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di e h c a n cro

Il futuro lo conoscerete

quando sarà arrivato; prima di allora, dimenticatelo Eschilo

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 10 SETTEMBRE 2009

Dopo il richiamo di Trichet ai governi, cresce la voglia (sbagliata) di un salasso fiscale

Nella Ue gira una pazza idea: aumentare le tasse di Gianfranco Polillo rimi segnali di incertezza nella gestione della crisi. Il tema della exit strategy - come rientrare dal debito e dal deficit - appena sussurrato nel corso di questa torrida estate, torna prepotente agli onori della cronaca. Merito o colpa di Trichet, il presidente della Bce, che ha voluto richiamare i governi. Attenti - ha detto - alle dinamiche di finanza pubblica. È necessario cominciare a pensare a come rimpinguare le casse dello Stato e rientrare dai debiti contratti.Preoccupazione subito raccolta dai paesi più indebitati. Da coloro, cioè, come Spagna ed Inghilterra, che hanno visto lievitare il loro debito pubblico ben oltre ogni limite di guardia. a pagina 10

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Intervista da Venezia all’attore e regista che racconta il suo legame con la Sicilia

John Turturro: «Orgoglioso di essere italiano» di Andrea D’Addio ono passati vent’anni da quando il grande pubblico conobbe John Turturro. Canottiera bianca senza maniche, un grembiulone macchiato di sugo e farina, un viso sempre sudato: era Pino, il polemico italoamericano pizzaiolo di Fa la cosa giusta. Da allora quest’attore nato a Brooklyn nel 1957 ha lavorato altre sette volte con Spike Lee (l’ultima lo scorso anno con Miracolo a Sant’Anna) ed è diventato uno degli interpreti preferiti dei fratelli Coen (quattro pellicole con loro, tra l’indimenticabile ruolo di Jesus, il perverso giocatore di bowling, in Il grande Lebowski). Nel 1997 diede il volto a Primo Levi in La tregua di Francesco Rosi. Papà leccese, mamma siciliana, entrambi figli di emigrati. Tanti film commerciali che lo hanno reso uno dei più importanti e ricercati caratteristi di Hollywood.

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a pagina 18 s eg ue a (10,00 pagina 9CON EURO 1,00

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

ESCORTOPOLI 30 ragazze, 18 incontri, 1000 euro a volta. Dai racconti di Tarantini viene fuori l’inquietante ritratto di un’Italia volgare e disposta a tutto. Il premier dice che la gente si identifica in lui. Ma siamo davvero tutti così?

La curiosa immagine di un Superman che staziona davanti a Palazzo Grazioli, residenza romana del premier

Grand Hotel Berlusconi

alle pagine 2 e 3

Dura presa di posizione dell’Associazione nazionale dei magistrati

L’Anm: «Indignati dal premier» Dopo l’attacco alle procure di Milano e Palermo di Guglielmo Malagodi

ROMA. L’Associazione nazionale magistrati esprime indignazione per le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, rese martedì alla Fiera di Milano». Non si fa attendere la replica della giunta esecutiva dell’Anm alle dichiarazioni del premier sulle procure di Milano e Palermo dove, secondo Berlusconi, «si ricominciano a guardare i fatti del ’93, del ’94 e del ’92». «Mi fa male che queste persone, con i soldi di tutti, facciano cose cospirando contro di noi, che lavoriamo per il bene del Paese» aveva detto Berlusconi definendo tali iniziative «follia pura». «Ancora una volta l’onorevole Berlusconi definisce folli i magistrati che hanno come unica responsabilità quella di esercitare le loro funzioni al servizio del Paese, senza condizionamenti - ha replicato ieri in una nota l’Anm - È del tutto inaccettabile che il Capo del Governo affermi che i magistrati impegnati in indagini difficilissime su fatti tra i più gravi della storia del nostro Paese, quali le I QUADERNI)

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NUMERO

179 •

WWW.LIBERAL.IT

stragi mafiose dei primi anni ’90, sprecano i soldi dei contribuenti. Come se non fosse interesse di tutti fare piena luce, e con ogni mezzo, su vicende gravissime che presentano aspetti ancora oscuri». «La lotta alla mafia - si legge ancora nel comunicato - che il Governo in carica dichiara spesso di voler perseguire con ogni mezzo, richiede un impegno corale di tutte le istituzioni e non può tollerare infondate operazioni di delegittimazione dei magistrati e delle forze dell’ordine, esposti in prima linea nell’azione di contrasto alla criminalità mafiosa». Al termine del comunicato c’è il rinnovo, da parte dell’Associazione, della piena fiducia ai pm chiamati in causa: «A loro va il pieno sostegno e la convinta solidarietà della magistratura italiana». E solidarità ai magistrati arriva anche dall’opposizione. Per Rosy Bindi, «le parole dell’Anm sono ineccepibili».

• CHIUSO

a pagina 5 IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


pagina 2 • 10 settembre 2009

prima pagina

Anche se il modello culturale dominante deve molto a lui

No Cavaliere, noi italiani non siamo tutti come lei di Giancristiano Desiderio e da qualche parte ci fosse l’Italia - quella che compie il prossimo anno 150 anni di vita unita, ma non si sa bene chi li dovrà festeggiare - se ci fosse la Signora Italia le si potrebbero rivolgere le classiche dieci domande che vanno di moda. La prima sarebbe questa: “Cara Italia, ma è vero che così - cioè come papi-Silvio - fan tutti gli italiani?”. Chissà cosa risponderebbe la vecchia signora, ma in assenza di una sua risposta, forse, possiamo avanzare noi una risposta. Papi-Silvio non è soltanto il presidente del Consiglio (è questo, ormai, un particolare secondario) è prima di tutto un’opportunità, un’occasione, una botta di vita da prendere a volo secondo il modello dominante “Veline e Successo” o “Grande Fratello e Grande Fortuna”. La teoria dello specchio - chi governa riflette il Paese - è valida fino a un certo punto. Può darsi che papi-Silvio sia invidiato e può darsi che lui ne sia consapevole. Le belle donne piacciono a tutti e tutti hanno sognato un giorno di fare la “dolce vita”. Ma ciò che si riflette nello specchio del Paese - lo specchio è Berlusconi - non è solo il solito italiano che crede di essere e lascia pensare agli altri di essere un latin-lover, ma è uno stile disinvolto di vita diventato con la televisione e la tecnologia nazional-popolare e che l’imprenditore di Bari, Giampaolo Tarantini, ha teorizzato e praticato con l’ormai noto “sistema Tarantini”. Ha detto l’imprenditore che entrava e usciva da Palazzo Grazioli con ragazze, amiche, attrici, donne, escort: «Tendenzialmente la stessa - Vanessa Di Meglio - non è una professionista del sesso ma all’occorrenza non disdegna di essere retribuita per prestazioni sessuali. Ho anche favorito le prestazioni sessuali della Di Meglio con il presidente Berlusconi in due circostanze a Roma il 5 settembre e l’8 ottobre 2008». Il modello dominante o, se volete, il canone italiano è: la “prestazione sessuale”è il mezzo la “vita facile”è il fine. Può sembrare la scoperta dell’acqua calda, ma non lo è. La differenza rispetto al passato consiste nella qualità (il modello) e nella quantità (è dominante). La televisione delle “Veline e Fratelli”è un modello culturale che forma i corpi e le anime delle ragazze e dei ragazzi italiani. Altro oggi in Italia - la stessa Italia dei 150 anni di cui il governo se ne infischia - non c’è e se c’è è semplicemente perdente e decadente rispetto al modello dominante o nazional-popolare che Tarantini ha brevettato nella provincia pugliese e praticato con successo nella Capitale con il capo del governo. L’Italia della “prestazione sessuale” e dell’“utilizzatore finale” è il Paese in cui il Grand Hotel Grazioli è diventato un ascensore sociale che i giovani usano con la convinzione che le cose in questo mondo funzionano così. Purtroppo, la “prestazione sessuale” si diffonde sempre più tra i giovanissimi e diventa uno strumento per ottenere ora e qui ciò che voglio. Quando papi-Silvio dice che piace agli italiani perché è come gli italiani dice che non ha un’idea diversa dell’Italia da rappresentare agli italiani. Il dramma è qui.

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Grand Hotel Berlusconi. Le nuove rivelazioni dell’imprenditore pugliese

Escort Italia Spa L’inquietante ritratto di una parte del Paese che vive sul triangolo sesso-denaro-celebrità di Roselina Salemi i sono quelle che prendono i soldi e quelle che si accontentano di un rimborso spese, per cominciare. O di entrare nei palazzi del potere in un’auto con i vetri oscurati “per evitare che i giornalisti o altre persone potessero guadare”. Quelle che si definiscono attrici, aspiranti showgirl, ragazze-immagine e qualunque acrobazia linguistica si possa immaginare. Ci sono quelle che esercitano serenamente il mestiere di rendere felici gli uomini e quelle che lo vedono come una fase transitoria prima della celebrità televisiva, cioè prima dell’unica celebrità possibile. E sgusciano dalle lenzuola per passare alle comparsate in video, sorrette dalla speranza che tutto sia possibile per una ragazza tosta e un po’ spregiudicata: punto d’arrivo, un assessorato, una soap, un film o un marito ricco o tutto insieme.

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L’Italia delle escort, un’Italia sommersa che non vedevamo, ma c’era, e da un pezzo, sfiorata da tempeste brevi e rumorose, da inchieste svaporate più o meno nel nulla. Vallettopoli uno e due, per esempio, ha il sorriso di Patrizia D’Addario, ma ha tanti nomi e cognomi che adesso popolano i verbali dove si tiene il conto delle ragazze (30) invitate alle serate con il premier (18) a palazzo Grazioli o a Villa Certo-

sa e dei mille euro consegnati alle più venali per attraversare la notte, ubriache di sogni e qualche volta aiutate da un paio di tiri di coca. I nomi: Vanessa, Sonia, Barbara, Camilla, si rincorrono nel lungo racconto dell’imprenditore Giampaolo Tarantini, indagato per cessione di droga e favoreggiamento della prostituzione, perno di questo mercato dei corpi. È lui ad assumersi le responsabilità, pagare i cachet, smistare il traffico, distinguere le artiste in cerca di gloria dalle avventuriere (e non gli è riuscito bene). Le ragazze, ciniche eppure innocenti nel loro reciproco fotografarsi, ottengono in maniera inaspettata quello che sognavano (giornali, interviste, visibilità), anche se è tutto ridotto a forfait, biglietti d’aereo e camere d’albergo, uomini vanitosi e forse ricattabili. Un vecchio gioco che, dal caso Profumo in poi, ha rovinato più di una reputazione, ma ha continuato a ripetersi. C’è sempre il dubbio su chi deve scagliare la prima pietra, sulla separazione tra pubblico e privato e c’è sempre una dietrologia che invita a diffidare degli scandali offerti su un vassoio d’argento.

Nel contrappunto di voci, di accuse reciproche e di menzogne, nella corsa comprensibile al succoso retroscena politico, le escort, o ragazze- immagine, o

showgirl restano mute, anche quando parlano. Affiora ogni tanto qualche frammento, il desiderio di una vita migliore, i soldi, il successo. Non sappiamo niente di loro, se hanno motivazioni, se hanno scelto il Grande Sogno e ci sono fatte trascinare dentro, se hanno deciso che non c’era altro modo per afferrare un’opportunità. Colpisce la “normalità” delle reazioni: nessun pentimento, nessuna valutazione di tipo etico. Al contrario, molto pragmatismo, come se si trattasse di mettere giù un business plan (e forse è così). Racconta Tarantini, spudorato e burocratico: «Voglio infine precisare che il ricorso alla prostitute e alla cocaina si inserisce in un mio progetto teso a realizzare una serie di connivenze nel settore della pubblica amministrazione perché ho pensato in questi anni che le ragazze e la cocaina fossero una chiave di accesso per il successo nella società». Pedine e nient’altro, che pensavano di muoversi da sole sulla scacchiera. E alla fine, l’esercizio di chi legge i verbali è quello ci capire dov’è il reato e chi lo ha commesso, perché inciampi in categorie diverse, perché alcune delle invitate a feste e allegre cene hanno avuto i loro dieci minuti di gloria, all’Isola deI Famosi, a Scorie o al Grande Fratello, studiano recitazione e inorridiscono alla parola escort, mentre nel caso di Patrizia


prima pagina D’Addario c’è un rivendicare ruolo e identità, e c’è anche il triste sfruttamento del nome, comparso in tutti i siti del mondo, l’intervista alla tivù australiana rilasciata durante la Mostra del Cinema a Venezia, un’apparizione rapida per tener viva l’attenzione (sono tempi smemorati, i nostri) e trasformare anche lo scandalo in una bella occasione. Per voltare pagina? Per alzare il prezzo?«Confermo di essere a conoscenza che Maria Teresa De Nicolò era una escort e di averla pagata affinché effettuasse prestazioni sessuali in favore di terzi. Ricordo di averle corrisposto 500 euro per prestazione a Bari e mille euro per prestazioni fuori Bari, se non ricordo male. Nella circostanza di una festa fatta a casa mia le offrii gratuitamente della cocaina». È sempre Tarantini che parla, ma stavolta gioca in casa, a Bari, dove organizzava simpatici break per i politici locali. È la punta dell’iceberg. Chi cerca di capire antropologicamente e sociologicamente la

giosa, le hanno dato un pubblico a cui raccontare la voglia di studiare recitazione ( anche lei) ,ritirarsi in campagna e vivere per se stessa dopo essere stata per tanti, per troppi, l’amante perfetta. «Voglio stare solo con uomo, andare a letto solo con un uomo. È stato difficile dover cedere. Sono arrivata a fare la escort dopo molte delusioni d’amore, dopo essere stata presa in giro da tanti uomini che si dichiaravano innamorati di me e invece mi trattavano come una donna usa e getta. A un certo punto nella mia testa è scattato come un senso di rivalsa». Degli italiani dice: «La famiglia è sacra, però vengono a divertirsi con me. In mia presenza sostengono di essere dei bravi mariti, dei bravi padri. Mi viene da pensare che io non incontro loro, ma i loro fantasmi!». Blue Angy era convinta che le donne avrebbero letto il suo libro e avrebbero cercato di rubarle i segreti del sesso e del desiderio, la formula magica per piacere

Oggi le ragazze ottengono inaspettatamente quello che sognavano (interviste, visibilità), anche se ridotto a forfait, biglietti d’aereo e camere d’albergo situazione, la leggerezza con cui donne giovani e tutt’altro che stupide si inoltrano nel sottobosco dell’eros e del potere, abbagliate da un miraggio, deve partire da un fatto: la fine delle censure morali, a patto che il risultato sia il successo personale. Viaggi, begli alberghi, borsette firmate, tenore di vita borghese. Oppure la celebrità passepartout, la legittimazione che abbatte ogni steccato. Perché una ex escort non può essere una buona moglie-madre-attrice-imprenditrice- politica?

L’importante, nella storia, è che il profilo sia vincente. L’Italia ha eletto in Parlamento lIlona Staller, “Cicciolina”, prima icona porno, nelle liste del Partito radicale (e c’era il sistema proporzionale). Certo era una provocazione, ma forse era anche l’inizio di uno slittamento progressivo, di un mutamento del punto di vista. La fiction su Moana Pozzi, una pornostar, è la sua consacrazione post mortem: era una donna intelligente e trasgressiva, aveva fatto le sue scelte, stava benissimo nei talk show, forse oggi farebbe opinione. Il libro di Blue Angy, una bella signora bionda che si chiama Angela, ha 38 anni e una figlia (Come fare del bene agli uomini- Vita e consigli di una cortigiana perfetta), pubblicato da Einaudi Stile Libero proprio durante i tempestosi giorni dell’exploit escort-politica, racconta dieci anni di sesso a pagamento. Prima di Patrizia D’Addario era Blue Angy la escort più famosa d’Italia: le sue maratone a 700 euro l’ora le hanno aperto la porta di una casa editrice presti-

agli uomini. E se la memorialistica piccante non è un genere nuovo, anzi vale sotto tutti i cieli (l’esempio di Bruna Surfistinha con “il dolce veleno dello Scorpione” è abbastanza rappresentativo), ciò che è cambiato è la percezione che le donne hanno di sé e delle proprie possibilità. In anni di battaglie e ideologie furibonde tante hanno gridato per strada, hanno scritto sui muri: «Il corpo è mio e lo gestisco io». Si parlava di aborto, ma anche di sesso. Del diritto alla pornografia, se una ne ha voglia, o alla prostituzione esercitata in forma privata. Uscite dalla tutela familiare, le donne si possiedono totalmente. E si mettono sul mercato. «Il corpo è mio e ho il diritto di venderlo». Per una buona ragione o per nessuna ragione. Su questo bisognerebbe indagare.

In alto, Patrizia D’Addario e, a sinistra, Silvio Berlusconi. A destra, l’avvocato Alessandro Gamberini. Qui sopra, due delle ragazze citate da Tarantini: Barbara Guerra e Clarissa Campironi

10 settembre 2009 • pagina 3

Le previsioni della giurisprudenza sugli “utilizzatori finali”

Rischia qualcosa il premier per le parole di Tarantini? Il parere dell’avvocato bolognese Alessandro Gamberini di Errico Novi

ROMA. In astratto una qualche forma di reato potrebbe intravedersi. In astratto. «Perché in concreto considero piuttosto improbabile che la Procura di Bari tenga in serbo un’iscrizione del presidente Berlusconi al registro degli indagati». Lo dice l’avvocato Alessandro Gamberini, docente di Diritto penale all’università di Bologna, che spiega come in materia di «agevolazione della prostituzione» la giurisprudenza italiana sia assai più severa di quanto si possa immaginare. «Il nostro ordinamento non prevede la punibilità per chi usufruisce di prestazioni sessuali a pagamento, come è noto. Chiunque rientri nella tipologia definita un po’ maldestramente, da Niccolò Ghedini, di ‘utilizzatore finale’ non è considerato in sé un criminale. Ma si è consolidata una linea molto restrittiva per tutti quei comportamenti e quelle circostanze che definiscono, comunque, un’agevolazione dell’attività».

Sembra davvero un percorso intricato. «Ribadisco che la giurisprudenza attesta una notevole severità in questo campo, forse imprevedibile per la maggioranza dei cittadini. Certo le maglie si stringono soprattutto quando di mezzo c’è una minore. Fermo restando che al di sotto dei quattordici anni si presume la violenza carnale e che se la vittima ha meno di sedici anni c’è la corruzione di minorenne, anche per i casi di ragazze tra i sedici e i diciotto anni, età in cui la legge prevede la piena disponibilità del proprio corpo, capita di vedere contestato al ‘cliente’ il reato di agevolazione della prostituzione». Non è questo il caso, evidentemente. C’è però un’altra sfumatura che lascerebbe faticosamente intravedere un qualche profilo rilevante per il premier: l’eventualità, assolutamente indimostrata, di aver “compensato”le mediazioni di Tarantini segnalando quest’ultimo al sottosegretario Giudo Bertolaso. Ma siamo sempre lì: bisognerebbe dimostrare che Berlusconi sia stato consapevole di avere a che fare con professioniste retribuite. Spiega Gamberini: «Potrebbe configurarsi una istigazione a istigare la prostituzione, cioè il premier avrebbe istigato Tarantini ad istigare a sua volta le donne a prostituirsi. Si tratterebbe di concorso in istigazione. Che non ha a che vedere con una fattispecie associativa, la quale si verifica se c’è un rapporto costante e un obiettivo criminale indeterminato. Qui ci potrebbe essere un concorso continuato».

«In astratto potrebbe configurarsi una qualche complicità con il mediatore, ma sarebbe davvero una forzatura», dice il penalista

Cosa vuol dire, in realtà? Non è un discorso semplice, osserva l’avvocato bolognese, e in ogni caso si ragiona solo in termini “accademici”. D’altronde «se davvero il pm che indaga su Giampaolo Tarantini e sulle escort introdotte alle feste di Palazzo Grazioli e di Villa Certosa (il sostituto procuratore di Bari Giuseppe Scelsi, ndr) avesse intenzione di contestare qualcosa di penalmente rilevante al premier, credo che Berlusconi ne avrebbe avuto sentore. E invece quando martedì scorso ha attaccato i magistrati si è rivolto solo a quelli di Palermo e di Milano. Non ha citato Bari. Evidentemente non gli sono giunte notizie di passi a suo carico da parte degli inquirenti». Cosa può succedere a chi riceve prostitute a casa sua? «Nulla dal punto di vista giudiziario. Salvo dimostrare che non solo il cliente sia a conoscenza dei pagamenti elargiti alle escort, ma che si metta d’accordo con l’eventuale intermediario affinché le ragazze si rendano disponibili non solo a lui stesso, ma anche a persone sue ospiti. Se qualcuno insomma organizza una festa, chiede delle prostitute e le mette diciamo così a disposizione degli invitati, come benefit supplementare, allora sì, è possibile che un magistrato ravvisi una forma di agevolazione della prostituzione».

Ma il ragionamento, dice il penalista bolognese, «è davvero una forzatura». Certo, «quando si tratta di comuni mortali la giurisprudenza è molto restrittiva, e di forzature, in materia, se ne vedono. Qui invece abbiamo a che fare con il presidente del Consiglio». In ogni caso, per rendere più comprensibile il discorso, Gamberini riporta la fattispecie al campo dei reati contro la pubblica amministrazione: «Si può istigare a commettere un abuso d’ufficio, per esempio. Se io usufruisco di un abuso d’ufficio, ne godo e basta, non sono perseguibile. Lo è l’amministratore che ha commesso l’atto, ma non chi ne riporta dei benefici. La punibilità si estende al fruitore solo nel caso in cui quest’ultimo prometta per esempio un utile a chi compie l’abuso. Allora c’è l’istigazione. Ma davvero, tutti questi ragionamenti sono fatti in astratto. Non perdo il mio tempo a riflettere su quale delitto si può contestare in una vicenda come questa».


politica

pagina 4 • 10 settembre 2009

Il Cavaliere a tutto campo. L’intervento del presidente del Consiglio alla festa nazionale dei giovani del Pdl

Berlusconi Atreju Show Il corteggiamento del premier alla Chiesa (e alla Dc), il paragone con De Gasperi, le battute sul Risorgimento «da riscrivere» di Francesco Capozza

ROMA. Si è aperta ieri pomeriggio l’XI edizione di Atreju, la festa tradizionalmente cara ai giovani della disciolta Alleanza nazionale che da quest’anno, invece, vede protagoniste le ultime generazioni dell’intero Pdl. La kermesse durerà fino al prossimo 13 settembre ma è indubbio che l’evento clou è quello che si è svolto ieri all’ombra del Colosseo: l’intervento del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Il capo del governo, giunto con circa mezz’ora di ritardo, è stato subito circondato da numerosi giornalisti che gli hanno chiesto perchè abbia citato in giudizio alcuni giornali, Berlusconi ha risposto: «Si viola la privacy delle persone». E a chi gli chiedeva perchè non ha risposto alle domande della Repubblica, si è trincerato dietro un laconico: «Io non ho paura». Prima del’inizio dell’incontro con i giovani del partito, moderato dal ministro della Gioventù Giorgia Meloni, Berlusconi ha cantato con i presenti l’Inno nazionale. Poi ha fatto finta di andar via e al ministro che gli chiedeva il motivo ha risposto: «Vado via perchè non abbiamo tempo. Dobbiamo cambiare l’Italia». Poi, però, è andato a sedersi al centro del palco e ha cominciato a parlare alla platea. « A b bi a m o a n c o r a d a v a n t i quattro anni di governo per cambiare l’Italia» è stata una delle prime cose che ha detto Berlusconi. «In questi giorni ho superato un piccolo record - ha aggiunto il premier - superando Alcide De Gasperi come numero di giorni al governo: forse è per questo che mi sono sentito così stanco», ha aggiunto con il suo solito sorriso. Poi Berlusconi ha proseguito elogiando - come al solito - il lavoro fatto dal suo governo e con il suo solito orgoglio dannunziano ha affermato: «questa notte mi sono attardato a buttare giú qualche nota su cosa ho fatto io al governo e visto che ultimamente mi si è domandato conto di quello che ho fatto dicendo anche che ero un po’ malato mi sono risposto: meno male che ero malato. Chissà che avrei fatto se non lo fossi stato». Tra le domande

poste sotto la supervisione attenta del ministro Meloni, moderatrice dell’incontro, c’è stato spazio anche per una risposta alle velate polemiche con il Quirinale sull’Unità d’Italia. «In preparazione dei 150 anni dell’Unità d’Italia - ha detto il premier - il mio consiglio è di andare a rivedere la nostra storia perchè‚ per molti di noi a scuola si è fermata molti anni prima di quando siamo nati. A molti altri i fatti sono stati raccontati in maniera diversa dalla realtà: credo che per una esigenza di verità bisogna andare a rinfrescarsi la memoria e correggere ció che è stato scritto erroneamente. Questo è il modo migliore per arrivare preparati a celebrare tutti insieme questo anniversario straordinario». Il Risorgimento italiano secondo Silvio Berlusconi dovrebbe essere riscritto, «per rendere omaggio al ruolo della Chiesa e alle radici della Democrazia cristiana».

B e r l u s c on i è p oi t o r n at o a difendere la sua strategia comunicativa sullo scenario internazionale e lo ha fatto ricordando ancora una volta il famoso “cucú” che fece a Trieste al cancelliere Angela Merkel. Sottolineando l’importanza di rapporti amichevoli tra i Grandi della terra, Berlusconi ha

svelato un piccolo retroscena: «Quel cucú che ho fatto alla Merkel me lo aveva fatto un paio di mesi prima Putin. L’ho imparato da lui e voi - ha detto rivolgendosi alla platea di Atreju - sapete che bisogna sempre prendere le cose belle». «Abbiamo avuto una continua diplomazia commerciale. La politica che qualcuno ha definito del “cucù”, che mi piace, la metto in atto susci-

Sul terremoto: «15 settembre sarò a L’Aquila e avrò l’onore di consegnare le prime case alle famiglie e si continuerà così ogni giorno per restituire le abitazioni ad oltre 30mila sfollati»

tando tra me e gli altri colleghi quel rapporto basato sulla stima e sulla simpatia che vale anche negli altri aspetti della vita normale».

Non poteva certo mancare un accenno alla ricostruzione de L’Aquila dopo il terremoto dello scorso 6 aprile. «Il 15 settembre - ha detto il premier - sarò a L’Aquila e avrò l’onore di consegnare le prime case alle famiglie e si continuerà così ogni giorno per consegnare le abitazioni ad oltre 30mila sfollati». Berlusconi si è mostrato orgoglioso per «un’opera che non ha eguali nel mondo» e che si concluderà entro il 30 dicembre quando «tutti gli appartamenti saranno consegnati completamente arredati con tanto di elettrodomestici rigorosamente italiani e magari qualcuno - ha aggiunto - troverà spumante italiano nel frigorifero, una torta e un biglietto del presidente del Consilgio che augura una serena permanenza nelle nuove case». La giornata era cominciata con un lungo strascico polemico a seguito dell’editoriale del direttore de Il Giornale, Vittorio Feltri (nonostante la pubblica presa di distanza del premier) hanno infatti fatto calare nuovamente il gelo tra l’inquilino di palazzo Chigi e la terza carica dello Stato. Un duro botta e risposta, quello tra Fini e Berlusconi, che ha reso necessario nel primo pomeriggio di ieri un vertice Il ministro della Gioventù, Giorgia Meloni. Nella pagina a fianco; in alto: il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi; in basso, il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara

straordinario a palazzo Grazioli – durato ben tre ore – tra il presidente del Consiglio e i vertici del Pdl («È stato un incontro positivo che ha consentito sia un chiarimento, sia la definizione di un percorso politico, con la convocazione degli organismi dirigenti del partito, sia di assemblee tematiche» ha detto Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del Pdl, al termine della riunione). Per ore si sono rincorse voci ed indiscrezioni che davano per possibile la presenza di Fini in prima fila ad Celio per ascoltare l’intervento del premier. Nessun incontro, ma un primo passo verso il disgelo ci sarebbe stato con una breve telefonata partita da palazzo Grazioli alla volta del piano nobile di Montecitorio.

Sulla telefonata restano le bocche cucite di entrambi gli staff, ma stando a quanto trapelato dall’incontro del Pdl a Palazzo Grazioli, il resoconto fornito da Berlusconi ai presenti sarebbe stato quello di una conversazione molto positiva, preludio di un incontro a quattr’occhi che - sottolineano le stesse fonti - dimostra come vi sia la volonta’ sul piano personale di risolvere tutti i problemi. In particolare, secondo quanto raccolto negli stessi ambienti, il premier avrebbe sottolineato a Fini come, tutte le volte che ci sono degli incontri, tutti i problemi siano sempre stati risolti senza difficoltà. Quello che serve, sarebbe stato il ragionamento di Berlusconi, e’ pero’ un faccia a faccia in cui si affrontino i problemi nell’interesse del governo e del partito. Un invito dunque a vedersi, e a mettere i problemi sul tavolo, per affrontarli e risolverli insieme. Auspicio che sarebbe stato accolto dalla terza carica dello Stato. La prima occasione d’incontro tra i due leader ci sarà sabato prossimo, in occasione della riunione dei presidenti delle assemblee legislative dei Paesi del G8, alla quale prenderanno parte sia Berlusconi sia Fini. Ma, sempre secondo quanto si apprende in ambienti del Pdl, l’incontro tra i due si dovrebbe tenere in altra sede, probabilmente la settimana prossima.


politica

10 settembre 2009 • pagina 5

Bindi (Pd): «Offende tutti i cittadini». Capezzone (Pdl): «Una sortita politica» ROMA. L’Associazione nazionale magistrati esprime indignazione per le dichiarazioni del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, rese martedì alla Fiera di Milano». Non si fa attendere la replica della giunta esecutiva dell’Anm alle dichiarazioni del premier sulle procure di Milano e Palermo dove, secondo Berlusconi, «si ricominciano a guardare i fatti del ’93, del ’94 e del ’92».

I magistrati: «Inaccettabili le parole del premier sui pm» L’Anm all’attacco dopo le dichiarazioni del Cavaliere sulle procure di Milano e Palermo: «Siamo indignati» di Guglielmo Malagodi

«Mi fa male che queste persone, con i soldi di tutti, facciano cose cospirando contro di noi, che lavoriamo per il bene del Paese” aveva detto Berlusconi definendo tali iniziative «follia pura». «Ancora una volta l’onorevole Berlusconi definisce folli i magistrati che hanno come unica responsabilità quella di esercitare le loro funzioni al servizio del Paese, senza condizionamenti ha replicato ieri in una nota l’Anm - È del tutto inaccettabile che il Capo del Governo affermi che i magistrati impegnati in indagini difficilissime su fatti tra i più gravi della storia del nostro Paese, quali le stragi mafiose dei primi anni ’90, sprecano i soldi dei contribuenti. Come se non fosse interesse di tutti fare piena luce, e con ogni mezzo, su vicende gravissime che presentano

aspetti ancora oscuri». «La lotta alla mafia - si legge ancora nel comunicato - che il Governo in carica dichiara spesso di

Duro comunicato dell’associazione delle toghe: «definisce folli chi ha l’unica responsabilità di esercitare le proprie funzioni al servizio del Paese, senza condizionamenti» voler perseguire con ogni mezzo, richiede un impegno corale di tutte le istituzioni e non può tollerare infondate operazioni di delegittimazione dei magistrati e delle forze dell’ordine, esposti in prima linea nell’azione di contrasto alla criminalità mafiosa». Al termine del comunicato c’è il rin-

novo, da parte dell’Associazione, della piena fiducia ai pm chiamati in causa: «A loro va il pieno sostegno e la convinta solidarietà della magistratura italiana». E solidarità ai magistrati arriva anche dall’opposizione. Per Rosy Bindi, «le parole dell’Anm sono ineccepibili». «Se è vero che, come il governo dichiara, vuole fare la lotta alla mafia senza quartiere dice l’esponente del Pd - non si capisce perché vengano additati e offesi i magistrati e le forze dell’ordine che indagano sulle stragi più tragiche che si sono verificate nel nostro paese, cioé quelle in cui morirono Falcone e Borsellino. Noi auspichiamo che possa emergere la verità e che possa essere riconosciuta da tutti. Le parole di Berlusconi non sono solo offensive nei confronti dei magistrati ma

di tutti i cittadini che chiedono giustizia».

Tesi opposte, naturalmente, arrivano dalla maggioranza. Per Daniele Capezzone, portavoce del Pdl, «all’Anm che non fa mancare la sua ormai consueta sortita politica va detto che la vera anomalia sta nel fatto che in Italia alcuni settori della magistratura agiscono secondo logiche di protagonismo e di politicizzazione impensabili in qualunque altro Paese dell’Occidente avanzato». «Per il resto - conclude Capezzone - c’è poco da dire. Con il governo Berlusconi stiamo assistendo a dati record nel contrasto contro le mafie, tra arresti e sequestri: e anche l’Anm farebbe bene a prenderne atto. Il resto sono chiacchiere prive di significato». Un concetto simile a quello espresso da Luigi Vitali, responsabile nazionale del Pdl per i problemi dell’ordinamento pentitenziario: «Prendendo maldestramente lo spunto da una dichiarazione del presidente Berlusconi, l’Anm ha artatamente manipolato il senso delle parole del premier, facendole apparire riferite a tutta la magistratura. Così non è. E mai nessun Esecutivo ha adottato significativi interventi di contrasto alla criminalità organizzata come quelli varati dai governi Berlusconi».


diario

pagina 6 • 10 settembre 2009

Identità. Cattolicesimo di sinistra e socialdemocrazia sono in crisi da vent’anni. A quando una nuova spinta propulsiva?

Pd, cercasi cultura di riferimento Ecco perché i democratici hanno perso la sfida del rinnovamento di Antonio Funiciello l congresso del Pd non fa parlare di sé. Eppure in genere le fasi congressuali sono i momenti in cui maggiormente l’attenzione dell’opinione pubblica è rivolta ai partiti. L’appeal dei democratici è però, al momento, abbastanza scarso perché il dibattito interno è povero di grandi questioni. Non c’è battaglia delle idee, si sarebbe detto un tempo. Gli stessi scontri che, all’inizio dell’estate, avevano diviso i sostenitori delle primarie dai tifosi del partito degli iscritti, sono risultate poco interessanti per il grande pubblico. Questo perché chi difendeva le due diverse posizioni non è stato capace, o più semplicemente, non ha voluto dichiarare apertamente che le divisioni intorno alla struttura politica e organizzativa del partito erano collegate alla funzione sociale che esso s’incarica di esercitare. Funzione sociale interpretata assai diversamente dai propugnatori dell’una o dell’altra prospettiva. Sono così rimaste divisioni politiciste, appena appetibili per un ristrettissimo numero di addetti ai lavori, indigeribili per tutti gli altri.

la cultura politica socialista e a quella cattolico democratica, siano stati chiusi. I loro stessi dirigenti, che oggi rappresentano il vertice del Pd, motivarono due anni fa la comune estinzione di quelle esperienze con la necessità di dotarsi di un partito più adatto ai tempi. Perché le culture politiche di riferimento avevano esaurito ogni spinta propulsiva e non soddisfacevano la lettura di quanto in Italia e nel mondo andava accadendo. Come lingue morte, socialismo e cattolicesimo democratico restavano e restano luoghi di riflessione politologica, ma non certo strumenti d’interpretazione e lotta politica. Il Pd, almeno a parole, era nato proprio da questo presupposto: con l’obiettivo d’essere un partito nuovo e non un nuovo partito (formula cara a Scoppola), nella misura in cui intendeva recidere il cordone ombellicare col vecchio background culturale. Per fare un partito nuovo, il Pd s’impegnava a dotarsi di una cultura politica nuova, senza la quale non si dà la nascita di alcun soggetto partitico.

I

Il nodo irrisolto del Pd resta quello della sua identità culturale. Nodo che se non viene ignorato, è affrontato unicamente in chiave retrospettiva, in funzione del rapporto alle culture politiche di riferimento, che si vorrebbe più solido o più blando, a seconda di chi venga interpellato. Il fatto è che socialismo e cattolicesimo democratico sono culture politiche in crisi da almeno vent’anni, oggi praticamente ininfluenti nel governo del mondo delle grandi democrazie occidentali. A meno di non voler stupidamen-

guida socialista che vi parteciperanno saranno l’Australia e il Sud Africa (la Spagna non ne fa parte). Con tutte le peculiarità dell’eterodossia socialista a cui diversamente danno corpo i governi di Rudd e di Zuma. L’internazionalismo socialista vive una crisi unica nella sua gloriosa storia, a cui è giunto gradualmente, per lente eppure

Ripiegare sulle tradizioni dei vecchi partiti sintetizza, meglio di ogni altra difficoltà mostrata sul campo dell’attualità politica, l’enorme portata di questa sconfitta te considerare“socialismo”ogni azione d’intervento dello stato nell’economia di mercato che vive un periodo di crisi. La depressione dell’internazionalismo socialista è tale che l’anno prossimo a Nairobi, sede del prossimo vertice del G20, con la certa sconfitta dell’Spd e del Labour alle elezioni politiche in calendario, gli unici paesi a

nette approssimazioni: dalle disfatte del socialismo continetale europeo alle sconfitte di quello scandinavo. Con l’aggravante di aver rimpolpato le file del gruppo socialista a Strasburgo coi rappresentanti dei partiti comunisti dell’Est, rinominati “socialisti”senza alcuna seria discussione politica. Anche in Italia, alla crisi globa-

le del socialismo, si accompagna l’anomalia della sua rappresentazione politica, affidata a una schiera di post comunisti che ai tempi in cui il socialismo liberale, pur con tutte le sue contraddizioni, era al governo, rappresentava la sua opposizione politica più strenua. Fino a motivare il senso di una vera e propria opposizione morale nel paese. Stesso discorso vale per il cattolicesimo democratico, pur in un contesto geopolitico più ristretto. Dopo le ultime idee partorite da Moro, non ha mostrato alcuna vitalità intellettuale. L’Ulivo stesso non è un’idea nuova, ma la prosecuzione con altri (più ridotti) mezzi del compromesso storico. Non è un caso che i partiti preesistenti al Pd, i Democratici di sinistra e la Margherita, che facevano in prevalenza riferimento al-

La sfida persa dal Pd oggi è esattamente questa: non essere riusciti a dar vita a una cultura politica progressista per l’Italia del nuovo secolo. Ripiegare sulle tradizioni di riferimento dei vecchi partiti sintetizza, meglio di ogni altra difficoltà mostrata sul campo dell’attualità politica, l’enorme portata di questa sconfitta. Socialismo e cattolicesimo democratico potranno pure restare luoghi di ispirazione civile, iscritti come sono nei valori fondanti la Costituzione repubblicana, ma rispetto alle domande dell’impegno politico quotidiano non possono che restare afoni. La sinistra che nel mondo vince e contribuisce a indirizzare positivamente i destini dell’umanità è schiettamente liberaldemocratica e in costante rinnovamento di contenuti e forme. O il PD riesce a fare un salto ideale che sintonizzi con questa sinistra vincente la sua cultura politica, o è destinato a sbiadire nelle opache logiche di un tatticismo delle alleanze goffamente elevato a sistema di pensiero.


diario

10 settembre 2009 • pagina 7

Il Vaticano incalza: «No a un insegnamento multiconfessionale»

Il viceministro alla Salute: «Nessun reale motivo di preoccupazione»

«L’ora di religione abbia lo status di materia scolastica»

Influenza A, Fazio: «È più leggera del previsto»

ROMA. Dopo le polemiche del-

ROMA. Sono «ormai 7.000 i casi di nuova influenza A/H1N1 in Italia. Rispetto ai 5.600 della settimana scorsa, l’aumento è stato significativo ma non ancora esponenziale. La pandemia procede in maniera tranquilla». Lo ha detto il viceministro alla Salute, Ferruccio Fazio, al termine della riunione dell’Unità di crisi sulla nuova influenza, ieri a Roma. «Siamo realmente attrezzati - ha affermato Fazio - anche per affrontare le complicanze come le polmoniti che si manifestano in un numero limitato di casi. Secondo le previsioni degli esperti, non saranno più di un paio di centinaia i casi gravi in Italia alla fine della pandemia». Il decesso che si è verificato a

l’estate appena trascorsa, il Vaticano torna all’attacco sull’ora di religione. Il rispetto della libertà religiosa, infatti, esige la possibilità di offrire agli alunni nelle scuole pubbliche e private un’educazione religiosa coerente con la loro fede, spiega la Santa Sede. Lo ha affermato ieri pomeriggio una “lettera circolare” inviata dalla Congregazione vaticana per l’Educazione Cattolica “sull’insegnamento della religione nella scuola”. A darne notizia, è stato il sito cattolico Zenit.org.

La Santa Sede ritiene anche necessario che «l’insegnamento religioso scolastico appaia come disciplina scolastica, con la stessa esigenza di sistematicità e rigore che hanno le altre discipline». «La specificità di quest’insegnamento - si legge nel testo non fa venir meno la sua natura propria di disciplina scolastica; al contrario, il mantenimento di quello status è una condizione d’efficacia: è necessario, perciò, che l’insegnamento religioso scolastico appaia come disciplina scolastica, con la stessa esigenza di sistematicità e rigore che hanno le altre discipline». Sia nelle scuole pubbliche che in quelle cattoliche, spiega la Santa Sede, deve essere rispettata «la libertà religiosa degli alunni non cattolici e dei loro genitori», evi-

«Lottare contro tutte le discriminazioni» Il forte richiamo del presidente Giorgio Napolitano di Gaia Miani

ROMA. «La lotta contro ogni sopruso ai danni delle donne, contro la xenofobia, contro l’omofobia, fa tutt’uno con la causa indivisibile del rifiuto dell’intolleranza e della violenza, in larga misura oggi alimentate dall’ignoranza, dalla perdita di valori ideali e morali, da un allontanamento spesso inconsapevole dai principi su cui la nostra Costituzione ha fondato la convivenza nazionale democratica». È il forte richiamo che il presidente della Repubblica Napolitano ha lanciato ieri aprendo i lavori della “Conferenza internazionale sulla violenza contro le donne”alla Farnesina. Il capo dello Stato ha sottolineato che si tratta di «una questione cruciale del nostro tempo, l’età dei diritti: diritti proclamati, diritti affermati o in via di affermazione, diritti da conquistare, diritti da rendere universali». Il presidente Napolitano ha poi ricordato che «la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea vincola alla non discriminazione» e indicato «tutti i possibili motivi di discriminazione da mettere al bando: il sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le convinzioni personali, le convinzioni politiche fino alla disabilità e all’orientamento sessuale, ciò nel momento in cui l’intolleranza, la discriminazione e la violenza colpiscono persone e comunità omosessuali».

donne: «Sono soprattutto loro a soffrire in troppe parti del mondo della limitazione o privazione di diritti fondamentali».

Più in particolare, ha puntato il dito contro «la persistenza e la diffusione della violenza contro le donne», ricordando che il tema non rende immune il nostro paese. «In paesi evoluti e ricchi come l’Italia, dotati di Costituzioni e di sistemi giuridici altamente sensibili ai diritti fondamentali delle donne continuano a verificarsi fatti raccapriccianti, in particolare negli ultimi tempi, di violenza di gruppo contro donne di ogni etnia, giovanissime e meno giovani». Ciò, «nonostante il Parlamento già da decenni si sia impegnato in una severa legislazione sulla violenza contro le donne come reato contro la persona; e abbia di recente affrontato anche l’aspetto delle molestie e delle persecuzioni e discriminazioni contro le donne nei luoghi di lavoro». Se nel mondo «ci sono fattispecie terribili di violenza contro le donne, associate a situazioni di conflitto e di emergenza o a costumi barbarici come quello delle mutilazioni genitali femminili» nondimeno «troppe altre si riscontrano anche in paesi moderni avanzati», ha aggiunto indicando «la violenza sessuale nella sua forma più brutale, l’aggressione e lo stupro; ma anche le violenze domestiche e le violenze di varia natura nel mondo del lavoro». Ecco perché «dobbiamo sentirci egualmente responsabili dell’incompiutezza dei progressi faticosamente realizzati per l’affermazione della libertà, della dignità e della parità di diritti delle donne. E dobbiamo sentirci egualmente impegnati a perseguire conquiste più comprensive, garantite e generalizzate». Il capo dello Stato ha definito «decisiva» la dimensione educativa di questo impegno: «Non solo nel senso di assicurare l’accesso delle bambine e delle donne all’educazione, ancora negata in tanta parte del mondo; ma anche nel senso di educare l’insieme delle nostre società ai valori dell’uguaglianza di tutti i cittadini senza distinzione di sesso e ai valori della non discriminazione», ha concluso Giorgio Napolitano.

Il capo dello Stato: «In Italia continuano a verificarsi fatti raccapriccianti che ci allontanano dalla Costituzione»

tando «ogni genere d’azione che sembri una coercizione o una sollecitazione disonesta o scorretta». Il documento, come spiegano i firmatari, il cardinale Zenon Grocholewski e monsignor Jean-Louis Brugues, presidente e segretario della Congregazione, riconosce che l’insegnamento della religione nella scuola suscita molti dibattiti. In alcuni Paesi, constata il testo, sono state introdotte «nuove regolamentazioni civili, che tendono a sostituirlo con un insegnamento del fatto religioso di natura multiconfessionale o di etica e cultura religiosa, anche in contrasto con le scelte e l’indirizzo educativo che i genitori e la Chiesa intendono dare alla formazione delle nuove generazioni».

Per Napolitano si tratta di «un impegno di indubbia attualità oggi in Italia perché stiamo sperimentando la complessità della presenza crescente nel nostro Paese di comunità immigrate e del conseguente processo di integrazione da portare avanti. Integrazione i cui cardini sono nel rispetto della diversità di culture, religioni e tradizioni e nel rispetto dell’individuo e della sua dignità, da garantire insieme ai principi e alle leggi nazionali che regolano l’appartenenza alle società d’accoglienza».Tenendo presente, ha aggiunto, «la particolare situazione di vulnerabilità delle donne e il loro specifico contributo nei processi di integrazione». Il capo dello Stato ha dedicato un ampio passaggio soprattutto alla violenza sulle

Napoli, spiega il viceministro, «è avvenuto per una malattia virale intercorrente in un paziente in condizioni compromesse».

È dunque «verosimile che si sconsigli la vaccinazione contro l’influenza A nel primo trimestre di gravidanza, perché non ci sono dati scientifici, ma è possibile che la si consigli in casi particolari come le gravidanza a rischio». Il ministero della Salute è ad ogni modo ancora in attesa del parere chiesto al Consiglio superiore di sanità (il Css) sulla somministrazione del vaccino pandemico alle donne incinte e a bambini e ragazzi dai 2 ai 18 anni. «Sulla vaccinazione in gravidanza ha aggiunto - queste sono le indicazioni emerse al momento, ma si attende il parere del Css». Come che sia, la vaccinazione contro l’influenza stagionale «partirà regolarmente dal 1 ottobre prossimo», ha concluso Fazio. «Avvieremo all’interno delle scuole una campagna di comunicazione sui comportamenti corretti da tenere», gli ha fatto eco il ministro Gelmini, ribadendo che «le lezioni partiranno regolarmente e non è prevista nessuna chiusura generalizzata delle scuole. Anche le vacanze natalizie saranno di durata normale».


politica

pagina 8 • 10 settembre 2009

Il giornalismo fa schifo? Si conclude il nostro giro d’opinioni sui quotidiani italiani dopo il caso “Giornale-Avvenire”

Uomini o caporali? Il mondo dei media secondo Alfatti Appetiti, Cappellini, Forbice, Giuli, Menichini, Tiliacos di Francesco Lo Dico ontani dal placarsi, gli echi polemici legati alla vicenda Boffo-Feltri e al giro di escort del presidente del Consiglio, continuano ad alimentare risse e dibattiti sul ruolo dell’informazione. E se in merito alla querelle Giornale-Avvenire culminata con le dimissioni di Dino Boffo, la Procura di Monza ha aperto un’inchiesta a carico di ignoti ipotizzando i reati di accesso abusivo a sistema informatico o falsificazione di atto pubblico, ieri hanno destato molto clamore anche i verbali dell’interrogatorio di Giampaolo Tarantini a proposito delle ormai famigerate festicciole a palazzo Grazioli organizzate per Silvio Berlusconi. Nuovi strascichi di un giornalismo degradato, oppure semplice diritto di cronaca? Lo abbiamo chiesto ad alcune firme dell’informazione italiana.

L

«Più che di degrado, parlerei di confusione intenzionale tra cronaca, analisi e gossip – spiega a liberal Stefano Menichini, direttore di Europa. «La stampa italiana ha ormai mischiato insieme modalità di informazione che in altri Paesi sono separate da nette linee di demarcazione – prosegue Menichini – con il risultato che si produce nei lettori analoga confusione. In quest’ottica, allora si può parlare di degrado dei nostri mezzi d’informazione». «Sarei cauto nel parlare di degrado – osserva il vicedirettore de Il Riformista, Stefano Cappellini. «Probabilmente ci sono stati alcuni eccessi e sono stati scavalcati dei limiti – prosegue Cappellini – ma è innegabile che la stampa ha fatto un lavoro necessario. Il

problema è che si sono date notizie sgradevoli e che questo ha esacerbato le campagne a mezzo stampa con la ricerca di storie sempre più scottanti, in grado di rinserrare le fila di questa o quella compagine». «Non sta bene che i giornalisti parlino del giornalismo – osserva Alessandro Giuli, vicedirettore de Il

non fa che premiare l’abilità dialettica di Silvio Berlusconi, a scapito di avversari molto meno versati nel fiutare gli umori del momento».

Sulla stessa lunghezza d’onda anche Aldo Forbice, veterano dell’informazione italiana e conduttore di Radio 1 Zapping.

ALDO FORBICE «L’imbarbarimento dei media è sotto gli occhi di tutti, ma detto ciò non è accettabile puntare l’indice su una testata o su un’altra per ragioni di calcolo e di moralismo farisaico. La gente, di ogni estrazione e colore politico, è stanca di questo gioco al massacro»

Foglio. «Detto questo, cadere nell’ipocondria, sprofondare in certi abissi di cattiva coscienza, eleggere a sintomi di una malattia incurabile certi episodi passeggeri, per poi innalzarne altri a indizi di uno stato di salute, fa pensare di per sé a una professione tremolante», precisa Giuli. Che entra subito nel vivo delle ultime polemiche: «Non si può sottoporre Vittorio Feltri a un linciaggio inverecondo per aver fatto il proprio mestiere sul caso Boffo, il mestiere di un giornale-partito speculare a Repubblica, e poi salutare come operazioni di alto profilo morale gli assalti alla vita privata del premier. La disfida delle dichiarazioni contrapposte

NICOLETTA TILIACOS «Mi sembra evidente una contrapposizione tra diversi modi di fare informazione. In questa fase c’è da una parte l’ottimo giornalismo di ”Avvenire”, coraggioso nel prendere posizione pur di restare autonomo. E dall’altra parte c’è quello, pessimo, di Vittorio Feltri»

«L’imbarbarimento dei media è sotto gli occhi di tutti, ma detto ciò non è accettabile puntare l’indice su una testata o su un’altra per ragioni di calcolo e di moralismo farisaico», argomenta il giornalista Rai. Che mette sull’avviso direttori e gruppi editoriali: «Libertà di stampa e calunnia sfrenata non sono categorie invocabili a seconda delle circostanze e delle famiglie giornalistiche che ne fanno uso in eguale misura. I direttori dovrebbero riflettere sul proprio ruolo e sulla percezione che i loro prodotti editoriali suscitano nei lettori. Dal mio osservatorio di Zapping, rilevo un dato incontrovertibile: la gente, di ogni estrazione e coloritura politica, è stanca di questo gioco al massacro. E basta con il ridicolo alibi dei record di vendita: i giornali non sono bibite effervescenti da piazzare a colpi di réclame, ma anche e soprattutto aree vitali per l’opinione pubblica, e risorse preziose contro talune degenerazioni del potere». Un tema, quello del doppiopesismo, che ricorre anche nelle considerazioni di Stefano Cappellini: «Mi sembra piuttosto curiosa l’indignazione a corrente alternata. In buona sostanza, le fazioni in

STEFANO CAPPELLINI «Mi sembra curiosa l’indignazione a corrente alternata. Le fazioni in campo si rimproverano vicendevolmente asprezze e cadute di stile che entrambe sostengono come lecite e moralmente degne se rivolte contro il proprio bersaglio politico. Bisogna uscire dal doppiopesismo»

campo si rimproverano vicendevolmente asprezze e cadute di stile che entrambe sostengono come lecite e moralmente degne se rivolte contro il proprio bersaglio politico. Bisogna uscire dal doppiopesismo in voga – ammonisce Cappellini – Non si può continuare a dire che se Repubblica indaga sul premier tutto va bene, mentre se a farlo è un giornale di destra, si accusa chi lavora di be-

cerume. Uno strabismo che porta a una visione continuamente distorta della realtà».

Sugli ultimi veleni sgocciolati sulla nostra carta stampata, si esprime in modo netto Nicoletta Tiliacos, giornalista de Il Foglio. «Esempi poco edificanti sono sempre esistiti nella storia del giornalismo italiano, ma a ben guardare la situazione attuale, mi sembra evidente una


politica

10 settembre 2009 • pagina 9

ALESSANDRO GIULI «Non si può sottoporre Feltri a un linciaggio inverecondo per aver fatto il proprio mestiere sul caso Boffo, il mestiere di un giornale-partito speculare a “Repubblica”, e poi salutare come operazioni di alto profilo morale gli assalti alla vita privata del premier»

contrapposizione tra diversi modi di fare informazione. In questa particolare fase c’è da una parte l’ottimo giornalismo offerto da Avvenire, coraggioso nel prendere posizione all’interno del dibattito pubblico, capace di rischiare l’isolamento e di pagare a caro prezzo la propria autonomia di giudizio. E dall’altra c’è quello, pessimo, di Vittorio Feltri». Sullo stato dell’arte della nostra informazione, opera un distinguo anche Roberto Alfatti Appetiti, firma de Il Secolo d’Italia: «Si tratta di una questione molto semplice e nient’affatto peculiare del nostro tempo: accanto al buon giornalismo continua a sopravvivere quello cattivo, malevolo e mal referenziato. La nostra carta stampata si è da sempre suddivisa in fazioni molto ben riconoscibili. Ed è legge antica, che fare giornalismo all’ombra di un qualche gonfalone, significhi soprattutto cedere autonomia di giudizio, in favore degli ordini di reggimento».

Di tendenze e costumi antichi, parla anche Stefano Cappellini: «I quotidiani non hanno certo indossato l’elmetto di recente. Una certa militanza, frenetica e un po’ corriva nell’avventarsi contro l’avversario, c’è sempre stata dacché il giornalismo italiano esiste. Semmai oggi ci troviamo a costatarne un cambio di indirizzo. La materia di discussione messa in pagina si è trasforma-

ta in qualche caso da inquisizione su temi pubblici di natura strettamente politica, a processo sommario che giudica e mette alla berlina la privatezza. Si affastellano articoli su articoli dedicati a questioni scabrose e cronachette squallide». Le sempre più frequenti incursioni della stampa nelle vicende private di questo o quel personaggio, hanno per Aldo Forbice un movente preciso: «Lobby e gruppi editoriali scatenano campagne promozionali a difesa dei propri interessi, scatenando violente offensive contro concorrenti e gruppi avversi. Il tutto a ritmo di business e di ragioni di possesso». «Basti pensare che Corriere e Repubblica – prosegue Forbice – gareggiano ogni giorno in numero di pagine dedicate al pettegolezzo e alla spigolatura maliziosa. Nel vedere dedicate alla vicenda Boffo sette pagine, ho provato grande vergogna per il nostro mestiere». «Non sento di volermi impancare a giudice ed esclamare “O tempora, o mores” – commenta Nicoletta Tiliacos, che a proposito delle traversie dell’ex direttore di Avvenire aggiunge: «Il caso Boffo mi sembra l’ulteriore riprova di una tentazione diffusa. Quella di usare le vicende private dell’individuo contro l’uomo pubblico. Una tendenza che, sotto certi punti di vista, riguarda anche il trattamento riservato a Silvio Berlusconi». «La verità è che i giornali inseguono la china scandalistica perché non riescono più a convogliare l’attenzione dei lettori su temi politici basilari come le riforme, la sanità, l’istruzione pubblica. Un grave pericolo per il sistema di equilibri che regge la democrazia. Se il pubblico sembra anestetizzato, va

ROBERTO ALFATTI APPETITI «È legge antica, che fare giornalismo all’ombra di un qualche gonfalone, significhi soprattutto cedere autonomia di giudizio, in favore degli ordini di reggimento. Siamo in preda a una libanizzazione senza precedenti»

stimolato e riaccostato alla politica. E invece si decide di catturarne l’attenzione con un gossip sempre più invelenito», chiosa Aldo Forbice.

«Tutto sommato, mi pare fuori luogo conclamare la malattia del giornalismo italiano – precisa Alessandro Giuli –. Anche in passato si è chiamata in correo la stampa e accusato di nefandezze firme illustri poi entrate nella storia del giornalismo. Se proprio occorre attribuire un malanno al nostro mestiere, e alla percezione che esso induce, allora mi sembra più adatto parlare di pigrizia». In fatto di eventi storici che hanno scandito la storia della stampa italiana, offre un prezioso contributo Stefano Menichini: «L’avvento della tv commerciale ha prodotto un’assoluta dominanza dei meccanismi me-

sostanziale riserbo sulle questioni personali di questo o quel personaggio pubblico».

Ulteriori elementi di analisi provengono dalle parole di Nicoletta Tiliacos: «Non è facile stabilire su due piedi quali processi ed eventi storici abbiano condotto alla situazione attuale – dice Tiliacos –, ma mi pare che la personalizzazione della politica abbia molto influito sul modo di fare informazione. La maniacale attenzione dedicata oggi a fatti privati, un tempo non meritava suoi quotidiani che brevi parentesi. Ma la mia è solo una constatazione. Ci sarebbe molto da discutere su cosa è meglio o peggio, in merito a vecchie e nuove abitudini della carta stampata». «A sfogliare i nostri giornali, si ha la sensazione che è forse arrivato a compimento quel lento trapasso dal primato delle idee a quello dell’ideologia – chiosa Alfatti Appetiti – Un tempo si assisteva a battaglie a mezzo stampa ispirate in primo luogo da contese culturali. Oggi i giornali hanno ceduto lo scettro alla battaglia politica pura. Un terreno di scontro irto d’insidie, tese da gruppuscoli e sottoreggimenti sempre più numerosi. La nostra stampa è attraversata da una sempre più netta libanizzazione, che trasforma uomini e cose in minuscoli lacerti da agguantare o scartare a seconda delle evenienze».

STEFANO MENICHINI «Più che di degrado, parlerei di confusione intenzionale tra cronaca, analisi e gossip. La stampa ha ormai mischiato insieme modalità di informazione che in altri Paesi sono separate da nette linee di demarcazione. Tutto è stato livellato verso il basso»

diatici sulla costruzione dell’opinione pubblica. La ricerca di stili sintetici, rapidi, pieni di colpi a effetto, ha sospinto anche i quotidiani a inseguire la televisione sul terreno della spettacolarizzazione. Una gara che ha prodotto come risultato il livellamento verso il basso di tutta l’informazione». Dai nuovi media a quelli nuovissimi come internet, il passo è breve. «La proliferazione di commentari, mezze testate e organi di stampa ufficiosi sulla rete – spiega Alessandro Giuli – ha impigrito buona parte dei professionisti dell’informazione, sempre più nevrotici e abituati a posture innaturali». Stefano Cappellini rileva invece che «Tangentopoli ha senz’altro alzato il livello dello scontro e ha accordato le battaglie giornalistiche su ottave più acute. Fino a venticinque anni fa vigeva un

E di libanizzazione, stavolta all’interno dei sindacati che rappresentano la professione, parla anche Aldo Forbice. «È stupido accanirsi contro le querele sporte da questo o quel politico, o promulgare iniziative in difesa della libertà di stampa. Ci dimentichiamo che a suo tempo, anche Prodi e D’Alema adirono le vie legali. E queste amnesie non fanno il bene del nostro sindacato, che esprime posizioni faziose». In mezzo a tanto sconforto, arriva uno spiraglio da Stefano Menichini. «La modernizzazione dei giornali, che peraltro ha premiato in fatto di vendite quelli più spregiudicati, ha dato la stura a una mescolanza di stili che però lascia qualche margine ai piccoli giornali. La loro sopravvivenza testimonia che tra i lettori c’è voglia di un’informazione diversa».


panorama

pagina 10 • 10 settembre 2009

Crisi. Trichet richiama i governi sulla finanza pubblica. E già si parla di nuovi salassi tributari...

Un fantasma si aggira per l’Europa di Gianfranco Polillo rimi segnali di incertezza nella gestione della crisi. Il tema della exit strategy - come rientrare dal debito e dal deficit - appena sussurrato nel corso di questa torrida estate, torna prepotente agli onori della cronaca. Merito o colpa di Trichet, il presidente della Bce, che ha voluto richiamare i governi. Attenti - ha detto - alle dinamiche di finanza pubblica. È necessario cominciare a pensare a come rimpinguare le casse dello Stato e rientrare dai debiti contratti.Preoccupazione subito raccolta dai paesi più indebitati. Da coloro, cioè, come Spagna ed Inghilterra, che hanno visto lievitare il loro debito pubblico ben oltre ogni limite di guardia. Quindi un nuovo salasso tributario? Non solo è presto per dirlo, ma forse è sbagliato. Dalla crisi non siamo fuori definitivamente. Il rischio di una prematura gelata fiscale avrebbe l’effetto di comprimere ulteriormente la domanda interna ed aggravare decisamente le condizioni del malato. Quindi: wait and see. Aspettiamo e vediamo.

P

I segnali sono ancora contraddittori. Le previsioni degli economisti, nel bel mezzo della tempesta monetaria, si sono dimostrate eccessivamente pessimistiche. Facile, quindi, l’accusa. Non avevano previsto l’insorgere della crisi. E per riscattarsi hanno dipinto un diavolo più brutto di quello che era.A difesa della categoria diciamo solo che non era facile mantenere dritta la barra del timone. La tempesta che ha scosso il mondo è stata improvvisa come un uno

ossessiva ai soli problemi di natura finanziaria. Come se fosse lì l’origine della crisi ed essa non scaturisse, invece, dai mutamenti intervenuti nei rapporti di forza a livello mondiale, con l’emergere di nuove potenze in grado di insidiare se non il primato tecnologico, almeno quello manifatturiero, dell’Occidente. Oggi il problema è quello di evitare nuovi errori. Occorre una politica economica che accompagni la necessaria riconversione delle vecchie economie. L’eccesso di attività finanziaria cosa che non sta avvenendo va sterilizzato. Negli Stati Uniti, durante il 2007, i profitti delle istituzioni finanziarie erano pari al 40 per cento del totale. Ma esse impiegavano solo il 5 per cento della forza lavoro. Una piramide a testa in giù che non poteva mantenersi in equilibrio.

Dalla crisi non siamo fuori definitivamente. Il rischio di una prematura gelata fiscale avrebbe l’effetto di comprimere ulteriormente la domanda

IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio

tsunami. Anche se negli anni passati, non si sono voluti vedere i sintomi premonitori: il doppio deficit americano, il progressivo indebitamento delle famiglie, l’eccesso di liquidità, la crescita esplosiva del valore degli asset, soprattutto degli immobili. Su ogni altra considerazione tecnica ha prevalso la ragion di Stato. George Bush sedeva al comando della più potente economia del mondo.Teorico di una politica imperiale non aveva le risorse, non solo economiche, ma politiche, per sostenerla. La teoria economia, grazie anche al contributo di molti Nobel, gli è andata incontro. Sono mutati i paradigmi: si diceva. Quel deficit crescente può essere finanziato dalla Cina, il Giappone, la Germania ed i paesi produttori di petrolio. Chi dubitava veniva messo all’indice. Non capiva che la new economy aveva vinto ogni legge di gravità. Poi il risveglio doloroso ed un’attenzione quasi

La situazione italiana, anche se i problemi non mancano, è meno esposta. Confindustria prevede un leggero contenimento della caduta del reddito - meno 4,8 per cento - rispetto alle ipotesi iniziali. Una buona notizia. Che dovrebbe, tuttavia, accompagnarsi ad un diverso atteggiamento delle banche. Avevano promesso, grazie anche ai paracaduti predisposti dal governo tramite la Sace e la Cassa depositi e prestiti, che il credito non sarebbe mancato. Promesse da marinaio. Fioccano, invece, le richieste di rientro. Ed è più facile passare per la cruna dell’ago che ottenere finanziamenti ad un tasso decente. Dovremmo intervenire, ma sinistra e sindacato hanno altro a cui pensare.

Chissà, forse qualche consiglio dall’ex allenatore potrebbe essergli utile

Maradona? Telefonasse a Ottavio Bianchi cusate se parlo ancora di calcio, ma la notizia merita i tempi supplementari: Maradona era un fenomeno come calciatore ed è un somaro come allenatore? La domanda è irriverente, ma non è arbitraria. I risultati del giocatore Maradona non si discutono - e soprattutto la sua genialità e la confidenza con il pallone, al di là dei “risultati” - ma le cose fatte come allenatore della nazionale argentina sono più che sufficienti per dire che Maradona non sembra essere un buon allenatore. Ma partiamo dalla notizia.

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Il Brasile, eterno rivale dell’Argentina, è qualificato al Mondiale del Sudafrica. A spese, per ora provvisorie, della nazionale allenata da Diergo Armando Maradona. I verdeoro hanno battuto in trasferta 3-1 l’Argentina. Allo stadio «Gigante de Arroyito» l’Argentina di Diego Armando ha subìto una sconfitta bruciante, che rende tra l’altro molto difficile, anche se non impossibile, il cammino verso il Sudafrica 2010. Nel suo girone è quarta alle spalle di Brasile, Paraguay e Cile, e rischia di dover affrontare lo spareggio con il quinto classificato del gruppo. Il Brasile ha vinto grazie alle reti di Luisao e Luis Fabiano (che ha fir-

mato una doppietta), mettendo in mostra un Kakà in forma e un gioco efficace sotto la guida del brasiliano, ma anche più pragmatico Dunga. Il gol della bandiera della Selecion è stato firmato dal «napoletano» Jesus Datolo. I tifosi argentini, molto delusi, hanno visto il loro idolo più faLionel moso, Messi, ingabbiato in un perfetto controllo difensivo del Brasile. Cosa dire a discolpa di Maradona? Che non ha tergiversato questo è un vizio solo italiano - e si è preso tutte le responsabilità della sconfitta cocente. Maradona è molto deluso ma non si arrende: «Dobbiamo continuare a lavorare e andare a prendere i tre punti in Paraguay, sarà dura ma possiamo vincere». Maradona, sentendo un clima pesante, ha anche subito chiarito che non ha intenzione di lasciare, che «vuole an-

dare avanti». Ne ha già parlato con Julio Grondona, presidente della Federcalcio argentina. Il suo impegno è “indissolubile”. Maradona è un lottatore e sa bene che a decretare la vittoria e la sconfitta, anche da allenatore, è soltanto il campo. Fin qui, come si dice, i fatti. Aspettando, però, il verdetto del campo da gioco, si può ragionare intorno alla figura di “Maradona allenatore”. Non è un mistero: il “Maradona giocatore” non ha mai avuto buoni rapporti con gli allenatori. Era un giocatore non facile da gestire: troppo ingombrante, troppo forte, troppo Maradona. Alla sua eccezionalità si aggiungeva anche un carattere non facile e una vita privata quanto meno disordinata. Hanno fatto la storia del campionato italiano le sue baruffe con l’allenatore del Napoli, il povero Ottavio

Bianchi che si trovò a dover amministrare il patrimonio argentino in salsa napoletana. Bianchi cercava di trattare Maradona come gli altri giocatori e pretendeva una sua presenza agli allenamenti. Maradona soffriva la disciplina dell’allenatore. Una volta, quando lo scontro era ormai dichiarato, disse: «Se l’allenatore è così importante, perché Bianchi non ha vinto lo scudetto con il Como?».

Una domanda retorica e cattiva che mise in crisi i rapporti tra Bianchi e il presidente Ferlaino.Tra Bianchi e Maradona non si poteva scegliere che el pibe de oro, naturalmente. Ma ora che non è in campo ma in panchina ad allenare la nazionale argentina, forse qualche consiglio dell’odiato Bianchi gli farebbe comodo. Maradona è Maradona, ma ciò che gli manca sembra essere quella parte razionale del calcio che forse non sarà fondamentale e determinante se hai in campo uno che si chiama Maradona, ma che è utilissima quando devi organizzare dei giocatori che non sono proprio dei “mostri sacri”. Qui anche la disciplina dell’ex allenatore del Como può più del genio senza regole di Maradona. Forse, una telefonata all’odiato Bianchi, Maradona potrebbe farla.


panorama

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Banche. Le misure decise dal Comitato di Basilea non piacciono al ministro, che continua a preferire il moralismo in salsa padana

Caro Tremonti, meno risse e più concretezza di Mario Seminerio ei giorni scorsi il Comitato di Basilea dei governatori di banca centrale e dei regolatori bancari ha disegnato le nuove linee-guida sul capitale di vigilanza degli istituti di credito, recependo le indicazioni emerse dai lavori dell’ultimo meeting dei G20, preparatorio del vertice di Pittsburgh. Si tratta di misure molto rilevanti e non cosmetiche, se calate in modo puntuale nell’operatività delle banche. Viene infatti previsto l’aumento qualitativo e quantitativo del cuscinetto di capitale di cui le banche dovranno dotarsi, con una ridefinizione del cosiddetto Core Tier 1, che verrà circoscritto a capitale azionario e utili non distribuiti.

questa linea di intervento, preferendo attirare l’attenzione su misure soprattutto populistiche quali il controllo dei bonus dei banchieri, sulle quali finora si sono concentrati soprattutto Nicolas Sarkozy, Angela Merkel ed il ministro italiano dell’Economia, Giulio Tremonti.

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Le banche avranno un limite alla leva finanziaria, il rapporto tra debiti e mezzi propri, che non potrà superare 25 volte. Previsto inoltre un meccanismo di rafforzamento anticiclico del capitale, per evitare l’alimentazione di bolle creditizie. I regolatori dovrebbero essere messi in grado di limitare dividendi ed acquisti di azioni proprie. La conse-

La polemica contro gli istituti di credito è solo l’ultimo episodio di una strategia di rottura che finora non ha dato alcun risultato tangibile guenza più immediata dell’adozione di tali misure sarà la necessità, per le banche europee (soprattutto quelle tedesche), di procedere a massicci aumenti di capitale, visto che negli scorsi anni gli adempimenti sul capitale di vigilanza

sono stati spesso rispettati con pratiche dette di regulatory relief, espressione che si potrebbe tradurre con “aggiramento delle regole”. Non è un caso che gli europei, soprattutto tedeschi e francesi, si siano detti in disaccordo con

Quest’ultimo, contro la crisi invoca da sempre un indefinito concetto di etica che si è finora tradotto, più che in interventi operativi, in precetti vagamente moralistici e recriminazioni contro banche e banchieri centrali. Per molti mesi abbiamo quindi avuto il tema dei cosiddetti legal standards, che ha avuto molto più spazio nell’asfittico dibattito politico italiano che nei consessi internazionali, dove ci si è limitati ad affermazioni di principio compendiate nel cosiddetto Lecce Framework, di cui si è oggi persa traccia. La polemica contro le banche italiane, ree di aver dapprima decretato un’accoglienza eufemisticamente tiepida ai “Tremonti bond” (gli strumenti ibridi tra capitale e debito destinati a rafforzarne il capita-

Benedetto XVI. Il messaggio del Papa ci ricorda la lezione di chi rischia il martirio ogni giorno

L’istinto missionario della Chiesa di Luca Volontè ssere missionari sembra diventare sempre più una professione, magari munifica sul piano dell’immagine pubblica? Benedetto XVI smonta anche questa nostra pigrizia mentale, questa abitudine molesta e soffusa che prende molto spesso il nostro modo di pensare ed agire nei confronti della testimonianza del Vangelo. Un esempio è il Messaggio alla Giornata Missionaria Mondiale che il Santo Padre ha voluto render pubblico negli scorsi giorni. Il Papa ci ripete cinque cose fondamentali, dobbiamo però fare lo sforzo, a mio avviso, di leggerle con la memoria rivolta alla sua recente Enciclica per riceverne piena luce.

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rano, si affaticano, gemono sotto il peso delle sofferenze (!) e donano la vita».

Si comprende così che lo scopo della Chiesa non sia quello di estendere il potere proprio, ma di «portare a tutti Cristo, la salvezza del mondo». Perciò, portare il Vangelo è un compito per i cristiani ma per l’umanità tutta. Secondo, l’anelito dell’inte-

Il compito dei cattolici non è quello di estendere il proprio potere, ma di diffondere il Vangelo, «portare a tutti Cristo, la salvezza del mondo»

Primo, il mandato missionario di Cristo è rivolto a far «discepoli tutti i popoli», perché tutte «le nazioni-diceva San Paolocammineranno alla sua luce». Questa è l’unica via dentro la quale i popoli e le nazioni del mondo potranno perseguire il loro cammino storico, si possano sentire parte dell’unica famiglia umana e raccogliere «sotto la paternità di Dio». Perciò, «i discepoli di Cristo sparsi in tutto il mondo ope-

ra umanità è appunto quello di «tornare alla sua sorgente che è Dio, nel quale troverà il suo compimento», attraverso la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. La missione della Chiesa, dunque, è quella di «contagiare di speranza tutti i popoli», una missione universale che deve diventare «costante fondamentale della vita della Chiesa... un impegno impreteribile e primario». Terzo, la Chiesa deve continuare il suo servizio nel mondo, «la sua missione non si esaurisce nella contingenza ma guarda ad «una salvezza trascendente». La Chiesa mira a trasformare il mondo con l’annun-

cio del Vangelo che «rischiara sempre di nuovo il mondo buio e ci dà coraggio di vivere ed agire e... in questo modo far entrare la luce di Dio nel mondo». Quarto, se la missione della Chiesa è annunciare il Vangelo, questo compito è maggiormente fondamentale oggi, «che i vasti e profondi mutamenti della società attuale rendono più urgenti». Il Papa lancia anche un grido drammatico che tocca il cuore di ciascuno di noi: oggi «è in questione la salvezza eterna delle persone, il fine e il compimento stesso della storia umana e dell’universo». Perciò la Chiesa deve impegnarsi fino in fondo, finchè la «sovranità salvifica di Cristo non sia pienamente realizzata». Quinto, c’è una testimonianza che implica anche il martirio, non in teoria ma in pratica. Questo vuole dirci infatti Benedetto XVI, ricordandoci «quelle chiese locali che si trovano a testimoniare e diffondere il regno di Dio in situazioni di persecuzione... fino al carcere, alla tortura e alla morte». Le Chiese sono vive? La prima verifica, dice Benedetto, è la spinta missionaria. È l’impegno per ciascuno di noi.

le Tier 1), ed oggi di considerarli eccessivamente costosi (sul piano economico e soprattutto dei vincoli politici), è solo l’ultimo episodio di una strategia di rottura dimostratasi finora retoricamente brillante ma non particolarmente produttiva sul piano dei risultati concreti. Che poi sarebbero il contributo alla ristrutturazione del sistema creditizio globale e la rimozione dei colli di bottiglia nell’accesso al credito per le imprese sane.

Quest’ultimo aggettivo è fondamentale, perché la perentoria richiesta di erogare credito a chiunque e purchessia, proveniente soprattutto dalla Lega (si veda il riferimento di Bossi ad una “banca pubblica” che agevoli l’erogazione di credito, nella migliore tradizione sudamericana più che padana) porterebbe, se realizzata, a minare dalle fondamenta il sistema creditizio italiano, compromettendo la capacità di crescita di lungo periodo dell’intero sistemapaese. Un sistema a cui servono decisioni operative piuttosto che risse quotidiane e declamazioni moralistiche.


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C’è un modo per andare avanti nel solco nietzscheano-heideggeriano che non risulti compromesso né coi fasc

Una modesta eresia di Franco Ricordi el panorama filosofico degli ultimi trent’anni c’è un evento che risulta, come diceva proprio Heidegger, «il più inquietante»: si tratta del tentativo, soprattutto in area francese e italiana, di concepire Nietzsche e Heidegger - certamente i due pensatori più acclamati e discussi della modernità - come due filosofi “di sinistra”, o per lo meno “vicini alla sinistra”.

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Se infatti dal dopoguerra agli anni ’70 le critiche della sinistra nei loro confronti non sono mancate, e spesso hanno voluto sottolineare le collusioni coi fascismi e con la cultura borghese dei due pensatori, la crisi del sistema hegeliano-marxista ha spinto alcuni illustri interpreti (in Italia pensiamo

anzitutto a Gianni Vattimo e Massimo Cacciari, filosofi ma anche politici di sinistra) ad ipotizzare una lettura sostanzialmente progressista, liberatoria ancorché tragica, dei due grandi maestri del nichilismo. E dire che Nietzsche si era visto etichettare le responsabilità dirette del nazismo, anzitutto attraverso le teorie del Superuomo, poi della Volontà di Potenza, dell’Anticristo. Poi, sul fronte femminista, il ricordo del suo Zarathustra che afferma «Devi andare dalle donne? Non dimenticare la frusta!» aveva contribuito non poco alla sua classificazione di destra. Ancor più immediata la collusione di Heidegger che, come ormai tutti sanno, ebbe proprio un “incidente biografico”: nel 1933 aderì al nazismo, pronunciando vari discorsi a favore del Fuehrer, anche per poter accettare il rettorato dell’Università. Heidegger si dimise dopo qualche tempo, ma purtroppo anche negli anni ’50 e ’60 non chiarì mai abbastanza il senso della sua posizione politica, lasciando una non irrilevante zona d’ombra. Così non fu difficile per il filosofo marxista Gyorgy Lukacs annoverare, nel celebre libro La distruzione della ragione del 1953, i due pensatori: direttamente responsabili, nel retaggio di Schopenhauer, dell’irrazionalismo filosofico e borghese del ‘900. E in area italiana, negli anni ’70, il filosofo Antonio Capizzi concepiva la filosofia nietzscheana come diretta responsabile dei fascismi italiani e tedeschi: che in tal caso venivano patrocinati dal pensiero liberale, ma che trovavano il loro maggior viatico nel «personaggio nevrotico e malaticcio di Nietzsche». Ma con la crisi causata dal ’68, e con quello che Lucio Colletti definì Tra-

monto dell’ideologia, ecco che proprio la stessa forza politico-ideologica che aveva sostenuto l’impianto hegelianomarxista cominciò a spostarsi proprio verso Nietzsche e Heidegger: nel recente libro di Jan Rehmann, I nietzscheani di sinistra, l’autore solleva diverse perplessità nei confronti di Foucault e Deleuze, responsabili di una interpretazione post-moderna di Nietzsche in chiave di decostruzione. Ma nel nostro paese, anche per il naturale retaggio culturale del Pci, è accaduto di peggio: alla delusione sessantottina, e agli epigoni ideologici di Marx rappresentati anche da Benjamin e Brecht (che comunque erano marxisti), sono stati sostituiti di sana pianta i due grandi «pensatori dell’Essere» Nietzsche e Heidegger. È evidente che in tal modo, magari anche attraverso l’avallo marxista di Sartre, la grande Seinsfrage, l’interrogazione sul senso dell’Essere che Heidegger ha rivalutato sul solco di Nietzsche, ha preso inevitabilmente una piega che si è qualificata in qualche modo di sinistra.

La profonda crisi del sistema hegeliano-marxista ha spinto qualcuno a ipotizzare una lettura progressista, liberatoria e tragica dei due grandi maestri del nichilismo L’egemonia italiana di sinistra è giunta fino a tal punto: è riuscita, dopo l’annessione quasi totale del mondo delle arti e della cultura verso i propri lidi, a politicizzare anche il discorso filosofico dei due grandi pensatori potenzialmente considerati di destra. Grottesco, ma vero! E il riflesso di questo atteggiamento si è esplicitato anche negli innumerevoli festival di filosofia che sono sorti negli ultimi anni dove, con qualche eccezione come quella rappresentata da Emanuele Severino, la tautologica tendenza politico-fi-

Dall’alto verso il basso: Karl Jaspers, Hannah Arendt, Hans Georg Gadamer, Emmanuel Levinas. Nella foto grande: Martin Heidegger. Nella pagina a fianco: Friedrich Nietzsche


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cismi né col socialismo reale? Quindi non “di destra” ma nemmeno “di sinistra”?

su Heidegger losofica e i naturali interlocutori risultano sempre schierati a sinistra. E certo una responsabilità non indifferente sta proprio nell’operato dei suddetti Vattimo e Cacciari: nel libro di Giuseppe Cantarano Immagini del nulla, si fa presente come, proprio attraverso di loro, il discorso “di sinistra” nietzscheano-heideggeriano si sia addirittura diviso in due: una sinistra più laica, rappresentata da Vattimo (e insieme a lui altri esponenti italiani come Rovatti, Eco, Ferraris, Perniola), e una più radicale sinistra operaista, rappresentata da Cacciari (e con lui anche Tronti, Marramao, Givone). Divisi a sinistra nel nome di Heidegger. È evidente che si è trattato di una ennesima appropriazione indebita, stante l’assoluta validità del progetto interpretativo di Vattimo - di cui ricordiamo il bellissimo libro del 1974 su Nietzsche Il soggetto e la maschera - come anche di Cacciari, il cui “neorazionalismo” si espresse nel folgorante successo del suo primo libro del 1977, Krisis, pensiero negativo e razionalizzazione. Ma in entrambi i casi l’interpretazione di Nietzsche e Heidegger è stata condizionata da un retaggio marxista assai forte e da una realtà culturale italiana ancora oggi del tutto deferente alla sinistra.

Tuttavia, di fronte ad un non meglio identificato panorama filosofico del secolo XXI, risulterà giusto chiedersi: c’è un modo per andare avanti nel solco nietzscheanoheideggeriano che non risulti compromesso né coi fascismi né col socialismo reale? Quindi non “di destra” ma nemmeno “di sinistra”? E soprattutto, c’è stato qualcuno dopo Heidegger che si è già adoperato in tale lavoro, che potremmo a buon diritto definire filosofico-politico? Vorremmo rispondere di si, ricordando almeno 5 grandi nomi: Karl Jaspers, Gunther Anders, Hannah Arendt, Hans Georg Gadamer, Emmanuel Levinas. In questi assistiamo ad una netta presa di posizione antinazista (Anders, Arendt, Levinas erano ebrei, Jaspers fu perseguitato perché era ebrea la moglie), ma altrettanto radicalmente anticomunista. Pertanto l’av-

versione verso il totalitarismo di sinistra è stato, nel pensiero dei 5 suddetti, altrettanto fondamentale. Ciò che promana anche da quella «urbanizzazione del pensiero di Heidegger», come è stata definita l’ermeneutica di Gadamer, è nell’insieme una nuova apertura al dialogo e ad una condivisione di valori etici liberalmoderati, che certamente rappresentano l’impostazione filosofico-politica di coloro che ci appaiono come i più importanti prosecutori del pensiero di Nietzsche e Heidegger. E allora, proprio di fronte al vuoto ideologico che si identifica oggi con la stessa crisi della s inistra, vorremmo proporre un più coerente ritorno a questi temi etici (con Levinas filosofo dell’etica moderata per eccellenza) che possano recuperare la lezione politica post-heideggeriana, e indirizzarla verso un sentiero più adeguato e consono alla sua stessa prospettiva.

Il recupero della loro filosofia non può non passare per un dialogo fra cristianesimo e ontologia, filosofia del linguaggio e temi etici, prerogativa di un liberalismo moderato Un sentiero, come amava Heidegger, “nel bosco”, non semplice da percorrere, ma certo importante da seguire. E’ il sentiero dell’apertura ad un pensiero liberal-moderato di cui sicuramente i giovani di oggi avvertono la necessità, ma del quale non conoscono i connotati, anche perché in balia di quel vizio di forma interpretativo della sinistra che ancora oggi pesa sulle loro spalle. E la crisi ideologica europea, forse in particolare nel nostro Paese, è dovuta anche a quel nodo irrisolto che soltanto ora sta venendo al pettine: l’appropriazione indebita, da parte dell’egemonia culturale della sinistra, delle tematiche ontologiche di due pensatori che sono stati forte-

mente legati - pur nella drammatica contraddizione - anche al Cristianesimo. Se Nietzsche ancora oggi viene paventato dalla massima autorità religiosa cristiana, si deve in realtà pensare come il suo Anticristo rappresenti un discorso di «oltrepassamento della metafisica», come rilevato bene dallo stesso Vattimo, che proponeva di tradurre il suo Super-uomo (Uebermensch) con Oltre-uomo. Con Nietzsche si fa ancor più evidente come il Cristianesimo resti l’evento più importante dell’Occidente, e il pensiero di Heidegger, che si proclama erede di Nietzsche, è profondamente intriso di un retaggio religioso cattolico. Heidegger dichiarava nella sua maturità come «senza la provenienza di studi teologici non avrebbe mai potuto incamminarsi verso l’avventura filosofica del suo testo più importante, Sein und Zeit, Essere e Tempo». «Ma provenienza», aggiungeva Heidegger, «significa sempre futuro». Questo per dire che il confronto con il Cristianesimo dei due grandi “pensatori dell’Essere” è stato fondamentale, e che il rilancio della filosofia nel secolo XX è passato per un essenziale dialogo con la stessa dottrina di S. Agostino, in tal senso considerato da Heidegger il primo pensatore esistenzialista della storia. Ecco dunque che il tentativo di recupero della filosofia di Nietzsche e Heidegger, e del loro significato anche politico, non può non passare per un dialogo essenziale fra cristianesimo e ontologia, filosofia del linguaggio e temi etici, che a noi sembrano oggi prerogativa di un liberalismo moderato co-

me si può configurare, in una nuova dimensione europea, nel secolo XXI.

Solo un nuovo liberalismo moderato potrà essere in grado di recuperare teoreticamente i temi di Nietzsche e Heidegger, e connetterlo in una più ampia convergenza dialogica fra laici e cristiani. Un liberalismo consapevole del fatto che, come affermava Lucio Colletti, dietro alla lezione di Marcuse che ispirò i movimenti del ’68 è già spuntata da molto tempo la testa

del suo maestro, appunto Heidegger. E che dunque anche quest’ultimo può risultare ispiratore di un’etica che sia per lo meno in grado di suscitare l’interesse dei giovani nel XXI secolo. Ma tutto questo dev’essere chiarito, e non può venire abbandonato ad una ennesima, indebita appropriazione di parte politica, immancabilmente erede del Pci, che pur nella sua mutazione genetica è rimasta imperante sul piano culturale, artistico e anche filosofico.


mondo

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Fenomeni. Nati per difendere l’operato dell’esercito britannico in Iraq, definiscono il jihad «la morte del multiculturalismo»

Hooligans vs. Allah La English League riunisce le tifoserie del Regno Contro l’avanzata dell’integralismo islamico di Massimo Ciullo l 9 marzo 2009, gli uomini del secondo Battaglione del Royal Anglian Regiment tornano a casa dopo due anni di servizio in Iraq e sfilano per le vie di Luton, nella contea di Bedford, tra due ali di folla festante. Ad accogliere i soldati britannici di ritorno da Bassora però, oltre a familiari e amici, c’è anche un gruppuscolo di militanti islamici che innalza cartelli con scritto “Soldati dell’Anglian andate all’inferno” e “Macellai di Bassora, codardi e assassini”. La polizia è costretta immediatamente ad intervenire, formando un cordone a protezione dei manifestanti islamisti, che rischiano il linciaggio da parte di una folla inferocita. L’episodio di Luton avrà una grande eco sui media britannici e parole di biasimo all’indirizzo dei dimostranti saranno spese sia dal primo ministro Gordon Brown sia da altre personalità politiche. Ma qualcuno non è soddisfatto dalla bolsa retorica politica del leader laburista e decide di passare all’azio-

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ne. È così che nasce la English Defence League, «semplici cittadini britannici che vogliono combattere contro l’estremismo islamico», come si presentano sul loro sito. La Edl opera di concerto con un’altra sigla, i Casuals United, che riunisce la crema dell’hooliganismo britannico. Molti dei membri fondatori della Edl provengono infatti dalle fila

porre la sharia anche ai sudditi di Sua Maestà. Sia la Edl che i Casuals United si definiscono anti-razzisti; in un’intervista al Times, Jeff Marsh, uno dei leader dell’organizzazione, già membro della più famigerata banda di hooligan gallesi, la Cardiff City Soul Crew, ha affermato che la sua organizzazione raccoglie «un gruppo multirazziale di

IIl gruppo è stato fondato «per protestare contro il governo che permette ai dispensatori di odio di vivere nel nostro Paese mentre raccolgono fondi per finanziare il terrorismo internazionale» del tifo violento del Regno Unito. «Basta continuare a lamentarsi nei pub, è ora di uscire per le strade ed agire, prima che sia troppo tardi», si legge in uno dei loro proclami diffuso via internet. La Edl si ritiene l’avanguardia nella battaglia per lo “spirito britannico” contro le quinte colonne dell’islam radicale, “il nemico interno”, che vorrebbe im-

cittadini inglesi, dagli uomini d’affari agli hooligans», che intendono opporsi pacificamente all’islamizzazione dell’Inghilterra. «Tutto nasce dall’idea di riunire i tifosi del calcio, dimenticando le loro stupide rivalità, per organizzarli in un movimento nazionale», spiega il leader dei Casuals. All’idea hanno aderito diverse tifoserie, dal Leeds ad

entrambe le squadre di Manchester. A Londra, i primi a schierarsi sono stati i temuti gunners dell’Arsenal.

Nel loro proclama di adesione si legge che il gruppo è stato fondato «per protestare pacificamente contro il governo che permette ai dispensatori di odio islamici di vivere tranquillamente nel nostro Paese mentre raccolgono fondi per finanziare il terrorismo, oltraggiare i nostri soldati e di imporre la sharia anche su di noi». Marsh, che vanta una fedina penale di tutto rispetto, è anche impegnato nelle attività di

supporto organizzate dai familiari dei soldati al fronte, tramite il sito Armchair Warriors. Entrambi i gruppi fanno largo uso dei social-network per cercare nuovi adepti alla loro causa. Su Facebook esistono almeno 40 gruppi che in qualche modo si richiamano all’Edl o ai Casuals. I membri delle due organizzazioni sono stati accusati di avere stretti legami con il British National Party e il National Front, le sigle dell’estremismo xenofobo anglosassone. La Edl ha smentito categoricamente qualsiasi affiliazione con il partito guidato da Nick Griffin, la cui elezione al

Massima allerta a Londra per la grande manifestazione anti-islamica prevista davanti alla moschea di Harrows

Il prossimo appuntamento è per l’11 settembre lcune organizzazioni anti-islamiste britanniche hanno deciso di commemorare l’anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle con una grande manifestazione davanti alla moschea di Harrow, una delle più grandi di Londra. Le autorità della capitale sono in allarme e temono che possano scoppiare nuovamente violenti scontri tra opposte fazioni, come quelli accaduti lo scorso week-end a Birmingham, che hanno portato all’arresto di 90 persone. Il raduno è stato promosso dalla Stop the Islamisation of Europe (Sioe), un movimento con base in Olanda, che sta raccogliendo proseliti in tutta Europa. Lo sceicco Haroon, in rappresentanza dell’Harrow central mosque, ha chiesto «alle autorità locali e alla polizia di non concedere l’autorizzazione a manifestare». Le preoccupazioni del religioso riguardano l’affollamento che si potrebbe produrre davanti al luogo di culto, in un venerdì di preghiera, che potrebbe provocare attriti tra i manifestanti e i fedeli musulmani. «Ci saranno almeno 200 o 300 persone che verranno per

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la preghiera del venerdì. Le reazioni potrebbero essere diverse, se verranno provocati. Comunque ci sarà la polizia e noi avremo il nostro servizio di sicurezza» ha aggiunto lo sceicco. Anche le organizzazioni antirazziste hanno annunciato una contromanifestazione a supporto dei credenti islamici e contro l’islamofobia incoraggiata da gruppi razzisti e neonazisti.

Unite Against Fascism (Uaf) e Socialist workers hanno comunicato che protesteranno pacificamente contro l’intolleranza xenofoba dei partiti di estrema destra, anche se nessun membro del British National party ha appoggiato la manifestazione indetta per domani. Anche il Sioe ha comunicato che i suoi sostenitori non hanno alcuna intenzione di provocare disordini e agiscono rispettando alla lettera tutte le prescrizioni provenienti dagli organi di polizia. Sul sito degli anti-islamisti olandesi sono presenti le regole di comportamento per poter partecipare alla manifestazione londinese: non possono partecipare partiti politici; so-

no banditi simboli dei totalitarismi come «la svastica, la falce e martello o la mezzaluna»; sono vietati canti e slogan razzisti. I manifestanti potranno intonare cori solo contro la sharia e l’islamizzazione dell’Europa ed esibire vessilli europei o della propria nazione. Il motto del Sioe è: «Il razzismo è la forma più bassa di stupidità. L’islamofobia è la più alta del buonsenso» e i suoi membri affermano di non credere nella possibilità di un islam moderato. Stephen Gash, uno dei leader della sezione inglese del movimento, ribadisce che non si può essere accusati di razzismo se si è contro l’estremismo islamico e se la prende con i media occidentali, troppo teneri o paurosi quando si tratta di portare alla luce i comportamenti immorali messi in atto dai musulmani nel mondo intero. L’accusa di essere dei neonazisti poi, non ha alcun fondamento secondo Gash. L’esponente del Sioe ha confermato di aver rifiutato il supporto di gruppi apertamente razzisti come Combat 18. Inoltre ha invitato i reporter a far vedere da quale parte stanno coloro che bruciano le

bandiere di Israele, innalzano cartelli con scritto “Dio benedica Adolf Hitler” e si producono nel saluto nazista.

La Sioe ha confermato che al suo fianco scenderanno anche i membri della English Defence League, i British Citizens against Muslim Extremist, il gruppo March for England e il movimento per un Iran secolare e democratico. Nonostante le rassicurazioni provenienti dalle opposte fazioni, le autorità di Londra non si fidano e intendono procedere con molta cautela e con un notevole dispiegamento di uomini e mezzi. Non si sono ancora spente le polemiche che hanno investito la polizia di Birmingham per aver permesso ad un centinaio di scalmanati di mettere a ferro e fuoco il centro della città, terrorizzando passanti e cittadini durante lo shopping di finesettimana. È la partecipazione della Edl a preoccupare maggiormente le autorità londinesi. La presenza nei suoi ranghi di molti hooligan del calcio, legati alla sigla Casuals United, fa (m.c.) temere nuovi incidenti.


mondo

Un anno di scontri e manifestazioni 18 Gennaio: dimostranti filo-talebani attaccano la polizia durante una manifestazione per la libertà in Pakistan 28 Febbraio: militanti musulmani legati a Choudari marciano per rivendicare l’applicazione della sharia 9 Marzo: i soldati del Royal Anglian Regiment vengono insultati da un gruppo di estremisti islamici 24 Maggio: English Defence League e Casuals United manifestano contro l’estremismo islamico. 4 Luglio: dimostrazione della Edlcontro l’islamizzazione del Regno Unito. Tafferugli con le forze dell’ordine 8 agosto: scontri tra giovani delle minoranze etniche contro dimostranti della Edl 30 Agosto: giovani pakistani si scontrano con la polizia

Tutte le sigle dell’estremismo English Defence League: associazione che si batte contro il radicalismo e contro l’imposizione della sharia Casuals United: ex hooligans che hanno deciso di impugnare la bandiera dell’anti-islamismo British National Party: principale formazione xenofoba che propone una politica estremamente restrittiva nei confronti degli immigrati National Front: partito storico della destra estrema. Oggi è minacciato dalla concorrenza da destra del Bnp. Combat 18: gruppo a cui aderiscono i cosiddetti “bonehead”, neonazisti United against Fascism: formazione di estrema sinistra. Il suo antifascismo militante si caratterizza per l’estrema aggressività nei confronti di militanti dell’estrema destra

Parlamento europeo, ha destato grande scalpore nel Regno Unito. L’avanzata dell’estrema destra britannica ha delle spiegazioni abbastanza condivise da politologi e storici. Dopo il voto europeo, Il Guardian ha chiesto ad alcuni maitre-à-penser la loro opinione sul ringalluzzito nazionalismo british. Per Michael Burleigh, caporedattore della rivista conservatrice Standpoint, i partiti di estrema destra «cambiano una volta raggiunto il potere. Il Bnp è ancora ostile all’Ue ma sta moderando i suoi toni razzisti». David Stevenson dell’Lse pensa che «la parabola del Bnp assomigli molto all’ascesa di Jean-Marie Le Pen nella Francia degli anni ottanta. Il leader del Front National riuscì ad intercettare il voto dei comunisti transalpini delusi dal Pcf, così come il Bnp sta sfruttando il crollo verticale dei laburisti. Lo stesso parallelismo si potrebbe operare in Italia con la Lega Nord». Eric Hobsbawm, parla apertamente della crisi della sinistra: «La sinistra europea si basava su una classe operaia che non è più quella di prima, e per recuperare consensi dovrà elaborare una nuova identità».

Lo stesso Chancellor Alistair Darling ritiene che il successo del Bnp sia responsabilità della squadra di governo e della delusione da essa suscitata nell’opinione pubblica. Secondo Richard Overy, Professore di Storia alla Exeter University, la perdita di fiducia verso il Parlamento, insieme al crescente sentimento di nazionalismo e di allarme verso il terrorismo, «hanno creato le condizioni per il sostanzioso bottino di voti portato a casa dal Bnp: nondimeno questa scelta “estrema” può essere anche vista come un sintomo della crisi piuttosto che come un segno di effettivo sbilanciamento dell’opinione pubblica». David Stevenson, Professore di Storia Internazionale alla London School of Economics and Political Sciences, arriva a meravigliarsi del’esiguità del voto di protesta inglese: «La recessione, il crescente flusso di immigrazione e il coinvolgimento di tutti i maggiori partiti nello scandalo delle spese parlamentari erano tutte carte che potevano giocare solo in loro favore, ed è in qualche modo sorprendente che il successo non sia stato più eclatante». Sunny Hundal, editore di Asians in Media, afferma che l’atteggiamento dell’establishment nei confronti del Bnp è soprattutto derisorio. Ma il partito dovrebbe essere preso sul serio, perché ha dimostrato di poter ottenere più di 100mila voti in una sola regione: «Siamo sul punto di sprofondare in una guerra razziale? Ne dubito. Lo stesso Bnp ha moderato i propri toni man mano che si avvicinava al potere, a quanto pare non è più un partito razzista, il che dovrebbe essere una delusione per molti dei suoi sostenitori, fieri di essere razzisti».

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Il governo: il 40 per cento dei crimini è commesso da non inglesi

Ma i razzisti sono i nuovi immigrati N

el 2006, grazie alla legge sulla libertà d’informazione, vengono resi pubblici i dati riguardanti gli omicidi a sfondo razziale commessi nel Regno Unito tra il 1995 e il 2004. I documenti riservati del ministero degli Interni capovolgono l’opinione dominante per cui la maggior parte degli attacchi razzisti sono compiuti da soggetti bianchi contro vittime appartenenti a minoranze etniche. Si scopre così, con grande sorpresa dell’opinione pubblica, che più del 40 per cento degli omicidi a sfondo razziale è opera di membri di gruppi etnici minoritari. La scoperta provoca un intenso dibattito sulle questioni legate all’integrazione e al multiculturalismo nella società britannica. Le autorità inglesi cercano di giustificare la loro ritrosia nella pubblicazione dei dati, celandosi dietro la foglia di fico del “politicamente corretto”. La polizia sostiene che il timore di alimentare tensioni tra le diverse comunità ha portato a sottostimare le violenze compiute nel passato decennio contro cittadini bianchi ed è stata propensa ad una sovraesposizione dei casi in cui le vittime erano appartenenti a gruppi etnici non-bianchi. Peter Fahy, capo della Polizia dello Cheshire e portavoce sulle questioni razziali dell’Associazione dei Capi di Polizia, ha affermato che era estremamente difficile suscitare l’interesse dei media quando la vittima dell’omicidio era un giovane uomo bianco. Molti dei suoi colleghi hanno rivelato che per paura di essere criticati, non hanno mai enfatizzato i casi di violenza contro persone non appartenenti a gruppi etnici minoritari. Grande eco invece hanno avuto i casi di giovani di colore come Stephen Lawrence, ucciso nel 1999, o di Anthony Walker, di Liverpool, massacrato a colpi di ascia da un gruppo di teppisti bianchi, mentre aspettava l’autobus. Meno noto il caso di Kriss Donald, un ragazzotto di Glasgow, rapito, torturato e dato alle fiamme da un gruppo di ragazzi anglo-pakistani, nel marzo del 2004. Per il suo omicidio è stato riconosciuto colpevole Daanish Zahid, un giovane di origine pakistana, che avrebbe agito per motivi razziali.

politici britannici nell’affrontare i casi di attacchi a sfondo razziale contro soggetti bianchi sta nel timore di aumentare il consenso dell’uomo della strada nei confronti delle formazioni dell’estremismo xenofobo britannico. L’ex-ministro per la Coesione delle Comunità, Phil Woolas, nel 2003 ammise che la “political correctness” aveva impedito di lanciare moniti più severi contro il razzismo al contrario. «Il risultato che abbiamo ottenuto - disse ancora il ministro - è stato che nessun parlamentare ha mai condannato gli attacchi da parte di persone di colore o asiatiche contro cittadini bianchi» per non surriscaldare un situazione di per sé esplosiva. Nel 1999 la Commission for Racial Equality ha pubblicato un rapporto dove veniva evidenziato che la maggior parte dei reati a sfondo razziale erano compiuti contro cittadini bianchi che però, costituivano il 94 per cento della popolazione.

Il dibattito sulle race relations o sulle ethnic relation ha una storia pluridecennale nell’isola di Albione. Nel 1976, il Race Relations Acts, ha imposto alle autorità locali di eliminare ogni forma di discriminazione e promuovere l’uguaglianza di opportunità tra i diversi gruppi etnici. Ma i legislatori britannici, più che puntare sull’integrazione dei singoli, hanno preferito concedere ampi spazi di manovra alle “comunità etniche”, ben rappresentate nelle amministrazioni locali. Ciò ha consentito di accettare una sorta di autogoverno delle minoranze etniche, ma ha aumentato le pulsioni segregazioniste presenti all’interno della società britannica. Ragion per cui, più che di modello multirazziale, bisognerebbe parlare di sistema multirazzista. Negli ultimi anni, il tanto decantato approccio multiculturale britannico sembra non funzionare più. Gli immigrati di prima generazione, nel secondo dopoguerra, arrivavano nel Regno Unito pensando di sbarcare nella “madrepatria” e con una grande voglia di integrazione. I loro figli e nipoti invece, vedono nella proposta integrativa una minaccia per la loro identità e vanno alla ricerca delle loro radici, anche se questo significa abbandonare lo stile di vita occidentale per entrare in una madrassa in Pakistan e abbracciare la Jihad proposta da Al-Qaeda, come è avvenuto per alcuni degli attentatori della metropolitana di Londra del luglio 2005. (m.c.)

La polizia inglese sostiene che il timore di alimentare tensioni tra le diverse comunità ha portato a sottostimare le violenze compiute nel passato decennio contro cittadini bianchi

Sempre nel 2004 a Londra , Christopher Yates, un trentenne bianco che stava rincasando, nella periferia orientale di Londra, fu massacrato a pugni e calci da una banda di ubriachi d’origine asiatica. Un’altra giustificazione addotta dalle autorità e dai


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pagina 16 • 10 settembre 2009

Diritto. Grande attesa per la sentenza di estradizione per Cesare Battisti RIO DE JANEIRO. Entro poche ore il Supremo Tribunal Federal, la più alta istanza giuridica brasiliana, si pronuncerà sulla sorte di Cesare Battisti. Le strade che potrà percorrere sono due: rigettare la richiesta di estradizione per incompetenza, riconoscendo al Ministro della Giustizia la facoltà esclusiva di concedere o meno l’asilo politico; o dichiarare incostituzionale l’art. 33 della legge brasiliana che concede tale attribuzione al Guardasigilli e, quindi, giudicare nel merito la richiesta italiana. A quel punto la decisione è tutta nelle mani dei giudici federali. Queste ore di attesa che ci separano dalla decisione del Supremo (come qui chiamano con l’informalità tipica brasiliana l’equivalente della nostra Corte Costituzionale) possono servire a porci la più ovvia e la più difficile delle domande: che decisione prenderemmo se fossimo noi i giudici, se fossimo noi riuniti in camera di consiglio? Un aggettivo volutamente provocatorio, “difficile”, perché in realtà - osservata dall’altro lato del mondo - l’opinione pubblica italiana pare aver trovato sul tema una compattezza che le è usualmente estranea. Per dirla tutta, la sentenza nient’affatto sofferta nel suo responso sarebbe: estradizione! Ma è tutto così semplice? L’Italia è vittima di una sconcertante ingiustizia, sottoposta - per dirla con Francesco Merlo - a un arrogante vaglio di democraticità da parte del paese delle favelas e dei meninos di strada? È vero che la spiegazione che il Ministro della Giustizia brasiliano Tarso Genro ha dato al rifiuto di concedere l’estradizione è francamente irritante. Giustificando la concessione dell’asilo politico sulla scorta di un concreto pericolo di persecuzione del quale Battisti sarebbe vittima in Italia, il Guardasigilli ha sposato in pieno la tesi delirante dell’avvocato della difesa, peraltro ex compagno di partito e sodale di lunga data del Guardasigilli. Come se ciò non bastasse, l’invito poco diplomatico di Genro a lasciarci alle spalle gli anni di piombo ad imitazione del Brasile poggia su di una errata percezione di due realtà diametralmente opposte: in Brasile gli anos de chumbo hanno indicato il periodo più repressivo della dittatura militare, in concomitanza con la presidenza del sanguinario generale Médici; in Italia hanno contrassegnato il periodo dell’attacco alla democrazia da parte degli “opposti estremismi”. In un caso, quindi, lo Stato impose gli anni di piombo, nell’altro li

Il bivio di Brasilia

L’Italia preme per far rientrare il terrorista di Massimo Sciarretta

Due strade per la Corte costituzionale: rigettare la richiesta di estradizione per incompetenza o dichiarare incostituzionale l’art. 33 della legge subì, sicché il paragone - e l’invito al “volemose bene” appaiono irricevibili. Tuttavia, qualora ci trovassimo dinanzi a un giudizio nel merito, il Supremo Tribunal Federal dovrebbe compiere un giudizio di valore sulle garanzie processuali offerte dal nostro codice di procedura penale. A tal riguardo, la legge brasilia-

na - differentemente dalla nostra - non riconosce la possibilità di condanna unicamente basata sulla prova testimoniale. Né - ma questo è un fatto comune a molti altri ordinamenti, da quello francese a quelli dei paesi di common law - rende possibile l’instaurazione di un processo in contumacia. Questo se i giudici

del “Supremo”dovessero valutare il caso solo alla luce della legislazione ordinaria.

Ma così non sarà, dato che il nostro Paese, per uscire vincitore dagli anni della “guerra civile a bassa intensità”, come la definì Giovanni Pellegrino, si dotò per l’occasione di una legislazione speciale che ha

storicamente creato dubbi di costituzionalità nel dibattito interno e giudizi di anti-democraticità tra svariati osservatori all’estero, tanto che Battisti è solo l’ultimo dei tanti dinieghi che l’Italia ha dovuto digerire nel corso di questi anni. Si è soliti dire che il diritto parla, è elemento vivo, il portato delle convinzioni e delle convenzioni della comunità sociale e politica in un determinato periodo storico. Già, ma a chi parlano i provvedimenti adottati dalle leggi emergenziali in tema di associazione eversiva? Sicuramente parlano a noi italiani, parlano la nostra lingua, descrivono la volontà di mettere la parola fine ad una storia fatta di sangue innocente, di tragedie collettive e personali, per diradare quella cappa di angoscia pesante come il piombo di quegli anni. Ma se come nel caso di Battisti quelle norme parlano una lingua qui sconosciuta (non tanto e non solo nell’idioma, quanto piuttosto in termini di memoria storica e, quindi, di sensibilità sociale) ecco che le cose acquistano, per l’appunto, una coloritura più sfumata esigendo, pertanto, un’analisi meno manichea.

La frase con cui il Ministro della Giustizia brasiliano accusò senza mezzi termini l’Italia di essere ancora ferma agli anni di piombo è sotto questo aspetto emblematica: non si può pretendere la stessa carica emozionale da chi quella storia non l’ha vissuta, distante migliaia di chilometri e decine di anni. Vista da migliaia di chilometri di distanza, come a volo d’uccello, la sensibilità si riduce, ma magari si acquista in contropartita il vantaggio di una migliore visione d’insieme, e allora l’idea di considerare le tragedie italiane passate come un evento collettivo mondiale cessa di essere un dogma per divenire punto di domanda, elemento di riflessione, nell’interesse di chi ha a cuore che l’Italia conservi il suo spirito autocritico che tutto il mondo ci invidia, che ad esso segua o meno l’estradizione di questo rivoluzionario da operetta, assassino di un macellaio per educarne cento. Avvocato, ricercatore di storia contemporanea presso la Universidade Estadual do Rio de Janeiro


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10 settembre 2009 • pagina 17

L’ordine di Putin: nelle scuole il testo di Alexander Solzenicyn

Nell’azione militare sono morti il rapitore e un collega afgano

In Russia “Arcipelago Gulag” diventa obbligatorio

Kunduz, un blitz libera il giornalista del NY Times

MOSCA. Da campione della

KABUL. Il giornalista irlandese

dissidenza ai tempi dell’Urss a materia d’obbligo scolastico nella Russia putiniana: è la singolare parabola di Aleksandr Solzenicyn, il Premio Nobel per la letteratura autore di Arcipelago Gulag, la monumentale denuncia delle atrocità dei campi di sterminio staliniani che ora diventerà testo obbligatorio in tutte le scuole secondarie del Paese. I difensori dei diritti umani plaudono perché si tratta di una significativa svolta culturale in un Paese che tende a rimuovere i crimini staliniani o a riabilitare la figura del dittatore, come testimoniano recenti manuali di storia ispirati dall’entourage del Cremlino nell’ultima fase della presidenza di Vladimir Putin. Ma l’introduzione tra i banchi di scuola della piu’ famosa e sconvolgente opera di Solgenytsin, anche se annunciata dal ministro della pubblica istruzione Andrei Fursenko, è stata voluta dallo stesso Putin, come ha rivelato la vedova dello scrittore, Natalia, per la quale si tratta di un «avvenimento grande, sostanziale e significativo». Con questa iniziativa il premier sembra aver intrapreso un prudente percorso critico nei confronti di Stalin, di cui recentemente ha anche condannato il patto di non

del New York Times Stephen Farrel è libero. È costato la vita a 4 persone il blitz compiuto la notte scorsa nel nord dell’Afghanistan dalle unità speciali dell’Isaf, la Forza Internazionale di Assistenza per la sicurezza sotto comando Nato, che lo ha strappato dalle mani dei talebani, che lo avevano rapito sabato scorso nella provincia settentrionale di Kunduz insieme a un collega afghano, Mohammad Sultan Munadi. Nell’operazione Munadi è morto insieme a un militare britannico e ad altri due civili, tra cui una donna, che era forse complice dei carcerieri. Sembra fossero per la maggior parte americani le “teste di cuoio”im-

Teheran: ancora arresti nella notte Sembra infinita la vendetta del regime iraniano di Antonio Picasso ltri due arresti illustri a Teheran. Tra la sera di martedì e ieri, è stata la volta dell’ex sindaco della capitale, Morteza Alviri, e di Ali Reza Hosseini-Beheshti. Rispettivamente vicini a Mehdi Karroubi e a Mir Hossein Mousavi, i due principali esponenti dell’opposizione riformista scesa in piazza per contestare le elezioni che, attraverso brogli e atti di forza, hanno confermato Mahmoud Ahmadinejad alla presidenza del Paese. Per entrambi gli arrestati, si tratta di un intervento decretato direttamente dalla Corte rivoluzionaria iraniana. L’accusa è di aver svolto attività sovversiva nelle settimane seguenti al voto del 12 giugno e di aver guidato le proteste di piazza. Sia Alviri sia Beheshti stavano conducendo un’indagine sulle condizioni degli arrestati tra i manifestanti. I due attivisti volevano far luce appunto sui sospetti che nelle carceri si stiano perpetrando violazioni dei diritti umani. Stupri, pestaggi, torture, fino ad arrivare a casi di esecuzioni sommarie. Questo è quanto si sospetta stia accadendo nelle galere iraniane dopo le contestazioni. Le stime, peraltro quelle ufficiali, parlano di oltre 70 morti tra i fermati, senza specificarne le cause. Vittime che si vanno ad aggiungere alle altre centinaia che hanno perso la vita durante gli scontri. Lo zelo della repressione nasce dall’entrata in funzione delle nuove nomine al vertice della Giustizia iraniana. Il Procuratore generale della Corte rivoluzionaria, Saeed Mortazavi, è stato una figura centrale durante i giorni delle manifestazioni. Firmando oltre 600 ordini di arresto, si è guadagnato gli appellativi di “torturatore di Teheran”, ma soprattutto di “macellaio della stampa”. Con l’avvento del nuovo governo Ahmadinejad, è entrato nel pool di Gholam-Hossein Mohseni-Eje’i, Procuratore generale della Repubblica anch’egli fresco di nomina, assumendo quindi un doppio incarico, in quest’ultimo ufficio e in quello presso la Corte rivoluzionaria. Una decisione voluta espressamente dal nuovo Ministro della Giustizia, Sadeq Larijani, fratello del più noto Ali,

A

attuale Presidente del Parlamento (la Majilis). Nella sua generalità, il nuovo governo è sotto l’esame del Consiglio dei Guardiani, l’organo di cui la Guida suprema Ali Khamenei è a capo e che è preposto a controllare, supervisionare e ad avere l’ultima parola nell’amministrazione politica dell’Iran.

A questo proposito, bisogna ricordare che Ahmadinejad ha vissuto non poche difficoltà nel far approvare la lista dei suoi ministri dal Parlamento. L’opposizione non è giunta solo dalla ristretta rappresentanza riformista che ha ancora facoltà di parola in seno alle istituzioni. Bensì dalla componente ultraconservatrice - influenzata dal Consiglio - che non ha visto di buon occhio la scelta di inserire un ministro donna, Marzieh Vahid Dastjerdi, al dicastero della Salute. Non a caso le proposte avanzate dal Presidente per i ministeri dell’Energia, dell’Istruzione e del Welfare sono stati bocciati. È naturale, di conseguenza, la decisione di coloro che hanno ottenuto la fiducia di assumere un comportamento irreprensibile ed estremamente rigido. Da Larijani fino ad arrivare a cascata alle singole Procure - come nuovi incorruttibili Saint-Just in abiti da mullah - si è voluta adottare una linea di ferrea censura nei confronti di qualsiasi esponente dell’opposizione sul quale penda anche il minimo sospetto di aver preso parte alle manifestazioni. La giustizia degli ayatollah si sta imponendo con uguale determinazione nei confronti di chiunque. Il regime si è reso conto che una parte del movimento riformista è cresciuta come una fronda scomposta e pericolosa all’interno della sua stessa nomenclatura. Lo dimostra Beheshti, che è il figlio dell’ayatollah Mohammad, strettissimo collaboratore dell’ayatollah Khomeini assassinato nel 1980 dalle forze anti-rivoluzionarie. Come pure Alviri, che è stato sindaco di Teheran. Ma lo confermano ancora meglio Karroubi e Mousavi, oggi leader delle contestazioni, ma in passato con ricoperto incarichi di primo piano nel governo del Paese.

La Corte rivoluzionaria ha ordinato il fermo dell’ex sindaco della capitale e del figlio di un alleato di Khomeini

aggressione sovietico-tedesco Molotov-Ribbentrop, definendolo «immorale». Putin, ex capo dell’Fsb, l’erede di quel Kgb che perseguitò Solzenicyn, rese omaggio allo scrittore visitandolo nella sua dacia alle porte di Mosca, prima che morisse un anno fa. Ne elogiò la figura e le opere, compreso quel nazionalismo patriottico che tanto bene si sposa con la sua linea politica. In ogni caso l’incontro segnò la definitiva riconciliazione del cantore del gulag con il suo Paese. Soddisfatti i difensori dei diritti umani: «Servirà anche alla causa della destalinizzazione», ha osservato il responsabile dell’ong Memorial Arseni Roghinski.

pegnate, con il supporto di elicotteri e truppe regolari afgane. Una volta libero, il giornalista ha raccontato di aver visto il compagno morirgli di fronte, centrato alla fronte da un proiettile quando ormai sembrava che tutto si fosse concluso nel migliore dei modi. «Eravamo chiusi in una stanza», ha spiegato. «All’improvviso tutti i talebani si sono messi a correre di qua e di là, era ovvio che era in corso un’irruzione». I due ostaggi sono scappati all’aperto, ma «ci piovevano addosso proiettili da ogni parte». Il giornalista ha precisato inoltre di non sapere da quale parte provenissero i colpi di arma da fuoco che hanno falciato il collega afgano. Il governatore provinciale, Mohammad Omar, a caldo aveva invece dichiarato che a eliminare Munadi sarebbero stati gli stessi talebani. Prosegue nel frattempo la diatriba relativa alle elezioni presidenziali del 20 agosto, quando si votò anche per le provinciali. La proclamazione del vincitore slittera’ molto probabilmente oltre il 17 settembre a causa delle inchieste sulle denunce di brogli. Lo dice il presidente della Commissione reclami, Grant Kippin, aggiungendo che è impossibile conoscere l’entità delle frodi fino a quando l’inchiesta è in corso.


cultura

pagina 18 • 10 settembre 2009

Cartolina da Venezia. L’attore e regista italoamericano ci racconta il suo legame con il Belpaese. Annunciando un lavoro su Calvino...

«Anche io sono italiano» A tu per tu con John Turturro, interprete di “Prove per una tragedia siciliana” di Andrea D’Addio

VENEZIA. Sono passati vent’anni da quando il grande pubblico conobbe John Turturro. Canottiera bianca senza maniche, un grembiulone macchiato di sugo e farina, un viso sempre sudato: era Pino, il polemico italoamericano pizzaiolo di Fa la cosa giusta. Da allora quest’attore nato a Brooklyn nel 1957 ha lavorato altre sette volte con Spike Lee (l’ultima lo scorso anno con Miracolo a Sant’Anna) ed è diventato uno degli interpreti preferiti dei fratelli Coen (quattro pellicole con loro, tra l’indimenticabile ruolo di Jesus, il perverso giocatore di bowling, in Il grande Lebowski). Nel 1997 diede il volto a Primo Levi in La tregua di Francesco Rosi. Da allora, in mezzo a tanti film commerciali che lo hanno reso uno dei più importanti e ricercati caratteristi di Hollywood, Turturro ha coltivato un sempre più profondo interesse per l’Italia, la terra dei suoi genitori. Papà leccese, mamma siciliana, entrambi figli di emigrati: se è vero che più si invecchia, più si cerca di capire se stessi partendo da ciò che erano i nostri avi, Turturro (classe 1957) ora ce la sta mettendo tutta. Due anni fa portò in scena per i teatri italiani la commedia di Eduardo De Filippo Questi fantasmi, a breve cominceranno le riprese di un progetto sulla tradizione musicale napoletana e, soprattutto, è in questi giorni impegnato a Venezia nella presentazione di Prove per una tragedia siciliana. Qual è la particolare relazione che da sempre lega la Sicilia al concetto di morte? È cercando di rispondere a questa domanda che Turturro ha filmato (assieme al suo amico Roman Paska) il suo recente viaggio nella terra dei pupi, un fil rouge attraverso cui cercare di evocare

quell’unicità di caratteri e memorie che rendono i siciliani un popolo unico. Per chiedergli di questo e del suo rapporto con il nostro Paese, abbiamo incontrato John Turturro. Giacca marrone a quadri arancioni, camicia azzurra, nessuna cravatta, occhiali da vista con montatura nera: se dovessimo dare un giudizio dall’apparenza, diremmo che si tratta di uno di quegli intellettuali pronti a discutere di tutto sempre sorridendo, pronti ad ascoltare e ad intessere discussioni su qualsiasi argomento senza alcun tipo di presunzione. Scopriremo poi che è proprio così. La sua padronanza dell’italiano è buona se si tratta di ascoltare, meno se deve esprimersi, e così l’intervista si fa in inglese. «Sarò pronto per la prossima», ci dice prima di iniziare. Come mai un viaggio e un film in Italia a questo punto della sua carriera? Era un progetto a cui pensavo da anni, ma per cui avevo avuto delle difficoltà per trovare il giusto tempo da dedicargli. Non volevo avere fretta e allo stesso tempo volevo avere delle idee chiare su quale struttura avrebbe avuto la storia. Quando ormai avevo organizzato il tutto e il viaggio era pronto, è morta mia madre. Questo episodio mi ha legato ancora di più a questo progetto. Scoprire dove fosse nata la mia nonna materna prima di partire per gli States, capire cosa avesse visto e cosa, di quello, avesse trasmesso prima a mia madre e poi a me, è diventato un obiettivo che va ben al di là del mio interesse per il film. In Prove per una tragedia siciliana lei si avvalso delle collaborazioni di artisti siciliani molto importanti e caratteristici: il bravissimo puparo Mimmo Cuticchio, l’attrice Donatella Finocchiaro e il teatrante specializzato in tradizioni popolari Vincenzo Pirrotta. In più, ad iniziare e concludere il film c’è la voce di Andrea Camilleri. Su che base ha scelto i suoi compagni di viaggio? Mi interessava la scoperta di un’isola meravigliosa, e per farlo non bastava recarcisi e inquadrare i luoghi: bisognava far parlare le persone, quelle che non devono studiare per parlare della loro terra perché sono loro stessi la loro terra. Conoscevo Andrea Camilleri per averne letto alcuni romanzi una volta che, per un film, mi recai in Francia. Anche lì lui è conosciutissimo. Il resto è stato casuale: non cercavo personaggi, ma persone e quelle che ho trovato sono le più interessanti che si potessero immaginare. È par-

A destra, l’attore e regista John Turturro. Sotto, alcuni fotogrammi del documentario da lui firmato e interpretato “Prove per una tragedia siciliana”. Nella pagina a fianco, Michele Placido, al Lido di Venezia con il film sul ’68 “Il grande sogno”

tendo da loro che sono nati i loro ruoli, non il contrario. Cosa si porta dietro di quest’esperienza? Tantissime emozioni e una maggiore consapevolezza di me stesso, da dove provengo e da dove nasce la mia sensibilità. Riesco ora a capire che cosa significasse quella strana sensazione che ebbi riguardando il mio primo film da regista, Mac. Era il 1992, quando finii di montarlo e vidi la versione completa definitiva, la mia reazione fu quella di avere realizzato un film straniero, lontano dalle classiche atmosfere americane seppure fosse lì che lo avessi girato e fossero americani gli interpreti. Ci si rende conto di chi si è spesso solo attraverso le proprie azioni: io ho capito di avere una sensibilità diversa, più europea, riguardando quel film e mi rendo conto sempre più di avere un animo italiano, ogni volta che ritorno qui, quando vivo, parlo e guardo come un italiano. I miei figli si chiamano Amedeo e Diego, non voglio che perdano il contatto con il passato della nostra famiglia. Qual è l’aspetto della Sicilia che l’ha più colpita? La sua inafferrabilità, la continua sensazione che nella passione che i suoi abitanti mettono dentro ad ogni cosa che li interessi davvero, ci sia comunque sempre un nucleo di pensieri e significati che chi viene da fuori non può carpire. E così tutto diventa un conti-


cultura

10 settembre 2009 • pagina 19

L’unico ruolo azzeccato è quello di Nicola, perché autobiografico

“Il grande sogno” che farà discutere

Un film riuscito a metà quello di Michele Placido, con troppi personaggi stereotipati e prevedibili di Alessandro Boschi

VENEZIA. «Non era così». Questa la frase pronunciata da

nuo rivelarsi, non c’è un punto di arrivo nell’indagine perché dietro ad ogni velo, anche quelli più spessi, ce ne è un altro. La sua storia di riscoperta delle proprie origini è per lei accumunabile a quella che probabilmente vivranno in futuro le seconde e terze generazioni di persone che ora immigrano in Europa? Immigrare e confondersi in mezzo a quella che diventa la propria nuova terra lo definisco un atto di re-invenzione. Per quanto sia impossibile negare l’importanza di un’accettazione di valori condivisi tra gente proveniente da mondi diversi per potere vivere con rispetto e senza attriti culturali, dall’altra è fondamentale tenere sempre a mente chi si è, da dove si arrivi, chi è venuto prima di te e chi verrà dopo. Molta gente purtroppo quasi nega le proprie origini, disconosce qualcosa che è invece parte di lui, che lo definisce. È successo in passato America, rischia di accadere anche in Europa e nuovamente in America dove sono cambiati i flussi di immigrazione. Trovare il giusto equilibrio, senza imposizioni e radicalismi, è forse la sfida più grande della nostra società occidentale. Oltre al film sulla musica napoletana, pensa di lavorare ancora in Italia? Sto pensando ad un adattamento teatrale delle novelle popolari di Italo Calvino. È un autore che apprezzo molto, capace di intrattenere e far riflettere attraverso metafore sempre ardite e avvincenti. Vedremo.

alcuni sessantottini (ex sessantottini, ovviamente) seduti vicino a noi nella sala Darsena al Lido di Venezia dopo la proiezione de Il grande sogno, il film di Michele Placido dedicato a quell’anno cruciale. In quel periodo il regista, come il protagonista interpretato da Riccardo Scamarcio, era un poliziotto alle prese con una crisi di coscienza che lo avrebbe poi portato a congedarsi dal corpo e a diventare un attore. E proprio il personaggio di Nicola, forse perché autobiografico, è il più riuscito del film, a fronte degli altri che troppo spesso appaiono stereotipati e prevedibili. Il film non è decisamente riuscito, nonostante Placido dimostri ancora una volta che la regia e a direzione degli attori sono la cosa che gli riesce meglio. Un po’perché, come dicevamo in apertura, una lettura soddisfacente del ’68 rappresenta un ossimoro, e così le sue rappresentazioni, e poi perché una storia autobiografica difficilmente permette al suo autore di riuscire ad avere una visione un minimo obiettiva, in cui i poliziotti sono tutti marci o se ne vanno dalla polizia, come fa il protagonista. Due note a margine: all’inizio del film, prodotto da Medusa al pari di Baarìa, i soliti cretini (non esiste un altro termine) hanno gridato i soliti “buuuu”. Però, costoro, ci dovrebbero spiegare perché si è creato questo paradosso, e cioè che Medusa sembra produrre solo film “comunisti”.

La seconda annotazione è che Michele Placido ha dichiarato che se dovesse pensare ad una persona cui dedicare il film questa persona sarebbe Dino Boffo, persona «che si muove con lo spirito sessantottino di libertà». Ora, cribbio (citazione), non credete che definire l’ex direttore de L’Avvenire un vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro sia un po’ un’esagerazione? Insomma, questo benedetto ’68,“se lo conosci, lo eviri”. Il film ha anche dei lati positivi, innanzitutto la descrizione della famiglia cattolica da cui proviene Laura, il personaggio di Jasmine Trinca (con un Popolizio davvero superlativo). E poi il cammeo di Tatti Sanguineti, tagliato in sede di montaggio. Naturalmente non vi diremo se la cosa notevole è la sua presenza o la riduzione della stessa. Di certo il film di Michele Placido farà discutere. Anzi, le discussioni sono in verità iniziate ancora prima che il film si vedesse. Ma questa è una caratteristica piuttosto diffusa, cioè parlare di una cosa senza conoscerla. D’altra parte il conoscerla potrebbe poi influenzarci sul giudizio che già ci siamo fatti. Cosa che peraltro è successa anche a chi vi racconta la Mostra da queste colonne. Il film di George Romero, pardon, i film di George Romero compreso questo Survival of the dead in concorso, sono dei capolavori. Perché Romero ci è molto simpatico e perché a volte, dire che un film ci piace perché ci piace, è una innocua tautologia. Il film è una specie di western che si svolge in un’isola e che

vede contrapposti due capifamiglia. Uno vorrebbe sterminare tutti gli zombie del mondo, e l’altro, specialmente se gli zombie gli sono parenti, vorrebbe insegnare loro a cibarsi non di umani ma, che so, di cavalli e maiali. Così crea dei recinti, diciamo pure delle stalle, dove questi non morti aspettano che le cose migliorino. Cosa che avviene sempre troppo tardi. La metafora potente della società ha purtroppo oramai lasciato il passo alla ricerca dell’escamotage, della storia piccola dentro la storia più grande. Peraltro tutti i grandi registi fanno sempre lo stesso film, e Romero, signori, è un grande regista. Abbiamo anche visto Lebanon, diretto dal regista Samuel Maoz nato a Tel Aviv. Questo è un film che potrebbe anche vincere qualcosa di importante. Perché è il tipico film “da concorso”, si svolge tutto dentro un carro armato e gli attori sono bravissimi. La storia si svolge nel 1982 e racconta la prima guerra del Libano, cui il regista partecipò, e durante la quale uccise un uomo: «Non lo feci per scelta, né perché mi era stato ordinato. Fu un’istintiva reazione di autodifesa, un gesto privo di motivazioni emotive o intellettuali». L’angoscia che il film comunica è davvero potente, e non c’è un istante in cui i novanta minuti della durata risultino pesanti. Dimostrando che è sempre lo stile, di regia e recitazione, a determinare la sostanza di una pellicola. Concedeteci di dedicare le ultime righe alla scomparsa di Mike Bongiorno, che col cinema ha avuto un rapporto forse non stretto ma importante. Registi come Camillo Mastrocinque e Giulio Petroni, rispettivamente per Totò lascia o raddoppia e La vita a volte è molto dura, vero Provvidenza? lo vollero per fargli recitare il ruolo che gli riusciva meglio, vale a dire se stesso, vale a dire il conduttore di telequiz. Mike Bongiorno in realtà non recitava mai, era sempre coerente, di fronte alla telecamera o lontano da essa. Mike era una persona divertentissima, ma crediamo che non sempre se ne rendesse conto, o volesse rendersene conto. Forse era l’unico personaggio davvero coerente di quell’assurdo circo chiamato televisione.

In quel periodo il regista, come il protagonista interpretato da Riccardo Scamarcio, era un poliziotto alle prese con una crisi di coscienza che lo avrebbe poi portato a congedarsi dal corpo e a diventare un attore


cultura

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si è giunti ad un momento in cui i finanziamenti dalle banche sono stati elargiti troppo generosamente durante una fase prolungata di boom nel mercato immobiliare.

a letteratura economica non ha mai vissuto un momento così fiorente, non ha mai raggiunto una diffusione così popolare come in questi anni. Parole come credit crunch, derivati o mutui subprime, tassi euribor, overnight, sono divenute locuzioni verbali comuni, tranquilli argomenti di discussione per un caffè al bar dello sport tra una schedina e il superenalotto. Che non sia questo un settore dal disperato bisogno di un qualche “stimulus” il lettore interessato può facilmente desumerlo dal numero di pubblicazioni sulla crisi, tutte più o meno orientate ad una critica scandalizzata sul capitalismo, ma con qualche eccezione.

L

Mettendo infatti da una parte i libri focalizzati su una tematica in particolare come il complesso Lecturing birds on flying di Pablo Triana (John Wiley, pagg. 400), testo dedicato alla stigmatizzazione di una categoria professionale, i matematici che negli anni passati prestarono la loro opera (pure premiata da premi Nobel) alla costruzione di modelli alla base della disastrosa stagione dei derivati a go go o analisi interessanti ma parziali, come

Editoria. Il boom della letteratura economica nell’era del “credit crunch”

In libreria, gli scaffali sono pieni di crisi di Giampiero Ricci di Guy Sorman, enocounters books, pagg. 250. Gamble è professore alla Università di Cambridge e il suo libro è un manuale di storia economica degli ultimi trenta anni che arriva alla conclusione di come il mondo della alta finanza sia stato, quello tra i settori economici che maggiormente ha beneficiato della rivoluzione li-

cato, l’arretramento dello Stato nell’economia e la sua privatizzazione sono stati capaci di ricostruire l’est europeo, hanno migliorato le condizioni di vita di più di ottocento milioni di persone tra la Cina, l’India e il Brasile e tutto ciò è potuto avvenire grazie ad una rivoluzione scientifica, tecnologica, figlia proprio di quel li-

Per quanto sia difficile avere una prospettiva storica su di un fatto troppo recente resta da dire circa il romanzo della crisi dei nostri giorni, che esso manca ancora di una visione o di una profezia coerente su quello che ci attende: la Grande Depressione spalancò l’evo del Welfare, il Credit Crunch non è ancora ben dato capire cosa. Certamente la crisi ha reso impietosamente non competitivi quei Paesi che in nome della stabilità sociale rinunciano alla crescita, al progresso e mettono quindi in pericolo il benessere nel lungo periodo, magari appoggiandosi ad una retorica anti-capitalista per trovare sponde intellettuali e culturali nei rispettivi Paesi. In un recente articolo apparso su Forbes, André Glucksman ha ricordato la profezia sulla eredità tragica che il capitalismo avrebbe lasciato alla sua scomparsa, contenuta in un carteggio tra Engels e Marx, un carteggio dove parole come il sistema della libera oscilla-

berismo che oggi si vorrebbe buttare a mare. Se per Gamble la lezione che la prolungata crisi economica che viviamo ci impartisce è rappresenta dall’aumento della spesa pubblica di cui le nazionalizzazioni sono l’emblema, per Sorman essa è invece rappresentata dalla spinta ad incrementare i propri rispar-

È uno dei pochi mercati che non sembra avere alcun bisogno di “stimulus”. E quasi tutte le pubblicazioni sembrano orientarsi verso una critica, più o meno scandalizzata, del modello capitalista occidentale quella di Philip Augur (Chasing Alpha, The Bodley Head, pagg. 259) sulla centralità del perverso rapporto tra investitori e banche nella scalata alla voragine cui si è assistito, i libri che appaiono meglio rappresentare lo spettro interpretativo sulla stagione che si vorrebbe in fretta archiviare sono The Spectre at the Feast di Andrew Gamble, Palgrave Macmillan, pagg. 184 ed Economics Does not lie

berista portata avanti da Margaret Thatcher e Ronald Reagan.

Le continue nazionalizzazioni di prestigiose istituzioni finanziarie, di banche e quant’altro, non sarebbe che un fatto capace di dirla lunga sulla correttezza di quelle politiche. Per Guy Sorman, già professore al Paris Institute of Economics, giornalista francese, invece il capitalismo di mer-

Per Guy Sorman, il capitalismo di mercato e l’arretramento dello Stato nell’economia sono stati capaci di ricostruire l’est europeo, migliorando le condizioni di vita di più di ottocento milioni di persone tra la Cina, l’India e il Brasile

mi ovvero a tenere in una percentuale maggiore per sé i soldi che si guadagnano. Letture antitetiche quelle di Gamble e Sorman eppure entrambe direttrici di pensiero che si divaricano da un comune punto di partenza: questa crisi in fin dei conti, derivati o non derivati, non è poi molto diversa dalle grandi crisi economiche che si sono succedute nella storia del capitalismo, laddove

zione delle monete era il “dominio del dollaro”, il credito “usura”, gli utili “extra-profitti”, concetti divenuti in breve i capisaldi del disprezzo per la libera intrapresa e per il “privato” tout-court. Poi accadde che il diciannovesimo secolo trasformò quei concetti anti-capitalisti in programmi politici e il ventesimo condusse il mondo per un lungo viaggio nell’inferno proprio in nome della loro applicazione.


spettacoli

10 settembre 2009 • pagina 21

Musica. Un mondo fantastico e terribilmente arcano quello cantato nell’ultimo album (di successo) “The Hazards Of Love”

Il salto all’indietro dei Decemberists di Alfredo Marziano Slick (che la Worden, nei panni della regina cattiva, ricorda in modo impressionante), i Deep Purple di In Rock e Fireball. E persino i sulfurei Black Sabbath dei tempi di Ozzy Osbourne, nei riff hard rock della chitarra elettrica: ma con una leggerezza di fondo, una fantasia giocosa e un senso di divertissement che rendono accettabili e giustificati anche i plagi più evidenti. «Una favola nello stile di Chaucer», ha scritto il critico Bud Scoppa sul mensile musicale inglese Uncut e non è un paragone campato in aria: Meloy è un giovane erudito che ama i romanzi di Nabokov, la poesia di Dylan Thomas, le commedie di Tom Stoppard, i quadri di Balthus.

o dice uno che se ne intende: secondo Scott McCaughey, polistrumentista tuttofare e fedele spalla dei R.E.M., «Portland è la nuova Seattle». «Una bellissima fusione di pensiero liberale moderno, ma con molto ancora di quella vecchia atmosfera un po’ruvida da città di frontiera del nordovest», spiega in un’intervista al sito musicale italiano Rockol.it. È la città del verde e delle rose, della birra e della pioggia, dei caffè e delle librerie. Un posto dove anche i mendicanti sul marciapiede ti chiedono i soldi per potersi comprare un tascabile, insieme a una tazza di latte caldo. È anche la città dei Decemberists: quanto di più lontano da Seattle, dai Nirvana e dai Pearl Jam si possa immaginare.

L

Con l’ultimo disco The Hazards Of Love, uscito a fine marzo e da molti già pronosticato tra i candidati ai Grammy, hanno fatto un altro salto in avanti. O uno spettacolare tuffo all’indietro, considerando che le canzoni evocano un mondo fantastico e arcano, le avventure di due amanti in fuga da una malvagia Regina delle Foreste e da un terribile padre infanticida. Come in un libro di favole horror dell’era precinematografica e pretelevisiva, o nei racconti illustrati di un cantastorie dell’Ottocento. Con quel nome che è tutto un programma, ispirato a un movimento insurrezionalista nella Russia zarista del diciannovesimo secolo, i Decemberists suonano, si vestono e si comportano come se fossero indecisi in quale epoca abitare: abiti da coloni e faccette buffe da secchioni del college, chitarre elettriche e ghironde, organi Hammond e dulcimer, batterie e autoharp, mandolini e sintetizzatori.Tre lodatissimi album da indipendenti, zeppi di canti marinari e di fiabe allegoriche, miti e leggende rivisitati, brillante folk rock e humour irresistibile. Poi il temuto (dai fan) passaggio alla major Capitol/EMI per un disco ancora più ambizioso e articolato, The Crane Wife, che nel 2006 ha venduto 300mila copie a dispetto del bizzarro tema di fondo rubato a una antica fiaba giapponese: una gru che diventa donna grazie all’amore di

ra l’esistenza. Non così i Decemberists, topi da biblioteca che amano rovistare tra gli scaffali polverosi. Sono cresciuti con la musica dei R.E.M. e gli Smiths di Morrissey (l’Oscar Wilde del pop inglese anni Ottanta), ma presto hanno cominciato a guardare molto più indietro: alle delicatezze malinconiche dei Fairport

Le canzoni parlano di due amanti in fuga da una malvagia Regina delle Foreste e da un terribile padre infanticida. Come in un libro di favole horror precinematografiche e pretelevisive un uomo, prima che la curiosità di quest’ultimo spezzi l’incantesimo condannandola per sempre alla sua natura animale. E ora addirittura una “rock opera” (“Un musical mancato”, lo ha definito il leader del gruppo Colin Meloy), allestita attingendo al meglio dell’indie rock angloamericano: Robyn Hitchcock e Jim James dei My Morning Jacket, Shara Worden dei My Brightest Diamond e Becky Stark dei Lavender Diamond. Patito del folk revival inglese degli anni Sessanta, Meloy ha tratto titolo e ispirazione da un Ep del 1966 di Anne Briggs, zingaresca e misteriosa cantautrice di cui il 99 per cento dei suoi coetanei igno-

Convention di Sandy Denny e Richard Thompson, alle favole crudeli e surreali dei Genesis di Nursery Cryme, al virtuosismo strumentale di Emerson, Lake & Palmer, al folk rivisitato e al progressive, ormai totalmente sdoganato dall’antica scomunica dei punk rockers. The Hazards Of Love recupera l’idea del concept album, e solo qualche anno fa sarebbe sembrata ancora una bestemmia. Nella ciclicità dei suoi temi musicali come nel simbolismo eccentrico del suo “libretto”rimanda ai tempi di Tommy degli Who, allargando ancora i riferimenti musicali passatisti: i Jethro Tull di Ian Anderson, i Jefferson Airplane di Grace

In alto, un’immagine della band Decemberists. Qui sopra, la copertina del loro ultimo album “The Hazards Of Love”, dove il gruppo fa un vero e proprio tuffo all’indietro cantando un mondo fantastico e terribilmente arcano

La sua curiosità intellettuale, spiega, è influenzata dalla vicinanza con l’oceano e i suoi orizzonti infiniti, oltre che dal ricco retroterra culturale di Portland: molte delle sue canzoni migliori prendono spunto dalla lettura, storie trovate per caso o approfondite spulciando saggi di storia e libri per bambini. Meloy coltiva il suo lato infantile: di lì la confessata, irresistibile attrazione per le storie orribili e raccapriccianti, per i climi e le culture esotiche. Un escapista che si rifiuta di guardare in faccia alla realtà? «No, non credo», si difende lui. «Vivo nel presente, ma il passato e il mondo fantastico mi forniscono più spunti e più argomenti su cui scrivere». Sembrano degli Hamish in libera circolazione nel rutilante mondo del pop, i Decemberists, ma non sono così ingenui e spaesati come danno a vedere: tra i primi in assoluto, qualche anno fa, a cavalcare il temuto BitTorrent e il file sharing pirata per diffondere in maniera “virale” il divertente video della canzone 16 Military Wives, tuttora una delle più apprezzate del repertorio. Pensavano di poter piacere «soltanto a un manipolo di laureati disincantati» (ancora Meloy), e invece rischiano di diventare addirittura un gruppo «da classifica». Come i Fleet Foxes e Bonnie “Prince” Billy, come i Vetiver e Devendra Banhart, hanno riportato in auge un modo desueto di fare dischi, una sensibilità antica. Anche se nessuno, in fondo, mostra il loro coraggio e la loro sfrontatezza, quella stessa voglia irriverente di giocare. Ai tempi di Clash, Sex Pistols e Ramones, nel fatidico 1977, sarebbero stati ostracizzati, imbavagliati, emarginati. Più semplicemente, non sarebbero neanche nati.Trent’anni dopo abbeverarsi alle antiche sorgenti sembra essere rimasta una delle poche possibilità di rigenerazione del rock. Una musica che, avvolta a spirale su se stessa, si morde la coda per sentirsi ancora viva.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

da ”The NewYorker” del 14/09/2009

Mamma mia! l’inflazione di James Surowiecki economia non va ancora bene, la disoccupazione continua ad aumentare e i consumatori non hanno ancora tanta voglia di metter mano al portafoglio. Un clima più che adatto per parlare di… inflazione? In apparenza sarebbe così e le grida sul pericolo che riparta la dinamica dei prezzi si sentono sempre più forti. Tenendo conto dell’aumento del deficit pubblico sulla spesa, e dell’enorme massa di soldi che la Federal reserve ha iniettato nell’economia, molti temono «che si inneschi un’inflazione fuori controllo» che potrebbe portare al collasso della moneta verde. A meno che la Fed non riesca a frenare queste dinamiche. Staremo affrontando un aumento di prezzi che il senatore Charles Grassley ha definito «iperinflazionistico». Molti americani non sanno se riusciranno a tenersi il posto di lavoro e dobbiamo temere di precipitare in una situazione simile a quella dello Zimbabwe? Naturalmente nei numeri tutta questa inflazione non si vede. L’indice dei prezzi al consumo in luglio è addirittura calato. E lo scorso anno si è avuta una diminuzione del 2% del costo della spesa dei cittadini americani. Né ci sono altri segnali che indicherebbero l’arrivo di questa vaticinata inflazione. Anche l’indice obbligazionario per il futuro è stabile: gli investitori non vedono nessun aumento all’orizzonte. Così il tasso sui prestiti rimane basso. Potrebbe mai il governo Usa emettere titoli di debito, cioè chiedere denaro in prestito per i prossimi dieci anni, pagandolo a meno del quattro per cento, quando si prevede una spirale dei prezzi a due cifre? A livello teorico la spesa tramite indebitamento pubblico e i recenti interventi della Fed potrebbero creare una certa pressione inflazionistica. Ma in questo caso non è successo, perché sono andati a contrastare il calo dei consumi e delle attività

L’

economiche. Il governo chiede sempre più soldi in prestito, ma consumatori e imprese sempre di meno. Anche il denaro che la Fed ha pompato nel sistema bancario è rimasto in gran parte nei forzieri, non è entrato nel circolo dell’economia. Le banche hanno ora riserve per centinaia di miliardi di dollari. Se la definizione spicciola d’inflazione è troppi soldi per pochi beni, allora possiamo dire che troppi dollari non ci sono proprio in circolazione. Nell’economia reale abbiamo una produttività della forza lavoro tremendamente alta, con una dinamica salariale praticamente ferma. Con dei margini di miglioramento sulla produttività che non possono essere sfruttati e la gente che continua a perdere il lavoro.

Allora perché mai dovremmo avere paura dell’inflazione? Forse è solo il timore che questo fenomeno sia poco controllabile. L’anno scorso, grazie soprattutto al picco del petrolio e degli alimentari c’era stata una lieve ripresa dei prezzi, poi rientrata. Anche allora i falchi della «paura inflazione», che stavano sia dentro che fuori la Fed, affermavano che fosse un fenomeno più pericoloso della recessione. Questo mentre ogni mese gli Usa perdevano centinaia di migliaia di posti di lavoro. Però tutto questo allarmismo qualche effetto l’ha ottenuto. Tra aprile e ottobre 2008 la Banca centra Usa, mentre la recessione avanzava, non ha tagliato i tassi d’interesse. Così gli investitori sono diventati più cauti e la gente ha preferito tenersi i soldi sotto il cuscino. E la Fed non quella che si è comportata peggio. In Europa a luglio

la Banca centrale (Bce) addirittura li alzava i tassi. Proprio all’inizio della grande crisi mondiale. Controllare l’inflazione è uno dei principali compiti delle banche centrali, senz’altro, ma spesso è la paura di non poter controllare il fenomeno che guida le scelte. Negli ultimi novanta anni gli Usa hanno avuto un solo periodo cartterizzato dalla crescita generalizzata dei prezzi: gli anni Settanta. Alla base c’è un approccio culturale puritano. Come se fossimo sempre sul punto di peccare, di piegarci agli istinti più deleteri. Questo non significa che il denaro facile sia sempre una cosa giusta, crea bolle speculative, cattive abitudini e non fa valutare bene i rischi. Oggi che siamo agli inizi di una ripresa, è più pericolosa la stagnazione dell’inflazione. Altrimenti commetteremo lo stesso errore del 1937 quando il governo, vedendo che l’economia stava riprendendosi dalla Grande depressione, rialzò le tasse e il costo del denaro facendo ripiombare il Paese in una crisi che durò fino alla Seconda guerra mondiale.

L’IMMAGINE

Usiamo le giuste e dovute precauzioni per andare in piscina a rinfrescarci Con il caldo per rinfrescarsi non c’è di meglio che farsi un bel bagno in piscina. Occorre attenzione perché il rischio di prendersi una dermatite, cioè un’infiammazione della pelle causata da muffe, batteri e virus, c’è poiché le superfici e l’acqua di piscina possono provocare qualche problema dovuto alla scarsa igiene. L’acqua della piscina contiene microrganismi che si nutrono delle varie sostanze organiche in essa contenuti. Per questo è filtrata e disinfettata. L’operazione avviene con il cloro, che elimina il problema ma che a sua volta può provocare irritazione del naso, delle orecchie e degli occhi; per questo motivo, chi fa uso frequente e prolungato della piscina, è bene che usi occhiali, tappi per le orecchie e pinzette per il naso. Un forte odore di cloro non è un buon indicatore della mancanza di inquinamento dell’acqua di piscina; il motivo è dovuto al fatto che il cloro si lega alle sostanze organiche presenti nell’acqua stessa ed è da questi composti che emana il caratteristico odore.

P.M.

LE GIUSTE POSIZIONI Le parole di Frattini sulla strage di civili in Afghanistan sono state opportune ma soprattutto di carattere, perché lungi da essere critiche con il proprio mandato ma anche lungi da accettare tutto solo per un proposito di fermezza, si è ribadito l’importanza di un compito che è tutto italiano, cioè difendere la popolazione dalle bombe talebane che sono contro la pace e i propositi del nostro incarico. Non si può accettare però che si innescano raid generico solo per obiettivi generici.

Bruna Rosso

L’IMPORTANZA DI UN PASSATO VALOROSO Il fallimento lento e incisivo delle trascorse politiche sullo sviluppo

del Mezzogiorno ha creato un dato incontrovertibile: l’esasperazione degli umori sia al nord che al sud. In sintesi, non ci si fida né dell’uno né dell’altro e si ha la netta sensazione che per superare i problemi politici, occorrerà prima superare molte prevenzioni e resistenza che stanziano nelle due parti del nostro stivale. I governi trascorsi hanno in un primo tempo spostato l’asse sociale del Paese al sud, per poi scoprire che al nord esistevano le stesse cose del meridione anche se la differenza la faceva l’atteggiamento della popolazione. Eppure siamo prossimi ad una ricorrenza, quella dell’Unità d’Italia che al di là di chiacchiere inutili, dovrebbe far capire che è invece il territorio che può vincere su tutto, ovvero i giovani devono

Piccola centrale di energia Tredici volte più sottile di un capello è impossibile vederlo senza il microscopio elettronico. Piccolo ma utilissimo. Il mitocondrio è un organulo cellulare, presente nel citoplasma dove avviene la respirazione cellulare. Il meccanismo attraverso il quale le cellule ricavano l’energia necessaria al loro metabolismo. I mitocondri sono numerosi nei tessuti e negli organi che hanno bisogno di maggiore energia

scoprire il loro territorio, e lavorare sulle sue potenzialità senza cedere agli interessi e alla voglia di fuggire. Se così si facesse, realtà conclamate come i successi di aziende a Gioia Tauro e in Sicilia, l’Interporto di Nola, e le scoperte nel sottosuolo della Basilicata, potrebbero diventare la base di partenza di molte potenzialità storiche, come lo sono state per i nostri

avi le opere di popoli valorosi che hanno abitato in tempi lontanissimi questi stessi luoghi.

B.R.

UN SORRISO BEFFARDO Le dimissioni di Boffo non potranno costituire alcun boomerang per il governo, perché esse sono state una libera decisione nata da convinzioni personali che non posso-

no essere funzione di fatti mediatici. Magari la stessa cosa succedesse in Campania, dove per ben altri motivi ma comunque riconducibili a questioni di responsabilità, amministratori e primi cittadini dell’opposizione che hanno fallito sono ancora saldi al loro posto e sorridono beffardi, per vittorie ottenute dal nostro governo.

Gisella


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dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Vorrei essere lontano da tutto Caro Theo, grazie per la tua lettera arrivata oggi; ho molto da fare e quindi scrivo di fretta. Ho consegnato la tua lettera a zio Jan, il quale ti ringrazia e ti saluta. Mi ha colpito una tua frase: «Vorrei essere lontano da tutto; la colpa è mia poiché non arreco che dolore a tutti e so di essere la causa della mia e dell’altrui sofferenza». Queste parole mi hanno colpito perché è proprio questo il senso di colpa che mi pesa sulla coscienza. Lo sento quando penso al passato; quando penso al futuro irto di difficoltà, di un pesante lavoro che non mi piace e che la parte più vile di me vorrebbe evitare; quando penso alle molte persone che mi seguono e che sapranno riconoscere la causa di un mio possibile insuccesso… Esse non mi faranno banali rimproveri, ma, conoscendo tutto ciò che è giusto e virtuoso, l’espressione del loro viso sembra dirmi: Ti abbiamo aiutato e guidato, abbiamo fatto il possibile per te – hai veramente cercato di riuscire? Qual è il nostro premio? Qual è il frutto del nostro lavoro? Capisci,Theo. Quando penso a tutto questo e ad altre cose simili, a tutte le difficoltà che non diminuiscono, al dolore, alla delusione, al timore dell’insuccesso, alla vergogna – allora sento quello che tu senti e vorrei essere lontano da tutto! Vincent Van Gogh al fratello Theo

ACCADDE OGGI

RISPETTO PER LA FEMMINILITÀ La violenza sulle donne è ancora viva e presente, solo scevra dei contenuti femministi post-sessantottini, che vedevano l’oltraggio nella cultura, negli atteggiamenti maschilisti o nella gestione di alcuni ruoli all’interno della famiglia, oggi rivoluzionati. La violenza di oggi è purtroppo meno ideologica è più concreta, scatta di fronte alla bellezza accesa come una fiaccola sull’olimpo, di fronte alla quale molti intelletti credano che in un’epoca di costumi mescolati a dovere, si possa divergere dalla rettitudine. Molti però, mischiano la genialità del tecnicismo all’avvenenza di una donna e per creare un video, un gossip, si scordano che stanno sporcando la loro vita violando l’altrui nella più importante sfera dell’intimità: la propria femminilità. Occorrono pene più severe e meno chiacchiere, anche se in passato si cercava di “educare” con il femminismo. Oggi si dovrebbe educare per il rispetto della femminilità.

Lettera firmata

LA LISTA NERA DEI PADRI SEPARATI È estate. Solito problema degli abbandoni, ma non di cani... di esseri umani, di bambini, di padri... separati nel 74% dei casi (Istat 2006 su richieste di separazione) da una madre. Questo dettaglio che andrò a raccontare, rende bene l’idea del sistema barbarico e raccapricciante con cui ogni giorno vengono segregati e repressi migliaia di bambini e bambine italiani. Mia figlia di 7 anni è in vacanza con la mia

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)

10 settembre 1927 La Francia vince la prima Coppa Davis

1939 Il Canada dichiara guerra alla Germania

1943 Le truppe tedesche iniziano l’occupazione di Roma durante la seconda guerra mondiale 1945 Vidkun Quisling viene condannato a morte per aver collaborato con la Germania nazista 1951 Il Regno Unito inizia un boicottaggio economico dell’Iran 1967 La popolazione di Gibilterra vota per rimanere una dipendenza britannica, piuttosto che diventare parte della Spagna 1972 Gli Usa perdono la loro prima partita internazionale di pallacanestro, contro la nazionale dell’Urss durante le Olimpiadi di Monaco di Baviera 1974 La Guinea-Bissau ottiene l’indipendenza dal Portogallo 1977 Hamida Djandoubi, condannato a morte per l’assassinio di una ragazza, viene ghigliottinato a Marsiglia. Sarà l’ultima esecuzione capitale eseguita in Francia

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

ex moglie per circa 3 settimane. Per la precisione: ho una sentenza di “tipico falso” affido condiviso che, in nome dell’uguaglianza dei genitori e delle pari opportunità dei bambini, ha stabilito che mia figlia passi quasi 70 dei suoi 90 giorni estivi di vacanza con la madre. Ovviamente è fuori discussione che possa vederla (eppure queste settimane le passa nella mia città!). Le mie telefonate al cellulare Iphone della mia ex moglie vengono automaticamente rifiutate. (c’è una funzione black list nel suo cellulare evoluto Iphone che permette di scegliere numeri telefonici “indesiderati” della rubrica e deviarli alla segreteria telefonica facendo credere che il telefono sia spento, ho le prove di questo perché facendo chiamare persone “desiderate” la ex moglie risponde). Solo il 6 settembre 2009, ho ricevuto una telefonata da mia figlia, telefonata sbrigativa, fredda, ma anche ansiogena dato che la madre le stava alle spalle e la riprendeva, interrompeva e sovrapponeva ogni secondo: un clima irrespirabile. Cinque minuti poi mia figlia è stata obbligata a riattaccare. Ho chiesto se potevo chiamarla un’altra volta. Negato. Cinque minuti di telefono in 16 giorni. Questo è il padre di mia figlia. Faccio una domanda a voi, come la farò a chiunque incontrerò: È questa l’infanzia è questa la paternità che vuole lo Stato Italiano? Io sono solo un numero in una black list dentro un telefono cellulare di lusso di una ex moglie?

LO SCOLLAMENTO FRA SOCIETÀ E POLITICA Moratoria sull’aborto, quoziente familiare... Mi permetto di dire che non si affrontano così i problemi nella società complessa. I trend di oggi: Caio sposa Tizia, due figli, Caio, superficiale e irresponsabile, incontra “io sì che ti capisco”: 1) lascia la famiglia, convive con lei, due figli, incontra “io sì che ti capisco”; 2) se ne va con lei, un figlio: gli diamo il quoziente? È una gara? Le statistiche sulle nuove povertà (ma anche le mamme davanti alle scuole) ci dicono che è in aumento quella relativa alle famiglie monogenitoriali, un termine chic per definire la moglie che si è ritrovata ragazza madre legalizzata e “io sì che ti capisco “ n.1 che si trova anche senza tutele per via dell’amore e libertà (non che la compianga!). Per mettere un po’ d’ordine qualcuno ha chiesto i Dico. Io non concordo per il semplice motivo che l’etica della responsabilità individuale va ripristinata. Se uno vuole garanzie per sé e per la prole ha a disposizione l’istituto matrimoniale ben normato dal nostro codice. Se uno vuole essere libero o non condividere materialisticamente i beni, se ne assume il rischio e chi sta con lui/lei ne trarrà le dovute conseguenze. In questa situazione non v’è dubbio che la parte debole sia quella femminile. Smantelliamo anche gli istituti che garantiscono un po’ di autonomia? In questa situazione invece occorre ripensare la riforma del 1975 e la parte del codice che riguarda la proprietà. Quest’ultima infatti risale all’Ottocento e aveva come presupposto la famiglia patriarcale, regolare e inscindibile. La proprietà invece va ora agganciata allo status di figlio, dando a questo la massima tutela dalle efferatezze genitoriali, contemporaneamente si rimette mano alla legge sul divorzio e si mettono in atto meccanismi automatici per cui la moglie non deve essere costretta a difendere se stessa e i propri figli perché alcune istanze di protezione devono essere automatiche e immediate. Solo dopo aver compiuto tutto questo lavoro si può pensare a ridiscutere l’aborto o a calcolare il quoziente. Il divorzio è stato introdotto in Italia copiando altri Stati, senza tenere conto delle specificità culturali nostre; è così che si è trasformato in una sorta di poligamia lecita e a basso costo. Il problema sociale quindi c’è ed è complesso e in modo complesso va affrontato. Si possono riformulare alcuni principi non negarli. Il diritto deve normare una società in essere non riflettere il pensiero di alcuni. Indebolire poi la parte debole è solo una cattiva azione. Marina Rossi P R E S I D E N T E CI R C O L I LI B E R A L CI T T À D I MI L A N O

APPUNTAMENTI SETTEMBRE 2009 DOMANI, SABATO E DOMENICA CHIANCIANO - PARCO FUCOLI Convegno “Stati generali del Centro”.

VINCENZO INVERSO SEGRETARIO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Fabio B.

Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Filippo La Porta, Maria Maggiore,

Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio

Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,

Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,

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PAGINAVENTIQUATTRO Raid. Una nuova legge del Caudillo bandisce i giochi a carattere militare

Ora Chávez dichiara guerra ai di Osvaldo Baldacci e bandiere garriscono nel vento ostentando contro il cielo vivaci colori. Le armi brillano sotto il sole. Gli sguardi determinati e fieri rispecchiano sui volti il sentimento di chi condivide fianco a fianco lo stesso destino. C’è una patria da difendere, la libertà da salvare, innocenti da proteggere. È il momento della battaglia, cui si va come a una festa. E tu sei lì, e molto dipende proprio da te. Non è il delirio di un guerrafondaio, ma l’accesa fantasia idealistica di chi sta dedicandosi a un gioco di guerra. La guerra è tutt’altro, è qualcosa di orribile. Ma la sua idealizzazione consapevole e circoscritta è da sempre del tutto naturale e positiva. Per questo dico «Viva i soldatini, abbasso Hugo Chávez». Lui compra bombardieri e sottomarini, ma i bambini non possono giocare con armi giocattolo. Lui è sospettato di armare i guerriglieri delle Farc, ma i bambini non possono giocare coi soldatini. Lui stringe patti per sostenere programmi nucleari, ma ai bambini sono vietati i videogiochi. Lui è il presidente del Venezuela, quel Chávez osannato alla Mostra di Venezia, dove è arrivato con 50 guardie del corpo. E ciò di cui stiamo parlando è una delle ultime trovate del presidentecolonnello: una legge che proibisce la fabbricazione, l’importazione, la vendita ma anche l’uso di qualsiasi gioco per bambini che abbia a che fare con la violenza e con la guerra. Previste multe dai 10mila ai 100mila euro. Nel divieto ricadono giochi di guerra, giocattoli militari, spade, lance, pistole, fucili di plastica, soldatini, videogiochi a ispirazione bellica. Qui non vogliamo parlare dell’autoritarismo di Chávez, della chiusura dei mezzi di informazione indipendente, delle amicizie con le dittature mondiali, della scarsa democraticità del suo sistema politico, dei 2.200 oppositori processati in 9 anni (solo quelli certificati), della probabile ingerenza non del tutto disarmata negli affari dei Paesi vicini. Non parliamo del record di violenza, di sequestri e di omicidi che ha il Venezuela. No, qui vogliamo parlare solo di soldatini, nuovi simboli di libertà. È vero, c’è

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un abuso di videogiochi e alcuni puntano sulla violenza estrema. Ma una cosa sono gli eccessi, un’altra i divieti statali generalizzati. I videogiochi sono anche un modo per affinare abilità, riflessi e capacità di ragionamento. Proprio i videogiochi strategici sono tra i migliori in questo senso.

E per loro vale quello che vale per le armi giocattolo e soprattutto per i soldatini: sono un grande strumento educativo, oltre che un legittimo piacere. E forse si può arrivare a dire che rispondono a un istinto naturale e benefico,

SOLDATINI addirittura archetipico, specie nei maschietti. I giochi di guerra richiamano istinti primordiali e li canalizzano in modo controllato e positivo - sostengono psicologi e pediatri - rafforzano lo spirito di gruppo, la creatività, la dedizione a raggiungere un obiettivo. Ma voglio andare oltre. Soldatini e giochi di guerra sono un prezioso patrimonio nell’educazione e nella crescita. Sono un importante elemento nella per-

Nel divieto ricadono giochi di guerra, giocattoli militari, spade, lance, pistole, fucili di plastica, soldatini, videogiochi a ispirazione bellica. Previste multe dai 10mila ai 100mila euro. Mentre il leader venezuelano compra armi dall’Iran cezione della distinzione tra bene e male. Basta osservare i bambini più piccoli: nessuno giocherà coi soldatini per sopraffare qualcun altro, ma sempre immaginando di difendere il mondo contro le ingiustizie e di contrastare i violenti, persino col sacrificio. Ci sono i “cattivi” da combattere ma allo stesso tempo la perfetta consapevolezza che stai giocando con degli amici. È l’etica cavalleresca che è per natura dentro i bambini. Semmai la distorsione della violenza come sopraffazione arriva dopo, ed arriva per altre vie, non certo nei giochi. Più si sarà giocato ai soldatini sognando di portare

la bandiera dell’eroica difesa del bene, meno si sarà preda del desiderio di sopraffazione. L’incapacità di distinguere tra bene e male e di schierarsi a difesa dell’uno contro l’altro è figlia e madre di un relativismo che lascia confusi e impotenti. Forse per questo i caudillos finto-pacifisti ce l’hanno coi soldatini.

E non finisce qui: i soldatini sono sempre legati all’amore per la storia. Giocare ai soldatini alimenta la passione per i fatti del passato, per le grandi gesta. Spinge a identificarsi, ad approfondire. Un bene in sé, ma in più la storia è magistra vitae, che permette di non ripetere gli stessi errori e di capire meglio il presente e l’umanità. Spingendo ad apprezzare le diversità dell’umanità. E a combattere le ingiustizie. Uno che ha giocato ai soldatini è uno che ama la storia e il mondo e quindi è una persona più consapevole, potenzialmente migliore. Scusate se è poco.Tutto il contrario della caricatura di militarista violento che ne fa Chávez. E anzi giocare ai soldatini fa bene ai bambini, ma non è una cosa solo da bambini. Questo elemento appurato all’estero, nella provinciale Italia annega tra sorrisi ironici. Ma è così: se qualche volta la passione per i giochi di guerra travalica l’infanzia, questo non è infantilismo, ma anzi denota una bella dose di cultura. Per la conoscenza della storia, ma anche per l’amore per l’arte: i soldatini dei grandi, da collezione o da gioco, sono infatti begli oggetti, spesso manualmente preparati dagli stessi appassionati, una forma di artigianato di buon gusto che sconfina in vera e propria arte. E come tali sanno accendere la fantasia, mescolando ricostruzione storica, gusto del bello, idealismo. Inoltre i wargame richiedono molte energie intellettuali e affinano la mente. E, come detto, portano con sé un certo livello etico, che si accompagna alla simbologia di volersi identificare con la difesa del bene, con la consapevolezza di relegare solo all’aspetto ludico e simbolico - delegandola solo a dadi, armi di plastica o mouse - quella “violenza” che altri invece non mettono “in gioco” ma portano in piazza.


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