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Tutti i giornalisti, per via
di e h c a n cro
del loro mestiere, sono degli allarmisti: è il loro modo di rendersi interessanti
9 771827 881004
Arthur Schopenhauer di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • VENERDÌ 4 SETTEMBRE 2009
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Lascia Avvenire, Tv2000 e RadioInblu. Solidarietà anche dal mondo della politica
Boffo, lo schiaffo delle dimissioni «La mia vita è stata violentata». La Cei: «Una vittima, siamo con lui» di Marco Palombi
ROMA. Dopo essere stato messo alla gogna per giorni da tutti i (numerosissimi) media del presidente del Consiglio, Dino Boffo ha risposto con un gesto semplice: si è dimesso dalla direzione di Avvenire, il quotidiano della Cei. Un gesto quasi “rivoluzionario” in un Paese dove nessuno dà mai le dimissioni da niente. Boffo, con una lettera durissima (che pubblichiamo qui a fianco integralmente) ieri ha annunciato la decisione irrevocabile di lasciare il vertice di Avvenire, di TV2000 e di RadioInblu. Ma subito questo atto semplice si è trasformato in uno schiaffo a un mondo (quello dei combattenti a ogni costo): hanno violentato me e la mia famiglia, ha scritto Boffo. La Cei, nell’accettare le dimissioni, ha rincarato la dose: «È vittima di un inqualificabile attacco mediatico: siamo con lui». a pagina 3
Il testo della lettera inviata a Bagnasco
Possono resistere soltanto i “gladiatori”
«Non scappo, voglio solo dire ora basta»
L’Italia è ormai un Paese solo per barbari
di Dino Boffo
di Giuseppe Baiocchi
Ecco la lettera con cui Dino Boffo ha motiva- Dino Boffo lascia da “vincitore morato le sue dimissioni al cardinale Bagnasco. le”, quando è comunque apparso chia-
Da sette giorni la mia persona è al centro di una bufera di proporzioni gigantesche che ha invaso giornali, televisioni, radio, web, e che non accenna a smorzarsi, anzi.
ro che le accuse alle quali si voleva impiccarlo si andavano sbriciolando da sole. E tuttavia il suo abbandono dimostra che in Italia si sta sempre più restringendo, lo spazio per le persone “per bene”.
a pagina 4
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Sarebbe per Berlusconi un modo intelligente per uscire dall’angolo e tornare a parlare dell’Italia
Presidente, ora le conviene rispondere alle domande di liberal di Enrico Cisnetto ignor presidente del Consiglio, questa volta risponda. Mi permetto di darLe questo consiglio non richiesto, caro Cavaliere, non perché mi prema dare soddisfazione al giornale sul quale sto scrivendo che ha vergato le 10 domande che ieri campeggiavano sulla prima pagina senza coltivare alcuna illusione sulla Sua disponibilità, bensì nel benemerito tentativo di svelenire un clima politico che, da mefitico che è sempre stato, ora si è fatto davvero irrespirabile – ma perché credo sarebbe nell’interesse del Paese. E lo sarebbe per almeno tre buone ragioni. La prima di metodo: un presidente del Consiglio, quando è sollecitato dalla stampa, ha sempre motivo di rispondere. Quale che siano le domande e le intenzioni che le hanno rese esplicite, quale che sia l’organo d’informazione che le ha rivolte. Tanto più in questo caso, visto che liberal non può certo essere accusato di faziosità e partigianeria.
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segue a pagina 6
Barroso elogia i «portavoce» Il leader della Ue risponde a Berlusconi.
IL NUOVO ESECUTIVO DI AHMADINEJAD Due novità: una donna alla Salute e un terrorista alla Difesa. Il potere del dittatore è ormai moribondo. Perciò rilancia la sua sfida al mondo
Teheran: il governo, le bugie Tutto quello che non ci viene raccontato sulla vera situazione politica dell’Iran
di Andrea Ottieri a pagina 6
seg1,00 ue a (10,00 pagina 9CON EURO
di
I QUADERNI)
• ANNO XIV •
alle pagine 12,13,14 e 15
Michael Ledeen NUMERO
175 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
pagina 2 • 4 settembre 2009
politica
Stampa avvelenata/1. Se la sono presa con una persona mite che, tra l’altro, era nel mirino dei catto-progressisti
La vendetta dei gladiatori L’amara conclusione dell’aggressione di Vittorio Feltri a Dino Boffo dimostra che l’Italia, ormai, è diventato un Paese solo per barbari di Giuseppe Baiocchi niana, don Gianni conosceva bene Avvenire. Che è il giornale che negli ultimi anni ha davvero restituito legittimità culturale e democratica all’azione del centro-destra, senza deflettere di un millimetro dalla dottrina cristiana, e contribuendo a sfatare in ambito popolare molti dei pregiudizi che alimentavano in senso contrario buona parte dell’ intellighentsjia cattolica.
ino Boffo lascia da “vincitore morale”, quando è comunque apparso chiaro che le accuse alle quali si voleva impiccarlo si andavano sbriciolando da sole. E tuttavia il suo abbandono dimostra (e lo dice esplicitamente nella lettera di dimissioni) che si sta sempre più restringendo, in questo infelice Paese e nel mondo dell’informazione in particolare, lo spazio per le persone “per bene”, per gli onesti profes-
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Negli ultimi anni, Avvenire ha restituito legittimità culturale e democratica all’azione del centro-destra sionisti della comunicazione che non ci stanno a farsi arruolare a forza negli eserciti contrapposti dei gladiatori a prescindere, degli scrivani a comando, dei megafoni urlanti al servizio di interessi opachi e quasi sempre non commendevoli. Si è compiuta così, ben presto, con la forsennata campagna de Il Giornale nei confronti del direttore di Avvenire, la facile profezia avanzata da Giampaolo Pansa alla notizia dell’improvviso cambio di direzione al quotidiano di famiglia del premier. E che cioè, con un trasparente rimprovero agli ex colleghi di Repubblica, quando si comincia a frugare nella palta, poi è inevitabile che la palta finisca nel ventilatore.
Ora che la vittima predestinata sceglie in piena libertà di sottrarsi al gioco al massacro (con una punta di nobiltà che suona come uno schiaffo morale per le “iene dattilografe”di ogni latitudine) appare ancora più incomprensibile, e totalmente incongruo e illogico sul terreno politico, la scelta del bersaglio prediletto de Il Giornale: quasi che facesse notare, acuta e drammatica, l’assenza di un autentico consigliere come Baget Bozzo, mancato davvero troppo presto. Infatti, a differenza degli avvocaticchi che sembrano oggi guidare la campagna di attacco berlusco-
Una nota del cardinale Bagnasco
Secco il commento dell’accusatore
Sostegno dalla Cei: «È una vittima siamo con lui»
Sprezzante Feltri: «Affari interni della Chiesa»
CITTÀ DEL VATICANO. Immediata la reazio-
MILANO. È sprezzante il commento di Vittorio Feltri alle dimissioni di Dino Boffo dalla direzione dell’Avvenire: «Sono affari interni alla Chiesa. Io non pensavo minimamente a questo quando ho scritto e ho fatto scrivere le cose che hanno provocato tutto questo problema. Immagino che Boffo avesse i suoi buoni motivi per dimettersi» – ha detto il direttore del Giornale interpellato da Apcom. All’Ansa, poi, Feltri ha aggiunto: «Non credo né di aver vinto né di aver perso. Non c’è niente da vincere, né da perdere, piuttosto qualcuno si deve rimangiare gli insulti e tutto quello che è stato scritto su di me, compreso il Vaticano. Da questa vicenda l’unica cosa chiara alla fine è che c’è un evidente doppiopesismo intollerabile». «Per quanto mi riguarda – ha aggiunto mi interesserebbe solo che il Gip mettesse gli atti a disposizione degli altri come si fa in una montagna di altri casi». E ha concluso attaccando, naturalmente, come nel suo stile: «Aggiungo che in tutta questa vicenda sono stato bersaglio di attacchi intollerabili, mentre il Giornale non ha fatto altro che portare in prima pagina una vicenda. Il resto è solo sfera delle indiscrezioni, come quella che sono manovrato da Berlusconi».
ne (e il sostegno incondizionato) della Cei alle dimissioni di Dino Boffo dalla dizione dell’Avvenire annunciate come irrevocabili, ieri, dall’ormai ex-direttore. «Il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinale Angelo Bagnasco, prende atto, con rammarico, delle dimissioni irrevocabili del dottor Dino Boffo dalla direzione di Avvenire, TV2000 e RadioInblù e sottolinea come contro di lui vi sia stato un inqualificabile attacco mediatico». Sono queste le dure parole contro l’attacco lanciato dal Giornale della famiglia Berlusconi, diramate dall’Ufficio Comunicazioni della Cei in una nota. E,naturalmente, dopo il colpo a Feltri, arriva la solidarietà a Boffo: «Nel confermargli, personalmente e a nome dell’intero episcopato – prosegue la nota ufficiale - profonda gratitudine per l’impegno profuso in molti anni con competenza, rigore e passione, nel compimento di un incarico tanto prezioso per la vita della Chiesa e della società italiana, il cardinale Bagnasco esprime l’inalterata stima per la sua persona, oggetto di un inqualificabile attacco mediatico. Apprezzando l’alta sensibilità umana ed ecclesiale che lo ha sempre ispirato, gli manifesta vicinanza e sostegno nella prova, certo che il suo servizio alla Chiesa e alla comunità civile non verrà meno».
In questo quindicennio di direzione Dino Boffo è stato a lungo “crocefisso” dal sussiego sempre più autoreferenziale dei circoli cattoprogressisti (non è escluso che venga da lì la vecchia “manina” che ha esteso quella antica e spregevole “nota informativa” che è stata a lungo spacciata come atto giudiziario dal Giornale, volonteroso “utilizzatore finale”, per usare l’espressione cara ai legulei di cui sopra): e invece Boffo ha cercato di dar voce e autorevolezza a quanto di nuovo e di creativo stava emergendo in quella “Chiesa di popolo” che costituisce la spina dorsale della società ita-
Chi lo accusa dovrebbe capire che l’assolutismo è finito: attaccare Boffo è stato anche un errore politico liana. Magari plurale in cabina elettorale, ma unita più di quanto si pensi nel volontariato silenzioso, nella fatica della famiglia, nella testarda speranza di futuro per il Paese, anche sul terreno civile.
Un popolo di piccoli e di umili che conserva la benedetta capacità di “provare scandalo”: è accaduto (e a lungo sottovalutato) nell’ annus horribilis 1992, quando l’emergere, pur interessato e spesso torbido, della corruzione portò di fatto alla rapida fine della Dc. È cominciato ad accadere quest’estate nei confronti non tanto dei disinvolti comportamenti privati del premier, quanto nella sua strafottenza nel rivendicarli. E Avvenire, (lo si capiva dalle pagine delle lette-
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Solidarietà all’ex-direttore da (quasi) tutto il mondo politico ROMA. Alla fine Dino Boffo si è dimesso da direttore di Avvenire, Tv Sat2000 e RadioInblu, tutte testate che fanno riferimento alla Conferenza episcopale italiana. Lo ha fatto ieri, con una lunga lettera al suo “editore”, il presidente della Cei Angelo Bagnasco, in cui parla di un «attacco smisurato, capzioso, irritualmente feroce» sferratogli dal Giornale «guidato da Feltri e Sallusti». Questa campagna ostile, scrive il giornalista, è ben lungi dall’essere finita e le dimissioni sono l’unica «condizione perché le ostilità si plachino»: in azione, sostiene Boffo, c’è «un opaco blocco di potere laicista». Finisce così la vicenda iniziata il 28 agosto con la pubblicazione sul Giornale della notizia della condanna del direttore di Avvenire per molestie telefoniche ad una donna (una vicenda del 2002). Il quotidiano - alla testa del quale Silvio Berlusconi aveva appena riportato Vittorio Feltri – dice di più: sulla scorta di una velina anonima dà di «noto omosessuale» al giornalista cattolico e sostiene che quest’ultimo tormentasse la donna proprio per via di una relazione omosex che intratteneva col fidanzato di quest’ultima. Morale: non si può fare la predica al premier se poi si hanno scheletri negli armadi.
Ha vinto il Giornale Ma ha perso il Pdl Nel centrodestra c’è chi teme che le dimissioni possano essere un boomerang per il governo
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È un cristiano vero che ha dato una lezione morale, politica e istituzionale agli italiani
di Marco Palombi dello stesso Boffo («è una patacca») e la tigna con cui Il Giornale ha proseguito la sua campagna. Ancora ieri il direttore di Avvenire si difendeva sul suo giornale con un articolo dal titolo «Dieci falsità: le deformazioni del Giornale e la realtà dei fatti». Poi, nella tarda mattinata, le dimissioni, accolte sul sito del quotidiano di via Negri con un sobrio «Vittorio Feltri vince la sua prima “battaglia”da quando ha preso le redini del quotidiano».
Il cardinal Bagnasco, dal canto suo, ha accettato
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Il presidente del Consiglio, da molti indicato come il mandante dell’attacco, si dissociò dal “suo”quotidiano, ma dovette comunque incassare la cancellazione della cena aquilana col segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone che, nelle intenzioni di palazzo Chigi, doveva segnare il definitivo “perdono” delle istituzioni ecclesiastiche per l’estate di Noemi e Patrizie del premier. Seguirono dure prese di posizione della Cei e della Santa Sede (l’ultima - «Feltri fomenta il caos» - quando il giornalista aveva sostenuto che la “nota informativa” era un della prodotto Gendarmeria vaticana), l’autodifesa
re) non ha fatto altro che raccogliere, con misura ed equilibrio, quanto saliva dal sentire collettivo e interpretarlo, sapendo chiedere con rispetto un cambio di stile all’insegna di una auspicabile sobrietà.
La coltellata del Giornale , arrivata a freddo e senza nep-
pure quel minimo scrupolo professionale di sentire prima le ragioni dell’interessato, ha assunto risvolti inquietanti e segnala una preoccupante involuzione politica. Infatti, colpendo scientemente lo snodo delicato, il raccordo comunicativo tra “chiesa di popolo” e “chiesa-istituzione”
«con profondo rammarico» l’addio di Boffo al giornale, sottolineando «l’inalterata stima» che lo lega al giornalista, «oggetto di un inqualificabile attacco mediatico». Sconcerto e rabbia, infine, nelle redazioni delle testate della Cei. Fin qui il racconto pubblico della vicenda. Stando però a fonti episcopali, Santa Sede e vescovi avevano già deciso di sostituire Boffo (col consenso di quest’ultimo) già da lunedì: la cosa sarebbe dovuta avvenire quando le acque si fossero calmate e attraverso un pubblico attestato di stima al «senso di responsabilità» verso la Chiesa del dimissionario. L’arrivo della copia staffetta di Panorama (in edicola oggi) ha però costretto tutti a cambiare i piani: il settimanale, infatti, ha pubblicato un pezzo in cui ricostruisce la vicenda delle molestie tracciando una sorta di identikit delle persone coinvolte. Un preannuncio, neanche troppo velato, di nuovo fango da gettare nel ventilatore: di lì la scelta delle dimissioni subito. Intanto - Avvenire è oggi in edicola con la firma del vicedirettore Marco Tarquinio - già si comincia a parlare di successione: il sito Dagospia ha lanciato la “candidatura” di Gianfranco Fabi, vicedirettore del Sole 24 Ore e direttore di Radio 24, oppure
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quella di Roberto Fontolan, anche lui vicino a Cl, ma a Roma ieri si faceva anche il nome di Mimmo Delle Foglie, editorialista di Avvenire, tra gli organizzatori del “Family Day” e portavoce di “Scienza e Vita”. La direzione della tv Sat2000, invece, verrebbe staccata da quella del quotidiano e potrebbe restare nelle mani di Stefano De Martis (che ne era già condirettore insieme a Boffo).
Ovviamente si sono sprecati i commenti della politica. L’Udc ha dato la sua solidarietà al direttore attraverso una nota congiunta del segretario Cesa e del presidente Buttiglione: «Dino Boffo è un cristiano vero che ha dato una lezione morale, politica e istituzionale a tutti gli italiani». Il leader del Pd Franceschini ha parlato di «una regia di intimidazione nei confronti della stampa libera» e anticipato la sua presenza il 19 settembre alla manifestazione della Fnsi per la libertà d’informazione. Anche Idv, per bocca del capogruppo in Senato Belisario, ha dato il suo sostegno a Boffo, «vittima di un’inqualificabile operazione di killeraggio di cui ben si conosce il mandante». Nel Pdl, invece, si procede in ordine sparso. C’è chi si rallegra come Stefania Craxi: «Dino Boffo ha voluto ergersi a moralizzatore senza averne i titoli – ha scritto in una lettera a Feltri e Lei ha fatto benissimo a smascherare tanta ipocrisia». C’è chi, come il capo dei senatori Gasparri e il ministro Frattini, incolpa la Repubblica: le dimissioni, cioè, sarebbero il frutto del «clima di scontro innescato dalle aggressioni del gruppo Espresso». C’è chi infine ha espresso pubblica solidarietà all’ex direttore di Avvenire come il sottosegretario Bertolaso («gli sono davvero e fraternamente vicino»), il ministro Sacconi, il governatore Formigoni e il sindaco di Roma Alemanno: «Un gesto di grande nobiltà che sottolinea con forza come questo killeraggio fosse fuori luogo». Berlusconi si è fatto male da solo, sostiene invece il direttore della Fondazione Farefuturo Alessandro Campi. E il professore sarà probabilmente facile profeta: si dice che per il consiglio Cei del 21 settembre – che dovrebbe anche scegliere il direttore di Avvenire – il cardinal Bagnasco prepari un duro affondo contro Feltri e il governo.
Un gesto di grande nobiltà che sottolinea come questo killeraggio fosse fuori luogo
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e il prestigio di chi lo interpreta con stima generalizzata, si pretende di cancellare l’autonomia di un corpo sociale decisivo nella tenuta del Paese. Non solo, ma sgarrettando le figure intermedie, si vuole lasciare il campo libero alla guerra feroce di opposti estremismi. Tanto, ci si illude,
bastano e avanzano i rapporti tra Stati per tener buono il Vaticano. Peccato che la Chiesa, questa volta tutta, si sottragga alla sorte di chi la vuole assoggettare come “instrumentum regni”. E, rispettando fino in fondo la libertà di coscienza di un suo laico interprete, ne fa un simbolo positi-
vo che seminerà a lungo continuatori con la schiena diritta. Per la parte accusatrice è forse il caso di convincersi che l’assolutismo è finito da un pezzo: e procurare un inutile dramma ad un onorato professionista è peggio di una cattiveria gratuita. È un devastante errore politico.
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Stampa avvelenata/2. Ecco la lettera con la quale Dino Boffo ha annunciato al cardinale Bagnasco la sua decisione
«La mia vita violentata»
«In questo gesto, in sé mitissimo, delle dimissioni è compreso un grido alto, non importa quanto squassante, di ribellione: ora basta» di Dino Boffo Ecco la lettera con la quale Dino Boffo ha motivato le sue dimissioni al cardinale Bagnasco.
raccolta uomini e mezzi in una battaglia che evidentemente si vuole ad oltranza. E mentre sento sparare i colpi sopra la mia testa mi chiedo: io che c’entro con tutto questo? In una guerra tra gruppi editoriali, tra posizioni di potere cristallizzate e prepotenti ambizioni in incubazione, io, ancora, che c’entro? Perché devo vedere disegnate geografie ecclesiastiche che si fronteggerebbero addirittura all’ombra di questa mia piccola vicenda? E perché, per ricostruire fatti che si immaginano fatalmente miei, devo veder scomodata una girandola di nomi, di persone e di famiglie, forse anche ignare, che avrebbero invece il sacrosanto diritto di vedersi riconosciuto da tutti il rispetto fondamentale? Solo perché sono incorso, io giornalista e direttore, in un episodio di sostanziale mancata vigilanza, ricondotto poi a semplice contravvenzione? Mi si vuole a tutti i costi far confessare qualcosa, e allora dirò che se uno sbaglio ho fatto, è stato non quello che si pretende con ogni mezzo di farmi ammettere, ma il non aver dato il giusto peso ad un reato “bagatellare”, travestito oggi con prodigioso trasformismo a emblema della più disinvolta immoralità.
a sette giorni la mia persona è al centro di una bufera di proporzioni gigantesche che ha invaso giornali, televisioni, radio, web, e che non accenna a smorzarsi, anzi. La mia vita e quella della mia famiglia, le mie redazioni, sono state violentate con una volontà dissacratoria che non immaginavo potesse esistere. L’attacco smisurato, capzioso, irritualmente feroce che è stato sferrato contro di me dal quotidiano Il Giornale guidato da Feltri e Sallusti, e subito spalleggiato da Libero e dal Tempo, non ha alcuna plausibile, ragionevole, civile motivazione: un opaco blocco di potere laicista si è mosso contro chi il potere, come loro lo intendono, non ce l’ha oggi e non l’avrà domani.
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Qualcuno, un giorno, dovrà pur spiegare perché ad un quotidiano, Avvenire, che ha fatto dell’autonomia culturale e politica la propria divisa, che ha sempre riservato alle istituzioni civili l’atteggiamento di dialogo e di attenta verifica che è loro dovuto, che ha doverosamente cercato di onorare i diritti di tutti e sempre rispettato il responso elettorale espresso dai cittadini, non mettendo in campo mai pregiudizi negativi, neppure nei confronti dei governi presieduti dall’onorevole Berlusconi, dovrà spiegare, dicevo, perché a un libero cronista, è stato riservato questo inaudito trattamento. E domando: se si fa così con i giornalisti indipendenti, onesti, e per quanto possibile, nella dialettica del giudizio, collaborativi, quale futuro di libertà e di responsabilità ci potrà mai essere per la nostra informazione? Quando si andranno a rileggere i due editoriali firmati da due miei colleghi, il «pro» e «contro» di altri due di essi, e le mie tre risposte ad altrettante lettere che Avvenire ha dedicato durante l’estate alle vicende personali di Silvio Berlusconi, apparirà ancora più chiaramente l’irragionevolezza e l’autolesionismo di questo attacco sconsiderato e barbarico. Grazie a Dio, nonostante le polemiche, e per l’onestà intellettuale prima del ministro Maroni e poi dei magistrati di Terni, si è chiarito che lo scandalo sessuale inizialmente sventagliato contro di me, e propagandato come fosse verità affermata, era una colossale montatura romanzata e diabolicamente congegnata. Fin dall’inizio si era trattato d’altro. Questa risultanza è ciò che mi dà più pace, il resto verrà, io non ho alcun dubbio. E tuttavia le scelte redazionali che da giorni taluno continua accanitamente a perseguire nei vari notiziari dicono a me, uomo di media, che la bufera è lungi dall’attenuarsi e che la pervicace volontà del sopraffattore è di darsi ragione anche contro la ragione. Un dirigente politico lunedì sera osava dichiarare che qualcuno vuole intimorire Feltri; era lo stesso che nei giorni precedenti aveva incredibilmente affermato che l’aggredito era proprio il direttore del Giornale, e tutto questo per chiamare a
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Sento sparare sopra la mia testa i colpi di una guerra fra poteri e gruppi editoriali e mi chiedo: ma io che c’entro con tutto questo?
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Feltri non si illuda, c’è già dietro di lui chi, fregandosi le mani, si sta preparando ad incamerare il risultato di questa insperata operazione: bisognava leggerli attentamente i giornali, in questi giorni, non si menavano solo fendenti micidiali, l’operazione è presto diventata qualcosa di più articolato. Ma a me questo, francamente, interessa oggi abbastanza poco. Devo dire invece che non potrò mai dimenticare, nella mia vita, la coralità con cui la Chiesa è scesa in campo per difendermi: mai - devo dire - ho sentito venir meno la fiducia dei miei Superiori, della Cei come della Santa Sede. (...) Per questi motivi, Eminenza carissima, sono arrivato alla serena e lucida determinazione di dimettermi irrevocabilmente dalla direzione di Avvenire, Tv2000 e RadioInblu, con effetto immediato. Non posso accettare che sul mio nome si sviluppi ancora, per giorni e giorni, una guerra di parole che sconvolge la mia famiglia e soprattutto trova sempre più attoniti gli italiani, quasi non ci fossero problemi più seri e più incombenti e più invasivi che le scaramucce di un giornale contro un altro. E poi ci lamentiamo che la gente si disaffeziona ai giornali: cos’altro dovrebbe fare, premiarci? So bene che qualcuno, più impudico di sempre, dirà che scappo, ma io in realtà resto dove idealmente e moralmente sono sempre stato. Nessuna ironia, nessuna calunnia, nessuno sfregamento di mani che da qui in poi si registrerà potrà turbarmi o sviare il senso di questa decisione presa con distacco da me e considerando anzitutto gli interessi della mia Chiesa e del mio amato Paese. In questo gesto, in sé mitissimo, delle dimissioni è compreso un grido alto, non importa quanto squassante, di ribellione: ora basta. Gli obiettivi che ’Avvenire’ ha raggiunto li si deve ad una straordinaria sinergia che puntualmente, ogni mattina, è scattata tra tutti quelli impegnati a vario titolo nel giornale. So bene che molti di questi
Ho letto Giampaolo Pansa scrivere: «Dalla carta stampata colerà il sangue e qualcosa di più immondo». Ho avuto i brividi
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politica
4 settembre 2009 • pagina 5
Ritratto di un giornalista scelto come volto “nuovo” dalla Cei
Con lui la Chiesa finì sul satellite di Francesco Capozza
ROMA. Novemila battute che grondano amarezza, rammarico, disgusto ma non certo imbarazzo, indirizzate al presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, al termine delle quali Dino Boffo è ufficialmente l’ex direttore di Avvenire, Sat2000, e RadioInBlu. Dimissioni «irrevocabili», risultato della violenta polemica scoppiata a seguito delle accuse, da parte de Il Giornale diretto da Vittorio Feltri, di essere omosessuale e di aver patteggiato, nel 2004, una condanna per molestie. Chi è l’uomo che per tre lustri ha diretto il megafono cartaceo della Conferenza episcopale italiana? Colui che è stato, sia sotto la presidenza di Camillo Ruini che sotto l’attuale di Angelo Bagnasco, uno degli uomini più potenti all’ombra del Cupolone? Giovane dirigente dell’Azione Cattolica nei primi anni Ottanta, dopo l’elezione di Giovanni Paolo II, aveva progressivamente abbandonato le posizioni del cattolicesimo democratico. Nel 1989 fu assunto come giornalista dal quotidiano cattolico Avvenire, divenendone, nel 1994, direttore al posto di Lino Rizzi, gravemente ferito dopo un terribile incidente d’auto sull’Autosole. La nomina fu voluta dal cardinale Camillo Ruini, allora presidente della Conferenza Episcopale Italiana, come parte della strategia di ingresso della Chiesa cattolica nel dibattito pubblico italiano dopo la fine dell’unità politica dei cattolici.
ai recenti interventi sull’inchiesta di Bari e gli incontri del premier con la escort Patrizia D’Addario. Su questo tema, il giornale di Boffo, a firma del direttore, aveva parlato per primo di uno «scenario di desolazione che non convince e non piace al paese reale». È dalla sua rubrica di colloquio con i lettori che il direttore sceglie di sollevare la questione morale e gli dedica diversi interventi. Boffo rivendica che il giornale dei vescovi italiani si sia pronunciato «in modo netto sul piano dei contenuti e della prassi e che chiunque è stato raggiunto dai loro interventi ha capito quello che si doveva capire».
Una serie di editoriali che ebbero addirittura una replica del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. In un’intervista al settimanale di famiglia Chi, il premier disse: «Sono caduti anche loro nel tranello delle calunnie contro di me, prendendo per vere notizie false».Non è stata certo questa la prima delle prese di posizione di Boffo, spesso originali, come quando nel 2003 accolse l’iniziativa di Gad Lerner di pregare in Sinagoga dopo gli attentati di Istanbul. Di questa sua originalità è indicativo ad esempio l’invito a collaborare al giornale, al suo esordio, rivolto ad Adriano Celentano che aprì la sua rubrica con un commento alla decisione del Parlamento europeo di consentire alle coppie gay il matrimonio e l’adozione di figli. In quella occasione Boffo disse: «Vogliamo fare un quotidiano con l’anima, ma anche un po’ disinibito». Disinibito e originale perché ad esempio ha sempre snobbato i gadget criticandoli apertamente per non fare «un giornale di tossicomani di gadget». Perché ha lanciato il fumetto, ha offerto giornalini per bambini puntando sempre moltissimo ai giovani, al loro mondo, ai loro interessi.
Cinquantasei anni, nato a Asolo, all’«Avvenire» da quindici, fu scelto dal cardinal Ruini. E subito rivoluzionò il giornale dei vescovi
colleghi e collaboratori non condividono oggi la mia scelta estrema, ma sono certo che quando scopriranno che essa è la condizione perché le ostilità si plachino, capiranno che era un sacrificio per cui valeva la pena.
Eminenza, a me, umile uomo di provincia, è capitato di fare il direttore del quotidiano cattolico nazionale per ben 15 degli straordinari anni di pontificato di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI: è stata l’avventura intellettuale e spirituale più esaltante che mi potesse capitare. Un dono strepitoso, ineguagliabile. A Lei, Eminenza carissima, e al cardinale Camillo Ruini, ai segretari generali monsignor Betori e monsignor Crociata, a ciascun Vescovo e Cardinale, proprio a ciascuno la mia affezione sconfinata: mi è stato consentito di essere, anzi sono stato provocato a pormi quale laico secondo l’insegnamento del Concilio, esattamente come avevo studiato e sognato negli anni della mia formazione. La Chiesa mia madre potrà sempre in futuro contare sul mio umile, nascosto servizio. Il 3 agosto scorso, in occasione del cambio di direzione al quotidiano Il Giornale, scriveva Giampaolo Pansa: «Dalla carta stampata colerà il sangue e anche qualcosa di più immondo. E mi chiedo se tutto questo servirà a migliorare la credibilità del giornalismo italiano. La mia risposta è netta: no. Servirà soltanto a rendere più infernale la bolgia che stiamo vivendo». Alla lettura di queste righe, Eminenza, ricordo che provai un certo qual brivido, ora semplicemente sorrido: bisognerebbe che noi giornalisti ci dessimo un po’ meno arie e imparassimo ad essere un po’ più veri secondo una misura meno meschina dell’umano.
Dino Boffo fu chiamato quindici anni fa alla direzione di “Avvenire” dal cardinale Camillo Riuni, allora al vertice della Cei. Dopo il suo arrivo, il giornale conobbe nuova fortuna, nonché un aumento considerevole delle vendite. Quest’estate, Boffo ha dedicato alcuni dei suoi commenti al cattivo modello morale rappresentato da Silvio Berlusconi
Sempre pronto a «spettinare il lettore», come ha sempre amato dire, Dino Boffo divenne direttore a soli 41 anni, facendo subito, tra l’altro, crescere il numero di copie vendute e promuovendo una rivoluzione grafica. Nato ad Asolo 56 anni fa, si è laureato in lettere classiche all’Università di Padova, dal 1977 al 1980 è stato segretario generale dell’Azione cattolica e una volta entrato all’Avvenire, ha fatto parte per 11 anni del Consiglio di amministrazione. Nel 1997 figura nel gruppo di fondazione di Sat2000, l’emittente satellitare, ora anche in digitale terrestre, dove realizza una delle prime integrazioni tra carta stampata, radio e tv. Del resto l’innovazione è nelle sue corde ed è in questa direzione che ha guidato il quotidiano della Cei mai sottraendosi alle polemiche e agli scontri, anche diretti, con giornalisti e con politici. Boffo ha affrontato tutti i temi scottanti degli ultimi anni, dalla procreazione assistita, all’immigrazione, al conflitto d’interessi, al terrorismo fino
Una linea premiata col superamento di quota 100 mila copie vendute al giorno già in occasione dei 40 anni della testata compiuti nel 2008, quando aprì anche il sito internet. Ora che Dino Boffo si è fatto da parte, non sappiamo se le polemiche a colpi di prime pagine finiranno; certo è che con lui scompare l’ultimo baluardo del “ruinismo” e di un certo potere ecclesiale. Di sicuro antitetico a quello del segretario di Stato Tarcisio Bertone e, per certi versi, anche al Pontefice attualmente regnante.
diario
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Quesiti. Le domande pubblicate ieri sulla prima pagina di “liberal“sono quelle che la nazione si fa sul proprio futuro
Presidente, si occupi dell’Italia! Ecco perché adesso Berlusconi farebbe bene a occuparsi del Paese di Enrico Cisnetto segue dalla prima
denza con tasse. Da un lato chiediamo agli italiani di andare in pensioni più tardi: partendo da subito nel giro di qualche anno portiamo l’età pensionabile di tutti, tranne coloro che fanno lavori usuranti (che definiremo una volta per tutte), a 70 anni. Dall’altro lato, con gli enormi risparmi prodotti, riduciamo in misura significativa il carico fiscale sia alle persone fisiche che alle imprese. Queste sono le vere riforme strutturali che farà il governo Berlusconi».
La seconda ragione è di opportunità. Prima di tutto per Lei, signor Presidente, che ha bisogno di “smarcarsi” al più presto dai problemi che l’assillino da ormai troppo tempo, e che, se mi consente, si è per la gran parte costruito con le sue mani. Ma questo è affar suo, si potrebbe giustamente osservare. Il vero motivo di opportunità, quello che preme a me, riguarda l’inderogabile necessità che ha il Paese di liberarsi di questo gioco al massacro «tutti contro tutti» che dura da troppo tempo, di rimontare quella “china pericolosa” di cui Gianfranco Fini ha giustamente denunciato i pericoli. E rispondendo alle fondate domande di liberal , Lei darebbe davvero un contributo a smorzare i toni, a ritornare alle cose serie.
Infine, la terza ragione di questo appello riguarda il merito delle domande che Le sono state sottoposte. Prenda quelle di natura economica, e in particolare la domanda sulla promessa, fin qui non mantenuta, di abbassare le tasse. Essa è cen-
Il presidente della Commissione Ue replica a Berlusconi
E Barroso elogia i suoi portavoce Andrea Ottieri
BRUXELLES. Il presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso, ha risposto picche a Berlusconi e agli attacchi del premier italiano ai portavoce della Commissione Europea. «Sono molto fiero del servizio dei portavoce dell’esecutivo europeo: gode di tutta la mia fiducia e il mio appoggio – ha detto ieri Barroso - anche perché nessuna altra istituzione al mondo si mette a disposizione della stampa per rispondere a ogni domanda, dalle auto all’influenza A». Il numero uno dell’esecutivo comunitario, insomma, ha voluto replicare in modo diretto (e usando toni inequivocabili) alle dichiarazioni di Berlusconi che non aveva gradito le richieste di chiarimenti sul respingimento dei migranti e per questo aveva proposto che non avessero più diritto di
parola, minacciando in caso contrario di ”ritirare” il voto italiano, bloccando di fatto i lavori della Ue. Insomma, rispondendo ai cronisti durante la presentazione del programma politico per il suo secondo mandato (l’Europarlamento voterà la sua conferma nelle prossime settimane), Barroso prima ha sottolineato la peculiarità del «metodo comunitario», poi ha osservato: «Ci sono persone che a volte non comprendono l’originalità della Commissione, che ha non solo il diritto, ma il dovere di dare informazioni a tutti i cittadini. È ciò che fa ogni giorno con il servizio dei portavoce, di cui sono molto fiero. Non c’è nessun altro organismo amministrativo a livello internazionale che si metta ogni giorno al servizio dei cittadini». Il servizio dei portavoce, perciò, «ha tutta la mia fiducia e tutto il mio sostegno», ha concluso Barroso.
trale: intanto, perché la riduzione della pressione fiscale complessiva – che è ciò che conta, perché è inutile rivedere le aliquote se poi aumentano le imposte locali o spuntano nuovi balzelli – è stata posta per sua scelta quale perno della cosiddetta “rivoluzione liberale” che Lei avrebbe dovuto realizzare nel paese del consociativismo; poi, perché in mancanza era ed è impossibile rilanciare lo sviluppo. Anzi, già che sono sul terreno accidentato dei “consigli non richiesti”, entro nel merito della risposta che io al suo posto darei. Più o meno direi così: «Sì, è vero, ci abbiamo provato ma non ci siamo riusciti a ridurre la pressione fiscale, perché non siamo stati capaci di affrontare il nodo centrale del debito pubblico. Che sarà stato pure un’eredità del passato, ma di cui eravamo consapevoli. Per questo, siccome è fuorviante continuare a predicare meno tasse se prima non si affronta il problema della mancanza di margini di manovra cui ci costringono le condizioni della nostra finanza pubblica, ora affrontiamo la questione in modo diverso. Scambiamo previ-
Troppo? Può darsi , ma è ciò che si aspetta la gran parte degli italiani. In particolare, se lo aspetta quella “borghesia del fare” cui Lei, caro Cavaliere, si era rivolto in occasione della sua “discesa in campo” e che in questi anni l’ha votata più per mancanza di alternative che per convinzione profonda. Questa Italia si attende un colpo d’ala, non l’ennesima recriminazione contro i “comunisti”, i nemici, la stampa malevola e prevenuta. Tutte cose che ci sono, per carità – d’altra parte Lei lo sa bene, perché l’antiberlusconismo becero e trinariciuto è stato fin qui il suo migliore alleato! – ma che sarebbe ora che Lei si lasciasse alle spalle, se vuole davvero governare questo benedetto Paese. Per esempio, questo è ciò che pensa – e spera – la gran parte delle 75 mila persone che per cinque settimane hanno affollato l’ottava edizione di Cortina InConTra, la manifestazione sui grandi temi dell’attualità che io organizzo e che Lei si ostina a snobbare. Sono uno spaccato più che rappresentativo dell’Italia che punta allo sviluppo e che persegue la modernità, e che amerebbe finalmente avere un sistema politico all’altezza delle sue ambizioni. Signor P residente , le domande di liberal sono state predisposte da chi – come me – non l’ha votata ma non è affetto da pregiudizi e La considera comunque il rappresentante del nostro Governo. La prego, esca dall’angolo e risponda. Per il suo e il nostro bene. (www.enricocisnetto.it)
diario
4 settembre 2009 • pagina 7
Nel ventisettesimo anniversario dell’agguato di Palermo
Si tratta di una donna di 37 anni Migliora il giovane ricoverato a Monza
Napolitano ricorda il sacrificio di Dalla Chiesa
Influenza A: nuovo caso all’ospedale di Napoli
ROMA. «Il sacrificio del gene-
ROMA. Nuovo caso in Italia di
rale Dalla Chiesa e quello di tanti altri caduti per mano di mafia debbono restare vivi nella memoria di tutti e imporre alle istituzioni, alla società civile e alle nuove generazioni una continua vigilanza contro le persistenti forme di presenza e di infiltrazione della criminalità organizzata, non meno pericolose anche quando meno appariscenti».
influenza A: uno dei pazienti ricoverati al Cotugno di Napoli è risultato positivo al test eseguito. Si tratta di una donna di 37 anni della provincia di Napoli «le cui condizioni, però - ha detto il direttore sanitario dell’ospedale, Cosimo Maiorino - non destano preoccupazioni». Invece le condizioni cliniche del paziente D.G., 51 anni, napoletano, ricoverato in Rianimazione «sono rimaste immodificate». Per quanto riguarda gli altri due pazienti ricoverati in isolamento al pronto soccorso, ha aggiunto il medico, «uno è in via di dimissione mentre l’altro è in miglioramento non avendo più febbre, ma solo una modica dispnea». Il ragazzo di Parma ricoverato al
Lo ha scritto ieri il presidente della Repubblica in un messaggio inviato al Prefetto di Palermo in occasione del ventisettesimo anniversario dell’agguato nel quale furono uccisi il prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo. «Il Paese - ha aggiunto il capo dello Stato - ricorda con immutata emozione la cieca violenza di quell’atto con il quale la mafia volle colpire un fedele servitore dello Stato, pronto a contrastarla con nuovi ed efficaci metodi investigativi e con il coinvolgimento e il sostegno dell’intera popolazione: così come aveva fatto negli anni precedenti quando, con determinazione e intelligenza, aveva combattuto la feroce aggressione terroristica. Il barbaro attentato provocò un unanime moto di indignazione
Lo spettro dell’Antitrust fa risparmiare sul pieno Dietro il calo dei prezzi della benzina la minaccia di Scajola di Francesco Capozza
ROMA. Il confine tra moral suasion e minaccia è molto labile. Fatto sta che il ministro dello Sviluppo, Claudio Scajola, sembra aver toccato la corda giusta per spingere i petrolieri ad abbassare i prezzi dei carburanti: far intervenire l’Antitrust, con la possibilità di comminare una forte multa. Certo, i ritocchi sono arrivati a fine estate e non all’inizio come chiedevano gli automobilisti. Mister prezzi – che oggi vedrà i rappresentanti del settore – lamenta il solito differenziale di 3 centesimi rispetto all’Europa. Le insaziabili associazioni dei consumatori spingono per un taglio vero, di almeno dieci centesimi. Per non parlare del petrolio stabilmente sotto i 70 dollari. Ma una raffica di ribassi – di più, una corsa del ribasso – come quella registrata in settimana, è davvero cosa nuova per un settore con minima concorrenza come quello della distribuzione dei carburanti. In totale il calo è lontano dalla aspettative degli automobilisti. Ma il segnale che arriva in questi giorni è prettamente politico. Non a caso a muoversi con più forza è stata l’Ache da gip, market leader, ha deciso martedì scorso un taglio di 1,5 centesimi per benzina e diesel (scese rispettivamente a 1,309 euro e 1,136 euro al litro). E così ha costretto i concorrenti (Esso,Tamoil, Shell, Erg, Total, Api-Ip e Q8) a seguirla su questa strada.Tanto che, in questa piccola spirale ribassista, l’americana Esso ha finito per superare la controllata del cane a sei zampe e ridurre il prezzo della verde e del diesel rispettivamente fino a 1,304 e 1,132 euro al litro.
I petrolieri, intanto, smentiscono che dietro il trend ribassista ci siano pressioni da parte del governo. E oggi, a rapporto dal garante dei prezzi Roberto Sambuco, spiegheranno di essersi semplicemente attenuti ai trend delle quotazioni di mercato. Quindi partiranno con la consolidata audafé: dicendo che se in Italia si paga di più per un pieno rispetto al resto d’Europa, lo si deve soltanto ai ritardi della rete di distribuzione e all’alta pressione fiscale.
Ma da via Veneto non nascondono un pizzico di soddisfazione. Un pizzico, perché il calo auspicato da Scajola è arrivato soltanto alla fine dell’estate. «Dal monitoraggio giornaliero che facciamo con i gestori, sul prezzo alla pompa non su quello consigliato», spiega il sottosegretario allo Sviluppo Stefano Saglia, «si conferma un distacco di circa 3 centesimi rispetto all’estero. Fatto sta che notiamo un riallineamento dei prezzi verso le quotazioni del greggio più rapido del solito». Di conseguenza si va verso un armistizio, ma la battaglia è soltanto all’inizio. Anche perché l’obiettivo è un riassetto del mercato della distribuzione. Nelle scorse settimane il ministro ha minacciato di imporre un timing di definizione dei prezzi trimestrale, come accade per il gas o l’elettricità. Ma il vero progetto del governo sarebbe quello di allargare la commercializzazione dei carburanti anche alla grande distribuzione. Tanto che in Via Veneto, anche se all’interno di un più ampio provvedimento sulla concorrenza, starebbero studiando come favorire questo processo. Nota l’economista, e presidente di Nomisma energia, Davide Tabarelli: «Il governo sbaglierebbe nel seguire l’estremismo delle associazioni. Soprattutto se questo ci riportasse ai prezzi amministrativi. C’è lo spazio per un ulteriore calo di un paio di centesimi, ma la strada da seguire non è quella dei diktat. Non a caso la svolta si è avuta quando il governo ha fatto pressioni su Eni per un taglio di 10 centesimi al self service».
Oggi i petrolieri vedono Mister prezzi, che chiede un taglio di 3 centesimi, il doppio di quello fatto dalle compagnie
cui seguì un più deciso e convergente impegno delle istituzioni e della società civile, che ha consentito di infliggere colpi sempre più duri alla criminalità mafiosa ed alla sua capacità di controllo del territorio. Le dolorose immagini di quella tragica sera non debbono però essere dimenticate». Sempre ieri, anche il Consiglio dei ministri, subito dopo il termine della riunione che si è svolta nel pomeriggio a Palazzo Chigi, ha ricordato il sacrificio del generale Dalla Chiesa. «Tutto il cdm è unito nel ricordo», ha dichiarato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. E messaggi dal tenore analogo sono arrivati da molti esponenti del mondo politico.
Dietro questa mossa ci sarebbe la decisione del ministro dello Sviluppo di allertare prima di ferragosto l’autorità per la Concorrenza sui forti aumenti che non hanno agevolato i vacanzieri. Perché aprire una procedura formale su un mondo che – come dice Scajola – non è mai stato immune «dal sospetto di un cartello», potrebbe creare non pochi problemi ai petrolieri. I quali già nel 2000 furono sanzionati dall’autorità oggi guidata da Catricalà.
San Gerardo di Monza ha invece sconfitto il virus, ma resta la complicanza dell’infezione polmonare. Ad anticiparlo all’Ansa è stato ieri Luciano Bresciani, assessore alla sanità della Lombardia, che ha sottolineato come «il virus è stato battuto».
Il successo «è stato possibile grazie all’intenso lavoro dei medici e a quello del ragazzo. Non abbiamo perso nessuna delle conquiste fatte nei giorni precedenti». Il giovane di 24 anni rimane però sotto stretta osservazione, a causa del sopraggiungere di un’infezione polmonare da Pseudomonas aeruginosa. Di questo batterio «si conosce bene la sensibilità agli antibiotici ha aggiunto Bresciani - ci sono tutti gli strumenti per abbattere il germe, e i sanitari di Monza li hanno già messi in atto». Nel dettaglio, alla terapia antibiotica ad ampio spettro che i medici hanno utilizzato sin da subito sono stati aggiunti ulteriori antibiotici, specifici per combattere le resistenze dello Pseudomonas. «In un percorso come questo - ha concluso - siamo passati dal rischio di morte ad una parziale autosufficienza respiratoria, anche se le complicanze sono sempre in agguato. Queste tuttavia non ci fanno perdere i segnali di speranza guadagnati nei giorni precedenti».
politica
pagina 8 • 4 settembre 2009
Frontiere. Al quarantaduesimo convegno dell’associazione l’appello contro «la chiusura e l’egoismo delle piazze padane»
Fini contro Bossi Voto agli immigrati, fin dalle Regionali La “rivoluzione” invocata anche dalle Acli di Errico Novi
ROMA. Essere integrati non vuol dire pagare le multe e salutare educatamente dopo aver bevuto un caffè al bar. Gianfranco Fini capovolge la retorica e guarda improvvisamente il fenomeno degli immigrati dal punto di vista di questi ultimi. Se non lo si facesse, dice il presidente della Camera in un articolato intervento al 42esimo convegno nazionale delle Acli, vorrebbe dire essersi dimenticati della stessa storia degli italiani, fatta di emigrazione e sacrifici. Miglior battesimo e migliore promozione non poteva chiedere, Andrea Olivero. Il presidente dell’Associazione dei lavoratori cattolici precede con la sua relazione il discorso di Fini, e sciorina i numeri della rivoluzione, quella da cui sarebbero interessati un milione e seicentomila stranieri nel caso in cui dovesse dimezzarsi i tempi per la concessione della cittadinanza.
Il titolo dell’incontro d’altronde non lascia dubbi: “cittadini in-compiuti” sono quelli lasciati per strada da una burocrazia che di fatto pretende anche più dei dieci anni attualmente previsti per diventare italiani; ma lo sono anche le famiglie alle quali è stata vanamente promessa dall’attuale maggioranza l’introduzione del quoziente familiare; e così quei lavoratori che aspettano da tre legislature la realizzazione della seconda parte della riforma Biagi, che prevede la ristrutturazione del sistema degli ammortizzatori sociali. Tutto rientra in un quadro di riforme in questo momento cancellato dal governo. E soprattutto il tema dell’immigrazione, e delle politiche necessarie a non ridurlo ad espediente propagandistico, definisce una piattaforma radicalmente alternativa a quella imposta dalla Lega. Il presidente della Camera lo sa e parla come si conviene a un interlocutore politico leale ma sostanzialmente irriducibile. Dice al Carroccio che quelle critiche istantanee alle sue proposte su immigrazione e
Savino Pezzotta e le strategie «comuni» con i lavoratori cattolici
«Le famiglie al primo posto» di Francesco Capozza
ROMA. Ieri a Perugia si è aperto il 42esimo incontro di studi delle Acli. Il tema di quest’anno è di strettissima attualità: «Cittadini in-compiuti». Non ci vuole molto per capire che si discute di immigrazione e di diritti dei lavoratori (italiani e non). Sempre ieri, proprio dalle colonne di questo giornale, il presidente delle Acli, Andrea Olivero, ha esposto in anteprima le proposte che la più importante associazione dei lavoratori cattolici ha intenzione di porre all’attenzione del dibattito politico nell’imminente autunno. Sul tema e sulle proposte avanzate da Olivero abbiamo sentito il parere di Savino Pezzotta, parlamentare Udc. Onorevole Pezzotta, che ne pensa della necessità, secondo il presidente dell’associazione dei lavoratori cattolici, di una nuova legge sulla cittadinanza? L’Unione di centro da sempre si è detta favorevole ad una revisione dell’attuale legislazione sul diritto di cittadinanza. Anche nell’ultima campagna elettorale è stato un tema per noi molto sensibile tant’è che abbiamo fatto anche delle proposte concrete come, tra l’altro, la riduzione del tetto di cinque anni per l’acquisizione della cittadinanza italiana. Personalmente, però, sono convinto che anche per i cittadini stranieri nati su suolo italiano sia necessaria una esplicita dichiarazione di volontà di acquisire la nostra cittadinanza. Sempre stando a quanto anticipato a liberal dal presidente Olivero, secondo le Acli urge portare a compimento e a perfezionamento la “legge
Biagi”. Che ne pensa? È bizzarro che questa domanda venga posta proprio a me.All’epoca della redazione della legge che porta il nome del giuslavorista brutalmente assassinato io ero segretario generale della Cisl e in quanto tale mi confrontai spesso sia con Biagi sia con il governo - sempre guidato da Berlusconi - rappresentato anche allora da Maurizio Sacconi, in qualità di sottosegretario al Welfare. Sono convinto che se allora quel governo - e quindi come pensare che possa averlo l’attuale - avesse avuto il coraggio di affrontare il problema occupazione con maggiore forza, oggi avremmo maggiore sviluppo, maggiore rilancio del settore produttivo e, certamente, anche maggiore occupazione. La legge Biagi, invece, è riamasta per lo più lettera morta. Olivero parla anche di “quoziente familiare”. Musica per le vostre orecchie? È tutta l’estate che l’Unione di centro raccoglie firme, anche sulle spiaggie, per una legge d’iniziativa popolare che introduca il cosiddetto “quoziente familiare”. Se, e a quanto pare è così, le Acli sono d’accordo con noi sulla necessità di introdurre questo aiuto per le famiglie allora che ci diano una mano. Che ci aiutino a sensibilizzare l’opinione pubblica e la politica. Come sempre io preferisco che si passi dalle belle parole ai fatti concreti.
A sinistra, Savino Pezzotta. A destra, Gianfranco Fini e Andrea Olivero. Nella pagina a fianco, Fabio Granata cittadinanza non possono esaurire la discussione, che invece «deve essere seria alla luce dei dati di fatto e delle esperienze degli altri Paesi, senza cedere a tentazioni propagandistiche in vista delle amministrative».
E i l r i f e r i m e n t o a l v o t o regionale del prossimo anno non è casuale, perché il presidente della Camera dà una consistenza ineludibile alle sue proposte, con l’evocazione della scelta «coraggiosa e lungimirante» compiuta da alcuni Paesi europei «come la Danimarca, la Svezia, la Finlandia e l’Olanda di estendere agli stranieri il diritto di voto in occasione delle elezioni amministrative». Una svolta che «tende ad avvicinare la cittadinanza sociale e quella politica, a fornire nuove opportunità di integrazione ai lavoratori stranieri attraverso la partecipazione alla vita democratica». Rispetto al resto d’Europa rischiamo di ripiegarci in una logica di chiusura, sembra voler dire l’ex leader di An, quando parla anche della «scelta della Germania che nel 1999 ha cambiato la
legge sulla concessione della cittadinanza, rendendo questa accessibile agli immigrati di seconda generazione». Fini è convinto che «in Italia si avverte da diverso tempo la necessità di rivedere la legge sulla cittadinanza del 1992, che risente di una situazione culturale profondamente diversa da quella attuale».
Il riferimento alla propo sta del deputato Fabio Granata, uno dei suoi fedelissimi, e del democratico Andrea Sarubbi, è esplicito. Ugualmente esplicito è anche il discorso di Andrea Olivero, che condivide in pieno la necessità di non appiattire il dibattito sulle posizioni della Lega, sostiene che l’identità italiana non si difende con i respingimenti ma con le regole, e «certamente non con la chiusura e l’egoismo delle piazze padane». Una vocazione moderata che rifiuta l’egemonia del Carroccio emerge con chiarezza, dunque, dall’assemblera delle Acli, dove Fini squarcia come ha fatto spesso negli ultimi tempi il velo di una realtà che non può essere so-
politica
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La discussione alla riapertura della Camera
Italiani in fretta Ecco la proposta Da 10 a 5 anni per diventare cittadini nel testo di Granata e del pd Sarubbi
ROMA. C’è un’intuizione semplice, ma probabilmente decisiva, a sostenere il progetto di legge 2670: l’arco temporale molto lungo richiesto dalla normativa attualmente in vigore per concedere a uno straniero la cittadinanza italiana (10 anni) «impedisce di fatto che l’acquisizione a pieno titolo dei diritti civili legati alla cittadinanza diventi un obiettivo che lo straniero residente in Italia reputa davvero perseguibile. Un dato tipicamente italiano», scrivono nella relazione introduttiva al testo i due promotori, il deputato finiano Fabio Granata e il collega del Pd Andrea Sarubbi, un dato che dimostra come «il cittadino straniero continua per lo più a sentirsi e a vivere in Italia come ospite».
significa non conoscere la nostra stessa storia nazionale», avverte appunto il presidente della Camera.
lo ridotta agli slogan: «La discussione sulla cittadinanza deve avvenire senza emotività», dice. Bisogna cogliere «i dati di fatto», ossia «la presenza in Italia di quattro milioni di stranieri destinati a vivere stabilmente sul nostro territorio: sarebbe illusorio pensare che questi non tendano a mettere radici, pensarlo
L’adozione dello jus soli, del principio per il quale si ha la cittadinanza del Paese in cui si è nati, viene difeso da Fini con l’esempio della squadra giovanile italiana di cricket che recentemente ha conquistato il titolo europeo: «Sono quasi tutti figli di pakistani, e quelli sì parlano il dialetto. Come certi calciatori, come Balotelli che parla bresciano stretto». Con la legge tedesca i figli degli immigrati ottengono la cittadinanza e mantengono la doppia nazionalità fino a 24 anni, quando devono optare tra la Germania e il Paese d’origine». Quindi la frase, che apre di fatto i lavori autunnali della Camera e il conflitto nella maggioranza, sulla proposta Granata-Sarubbi: «In questo nostro strano Paese è un elemento che suscita curiosità il fatto che due parlamentari di schieramenti opposti presentino insieme un progetto di legge: ma loro due la pensano allo stesso modo e lo fanno». Semplice.
Ecco in che modo Granata e Sarubbi confidano di convincere anche la stragrande maggioranza dei parlamentari del Pdl (l’Udc ha già dichiarato la propria disponibilità a discutere la proposta «per migliorarla», con Rocco Buttiglione) ad approvare il dimezzamento dei tempi per ottenere la cittadinanza: da dieci anni, appunto, a cinque. Il discorso sull’integrazione e sul bisogno di non favorire sentimenti di estraneità in chi vive in Italia rischia davvero di far breccia, soprattutto in tempi in cui è così avvertita la preoccupazione per il crearsi di comunità straniere “separate” all’interno del territorio nazionale. Si pensi alla comunità asiatica di città toscane come Prato o al numero impressionante di filippini, africani e latinoamericani che ormai affollano la Capitale. La Lega rischia insomma di trovarsi davvero in minoranza, nonostante alcuni big del Pdl, i capigruppo Fabrizio Cicchitto e Maurizio Gasparri, abbiano opposto un rifiuto netto, seppure con qualche sfumatura diversa. Rischia di ripetersi il caso della lettera dei 101, come profetizzano con qualche buona ragione Alessandra Mussolini e lo stesso Granata. La novità sostanziale rispetto alla legge entrata in vigore nel 1992 è il passaggio dallo ius sanguinis allo ius solis: un minore è italiano non
soltanto se nasce da genitori italiani, ma anche almeno uno tra il padre e la madre (stranieri) sia legalmente soggiornante in Italia da cinque anni. È anche previsto che un minore possa acquisire la cittadinanza nel nostro Paese se ha completato un percorso scolastico o professionale in Italia, mentre per gli adulti l’abbassamento della soglia a cinque anni è «temperato e condizio-
Legge ideata per «evitare che gli stranieri si sentano ospiti pur risiedendo stabilmente in Italia» nato», scrivono ancora i due deputati promotori nella relazione introduttiva al testo, da altri requisiti: un redito minimo, la verifica di un livello generale di conoscenza della lingua e della cultura generale del nostro Paese (verifica che avverrà attraverso un esame ripetibile, a intervalli determinati, fino al superamento) e un impegno diretto dello Stato a portare a conoscenza dello straniero gli strumenti utili a superare la prova. È previsto infine un giuramento di osservanza della Costituzione e di rispetto dei suoi valori fondamentali. L’interesse che il presidente della Camera Gianfranco Fini manifesta da tempo per la questione has fatto in modo che la« conferenza dei capigruppo concordasse di calendarizzare la proposta di legge sulla cittadinanza all’immediata ripresa dei lavori di Montecitorio, assegnandola alla commissione Affari costituzionali e alla relatrice Isabella Bertolini. (e.n.)
politica
pagina 10 • 4 settembre 2009
Recessione. Mentre in Europa si guarda al futuro con fiducia, da noi continuano le polemiche fra il ministro e gli economisti
Numeri e demagogia L’Ocse rivede in meglio le stime mondiali Vaciago: «Tremonti? Solo propaganda» di Alessandro D’Amato
ROMA. La recessione rallenta, ma è presto per dire che la crisi è davvero finita. L’Ocse e la Bce cominciano a vedere la luce alla fine del tunnel, anche per l’Italia, che “guadagna” tre decimi di punto in meno di calo del prodotto interno lordo nel 2009. Nel suo «Interim Economic Assessment», l’organizzazione parigina ha migliorato le stime sul Pil anche degli altri Paesi del G7. Secondo le nuove previsioni, il prodotto interno lordo dell’area euro calerà del 3,7% nel 2009, laddove le stime di giugno parlavano di un calo del 4,1 per cento. Migliorano anche le stime sul Pil di Giappone, Germania, Francia e Canada. Confermata la previsione che vede l’economia Usa contrarsi del 2,8 per cento. Peggiorano invece le stime sulla Gran Bretagna, il cui Pil è visto in calo del 4,7 per cento, una flessione maggiore del -4,3 per cento calcolato a giugno. Per quanto riguarda l’Italia, come detto,nel 2009 l’organizzazione parigina stima una contrazione del Prodotto interno lordo pari al 5,2 per cento, poco sotto il -5,5% di giugno. L’economia dell’euro-
delle condizioni del mercato del lavoro dovrebbe migliorare anche se la ripresa sarà lenta», ha poi aggiunto.Tuttavia secondo l’Ocse «bisogna continuare ad essere cauti sulle politiche economiche», perché la ripresa dovrebbe svilupparsi solo gradualmente e questo richiederà un manGIACOMO tenimento delle miVACIAGO sure di sostegno all’economia adottate Gli economisti contro la crisi. nel mondo sono E forse proprio per seicentomila, questo anche a sparare a zero Francoforte si è su tutti è come scelta la strada della dire che cautela. La Banca i politici sono centrale europea ha tutti ladri. lasciato i tassi d’inÈ solo teresse invariati: demagogia una decisione attesa
zona, infine, è stimata in contrazione del 3,9 per cento, contro il -4,8 per cento della rilevazione precedente. Nelle ultime settimane ”abbiamo visto una serie di buone notizie” per il quadro economico globale e «la ripresa sembra a
portata di mano», ha affermato il capo economista dell’organizzazione, Joergen Elmeskov, presentando durante la consueta conferenza stampa il rapporto. «Come conseguenza del miglioramento della situazione, il tasso di deterioramento
e scontata dai mercati. Il Consiglio direttivo dell’Eurotower ha mantenuto il tasso di riferimento principale all’1%. La Bce ha lasciato invariato anche il tasso sui depositi allo 0,25% e quello marginale all’1,75%. Il costo del denaro in Eurolandia resta quindi al livello più basso nella
storia dell’euro. Ma anche Francoforte ha migliorato le stime sul Pil dell’eurozona per il 2009 e il 2010. Secondo le nuove previsioni, quest’anno la contrazione dell’economia di Eurolandia sarà tra il 4,4% e il 3,8%, contro la forbice tra il -5,1% e il -4,1% stimata a giugno. Per il 2010 lo scenario migliore prevede un’espansione dello 0,9%, mentre l’ipotesi peggiore contempla una flessione del Pil pari allo
Comincia oggi il «Forum Ambrosetti»: Abu Mazen, Shimon Peres, Fillon e Ruini tra gli ospiti
Cernobbio cerca una ricetta per il futuro CERNOBBIO. Prende il via oggi a Cernobbio (Como), il 35esimo Forum Ambrosetti, in programma fino a domenica prossima, 6 settembre, a Villa d’Este, in via Regine 40. Il meeting di Cernobbio è un appuntamento ormai tradizionale e noto a livello internazionale. Capi di stato e di governo, massimi rappresentanti delle istituzioni europee, ministri, premi Nobel, imprenditori, manager ed esperti di tutto il mondo si riuniscono ogni anno, dal 1975 ad oggi, per confrontarsi sui temi di maggiore impatto per l’economia globale e la società nel suo complesso. Attraverso incontri, dibattiti, presentazioni di ricerche ad hoc vengono elaborate previsioni sullo scenario economico e geo-politico mondiale, europeo e italiano, e vengono analizzati i principali sviluppi scientifici e tecnologici e i loro effetti sul futuro delle istituzioni, delle imprese e della società civile.
L’edizione di quest’anno si intitola «Lo scenario di oggi e di domani per le strategie competitive» e vedrà, tra gli ospiti, il presidente dell’Autorità palestinese Abu Mazen e il presidente di Israele Shimon Peres, il primo ministro francese Francois Fillon, il presidente della Repubblica Ceca Vaclav Klaus e, il cardinale Camillo Ruini, il premio Nobel per la medicina Luc Montagner e, tra gli italiani, i ministri Franco Frattini, Renato
Brunetta, Mariastella Gelmini, Altero Matteoli, oltre a parlamentari, economisti e rappresentanti delle parti sociali come Pierferdinando Casini, Massimo D’Alema, Guglielmo Epifani, Piero Fassino, Emma Marcegaglia, Mario Monti, Sergio Romano, Guido Rossi. Ha fatto rumore l’assenza di alcuni economisti di vaglia (da Spaventa a Tito Boeri, come ricordavano ieri su queste pagine) per il diretto intervento del ministro Giulio Tremonti, sempre più insofferente nei confronti delle voci critiche.
Nella prima giornata si affronterà il quadro economico globale, partendo dalla crisi economica e da come ne usciremo, per poi discutere dei futuri sviluppi tecnologici e di politica estera, con ampia attenzione alla questione ambientale e alle sue dicotomie. Sabato si discuterà di Europa e delle criticità e delle prospettive del modello capitalistico. Domenica sarà l’Italia al centro dell’attenzione: verranno presentate le risultanze delle ricerche «Soluzioni d’avanguardia per accelerare la mobilità del paese» e «L’università italiana nella sfida competitiva del paese». La kermesse sarà arricchita da un intervento in videoconferenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sabato 5 settembre, nell’incontro denominato «Agenda per l’Europa».
0,5%, contro il range tra il -1% e il +0,4% calcolato a giugno. Secondo gli economisti della Banca centrale europea l’inflazione di Eurolandia per il 2009 avrà un rialzo fra +0,2 e +0,6%, per il 2010 fra +0,8% e +1,6%. Le staff projections di giugno indicavano per il 2009 un’inflazione compresa fra +0,1% e +0,5%, per il 2010 fra +0,6% e +1,4%.
«Sta terminando la fase di acuta caduta dell’economia nell’area euro e si scorgono segnali di ripresa ma la crescita sarà molto graduale e altalenante», ha detto Jean Claude Trichet. Il presidente della Bce ha anche annunciato «che da oggi, le operazione di rifinanziamento del sistema bancario a 12 mesi saranno fatte al tasso di mercato prevalente». Dunque scompare il tasso fisso fin qui adottato, una misura che «dovrebbe incoraggiare l’aumento del credito all’economia dell’eurozona». Ma il numero uno dell’Eurotower ha anche avvertito che «permangono elevate incertezze sulla crescita, e la perdurante forte volatilità” dei mercati ”suggerisce cautela». Nei prossimi mesi, ha spiegato, alcuni fattori ”frenanti”potrebbero frapporsi al recupero dell’economia: tra questi Trichet ha citato l’atteso aumento della disoccupazione e «le correzioni dei bilanci che potrebbero avvenire in istituzioni finanziarie e non». Le famose minusvalenze dei prodotti finanziari e dei valori di Borsa, che gli istituti di credito an-
politica
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Parabola ascendente di due brillanti economisti, cresciuti a pane e Pci
Giovani Reichlin crescono... moderati Chi erano e cosa fanno oggi i fratelli Pietro e Lucrezia, tra i firmatari del documento contro il Superministro di Gabriella Mecucci ucrezia e Pietro Reichlin sino a qualche anno fa erano figli di... Alfredo e Luciana Castellina. Ieri la loro firma - di tutti e due - è apparsa sotto un documento di economisti che denuncia gli errori del governo e di Tremonti. Anche loro hanno avuto accesso alla nobile arte dell’appello degli intellettuali, di gran moda sino a un paio di decenni fa e ora in via di estinzione.
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Seppur meno à la page di un tempo, far parte della pattuglia che “prende posizioni”è sintomo di uno status importante. Ed è indubitabile che i due rampolli hanno fatto una brillante carriera. Lei, Lucrezia, già consulente della Fed di Greespan e, dal 2005 al 2008, direttore del dipartimento di ricerca della Banca centrale europea, è considerata un’economista di prim’ordine. Una delle migliori sulla piazza europea. Di recente ha avuto la cattedra anche alla London
Schu ed è cinese. Il marito George, molto più grande di lei, era un avvocato belga molto conosciuto e assai impegnato nella difesa dei diritti umani. Una storia lunga quella con lui che è però finita. Dopo il divorzio, è nata una nuova love story, quando già si era trasferita a Francoforte e la sua fama cresceva. Brava, bravissima, bella, bellissima.Tanti amori, ma anche parecchia infelicità. Ai genitori deve aver dato qualche dispiacere politico: basti ricordare che era favorevole all’intervento americano in Iraq. Di destra? No, non proprio. Forse si può definire una riformista moderata. In economia ha tendenze liberali. Il suo piatto forte, disposta a difenderlo pacatamente ma fermamente anche davanti ai mostri sacri della finanza, è che l’aumento della massa monetaria non necessariamente genera inflazione. Luciana Castellina, nonostante non sia d’accordo su nulla con la figlia, la difende a spada tratta: è una mamma
cora non hanno effettuato, aspettando un momento più propizio dei mercati.
né rinveniamo espressioni di preoccupazione manifestate nei consessi internazionali a cui egli partecipò prima della Intanto non si placa la pole- crisi», aggiungono gli economica scatenata dal ministro misti. «La querella querelle tra Giulio Tremonti con le sue cri- Tremonti e gli economisti? Un tiche agli economisti, che «do- dibattito davvero inutile - dice vrebbero stare zitti due anni a liberal Giacomo Vaciago, orcome punizione per non aver dinario di Politica Economica e previsto la crisi economica”. direttore dell’Istituto di EconoIeri all’inquilino di via XX Set- mia e Finanza nell’Università tembre hanno risposto sedici Cattolica di Milano – e francamente penso che sia meglio occuparJEAN-CLAUDE si di economia e diTRICHET soccupazione che scrivere ai giornaSta terminando li». Quindi lei pensa la fase di acuta che il ministro abcaduta bia ragione? «Al dell’economia quello contrario, nell’area euro che ha detto Tree si scorgono monti non ha alcun segnali valore: che vuol didi ripresa ma re “gli economisti la crescita sarà non hanno previmolto graduale sto”? Chi non ha e altalenante previsto? Gli economisti nel mondo sono seicentomila, economisti, in una lettera aper- sparare a zero su tutti è come ta: «Ci chiediamo se la capa- dire che i politici sono tutti lacità di previsione di cui egli è dri. È solo demagogia». fiero abbia ispirato la sua azio- E allora perché non c’è la sua ne di governo. Una ricerca in firma nell’appello? «Perché questa direzione da risultati trovo che sia un dibattito inutideludenti», si legge nella lette- le e che sia altrettanto inutile ra, firmata tra gli altri da Tito difendere o attaccare gli ecoBoeri, Luigi Spaventa, Marco nomisti. Sinceramente, preferiOnado, Lucrezia Reichlin e sco occuparmi di cose più seFrancesco Giavazzi. «Non tro- rie: l’economia italiana, il proviamo traccia di gravi preoccu- blema della disoccupazione. E pazioni sulla stabilità finanzia- se facessimo tutti così, invece ria globale nei documenti uffi- di perdere tempo, sarebbe ciali del firmati dal ministro; senz’altro meglio».
Business School e un posto nel consiglio di amministrazione di Unicredit. Con buona pace di tutti i maschilisti di ogni risma che negano l’esistenza di donne bellissime e super intelligenti, Lucrezia è molto avvenente e assai preparata. Ma chi è, al di là dei successi, questa signora di mezza età (55 anni) che sembra poco più di una ragazza? Discendente dai lombi di una sinistra doc, non poteva non fare il liceo al Tasso di Roma. E lì ha incontrato un Walter Veltroni di un anno più giovane e molto meno bravo di lei.Tantoché, dopo due anni, se ne dovette andare alla scuola di cinema, visto che il latino per lui era un po’ troppo ostico. Già dal Ginnasio, Lucrezia organizzava incontri a casa sua con gli amici per leggere insieme Marx. E appena più grande si iscrisse alla facoltà di Economia di Modena: una laurea trionfale in uno dei luoghi cult della sinistra che studiava la materia. Era ancora molto giovane quando ebbe la sua prima importante storia d’amore con Franco Piperno, bello, molto rivoluzionario ma anche ben piazzato nei salotti borghesi. Del resto Lucrezia veniva da una buona famiglia gauchiste. Rapidamente finì a Bruxelles e già lì cominciò a farsi notare per le sue notevoli qualità. Si sposò, ma - dopo una drammatica maternità - non riuscì ad avere figli. Ne ha adottata una di recente: si chiama
molto fiera della sua ragazza. E guai chi gliela tocca. Alfredo tace, ma è abbastanza soddisfatto. Tutto sommato Lucrezia scrive dotti saggi per Italiani e Europei, la rivista di D’Alema, e l’altro ieri non ha fatto mancare la sua firma sotto quel documento antigovernativo, preparato da Tito Boeri.
Anche Pietro, il fratellino, faceva parte di quell’elenco. Più giovane di Lucrezia di 5 anni: quando lei cominciava a leggere Marx lui era ancora in prima media. Il nome che porta è un omaggio che i genitori fecero al vecchio Pietro Ingrao. Ma lui è distante mille miglia dalle idee del patriarca della sinistra: in economia la pensa più o meno come Lucrezia. Insegna alla Luiss e ha preferenze liberaleggianti. È meno famoso della sorella, ma è sulla buona strada per fare una fulgida carriera. Anche lui riformista, ha due figli, di cui uno di nome Alfredo. Luciana Castellina non ha nascosto che il nipote «ha la stessa puzza sotto il naso del nonno». La moglie fa la restauratrice: un lavoro normale, di una donna gradevole e priva di smanie protagonistiche. Ma da ieri i due rampolli Reichlin hanno cominciato a firmare… Una svolta? Un ingresso in politica, oppure solo un “professionale”no alle scelte di Berlusconi e di Tremonti?
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Tutto quello che non ci viene raccontato sulla reale s
Il governo senz
Nasce il nuovo esecutivo di Ahmadinejad: m di Michael Ledeen eri, a Teheran, si è insediato il nuovo governo della Repubblica islamica. Un governo senza popolo. L’opinione pubblica internazionale non è a conoscenza di questo dato, perché dalla fine delle manifestazioni dell’Onda verde si sono spenti i riflettori sul regime degli ayatollah. Ma, nel frattempo, sono successe molte cose. Iniziamo da venerdì 14 agosto, quando alle 1.30 del mattino si è verificata una grossa esplosione nella gigantesca struttura petrolchimica della Pars Petrochemical Company in Iran, a Bandar Assaluyeh. Si tratta dell’impianto più grande dell’Iran, la seconda struttura più imponente di tutto il Medioriente. L’esplosione si è verificata nelle tubature che trasportano gas liquido e ha provocato incendi in tutta la struttura. Sono morte due persone e almeno il 30 per cento della struttura è andata completamente distrutta. Secondo le prime valutazioni, l’impianto dovrà rimanere chiuso per un mese o due e al momento della stesura di questo articolo è ancora chiuso. L’incidente è stato quasi certamente un atto di sabotaggio da parte dei nemici del regime attuale e tutta la storia è stata maneggiata. Le conseguenze però si possono vedere fino a Teheran. A causa della grave carenza di benzina, molti dei 3500 autobus cittadini e delle migliaia di taxi erano stati convertiti per funzionare a GPL. Dopo l’attacco alla Pars sono stati trasformati quasi tutti i duemila autobus alimentati a GPL e come minimo, centinaia di taxi. Ora alcuni di essi dovranno torna-
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re alla benzina ma, vista la nota mancanza di efficienza del Paese, ci vorrà del tempo. Tutto ciò non solo fa aumentare le attuali difficoltà dei pendolari iraniani, ma aumenta anche la vulnerabilità del Paese verso una potenziale interruzione della benzina estera, che è stata proposta da progetti di legge all’ordine del giorno del Congresso. Questo fatto non ha ancora avuto risonanza sui più importanti media, ma i leader della Repubblica islamica, che stavano già affrontando una crisi senza precedenti, ne sono ben al corrente. I nemici interni del regime stanno prendendo forza e stanno diventando più sfacciati, nonostante il sanguinoso giro di vite degli ultimi mesi. Le proteste contro il Leader supremo, il presidente e i massimi esponenti del regime, comprendono tutte le città più importanti del Paese.
Il regime è sopraffatto dal numero di cadaveri che deve far sparire. Sono le prove evidenti dei crimini commessi durante e dopo le ultime manifestazioni Di notte si sentono slogan del tipo “A morte il dittatore!” che provengono da sopra i tetti e dalle carceri. Ogni volta che si trovano insieme una gran quantità di persone, diventa un’ occasione per dimostrare contro il regime, come è accaduto l’altra notte a Teheran durante un incontro di calcio allo stadio di Azadi. Si susseguono anche le proteste dei lavoratori. Come ci fa sapere l’indispensabile Green Brief, «dai servizi giornalistici risulta che esiste una forte possibilità che si verifichino scioperi dei lavoratori in Iran. Si dice che più di 200mila operai non siano stati pagati da mesi e che questo potrebbe provocare scio-
peri molto presto. Tutto questo deriva dal fatto che gli operai della fabbrica di automobili ( la più importante ) della provincia di Fars abbiano fatto sciopero per cinque giorni per lo stesso motivo. Altri articoli rivelano che soltanto a Teheran la disoccupazione è aumentata del 3 per cento negli ultimi mesi».
Soprattutto, adesso non si possono più negare gli orrori perpetrati dal regime contro i dimostranti pacifici che hanno fatto seguito alle elezioni fraudolente del 12 giugno. Tali orrori sono supportati da un torrente di testimonianze e, più di recente, da fotografie atroci e persino da video provenienti dal cimitero centrale di Teheran. È stato appurato che il regime si è trovato sopraffatto dalla portata della propria carneficina e, dovendo affrontare il problema di come disporre delle centinaia di cadaveri (molti dei quali presentavano segni evidenti di torture e di abusi sessuali), li ha nascosti in celle frigorifere in tutta Teheran. I becchini testimoniano di aver ricevuto corpi congelati, di notte, dalle forze di sicurezza. Alcune di queste prove circolano sul web; altre vengono usate dall’universo politico come parte di una guerra orribile di tutti contro tutti, specialmente dall’Onda verde di Mir Hossein Mousavi, che caratterizza la spirale di morte della Repubblica islamica. Ancora peggio, secondo Afshin Ellian (professore di diritto presso l’università di Leiden, in Olanda e del tutto attendibile) il Leader supremo Khamenei ha ricevuto messaggi segreti dal grande ayatollah Sistani di Najaf, in Iraq, che criticano il comportamento sanguinario del popolo di Khamenei. Ovviamente, Sistani ha fatto eco a quanto affermato dal grande ayatollah Montazeri all’inizio di questa settimana, dicendo che il regime «non è né islamico né una Repubblica», ma una tirannia. Anche la famiglia del padre fondatore ha dimostrato pubblicamente mancanza di rispetto verso il regime. Non rispettando il
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situazione politica dell’Iran
messo colpevolezza consentendo di accusare l’intero suo regime. Ha dichiarato l’innocenza dei suoi nemici e richiesto l’accusa dei suoi alleati. Ma come può sperare di sfuggire alle sue responsabilità? Non c’è dubbio che il feroce assalto contro i dimostranti pacifici sia stato ordinato da Khamenei stesso. Vista l’aria che tira nel suo circolo interno in questi giorni, non c’è dubbio che i suoi nemici abbiano le prove di quanto detto. In effetti esiste la prova documentata delle sepolture non segnate di Teheran e il congelamento dei corpi di innocenti nascosti nelle celle della zona.
Tutto questo ci riporta indietro di trent’anni, quando lo scià riconobbe che le forze di sicurezza si erano spinte troppo avanti e promise di dare un giro di vite. Quella ammissione di debolezza tanto aperta ispirò i seguaci di Khomeini e segnò uno spartiacque nella storia della ribellione. Da quel momento in poi i ribelli non ebbero più paura del regime e il popolo dello scià iniziò a tradire lui e a tradirsi l’un l’altro. Esiste motivo di credere che il discorso di Khamenei abbia lo stesso significato. C’è già una commissione parlamentare che sta indagando sulle torture e le uccisioni avvenute nelle carceri del regime in seguito alla rivolta del dopo-elezioni e, in un evento drammatico, il principale ex accusatore e il capo del temuto Tribunale Rivoluzionario, Saeed Mortazavi (noto anche come il macellaio di Teheran), è stato licenziato. Di tutto il regime nessun uomo era più odiato e più temuto di Mortazavi. Lui era particolarmente brutale con chi cercava di far presenti le malefatte dei governanti iraniani. Era stato lui che aveva messo a tacere centinaia di giornali e innumerevoli scrittori, giornalisti, bloggers e manifestanti pacifici. Ahmadinejhad ha reagito con rabbia, insistendo che i leader dell’opposizione dovevano essere in combutta con stranieri e ha chiesto che fossero perseguiti e puniti. Entro un giorno però, ha ammesso tacitamente che le accuse erano vere, pur continuando a dare la colpa agli oppositori. Il 28 agosto, la televisione nazionale - mezzo di propaganda del regime Il Grande ayatollah Sistani di Najaf, in Iraq, ha fatto sapere che ha inviato dei messaggi segreti al “collega” il presidente iraniaKhamenei per criticare il comportamento no Mahmoud Ahsanguinario del governo iraniano. Ovviamente, madinejad ha diSistani ha fatto eco a quanto affermato dal grande chiarato che «certi ayatollah Montazeri all’inizio di questa settimana, maltrattamenti nei dicendo che il regime «non è né islamico centri di detenzione né una Repubblica», ma una feroce tirannia. fanno parte di un complotto nemico e che sono stati attuati da ribelli». Persino il capo delle Guardie rivoluzionarie, il generale Mohammad Ali Jafari, sabato ha dichiarato che presso i dormitori dell’università di Teheran si
nza popolo
ma il suo potere è moribondo protocollo, il nipote dell’ayatollah Khomeini, Hassan, non si è presentato sulla tomba del nonno quando Ahmadinejad e la sua amministrazione le hanno fatto visita. Non si è presentato nemmeno alla cerimonia del giuramento per l’insediamento del nuovo governo. Come Machiavelli avvertiva il suo principe, «la cosa più pericolosa che un leader possa fare è suscitare il disprezzo del popolo».
Tutta questa pressione ha portato il Leader supremo a tenere un discorso alcuni giorni fa che si può meglio definire come un messaggio suicida. Dopo aver incolpato per anni gli agitatori occidentali (me compreso) per le proteste diffuse, gli scioperi e lo scherno del regime, Khamenei ha camiato rotta: «Il sistema giudiziario dovrebbe basarsi su prove certe, non su voci. Io non accuso i leader degli avvenimenti recenti di essere al servizio dell’Inghilterra e dell’America. Non ci sono prove che abbiano lavorato per l’America o l’Inghilterra». Come mi ha fatto notare un mio amico iraniano, «Khamenei non ha fatto un giro a 180, è arrivato fino a 360 gradi». Con queste parole il leader supremo ha tappato la bocca a molti colleghi che chiedevano di perseguire e punire i leader dell’Onda: Mousavi, Karroubi e Khatami. Poi ha fatto qualcosa di ancor più sorprendente: ha ammesso tacitamente che le storie di torture orribili, uccisioni e umiliazioni dei manifestanti ad opera delle forze di sicurezza iraniane erano vere ed ha continuato dicendo che i malfattori avrebbero dovuto rendere conto dei loro crimini. «Sono stati fatti degli errori, è stata violata la legge e si sono commessi dei crimini. Gli esecutori devono essere trattati col pugno di ferro», ha dichiarato. Riguardo ai diversi attacchi violenti sugli studenti del Paese, il messaggio è stato lo stesso: «Si deve indagare per scoprire i responsabili degli attacchi avvenuti presso i dormitori universitari». Andando fino in fondo, il Leader supremo ha am-
LE CRITICHE DELL’ISLAM
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erano verificati episodi criminali violenti e inaccettabili. Ha affermato che si sarebbe avviata un’indagine, insistendo che nessuno della milizia ufficiale era colpevole, dando invece la colpa di tutto a «persone ben vestite che hanno agito per proprio conto». Lui può dire quello che vuole ma i veri responsabili del recente massacro non possono sentirsi molto rassicurati. Sanno che, nel caso in cui le cose peggiorassero, i mandanti non esiterebbero a gettarli in pasto alla folla. E sembra che le cose non vadano affatto migliorando. Perché Khamenei sta agendo in questo modo? Da anni ha problemi di salute e si ritiene che prenda dosi massicce di sciroppo a base di oppio per alleviare il dolore dovuto al cancro. Ma anche se fosse così, è improbabile che abbia parlato in preda a confusione mentale oppure, il che è ancor meno probabile, perché si è reso conto dei propri errori e abbia deciso di comportarsi decentemente. Non è il tipo che una mattina si sveglia, prende coscienza e abbandona la sua linea politica e la gente che lo ha mantenuto al potere per vent’anni. Un comportamento simile non fa altro che suggerire un timore reale. Che cosa potrebbe spiegare un simile timore? In tutti i servizi d’informazione riguardanti la crisi iraniana in corso, gran parte degli esperti ha mancato quello che a me sembra il punto chiave: la natura dell’opposizione. Chi sono Mousavi e i suoi amici? Molti di loro, compreso soprattutto lo stesso Mousavi, sono dei rivoluzionari molto violenti ed esperti. Trent’anni fa erano con Khomeini e hanno fondato la Repubblica Islamica. Sanno come funziona il sistema e sicuramente sanno abbastanza circa i funzionari più importanti, tanto da poter far pressione su di loro.
Gli oppositori dell’Onda verde non sono leader da salotto, ma rivoluzionari vicini a Khomeini che sanno come funziona il sistema e come si può vincere a Teheran Afshin Ellian ha dichiarato alla stampa olandese che i leader dell’opposizione hanno posto Khamenei di fronte alle prove della sua attività criminale. I suoi avversari non sono intellettuali da salotto e sono consapevoli di trovarsi in un confronto tra la vita e la morte. Al contrario di chi ha affermato per molto tempo che in Iran è impossibile una rivoluzione per il fatto che non c’è un leader efficace, gli avvenimenti dei due mesi e mezzo passati hanno dimostrato che Khamenei si trova di fronte a leader molto pericolosi che minacciano il leader supremo sia dall’esterno - con decine di milioni di seguaci il cui coraggio e determinazione aumentano col passare del tempo - che dall’interno, per via della profonda conoscenza del funzionamento interno della Repubblica islamica e della loro capacità di convincere e obbligare gli attori principali a sostenere l’Onda verde e i suoi leader. Khamenei è perfettamente al corrente di tutto ciò. Peccato che nessuno lo abbia detto ai leader occidentali. Se Obama e i suoi tanti consiglieri fossero intelligenti quanto ritengono di essere, in questo momento parlerebbero con i futuri leader dell’Iran. Se i nemici del regime possono mettere fuori combattimento l’impianto petrolchimico più grande del Paese e costringere il Leader supremo a sottostare al loro volere, saranno certamente in grado di fare ancora di più.
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Iran. Nel nuovo esecutivo del regime di Teheran c’è anche la prima donna: due sono state bocciate. Ma la vera sfida è l’ascesa del generale che il Parlamento saluta al grido di “morte a Israele”
Il governo del terrorista Ahmadinejad nomina Ahmad Wahidi ministro della Difesa È ricercato dall’Interpol per la strage di 85 ebrei in Argentina di Enrico Singer a prima donna. E il primo terrorista. Lei, la ginecologa Marzieh Vahid-Dastjerdi, al ministero della Salute. Lui, il generale Ahmad Vahidi, ricercato dall’Interpol per la strage (85 morti e 200 feriti) nel centro di assistenza ebraico di Buenos Aires del 18 giugno 1994, al ministero della Difesa. Se con la prima nomina approvata ieri dal Parlamento che ha bocciato altre due donne che dovevano entrare nel governo - il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha voluto introdurre almeno un minimo di quota rosa nell’esecutivo del suo regime, con la seconda ne ha confermato la natura che più di una volta ha dimostrato con i proclami - «Israele deve essere cancellata dalle carte geografiche» - e con i fatti: l’appoggio diretto a Hezbollah in Libano e a Hamas a Gaza. Per la verità, nella storia dell’Iran una donna ministro c’era già stata ai tempi dello Scià: si chiamava Farrohru Parsa, era responsabile dell’Istruzione, ma fu fucilata proprio dopo la rivoluzione islamica del 1979.
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L’ingresso nel governo di un terrorista che il magistrato argentino Alberto Nisman accusa di essere stato la mente del massacro compiuto a Buenos Aires e che l’Interpol ha messo nel 2007 nella “lista rossa”
Intervista a Nicola Pedde, direttore dell’Instute for global studies, sui nuovi equlibri di Teheran
Arrivano i «leoni» del regime di Pierre Chiartano onsolidamento dell’esecutivo, lotte interne ai conservatori, creazione di nuova unità di sicurezza, sono la rappresentazione dell’Iran dopo le proteste di piazza. Abbiano chiesto al direttore dell’Institute for global studies, Nicola Pedde, un’analisi sull’Iran che cambia e cosa possiamo aspettaci da un uomo come Ahmadinejad. Cosa sta succedendo nel regime iraniano, ora che l’attenzione internazionale si è spostata su altri scenari? È in atto un consolidamento del regime, con nuovi strumenti repressivi. Si chiamano haydarian, «i leoni» e formano il nuovo corpo paramilitare che il regime iraniano sta organizzando, spaventato dai tentennamenti di alcuni settori delle forze di sicurezza, sfociati in vere insubordinazioni. Una disobbedienza che ha spaventato molto i vertici del regime. Così è nata l’idea di una nuova struttura comandata dall’ufficio della Guida suprema e formata da basij ed hezbollah. La repressione aveva creato molti problemi nelle forze di sicurezza che non volevano sparare sui propri concittadini. Perché Kamenei ha scelto Ahmadinejad? Ahmadinejad è visto da Kamenei come l’elemento meno traumatico per garantire la continuità del regime. Può traghettare l’Iran in una fase difficile senza strappi, per mantenere in piedi non solo la repubblica islamica ma un sistema di potere ben definito. Poi ci sono le spinte dei pasdaran, non intesi come universo militare, quanto come struttura politica ed economica. A 30 anni dalla rivoluzione i vecchi capi sono oggi i vertici politici del Paese. Sono loro che controllano l’economia, i fondi del petrolio e hanno creato una sinergia con le ultime generazioni dei bazaarì. Gli anziani sono più vicini a Mousavi, i giovani no e hanno interessi nel campo immobiliare.
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Il presidente rieletto sta privatizzando… Certo a favore di quella parte di società iraniana dotata di capitali. Cioè pasdaran e la seconda generazione dei bazaarì. L’Iran è molto simile all’Italia della prima repubblica, con un sistema clientelare e verticistico. Per certi versi è un fenomeno simile a ciò che accadde in Russia nel periodo di transizione del primo governo Eltsin. Cambiamenti all’orizzonte del regime? Chiunque vada a governare non potrà farlo con un Paese isolato. L’amminsitrazione Ahmadinejad, già da tempo, ritiene necessario individuare interlocutori alternativi a quelli storici. Per questo c’è stata la fortissima apertura verso l’America latina, la Cina e anche paesi vicini all’Occidente, ma con un basso profilo di politica internazionale, come il Giappone. Si tenterà di consolidare l’esecutivo che ha già sollevato molte critiche. I conservatori accusano la presenza di gente senza esperienza, nei ministeri chiave dell’intelligence e del petrolio, per favorire la cerchia dei fedelissimi del presidente. È prevedibile che si accentui la repressione verso l’opposizione? Solo se si tenterà di delegittimare dall’esterno Ahmadinejad. Sarà la paura dell’esecutivo di perdere potere che lo si spingerà a comportamenti aggressivi verso l’opposizione interna. Qualche contentino è stato dato anche ai vertici religiosi che hanno mal digerito la fase post-elettorale. Facendo vedere che, bene o male, c’è un sistema giudiziario che funziona. L’Iran ha paura di un fronte esterno coeso, ma teme anche di perdere legittimità in campo religioso. Anche chi ha appoggiato Ahmadinejad teme, giustamente, di aver messo in gioco l’immagine e il riconoscimento del clero di fronte all’opinione pubblica iraniana e a tutto il mondo sciita.
dei ricercati più pericolosi, non ha precedenti. Ed è un segnale preciso che Ahmadinejad ha voluto lanciare all’indomani della sua contestata rielezione alla presidenza. Da quando, lunedì scorso, era stata comunicata la lista dei ministri che è stata poi sottoposta al Majlis, il Parlamento, la designazione di Ahmad Vahidi aveva sollevato un’ondata di proteste. A cominciare da quella della comunità ebraica argentina - la più numerosa dell’America Latina - che ha definito la nomina «un insulto alle vittime del massacro». Proteste che il regime di Teheran ha, naturalmente, ignorato. Anzi, i parlamentari hanno riservato al neo ministro della Difesa il maggior numero di voti di gradimento (228 su 280) e durante il suo discorso d’investitura, ci sono stati applausi in aula e urla di «morte a Israele». Del resto, la prima dichiarazione di Vahidi è stata: «La mia nomina è uno schiaffo a Israele».
Già comandante del gruppo al Quds dei Guardiani della rivoluzione (al Quds, la santa, è il nome arabo di Gerusalemme), Ahmad Vahidi è stato in streto contatto con i terroristi di Hezbollah e la stessa strage di Buenos Aires fu compiuta, a quanto pare, per vendicare la cattura da parte di Israele di un capo del “Partito di Dio” libanese - Mustafa Dirani - che, a sua volta, era sta-
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L’ex ambasciatore Usa alle Nazioni Unite punta il dito contro gli strumenti «inadeguati» dell’Occidente
Ecco perché le nostre sanzioni sono inutili O accettiamo un Iran nucleare, o sosteniamo l’uso della forza per evitare che lo diventi di John R. Bolton l direttore generale dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (Iaea), Mohamed el Baradei, ha tentato di mascherare il programma degli armamenti nucleari dell’Iran pubblicando un rapporto in cui vengono ignorate informazioni fondamentali sulle attività di incremento degli armamenti e in cui si minimizza la perpetrazione della non-cooperazione. Anche l’amministrazione Obama sembra comprendere adesso che riprendere quelle trattative dei “5+1”, per lungo tempo ferme, con l’Iran avrebbe poche probabilità di arrestare le ambizioni nucleari di Teheran. Di conseguenza, il presidente Obama sta considerando due alternative. La prima è di considerare il “blocco” del programma nucleare dell’Iran ai livelli esistenti come un “successo”, ma questa superficiale conclusione del programma nucleare dell’Iran andrebbe in senso opposto ai determinati sforzi clandestini degli ultimi anni. Un blocco del genere è assolutamente incontrollabile ed è sinonimo di resa. A questo conseguirebbe un Iran con armamenti nucleari. L’altra tattica dell’amministrazione Obama si basa su “severe sanzioni” imposte dagli Stati Uniti e da altri paesi. Questa tattica sarebbe un successo solo nel senso che consentirebbe all’amministrazione di dichiarare una vittoria. Non impedirebbe certo all’Iran di procurarsi armi nucleari. Un’idea per presentare sanzioni pesanti ora davanti al Congresso sta nel proibire le esportazioni di prodotti petrolieri raffinati – come la benzina – all’Iran.
durre affari con Teheran, mandando in fumo le sanzioni della coalizione, e quindi indebolendo ulteriormente la risoluzione dell’Ue.
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Oggi, l’Iran importa il 40% del suo consumo giornaliero di petrolio raffinato. Altre proposte includono sanzioni economiche internazionali e collegate ad assicurazioni. Queste idee sono guidate da buone intenzioni e meritano di essere perseguite. Tuttavia se venissero imposte, creerebbero carenze che con to il carceriere di un pilota israeliano scomparso in Libano. Un passato che il generale non rinnega - anche se rigetta le accuse per la strage di Buenos Aires - e che agli occhi del regime di Ahmadinejad arricchisce il suo cursus honorum: è un attestato di benemerenza, come ha detto Alaeddin Boroujerdi che è il presidente della commissione parlamentare incaricata di vagliare le nomine ministeriali. D’altra parte, Ahmad Vahidi era già sottosegretario alla Difesa nel precedente governo iraniano e la sua promozione a ministro fa parte della più generale avanzata dell’ala dura dei fedelissimi di Ahmadinejad che, tra i 21 membri del nuovo gabinetto, ha inserito il nucleo dei suoi
Forse sei anni fa misure più rigide potevano funzionare. Oggi sono solo idee inadeguate il cui momento è ormai passato. In realtà la scelta che abbiamo di fronte è molto più complicata molta probabilità aumenterebbero l’insoddisfazione interna con il regime dell’Iran, contribuendo quindi magari alla sua fine. Ma non dobbiamo credere che sanzioni più severe possano, in un prossimo futuro, influenzare il programma degli armamenti nucleari dell’Iran.
Sei anni fa, misure più rigide potevano anche funzionare, ma oggi sono solo un’idea il cui momento è arrivato ed è passato. La loro inadeguatezza deriva da diverse cause. In primo luogo, le possibilità che il consiglio di Sicurezza dell’Onu approvi sanzioni severe contro l’Iran oggi sono inferiori rispetto al passato. Le prospettive di un sostegno russo e cinese sono molto basse, poiché sottoscrivere sanzioni potrebbe nuocere ai loro interessi economici e politici in Iran. Il massimo che ci si può aspettare dal Consiglio è una quarta risoluzione sulle sanzioni, debole e inefficace come le precedenti, che arriverebbe solo dopo
più stretti sostenitori. E che è riuscito nel suo intento, anche se tre ministri (comprese le altre due donne che aveva scelto) sono stati bocciati dal Parlamento e dovrà sostituirli entro tre mesi.
Tra i nuovi ministri ha avuto il gradimento del Majlis anche Massud Mir-Kazemi che Ahmadinejad ha destinato al dicastero-chiave del Petrolio e che era stato molto criticato negli stessi ambienti del regime perché considerato poco esperto. Poco esperto, probabilmente, sì. Ma di sicuro molto vicino al Presidente e molto docile ai suoi voleri in una fase estremamente delicata nei rapporti con l’Occidente che proprio sull’energia - tra petrolio e nucleare -
settimane e mesi di agonizzanti trattative. In secondo luogo, per coloro che comprendono la realtà del Consiglio di Sicurezza, la maggior parte delle discussioni sull’aumento delle sanzioni suggerisce una coalizione dei paesi disponibili, che sono essenzialmente l’America, il Giappone e l’Unione Europea.
Tuttavia il record della Ue ad oggi e la probabile politica del Giappone sotto il nuovo governo, hanno poche probabilità di produrre uno sforzo duro, serio e prolungato. Lo stesso Iran offrirebbe innumerevoli ragioni per cui le sanzioni dovrebbero essere sospese, ridotte o ignorate, e un inquietante amalgama di governi occidentali, affari e commentatori vi concorderebbero ad ogni passo. È molto probabile che la risoluzione della Ue si spezzi e che il Giappone faccia lo stesso. Inoltre, molti altri paesi useranno la mancanza di un imprimatur del Consiglio di Sicurezza per con-
Sul programma nucleare il presidente iraniano respinge ogni mediazione: «Nessuno può imporci scadenze e se verrà l’embargo noi sapremo reagire» ha il capitolo più rovente. Se la nomina a ministro della Difesa di un terrorista ricercato dall’Interpol è la mossa più clamorosa, la sfida politica è quella che Mahmaoud Ahmadinejad ha lanciato sempre ieri, subito dopo il voto del Parlamento sul governo. «Nessuno può imporre sanzioni all’Iran, e se ci sa-
In terzo luogo, l’Iran sta rimanendo fermo mentre negli Stati Uniti e negli altri paesi si discutono le sanzioni che riguardano i suoi prodotti petroliferi raffinati. I leader di Teheran sono acutamente consapevoli della loro vulnerabilità e si stanno muovendo per affrontarla. L’Iran, con una massiccia partecipazione della Cina, ha già cominciato a costruire nuove raffinerie e ad espandere impianti esistenti con lo scopo di raddoppiare la produttività nazionale entro il 2012. Questo compenserebbe decisamente l’attuale deficit delle raffinerie. Si può inoltre stare certi che l’accesso alla benzina delle Guardie della Rivoluzione non diminuirà. L’Iran dichiara di aver sostanzialmente aumentato le sue riserve strategiche di benzina nell’ultimo anno. In maniera più significativa, le riserve naturali di gas dell’Iran sono seconde solo a quelle della Russia, e quattro volte superiori a quelle degli Stati Uniti. L’Iran intende inoltre aumentare i sussidi per il gas naturale, riducendo quindi l’insoddisfazione dei consumatori per la perdita dei sussidi per la benzina. Per Washington, la questione non dovrebbe riguardare se “sanzioni severe” causeranno danni economici nonostante i molteplici e sempre maggiori sforzi dell’Iran per mitigarli, dobbiamo piuttosto chiederci se questo danno sarà sufficiente a dissuadere l’Iran dal perseguire gli armamenti nucleari. Obiettivamente, non ci sono ragioni per credere che lo faccia. Adottare sanzioni economiche più rigide non è altro che un’ulteriore deviazione dalle difficili decisioni sull’esigenza o meno di accettare l’Iran nucleare o sostenere l’uso della forza per evitare che lo diventi.
ranno ben vengano. Sapremo rispondere», ha detto il presidente iraniano.
Continua, così, il braccio di ferro sul programma nucleare all’indomani dell’appello dei mediatori del gruppo “5+1” che, in una riunione a Francoforte, aveva sollecitato l’avvio di nuovi negoziati diretti prima dell’apertura dell’Assemblea generale al Palazzo di Vetro, a fine mese. «Noi abbiamo presentato il nostro pacchetto di proposte», ha ripetuto Ahmadinejad alludendo all’offerta preannunciata martedì dal capo negoziatore di Teheran, Saeed Jalili, che Ue e Usa sostengono di non avere ancora formalmente ricevuto. L’inviato iraniano all’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica), Ali Ash-
gar Soltanieh, ha escluso nuovi negoziati con il “5+1” precisando soltanto che la proposta di Teheran sarà resa pubblica a breve. Il portavoce del ministero degli Esteri, Hassan Ghashghavi, da parte sua, ha definito le possibili nuove sanzioni «un’arma arrugginita e inefficace» e ha avvertito che il suo Paese non si piegherà «alle minacce e alle pressioni» internazionali definendo «inaccettabile» mettere scadenze per il negoziato. Anche perché, prevedibilmente, lo stesso Ahmadinejad ha intenzione di difendere dal podio del Palazzo di Vetro - dove interverrà all’Assemblea generale - il programma nucleare iraniano, proprio nei giorni in cui si dovrebbe discutere la possibilità delle nuove sanzioni Onu contro l’Iran.
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pagina 16 • 4 settembre 2009
Network. Dopo l’acquisizione di Marvel, Diane Sawyer al tg di punta on si sa se è una Walt Disney più scatenata o più sconcertante: probabilmente, le due cose assieme. Compra la Marvel, la cui ragione sociale dei “supereroi con superproblemi” non è propriamente la più in armonia con l’immagine dei buoni sentimenti tradizionalmente attribuita ai suoi personaggi: anche se, a vedere bene, non è che Paperino o Paperone quanto a superproblemi abbiamo mai scherzato. Lancia telefilm per adolescenti con eroine che sempre più poi compaiono su YouTube o sul net discinte. E ora per Abc News, il suo network televisivo, annuncia a sorpresa che il 66einne storico mezzobusto Charles Gibson va in pensione, per essere sostituito a gennaio alla conduzione del TgWorld News da Diane Saywer: attualmente conduttrice del celebre Good Morning America, dove era approdata 10 anni fa proprio assieme a Gibson. La 63enne Diane ha solo tre anni in meno dell’attuale anchorman: dunque, non è questione di ricambio generazionale. Visto però che anche Cbs Evening News ha dal 2005 come volto di riferimento Katie Couric, sono ben due su tre i tg dei grandi network ormai presentati da donne: ed è vero che ormai nell’era delle tv via cavo, del satellite, di Internet e delle tv con 24 ore di notizie alla Cnn o Fox News il ruolo degli spazi informativi del tradizionale trio Cbs-Nbc-Abc non è più quello di una volta. Ma dal punto di vista simbolico l’impatto è sempre notevole. E proprio la Walt Disney, in teoria la società più tradizionale, ha deciso di prendere la decisione che ha fatto inclinare la bilancia nel senso del cambio epocale. Ma non solo. Diane Sawyer, capelli biondi anche se forse ormai un bel po’ossigenati da ex Miss dell’America profonda, cognome da classico della letteratura per l’infanzia, fu a suo tempo a lungo sospettata di essere Deep Throat: nientemeno che la “Gola Profonda”, termine ripreso dal celeberrimo film hardcore con Linda Lovelace, autrice delle rivelazioni da cui lo scandalo Watergate.
N
Nata nel Kentucky da una maestra elementare e da un giudice esponente di punta repubblicano cui dopo la morte per un incidente d’auto è stato dedicato un parco; a 18 anni appunto America’s Junior Miss per il Kentucky; dopo essersi diplomata a 22 in Inglese al Wellesley College di Wellesley, Massachusetts e aver studiato per sei mesi legge all’Università di Louisville aveva deciso di lasciare la carriera già paterna per il giornalismo.
Rivoluzione Disney: una donna all’Abc di Maurizio Stefanini
E dopo aver lavorato per una tv locale a 25 era stata assunta allo staff della Casa Bianca, rimanendovi anche con Gerald Ford, fino al 1975.
I sospetti comunque sorsero anni più tardi, tant’è che lasciata la Casa Bianca proprio Nixon la volle con sé in California, per aiutarlo a scrivere le sue memorie. E fu pure lei a aiutare Nixon a preparare le famose interviste a David Frost del 1977. L’uscita delle memorie di Nixon, nel 1978, fu seguita dal suo ingresso alla Cbs come corrispondente politica. Divenne poi nel
1981 co-presentatrice delle Cbs Morming News e nel 1984 corrispondente per il programma 60 minutes, prima di passare nel 1989 alla Abc: proprio l’anno dopo il suo matrimonio tuttora in piedi con
clan Clinton. È probabile che più di una mano a confezionare quella pellicola gliela abbia data a Mike proprio la moglie. Esperienza alla Casa Bianca a parte, Diane nel corso della sua lunga carriera ha intervistato tutti.
Ex reginetta di bellezza, moglie del regista de “Il Laureato”, era sospettata di essere la “gola profonda“ del Watergate. Ha intervistato quasi tutti i leader mondiali Mike Nichols. Il regista di film epocali come Chi ha paura di Virginia Woolf?, Il laureato, Comma 22, Conoscenza carnale e, a proposito di staff alla Casa Bianca, anche I colori della vittoria, feroce satira del
Da Bill Clinton a Hillary. E inoltre George W. Bush, Ahmadinejad, Saddam Hussein, Nancy Pelosi, il giudice della Corte Suprema Antonin Scalia, Fidel Castro, Robert McNamara, Nancy Reagan, l’ammiraglio “padre della marina nucleare” Hyman G. Rickover, Manuel Noriega, Whitney Houston,
Bobby Brown, Lisa Marie Presley, Michael Jackson, Michael J. Fox, Ellen DeGeneres dopo il coming-out, le tre star del country al femminile Dixie Chicks, Britney Spears, Clay Aiken e Mel Gibson. Probabilmente più clamoroso ancora di ogni intervista, è stata uno dei rarissimi giornalisti occidentali cui è stato concesso di fare un tour in Nord Corea. Sia pure con tutti gli immaginabili controlli.
Co-presentatrice di Primetime Live, è passata infatti nel 1998 a copresentatrice di Abc’s 20/20 e nel 1999 alla già citata Good Morning America. Sono tutti programmi, questi, che probabilmente al lettore italiano dicono poco o nulla. Ma sono di peso tale che nel 2001 la rivista femminile Ladies’Home Journal la catalogò tra le trenta donne più potenti d’America, e nel 2007 Forbes la mise al posto numero 62 tra le 100 più potenti donne del mondo. Negli stati Uniti, a differenza che in Italia, il fenomeno dell’anchorman che si candida alle elezioni è praticamente sconosciuto, per la semplice corrente percezione che qualunque presentatore di un telegiornale alle ore di punta è più potente del presidente degli Stati Uniti in persona. Il 31 maggio del 2005, intanto, Vanity Fair aveva rivelato che la vera “Gola Profonda” era stato William Mark Felt Senior, un uomo dell’Fbi. E anche gli altri protagonisti della storia confermarono. Però, fa sempre un certo effetto vedere la società che prende il nome dall’autore di Biancaneve messa in mezzo con lo scandalo che fece cadere un presidente americano; e ancora di più con il metaforico accostamento al più famoso titolo nella storia del cinema a luci rosse. Ma negli Stati Uniti che hanno ormai eletto un negro presidente ormai le rivoluzioni sono all’ordine del giorno. Oltretutto, a differenza della Couric la Saywer condurrà il telegiornale tutto da sola. E in molti pensano che si cerchi così di creare un’onda di curiosità, se non di solidarietà femminista da parte di quella metà del cielo che dopo tutto è oltre della metà delle telespettatrici, tale da permettere all’Abc di riprendere quella testa della classifica dei tg serali più visti: già agguantata da Gibson, ma ormai da oltre un anno appannaggio della Nbc di Brian Williams. L’ultimo uomo rimasto: non si sa se sfavorito dalla novità delle due rivali donne; o non piuttosto favorito, come sospetta qualche maligno, per il fatto che in lui i commenti si soffermeranno sulla qualità del lavoro, e non sulla pettinatura o sul tailleur.
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4 settembre 2009 • pagina 17
L’accusa di una parlamentare elvetica: «Lo chiederà all’Onu»
Lavorava a un’inchiesta sulla malavita minorile locale
Gheddafi vuole “cancellare” la Svizzera
El Salvador, fotoreporter massacrato da una gang
TRIPOLI. La Svizzera va cancellata dalla carte geografiche e divisa in tre fra Italia, Francia e Germania. La proposta shock è del leader libico Mohammar Gheddafi, che la presenterà all’assemblea generale dell’Onu il prossimo 15 settembre. La notizia, secondo quanto riportato dall’edizione online del quotidiano svizzero Le Matin, è stata diffusa dalla parlamentare elvetica e vice presidente della commissione esteri Christa Markwalder, che quale ha riferito come il presidente libico abbia chiesto che, all’ordine del giorno dei prossimi lavori dell’assemblea delle Nazioni Unite, ci sia la divisione del territorio svizzero fra i paesi confinanti, in base alle differenze linguistiche. Gheddafi, che nel corso del G8 di luglio aveva accusato la Svizzera di essere «una mafia mondiale e non uno Stato», è in guerra con il governo di Berna dal luglio del 2008, quando il figlio del leader libico, Hannibal, fu arrestato insieme alla moglie a Ginevra con l’accusa di maltrattamenti nei confronti dei camerieri di un albergo. Già qualche mese dopo l’episodio, nell’ottobre del 2008, l’agenzia ufficiale libica Jana
EL SALVADOR. Il fotoreporter francese Christian Poveda è stato trovato in un’auto nel Salvador ucciso con un colpo di pistola alla testa. Lo ha riferito oggi la polizia locale. Il giornalista 54enne aveva da poco realizzato un documentario sulla guerra tra le maras, le feroci gang dedite al traffico di droga e alle estorsioni che infestano il Salvador e altri Paesi dell’America centrale. La polizia salvadorena ha riferito che il corpo di Poveda è stato rinvenuto a Tonacatepeque, una zona rurale a nord della capitale. Il ministro della Sicurezza pubblica, Manuel Melgar, ha deplorato quello che ha definito «un atto criminale ripugnante» e ha affermato che la polizia lavorerà
aveva rivelato che il regime di Gheddafi aveva deciso di «ritirare tutti i suoi averi dalle banche svizzere, che ammontano a sette miliardi di dollari americani». Tripoli, inoltre, aveva sospeso le forniture di petrolio alla Confederazione elvetica dichiarando anche di avere sospeso «ogni cooperazione economica». Secondo l’agenzia di stampa, la misura era stata adottata per protestare contro «i maltrattamenti a diplomatici e uomini d’affari libici» da parte della «polizia nel cantone di Ginevra». In pratica, una palese ritorsione per il trattamento riservato dalla polizia svizzera a Gheddafi Jr e alla sua consorte. E a nulla erano servite, a suo tempo, le umilianti scuse a cui era stato “costretto” il presidente elvetico Hans Rudolf Merz.
Sanità, Obama cerca di uscire dall’angolo Un discorso al Congresso per ricompattare i democratici di Andrea Mancia avid Axelrod, senior advisor del presidente Obama e guru della “rivoluzione progressista” non ha dubbi: «Siamo al nono inning, non c’è più tempo da perdere». Il nono inning, nel baseball, è la “zona Cesarini”del calcio, il momento finale e decisivo della partita, quello in cui si separano i vincenti dai perdenti. E, proprio al nono inning, la Casa Bianca ha deciso di giocarsi il “tutto per tutto” sul tema che ha dominato la politica estiva america: la riforma sanitaria proposta dai democratici e osteggiata con forza dai repubblicani (e da settori crescenti dell’opinione pubblica “indipendente”). Barack Obama, infatti, ha deciso di pronunciare un discorso di fronte a una sessione comune del Congresso, mercoledì prossimo, naturalmente in prime time per ottenere la massima copertura mediatica sui network televisivi.
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Era dai giorni immediatamente successivi agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 che un presidente non ricorreva a una misura così estrema per appellarsi direttamente alla popolazione (se si escludono i tradizionali interventi sullo Stato dell’Unione o il first address dopo l’insediamento). Con questa mossa, Obama cerca di prendere in mano la situazione dopo un’estate terribile per gli indici di gradimento suoi e del partito democratico, ormai comunemente percepito come incapace di portare a termine una riforma complessa come quella del sistema sanitario americano. All’inizio di giugno, il job approval del presidente oscillava tra il 60 e il 65%. Negli ultimi giorni, è sceso spesso sotto la soglia critica del 50%. E il partito democratico, che fino a qualche mese fa batteva sistematicamente quello repubblicano nei sondaggi di ogni istituto di ricerca, adesso si trova in grande difficoltà e vede con terrore la possibilità di perdere seggi, sia al Senato che alla Camera, alle prossime elezioni di mid-term. Ad allontanarsi dai democratici, secondo i sondaggisti, sono è stato soprattutto il cosiddetto elettorato “indipendente”, già perplesso dopo il pacchetto di stimulus miliardario voluto da Obama e dal
Congresso (che di fatto raddoppierà il debito pubblico nei prossimi quattro anni).
L’errore di Obama, secondo gli analisti più generosi, è stato quello di lasciare la stesura della riforma - e la ricerca di un improbabile compromesso - in mano alla coppia Nancy Pelosi-Harry Reid (rispettivamente, Speaker della Camera e del Senato), invece di proporre un piano dettagliato partorito direttamente dalla Casa Bianca. Questa scelta avrebbe portato a un progetto del Congresso molto più“statalista”rispetto agli standard ideologici dell’opinione pubblica statunitense. Un progetto su cui i repubblicani si sono gettati a peso morto e contro il quale gli indipendenti (e i blue dogs, i democratici“moderati”che in genere devono difendere i seggi del Sud) hanno iniziato a dare segni di insofferenza. Secondo un’intepretazione più impietosa, invece, la vicenda non è altro che l’ennesima dimostrazione dell’esistenza delle due anime - pressoché incompatibili - che compongono il partito democratico. Due partiti in uno, insomma, che soffrono (da decenni) di una sorta di impedimento strutturale nel riuscire a delineare riforme di sistema condivise. È lo stesso problema, per semplificare, di fronte al quale si trovò nel 1993 l’amministrazione Clinton durante il suo tentativo, fallito, di riformare la sanità a stelle e strisce. Qualunque sia l’interpretazione più corretta, oggi almeno un fatto sembra certo. Obama si trova davanti alla necessità di fare una scelta. E, qualunque sia la sua decisione, il rischio è quello di alienarsi una delle componenti del partito. La base progressista (e almeno 60 parlamentari) ha già minacciato di ribellarsi se la Casa Bianca - come adombrato qualche settimana fa dal ministro della Sanità, Kathleen Sebelius - riuncerà alla public option. Ma in caso contrario a ribellarsi potrebbero essere i blue dogs che tra poco più di un anno saranno giudicati dall’elettorato conservatore del Sud. Con il suo discorso di mercoledì, Obama cercherà di fare leva sulle sue indiscusse qualità oratorie per evitare una profonda spaccatura tra le file democratiche che potrebbe segnare, negativamente, il futuro della sua presidenza.
Mercoledì prossimo il presidente parlerà a Capitol Hill (in prima serata). Obiettivo: prendere in mano il pallino della riforma
senza sosta per catturare gli assassini di Poveda. Poveda viveva nel Salvador e aveva recentemente realizzato La vida loca, un documentario sulla vita dei membri della mara «La 18», la cui uscita è programmata in Francia per il 30 settembre. Il lavoro di Poveda aveva avuto molto rilievo tra gli organi d’informazione del Salvador. Il documentario, che mostra la vita delle maras, è anche molto critico con la polizia locale che agisce pesantemente contro le gang. Descrive inoltre le condizioni economiche del Salvador che conducono i giovani verso il crimine. Poveda dice che le «maras portano il terrore», ma allo stesso tempo afferma che i giovani membri delle gang riescono a interpretare il malessere della vita nel Paese centroamericano. «Dobbiamo capire perché ragazzini di 12-13 anni entrano in una mara e danno la vita per essa», ha detto il fotoreporter in una recente intervista al quotidiano online salvadoreno. Poveda era per la prima volta giunto nel Salvador come fotografo per Time. Ha lavorato inoltre per giornali come El Pais, Le Monde, New York Times, Paris Match e Stern seguendo le guerre in Iran, Iraq, Libano e in altre nazioni. Dagli anni Novanta si è dedicato ai documentari.
cultura
pagina 18 • 4 settembre 2009
Cartolina da Venezia. La pellicola, incentrata su perversioni, sensi di colpa e perdono, costruisce una trama che ruota e s’intreccia intorno a tre particolari figure femminili
Todd e le sue sorelle Il regista Solondz ha calcato ieri la passerella del Lido e presentato il (buon) film “Life during wartime” di Alessandro Boschi
VENEZIA. Chissà se qualche distributore avrà il coraggio di investire nel film, in concorso, del regista Todd Solondz, il regista più nerd che abbia calcato la passerella del Lido veneziano. Prima di parlare del film, che come (quasi tutti) gli altri del nostro ci è piaciuto molto, dobbiamo spendere due parole sull’aspetto di questo artista del New Jersey autore nel 1996 del folgorante Fuga dalla scuola media e due anni dopo di Happiness, forse la sua opera più completa e riuscita.
Diciamo subito che se esistesse l’archetipo dello studente sfigato (nerd, appunto) Solondtz lo incarnerebbe alla perfezione. Occhiali spessi e verdi, scarpe basse gialle da ginnastica, e una camicetta a quadretti che a noi è sembrata sull’indaco, che forse non è un colore fantastico ma che si intonava alla perfezione con il pallore delle guance e
la stempiatura incipiente. E poi la voce, bassa e contenuta. Che ad ogni parola sembra intervallare un “posso parlare?”. Voi capite che è molto difficile non provare simpatia per un elemento del genere, e anche per chi ha avuto l’idea di far entrare Life during wartime, a story of forgiveness and his li-
presente e futuro. Pedofilia, perversione e perdono conditi da sensi di colpa in dosi massicce sono intrecciati in maniera inestricabile.
E diventano una rete dentro la quale i protagonisti sembrano perdersi. Ma il film ha anche una valenza politica, si parla
Il passato incombe, con ricordi e fantasmi che non smettono di tormentare i protagonisti mettendone a repentaglio il presente e il futuro mits (La vita in tempo di guerra, una storia sul perdono e i suoi limiti) in concorso. Partendo da una citazione molto esplicita del già citato Happiness, il film costruisce a poco a poco una trama che ruota intorno a tre sorelle e alle loro rispettive vite.
Il passato torna ogni istante ad incombere, con ricordi e fantasmi che non smettono di perseguitare i protagonisti mettendone a repentaglio
son Janney) sembra desiderare più di ogni altra cosa. Anche perché rappresenta l’unica possibilità per i protagonisti di riappropriarsi di un posto nella società. I personaggi sono tutti al limite, e anche l’unico portatore sano di normalità, Harvey (Michael Lerner), dovrà scontrarsi con questa impossibilità di essere normale (la citazione in questo caso è necessaria).
Ma Todd Solondz ha anche un cuore (non scommetteremmo su una infanzia felice…), e
dell’11 settembre e di Bush e di McCain. Sempre trattati di striscio, ma nella maniera in cui ne parlerebbe un americano normale. Anzi, portatore di normalità, normalità che sembra essere l’ingrediente che una delle sorelle Trish, (Alli-
lascia una flebile speranza che forse le cose potranno, potrebbero, migliorare.
Adesso, sempre restando sul tema della normalità e della sua impossibilità d’essere, vorremmo raccontarvi quello che abbiamo trovato al Lido. Del cantiere brulicante di operai che realizzerà entro un paio di anni il nuovo avveniristico Palazzo del cinema, già sapevamo, ed eravamo preparati agli inevitabili disagi. Meno preparati ci siamo viceversa fatti trovare quando abbiamo avuto la necessità di ritirare l’accredito stampa. In questa nostra ricerca non siamo stati aiutati da indicazioni, che anche provvisorie sarebbero state utilissime. Anzi, ad un certo punto ci siamo trovati di fronte Paolo Baratta, Presidente della Biennale. A quel punto abbiamo capito
cultura
4 settembre 2009 • pagina 19
Il tentativo di ridurlo alle parti in campo della politica si rivela quanto mai fallace
«Baarìa»? Un azzardo definirlo ideologico di Angelo Crespi ltro che Boffo. Il vero caso che scompagina la politica italiana è il film di Giuseppe Tornatore, Baarìa. Definirlo un film ideologico, come alcuni critici hanno tentato, è un azzardo senza rete. Essendo una produzione post ideologica il tentativo di ridurla solo alle parti in campo della politica si rivela quanto mai fallace.Tornatore è certamente un regista di sinistra. Seppur di una sinistra riformista come egli tende a dirci attraverso le parole del protagonista Peppino: un comunista riformista di cui, se avessimo potuto seguire la parabola fino oltre il limite della pellicola, lo scopriremmo magari oggi un militante del Pdl. E questo, nonostante Tornatore - credo - resti ancorato alla sinistra di ex governo, quella di Veltroni e Rutelli, guarda caso schierata in prima fila in sala all’anteprima di Venezia. Ma se Tornatore è un riformista di sinistra che racconta le vicende dell’Italia con gli occhiali della sinistra riformista, e se non fosse nel Pdl sarebbe oggi più Bersani che D’Alema, il produttore del film è certamente un uomo di centrodestra essendo di fatto Silvio Berlusconi in qualità di proprietario di Medusa.
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Il vero produttore, a dire la verità, è Gianpaolo Letta, vice presidente di Medusa Film e figlio di Gianni Letta, l’uomo più vicno a Berlusconi ma capace di tessere i rapporti con il centro e la sinistra. Solo per accennare, in qualità di rappresentante del gruppo Mediaset, alla presentazione veneziana c’era però Pier Silvio Berlusconi. Se non bastasse, a rendere più difficile il lavoro dei critici in Laguna per la maggior parte della gauche sarde in saor, e in parte minore di centrodestra, è che Berlusconi, il cui kolossal è costato al proprio gruppo 25 milioni di euro, ha anticipato ogni velleità critica sostenendo da Danzica in preanteprima che trattavasi di capolavoro. Di fatto ottenendo un duplice risultato, che i critici di destra non poche le indicazione che ci erano state date erano perlomeno approssimative. Per un certo momento ci è sembrato di essere alla Festa del cinema di Roma, che la destrutturazione ce l’ha nel dna. Tutto sommato facilitare il compito di chi deve semplicemente fare il proprio lavoro non sarebbe stato male, anche perché sarebbero davvero bastati pochi accorgimenti (le indicazioni di cui sopra). Comunque, siamo appena all’inizio e confidiamo in giorni migliori. Un piccolo pettegolezzo. Non sappiamo se l’espressione “proiezione di cortesia” vi dica qualcosa. Beh, in due parole, le proiezioni di cortesia sono quelle proiezioni, con un pubblico di critici piuttosto selezionato, che vengono fatte prima del festival, in modo da favorire il lavoro di chi di quel film deve scrivere e magari, durante il festival, non riesce a seguire tutto quelle che vorrebbe. Ebbene, è un vero peccato che non ci sia la possibilità di raccontare cosa succede lì, quando si commentano i film, e cosa invece viene poi scritto sui giornali.
Deve essere una questione di atmosfera. Evidentemente quella della Mostra rende più indulgenti, perfino istituziona-
A sinistra, un fotogramma della pellicola di Todd Solondz “Life during wartime”, in concorso alla 66esima edizione del Festival del Cinema di Venezia. In alto, l’ingresso della kermesse e, a destra, la locandina del film di Giuseppe Tornatore, “Baarìa”
li, e un film che lì per lì viene distrutto in modo sprezzante, dopo le proiezioni ufficiali diventa bello, interessante, perfino coraggioso. Naturalmente non stiamo parlando di un film in particolare, ma di un atteggiamento piuttosto diffuso che rende poco attendibile quando spesso (non sempre) si legge sui giornali. Insomma, se fossimo al vostro posto prenderemmo sempre con il beneficio di inventario quello che scrivono i giornali (nessuno escluso, tanto meno i presenti) a proposito dei film.
Se dovessimo darvi un consiglio vi diremmo di seguire il vostro istinto. Ma certo non ci fideremmo molto dei consigli che vengono dispensati, a volte in maniera davvero fastidiosa, da certe pubblicazioni. Anche perché, e qui la catarsi si completa, non sempre i film recensiti vengono realmente visti. Giorni fa, i più affezionati di voi magari se lo ricordano, parlavamo della scomparsa di Tullio Kezich. Ecco, Tullio era l’esatto opposto di tutto ciò. Perché lui i film se li vedeva sul serio, sempre. E scriveva esattamente quello che pensava. Ecco perché ci manca. Venezia, solo un anno dopo, è davvero più triste.
tevano troppo discostarsi dall’indirizzo del Premier e quelli di sinistra, pur volendo distanziarsene, non avrebbero potuto rinnegare il regista della sinistra riformista. Se ancora non bastasse, a complicare ulteriormente le cose è il fatto che il film di Tornatore, pur essendo un bel film, non è un capolavoro compiuto e in più la trama solo in apparenza semplice, ma piena di salti temporali, rende difficile la comprensione, specie sulla lunga durata, a critici abituati alle retrospettive dei bmovies anni Settanta (ed è incredibile che qualcuno scrivendone ieri dimostri di non averla capita). Così, “the day after Baarìa”il panorama è dei più complessi. Qualche critico esagera sostenendo ci siano state standing ovation per il regista, qualcun altro critica Berlusconi e le sue esternazioni critico-cinematografiche, qualcun altro infine punzecchia Tornatore che, malgrado gli sforzi apologetici e i cortei con bandiere rosse, non è riuscito a metter su il film che mettesse tutti d’accordo, ma - devono aver pensato - come evidenziarne i difetti senza comprometterne gli edificanti fini ideologici, allora meglio La meglio gioventù. Dal 25 settembre, giorno dell’uscita in sala, tutti però dovranno serrare le file, chi perché ha investito soldi sul progetto, chi perché lo crede un buon investimento ideologico, chi in fin dei conti per amor di patria perché Tornatore è pur sempre il nostro miglior premio Oscar.Tutti uniti, al di là della politica.
cultura
pagina 20 • 4 settembre 2009
Mostre. Da ottobre, a Milano, al via l’esposizione itinerante “Storia di una Famiglia italiana” ideata da Vittorio Emanuele IV
Una vita da Sovrani
Dai ritratti agli scrigni, dai documenti alle uniformi, dai sigilli ai diademi Il Paese celebra Casa Savoia, guardando ai 150 anni dell’Unità d’Italia di Massimo Tosti na mostra fai-da-te che dopo il vernissage a Cortina d’Ampezzo (abbastanza snob), dove è rimasta fino al 18 agosto - diventerà itinerante: la prima tappa è a Milano (da ottobre a gennaio del prossimo anno), ma poi toccherà ad altre città importanti. La mostra s’intitola Casa Savoia, Storia di una Famiglia Italiana. Nella presentazione, Vittorio Emanuele IV rivendica il progetto e la realizzazione dell’esposizione, assegnandole il ruolo di «corollario delle cerimonie per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia». Più che un corollario, un preambolo, visto che anticipa di un anno e mezzo le altre celebrazioni (oggetto, nelle ultime settimane, di accese polemiche, suscitate dall’impressione che ci si stia muovendo in ritardo, e con le idee confuse). Ideata da Vittorio Emanuele, la mostra è promossa dalla Fondazione Principe di Venezia, presieduta da Emanuele Filiberto, che ricorda (nel catalogo) un insegnamento di suo nonno Umberto II: «Mi ha sempre sottolineato che essere un Savoia significa essere depositario e responsabile di valori millenari: la famiglia, il rispetto, la protezione dei più deboli, la difesa dell’Italia. In questo credo si possa sintetizzare il legame tra Casa Savoia e gli italiani, un legame appannato ma non spezzato che può certamente trovare nuovi percorsi nella condivisione di questi insostituibili valori che accomunano tutti noi».
U
A Emanuele Filiberto si deve dare atto di buon senso e coraggio per quel rapido (ma significativo) accenno all’“appannamento” dei legami fra la dinastia e l’Italia, frutto di molti errori di percorso, recenti e remoti. L’ammissione lo colloca (ma non è una novità) in una posizione migliore (e più realistica di quella del padre). Emanuele ha saputo imboccare un percorso che lo sta rendendo popolare e familiare agli italiani. Una capacità che pochi dei suoi antenati hanno dimostrato nel corso dei secoli. Quanto a sangue blu son ben poche le famiglie europee in grado di compete-
re con questa dinastia la cui storia ufficiale dura da circa un millennio. Fra alti e bassi (e non solo nella storia recente, quella che è ancora oggetto di polemiche e diatribe) e con fortuna alterne. Raramente - fino al secolo scorso, quando Carlo Alberto prese a covare l’idea di unificare l’Italia - i Savoia furono determinanti nella geopolitica italiana. Non lasciaro-
no segni avvertibili durante il Rinascimento (che pure fu il periodo di maggior splendore delle corti italiane), né contribuirono in misura determinante agli equilibri europei nel Seicento e nel Settecento. Eppure una accorta politica dinastica portò spesso i membri della famiglia a imparentarsi con le princi-
pali famiglie europee. Torino appariva periferica - mentre Firenze, Venezia, Milano, Roma erano al centro dei grandi disegni diplomatici. Fu con il trattato di Utrecht (che chiuse nel 1713 la guerra di Successione Spagnola) che Vittorio Amedeo II - oltre al possesso
della Sicilia (scambiata nel 1720, nella pace dell’Aja, con la Sardegna) - ottenne il tanto agognato titolo di re, e il trono di Piemonte e Sardegna. Che toccò poi al figlio, Carlo Emanuele III occupare per 43 anni (dopo l’abdicazione di Vittorio Amedeo, nel 1730) con qualche successo militare che gli permise di ampliare i confini conquistando le città di Novara,Tortona,Vigevano e Voghera. Gli eredi di Carlo Emanuele (Vittorio Amedeo III, Carlo Emanuele IV e Vittorio Emanuele I) non furono altrettanto accorti e spesero piuttosto male il credito del giovane regno durante il periodo della Rivoluzione francese e dell’impero napoleonico. Nel 1821, con l’abdicazione di Vittorio Emanuele I in favore del fratello Carlo Felice, si entra nella storia risorgimentale di cui fu protagonista Carlo Alberto di Savoia Carignano, liberale e rivoluzionario prima di salire sul trono, reazionario nel primo periodo di regno, combattente eroico nella Prima guerra d’indipendenza.
È proprio da Carlo Alberto che partono i “ricordi” presenti nella mostra: ritratti, oggetti personali, tracce di vita quotidiana. Uniformi militari, armi, qualche documento, timbri, sigilli, decorazioni, ma anche gioielli, diademi delle regine, ventagli, spille, orologi, scatole e scrigni, porcellane. Nel catalogo della mostra (Mondadori-Electa, curato da Filippo Bruno di Tornaforte) appena tre righe sono dedicate alla “Bella Rosina”. Un po’ poche se si vuole raccontare la “storia di una Famiglia”. Lei, Rosa Vercellana, passò più di trent’anni al fianco di Vittorio Emanuele II, prima in modo clandestino, poi in una unione discreta, ma non nascosta, fino alle nozze morganatiche celebrate pochi mesi prima della morte del sovrano. Ma proprio
quella relazione (che vide anche la nascita di due figli) raccontava (più degli atti ufficiali e delle biografie paludate) il carattere di un uomo che non si trovò mai a proprio agio nei panni del monarca. Niccolò Tommaseo, testimone del tempo, raccontò (nella Cronichetta) che «quando, per andare ai colloqui del re, si doveva passare dalle stanze dove co’ figliuoli si trovava la troppo nota Vercellese, il Ricasoli, il Cavour, il Rattazzi tenevano diversa maniera: il barone, senza salutare, passava alla larga, quasi scappando; il conte faceva un inchino senza parola, e andava oltre; l’avvocato faceva sosta per accarezzare i bambini».
Al di là delle simpatie personali, è evidente che gli aristocratici mal sopportavano la presenza di quella popolana, figlia di un tamburo maggiore dei granatieri di Sardegna, che aveva catturato il cuore di Vittorio Emanuele II. Una ragazza che, quando conobbe il principe ereditario, era analfabeta, non conosceva le regole della buona società, parlava solo in dialetto; aveva «un tratto alla mano, un tanto di rustico, nessuna posa e un carattere giocondo», caratteristiche fondamentali per piacere al principe ereditario, il quale ne sottolineava i pregi, dicendo: «Almeno dalla Rosina si può desinare in maniche di camicia». Vittorio Emanuele aveva gusti popolari (persino rustici) sia nelle preferenze femminili, che a tavola, dove amava i cibi semplici (in particolare i tajarin delle Langhe, una pasta fresca, lunga e sottile, ricchissima di uova, condita con ragù di frattaglie), pur apprezzando le ricette sofisticatissime dello chef di Corte, Antonio Vailardi. I Savoia si trattavano bene dal punto di vista gastronomico, e la Vercellana non soffrì certo da questo punto di vista (a giudicare dalle forme che mostrava nei dagherrotipi del tempo). Fu, proba-
È promossa dalla Fondazione Principe di Venezia presieduta da Emanuele Filiberto, che dice: «Il legame con gli italiani è appannato ma non spezzato»
cultura
4 settembre 2009 • pagina 21
In queste pagine: il ritratto di Maria José in abito da sera; il ritratto di Umberto II in divisa militare durante la Seconda guerra mondiale; il ritratto di Vittorio Emanuele III in divisa militare; il ritratto della regina Elena (allora principessa di Napoli) in abito da sera; il ritratto giovanile di Umberto I; il ritratto della regina Margherita; il monogramma in oro, platino e diamanti della regina Elena; l’rologio della regina Margherita in filo d’oro con lavorazione che riproduce nodi e corone con aquila sabauda applicata; l’orologio di re Umberto I, in oro e smalti con catenella in oro con monogrammi del re; il ventaglio della regina Margherita in corno e seta dipinta dalle manifatture del Piemonte; il carnet di ballo della regina Margherita, in seta e velluti con applicazioni in argento e smalti con monogramma in diamanti; il set da picnic donato dalla regina Vittoria a Vittorio Emanuele II in occasione del viaggio compiuto dal sovrano in Inghilterra nel 1855; la scatolina in porcellana celebrativa raffigurante l’incontro di Teano donata dal Comune di Napoli a Vittorio Emanuele II; Vittorio Emanuele II durante la carica nella battaglia di San Martino nella Seconda guerra d’indipendenza; il ritratto di re Carlo Alberto Savoia-Carignano
bilmente, intimidita dall’atmosfera che si respirava nei Palazzi reali, che era cupa e plumbea. Gli arredi erano solenni e polverosi: saloni e corridoi grondavano di ritratti di antenati accigliati, di arazzi che rievocavano le loro gesta eroiche, di panoplie di armi antiche.
Peggio ancora erano le abitudini di Corte, l’etichetta inflessibile che regolava ogni attimo della giornata. Persino il re era prigioniero degli austeri e spocchiosi maestri del cerimoniale. Vittorio Emanuele non amava affatto le cerimonie e i cerimonieri, e si dette subito da fare per ridurre la quantità delle prime e l’importanza dei secondi. Soppresse i ciambellani, le dame d’onore e i paggi, e dimostrò - per quanto possibile -
la sua personale avversione alle forme esasperate di galateo. Alcuni storici sono convinti che il carattere di Vittorio Emanuele (e il suo aspetto fisico) non possano che accreditare un giallo legato all’infanzia del futuro primo re d’Italia. La sera del 16 settembre 1822 (quando il piccolo Vittorio aveva da poco compiuto due anni) un incendio divampò nella stanza del piccolo. La balia Teresa Zanotti si precipitò verso il lettino per metterlo in salvo. Lei ci rimise la pelle, il piccolo riportò soltanto lievi scottature al fianco sinistro e alla mano destra, secondo la versione ufficiale di Corte. L’incidente avvenne al Pog-
cessione al trono - lo avessero sostituito con un altro bambino, figlio di un certo Tanaca, macellaio a Poggio Imperiale.
Negli anni della crescita i sospetti si accentuarono. Vittorio Emanuele era tarchiato, di meda statura, con un viso rotondo e un aspetto rubizzo: il padre, Carlo Alberto superava i due metri di altezza, era biondo, con i tratti del viso fini e aristocratici. Gli eredi di Vittorio Emanuele confermarono le sue caratteristiche fisiche , molto distanti da quelle dei Savoia Carignano. Ma questa è un’incursione nel pettegolezzo (sia pure suffragato da pareri autorevoli, come quello di Massimo d’Azeglio) che non cambia la storia di una Famiglia, che si è comunque legata in modo indissolubile a quella di una Nazione.
Ricorda ancora il principe: «Essere un Savoia significa essere depositario di valori millenari: la famiglia, il rispetto, la protezione dei più deboli, la difesa dell’Italia»
gio Imperiale di Firenze, dove Carlo Alberto e sua moglie Maria Teresa d’Asburgo Lorena erano stati esiliati dal re Carlo Felice. Quella versione dei fatti suscitò molti dubbi fra i contemporanei. Il sospetto era che il principino fosse morto, e che i genitori - preoccupati dalla suc-
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
da ”The Guardian” del 03/09/2009
Politkovskaya: nuove indagini di Luke Harding a Corte suprema russa ha dato un’altra possibilità alle autorità di polizia per trovare i killer della giornalista Anna Politkovskaya, uccisa tre anni fa. Il suo avvocato ha sottolineato come questa sia un’occasione data a delle autorità, molto criticate per la conduzione dell’inchiesta, di arrivare finalmente alla cattura del suo assassino. La corte ha rinviato il procedimento alla procura generale per ulteriori indagini, confermando una denuncia della famiglia della Politkovskaya. La decisione segue lo svolgimento, all’inizio dell’anno, di un processo pasticciato che ha visto quattro persone accusata per la morte della giornalista essere assolte dalla giuria. Ora, l’avvocato della Politkovskaya, Karinna Moskalenko, ha accolto molto cautamente la decisione della Corte suprema. Tutti questi avvenimenti accadono dopo tre anni che la Politkovskaya, una giornalista investigativa, scrittrice, polemica verso Vladimir Putin e i suoi accoliti in Cecenia, era stata assassinata nel portone della sua casa di Mosca. «Se che il procuratore generale utilizzerà questa opportunità, non lo sappiamo. Possiamo solo sperare» ha affermato la Moskalenko in un’intervsta a Radio Eco di Mosca questa mattina (ieri, ndr). E ha aggiunto: «Finora, questo non è successo. Sono passati tre anni da quel tragico evento, e la verità non è stata ancora scoperta». Il quotidiano per cui lavorava la Politkovskaya, Novaya Gazeta, anche accolto con favore la sentenza. «È un passo molto importante nel cammino verso le indagini di questo crimine», la dichiarazione ufficiale. «Siamo felici di sapere che ci sono ancora alcune persone in Russia, che riconoscono il diritto. Ci auguriamo che questo porterà ad un esame approfondito del caso», ha aggiunto il di-
L
rettore del giornale. Le autorità russe sostengono di essere stati in grado di identificare chi ha ordinato il suo assassinio. Hanno però omesso di prendere il suo assassino - che si è introdotto nel portone del condominio della Politkovskaja e poi ha sparato quattro volte mentre lei usciva dall’ascensore. Gli investigatori hanno identificato il killer con il ceceno Rustam Makhmudov. Dicono che sia fuggito all’estero. Nel mese di giugno, l’Alta corte russa ha ordinato un nuovo processo per il caso dei due fratelli Makhmudov, Dzhabrail e Ibragim, che sono stati accusati di coinvolgimento nella morte della Politkovskaya insieme ad un ex poliziotto di Mosca, Sergei Khadzhikurbanov, e il tenente colonnello Pavel Ryaguzov, un ufficiale dell’Fsb il servizio segreto del Cremlino.
Una giuria ha assolto tutti e quattro nel mese di febbraio. Gli avvocati difensori hanno descritto i loro tre mesi di processo come un imbarazzante fiasco, e hanoo considerato l’indagine sull’uccisione della Politkovskaja come scadente e inadeguata. Gli imputati sono attualmente dando la tentato presso il tribunale stesso militare a Mosca - questa volta senza una giuria. I figli della giornalista, Ilya e Vera, hanno ripetutamente insistito per un’indagine completa e corretta. Riconoscono che non vi erano prove sufficienti per condannare i quattro imputati, accusati di aver fornito supporto logistico al suo assassino, ma hanno detto pubblicamente che ritengono i quattro siano «coinvolti» nella mor-
te della madre. Durante l’indagine, molto materiale pertinente è semplicemente scomparso, tra cui una foto di Makhmudov, che a quanto pare è fuggito verso l’Europa occidentale con un passaporto falso. Anche le riprese video che mostrano l’assassino sono sparite. I critici affermano che, dietro le quinte, funzionari collegati alle agenzie di intelligence della Russia, abbiiano deliberatamente intralciato l’inchiesta. Durante la sua carriera la Politkovskaya, 48 anni, aveva riservato le sue critiche più feroci a Ramzan Kadyrov, il presidente cececno nominato dal Cremlino. Kadyrov ha negato ogni coinvolgimento. Negli ultimi tre anni, tuttavia, molti altri dei nemici di Kadyrov hanno trovato una morte brutale - più di recente l’attivista dei diritti umani Natalia Estemirova, rapita a luglio dalla sua casa a Grozny e uccisa. La Politkovskaya era amica intima della Estemirova. Putin tre giorni dopo il suo omicidio lo aveva descritto come «insignificante», aggiungendo che era «conosciuta solo in Occidente». Poi aveva cambiato opinione descrivendola come una utile critica del governo russo.
L’IMMAGINE
Multe ridicole a Telecom Italia e Tele2-Vodafone: aumentiamole! L’Antitrust ha comminato a Telecom Italia multe per un totale di oltre 600mila euro. L’ex monopolista dovrà pagare 325mila euro per le scorrettezze commesse nell’ambito della telefonia fissa e 280mila per quelle nella telefonia mobile. Le pratiche commerciali sanzionate hanno a che fare in ambedue i casi con gli indebiti impedimenti ai clienti per il passaggio da Telecom Italia a gestori alternativi. Anche Tele2-Vodafone è incorso nelle sanzioni dell’Antitrust. Condanna da 50mila euro per non aver rispettato un precedente provvedimento.Tele2, che da tempo è stato acquistato da Vodafone, continua ad ingannare i clienti Adsl: promette connessioni a Internet senza blocchi, ma sistematicamente pone un filtro al peer to peer, la tecnologia che permette lo scambio di file da utente a utente. Ben vengano le multe, ma è sempre più evidente che il ridicolo importo non serve a dissuadere i gestori telefonici dal comportarsi come banditi.
Giuliana Ilosa
I PREZZI SONO RIBASSATI... PASSAPAROLA Parliamo dell’inutile polemica sui prezzi dei libri della scuola. Inutile, perché mentre è giusto il principio che i testi debbono avere prezzi contenuti (esitono decreti ben precisi), è altrettanto vero che in 10 anni nessuno è mai stato denunciato per abusi nei prezzi. Evitiamo anche di lanciare un altro allarme sui costi degli accessori alle scuole elementari, medie e superiori, come grembiulini, zainetti, quaderni, biro, matite perché, e questa è la buona notizia, tutti i prezzi sono calati. Facciamo quindi che questa notizia circoli, in modo che tutti i venditori ritocchino i prezzi al ribasso ed evitiamo le proteste di alcuni, che negli anni invece hanno fatto crescere spesso il prezzo.
Perché? Perché in economia l’effetto rialzo prezzi non serve per ottenere una riduzione ma esattamente il contrario. Visto che le cose vanno bene allora diciamolo a tutti che i prezzi sono ribassati e vedrete che tutto funzionerà. A proposito di prezzi estivi: cocomero, gelati, ecc. li abbiamo trovati senza aumenti. Chissà che l’onda lunga...
Diavolo a chi? Sembra più un tenerone che una creatura diabolica. Eppure questo diavolo della Tasmania gode di una fama a dir poco sinistra. Colpa della sua voce: una serie di grida potenti e inquietanti che il piccolo marsupiale - non più lungo di 80 centimetri - è solito lanciare nel silenzio della notte. Basti aggiungere il suo “menù” a base di carogne ed ecco spiegata la cattiva reputazione
Cecilia Esposito
ti lupi se ne possono approfittare.
RIORGANIZZIAMO LE STRUTTURE Per rilanciare il Sud occorre riorganizzare tutte le strutture che hanno fallito tra sperperi e sperequazioni. Serve gente nuova e una nuova generazione di amministratori che possano partire dal fatto che per portare soldi al sud, occorre canalizzare la loro destinazione perché lungo la via, mol-
Bruna Rosso
PUBBLICITÀ INGANNEVOLE L’Antitrust sanziona Sky Italia per pubblicità ingannevole. Multa da 195 mila euro per uno spot televisivo, che a fronte dello slogan Christmas Box, tutto Sky a soli 45 euro per tre mesi, senza impegno non evidenziava in modo chiaro che il
consumatore non più interessato al servizio doveva invece necessariamente manifestare la propria volontà di dare disdetta al contratto entro il terzo mese; inoltre, ometteva il contributo d’attivazione della parabola e la relativa istallazione: 19 euro per il pagamento con il “rid”o domiciliazione bancaria, altrimenti 119 euro. La pay tv non è nuova a queste condotte.
L’Antitrust ha già condannato la campagna pubblicitaria Sky pacchetto calcio, e di recente lo slogan La Tv analogica si spegne, Sky accende una nuova visione. È urgente elevare a 10 milioni di euro la sanzione massima per chi inganna i consumatori, ora ferma a 500 mila euro. Che governo e legislatore agiscano immediatamente.
Valerio Savio
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dai circoli liberal
LETTERA DALLA STORIA
Ho serie ragioni per avere paura di Privat Questo vi prova che vi penso. Per contro, abbiate il coraggio di scrivermi immediatamente e dilungandovi un poco. Se potete, ciò mi distrarrà - non giocate con le mie cartacce - voglio dire non fatele vedere a nessuno. Questa mattina ho avuto una sorpresa molto singolare. Si tratta di un giornale di Abbeville, con un pezzo su di me, delizioso, ma tutto a favore, delizioso e oltre modo comico, evidentemente è di Lavavasseur. Abita in rue de Beaune, ma siccome non ho il numero di casa, non possso scrivergli. Se lo vedete, ditegli che gli sono riconoscente. Ho serie ragioni per avere una paura del diavolo di Privat: provate a chiudergli il becco, capirà lui cosa voglia dire. Tu hai offerto il crine della Dea con tale impeto che tisarebbe preso, al vedere quella tua ari di dominio e quella tua bella noncuranza, per un giovane ruffiano cheatterra la sua amante. L’occhio chiaro e infiammato dalla precocità hai mostrato il tuo orgoglio d’architetto in costruzioni la cui audacia misurata anticipa la tua maturità.Poeta, il sangue ci sfugge da ogni poro: forse l’abito del Centauro che mutava ognivena in funebre ruscello.Era tinto trevolte nelle bave sottitli di quei vendicativi rettili cheErcole infante strangolava nella culla. Charles Baudelaire a Théodore de Banville
ACCADDE OGGI
LO SCIPPO DELLE PREFERENZE L’argomento è già passato nel dimenticatoio delle notizie datate ma alla ripresa del dialogo con i nostri lettori, non possiamo certamente non tornare su uno degli episodi politici più discussi accaduti nel Consiglio regionale della Toscana. È stato compiuto un autentico “scempio politico”che ha visto, ancora una volta,il riproporsi del nuovo patto d’acciai”in salsa toscana tra il Pd e il Pdl. Questo vergognoso inciucio ha previsto la riduzione dei consiglieri regionali da 65 a 55 (ma prima di questa ultima legislatura erano 50) e quella degli assessori da 14 a 10, ma per questi ultimi è confermata la incompatibilità tra tale incarico e quello di consigliere che impedisce un serio taglio nei costi della politica della regione Toscana. Viene invece bocciato il ripristino delle preferenze, che non incontra il gradimento dei rigidi apparati dei due partiti maggiori che intendono mantenere l’assoluto diritto di scelta sui candidati che si ritroveranno eletti in consiglio regionale per diritto divino, senza che i cittadini elettori possono esercitare il loro essenziale diritto di scelta. È evidente come di due partiti egemoni hanno voluto confermare la loro scelta bipolare, dimostrando in maniera palmare la volontà di limitare il diritto di scelta degli elettori toscani, mortificando quel pluralismo che dovrebbe rappresentare il sale di una democrazia compiuta insieme alla tutela delle minoranze la cui presenza rischia di essere seriamente compromessa dallo sbarramento al 4%. Men-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)
4 settembre 1923 A Lakehurst (New Jersey), il primo dirigibile statunitense, lo Uss Shenandoah, compie il suo volo inaugurale 1939 Seconda guerra mondiale: Tonga e Nepal entrano in guerra al fianco degli Alleati 1945 Seconda guerra mondiale: le truppe giapponesi dell’Isola Wake si arrendono 1948 La regina Guglielmina I d’Olanda abdica per motivi di salute 1951 La Cina interrompe le relazioni diplomatiche con il Vaticano espellendo dal suo territorio il Nunzio apostolico Antonio Riberi 1957 Orville Faubus, governatore dell’Arkansas, chiama la Guardia Nazionale per impedire agli studenti neri di iscriversi alla Little Rock Central High School di Little Rock 1995 La Quarta conferenza mondiale sulle donne si apre a Pechino con oltre 4.750 delegati provenienti da 181 nazioni 1996 Le Farc attaccano una base militare a Guaviare (Colombia)
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
tre non siamo sorpresi del comportamento dei dirigenti toscani del Pdl abituati, da sempre, ad essere nominati da una ristretta gerarchia con il benestare, naturalmente, del capo supremo e quindi contrari ad ogni scelta autenticamente democratica, lo siamo enormemente per l’atteggiamento politicamente suicida tenuto dai dirigenti del Pd toscano. Anche se continuano ad avere le idee molto confuse aggravato certamente dall’incomprensibile guazzabuglio delle primarie, ritenevamo che un partito, a parole, così rispettoso del pluralismo e della partecipazione popolare, possedesse qualche residuo brandello della loro intelligenza politica per evitare questo vergognoso inciucio che toglie al cittadino elettore il diritto inaneliabile di libera scelta dei candidati all’assemblea regionale. Questa abominevole scelta in combutta con gli amici dell’odiatissimo Cavaliere ci addolora e ci preoccupa perché rischia, in qualche modo, di rinverdire la vecchia tara del centralismo burocratico che tanti danni ha prodotto una normale evoluzione del sistema politico italiano: E infine, ma la cosa non ci sorprende più, anche se certamente ci rattrista, il ruolo sempre più residuale ed inconsistente del gruppetto degli ex margheritini ad eccezione, e gliene diamo volentieri atto, della voce isolata di Paolo Tognocchi che, forse rischiando in proprio, ha avuto il coraggio di uscire fuori dal coro e di non allinearsi supinamente ai voleri della vecchia intellighentia diessina.
VIAGGIO COME AVVENTURA DELLO SPIRITO Ripercorrere le vie della Basilicata significa fare o rifare un viaggio che è avventura dello spirito, prima ancora che tour o viaggio, conservando quell’esperienza, attualità di interesse solo nella vissuta identità di vocazione di una terra arcaica, quasi patria remota e proibita, che il mito e la leggenda si incaricano di sublimare di significati di magia e di mistero. La mitopoiesi, che va costruita mediaticamente, è essenzialmente un’autonarrazione grazie alla quale, come fondamenta della storia lucana, è posta l’idea di un mondo antico costantemente in progresso, dentro un viaggio sempre iterato a al contempo mai davvero giunto al suo pieno compimento. Il sogno che questa storia racchiude in sé e che si è data come suo fine è vissuto come sempre avverabile. Costantemente rappresentato come un nuovo inizio e insieme un punto e a capo, è, per definizione, profetico sogno di una cosa da conoscere. Noi puntiamo a costruire un percorso turistico che scopra l’anima nascosta di questa regione, terra di borghi e piccole città, di carattere prevalentemente antico a causa di terremoti,delle frane e delle alluvioni che hanno da sempre accompagnato la storia di questa realtà geografica dimessa. La Basilicata attuale (corrispondente solo in parte all’antica Lucania) raggruppa zone territoriali profondamente differenti sia da un punto di vista climatico e geologico,sia dal punto di vista storico ed artistico. Una natura a tratti selvaggia e incontaminata,ricca di acque, con fiumi pescosi un tempo navigabili attraverso i quali entrarono in contatto civiltà e culture profondamente diverse. Consistenti sono le testimonianze archeologiche,concentrate essenzialmente nelle aree interne,con importanti realtà museali che, grazie all’opera di recupero delle locali sovrintendenze, costituiscono oggi una delle risorse culturali della regione. La citazione di queste testimonianze storiche, paesaggistiche, ambientali ci portano, con la stessa immaginazione, a configurare turisticamente, in base alla nostra impostazione, la Basilicata come una raggiera. In una raggiera, metaforicamente parlando, partendo da un punto centrale il raggio arriva ad un limite che per noi significa un luogo, un posto turistico, un sito religioso, un reperto archeologico, una dimora fortificata, un frantoio dismesso, un agriturismo, una spiaggia tranquilla. Gaetano Fierro C I R C O L I LI B E R A L BA S I L I C A T A
APPUNTAMENTI SETTEMBRE 2009 LUNEDÌ 7, ROMA, ORE 11 HOTEL AMBASCIATORI - VIA VENETO Riunione straordinaria del Consiglio Nazionale dei Circoli liberal. VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL
Enrico Dello Sbarba.
Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,
Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Filippo La Porta, Maria Maggiore,
Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio
Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,
Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,
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PAGINAVENTIQUATTRO Casi estremi. Una comunità-spettacolo spopola negli Stati Uniti
Diciotto figli (e una sola J) per una famiglia di Rossella Fabiani
ll’inizio dell’anno Jim e Michelle Duggar hanno avuto il loro diciottesimo figlio. E per questo sono stati anche protagonisti di un reality show trasmesso via cavo intitolato 18 kids and counting («18 figli e altri in arrivo»), che aveva seguito in diretta il lieto evento. Ora ne aspettano un altro. Proprio come avevano anticipato nel reality. La coppia, che vive a Springdale, in Arkansas, attende per marzo il diciannovesimo figlio e, come se i pargoli da accudire non fossero ancora abbastanza, sta per festeggiare anche l’arrivo del primo nipote. ”Siamo molto emozionati”, è stato il commento della 42enne Michelle. Entusiasta anche suo marito Jim Bob, che di anni ne ha 44 ed è un mediatore immobiliare: «Proviamo davvero riconoscenza per ciascun bambino - hanno detto i due genitori - e non vediamo l’ora che nascano il nostro primo nipote e il nostro diciannovesimo figlio».
A
I Duggar suscitano ammirazione. Hanno una casa sempre immacolata, i figli amano suonare il violino e l’amabile signora Michelle si fa carico di una mole smisurata di faccende domestiche. Guardare la famiglia Duggar in televisione genera dipendenza. Come fanno a lavare tutti quei panni? Quanto spendono a fare la spesa? E riescono anche a ricordarsi i compleanni? Ma soprattutto come si ricordano dei nomi di cotanta prole numerosa. Forse per questo hanno pensato bene di far iniziare i nomi dei loro figli tutti con la stessa lettera: la J. Josh è Il figlio maggiore e con sua moglie Anna, entrambi 21enni, avranno una bambina appena 9 mesi dopo la nascita di Jordyn-Grace. Forse Josh vorrà seguire l’esempio di genitori e avere molti figli, ma chissà se avranno tutti il nome con la stessa iniziale come lui e i suoi fratelli. Dopo Josh, infatti, in famiglia ci sono i gemelli Jana e John-David (19 anni), Jill (18), Jessa (16), Jinger (15), Joseph (14), Josiah (13), Joy-Anna (11), i gemelli Jedidiah e Jeremiah (10), Jason (9), James (8), Justin (6), Jackson (5), Johanna (3), Jennifer (2) e JordynGrace (8 mesi). Una tale famiglia non poteva sfuggire al mondo dei media. Ma i programmi tv americane sulle famiglie numerose trascurano un fattore importante: la motivazione di questo stile di vita. I Duggar appartengono a un’associa-
zione fondamentalista in difesa della vita chiamata Quiverfull. Secondo il movimento, la donna deve rinunciare alla contraccezione, equiparata all’aborto, e a ogni forma di pianificazione familiare: un’intromissione illecita in un ambito che deve rimanere prerogativa della provvidenza divina. Quiverfull afferma che la donna deve essere una moglie e una madre prolifica. Uno dei testi del movimento è “The way home”, un libro pubblicato nel 1985 da Mary Pride, che sostiene che la nascita dei figli deve essere lasciata nelle mani di Dio. I Quiverfull accettano ogni figlio come un’assoluta benedizione divina. I bambini sono anche chiamati frecce. Il nome Quiverfull infatti deriva dal salmo 127, dove si legge «Come frecce sulla mano di un prode, così sono i figli del-
le per spazzare via il nemico». Ma non solo da un punto di vista personale: se i Quiverfull continueranno a sfornare figli e a moltiplicarsi, un giorno potrebbero arrivare a controllare il Congresso e forse anche per questo il signor Duggar ha corso per il Senato anche se è stato battuto da un altro candidato repubblicano nelle ultime elezioni. Ma c’è anche un altro lato della medaglia. Le donne di questa setta vivono una condizione durissima. Molte di quelle che facevano parte del movimento lo hanno
da REALITY abbandonato raccontando la loro verità. I Quiverfull si rifanno a modelli come i Duggar, cioè a famiglie molto benestanti. Ma la maggioranza delle famiglie Quiverfull sono povere. E le donne non hanno tregua: passano dalla gravidanza all’allattamento, alla cura dei neonati. Devono prendersi cura dei figli con mezzi modesti e lo sforzo le porta ad un esaurimento.
I Duggar appartengono a un’associazione fondamentalista in difesa della vita chiamata Quiverfull. Secondo il movimento, la donna deve rinunciare alla contraccezione, equiparata all’aborto, e a ogni forma di pianificazione familiare la propria giovinezza. Beato l’uomo che ne ha la sua faretra (quiver) piena (full). Essi non saranno confusi quando discuteranno coi loro nemici alla porta».
La Pride e gli altri leader del movimento, in teoria, chiedono alle donne una fecondità militante al servizio della rinascita religiosa: «I figli sono le nostre munizioni nel regno spiritua-
Essere donna e Quiverfull è in fondo una questione di fede. Senza dubbio è una libera scelta. Nessuno dubita della sincerità della famiglia Duggar. Ma il sospetto che tra reality show e libri (ne hanno già scritti due), ci sia anche un elemento di business, è legittimo. Perché soltanto con tanti, ma tanti soldi si può riuscire a fare in media 200 lavatrici a settimana. Ad avere una casa sempre perfetta che somiglia più a un grande club, a metà strada tra un bed and breakfast e un Mediterranée, con tanto di sala giochi e di fast food. A fare amare la musica classica ai propri pargoli che hanno formato una vera e propria piccola orchestra. E, infine, a gestire anche un sito internet continuamente aggiornato sulla famiglia Duggar.