare della situazione per comprare degli asset iraniani».

rica stia un passo dietro Londra. Washington non vuole rovinare le relazioni con l’Iran. Mousavi non è l’angelo protettore della democrazia. Di Ahmadinejad gli Usa conoscono pregi e difetti, un nuovo leader sarebbe un punto interrogativo. Non c’è dubbio che ci siano stati dei brogli o qualcosa di simile». Insomma i morti nelle strade, gli scontri di piazza, gli arresti, la censura e il black out informativo non sono sufficienti a far sbilanciare gli analisti con le stellette a favore dell’onda verde. «È bene non ingerire nelle questioni interne degli alPechino da anni costruisce strade, fer- tri Paesi. Così sono cominciate molte rovie, porti, acquista energia e vende guerre», conclude l’ex comandante di tecnologie, anche armi. «Cina e India Kfor. Un G8 inadeguato «che rapprehanno interessi più grandi di quelli di senta solo se stesso» stimola altre interItalia e Germania», conclude Jean, la- pretazioni. Lo spiega a liberal il generale Mario Arpino, sciando intendere CARLO JEAN già capo di Stato che Roma come maggiore delle Bruxelles avrebbe Il commercio spazi di manovra Forze armate. «Il dell’Iran sta assai ristretti nel G8 per sua natura diminuendo confronto col reginon prende deciverso sioni, ma esprime me dei mullah. Poi Occidente opinioni e consenviene il cauto ape crescendo si che poi vanno proccio del geneverso la Cina concretizzati in alrale Fabio Mini, che sarà tre sedi. Il probleesperto di missiola chiave ma in questo moni internazionali. per fare mento è che il G8 è «Ho visto Frattini pressioni vere contestato come che parlava di una sull’Iran formula a livello dichiarazione. Ma globale». Le posiho l’impressione che tutti si muovano con i piedi di piom- zioni della Casa Bianca, sembrano forti bo. Sono in imbarazzo, perché la situa- ma poi non concludono. C’è una «mano zione non è chiara. Sembra che l’Ame- tesa che nessuno vuole stringere». Il

Parla Alfredo Mantica, sottosegretario agli Esteri: «Gli organismi internazionali sono in difficoltà»

«È vero, a Trieste si poteva fare di più» di Riccardo Paradisi ministri degli Esteri del G8 riuniti a Trieste deplorano la violenza di questi giorni nelle strade di Teheran. Chiedono anche di cercare una ”una soluzione pacifica’’ alla crisi successiva alle elezioni, di avviare un ’’dialogo democratico’’ e di rispettare i ’’diritti fondamentali’’ tra i quali la ’’liberta’ di espressione’’. Un po’ poco, per qualcuno. Una presa di posizione tutto sommato blanda. Considerando anche la prudenza da parte della Russia rispetto alle posizioni espresse dagli altri 7 ministri. La pensa così anche Alfredo Mantica, sottosegretario agli Esteri del governo italiano,

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anche se, specifica, tra l’affermazione dei principi e la loro attuazione ci sono di mezzo le regole del diritto internazionale, i confini nazionali, gli equilibri di forza. Insomma la dura realtà. Si deplorano le violenze post-elettorali sottosegretario, ma non è un po’ poco da parte degli aderenti al G8? Certo, non è molto. C’è molta prudenza in questa presa di posizione. Dal punto di vista dei principi si potrebbe tranquillamente dire che di prudenza ce n’è anche troppa, che questa è una formulazione fin troppo diplomatica di condanna del massacro che il regime

sta portando avanti contro i dissidenti di Theran. Ma detto questo, se vogliamo fare un discorso serio, non ci possiamo nascondere dietro un dito. Ignorare la realtà effettuale delle cose. E qual è la realtà effettuale delle cose La prima realtà, la più evidente, la più palmare e la più dirimente è, mi sembra, l’impotenza degli organismi internazionali. È davvero una dabbenaggine non vederla e non partire da lì per un’analisi oggettiva della situazione. Del resto non dice niente che gli americani siano ancora più timidi dell’Unione europea nell’affrontare la crisi iraniana? A livello poli-

tico puoi esprimere un parere e mi sembra che lo si stia facendo. I giovani del Pdl hanno manifestato in piazza contro quello che sta avvenendo in Iran e anche l’opposizione ha organizzato diverse iniziative in tutta Italia. Sono iniziative opportune, che segnano una presenza, lanciano dei segnali. Ma a livello di diritto internazionale le cose sono più complicate. Fare qualcosa è più difficile del dire qualcosa. Esatto. A meno che qualcuno non pensi seriamente che sia possibile in Iran un intervento di forza. Esiste un diritto internazionale e un’inviolabilità dei confini nazionali. Sicché la


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Parla il medico che ha cercato di rianimare la giovane uccisa a Teheran

«Ho visto Neda morire per strada» di Massimo Fazzi rash Hejazi ha visto morire Neda Agha-Soltan, la ragazza che oramai simboleggia la protesta democratica della popolazione iraniana. Ha cercato di aiutarla, grazie alla sua preparazione medica, dopo che un proiettile le ha colpito il torace. Nonostante studi nel sud dell’Inghilterra per ottenere una specializzazione, ha concesso una lunga intervista alla Bbc per puntare il dito contro l’assassino di Neda, membro delle milizie basji. Sa che ora avrà dei problemi, ma ha deciso di parlare per non rendere vano il sacrificio della giovane. In questo ampio stralcio tratto dalla conversazione video, si sente il dramma umano di un popolo che non sa più verso quale direzione andare e che si sente abbandonato dalla politica, interna e internazionale. Dottor Hejazi, lei dall’Inghilterra è andato in Iran per votare. Quali sono i suoi ricordi di quei tragici giorni e come spiega le violenze in Iran? Io posso spiegare soltanto dal mio punto di vista. Il nostro ufficio di Teheran è molto vicino al luogo dove quei terribili eventi sono avvenuti. Io ero lì con alcuni amici, che mi erano venuti a trovare: ero tornato in Iran soltanto per pochi giorni. Abbiamo sentito delle persone che correvano e urlavano per strada, e siamo scesi anche noi: c’erano delle persone ferme, che stavano lì senza sapere bene cosa fare. A un certo punto, all’improvviso, abbiamo sentito degli spari. Neda era a un metro da me: io non la conoscevo, era soltanto una delle persone in mezzo alla folla. Ho chiesto ai miei amici: «Cosa è successo, cosa sono questi rumori?» e loro mi hanno risposto di stare tranquillo, perché sicuramente stavano usando dei proiettili di gomma. Invece si trattava di proiettili veri... Subito dopo questa rassicurazione, infatti, ho visto il sangue sgorgare dal torace di Neda, mentre lei era in una situazione di shock palese: non sapeva cosa fare, era immobile e fissava verso il basso. Subito dopo, ha perso il controllo ed è caduta per terra. Noi le siamo corsi incontro, ho visto la ferita provocata dal proiettile subito sotto il collo. Era stata colpita con precisione, ma nessuno sa quale ferita l’abbia uccisa perché nessuno ha fatto un’autopsia. L’unica cosa che posso dire è che è stata colpita davanti, e che non c’era foro di uscita. Io sono un medico, conosco le ferite da arma da fuoco, ma non avevo mai visto una cosa del genere: sembrava che il proiettile le fos-

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mondo comprende ora che «forse si sentiva più sicuro con Bush». La disponibilità Usa – che non è debolezza – viene però percepita come tale non solo in Medioriente, ma anche da noi. «Gli Usa sono nel G8 e quest’ultimo viene contestato perchè non sufficientemente rappresentativo». In pratica scrive e suona una musica che ascoltano in pochi. La Russia fa il pesce nel barile sull’Iran, ma potrebbe fare da ponte con i Paesi del Bric. «È un problema di formula e formato per il G8. Rappresenta solo l’Occidente nonostante ci sia il Giappone». E non sono più gli otto Paesi più ricchi del mondo. «G8 e anche tutti gli altri G del mondo, davanti alla situazione iraniana rischiano di perdere credibilità».

prima cosa da accertare sarebbe la verifica dei brogli elettorali per smentire la tesi del governo iraniano che invece dice che le elezioni sono regolari e accusa i manifestanti di essere degli eversivi. L’altra cosa da fare è esercitare una pressione internazionale, politica e culturale, sul rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali in Iran. Infine va anche considerato il fatto che esiste un lavoro di intelligence e di intervento non convenzionale da parte dell’Occidente che continuerà. Che non è l’intrigo internazionale di cui parla l’Iran, il complotto internazionalista contro la sua sovranità, ma qualcosa di più trasparente. Tipo? Tipo l’aiuto che viene dato alla dissidenza iraniana in esilio, che sostiene di avere dei suoi uomini in piazza e che ha basi in Iraq. I mujiaeddin del popolo…

Altre scene di protesta dalla capitale iraniana, dove continua la repressione del governo contro i manifestanti. A destra, un fotogramma della morte di Neda, simbolo della protesta. Nella pagina a fianco, Alfredo Mantica

Non solo loro. Comunque quando gli americani invasero l’Iraq loro c’erano con milizie in armi. Sono gli stessi che oggi dicono non fidatevi di Mousavi e degli altri: sono tutti personaggi della vecchia guardia komeinista. Che prospettiva ha secondo lei la rivolta di questi giorni in Iran? Io ho paragonato le mobilitazioni di Theran alla Primavera di Praga del ’68. Finì male la fu praghese, Primavera schiacciata dalla forza sovietica nel sangue e nella violenza. Ma quelle piazze cecoslovacche aprirono una strada. Misero in crisi molte coscienze occidentali, gettarono il seme che portò, anni più tardi, alla fine dei regimi concentrazionari dell’est europeo. In Iran vincerà il regime purtroppo, ma il regime uscirà indebolito dalla sua vittoria. Un virus liberale si sta già spandendo in quell’area di mondo.

se esploso all’interno, provocando una terrificante emorragia. Ha iniziato a perdere sangue dal naso e dalla bocca, che le colava ovunque: ho cercato senza successo di fermare la fuoriuscita di sangue. È morta in meno di un minuto. Le immagini hanno fatto il giro del mondo. Ma dopo, cosa è successo? Le cose sono precipitate: la gente urlava, chiamava i figli. Una cosa che mi ha colpito tantissimo è che anche il padre di Neda, che era lì, l’ha vista morire. Abbiamo avuto l’impressione che il cecchino fosse sopra un tetto ma più tardi, dopo un paio di minuti, le persone che erano lì presenti hanno caricato il suo corpo su una macchina per portarla via, credo verso un ospedale. Io non li ho seguiti: non so cosa sia successo dopo a chi era con lei. Ma, alcuni minuti più tardi, la folla ha iniziato ad agitarsi: avevano preso un uomo da una delle macchine delle milizie basji, dicevano che era uno degli assassini. Hanno cominciato a urlare “l’abbiamo preso” e l’hanno trascinato in mezzo a un capannello di persone: qui lo hanno disarmato e gli hanno tolto la carta di identità, su cui era scritto chiaramente che era uno delle milizie governative. La gente era furiosa, continuavano a strattonarlo da una parte all’altra e a mostrargli il pugno. Lui urlava “non volevo ucciderla” e cercava di andarsene ma senza troppa convinzione, come se fosse anche lui in stato di shock e non sapesse cosa fare. E voi come avete reagito? I manifestanti non sapevano cosa fare di lui, non avevano un’idea precisa di come portare avanti la questione, così l’hanno lasciato andare. Ma hanno preso la sua carta di identità, alcuni gli hanno fatto diverse fotografie: in pratica, sanno chi è e cosa ha fatto. Io so a cosa mi espongo nel concedere questa intervista, sono sicuro che avrò dei problemi. È stato difficile decidere cosa fare, ma poi ho ricordato che Neda combatteva per una causa: lottava per dei diritti basilari, che dovrebbero appartenere a tutti. Io non voglio che il suo sangue sia stato versato invano. È morta su una strada per dire qualcosa. So bene che per me sarà difficile rientrare in Iran, così come so che il governo è pronto a smentire tutto quello che ho detto. Ma vorrei ricordare a tutti che non sono mai entrato in politica e che non mi interessa. Sto mettendo a rischio la mia situazione soltanto per lo sguardo innocente che ho visto negli occhi di Neda.

Ho deciso di parlare soltanto per lo sguardo innocente che ho visto nei suoi occhi. La sua battaglia è quella di un popolo intero, e il suo sangue non deve andare sprecato


diario

pagina 6 • 27 giugno 2009

Parla Massimo Ferrarese, il neo-presidente della Provincia di Brindisi che ha vinto con un’alleanza tra liste civiche, ex Pdl, Udc e Pd

«Il mio laboratorio è la vera novità italiana» di Franco Insardà

ROMA. La sua vittoria per la presidenza della Provincia di Brindisi è diventata quasi un caso nazionale, al punto che Massimo Ferrarese, in attesa della proclamazione prevista per martedì prossimo, ha trascorso due giorni a Roma per incontrare i vertici dei partiti che l’hanno appoggiato, Udc e Pd. Presidente, come è stato accolto? Ho avuto un lungo incontro con Pier Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa, e poi mi sono visto anche con i vertici del Pd, tra i quali Massimo D’Alema. Ho registrato tanto entusiasmo e interesse per l’esperienza di Brindisi. Allora presidente, il suo “laboratorio” è considerato un modello da seguire. Ci spiega come è nato? È stata una reazione alle candidature che il Pdl proponeva, Quando ho visto che si sceglievano personaggi che da oltre trent’anni erano sulla scena politica ho deciso di fare qualcosa per la mia terra. Quindi? Mi sono candidato con una mia lista e a quel punto si sono fatti vivi i partiti e i movimenti che hanno visto in me la persona giusta. Mi ha chiamato Pier Ferdinando Casini ed è venuto, come lui dice, al mio “battesimo in politica” a Brindisi appoggiando con l’Udc la lista Ferrarese. E poi? Adriana Poli Bortone con “Io Sud” e altri piccoli movimenti locali. E il Partito democratico? Non hanno ricandidato il presidente uscente e dopo quasi un mese hanno deciso di appoggiarmi. Chi ha sostenuto la sua candidatura? Massimo D’Alema. Questi leader nazionali li considero degli amici, non dei capi, che tengono al nostro territorio. Ricordo che D’Alema, da presidente del Consiglio, si è speso molto per la Puglia. L’incontro tra società civile e forze popolari è la ricetta vincente? Sicuramente sì. Perché la gente è stanca di vedere sempre le stesse persone, eccezion fatta per chi ha lasciato un grande segno: ma siccome è difficile amministrare, i personaggi di spessore sono davvero pochi.

In genere i cittadini, non gradiscono certe riproposizioni e auspicano che ci sia gente nuova. Ma presentare semplicemente un volto nuovo può bastare? Assolutamente no. Io sono molto conosciuto perché da anni faccio battaglie al fianco dei cittadini, sono impegnato nello sport e nel sociale. I cittadini vogliono persone dinamiche e per questi motivi mi apprezzano e mi hanno votato. È questa la ricetta per il “laboratorio”? Occorre un buon artigiano che abbia già dato dei risultati sul territorio. Perché tutto funzioni occorre che ci sia il laboratorio e l’artigiano. Ci può essere un candidato costruito in laboratorio? La spinta la dà il territorio, se si pensa di calare qualcuno dall’alto i cittadini non lo accettano. Ecco perché il Pdl ha perso. A cosa si riferisce esattamente? Da presidente di Confindustria ho dovuto fare battaglie contro il governo che tutela soltanto gli interessi del Nord. Infatti non ci sono grandi opere per la Puglia, non si tutelano i territori e le imprese. I cittadini si sono resi conto che il candidato del Pdl rappresentava questo modo di intendere la politica e ha scelto. Pensi che sui sei collegi cittadini di Brindisi con la “Lista Ferrarese”sono stati eletti cinque consiglieri. Nel suo programma ha insistito molto su scelte condivise con i cittadini: sarà così adesso?

Qui sopra Massimo Ferrarese, nuovo presidente della Provincia di Brindisi: attorno a lui si è formata un’alleanza con il Pd di D’Alema, l’Udc di Casini e il movimento Io Sud di Adriana Poli Bortone (nelle foto in basso) Non si tratta di proclami elettorali, continuerò a incontrare i cittadini, ad ascoltare le loro esigenze e a risolvere i problemi. Le persone sono stanche di veder arrivare i ministri per la chiusura della campagna elettorale, firmare protocolli d’intesa che non valgono nulla e poi sparire. I cittadini hanno l’esigenza che i politici dimostrino il loro legame con il territorio. Ma c’è il ministro degli Affari regionali che è pugliese. In questo momento è ingabbiato da un governo nel quale la Lega la fa da padrona. Non può fare nulla, noi invece, insieme con Adriana Poli Bortone e il

Dopo il successo, incontri con Casini e D’Alema. «Li ho invitati in Puglia per ragionare sulle Regionali. Importante contributo anche dalla Poli Bortone con “Io Sud”»

suo movimento “Io Sud”faremo partire una serie di progetti sul territorio, cosa che il Pdl e il ministro Fitto non hanno fatto. Come mai questo esperimento brindisino non si è ripetuto altrove? Al comune di Brindisi abbiamo avuto di fronte l’ex sindaco che in questi anni ha conquistato una grande visibilità e autorevolezza.Va dato atto a Domenico Mennitti di aver restituito alla città grande dignità e i cittadini hanno premiato il suo lavoro. In altre località come Lecce, purtroppo, non si è riusciti a far partire il “laboratorio” e per pochi voti si è perso. Altrove si è vinto. È andata bene a Bari, a Foggia, alla provincia di Taranto e in altri grandi centri della regione. Si sarebbe potuto ottenere lo stesso risultato in altre città, purtroppo è andata così. servizi, Infrastrutture, energia, turismo, polo tecnologico, agricoltura: quali saranno le strategie? Lavoreremo su questo contestualmente e insieme agli assessori e ai dirigenti faremo partire questo grande cantiere. Si parla tanto di “Grande Salento”: ci spiega di che cosa si tratta? L’idea mi è venuta quattro anni fa per un territorio, tra i più belli d’Europa, che va al di là del limite provinciale. Si tratta della cosiddetta Terra d’Otranto che comprende Brindisi, Lecce e Taranto. All’epoca mi interessavo per Confindustria regionale del marke-

ting territoriale e convinsi l’amministratore dello scalo di Brindisi a chiamarlo aeroporto del Salento. Ho intuito che c’era l’esigenza di politiche turistiche comuni per valorizzare tutto il territorio. Il mio obiettivo è la creazione del Consorzio Grande Salento per promuoverlo a livello mondiale. Il suo nuovo ruolo impone la collaborazione con le altre istituzioni. L’ho sempre fatto da presidente di Confindustria e, già allora, auspicavo che i vari enti locali collaborassero. È nel mio dna: cercherò la collaborazione con i comuni e le altre province. Collaborerà di più con il sindaco di Brindisi o con il presidente della Regione? Con tutti e due, ma anche con tutti gli altri. Se servirà a migliorare le condizioni della Puglia il mio impegno sarà totale. Presidente, ma chi è Massimo Ferrarese? Massimo Ferrarese è un imprenditore del settore edile e nell’agricoltura che lavora da quando aveva 14 anni. Sono sposato dal 1986 con Giuliana e ho due figli, Leo e Iride. E l’esperienza in Confindustria? Sono stato per cinque anni presidente a Brindisi e Luca di Montezemolo mi ha voluto nella giunta nazionale. L’imprenditore alla guida della provincia di Brindisi è diverso dall’imprenditore alla guida del Paese? Se un imprenditore è bravo può fare grandi cose come Berlusconi ha fatto: ora accusa evidenti segni di stanchezza e sarebbe opportuno che si riposi. Nonostante tutti i suoi impegni è riuscito a trovare anche il tempo per lo sport e il sociale? Ho preso la squadra di basket e l’ho portata in serie A e ho costituito con il mio amico Albano Carrisi la fondazione “Puglia per la vita”. I suoi impegni fuori dalla politica diminuiranno? In questi giorni sono impegnatissimo prima a formare la squadra per il prossimo campionato e poi quella di governo. Quali criteri adotterà per la sua giunta? Discontinuità prima di tutto. Cercherò di tenere in considerazione tutti i partiti che hanno contribuito alla mia vittoria. È già partita la campagna per le prossime regionali: come vi organizzerete? Ho invitato in Puglia per la prima quindicina di luglio Casini e D’Alema per approfondire l’argomento. Il “laboratorio” non si ferma.


diario

27giugno 2009 • pagina 7

Un errore anche nelle seconde prove per la maturità

L’ad di Fiat annuncia il vertice di Chrysler entro luglio

Il Ministero confonde Beethoven con Haydn

Marchionne: «La proposta per Opel non cambia»

ROMA. Si è svolta ieri la seconda prova dell’esame di maturità: diversa per ogni orientamento, a differenza del tema di italiano di ieri l’altro. Le materie previste erano state annunciate lo scorso 23 gennaio e sono latino per il liceo classico, matematica nello scientifico, pedagogia al liceo pedagogico, elementi architettonici per il liceo artistico e un tema in lingua per il liceo linguistico. Quanto agli istituti tecnici e professionali, economia aziendale è stata la seconda prova per i ragionieri; tecnologia delle costruzioni per i geometri. Come il giorno prima, anche ieri fin dalla primissima mattina sono circolate sul web le tracce dell’esame e le soluzioni. Per esempio, per la versione di latino proposta ai maturandi del liceo classico (un testo di Cicerone), sul web circolava anche la corretta traduzione; così come fin dalle 8,38 di mattina alcuni siti offrivano le esatte soluzioni del compito di matematica.

VENEZIA. La partita per Opel

Ma c’è stato anche un altro, più grave pasticcio. Il liceo musicale è partito male pur non essendo ancora entrato in ordinamento: in quello sperimentale è stata proposta agli studenti una traccia che contiene un errore. A denunciarlo è stato il segretario generale della Flc-Cgil, Mimmo Pantaleo. «La prova di analisi di un brano musicale fornita ai maturandi dal Ministero - ha segnalato il sindacalista - è incompleta, mancano le ultime tre pagine che corrispondono alla “ripresa” (definizione della forma sonata) e, nella traccia, viene attribuita come sonata a Franz Joseph Haydn anzichè a Ludwig van Beethoven. Si tratta infatti dell’opera 14 n.2 Sol maggiore di Beethoven, come correttamente riportato nel frontespizio del testo, ma non nella traccia predisposta dal Ministero».

Congresso a ottobre Nel Pd parte la sfida Le primarie per eleggere il segretario fissate il 25 di Errico Novi

ROMA. Adesso è tutto chiaro, almeno in apparenza. Con la direzione nazionale riunita ieri, il Partito democratico ha fissato il calendario congressuale: c’è tempo fino al 21 luglio per presentare candidature alla segreteria, poi si ripartirà a settembre con i congressi nei circoli, quindi con quelli provinciali che dovranno chiudersi entro il 4 ottobre per liberare la scena al congresso nazionale della domenica successiva, l’11 ottobre; ancora due settimane e, il 25 ottobre, si celebreranno le primarie. Così è scritto, e sono già scolpiti a chiare lettere i nomi dei due contendenti principali, Dario Franceschini e Pierluigi Bersani, che però non fanno in tempo a lasciare la direzione e già esibiscono davanti a taccuini e telecamere due idee piuttosto diverse sulla competizione: il primo ritiene che si potranno cambiare le regole delle primarie «solo dopo l’elezione della nuova assemblea», e che dunque a ottobre il voto non potrà essere limitato agli iscritti; il secondo esibisce un certo disappunto e avverte di non essere «contro le primarie» ma di voler discutere «su come farle», evidentemente prima della loro celebrazione autunnale.

cazione delle assise, seguita da Giovanna Melandri e sostenuta in qualche modo dallo stesso Rutelli: «Saremo in grado di definire, con questa competizione, anche l’orizzonte strategico e l’identità politica del nostro progetto, ovvero ciò che ci è mancato drammaticamente negli ultimi 20 mesi?», si è chiesto il presidente del Copasir nel suo intervento alla riunione di ieri, diffuso anche attraverso Facebook.

Il suo dubbio attraversa larghi settori del Pd. Molti tra quelli più vitali, peraltro. Il sindaco di Bari Michele Emiliano, appena rieletto in un ballottaggio dall’esito trionfale, dice apertamente che lui, questo congresso, se lo sarebbe risparmiato: «La contrapposizione tra Franceschini e Bersani è incomprensibile, sarà un confronto durissimo che mi rammarica perché adesso avremmo dovuto discutere delle nuove formule politiche emerse durante la campagna elettorale e valorizzarle». Si riferisce agli accordi con l’Udc e altre forze moderate che hanno trasformato la Puglia in un laboratorio. Ma estraneo al dualismo obbligato è anche il primo cittadino torinese Sergio Chiamparino. Su di lui si intensifica il pressing di chi lo vorrebbe in campo come terzo uomo, con Goffredo Bettini attivo più di tutti. Uscito dalla direzione, Chiamparino ha lasciato la porta aperta: «In politica mai dire mai».Veltroni non tradirà Franceschini (così come non lo farà Franco Marini, che ieri ha ufficializzato il suo sostegno al segretario uscente chiedendogli però di «non fare del nuovismo un’ideologia») ma con il capofila del partito del Nord ci sarebbero tanti emergenti, da Andrea Martella, Francesco Boccia e Andrea Orlando al segretario lombardo Maurizio Martina. D’altronde lo stesso Franceschini (il quale ieri ha detto, vagamente minaccioso, che «il congresso farà bene al Pd») e Bersani hanno valide ragioni per augurarsi la partecipazione di Chiamparino: senza il terzo uomo, infatti, le perplessità tanto diffuse nel partito per un’estrema resa dei conti tra ex popolari ed ex Ds potrebbero essere catalizzate da Rutelli, che si muove da battitore libero in uno schema fin troppo rigido.

Bersani chiede a Franceschini di ridiscutere subito lo statuto. La direzione ratifica l’ingresso nell’Asde, Rutelli vota contro

Divisi sulle regole interne, il segretario uscente e lo sfidante principale si arroccano sulla difesa di un accordo preliminare, quello sull’adesione al nuovo gruppo socialista dell’Europarlamento che ha mutato il nome in Asde (Alleanza dei socialisti e democratici europei): dalla direzione di ieri è arrivata anche la ratifica di questa scelta. Si è fatto notare l’annunciato voto contrario di Francesco Rutelli, al quale si sono associati Paolo Gentiloni e altri 6 componenti. Di certo la posizione dell’ex presidente della Margherita non sembra così minoritaria se si esce dal vicolo cieco dell’appartenenza internazionale e si osserva l’agitato panorama interno, assai meno rasserenante di quanto Franceschini (e tutto sommato lo stesso Bersani, che inizierà la propria campagna già mercoledì prossimo all’Ambra Jovinelli di Roma) vorrebbero far credere. Le dissonanze riguardano soprattutto gli esponenti più giovani, ma non solo: basti considerare che ieri Anna Finocchiaro ha inutilmente ribadito la contrarietà alla convo-

non si riapre, però… «Noi abbiamo confermato il nostro interesse ma non credo che si possa migliorare l’offerta della Fiat. È la cosa più razionale dal punto di vista industriale che potevamo offrire». Così ha commentato l’amministratore delegato di Fiat, Sergio Marchionne, a Venezia, in margine al consiglio per relazioni ItaliaUsa in corso in Laguna. Tra Opel e Magna, ha proseguito Marchionne, «da quello che ho sentito non sta andando molto bene». Quanto all’emissione di obbligazioni per un miliardo, Marchionne ha detto che «sono solo indiscrezioni. Quando lo annunciamo, lo saprete».

Il capitolo americano della Fiat, invece, è di tutt’altro tenore. Il consiglio di amministrazione di Chrysler si dovrebbe tenere «entro la fine di luglio» ha detto Marchionne. «Penso che abbiamo fatto significativi passi avanti - ha commentato Non mi posso lamentare, è stato un breve periodo di tempo ma sono particolarmente contento della velocità con cui abbiamo selezionato il management. Stiamo mantenendo oltre il 90% delle persone: ho trovato dei manager eccellenti che venivano da Chrysler». Alla domanda su quanto tempo trascorrerà negli Usa ora che è anche l’ad di Chrysler, Marchionne ha risposto scherzando che «trascorrerò negli Usa meno di 183 giorni per ragioni fiscali». E, a proposito della fusione Fiat-Chrysler, «è un’impresa difficile e complicata, ma Marchionne e il suo staff riusciranno a portare avanti questa importante fusione con Chrysler che segnerà la storia». Sono le parole della presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia, nell’intervento che ha concluso l’assemblea della Federmeccanica a Torino. «Complimenti a Marchionne e alla Fiat per questa grande operazione. Quando ho sentito il discorso di Obama che annunciava l’accordo mi sono sentita orgogliosa di essere italiana».


economia

pagina 8 • 27 giugno 2009

Paracadute. Il governo vara il decreto anti-crisi: detassazione per l’industria e cassa integrazione per chi perde il lavoro

Berlusconi all’attacco Il premier contro «chi mina la fiducia annunciando il crollo del Pil». Ossia: Draghi di Francesco Pacifico segue dalla prima Chi sparge pessimismo «deve chiudere la bocca. Perché con i loro dati fanno soltanto disastri». E lo stesso va fatto con la stampa. Proprio 24 ore prima il governatore di Bankitalia aveva ricordato che a politiche invariate, il Pil del Paese sarebbe calato a fine anno del 5 per cento. Che non basta certo affidarsi all’ottimismo, alla pace sociale, alle (vera speranza di Tremonti) esportazioni verso l’area dollaro per tornare a correre quanto faranno i nostri partner europei.

Di conseguenza, anche per il peso del debito e delle minacce da Bruxelles, non si può andare oltre una manovra che tampona la crisi e che, tra sgravi alle imprese e aiuti ai cassintegrati, ottiene il placet di Confindustria, partite Iva e sindacati. E poco importa che il prezzo per questa pax sociale sia il rinvio sine die delle riforme. Ha dichiarato il leader della Cisl, Raffaele Bonanni: «Molti dei provvedimenti vanno nella direzione sostenuta da noi per favorire l’ancoraggio dei lavoratori alle proprie aziende attraverso accordi tra imprese e sindacati». Ha aggiunto la numero

uno di Confindustria, Emma Marcegaglia: «Il nostro giudizio è complessivamente positivo, alcune richieste degli imprenditori sono state accettate. Ma bisognerà fare ancora di più». Giulio Tremonti ha spiegato che la filosofia del decreto anticrisi è «sbloccare capitali che sono pronti ad entrare nell’economia, ma non entrano perché sono bloccati dalla burocrazia». Non ama il termine di manovra d’estate, ma il testo passato ieri spazia dagli incentivi alle imprese ai fondi sulla sicurezza fino a una nuova banca dati che faccia concorrenza a Bankitalia e all’Istat. Le imprese hanno apprezzato soprattutto la detassazione del 50 per cento sugli utili reinvestiti in macchinari e apparecchiature entro al 30 giugno 2010. Ma per averle, dovranno essere in regola con la leggi sulla sicurezza del lavoro. Ai sindacati, invece, piace il pacchetto per i cassaintegrati, che a fine anno potrebbero essere oltre un milione e mezzo. Ci sono 25 milioni per prorogare lo strumento per 24 mesi, sale del 20 per cento l’indennità complessiva, vengono istituite ore di formazione e voucher per pagare loro lavori come

quelli degli Lsu. Una via di mezzo all’italiana tra Cig e welfare to work scandivano. Tutto, si legge nel decreto, per «incentivare la conservazione e la valorizzazione del capitale delle imprese in periodo di crisi». Palazzo Chigi garantisce poi un alleggerimento della bolletta energetica attraverso una distribuzione straordinaria di 5 miliardi di metri cubi di metano, destinata ai grandi consumatori e da assegnare a condizioni migliori. Ma l’intervento prociclico più interessante deciso ieri è certamente lo sblocco da parte del Cipe di 3,1 miliardi di euro per le grandi opere, accanto ai 4 miliardi per la ricostruzione dell’Abruzzo. La maggiore erogazione, 1,7 miliardi, è andata all’autostrada Brebemi, che ieri ha visto anche l’approvazione del progetto definitivo. Fondi anche alla Salerno-Reggio Calabria, al Terzo Valico; al Frejus e all’alta capacità ferroviaria verso Brescia. Definite poi le regole per la nomina dei commissari per velocizzare le grandi opere (dal pacchetto anticrisi lo stesso iter di quelle post terremoto) e la consulta dell’autotrasporto. Trecento milioni alle aree che ospitano stabi-

Il Cavaliere: «Non ci sono motivi per non spendere». Tremonti: «Abbiamo sbloccato risorse ferme, ora tocca all’industria». Ma tutti aspettano lo scudo fiscale per recuperare risorse limenti in crisi (Termini Imerese e Pomigliano) della Fiat. Anche nella manovra continua la guerra tra governo e banche. Tremonti fa notare un piccolo cadeau, «la svalutazione fiscale dei crediti che entrano in sofferenza che passa dalla 0,30 allo 0,50 per cento». Per il resto il governo, con un emendamento, rende «nulle tutte le clausole contrattuali aventi a oggetto la commissione di massimo scoperto», impone tempi più rapidi per la liquidità dei correntisti: la valuta per gli assegni bancari versati non «può superare i

tre giorni lavorativi successivi alla data del versamento». Non poche strette alla Pubblica amministrazione. La manovra vincola le amministrazioni sui tempi e sulla sostenibilità finanziaria dei pagamenti verso le imprese. «Abbiamo sbloccato 5 miliardi», dice Tremonti, ben sapendo che gli arretrati sono dieci volte tanto. Di più, gli amministratori saranno responsabili della copertura finanziaria degli appalti.

Farà discutere non poco l’estensione del tetto agli stipendi

La manovra estiva ha un valore soprattutto contabile, ma migliorerà le «abitudini economiche» delle aziende

Non soldi, ma un po’d’ossigeno alle imprese di Enrico Cisnetto remonti: bene, bravo, bis. Anzi, ter. Forse l’entità della “manovra d’estate” varata ieri dal Consiglio dei ministri sarà considerata “povera” rispetto a quanto si fa ad altre latitudini – dove però la spada di Damocle del debito pubblico non è affilata come da noi, anche se lo sta diventando – ma quello che è certo è che si tratta di un segnale comunque incoraggiante. Soprattutto per quanto riguarda, appunto, quella che potremmo chiamare la riedizione della fortunata legge Tremonti che permette di detassare gli utili reinvestiti in azienda, già lanciata prima nel 1994 e poi nel 2001 dal ministro dell’Economia. Il decreto fiscale varato dal Governo prevede così la detassazione al 50% degli utili reinvestiti in “macchinari e apparecchiature” fino al 30 giugno 2010:

T

un incentivo che darà una boccata di ossigeno quantomeno sul lato dell’offerta, incoraggiando le imprese italiane a spingere sul pedale dell’innovazione. Cosa non trascurabile se si pensa che secondo l’ultimo rapporto Istat nell’ambito dell’indagine europea sull’innovazione nei paesi Ue (Cis - Community Innovation Survey) solo il 27% delle imprese in Italia, nel triennio 2004-2006, ha introdotto in azienda o sul mercato innovazioni di prodotto o processo. Con una percentuale che scende al di sotto del 25% nel caso delle Pmi, e con un trend generale in calo del 5% rispetto alle stesse rilevazioni 2004.

Sempre sul lato dell’offerta, altrettanto positivo è certamente anche l’affondo su una dei gap italici più pesanti, quello

dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione. Nel decreto licenziato dal Consiglio dei ministri un intero articolo è dedicato a questo argomento, ed è previsto che entro il dicembre del 2009 le Pubbliche amministrazioni adottino «le opportune misure» per accelerare i pagamenti per gli appalti e le forniture senza oneri aggiuntivi per lo Stato. Si tratta di un tentativo di arginare un fenomeno che pone lo Stato italiano come peggiore pagatore di tutti i Paesi Ue, come mostrano le ultime rilevazioni della Cgia di Mestre. Secondo la quale il costo dei ritardi per le aziende italiane vale 10 miliardi di euro all’anno, mentre i tempi di pagamento medi effettivi arrivano ad una media di 135 giorni, molto oltre i livelli di Francia (71 giorni), Re-


economia

27 giugno 2009 • pagina 9

L’ennesima sfida tra il premier e il superministro dell’economia stavolta si è chiusa con la vittoria di Giulio Tremonti. La «manovrina» prevede soprattutto aggiustamenti contabili che favoriscono le aziende. In più, presentando ai giornalisti il decreto legge approvato dal consiglio dei Ministri, Berlusconi ha attaccato Mario Draghi che solo ieri l’altro aveva annunciato il crollo del Pil italiano a -5% per il 2009

L’Istat pubblica i dati di aprile: - 4,1%. Salgono invece le retribuzioni

Industria, scende ancora l’occupazione ROMA. Le retribuzioni contrattuali orarie a maggio sono aumentate del 3% rispetto allo stesso mese del 2008, mentre hanno registrato una variazione nulla rispetto ad aprile. L’aumento delle retribuzioni contrattuali orarie registrato nel periodo gennaio-maggio 2009, in confronto al corrispondente periodo dell’anno precedente, è invece del 3,6%. Lo ha comunicato l’Istat. E sempre l’Istituto di statistica ha reso note ieri cattive notizie sul fronte dell’occupazione nelle grandi imprese: ad aprile il calo tendenziale (rispetto cioè allo stesso mese dello scorso anno) è del 4,1%: il più forte dal gennaio 2001. L’occupazione nelle grandi imprese

gno Unito (48) e Germania (40). Si tratta di un’ennesima tassa sullo sviluppo: tassa odiosa, peraltro, e classista, perché penalizza le piccole e piccolissime imprese – quelle che stanno a valle nella filiera dei prodotti e dei servizi, costrette a chiudere e a licenziare – oltreché razzista, perché le percentuali sono molto più alte al sud e nelle isole che

ad aprile ha registrato una variazione, rispetto al mese precedente, di -0,1% al lordo della cassa integrazione guadagni e di -0,4% al netto dei dipendenti in cassa integrazione. In termini tendenziali, rispetto cioè ad aprile 2008, si sono registrati cali dell’1,3% al lordo della cig e del 4,1% al netto della cig. L’incremento tendenziale delle retrobuzioni, comunque, risulta in rallentamento rispetto ai mesi precedenti, per il progressivo esaurirsi degli effetti dei rinnovi contrattuali. A livello settoriale - sempre raffrontando i dati di maggio 2009 con quelli dello stesso mese del 2008 - gli incrementi più elevati riguardano edilizia

plificazione delle verifiche reddituali come il riccometro (Isee). Su tutti gli atti di liquidazione e riscossione di entrate erariali, inoltre, la firma autografa del responsabile dell’atto può essere sostituita da una semplice indicazione a stampa dello stesso soggetto. Piccoli meccanismi, che però semplificano la vita al contribuente tartassato, soprattutto con una pressione fiscale che – come ha segnalato qualche giorno fa il presidente della Confcommercio, Sangalli – arriverà quest’anno al 43,5% del pil.

Sul lato dell’offerta, è certamente positivo l’affondo su uno dei gap italici più pesanti, quello dei ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione non al centro-nord. Sempre sul lato “supply”, sono da salutare positivamente anche la decisione di rateizzare l’Iva per chi si adegua agli studi di settore, oltre ad altri meccanismi che facilitano il rapporto tra impresa e fisco. Così, se l’articolo 15 del decreto fiscale dedicato al potenziamento della riscossione prevede il rateo della tassa sul valore aggiunto, è anche contemplata una sem-

Dovrebbero dare ossigeno sia ai “padroni”che ai lavoratori, poi, le misure formative per chi perde il lavoro: un modo in cui le imprese potranno non disperdere professionalità e capitale umano in attesa che il momento recessivo più duro sarà alle spalle. E anche l’aumento dell’integrazione salariale per i contratti di solidarietà, con un +20% previsto per il biennio 2009-2010, va nella giusta direzione di un

(6,7%), acqua e servizi di smaltimenti rifiuti (6,5%), commercio e tessili, abbigliamento e lavorazioni pelli (per entrambi gli aggregati 4,9%) e legno, carta e stampa (4,5%). Gli incrementi minori riguardano trasporti, servizi postali e attività connesse (0,8%), estrazione di minerali (0,5%), militari-difesa e forze dell’ordine (per entrambi 0,3%).

aumento delle tutele “a tempo”. Dal lato più squisitamente della domanda, invece, sono particolarmente apprezzabili, nella “manovra d’estate”, il “focus”sulla trasparenza bancaria (annullamento delle commissioni di massimo scoperto, razionalizzazione della “valuta” in bonifici e assegni), quello sui mutui immobiliari e ancor più sulla lotta all’evasione. Così, in un momento di mercato immobiliare stagnante – i dati Bankitalia-Tecnoborsa di ieri mostrano un calo del 2,4% delle transazioni nel primo trimestre dell’anno, e un -3,5% atteso per l’intero 2009 – potrebbe avere effetti positivi, quantomeno psicologici, la “scossa”provocata dalle norme sulla surroga dei mutui, con un risarcimento per il cliente se l’istituto erogante non agisce entro un mese.

Sul fronte dell’evasione, infine, il decreto prevede un giro di vite sui controlli, per dare attuazione alle direttive Ocse contro i cosiddetti “paradisi fiscali”. Lo scopo è quello di migliorare l’attuale insoddisfacente livello di trasparenza fiscale e di scambio di informazioni, incrementando

e alle consulenze nelle società pubbliche. Il blocco si applica anche a quelle realtà titolari di concessioni pubbliche affidate in house. Novità anche per i possessori di bond e titoli della ex Alitalia: gli obbligazionisti otterranno non più il 30 ma il 70,97 per cento del totale. Gli azionisti recupereranno la metà dell’investimento, calcolato sulla media delle quotazioni dell’ultimo mese (valore di riferimento 0,2722 euro). Tremonti ha fatto sapere che «ora tocca alle imprese». Ma per capire quante munizioni avrà la sua manovra, bisogerà attendere la creazione dello scudo fiscale per far rientrare i capitali dall’estero. Si spera di recuperare almeno 2 miliardi.

Al riguardo il titolare di via XX settembre ha spiegato: «Stiamo vedendo cosa fanno gli altri Paesi. La Gran Bretagna ha già pensato ad interventi e se ne è parlato la scorsa settimana anche a Berlino». E a domanda se ne riparlerà al G8 dell’Aquila, ha risposto: «Quelli sono capi di Stato, questa è robetta...». Intanto il ministro della Funzione pubblica, Renato Brunetta, fa sapere che entro luglio sarà pronto il testo per l’equiparazione dell’età pensionistica tra uomini e donne. Ieri ne ha parlato, ma non in Consiglio dei ministri, sia con il suo collega Maurizio Sacconi sia con il commissario Ue agli Affari sociali, Vladimir Splida, venuto ieri a Roma per partecipare al G8 del Lavoro. L’impressione è che possa saltare tutto, ma Brunetta tiene duro. E promette che quanto verrà risparmiato sarà «destinato al welfare familiare».

la cooperazione amministrativa tra gli Stati. Si tratta decisamente di un passo avanti per dare attuazione a quel sistema di“legal standard”a cui mira lo stesso Tremonti e che era sorto faticosamente dal combinato disposto di esigenze diversissime al G20 finanziario londinese dell’aprile scorso. Una normativa a cui a questo punto manca solo il relativo “penchant”di rientro dei capitali illeciti che dovrebbe arrivare nei prossimi mesi tramite il cosiddetto“scudo fiscale ter”.Tramite questo – e tramite una aliquota molto meno generosa rispetto alle altre due esperienze passate – potrebbero finalmente rientrare in circolo ben altre risorse da destinare all’economia, rispetto a quelle che sono attualmente consentite dalla coperta cortissima della finanza pubblica. Risorse da spendere subito e bene, per far ripartire gli investimenti e tentare di uscire finalmente tramite incisive politiche keynesiane da quel decennio di “non crescita” 2001-2010 che anche gli ultimi dati Confcommercio hanno certificato per il Paese. (www.enricocisnetto.it)


panorama

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Querelle. Il Giornale attacca il segretario dell’Udc e Berlusconi gli esprime la solidarietà, subito rispedita al mittente

ll Cavaliere e il gioco delle due carte di Franco Insardà segue dalla prima Così, per continuare a sguazzare, i fedelissimi del premier si sono messi al lavoro per rimestare nel torbido e rispondere scoop su scoop agli attacchi della stampa “comunista”. Una strategia, probabilmente, studiata a tavolino nelle stanze di Palazzo ormai Grazioli, svuotate dagli arredi femminili nel tentativo di coinvolgere quante più persone possibile per creare confusione e far dimenticare a un Paese, già abbondantemente anestetizzato, gli allarmi per la crisi e la precarietà della situazione. Un atteggiamento che ricorda quello del bambino sorpreso con le mani nella marmellata e che cerca di accusare l’ignaro fratellino.

Il quotidiano della famiglia Berlusconi allora che

IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio

cosa fa? Confenziona uno scoop per “incastrare” l’ex premier Massimo D’Alema e, visto che ci siamo, tirano dentro pure l’Udc e il suo segretario Lorenzo Cesa. Parte la campagna mediatica, D’Alema annuncia querele e lo stesso fa Lorenzo Cesa. A questo punto entra in campo il Cavaliere che, espri-

fatto giungere a «Massimo D’Alema, ai suoi collaboratori, alla famiglia Agnelli e a quanti siano stati colpiti oggi da questo tipo di polemiche. Sono stato facile profeta quando ho previsto che l’imbarbarimento provocato da una ben precisa campagna di stampa avrebbe messo in moto una spirale che

Pier Ferdinando Casini: «Capiamo bene come si cerchi di fare di tutta l’erba un fascio, di omologare stili di vita e abitudini tra loro molto diverse» mendo la sua solidarietà ai due leader politici, in una nota fa sapere: «Non ho mai condiviso i modi di chi ricorre ai pettegolezzi e alle chiacchiere di vario genere per insinuare dubbi o gettare discredito nei confronti di qualcuno. Esprimo perciò tutta la mia solidarietà a Lorenzo Cesa». Il premier ha sostenuto che «si vede che su di lui non c’è nulla di nulla, ma basta un titolo che fa un nome per criminalizzare una persona e sconvolgere una famiglia. Conosco Cesa, gli sono amico e lo stimo al di là delle differenze politiche». Analoga solidarietà Berlusconi ha

va assolutamente arrestata. Poiché io ho denunciato aggressioni a mio danno nessuno può pensare che io possa approvare analoghi metodi ed aggressioni nei confronti di chiunque».

Leggendo questa dichiarazione si ha quasi l’impressione che il premier non sappia su quale quotidiano sono stati pubblicati gli attacchi a D’Alema e Cesa e candidamente esprime la sua solidarietà. Si tratta, però, del Giornale dell’editore Paolo Berlusconi. Che cosa sperava che facessero D’Alema e Cesa? Accettare la

solidarietà del presidente del Consiglio e ricambiarla? Un vero e proprio gioco delle due carte. Evidentemente era questo l’obiettivo che gli strateghi di palazzo Grazioli volevano ottenere, ma è andata male. Sia Lorenzo Cesa sia Massimo D’Alema hanno rispedito al mittente la solidarietà e risposto al Giornale con due belle querele.

Certamente hanno fatto piacere al segretario dell’Udc le parole di Pier Ferdinando Casini: «Lorenzo Cesa ha la solidarietà senza riserve mia e di tutto l’Udc. Abbiamo ben chiari la logica e il disegno del Giornale. Capiamo bene come si cerchi di fare di tutta l’erba un fascio, di omologare stili di vita, frequentazioni e abitudini tra loro molto diverse. Non siamo ingenui e se qualcuno pensa di intimorire l’Udc ancora una volta non ha capito nulla. Abbiamo avuto un atteggiamento rispettoso in tutte queste settimane verso le persone e le loro famiglie. Non lo cambieremo perché non siamo soliti trafficare nella melma e non vogliamo abituarci a una politica così sporca».

Einaudi manda in stampa il secondo volume della biografia scritta da Gerbi e Liucci

Il lato anarchico-borghese di Montanelli ndro Montanelli ossia l’anarchico borghese. Lui stesso sentiva di essere tale e tale si definiva: «Sono un anarchico alla Prezzolini o alla Longanesi. Che è un modo difficile, ingrato, in qualche modo contraddittorio di esserlo». Il grande Indro era così: anarchico e borghese. Perché nella nostra amata e maledetta Italia un buon borghese deve essere anche anarchico, perché sarà moderato, va bene, sarà riformista, va bene, sarà liberale, va bene, ma ciò che gli fa difetto - al Paese - è l’esistenza di istituzioni autorevoli. Il borghese ha bisogno di coltivare dentro di sé quella tendenza all’anarchia che ogni uomo si porta dentro quale causa prima della sua libertà. Il buon borghese italiano vorrebbe con tutto se stesso credere fino in fondo nel suo Paese e nei suoi connazionali, nella sua stessa “classe” sociale, ma non ce la fa e per essere veramente borghese deve essere anche anarchico. Come Prezzolini, Longanesi e Montanelli, appunto.

I

Con questo azzeccato titolo, Montanelli l’anarchico borghese, è stato pubblicato da Einaudi il secondo volume della completa, quasi enciclopedica, biografia montanelliana scritta da San-

dro Gerbi e Raffaele Liucci. Il primo volume - forse i lettori lo ricorderanno era intitolato Lo stregone e poneva l’accento sulle diaboliche capacità intuitive del giornalista toscano. Il secondo libro, che racconta gli anni dal 1958 al 2001, riguarda la maturità del giornalista di Fucecchio e la sua ideologia antiitaliana per essere italiano: il suo anarchismo borghese. Conviene leggere nella sua interezza il brano “Anarchico” a modo mio che Montanelli pubblicò il 3 luglio 1991 su il Giornale nella rubrica “La parola ai lettori”: «Io sono un anarchico sui generis. Non voglio scardinare lo Stato, sono per la legge e l’ordine, aborro il movimento turbolento e l’utopismo chiassoso. Fino a questo punto il mio parrebbe il profilo di un benpensante moderato, piuttosto che quello d’un uo-

mo che senta in sé una forte componente anarchica». Segue la spiegazione: «Il fatto è che lo Stato, e le istituzioni, vengono incarnanti da personaggi dei quali conosciamo tutto, e dai quali subiamo tutto. Lo Stato diventa cioè Potere. E per il potere è un’allergia profonda e irresistibile. M’inchino al Parlamento, ma quando lo vedo in carne e ossa avverto la tentazione di contestarne i riti farraginosi, i dibattiti vuoti, il linguaggio nobile che nasconde meschini interessi di bottega politica. Sono un anarchico indico dei punti di riferimento, senza volermi in essi identificare - alla Prezzolini o alla Longanesi. Che è un modo difficile, ingrato, in qualche modo contraddittorio di esserlo». Non c’è cosa più difficile in Italia che essere “per la legge e l’ordine”. Lasciamo da parte an-

che l’ordine - che poi non è mica una parola così brutta: senza ordine non c’è libertà - resta la legge: non c’è cosa più difficile che stare dalla parte della legge.

Non nelle grandi cose, ma nelle piccole: il motto “fatta la legge, trovato l’inganno”è tutto italiano e sta a denunciare con la sua esistenza la cialtronaggine del nostro Stato o, ancor meglio, il rapporto nella coscienza nazionale che ogni italiano ha con lo Stato. Tutti i nostri mali - e, qui risiede il paradosso, anche le nostre virtù - nascondo da questa recita nazionale: gli italiani non credono nelle istituzioni libere che si sono dati troppo tardi rispetto alle altre nazioni d’Europa. Indro Montanelli diceva che questo era il risultato di “tre secoli di autoritarismo”. Per troppo tempo non abbiamo avuto un nostro Stato, per troppo tempo siamo stati al servizio altrui, per troppo tempo abbiamo avuto sul nostro territorio lo straniero e per troppo tempo siamo stati fedeli sudditi della Chiesa. Non abbiamo avuto alcuna riforma religiosa, mentre abbiamo avuto una controriforma. E oggi riformare gli italiani è inutile, più che difficile. Altra da fare non c’è che essere anarchici borghesi.


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27 giugno 2009 • pagina 11

Accordi. Il governatore Lombardo dialoga con Berlusconi e fa fuori dalle trattative il presidente del Senato

E Schifani restò solo (ma soltanto in Sicilia) di Ruggiero Capone

ROMA. Il governatore della Sicilia Lombardo s’è dimostrato uomo di parola. Aveva promesso che solo dialogando con Berlusconi avrebbe potuto deporre l’ascia di guerra nei riguardi delle altre fazioni. Così è stato. Aveva detto a muso duro che non avrebbe mai inaugurato un nuovo corso attraverso una trattativa con Alfano e Schifani: così è stato. Il governatore dell’Isola ha vinto: incontrando Berlusconi a Palazzo Grazioli, accettando che partecipassero all’incontro solo i tre coordinatori nazionali Verdini, La Russa e Bondi, ha detto a chiare lettere d’essere la “Lega del Sud”.

Berlusconi ha accettato la condizione di Lombardo, «non voglio vedere né Schifani né Alfano», dando al governatore il rango di chi tratta solo con i suoi pari. È stata celebrata una pace d’alto livello istituzionale, passata come un razzo sulla testa di Castiglione e Nania. Lombardo è uomo consequenziale. Dopo aver garantito Berlusconi sulla “presenza importante” nella sua giunta di uomini di punta dell’Udc siciliano, Lombardo ha inviato un chiaro

La Giunta bis, dopo l’azzeramento di un mese fa, secondo rumors si completerebbe con Nino Strano, Antonino Beninati e un tecnico legato all’Udc messaggio al coordinatore siciliano dell’Udc. Si mormora gli abbia detto di non intralciare la triangolazione con Berlusconi e Cuffaro. Intesa nata per dare «centralità alla politica siciliana e conseguente autorevolezza sui tavoli romani». In parole povere, Lombardo avrebbe garantito al Cavaliere un patto per la Sicilia tra Pdl, Mpa ed

Udc. Patto che mette definitivamente fuori gioco le manovre di Schifani nelle nomine regionali. In ambienti ex Dc, oggi a mezzo tra Udc e varie nuove Dc, la cosa è vista come un tramonto dell’era Schifani. Il Presidente siciliano ha ribadito al premier che i posti da assegnare nell’esecutivo siciliano «sono e restano tre per completare

la Giunta». La Giunta bis, dopo l’azzeramento di un mese fa, secondo indiscrezioni si comporrebbe di Nino Strano (uomo di Fini), di Antonino Beninati e d’un tecnico d’alto profilo legato all’Udc. Colpo di scena, nessun dirigente di chiara fede “cuffariana” verrà rimosso. Quindi Lombardo ha definitivamente detto basta alla guerra intestina tra dirigenti della Regione Sicilia. «Una guerra tra fratelli - spiega un addetto ai lavori - perché, a parte quelli reclutati dalla sinistra in ambito Cgil, la storica dirigenza regionale è per il 70 per cento di matrice democristiana con una piccola componente repubblicana». Non dimentichiamo che gli attori principali di questa vicenda sono stati Lombardo e il sottosegretario di Stato Miccichè (schieratosi con Lombardo sin dalla prima ora). Va detto che questa manovra, nata prima delle Europee, ha di fatto animato le spinte autonomiste in tutto il Mezzogiorno. Dopo gli incitamenti siciliani, il movimento autonomista vicino a Lombardo e Miccichè annovererebbe un totale di 30 uomini nelle istituzioni locali di Calabria, Puglia, Lucania e Campa-

Consumi. Una lettera di Confcommercio sulla sfida dell’associazione ai “farmer’s market”

Liberalizzazioni contro i falsi miti di Sergio De Luca e Mariano Bella segue dalla prima La relazione del presidente Carlo Sangalli non lascia dubbi circa il ruolo della distribuzione commerciale, del pluralismo distributivo e dell’accesso alla professione commerciale in un contesto di rispetto delle regole sanitarie e fiscali da parte di tutti, farmer’s market inclusi. Fatta questa premessa è doveroso ricordare, visto che la coerenza rimane una virtù, che la Confcommercio in tema di liberalizzazioni ha sempre avuto un’unica posizione, quella di proseguire senza esitazioni. Quindi nessuna riluttanza nel procedere speditamente verso le nuove, (il settore del commercio è liberalizzato dalla Legge Bersani del ’98) e cioè, servizi pubblici locali, banche, assicurazioni, ordini professionali.

una più efficiente allocazione dei fattori di produzione dovuta alla maggiore concorrenzialità dei mercati. Stesso rigore di analisi e coerenza sui farmer’s market che sollecitano però una riflessione seria su società ed economia. C’è un’onda culturale che ispira queste forme di vendita, che si prefiggono di gestire meglio i prezzi, di accorciare le filiere, di controllare i processi

Sono solo “culturali” le ragioni che garantiscono a certe forme di mercato la libertà di proliferare (e avere successo) in assenza totale di regole

Ma la liberalizzazione in un unico settore si traduce sostanzialmente in una migrazione di risorse dal settore reso concorrenziale ai settori protetti, senza beneficio per i consumatori nel breve periodo né nel lungo periodo, attraverso un innalzamento del livello aggregato di produzione a motivo di

di formazione dei margini, di costituire autorità indipendenti che, chissà come, possano rendere più efficienti e trasparenti i passaggi che dai produttori, non solo agricoli, portano i beni e servizi presso i consumatori. Nella realtà i farmer’s market hanno già dimostrato tutti i propri limiti. Infatti gli stessi consumatori non registrano particolari risparmi, né rilevanti incrementi di qualità nei prodotti. Il rischio capitale, che liberal sente certamente, è quello che pur di dare una risposta alla crisi, una qualsiasi risposta, magari sbagliata, si metta in discussione l’autonomia degli operatori con ope-

razioni demagogiche e dirigiste delle quali è noto l’inizio ma non la fine.

Un rischio ingigantito dalla messa in circolazione di falsi miti di facile presa mediatica. Gli appelli al ritorno all’economia del fare contro l’economia di carta sottintendono talvolta l’equazione «agricoltura e manifattura sì e tutto il resto no». I servizi e il commercio in questa logica perversa sono del tutto inutili e vanno combattuti. Mescolate alle tentazioni di protezionismo e statalismo (in verità mai abbandonato nel nostro Paese), conseguenti alla grande paura mondiale, queste istanze, dal sapore populista e tecnicamente incoerenti rischiano davvero di allontanare la ripresa. Insomma, si comincia dai farmer’s market per arrivare al controllo dei prezzi passando per l’introduzione di nuovi dazi, nella direzione di sviluppare assistenzialismo e chiusura dei mercati piuttosto che pensare a rilanciare la produttività, vero problema del nostro Paese. Sergio De Luca è direttore dell’Area Comunicazione e Immagine Confcommercio; Mariano Bella è direttore dell’Ufficio Studi Confcommercio

nia. Forza ben nota al Cavaliere, che attraverso Lombardo intende evitare che il consenso sfugga agli accordi con il Pdl.

Così Berlusconi avrebbe promesso a Lombardo l’eliminazione di ogni intermediazione siciliana tra il governatore ed il premier. Ora Lombardo ha il filo diretto con Berlusconi. Lombardo è anche tornato in amicizia con Cuffaro, il che sposta a centro la barra politica siciliana. Barra a centro che riscontriamo anche in Calabria, dove Elio Belcastro, parlamentare del movimento per l’autonomia (Mpa), ha inserito suoi uomini in tutte le giunte del reggino e del catanzarese ove c’è accordo con l’Udc: lì il Pdl pare possa solo contare su Scopelliti (sindaco An di Reggio Calabria) mentre negli altri comuni deve necessariamente accordarsi con Udc ed Mpa. Stessa situazione in Puglia dove Luciano Sardelli, Antonio di Lollo e Donato Amoruso rappresentano Lombardo e predicano il verbo autonomista erodendo il Pdl e accordandosi con l’Udc. Secondo i ben informati Berlusconi avrebbe messo una pezza all’emorragia accordandosi con Lombardo.


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Dalla Mesopotamia a Tangentopoli, passando per l’Egitto dei faraoni, l’Antica Roma e l’Italia

Piacere, Mario Chies di Osvaldo Baldacci Nell’antica Grecia persino i più grandi eroi caddero per accuse di corruzione: fu il caso di Milziade e Temistocle, esiliato da Atene proprio come avvenne poi a Cimone. A fianco, Marco Aurelio. Nella pagina a fianco, in alto: Crispi (a sinistra) e Giolitti. In basso, un sarcofago di un faraone egizio

orruzione storia vecchia, molto preoccupante quando riguarda il presente, curiosa e a volte persino comica quando si riferisce a racconti del passato. Senza immunità: dai politici ai giudici, dai Papi agli imperatori, fino addirittura agli eroi e persino gli dei, dalla Mesopotamia a Roma, dall’Egitto alla Grecia.

C

La corruzione è una piaga che anche oggi costa 60 miliardi all’Italia. Lo denuncia la Corte dei Conti. Parlare di corruzione sembra passato un po’ di moda nonostante le inchieste giudiziarie anche rilevanti che quasi quotidianamente investono qualche realtà italiana. Ma niente di paragonabile alla centralità che il problema ha acquisito ai tempi di Tangentopoli, un’ondata che ha spazzato via la Prima Repubblica travolgendo con il suo impeto veri corrotti, sistemi non chiari di finanziamento e anche molti innocenti. Giovedì la Corte dei Conti con la sua relazione annuale ha riportato in evidenza il problema: secondo la relazione la corruzione all’interno della Pubblica Amministrazione può superare costi per

posto su 180 nell’Indice di Percezione della Corruzione (Cpi, più si è in basso e più si è corrotti) ed è peggiorata. Ma nessuno ha mai stilato una classifica di corruzione nella storia. Eppure ci sono episodi da record. Nel regno di Mitanni (XVI-XIV a.C., al confine tra gli attuali Iraq e Turchia) c’è un documento processuale contro un “sindaco” della città di Nuzi che, approfittando del suo ruolo, si è reso responsabile di tutta una serie di abusi. «Dalla lettura del testo – racconta il prof. Mario Liverani – risulta evidente che la pratica di dare al pubblico ufficiale una “mancia” affinché si prenda cura del caso in questione era non solo abituale ma anche accettata come legittima; l’illegittimità sta solo nel fatto che il pubblico ufficiale, dopo aver accettato la mancia, non ricambia facendo il favore previsto». Credo che questo episodio resti ancora insuperato.

Secondo le leggi babilonesi di cui è testimonianza il codice di

la collettività di 50-60 miliardi di euro l’anno, «una tassa immorale e occulta prelevata dalle tasche dei cittadini». I dati sono in crescita rispetto al 2007: secondo i dati della Guardia di Finanza nel 2008 sono stati denunciati 3.224 pubblici ufficiali per reati contro la Pubblica Amministrazione mentre i Carabinieri hanno scovato 2.137 funzionari infedeli, 182 persone sono state arrestate o denunciate per istigazione alla corruzione, emesse 110 condanne per oltre 117 milioni di euro di valore di denaro recuperato. Secondo l’associazione Transparency International l’Italia è al 55°

farai subire una punizione». E un profeta di Eshaddon ricorda così la decadenza di Babilonia: «Opprimevano i poveri e li mettevano alla mercé dei potenti. Nella città c’era oppressione e si accettavano offerte». Il pover’uomo di Nippur dalla Mesopotamia e L’oasita eloquente dall’Egitto, intorno al 2000 a.C., raccontano storie parallele. In entrambi i casi un funzionario di provincia ha compiuto un evidente arbitrio a danno di un povero contadino e in entrambi i casi il colpevole trova la compatta solidarietà della classe dei burocrati: solo rivolgendosi con grande fatica al re in persona i due protagonisti ottengono giustizia.

In riva al Nilo le pene per i funzionari disonesti erano pesanti: rimozione dalla carica, taglio del naso e/o delle orecchie. Eppure nella stessa epoca un saggio poteva lamentarsi nelle sue Ammonizioni: «Chi non aveva un pane ora ha granai, ma ciò di cui son pieni i suoi magazzini sono beni di altri”. Sullo stesso tono le confessioni che ci ha lasciato un nobile egiziano in procinto di suicidarsi, forse perché vittima di abusi oppure perché accusato proprio di corruzione: «I cuori sono avidi, ognuno prende le cose del compagno». Anche nella Bibbia la corruzione è citata esplicitamente più volte, ed è condannata dalle leggi: Eso-

È una piaga che oggi costa all’Italia sessanta miliardi all’anno. Secondo la Corte dei Conti, «una tassa immorale e occulta prelevata direttamente dalle tasche dei cittadini Hammurabi i giudici erano costretti a depositare le sentenze in involucri sigillati così che fosse sempre possibile controllarle nel caso in cui cospicui donativi intendessero far cambiare idea al magistrato in un secondo momento. Hammurabi prescrisse di tenere lontano dal mestiere il giudice che avesse mutato un verdetto già «passato in giudicato». Nell’inno al dio del sole e della giustizia Shamash si recita: «A colui che riceve un offerta che perverte

do 23,6-8 «Non farai deviare il giudizio del povero, che si rivolge a te nel suo processo.Ti terrai lontano da parola menzognera. Non far morire l’innocente e il giusto, perché io non assolvo il colpevole. Non accetterai doni, perché il dono acceca chi ha gli occhi aperti e perverte anche le parole dei giusti»; Deuteronomio 16,19 «Non farai violenza al diritto, non avrai riguardi personali e non accetterai regali, perché il regalo acceca gli occhi dei saggi e corrompe le pa-


il paginone

ia risorgimentale: storia della mazzetta, vizio antico dell’umanità

sa di Babilonia

role dei giusti». In Mesopotamia, Egitto, Grecia e Roma le cariche pubbliche venivano spesso acquistate, e a volte affittate o subaffittate, e così i funzionari le usavano per rifarsi, per arricchirsi, compiendo ogni sorta di abuso.

Tra le questioni chiave della politica romana c’era sempre quella della scelta dei giudici dei tribunali sulla corruzione, perché senatori e cavalieri volevano giudicarsi (e assolversi) da sé

Il problema della corruzione non ha confini. Ci si è battuto contro Confucio in Cina, mentre nel IV secolo a.C. il bramino Kautilya, noto anche come Chanakya, e ministro del re indiano Chandragupta Maurya, scrisse nell’Arthashastra che la la prova della disonestà finanziaria di un pubblico ufficiale è «facile da reperire tanto quanto è facile scoprire quant’acqua può bere un pesce che nuota liberamente nell’acqua». Allo stesso modo, afferma l’Arthasastra, la volontà di «non assaggiare il miele posto sulla lingua è difficile quanto maneggiare i soldi del re senza assaggiarne almeno una piccola parte».

cusato di essersi appropriato di parte del tesoro di Alessandro Magno. A Sparta la lotta contro la corruzione era ferrea e preventiva (la costituzione di Licurgo rifiutava le monete d’oro e d’argento) ma forse la città non ne fu esente: certamente però ne fu vittima il re Agesilao che mentre combatteva vittoriosamente contro i Persiani in Cappadocia fu sconfitto da 30mila arcieri, quelli raffigurati sulle 30mila monete d’oro che il re di Persia usò

Varcando le onde del Mediterraneo, in Grecia persino i più grandi eroi caddero per accuse corruzione, certo forse anche strumentali, ma forse non senza un fondo di attendibilità: fu il caso dei vincitori dei persiani, Milziade che morì in carcere (fonte Cornelio Nepote) e Temistocle (accusato degli storici Timocreonte ed Erodoto) esiliato da Atene proprio per corruzione, come avvenne poi a Cimone. Nel secolo successivo i famosi oratori Isocrate e Demostene si trovarono implicati in processi per corruzione che fecero epoca. Demostene fu ac-

per corrompere le città greche e far loro dichiarare guerra a Sparta. Roma, come è noto, non era da meno. Il primo episodio risale addirittura ai più antichi tempi leggendari: la giovane Tarpea vendette ai Sabini l’acropoli cittadina del Campidoglio e le vite dei soldati che la difendevano.Alcuni romani furono famosi per la loro incorruttibilità, e questo fa da cartina di tornasole sulla moralità degli altri. I romani erano talmente specialisti che corrompevano persino gli dei: era il rito della “evocatio deorum”, con la quale i generali romani convincevano a suon di promesse gli dei delle città nemiche a passare dalla loro parte, a permettere la sconfitta delle città loro sedi in cambio di sedi più maestose a Roma. Caso esemplare la preghiera di Camillo a Giunone perché abbandoni Veio prima della puntuale caduta.

Gli amministratori delle province furono spesso famosi soprattutto per ruberie e intrallazzi e ognuno tornava appesantito d’oro dalla provincia di competenza. Esempio famo-

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so è il processo intentato da Cicerone al propretore Verre che aveva letteralmente saccheggiato la Sicilia. Tra le questioni chiave della politica romana c’era sempre quella della scelta dei giudici dei tribunali sulla corruzione (de repetundis), perché senatori e cavalieri volevano ciascuno giudicarsi (e assolversi) da sé. C’era poi il sistema dei pubblicani, che appaltavano la riscossione delle tasse e garantendo una cifra allo Stato potevano poi giocare sui margini. Le grandi famiglie, poi, compravano e vendevano voti e appaltavano le cariche pubbliche. Sallustio poi ci ricorda come il piccolo re nordafricano Giugurta si potesse permettere di uscire da Roma gridando “Città in vendita” avendo fatto l’esperienza di comprare l’uno dopo l’altro i generali e i senatori che l’avrebbero dovuto contrastare. Vent’anni prima Caio Gracco denunciava alla plebe l’inganno del Senato: mentre si discuteva del destino di un territorio asiatico (se assegnarlo a un re confinante o lasciarlo libero), i senatori non parlavano per il bene comune ma in base a chi li aveva comprati, se l’uno o l’altro pretendente o persino tutti e due. Catone subì 44 processi, e anche Scipione l’Africano fu messo sotto accusa. Ma forse l’episodio romano più clamoroso fu quando venne messo all’asta il trono imperiale. Premesso che donativi di generali e neo imperatori ai loro soldati e ai pretoriani erano cosa comune, e persino Marco Aurelio e Lucio Vero quando erano ascesi al trono avevano elargito 20 mila sesterzi, non si raggiunse mai il livello del 193 d.C. Secondo Dione Cassio “Didio Giuliano quando seppe della morte di Pertinace si precipitò alla caserma dei pretoriani e. fermatosi al cancello, offrì ai soldati una somma per comprare il trono dell’impero. Allora fu concluso l’affare più vergognoso e infame della storia di Roma, quando, come se si fosse trattato di un mercato o di una sala delle aste, tanto la città quanto l’impero furono messi in vendita all’incanto. I venditori erano quelli che poco prima avevano massacrato il proprio imperatore; gli acquirenti erano Sulpiciano e Didio Giuliano, che cercavano di superarsi a vicenda, uno dall’interno, l’altro dall’esterno della caserma. Le offerte andarono man mano aumentando, fino a raggiungere 20 mila sesterzi per soldato. Alcuni soldati andavano da Giuliano per dirgli ‘Sulpiciano offre tanto; quanto offri di più?’, poi correvano da Sulpiciano: ‘Giuliano promette tanto; tu che offri di più?’. Sulpiciano avrebbe potuto averla vinta, in quanto stava dentro ed era prefetto della città, e fu anche il primo a indicare la cifra di 20 mila; senonché Giuliano aumentò la propria offerta di 5 mila sesterzi in una sola volta, urlando la cifra e indicandola anche con le dita della mano. Allora i soldati, attratti dall’enormità della somma e temendo contemporaneamente che Sulpiciano volesse vendicare

suo genero Pertinace (idea che Giuliano aveva fatto loro venire in mente) accolsero lo stesso Giuliano all’interno della loro caserma e lo proclamarono imperatore”.

Nell’antica Roma la corruzione ha toccato anche i primi cristiani: durante le persecuzioni, se molti divennero martiri e altri si piegarono alle imposizioni imperiali, altri si arrangiarono e acquistarono da funzionari corrotti il libellus che attestava che avevano svolto i riti pagani richiesti. Ma anche nella storia dei Papi non mancano episodi di corruzione, anzi. E non parliamo solo di quella corruzione morale che in certi secoli ha raggiunto tali livelli da far capire che la sopravvivenza della Chiesa e dell’ortodossia nonostante tutto sono la prova della “tutela”dello Spirito Santo. Un caso davvero eclatante fu quello di Benedetto IX, che in cambio di 650 chili d’oro nel 1045 abdicò da Papa in favore del suo corruttore divenuto Gregorio VI. Più volte poi nel Medioevo il senato romano dovette formalmente vietare «di trattare la successione del Papa quando c’è ancora quello vivente e di accettare doni e denaro per appoggiare un candidato al pontificato». Furono moltissimi i processi per simonia. Anche Dante dedicò una regione del suo inferno alla simonia, e ancor più spazio riservò ai barattieri, nome con cui si indicavano appunto i funzionari corrotti, la cui bolgia è descritta nei canti 21 e 22 dell’Inferno. Certo, a Roma come nelle beghe ecclesiastiche come nel Medioevo dantesco la corruzione era tanto diffusa che non sempre siamo certi della veridicità delle accuse, usate facilmente in modo strumentale. Resta il fatto che lo stesso fustigatore Dante fu accusato di corruzione, ed è questo il motivo per cui fu esiliato da Firenze. Per chiudere, riavvicinandoci un po’ nel tempo, senza cadere nella cronaca relativamente recente a tutti nota come Tangentopoli, ricordiamo che la nascita della stessa Banca d’Italia deriva da una riforma seguita a un gigantesco scandalo di corruzione, quello noto come della Banca Romana che travolse la politica italiana di fine Ottocento. Prima del 1890 la Banca Romana, una delle sei autorizzate ad emettere moneta, per coprire le sue perdite a fronte dei 60 milioni autorizzati, aveva emesso biglietti di banca per 113 milioni di lire, incluse banconote false per 40 milioni emesse in serie doppia. Per tutelare i suoi traffici aveva lautamente pagato politici, alcuni comprovati altri solo denunciati, compresi primi ministri come Crispi e Giolitti che se la cavò ma dovette dimettersi. Ventidue parlamentari di primo piano furono processati, e infine assolti per la sparizione di documenti. Secondo gli storici, un po’ tutte le forze politiche e gli stessi magistrati furono d’accordo nell’evitare che lo scandalo finisse per travolgere il sistema italiano.


mondo

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Inchiesta. Sotto Putin il potere dei funzionari statali si è ingigantito: oggi guadagnano illegalmente 319 miliardi di dollari all’anno

Il corrotto di quartiere Tutti sanno che in Russia dilaga la corruzione Ma come funziona la “microfisica della bustarella”? di Francesca Mereu

MOSCA. Negli ultimi sei mesiViktor ha pagato già tre volte. Prima erano arrivati gli agenti della milizia: il programma Windows installato nei computer della sua agenzia immobiliare non era originale e sarebbero stati costretti a prendere provvedimenti, a meno che il giovane non avesse mostrato la sua generosità.Viktor gli allunga 6mila dollari e il problema del software pirata è stato subito dimenticato con un sorriso, una stretta di mano e un «arrivederci». Poi c’è stata la scadenza quadrimestrale con gli ispettori fiscali, cioè altri 3mila dollari per chiudere un occhio sulla contabilità.

Infine hanno bussato gli ispettori dell’Fsb, l’erede del Kgb sovietico, che avevano notato -- gli dissero -- la sua piccola attività per la prima volta. Cioè una nuova scadenza quadrimestrale, oltre a quella degli ispettori del fisco e quelli antincendio.Yekaterina ha un piccolo negozio di biancheria intima in via Prospekt Mira (nella zona nord di Mosca) e paga regolarmente gli ispettori antincendio, perché ignorino le violazioni delle norme di sicurezza, e la milizia. «È così che viviamo. Paghiamo, paghiamo e paghiamo», raccontaYekaterina. Viktor e Yekaterina non sono delle eccezioni. In Russia tutti pagano le mazzette. È quello che emerge dal rapporto annuale 2008 di Transparency International, associazione

non governativa e no profit che si propone di combattere la corruzione. La Russia è infatti tra i paesi più corrotti al mondo, ai livelli del Bangladesh, il Kenia e la Siria.

Secondo una ricerca fatta dalla prestigiosa associazione non governativa Indem, che monitora la corruzione nel Paese, i russi pagano circa 319 miliardi di dollari l’anno in mazzette che se diviso per i 142 milioni di abitanti, risulta che ogni cittadino russo paga 2,250 dollari l’anno di stecca. Il prezzo della corruzione si fa sentire in tutte le sfere dell’economia facendo lievitare prezzi del cibo, degli affitti, dell’assistenza medica e dell’educazione. Il costo medio della vzyatka (mazzetta), secondo Indem è passato da 10mila dollari nel 2001 a 130mila nel 2005. La maggior parte delle mazzette -- dice la ricerca -- sono pagate alle forze dell’ordine, e per ricevere l’istruzione e l’assistenza medica che dovrebbero essere gratuite. Mentre secondo uno studio fatto dall’Istituto di sociologia dell’Accademia delle scienze alla fine del 2005 la burocrazia è diventata meno efficiente e più corrotta sotto il regime dell’ex presidente e attuale primo ministro Vladimir Putin. «Metà di quello che guadagno lo devo pagare in mazzette» si lamenta Viktor, «Anche negli anni Novanta pagavamo, c’era molta corruzione, ma oggi ha raggiunto livelli insostenibili. Prima si pagava per ottenere qualcosa, per ricevere alla svelta una licenza, senza fare trop-

pe file, ora invece paghi per niente». Sotto Putin la corruzione è diventata «più sfacciata, più aperta», concorda Georgy Satarov, consigliere del primo presidente russo Boris Eltsin e direttore di Indem. «Prima i burocrati che prendevano le mazzette cercavano di nasconderlo, ora non hanno neanche paura di mostrare la propria ricchezza, anzi ostentare la ricchezza è segno di prestigio. Vuol dire far vedere quanto sei potente», commenta Satarov, «Sotto Putin è aumentata soprattutto la corruzione nel business. Dal 2001 al 2005 questo tipo di corruzione è cresciuta di 7-8 volte. Poi vi è una differenza fondamentale: prima vi era corruzione nella sfera dei cosiddetti“servizi a

goziante avido, ma non capiscono che il motivo dell’aumento non è economico, ma è dovuto alla corruzione», commenta Yelena Panfilova, la direttrice dell’ufficio russo di Transparency International. Secondo l’ultima classifica annuale dell’istituto di ricerca Mercer, pubblicata nel luglio del 2008, Mosca è la città dove il costo della vita è più caro nel mondo, più di Londra e Tokyo che occupano rispettivamente il secondo e il terzo posto (Roma occupa il sedicesimo posto). E questo, gli esperti sono concordi, è dovuto alla corruzione. Fare la spesa o mangiare in un ristorante moscovita costa tre volte di più che in Italia, perché il negoziante e il ristoratore devono pagare le maz-

«Prima i burocrati che prendevano le mazzette cercavano di nasconderlo - spiega un ex consigliere di Eltsin - ora non temono di mostrare la propria ricchezza. Anzi, è un segno di prestigio» nero”- cioè si corrompeva un funzionario statale per ottenere un servizio - ora invece si paga solo per avere il diritto di continuare la propria attività». «È un circolo vizioso», spiega Yekaterina, «Pago una cifra esorbitante per l’affitto del negozio (8,000 dollari), perché il proprietario paga a sua volta le mazzette. Per far sdoganare la merce devo pagare la stecca e poi ci sono le varie “scadenze”mensili.Tutto questo aumenta ovviamente i prezzi. Se facessi prezzi all’europea non sopravviverei». «Quando i russi vedono che la Coca-Cola costa 5 rubli in più danno la colpa al ne-

zette e per rifarsi aumentano i prezzi. Per combattere la corruzione Putin aveva aumentato i miseri salari degli impiegati statali e ogni tanto faceva arrestare qualche alto ufficiale corrotto, ma niente di più. Nella conferenza annuale al Cremlino nel febbraio del 2007 Putin ammise d’aver fallito. «C’è bisogno di tempo per combattere la corruzione e non ci sono pillole miracolose che lo Stato può mandar giù e curarsi in una notte». Appena eletto presidente Dmitry Medvedev ha dichiarato subito guerra alla corruzione. «Ispezioni arbitrarie di ispettori fiscali e della milizia sono spesso una scusa per estorcere mazzette a piccole ditte. Questo deve finire», ha detto Medve-

dev ad un Consiglio di Stato a fine marzo del 2008.

Medvedev ha poi presentato alla Duma un pacchetto anticorruzione approvato alla fine dello scorso anno, che prevede che i ministri e i membri più stretti della famiglia dichiarino quanto guadagnano e i beni che possiedono. Per membri della famiglia si intende mogli o mariti e figli, pertanto un funzionario corrotto potrebbe mettere una ditta o un bene a nome dei genitori, fratelli o altri parenti. La legge entrerà in vigore solo nel gennaio del 2010, «per dare il tempo ai funzionari corrotti di sistemare i loro affari», sostiene Kirill Kabanov, direttore del Comitato nazionale contro la corruzione, un’associazione non governativa. «Questo è un chiaro esempio di come i nostri cinovniki difendono i propri interessi», spiega Kabanov, «Il presidente ha dato l’incarico ai nostri funzionari corrotti di lottare contro la corruzione. Non cambierà niente». La parola russa cinovnik indica tutti i funzionari statali, dal burocrate dell’ufficio passaporti, al milizianer, all’agente dell’Fsb, al militare di grado.Tutte quelle persone, cioè, che per la loro posizione possono attuare soprusi. Gennady ha una piccola fabbrica di scaffalature in ferro. Qualche mese fa quello che lui chiama il“suo” ispettore antincendio gli dice che doveva sborsare 10mila dollari extra altrimenti avrebbe dovuto rifare tutti gli impianti. «Lo avevo già pagato il mese prima, ma mi disse sfacciatamente che i soldi gli servivano per compare la macchina nuova alla moglie». Gennady racconta che con la crisi molte ditte e imprese hanno dovuto chiudere, e ora «l’appetito


mondo Nella foto piccola della pagina a fianco: Kirill Kabanov, direttore del “Comitato nazionale contro la corruzione”. In basso, il premier Vladimir Putin. Per combattere la corruzione, Putin aveva aumentato i miseri salari degli impiegati statali e ogni tanto faceva arrestare qualche alto ufficiale corrotto, ma niente di più

immutato dei cinovniki» grava sulle spalle di quelli che stanno ancora in piedi.«Metà di quello che guadagno se ne va in mazzette, quando la cifra raggiungerà il 70 per cento vendo tutto e investo in Europa», aggiunge Gennady.

Aleksander aveva impiegato due immigrati del Tagikistan per fare delle riparazioni nella sua casa di campagna. Finiti i lavori i due giovani gli chiedono se poteva accompagnarli in macchina all’aeroporto di Domodedovo: dovevano tornare a casa. Non potevano usare i mezzi pubblici, perché altrimenti la milizia li avrebbe fermati e preso tutti i soldi che avevano guadagnato nei mesi di duro lavoro nelle dacie dei moscoviti.Arrivati in aeroporto i due si guardano intorno con circospezione, quando vedono che i milizianeri erano“occupati” con altri immigrati decidono che era il momento giusto per scaricare le enormi valigie e fare il check-in. Ma nella fretta non notano il gruppo di giovani milizianeri alla loro sinistra. I due tagichi se la cavano con 2.000 rubli (poco meno di 50 euro), o l’equivalente di tre giorni di lavoro. A Domodedovo il guadagno della milizia è enorme: da qui ogni giorno partono aerei per il Tagikistan, per l’Uzbekistan, per l’Armenia, l’Ucraina ecc. e cioè centinaia di immigrati che tornano a casa a cui estorcere qualche migliaio di rubli. Oleg era al volante, alticcio, quando venne fermato da un gaishnik, così viene chiamato l’agente della polizia stradale. Il problema si è risolto con il ritiro di 300 dollari dal bancomat. I gaishniki sono l’incubo degli automobilisti russi e tema di discussione giornaliera sulle frequenze

della radio indipendente Ekho Moskvy. Il giornalista Aleksander Pekulenko, esperto di motori, denuncia tutte le mattine le violazioni commesse dagli agenti della polizia stradale e gli ascoltatori chiamano per raccontare le storie più assurde. Come quella di uno che è stato fermato da un giovane gaishnik che gli chiede 300 rubli,

Paese si stesse muovendo nella giusta direzione. Anche allora i gaishniki chiedevano le mazzette e la milizia fermava le persone in strada per estorcere qualche rublo, ma ora il fenomeno è così esteso che secondo diversi sondaggi, sia per il cittadino medio russo che per gli uomini d’affari, la milizia è diventata più perico-

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Satarov, «Il business ha scelto allora la strada più breve: si comprava la funzione di difesa. Per esempio, gli imprenditori nascenti andavano in una sezione della milizia e gli facevano notare che avevano bisogno di nuovi computer, di rinnovare i locali. Poi gli dicevano che avrebbero provveduto loro ai computer e alle riparazioni se gli avessero messo un paio d’agenti davanti al negozio, o alla ditta. Erano tutti contenti: la milizia riceveva aiuto e l’imprenditore era difeso dai banditi. Ma col tempo ai milizianer questo aiuto inizia a sembrare poco e diventano più esigenti». Poi con Putin, in cambio di fedeltà, queste persone ricevettero la licenza di impossessarsi di tutto quello che non gli appartiene. «In Russia si è stabilita la dittatura del cekist e del ment», continua Satarov. Ment è la parola che i russi usano per definire tutti gli ufficiali di polizia, paro-

Negli anni di passaggio dal socialismo all’economia di mercato, uno dei primi problemi che gli imprenditori incontravano era difendere la proprietà. Il governo non sapeva come fare perché aveva «la famiglia da mantenere».

I russi, per tradizione, sfogano la rabbia contro il potere con le barzellette. Una di queste racconta di un agente della polizia stradale che va dal suo capo ad annunciargli che gli era nato un figlio. «Bene», gli dice quello, «Ti darò un premio di 500 dollari». «Lei non capisce», gli risponde il milizianer, «mi è nato un figlio!». «Ok, ti darò un premio di mille dollari». «Non capisce proprio: mi è nato un figlio!». «Ok, va bene ho capito prendi il segnale limite di velocità 40 per un paio di giorni e mettilo pure dove vuoi». «La gente non associa il danno nelle strade con la corruzione», spiega Kabanov. «Gli ispettori stradali nel nostro paese pattugliano le strade per fare soldi e non per proteggere i cittadini». Secondo il quotidiano Izvestya la carica di generale delle milizia si può comprare per un milione di dollari e l’investimento si recupera nel giro di un anno. Se negli anni Novanta la Russia era lontana dagli ideali di una

losa dei banditi. Ma come si è arrivati a questa situazione? Appena eletto presidente nel 2000 Putin promise di stabilire nel paese «dittatura della legge» e per realizzare il suo piano si affidò al completo appoggio dei siloviki, o “gli uomini di forza”, persone cioè legate ai servizi segreti, alle forze armate e alla milizia. Putin pensava che i siloviki, abituati ad eseguire gli ordini senza discutere, lo avrebbero aiutato a portare avanti le riforme da lui volute, ma non tenne conto del fatto che dopo il caos degli anni Novanta questi organi erano nel declino più completo. Negli anni di passaggio dal socialismo ad un’economia di mercato, uno dei primi problemi che i nuovi imprenditori incontravano era come difendere la proprietà. «Il governo non sapeva come proteggere la proprietà privata. In teoria esistevano delle leggi, ma non si faceva niente. Quelli che dovevano difendere gli imprenditori, cioè le forze dell’ordine, erano educati a considerare la proprietà privata come un peccato, un qualcosa contro cui lottare», spiega

la che deriva dal gergo carcerario e vuol dire persona cattiva, ignobile, mentre cekist deriva da cekà, la polizia segreta sovietica e indica tutti coloro che lavorano per i servizi segreti.

I ment si sentono ora intoccabili. Il sistema infatti li protegge e difficilmente quando qualcuno di loro commette dei crimini viene arrestato. Il maggiore della milizia Denis Yevsyukov, il capo del distretto di polizia di Tsaritsyno, beveva da una settimana per festeggiare il suo trentunesimo compleanno. Il 27 aprile il maggiore prende un taxi per andare al supermercato Ostrov, in via Shipilovskaya (nella zona sud). Arrivato a destinazione (era l’una e mezza di notte), uccide il tassista. Poi entra nel supermercato e uccide il primo cliente che incontra, fredda la cassiera e ferisce sei persone. Yevsyukov fu arrestato, perché la telecamera del supermercato aveva filmato l’orribile scena che farà il giro di Internet. Per via dello scandalo Medvedev ha dovuto licenziare il corrotto capo della polizia di Mosca Alek-

sander Pronin (Yevsyukov era un suo protetto). Il 13 maggio il milizianer Roman Zhirov, alla guida del suo potente Suv, investe e uccide una donna incinta che stava attraversando sulle strisce pedonali. Zhirov non si ferma, ma alcuni passanti prendono il numero di targa. Il dipartimento dove Zhirov lavorava fu incaricato delle indagini e il milizianer fu interrogato e lasciato subito libero. Lo scandalo scoppiò dieci giorni dopo quando il marito della donna chiamò i mass media per denunciare l’accaduto e anche il fatto che Zhirov aveva ripreso tranquillamente servizio. Solo quando il blog di Medvedev fu sommerso di posts di cittadini che gridavano all’oltraggio, il ministero degli Affari interni ha annunciato che Zhirov era stato arrestato. «I cinovniki sono ora senza controllo e fanno quello che vogliono. E quando questi non hanno limiti, lavorano per se stessi e allora si ha la corruzione», spiega Satarov. «Insomma - conclude - per lottare contro la corruzione la Russia avrebbe bisogno di ong libere, libertà di stampa, una società civile matura, competizione politica e una netta separazione dei poteri del governo. In una parola, di democrazia».


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Honduras tra golpe e Chávez L’esercito assedia il presidente Zelaya, ma il Venezuela minaccia l’intervento militare di Massimo Ciullo a grave crisi politica dell’Honduras sarà presto oggetto di discussione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Intanto, il presidente dell’Assemblea Generale dell’Onu, Miguel D’Escoto ha espresso la sua disapprovazione per il «tentato colpo di Stato» contro il legittimo governo della repubblica centroamericana e «contro il governo, democraticamente eletto, del Presidente Manuel Zelaya». D’Escoto ha invitato le parti in conflitto a cercare di risolvere le loro controversie attraverso un dialogo pacifico e sereno. Il presidente dell’Assemblea ha «espresso la sua profonda partecipazione e la speranza che lo stato di diritto sia rispettato». L’escalation della crisi è iniziata giovedì scorso, quando il capo dello Stato ha ignorato una sentenza della Corte suprema che ordinava il reintegro di un generale dell’esercito, esautorato dal presidente honduregno per slealtà. Una fonte presidenziale ha riferito che la destituzione del generale Romeo Vásquez è stata causata dal rifiuto del militare di consentire all’Esercito la distribuzione delle urne elettorali, come di solito avviene in Honduras. La risposta di Zelaya non si è fatta attendere: il presidente ha destituito il capo dello Stato Maggiore,Vásquez e accettato le dimissioni del ministro della Difesa, Edmundo Orellana. Il presidente ha spiegato alla Tv di Stato che le sostituzioni ai vertici

L

IL PERSONAGGIO

delle Forze Armate sono state provocate dalla «crisi provocata da alcuni settori che hanno promosso la destabilizzazione e il caos». Domenica scorsa, disordini erano scoppiati in diverse località a causa del referendum voluto dal presidente della repubblica, che chiede di poter cambiare la Costituzione per eliminare il limite al numero dei mandati e presentarsi per la quarta volta alle presidenziali. La consultazione popolare era stata giudicata illegittima dai giudici costituzionali. Zelaya vorrebbe istituire una nuova Assemblea nazionale costituente, con il compito di elaborare un progetto di riforma dell’attuale carta fondamentale entro il 2010.

Il suo disegno è osteggiato da molti settori della società civile del Paese centroame-

nali: la sede del Parlamento, le vicinanze della Corte suprema, la residenza Presidenziale, l’Aeroporto Internazionale di Toncontín, e altri punti strategici della capitale Tegucigalpa. Zelaya ha immediatamente denunciato il tentativo di golpe e richiesto urgentemente la convocazione del Consiglio Permanente dell’Organizzazione degli Stati Americani, per «valutare il grave pericolo che lo Stato di Diritto» corre in Honduras. Il presidente honduregno gode anche dell’appoggio del caudillo venezuelano Hugo Chávez, che ha minacciato di intervenire militarmente se ci saranno tentativi di destituzione violenta di Zelaya. «In Honduras – ha detto il presidente del Venezuela – è in atto un colpo di Stato sostenuto dalla borghesia retrograda». Chávez ha poi invitato i «soldati honduregni a seguire il loro presidente Manuel Zelaya e il popolo».

Il Capo dello Stato vuole un referendum per abrogare il limite al numero di mandati. Corte Suprema e Congresso sono contrari ricano. Ma il presidente gode del sostegno degli strati più umili della popolazione. Giovedì, le Forze Armate sono scese in campo «per assicurare la pace e la tranquillità sociale», secondo quanto comunicato dallo Stato maggiore dell’esercito. I militari hanno circondato la sede del governo e hanno ricevuto l’ordine di tenersi pronti a qualsiasi eventualità. La mobilitazione dei soldati è stata giustificata dai comandi militari per evitare eventuali disordini causati da organizzazioni popolari e indigene, che appoggiano il presidente in carica. Le truppe sono state disposte a presidio dei principali centri civili e istituzio-

«Vogliono destituire il presidente Zelaya, questo è ciò che stanno tramando ora il Congresso e la Corte suprema», ha aggiunto Chávez. Il presidente “bolivariano” ha lanciato un avvertimento contro coloro che pensano di poter rovesciare i governi “rivoluzionari” della regione: «Siamo disposti a fare ciò che deve esser fatto affinché sia rispettata la sovranità dell’Honduras e la volontà del popolo dell’Honduras». Chávez ha anche rivelato di aver illustrato i suoi propositi al presidente boliviano Evo Morales e a quello nicaraguense, Daniel Ortega. L’alleanza “bolivariana” insomma, è pronta ad invadere il Paese centroamericano se i militari dovessero portare a termini i loro propositi.

Aulia Pohan. Ex vicegovernatore della Banca centrale, suocero del presidente: potrebbe essere la prima vittima del “nuovo corso” indonesiano

L’avvoltoio rischia di perdere le penne di Silvia Marchetti ex vice governatore della banca centrale d’Indonesia credeva di essere al di sopra della legge, ma soprattutto di qualsiasi ipotesi di corruzione. Sua figlia, dopotutto, la bellissima Annisa Larasati, è sposata niente di meno che con Agus Harimurti, il primogenito del presidente indonesiano Susilo BambangYudhoyono, l’ex generale eletto a suffragio popolare nel 2004. Ma Aulia Pohan, un avvoltoio creditizio che si è fatto le ossa durante la crisi finanziaria asiatica degli anni Novanta, pensava di essere immune anche al vento di cambiamento che da cinque anni soffia in Indonesia. Il legame di “sangue”con il suocero non è bastato infatti a risparmiargli la sentenza giudiziaria che lo vedrà scontare ben quattro anni e mezzo di galera per aver finanziato illegalmente alcuni membri del parlamento di Giacarta. Ovviamente li avrebbe corrotti con gli stessi soldi della banca centrale, ovvero quelli dello Stato.

ziario parecchia liquidità per salvare il paese dalla bancarotta. Ma molti di questi soldi, prelevati da una fondazione legata alla banca centrale (quasi 4 milioni di dollari), invece di alimentare la ripresa economica e migliorare le condizioni di vita dei cittadini finirono nelle tasche di alcuni fortunati deputati.

L’

Pohan, insieme ad altri suoi colleghi giudicati colpevoli, si ritrova così al centro di uno scandalo finanziario nazionale senza precedenti, costato alle casse pubbliche una perdita totale di circa 12,3 milioni di dollari americani, ovvero cento miliardi di rupie indonesiane. La vicenda risale a parecchi anni fa, all’epoca della crisi economica degli anni ’97-98 quando lo Stato indonesiano dovette iniettare nel circuito finan-

È al centro di uno scandalo finanziario senza precedenti, costato alle casse pubbliche circa 12,3 milioni di dollari

Pohan e i suoi collaboratori, d’intesa con l’allora governatore della banca centrale, utilizzarono quei fondi per corrompere i parlamentari e ottenere delle leggi finanziarie ad hoc che beneficiassero l’istituto e il suo esercito di avvoltoi. In aula Pohan ha affermato più volte di essere innocente, che insomma non avrebbe fatto altro che maneggiare dei fondi che gli spettava di diritto per via del suo ruolo dirigenziale. Ma i tempi sono cambiati e la Giacarta del 2009, prossima alle presidenziali di luglio, non è più quella del regime militare di Suharto. Susilo Bambang Yudhoyono, primo capo di Stato a essere eletto direttamente dal popolo, ha fatto della lotta alla corruzione il suo cavallo di battaglia per trasformare l’Indonesia in un paese moderno. Yudhoyono si ricandida per un secondo mandato all’insegna della good governance dell’arcipelago e non può certo vedersi infangato dalla sua relazione con l’ex banchiere, anche se si tratta di un parente acquisito ma pur sempre stretto.


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Istanbul liquida la proposta francese e tedesca di “partenariato speciale”

Ieri è arrivato in Myanmar l’inviato speciale Onu Gambari

Erdogan: «La Turchia non rinuncerà mai alla Ue»

Rinviato al 3 luglio l’appello di San Suu Kyi

BRUXELLES. Mentre in patria

YANGON. Ibhraim Gambari, inviato speciale delle Nazioni unite per il Myanmar, è arrivato ieri mattina a Yangon per una serie di incontri con la leadership militare birmana. Non è chiaro se Gambari vedrà anche Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione attualmente agli arresti. Sempre ieri si doveva svolgere la nuova udienza nel processo a suo carico, ma la Corte ha aggiornato la seduta al prossimo 3 luglio. In base all’esito dei colloqui fra Gambari e la giunta militare birmana, il segretario generale delle Nazioni unite Ban Ki-moon deciderà se compiere una visita ufficiale nel Paese. Egli vorrebbe esercitare pressioni sulla dittatura per ottenere il rilascio di Aung San

si trova a fare i conti con le ennesime rivelazioni su un tentato golpe militare ai danni del suo governo, a Bruxelles il primo ministro della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, assicura che il suo Paese non rinuncerà «mai» all’obiettivo di entrare nell’Unione europea. E con questo liquida le posizioni di Francia e Germania, che vorrebbero offrire ad Ankara un meno impegnativo “partenariato privilegiato”. Al tempo stesso, Erdogan respinge le critiche sulle mancate riforme in Turchia, addossando la responsabilità della lentezza dei negoziati di adesione alla titubanza dei Ventisette. «Non ci arrenderemo mai», ha dichiarato Erdogan ad una platea ristretta di giornalisti, a cui Apcom era presente. «In ogni caso saremo pazienti, faremo i nostri compiti, negozieremo sui capitoli e continueremo ad andare avanti», ha spiegato, sottolineando che «la piena adesione all’Ue rimane il nostro obiettivo strategico» e assicurando che «l’Ue sarà più forte con la Turchia al suo interno». Secondo Erdogan «non c’è alcuna pigrizia o lassismo su questo fronte da parte della popolazione o del governo turco» ed «è fuori questione per noi accettare qua-

Argentina, sconfitta annunciata per Kirchner? Domenica si vota per rinnovare parte di Camera e Senato di Paolo Della Sala

BUENOS AIRES. L’Argentina va in anticipo alle elezioni politiche di metà mandato. I sondaggi dicono che il Fronte per la Vittoria della Kirchner, erede del peronismo, dovrebbe uscire sconfitto dall’opposizione liberal-socialista Ucr. I radicali sono alleati col partito socialista e la Coaliciòn civica, e hanno leader come Ricardo Alfonsìn, figlio dell’ex presidente Raùl deceduto quest’inverno. Ai suoi funerali tutta la nazione ha omaggiato il primo presidente democratico dopo la dittatura, uno dei pochi politici non intaccato dal cancro della corruzione. Il voto di domenica rinnoverà metà della Camera dei deputati e un terzo del Senato.

Anche se si va verso il bipartitismo, in Argentina esistono 716 partiti politici, 42 dei quali operano a livello nazionale: l’ideale per perpetuare mini-caudillismi di provincia e impedire il rilancio di uno Stato che rimane con un piede nel baratro e uno nel rampantismo da nazione emergente. I problemi sono nati a fine Ottocento, con la morte in esilio del padre della costituzione Juan Bautista Alberdi. Un secolo fa l’Argentina era il secondo paese più sviluppato al mondo e i suoi operai i più pagati; nel 1928 il paese sudamericano era il dodicesimo per Pil pro capite. Alberdi comprese quale sarebbe stata la malattia nazionale: il caudillismo. Oggi l’Argentina è di nuovo in un ciclo negativo, dopo alcuni anni di crescita al 9%. Nel 2008 il Pil è calato del 13,9% mentre il tasso di disoccupazione è tornato a crescere. A Buenos Aires (14 milioni di abitanti con le periferie) si è certi che la Kirchner svaluterà il peso già nella prossima settimana, allo scopo di favorire l’export. Negli ultimi tre mesi, come conferma l’agenzia Bloomberg, i risparmiatori argentini hanno acquistato dollari per 1,3 miliardi. Roberto Lavagna, economista, ex candidato presidenziale contro la Kirchner ed ex ministro dell’economia, critica da tempo i dati economici forniti dal governo, da lui considerati falsi. Cresce anche il timore di brogli all’iraniana, smentiti dal governo. Con un quadro simile prevedere

una sconfitta per il post-peronismo al potere non è difficile. Nel 2003 Nestor Kirchner ottenne il 22,2% dei voti, mentre nelle presidenziali del 2007 la percentuale di sua moglie Cristina è salita al 45,2%, con la maggioranza assoluta in Parlamento, perché si votava anche il rinnovo del 50% dei deputati. Da allora la Kirchner è passata al turbosocialismo di Hugo Chavez, contro il moderatismo di Lula e della Bachelet in Cile. I Kirchner tentavano di proporsi come una nuova dinastia alla Peròn, nel solco delle monarchie repubblicane di Cuba, come Chavez, gli Assad o Gheddafi. Oltre alla crisi, la presidentessa subirà i riflessi negativi del finanziamento elettorale di Hugo Chavez (con una valigetta sequestrata dalla polizia nell’aeroporto di Buenos Aires). Hugo Chavez ha molti legami con l’Argentina: assunse come consigliere politico Norberto Ceresole, ex consigliere di un membro della giunta militare. Ceresole già negli anni ’80 teorizzò l’unione di esercito e popolo, l’alleanza del Sudamerica con l’Iran khomeinista, la dittatura nazistoide ricolorata di rosso. Hezbollah è un’organizzazione molto forte in Argentina, dove è stata accusata di aver organizzato l’attentato anti israeliano del 1994. Le elezioni potrebbero però svolgersi senza elettori, a causa dell’emergenza da influenza suina.

Secondo i sondaggi, il partito peronista è in svantaggio rispetto all’opposizione liberal-socialista guidata da Alfonsìn

lunque altra alternativa». Quindi «la Turchia non può accettare la posizione della Francia e della Germania». Erdogan se l’è presa anche con chi, nel corso della campagna per le elezioni europee, ha rilanciato gli slogan “turcoscettici”. «Alcuni esponenti politici hanno usato la Turchia a fini elettorali. Pensiamo che questo sia molto negativo e molto populista», ha affermato, lamentandosi del fatto che 18 dei 35 capitoli di negoziato tra Ankara e Bruxelles sono bloccati da «pretesti politici». Finora ne sono stati aperti dieci; altri otto sono congelati dal 2006 a causa della questione cipriota, mentre su altri cinque pesa il veto della Francia.

In Argentina è inverno e il Ministero della Salute ha consigliato di fare la fila all’esterno dei seggi. Il Brasile sconsiglia ai suoi cittadini di recarsi in Argentina. Ufficialmente i malati sono 1391, ma negli ultimi due giorni sono aumentati di 100 unità e sono morte cinque persone. Secondo il quotidiano La Naciòn, il 20% degli argentini è colpito da virus, tra stagionali e di tipo A. Il ministero ha allestito ambulatori e consultori di emergenza nelle strade di Buenos Aires. Con l’aria che tira voteranno in pochi. Ieri Nestor Kirchner ha chiuso la campagna elettorale nella provincia chiave di Buenos Aires, dove i sondaggi lo danno sotto di due punti.

Suu Kyi - in carcere per aver violato i termini degli arresti domiciliari - e degli altri prigionieri politici. Attivisti e organizzazioni per i diritti umani invitano il segretario generale Onu a non recarsi in Myanmar, perché un suo viaggio potrebbe essere manipolato dalla propaganda di regime. I leader del partito di opposizione, la Lega nazionale per la democrazia (Nld), sono invece favorevoli a una visita di Ban Ki-moon, il quale nei giorni scorsi aveva detto di aspettare il “momento appropriato”. Nyan Win, portavoce della Nld, afferma che il partito «sostiene e accoglie con favore una eventuale presenza del segretario generale Onu nel Paese, così come dell’inviato speciale Onu». In riferimento a Gambari, egli “spera” che possa portare a termine la sua missione in modo più efficiente, lasciando trasparire critiche sugli scarsi risultati ottenuti nei sette precedenti viaggi in Myanmar. Il tribunale di Yangon ha posticipato al 3 luglio la nuova udienza a carico di Aung San Suu Kyi, in carcere dal maggio scorso per aver violato i termini degli arresti domiciliari, ospitando nella sua abitazione l’americano John Yettaw. Accuse respinte al mittente dalla Signora, che chiarisce di aver accolto l’uomo per “motivi umanitari”.


spettacoli

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Miti infranti. La fine imprevista (e impietosa) di un uomo che amava soprattutto gli eccessi. Nella musica come nella vita

Jacko che morì due volte Dall’infanzia difficile al regno del pop. E poi una decadenza lenta e inesorabile di Roselina Salemi I suoi concerti d’addio – alla ricchezza, alla spensieratezza, alla vita, forse – avrebbero dovuto essere memorabili, ma i bookmaker inglesi accettavano scommesse sul fatto che “Jacko” non si sarebbe presentato sul palco il 13 luglio a Londra. Ci sarà un’inchiesta, naturalmente, ci saranno indiscrezioni, foto, scoop e scandali, qualcuno parlerà di suicidio, qualche altro di droga o di farmaci assassini, ci sarà il rituale spargimento di celebri lacrime, Liz Taylor lo adorava, Madonna è commossa, ma il mistero resterà, come nel caso di Elvis o di Marilyn. Nessuno potrà comprendere fino in fondo i misteri della solitudine dorata di Michael Jackson, le vere ragioni delle manie, delle ossessioni, del rifiuto si sé, del suo rincorrere l’infanzia in modi considerati illeciti. Rubava l’innocenza degli altri, perché aveva perso troppo presto la sua. E neanche i 750 milioni di album venduti potevano ricomprargliela.

con il suo corpo, pensava di avere un brutto naso, di essere goffo, sgraziato e invece, sarebbe stato il più amato di tutti, il ragazzino prodigio dalla voce acerba e indimenticabile, il ballerino capace di passi assurdi come “Moonwalk”, “la camminata sulla luna”, a metà fra una danza e l’esibizione di un mimo alla Marcel Marceu. Resta una diffusa impressione di infelicità: il padre lo maltrattava, lo star system era un ingranaggio mostruoso, ma nonostante ciò, il folletto Michael trasmetteva un’idea di leggerezza, di spensieratezza di felicità. A 11 anni aveva inventato «il ballo del Robot», a 13 cantava da solista, a 21 era già famoso: non era una bella favola?Quello che c’era dietro sarebbe emerso

Era nato il 29 agosto del ’58 nell’Indiana, in una famiglia che considerava la musica una speranza di promozione sociale. Erano i “Jackson Five” e lui era il più piccolo. Sul palcoscenico a cinque anni, a rimorchio dei fratelli, considerato poco più che un impaccio da un padre senza tenerezza, Michael era cresciuto male

poi, nella contestata intervista al giornalista inglese Martin Bashir, alla vigilia di un clamoroso processo per molestie sessuali. Michael Jackson era rimasto davvero un Peter Pan, desideroso di portare sulla terra l’Isola-che-non-c’è, e ci aveva provato con il Neverland Ranch, un misto tra zoo e luna park, un paradiso dei giochi e baraccone delle meraviglie, con qualcosa di terrificante, un’ombra nascosta, come in quei film dove il serial killer spunta fuori dalle giostre Come nei romanzi di Carlos Ruiz

Il trionfo di «Thriller» nel 1982, l’acquisto dei diritti dei Beatles, gli interventi per cambiare naso e pelle; i video più ricchi di un film e la religione del lusso. Poi le accuse di pedofilia, i debiti, i processi: l’inizio della fine

Zafon. Chiuso, ipotecato e poi venduto nel 2008 per 35 milioni di dollari, Neverland aveva dimostrato a Michael Jackson l’impossibilità di realizzare i sogni.

Ma certo, non poteva In queste pagine, alcune immagini che ricostruiscono sin dagli esordi da piccolo, la vita di Michael Jackson, la pop star americana scomparsa ieri l’altro, a cinquant’anni, dopo una lunga carriera ricca di successi, ma anche di lenti e impietosi declini

credere che la gloria, i fan, gli applausi, il tappeto rosso sul quale aveva camminato per tutta la vita battendo record (uno per tutti: Thriller del 1982, rimane l’album più venduto nella storia della musica pop) avessero come conclusione 400 milioni di dollari di debiti, unica eredità lasciata ai tre figli. Anche i famosi diritti delle canzoni dei Beatles, comprati per appena 50mila dollari (il miglior affare della sua vita) sono stati dati in garanzia per un prestito. E più delle canzoni, dei balli, della sua capacità di evocare mondi fantastici, ri-

mangono le leggende metropolitane sullo sbiancamento della pelle (era vitiligine, sosteneva lui) sulla camera iperbarica, usata per misteriose operazioni (invece era un regalo a un ospedale), sulle due operazioni al naso, le uniche ammesse, sull’ossessione per i microbi e la pulizia, sugli scherzi ai fan che ricevevano periodicamente notizie di strane malattie, quasi sempre inventate. In più, resteranno incomprensibili, i suoi amori, le sue relazioni sentimentali, sia il matrimonio con Lisa Marie Presley, durato meno di due anni e concluso con una liquidazione stramiliardaria, sia quello con l’ex infermiera personale Debora Jeanne Rowe, celebrato nel 1996. All’epoca c’era già stata la prima accusa di molestie nei confronti del piccolo Jordan Chandler, figlio di un dentista di Beverly Hills radiato dall’albo, uno scandalo costato 20 milioni di dollari: Michael voleva dimostrare che poteva avere una famiglia normale, poteva essere un buon padre. Come sempre, aveva inseguito il sogno con tenacia ed erano arrivati due figli: Prince Michael Jr. e Paris Katherine, nati, secondo i tabloid, con la fecondazione artificiale. Nel 1999 erano già pronte le carte per il secondo, costoso divorzio. Quanto al terzo figlio, Blanket, si sa pochissimo: il no-


spettacoli

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Da bambino prodigio a emblema del pop. Ma sempre un tutt’uno con la musica

Un genio (malato) che giocava col ritmo di Bruno Giurato n fondo capire davvero Michael Jackson è facile, basta un piccolo esperimento. 1) Mettere in play una delle sue canzoni che conosciamo meglio, per esempio Billie Jean, da Thriller (1982). 2) Mettersi a cantare concentrandosi un po’. Ci si accorge subito che cantare con lui è impossibile, che ogni frase anticipa e ritarda il ritmo di un soffio, che il suo modo di stare e di giocare sul tempo è inafferrabile. Poi il suo stile vocale, fatto di gemiti ritmici, centomila toni di voce diversi, tradizione schietta del r’n b reinventata con spirito urbano, sono occasioni in più di piacere per gli ascoltatori. Ma questa capacità di giocare col ritmo, quasi di prendere in giro il tempo, è la misura dei musicisti geniali. E Michael Jackson era un genio. Era un genio malato, ma proprio il suo talento è la misura di un paradosso. Michael Jackson è diventato l’emblema del postmoderno. Ha sperimentato sulla carne come volendo si possa cambiare fisionomia, con tutti quegli interventi di chirurgia estetica. Ha mostrato al mondo come si possa cancellare dal corpo la traccia dell’origine etnica, da nero diventare bianco. Dalla condizione baracconesca di bambino prodigio è passato a quella ancora più baracconesca di emblema del pop, dell’assenza di radici e di tradizione, come mostra la sua residenza di Neverland. Ha offerto al mondo una vagonata di kitsch, di trovate da addetti stampa, di inseminazioni artificiali (i vari figli avuti probabilmente a pagamento da madri diverse), di pettegolezzi sessuali. Al tempo delle sue vicende di presunta pedofilia sembrava che tutto il mondo girasse attorno alla sua pipinna. Ma il paradosso è tutto qui, Michael Jackson era un musicista autentico e colto, un ballerino altrettanto potente, un lavoratore dello spettacolo con corde vocali e adduttori straordinari. Per intenderci, non era Madonna, imprenditrice imbattibile e cantante inesistente. E nemmeno Britney Spears, inesistente in entrambi i campi (chi scrive è da tempo convinto che sulle copertine dei suoi dischi ci vorrebbero le foto del manager, dell’arrangiatore e del tecnico del suono).

I

con l’esibizione, solo trasportato nella fantasmagoria di un palco di fumi e di laser. Non una semplice esibizione di professionalità, ma un’urgenza di identificazione con l’arte. La chitarrista Jennifer Batten raccontava che Jackson sul palco chiedeva un volume altissimo, con moltissimi bassi, e che lei era costretta a suonare con i tappi alle orecchie.

Alla fine Jackson è sempre rimasto quello che era: un bellissimo saltimbanco e musicista negro, ignaro della distanza tra vita e arte, capace di fondersi con la musica come avrebbe fatto un adepto col suo totem. Nemmeno una virgola di quello che diceva o faceva era falsa. Ed era tutta verità anche il suo disco Thriller, il più venduto di tutti i tempi con centoquattro milioni di copie. Fenomeno di costume, simbolo degli anni Ottanta per il video con gli zombie diretto da John Landis, a riascoltarlo dopo tanto tempo fa un effetto imprevisto. Dall’apertura di Wanna be startin something, che si porta dietro un’eccitazione strana, da coro di strada mischiato con un canto africano, a Human Nature, dalla già citata Billie Jean a Beat it con quell’entrata pazza di chitarra registrata in pochi miunti da Eddie Van Halen, ci si rende conto di trovarsi ancora davanti a grande musica. Non è schiuma di star, è un classico. Ed è un peccato che abbiano fotografato il corpo morto di Michael Jackson, sarebbe stato meglio non avere immagini del cadavere, sarebbero fiorite leggende come quella su Elvis Presley e su Jim Morrison, qualcuno avrebbe giurato di averlo visto vivo. Quancun altro avrebbe detto che sta su un’isola. In fondo le leggende non sono il sigillo di pazzia dei fan. Sono il certificato di sana e robusta costituzione dei miti.

Non una virgola di quello che diceva o faceva era falsa. Ed era tutta verità anche il suo disco “Thriller”, il più venduto di tutti i tempi con 104 milioni di copie

me della madre è sepolto sotto un quintale di documenti e clausole di riservatezza.

Nel frattempo la situazione finanziaria stava diventando complicata. Il re del Pop, con uno staff elefantiaco e un’infantile noncuranza nei confronti del denaro: spendeva 30 milioni di dollari all’anno più di quello che guadagnava, era capace di farne sparire un milione, in un solo giorno, in un qualsiasi centro commerciale. E poi Neverland, i medici, gli avvocati. Il tramonto vero e proprio era cominciato lentamente, ed era stato inesorabile. Ma senza il documentario di Bashir, Living with Michael Jackson (girato nell’arco di otto mesi, dalla metà del 2002, al gennaio del 2003), la stella si sarebbe spenta con più dolcezza. Il montag-

gio, invece, era spietato. Un Peter Pan mutante parlava dei bambini ospitati nel suo letto (ma solo per dormire), dell’energia e dell’ispirazione che gli veniva da loro, mostrava i suoi figli con il volto coperto da una maschera. Dopo l’uscita del documentario, la famiglia di Garvin Arizo, il ragazzino visto spesso accanto a Michael Jackson e ospitato a Neverland, aveva pensato bene di discutere la questione in tribunale. I media si erano scatenati, Jackson aveva pubblicato un’altra versione del documentario, senza tagli, senza commenti, il processo si era concluso con un’assoluzione. Qualcosa, però, si era spezzato. Alla fine, davanti allo specchio, il “Re del Pop”, con la corona di traverso, deve essersi chiesto se valeva la pena di sopravvivere al proprio mito. Forse, si è risposto di no.

Michael Jackson era uno della vecchia scuola delle arti e mestieri che è diventato l’emblema della plastica e del nulla. Anche chi non ascolta musica resta colpito dal Moonwalk, il passo di danza che sembra lo faccia camminare all’indietro, nato su influenza dell’attore e mimo francese Marcel Marceau. E anche la corsa all’impossibile di Jackson ballerino è un sigillo di tradizione, una trovata a metà tra il saltimbanco e Jimi Hendrix che suonava la Fender con i denti, uno dei trucchi del performer di strada che deve fare giornata


cultura

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el 1482 il navigatore portoghese Diogo Cão, bordeggiando con la sua piccola caravella lungo le coste atlantiche dell’Africa, riconobbe la foce di un fiume più grande di qualsiasi altro scoperto fino a quel momento. Cercando di entrare nella foce si trovò a dover superare una corrente che spingeva verso il mare con una potenza di otto nodi. Trovati degli indigeni, chiese loro del fiume e come si chiamasse. Questi, i BaKongo, risposero che nella loro lingua KiKongo, era detto nzere e nzadi, «il fiume che inghiotte tutti i fiumi». Il re della loro tribù MbanzaKongo si chiamava ManiKongo. Da allora con il nome Kongo si intese il fiume, la regione e la lingua.

N

Fiume di sangue. Un viaggio nel cuore infranto dell’Africa (Corbaccio editore) è l’incredibile e avvincente storia del viaggio di Tim Butcher attraverso il continente africano sulle orme della famosa spedizione di Henry Morton Stanley del 1874. Nel 2000 il Daily Telegraph invia come corrispondente in Africa il giornalista Butcher. Negli anni intorno al 1870 un altro corrispondente dello stesso giornale in Africa, Henry M. Stanley, aveva legato per sempre, con le sue storiche imprese, il suo nome al Congo. Dopo lo scoop giornalistico del ritrovamento dell’esploratore Livingstone nel piccolo villaggio sulla riva orientale del lago Tanganica nel 1871, Stanley, finanziato con seimila sterline dal Daily Telegraph, si offrì di completare la mappatura del fiume Congo e dell’Africa, il cui“cuore”all’epoca era del tutto sconosciuto. Gli esploratori vittoriani, che partivano dalle coste orientali africane vicine a Zanzibar, lambite dall’Oceano Indiano, erano arrivati a sfiorare appena il bacino di un grande fiume che scorreva dirigendosi verso nord. Non si erano resi conto che non era un affluente del Nilo, bensì il fiume Congo, il quale, grazie alle mappe portoghesi, si sapeva che sfociava nell’Oceano Atlantico. Una seconda concomitanza legava la vita di Butcher all’Africa: la madre gli aveva raccontato, fin da quando era piccolo, del viaggio che lei stessa aveva fatto con una amica negli anni Cinquanta sul fiume Congo: per inseguire un amore contrastato dalla famiglia e per sfuggire ad una madre oppressiva aveva deciso per un viaggio avventuroso nel cuore del Continente Nero, partendo da Città del Capo, in Sudafrica, attraverso Salisbury, l’allora capitale della Rhodesia, per terminare in battello a vapo-

In basso, la copertina del libro “Fiume di sangue. Un viaggio nel cuore infranto dell’Africa” di Tim Butcher. A fianco, un disegno di Michelangelo Pace

Libri. L’affascinante viaggio di Tim Butcher sulle tracce di Henry Stanley

Il cronista che fece l’impresa. In Congo di Dianora Citi re sul fiume Congo. Le due coincidenze, Stanley/Daily Telegraph e la madre, cominciano a alimentare una passione e un mito nella mente di Butcher: ripetere oggi il viaggio di oltre 2.500 chilometri fatto da Stanley, seguendo la rotta originale dell’esploratore, in parte sulla terraferma e in parte navigando il fiume, passando dalle città viste sulle cartoline

fascino e forti sentimenti, avvilito nei secoli dalla tratta degli schiavi, dallo sfruttamento economico del colonizzatori, dagli eccessi apocalittici dei moderni dittatori politici, una nazione in cui le normali regole di sviluppo non sono valide e il progresso non riesce ad attecchire. Attraversato dal fiume che simboleggia l’Africa come continente mancato. Il piano, che Tim espone nella ricerca di contatti e informazioni, è più volte defini-

mai incontrato nessuno che sia venuto qui solo per amore della storia. La storia è un lusso che la gente non si può permettere da queste parti: qui la cosa più pressante è da dove tirare fuori il prossimo pasto o il prossimo sorso di acqua potabile». Già negli anni ’60 un giornalista televisivo americano aveva tentato una identica impresa ma era stato bloccato dalla guerra in corso, dalle ribellioni che scoppiavano di continuo e da grossi

Partì da solo il 19 agosto 2004 con uno zaino pieno di vestiti, lenzuola e zanzariera, quaderni di appunti, macchina fotografica, pc e telefono satellitare; i soldi nascosti nelle scarpe e un unico libro... anni Cinquanta raccolte dalla madre. Fin dalla nomina a corrispondente in Africa, a Johannesburg Tim inizia a documentarsi in modo approfondito sulla storia del Congo Belga e della sua tormentata storia politica degli ultimi decenni come Repubblica Democratica del Congo: l’Africa più nera, il cuore di un continente che ha sempre suscitato

to “suicida”, ma il giudizion non lo spaventa. Si procura anche una lettera che porta con sé nello zaino, scritta dall’ambasciatore congolese in Sudafrica e indirizzata «A chi di competenza», che lo presenta come uno scrittore intenzionato a ripetere lo storico cammino di Stanley. L’opposizione che incontra è dura. «Così sei tu quel pazzo che ha intenzione di seguire il percorso di Stanley […]. Non ho

problemi logistici. A quattro decenni dal suo fallimento ogni elemento di un viaggio attraverso il Congo si era fatto ancora più arduo. Per 3 anni e mezzo Butcher riempie le pareti di casa con cartine e foto del Congo, alla ricerca di una corrispondenza tra i nomi della spedizione di Stanley, quelli coloniali e quelli odierni. Analogamente, lo studio geografico del terreno, delle strade, dei sentieri, delle

ferrovie, continua con l’acquisto di ogni possibile libro riguardante aspetti del Congo: attività mineraria e storia delle missioni, testimonianze di viaggi e cronache delle rivolte, baedeker coloniali o manifesti di propaganda belga. Chiunque abbia fatto un viaggio attraverso lo stesso territorio o possa fornire una qualche notizia dei luoghi viene contattato da Butcher: esploratori africani o missionari religiosi, funzionari delle Nazioni Unite o leader politici scappati dai regimi dittatoriali o rappresentanti dei ribelli antigovernativi. Poi decide. «Gli scalatori parlano di due tipi di pericolo: quello soggettivo e quello oggettivo […]. Al mio lavoro di giornalista applico le stesse regole […].Verso la metà del 2004 [per] il mio progetto per attraversare il Congo […] avevo fatto di tutto per raccogliere consigli e informazioni […]. Il mio quaderno d’appunti era pieno di contatti […] non c’era niente altro che potessi ragionevolmente fare. Se davvero volevo attraversare il Congo, dovevo andarci e provare». Stanley partì il 17 novembre 1874 con 3 soli assistenti“bianchi”, 5 cani e 352 portatori, tra addetti alle vettovaglie e addetti alla barca smontabile, Lady Alice. La colonna era lunga più di un chilometro.

Arrivò a Boma il 9 agosto 1877, dopo 999 giorni con 115 tra uomini, donne e bambini. I 3 bianchi non erano tra i sopravvissuti. Tim parte da solo il 19 agosto 2004 con uno zaino in spalla, pieno di vestiti, lenzuola e zanzariera, quaderni di appunti, macchina fotografica, computer e telefono satellitare; ha i soldi nascosti nelle scarpe e un unico libro, il racconto di Stanley Attraverso il continente nero. Arriva a Boma dopo 44 giorni. Ha viaggiato, in solitudine o con occasionali compagni, in bicicletta, motocicletta, barca, canoa, macchina, jeep, elicottero. I luoghi, i paesaggi, la foresta, i villaggi con le capanne dal tetto di paglia, i fumi dei fuochi per cucinare, le canoe ben ancorate lungo la riva del fiume, tutto è esattamente come descritto da Stanley. Gli indigeni, i mai-mai, sono i moderni discendenti degli indigeni africani incontrati alla fine dell’’800, «indossavano le stesse collane di piume, ossa e feticci descritti» dall’esploratore ottocentesco. Il racconto della luce sul fiume, delle notti nella foresta e dell’emozione dell’arrivo a Boma sono la più bella dichiarazione d’amore per un paese bellissimo e impossibile.


cultura

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Ritratti. Viaggio “acquatico” nel favoloso mondo di Folco Quilici. Che oggi, sulla terra, riceve il Premio AcquiAmbiente alla carriera

Il «cittadino» degli oceani di Mario Bernardi Guardi

el settembre 2008 gli è stato consegnato dal ministro della Cultura Sandro Bondi il Premio “La Navicella d’Oro”, conferitogli dalla Società Geografica Italiana. Un riconoscimento tributato non solo al viaggiatore, all’esploratore, a un uomo di cinema che da cinquantacinque anni ci porta in giro per il mondo facendoci scoprire e gustare la straordinaria ricchezza dei suoi paesaggi, ma anche al difensore della natura, convinto che Gaia (Gea, la nostra Madre Terra) può riscattarsi soltanto attraverso un nuovo umanesimo, se preferite, attraverso un’ecologia dell’uomo e dell’ambiente, che significhi custodia della tradizione e rispetto dell’identità.

Mare tello), Fratello (1974,Primo Premio al Festival Internazionale del Cinema Marino di Cartagena), Cacciatori di Navi (1991, Premio Umbria Fiction). Ma la vocazione di Quilici al cinema culturale, al documento, alla testimonianza nel segno dell’attualità ha percorso le più svariate strade: si pensi ai tre film dedicati all’alluvione di Firenze (I Mille giorni di Firenze, 1970), ai quattordici film de L’Italia dal Cielo cui collaborarono, nei primi anni Settanta, Calvino, Sciascia, Silone, Praz, Piovene, Comisso; ai tredici film della serie Mediterraneo e agli otto de L’Uomo europeo che, negli anni Ottanta, videro a fianco del regista lo storico Ferdinand Braudel e l’antropologo Levi Strauss; alle due serie dedicate all’archeologia subacquea realizzate, alla fine di quel decennio, con l’archeologo Sabatino Moscati. E c’è un’intensissima produzione televisiva (ci limitiamo a ricordare la rubrica Geo, diretta e curata su Rai Tre dal 1971 al 1989) e letteraria, dove si spazia dalla geografia alla storia, dall’arte alla biografia, dai diari di viaggio alla narrativa.

N

Una vocazione, quella di Folco Quilici, che oggi riceve un nuovo, significativo attestato ad Acqui Terme: il Premio alla Carriera intitolato a Ken Saro Wiwa, l’intellettuale nigeriano che nel 1995 fu condannato a morte dalle autorità del suo Paese per l’impegno profuso in difesa del diritto dell’Uomo all’Ambiente. Quale delitto aveva commesso Ken Saro Wiwa? Si era battuto in difesa della etnia Ogoni, un tempo dedita alla caccia e alla pesca, e costretta all’emigrazione e alla miseria per l’inquinamento del territorio ad opera della Shell. Insomma Wiwa si era battuto contro il “progresso”, contro la politica del suo governo, contro lo sfruttamento industriale ad opera delle grandi potenze. “Doveva” morire in quella lotta perduta in partenza? Se esiste un Premio AcquiAmbiente che si fregia del nome dello scrittore nigeriano, evidentemente non è così. In ogni caso, Folco Quilici, nato a Ferrara nel 1930 da Nello Quilici, storico, giornalista e fraterno amico di Italo Balbo, e da Mimì Bozzacchi, pittrice, continua nel suo impegno militante. Ricevendo un’attenzione sempre più alta, va detto, da parte della cultura internazionale, se consideriamo che nel 2006, grazie ai suoi film e ai suoi libri, la rivista Forbes lo ha inserito tra le cento firme più influenti del mondo. Ne è passato di tempo dal 1954 e cioè da quando Quilici presentò alla Mostra di Venezia

Sopra e sotto, alcune immagini del famoso film-documentario di Folco Quilici “Sesto continente”. A fianco, una recente immagine del regista. In basso, Mario Tozzi, anche lui premiato ad Acqui Terme per il volume “Gaia, un solo pianeta. Quale futuro ci attende? I dati e le risposte possibili”

(ottenendo un Premio Speciale) Sesto Continente, il suo primo film dedicato al rapporto tra uomo e mare. Il regista aveva allora ventiquattro anni, ma ne aveva ventuno quando aveva cominciato a girarlo.

Il film fu applaudito dalla critica e il pubblico fu incantato da quel viaggio subacqueo che era una festa di immagini ignote, di forme e colori arcani e inattesi. Dunque, la natura era capace di tanta bellezza e la realtà poteva gareggiare con la fantasia quanto a meraviglie e misteri? Proprio così e il “discorso” del Quilici navigatore sarebbe proseguito con altre

Il riconoscimento è intitolato a Ken Saro Wiwa, intellettuale nigeriano giustiziato nel ’95 per l’impegno profuso in difesa del diritto dell’Uomo all’Ambiente pellicole tutte aureolate dal successo: Tikoyo e il suo pescecane (1961, Premio Unisco per la Cultura), Oceano (1971, Premio Speciale Festival di Taormina e Premio David di Dona-

Un uomo vivace, vitale e curioso della vita, Quilici. E instancabile nella sua “cerca” delle meraviglie del mondo. E della nostra Italia, ovviamente. «Ci sono un’infinità di piccoli borghi da scoprire», mi disse qualche tempo fa, «e sto pensando a una serie di appuntamenti televisivi che raccontino la nostra geografia più profonda e sconosciuta». Ma non basta. Folco Quilici, che già si è occupato del padre in Tobruk 1940 pubblicato da Mondadori, ha intenzione di ritornare sull’argomento con un film. Racconterà delle novità a proposito di quel tragico incidente (il trimotore su cui Balbo e Quilici viaggiavano e che mentre tornava da una ricognizione in territorio egiziano fu abbattuto per errore dalla contraerea dell’incrociatore italiano San Giorgio il 28 giugno 1940)? L’esploratore delle più svariate geografie si accinge a ri-esplorare la storia? Bocca cucita per adesso, ma chissà…


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dal “South China Morning Post” del 26/06/2009

La droga val bene una forca di Milabel Cristobal ltre dieci anni fa, per rispondere al crescente problema della droga nel mondo, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha invitato i suoi membri a fare qualcosa per ridurre sia la fornitura internazionale che la richiesta di droga nel pianeta. La Dichiarazione della Sessione speciale sulle droghe dell’Assemblea Onu riconosceva non soltanto i gravi effetti dell’uso illecito di droghe, ma anche la necessità che gli Stati rispondessero alle sfide poste dall’uso di stupefacenti. In piena conformità, però, con il diritto internazionale e soprattutto nel pieno rispetto dei diritti umani sanciti proprio dal Palazzo di vetro. Oggi [ieri per chi legge, ndr] è la Giornata internazionale contro l’abuso di droga e il traffico illecito di stupefacenti, una possibilità per celebrare i progressi fatti nel campo del controllo delle droghe e del rispetto dei diritti umani in Asia nei dieci anni trascorsi da quando la dichiarazione è stata emessa. Sedici nazioni asiatiche applicano, per combattere i crimini connessi alla droga, la pena di morte. Dato che molte delle nazioni regionali non forniscono informazioni relative alla pena di morte sul loro territorio, è impossibile calcolare quante siano le sentenze emesse e applicate che siano relative al consumo o allo smercio di sostanze stupefacenti. Eppure, alcuni rapporti provenienti da nazioni come l’Indonesia, la Malaysia, la Thailandia e Singapore lasciano intendere che siano molte, in proporzione, le sentenze di questo tipo. Alcune nazioni, come la Cina e l’Indonesia, festeggiano il 26 giugno proprio con delle esecuzioni, il più delle volte pubbliche per scoraggiare nuovi criminali. Eppure, non ci sono indicazioni che mettano in relazione la minaccia o l’uso della pena di morte a una diminuzione del traffico

O

di droga nella regione asiatica. I meccanismi collegati alle Nazioni Unite che si occupano di diritti umani hanno concluso che comminare la pena di morte per crimini collegati alla droga non rientra nella nozione di “crimini più gravi”, quelli che l’Onu permette di punire con la forca. Quelli, infatti, sono quegli atti «che intenzionalmente cercano di uccidere e provocano in effetti lo scopo preciso». Soltanto per punire atti del genere è permesso l’uso - come “misura eccezionale” - l’uso della pena di morte. Le sentenze capitali, inoltre, sono spesso emesse nel corso di procedimenti legali non giusti, che prevedono l’uso della tortura e confessioni poco pulite. Questo modo di fare si verifica in Brunei, India, Laos, Singapore e Malaysia: nazioni che lasciano il potere giudiziario libero di muoversi come meglio crede. Ma sentenze di questo genere violano anche gli standard internazionali sulla correttezza dei procedimenti giuridici.

Le confessioni che vengono spesso ottenute con la coercizione e la tortura formano infatti la base giuridica di verdetti di morte e esecuzioni. La competente assistenza legale non è disponibile per moltissimi avvocati della difesa, in particolar modo per coloro che difendono gli spacciatori o i consumatori di droga. Questo modo di fare, questo atteggiamento nei confronti dei reati collegati alla droga, bloccano di fatto i programmi di sanità pubblica che cercano di limitare i pesanti danni connessi all’uso delle droghe. Cina, Malaysia e Vietnam hanno da poco lanciato e messo in atto dei programmi governativi che cerano di limitare la diffusione di Hiv, epatite C e molti altri mali legati all’abuso di

stupefacenti. Ma punizioni eccessive e leggi spesso repressive, messe in atto senza alcuna collaborazione con la sanità, allontanano di fatto coloro che dovrebbero usufruire di questi programmi e li lasciano nei mondi illegali che già frequentavano.

La pena di morte non soltanto viola il diritto a vivere di chi viene condannato da un giudice, ma blocca di fatto i tentativi di limitare i danni sociali e sanitari di questo mercato. Per festeggiare la Giornata contro le droghe, ci dobbiamo appellare ai governi asiatici affinché cambino questo atteggiamento. Prima che sia troppo tardi.

L’IMMAGINE

A.A.A. Si richiede collaborazione a “liberal” per la conoscenza dei problemi dei lettori Egregio Direttore, come probabilmente Lei saprà sono stato nominato ufficialmente presidente dell’Ufficio nazionale del Difensore Civico del Popolo della libertà. La mia attività prenderà il via nel prossimo mese di luglio ed avrà come scopo soprattutto la tutela del cittadino, della famiglia, dell’azienda, nonché degli enti pubblici minori nei confronti soprattutto della burocrazia, nonché delle disfunzioni dell’apparato pubblico. Poiché sono da tempo attento lettore del Suo giornale, e non è mancata l’occasione per attingere notizie utili al mio “impegno storico”, avrei piacere di poter ricevere dalla Sua redazione notizie relative a problemi che i vostri lettori segnalano con maggior frequenza. Ciò per ricavare elementi utili a quella che potrà diventare una significativa battaglia civile. Sono in corso preparativi per una sede romana: per intanto la stessa rimane per qualche mese in quel di Mondovì (Cuneo),Via Francesco Gallo, 2.

On. Raffaele Costa

Caro onorevole Costa, tantissimi auguri intanto per il suo nuovo impegno, cui siamo certi adempirà con lo scrupolo che tutti le riconoscono. Conti fin da subito sulla nostra collaborazione.

ADMO, DONATORI DI VITA Ho saputo che ci sono molti sportivi, grandi campioni, splendidi nomi negli albi d’oro delle Olimpiadi, come Federica Pellegrini. Sono atleti ancora in attività: alcuni di loro hanno già effettuato una donazione di midollo osseo e poi sono tornati alla loro normale attività. Ma tutti gli altri sono pronti a rispondere nel momento in cui dovessero ricevere la richiesta di presentarsi in ospedale per donare il loro midollo osseo, poiché - in qualche parte del mondo - c’è qualcuno che sta aspettando di ricevere proprio le sue cellule staminali emopoietiche. La peculiarità distintiva dei testimonial Admo consiste nel fatto che ognuno di loro, prima di diventare perso-

naggio-immagine di Admo, viene tipizzato, per entrare così nel registro italiano donatori midollo osseo. Il testimonial Admo è dunque un donatore che molto può fare, in termini di comunicazione di sé e dunque del progetto Admo per incentivare la donazione di midollo osseo. Donazione che a tutt’oggi vede confondere il midollo osseo con il midollo spinale e pensare a un atto in qualche modo invalidante per il donatore.

Loredana Ranni

LA PORTA CHE NON SI SBATTE La logica del compromesso che facilita il silenzio degli abusi e delle gestioni facili, impera nel nostro Mezzogiorno e lo dimostra la for-

Inferno in terra Caldo torrido e vapori puzzolenti… Non siamo all’inferno ma poco ci manca! Vicino alla caldera vulcanica di Dallol, in Etiopia, si trova infatti un’area desertica dove il termometro arriva a sfiorare i + 60 gradi. Non ci sono pastori e beduini, l’unica attività è quella di geyser e fumarole. E proprio i loro vapori sulfurei, mischiandosi ai depositi salini della zona formano queste curiose incrostazioni

za con la quale l’amministrazione della regione Campania e il primo cittadino della città partenopea hanno il coraggio di restare incollati alle proprie poltrone e, addirittura, di volersi ricandidare per le regionali del 2010.

Giacomo Del Prete

LA SCUOLA CAMBIA VOLTO Anche la scuola cambia volto e il decreto Gelmini è il modo mi-

gliore per adeguarsi, come da più parti si sta riconoscendo. Abbiamo davanti una scuola multietnica, con programmi da svernare, con una vecchia concezione dell’istituzione scolastica che risente troppo dell’influenza della cultura di sinistra che ha comandato forse addirittura dal dopoguerra, testi mirati e una svogliatezza diffusa della presente generazione,

verso la quale non si deve fare l’errore di ritenerla peggiore delle precedenti, ma si deve necessariamente registrare quel senso diffuso di melanconia, di depressione che esiste nei giovani, che spesso finisce per ritorcersi contro se stessi. L’educatore deve essere quel padre che spesso non si ha la possibilità di incontrare.

Barbara Russo


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dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Giocondo nonostante tutto

CHE COS’È LA DEMOCRAZIA LIBERALE Ho aderito ai Circoli perché credo che vi sia continuità tra laicità e cristianesimo mentre ultimamente politici e mass media stanno sostenendo una dicotomia tra laici e cristiani, con un pregiudizio che vede la democrazia e il liberalismo come accettazione di tutti i punti di vista come ugualmente veri, mentre chi sostiene il valore della verità contro il relativismo è considerato un talebano. La democrazia liberale è invece la possibilità di sostenere la verità quando chi sta al potere impone di credere a menzogne. Emanuele Maldotti C O O R D I N A T O R E GI O V A N I LI B E R A L CR E M O N A

Vado convincendomi di essere molto più forte di quanto mai potessi credere, perché a differenza di tutti me la sono cavata con la semplice stanchezza. Ti assicuro che, eccettuate alcune pochissime ore di tetraggine una sera che hanno tolto la luce dalle nostre celle, sono sempre stato allegrissimo; lo spiritello che mi porta a cogliere il lato comico e caricaturale di tutte le scene era sempre attivo in me e mi ha mantenuto giocondo nonostante tutto. Ho letto sempre, o quasi, riviste illustrate e giornali sportivi e mi stavo rifacendo una biblioteca. Qui ho stabilito questo programma: 1° star bene per stare sempre meglio di salute; 2° studiare la lingua tedesca e russa con metodo e continuità; 3° studiare economia e storia. Tra noi faremo della ginnastica razionale. È necessario che in questi primi giorni, fino a sistemazione ultimata, ti dia degli incarichi di lavoro.Vorrei avere un sacco da viaggio che sia però sicuro come serratura o lucchetto: è migliore di ogni valigia o cassetta, nell’ipotesi di ulteriori miei movimenti nelle isole o verso la terra ferma. Così avrei bisogno di tutte quelle piccole cose, come il rasoio di sicurezza con lamette di ricambio, le forbicine per le unghie, la limetta. Vorrei anche qualche tubetto di aspirina. Antonio Gramsci a Tatiana

ACCADDE OGGI

DOVE SONO LE RISORSE? La Costituzione è sottaciuta quando fa comodo. Secondo l’art. 81, c. 4, la “legge che importi nuove e maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”. Per analogia e correttezza, coloro che predicano ripetutamente carità – nonché generosità, ospitalità e accoglienza senza limiti – devono precisare dove reperire le risorse occorrenti. L’Italia non le ha: è sovrappopolata, inquinata e gravata da crisi economica, pressione fiscale punitiva ed eccezionale debito pubblico (30.000 euro per ogni cittadino, bimbi compresi). Sorge la domanda se il Vaticano e la Chiesa vogliano coerentemente donare ai poveri i loro enormi e molteplici tesori, immobili, introiti, agevolazioni tributarie ecc.

Gianfranco Nìbale

AFGHANISTAN: COSA FARE Lo spiraglio per una cordiale collaborazione tra il nostro premier e Barak Obama si è aperto all’insegna dell’invio di un numero maggiore di uomini in Afghanistan, e su questo nulla da dire, visto che certe operazioni si sono spostate nettamente dall’Iraq a questa zona. Non si dovrebbero però nel contempo rafforzare l’equipaggiamento e le regole, di modo che i nostri militari si possano difendere dai talebani prima di essere trucidati, e poi definiti eroi? I precedenti governi hanno distrutto il valore dei nostri ragazzi, dimenticando che in certe condizioni non possono neanche usare le armi in modo responsabile. Non si tratta di mettersi in condizioni di assetto di

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)

27 giugno

PERCHÉ I LIBERAL, PERCHÉ L’EUROPA Perché i Liberal: perché destra e sinistra afferiscono a due sistemi economici che non possono esistere più, il comunismo è finito nel 1989, il capitalismo puro è fallito nel 1929 e nel 2008. L’unica via possibile è un sistema economico misto sostenuto dai valori umani e dall’attenzione a creare un futuro. Perché l’Europa: perché il livello europeo è sottovalutato, non percepito, ma in realtà molto pre-

guerra, ma evitare che ci sia quell’incertezza che induce a commettere errori, a volte anche terribili.

Carmelo Bini

1898 Joshua Slocum completa la prima circumnavigazione in solitario del globo 1905 Ammutinamento dell’equipaggio della corazzata Potëmkin 1917 La Grecia interviene nella Prima guerra mondiale 1950 Gli Usa decidono l’invio di truppe in Corea 1950 Viene giustiziata a Praga, Milada Horáková, oppositrice del regime comunista cecoslovacco 1954 La prima centrale nucleotermoelettrica del mondo viene messa in funzione a Obninsk 1957 L’uragano Audrey uccide 500 persone in Louisiana e Texas 1967 Il primo bancomat viene installato a Enfield Town, Londra, presso la Barclays Bank 1969 A New York avvengono una serie di manifestazioni di omosessuali, chiamate Moti di Stonewall 1977 La Francia garantisce l’indipendenza a Gibuti 1984 Pierre Elliott Trudeau vince il Premio Albert Einstein per la pace

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

BIGENITORIALITÀ E DIRITTI La paternità e l’infanzia trovano maggiore tutela e rispetto in una società più civile ed evoluta come dimostra questa sperimentazione al carcere di opera attuata anche in altri penitenziari. Finalmente come per le madri anche ai padri viene concesso di passare miglior tempo con i figli, una discriminazione sessuale in meno ed un diritto in più per i figli alla bigenitorialità e di mantenere comunque un rapporto anche col padre in caso di problemi con la legge.

Fabio Barzagli

PARASSITISMO NON È UMANITARISMO Eguaglianza, umanitarismo, e comunione dei beni rischiano d’essere maschere benigne, celanti parassitismo. Il parassita pretende la condivisione di diritti, ma scarica i correlativi doveri sul groppone altrui. Si condanna sempre la disuguaglianza fra ricco e povero, mai quella tra operoso e sfaticato. Il coniuge che voglia solo divertirsi potrebbe gravare parassitariamente sull’altro, impegnato in duro lavoro. Il silente contadino, l’operaio e l’artigiano producono concreta ricchezza con trasformazione materiale: sono quindi impliciti solidaristi fattuali. Ci sono coloro che pagano le imposte e quelli che le ricevono e vivono di esse.

G . N.

Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Filippo La Porta, Maria Maggiore,

Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio

Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,

Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,

sente nella nostra quotidianità, occorre affrontarlo preparati per ricavarci un nostro spazio adatto al nostro spessore culturale e alle nostre capacità, impostando per i nostri figli un sistema aperto sul futuro. I nostri imprenditori hanno solo bisogno di riferimenti e norme chiare e leggi che non abbiano bisogno dell’esperto per essere attuate, così la creatività italiana potrà avere un grande spazio in Europa. Da qualche anno finalmente il Parlamento europeo ha un potere di codecisione con il Consiglio dei Ministri europeo (unico titolare finora del potere legislativo), abbiamo anche la nuova entrata di molti Paesi e una forte coalizione interna dei vecchi (vedi Germania, dove i due schieramenti si sono coalizzati e fanno fronte comune ottenendo l’ubicazione della banca centrale europea sul proprio territorio, condizioni di calcolo dei deputati siffatte per cui hanno 99 seggi, il numero più alto e tutta la siderurgia europea). Nei prossimi anni si decideranno modalità e ruoli nell’interazione fra i Paesi. Occorre che i nostri deputati (diminuiti a 72/75) siano preparati e consapevoli per gestire questo momento delicato e importante. Marina Rossi C O O R D I N A T R I C E CI R C O L I LI B E R A L CI T T À D I MI L A N O

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



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