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Futuro. Quel periodo di tempo
di e h c a n cro
in cui i nostri affari prosperano, i nostri amici sono sinceri e la nostra felicità è assicurata
9 771827 881004
Ambrose Gwinnett Bierce di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • VENERDÌ 10 LUGLIO 2009
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Grande successo dello sciopero generale: ogni notte canti di protesta contro il regime
COME USCIRE DALL’IMPOTENZA DEI VERTICI
A Teheran la rivolta continua. Mentre il mondo ha chiuso gli occhi
Un governo mondiale?
di Michael Leeden orse costituirà una svolta, o forse no. Ieri era l’anniversario del massacro degli studenti iraniani di dieci anni fa, quando osarono sfidare i loro oppressori invocando la libertà. Sono senz’altro in molti, in tutto il mondo, a finire per esprimere il proprio disprezzo per il regime di Teheran. Non riuscirò ad enumerarli tutti, ma sono davvero in molti, da L’Aia a Vienna, Roma e Parigi, da Washington a New York, Irvine e Santa Monica, da Seattle ad Amburgo… e non solo. Anche all’interno dello stesso Iran, gli oppositori del regime hanno chiesto la «più ampia partecipazione», assolutamente silenziosa, senza manifesti o striscioni: solo silenzio. Che farebbe da contrappunto ai canti notturni provenienti dalle sommità degli edifici e dalle prigioni del Paese. Canti le cui parole invocano «Morte al dittatore».
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Pechino rifiuta l’accordo sul clima. L’Onu protesta: «Misure insufficienti». Cresce l’esigenza di decisioni comuni sul futuro del pianeta ma gli attuali summit non bastano…
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Il Senato approva definitivamente il nucleare, a Civitavecchia operai contro Greenpeace
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Verdi vs. tute blu, la sinistra si fa male
Il dibattito sulla “Caritas in Veritate” «Splendida l’Enciclica di Ratzinger ma non affronta le radici della crisi del sistema economico»
di Carlo Lottieri
Ma io preferivo la Centesimus Annus
roprio mentre al Senato veniva definitivamente approvata la nuova normativa in materia di energia nucleare (ventidue anni dopo il referendum che aveva portato al blocco di tutte le centrali italiane), ieri è si tornato a polemizzare a Civitavecchia, dove operai e sindacalisti si stanno scontrando sulla decisione di incrementare la produzione di energia elettrica tramite il carbone. Al di là del caso specifico, quello che si profila è un conflitto sociale nuovo e dai contorni in qualche modo sorprendenti, che potrebbe giocare un ruolo non secondario nei conflitti interni allo schieramento progressista e che obbligherà tutti, quali che siano le etichette partitiche, a riflettere in modo nuovo sul futuro del sistema produttivo italiano. Per certi aspetti, gli scontri che hanno visto opporsi gli operai laziali e Greenpeace sono molto rappresentativi della società odierna e della sua cultura: un complesso di convinzioni, di interessi e valori che la crisi ha profondamente rivoluzionato. Mentre da anni eravamo abituati a vedere sindacalismo ed ecologismo quali componenti perfettamente compatibili di una cultura politica latamente progressista, oggi qualche nodo antico viene al pettine.
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di Michael Novak ubito dopo il Concilio Vaticano II, il cardinale Ratzinger insieme ad altri fondava la scuola di pensiero “Teologia della Comunione”. La vita spirituale di Dio rivelato è la comunione delle persone e lo stesso dovrebbe valere per la vita spirituale di ciascuna immagine di Dio, quindi di ogni persona umana. Perciò, i quattro principi fondamentali della nuova Enciclica Caritas in Veritate sono la comunione, il dono, la caritas e la verità. Si tratta indubbiamente della più teologica e più marcatamente cattolica di tutte le encicliche sociali dal 1891.
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segue a pagina 21 seg1,00 ue a (10,00 pagina 9CON EURO
I QUADERNI)
• ANNO XIV •
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WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Summit/1. Dietro le dichiarazioni di facciata, il vertice dell’Aquila è ingessato dall’impossibilità di mediazioni e compensazioni
Governo mondiale cercasi
Tutti avvertono l’esigenza di decisioni comuni per il pianeta. Ma non hanno gli strumenti giusti: quale autorità chiede l’era globale? di Errico Novi
ROMA. Non c’è occasione migliore per apprezzare l’eterno conflitto tra aspettative e realtà. Niente è più utile del G8 per immergersi in questa contraddizione, anche all’Aquila. A fronte di una straordinaria intensità di confronti, svolti al più altro livello politico possibile e sui principali dossier, scarseggia la concretezza degli esiti. Ne sono prova le obiezioni del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon sulle politiche concordate per il clima e da lui giudicate «insufficienti», o la preoccupazione subito espressa dai rappresentanti del Wwf sullo stesso tema, o ancora la dura protesta che arriva dalla Campagna del millennio, organismo dell’Onu per lo sviluppo dei Paesi poveri, deluso a sua volta dalle «solite, inconcludenti promesse». È un destino ineluttabile, o la comunità internazionale potrebbe trovare strumenti di decisione comune più efficaci e rapidi? È un quesito che finirà per riecheggiare ancora, nei prossimi mesi: non fosse altro perché alcune delle conclusioni raggiunte ieri dagli otto grandi affiancati dai Paesi emergenti sono nient’altro che riaggiornamenti. Lo è evidentemente la convocazione di un vertice supplementare per i negoziati su Doha, che si terrà prima del G20 di Pittsburgh e che, su proposta di Silvio Berlusconi, vedrà la partecipazione dei ministri del Commercio dei singoli Paesi. Sembra davvero un passo impercettibile, eppure lo staff del premier italiano ha diffuso la notizia presentandola come un significativo successo. E se confrontato ad altre dichiarazioni finali, dal clima alle strategie per la ripresa economica, si tratta in effetti di un esempio di risolutezza. E allora però bisogna rassegnarsi a una comunità internazionale che tendenzialmente non decide ma auspica. Uno degli osservatori interpellati da liberal, l’economista dell’università Cattolica di Milano Giacomo Vaciago,
argomenta che questa in fondo è l’unica strada possibile, ammette che «no, almeno per il momento non si può pensare a strumenti più incisivi del G8». Vaciago evoca «il sentiero dello sviluppo del mondo» che è fatto appunto di divisioni seguite da immancabili convergenze, in una linea che può promettere solo «una reciproca attività di persuasione mirata a diffondere le rispettive virtù piuttosto che i rispettivi difetti». È così da epoche ben lontane, «dall’epoca di Costantino, almeno, e avanti attraverso le convenzioni che tentavano di evitare le guerre o che ad esse puntualmente seguivano, come il Congresso di Vienna».
A una simile categoria appartiene in fondo, sostiene il professore di Politica economica, anche il G8 dell’Aquila. «Noi italiani non possiamo certo permetterci di ignorare l’ottima riuscita della macchina organizzativa, della logistica, giacché in genere tali imprese da noi difficilmente si realizzano». E comunque di fronte al principale insuccesso del vertice, quello sul clima,Vaciago conserva un sostanziale ottimismo: «L’obiettivo non è uscire dal G8 con una determinazione immediata. Non se lo aspetta nemmeno il Papa, che pure
quale, dice l’economista della Cattolica, «dobbiamo impegnarci a non perseverare negli errori più evidenti, per esempio nella tassazione dell’intelligenza anziché delle attività meno gradevoli». Il richiamo è al discorso di Nicolas Sarkozy a Versailles, il primo tenuto a Camere riunite da un presidente (o da un monarca) francese dopo 150 anni: «Un passaggio molto importante, in cui ci si è ribellati all’idea che si debba colpire il reddito, il lavoro, l’ingegno delle persone e regalare poi l’inquinamento. Pensiamo a cosa accadesse se Obama introducesse maggiori imposte sul consumo del petrolio».
«Non si va oltre la reciproca persuasione del G8», per Vaciago. «Inutile coltivare aspettative», dice Sabbatucci. Ma a Pittsburgh le divisioni aumenteranno ha invocato una promozione del bene comune a livello globale: ma appunto la stessa enciclica, per sua natura, non è mai il disegno di legge del giorno dopo, ma aiuta a capire e a decidere per il meglio. Dobbiamo quindi augurarci che ciascuno esca dall’appuntamento di questi giorni persuaso almeno in parte dalle buone idee dell’altro». A disposizione abbiamo solo questo percorso lento e speranzoso lungo il
Il punto è che non solo il G8 non è in grado di imporre in modo generalizzato provvedimenti del genere, ma che la posizione di Cina, India e Brasile è assolutamente incompatibile con simili scelte. Cosa resta se non sperare che «anche in questi Paesi si cominci ad apprezzare la tassazione dell’inquinamento come alternativa all’imposta sui redditi»? Cos’altro se non credere che cinesi e indiani «comprendano come soluzioni del genere non producano alcuno svantaggio per La loro»? è strada
davvero lunga, allora, «a meno che non si voglia rincorrere il mito del governo globale», conviene lo storico della politica Giovanni Sabbatucci, e non sarebbe un’opzione priva di incognite, aggiunge, «perché a voler prendere una simile direzione si dovrebbe fare i conti con autorità riconosciute da tutti e con decisioni vincolanti». Cioè con l’Onu e «il suo carattere universale che limita la sua capacità di decisione». Il G8, il G14 o il G20 «sono sì delle approssimazioni, che possono servire a poco o addirittura a nulla: ma servono perlomeno a evitare rovine come quelle prodotte dalla crisi degli anni ’30, laddove ciascuno prese strade diverse, dalla svalutazione competitiva al protezionismo. Già se si evita questo è un buon risultato», dice il professore della Sapienza. E certo a nessuno sfugge che alla fine degli anni Trenta ci fu la guerra, e che dunque le divisioni non sono mai di buon auspicio. Meglio «andare sul minimo, anche quando il minimo finisce per essere quasi nulla», dice l’editorialista del Messaggero con implicito riferimento al G8 dell’Aquila, «basta non riporre troppe aspettative». Ed è forse questa la chiave del discorso, almeno così come viene suggerito da Vaciago e da Sabbatucci. Eppure resta un dubbio: riguarda la genericità delle asserzioni sui legal standard – tra i pochi dossier risolti positivamente in questi due giorni – che sembra però preludere a una sostanziale divisione tra la Vecchia Europa più desiderosa di regole e gli Stati Uniti meno inclini alle rigidità. A Pittsburgh gli equilibri saranno probabilmente più precari, ma perché ce ne si possa accorgere, dice Sabbatucci, «ci vorrebbe un’Europa capace almeno di mantenere una posizione davvero unitaria». E l’eventuale, probabile deficit di unità sembra risolvere in partenza il discorso sulla capacità di decisione di organismi anche più grandi del Vecchio Continente.
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SERGIO ROMANO
«Un Direttorio solo sulla finanza» di Vincenzo Faccioli Pintozzi
ROMA. Una governance mondiale che agisca su tutti i temi sensibili del pianeta «è irrealizzabile, per vari motivi. Sarebbe meglio abbassare la mira e pensare, ad esempio, a una gestione unitaria dei problemi legati a grandi temi come la finanza. Certo, nel rispetto delle variazioni degli equilibri geopolitici: sarebbe impensabile andare avanti senza Cina e India». È l’opinione espressa a liberal da Sergio Romano, ambasciatore ed editorialista, sul tema di un “governo del mondo”, espresso alla luce dei pochi risultati ottenuti dall’incontro del G8. Ambasciatore, visto lo scarso peso del G8, è possibile la creazione di una governance mondiale? Il G8, nato come G5, era il tentativo di creare un Direttorio. Si era capito che le Nazioni Unite non sarebbero mai potute essere, nemmeno in embrione, il governo del mondo per una serie di ragioni diverse (le divergenze del Consiglio di Sicurezza, l’affollamento dell’Assemblea generale) e così si è cercata un’altra forma di governo. I Direttorii sono ovviamente basati su una sorta di cooptazione: non c’è nessuno che designa i suoi membri, sono loro a designare sé stessi. Ma questa auto-designazione funziona soltanto se il gruppo è poi in grado di imporre
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la propria volontà, di prendere delle decisioni che poi verranno rispettate anche da altri. Suppongo che queste fossero le intenzioni dei fondatori. Giscard D’Estaing pensava che, soprattutto per le questioni finanziarie ed economiche, un Direttorio mondiale sarebbe stato la formula più adatta per uscire dalla crisi: non è andata così. Il gruppo degli Otto Grandi si riunisce ed è una grande photo-opportunity: tutti quelli che partecipano sono felici e si compiacciono di far parte di questo club. Ma quando si vanno a constatare gli effetti reali di quelle decisioni e di quegli auspici, il risultato è modesto. E questo perché su alcune questioni le grandi potenze non hanno alcuna intenzione di mettersi d’accordo con le altre. La cosa più paradossale degli ultimi sei o sette G8 è che la più grossa crisi degli inizi del secolo, l’intervento americano in Iraq, non è mai stata discussa: questo perché, se l’avessero discussa, avrebbero pestato i piedi di Stati Uniti e Gran Bretagna. Al G8 non si parla delle questioni che interessano ai grandi, perché quelle se le risolvono da soli. Rimaneva sempre l’idea che, almeno sui grandi problemi economici e finanziari, le grandi nazioni potessero sedersi insieme intorno a un tavolo e prendere delle deci-
Anche il G8 era stato pensato come Direttorio mondiale, e ne abbiamo visto i magri risultati: ora cambiamo
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sioni o almeno dare un colpo di timone. Abbiamo visto che questo non avviene, anzi si rischia di peggiorare le cose. Questo anche perché sono ancora all’interno di quel gruppo i responsabili di quanto è accaduto negli ultimi due anni nel campo del credito. Se poi guardiamo al futuro, si può anche giungere alla conclusione che non si possono tenere fuori da questo direttorio India, Cina e Brasile. Tant’è vero che poi, accanto al G8, è andato a costituirsi un G20; anche se il primo continua ad andare avanti secondo le proprie regole. Bisogna dire che sul clima e l’ambiente le cose sono andate leggermente meglio: avendo gli Stati Uniti cambiato politica in materia, è stato meno difficile mettersi d’accordo. Ma mettersi d’accordo con chi? Con Delhi e Pechino, che hanno interessi diversi e che a quel tavolo non erano neanche seduti? D’altra parte, questi Paesi oggi dicono (non senza ragione): avete fatto il diavolo a quattro per secoli e ora volete insegnare l’educazione a noi perché in questo momento vi conviene? Mi sembrano grida retoriche, quelle che parlano di un governo del mondo. Si deve abbassare la mira. In questo senso, sarebbe auspicabile una governance relativa soltanto alla finanza? Sì, quello è effettivamente un obiettivo plausibile. Tremonti in questo non ha torto, e non è il solo a dirlo e pensarlo. Ha ragione perché, davanti a quello che è successo negli ultimi due anni,
se vogliamo evitare altri disastri un’intesa è quasi imperativa. Naturalmente, non sarà semplice: però non è giusto che esistano i paradisi fiscali e altre questioni relative. Quello è poi un terreno su cui sarà più facile lavorare perché ci sono degli interessi reali e convergenti in ballo. Se si abbassa la mira e si cerca di risolvere un problema alla volta, partendo dalle situazioni al momento disastrate, si può raggiungere qualcosa. Le vecchie regole si sono dimostrate deleterie, sarebbe più semplice cambiarle. In questa direzione come ci si potrebbe muovere? All’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio o creando una nuova realtà? D’altra parte, gli Stati Uniti e l’Europa sembrano aver perso la loro predominanza sul mondo… Bisogna partire dal principio che gli Stati Uniti rimangono l’unica potenza globale. Su questo non c’è dubbio. Ma gli Usa hanno fatto negli ultimi quasi dieci anni due grandi disastri: il sisma politico provocato dalla guerra irachena, che ha completamente sconvolto tutti gli equilibri della regione con risultati che si continueranno a pagare per anni. Inoltre, con la loro deregolamentazione sfrenata hanno dato il via alla crisi finanziaria globale del credito. Nessuno di coloro che si siede a L’Aquila con l’America lo dice, ma lo pensano tutti. Bisogna cercare di lavorare insieme per ripartire.
ALAIN GERARD SLAMA
«Ciò che serve è un’autorità morale» di Nicola Accardo
PARIGI. Un’istanza morale ed etica, nel solco della continuità con Giovanni Paolo II, ma non un’entità istituzionale realizzabile, piuttosto una bella utopia. Così Alain Gerard Slama, che di governance mondiale si è occupato spesso nei suoi libri (in Italia pubblicati da Spirali), riassume e giudica la proposta di Benedetto XVI. L’editorialista di Le Figaro, professore di scienze politiche presso l’Institut d’etudes politiques di Parigi, ammira «l’esercizio filosofico del Papa» nella Caritas in Veritate: «Se tutti i filosofi fossero così nel mondo ci sarebbe certamente più pace!». Professor Slama, che cosa intende il Papa quando parla di nuova autorità mondiale? Io non credo che voglia proporre la creazione di una nuova entità istituzionale o amministrativa che governi il mondo. Penso che la sua sia un’istanza etica e morale, egli pone con forza la condizione di sopravvivenza dell’umanità, come hanno fatto diversi filosofi in passato e anche uomini politici in Francia, come Jacques Chirac.
Il Papa non accenna a una nuova entità che sappia decidere, più dell’Onu e delle altre organizzazioni internazionali? Quella è un’utopia. Una bella utopia. Solo che il Papa non è un’utopista, ma un grande filosofo che lancia un appello spirituale. Chiede un’evoluzione di mentalità e di coscienza, in un periodo in cui le minacce sui popoli si moltiplicano. Non vuole una nazione planetaria, ma piuttosto lo stabilirsi di regole universali basate sul contratto sociale. È la concezione cattolica del capitalismo cristallizzata da Micheal Novak: il capitalismo può funzionare se rispetta le regole universali che i popoli devono ancora trovare. L’appello del Papa resta quindi sul solo piano religioso? E su quello teologico e filosofico, in continuità con la Centesimus Annus di Giovanni Paolo II. Benedetto XVI dimostra di non essere un Papa conservatore, come è stato definito quando è scoppiata la polemica sui lefeb-
vriani. Porta avanti il suo compito con un esercizio filosofico potente, veicolando un bene etico che ammiro molto. In questa enciclica va contro il realismo che giustifica che i più deboli restino ai margini, pone nuovi criteri per la società dei popoli: il dono e la carità. È un messaggio molto forte. Se dall’utopia passiamo alla pratica, qual è, al giorno d’oggi, l’organizzazione internazionale in grado di incarnare questi valori? Può esser l’Onu, come il G20. Certamente non il G8, perché là sono rappresentate le grandi potenze, gli interessi materiali. Si tratta di occuparsi di chi resta ai margini: l’Onu non ha mai adempiuto a questa funzione, non dico che è in
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grado di farlo ma piuttosto che può diventare l’istituzione internazionale di cui i popoli hanno bisogno. Onu, G8, G20, G14, organizzazioni continentali. Non sono un po’ troppi e confusi i centri di discussione internazionale? Certo che c’è bisogno di un cambiamento, di maggiore coerenza. Basta vedere la debolezza dell’Unione Europea per accorgersene. Si prenda il G20, è diventato fondamentale per la regolazione economica e finanziaria, rappresenta potenze industriali e Paesi emergenti. Però poi per il commercio ci si affida ad altre istanze, idem per il cambiamento climatico. Bisogna trovare un limite, far convergere le competenze verso un numero minore di entità internazionali.
Il Papa non vuole una nazione planetaria, ma regole universali basate sul contratto sociale
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Summit/2. La voce di una conferenza stampa del premier è corsa tutto il giorno all’Aquila. E alla fine ha risposto
«Il G8 non funziona più» Il Cavaliere rilancia: «Ci vuole il G14, perché rappresenta tutta la ricchezza del mondo». Poi attacca Repubblica: «Avete perso» di Andrea Ottieri
L’AQUILA. È stato il tormentone della vigilia: al G8 dell’Aquila, vediamo su quale buccia di banana scivolerà Berlusconi. Domanda benigna: una nuova pioggia di foto piccanti? Domanda giustizialista: un’inchiesta inedita? Domanda hard: un giro di cocaina o un giro di transessuali? Domanda istituzionale: e se Obama gli volta le spalle? Insomma, una sequela di domande: salvo che nessuno si è posto il problema che davvero qualcuno potesse porre delle domande al nostro esuberante premier. Sicché con la discesa in campo (tra L’Aquila e Chieti) della stampa straniera, il problema è diventato un altro: come farà Berlusconi a non rispondere alle domande dei giornalisti stranieri, notoriamente meno accomodanti di noi altri italiani?
È per questo che ieri l’eventualità di una conferenza stampa libera (ossia con domande libere dei giornalisti e risposte obbligatorie per l’interrogato) ha fatto tremare stanze e redazioni. La farà o non la farà? Fino all’ultimo minuto il dubbio aleggiava: fino a quando Berlusconi è comparso alle spalle di “mister Obama”, lasciandogli la scena. Non appena il presidente Usa ha finito il suo intervento sul clima, il premier italiano ha preso il microfono e ha anniunciato: «Tra poco il presidente terrà la sua conferenza stampa... il presidente
che sarei io». Insomma alla fine la conferenza stampa c’è stata. Solo che il premier ha spiazzato tutti: non solo s’è lasciato interrogare, ma ha fatto una lunga prolusione si alta politica internazionale. La cui sostanza è: il G( non funziona più, questi vertici devono avere una nuova organizzazione. Non male per un premier che era arrivato al suo terzo G8 da padrone di casa con una sfilza di attacchi personali da far impallidire. Sul tavolo c’era una lunga fila di articoli, commenti, inchieste che sulla strampa straniera negli ultimi
«Ho ceduto la presidenza a Obama». E tutti hanno pensato all’editoriale con il quale il New York Times aveva chiesto proprio questo mesi hanno analizzato e bersagliato la figura del nostro premier. Dalle dure annotazioni del Times (è «un clown», è un «anziano libertino») fino a quelle del Guardian («L’Italia sta per uscire dal G8 sostituita dalla Spagna»); dalle parole sprezzanti del New York Times («Berlusconi è uno ship-showman», un cabarettista da navi-crociera) all’ultima accusa del Financial Times («Le sale del vertice sono piene di cimici-spia»). Una cosa da far tremare i polsi an-
L’AQUILA. Per quanto affascinante, pieno di glamour e in grado di richiamare l’attenzione dei media di tutto il mondo, la tradizionale presenza delle first ladies all’incontro del G8 non è stato particolarmente apprezzato dalle terremotate dell’Aquila. Dopo «Yes we camp», lo slogan che ha campeggiato due giorni fa su una collina nei pressi di Onna per fare il verso allo slogan presidenziale di Baraci Obama, ieri è stata senza alcun dubbio la giornata delle «last ladies». Un modo come un altro per ricordare al governo italiano e ai suoi illustri ospiti il problema pressante della situazione degli sfollati, che non hanno apprezzato in toto la
che a un intrattenitore navigato come Silvio Berlusconi.
Insomma, quando è stato il momento della conferenza stampa, Berlusconi ha cominciato sottolineando la cordialità e la collaborazione fra i grandi: quasi a chiedere altrettanto per sé ai giornalisti presenti. Poi un riassunto generale: prima l’accordo Usa-Russia della vigilia. Poi una parola sull’Iran, ribadedo - con molta cautela - la necessità di fare pressioni (senza sanzioni) su Ahmadinejad per evitare l’escalation nucleare dell’Iran. In parallelo, l’accenno al Medioriente (due Stati due Popoli) e al piano Marshall per i palestinesi. Da qui, Berlusconi è passato al grande tema della governance mondiale puntato tutto sul G14: «Una struttuta che rappresenta più dell’80% della ricchezza mondiale». Il G20 no, «perché quando ci sono così tanti rappresentanti, alla fine non c’è una vera dialettica». La dimostrazione? Il successo secondo Berlusconi - della trattativa sull’allargamento dei liberi commerci. Lo stesso, però, Berlusconi non ha potuto dire a proposito della discussione sul clima: «Non possiamo vincolare alle nostre regole i paesi emergenti. Eppure latteggiamento di India e Cina è stato molto positivo...». Di passaggio, poi, il premier italiano ha spiegato di aver «ceduto la presidenza a Barack Obama»: a qualcuno è venuto in mente l’articolo con il quale il New York Times aveva chiesto esattamente questo.
E finalmente le domande. Le attesissime, le «pericolosissime» domande. Qualcuno si alza per interrogare il premier ma lui lo blocca: «Mi scusi... c’è una regìa». E la regìa prevede che il debutto tocci alla collega del Tg2, che educatamente chiede notizie a proposito dell’impatto della crisi sui paesi poveri. «Di fame nel mondo... ne parleremo a cena». Poi una domanda sul clima: davvero è cambiato qualcosa? «L’ho già detto, Cina e India hanno modificato sensibilmente la loro posizione». Dopo di che: commercio libero; aiuti allo svilulppo e all’agricoltura nei paesi poveri... Il primo timido graffio arriva da un collega del Messaggero: dopo le polemiche della vigilia, si aspettava un’accoglienza così cordiale? «Vede, una cosa è il paese reale, un’altra è la fantasia: io ho sempre saputo che cosa pensa il paese reale». Tutta qui la risposta, con un certo distacco. Ma proprio quando stava uscendo di scena, è arrivata la domanda dell’odiata Repubblica. Il collega fa appena in tempo a presnetarsi che il premier lo interrompe e fa per andarsene. Ma il giornalista insiste e riesce a fare la sua domanda: «Lei ha detto che il gruppo editoriale di cui fa parte il mio giornale ha rovinato l’immagine dell’Italia. Ne è ancora sicuro?».
Risposta secca: «Non avete raggiunto l’obiettivo che volevate raggiungere», e se ne va. Mentre un fan sfegatato grida dalla sala: bravo! Proprio come a teatro. Sì, perché a mattatore navigato si è comportato Berlusconi. E adesso nessuno potrà più dire che non si sottopone alle domande... il problema, semmai, è nelle risposte.
Nuova manifestazione dei terremotati che chiedono più attenzione per la ricostruizione
“Last Lady”in piazza contro “First lady” di Gaia Miani presenza del G8 e hanno chiesto (quanto meno) che alla passerella internazionale seguano azioni concrete.
La protesta dei cittadini aquilani è iniziata in mattinata, quando un centinaio di manifestanti della Rete di Comitati cittadini, dell’Associazione 3.32 e di Epicentro solidale hanno occupato simbolicamente un complesso residenziale in viale Car-
ducci, nella zona di Pettino del capoluogo abruzzese. «Case subito, si requisiscano e si diano agli sfollati» era uno degli slogan più gettonati, il cuore della protesta dei cittadini aquilani, sfollati che denunciano i loro disagi e la mancanza di interventi dopo il terremoto. Insieme a questo il gioco di parole che ha catturato l’attenzione dei media. Dietro ai diversi striscioni esposti, molte ragazze hanno sfilato
indossando al collo la scritta «the last ladies». In stridente contrapposizione con le consorti dei capi di Stato. Alcune di loro si sono scritte anche sul corpo «Più case meno chiacchiere». Un gruppo di ragazze ha inziato a gridare: «Michelle, Carla venite nelle tende, le donne abruzzesi vi aspettano in mutande». La cinquantina di manifestanti hanno espresso inoltre tutta la loro rabbia «per il diverso trattamen-
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Il triste spettacolo di alcuni nostri giornali
Poveri noi, divisi tra dipendenti di Berlusconi e Berlusconi-dipendenti
A sinistra, il presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama. Nella pagina a fianco, in basso a sinistra, sua moglie, la first lady Michelle Obama. A destra, il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi
to riservato a chi soffre a tre mesi dal terremoto e chi invece è venuto all’Aquila in gita turistica». «Per le first ladies passeggiate in centro, per le donne aquilane tende e cemento», recitava infatti un altro degli striscioni che le manifestanti hanno mostrato, insieme ai vassoi utilizzati ogni giorno per prelevare i pasti alle mense nelle tendopoli.
Ma oltre allo sfottò ci sono anche le tematiche, drammaticamente serie, degli sfollati. Una delle giovani presenti, Claudia Pajewski, dice all’Ansa: «Prima del terremoto c’erano all’Aquila tremila case sfitte; dopo il 6 aprile ne sono rimaste ufficialmente solo 250. Noi chiediamo che ven-
gano requisiti gli alloggi per i cittadini». Gli fa eco Marco, che grida: «Un inverno in tenda non potremo sopportarlo, nè vogliamo che siano costruiti mostri di cemento nelle campagne. La nostra lotta è per una casa prima di ottobre». La protesta, colorata come da tradizione degli sfollati, è stata scandita dagli spettacoli di due improvvisati fachiri, che hanno suonato la tromba e il flauto per «lancirare un messaggio ai potenti della Terra riuniti a Coppito per il G8».
Altri ragazzi, invece, hanno indossato delle magliette gialle con la scritta: “Forti e gentili sì, fessi no”. Il corteo è partito da via Strinella per raggiungere la Villa Co-
di Giancristiano Desiderio el mondo - da che mondo è mondo - la politica interna è fatta a partire dalla politica estera. Da questa regola universale si discosta l’Italia: da noi la politica estera è fatta a partire dalla politica interna. I grandi della Terra - come si usa dire con enfasi e cattiva retorica - sono a L’Aquila per il G8 ma al centro del G8 non c’è il mondo, bensì lui: Silvio Berlusconi. Almeno così appare a leggere i giornali italiani che si dividono in due grandi categorie: «i dipendenti di Berlusconi» e «i Berlusconi-dipendenti». È vero che il presidente del Consiglio ha un ego smisurato e fa di tutto per trasformare se stesso nel vertice del vertice internazionale, ma è altrettanto vero che i due principali partiti giornalistici italiani - il Pdb, partito dei dipendenti di Berlusconi, e il Pbd, partito dei Berlusconidipendenti, mettete voi i nomi delle testate giornalistiche, il gioco è facile - hanno trasformano ogni fatto di cronaca nazionale e internazionale in un referendum su Berlusconi. Per loro il mondo è Berlusconi e la nazione italiana - fraintendendo il detto di Renan - è un plebiscito di tutti i giorni su Berlusconi.
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munale dell’Aquila senza creare nessun disordine e senza scontri con le numerose Forze dell’ordine presenti sul posto. I manifestanti hanno poi realizzato una minitendopoli per ricordare la situazione degli sfollati aquilani alla stampa. Durante il corteo sono stati numerosi gli slogan rivolti a Michelle Obama e Carla Bruni, invitate ad andare a conoscere la realtà delle tendopoli piuttosto che fare passerelle al centro storico. Invito in parte accolto dai divi di Hollywood Bill Murray e George Clooney, che hanno visitato le tendopoli; e da Michelle Obama, che ha chiesto preoccupata come stessero i bambini sopravvissuti al disastroso sisma che ha distrutto L’Aquila.
Il Medioriente, l’Africa, la crisi globale, il clima tutto è destinato non solo a passare in secondo piano, ma a essere letto attraverso le lenti del berlusconismo e dell’antiberlusconismo. Persino chi si colloca in una posizione “terza” e tendenzialmente neutrale o istituzionale - Corsera non riesce a sottrarsi al relativismo culturale berlusconiano o all’assolutismo berlusconiano (è l’unica volta che relativo e assoluto coincidono in modo così perfetto: Dio, uomo e mondo sono la stessa cosa). La vignetta di Vincino di ieri, pubblicata a pagina 5 che con foto di Berlusconi titolava tra virgolette «Ho fatto un miracolo. E qui ci sarà un altro vertice», era semplicemente esemplare nel riassumere lo Zeitgeist italiano: c’è una torta con le candeline, ci sono Berlusconi, Obama, la Merkel e gli altri e sopra compare la scritta «Il clima era ottimo. Invece di un G8 la festa di compleanno di Berlusconi». Ma la vignetta di Vincino è una vignetta, serve per ridere, sorridere e anche riflettere, ma è sempre e comunque una vignetta. Il Pdb e il Pbd - nei quali potete iscrivere anche e ancor più le testate giornalistiche televisive - hanno come loro lettura giottina una vignetta: c’è chi vuole fare festa a Berlusconi e chi vuole fare la festa a Berlusconi. Da questo schema non ci si schioda: ogni frase di Obama, ogni gesto di Obama, ogni sorriso o ogni smorfia di Obama è interpretata pro o contro Berlusconi. Se Obama gli stringe la mano e gli sorride allora Berlusconi non cadrà da cavallo; se Obama non gli sorride e gli gira le spalle allora Berlusconi è in discredito e pronto a cadere da cavallo. A fronte di queste letture così alte e penetranti c’è una sola cosa più deprimente: le foto delle scarpe di Michelle Obama, la conoscenza dettagliata dei menu e le foto dei regali: gli anelli, le borse, i pigiama. Buonanotte.
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Summit/3. Un passo avanti, uno indietro e tanti rinvii nella seconda giornata del vertice. Oggi si chiude con i Paesi africani
In Cina il clima è diverso
Pechino dice no anche al mini accordo sulla riduzione dei gas-serra. Mentre il G8 s’impegna a chiudere l’intesa sul commercio mondiale di Enrico Singer n passo avanti, uno indietro e intenzioni che impegni precisi, anche tanti rinvii. Come nelle migliori perché l’incontro con l’Unione africana tradizioni dei summit dei Gran- rappresentata dal suo presidente di turdi. Tanto che Angela Merkel, tra no, Muammar Gheddafi, arrivato ieri seuna plenaria e l’altra, ha ammesso ieri a ra con seguito di ottanta persone - ci sarà L’Aquila che i vertici sono troppi - «Non oggi, giorno di chiusura del vertice. possiamo incontrarci ogni tre mesi» - e si è augurata che l’anno prossimo, quan- La doccia fredda più imbarazzante è do sarà il Canada a presidere il G8, que- quella che ha rimensionato gli sforzi fatsto nodo sarà affrontato trovando una ti nella prima gornata per raggiungere nuova architettura per la tanto fragile un’intesa condivisa sul clima. La posiziogovernance planetaria. Ma per il mo- ne di Pechino è stata netta. «L’accordo mento le regole sono queste. Ed è tocca- raggiunto dal G8 sui cambiamenti climato a Obama e al premier australiano Ke- tici non vincola la Cina che ha ancora vin Rudd - con Berlusconi, Brown e gli una lunga via da percorrere sulla strada altri in seconda fila - il compito di tirare dell’industrializzazione, dell’urbanizzale somme della giornata che doveva es- zione e della modernizzazione. La sua sere decisiva per clima, aiuti ai Paesi po- attuale forma di approvvigionamento veri, negoziato sulle nuove regole del energetico legato ad un mix di sorgenti commercio mondiale. Il passo in avanti dominato dal carbone non può cambiare è presto detto: è stato preso l’impegno di in tempi rapidi». Appena più sfumata la chiudere il Doha round entro l’anno delegazione indiana che ha insistito perprossimo e i miniché siano i Paesi stri del Commercio ricchi ad aiutare dovranno mettersi quelli emergenti a subito al lavoro per sostenere «le conriferire già al G-20 seguenze economidi Pittsburgh che è che di un cambio in programma per nella politica degli il 24 e 25 settem«I funzionari italiani hanno ascolapproviggionabre. Il passo indietato le discussioni di mercoledì da una stanza vicina attraverso aptro è arrivato sulla difesa dell’ambienparecchiature di ascolto». È l’acte perché - come cusa di “spionaggio al G8” del Fiera ampiamente nancial Times, secondo il quale prevedibile - Cina, stando ad una «alta fonte», la deIndia e lo stesso legazione italiana avrebbe origliaEgitto non hanno to ciò che le altre dicevano grazie accettato la propoa un sistema di collegamenti austa di ridurre del dio creato per trasmettere più ve50 per cento le locemente le comunicazioni dello emissioni di gas sherpa a Berlusconi e ai suoi colserra entro il 2050. laboratori. Di contro Marco VentuL’elenco dei rinvii ra, tra i portavoce di Palazzo Chiè lungo. Anche sugi, ha negato qualsiasi canale segli aiuti ai Paesi greto di comunicazione tra l’interpoveri sono state no della sala del G8 e l’esterno. elencate più buone
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Il Financial Times: «Italiani spioni»
menti energetici». Lo stesso Egitto per bocca del suo presidente Hosni Mubarak, inviato da Berlusconi fuori dal gruppo dei 14, ha chiesto un accordo sul clima «giusto che prenda in considerazione le aspirazioni dei Paesi in via di sviluppo e non imponga vincoli che abbiano effetti negativi su tali aspirazioni». A questo punto, le critiche del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che aveva accusato i leader del G8 di avere fissato un obiettivo a lungo termine invece di indicare obiettivi coraggiosi a medio termine, si sono rivelate giuste. Anche perché l’Onu è preoccupata per la conferenza che ha organizzato per dicembre a Copenaghen che dovrebbe fisare, a livello globale, gli obiettivi da raggiungere entro il 2020. Lo stesso Ban Kimoon ha annunciato un ulterioe vertice straordinario che si terrà il 22 settembre al Palazzo di Vetro cui saranno invitati a partecipare oltre cento leader mondiali.
Barack Obama non ha drammatizzato, naturalmente. Spiegando i risultati del Major Economies Forum a fianco del premier australiano Kevin Rudd con Berlusconi e gli altri leader che aspettavano il loro turno in seconda fila - ha detto che «c’è ancora tempo per superare le differenze» e che almeno una parte dell’accordo sul clima - quella sul limite a 2 gradi dell’aumento della temperatura globale - è stata condivisa da tutti. E ha presentato il cosiddetto “Piano verde”in materia di tecnologie pulite. Anche se il programma del presidente americano - almeno secondo gli scettici - è ancora un libro dei sogni perché il Clean Air Act firmato da Obama e approvato dalla Camera di Washington sotto il nome di progetto di legge Wax-
man-Markey, deve affrontare le forche caudine del Senato e perché il testo votato dai deputati ha già subito l’assalto delle lobby degli agricoltori, dell’industria mineraria e di altri poteri forti. Ad esem-
George Clooney, l’invitato speciale «Il mondo dovrebbe aiutare queste persone». George Clooney ha salutato così, ieri, gli abitanti di Sant’Eusanio Forconese, nell’Aquilano. La star, accompagnata da Veltroni, Bill Murray e dal sindaco de L’Aquila Cialente, ha visitato la tendopoli di Sant’Eusanio e il centro storico del paese. Di fronte alle rovine, è rimasto a bocca aperta: «A Los Angeles siamo abituati, ho vissuto due grandi terremoti ma nessuno ha lascito danni simili». «George - ha commentato Veltroni - è una persona che unisce al talento artistico una grande coscienza civile».
pio l’obiettivo di ridurre le emissioni di anidride carbonica del 20 per cento entro il 2020 è stato ridimensionato a un più modesto 17 per cento. Ma non c’è soltanto il clima tra i capitoli contrastati del vertice. Anche sul grande tema della crisi economica - quello che, nella prima giornata, era stato presentato come il punto-chiave d’intesa - i commenti del giorno dopo sono molto meno trionfalistici. liberal, ieri, aveva definito il G8 un «G zero» perché annunci, propositi e impegni erano camuffati da decisioni. E il Financial Times ha scritto che, in realtà, dietro la cortina dell’ottimismo uficiale,
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Le ricette di Luigi Paganetto e la necessità di una nuova governance
«Ora tre vertici separati per acqua, salute e cibo» di Francesco Pacifico
ROMA. «Già che si inizi a parlare, al di fuori dei convegni, di rinnovare la governance mondiale è di per sé un bene. Non a caso ha ragione il presidente brasiliano Lula, quando dice che quello che è stato fatto finora contro la crisi è insufficiente senza la partecipazione di chi manca ai tavoli istituzionali». Per l’economista Luigi Paganetto, presidente dell’Enea ed esperto di energia, i magri risultati del G8 altro non sono che un tassello di un processo più ampio pronto a stravolgere gli schemi dello sviluppo mondiale. Questo G8 non accompagnerà il mondo fuori dalla crisi. Intanto il G8 o il G20 non hanno funzioni deliberative come quegli organismi con una propria Constituency come il Fondo monetario o la Banca mondiale. Rappresentano soltanto l’unione di capi di Stato, che si impegnano su determinate politiche all’interno dei loro Paesi. I risultati sono scarsi. A queste assise mancano i rappresentanti di un terzo della popolazione mondiale. Di conseguenza non soltanto è complesso parlare di povertà, ma anche entrare nello specifico in ambiti come la mancanza d’acqua, l’alimentazione o la salute. Fa bene il Papa a chiedere una rivalutazione «del ruolo degli Stati». Il Pontefice non solleva un problema di architettura istituzionale, ma allude al tema delle regole. Perché le regole, secondo Benedetto XVI, vanno messe al servizio dell’etica. E all’etica bisogna rifarsi quando si discute di delocalizzazioni o di aiuti. Gli aiuti ai più poveri sono spesso inutili. Perché spesso non vanno incontro agli interessi di chi li riceve. E così finiscono per non dare sostegno. Per qualcuno la necessità di una nuova governance coincide con la crisi dell’Onu. È sbagliato credere che i problemi siano soltanto legati alla crisi delle istituzioni internazionali. La globalizzazione iniziamo a maneggiarla già a casa nostra. Allora, se davvero si vuole una finanza etica, perché non detassare i beni non realizzati attraverso il lavoro minorile? Quindi? Si ritorna sempre alla responsabilità del singolo, alla sovranità degli Stati: non possiamo ridurre la governance mondiale a un meccanismo di istituzioni che mettano in piedi un nuovo ordine. Servono però nuovi pesi e contrappesi. Deve essere distribuito meglio il potere decisionale tra i partecipanti. Dare maggiore spa-
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«le divergenze hanno impedito di raggiungere un accordo comune sulla crisi economica». Se da un lato Angela Merkel voleva che il summit si concentrasse su una exit strategy basata su un nuovo programma di stimoli per l’economia, Gordon Brown ha frenato perché i Paesi stanno ancora affrontando i pericoli dell’aumento dei prezzi del petrolio, il protezionismo e la disoccupazione. Il risultato è stato quindi un compromesso: ogni Paese avrà strategie di uscita dalla crisi diverse, a seconda delle loro condizioni economiche interne. Un altro punto di divergenza sottolineato dal Financial Times è quello del prezzo del petrolio. Nonostante i leader abbiano concordato che il giusto prezzo del barile dovrebbe rimanere attorno ai 70-80 dollari, nel G8 «non si è giunti a un’intesa sul modo per persuadere i produttori ad accettare questa soglia anche se Sarkozy e Brown hanno molto insistito per una maggiore trasparenza dei mercati».
A riportare sulla terra i Grandi è stato il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique StraussKhan. Ancora non è il momento di laciare le exit strategy - ha detto - ma dobbiamo cominciare a prenderle in considerazione, se vogliamo creare un sistema sicuro sostenibile. «La casa bruciava e l’abbiamo inondata di acqua. Ora dobbiamo drenare quest’acqua», ha spiegato Strauss-Khan che ha aggiunto che «il peggio è stato evitato», ma che ci saranno ancora contraccolpi pesanti. A partire da un aumento della disoccupazione, dei conti pubblici e del debito. Ma di tutto questo si parlerà a Pitsburgh. Il prossimo appuntamento del Grandi.
zio a quei Paesi con maggiori problematiche. Lo so, il processo è complesso ma già l’andare verso un allargamento del G8 al G20 è un primo passo in questa direzione. Quello successivo? Iniziare a studiare istituzioni più aderenti all’oggi. Che serve avere un unico grande consesso che si occupa di tutto se poi, alla prova dei fatti, non si riesce a fare nulla? Su temi come la distribuzione dell’acqua, del cibo e dei farmaci servirebbero tre distinte istituzioni. Da dove iniziare con le nuove regole? Innanzitutto mettiamoci d’accordo sulle banche. Che devono riprendere a fare il loro mestiere. E mi riferisco soprattutto a quelle anglosassoni che per mettersi a guadagnare sulle oscillazioni di Borsa sono rimaste vittime delle speculazioni. Invece devono rientrare in un progetto di economia con un diverso respiro. Si deve tornare agli investimenti sul medio e lungo tempo, affinché la collettività abbia il suo ritorno anche in termini di sviluppo. Facile a dirsi. Si pensi a quello che si potrebbe fare in Europa sulle infrastrutture, magari fuori dal patto di stabilità, se gli Stati membri finalizzassero le risorse su progetti comuni. Oppure ai vantaggi da destinare alle aziende che garantiscono l’occupazione. Ma è difficile realizzare misure simili senza l’accordo di tutti. Senza comprendere, come scrive Benedetto XVI, che la persona si realizza attraverso il lavoro. Come sarà il nuovo mondo? Non saprei fare previsioni, anche se le condizioni di cambiamenti sono già implicite in quanto sta avvenendo. Prima dell’elezione di Obama si era convinti che sarebbe nato un nuovo ordine mondiale dall’asse Usa e Cina. Oggi non è così. Resta al palo l’Europa. Io sono convinto che sta per partire un nuovo ciclo spinto dalla tecnologie come il precedente, con l’energia che si sostituirà all’informatica. Si raddoppieranno i consumi e l’85 per cento della domanda arriverà dagli emergenti. Di conseguenza, se la Ue vorrà essere competitivi e dare ossigeno alle Pmi, dovrà, come spero stia facendo l’Enea, anche occuparsi del trasferimento tecnologico verso l’area del Mediterraneo. Intanto al G8 è saltato l’accordo sul clima. Si torna al 20-20-20 di Copenhagen? Sì, ma con più attenzione verso l’innovazione e il trasferimento tecnologico. Non ripiegando troppo sul cap trade. Oltre che alle risorse Cina e India sono interessate alle tecnologie. Solo così si arriverà a un’intesa internazionale.
Ha ragione Lula, sarà insufficiente quanto fatto finora contro la crisi economica senza la partecipazione di quelli che mancano ai tavoli istituzionali delle grandi potenze
Qui sopra, il presidente degli Stati Uniti d’America, Barack Obama, insieme con il presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. A destra, l’economista Luigi Paganetto. Nella pagina a fianco, un altro scatto di Silvio Berlusconi durante il G8 dell’Aquila, e George Clooney
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il caso
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Analisi. Da Twitter apprendiamo che la protesta democratica è ancora in corso. Ma Obama e i suoi proseliti fanno finta di nulla
Iran, la rivolta continua
Nuovi arresti, torture, esecuzioni sommarie: il mondo chiude gli occhi davanti alla brutale repressione del regime degli ayatollah di Michael Ledeen segue dalla prima Se si dà credito alle testimonianze rese tramite Twitter, quei canti si sono levati ogni notte più alti e forti, nonostante le violenze perpetrate dai militari Basij e dalle Guardie Rivoluzionarie, che vanno dallo sparare dei cecchini alle irruzioni di teppisti armati nelle abitazioni private per sequestrare computer, telefoni cellulari ed altri dispositivi di comunicazione. Fino agli arresti di uno o più componenti delle famiglie prese di mira. Intanto, in tutto il Paese hanno cominciato ad apparire corpi mutilati. Alcune delle orrende menomazioni sui cadaveri sembrano essere state fatte per nascondere i buchi dei proiettili ma, indipendentemente dalle “spiegazioni” fornite, l’efferatezza sanguinaria di tali attività è ben documentata. Dinanzi alle obiezioni mosse dal personale medico, i corpi dei dimostranti sono stati prontamente trasportati altrove. Un medico dice: «Crediamo che siano stati trasferiti all’Ospedale militare di Baqiatollah o in altra località segreta». Quindi, con il pretesto della “donazione di organi”, è stata eliminata ogni traccia di proiettili dai corpi.
Eppure, la protesta continua. Nel corso degli ultimi tre giorni si è svolto uno sciopero generale che ha ottenuto notevoli risultati. Infatti, il Leader supremo Ali Khamenei ha compiuto una preventiva ammissione di sconfitta alla chiusura di uffici statali e fabbriche in nome dell’osservanza religiosa. Ma gli scioperanti hanno ampliato la portata della protesta, soprattutto interrompendo la distribuzione di elettricità in diverse città, tra cui alcuni quartieri di Teheran. Vaste zone del Paese sono piombate nell’oscurità. Ed è molto probabile che questo tipo di iniziative continuino. La maggior parte dei partecipanti teme il peggio e ammonisce circa la possibilità che i cecchini inizino a sparare tra la folla ed al fatto che un’ingente quantità di forze di sicurezza si stia raccogliendo nella città di Teheran. Si parla della possibilità che i dimostranti adottino delle contromisure ma anche queste informazioni non sono ancora
state confermate. Intanto, si susseguono incessanti i racconti sui dissidi interni alle fila del regime. In un articolo dalle parole attentamente misurate, il Guardian sottolinea come la figura più forte della repressione in atto sia rappresentata dal secondo figlio di Khamenei, Mojtaba. Sembra che sia particolarmente furioso per il sequestro, da parte del governo britannico, di più di un miliardo di dollari depositati su un conto londinese, almeno parte dei quali gli apparteneva. Nessuno si sorprenderebbe nello scoprire che il leader supremo sia un uomo molto ricco o abbia portato all’estero parte del suo denaro. Di recente, anche altri hanno portato i loro capitali in luoghi più sicuri. Mercoledì sera, Madre natura ha giocato un tiro mancino al presidente Ahmadinejhad, durante il suo discorso alla nazione. Mentre parlava, ha iniziato a ronzargli intorno un grande insetto. Il Presidente ha cercato di mantenere un contegno ma non è riuscito ad evitare di seguire con lo sguardo l’insetto che gli ronzava intorno alla testa e, naturalmente, ciò ha ispirato umoristiche battute contro il regime.
Qualcuno cerca di tenere alto il senso dell’umorismo e da Teheran scrive: «La mosca che ha infastidito Ahmadinejad durante l’ultimo discorso è stata prontamente arrestata dai basji» Sempre da Twitter apprendiamo: «L’insetto che ha irritato Ahadinjad è stato arrestato e confesserà presto alla TV nazionale». Madre natura è più brava del cosiddetto mondo occidentale, che sembra non riuscire neppure a punire il regime per aver violato tutte le regole del comportamento civile.
Obama, seguendo la solita tradizione che vede gli Usa allearsi con gli oppressori anziché con i fautori della democrazia, non vuole altre sanzioni. Suppongo che speri ancora che prevalga la tirannide, per poi stringere un meraviglioso accordo con Khamenei padre, o Khamenei figlio, a seconda dei casi. I commenti migliori provengono di nuovo da Twitter: «Honduras grida: “Dove sono i caschi blu”! La Birmania grida: “Rilasciate Aung San Suu Kyi!” L’Iran grida: “Dov’è il nostro voto?” Ma Obama non
dice nulla. E neppure la Signora Hillary. A me sembra talmente evidente che dovremmo aiutare il popolo iraniano - per ragioni sia strategiche che morali - che resto stupefatto nel vedere tante persone intelligenti insistere nella convinzione che non dobbiamo fare nulla. Alcuni criticano il Presidente perché non ha piani più ambiziosi per spronare e guidare gli iraniani verso un cambiamento di regime. Tale evoluzione è a volte sostenuta dai neoconservatori, che ne anticipano fiduciosi anche le conseguenze e le cui certezze circa la fattibilità assomigliano molto a quelle che, qualche decennio fa, dovevano essere contrastate dal nascente neoconservatorismo. Lasciamo da parte il ritornello sulle origini del neoconservatorismo ed accettiamo l’incertezza inerente ad ogni iniziativa umana; mi lascia senza fiato vedere come venga sdegnosa-
mente ignorato chi crede in un cambiamento di regime in Iran. Intanto, David Broks, editorialista del Nyt, si è in qualche modo autoconvinto che le politiche di Obama non abbiano alcuna importanza, perché egli è talmente ed incredibilmente nobile!
Indipendentemente dalle divergenze politiche che si possono avere con Obama, possiamo concordare tutti sul fatto che egli sia un esempio di riservatezza, razionalità e di altre caratteristiche correlate alla dignità. Gli effetti culturali della sua presidenza non sono ancora chiari, ma potrebbero andare oltre gli effetti della sua politica. Egli potrebbe dare nuova vita al concetto di dignità per una nuova generazione ed incarnare una diversa serie di regole di autocontrollo. Ciò mi ricorda quei giornalisti innamorati di Mussolini negli anni ’20. Cosa importa delle sue politiche: è così carismatico! Temo che, un giorno, David dovrà rispondere di questa infatuazione per la forma, a scapito della sostanza. E non sarà bello. Quindi, aspettiamo di vedere cosa ci porta il domani.
il caso
10 luglio 2009 • pagina 9 Esercitazioni dell’aeronautica militare iraniana. In basso, da sinistra: la Guida suprema della Rivoluzione islamica Alì Khamenei, il leader dell’opposizione Mir Hussein Mousavi e il presidente “rieletto” Mahmoud Ahmadinejad. Nella pagina a fianco, manifestazioni per le strade di Teheran
a polizia iraniana fa quello che le dice il governo. E il Leader supremo dell’Iran, la Guida della Rivoluzione islamica Alì Khamenei, era stato chiaro: «Ogni nuova protesta sarà fermata con la mano dura, dal nostro popolo consapevole». Quindi non stupisce che ieri, primo giorno dello sciopero generale proclamato dai manifestanti dell’Onda verde, gli agenti della pubblica sicurezza della capitale iraniana abbiano usato manganelli e lacrimogeni per disperdere un gruppo di manifestanti. Circa 400 persone, che con coraggio hanno sfidato di nuovo il governo e si sono riuniti per marciare sull’Università di Teheran e commemorare il decimo anniversario della repressione sanguinosa del movimento studentesco. Cantando “morte al dittatore”, i manifestanti volevano rendere omaggio alle decine di persone morte o sparite nel nulla durante gli scontri fra gli studenti e i basji leali al governo. Alcuni hanno intonato dei canti in sostegno di Mir Hossein Mousavi, il candidato sconfitto alle elezioni dello scorso mese dal presidente in carica Mahmoud Ahmadinejad.
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Che continua a sostenere la massiccia presenza di brogli durante il voto ma che al momento è scomparso dalla scena pubblica del Paese. Sono circa due settimane che in Iran non vengono organizzate proteste di peso: quella di ieri si è data appuntamento su Internet, grazie alla parziale ri-apertura della Rete e soprattutto ai server criptati con cui si riesce a eludere la censura governativa. Il governatore di Teheran, Morteza Tamaddon, era stato chiaro: «Le proteste saranno schiacciate. Se alcuni individui pensano di condurre operazioni contrarie alla sicurezza rispondendo alle chiamate dei network controrivoluzionari, saranno schiacciati sotto i piedi del nostro popolo consapevole». Il governatore ha poi ribadito che i «nemici sono arrabbiati per la calma post-elettora-
Dal G8 una condanna senza conseguenze. Ancora in carcere una francese
Khamenei: «Londra peggiore degli Usa» di Massimo Fazzi le e che continuano, di conseguenza, a sobillare la protesta dall’esterno». Sulla stessa direttrice il consigliere speciale per gli affari internazionale della Guida Suprema, Ali Akbar Velatati, che sempre ieri ha dichiarato: «Gran Bretagna e Francia sono peggio degli Stati Uniti quando interferiscono nei nostri affari, specialmente quando vogliono che l’Iran ponga fine alle proprie attività nucleari. Loro vogliono un Iran debole al tavolo dei negoziati». Le accuse di Velayati sono chiaramente collegate alle recenti iniziative delle autorità giudiziarie iraniane, che negli ultimi giorni hanno ordinato l’arresto di nove dipendenti locali dell’ambasciata britannica a Teheran (rilasciandone otto) e da due giorni hanno fermato una universitaria professoressa francese. Questo secondo caso ha riscosso ancora più sdegno rispetto al primo: mentre i dipendenti dell’ambasciata sono
iraniani, e quindi può essere accettata una limitazione di libertà da parte delle autorità di Teheran, la seconda è di nazionalità francese. Battendo su questo tasto, l’ambasciatore francese in Iran Bernard Poletti è riuscito a incontrare Clotilde Reiss, connazionale detenuta a Teheran con l’accusa di spionaggio. La Reiss, lettrice all’università di Isfahan - capoluogo dell’Iran centrale - è stata arrestata una settimana fa all’aeroporto mentre si stava
Per ricordare il massacro del 1999, circa 400 persone sono scese ieri in piazza nella capitale: la polizia le ha caricate con lacrimogeni e manganelli. Il governo: «Schiacceremo tutto»
imbarcando per la Francia: è accusata - come i nove dipendenti dell’ambasciata di Sua Maestà - di aver preso parte alle proteste dell’opposizione dopo le elezioni presidenziali del 12 giugno e di aver inviato un’e-mail a un amico iraniano contenente informazioni sulle manifestazioni. Prima dell’incontro, a Pelotti era stato concesso soltanto di contattare brevemente al telefono la donna, che è rinchiusa nella prigione di Evin. E chi sperava che, davanti a tutte queste iniziative, il G8 avrebbe risposto con una voce dura è rimasto amaramente deluso: pur avendo approvato, due giorni fa, un documento che esprime «seria preoccupazione» per le violenze post-elettorali e per le frasi negazionista di Ahmadinejad, l’incontro de L’Aquila ha sostanzialmente rimandato a settembre una vera discussione sulla questione. La pressione esercitata dalla delega-
zione degli Stati Uniti, che voleva un inasprimento delle sanzioni nei confronti del regime iraniano, si è scontrata con una Russia granitica. Che ritiene il massacro in corso nelle strade di Teheran «una questione interna, sulla quale non intervenire».
Tutto rimandato all’incontro di Pittsburgh, ai margini dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, quando il G8 ha intenzione di rivedere la propria situazione sull’argomento. Anche se fonti diplomatiche statunitensi assicurano che il presidente Barack Obama abbia convinto il suo omologo russo, Dmitri Medvedev, che l’Iran rappresenta una seria minaccia alla stabilità delal regione. Bill Burns, sottosegretario di Stato americano agli Affari politici, ha ammesso che - pur approvato all’unanimità - il testo de L’Aquila «non entra nei temi specifici della repressione iraniana». Poco importa che a settembre la situazione delle manifestazioni, volente o nolente, sarà quella di un appassito ricordo: al momento la questione preponderante è il clima, e tanto deve bastare alla popolazione dell’Onda verde che chiede libertà e democrazia. Persino l’Eliseo, che fino a oggi si era contraddistinto per la chiarezza della condanna nei confronti del governo degli ayatollah, è rimasto in semi-silenzio. Al di là delle dichiaraizioni di prammatica, infatti, il ministro degli Esteri francese Kouchner ha riconosciuto che non è questo il momento per altre iniziative. Sicuramente è la preoccupazione per la propria connazionale, che deve essere riportata a casa il prima possibile e senza ulteriori violazioni del diritto internazionale, ma rimane la delusione per una realpolitik che sembra aver dimentica i tempi belli dell’opposizione ai sovietici, quando la popolazione dell’Occidente dimostrava in piazza la propria vicinanza ai martiri dell’Oriente all’epoca rosso. Oggi il rosso caratterizza di più noi: ma forse è solo vergogna.
diario
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L’Italia tra nucleare e carbone Il Senato sconfessa il referendum. A Civitavecchia litigano ambientalisti e operai di Carlo Lottieri segue dalla prima Di primo acchito, la sensazione è che – in Italia più che altrove – l’ambientalismo abbia avuto un successo assai superficiale, anche a causa dell’inconsistenza dei suoi maggiori protagonisti. In altri termini, esso appare ottimo a promuovere finanziamenti di ogni tipo per la Fiat o per altre imprese (se questo non disturba nessuno), ma non può certo essere usato per lasciare senza reddite intere famiglie.
Quando tutto andava bene e l’economia in qual-
che modo cresceva, c’era allora sempre la maniera di conciliare esigenze diverse. Nei nostri oscuri tempi di crisi, però, tutto questo è meno scontato. E non ci si può stupire se, dinanzi alla scelta tra privilegiare gli impieghi o le esigenze che stanno a cuore agli ecologisti, i sindacati abbiano deciso di schierarsi dalla parte della centrale a carbone. Solo in apparenza il dibattito è di carattere tecnico, poiché sia quanti avversano la centrale che quanti la sostengono sono indotti, per ragioni pregiudiziali, a fare propri gli argomenti degli esperti che danno loro le risposte “giuste”: utili ai loro obiettivi. E così i fautori del carbone minimizzano i pericoli ambientali mentre i verdi, da parte loro, usano toni quasi apocalittici.Il problema, in un certo senso è che entrambe le “visioni” so-
pure dimenticare che una parte rilevante della sinistra (a partire da quella più fedele alla lezione marxiana) è geneticamente industrialista e non sente alcuna attrazione per quella che Marx stesso definì «l’idiozia della vita rurale». Il progresso sta nelle fabbriche e tra i fumi delle città, non tra gli escrementi di vacca e le ciotole di legno di una civiltà contadina che alla povera gente riservò soprattutto tante sofferenze.
La pregiudiziale ideologica , in questo caso, si sposa con la necessità (eminentemente corporativa) di soddisfare le esigenze più che legittime di chi non vuole perdere il lavoro in una fase storica che è segnata – e lo sarà sempre di più – da ripetuti annunci di aziende che licenziano e richiedono l’intervento degli ammortizzatori sociali. Il definirsi di questo schieramento, a Civitavecchia, può aiutarci a capire quale potrà essere lo scenario una volta che il governo inizierà a realizzare sul serio le centrali. Quando si inizieranno a definire i criteri per l’individuazione dei siti dove realizzare gli impianti, è chiaro che coloro che intendono rilanciare pure in Italia la produzione di energia atomica dovranno tenere presente questa disponibilità dei sindacati a spezzare il fronte della sinistra. Oggi che il lavoro viene meno e le difficoltà dell’economia globale si fanno sentire, l’ecologia appare insomma qualcosa che sta a metà strada tra una moda e un lusso. Forse non è del tutto così, ma è significativo che così appaia a molti.
La crisi ha finito per acuire il conflitto tra i principi e le necessità del lavoro. E così l’ecologia si trasforma in un «lusso» no univoche: non solo non tengono conto della posizione opposta, ma non prevedono nemmeno un allargamento dell’analisi.
In fondo, non si tratta di un film del tutto nuovo, perché contrasti analoghi si erano avuti quando si era investito massicciamente nel petrolchimico e, in fondo, anche al tempo del referendum sul nucleare. Non bisogna nep-
Presentato il rapporto dell’Osservatorio nazionale: i costi per lo Stato sono ammontati a 24,4 miliardi di euro
Nel 2008 spesa per le medicine alle stelle di Guglielmo Malagodi
ROMA. Quasi come bere un caffè: acquistare e assumere un medicinale è diventato per gli italiani un atto tra i più consueti. Ogni italiano, infatti, consuma in media una dose e mezza di farmaco al giorno, con un trend che ha fatto registrare una crescita del 60% dal 2000. Complici il peso delle patologie croniche, legato all’invecchiamento della popolazione, ma anche le abitudini di tipo socio-culturali. È quanto emerge dal Rapporto Osmed (Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali), relativo al 2008, presentato a Roma nella sede dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss). Nel complesso, la spesa farmaceutica totale, comprensiva della prescrizione territoriale e di quella offerta attraverso le strutture pubbliche (Asl, aziende ospedaliere, policlinici universitari ecc.) è stata di 24,4 miliardi di euro, di cui il 75% rimborsata dal Servizio sanitario nazionale. In media, per
ogni cittadino italiano, lo Stato ha speso 410 euro. Come ogni anno, in cima alla classifica dei farmaci più utilizzati compaiono quelli contro le malattie cardiovascolari, seguiti da quelli gastrointestinali, del sistema nervoso centrale, gli antimicrobici e gli antineoplastici.
La spesa farmaceutica territoriale complessiva, pubblica e privata - rivela ancora il Rapporto Osmed - nel 2008 è
La regione più spendacciona è la Calabria, quella più virtuosa è l’Alto Adige, dove però è più alta la quota a carico degli ospedali risultata stabile rispetto al 2007, mentre quella a carico del Ssn è diminuita dell’1% a causa dell’aumento del ticket (+20%) e di una diminuzione dei prezzi (-6,9%). Quest’ultima è dovuta a forme diverse di distribuzione quali quella diretta e per conto. La Calabria con 277 euro pro capite è la Regione con il valo-
re più elevato di spesa pubblica per farmaci di classe A-Ssn, mentre la Provincia autonoma di Bolzano con 149 euro è quella con la spesa minore. La spesa relativa ai prodotti erogati attraverso le strutture pubbliche, pari a 5,6 miliardi di euro, rappresenta circa un quarto della spesa complessiva per farmaci in Italia nel 2008. La variabilità regionale della quota di spesa per questi medicinali è compresa tra il 17% della Calabria e il 31% di Bolzano. In parole povere, questo vuol dire che non solo a Bolzano si spende meno per le medicine, ma la parte maggiore di questa spesa è fatta dalle strutture pubbliche, mentre in Calabria si spende di più per le medicine e questi costi sono sostenuti principalmente da strutture private.
Ad ogni modo, il maggior livello di spesa riguarda i farmaci antineoplastici e immunomodulatori (2,1 miliardi di euro), seguiti dagli antimicrobici per uso sistemico (1,2 miliardi) e dagli ematologici (923 milioni di euro).
diario
10 luglio 2009 • pagina 11
Per Eurotower devono finire gli aiuti finalizzati alle industrie
In Aula il pm impugna una Beretta mimando lo sparo del poliziotto
La crisi rallenta Su debito pubblico, giù tassi d’interesse
Omicidio Sandri, chiesti 14 anni per l’agente Spaccarotella
BRUXELLES. La crisi nell’area euro sta rallentando e la ripresa inizierà entro metà dell’anno prossimo. È la previsione contenuta nel bollettino mensile diffuso ieri dalla Banca Centrale Europea. L’attività economica - si legge nel documento dovrebbe restare debole per tutto il 2009, ma con una riduzione meno pronunciata rispetto al primo trimestre di quest’anno. Dopo una fase di stabilizzazione, è prevista una graduale ripresa, con tassi di crescita positivi sul trimestre precedente entro la metà del 2010. I rischi al ribasso comunque persistono, per via dell’ulteriore deterioramento che interesserà il mercato del lavoro e la possibilità di un rialzo superiore al previsto dei prezzi delle materie prime. Quanto all’inflazione - prosegue la Bce - la fase attuale di tassi bassissimi o negativi è destinata a durare ancora per pochi mesi, dopo i prezzi torneranno a crescere. L’Eurotower sottolinea come i miglioramenti delle prospettive economiche siano legate al successo delle misure anticrisi varate dai governi, misure che hanno però avuto forti ripercussioni sulle finanze pubbliche, sia pure in maniera diversa a seconda dei Paesi. Proprio per questo, avverte Francoforte, i governi dell’area euro nel
AREZZO. Quattordici anni di reclusione. È quanto ha chiesto ieri il pubblico ministero Giuseppe Ledda per l’agente della Polstrada Luigi Spaccarotella, accusato di omicidio volontario del giovane dj romano Gabriele Sandri (morto l’11 novembre del 2007 all’autogrill di Badia al Pino). Il pm ha spiegato che «la sanzione deve essere corrispondente al grado del dolo», ricordando che la pena per omicidio volontario è di 21 anni di reclusione. Ledda ha aggiunto che Spaccarotella è «meritevole di riconoscimento delle attenuanti generiche» spiegando «il carattere istantaneo di questa condotta: tutto l’evento si è svolto nell’arco di pochissimi minuti» e sottoli-
Proposta trasversale per “salvare” le badanti Ma Cota per la Lega insiste: «Nessuna sanatoria» di Angela Rossi
ROMA. Per le «badanti» messe fuori legge dalla ddl-Maroni si profila una soluzione: un disegno di legge firmato da 47 senatori del Pd, del Pdl, dell’Udc, il cui capogruppo non è stato presente alla conferenza stampa a Palazzo Madama per un imprevisto dell’ultimo momento, e del gruppo misto, trasformato in un emendamento da inserire nel ddl 1167 (lavoro privato e pubblico, all’esame della Commissione Affari costituzionali). L’obiettivo è mettere in regola i circa 360 mila lavoratori extracomunitari rimasti esclusi dai decreti flussi del 2007 e 2008 quando furono presentate 740 mila domande di assunzione a fronte a una disponibilità di 320 mila posti. «La proposta di sanatoria offre la possibilità ai datori di lavoro italiani di presentare domanda per tutti quegli immigrati già in regola con i documenti nel 2007 ma rimasti nel limbo – ha detto Emma Bonino - e mandati all’inferno dalla nuova legge sulla sicurezza». Tempo fino a dicembre per presentare le domande, poi le questure avrebbero due mesi per la verifica della documentazione ed un altro mese per convocare il richiedente e consegnargli il nulla osta per il contratto di lavoro. Qualora non lo facessero si potrebbe utilizzare una sorta di silenzio assenso e richiedere il nulla osta. Ora occorrerà verificare l’atteggiamento del Pdl verso le reazioni della Lega, non essendo, il partito di Bossi in alcun modo disposto a discutere di un intervento-sanatoria su un argomento legato in ogni caso all’immigrazione clandestina. «Discutiamo - ha detto ieri il leghista Roberto Cota - ma noi siamo contrari a sanatorie generalizzate». Ad ogni modo nei giorni scorsi, a dibattito ancora infuocato, in realtà una proposta di sanatoria era giunta già da Cristiana Muscardini, deputata del Pdl nota per le sue battaglie contro le mutilazioni genitali femminili e contro la pedofilia. Secondo la deputata «Le leggi non sono retroattive ma quando il pacchetto sicurezza entrerà in vigore le badanti entrate irregolarmente, e che di conse-
guenza lavorano senza regolare contratto, sono a rischio di espulsione, e a rischio è l’assistenza per tante persone anziane. Per questo riteniamo in molti che le badanti in lista d’attesa di visto e che dimostrino di avere un rapporto di lavoro effettivo si possano regolarizzare e che i datori di lavoro di badanti entrate in modo irregolare debbano richiedere, entro 60 giorni dall’entrata in vigore del decreto, la loro regolarizzazione, pena per loro stessi un aggravio delle sanzioni che spettano a chi dà lavoro in nero». Anche il segretario generale dell’Ugl, Renata Polverini, è convinta che il decreto legge anticrisi «attraverso un emendamento, potrebbe permettere di sanare la situazione che si è venuta a creare con il pacchetto sicurezza che introduce il reato di clandestinità e potrebbe riguardare fra le 500 e le 650 mila famiglie che si avvalgono di badanti straniere». Dell’ultima ora anche l’iniziativa di quattro deputati “finiani” doc che chiedono regolarizzazioni anche per la manodopera. Fabio Granata, Flavia Perina, Alessandra Mussolini ed Emerenzio Barbieri hanno un presentato emendamento al decreto anti-crisi per regolarizzare tutti coloro che abbiano fatto una richiesta di regolarizzazione che sia rimasta inevasa.
Un disegno di legge firmato da 47 senatori del Pd, del Pdl, dell’Udc per mettere in regola i “clandestini”
2011 dovranno intensificare gli sforzi di risanamento dei conti pubblici. Secondo il Consiglio direttivo, il processo di aggiustamento deve iniziare al più tardi con la ripresa economica, e gli interventi di risanamento dovranno arrivare almeno all’1 per cento del pil, nei Paesi con i disavanzi più elevati. Ma non è solo tempo di mettere i conti in ordine, esorta la Bce, ma anche di varare quelle riforme strutturali rese ancora più necessarie dall’impatto della crisi finanziaria sull’economia. Una cosa da fare subito, conclude l’Eurotower, è sospendere gradualmente le tante misure adottate negli ultimi mesi a sostegno di settori specifici dell’economia.
In realtà, dopo l’allarme lanciato dal sottosegretario Carlo Giovanardi, il governo, attraverso il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Elio Vito, fa sapere che «sono allo studio dei percorsi per le famiglie che vogliano regolarizzare le badanti, di qualsiasi nazionalità esse siano. L’esecutivo è pronto a ipotizzare, con la collaborazione del Parlamento un percorso di valutazione concernente il contratto di lavoro, il versamento di ogni tipo di contributi previsti per legge, l’assenza di pendenze giudiziarie, per superare le criticità che si sono registrate e poter andare incontro a esigenze delle famiglie che avessero bisogno già oggi in base all’attuale legislazione di dover assumere in maniera definitiva delle badanti».
neando che l’agente «ha distrutto una vita umana, ma anche la propria e che paga anche la sua famiglia». Per questo il pubblico ministero ha chiesto una riduzione di un terzo della pena che da 21 passa in questo modo a 14 anni di reclusione.
Prima di finire la propria requisitoria, Giuseppe Ledda aveva anche portato in aula una pistola Beretta, come quelle in dotazione alla polizia, mimando il gesto dell’imputato impugnandola a braccia tese. «Ci sono cinque testimoni - ha detto Ledda - che con diversi angoli visivi hanno visto la scena o parti sostanziali di essa. Sono cinque ricostruzioni sostanzialmente concordanti: Spaccarotella si ferma e punta l’arma verso l’area di servizio». A quel punto il magistrato ha impugnato la pistola mimando il gesto. Riferendosi ad alcune discordanze fra le testimonianze, Ledda ha aggiunto: «Un braccio era teso, non ha rilevanza se l’altra mano fosse sull’arma, o sul polso». Poi il pm, impugnando la Beretta con il braccio destro teso e protraendo in avanti il sinistro, ha chiesto: «Altrimenti a cosa serviva questa mano sinistra? Cosa era un saluto romano? Un saluto generico? Ma via, sono scenari ridicoli».
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Un’équipe di scienziati dell’università di Newcastle annuncia la creazione di spermatozoi ar
Se il maschio dive iunta in Italia come una folata improvvisa, di quelle capaci di scoperchiare i tetti delle case e ingrossarsi di clamori e paradossi, la notizia della creazione di spermatozooi artificiali proveniente dall’Inghilterra, sembra soffiare da terre assai più lontane nello spazio e nel tempo. Secondo quanto riferito dalla rivista Stem Cells and Development,gli spermatozoi ottenuti a partire dalle cellule staminali di embrio-
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quattro donne illustri. «Secondo quanto riportato sulla stampa, gli esiti della ricerca di Newcastle non possono essere ricondotti a finalità terapeutiche, ma sembrano piuttosto studi di natura antropologica – spiega l’onorevole Eugenia Roccella, sottosegretaria al Welfare ed esperta di bioetica. «L’utilizzo di L’equipe dell’università di normali cellule staminali emNewcastle a capo dello studio, brionali per la produzione di avrebbe realizzato insomma dei spermatozooi artificiali – prosecampioni di sperma in vitro. Un gue il sottosegretario – non può risultato che, sebbene legato alla avere a che fare con la cura delricerca di nuove soluzioni contro l’infertilità, per il semplice fatto l’infertilità maschile, implica per che queste non possiedono lo converso brucianti interrogativi stesso dna dell’eventuale beneficiario. Una conANSELMA DALL’OLIO dizione che sarebbe stata possi«Negli anni 70 bile soltanto se la noi femministe clonazione teratemevamo peutica, dopo un l’avvento decennio di prodell’utero messe e millantaartificiale, ti crediti, avesse che era una avuto successo. spada Fallita la clonadi Damocle zione terapeutisospesa ca, non è possibisulle nostre teste. le perciò sosteneÈ singolare re che lo scopo che oggi, della ricerca inl’incubo glese sia volto a di allora trovare soluzioni si sia rovesciato» alla sterilità. Mi sembra piuttosto, rispetto a quanto su quella che in un prossimo emerso, il modo surrettizio di futuro potrebbe diventare la continuare a sperimentare le nologica della scoperta o delcondizione maschile, in un generazione della vita in labora- l’invenzione». mondo teoricamente in torio. Una sorta di riflesso congrado di fare a meno delle dizionato, che risponde a un cli- Fra tante incertezze e indiscresue specifiche attitudini ma culturale ormai orientato a zioni, e inevitabili approssimariproduttive. Uno scena- contrarre i tempi e i percorsi zioni, una cosa comunque pare rio che, dietro i velami della scienza, in una più sbriga- certa. Battezzati come In Vitro della modernità e della tiva tecno-scienza. Si tratta cioè Derived Sperm (Ivd), gli spermaforsennata entropia di una scorciatoia che brucia le tozooi ricreati in provetta a tecnologico-scientifitappe intermedie della riflessio- Newcastle sono allo stato attuaca, cela miti, ossessio- ne scientifica, a vantaggio di le, più uno spauracchio che una ni e oscuri contrap- un’immediata applicazione tec- vera minaccia per il mondo delpassi che affondano le l’uomo. InnanziALESSANDRA MUSSOLINI radici nella storia dell’ututto perché sono manità. Perché la vita ararrivati a matura«Inutile tificiale, la maternità bionizione soltanto allarmismo. quelli generati a canon genera soltanto imLo studio partire da cellule pulsi elettrici che la società conferma staminali di emcontemporanea deve farsi troche la brioni umani mavare pronta a valutare e orientapartecipazione schili. E poi perre nei circuiti del suo avvenire, dell’uomo ché la stessa opema riconduce in essa i sedimenalla razione non é riuti di archetipi su cui la vita stesprocreazione è scita partendo insa ha sempre poggiato fin dai imprescindibile. vece da staminali suoi albori. La nascita della vita, Hanno di embrioni umacosì come la conosciamo, è defunzionato solo ni femminili. La stinata a mutare di segno? E sole staminali scomparsa delprattutto, l’uomo, è destinato a ricavate l’uomo è impossisparire? Spunti di riflessione da un embrione bile, quindi, o lache, sospesi tra passato remoto e maschile» vorandoci su difuturo imminente, liberal ha voventerà probabiluto sottoporre all’attenzione di ni umani donati da coppie che si erano sottoposte a fecondazione assistita, sarebbero risultati compatibili con la riproduzione della vita in seguito alla maturazione avvenuta mediante il processo di meiosi, lo stesso che predispone le cellule germinali alla nascita della vita.
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artificiali in grado di permettere alle donne una fecondazione “autonoma”. Che mondo ne verrebbe fuori?
enta un soprammobile di Francesco Lo Dico te nella mischia mediatica per suscitare facili allarmismi. E lo stesso studio inglese, decurtato dall’alone inquietante con cui viene presentato sulla stampa, in fondo non fa che confermare come la compartecipazione dell’uomo alla procreazione sia imprescindibile. Solo le cellule staminali ricavate da un embrione di sesso maschile hanno dato vita a uno spermatozoo in grado di fecondare una cellula uovo. Quelle di origine femminile invece si sono dimostrate inservibi-
condo le ultime notizie che vengono da Newcastle, sia l’uomo a essere a rischio. Se davvero la scienza dimostrasse di potere supplire artificialmente al contributo maschile, si sarebbe verificato l’esatto contrario. Sarebbe il rovescio dei nostri incubi tecnoscientifici di allora».
Dopo aver convissuto per anni con lo spettro dell’utero artificiale, è arrivata dunque per le donne la meritata rivincita? Su questo punto, Ritanna Armeni fa
«Abbiamo bisogno di conoscere le cause dell’infertilità maschile per arrivare a curarle», ha precisato Karim Nayernia, professore di genetica e leader del team dell’università inglese
Secondo quanto riferito dalla rivista ”Stem Cells” , i gameti ottenuti a partire dalle cellule staminali di embrioni umani sarebbero risultati compatibili con la riproduzione della vita le? «In attesa che la comunità scientifica si esprima, mi pare che l’esperimento inglese profili in ogni caso una serie di interrogativi molto interessanti, sia dal punto di vista scientifico che da quello sociologico», commenta Ritanna Armeni, giornalista e scrittrice da sempre attenta all’universo femminile.
«Volendosi prestare alla costruzione di un’ipotesi, la teorica esclusione dell’uomo dal processo di fecondazione, comporterebbe non più il semplice fatto che il padre è sconosciuto, ma la sua totale assenza – argomenta l’autrice di La colpa delle donne –. Ovviamente si tratta di una possibilità che la ricerca genetica illustra allo stato puro, per così dire. E che trova fondamento e senso solo all’interno degli oriz-
li». Se l’uomo è destinato a lasciare il proscenio della civiltà a un’umanità di sole donne, insomma, lo farà con molta calma. E dire che c’è stato un tempo in cui aveva tentato la spallata contro la principale esponente dello schieramento opposto. «L’idea è antica e viene direttamente dagli anni ’30 – racconta a liberal con divertita ironia, la critica cinematografica (e femminista di lungo corso) Anselma Dell’Olio. «Già nel romanzo distopico di Aldous Huxley, Il mondo nuovo, viene figurata la produzione in serie della vita umana, creata in maniera extrauterina – prosegue la giornalista –. Noi femministe, a cavallo tra gli anni ’60 e ’70 guardavano con viva preoccupazione a questo tipo di fantasie futuribili, perché molte di queste preconizzavano l’avvento dell’utero artificiale. Una minaccia tecnologica che avrebbe spazzato via per sempre la donna. È davvero singolare che invece, se-
zonti etici in cui viviamo, che ogni volta di pari passo con la scienza vengono sollecitati e ridefiniti. Si tratta di ipotesi riproduttive che, sebEUGENIA ROCCELLA bene ancora remote dall’effettivo «Non credo ci compimento, sosiano finalità no tuttavia utili terapeutiche perché interrogavolte a curare no l’umanità e soll’infertilità lecitano l’immagimaschile. nario, rinfrescano Mi sembra il passato e riopiuttosto il rientano la percemodo surrettizio zione delle cose». di continuare a sperimentare Più categorica la vita in l’onorevole Aleslaboratorio. sandra Mussolini: Una specie «A naso mi pare di studio una delle solite antropologico» trovate pseudoscientifiche getta-
chiarezza: «A livello simbolico, l’utero non faceva altro che esorcizzare l’atavica paura dell’uomo di fronte al mistero della donna procreatrice e della magia della maternità. In quel ventre che si riempiva di vita, in quell’insanabile ferita in cui il sangue affiorava e di colpo spariva, l’uomo aveva visto sin dalla notte dei tempi qualcosa di ignoto e divino, che lo atterriva. E dunque, in quell’utero disumano scisso dalla donna, l’uomo aveva proiettato un inconscia volontà di potenza capace di liberarlo da una sorta di invidia taumaturgica. L’uomo che si era sempre sognato artefice, voleva entrare in possesso del rito misterico che generava la vita dalla stessa vita della donna. Gli ultimi passi della scienza sembrano indicare invece l’uomo debba pagare il fio di questa prometeica ambizione, in una sorta di contrappasso. Anche se in realtà penso che l’idea di una concezione a gestione rosa, non trovi nell’immaginario femminile un vero e proprio humus capace di alimentarla.Tutto sommato credo cioè che le donne in genere non siano minimamente interessate a un mondo senza uomini». Parole che giungono agli uomini impauriti di questo tempo, spaventati dall’esproprio della pater-
nità già di per sè più incerta rispetto al passato, come ambrosia. E per i più malfidati, bisogna registrare anche le confortanti notizie che vengono a proposito degli spermatozoi artificiali di Newcastle- Pare infatti che presentino, rispetto agli originali scarsa motilità, poco dinamismo e chance assai ridotte di potere misurarsi con successo con la cellula uovo. «Il nostro obiettivo è capire in dettaglio cosa avviene quando uno spermatozoo si forma. Abbiamo bisogno di conoscere le cause dell’infertilità maschile per arrivare a curarle», ha precisatgo Karim Nayernia, professore di genetica umana e leader dell’equipe dell’università di Newcastle. «Il problema vero è che questo è l’ennesimo capitolo di quella tendenza a gareggiare con la creazione, che spesso investe gli ambienti scientifici. C’è la voglia di misurarsi con l’ebbrezza dell’increato e prendere tra le mani la vita, di-
RITANNA ARMENI «L’esclusione dell’uomo dalla fecondazione, comporterebbe non più il semplice fatto che il padre è sconosciuto, ma la sua totale assenza. Una possibilità neutra, che trova senso all’interno dei confini etici»
sponendone secondo il proprio arbitrio», commenta a tal proposito Eugenia Roccella. «Si tratta di una pulsione che ha creato verso la scienza attese messianiche e ha conferito alla stessa riti e miti immediatamente ricollegabili alla magia e al sostrato esoterico, piuttosto che all’avvedutezza e al rigore che una disciplina seria e importante come la scienza richiede. Attorno alla ricerca e alla bioetica in particolare, gravitano ormai da tempo fermenti e sensazionalismi che danneggiano e rimescolano i risultati scientifici con meccanismi propagandistici e pressapochismi», conclude la sottosegretaria del Welfare. I figli degli uomini, intanto si interrogano. Chissà se in futuro, troveranno risposte nei loro padri.
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Equilibri. La repressione militare della provincia sottolinea il fallimento della “inculturazione forzata” voluta da Mao
50 crepe nella Muraglia Non solo Xinjiang: ecco tutte le etnie che la Cina non riesce più a controllare di Osvaldo Baldacci on sono solo gli uighuri a creare problemi alla Cina. Il gigante fa la faccia feroce, forse perché un po’ di paura inizia ad averla. La Cina senza alcuna ombra di dubbio è candidata ad essere una grande protagonista del terzo millennio, ma i sintomi di una crisi di crescita ci sono tutti. E il problema non è solo il Xinjiang, per quanto la situazione nella regione che gli islamici chiamano Turkestan orientale sembri davvero grave. Pechino deve affrontare un tema che la colpisce davvero al cuore: la sua struttura politica, economica, sociale non sembra adatta ad affrontare adeguatamente le sfide del presente e del futuro. Se l’autoritarismo che la caratterizza le ha dato un vantaggio competitivo nell’impostare una crescita vertiginosa, e glielo dà ancora sul piano internazionale nel
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confronto verso gli altri Paesi nei confronti dei quali può presentarsi come una realtà univoca e compatta, il regime inizia a mostrare i suoi limiti nella gestione delle vicende interne, con il serio rischio di aprire delle crepe nella enorme diga, o muraglia, cinese. E si sa che tra una singola falla e il crollo totale si corre sulla lama di un rasoio. I problemi tra il governo e la “sua” gente investono molti piani: etnico, religioso, politico, sociale. Dei 1,3 miliardi di cinesi (milione più milione meno), un miliardo sono Han, cioè l’etnia dominante.
ranze etniche, sebbene piccole come popolazione, abitano il 50-60 per cento dell’area totale del Paese, dato che tendono a vivere sparse su vaste aree, per altro caratterizzate da abbondanza di risorse naturali (è il caso di carbone, gas e petrolio nel Xinjiang) e da importanza strategica in quanto sui confini (e quindi sulle rotte commerciali ed energetiche).
Le minoranze principali secondo i dati dei censimenti ufficiali sono gli Zhuang (15.555.800, nell’est, con la secolare ambizione - per alcuni
Il Celeste Impero si considera una vasta realtà unitaria e inalienabile, le cui annessioni più o meno recenti (ma considerate antichissime), sono parte fondamentale della storia del Paese Ma il vasto territorio della Repubblica popolare non soltanto ospita numerose minoranze etniche (sono 56 quelle riconosciute ufficialmente, molte delle quali abbastanza ben integrate), ma è per vaste estensioni composto di regioni che si considerano non cinesi, come appunto il Turkestan (un sesto del territorio), la Mongolia, la Manciuria e il Tibet. Le mino-
fallita - di mantenere la propria identità pur essendo convintamente parte integrante della Cina), i Man o Manchu (9.846.800, che ebbero una dinastia regnante sulla Cina, furono poi invasi dai giapponesi e per questo si saldarono agli Han avendo poi qualche rigurgito di autonomia), gli Hui (8.612.000, di fatto indistinguibili dai cinesi Han se non per la religione che è islamica), i Miao (7.383.600 nel sud al confine con l’Indocina), gli Uiguri (7.207.000), gli Yi (6.578.500, imparentati dai tibetani), i Tujia (5.725.000, in maggioranza assimilati dal ’700), i Mongoli (4.802.400), i Tibetani (4.593.100), e via così. Qui poi non parliamo del caso Taiwan, e della contesa sulla “vera Cina”. Da tempo, già dal Celeste Impero e poi con i massacri della Rivoluzione culturale, e ancora oggi, la Cina si intende come un vasto territorio unitario e inalienabile, le cui annessioni, più o meno recenti ma dai cinesi considerate antichissime anche a mezzo di falsificazioni storiche, sono parte fondamentale della Cina. È una questione di risorse, ma soprattutto (e in questo bisogna tener presente le differenze della cultura orientale dalla nostra) è una questione di
faccia, di orgoglio: i cinesi sono disposti a tutto per non veder intaccato il loro territorio e soprattutto il loro concetto di Cina e quindi di sé. Basti l’esempio della permanente crisi di Taiwan (Pechino continua a porre ad ogni partner come condizione ineludibile per ogni rapporto anche commerciale il non riconoscimento di Taiwan).
Da ques to fonda mentale aspetto ideologico scaturisce una precisa politica di deculturazione e assimilazione che appunto ha avuto nell’ultimo secolo diverse ondate di nuova recrudescenza: prima nel 1949 alla nascita della Repubblica popolare, poi con la rivoluzione culturale, infine negli anni Novanta. Politiche di colonizzazione demografica e culturale hanno alterato gli equilibri demografici nelle regioni annesse. Inutile aggiungere che tutto il potere è nelle mani degli immigrati Han e lo sviluppo economico viene deliberatamente utilizzato in modo discriminante a vantaggio degli immigrati rispetto agli autoctoni, salvo concedere briciole a quelli che si assimilano, ad esempio con gli incentivati matrimoni misti. La cultura locale viene invece repressa (va in questa direzione una
delle azioni che sembra alla base delle proteste uigure di questi giorni, la demolizione per “motivi di stabilità”dell’antico e prezioso bazar di Kashagan, per altro ancora abitato da decine di migliaia di persone). È successo in Tibet, dove gli Han sono ormai la maggioranza a Lhasa, è successo nel Xinjiang, dove i cinesi sono passati al 38 per cento oggi dal 6,7 del 1949. Anche per questo, per la loro cultura più forte, per il loro legame con realtà simili oltreconfine, e anche per il tentativo di aggressione culturale che subiscono, alcune minoranze come tibetani ed uighuri sono più accese delle altre nella lotta per i propri diritti.
Alle minoranze etniche si aggiungono con non minori problemi le minoranze religiose, con tematiche che spesso si sovrappongono: i musulmani, appunto, ma anche i cristiani, e la setta ginnico-religiosa Falun Gong (considerata sovversiva e i cui aderenti rappresenterebbero il maggior numero di detenuti politici in Cina subito prima proprio degli uighuri). La libertà religiosa non è certo un punto forte della Cina, mentre spesso rappresenta oltre che un anelito dell’anima, anche un collante identitario.
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mai. Resta il fatto che anche in questo momento ci sono vescovi e sacerdoti chiusi nei campi di rieducazione cinesi. E questo nonostante il contributo cristiano alla storia della Cina sia molto superiore a quanto si pensi di solito: i rapporti cominciarono molto prima di Marco Polo, e ad esempio anche i primi esperimenti repubblicani e democratici, ad esempio nel 1911, avvennero da parte di realtà cristiane.
Oltre ai tibetani e agli uighuri vivono nella nazione asiatica 56 popoli ufficialmente riconosciuti, che occupano circa il sessanta per cento del territorio totale. Fra questi Miao, Yi e Tujia Ecco dunque che la fede musulmana riguarda dieci minoranze per circa 20 milioni di cinesi, e tutti vivono problemi per la loro fede, soprattutto perché il governo ne teme la recente crescita e le possibili connessioni con reti estremiste internazionali: ma è indubbio
Mao Zedong, il Grande timoniere della Cina popolare, insieme a Lin Piao. A destra cinesi di etnia uighura e di religione musulmana, in questi giorni sottoposti a una durissima repressione da parte dell’esercito di Pechino. Nella pagina a fianco una donna di etnia Miao
che la tolleranza garantita agli hui (che peraltro beneficiano della possibilità di produrre “alla cinese” oggetti da esportare nei Paesi islamici) è molto diversa dalla severità con cui sono trattati gli uiguri. Qualcosa di simile a quanto succede ai buddisti, ben visti in certe aree
del Paese e controllati a vista in Tibet. Ma anche i cristiani vivono drammatiche difficoltà: per i 12 milioni di cattolici censiti, la Cina riconosce solo una chiesa patriottica (il tema è sempre lo stesso: non ammettere che qualcuno possa avere devozione per qualcosa che non sia controllato direttamente dallo Stato), mentre la Chiesa clandestina subisce persecuzioni più o meno forti secondo l’andamento delle relazioni internazionali, che ora sono un po’ migliori tanto che le due “chiese” sono più vicine che
C’è poi il problema dei dissidenti politici rispetto al sistema del partito unico comunista: gli oppositori aperti (ci sarebbero ancora una trentina di persone in carcere tra quelli che manifestarono 20 anni fa a Tiananmen), i dissidenti, gli esiliati, ma anche i riformisti all’interno della stessa amministrazione e della nomenclatura del partito. Ha superato le ottomila firme il documento Carta08 che contiene 19 proposte di riforme, e i cui promotori sono osteggiati da Pechino. E poi ci sono i blogger e gli altri navigatori dell’universo digitale (i cinesi hanno superato gli statunitensi per numero di utenti) nel quale provano a esprimersi liberamente in lotta contro la repressione e la censura che infuria come non mai (la Cina è al 181° posto su 195 per libertà di stampa ed è all’avanguardia per la censura di internet). Di pochi anni fa una enorme campagna per chiudere centinaia di Internet-point in tutto il Paese. La Laogai Research Foundation denuncia che ci siano fra i 4 e i 6 milioni di detenuti costretti ai lavori forzati in almeno 1.045 laogai, i campi di concentramento. Secondo Amnesty International sarebbero almeno 500 mila gli arrestati senza accuse e processi. Infine, più semplicemente, ci sono giganteschi problemi sociali, dalla grande disparità che c’è tra le poche città più ricche e le vastissime zone arretrate e abbandonate delle campagne, il problema dell’inurbazione, e via così. La grande crescita della Cina non fa certo bene a tutti, basti ricordare i danni incredibili dell’inqui-
namento: la Cina è prima per emissioni di anidride carbonica, e secondo la Banca Mondiale 750 mila morti all’anno per questo problema, 16 delle 20 città più inquinate al mondo sono cinesi, acqua inquinata a livelli del 90 per cento. E altri problemi forse meno considerati, ma che aggiungono esplosivo alla situazione sociale: i 40 milioni di aborti selettivi all’anno stanno anche portando a una società dove ci sono molti più uomini con donne (con tutti gli enormi problemi connessi), e scricchiola persino la politica del figlio unico. Infine i problemi economici, che l’attuale crisi non fa che accentuare, mentre le disparità sociali li rendono più aspri: i disoccupati si contano a decine di milioni (tra il 1997 e il 2000 solo la Pubblica amministrazione licenziò in tronco 25 milioni di persone), la corruzione è dilagante e diffusa e alimenta forti risentimenti nei cittadini, le paghe dei lavoratori sono irrisorie mentre pochi capitalisti si arricchiscono a dismisura. Secondo diverse denunce molti lavori invece che ad operai sono assegnati gratis ai detenuti dei campi di prigionia. I morti sul lavoro si contano a migliaia (tra i 6 e i 20mila ogni anno solo nelle miniere). Non a caso nel 2006 le proteste pubbliche dei lavoratori cinesi sarebbero state 23.900.
Tutti scricchiolii del gigante cinese? O solo crisi di crescita? Vedremo: certo è difficile pensare nel mondo di oggi a una crescita vertiginosa che arricchisce pochi basandosi sulla repressione di enormi masse. I problemi etnici minano dal profondo la Cina, come è il caso degli uiguri. La questione non è solo un fatto interno come non solo Pechino cerca di sostenere: si sentono coinvolti tutti i turco foni, non possono restare del tutto indifferenti i musulmani, reagiscono i sostenitori dei diritti umani in tutto il mondo, acquistano coraggio gli altri potenziali avversari del regime. Ogni repressione nel mondo globale innesta degli effetti domino di cui il regime non può più non tenere conto. Questo non vuol dire che proprio in questi giorni il regime non riesca con la forza a dare magari l’ultima spallata ai suoi nemici, ad annichilire gli uiguri, ad annullare i tibetani e via così. Le politiche di assimilazione culturale a volte funzionano, e ancora oggi la Cina ha la forza di vincere. Ma non è questo il punto: il punto è se questa assimilazione, ammesso che riesca, porrà le basi per una più stabile e omogenea crescita della Cina oppure sarà solo un episodio di una crisi che crescendo di episodio in episodio, di regione in regione, di categoria in categoria, porterà infine alla resa dei conti con un regime che non si riforma abbastanza.
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a scorsa settimana le forze americane hanno lasciato le città irachene in mano a cortei, caroselli di macchine, fuochi d’artificio e slogan del tipo: “Via! Via l’America”e “l’America se ne va! Baghdad è vittoriosa!”. Gli Stati Uniti se ne sono andati grazie all’Accordo sullo status delle forze americane (Sofa, Status of Forces Agreement) raggiunto nel novembre 2008 e che stabiliva il loro «ritiro da città, cittadine e villaggi» entro il 30 giugno 2009. E ancora, entro il 31 dicembre 2011, «le forze Usa devono ritirarsi da tutto il territorio iracheno, dalle acque e dallo spazio aereo». Il Sofa garantisce a Baghdad, lo ricordo, il controllo sulle operazioni militari americane e definisce il ruolo statunitense in alcuni settori come l’economia e l’istruzione irachene. Alcune fortificazioni urbane in mano alle truppe Usa sono state consegnate agli iracheni, altre sono state distrutte.
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Come ha detto il capitano Andrew Roher, mentre se ne stava in una strada commerciale al centro di Baghdad e osservava la sua piccola base che veniva distrutta: «Non lasciare alcuna traccia è l’obiettivo». Le truppe americane si sono trasferite nelle tende e in “installazioni” di compensato (non vengono chiamate “basi”) fuori dalle aree urbane. In parole povere, questi cambiamenti stanno a significare che gli iracheni, malgrado oltre sei anni di occupazione Usa e la necessità di un sostanziale appoggio americano di cui non possono ancora fare a meno, sono riusciti più o meno a riprendere il possesso del loro Paese. A mio avviso, la mossa americana di abbandonare le aree urbane arriva troppo tardi a sei anni di distanza. Già in un articolo del 2003,“Che siano gli iracheni a
Iraq. Con il ritiro (tardivo) delle forze Usa il Paese sarà preda del caos
E adesso Baghdad teme la guerra civile di Daniel Pipes occuparsi dell’Iraq”, esortai a dare il potere agli iracheni e a lasciare che formassero un governo. «Occorre che le forze di coalizione la smettano di pattugliare le strade urbane e di proteggere gli edifici, e facciano ritorno alle loro basi nel deserto». Il lungo indugio di Washington è costato all’America un pesante tributo, a partire dalle migliaia di vittime e dalle centinaia di miliardi di dollari per poi arrivare fino ad avvelenare la politica statunitense.Vincolare gli interessi americani a quelli degli iracheni che vivono nelle città ha distrutto la solidarietà del “restiamo uniti”che seguì l’11 settembre, rimpiazzandola con il dibattito più teso e feroce che il Paese ha mai conosciuto dai tempi della guerra del Vietnam.
La cosa peggiore è che l’occupazione delle città irachene avrà un impatto a lungo termine ancora imprevedibile ma di certo spaventoso. Più di ogni altro fattore, assumersi la responsabilità delle città irachene ha screditato George W. Bush e alimentato un’inarrestabile ondata di consensi a favore del nuovo inquilino della Casa Bianca. I primi sei mesi dell’amministrazione di Barack Obama mostrano che quest’ultimo aspira ad apportare dei cambiamenti fondamentali nei rapporti di Stato e
Attentati kamikaze: oltre 40 morti A dieci giorni dalla ritirata Usa dai centri abitati, almeno 40 persone sono morte e oltre 100 sono rimaste ferite ieri in Iraq. In un quartiere sciita della cittadina settentrionale di Tal Afar, ad una trentina di km dal confine con la Siria, due kamikaze hanno compiuto una strage, con una tecnica tipica di al Qaeda: il primo attentatore si è fatto saltare in aria uccidendo almeno cinque persone e ferendone almeno 60. Alcuni minuti dopo, quando sul posto si erano già radunate decine di persone tra soccorritori e abitanti della zona, è entrato in azione il secondo, che innescando la cintura esplosiva che aveva indosso ha causato la morte di almeno altre 25 persone e il ferimento di 50. Poco più tardi, a Baghdad, nel grande e degradato sobborgo sciita di Sadr City, ancora un duplice attentato, in un mercato popolare, dove sono state fatti esplodere due ordigni, sempre a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro. Il bilancio in questo caso è di sei morti e 31 feriti. Sempre a Baghdad, nel centrale quartiere Karada, il governatore della banca centrale irachena Sinan al Shibibi è sfuggito a un attentato.
società; in questo senso, per decenni gli americani pagheranno per gli errori commessi in Iraq.
E che dire dell’impatto dell’occupazione sugli iracheni? Come osserva Ernesto Londoño del Washington Post, sono due gli interrogativi che hanno ossessionato le truppe Usa durante la fase di preparazione del ritiro del 30 giugno: Come si comporteranno le forze irachene una volta attuato il ritiro? Il tributo di vite umane e finanziario volto a sostenere e legittimare il governo iracheno dimostra di essere stato un ottimo investimento? Io sono pessimista, se si considera che l’Iraq è un Paese storicamente violento che sta ancora emergendo dall’incubo stalinista di Saddam Hussein, che è un luogo pregno di corruzione, di tensioni, di odio e di sete di vendetta. Avere le truppe americane attorno per sei anni ha temporaneamente contenuto le pressioni, ma ha migliorato a malapena il destino del Paese. Parecchi iracheni sono d’accordo. «Quando gli americani se ne andranno, ogni cosa verrà saccheggiata perché nessuno se ne starà a guardare», dice un tenente dell’esercito iracheno. «Ci sarà una guerra civile, senza ombra di dubbio», prevede un interpre-
te. Nessuno presta attenzione ai messaggi di speranza e riconciliazione trasmessi in Iraq con i soldi dei contribuenti americani. «In questo momento l’Iraq è come un bambino. Ha bisogno di persone che se ne prendano cura», chiosa il presidente di un consiglio di sicurezza locale. Un legislatore sciita, Qassim Daoud, chiede apertamente alle truppe americane di rimanere fino al 2020 o al 2025.
Ma le truppe se ne stanno inesorabilmente andando e io prevedo che il massiccio sforzo americano si vanificherà rapidamente, fallirà e verrà dimenticato. Gli iracheni affronteranno in modo mediocre problemi come il terrorismo, le tensioni tra sunniti e sciiti, l’autonomia curda, le ambizioni islamiste, la scomparsa dei cristiani, si occuperanno della fragile Diga di Mosul e della questione delle obsolete infrastrutture petrolifere e di trasporto del gas. La guerra civile continua a essere una potenziale prospettiva come risultato di una lotta settaria. Ma vi sono segni evidenti che gli iracheni non sono nemmeno in grado di mantenere le loro attrezzature militari avute in dono dagli Stati Uniti e che valgono miliardi di dollari. Da americano, auguro buona fortuna all’Iraq, ma quale liberazione dal controllo Usa delle sue città! Addio alla vigilanza sull’economia e sulle scuole, addio alle preoccupazioni per i rapporti intertribali e per la Diga di Mosul, e addio alla responsabilità dei terroristi e delle loro vittime. Ironia della sorte, se l’occupazione delle città irachene ha causato un danno grave e duraturo agli Stati Uniti, il suo impatto benefico sull’Iraq probabilmente sarà superficiale e transitorio. In conclusione, un doloroso spreco di risorse non si esaurisce affatto anzitempo.
quadrante
10 luglio 2009 • pagina 17
I suoi giornali avrebbero ricevuto notizie grazie ai detective privati
Tensione alle stelle dopo la firma del presidente Gul
Intercettazioni: Murdoch costretto a pagare un milione di $
Turchia, sì a processi civili per i militari
LONDRA. Un milione di sterli-
ISTANBUL. Sale in Turchia la ten-
ne: è quanto hanno pagato alcuni giornali inglesi appartenenti al gruppo editoriale di Rupert Mardoch per le intercettazioni telefoniche illegali di numerosi personaggi pubblici. La somma è stata definita in seguito a transazioni extragiudiziali. È quanto scrive il quotidiano britannico The Guardian. Secondo il giornale, che cita una fonte di Scotland Yard, ”News International” (gruppo Murdoch) ha usato investigatori privati per intercettazioni telefoniche volte a ottenere dati personali confidenziali. «Se è successo io non ne sono a conoscenza», si è limitato a commentare lo stesso Murdoch. Tra le vittime delle intercettazioni telefoniche che sarebbero state effettuate dai tabloid di Murdoch, come News of the World e The Sun, il Guardian cita la modella Elle Macpherson, l’attrice Gwyneth Paltrow, il cantante George Michael, l’ex vice primo ministro John Prescott e l’agente delle star Max Clifford. Nel corso dell’inchiesta Scotland Yard sarebbe venuta a conoscenza di casi che coinvolgono «migliaia» di intercettazioni telefoniche da parte di numerosi detective privati. Tra i personaggi pagati per mettere a tacere tutta la vicen-
sione dopo che il presidente della Repubblica, Abdullah Gul, ieri, ha firmato la legge che permette ai militari di essere processati, in tempo di pace, anche da magistrati civili. Soprattutto per alcuni capi d’accusa, come la minaccia alla sicurezza sociale, l’organizzazione di gruppi armati e attentato alla stabilità del governo. Per Gul non si è trattato di una firma facile. Il presidente turco è stato fino all’ultimo in mezzo a due fuochi, da una parte il governo islamico guidato da Recep Tayyip Erdogan, di cui Gul in passato ha fatto parte, e dall’altra gli stessi militari ai quali la costituzione vigente in Turchia, datata 1982 e figlia del golpe del 1980, assegna
Bottiglie di plastica, addio l’acqua solo dai rubinetti Parte dall’Australia una rivoluzione ambientale di Maurizio Stefanini evoluzione delle mode ideologiche si vede anche dalle bottiglie. Al tempo della Guerra Civile Spagnola, quando per la prima e unica volta nella storia un movimento anarchico fu chiamato a compartecipare al governo di uno Stato, un ministro di quel movimento propose di imporre l’obbligo per legge di spezzare tutte le bottiglie una volta usate: «per impedire il riciclo, e offrire così più lavoro agli operai». Gli stessi anarchici avevano già imposto a Madrid il divieto di guidare le auto di proprietà, per incentivare pure l’assunzione di autisti, ma stavolta l’idea non passò... A sessant’anni di distanza, quel non plus ultra della sinistra libertaria allora rappresentato dagli anarchici corrisponde invece agli ecologisti. Sempre in nome del progresso, la cittadina australiana di Bundanoon, 2500 abitanti nel Nuovo Galles del Sud a sud-ovest di Sydney, ha vietato la vendita delle bottiglie d’acqua in plastica. Per combattere l’inquinamento, e anticipando un’analoga legge in discussione a livello di Provincia.
L’
mo persone civili e quindi nessuno sarà linciato se sarà sorpreso a sorseggiare acqua preconfezionata», spiegano anche i promotori. Quindi non è vietato il consumo: ma bisognerà andare a comprare fuori dal Paese. Che, conoscendo le distanze della campagna australiana, renderà la cosa abbastanza antieconomica.
A quanto sembra, il voto è arrivato in seguito a una protesta contro una società che voleva imbottigliare l’acqua locale per rivenderla: risentimento per l’appropriazione di una risorsa del luogo da parte di estranei a parte, c’era infatti il timore per l’emissione di carbonio che sarebbe derivata dalle operazioni stesse di imbottigliamento, e ancor di più dall’andirivieni dei tir incaricati di caricare le cassette di bottiglie. Nathan Rees, primo ministro della Provincia del Nuovo Galles del Sud, ha subito sostenuto la decisione, ordinando a gli uffici e enti pubblici alle sue dipendenze di mettere a loro volta al bando i barilotti dispenser all’interno delle proprie strutture. «Non c’è alternativa, se vogliamo venire fuori da questo sistema», ha spiegato, ricordando anche di aver fatto condurre in passato un sondaggio tra 300 utenti da cui è risultato che non è affatto vero che l’acqua in bottiglia ha un sapore migliore. Jon Dee, un leader ambientalista, spiega che per estrarre, imbottigliare e trasportare acqua in bottiglia si sprecano un mucchio di risorse e per di più si produce parecchia spazzatura. «Dal punto di vista ambientale è un non senso. Quello che stiamo cercando di dimostrare a Bunbdanoon è che una comunità è perfettamente in grado di sopravviv ere senza consumare una singola bottiglia di acqua preconfezionata». Quanto al barista da cui è partita l’idea, nello spiegare la “risposta molto positiva” che è venuta da una comunità “conservatrice ma attiva”, asserisce: «non è che un imbroglio quello per cui l’industria delle bevande fa pagare alla gente per una cosa che di dovrebbe ottenere gratis».
Il divieto da guinness dei primati arriva da Bundanoon, vicino Sydney e potrebbe contagiare il Paese. Non era mai successo
da ci sarebbe Gordon Taylor, responsabile del sindacato dei calciatori, a cui sarebbe stata versata una somma pari a 700mila sterline.Tutta la vicenda potrebbe aprire le porte a una serie di cause legali contro i giornali del gruppo Murdoch da parte di coloro che stati intercettati illegalmente. tra i reporter coinvolti potrebbe esserci anche Andy Coulson, attuale portavoce del leader conservatore David Cameron, ex vicedirettore di News of the World (il domenicale britannico di Murdoch) e Rebekah Wade, attuale direttrice del tabloid Sun e appena designata responsabile per tutte le testate del gruppo che pubblica tra gli altri il Times.
La misura, che mette al bando anche i trasporti inquinanti ed è motivata con “ragioni morali”, è stata deliberata in stile assembleare dalla cittadinanza nella Bundanoon Memorial Hall: 400 presenti, solo due contrari. A quanto sembra, si sono detti d’accordo anche i negozianti che fino a questo momento le bottiglie le vendevano. Anzi, l’idea è venuta per primo al gestore di un caffè di nome Huw Kingston. In compenso, verranno installate fontane che permetteranno di attingere l’acqua gratuitamente: evidentemente ignorando, ma Roma è certo agli antipodi, che la Città Eterna di fontane ne ha a bizzeffe, e alimentate da sorgenti con acque rinomate; e malgrado ciò è lo stesso infestata da bottigliette abbandonate che oltretutto le bancarelle rivendono ai turisti del Centro Storico a prezzi spesso oltraggiosi. Ma tant’è... I cittadini di Bundanoon dovranno dunque attingere servendosi di contenitori riutilizzabili: anche bottiglie di plastica, purché usate. «Sia-
poteri che proprio Erdogan vorrebbe ridimensionare. Il presidente ha chiesto l’attuazione in modo graduale della legge, ma non è bastato a far scemare la polemica. Il Chp, il Partito repubblicano del Popolo, ha fatto sapere che ricorrerà alla Corte Costituzionale perché la legge venga annullata. «Nel Paese c’è il fortissimo rischio che nasca il caos», hanno detto dal partito di opposizione. La reazione della maggioranza non si è fatta attendere. Sempre ieri il vicepremier Bulent Arinc, a capo di una delle correnti più conservatrici dell’Akp, il Partito di maggioranza per la Giustizia e lo sviluppo, ha detto al quotidiano Hurriyet: «Non abbiamo paura del ricorso alla Corte Costituzionale». Ferri corti come al solito, insomma, ma nel momento meno indicato. La legge infatti arriva in un periodo in cui i rapporti fra governo filoislamico e forze armate, fedeli garanti dello stato laico fondato da Mustafa Kemal Ataturk, sono più delicati che mai. E il Paese si è spaccato in due: chi difende Erdogan e Gulen e li considera sorvegliati speciali dell’esercito, massimo garante dei principi su cui si forma lo Stato moderno, e chi invece pensa che il premier stia mettendo in pratica una strategia per screditare l’establishment militare.
cultura
pagina 18 • 10 luglio 2009
Rassegne. La gestione di Giorgio Ferrara risolleva la kermesse. Ubaldo Soddu e Fioravante Cozzaglio ci spiegano perché
E Spoleto uscì dal tunnel È svolta al Festival dei Due Mondi Tra “tutto esaurito” e resse ai botteghini di Gabriella Mecucci
ROMA. La svolta c’è stata ed è palpabile. Agli spettacoli c’è un gran pienone. E non succede più come un tempo quando circolavano biglietti gratis, comprati dalle banche e diffusi a profusione, purché si riuscisse a evitare lo squallore delle sale vuote. Spoleto 2009 sta andando bene. Bellissimo i Giorni felici di Samuel Beckett con la reagia dell’americano Wilson, uno degli uomini di teatro più bravi e innovativi. Straordinario il balletto Bamboo Blues con la coreografia di Pina Bausch: per centinaia di persone che facevano la ressa davanti ai botteghini non è stato possibile vederlo.
Il successo clamoroso. Ci sarebbe stato comunque, visto la bellezza dell’opera, ma la morte della grande artista, a qualche giorno dalla prima, ha acceso ulteriormente i riflettori sull’evento. Benissimo è andato anche il Gianni Schicchi con la regia di Woody Allen. E poi gente anche ai concerti, alle mostre, ai dibattitti promossi da Ernesto Galli della Loggia. Insomma come si di dice in questi giorni a Spoleto - «fra la città e il festival è riscoppiato un grande amore». Anche perché è finito il decennio cupo di Francis Menotti, quando piazze e piazzette erano tristemente deserte e in quegli ottimi ristorantini della cittadina umbra - fatto davvero strano e imprevedibile - non si mangiava più un granché. Era tutto diventato bruttino, fuori moda, fuori posto. Davvero un momentaccio. Del resto, la crisi dei Due Mondi era addirittura iniziata prima di Francis, almeno nella seconda metà degli anni Ottanta, quando la vecchiaia e la stanchezza avevano tolto al Menotti vero, quello che ne era stato il fondatore, energia, creatività, voglia di fare. Un lungo declino insomma e poi un tunnel buio che sembrava senza via d’uscita. Adesso anche i bar, le mostre, i negozi sono di nuovo ricolmi di visitatori: gli alberghi fanno
l’esaurito e il Pentragramma fa ben tre turni di cena per soddisfare le richieste. La “respirazione bocca a bocca” al Festival morente era iniziata già l’anno scorso quando Giorgio Ferrara, nominato direttore da soli tre mesi, era riuscito a inserire al volo nel programma L’Opera da Tre soldi con i Berliner. Insomma, un piccolo miracolo che da solo riscattava la manifestazione. Tutto a posto dunque? La stra-
tra giudica pessima quel di Latella. Quanto al Gianni Schicchi «è uno spettacolo molto bello», ma non si poteva fare «qualcosa di più contemporaneo» di «più vicino a noi».
Insomma, Ubaldo Soddu che riconosce a Ferrara di aver fatto compiere alcuni passi in avanti al Festival, gli rimprovera di guardare troppo al passato e di «non sporgersi verso il futuro». Certe volte - dice - «si
Anche i bar, le mostre, i negozi della città sono di nuovo ricolmi di visitatori. La strada imboccata, la qualità artistica, si conferma dunque quella giusta da imboccata è quella giusta. Ne abbiamo parlato con due intenditori di Festival: Ubaldo Soddu, critico teatrale, e Fioravante Cozzaglio, responsabile dei produttori privati presso l’Agis. Il primo è un critico di rara indipenden-
za, fuori da tutte le lobby e lobbine che affliggono il teatro italiano. È coinvinto anche lui che ci siano dei segnali positivi e che soprattutto la svolta è stata segnata l’anno passato con L’opera da Tre Soldi. Per quanto riguarda quest’anno, se da una parte “apprezza” la regia di Wilson in Giorni felici, dall’al-
ha l’impressione che siano state rimesse in circolo cose fritte e rifritte». Lo spirito del Due Mondi infatti è stato sempre quello di «andare alla scoperta delle novità». E Ferrara «dovrebbe fare lo stesso dandoci la speranza che in giro per il mondo sta nascendo in campo teatrale o musicale o della danza qualche cosa di inedito, di non sperimentato sino ad oggi». Ci fu un’età dell’oro quando le cose funzionavano così: Menotti partì con Visconti e poi toccò a Romolo Valli e a De Lullo sino ad arrivare al Luca Ronconi de L’Orlando Furioso. Ed è proprio questa creatività che Soddu non scorge ancora nell’attuale dizione del Due Mondi. «Naturalmente - osserva mi rendo conto che c’è il problema dei soldi. Dopo i massicci tagli al Fus, l’intero spettacolo italiano è precipitato in serissime difficoltà. Ma - nonostante tutto - qualche sforzo in più Ferrara l’avrebbe dovuto fare». Insomma, in un clima di generale apprezzamento per l’edizione 2009, c’è anche chi incassa i cambiamenti positivi, ma guarda avanti e chiede di più non avendo timore di dichiara-
re che «Ferrara non è ancora nemmeno a metà dell’opera». Bicchiere mezzo vuoto: questo il giudizio finale. Diversa invece la valutazione di Fioravante Cozzaglio che non ha dubbi: «La svolta indubbiamente c’è stata e le cose sono già notevolmente migliorate». Certo, «quando nacque il Due Mondi, questo era il Festival per eccellenza: il primo e l’unico. Tutto il meglio e il nuovo transitava per lì. Anche perché in Italia non c’era altro di paragonabile». Mentre Spoleto declinava però, spuntavano qua e là e crescevano in qualità e quantità molte altre esperienze. «Oggi osserva Cozzaglio - Ferrara deve ricostruire un profilo del festival e riuscire a ridargli un ruolo in presenza di questo arcipelago di iniziative. Dunque è tutto più difficile. L’anno passato ad esempio è partita l’esperienza napoletana che lì per lì è sembrata debole. Ma già quest’anno è cresciuta parecchio. La partenza di Ferrara è stata
comunque con il piede giusto e il futuro gli darà ragione». Del resto siamo ancora a poco più di metà del Festival: la direzione non fornirà dati quantitativi sino a domenica quando probabilmente anticiperà anche “un buon colpo” messo a segno per il prossimo anno. Per il momento non ci resta che gustare gli spettacoli, compreso il mega concerto finale che è stato sempre suggestivo anche nei momenti peggiori.
Vale la pena, fra gli altri di segnalare nella sezione “Dibattiti” la presenza di Jacques Verges, grandissimo avvocato che ha difeso tutti i più grandi criminali del mondo, dei veri mostri, a partire da Pol Pot. Toccherà a lui spiegare un principio irrinunciabile del diritto: ogni uomo, anche il più terribile, ha diritto alla difesa. Un incontro affascinante che movimernterà ulteriormente la “scoppiettante” fase finale del Festival. Benvenuti nella nuova Spoleto.
cultura
10 luglio 2009 • pagina 19
L’opinione sul Festival dell’autore e critico televisivo Enrico Vaime
«Con Ferrara supereremo lo choc dell’era Menotti» ROMA. Enrico Vaime è un frequentatore del
A fianco e sotto, due immagini delle opere “Giorni felici” (© Luciano Romano) e del “Gianni Schicchi” (© Robert Millard). A sinistra, Pina Bausch e Bob Wilson. In basso, Woody Allen. A destra, Enrico Vaime
Festival degli inizi, di quello vecchio maniera con un Giancarlo Menotti ancora giovane e un po’ troppo snob per gli spoletini e il grande Thomas Schipper che dirigenva concerti indimenticabili. Vi ha preso parte con alcune sue opere: «Una cosa che oggi non consiglierei nemmeno ai bambini dello Zecchino d’oro». E lo guarda anche con gli occhi dell’umbro doc qual è. Vaime, cosa ne pensa del Festival di Giorgio Ferrara? Dicono che sia in ripresa... Bisognerebbe credere ai pettegolezzi. Sto scherzando, in realtà a leggere la stampa sembra che quello che lei dice sia vero. Io però ancora non sono riuscito a tornarci: devo superare lo choc degli anni bui di Francis Menotti e ancora non l’ho fatto. Non ho trovato nessun titolo che mi abbia veramente incuriosito. Ma Ferrara è bravo. È legato alla grande cultura europea e sta facendo bene. Credo che alla fine tornerò anche io. Che cosa ci vorrebbe per farla spostare? Un’opera di Flaiano. Allora ci andrei di corsa. Un buon suggerimento per Ferrara. Non ha bisogno dei miei suggerimenti. Guardi che lo penso davvero: hanno fatto la scelta giusta. Quando Francis era a Spoleto, era davvero un uomo fuori posto. Sarebbe come se io venissi chiamato a curare l’October Fest a Monaco di Baviera. Lì ci vuole un birraio tedesco e non un commediante italiano. Ebbene al Due Mondi ci vuole un uomo di cultura italiano con legami col mondo: mi pare che Giorgio abbia tutte queste caratteristiche. E infatti le cose sono già migliorate. Anche se a me Gianni Schicchi non piace e non mi interessa un granché nemmeno la regia di Woody Allen. Eppure lei il Festival dei Due Mondi l’ha frequentato a lungo, o no? Altroché, ho anche presentato lì una mia commedia al Caio Melisso. Era la settima edizione del Festival, nel 1963. Ebbe un buon successo, ma verso la fine c’era una scena che richiamava la grotta di Betlemme e il vescovo mi attaccò perché la ritenne blasfema. Non era mia intenzione ma andò così. E Menotti, che era raffinato e signorile, ma non un cuor di leone, sospese lo spettacolo. La compagnia lo fece gratis e fu un grande successo. Quell’anno però ne capitarono anche altre. E cioè? Presentarono uno spettacolo di canti popolari della Resistenza dal titolo Bella Ciao e
“
mentre il coro cantava «O Gorizia tu sei maledetta», un benpensante - non saprei definirlo diversamente - gridò: «viva gli ufficiali». Figurarsi, un nuovo colpo al cuore per quel signore distinto, ma non coraggiosissimo di Menotti. Insomma, un anno terribile per lui. Menotti non gode delle sue simpatie? No, no. Penso che sia un bememerito. Per tante ragioni. Gliene cito almeno due: ha cercato di fare e c’è riuscito una grande manifestazione di cultura cosmopolita e poi ci ha fatto ascoltare quell’angelo della bacchetta che era Schippers. Il suo concerto finale era meraviglioso, una delle cose più suggestive che abbia mai ascoltato: ne conservo ancora uno registrato. Certo, Menotti ha anche qualche demerito. Innazitutto ha composto un sacco di opere che noi, frequentatori di Spoleto, ci siamo dovuti cibare anno dopo anno. Ed erano tante. E poi c’erano le composizioni degli amici: anche quelle... Non mi faccia parlare. Lo vede, che un po’ ce l’ha con Menotti? No, ma si può muovergli qualche critica. E allora, le dico che aveva un atteggiamento verso gli spoletini e verso noi umbri (sono di Perugia) non troppo simpatico: ci trattava un po’ come se fossimo i contadini da civilizzare. E poi, non sarà uno scandalo se dico che quando ha cercato di trapiantare Spoleto a Charleston ha fallito. Fra una cittadina nel cuore dell’Italia e una nel cuore dell’America ci corre parecchia differenza. E così gli americani rimasero indifferenti. E poi Francis, il catastrofico Francis, non era forse il suo figlio adottivo? Ha qualche consiglio da dare a Ferrara? No, come le ho detto credo che si stia muovendo bene. Posso solo dirgli che lui va in cerca di nuovi spettatori e forse non pensa troppo a riconquistare i vecchi come me. Che cosa d’altro si ricorda del Festival che pensa sia scomparso per sempre? Una volta c’erano i paparazzi, c’era la mondanità. Ora mi sembra che questo aspetto sia del tutto finito. Non mi dica che ne ha nostalgia... Assolutamente no. Preferisco così. E vorrei aggiungere che la grande Spoleto non finì con gli anni 60, ma resse bene anche per tutti i 70. E anche il periodo in cui fu sindaco Pietro Conti le cose andarono piuttosto bene. Quanto a me, l’ultima volta che andai mi scusi se insisto - fu per vedere un’opera (g.m.) di Flaiano.
Giorgio è bravo e non ha bisogno di suggerimenti. Anche se forse dovrebbe pensare a riconquistare i vecchi frequentatori più che cercarne perlopiù di nuovi. Io? Tornerei di corsa per un’opera di Flaiano...
”
cultura
pagina 20 • 10 luglio 2009
A sinistra e a destra, due disegni di Michelangelo Pace ispirati al Noir. Il genere letterario è tra i più seguiti in Italia. Ecco qualche proposta per l’estate
In libreria. Ecco due proposte vacanziere per gli appassionati di intrighi l primo proiettile ha attraversato la finestra con un colpo secco, è entrato nella pancia di Gaston, ha fatto il Tour de France fra le sue trippe ed è uscito poco sotto la scapola sinistra. Il secondo e il terzo hanno polverizzato una pila di compact disc e la Tour Eiffel di cristallo poggiata sul computer di Servandoni. Il quarto ha trapassato con un tonfo sordo il torace della tipa seduta davanti a me e il quinto le ha attraversato le testa portandosi via frammenti di osso, sangue, idee, cose varie. Il sesto e il settimo non hanno fatto danni, mentre l’ottavo proiettile frantumava l’avambraccio di Martini e il nono faceva scoppiare il suo monitor. Il decimo e l’undicesimo sono passati sopra la mia testa. Si è aperta la porta dell’ufficio e Delpeche è entrato con le mani sui fianchi.“Che cazzo succede qui dentro?” ha domandato guardandosi attorno. Si è beccato il dodicesimo proiettile dritto nello sterno. Durata dello show: sì e no una decina di secondi».
«I
Inizia così Les Italiens dell’esordiente Enrico Pandiani, altro giovane di bellissime speranze pescato dalla torinese Instar, dopo che l’anno scorso Marco Lazzarotto aveva incantato con il suo debutto Le mie cose. Ed è proprio il caso di definirlo un inizio col botto, visto che nella sola prima pagina del romanzo la squadra di poliziotti parigini di origini italiane gli italiens del titolo, per l’appunto - viene sterminata da un cecchino piazzato nel palazzo
“Les Italiens” dell’esordiente Enrico Pandiani (edito da Instar), capacità di scrittura e ritmo veloce della narrazione, e “Nero riflesso” di Elias Mandreu (Il Maestrale), scorrevolezza, indagine psicologica e piacere della lettura
mente, nel borgo natio il commissario ritrova tutte le antiche inquietudini, ovvero un padre notabile che non l’ha mai riconosciuto e che l’ha condannato al ruolo di “bastardo”, e un grande amore non ricambiato, se non in parte e per interesse occasionale. Dal punto di vista del genere puro, Nero riflesso garantisce tutto quello che ci si aspetta: scorrevolezza e piacere della lettura, indagine psicologica, azione e contrappunti divertenti per stemperare la drammaticità della trama. Per fortuna però Mandreu non si limita a questo, e dà sostanza al romanzo descrivendo in maniera assolutamente aderente alla realtà come funzioni, a livello provinciale, la spartizione dei piccoli appalti (qui si parla in particolare di smaltimento dei rifiuti) tra gli uomini politici locali, e di come poi, quando le cifre in ballo aumentano magari per intervento della Comunità Europea, la mafia spedisca i suoi colletti bianchi a insediarsi nel territorio per impossessarsi del giro di affari, lasciando dietro di sé un’invitabile scia di sangue.
ve non se lo sarebbe mai aspettato (cioè tra i suoi colleghi), a provare un sentimento non lontano dall’amore per qualcuno che, in condizioni normali, non sarebbe mai rientrato nella sua sfera d’interesse (una pittrice transessuale), e, quando tutto è andato a rotoli, a concludere la sua avventura nella migliore tradizione noir: «Ho sollevato il bicchiere e ho bevuto un altro sorso di vino. Aveva un gusto
Il libro, dicevamo, è ambientato in Sardegna, ma non ce ne si accorge: altro punto a favore di Mandreu, che racconta il particolare per dire del generale, e cioè di certe dinamiche che si svolgono allo stesso modo in tutta la Penisola. Un ottimo libro, in definitiva, impreziosito da un gran lavoro sui vari linguaggi - della fiaba, del fumetto, del cinema, del diario personale - che lo compongono.
Pinne, fucile, occhiali e... noir di Alessandro Marongiu di fronte al loro, al 36 di quai des Orfrèves (e dove se no?). Il rischio di cominciare in maniera così pirotecnica un libro, è che il resto del racconto non si riveli all’altezza: decisamente non è questo il caso, perché Les Italiens prosegue su livelli sorprendentemente eccellenti fino alla fine. Giusto il tempo di togliersi la calce di dosso, e il commissario (di ciò che rimane) della pattuglia francoitaliana riorganizza le forze e inizia un’investigazione che lo porterà a scovare del marcio lì do-
amaro, era denso e spiacevole. Poi è andato giù. Si manda sempre giù tutto, in una maniera o nell’altra».
Oltre alla capacità di scrittura e al ritmo veloce del racconto, l’exploit del libro di Pandiani si deve soprattutto alla caratterizzazione dei personaggi che, più che vividi, sembrano vivi. Pur nella sua forma di romanzo, Les Italiens è già cinema allo stato puro: speriamo che qualcuno se ne accorga e agisca di conseguenza, anche se in un
Paese come il nostro, in cui per raccontare gli adolescenti sullo schermo ci si affida ai libri di un quarantenne, c’è poco da essere ottimisti. Altra casa editrice di media grandezza, altro esordiente, altro noir e altro centro: si tratta di Nero riflesso di Elias Mandreu appena pubblicato da Il Maestrale che, se non arriva ai livelli abbaglianti di Les Italiens, non ci va neanche troppo
lontano. La storia: punito da una moglie vendicativa, che sfrutta l’influenza del padre politico per rivalersi del tradimento subito, il commissario Nero Di Giovanni si vede trasferito dall’oggi al domani in una cittadina del centro Sardegna, precisamente la stessa nella quale è nato e dalla quale è scappato nove anni prima, promettendosi di non farci più ritorno. Ha un passato fin troppo noto nei servizi segreti, e visto che in coincidenza del suo arrivo in città inizia una serie di
omicidi negli ambienti della politica in combutta col malaffare, i primi a sospettare della colpevolezza di Nero sono i suoi colleghi - in particolare il cupo ispettore Dago, che sembra essere sempre un passo avanti a tutti - e con loro il lettore, dato che Mandreu è abile a non sciogliere l’ambiguità di questo aspetto del personaggio. Oltre a dover indagare sulle morti che si succedono rapida-
cultura
10 luglio 2009 • pagina 21
Analisi. Secondo Michael Novak, «Giovanni Paolo II aveva affrontato la crisi del sistema più chiaramente» di Benedetto XVI
Io preferivo la “Centesimus Annus” di Michael Novak segue dalla prima Essa intende mostrare il contesto divino dell’economia politica e il dramma delle sue lingue di fuoco che si spingono verso l’alto: la sua ispirazione, la sua aspirazione. Come sottolineato da Abraham Lincoln, negli Stati Uniti non furono sufficienti il timore Lockiano o l’interesse personale per vincere la schiavitù. Essi dovettero essere coniugati a una comprensione più ampia e generosa della realtà dell’altro. Il progresso, lo sviluppo umano dipendono sempre da una forza che spinge verso l’alto.
Benedetto XVI ritiene che l’economia politica odierna sia intrappolata in una corrente ascensionale, le cui possibilità devono essere accuratamente esaminate. I popoli del mondo vengono spinti sempre più vicini l’uno all’altro, vicinissimi, e non si comprendono, si sfregano l’uno contro l’altro. Sono chiamati a divenire una sola cosa. Sempre più spesso, imparano uno dall’altro gli ideali legati ai diritti umani, alla protesta, alla libertà di associazione, alla libertà di parola, alla giustizia e all’equità. In altri termini, il mondo geme per la comunione spirituale. E alcuni dei segreti più importanti della comunione umana nascono dalle realtà della Persona e della Comunione nel libero e misericordioso Creatore di tutto. Le persone, anche in comunione l’una con l’altra, sussistono nella loro unicità. Nella visione tipicamente Cattolica del cosmo, tutto ha inizio dalla vita spirituale personale, comune della deità. Ciò è in linea con la nostra vita personale, nella quale le due esperienza più “divine”, quelle più vicine a Dio, sono costituite da quell’amore che è perfetta comunione con l’altro e dal dolce senso di autocontrollo e responsabilità personale nei momenti di grande stress («conferma la tua anima nell’autocontrollo, la tua libertà nel diritto»). Da questo, secondo la visione cattolica, scaturisce che «tutto ciò di cui siamo spettatori è un dono». La stessa Creazione sgorga da un dono soverchiante. Persino un fornaio che si trasferisce in un quartiere per fare pane fresco e dolci al mat-
Sopra, un’immagine dell’Enciclica sociale di Benedetto XVI “Caritas in Veritate”, diffusa dal pontefice lo scorso 7 luglio. Sotto, uno scatto di Michael Novak, filosofo statunitense cattolico e direttore da Washington di “liberal” tino fa un grande dono alla vita delle persone. Chi trascorre la vita a portare tali derrate agli altri fa un dono, soprattutto se lo fa con gentilezza e premura. Il Papa ci chiede di considerare la vita economica alla luce del concetto dell’offrire un dono, anche quando viene condotta in base ai criteri convenzionali dello scambio e del prezzo.
È la generosità umana della cosa – la dimensione umana del commercio – l’elemento che non si deve perdere di vista se il
soltanto a Dio, tra le Persone della Divina Comunione l’una per l’altra, Tutte una sola cosa in perfetta Comunione. (Per quanto a molti altri possa sembrare strano, noi Cattolici pensiamo il nostro Dio come una Comunione di Persone, anziché immaginarlo come un Nous solitario o un’unica Forza fredda e impersonale). È come se Benedetto stesse riportando alla luce nel Pensiero Sociale Cattolico le lezioni a lungo dimenticate di S. Agostino – presentando nuovamente, così com’era, la Città di Dio, cioè la Città di quella Caritas che le Persone Divine versa-
di un mondo migliore ed aspirando a quella piena comunione di tutti gli esseri umani la cui vocazione è scritta nell’ossatura della storia umana. E diciamo ”grazie”. Ciò che distingue maggiormente i credenti Cristiani ed Ebrei dal materialista laico è la frequenza e la cadenza con cui il credente reagisce agli eventi quotidiani con sentita gratitudine. Tutto ciò di cui siamo testimoni è un dono.
Non sorprende, quindi, che la ricerca empirica dimostri che chi crede dedica una parte maggiore del proprio tempo e
La tradizione cattolica sembra porre ancora troppo l’accento sulla carità, la virtù e la giustizia e non si concentra abbastanza sui metodi per sconfiggere il peccato dell’uomo mondo deve restare (o diventare) più umano. Con il termine caritas il Papa indica una forma particolare dell’amore di cui fanno esperienza gli esseri umani: né l’Eros, né Amore, né l’Affetto, né l’Impegno nella scelta (Dilectio), né l’amicizia e neppure tutte quelle altre forme di amore note e care agli esseri umani, ciascuno a proprio modo. Caritas è l’amore proprio
no..misericordiosamente versano nel cuore dell’uomo, perché possa infondervi l’ardente desiderio di unità umana nell’accendersi di centinaia di milioni di cuori inariditi.
Per i cattolici, tutta l’energia sociale sgorga dalla vita spirituale della Trinità. Tutto è un dono. Noi esprimiamo la nostra gratitudine mettendo pienamente a frutto il nostro talento, diventando soggetti liberi, responsabili, intraprendenti
delle proprie risorse ai più bisognosi rispetto ai non credenti, e chi ama il governo limitato (i conservatori) dia più di quanto facciano i liberali dello Stato assistenziale [Arthur Brooks]. Però, la verità è che sia i liberali sia i conservatori appartengono, a modo loro e con i loro battibecchi, alla stessa comunità nazionale ed alla stessa unica comunità umana. Quello che Benedetto XVI non ha ancora esplicitato con chia-
rezza è, ancora una volta, una lezione di S. Agostino: il ruolo incessantemente corruttivo svolto dal peccato nella Città dell’Uomo. Agostino sottolinea quanto sia difficile, anche per gli uomini più saggi e obiettivi, i giudici, individuare la verità tra le bugie e come anche marito e moglie, nell’ambito del più stretto dei legami umani, troppo spesso non si comprendano e si feriscano. Il padre delle Bugie sembra possedere larga parte del mondo reale. Quali sono i modi più pratici per sconfiggerlo? Quelli della tradizione Cattolica – e anche il sapiente Papa Benedetto – sembrano ancora porre troppo l’accento su valori quali la carità, la virtù, la giustizia e le buone intenzioni e non si concentrano abbastanza sui metodi per sconfiggere il peccato dell’uomo in tutte le sue forme subdole e pertinaci.
Anche la comprensibile nostalgia del Papa per stato assistenziale europeo ricusa troppo gli interessi personali, l’incapacità di riconoscere i propri limiti ed i falsi presupposti che stanno conducendo il sistema verso una crisi che esso ha generato da sé. Si tratta di una crisi che Giovanni Paolo II aveva visto invece più chiaramente al punto 48 della Centesimus Annus.
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
da ”Le Figaro” del 09/07/2009
Tariffe dell’altro mondo l ministro dell’economia francese deve essere letteralmente caduto dalla sedia, quando ha sentito il tenore degli aumenti della bolletta elettrica, chiesti dalla Edf, la società che in Francia gestisce la rete. Poi le vie ufficiali hanno raccontato di più diplomatiche «riserve» espresse dal capo del dicastero economico francese. Parliamo della richiesta di aumento del 20 per cento delle tariffe sull’energia elettrica. Si è subito fatto notare come sia il governo a dover decidere su questa materia, che tocca direttamente il portafoglio dei cittadini.
I
Christine Lagarde, ministro dell’Economia, ieri, durante una visita a Somme ha affermato che «il governo non è vincolato alle valutazione presentate da Pierre Gadonneix (amministratore delegato di Edf, ndr). In Francia in prezzi dell’energia elettrica sono fissati dallo Stato». Facendo chiaramente capire con una perifrasi («quando si vogliono le stelle, si chiede la luna») che Edf l’avrebbe sparata un po’ grossa. L’associazione dei consumatori Ufc ha definito la proposta di Gadonneix come «provocatoria». Secondo il presidente dell’unione per la difesa del consumo, Alain Bazot, «una simile richiesta sarebbe destinata ad alzare molto la tensione tra l’azienda e i consumatori». «Siamo d’accordo sul fatto che le tariffe finali debbano tenere conto di fattori come gli investimenti e i costi d’esercizio. Ma la richiesta di aumento di tale portata non può essere proposta, senza essere adeguatamente spiegata con delle cifre» ha poi commentato Bazot, dalle colonne del quotidiano Le Parisien. Non spiegandosi il tentativo di alzare una cortina fumogena attuato
sulle dichiarazioni di Pierre Gadonneix. «Meno di un mese dopo aver fatto riferimento ad aumenti, pari al tasso d’inflazione, voilà che Edf chiede ben sei volte di più» ha sottolineato il leader dei consumatori. In più non esisterebbe chiarezza sull’ambito degli aumenti. «L’amministratore di Edf non ha specificato – ha continuato Bazot – se gli incrementi dei costi verrebbero applicati sulle tariffe ordinarie e regolamentate o su quelle applicabili al mercato libero o ancora a quelle delle imprese». È un chiaro tentativo per uscire dal nucleare, secondo Bazot. L’aumento del 20 per cento chiesto da Edf «è solo un tentativo per rimediare ai guai in cui l’azienda si è messa per una politica d’investimento sbagliati». Cercare di salvare il salvabile visti gli «inutili investimenti fatti nel settore nucleare».
Si teme che la società sia a rischio di «un crack finanziario ed industriale». È la conclusione dell’analisi fatta dal presidente dell’unione dei consumatori francesi, che contesta il blocco la sortita di Gadonneix. «È solo un aumento di 2 0 3 euro a famiglia». L’amministratore delegato di Edf si è difeso dai microfoni dell’emittente radio Rtl. «Non si tratta di una richiesta di maggiorazione delle tariffe per il giorno dopo, ma di un incremento graduale nel tempo. Parliamo di 2 o 3 euro al mese per famiglia, spalmata su di un arco di tre o quattro anni» ha spiegato Gadonnex difendendosi. «L’energia elettrica in Francia ha un costo
medio che è inferiore del 30 o 40 per cento, rispetto a molti altri Paesi europei», si è poi giustificato il rappresentante di Edf, spiegando che negli ultimi 25 anni in Francia gli incrementi tariffari sulla bolletta elettrica sono sempre stati in linea con l’andamento dell’inflazione. Per Gadonneix dunque non si tratterebbe che di una compensazione rispetto ai tanti vantaggi di cui avrebbero beneficiato cittadini francesi in passato.
«Non siamo in grado di far crescere gli investimenti diretti in Francia – ha poi concluso lamministratore delegato di Edf – senza rendere possibile un aumento delle entrate». Il ministro dell’Economia ha poi fatto sapere che sull’argomento si sarbbe tornati presto. È infatti previsto un incontro col nuovo ministro dell’Industria, Chiristian Estrosi.
L’IMMAGINE
Spreco offensivo per propaganda elettorale.Aboliamo questa procedura Il comune cittadino – che lavora, paga e si sacrifica – può sentirsi infastidito e quasi nauseato dall’esorbitanza sprecona di messaggi propagandistici, specie nei periodi elettorali. Accanimento, brama e foia d’essere eletti appaiono l’ennesima conferma del numero eccessivo dei viventi di politica, del loro debordante potere e dei privilegi immeritati. Anche numerosi sedicenti difensori dei poveri abbondano di: molteplici forme di propaganda; agit-prop (agitatori propagandisti); eventuali, impliciti persuasori (rappresentanti di lista) ai seggi elettorali; spreco offensivo di risorse, alla faccia della crisi e dei sofferenti. Fra i politici non mancano mediocri, demagoghi, parolai e meri funzionari di partito: possono sembrare ipocriti, che parlano di solidarietà, mentre curano indirettamente il loro tornaconto.
Gianfranco Nìbale
COOPERAZIONE VOLONTARIA E LIMITI DELLA DEMOCRAZIA Il saggio conserva la sua opinione, ma si batte affinché l’avversario possa manifestare le sue idee. La dichiarazione d’Indipendenza statunitense del 1776 proclama il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca individuale di felicità. La mente libera evita ignoranza, superstizione e dogma. La cooperazione volontaria fra persone si manifesta specie nei liberi contratti e nel commercio. La democrazia si fonda sul pragmatismo, il quale: scoraggia dogmatismo e intolleranza; abbandona le comode certezze, per sporcarsi le mani nel “fango della concretezza” (Dewey); ricerca sperimentalmente la verità. Nell’irrinunciabile democrazia, la mobilità sociale consente a ognuno d’aspirare a
diventare Presidente. Tuttavia, la democrazia è il governo del numero, non del merito; inoltre, rischia di degenerare in demagogia, se si parla sempre di diritti, tacendo su doveri, lavoro, sacrificio e sobrietà. Mentre “la vera gioia è austera”. La democrazia può subire l’ubriacatura dei capipopolo e ondeggiare da una infatuazione all’altra. I favorevoli alle migrazioni massicce, clandestine e sradicanti dimenticano che Ulisse ha resistito al canto delle sirene e all’immortalità offertagli da Calipso, per tornare alla propria casa e patria (Itaca).“Dove è il bene, là è la patria”(adagio latino). La passione per l’eguaglianza rischia di diventare delirio, ossia egualitarismo: invidia, rabbia, vendetta e desiderio di poveri di trascinare tutti al loro infimo li-
Cascata di stelle Anche le cascate del Niagara impallidirebbero di fronte a queste spettacolari “rapide” cosmiche. Il fiume celeste - al centro della foto del telescopio Hubble - è in realtà un insieme di ammassi stellari contenente diversi milioni di astri in formazione. Ad alimentarlo secondo gli esperti, sarebbe la continua interazione tra i nuclei galattici posti sulla sua sommità
vello. L’egualitarismo redistributivo non aumenta il “monte ricchezza”globale e reprime talenti, creatività, iniziativa e operosità. lI luogo della politica è lo Stato, potere organizzato, che può togliere all’individuo la libertà di controllare il suo destino. La verità è minacciata dall’opportunismo della massa eterodiretta, sottomessa alla pubblica opinio-
ne e timorosa d’apparire estranea al conformismo.
Franco Padova
PROBLEMI PLANETARI Trenta poteri al tavolo del G8 discutono sui problemi planetari come l’economia e il clima. La presenza di una Cina disposta a comunicare, e l’assenza di polemiche e inabili per sanare la sof-
ferenza dei popoli, poteva servire a impostare le cose sul binario giusto, mentre adesso non si arriverà facilmente alla considerazione, che l’unione fa la forza se le componenti si sommano, e la presenza di segni negativi può condizionare il sistema, mostrando inefficienze che anche alcuni noti moderati hanno sottolineato sui vari organi di stampa.
Bruna Rosso
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dai circoli liberal
LETTERA DALLA STORIA
Penso a Dio e alla Morte e ai Triangoli. Penso molto a te... Da due settimane ho mal di testa, e non dormo da ancor di più. Ho perso ogni speranza di riuscire di nuovo a dormire. Me ne sto steso al buio e penso. Penso a Dio e alla Morte e ai Triangoli. Penso molto a te. Ma né Tu né i Traiangoli riuscite a farmi dormire. Mi sono riempito di pastiglie fino in cima alla testa. Ho una scatoletta di compresse, e le istruzioni sulla confezione dicono di non prenderne per nessuna ragione più di tre. Ne ingoio nove eppure rimango sveglio. Ho provato di tutto. Ho provato a ubriacarmi. Ho provato a restare sobrio. Ho contato pecore e sedie a sdraio. Ho letto fino a non riuscir più a vedere. Ho provato tutto sotto le lenzuola e sopra le lenzuola, voltato dalla parte giusta e dalla parte sbaglaiata, con pigiama e senza pigiama. Certo, una buona idea sarebbe avvelenarsi un tantino col gas. Ma non saprei come fare. Basta. Carissima, fammi dormire. Basta. Perpetuamente patetici, questi miei bigliettini pazzerelli non servono che a mostrarti, oggi come sempre, quanto ho bisogno di te. E niente Mediterraneo per me. Mi piacerebbe il sole, e mi piacerebbero i posti dove il sole mi porterebbe. Ma è tutto inutile, perché al ritorno mi troverei al punto di prima, magari un po’ meno pallido. Dylan Thomas a Pamela Hansford Johnson
ACCADDE OGGI
I VIGILI E IL DECRETO ABRUZZO Dopo mesi di straordinario lavoro incessante nelle zone terremotate e nei luoghi di lavoro, il governo ha varato il decreto “Abruzzo”contenente interventi economici anche per i Vigili del Fuoco. Il decreto ufficiale del consiglio dei ministri parla 1,5 mln di europer l’anno 2009 e 8 mln di euro divisi a metà con la Protezione Civile, mentre agenzie di stampa riportano altre cifre da dividere con la polizia, per riparare i mezzi usurati, lavoro straordinario e trasferte a seguito delle fasi del terremoto. A conti fatti, per i Vigili del Fuoco, possiamo affermare che volendo mantenerci a calcoli molto “esagerati” nelle tasche dei lavoratori entreranno cifre che sfiorano i 1,30 ¤ medi lor de e pro capite. Sempre che questi soldi vengano destinati al personale. Questa è l’elemosina che il governo ha pensato per i Vigili del Fuoco che da sempre assicurano il soccorso nel paese con orari di lavoro che sfiorano l’assurdo, ormai le 36 ore settimanali sono diventate un baluardo difficile da mantenere. Ogni giorno per sopperire alle carenze di organico siamo “obbligati” a prestazioni lavorative che in alcuni casi superano le 96 ore settimanali, alla faccia della qualità della vita, se a ciò aggiungiamo che queste ore o non ci vengono retribuite e messe nella “banca ore“ o quando vengono pagate questo avviene dopo anni, riteniamo la beffa sia insopportabile! Diciamo che in questi tre mesi post terremoto abbiamo vissuto di tutto: partenze notturne per le zone terremotate; vissuto in tende al limite della de-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)
10 luglio 1948 I sionisti uccidono 426 palestinesi, nei territori occupati, nella città di Lod e nella città di Ramle 1955 La frase In God We Trust (In Dio noi confidiamo) viene aggiunta su tutte le banconote statunitensi 1960 Il Dahomey (oggi Benin), l’Alto Volta (oggi Burkina Faso), e il Niger ottengono l’indipendenza 1962 Il cosmonauta sovietico Micolaev resta per quattro giorni nello spazio, un record 1971 Le miniere di rame del Cile vengono nazionalizzate 1975 Archeologi cinesi scoprono un grande luogo di sepoltura contenente 6.000 statue di argilla raffiguranti guerrieri, risalenti al 221 a.C. 1977 Martin Luther King viene premiato postumamente con la Medaglia della libertà 1979 La stazione spaziale Skylab rientra sulla Terra 1982 La Nazionale italiana di calcio batte 3-1 la Germania Ovest nella finale del campionato del mondo 1982
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
cenza; mangiato nei capannoni quello che “passa lo Stato”: acqua riscaldata dal sole e rinfrescata nelle ore notturne - pasti alla meno peggio, riposato nei “loculi” del poli/logistico; lavori di “facchinaggio” e pulizie; lavati quando è stato possibile dopo la riparazione dei “logistici”; ferie o permessi nemmeno a parlarne; mezzi riparati quotidianamente per riuscire a lavorare; trattenuti per l’emergenza e obbligati a prestazioni “istituzionali“(vigilanza ecc.) obbligati a rimanere in servizio; orario straordinario dello straordinario per il soccorso! D’ora in poi il giusto premio sarà quello di avere un’indennità di uno (1) euro, solo quando lavori, come riconoscimento per tutti i sacrifici richiesti. Riteniamo che, questa sia l’ultima umiliazione che possiamo accettare, non ci hanno retribuito nemmeno le ore prestate nelle zone terremotate né tanto meno quelle prestate nelle sedi ed ora ci amareggiano con 1 ¤, se verrà destinato al personale!
Antonio Jiritano
ECO MOSTRO L’interesse privato resiste ancora nel meridione. Il cittadino non potrà mai avere una risposta chiara sugli impianti di smaltimento, se alcuni vengono dichiarati fuorilegge e poi vincono il ricorso giudiziario. Un esempio potrebbe trovarsi a Torre del Greco, ove i media da tempo denunciano il cosiddetto “eco-mostro”che non è un macchinario di depurazione delle acque, ma una industria estesa in un ampio territorio.
UNIONE DI CENTRO DOPO IL VOTO PATTO DI BUON GOVERNO CON PD Il Coordinamento regionale dei Circoli Liberal di Basilicata-Per l’Unione di Centro, al termine della competizione elettorale per il rinnovo del consiglio comunale della città capoluogo di regione, con una nota, ha espresso un ringraziamento particolare ai circa 3.000 elettori potentini che con il loro voto hanno voluto riporre la propria fiducia ai tanti candidati presenti nella lista dell’Udc, capeggiata dal candidato sindaco Emilio Libutti e lanciare un segnale di cambiamento e di rinnovamento del “sistema politico e delle istituzioni locali”. Nel rivolgere gli auguri di buon lavoro al riconfermato sindaco Vito Santarsiero e ai consiglieri comunali eletti, i dirigenti dei Circoli Liberal, hanno sottolineato come il risultato finale del ballottaggio ha finito per premiare l’intesa politica auspicata dai tanti moderati che hanno voluto premiare l’esperienza amministrativa del sindaco uscente rispetto all’improvvisazione politica del candidato alternativo del Pdl. Terminata la competizione elettorale è giusto ripensare ai problemi della città, per affrontare con senso di responsabilità e determinazione le tante questioni che assillano una comunità che si aspetta ora una nuova fase politico-programmatica che punti al rilancio della stessa attraverso un “Patto per il buon governo”. Per questo, nei prossimi giorni, ci spenderemo in maniera disinteressata e concreta. Dopo i risultati elettorali positivi conseguiti a Potenza ed in altre realtà auspichiamo una forte accelerazione per la nascita del Partito della Nazione, attraverso il quale chiamare a raccolta i tanti moderati del Paese e della Regione definendo in modo chiaro ed inequivocabile (attraverso l’avvincente fase congressuale) ma, soprattutto attraverso regole condivise, la linea politica da rispettare per il quadro delle nuove alleanze anche in vista delle impegnative scadenze elettorali del prossimo anno. Attraverso la presenza in consiglio comunale del nostro candidato sindaco Emilio Libutti ed il rinnovato impegno sociale e politico di tanti altri amici che intendono partecipare alla costruzione del nuovo soggetto politico, i Circoli Liberal di Basilicata si adopereranno per riportare la politica al centro del dibattito e dell’agire amministrativo, stabilendo nuove forme di dialogo e di ascolto con i cittadini, restituendo fiducia a quei tanti giovani e alle famiglie potentine e, non da ultimo, ai circa 10.000 elettori che hanno preferito disertare le urne al ballottaggio, sottolineando un disagio nei confronti della politica e delle sue contraddizioni. Gianluigi Laguardia COORDINATORE REGIONALE CIRCOLI LIBERAL BASILICATA
B.R.
Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,
Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Filippo La Porta, Maria Maggiore,
Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio
Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,
Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,
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PAGINAVENTIQUATTRO Spy story. Una strana vicenda di spionaggio industriale scatena uno scontro diplomatico tra Cina e Australia
Una guerra fredda come di Pierre Chiartano la guerra dell’alluminio quella che si è scatenata tra Camberra e Pechino. Prende i colori grigi dell’affaire spionistico, con l’arresto a Shangai di alcuni dirigenti del colosso minerario australiano, Rio Tinto. E quelli più scuri del ricatto, blackmail come direbbe un suddito di Sua maestà. L’accusa? «Spionaggio e furto di segreti di Stato». Canguri contro panda, per il controllo di un mercato molto ricco che è quello dei metalli per l’industria, specialmente quella automobilistica. Basterebbe un dato, quello di giugno, sulla crescita delle vendite delle quattro ruote in Cina, per spiegare la “foga”e l’interesse per la vicenda legata alla Rio Tinto: più 48 per cento. A dimostrazione che da quelle parti la ripresa dalla crisi mondiale è già cominciata, come ha sottolineato il magnate George Soros. Produzione d’auto che schizza alle stelle e cinesi che perdono la calma nel tentativo di alimentare gli altiforni di Chung Kuo. Ma cominciamo con ordine a metter insieme le tessere del puzzle. La Cina ha «prove sufficienti» per accusare di spionaggio i quattro dipendenti dell’impresa australiana, arrestati mercoledì a Shanghai. Così ha sostenuto il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Qin Gang, in una conferenza stampa a Pechino. «Le autorità competenti hanno prove sufficienti che hanno violato dei segreti di Stato e messo in pericolo la sicurezza della Cina».
È
Gli arrestati sono tre impiegati cinesi e un dirigente australiano della società. La vicenda avviene poche settimane dopo che la Rio Tinto, una delle più grandi imprese minerarie al mondo, aveva rinunciato ad una joint venture con la cinese Chinalco, per scegliere come partner, manco a dirlo, la britannica Bhp Billiton. E qui i sospetti diventano delle certezze, perché era parecchio tempo che Chinalco – azienda di Stato leader nella produzione di alluminio – corteggiava il colosso australiano. Obiettivo: acquisirne il 18 per cento del pacchetto azionario. Alla base c’è la guerra sui prezzi dei minerali ferrosi. Le acciaierie giapponesi e coreane hanno già concordato nuovi listini ridotti con la Rio, ma i cinesi chiedevano degli sconti più incisivi. Devono comprare molto e si stanno ancora leccando le ferite della crisi. Hu, il dirigente australiano d’origine cinese arrestato, è il responsabile proprio dei negoziati su quei prezzi. Il tentativo d’intimidazione del governo cinese sembrerebbe dunque abbastanza chiaro.Tanto per capire come si fanno gli affari nel Paese di Hu Jintao. Tenendo conto che sono anni che Pechino sta tentando di scardinare il sistema d’alleanze di Washington nel Pacifico, di cui Camberra è un pilastri principali. In giugno, Chinalco aveva sottoscritto un aumento di capitale. Aveva interamenFoto grande, treno da trasporto dalle miniere australiane della Rio Tinto. Foto piccola, il presidente della Chinalco, Xiao Yaqing
L’ALLUMINIO te coperto la sua quota da 15,2 miliardi di dollari – per spiegare di che cifre parliamo – proposto da Rio Tinto. La società cinese aveva in questo modo mantenuto invariata la partecipazione pari al 9,3 per cento in Rio Tinto e voleva fare il salto ulteriore, viste le previsioni di ripresa del sistema industriale. Il drago andava sfamato. Ragion per cui la sconfitta è stata particolarmente amara. A metà giugno, i cinesi si arrendono. Chinalco dichiarava che il fallimento della proposta di
investimento – lievitata a 19,5 miliardi di dollari – era «fuori dal suo controllo».
Il gigante cinese avrebbe continuato a monitorare la strategia e le attività di Rio, incluse la sua offerta di diritti e la sua joint venture con Bhp Billiton. La società australiana avrebbe scartato l’investimento con gli occhi a mandorla per poter ottenere 21 miliardi di dollari da una vendita di azioni agli inglesi e per effettuare con quest’ultima una speculazione relativa al minerale di ferro. Pechino aveva subito dichiarato di «essere molto delusa» dal rifiuto degli australiani. E deve essersela legata al dito. Chinalco inoltre aveva anche accettato di rettificare alcuni termini dell’affare per soddisfare i requisiti degli enti regolatori e degli azionisti e per adeguarsi ai cambiamenti del mercato. Tutto lavoro inutile a quanto pare. Ma la “ritorsione” sarebbe scattata un mese dopo, con degli «arresti incomprensibili», come hanno fatto subito sapere da Camberra. Non solo, Il ministro degli esteri australiano Stephen Smith ha chiesto l’accesso immediato agli arrestati e ha aggiunto di essere sicuro che Hu venga trattato in maniera appropriata. A buon intenditore. Il governo australiano vuole verificare con urgenza le condizioni di Hu e ottenere da lui «indicazioni su come possiamo assisterlo», ha sottolineato il ministro. A dimostrazione che quello in atto non è solo un affaire commerciale.
«Furto di segreti di Stato»: questa l’accusa mossa da Pechino per giustificare l’arresto di quattro persone a Shangai. Ma sullo sfondo c’è il prezzo dei metalli necessari per la costruzione delle auto: un settore in vertiginosa crescita in Asia