Bisogna dunque guardarsi
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bene dal giudicare le società nascenti con idee attinte da quelle che non sono più
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Charles Alexis De Tocqueville di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • MARTEDÌ 4 AGOSTO 2009
Il figlio dell’ex sindaco di Palermo in procura
I misteri d’Italia? Appesi a Ciancimino Jr
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
PERSECUZIONI Tutti i media mondiali danno grande risalto al massacro dei cristiani in Pakistan. Ma ancora più rumoroso è il silenzio di Onu, governi occidentali e comunità internazionale. Non è una vergogna che sia solo il Vaticano a far sentire la propria voce?
di Riccardo Paradisi assimo Ciancimino si sa è un personaggio un po’ guascone, uno che prende subito cappello, che è gentile e sorridente ma che s’adonta se gli si manca di rispetto. Con il procuratore di Caltanisetta che nei giorni scorsi lo aveva definito un personaggio “equivoco” Massimo Ciancimino s’era offeso, tanto da dichiarare che non avrebbe più risposto alle domande dei magistrati, che non lo cercassero più per interrogarlo dunque. Poi però, come spesso gli capita, Ciancimino Jr. ha cambiato idea. E ieri s’è presentato alla procura di Caltanissetta per essere sentito dal procuratore Sergio Lari nell’ambito della nuova inchiesta sulle stragi mafiose del 1992 e in particolare sull’attentato di via D’Amelio in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.
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L’antico vizietto italico da Camillo a Silvio
Le «escort» ai tempi di Cavour di Giuseppe Baiocchi ell’uragano mediatico sulle frequentazioni femminili del premier colpisce da sempre il tono istericamente “sopra le righe”: da un lato il neo-moralismo bacchettone ad personam di chi ha rimestato fino in fondo l’obiettivo squallore di intercettazioni, conversazioni registrate e misere relazioni corporali ad esclusivo fine politico; dall’altro lo sfrontato e allegro modulo difensivo di quello che il suo avvocato-politico ha già definito «l’utilizzatore finale». Quell’esplicito «Io non sono un santo», e «alla gente piaccio così» sono un chiaro e complice strizzar l’occhio alla comprensione divertita e talvolta morbosa di quella presunta natura italica sempre disponibile a perdonare i “peccati di alcova”, soprattutto se commessi e reiterati da potenti, veri, presunti o falsi che siano.
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liberal estate Ogni giorno l’inserto
OTTO PAGINE PER CAMBIARE IL TEMPO D’AGOSTO seg1,00 ue a (10,00 pagina 9CON EURO
Non lasciamo sola la Chiesa
alle pagine 2 e 3
Crisi e fronte del Sud, tensioni Lega-Pdl: ora le nuove critiche del presidente della Camera
Maggioranza, un agosto freddo Fini: «Il goverrno non esautori più il Parlamento» di Marco Palombi
ROMA. Berlusconi lo va ripetendo da giorni: i continui litigi della maggioranza sui giornali (le tv, bontà loro, s’occupano d’altro), i ministri che parlano ognuno per conto suo, il Pdl che oramai si autodefinisce “decerebrato”, rischiano di proiettare su di lui l’immagine del più classico e detestato“teatrino della politica”, facendogli perdere agli occhi del pubblico l’aura da salvatore della patria con cui aveva improntato la legislatura. Fatto sta che, nonostante le preoccupazioni del Cavaliere, i fuochi di guerra nella maggioranza e all’interno del Pdl non accennano a spegnersi. Semmai, si moltiplicano. Partito del Sud, nuova Cassa del Mezzogiorno, regolarizzazione dei clandestini, nomina degli organigrammi del I QUADERNI)
• ANNO XIV •
NUMERO
Firmato ieri l’accordo tra Abi e imprese
Marcegaglia: «Mesi difficili»
Pdl, cavalleria rusticana tra cacicchi siciliani, rapporti col Vaticano incrinati (dalle veline alle accuse di Avvenire sulla Ru486) e, da ieri, il nuovo richiamo di Fini sul ruolo del Parlamento. Ieri, intervistato dal suo capo ufficio stampa per il canale satellitare di Montecitorio, il presidente della Camera ha ribadito per l’ennesima volta che il Parlamento ha «il diritto-dovere di controllare, di emendare se lo ritiene, di approvare e respingere un provvedimento del governo». Se però si continua coi maxiemendamenti su cui poi si pone la fiducia e «se non è rispettato e tenuto nel dovuto conto il lavoro delle commissioni, l’assemblea si vede di fatto esautorata».
ROMA. Ci sono voluti sei mesi di trattative, ma alla fine aziende e banche sono riuscite a darsi quella moratoria sui mutui chiesta a gran voce dalle Piccole e medie imprese. Una misura che, complici le pressioni di Giulio Tremonti, non a caso arriva in prossimità di un autunno molto caldo per il numero di imprese che potrebbero essere costrette a cessare la loro attività.
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• CHIUSO
di Francesco Pacifico
IN REDAZIONE ALLE ORE
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pagina 2 • 4 agosto 2009
Persecuzioni. Il Pakistan è il cuore della crisi asiatica, ma gli Usa l’hanno capito troppo tardi. E sono i cristiani a farne le spese
Un silenzio contro noi stessi L’ultimo pogrom nel Punjab orientale provoca sei vittime: è l’ennesimo caso di un’ondata di violenza a cui l’Occidente non reagisce. Lasciando sola la Chiesa di Gennaro Malgieri petute a Korrial dove sono state bruciate sessanta persone. Da ultimo Gojra. E non è finita, come fanno capire i persecutori che trovano nella popolazione insospettabili appoggi. Di fronte all’ondata criminale non sembra, comunque, che il mondo libero si ribelli, che chieda ai governanti pakistani con l’energia necessaria, di far cessare gli orrendi crimini. La Chiesa – e non è la prima volta nella sua storia bimillenaria – è sola. Benedetto XVI chiede pietà, ma in una parte del composito e confuso universo islamico non si sa neppure che cosa sia questo elementare sentimento esaltato peraltro anche nel Corano. L’uso politico della religione produce l’intolleranza più feroce. Ed il Pakistan oggi, senza dimenticare che più o meno gli stessi crimini vengono perpetrati anche altrove, è l’inferno per quel due per cento di cristiani che non si rassegnano ad essere avviati al mattatoio.
e inquietudini che si manifestano in alcuni Paesi dell’Asia centrale rischiano di far saltare definitivamente il precario equilibrio mondiale, consacrato, inutilmente, nei periodici incontri tra i cosiddetti Grandi della Terra. Inquietudini che danno luogo a tragedie rispetto alle quali l’Occidente spesso mostra una preoccupante insensibilità.
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L’ultimo pogrom anticristiano in Pakistan, a Gojra, provincia di Faislabad, nel Punjab orientale, ha fatto sei morti, bruciati vivi non da terroristi “professionali”, ma da invasati appoggiati dalla locale popolazione, mentre erano nella loro casa. A scatenare l’orrendo crimine è stata l’accusa rivolta ai congiunti degli assassinati di aver strappato pagine del Corano durante la celebrazione di un matrimonio con rito cattolico. Naturalmente non c’è uno straccio di prova che asseveri questa accusa, ma da quelle parti le cose vanno così. I vescovi locali hanno vanamente invocato un po’ d’attenzione da parte delle autorità nell’arbitraria interpretazione che viene data della famigerata “legge 295”la quale prevede la pena di morte per chiunque offenda il Corano e Maometto. Spesso basta un denuncia in tal senso, neppure circostanziata e suffragata da testimonianze inoppugnabili, per incarcerare cittadini innocenti, colpevoli soltanto di essere cristiani. Talvolta non c’è bisogno neppure di invocare l’intervento della polizia e dei tribunali: la “giustizia fai da te”arriva più rapida e con più efficacia, come è accaduto a Gojra. Oltre alle persecuzioni spicciole contro i cristiani che stanno dilagando in tutto il Pakistan, negli
Benedetto XVI chiede pietà, ma in una parte del composito (e confuso) universo islamico l’uso politico della religione produce l’intolleranza più feroce. Senza che il mondo libero trovi più la forza di ribellarsi ultimi dodici anni veri e propri pogrom hanno fatto decine di morti. Nel 1997 il villaggio di Shantinagar venne messo a ferro e fuoco da orde di islamisti
che trucidarono chiunque fosse sospettato di essere cristiano. Nel 2005 fu la cittadina di Fanglahill a trasformarsi in teatro di sangue. Il 30 giugno di quest’an-
no nel villaggio di Banniwal hanno trovato la morte numerosi fedeli ed i miseri luoghi di culto sono stati devastati. Poi, il 26 luglio, le orrende gesta si sono ri-
Sarà stato per effetto del “contagio” afghano, ma il governo di Islamabad, sempre in bilico tra suggestioni fondamentaliste e ragionevolezza politica, risulta più debole perfino di quando al vertice c’era Musharraf, e l’Isi, l’equivoca polizia segreta, spadroneggiava e contrattava con i talebani che fingeva di combattere. Il Pakistan è il “cuore” della crisi asiatica: gli americani, purtroppo l’hanno capito tardi ed a farne le spese sono innanzitutto i cristiani i cui aguzzini “usano”le persecuzioni contro di loro per terrorizzare il resto della popolazione, per sfidare i paesi vicini, per far sapere al mondo che all’interno dei loro confini vige la singolare legge dell’opportuni-
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4 agosto 2009 • pagina 3
A lato i corpi delle vittime dell’attacco a Gorja e, accanto, una sopravvissuta. Nella pagina a fianco, manifestazioni contro la violenza anti-cristiana, sempre più feroce in Pakistan e in India
smo e del ricatto. Aguzzini ben conosciuti dalle classi dirigenti pakistane le cui armi subdole, quella della blandizia e della minaccia, con successo, a quanto pare, hanno usato nei confronti dell’Occidente, fingendo di combattere il terrorismo, ma in realtà assecondando l’islamismo più intransigente per garantirsi la sopravvivenza. Insomma, civettano con i talebani, ma agli occhi del mondo si mostrano agguerriti contro di essi. Sta di fatto che i seguaci del mullah Omar ed i superstiti di al Qaeda vanno e vengono dal Pakistan come vogliono e per questo è pressochè impossibile sconfiggerli. Prova ne sia che negli ultimi tempi hanno intensificato la loro attività terroristica, colpendo i contingenti militari internazionali, come è capitato anche all’Italia, e spargendo sangue tra la popolazione civile. È la loro campagna elettorale in vista del voto presidenziale del 20 agosto prossimo. Il“comizio”più riuscito
hanno imparato a commercializzare la principale fonte di ricchezza afghana: la droga ricavata dalle sterminate piantagioni di papavero. Un bottino che non vogliono dividere con nessuno, un prodotto esclusivo che rende anche in termini politici: i buoni rapporti con l’Iran derivano soprattutto dal passaggio che l’“integerrimo” paese degli ayatollah garantisce ai trafficanti afghani.
Proprio a Teheran in queste ore si sta consumando l’ultimo atto della tragedia messa in scena il 12 giugno scorso. La Guida Suprema Alì Khamenei ha ufficialmente proclamato Mahmoud Ahmadinejad presidente della Repubblica islamica. Giurerà domani davanti ai membri del Majlis: le previste contestazioni minacciate dai deputati sono sfumate dopo l’ondata di processi-farsa celebrati nei giorni scorsi davanti a giudici manovrati dal Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione che hanno co-
I seguaci del mullah Omar e al Qaeda vanno e vengono dal Paese come vogliono. E negli ultimi tempi hanno intensificato la loro attività terroristica, colpendo militari e popolazione civile negli ultimi tempo l’hanno tenuto pochi giorni fa ad Herat. Un convoglio della polizia è stato attaccato: dodici morti e trenta feriti il bilancio. Tra le vittime anche una donna ed un bambino. I talebani continuano a far scorrere il sangue, mentre quaranta candidati si disputano la poltrona di Karzai il quale, pure concorre, ma con la prospettiva di dover stringere patti con i criminali (distinti ora in buoni e cattivi dal moderato presidente a cui l’Occidente ha affidato il compito di ricostruire il suo Paese, con quali risultati lo vediamo) e, dunque, di mettersi nelle loro mani.
Il califfato di Omar e di Bin Laden (non sono la stessa cosa, ma sono oggettivamente uniti nel tenere sotto schiaffo l’Afghanistan come luogo di raccolta del terrorismo islamista) è più potente di quando cominciò la missione occidentale dopo l’11 settembre. I talebani, oggettivamente alleati ai signori della guerra che rispondono ad altre logiche, ma convergono sul piano dell’interesse a tenere il Paese disunito,
stretto molti imputati a confessare crimini mai commessi. L’expresidente Mohammad Khatami ha definito «incostituzionali» i processi ai dissidenti, torturati nei penitenziari più orrendi di cui si abbia notizia. Moussavi, l’antagonista dell’eletto, rischia grosso in questi giorni di terrore a Teheran dove la lotta per il potere non si attenua e, certamente, riprenderà vigore dopo il giuramento. Il fronte conservatore, infatti, si è diviso. Khamenei rischia. Il clero gli è contro. La popolazione non si rassegna ad essere governata ancora per cinque anni da Ahmadinejad. I pasdaran sono pronti ad impadronirsi del governo se la situazione dovesse precipitare. L’Occidente è in vacanza. In Asia Centrale il “grande gioco”è vorticosamente ripreso. Ma nella partita, a differenza della seconda metà del XIX secolo, non ci sono più le potenze europee. Queste assistono sgomente e frastornate la fine della loro storia che si celebra con le guerre fratricide in quella parte cruciale e disperata del mondo.
Parla il Segretario della Commissione episcopale Giustizia e pace
«La colpa è di Islamabad che tratta con i talebani» di Vincenzo Faccioli Pintozzi l governo pakistano «poteva agire per tempo. Conosceva la situazione nell’area, sapeva che la tensione montava giorno per giorno. Hanno mandato i cristiani al massacro». Peter Jacob, segretario nazionale della Commissione episcopale Giustizia e pace (Ncjp) e attivista di lungo corso per i diritti delle minoranze, racconta a liberal come è la situazione attuale dei cristiani pakistani. Una situazione in cui, nonostante l’appoggio della popolazione civile, le troppe aperture delle autorità hanno spianato la strada alla talebanizzazione del Pakistan. E a questo proposito Jacob lancia un appello chiaro al governo di Islamabad: «Smettetela di trattare con i talebani, perché questo è il prezzo che poi siamo costretti a pagare». Dopo la strage del Punjab, com’è la situazione della minoranza cristiana? I cristiani rappresentano circa il 2,3 per cento della popolazione totale del Paese, che a stragrande maggioranza professa la fede islamica. Gli attacchi contro la nostra comunità vanno avanti da molto, molto tempo. Si sono intensificati dallo scorso marzo, quando il governo ha iniziato a trattare con alcune frange di estremisti islamici cercando un accordo di pace. Il più grosso errore è stato quando il governo della provincia della Frontiera nord-occidentale ha firmato il cessate il fuoco con le milizie talebane Tahrik-e-Nifaz Shariat Muhammadi. Ha concesso loro l’introduzione della sharia, e ora ci bruciano vivi. D’altra parte, la frontiera nordoccidentale è da tempo teatro di una massiccia campagna dei talebani, che mirano all’introduzione delle corti islamiche. La valle di Swat era caduta nell’autunno del 2007 nelle mani dei talebani; l’esercito aveva subito lanciato una vasta offensiva per riconquistare il controllo dei territori. Un primo accordo, che prevedeva l’introduzione della sharia, non è mai entrato in vigore. L’estate scorsa l’esercito aveva lanciato una seconda offensiva, senza riuscire a sradicare la presenza delle milizie talebane dalla zona. Ora ce l’hanno fatta, e stanno calando a valle. Sulla loro strada, però, lasciano corti islamiche e fatwe contro tutti coloro che non seguono il Corano.
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Qual è stata la reazione del Pakistan a questo orribile attacco? Bisogna dire che la società civile ha reagito con un calore commovente. Abbiamo ricevuto moltissimi segnali di solidarietà di persone normali e di organizzazioni, anche musulmane, moderate. È importante sottolineare che il Paese non apprezza questo tipo di attacchi: si tratta di atti compiuti da integralisti senza scrupoli, che non esitano a uccidere donne e bambini con tattiche di guerra. Siamo convinti però che questo male possa essere estirpato. Basterebbe dialogare con tutti, senza pregiudizi di religione o etnie. Come sarebbe possibile? Noi, leader della Commissione nazionale di Giustizia e Pace, pensiamo che il governo debba risolvere la questione legata alla legge sulla blasfemia, uno strumento che crea odio e divi-
L’errore più grande è stato quando le autorità nella provincia della Frontiera nord occidentale hanno firmato il cessate il fuoco con le milizie talebane in cambio della sharia
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sione nel Paese. Vanno poi sconfitte le cellule estremiste con base nel Punjab, che sferrano attacchi in tutto il Pakistan, ed è compito del governo locale adottare una strategia adeguata per eliminare ogni forma di violenza. Da dove nasce questa spirale d’odio? Non c’è alcun dubbio che si tratti di un frutto della talebanizzazione del Pakistan. È un procedimento che si è accelerato negli ultimi tempi e che dobbiamo fermare ad ogni costo. Non possiamo pagare noi per tutti. In pericolo c’è la convivenza sociale di uno dei Paesi più grandi dell’Asia, una nazione che è nata anche per accogliere le comunità non islamiche che vivevano in India. A mio parere, una formula perfetta si trova nelle parole che il Papa ha rivolto ieri alla nostra comunità: l’attacco contro Gojra è stato insensato. Ma abbiamo bisogno che, nel nome di Dio,“si rinunci a seguire la strada della violenza che causa così tanta sofferenza e a intraprendere la strada della pace”. Certo, è sempre complicato portare la pace quando ti rispondono in questo modo.
politica
pagina 4 • 4 agosto 2009
Maggioranza. Ieri incontro ad Arcore tra Berlusconi e Tremonti, ma la Lega insiste: «Il Mezzogiorno? Abbiamo già dato»
Agosto freddo Fini critica ancora il governo. Non si placano gli scontri sul Sud e sulla leadership del Pdl di Marco Palombi segue dalla prima RUOLO DEL PARLAMENTO Lo scarso rispetto del ruolo del Parlamento è una questione recente, avverte Fini, tanto è vero che se ne discute da «due o tre legislature», ma ora «dovrà essere affrontata nella giunta del Regolamento»: «Nessuno nel governo può pensare di non doversi confrontare con il Parlamento», ma allo stesso tempo l’esecutivo «deve essere consapevole che nel Parlamento nessuno vuole limitare il suo diritto-dovere di governare. È una questione che, anche da un punto di vista costituzionale, chiama in causa i grandi principi della democrazia, che deve essere rappresentativa e governante». Nonostante l’ottimismo del presidente della Camera, è però assai improbabile che ci sia una convergenza reale in Giunta tra i gruppi parlamentari. Prova ne sia il surreale dibattito di ieri. Plauso immediato dal capogruppo leghista Roberto Cota: «Sono d’accordo, sono ormai necessarie modifiche al regolamento della Camera per garantire più efficienza ai lavori». Le parole di Gaetano Quagliariello invece sono già più spigolose: «Cogliamo il senso positivo delle dichiarazioni del presidente Fini», ha sostenuto il vicepresidente dei senatori del Pdl, implicitamente facendo riferimento ad un «senso negativo» di quelle parole (si presume quello in cui l’ex leader di An tenta di mettere un argine allo strapotere dell’esecutivo). Decisamente sopra le righe la reazione di Italia dei Valori: per il capogruppo Massimo Donadi «le parole di Fini sono di una colossale ipocrisia». Di più: «Le mezze verità pronunciate dal presidente della Camera sono uno straordinario atto di faziosità politica. È vero che nelle passate legislature può esserci stato un ricorso eccessivo alla fiducia, ma in questa legislatura c’è il sistematico esautoramento del Parlamento. Fini sta cercando di attenuare il potere eversivo di questo modo di governare per celare la propria impotenza. In queste condizioni, cambiare
alla cieca i regolamenti parlamentari significa ratificare la dittatura della maggioranza» (giudizio condiviso, peraltro, dalla sinistra radicale). Opposta l’interpretazione del presidente dell’Udc Rocco Buttiglione: «Ha ragione il presidente Fini a riprendere il tema del governo che annulla il ruolo del Parlamento. Le Camere vengono esautorate non solo per l’abbondanza dei decreti e delle fiducie, ma anche perché non si tengono in alcun conto le discussioni nelle commissioni». Significativo il profilo basso del Pd, che stavolta non ha appoggiato Fini. PARTITO DEL SUD Non accenna a placarsi la rissa sicula all’interno del Pdl tra la fazione Schifani-Alfano e quel-
GIANFRANCO FINI Le critiche del presidente della Camera: «Se non è rispettato il lavoro delle commissioni, l’Aula di Montecitorio si vede di fatto esautorata»
la Lombardo-Miccichè (autorevolmente rappresentata nel governo da Stefania Prestigiacomo). Ieri il coordinatore regionale Giuseppe Castiglione, espressione della prima cordata, ha arrecato pubblico sfregio ai “frondisti”: «Voglio abbracciare Gianfranco e Stefania - ha dichiarato a mezzo stampa - Ma non posso non dire che c’è un solo vero leader in Sicilia: Angelino Alfano». La verità è che i (pochi) soldi promessi da Berlu-
sconi ai siciliani hanno fatto tramontare l’ipotesi del Partito del Sud, ma non ridotto la conflittualità nel Pdl a Palermo: la ridotta dell’orgoglio individuata adesso da Miccichè non è più l’uscita formale dal partito, ma
l’ipotesi di creare nell’Assemblea regionale siciliana un nuovo gruppo di “ribelli”da chiamare all’ingrosso “Pdl Sicilia”. La pace, ancorché armata, si avrà solo quando la testa di Castiglione adornerà il casino di cac-
Il deputato finiano Fabio Granata: «Se l’esecutivo deborda è anche perché in aula produciamo poco»
«Non riduciamoci a un comitato elettorale» di Errico Novi
ROMA. Gianfranco Fini ha degli obblighi e li assolve. Ha il dovere per esempio di alzare un argine, come ha fatto ieri, se ritiene che il Parlamento corra il rischio di essere «esautorato» dal governo. Ma il presidente della Camera non può dire se questo squilibrio nasca anche da un deficit d’iniziativa politica della maggioranza. Non ha imbrazzi a farlo invece il deputato del Pdl Fabio Granata, considerato peraltro un finiano doc: «È vero, il problema non è solo nell’eccessivo ricorso dell’esecutivo ai maxiemendamenti blindati dalla fiducia, ma anche nella qualità e nei tempi della nostra produzione legislativa». Ciò non toglie che le obiezioni di Fini siano fondate, è così? Fini ha perfettamente ragione e va sostenuto in questo suo impegno a riequilibrare le forze, così come appaiono ingenerose le accuse di ‘faziosa ipocrisia’subito arrivate dall’Italia dei valori: abbiamo un presidente della Camera che si è messo più volte contro il governo e la maggioranza. Resta la sensazione di un partito, il
Pdl, così privo di iniziativa da accentuare la “voracità”del governo. È indubbiamente una parte della questione. La produzione legislativa è modestissima, non ha né tempi né qualità eccelsi. Bisogna fare una riflessione nel partito, su questo. Il governo finisce anche per riempire degli spazi che noi lasciamo vuoti. Come autocritica non c’è male. È anche vero che in alcuni casi le commissioni sono riuscite a correggere l’impostazione del governo in modo da renderla più equilibrata. Penso al lavoro fatto dalla commissione cultura sulla riforma dell’università. O a iniziative come quella dei ‘101’ su medici e presidi-spia. L’impressione generale però non è esaltante. Cominciano a preoccuparsene anche prime file come il vostro capogruppo Fabrizio Cicchitto, che vede un Pdl ridotto a fabbrica di organigrammi. Possiamo concedere tutte le attenuanti possibili, perché siamo un partito giovane che deve ancora registrare la macchina, ma Cic-
chitto ha ragione: finora è mancata una capacità di approfondimento politico e culturale. Perché? Non si vede quella capacità di sintesi che è importante nei grandi movimenti politici, e non vedo come la si possa eludere di fronte ai temi eticamente sensibili, alle questioni della sicurezza e della cittadinanza. Servirebbero luoghi di confronto. Di sicuro serve un partito con una struttura centrale molto organizzata. Ma bisogna anche delegare una parte della linea politica al territorio. Altrimenti è impossibile competere con la Lega al Nord e l’Mpa al Sud. È il discorso che insieme con altri esponenti siciliani di area finiana del partito sto cercando di portare avanti. Al suo discorso servirebbe un argomento essenziale: l’elezione dei coordinatori locali fatta dalla base e non a tavolino da Roma. È il nodo chiave. La nostra proposta è di concedere intanto uno ‘statuito speciale’ al partito inb Sicilia, che preveda appunto l’e-
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contrari a riedizioni di vecchie formule», insiste Maurizio Gasparri, che pure - insieme a Fabrizio Cicchitto - ha proposto una sorta di task force molto snella che inglobi tutte le competenze delle varie agenzie per lo sviluppo (ipotesi, peraltro, gradita anche alla presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e persino al Partito democratico). Ieri il ministro dell’Economia è andato ad Arcore col ragioniere generale dello Stato Vittorio Grilli per discutere col premier del fantomatico piano per il Sud, ma entrambi sanno che questa riedizione del piano Marshall difficilmente sarà più di un annuncio. Almeno fino a che la Lega farà il bello e il cattivo tempo: i 4 miliardi che arriveranno in Sicilia, tanto per dire, sono appena un po’ di più dei tre miliardi e mezzo stanziati per il solo tunnel del Brennero.
CLAUDIO SCAJOLA Claudio Scajola ha proposto una nuova sanatoria per i lavoratori stranieri. Calderoli: «Non si può fare, non è scritto nel programma»
ORGANIGRAMMI DEL PDL Ancora bloccata la situazione nomine nel partitone unico. I triumviri peraltro, fatta eccezione per Sandro Bondi (accusato però di scarsa presenza), devono fare i conti con l’irritazione che Berlusconi continua a far filtrare sui giornali: il Cavaliere non ha ancora perdonato a Ignazio La Russa la sfida per le preferenze alle Europee e detesta l’intransigenza con cui il ministro della Difesa intende far rispettare il 30 per cento che spetta ad Alleanza nazionale negli organi di governo del Popolo della Libertà. Quello che traballa di più, però, è Denis Verdini, che è poi MAURIZIO l’uomo che ha tirato LUPI i fili del partito in questi mesi: nel riLe correnti mescolio di correnti del Pdl si e correntine sorte riorganizzano: attorno al’imperatoqualcuno re in queste settimavorrebbe ne, l’ultima opzione Maurizio Lupi cia degli scontenti e si costruirà NUOVA CASSA DEL MEZZOGIORNO il vigoroso no della Lega («il circolata è la sostialla guida una guida regionale “biparti- Anche il progetto di un nuo- Sud ha già avuto abbastanza tuzione del banchiepartito al posto san”: Schifani e Alfano però - vo ente che - da palazzo Chi- soldi»), sono arrivate altre re toscano con Maudi Denis questioni d’onore - non voglio- gi, alla faccia del federalismo critiche. «Il rimedio sarebbe rizio Lupi, vicepreVerdini no cedere e tutti sanno quanto - gestisca gli investimenti in- peggiore del male», dice ad sidente della Camespazio l’attuale Guardasigilli frastrutturali verso il Sud non esempio il repubblicano ra assai vicino a Roè esente da polemiche. Dopo Francesco Nucara. «Siamo abbia nel cuore del Cavaliere. berto Formigoni (a sua volta in navigazione verso l’ammucchiata valoriale con Gianni Alemanno e lezione diretta dei coordinatori. punto di vista culturale e poliGiulio Tremonti). Sarebbe un laboratorio, un motico. Ma ci sono dei limiti, le IMMIGRAZIONE dello da esportare in tutta Italia. sue posizioni rispetto al dibatLo stesso Berlusconi coSpaccatura anche sulla regolatito interno non possono essemincia a reclamare meccarizzazione dei clandestini. Dore troppo evidenti. Sui contenismi più “dinamici” nel po le badanti, il ministro Claunuti credo si possa riconoscePdl. dio Scajola ha infatti provato a re a Fini di aver affermato sì tirare dentro anche altre tipoLa peculiarità di questo partito dei principi generali ma di logie di lavoratori. «Non se ne avere in questo modo fatto non può consistere solo nel fare parla», ha detto subito Roberto anche emergere posizioni nomine dall’alto senza idee e Calderoli. «Chiacchiere da omnon residuali nel partito. senza valori: il Pdl è un partito o brellone», ha aggiunto Gasparun comitato elettorale?Né posSe la sente di scommettere ri. «Meglio non rischiare di ansiamo delegare tutto alle fondasul processo di “democratizdare a legalizzare ballerine o zazione”del Pdl? zioni, nemmeno a Farefuturo: le prostitute», ha chiuso il cerchio fondazioni servono a creare moSì: i segnali incoraggianti in Zaia. Il titolare delle Attività vimenti d’opinione, diffondere lifondo sono proprio nei grupproduttive, però, ha incassato il bri, ma il dibattito tra le idee depi, perché se non fosse stato sostegno di molti deputati delve avvenire all’interno di una per le obiezioni sollevate in la maggioranza e pure quello forza politica. aula certi provvedimenti non di Bondi: «Suggerisco all’amiForse vi penalizza anche sarebbero stati modificati. Nel co Calderoli - ha sostenuto l’eccesso di sicurezza, la governo difficilmente si sviquest’ultimo - l’utilità e l’eleforza dei numeri. l’appartenenza andrebbe privilegiata la luppa dialettica, in Parlamento c’è una ricganza di considerare le propoCi siamo crogiolati in uno stato di grazia qualità. Bastebbe fare una semplice modifi- chezza che dobbiamo valorizzare, anche ste che vengono formulate da iniziale, poi però le Europee ci hanno dato ca allo statuto. perché su temi come il testamento biologico altri colleghi o da esponenti Quale? un po’ la sveglia: guardate quanto terreno potremmo trovare una maggioranza impredella maggioranza, come proabbiamo ceduto in Sicilia all’astensionismo Il principio ‘è cretino ma è un amico’ an- vedibile: non si può ridurre tutto all’identità poste legittime e meritevoli aldrebbe sostituito con ‘è un amico ma è un teocon come vorrebbero fare Gasparri e e all’Mpa. meno di approfondimento». Crede che sarebbe utile rinunciare al- cretino’. Quagliariello. Uno che l’ha capito è CicchitControreplica a stretto giro: Berlusconi confida nel sostegno di Fi- to che non guida il gruppo con quella stessa la clausola del 70 a 30 tra Forza Italia e «Ringrazio l’amico Bondi del ni per riorganizzare il Pdl: ma il presi- logica. Ciò non toglie che dobbiamo saper An? suggerimento ma gli ricordo dente della Camera può permettersi produrre sintesi politiche da trasferire nei È la prima cosa da fare. Anziché far nasceche la nostra Bibbia è il proun simile impegno? re il Pdl, continuaiamo a dividerci in due disegni di legge. Così funziona un vero pargramma elettorale dove si dice componenti che si fronteggiano. Anziché Può dare un contributo imprtantissimo dal tito di maggioranza. esattamente il contrario».
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Va superata la divisione 70-30 tra FI e An, dobbiamo premiare la qualità.Il dibattito non può essere lasciato solo alle fondazioni,nemmeno a Farefuturo
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Misteri d’Italia/1. Sulle stragi mafiose degli anni Novanta non c’è ancora una verità. E il papello della trattativa resta un enigma
Appesi a Ciancimino
Il figlio di don Vito sentito dai magistrati a Caltanissetta: «Tutti i documenti che avevo li ho già consegnati alla procura» di Riccardo Paradisi assimo Ciancimino si sa è un personaggio un po’ guascone, uno che prende subito cappello, che è gentile e sorridente ma che s’adonta se gli si manca di rispetto. Con il procuratore di Caltanisetta che nei giorni scorsi lo aveva definito un personaggio ”equivoco”Massimo Ciancimino s’era offeso, tanto da dichiarare che non avrebbe più risposto alle domande dei magistrati, che non lo cercassero più per interrogarlo dunque.
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Poi però, come spesso gli capita, Ciancimino Jr. ha cambiato idea. E ieri s’è presentato alla procura di Caltanissetta per essere sentito dal procuratore Sergio Lari nell’ambito della nuova inchiesta sulle stragi mafiose del 1992 e in particolare sull’attentato di via D’Amelio in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta. Ciancimino junior ha deciso che continuerà a collaborare dunque, ma solo perché in qualche modo dalla procura di Palermo – dice lui – gli sono arrivate delle scuse: «Non mi aspettavo questo attacco personale». Fin qui si tratta però di scherma o di spagnolismi di contorno. Questioni inessenziali. Essenziale è quel misterioso papello che Massimo Ciancimino ha sempre detto di possedere avendolo ricevuto dal padre. E di quel papello malgrado la grande disponibilità a collaborare esibita da Ciancimino non c’è nessuna traccia. Ciancimino infatti ha ricordato ai magistrati di Caltanisetta di non aver ancora consegnato ad alcuna procura il ’papello’, la lista di richieste scritte da Riina nel 1992 rivolte allo Stato. Il testo in cui il capo dei capi avrebbe riassunto in schematici punti programmatici le sue richieste nella trattativa con lo Stato che sarebbe stata appunto condotta anche attraverso Vito Ciancimino, il padre di Massimo, l’ex sindaco di Palermo pesantemente colluso con la mafia, l’uomo che secondo molte ricostruzioni avrebbe fatto da pontiere tra istituzioni e Cosa nostra per far cessare la stagione delle bombe nei primi anni Novanta. La strategia della tensione che la
mafia scatenò sul continente con gli attentati di Roma, di Milano e di Firenze, e che nei piani di Cosa nostra avrebbe dovuto avere un escalation con attacchi sempre più indiscrimianti e sanguinosi fino a quando lo Stato non si sarebbe piegato cancellando il carcere duro per i mafiosi e le leggi sul sequestro dei beni di Cosa nostra. Ma esiste o no questo papello? «Esistono documenti – dice Ciancimino – tutto quello che è a mia disposizione l’ho già consegnato. Non chiedetemi altro».
Una pretesa curiosa non solo perchè Massimino ha dichiarato più volte che il papello esiste ma perché fino ad oggi il figlio di Don Vito ha centellinato silenzi e rivelazioni con consumata abilità. Ciancimino Jr. infatti, già condannato in primo grado per
riciclaggio nell’ambito di un processo sul ”tesoro”del padre, spiega che se comincia a parlare solo adesso sulle vicende inerenti la trattativa degli anni Novanta, a ben diciasette anni dalla strage di via d’Amelio, dove saltarono in aria il giudice Borsellino e la sua scorta, è perché solo adesso è stato interpellato: «Io non ho deciso adesso di parlare, adesso mi è stata chiesta collaborazione e io sto collaborando». I Pm di Palermo, poco prima del suo arresto avvenuto l’8 giugno del 2006, avrebbero voluto fare a Massimo Ciancimino anche domande su Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, ma il figlio di DonVito, che sapeva di essere indagato, all’epoca, per trasferimento fraudolento di valori, si avvalse della facoltà di non rispondere a quell’interrogatorio che anche il suo difensore definí ”anomalo”. «L’aggettivo ”anomalo” - spiega Ciancimino Jr – è stato usato da me e era condiviso dal mio legale, l’avvocato Dominici, in quanto trovava anomala la procedura che prima mi si chiedesse se intendevo rispondere o no, e dopo si dava lettura delle domande che avrebbero voluto farmi durante dell’interrogatorio». Le do-
mande spiega ancora Ciancimino Jr riferendosi a questo capitolo «sono state spillate insieme a quell’interrogatorio». L’interrogatorio si svolse prima del giugno del 2006. «Ero stato invitato dai pubblici ministeri Roberta Buzzolani, Lia Sava e dall’aggiunto dottor Pignatone a rispondere in merito al reato di 12quinques. In quella occasione anche per strategie processuali suggerite dai miei legali, si era già deciso di non dover rispondere in attesa della conclusione
presente ai Pm come questi argomenti non fossero oggetto del capo di imputazione e come non ritenesse, a prescindere che già si era concluso l’interrogatorio, opportuno porre questi quesiti all’interno di un processo che riguardava altri fatti. Avevo aggiunto anche io in quella occasione, che se c’erano domande da farmi in merito a questi argomenti – visto che erano in corso dei processi che, avevano per tema e per fine, appunto, alcuni di questi temi che mi venivano con-
«Oggi c’è l’ansia del papello sì, papello no - dice Massimo Ciancimino - però io dico sempre che dalle grandi aspettative possono sempre nascere anche le più grandi delusioni» delle indagini. Il mio legale, riteneva anomale anche il tipo di domande che riguardavano una presunta amicizia tra mio padre e l’esponente di Forza Italia, Marcello Dell’Utri, e la conoscenza mia, diretta, su un assegno che era stato dato dall’allora costruttore, imprenditore, Silvio Berlusconi per sponsorizzare il tesseramento della Dc e la presunta trattativa tra me e i carabinieri. Il mio avvocato ha fatto
testati in quell’interrogatorio, dovevano farle i magistrati che giudicavano queste situazioni». Insomma per Massimo Ciancimino erano domande che non si riferivano al procedimento per il quale era indagato. In altre circostanza anche recentemente Massimo Ciancimino è stato meno attento al rigore formale delle esternazioni. All’indomani della dichiarazione di Riina sull’estraneità di Cosa nostra alle
politica
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Misteri d’Italia/2. La matrice nera non convince: «Perché proprio i Nar che erano contro questo tipo di attentati?»
«I teoremi hanno ucciso la verità» Strage di Bologna: i dubbi del giudice Lupacchini su tutte le ipotesi “ideologiche” di Franco Insardà
ROMA. «Mi interessai della strage di Bologna quando ero giudice del Riesame. Dovetti decidere sulla fondatezza dell’ipotesi, formulata dalla Procura, di un’associazione per delinquere, partecipata oltre che dalla galassia eversiva d’estrema destra, anche da tutte le organizzazioni criminali, paracriminali e deviate che operavano in quegli anni nel nostro Paese. Si ritenne che non vi fossero prove sufficienti a sostegno di quella ipotesi». È questo il ricordo più diretto del giudice Otello Lupacchi, autore di molti libri su terrorismo e criminalità organizzata. Dottor Lupacchini, come è possibile che per le stragi non esista una verità accertata? Sono molte le vicende criminali il cui accertamento giudiziario è ancora controverso, dunque, il problema non riguarda soltanto le stragi. È vero, per altro, che rispetto a molte delle stragi che insanguinarono l’Italia dalla fine degli anni Sessanta alla prima metà degli anni Ottanta, i relativi processi o sono ancora in corso di celebrazione si sono conclusi o con sentenze di assoluzione o con sentenze di condanna, ma né le une né le altre sono incondizionatamente condivise. Insomma, non si può dire che sul terreno giudiziario siano state accertate verità incontrovertibili. Ma questo rientra nella logica dello strumento processuale. Ci spieghi meglio. Il processo, come strumento volto alla conoscenza, per sua stessa natura, né s’ispira alla “metafisica” idea di verità come obiettiva corrispondenza ai fatti né tende a creare l’accordo sulla base dei “dati di fatto”. Nel suo percorso conoscitivo il giudice incontra, tanti e tali vincoli normativi che quanto riesce ad accertare non bombe di via d’Amelio e alla trattativa tra Stato e Mafia incentrata sul papello per fermare le stragi Il figlio di Vito Ciancimino diceva: «Basta coi messaggi in codice, si affrontino le questioni in modo diretto». E sul papello consegnato ai giudici: «La magistratura ha tutto il materiale per
sempre, anzi quasi mai, soddisfa le esigenze di verità al di fuori del processo. Anche per la strage di Bologna esistono verità nascoste? A proposito della strage di Bologna la situazione è alquanto bizzarra: se ne sono accertati giudiziariamente gli esecutori, in GiuseppeValerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini; si sono giudiziariamente accertate le responsabilità per il depistaggio delle indagini; ma nul-
indagini, conducendo ad emersione una gran mole di elementi. Semplicemente, non mi spiego, in via esemplificativa, come possano tre soggetti che si ispiravano a un’ideologia opposta e di rottura rispetto a quella degli stragisti, definiti “tramoni”, finire poi per fare il gioco di questi ultimi andando a innescare la bomba. Insomma, delle due l’una: o non è vera la prima ipotesi o è falsa la seconda. L’ex presidente della commissioni Stragi, Giovanni Pellegrino, ritiene che manchi una spiegazione delle finalità. È d’accordo? Sicuramente. In assenza di un accertamento dei mandanti e dei beneficiari“politici”non ci si può appagare della conclu-
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ver muovere determinati meccanismi non accessibili a tutti. In ogni caso, però – o pertanto – nelle indagini non si deve partire da posizioni dogmatiche: ai fini della ricerca della verità il dubbio è più produttivo. Perché esistono organizzazioni e strutture che possono interrompere la ricerca della verità e canalizzarla verso falsi obiettivi. Oltre alla pista neofascista, si è parlato di palestinesi, libici e anche di Cia? Che cosa c’è di vero? Tutte ipotesi legittime a patto che ci si adoperi seriamente per verificarne la fondatezza. Limitarsi a denunciarle lascia il tempo che trova. Per l’attentato al Rapido 904 dell’84 fu condannato Pippo Calò, una prova che la mafia fosse collegata con una certa strategia. La strage di Natale ha dimostrato una tendenza stragista della mafia che poi si è ripetuta anche negli anni ’90. Nelle stragi di mafia c’è la mano dei servizi deviati come dice Riina? Nel campo delle possibilità questa non è meno legittima di altre ipotesi. Ma non ci si deve limitare a enunciarla, occorre tentare di dimostrarne la fondatezza. Ritiene giusta l’indignazione dei familiari delle vittime di Bologna? È un problema che si ripropone ogni volta che in applicazione delle norme di favore vengono rimessi in libertà autori di episodi così efferati. È comprensibile lo smarrimento e l’indignazione. Il problema è se le vittime nel nostro ordinamento godano di una tutela adeguata.
Non critico i miei colleghi, ma più che sui fatti le verità giudiziarie spesso si ricercano attraverso l’interpretazione dei fatti stessi la è stato accertato sui mandanti ed i beneficiari. In una situazione del genere le verità giudiziarie non soddisfano le esigenze di conoscenza sull’intera catena che ha portato all’ideazione, all’organizzazione e alla realizzazione della strage. Né si prestano ad essere condivise. È corretto dire che nel suo libro sulla banda della Magliana, lei smonta la tesi della pista nera? Mi limito soltanto a constatare taluni vizi logici della ricostruzione, anche alla luce di conoscenze maturate nell’ambito di altri processi che ho condotto. È una critica alle indagini? Assolutamente no. La Magistratura bolognese ha svolto con grande impegno le
fare indagini». Infine sulle collusioni e i coni d’adiacenza tra mafia e politica: «Anche i politici della sinistra hanno preso i soldi da mio padre».
Ma i messaggi in codice, le allusioni e gli avvertimenti fanno parte di questa storia. «Oggi c’è
sione alla quale sono giunti i processi. Su molti misteri incombe il segreto di Stato, anche per Bologna? Non sono in grado di dire se la sua rimozione possa aprire scenari non sondati. Resta comunque il fatto che il segreto concorre a creare il terreno adatto a che fioriscano i misteri, con conseguente codazzo di ricatti, strumentalizzazioni e tutto ciò che c’è di deteriore per un sano rapporto in uno Stato democratico di diritto. Coperture e depistaggi: c’è la sensazione che non si riesca ad arrivare oltre certi livelli. Chi organizza una strage gode di una particolare posizione, non si tratta di attività che possono essere svolte senza do-
l’ansia del papello sì, papello no – dice Massimo Ciancimino – Ho sempre detto che dalle grandi aspettative possono nascere le grandi delusioni. Io rispondo a domande e porto documentazione che mi viene richiesta, non avrò mai, se continueranno i miei rapporti, atteggiamenti
omertosi». Il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, parla di una svolta ormai prossima nell’ambito delle indagini sulle stragi di mafia. «I miei colleghi di Caltanissetta – dice il magistrato – stanno procedendo con grande rigore. Anche qui a Palermo sono venuti fuori parti-
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colari estremamente interessanti. È decisivo che chiunque sia a conoscenza di qualcosa su quelle vicende, dentro e fuori le istituzioni, si faccia avanti». Più che la promessa di una verità processuale sembra un auspicio. Per ora ci si affida a Massimino Ciancimino.
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diario
E la girandola continua: Maurizio Belpietro a “Libero”?
Il presidente della Costituente di Centro: «Un errore lo sgombero»
Cda Rai: ecco le nuove (poche) nomine
Pezzotta: «Solidarietà ai lavoratori dell’Innse»
ROMA.
Niente conferenza stampa per spiegare i motivi del niet all’offerta di Sky per il direttore generale della Rai, Mauro Masi: dal settimo piano di viale Mazzini fanno sapere che il numero uno dell’azienda è ancora convalescente dopo il piccolo intervento alla retina subito la scorsa settimana. Masi non ha però voluto rinunciare all’ultimo Cda prima della pausa estiva: all’ordine del giorno una (piccola, a dire il vero) nuova infornata di nomine. Sul tavolo dei consiglieri il direttore generale ha portato le proposte di nomina per la vice direzione del Tg1 e della rete ammiraglia, oltre ai direttori delle testate radio. Ad affiancare Minzolini al primo tigì nazionale ci saranno ben sei vice: Susanna Petruni (inviata al seguito del premier il cui nome era stato fatto anche per la direzione di Raidue e del Tg2), Gennaro Sangiuliano (in quota Pdl-An) entrambi promossi; confermati Ferragni, Rosseti, Giubilo e Fico. A Raiuno, tra i vice di Mauro Mazza c’è la new entry di Gianluigi Paragone, nominato solo venerdì direttore pro-tempore di Libero.
E proprio in seguito dell’addio di Vittorio Feltri al quotidiano da lui stesso fondato, si è scatenata una vera e propria corsa
Moratoria sui debiti per le Pmi più virtuose Accordo tra Abi e imprese. Marcegaglia: «Verso tempi difficili» di Francesco Pacifico
ROMA. Ci sono voluti sei mesi di trattative, ma aziende e banche sono riuscite a darsi quella moratoria sui mutui chiesta a gran voce dalle Pmi. Una misura che, complici le pressioni di Giulio Tremonti, non a caso arriva in prossimità di un autunno molto caldo per il numero di imprese che potrebbero essere costrette a cessare la loro attività. Ieri mattina a Milano il ministro dell’Economia, il presidente dell’Abi, Corrado Faissola, e quelli delle maggiori associazioni imprenditoriali (Confindustria, Confartigianato, Cna, Casartigiani, Confesercenti, Lega Cooperative e Confapi) hanno sottoscritto un «avviso comune per la sospensione dei debiti delle piccole e medie imprese verso il sistema creditizio».
L’accordo, in vigore da ieri, prevede che le domande possano essere presentate dalle aziende fino al 30 giugno 2010, mentre le banche hanno 45 giorni per comunicare la loro decisione e rendere operativa la moratoria. Destinatarie del protocollo le aziende con meno di 250 dipendenti, un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro, adeguate prospettive economiche e nessuna esposizione bancaria alla data del 30 settembre 2008. Soltanto queste realtà potranno chiedere la sospensione per un anno dei mutui o l’allungamento della durata dei fidi. Come si legge nell’accordo: «L’avviso comune prevede la sospensione dei debiti delle piccole e medie imprese verso il sistema creditizio con la sospensione per 12 mesi del pagamento della quota capitale delle rate di mutuo, del pagamento della quota capitale implicita nei cambi di leasing immobiliare e mobiliare e l’allungamento a 270 giorni delle scadenze del credito a breve termine per sostenere le esigenze di cassa con riferimento alle operazioni di anticipazione su crediti certi ed esigibili». A dir poco soddisfatto Giulio Tremonti: «È una boccata d’ossigeno per le imprese». Quindi – per rispondere ai dubbi delle banche che hanno limitato l’estensione del protocollo – il ministro ha chiarito: «La deduzione per le soffe-
renze degli istituti che parteciperanno volontariamente alla moratoria ci sarà soltanto se l’accordo funziona». Non contento, ha anche rafforzato il suo aut aut: il governo è pronto a «modificare il meccanismo fiscale sulle perdite, ma soltanto se c’è credito alle imprese: prima vogliamo vedere la moratoria, poi daremo sgravi fiscali, non viceversa». Rispetto ai giorni scorsi Corrado Faissola non ha voluto replicare alle “battute” del ministro. Il presidente dell’Abi si è invece rallegrato perché «il sistema Italia ha dato una risposta unica al mondo al problema della crisi. E in 20 giorni ha trovato una coesione altissima per dare una risposta in tempi rapidi». Da Confindustria Emma Marcegaglia si è augurata che «l’accordo venga concretizzato. Ci aspettano tempi difficili. È importante che quando un imprenditore a settembre andrà presso gli sportelli bancari, questa moratoria ci sia veramente e concretamente. Questo è uno strumento vero a supporto delle imprese che ora stanno soffrendo. Il tema della liquidità e del credito rimane una priorità assoluta in un momento di congiuntura difficile e di cali del fatturato dal 30 al 50 per cento, in cui per le aziende è difficile incassare i crediti».
L’intesa permetterà alle piccole e medie aziende con i conti in regola nel 2008 di rinviare di un anno i pagamenti
alla successione. Nei giorni scorsi si faceva insistentemente il nome di Franco Bechis, attuale direttore di Italia Oggi come probabile nuovo direttore di Libero qualora non fosse diventato vice direttore del Tg1 accanto a Minzolini. Sul suo nome la redazione di Saxa Rubra ha però posto il veto (ed il voto di fiducia per “Minzo”è atteso per dopodomani) e quindi il nome di Bechis è tornato in lizza per la poltrona che fino alla scorsa settimana è stata di Feltri. Ieri sera, però, un noto sito di gossip dava per fatto l’accordo tra gli Angelucci e il direttore di Panorama, Maurizio Belpietro. La nomina di Paragone a Raiuno accelera senz’altro la pratica.
MILANO. «Esprimo la mia piena e convinta solidarietà ai lavoratori dell’Innse di Milano». La posizione di Savino Pezzotta, deputato dell’Udc e presidente della Costituente di Centro (oltre che, naturalmente, ex segretario della Cisl), non ammette fraintendimenti. «Questi lavoratori - dice - da più di un anno sono in attesa di una proposta di soluzione e di un piano di salvataggio. L’impresa non è decotta, ha capacità innovative e un personale fortemente motivato. Non è con lo sgombero forzato che si risolvono questioni come queste, ma evitando le speculazioni e il disinteresse verso i drammi umani e familiari dei lavoratori coinvolti. Sollecito il ministro delle Politi-
Soddisfatto anche dal fronte degli autonomi Paolo Galassi, leader di Confapi. Il quale però sottolinea che «occorre non abbassare la guardia e avviare un monitoraggio continuo affinché le misure messe in campo per dare fiato alle imprese siano indirizzate soprattutto verso quel tessuto performante che ha investito in ricerca e sviluppo e che oggi, a causa di una crisi di cui non ha colpa, si trova invece in estrema difficoltà». Fuori dal coro la associazioni dei consumatori. «Senza sanzioni adeguate, la moratoria dei debitiverso le banche rischia di essere una bufala estiva», segnala Elio Lannutti dell’Adusbef. Mentre il Codacons chiede a Tremonti di spingere le banche a estendere le sospensioni dei pagamenti ai mutui delle famiglie.
che sociali e del lavoro ad intervenire con sollecitudine e a ricercare una soluzione. La vicenda è il primo segnale delle gravi tensioni sociali che si muovono nel mondo del lavoro. Spiace che il governo non abbia voluto accogliere le nostre proposte sugli ammortizzatori sociali e sul governo della crisi».
Intanto - tra gli appelli alla politica, le proteste per la (consistente) presenza delle forze dell’ordine e le promesse di un presidio “infinito” - in via Rubattino a Milano, dove ha sede l’azienda Innse (da due anni contesa tra lavoratori licenziati e proprietà), continua la protesta, malgrado domenica il prefetto avesse ordinato lo sgombero dell’area. Ieri i rappresentanti sindacali della Fiom-Cgil avrebbero dovuto incontrare il presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, ma il confronto è saltato. «Abbiamo parlato con un onestissimo funzionario - ha spiegato Giorgio Cremaschi, segretario nazionale della Fiom - ma non è quello che volevamo. Noi volevamo parlare con Formigoni». Intanto, secondo Sergio Cusani (consulente dei lavoratori), i compratori ci sono, ma servirebbe «una tregua», per la quale è indispensabile «l’intervento della politica».
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otto pagine per cambiare il tempo d’agosto
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4 agosto(1901)
Louis Armstrong
Non esiste musicista che in un suo assolo non paghi un tributo al grande Satchmo
Che vita meravigliosa! di Adriano Mazzoletti
il musicista di jazz più imitato ed amato di tutta la storia di questa musica. Il batterista Gene Krupa di lui disse: «Non esiste un musicista - trombettista, sassofonista, pianista o batterista - che nel corso di un suo assolo non paghi un tributo musicale a Louis». Boris Vian scrisse: «Armstrong è nato nel 1900 con il jazz, ma in realtà è il jazz ad essere nato con lui». Miles Davis disse di lui: «Non puoi suonare nulla sullo strumento che Louis non abbia già suonato». E si potrebbe continuare all’infinito perché Armstrong nel corso della sua intera carriera ha fatto scorrere fiumi di inchiostro. È il musicista su cui sono stati scritti il maggior numero di libri, circa cento, di articoli, più di centomila oltre a numerose discografie e studi a carattere musicologico. Lui stesso ha pubblicato due autobiografie. La prima Swing that Music nel 1936, la seconda My life in New Orleans nel 1954. Scrittore infaticabile, sempre pronto a prendere carta e penna per inviare lettere ad amici e fans con uno stile inconfondibile, inimitabile e divertente. La sua casa di Corona a New York è un enorme archivio di scritti e registrazioni inedite. Dagli anni Quaranta infatti era solito utilizzare un incisore portatile per registrare concerti, prove, conversazioni o considerazioni su musicisti. Ma anche ricordi della sua infanzia a New Orleans e gli anni passati a Chicago con King Oliver e a New York con Fletcher Henderson. Non si contano le trasmissioni inizialmente radiofoniche ed in seguito televisive alle quali ha partecipato in ogni parte del mondo. Hollywood lo ha chiamato spesso a prendere parte anche come attore a molti film. Di Armstrong si conosce tutto. Le origini modeste, i genitori separati, la nonna materna che si prese cura ra di lui e lo fece studiare. continua a pag. II
È
SCRITTORI E CIBI
LE GRANDI BATTAGLIE DELLA STORIA
CAPOLAVORI DI PIETRA
Le quaglie di Karen Blixen
Gaugamela 331 a.C
Palazzo Spada a Roma
di Filippo Maria Battaglia
di Claudia Conforti
di Massimo Tosti
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pagina I - liberal estate - 4 agosto 2009
Da New Orleans, Louis Armstrong conquistò il mondo. Accanto il trombettista è con Trummy Young, Gaetano Gimelli e il clarinettista Mac Craken nel 1952 a Torino. Nella pagina a lato è con la moglie, la pianista Lil Hardin
Le prime esperienze musicali a New Orleans con un piccolo gruppo vocale. Quando nella notte di Capodanno del 1913, per aver sparato alcuni colpi in aria con una pistola trovata in casa, venne internato in riformatorio, imparò la cornetta sotto la guida di Dave Jones, un oscuro musicista che aveva il compito di dirigere la brass band del riformatorio. Rilasciato nel 1914, a tredici anni, (è nato il 4 agosto 1901 e non il 4 luglio 1900 come per molti anni si è creduto) iniziò una carriera di musicista che lo vide nelle orchestre dei riverboats
Di quel periodo non esistono testimonianze discografiche, solo i racconti e i ricordi dei colleghi che suonarono con lui o dei giovani musicisti, come Bix Beiderbecke, che lo ascoltarono quando il battello attraccava nei vari porti. Poi nel 1922 la grande occasione. Il suo vecchio maestro ed amico King Oliver lo mandò a chiamare a Chicago per entrare a far parte della Creole Jazz Band. Armstrong incise il suo primo disco il 5 aprile 1923 con l’orchestra di Oliver. In
Just Gone, un semplice motivo in Fa di trentadue battute, si ascolta negli assieme dietro la cornetta di Oliver. Nel corso della stessa seduta il ventiduenne musicista di New Orleans ebbe non solo la possibilità di farsi ascoltare per la prima volta in assolo (ventiquattro battute in Chimes Blues), ma anche di dimostrare le sue qualità di compositore, collaborando con Oliver alla stesu-
con Oliver, la prima composizione a suo nome Weather Bird Rag che cinque anni dopo, il 5 dicembre 1928 ripropose – autentico capolavoro - in duo con il pianista Earl Hines.
Da quel giorno e per i successivi cinquantotto anni, ha partecipato ad un numero impressionante di registrazioni molte delle quali capolavori indiscussi. La sua più recente discografia pubblicata nel 1981 in Danimarca, elenca oltre duemila titoli pubblicati su supporto magnetico. In queste duemila incisioni non esiste una esecuzione poco o punto riuscita.Tutte hanno sempre un motivo di interesse. Diversi sono i capolavori e moltissime le gemme. La storiografia jazzistica ha spesso individuato in West End Blues del 28 giugno
Di Armstrong si conosce tutto. Le origini modeste, i genitori separati, la nonna materna che lo fece studiare, le sue prime esperienze musicali a New Orleans ra di due brani divenuti ben presto classici del jazz Canal Street Blues e Dippermouth Blues. Il giorno successivo incise, sempre
pagina II - liberal estate - 4 agosto 2009
1928, il suo capolavoro assoluto. Mai prima nella storia della musica nero-americana un musicista aveva saputo creare una simile struttura solistica: una lunga straordinaria cadenza di sola tromba in apertura a cui segue un tema di blues che Armstrong arricchisce con fioriture e richiami alla cadenza iniziale. Seguono assolo dei musicisti presenti alla seduta di cui uno straordinario del pianista Earl Hines in cui emerge quel pianotrumpet-style che Hines aveva creato ispirandosi al fraseggio di Armstrong. Il successivo e delicato duetto fra il canto senza parole di Armstrong e il clarinetto, precede un assolo del trombettista in cui lo splendente virtuosismo e la grandiosa semplicità del fraseggio, determinarono un successo mai ottenuto prima da un musicista di jazz. Stranamente West End Blues non entrò mai a far parte del suo repertorio e lui stesso non ricordò mai questa incisione, mentre ha lasciato testimonianze scritte su molti dischi incisi nello stesso periodo. Il brano venne citato una sola volta in
una lettera del 1941, inviata al critico inglese Leonard Feather, dove elencava una serie di brani da lui considerati i più riusciti. Le incisioni di quel brano sono solo otto, tutte provenienti salvo quelle del 1928 ed una successiva del 1939 per grande orchestra - da concerti, trasmissioni radiofoniche e colonne sonore di film, ben poche rispetto a tante altre da lui incise innumerevoli volte. Occorre anche segnalare che West End Blues non venne incluso da Armstrong nella sua celebre Musical Autobiography che comprendeva quarantotto brani incisi nel 1957 e pubblicati da Decca in un lussuoso album di quattro dischi microsolco. Musicologi, storici e studiosi della sua opera si sono spesso domandati la ragione di questa dimenticanza. La risposta è semplice: la versione del 1928 è troppo perfetta per poter essere ripetuta. Ripercorrendo l’intera sua opera, i cinque anni compresi fra il 1924 e il 1929 rappresentano il periodo di maggiore creatività. I suoi assolo nei dischi degli Hot
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o stesso giorno... nacque
Percy Bysshe Shelley i fragili nervi di un poeta libertario inglese di Francesco Lo Dico ato nel 1792 a Field Place, in Inghilterra, Percy Bysshe Shelley fu anticonformista, bersaglio di dileggi, e sublime poeta dell’età romantica. Rampollo di una famiglia nobile del Sussex, ebbe i primi rudimenti letterari dal reverendo Edwards, e già nel 1804, ammesso all’Eton College, si guadagnò l’appellativo di Mad Shelley per via della briosa stralunatezza. Pigro e insofferente frequentatore dell’università di Oxford, si diletta in lunghe passeggiate e si accosta alle tesi anarchiche di William Godwin. Improntata la sua esistenza sull’afflato libertario del pensatore inglese, scrive il suo primo romanzo, Zastrozzi, nel 1810. L’anno successivo teorizza la propria visione del mondo con La necessità dell’ateismo, libello infuocato che gli costa l’espulsione dall’università dopo averne rifiutato l’abiura. Rompe con la famiglia, fugge in
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Five, Hot Seven e Savoy Ballroom Five, non sono semplici improvvisazioni, ma temi molto articolati creati con estrema chiarezza e precisione anche perché la struttura dei singoli brani è spesso complessa. Incisioni come Cornet Chop Suey e Potato Head Blues con una strabiliante serie di breaks inseriti nel corso del suo assolo fanno di questi brani «qualcosa per cui vale la pena di vivere», come disse Woody Allen nel film Manhattan. Ad onor del vero, il regista e attore americano, aggiungeva che oltre che per Armstrong è importante vivere anche per «Groucho Marx, il secondo movimento della Sinfonia Jupiter, i film svedesi, l’Educazione Sentimentale di Flaubert, Marlon Brando, Frank Sinatra, le incredibili mele e pere dipinte da Cézanne, il viso di Spencer Tracy». Il 1929 segna una svolta non solo nella carriera di Armstrong, ma in quella della maggior parte dei musicisti di jazz. La crisi economica influì non poco sul mondo dello show-business. Armstrong che aveva suonato
con Fletcher Henderson fino al 1925, negli anni successivi fu impegnato soprattutto in studio di incisione e brevemente con le orchestre di Erskine Tate e Carroll Dickerson.
Nel 1930 dopo aver partecipato allo spettacolo Hot Chocolates, lasciò New York per trasferirsi in California dove la crisi era meno sentita. Formò una grande orchestra e da quel momento il suo ruolo cambiò radicalmente. Non più lo strumentista all’interno di un complesso, ma il solista di fronte all’orchestra. Anche lo stile era mutato.
Pagano, panteista, vegetariano, i suoi scritti stupiscono per audacia e brillantezza. A 22 anni lascia la moglie per la sedicenne Mary. Nel 816 i due raggiungono lord Byron sul lago di Ginevra, e per i tre è un’esperienza creativa. Qui Mary concepisce il suo “Frankestein”
Scozia e sposa Harriet Westbrook. Invita l’amico Hogg a far parte della sua famiglia. Questi rifiuta. Si accontenta della moglie e di due figli, e parte alla volta dell’Irlanda. Veemente accusatore delle condizioni di miseria degli operai dublinesi, attira su di sé l’ostilità della madrepatria. Lo adottano la poesia e le molte case del mondo che ospitano i suoi viaggi. Pubblica La Regina Mab, poema filosofico, cresce il talento e la qualità dei suoi versi insieme alla fragilità dei suoi nervi. Li distende con il laudano, non smette di scrivere. Lo confortano anche l’amiciza di Byron e Keats. Pagano, panteista, vegetariano, stupisce per audacia e brillantezza dei suoi scritti. Nel 1814 abbandona Harriet e fugge con la sedicenne Mary. Due anni dopo i due raggiungono lord Byron sul lago di Ginevra, e per i tre è un’espe-
registro acuto il suo preferito e i suoi contro Do leggendari. Ma lo sforzo per raggiungere note molto al di sopra del rigo, gli fu fatale. Il labbro si ruppe e per qualche tempo fu costretto rallentare i suoi impegni. Si trasferì con la moglie in Europa dove formò una orchestra con musicisti americani e antillesi residenti a Parigi. Il 14 gennaio 1935 suonò per la prima volta in Italia. Due concerti al Teatro Chiarella di Torino. Il successo presso il pubblico del capoluogo piemontese fu immenso, lo stesso che otterrà quattordici anni dopo quando con le sue All Stars giungerà nuovamente nel nostro Paese. La seconda metà degli anni Trenta non fu particolarmente felice. Le grandi orchestre di Benny Goodman, Glenn Miller, Jimmy e Tommy Dorsey, Artie Shaw, Count Basie, LunJimmy ceford, Chick Webb erano ormai le stelle della swing era ed Armstrong stava perdendo il consenso del grande pubblico ed anche la stampa specializzata fu spesso molto critica nei suoi confronti. La sua orchestra, gli arrangiamenti, il modo di fraseggiare non avevano l’agilità e scorrevolezza delle or-
Scrittore infaticabile, sempre pronto a prendere carta e penna per inviare lettere agli amici con uno stile inconfondibile, inimitabile e divertente. La sua casa di Corona a New York è un enorme archivio di scritti e registrazioni inedite. Con un incisore portatile registrava concerti, prove e conversazioni Ormai era una vedette e la sua nuova funzione richiedeva un atteggiamento diverso. Il suono del suo strumento divenne da quel momento più squillante, il
rienza creativa. Mary concepisce il suo Frankestein, Percy l’Inno alla bellezza dell’intelletto. Dal 1818 prende a vagabondare per l’Italia, e mano a mano la sua salute peggiora. Trova la morte nel 1822, a bordo della goletta Ariel da lui stesso progettata. Molti anni dopo lo amano i preraffaelliti, i vittoriani, i socialisti. Sulla tomba, al cimitero degli Inglesi di Roma, lo piansero pochi amici.
chestre swing. Nel 1940, sull’onda del rinnovato interesse negli Stati Uniti, per il jazz di New Orleans, decise di ritornare alle origini. I quattro brani incisi per Decca con Sidney Bechet e Zutty Singleton, Perdido Street Blues, 2:19 Blues, Down in Honky Tonky Town e Coal Cart Blues, dimostrarono immediatamente che non aveva perso nulla del suo antico splendore. Cominciò ad accarezzare l’idea di formare un complesso di sei elementi per riproporre la musica che gli aveva dato la celebrità. Il 18 gennaio 1944 quando si presentò al Metropolitan Opera House con, fra gli altri, Barney Bigard, Jack Teagarden e Sidney Catlett, per un concerto organizzato dalla rivista Esquire, la decisione si era ormai concretizzata. Ma fu solo nel 1946 che si presentò definitivamente in pubblico con quel complesso di tutte stelle che mantenne unito, pur con molti mutamenti di organico, per i successivi venticinque anni.
Le All Stars di Armstrong furono il complesso più popolare che animerà da quel momento il mondo del jazz e i suoi concerti nei cinque Continenti sempre seguiti da un pubblico immenso. Il Dipartimento di Stato americano lo invierà spesso in qualità di ambasciatore musicale anche oltre cortina e la sua musica contribuirà non poco alla distensione fra i due blocchi. Ancor oggi, a trentotto anni dalla sua scomparsa avvenuta il 6 luglio 1971, il suo ricordo è vivissimo. È forse l’unico musicista di jazz presente con un suo disco in ogni casa del mondo.
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SCRITTORI E CIBI
Il riscatto
DELLA BLIXEN tra quaglie e verdure L’autrice de “La mia Africa” voleva essere definita «una narratrice di storie appassionata di gastronomia» di Filippo Maria Battaglia
K
aren Blixen non amava essere definita una scrittrice. Preferiva essere riconosciuta quale abile conteuse, narratrice di storie di un qualche interesse sociale o culturale, che avevano sempre un risvolto autobiografico. Quasi tutta la sua opera risente di questo desiderio. Appare così inevitabile che uno dei personaggi più noti del suo universo letterario, Babette (resa celebre a fine anni ‘80 da una straordinaria performance cinematografica diretta da Gabriel Axel), si ispiri neanche tanto velatamente al profilo dell’autrice danese. La passione per la gastronomia è infatti un riflesso che accomuna entrambe: «Io stessa – ammise la Blixen in La mia Africa ero appassionata di cucina: tornando per la prima volta in Europa avevo preso lezioni da uno chef di un noto ristorante francese. Sarebbe stato divertente poter preparare dei buoni piatti in Africa, pensavo».
Come la sua creatrice, Babette ha viaggiato parecchio: è una comunarda (il racconto è ambientato nel 1871, nei giorni suc-
cessivi alla Commune di Parigi) che su suggerimento di un amico si trasferisce in un piccolo paesino nei pressi di un fiordo norvegese. È li che trova asilo ed ospitalità da due zitelle piuttosto avanti negli anni, Martina e Philippa, che la accolgono in cambio di un aiuto in casa. Babette è sola. Non è maltrattata, ma nessuno si sforza mai di integrarla. Vive in solitudine fino a quando, dopo quattordici anni di fatica, arriva inattesa una grossa vincita alla lotteria. È vero: con quei soldi, la nostra protagonista potrebbe fare rotta a Parigi. Decide invece di allestire un sontuoso banchetto, invitando dodici persone e frantumando con la grazia del suo cibo le ipocrisie e i dettami della società puritana nella quale ha vissuto per più di un decennio. Per quel pranzo, Babette non baderà a spese: darà fondo a tutta la sua vincita, ordinando materiali di prima qualità direttamente dalla Francia. Arriveranno via mare carni, vini e formaggi, tutti custoditi in enormi casse di legno. Ma la purificazione di Babette non consisterà in questo. Come ha acutamente notato Allegra Alacevich,
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Un buon consommé à la royale non dovrà mai bollire e sulla sua superficie non dovranno mai formarsi piccole croste. Servono uova, brodo di carne, sale, pepe, cayenna in grani. Ma soprattutto un accurato modo di imbandire la tavola e di servire «il lavoro in cui si manifestano le doti dell’artista non è certo la preparazione, bensì l’elaborazione dell’opera. Ed è nella minuscola stanza che Martina e Philippa usano come cucina, tra pentole, fornelli, tra carne, pesci, cacciagione, vino e dolciumi, che Babette si dimostra una vera cuoca, moltiplicando magicamente lo spazio a sua disposizione; ella si muove come in un ristorante, da grande chef che non perde un colpo, non sbaglia una cottura, non si smarrisce davanti alla quantità e alla qualità delle portate che confeziona. Mentre ad ogni piatto spedisce in sala, con le giuste raccomandazioni, un ragazzotto più premuroso di un cameriere, l’incredibile cuoca esegue trionfalmente il suo lavoro artistico; e
si concede ogni tanto un sorso di vino per alleviare la sete e la fatica, al pari di uno scultore stremato dallo sforzo creativo nel suo atelier».
Certo: riletti oggi, i piatti cucinati dalla mitica protagonista del racconto della Blixen farebbero inorridire qualsiasi vegetariano. Eppure, vale la pena di dare un’occhiata ai fornelli della celebre protagonista del racconto, iniziando magari dalla zuppa di tartaruga Luisiana, che si può ormai mangiare praticamente solo nei ristoranti di New Orleans, oppure dal consommé à la royale, o ancora dal Cailles en sarcophage, tipico ed elaboratissimo piatto francese, ideato da uno chef medievale, Guillaume
Tirel, che prevede la preparazione di sei salse differenti. Cominciamo dal primo: per la sua preparazione occorrono mezzo chilo di carne di tartaruga, poco meno di un litro di acqua, un paio di foglie di alloro, due cucchiaini di pepe di cayenna, due di sale, un paio di gambi di sedano, una cipolla e quattro spicchi d’aglio. Per il brodo sono invece necessari una tazza e mezza di burro e altrettanto di farina, due di porri, una di sherry, mezza di purea di pomodoro, altrettanti di prezzemolo sminuzzato e di salsa worchestershire, tre uova sode e del limone. In un’ampia casseruola, occorrerà poi mettere la carne a bollire, schiumandola fino a quando il liquido non diventerà limpido. Si dovranno poi aggiungere il resto degli ingredienti, cuocendo per un paio di ore, fino a quando il brodo non sarà profumato. Basterà poi mettere il brodo in frigorifero, rimuovendo al contempo la carne dalle ossa, tagliandola a cubetti e facendola raffreddare. Per il brodo, sarà invece necessario far sciogliere il burro in un grande pentola a fuoco lento,
Al pari di uno scultore stremato dallo sforzo creativo nel suo atelier, anche un cuoco si concede ogni tanto un sorso di vino per alleviare la sete e la fatica mentre esegue trionfalmente la sua opera artistica
LA RICETTA = CAILLES EN SARCOPHAGE
PER 6 PERSONE 6 quaglie eviscerate e disossate 90 g di fegatini di pollo tagliati a pezzetti 70 g di champignon freschi tirati mezzo scalogno tritato 80 g di lardo tagliato a cubetti 70 g di burro Sale e pepe Due pizzichi di timo Tre quarti di bicchiere di vino bianco 1 tartufo nero tagliato a lamelle 6 vol au vent abbastanza grandi da contenere una quaglia (si fanno fare dal panettiere) 3 cucchiai di madera 1 e mezzo bicchiere di brodo
aggiungendovi i porri e facendoli cuocere fino a quando non diventeranno trasparenti.
A quel punto sarà necessario versare la farina, mescolando con attenzione per non far rapprendere e inserendo al contempo la purea di pomodoro. Dal brodo di tartaruga si dovrà togliere ogni grumo di grasso. Poi bisognerà aggiungere dieci tazze nella pentola con i porri e il pomodoro, insieme allo sherry e alla salsa worchesteire. Ci vorranno poco più di quindici minuti di cottura, dopo i quali si unirà la carne di tartaruga con le uova, e si farà cuocere per un’altra dozzina di minuti. A quel punto, la zuppa sarà pronta. Se le desistenze animaliste vi suggeriranno altri piatti, per restare in clima blixeniano ci si potrà orientare sul Consommé à la royale. In questo caso, saranno necessari due tuorli d’uovo, un uovo intero, duecento grammi abbondanti di brodo di carne, sale e pepe di cayenna in grani. Il rito qui si fa più chiaro e meno elaborato: bisognerà sbattere i due tuorli, unendovi poi l’uovo intero e aggiungen-
dovi, in un secondo momento, il brodo di carne con il sale e con il pepe. La tappa successiva impone di mettere tutto a bagnomaria in un recipiente pieno di acqua bollente ed infornare a trecento gradi. Nonostante l’alta temperatura, un buon consommé non dovrà mai bollire e sulla sua superficie non dovranno mai formarsi piccole croste. Cotto l’involto, si dovrà far raffreddare, tagliandolo con molta attenzione. I pezzetti si uniranno al brodo, stando accorti a non romperli.
«Il pranzo di Babette – ha scritto nel suo saggio omonimo la Alacevich – è un banchetto in perfetto stile francese: dalla preparazione delle pietanze a base di cibi rigorosamente giunti dal paese natale di Babette, attraverso l’accurato modo di imbandire la tavola e di servire, fino alla presentazione dei piatti rigorosamente accompagnati da vini per lo più francesi, è chiaro che la chef parigina segue le regole più tradizionali della cucina della propria terra». Il banchetto sarà poi disvelatore di un mondo, quello dell’alta
In una padella capiente far rosolare il lardo in un po’ di burro e, quando è dorato, appoggiarlo su un piatto. Nella stessa padella, far saltare a fuoco vivo i fegatini di pollo. Rimettere nella padella il lardo a cubetti, aggiungere lo scalogno, i funghi, il timo, salare, pepare e saltare il tutto a fuoco vivo per 2 minuti. Togliere i fegatini e diluire con il vino bianco e il sugo di cottura; far cuocere ancora per qualche minuto a fuoco basso mescolando sempre.Versare questo sugo sui fegatini e frullare il tutto aggiungendo il burro. Far raffreddare per mezz’ora in frigorifero. Riempire ora le quaglie con questo paté e mettervi sopra due fettine di tartufo. Ridare alle quaglie la loro forma e avvolgere ognuna di esse in una fette di lardo. Metterle in una pirofila leggermente imburrata e farle cuocere per 15-18 minuti nel forno a 200 gradi. Una volta cotte, conservare le quaglie al caldo e diluire il fondo di cottura col madera e il brodo. Adagiare con delicatezza ogni quaglia in un vola au vent, bagnare con salsa e infornare ancora per 5 minuti.
società francese, ignoto ai norvegesi, e dell’identità della straordinaria chef che a Parigi, al Café Anglais, era ormai diventata una celebrità. Non solo: ma il convito manderà in frantumi i delicati equilibri del paesino norvegese tanto che, alla fine della giornata, Martina e Philippa inviteranno la protagonista a partire. «Babette – diranno all’unisono le due sorelle – è stato davvero un ottimo pranzo, davvero ottimo: hanno pensato tutti la stessa cosa!». «Una volta sono stata chef al Café Anglais», ammette schernendosi, incurante dell’intemerata che sta per subire. «Ci ricorderemo tutti di questa serata, quando sarete tornata a Parigi». «Io non tornerò a Parigi!» è la replica stizzita. «Come poteri
tornare a Parigi, mesdames? Io non ho denaro». « “Non avete denaro”? Gridarono le sorelle, come una bocca sola.“No”disse Babette. “Ma i diecimila franchi?” sussurrò lentamente Martina. “Che volete mesdames”, disse Babette con grande dignità. “Un pranzo per dodici al Café Anglais costerebbe diecimila franchi”. “Cara babette”, dissero con dolcezza “non dovevate dar via tutto quanto avevate per noi”. Babette avvolse le sue padrone in uno sguardo profondo, uno strano sguardo: non v’era, in fondo ad esso, pietà e scherno? “Per voi?” replicò.“No. Per me”».
La Blixen non affiderà solo al quel mitico pranzo il suo amore per il cibo. Nel suo più bel rac-
conto, La cena a Elsinore, si leggono tra l’altro alcune intense pagine che la narratrice dedica al cibo. A dominare la scena è l’incontro, dopo moltissimi anni, di tre fratelli. Un rendez-vous assai sui generis: le due sorelle infatti rivedranno il fratello Morten, che però in quanto fantasma non potrà consumare il cibo preparato per la cena. «In tutta la sua descrizione – ha notato Maria Grazia Accorsi – come del resto in tante altre, si sente la pittrice che Karen Dinesen Blixen era, pittrice quasi professionista, che aveva anche studiato a un’accademia, come mostrano i pochi quadri che si vedono nella sua casa-museo (si vedono anche in rete). Quadri colorati, di nature morte che uniscono animali, magari anche esotici, come quello con il tucano, e oggi belli di uso comune, colorati con i colori del Nabis e dei Fauves, anche se dipinti in anni più tardi».
Oltre alla pittura, la Blixen in Europa prese infatti lezioni di cucina da uno chef francese. «Se cucinava come scriveva – continua la Accorsi nel suo Frittate d’autore (Palermo, 2007) – doveva essere la sua una cucina di estrema eleganza. La sapienza psicologica del Grand siècle (rimpianto dal protagonista di Una notte a Parigi), l’intelligenza cinica e irriverente del Settecento, il brio della Belle Epoque degli anni in cui sono ambientati questi due racconti compongono una conversazione, uno stile sempre delicatamente acceso, di passioni anche funeste ma controllate, di ideali e di doveri che ispirano desideri di diventare migliore. Uno stile elegante, di periodi equilibrati, né molto corti né molto lunghi, con abbondanti descrizioni ma vive, che creano immagini parlanti, con paragoni originali e concettosi. Ma soprattutto è uno stile nutrito dall’intensità della vita interiore della Blixen e che essa trasmette ai suoi personaggi. Uomini e donne impavidi che sanno, che leggono in sé e negli altri, che vogliono andare, e vanno, come lei seppe, e andò. Uomini e donne che vivono di presagi, di sogni e profezie, di racconti e di ricordi, di passato e di fantasmi, di onore e di bellezza». Con la Blixen la cucina diventa la testimonianza di una vita, il fedele registro di sapori e di odori, restituiti alla pagina con rara eleganza narrativa.
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LE GRANDI BATTAGLIE Figlio di Filippo II, il macedone aveva una visione politica proiettata avanti nel tempo: «Non siamo mossi da sete d’oro e d’argento, ma dal desiderio di unire tutto il mondo sotto il nostro impero». Ci riuscì o storico Flavio Arriano raccontò (nel II secolo d. C.) che «tutto quanto vi fosse stato d’inciampo alla cavalleria, i Persiani da tempo l’avevano reso regolare per spingervi i carri ed adattarlo alla cavalleria, poiché alcuni avevano convinto Dario che nella battaglia di Isso si era trovato in svantaggio per l’angustia del luogo, e Dario vi aveva creduto facilmente». La battaglia di Isso si era risolta in una disfatta per il re di Persia. I soldati di Alessandro, figlio di Filippo il Macedone, si erano trasformati in un incubo per l’erede di Ciro il Grande. Fu Dario a scegliere il terreno dello scontro definitivo, e a farlo preparare a dovere: una pianura senza ostacoli, adatto alla sua cavalleria e ai carri assiri con le falci alle ruote. Gaugamela (il Pascolo del cammello) è in Assiria, sul fiume Bumelo, non lontano dal Tigri e dalla città di Ninive. Dopo la fuga da Isso, Dario aveva chiesto ad Alessandro di trattare la pace. Il re macedone aveva preteso la resa senza condizioni.
DELLA
GUAGAMELA 331 A. C.
Il signore dell’Asia
L
Arriano racconta riga per riga la replica del giovane condottiero: «I vostri antenati, entrati in Macedonia e nel resto della Grecia, fecero a noi del male senza aver subìto in precedenza ingiustizia; io allora, scelto come capo dei greci e volendo punire i persiani, sono passato in Asia, essendo stati voi a cominciare». E, dopo una serie di accuse specifiche (non tutte nobilissime e documentate, per la verità), il succo della risposta: «Avendo vinto in battaglia dapprima i tuoi generali e satrapi, ora te e il tuo esercito, occupo
Così, due anni prima di morire, Alessandro mise in fuga Dario di Massimo Tosti
anche il paese per concessione degli dei, mi prendo cura di quanti schierati con te non so-
Lo scontro fu decisivo: il re persiano si ritirò, il condottiero greco non aveva più ostacoli nella sua avanzata verso Oriente, in Battriana e in India. Non aveva ancora trent’anni no caduti in battaglia, ma si sono rifugiati da me ed essi si trovano presso di me non contro volontà, ma di buon grado combattono dalla mia parte». E la conclusione: «E d’ora in poi quando ti rivolgi a me, fallo co-
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me al re dell’Asia e non scrivermi da pari a pari, ma se hai bisogno di qualcosa, dimmelo come al signore di tutte le cose, in caso contrario deciderò di te come di uno che è in colpa. Se hai da obiettare sul regno, resta pure e battiti per esso e non fuggire, perché io ti raggiungerò dovunque ti trovi». Dopo la battaglia di Isso, Alessandro aveva conquistato Tiro, nella Fenicia (dove si trova oggi il Libano) Si era spinto in Egitto, dove aveva fondato la nuova capitale, Alessandria. Aveva conquistato Gerusalemme, tornando verso l’Assiria.
Alla vigilia dello scontro decisivo, nel campo greco giunse la notizia che il Gran Re aveva con sé un milione di fanti, 40mila cavalieri, 200 carri con le falci alle ruote, e qualche decina di elefanti. Le cifre – come sempre – sono opinabili (Diodoro parla di 800mila fanti e
200mila cavalieri, Curzio Rufo di 600mila e 45mila; Giustino di 600mila in totale). Si raccontava che l’intero esercito persiano avesse impiegato cinque giorni a transitare sul ponte costruito sopra il fiume Lico, per passare da Arbela a Gaugamela. Fra i due eserciti che si stavano per fronteggiare il rapporto era comunque di uno a cinque, a vantaggio dei persiani, naturalmente. William W. Tarn, storico inglese, afferma che «il comando persiano stava compiendo ogni sforzo per mettere insieme un esercito che potesse avere qualche probabilità di sconfiggere Alessandro. Fu chiamata alle armi la leva dell’impero e la parte migliore della cavalleria fu di nuovo armata con lance e scudi al posto dei giavellotti». Naturalmente, aggiunge Tarn, «il loro compito era quello di evitare una battaglia campale ma, poiché la dignità del gran
STORIA
re richiedeva un incontro formale, ed essi non potevano vincerlo altro che con la sola cavalleria, dovevano per forza ripiegare sulla sola arma in loro possesso contro la falange, i carri falcati». Che furono micidiali, straziando un gran numero di soldati macedoni.
L’esercito era multietnico, a testimonianza di quanto fosse esteso l’impero siriano e quanta fosse la forza di attrazione sui popoli asiatici. Accanto ai persiani combattevano gli indiani, i battriani, gli arii, i parti, gli ircani, i topiri, i medi, gli albani, i sacesini, gli uxii, i susiani, i babilonesi, i sittaceni, gli armeni, i siriani, i cappadoci, gli sciti, i massageti. Alessandro arrivò sul luogo della battaglia dopo una faticosissima marcia. Fece riposare i suoi uomini, dimostrò saggezza e cautela nel prevedere ogni mossa del nemico e ogni possibile trappola. Fu lui stesso a guidare (con un manipolo di uomini armati in modo leggero) una perlustrazione del terreno. Tornato al campo, fece un discorso ai suoi uomini, ricordando come la posta in gioco fosse il dominio dell’Asia intera. Curzio Rufo racconta che – quando il nemico fu a vista – osservò come i soldati di Dario fossero male armati: «Là ce ne stanno di più come numero, di qua ce ne saranno di più a combattere». Uno dei generali suggerì ad Alessandro un attacco notturno; Alessandro respinse la proposta, giudicandola disdicevole. Arriano sottolinea come il giovane (ma astutissimo) condottiero non era soltanto spinto dall’orgoglio, ma anche dalla giusta considerazione che – al buio – sarebbe stato comunque favorito chi conosceva meglio il terreno, cioè i persiani. Poi – come il principe di Condè il giorno prima della battaglia di Rocroi – Alessandro (riferisce Plutarco) si mise a dormire. Al risveglio, passò in rassegna le truppe. Non montava Bucefalo, il suo cavallo (ormai piuttosto vecchio) che risparmiò fino all’ultimo. Era la mattina del 1° ottobre dell’anno 331 a. C. Lo scontro fu durissimo. Dario aveva imparato qualcosa dalle precedenti sconfitte. Ma non abbastanza. Diodoro racconta che l’esito dello scontro si decise quando un colpo di lancia scagliato da Alessandro uccise l’auriga di Dario che – preso dal panico – fuggì. Come ad Isso. I persiani si sbandarono, e fu un’ecatombe: 300mila di loro persero la vita. Alessandro era, definitivamente, «re dell’Asia». Non aveva più ostacoli nella sua avanzata verso Oriente che l’avrebbe portato a Babilonia, a Susa, a Persepoli, in Battriana e in India.
CAPOLAVORI DI PIETRA pochi passi da palazzo Farnese, sorge la mole istoriata di bassorilievi del palazzo costruito a metà del Cinquecento dal cardinale Gerolamo Capodiferro, passato nel Seicento al cardinale Bernardino Spada, che affidò a Francesco Borromini (1599-1667), celebre architetto originario del Canton Ticino, i lavori di adeguamento dell’edificio, oggetto di un recente e approfondito studio di Marisa Tabarrini, Borromini e gli Spada, Gangemi Roma 2008. In quell’occasione venne raffigurato lo scalone principale; fu ampliato l’appartamento invernale, rivolto verso il giardino, e sulla volta cilindrica della galleria di ingresso del piano nobile venne creata una meridiana catottrica, cioè a riflessione solare, progettata dal fisico tolosano Emmanuel Maignan, dell’ordine dei Minimi francesi, insediati a Trinità dei Monti. La novità, rispetto alle antiche meridiane, consiste nel sostituire allo stilo gnomonico un piccolo specchio che orienta il raggio di luce sulla volta, dove sono disegnate le linee indicanti le ore. Eletto nel 1642 cardinale protettore dei Minimi francesi, dediti agli studi fisici e matematici, lo Spada fu probabilmente contagiato dal loro acceso interesse per le scienze matematiche e per le loro applicazioni. A questa passione del cardinale per la speculazione scientifica si deve l’allestimento della meridiana catottrica e la costruzione di uno spettacolare artificio prospettico in scala di architettura che, innalzata ai limiti del giardino, diventerà nei secoli la curiosità singolare del palazzo, oggi sede del Consiglio di Stato.
A
Il progetto di questa galleria prospettica fu affidato dallo Spada nel 1652 congiuntamente a Borromini e al matematico agostiniano Giovanni Maria da Bitonto, mentre la responsabilità del cantiere spetta, come di consueto nelle opere di Borromini, a Francesco Righi. I lavori di questa singolare architettura, iniziati nel novembre del 1652, terminano tra agosto e settembre dell’anno successivo. Il progetto consiste nel mettere a punto un impalcato architettonico edificato in muratura che metta in gioco il rapporto tra realtà fisica e percezione visiva. Visto attraverso le vetrate della biblioteca che separa il giardino segreto dal cortile di ingresso, l’edificio si mostra come una solenne galleria colonnata che guida lo sguardo su giardini che si estendono al di là di essa. E’ un inganno scenico, la cui verosimiglianza si misura sulla competenza ottico-prospettica del progettista e sulla sua capacità di dominare materialmente lo spazio e le ingannevoli figurazioni che esso può assumere.
PALAZZO SPADA A Roma, vicino Piazza Farnese, l’edificio voluto dal Cardinale Capodiferro
La galleria dove nulla è come appare di Claudia Conforti
ria lunga una ventina di metri (dunque più del doppio della sua lunghezza reale), fiancheggiata da un colonnato dorico. L’illusione è generata dall’applicazione di una gabbia prospettica con un punto di fuga centrale posto al di là del muro di fondo, che governa la diminuzione e la convergenza delle basi e della trabeazione delle 34 colonne che scandiscono la galleria, oltre che l’inclinazione e la convergenza del pavimento a riquadri e della volta a tronco di cono modellata da lacunari. La suddivisione geometrica di questi due ultimi elementi è un ulteriore dispositivo funzionale all’efficacia prospettica dell’impianto, al pari della partizione del portico in quattro porzioni distinte, ognuna composta da tre coppie di colonne, scaglionate in sequenza lineare sincopata, che dinamizza la sequenza filante e continua della trabeazione e della volta.
La galleria, che in origine era illuminata oltre che dalla piccola corte terminale, da tre aperture laterali interposte sulla destra ai quattro blocchi colonna-
Lo sguardo sui giardini è un inganno scenico dovuto alla competenza ottico-prospettica del progettista e alla sua capacità di dominare materialmente lo spazio
La prospettiva di Borromini di palazzo Capodiferro Spada a Roma Esso sorge su una striscia di terreno lunga circa tredici metri e larga poco meno di cinque, acquistata dal committente appositamente per questa costruzione che, priva di ogni giustificazione funzionale, esibisce un carattere puramente dimostrativo. Ispirata all’ingresso fiancheggiato da colonne che Antonio da Sangallo ha costruito oltre un secolo prima a palazzo Farnese, essa simula una galle-
Il principe della Chiesa, Don Bernardino, fu contagiato dall’Ordine dei Minimi Francesi all’amore per le scienze matematiche, per le loro applicazioni e per gli studi di fisica
ti, era conclusa da un fondale dipinto a boschereccia da Giovanni Battista Magni. Questo insieme a quattro aiuole in prospettiva che lo precedevano, suscitavano l’illusione di un vasto giardino che si estendeva fino a quello, reale, aperto su via Giulia. La melanconica statuina di guerriero, invece, fu apposta sul fondo solo nel 1861, per rendere più plateale l’effetto prospettico e la fantastica illusione dimensionale. Diversamente dai canoni scenografici, che impongono un progressivo schiacciamento dei fusti delle colonne, che assumono una sezione ellittica, Borromini conserva la sezione circolare affinché possano assolvere la funzione statica di reggere la volta. Il piccolo fantasioso edificio prospettico soddisfò pienamente il committente che in versi latini ne svelò il profondo senso morale, la trasparente allusione all’inganno dei sensi e alla fallacità della grandezza terrena: «Artificio stupendo, figura del mondo fallace/ Che in sua pochezza suol mostrar gran cose, / grandi solo all’aspetto: raggiunte si fan piccine: / Larva illusoria qui in terra è la grandezza».
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ORIZZONTALI 1 ...d’aver tradito te de le xxxxxxxx (Infer-
CRUCIVERBA
di Pier Francesco Paolini
Il dittatore di Palermo
no XXXIII) n 9 La danza delle Xxx n 12 In prov. di Avellino n 19 Opera di Stravinsky n
23 Fantasia lirica di Ravel n 24 Miscre-
dente n 25 Ne è capitale Damasco n 26 Fu nominato da Garibaldi dittatore di Palermo n
27 Stop! n 28 Il sodio n 29 Matrimonio
xxxx ma non consumato n 31 Un momdo di xxxxxxxxx di N. Gordimer n 34 Scrittore giapponese, Nobel 1994
n
35 Circa 30
grammi n 36 Compositore francese: Tre pezzi in forma di pera (1903) n 38 Bocca in latino n 39 Trieste 40 n Iniz. di Campanile n 42 Nota n 43 Parassiti di animali e piante n 45 Er xxx Capanna n 47 Sondrio n
48 By-xxxx n 51 Iniz. dello scr. fr. Gary
n
54 Lindsay Xxxx, uomo di teatro inglese
n
56 Quella di Aldo Moro fu trucidata in Via
Fani n n
n
58 Visciole
n
64 Figlio di Troo
62 Xxx-de-France n
66 Woody Xxxxx
67 Film di Frank Capra (1933) n 72 Film
del 1987 con Van Damme n 73 “Deh, figliuol mio, non essere tropp’xxx!” (D’Annunzio, Alcyone) n 74 The Xxxxxx Cometh
QUIZ LETTERARIO
( “Arriva l’uomo dei ghiacci”) di Eugene O’Neil n 75 Prive di un carattere preciso
CHI È L’AUTORE DI QUESTO QUADRO? ............................................. (1635)
DI QUALE ROMANZO DEL 1809 È QUESTO INCIPIT?
VERTICALI 1 Casato di Papa Bonigacio VIII n 2 Giovanile o rosacea n 3 Film del 1956 con Victor Mature
n
4 Xxx due fuochi
n
5 Max
Xxxxx, pittore ted. n 6 Lo è l’acqua minerale n 7 Sguardo lascivo in inglese n 8 Pittori, scultori... n
n
9 Poesia
n
10 Calca
11 Il castello di Amleto n 12 Golfo fra Ci-
renaica e Tripolitania n 13 Xxxxxxx collo, a malincuore n 14 Michel Xxxxxx, scrittore surrealista francese n 15 Bordi n 16 “Forte” sulle mappe n 17 Capitale della Lettonia n 18 ...cadde lo spirto xxxxx (Manzoni, 5 maggio) n 19 Steppe desertiche in Venezuela n 20 Sublimi n 21 Canta “Amor ti vieta” nella Fedora
n
22 Taverniere
n
30 American Automobile Association
n
32 In medias xxx n 33 Film di Abel Gan-
ce n 37 Altare n 41 Autore del romanzo filosofico Sartor resartus n
n
44 Piroghe
n
46 Tutto bene 47 “Xxxxxx et Idéal” di
Baudelaire n 49 Ripido, in inglese n 50 Antica regione comprendente parte dell’Abruzzo n 51 Genere di arbusti di cui fa parn
te del fràngola 52 Capoluogo della Stiria n
53 Acido pirosolforico
n
55 “Xxxxx di
Barnhelm” di Lessing (1763) n 57 Zampate n 58 The Sun Xxxx Rises di Hemingway n
59 Nicolaes Xxxxx, n pittore olandese
(1634-93) n 60 Epoca n 61 Sebbene, in latino n 62 Tears, xxxx tears... Lacrime, vane lacrine... (A, Tennyson) n 63 Xxxx Morante n 65 Xxxx equester: la classe dei cavalieri n 68 E così via n 69 Bevanda alco-
doardo, ricco barone nel fiore della virilità, aveva passato la più bella ora di un pomeriggio d’aprile nel suo vivaio ad inserire innesti, allor allora ricevuti, su giovani tronchi. Terminato il lavoro e riposti gli utensili nell’astuccio, egli contemplava soddisfatto l’opera sua, quando gli si avvicinò il giardiniere, che si compiacque della zelante collaborazione del padrone. «Hai veduto mia moglie?» domando Edoardo, mentre si accingeva a proseguire il suo cammino. «È dall’altra parte, ai nuovi lavori» rispose il giardiniere. «Oggi finiscono la capanna di musco, che la signora ha fatto costruire a ridosso della roccia, dirimpetto al castello.Tutto è riuscito molto bene, piacerà certo a Vossignoria. Si gode una vista splendida: sotto, il villaggio, un po’ a mano destra la chiesa, che col suo campanile non interrompe quasi neppure la prospettiva; di fronte il castello e i giardini». «È vero» rispose Edoardo; «a pochi passi di qui potevo scorgere gli uomini al lavoro». «Poi» proseguì il giardiniere «a destra si apre la valle e l’occhio spazia sopra la ridente distesa dei prati ricchi d’alberi, fino a un orizzonte lontano. Il sentiero su per le rupi è assai ben tracciato. La signora padrona se n’intende; c’è gusto a lavorare sotto la sua direzione!». «Va’ da lei» disse Edoardo «e pregala di aspettarmi. Dille che desidero vedere la nuova creazione e goderne anch’io». Il giardiniere s’allontanò in fretta, Edoardo lo seguì poco dopo. Scese per le diverse terrazze, osservando nel passare serre e vivai, fin che giunse all’acqua e, varcato un ponticello, al punto dove il sentiero che conduceva ai nuovi lavori si biforcava. Un braccio, passando dal cimitero, correva quasi diritto alla parete di roccia, l’altro a sinistra, un poco più lungo, saliva serpeggiando...
E
lica n 70 Xx ho sì tristo il cor… Cecco An-
LA SOLUZIONE DI SABATO È:
n
Gabriel Garcia Márquez “Cent’anni di solitudine” (1967)
giolieri, sonetto XIX) 71 First Xxx = Pronto soccorso
pagina VIII - liberal estate - 4 agosto 2009
L’AUTORE DEL QUADRO DI SABATO È: El Greco, “El Entierro del Señor de Orgaz” (1586-1588)
Il cruciverba di sabato
inserto a cura di ROSSELLA FABIANI
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pagina 18 • 4 agosto 2009
Crisi. Se incriminato per frode, il ministro israeliano Lieberman si dimetterà a richiesta della polizia israeliana di incriminare il ministro degli Esteri, Avigdor Lieberman, giunge in un momento di massima delicatezza in questo nuovo capitolo del processo di pace. Il capo della diplomazia del governo Netanyahu e leader del partito ultranazionalista,Ysrael Beitenu, è stato accusato di corruzione, frode, riciclaggio di denaro, intimidazione dei testimoni e ostacolo alla giustizia. Reati, questi, che potrebbero portarlo alle dimissioni e che incidono sensibilmente sulla credibilità di Israele nelle trattative internazionali. D’altra parte Lieberman - da buon political animal - ha saputo muoversi per tempo. Ha subito fatto sapere che, se l’incriminazione si concretizzasse, sarebbe disposto a lasciare immediatamente il governo. Così facendo, conterrebbe le critiche che verrebbero rivolte a Netanyahu di essersi affidato a un politico corrotto per guidare il Paese. Ha fatto trapelare il nome del suo vice al ministero degli Esteri, l’ex ambasciatore Daniel Ayalon, in qualità di papabile successore. Infine, ha espresso la disponibilità ad aprire un negoziato “senza condizioni” con la Siria. Queste ultime due scelte ben calcolate hanno molto più valore nell’ambito della politica interna rispetto a quanto potrebbero incidere sui negoziati di pace con i palestinesi. Bisogna tener conto, infatti, cheYsrael Beitenu (con i sui 15 membri eletti a febbraio) è il terzo partito nella Knesset, dopo il Likud di Netanyahu e il fronte di opposizione Kadima guidato dalla Livni.
L
Questo fattore rende il movimento nazionalista l’ago della bilancia nella sempre precaria stabilità del parlamento israeliano. Da qui l’intenzione del suo leader di evitare a tutti i costi che la poltrona di Ministro degli Esteri possa essere occupata da altri. Per ipotesi, nel caso di sue dimissioni Netanyahu potrebbe pensare a un rimpasto di governo e scegliere, come nuovo capo della diplomazia, l’attuale titolare della Difesa, il laburista Barak. Ecco, questa sa-
Quel pasticciaccio brutto di Avigdor di Antonio Picasso
rebbe questa l’effettiva sconfitta di Ysrael Beitenu; e non l’incriminazione del suo leader. Peraltro bisogna ricordare che lo stesso premier, al momento di assumere l’incarico a marzo, decise di spartire le attività diplomatiche fra Lieberman - apprezzato dall’opinione pubblica interna - e Barak, stimato invece all’estero, assegnando a quest’ultimo il Ministero della Difesa, con potere di intervento agli Esteri. Netanyahu, a suo tempo, aveva paura che le provocazioni e l’intransigenza di Lieberman passassero come esagerazioni e mettessero in discussione l’intera linea politica del suo governo. Oggi, avanzando la candidatura di Ayalon, il leader nazionalista fuga qualsiasi dubbio. Il Ministero degli Esteri è nel-
le mani di Ysrael Beitenu e non ci sono incriminazioni che lo possano far passare in mani altrui. Questa è la tattica di Lieberman. Del resto, non si può dire che non punti su un cavallo di razza. L’ex diplomatico, in servizio presso la sede di Washington, ha preso parte alle trattative preparatorie per i summit di Sharm elSheikh (1997), Wye Plantation
macolato. Ma, al tempo stesso, vanta un’adesione ideologica al nazionalismo israeliano incontestabile. Qualità, queste, che lo hanno portato a farsi eleggere alla Knesset tra le fila di Ysrael Beitenu e di diventare “numero 2”della diplomazia israeliana.
Un calcolo simile Lieberman può averlo fatto in merito alle aperture verso la Siria proposte ieri, di fronte a una delegazione di 25 membro del Congresso Usa, tutti repubblicani, in visita a Gerusalemme. “Israele è pronta a riprendere il filo delle trattative con Damasco, immediatamente e senza condizioni preliminari”, si leggeva in una nota del Ministero degli Esteri israeliano. Per aggiungere poi: “a patto però che la questione Golan
L’attuale titolare del dicastero ha indicato persino il successore, l’ex ambasciatore Daniel Ayalon. La destra ultraortodossa teme infatti il ritorno ai negoziati di Barak (1998) e Camp David (2000). Ha poi legato il suo nome alle operazioni di ritiro degli insediamenti israeliani dalla Striscia di Gaza, nonché all’intera Road Map definita da Ariel Sharon. Il suo biglietto da visita di negoziatore, quindi, è im-
non venga portata al tavolo dei negoziati”. Una mano tesa, questa, che risulta però vuota, visto che è il ritiro dalle Alture a costituire il nodo gordiano fra Israele e Sira. Tuttavia, la mossa del leader nazionalista israeliano apre comunque uno spiraglio formale nel processo di pace, che gli Usa sono costretti a riconoscere. Inoltre, la paternità del gesto, attribuibile solo a Ysrael Beitenu, fa sì che questo possa essere portato avanti solo da un suo rappresentante. Nella fattispecie Lieberman o Ayalon. Nessun altro. Al di là di tutti questi passaggi tattici ai quali stiamo assistendo, si può trarre una conclusione particolarmente preoccupante della situazione di Israele. Se Lieberman cadesse, infatti, si tratterebbe del terzo importante protagonista della vita politica nazionale colpito dalla magistratura.
Nel 2007 il presidente della Repubblica Moshe Katsav era stato accusato di abusi sessuali. L’indagine, tuttora in corso, portò alle sue dimissioni. L’anno dopo, è stata la volta del premier Olmert, silurato da un’indagine per corruzione. Questi episodi sono il sintomo di come il Paese, la cui cultura democratica non è oggetto di discussione, sia nelle mani di una classe dirigente anomala. Da una parte, c’è una rappresentanza eletta che vanta un passato esclusivamente nelle Forze Armate o nei servizi di sicurezza. Barak, Netanyahu, ma anche i leader di Kadima, sia Tzipi Livni sia Shaul Mofaz, hanno indossato tutti l’uniforme, prima di intraprendere la strada della politica. Dall’altra, chi è invece di estrazione borghese sembra non saper garantire la necessaria trasparenza per assumere a pieno l’incarico politico per il quale è stato eletto. Lieberman, sulla cui immagine non cristallina i primi nutrire dubbi sono stati alcuni osservatori israeliani, ne è un esempio. Al di là della colpevolezza o meno del ministro degli Esteri - finora lontana dall’essere certificata - su Israele pesa un problema che inevitabilmente rallenta il suo cammino nel processo di pace. È la mancanza di normalità nella sua vita politica.
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4 agosto 2009 • pagina 19
In un videomessaggio di al Zawahiri. Accuse a Francia e Gb
Secondo l’esecutivo è lesivo della dignità degli invalidi
Al Qaeda ripropone una tregua con gli Usa
Cambogia, vietato il concorso “Miss Mina”
IL CAIRO. Il numero due di al
PHNOM PENH. Niente reginette di bellezza con tanto di fascia e diadema ma senza piedi o senza una gamba perché saltate in aria su una mina antiuomo: il governo cambogiano ha deciso oggi di proibire il concorso di bellezza Miss Landmine, che avrebbe dovuto tenersi questa settimana, definendolo un insulto agli invalidi. «Il concorso di bellezza sulle mine si prenderebbe gioco delle vittime cambogiane delle mine», ha dichiarato il portavoce del governo Khieu Khanarith, «il governo non appoggia questa competizione». Il concorso, il cui premio era una protesi, ha subito sollevato polemiche, nonostante si sia tenuto regolarmente l’anno scorso in Angola e nono-
Qaida, Ayman al Zawahiri, torna a fare sentire la sua voce in un lungo videomessaggio, diffuso sul web dai siti fondamentalisti islamici. Nel filmato di circa un’ora e mezza (prodotto dalla costola mediatica qaedista al Sahab e intitolato La verità della Jihad e le bugie degli ipocriti), il medico egiziano dice che l’offerta di tregua sottoposta all’ex amministrazione Usa è ancora sul tavolo, ma il presidente americano Barack Obama deve prima ritirare le sue truppe dall’Afghanistan e dagli altri «territori musulmani». Zawahiri usa parole di minaccia nei confronti degli Stati Uniti e della Francia. «Se Obama vuole (raggiungere) un’intesa, allora dovrebbe rispondere alle due offerte (di tregua, ndr) dello sceicco Osama bin Laden», dice Zawahiri nel suo lungo intervento sotto forma di intervista (c’è una voce fuori campo in arabo, con chiaro accento egiziano). «Obama cerca di vendere un’illusione, dice “non odiateci ma continueremo a uccidervi”. Noi offriamo una tregua con l’Occidente che si basi su giuste condizioni». L’offerta di tregua fu fatta da Osama bin Laden a Bush nel 2006, il quale parlò di «una tregua che offra sicurezza e stabilità e la ricostruzione dell’Iraq
Iran, fra le polemiche si insedia il governo Rafsanjani e l’opposizione assenti alla cerimonia di Massimo Ciullo avvenuta ieri a Teheran, in un clima di palpabile tensione, l’investitura ufficiale di Mahmoud Ahmadinejad per il suo secondo mandato presidenziale, dopo le controverse elezioni del 12 giugno scorso. La cerimonia è stata presieduta dalla guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, che ha apposto il suo sigillo formale alla rielezione di Ahmadinejad. Il leader religioso conservatore sperava di poter mettere a tacere l’opposizione con un plateale gesto di fiducia nei confronti del presidente uscente. In realtà, anche il nuovo insediamento si è trasformato in un’occasione per manifestare il proprio dissenso da parte di molti importanti esponenti riformisti, che sempre meno velatamente criticano l’attuale leadership del Paese. L’evento di ieri è stato boicottato, tra l’altro, da due ex presidenti come Akbar Hashemi Rafsanjani e Mohammad Khatami. Scontata l’assenza del principale rivale di Ahmadinejad, Hossein Mousavi, divenuto il suo più acceso antagonista e promotore delle varie manifestazioni contro l’attuale regime. Assente anche l’altro candidato alla poltrona di presidente, Mahdi Karroubi. Comunque, la benedizione della guida suprema spiana la strada ad Ahmadinejad, che domani potrà recarsi in Parlamento per chiedere il voto di fiducia. Mercoledì però, il presidente rieletto non troverò al suo fianco le fazioni del clero sciita che lo appoggiano incondizionatamente, ma dovrà vedersela con una minoranza riformista molto agguerrita che intende ribadire l’illegalità delle passate consultazioni elettorali. Perfino nel fronte conservatore inizia ad emergere qualche voce dissenziente. Mohsen Rezaei, considerato l’antagonista principale di Ahmadinejad tra i conservatori, ha chiesto alle autorità che vengano istruiti processi contro coloro che sono accusati di aver ucciso pacifici manifestanti durante gli scontri delle scorse settimane. La cerimonia non è stata neanche trasmessa in diretta Tv dai principali media iraniani, a quanto pare, per evitare di mettere ulteriormente in risalto la profonda spaccatura che si è creata all’interno della leadership politico-religiosa iraniana. La televisione di Stato ha invece indugiato sulle immagini di un sorridente Ahmadi-
È
nejad accanto al suo mentore, Khamenei, per ribadire il patto di ferro esistente tra i due e fornire un quadro di stabilità non solo a livello interno, ma anche internazionale. Bisogna anche dire che l’ayatollah, rispetto a quattro anni fa, ha rifiutato il bacio della mano da parte del presidente: quando Ahmadinejad si è avvicinato per baciare le mani, Khamenei ha fatto un passo indietro e lo ha respinto. Il presidente ha mormorato qualcosa a Khamenei sorridendo e a questo punto, il religioso ha concesso al leader conservatore di baciarlo su una spalla, gesto del tutto inconsueto. Alcuni hanno interpretato la vicenda come un tentativo da parte di Khamenei di non far apparire Ahamadinejad troppo asservito alla sua volontà. La guida suprema, nel suo intervento, ha descritto le elezioni del 12 giugno come una “pagina d’oro” della storia politica dell’Iran e ha dichiarato che si è trattato di un «voto per la lotta contro l’arroganza e la fiera resistenza» ai tentativi internazionali di soggiogare il Paese. «Queste elezioni sono state un test. Il popolo ha superato questo test… mentre alcuni membri delle elite lo hanno fallito. Queste elezioni hanno mostrato alcuni come perdenti» ha detto Khamenei, riferendosi in maniera abbastanza esplicita a Mousavi.
Piccolo “caso” diplomatico durante il lunghissimo rito: Khamenei rifiuta il bacio (sulla mano) di Ahmadinejad
e dell’Afghanistan, che la guerra ha distrutto». L’offerta venne respinta con fermezza dagli Stati Uniti. Nell’intervista, Zawahiri ha criticato il tentativo di Osama di avviare nuovi rapporti con i musulmani, definendolo «un lupo che affonda i denti nella vostra carne e che graffia la faccia con gli artigli, poi però dice di smettere di difendervi perché vuole la pace». Con riferimento infine al Medioriente, Zawahiri ha accusato Obama di sostenere Israele e auspicato, come aveva fatto in passato il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che possa essere cancellata dalle mappe. «Israele - ha dichiarato - è un crimine che andrebbe rimosso».
Ora Ahmadinejad è atteso da importanti prove fin dai primi giorni del suo insediamento. Il presidente Usa Barack Obama ha fissato settembre come termine ultimo per la riapertura del dialogo sul dossier nucleare. Il segretario di Stato, Hillary Rodham Clinton, ha già avvertito che la disponibilità della Casa Bianca ai colloqui“non rimarrà aperta a tempo indeterminato”. Ma il presidente rieletto sembra intenzionato a rimanere sulle sue. Il 16 luglio scorso ha ribadito l’intenzione di portare a compimento i progetti delle centrali atomiche per scopi civili, ribadendo che l’Iran vuole i negoziati con l’Occidente, ma gli Stati Uniti devono chiedere scusa per le loro intromissioni nelle recenti elezioni. Secondo Ahmadinejad, l’Iran è destinata a diventare una potenza mondiale che «abbatterà l’arroganza globale», un’espressione spesso usata contro gli Stati Uniti.
stante l’approvazione data fin dal 2007 dall’organismo cambogiano preposto allo sminamento del Paese, la Cambodian Mine Action Authority. Le proteste dell’ideatore dell’evento, il norvegese Morten Traavik, che ha sponsorizzato l’edizione angolana del concorso e definisce l’iniziativa un modo per attirare l’attenzione su questa terribile realtà, non sono bastate: il ministero degli Affari Sociali di Phnom Pehn ha mandato una lettera agli organizzatori affermando che la manifestazione, prevista per venerdì, non si terrà, in quanto «lesiva della dignità e dell’onore delle persone invalide». Una visione opposta a quella degli organizzatori, il cui motto Tutti hanno diritto a essere belli. Il sito del concorso, http://miss-landmine.org/ , mostra (insieme alle foto del concorso in Angola del 2007) le 20 partecipanti dell’edizione cambogiana ormai annullata. Le foto sono impressionanti e commoventi: alcune delle candidate sono poco più che bambine. Assieme ad Angola e Afghanistan, la Cambogia è il Paese più devastato dalla piaga delle mine antiuomo: si stima che ve ne siano ancora fra i 4 e i 6 milioni sul territorio di questo piccolo paese del sudest asiatico. Ogni anno muoiono o restano ferite centinaia di persone.
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cultura
A fianco, Camillo Benso, conte di Cavour; sotto, l’imperatore francese Napoleone III; in basso a sinistra, un’immagine di Virginia Oldoini Contessa di Castiglione
Agenti segreti. Il caso della Contessa di Castiglione, “inviata speciale” di Camillo Benso tra le lenzuola di Napoleone III
Le «escort» ai tempi di Cavour di Giuseppe Baiocchi ell’uragano mediatico sulle frequentazioni femminili del premier colpisce da sempre il tono istericamente “sopra le righe”: da un lato il neo-moralismo bacchettone ad personam di chi ha rimestato fino in fondo l’obiettivo squallore di intercettazioni, conversazioni registrate e misere relazioni corporali ad esclusivo fine politico; dall’altro lo sfrontato e allegro modulo difensivo di quello che il suo avvocato-politico ha già definito «l’utilizzatore finale».
N
Quell’esplicito «Io non sono un santo», e «alla gente piaccio così» sono un chiaro e complice strizzar l’occhio alla comprensione divertita e talvolta morbosa di quella presunta natura italica sempre disponibile a perdonare i “peccati di alcova”, soprattutto se commessi e reiterati da potenti, veri o falsi che siano. La capacità innata di Silvio Berlu-
sconi è sempre stata quella di esprimersi, con il suo disordinato vitalismo, dentro la pancia del Paese, con i suoi meriti e e i suoi difetti: e forse potrà guadagnarsi la sostanziale assoluzione popolare (meno, sempre meno, quella della Chiesa che sui peccati pubblici della carne non riesce, per sua natura, a tacere). E tuttavia una qualche sintonia con la storia profonda del Paese non è escluso che ci sia davvero. Non è il nostro caso: ma, fossimo nella corte di Palazzo Grazioli (dove consiglieri e sicofanti si dimostrano sempre di più drammaticamente non all’altezza) prenderemmo la palla al balzo. E, di fronte alle pensose geremiadi di prestigiosi intellettuali sull’insensibilità che accompagna le prossime celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, lanceremmo una potente campagna di ricordo e di esaltazione della contessa di Castiglione, au-
infilare la bella e intrigante Virginia tra le lenzuola dell’imperatore dei francesi Napoleone III. Risultato della seduzione pressoché pubblica: l’accordo di Plombierès, dove l’incontro con un altro vigoroso “re puttaniere” dai gusti un po’ più plebei, come Vittorio Emanuele II, portò all’alleanza antiasburgica, e, con il contributo dell’esercito francese, alla vittoriosa seconda guerra d’Indipendenza del 1859, e di conseguenza alla proclamazione del Regno d’Italia.
La contessa di Castiglione, pur ben pagata da Cavour e ricoperta di regali, poté godere ben poco del suo trionfo. Napoleone III la lasciò presto, richiamato all’ordine dalla consorte legittima, la spagnola imperatrice Eugenia, che minacciava un pubblico scandalo. E alla splendida contessa non restò che darsi a un vorticoso e contemporaneo turbine di
L’imperatore francese la lasciò presto, richiamato all’ordine dalla consorte Eugenia.Alla donna non restò che darsi a un vorticoso e contemporaneo turbine di amanti, ma sempre meno potenti tentica “madrina della Patria”. Persino il più pudico manuale di storia scolastica, infatti, non tace il suo ruolo decisivo nella vicenda risorgimentale.
Virginia Oldoini, inquieta e affascinante nobildonna fiorentina, maritata senza amore giovanissima con l’attempato conte Francesco Veraris Asinari, signore di Castiglione, era già la capricciosa regina dei salotti di Torino, quando il lontano cugino Camillo Benso di Cavour pensò di utilizzarla come “escort di lusso” (o “agente segreto”come allora si preferiva dire). Con il fattivo contributo di Costantino Nigra, inviato a questo fine come ambasciatore dei Savoia a Parigi, riuscì a
amanti sempre meno potenti, in un bel mondo parigino impietoso verso chi scendeva i gradini del favore di corte.Virginia si chiuse sempre di più in una nostalgia solitaria giunta fino al punto di far coprire con veli neri tutti gli specchi di casa, per non vedere l’ineluttabile sfiorire dell’antica bellezza. Fin qui la storia patria, della quale non ci si è vergognati per 149 anni e non si vede perché bisogna cominciare a vergognarsene adesso. Piuttosto c’è da notare la differenza sugli obiettivi dei prosseneti: altra cosa è usare le alcove per le alleanze, le guerre, l’indipendenza, altra cosa è per incrementare il commercio e la fornitura di protesi sanitarie. Piuttosto non si è ancora diffu-
so il profondo senso di malinconia che le vicende di oggi lasciano emergere. E cioè che l’eterno, se non demoniaco, gioco del potere compromette decenni di faticoso progresso sulla dignità della donna, sulle pari opportunità, sulla reale eguaglianza delle persone.
Semmai riporta drammaticamente presente l’antico e cupo corrispettivo dei sovrani e non solo di loro. La storia ne è piena: quando si arriva al culmine della parabola (è accaduto ad esempio ad altri nonni, come Giulio Cesare, come Maometto, come Mao Tse Tung), si manifesta irrefrenabile l’impulso al contatto fisico con la “carne fresca”, nell’illusione di fermare gli insulti del tempo, di interrompere il declino del corpo, di bloccare l’inesorabile scorrere dell’anagrafe. Ed è lì che comincia, ineluttabile, il viale del tramonto.
sport nizio classico? «4 ori, 1 argento e 5 bronzi per un settimo posto in classifica ai mondiali di nuoto di Roma. Ci si potrebbe accontentare, ma alcuni sono scettici»; o, anche, «Un duo tutto d’oro: Alessia e Federica trascinano l’Italia al settimo posto» o, ancora, «Abbiamo due regine, il resto è un flop» e altre amenità giornalistiche del genere. Ma resto ai blocchi di partenza, sostanzialmente al pari dei miei consimili nuotatori italici. Per proseguire mi è balenato alla mente Diogene, quello che secondo tradizione trascorreva la giornata in una botte, per intenderci, e stando a un altro Diogene dell’antichità, quel Laerzio che scrisse le Vite dei filosofi, riteneva che gli esseri umani vivessero in modo artificiale e ipocrita e che quindi tanto valeva studiare gli atteggiamenti del cane, da qui l’appellativo di Cinico. Un po’ esagerato, ma a pennello per l’uomo d’oggi.
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Sempre secondo l’autore delle Vite, il Diogene filosofo è stato il primo ad aver utilizzato il termine “cosmopolita”. Difatti, interrogato sulla sua provenienza, era solito rispondere: «Sono cittadino del mondo». Si trattava di una dichiarazione sorprendente in un’epoca dove l’identità di chiunque era legata alla sua appartenenza a una polis, quantunque un modello comune di grecità sussisteva; e figuriamoci pensarlo oggi con questa spinta ai particolarismi, all’idea di introdurre un esame di dialetto per l’insegnamento e altre ridicolaggini antinazionali del genere, fino all’opposizione nord-sud quasi blasfema in tempi in cui si sta cercando di raffazzonare un programma decente che celebri i 150 anni dell’Unità d’Italia, ammesso che ci si arrivi perché andando di questo passo potrebbe sempre saltar fuori il frescone di turno, e ce ne sono in giro, con bislacchi propositi per la testa. Pensando dunque a Diogene mi è sembrato anche di aver trovato il nuovo preparatore della squadra maschile italiana di nuoto: non era lui quello che cercava l’uomo con il lanternino? Sì. Allora che tenti di trovarlo qui da noi, tra i nostri nuotatori, perché non se ne vede neppure l’ombra. Federica Pellegrini ha avuto i suoi due ori e tanti meriti, salvo quello di autoproclamarsi regina assoluta dello sport italiano. Ma bisogna capirla, lei va veloce, è già avanti, si è già vista col senno di poi, anche se nell’occasione sarebbe stato più che sufficiente il semplice senno; Alessia Filippi idem: un oro e un bronzo. La chiamano “Pupona”, ma per favore: alta è alta, ben piazzata è ben piazzata, ha un sorriso trascinante, ma non romanizziamola troppo. Il resto del medagliere è stato messo insieme dalle donne mentre l’uomo, il maschio italico è annegato del tutto, eccezion fatta per l’eroico
Gli antieroi della domenica. La figuraccia del sesso forte ai Mondiali di nuoto
Il maschio italico? Annegato da tempo di Francesco Napoli
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podista della bracciata Valerio Cleri: 25 chilometri e 5 ore e mezza di fatica e dedizione per l’unica medaglia, la più preziosa, portata dal cosiddetto sesso forte, che nel caso vale solo per lui. Disastro assoluto invece dalla piscina olimpica maschile, se il migliore, un tal Colbertaldo, giunge quarto nella sua finale. A Rosolino che in motorino ha portato in giro Phelps per il Foro Italico consiglierei la lettura della biografia del campione americano, No limits, appena edita da Mondadori, per apprendere come si resiste all’usura delle competizioni, come e dove si trovano le motivazioni giuste, altrimenti che “squalo” o “cannibale di Baltimora” si può essere. Son lontani i tempi della Titova e di Ballando sotto le stelle, mio caro, qui si doveva dar di brutto in acqua. Così, mentre l’americano si porta con grinta via 5, dico cinque, ori, il nostro cosa fa? Il peggior tempo della staffetta 4x200 stile e così non viene convocato per la finale. Luca Marin, d’oggi in avanti meglio chiamarlo signor Pellegrini, tapino va compreso anche lui. Si dice sempre che dietro un grande uomo c’è una grande donna, ma dietro una grande donna cosa c’è? Un fantasma? Andranno forse prima a Capri i due, sicuramente negli States, a Los Angeles. Lei per prepararsi al meglio in vista delle Olim-
Il medagliere è stato messo insieme dalle donne, eccezion fatta per l’eroico podista della bracciata Valerio Cleri piadi di Londra e lui a fare un corso per diventare attore. Spiegato allora il mistero: per l’alta pericolosità delle scene, e in attesa del diploma americano, in acqua è scesa la sua controfigura. Di costumi non ne voglio neppure sentir parlare, l’hanno già fatto tutti: a me resta il dubbio che, in fondo, quel che conta davvero è cosa c’è dentro quei costumi.
In alto, un’immagine della cerimonia di apertura. Sopra, Michael Phelps in vasca, Alessia Filippi bacia la medaglia d’oro, lo sforzo del cinese Kai Qin, l’inchino di Valerio Cleri all’arrivo sulla spiaggia di Ostia, i tuffi di José Antonio Guerra Oliva e Tania Cagnotto
«Abbiamo due ragazze fantastiche, Federica e Alessia. Di fronte a loro tutto il resto passa in secondo piano» ha detto Alberto Castagnetti, il Lippi del nostro nuoto per cercare di arginare la delusione.Tanti buoni propositi, ricambio generazionale e le solite parole più volte dette anche a bordo dei verdi campi del calcio nostrano, sentirle a bordo piscina fa più effetto, negativo. Diciamo piuttosto che il nuoto italiano è in linea con questi tempi dove si cerca l’uomo come una volta si cercava la Titina e questo non si fa trovare o, quando va bene, arriva in ritardo: riconsegniamo allora la lanterna a Diogene o a qualsiasi altro in grado di riportarcelo finalmente a galla.
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
dal “Chosun Ilbo” del 3/08/2009
Cosa insegna il crollo Sony di Kim Young-soo el 1990, ero di stanza a Hong Kong. Per chi si trovava a passare da quelle parti, per lavoro o per piacere, c’era una lista quasi infinita di beni di consumo di tipo elettronico da acquistare. Fra questi ricordo il Sony Trinitron, un Panasonic Vcr, una telecamera a nastro Sony, una macchina fotografica della Nikon e un frigorifero della Whirpool. Nei negozi del Territorio, in quegli anni, i prodotti di marca Sony erano posti all’inizio del corridoio degli acquisti; quelli Samsung o Lg erano quasi nascosti nelle parti conclusive. A diciannove anni da quel momento, la lista delle cose da comprare è molto cambiata. Samsung e Lg si sono guadagnate i primi posti del podio fra i produttori di televisioni digitali, e non bisogna sottovalutare l’ingresso di molti prodotti di marca coreana. Basti ricordare i telefoni cellulari Anycall. È stato quasi sconvolgente il rendersi conto che le industrie di manifattura tecnologica della Corea del Sud hanno preso il posto dell’impero della Sony, quello che un tempo era il vero, unico simbolo di tecnologia e innovazione.
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La Sony è stata fondata nel 1946 con il nome di Corporazione per l’ingegneria delle telecomunicazioni di Tokyo; costruiva per la maggior parte registratori per nastri e radio a transistors. Nel 1979, con un colpo a sorpresa, ha introdotto nel mercato un punto di svolta: il walkman. Da allora, ha continuato a innovare il settore grazie allo sviluppo di lettori portatili di compact disc. Nel 1994 sconvolge il mondo con il lancio della console Playstation. In tempi più recenti, però, la compagnia ha iniziato a dare segni di cedimento: nell’anno fiscale 2008 ha denunciato un deficit pari a 290 miliardi di yen, ed è stata co-
stretta a lanciare una severa ristrutturazione interna che ha condotto al licenziamento di 16mila impiegati. Al contrario la Samsung, che per molto tempo non è stata considerata neanche una rivale, ha riportato un aumento di capitale record. Secondo i dati pubblici, pari a 2,5 trilioni di won. La ragione per il fallimento della Sony è una e semplice: la sua arroganza. Nel tempo si è convinta che la sua tecnologia avrebbe battuto sempre qualunque altra cosa sul mercato, e che i consumatori avrebbero sempre continuato a comprare i suoi prodotti proprio per la loro qualità superiore. Un buon esempio viene dal videoregistratore Vcr, che utilizzava la tecnologia betamax e quindi escludeva il resto del mercato. I rivali della Sony si misero insieme per sostenere il formato Vhs, che in breve tempo divenne il preferito dal mercato in quanto consente di utilizzare una gamma di contenuti più ampia. In quell’occasione, la compagnia giapponese fu costretta a ritirarsi dal mercato del Vcr. Il declino del walkman, il primo lettore portatile di musica mai immesso, ha seguito una strada simile a quella dei videoregistratori.
Mentre sviluppava le sue tecnologie collegate a compact disc e a musicassette, la Sony decise di alzare il suo livello competitivo puntando sui dischi ottici. Convinti che i mini-disc e i lettori collegati sarebbero stati il futuro del mercato, che avrebbe
naturalmente dominato il mercato. Ma questo scelse il formato mp3, che utilizza dei microchip per immagazzinare la musica. Come risultato, l’i-pod della Apple ha rimpiazzato del tutto il walkman.
La compagnia della mela ha seguito un approccio completamente diverso: mentre la Sony si concentrava sulla tecnologia - creando dischi in grado di contenere centinaia di migliaia di files - ha scelto di puntare sulla compatibilità. Che permette agli utenti di scaricare con facilità la propria musica da internet. Il mondo digitala cambia con una rapidità che la Sony non riteneva possibile. È finito il tempo in cui una sola compagnia detta le regole per tutti. Non ci sono più tecnologie che soltanto la Sony sa sviluppare, e non ci sono più idee che possano essere tenute segrete per lungo tempo. La Samsung e la Lg fanno profitti record nonostante la recessione globale. La Sony ci ha impiegato dei decenni per ottenere il posto più alto del podio, e in pochi giorni l’ha perso.
L’IMMAGINE
L’Italia è un Paese normale perché la destra che governa è democratica Il nostro è un Paese normale? No, secondo le parole di D’Alema raccolte in un suo trascorso libro o quelle di altri vecchi teorici della sinistra secondo i quali l’Italia difetta di troppe cose per poterle mettere a posto in poco tempo, ma lo è se raffrontato con altre realtà europee verso le quali, diciamolo, l’opposizione è sempre stata troppo tenera. In realtà la democrazia in Italia ha un’altra opportunità, per essere ridefinita con termini di applicazione differenti e più diretti. La domanda allora si potrebbe riscrivere come: la destra è democratica? Sì, perché il processo che ha dissipato in essa tendenze estreme è stato compiuto grazie alle politiche della modernità, che come per la globalizzazione, hanno la democrazia universale come primo fondamento delle politiche comunitarie. La sinistra dovrebbe tener conto che essa è rimasta l’unica a prestare il suo oltranzismo ancora richiesto, proprio a quei regimi, frequenti nei Paesi poveri, che devono spaventare il popolo per mantenere il potere.
Bruno Russo
BRUNELLO DI MONTALCINO. IL MADE IN ITALY È MEGLIO? Crollano gli dei del made in Italy. Il vino Brunello di Montalcino, prodotto di eccellenza del sistema agroalimentare italiano, è stato contraffatto. Non di tutte le annate e non di tutte le aziende ma tanto basta per dare un colpo all’immagine del made in Italy, cavallo di battaglia di quanti credono che i prodotti nostrani siano il meglio del meglio. Il sangiovese, unico vitigno ammesso, sarebbe stato tagliato con altre uve (es. Merlot e Cabernet) per renderlo più armonico. Ben 1,3 milioni i litri, pari a 1.625.000 bottiglie, del pregiatissimo vino toscano, Docg (costo medio 30 euro a bottiglia), sono stati declassati a Igt Toscana Rosso, una denominazione minore. Gli altri 5,4 milioni di litri sono
invece stati dissequestrati perché risultati conformi alle normative Per quanto riguarda il Rosso di Montalcino Doc, l’inchiesta ha portato al declassamento di 500.000 litri a Igt, stessa sorte per 150.000 litri di Chianti Docg. Declassati anche 100.000 litri di Igt Toscana Rosso. 17 denunciati nel corso dell’inchiesta, 7 le aziende coinvolte, 8 hanno chiesto il patteggiamento, 9 hanno ricevuto l’avviso di conclusione indagini e fra quest’ultimi figurano il direttore del Consorzio del Brunello e due ispettori del Comitato di certificazione. Le accuse sono di frode in commercio e falso ideologico. A marzo scorso, dietro insistenza dei produttori agricoli e dei nostri governanti, la Ue ha approvato un regolamento che consente di scrivere «Prodotto in Ita-
Mai visti così da vicino Chi non ha mai visto un dito tagliato, magari da un coltello mentre affettava il pane. Ma nessuno sa che cosa avviene dopo che abbiamo messo il cerotto. Questo è un cerotto visto al microscopio: i filamenti in azzurro sono le minuscole fibre assorbenti, che catturano il sangue (in rosso). L’idea del cerotto è venuta al suo inventore, lo statunitense Earle Dickson
lia» alla nostra produzione agricola, dal 1 luglio tale regolamento è in vigore, con qualche nostrana furbizia. Solo grazie alle denunce si sono scoperte le magagne dell’eccellente vino, perché i controlli, evidentemente, languivano. Non ci vengano più a raccontare che il prodotto italiano è buono per antonomasia.
Primo Mastri
CREDITI NEGATI Il turismo ha ricevuto una grossa botta dalla recessione globale, perché avendo come esempio quello americano, sul quale si sono basate per anni le entrate di molte località amene, ha dovuto distogliere l’interesse dai negozi particolari e costosi, dopo il depauperamento delle sue carte di credito. American Express negli
Usa pare abbia diviso i suoi clienti tra ricchi e inaffidabili, chiedendo ai secondi di restituire la carte dietro compenso o reintegro di 300 dollari! Resta la sensazione che Tremonti abbia teso una mano alle banche con un bonus di credito condizionato, che le stesse non hanno trasformato in credito al consumo.
Alessandro Carli
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dai circoli liberal
LETTERA DALLA STORIA
Tu sei troppo ottimista per principio Carissima Tania, anche la tua lettera mi è giunta con sollecitudine meravigliosa; nientemeno dopo soli 4 giorni. Mi auguro che continui così e che tale sollecitudine si estenda a tutta la corrispondenza. La mia povera mamma invece è disperata, perché da due mesi non riceve mie lettere; e così pensa che io sia gravemente ammalato e nell’impossibilità materiale di scrivere. Faccio tutti i miei complimenti per le forze riacquistate che ti hanno permesso di levarti e camminare. Ma tu sei troppo ottimista per principio e credi troppo in una specie di giustizia cosmica! Sarà meglio che abbi pazienza e che aspetti di essere completamente ristabilita, fuori da ogni pericolo di ricadute e di complicazioni. Devi essere proprio assennata! Altrimenti prenderò dei provvedimenti draconiani contro i tuoi capelli, senza preoccuparmi o commuovermi dei rimproveri di barbarie. Ho letto con molto interesse la tua lettera, per le osservazioni che hai potuto fare e per le nuove esperienze. Penso che non sia necessario raccomandarti l’indulgenza e non solo l’indulgenza pratica, ma anche quella dirò così spirituale. Io sono sempre stato persuaso che esiste una Italia sconosciuta, che non si vede, molto diversa da quella apparente e visibile. Antonio Gramsci a Tania
ACCADDE OGGI
LA SOSPENSIONE FERIALE DEI TERMINI Perché deve esistere la sospensione feriale dei termini, cioè quel periodo (1 agosto - 15 settembre) in cui la giustizia civile va in vacanza. L’ingolfamento è tale che l’idea che si debba sospendere sembra appartenere ad una dimensione da film di fantagiustizia persecutoria. Le carceri esplodono e così i tribunali: nel primo caso si prevedono fantasiose costruzioni di nuove strutture quando quelle esistenti non vengono utilizzate a dovere, nel secondo... si va in vacanza. Nostre paranoie da sindrome di giustizia efficiente? Mica tanto, visto che l’attuale ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, a giugno 2008 aveva previsto (Dl 112/08) la riduzione di questa sospensione da un mese e mezzo a solo un mese; riduzione che poi fu inserita nel pacchetto Finanziaria 2009 (Ddl 1441/08, art. 62) ma che fu poi stralciata e l’art. 1 della legge 742/1969 continua a prevedere l’interruzione dal 1/8 al 15/9.
Luca Massimo
IN MEMORIA DI ALESSANDRO DI LISIO Cari Amici, purtroppo mi trovo a chiedere il Vostro aiuto e partecipazione. Dal network Facebook dove ho creato un gruppo “Contro terrorismo e mafia 1° pag”, ho lanciato questa iniziativa. Non voglio entrare nel merito della presenza delle nostre truppe in Afghanistan né tanto meno sulla formazione politica che l’ha approvata. È e vuole essere solo un gesto d’amore. Dove si trova adesso Alessandro non soffrirà di tanta disgustosa cattiveria, ma la
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)
4 agosto 1932 Adriano Olivetti trasforma la ”Ing. C. Olivetti & C.” di Ivrea, nella società Olivetti 1944 Una soffiata di un informatore olandese porta la Gestapo in un’area sigillata di un magazzino di Amsterdam dove si nascondono Anna Frank e la sua famiglia 1964 Movimento americano per i diritti civili: gli attivisti per i diritti civili Michael Schwerner, Andrew Goodman e James Chaney, vengono trovati morti nel Mississippi. Erano scomparsi il 21 giugno 1969 Guerra del Vietnam: nell’abitazione parigina di un intermediario francese, Jean Sainteny, il rappresentante statunitense Henry Kissinger, e quello nordvietnamita Xuan Thuy iniziano dei negoziati di pace segreti. I negoziati falliranno 1974 San Benedetto Val di Sambro: sulla linea ferroviaria Firenze - Bologna, un ordigno ad alto potenziale esplode nella ritirata della vettura numero 5 del treno Italicus, affollato di gente
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
sua famiglia ne sarà straziata, come siamo in tanti ad esserlo. La famiglia e noi tutti abbiamo perduto un figlio e un fratello che ha dato la sua vita per tutti coloro che amano la librtà, non ultimi proprio quegli Afghani che era andato a difendere dai terroristi talebani. La solidarietà espressa è importante ma quello che poi conta realmente è la solidarietà manifestata. Ecco perché vi chiedo, con il cuore e con la mente, ma di più con il cuore, di effettuare una donazione di euro 10,00 per la famiglia di Alessandro Di Lisio. È un gesto simbolico (economicamente parlando) ma di enorme elevatura morale e civile. È un gesto di solidarietà che raccolgo per significare la gratitudine alla famiglia di questo ragazzo che per tenere alto l’onore dell’Italia tutta ha sacrificato la sua giovane esistenza. Il versamento lo potete fare sul mio c/c con le seguenti caratteristiche: intestatario Conti Lorenzo - Iban IT 03 Q 01030 02841 000000723987 - vausale “pro Alessandro Di Lisio”. Una volta effettuato il bonifico, gradirei una email a lore_co@libero.it con indicato il nome, il cognome e la vs. città. Settimanalmente vi aggiornerò sulla somma raccolta. Quando avremo raggiunto una somma decorosa, andrò personalmente a portare l’assegno alla famiglia di Alessandro con una lettera e l’elenco di tutti coloro che si sono uniti in questa azione di amore nei confronti di un ragazzo che .oggi non c’è più. Chi mi vorrà accompagnare, sarà benvenuto.
ISTITUZIONE DELL’OSSERVATORIO SCIENTIFICO “EDWARD C. BANFIELD” Gli anni Cinquanta rappresentano un periodo di intenso studio e ricerca sociale nel Mezzogiorno d’Italia. La coscienza di una realtà dilacerata e infelice spinge la classe politica e gli intellettuali verso la ricerca di una diversa nozione spaziotemporale che contempli un nuovo schema di sviluppo urbano, in grado di utilizzare le moderne attrezzature tecniche per colmare il distacco sempre più grande con la campagna, arretrata economicamente e socialmente. Il dibattito, pertanto, più che orientarsi verso l’analisi delle contraddizioni della società, che avrebbe ricondotto fatalmente a riconoscere gli errori politici commessi dalla classe dirigente italiana dal Risorgimento al dopoguerra, si orienta verso la produzione, affascinante, di “miti” nel tentativo di individuare una “nuova frontiera” oltre la quale sperimentare modelli alternativi alla civiltà capitalistica e urbana. Il geografo Pjotr Kropotkin in un importante libro dal titolo Campi, Fabbriche e Botteghe, giocando d’anticipo sul pensiero tecnico ed economico, aveva intuito che la duttilità e l’adattabilità delle comunicazioni e dell’energia elettrica, unite alle possibilità di un’agricoltura intensiva e biodinamica, avevano posto le basi per un’evoluzione urbana decentrata che potesse trovare attuazione in piccole comunità basate sul contatto umano diretto e provviste dei vantaggi della città oltre che di quelli della campagna. Kropotkin previde che anche quando il complesso degli impianti era grande, il dare in appalto certe operazioni a piccole aziende staccate rendeva di fatto discutibili le ragioni economiche che avevano portato a creare le enormi organizzazioni concentrate, cioè a quella tendenza dell’industria che giustificava le altre forme di elefantiasi metropolitana. Ebenezer Howard sviluppò ulteriormente queste stesse idee. Nel nuovo concetto della città-giardino egli vedeva «le splendide possibilità di una civiltà nuova al servizio della comunità»; comprese che l’espansione della grande città era un fenomeno di autodistruzione, perché a ogni nuovo aumento della popolazione corrispondeva una maggiore congestione del traffico e una minore accessibilità alle sue istituzioni centrali, senza contare che la maggior parte degli abitanti traeva benefici, sempre più scarsi dai suoi maggiori istituti di cultura, come se fosse vissuta interamente al di fuori della sua orbita. Gaetano Fierro C I R C O L I LI B E R A L BA S I L I C A T A
APPUNTAMENTI SETTEMBRE 2009 LUNEDÌ 7, ROMA, ORE 11 HOTEL AMBASCIATORI - VIA VENETO Riunione straordinaria del Consiglio Nazionale dei Circoli liberal. VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL
Lorenzo Conti
Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,
Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Filippo La Porta, Maria Maggiore,
Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio
Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,
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PAGINAVENTIQUATTRO Sperimentazioni. Il curioso allevamento del produttore tv Giacomo Tiraboschi
Nella vecchia fattoria… degli di Roselina Salemi n mezzo a un prato di velluto, affacciato sul lago d’Iseo, quasi una terrazza, c’è un signore che telefona, circondato dal suo gregge di alpaca. Gli animali, creature gentili dal lungo collo e dai grandi occhi, brucano beati. C’è Rosko, il maschio dominante, padrone e difensore del territorio. C’è Macchia, c’è Vita, c’è Amarllys, la vecchietta del gruppo (9 anni), c’è Cusko, di un bel marrone, e c’è Trudy, l’ultimo nato, che somiglia a un ragazzino con i capelli a spazzola. A Giacomo Tiraboschi, 48 anni, da dodici produttore del programma Melaverde di Rete4, proprietario del terreno (tre ettari) e del gregge (17 femmine, tre maschi e Trudy) hanno dato, nel migliore dei casi, dell’incosciente. Altri, serenamente, gli hanno dato del pazzo, quando hanno scoperto che quel pezzo di terra vistalago, invasa dai rovi e abitata dai topi più grossi mai visti, non era stata comprata per farci una bella speculazione, ma un allevamento sperimentale, il primo del genere. «Per dimostrare che la montagna può essere una risorsa e non un problema». Che qui si può vivere, lui, il Tiraboschi per primo, quando andrà in pensione.
I
L’avventura è cominciata un anno fa: l’ex pascolo era in vendita, degradato. C’era una roulotte, c’erano alcuni vecchi materassi e nient’altro. «Ho portato qui mio padre, 83 anni», racconta, «e gli ho detto quello che volevo fare. Era una giornata bellissima. Gli ho chiesto: che ne pensi? Lui mi ha risposto: ma sei matto?». Accompagnato da questo vento di follia, Giacomo Tiraboschi ha cominciato dividendo la sfida con la moglie (che si è scoperta una vocazione di apicultrice), e i tre figli. Uno di loro ha salvato Vita, con una cura a base di coccole. Intanto il gregge aumenta: da qui a settembre nasceranno altri otto cuccioli (la gravidanza è lunga, 11 mesi), il prossimo a giorni. Già, ma perché portare alpaca, cugini dei lama, in provincia di Brescia? La strada dalle Ande alle Prealpi è lunga. La loro casa è il Perù. Lasciata la pianura con l’arrivo dei conquistadores, hanno seguito gli indios a 4000 metri altezza e non sono più scesi a valle. In Italia ne sono arrivati 300-400 negli ultimi dieci anni, ma Tiraboschi, i suoi è andato a prenderli anche in Svizzera e in Inghilterra, pagandoli fra i 3500 e i 5000 euro ciascuno (tre se li è regalati lo scorso Natale). Con un’idea rivoluzionaria: farli diventare tanti, al punto da abbassare il prezzo a 500-700 euro, «perché si arrivi a ripopolare i pascoli, con grandi numeri, altrimenti è una cosa da snob. Una lana pregiata può diventare una buona ragione per fare impresa. Si può mescolare a un trenta percento di lana “povera”, che attualmente viene buttata via, e aiutare i pastori. Se il progetto funziona, torneranno i contadini, finirà l’abbandono. Il nostro esperimento, in collaborazione con l’Università di Camerino e la sezione distaccata di Edolo dell’Università di Milano è appena all’inizio. Ci vediamo fra tre anni, per fare i conti».Tanto per chiarire, l’alpaca, la
ALPACA
La loro lana è liscia, calda, non provoca allergie, ed è l’unica ad avere 22 colori naturali. E gli animali se la cavano da soli, mangiando erba e rasando i prati meglio di una falciatrice lana dei re Inca, è davvero speciale, preziosissima. Liscia, setosa, calda, non provoca allergie, ed è l’unica al mondo ad avere 22 colori naturali, dal bianco puro al fulvo, tutta la gamma di marroni e beige, fino al nero carbone. Filata, vale 400 euro al chilo,“sporca”un minimo di 35. E gli animali se la cavano da soli, mangiano erba (meno di una capra), rasano i prati meglio di una falciatrice, spazzando via anche le spine, sporcano pochissimo. In sostanza, un affare tutt’altro che insensato. Ma questo slancio visionario va oltre il business. Tiraboschi ha fatto dipingere le stalle di azzurro,«perché il colore dell’acqua tiene lontane mosche e
zanzare» (non usa disinfettanti). Ha fatto arrivare un tosatore specializzato, «che ha lavorato anche in Nuova Zelanda», e adesso contempla i suoi 50 chili di lana grezza, primo risultato dell’investimento: non sa ancora che cosa ci farà (sciarpe, gli hanno suggerito, ma non è così semplice).
All’aeroporto di Ginevra ha comprato mezzo quintale di semi di fiordaliso, e li ha sparsi in giro, nella terra desolata. Poi, siccome non gli bastava, ha aggiunto papaveri, lavanda e girasoli. Ed è corso ad ammirare la fioritura («Avete idea di che cosa è un prato di fiordalisi?»). Ha salvato dal macello galline e tacchini, che adesso saltellano attorno a una pozza d’acqua e, nel passaparola della zona, tra l’Università, la Coldiretti, i contadini, è arrivata una piccola processione di aspiranti allevatori contagiata dal suo sogno: ha già 80 richieste. Chiamatelo pazzo.