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Quello che conta non è tanto l’idea , ma la capacità di crederci fino in fondo

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Ezra Pound di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 24 SETTEMBRE 2009

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Nuovo attacco talebano alle nostre truppe

LA PRIMA VOLTA DI OBAMA ALL’ONU

Herat, ferito un altro parà italiano

Fortunatamente stavolta solo lievi conseguenze: un braccio fratturato. Alla Casa Bianca infuria la discussione sul “cambio di strategia”. Oggi a Siena comincia il convegno di liberal sulla politica estera italiana di Pierre Chiartano Ancora un attacco agli italiani, ieri in Afghanistan: un militare è stato ferito nella regione di Herat. E mentre gli Stati Uniti sembrano intenzionati a cambiare la loro strategia, oggi e domani la politica italiana discuterà di Afghanistan al convegno della Fondazione liberal.

Disarmo, pace, clima, economia: sono i quattro pilastri sui quali il presidente americano chiede a tutti di aprire una “nuova era”. E lancia una sfida: «Chi contestava l’unilateralismo americano oggi ha il dovere di assumersi le responsabilità di un’azione comune»

Stati Uniti del mondo

alle pagine 2, 3, 4 e 5

alle pagine 4 e 5

La Camera approva una mozione di Casini

Il Senato dà il via libera alla norma che inserisce anche il falso in bilancio

«L’Europa liberi Khodorkovsky dai gulag di Putin» Napolitano: «Valuterò il testo». L’Anm: «Basta amnistie»

Scontro sullo scudo fiscale di Alessandro D’Amato

di Franco Insardà ino al 2003 era uno degli uomini più potenti del mondo. Poi – complice una pubblica e corrisposta antipatia verso Vladimir Putin – per l’ex oligarca Mikhail Khodorkovsky è iniziato l’inferno. Nel giro di poche mesi è passato dalla guida del colosso petrolifero Yukos all’essere arrestato per frode fiscale, spedito in una prigione siberiana, condannato a nove anni. E siccome chi si mette contro il Cremlino non può farla franca in questa Russia, nel 2007 è stato sottoposto a un nuovo processo per impedirgli di ottenere la libertà condizionata. Ieri ci ha pensato Pier Ferdinando Casini a strappare all’oblio questo enfant prodige della nuova Russia. E a riportare l’attenzione sulla negazione dei diritti più basilari a Mosca. La Camera ha approvato una mozione del leader dell’Udc, con il parere favorevole anche del governo.

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segue a pagina 14 se1,00 gue a (10,00 pagina 9CON EURO

ROMA. «Nessun commento. Quando mi sarà trasmesso il testo da promulgare, approvato dal Parlamento, valuterò le eventuali novità». Con le parole glaciali di Giorgio Napolitano e con l’allarme dell’Associazione nazionale dei magistrati contro una «nuova amnistia» si conclude virtualmente la battaglia parlamentare sullo scudo fiscale contenuta nel decreto anti-crisi, dopo l’approvazione da parte della Camera del testo “completato” dall’emendamento proposto con il parere favorevole del governo dall’onorevole siciliano Salvo Fleres (Pdl). Il quale ieri è anche intervenuto a nome del gruppo in Aula al Senato durante le dichiarazioni di

I QUADERNI)

• ANNO XIV •

NUMERO

Non è detto che i ”capitali” rientrino in Italia

Un condono dannoso. Ma soprattutto inutile

voto per difendere le modifiche: «La nuova versione dello scudo fiscale, oltre alle altre norme contenute nel decreto legge correttivo, sono il segno di una politica intelligente e improntata al realismo e all’oggettività», ha spiegato Fleres. che poi ha detto «no all’ipocrisia, che è l’agonia dei valori». E i valori in ballo, in effetti, sembrano essere ingenti. Con il nuovo testo, il pagamento della sanzione del 5% per il rientro o la regolarizzazione dei capitali e dei patrimoni illeciti all’estero, renderà non punibili anche alcuni reati penali fiscali e societari, compreso il falso in bilancio.

on c’è alcun dubbio che, sul piano giuridico, i condoni sono un problema. In primo luogo perché tra le virtù principali di un ordinamento vi è la stabilità: e se in un sistema sociale le norme appaiono e scompaiono (vengono applicate o no) a seconda delle convenienze, è difficile aspettarsi comportamenti lineari da parte dei cittadini. Nella contingenza della crisi, si può certo capire l’esigenza – che sottende le norme sullo scudo fiscale – di fare riaffluire in Italia quei capitali che in passato avevano preso la strada dei conti bancari svizzeri.

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WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

di Carlo Lottieri

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IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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Ordine mondiale/1. Barack debutta sulla scena dell’Onu: disarmo, pace e sicurezza, salvaguardia del pianeta, economia

La bella utopia di Obama Il presidente Usa lancia una nuova era basata «su quattro pilastri» e sfida il mondo: «Adesso ciascuno si assuma le proprie responsabilità» di Vincenzo Faccioli Pintozzi l tono è quello di un comizio elettorale, ma con la certezza di aver già vinto. Barack Obama, alla sua prima apparizione da presidente americano all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, sembra aver trovato la quadratura del cerchio. Senza respingere nulla, senza giocare sulla difensiva, imposta semplicemente – con un pragmatismo difficilmente visto in altre occasioni – qual è la situazione del mondo attuale e cosa il mondo debba fare per andare avanti. La speranza e il cambiamento, il leitmotiv della sua campagna presidenziale, riecheggiano anche per i marmi scuri del Palazzo di vetro: soltanto con una nuova impostazione, con un condiviso senso del dovere fra tutte le parti in gioco, si potranno scongiurare le crisi più pressanti. Per ottenere questo (indubbiamente) ambizioso risultato, servono quattro pilastri:

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«Disarmo, pace, clima ed economia». Pilastri che soltanto con una nuova «era di impegno fra tutti i Paesi» potranno essere eretti a difesa di tutti. Obama interviene ed elenca le sfide che il mondo si trova a dover affrontare: «Estremisti che stanno cercando di seminare il terrore, conflitti che si protraggono all’infinito, genocidi e atrocità di massa, sempre più nazioni con armi nucleari, calotte polari che si sciolgono, persistente povertà e malattie pandemiche».

«Dico tutto questo - afferma il leader Usa - non per seminare la paura ma per affermare un fatto: le nostre azioni non sono state ancora alla altezza della vastità delle sfide esistenti». Per questo, secondo l’inquilino della Casa Bianca, «è giunto il momento che il mondo si muova in una direzione nuova. Dobbiamo impegnarci per il reciproco rispetto e dobbiamo farlo da subito. Sono consapevole dell’aspettativa che circonda il mio incarico, ma so che non ha radici in quello che io rappresento, ma nel fatto che il mondo è scontento dello stato e vuole cambiare. L’America è pronta a guidare questo cambiamento». Ma l’America non può fare tutto da sola:

Una politica inedita: insieme isolazionista e interventista di Giancristiano Desiderio a storia degli Stati Uniti d’America è l’alternarsi di fasi isolazioniste e fasi interventiste. Barack Obama è isolazionista o interventista? L’uno e l’altro insieme, ossia è la sintesi della storia politica americana. Una grande novità, la vera grande novità della nuova presidenza americana. Diciamolo con un neologismo: Obama è mondialista. Non si isola rispetto al «resto del mondo», ma vuole che il «resto del mondo» si faccia carico delle sue responsabilità.

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Le parole del presidente americano davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite esprimono questa nuova filosofia statunitense: «Chi ha criticato l’America in passato per avere agito da sola non può adesso aspettare che sia l’America da sola a risolvere i problemi del mondo». È questo il «vero cambiamento». Obama ha indubbiamente un dono: dice cose importanti in modo semplice. Ma la sua semplicità di linguaggio non può essere scambiata per ingenuità.Tutt’altro. Di fronte al disordine mondiale - dal terrorismo al clima - l’America potrebbe pur sempre giocare una delle due carte della sua storia che - va detto - finora hanno funzionato benissimo per gli americani. Se, come ha detto Obama, la democrazia «non può essere imposta dall’esterno», l’America può sempre dedicare i suoi sforzi economici, energetici, scientifici, economici, finanziari per conservare al meglio la democrazia americana. In fondo, perché

andare in giro per il mondo a fare il gendarme dei valori democratici se le altre nazioni criticano l’intervento americano? Meglio riportare i ragazzi americani a casa vivi che nelle bare a stelle e strisce: le famiglie americane non aspettano altro. Ma al mondo conviene avere un’America che bada solo a fatti di casa sua? Obama non è isolazionista e non vuole l’isolamento americano come forma (legittima) di auto-difesa. Ma dopo il suo discorso di ieri alle Nazioni Unite il «resto del mondo» sa che una critica alla politica estera americana degli ultimi dieci anni ha come conseguenza un impegno più concreto delle “nazioni unite”con l’America nel mondo. La critica all’America e al presidente Bush - fatta nel recente passato, naturalmente, dallo stesso Obama - si può e si deve fare, ma proprio perché è un obbligo e un contrappeso politico è anche un più convinto coinvolgimento dei governi europei nel determinare il «vero cambiamento». Perché, dice Obama, «l’America è pronto per guidare questo cambiamento». Ma gli altri sono pronti?

«Il mondo è scontento» e verrebbe da dire - l’America è pronta ad accontentarlo. Tuttavia, una volta criticata la ragion politica della democrazia più grande del mondo che difende i suoi valori fuori dai suoi confini nazionali, il mondo stesso deve cambiare. La sintesi di Obama è perfetta e mette le altre democrazie, come gli altri Stati, davanti alla scelta: o il mondialismo di Obama o l’America che si fa i fatti suoi. Ma siamo sicuri che un mondo senza gli Stati Uniti sia migliore? Anzi, siamo sicuri del contrario: è peggiore. È storicamente peggiore, basta rileggere la storia del Novecento che solo gli ingenui possono pensare sia alle nostre spalle. È davanti ai nostri occhi.

«Tutti devono cooperare contro il terrorismo e per il clima. I nostri destini sono condivisi. Chi ha criticato l’America in passato per avere agito da sola non può adesso aspettare che sia l’America da sola a risolvere i problemi del mondo».

Obama rilancia dunque il multilateralismo: «È il momento di condividere le responsabilità nella risposta globale alle sfide globali». Come dire: noi abbiamo già dato, e siamo pronti a fare di più, ma se non operiamo tutti insieme il disastro è inevitabile. Una fusione fra interventismo e isolazionismo che ricalca le tematiche presentate durante al discorso tenuto al Cairo e indirizzato al mondo islamico. Come non era casuale la scelta della capitale egiziana per il monito ai musulmani, non è casuale la scelta del Palazzo di vetro per quest’altro intervento: «Questa istituzione è stata fondata per risolvere i problemi insieme e Franklin Delano Roosevelt (che non la vide perché morì prima della sua creazione), disse che la pace non può essere opera di un solo uomo, ma deve dipendere dall’impegno e dalla collaborazione di tutto il mondo». Quelle parole, ha sottolineato il presidente, «sono ancora più vere oggi, quando non si tratta solo di pace ma anche di salute e prosperità che abbiamo in comune. Eppure sappiamo che questo organismo è formato da Stati sovrani e nel passato ha seminato discordia anziché risolvere problemi. D’altronde è facile venire qua e puntare il dito contro altre nazioni, attribuire le colpe agli altri, lo sanno fare tutti. Ma la leadership del ventunesimo secolo richiede di più». Subito dopo, aggiunge: «La democrazia non può essere imposta dall’esterno. Ogni società deve trovare la sua strada e nessuna strada è perfetta. Gli Stati Uniti sono stati troppo spesso selettivi nella loro promozione della democrazia». Secondo Obama, però, «ci sono alcuni principi di base che sono universali» e l’America «non vacillerà mai negli sforzi di far rispettare il diritto dei popoli in ogni angolo del mondo di determinare il loro destino». Questo perché «nessun ordine mondiale che elevi una nazione o un gruppo di persone su un altro può avere successo.


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L’ostruzionismo del dittatore Il folle show di Gheddafi: «L’Onu è il consiglio del terrore». Il leader libico parla per un’ora e mezza e manda in notturna Berlusconi, Sarkozy e Brown di Antonio Picasso on poteva che essere anticipata da una provocazione, decisamente sarcastica, la presenza del leader libico Mouhammar Gheddafi alla 64esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Il colonnello, giunto nella grande aula del Palazzo di Vetro, ha estratto un pennarello e ha scritto sul desk dell’ambasciatore Ali Tekri: «Noi siamo qui». Il diplomatico in questione è l’ex ministro degli Esteri del governo di Tripoli e attualmente Presidente di turno dell’Assemblea delle Nazioni Unite. Inequivocabile il messaggio di Gheddafi. La Libia è stata sdoganata dal decennale isolamento alla quale era stata condannata per i trascorsi legami con il terrorismo internazionale; e non ancora cancellati del tutto. Ma è rientrata nel salotto buono della diplomazia internazionale e ha occupato una delle poltrone più prestigiose. Da questa posizione Gheddafi - che per coincidenza è anche presidente di turno dell’Unione africana - ha rispolverato i toni del grande difensore delle nazioni emergenti che si scaglia contro i potenti della terra. Ancora una volta, ha posto all’indice il Consiglio di Sicurezza e soprattutto i suoi membri permanenti (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti), il cui arsenale nucleare e il potere di veto - retaggi della Seconda guerra mondiale – sarebbero «il vero terrorismo del Terzo millen-

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Le divisioni tradizionali nordsud non hanno senso in un mondo così interconnesso. È arrivato il momento di capire che tutti gli argomenti sono irrilevanti davanti alle sfide che affrontiamo. Spesso in questo organismo si è votato contro l’interesse dei propri popoli: è arrivato il momento di abbattere i muri, costruire nuove coalizioni tra neri e bianchi, tra est ed ovest, tra nord e sud. La scelta spetta a noi. Dobbiamo essere a favore del genere umano.

nio». Ma il colonnello ha poi riequilibrato i toni, riconoscendo l’impegno del presidente Usa nella costruzione di un mondo migliore. «Saremmo contenti se Barack Obama restasse presidente per sempre», ha concluso.

Un augurio propagandistico, certo, che conferma quanto sia capace Gheddafi nella dissimulazione. Il leader libico, infatti, pur complimentosi così scrupolosamente con l’inquilino della Casa Bianca, ha evitato di incontrarlo personalmente. È entrato infatti nell’aula dell’Assemblea Generale dal retro, evitando qualsiasi strumentalizzazione da parte dei media. Logicamente dai toni più moderati e dai contenuti di maggior peso è risultato l’intervento del Segretario Generale dell’Onu, Ban Kimoon. Il fatto di parlare di riscaldamento della terra, minacce nucleari e multilateralismo può apparire scontato, da parte di un’istituzione che viene spesso sottovalutata per la mancanza di incisività nella risoluzione delle innumerevoli crisi mondiali. Tuttavia, Ban ha colpito nel segno per quanto riguarda le priorità che i grandi attori della comunità internazionale si dovrebbero assumere. Nazioni Unite in primis.

Lo dice il nome di questo organismo: “Nazioni Unite”. È questo il futuro che vuole l’America, pace e prosperità: perché tutte le nazioni hanno diritti ma tutte hanno anche doveri». Uno di questi doveri riguarda il disarmo. Obama afferma che bisogna «fermare la diffusione di armi nucleari».

Il presidente americano tende la mano a Iran e Corea del Nord perché accettino la via negoziale e rinuncino alla pro-

Partiamo dall’ultimo punto. Il multilateralismo. Quanto chiesto da Ban kiMoon è una politica collegiale, alla quale dovrebbero partecipare le rappresentanze di tutti i governi mondiali. Moon, così, ha implicitamente ricordato il successo del G20 che si è tenuto in primavera a Londra e del G8 dell’Aquila, a luglio scorso. Avvenimenti che forse non hanno partorito ancora la soluzione di tutti i problemi. Ma che, da un punto di vista metodologico, secondo il Segretario Generale dell’Onu hanno intrapreso la strada giusta. La condizione dell’inquinamento ambientale deve essere portata al vertice di tutti i summit internazionali. Questa prima “sfida globale” - come sottolineato da Ban - deve essere affrontata in termini multilaterali. Differenti sono invece i riferimenti alla questione nucleare. Il segretario generale non ha fatto nomi, ma era chiaro che si rivolgesse a coloro che hanno dimostrato una buona volontà per quanto riguarda il progressivo disarmo e chi, al contrario, non dimostra esplicitamente le migliori intenzioni. Il pensiero non può che andare all’Iran, ma in parte anche alla Corea del Nord, la cui rinuncia al nucleare appare ancora fonte di dubbi e

Più sobri Lula e il segretario Ban Ki-moon, che parlano di temi internazionali senza troppo chiasso

liferazione nucleare. Nel suo appello alla tribunetta dell’Assemblea generale, Obama dice che «il futuro non appartiene alla paura» e riconosce il diritto di Pyongyang e Teheran di garantire «il benessere e la ricchezza dei loro popoli», ma senza che questo rappresenti «una minaccia alla sicurezza internazionale». E sulla questione mediorientale il leader americano lancia una provocazione. «Non sono ingenuo, so che questo è un obiettivo diffi-

ambiguità. Anche in questo caso, secondo Moon, non può che apparire come l’unica strada. Un invito, in sostanza, ai leader che lo hanno seguito negli interventi - il presidente francese Nicolas Sarkozy, quello russo Dmitri Medvedev ma soprattutto l’iraniano Mahmoud Ahmadinejad - a raccogliere questa opportunità. In linea con le operazioni di restauro alle quali sarà sotto posto il Palazzo di Vetro nei prossimi mesi, il Segretario generale ha ammesso che anche l’Onu come istituzione necessita le sue riforme.

E in tempi brevi. Ben più concreto è stato l’intervento di Lula. Il presidente brasiliano si sente direttamente coinvolto nel caso Honduras. La legittimità di Zelaya, alla guida del Paese, è stata messa in discussione da un golpe sostenuto dalla popolazione locale. Tuttavia, la comunità internazionale non può basarsi unicamente sui sentimenti di quest’ultima. Da qui l’impasse e l’imbarazzo di Brasilia. Lula insiste che al Brasile venga riconosciuta la qualifica di potenza regionale latinoamericana. Non a caso preme per una revisione del Consiglio di Sicurezza e per l’ingresso di un rappresentante brasiliano quale membro permanente. Per questo però deve saper dimostrare la capacità di gestire crisi di questo genere senza l’aiuto di governi e forze esterne. È una “prova del nove”.

cile, ma dobbiamo chiederci se vogliamo seriamente la pace, o se invece la vogliamo solo a parole. È il momento di rilanciare il negoziato senza precondizioni, nell’ottica di una soluzione permanente delle questioni in gioco: la sicurezza di israeliani e palestinesi, i confini, i profughi e Gerusalemme».

Non manca l’impegno sulla crisi economica. Al vertice del G20 di Pittsburgh, che si apre oggi, «lavoreremo insieme con

le più grandi economie per disegnare una struttura per la crescita che sia equilibrata e sostenibile». Il meeting, che ha come scopo “la verifica dei progressi fatti dall’incontro di Londra”, vedrà un nuovo scontro di interessi: le economie emergenti, infatti, non hanno intenzione di pagare per i danni compiuti dalla finanza occidentale. Sarà più difficile, in quel contesto, fare ricorso al carisma: e forse è proprio quello il palco più duro da affrontare.


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Ordine mondiale/2. Joe Biden contro Hillary Clinton sui nuovi metodi da applicare nella lotta contro al Qaeda e i talebani

La svolta passa per Kabul Italiani ancora sotto tiro in Afghanistan: ferito un altro militare E alla Casa Bianca infuria il dibattito sul cambio di strategia di Pierre Chiartano entre in Italia il ferimento di un altro militare accende il dibattito politico sulla nostra permanenza in Asia centrale, il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama starebbe valutando alcune alternative all’ipotesi di aumento delle truppe in Afghanistan. Tra queste il progetto evocato dal numero due della Casa Bianca, Joe Biden, di ridurre il contingente Usa e concentrarsi maggiormente sulla lotta ad al Qaeda nel Paese asiatico e nel vicino Pakistan. Secondo un articolo apparso sul New York times, le opzioni sul tavolo del presidente fanno parte di quella che l’amministrazione Usa descrive come una totale revisione della strategia annunciata dallo stesso Obama, sei mesi fa. E a questo proposito sono stati condotti due nuovi rapporti di intelligence sulla situazione in Afghanistan e Pakistan. Alcuni collaboratori del presidente americano hanno riferito che Obama intende valutare se la strategia annunciata a marzo 2009 può considerarsi ancora valida. E se potrà garantire progressi, con l’incremento delle truppe richiesto a gran voce dal comandante dell truppe Usa e della Nato, Stanley McChrystal.

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Di tutto questo Obama avrebbe parlato in una riunione del 13 settembre scorso, con il segretario di Stato Hillary Clinton, il segretario alla Difesa Robert Gates, il consigliere per la Sicurezza nazionale James Jones e il capo degli Stati maggiori riuniti, Mike Mullen. In quella occasione il presidente avrebbe espresso le sue perplessità sull’invio di rinforzi in Afghanistan. Una sorta di ”pentimento” rispetto a quanto annunciato nelle scorse settimane. Ma la riunione, che ha avuto luogo nella Situation Room della Casa Bianca, si sarebbe conclusa con un sostanziale disaccordo tra i presenti e per questa ragione sarebbero già stati fissati nuovi incontri. «Ci sono numerose visioni contrastanti», ha rivelato una fonte che ha richiesto l’anonimato. Alla ricerca di una strategia in Afghanistan l’amministrazione Obama sta considerando di cambiare l’obiettivo della campagna militare. Una delle proposte – sostenuta dal vice presidente Biden – prevede: nessun aumento consistente di truppe; intensificazione nell’uso di droni e commando; operazioni rivolte più contro al Qaeda che i talebani. Il piano Biden – per ora in discussione – è un evidente

A Siena ci saranno Pier Ferdinando Casini, Massimo D’Alema e Beppe Pisanu

Domani il “Premio liberal” alla memoria dei sei eroi della Folgore SIENA. Gli eroi di Kabul e la politica estera italiana sono al centro della due giorni organizzata a Siena oggi e domani dalla Fondazione liberal, presieduta da Ferdinando Adornato. Questo il programma della manifestazione: oggi, alle 16.30, confronto tra esperti di geopolitica su: «Quale strategia per vincere la guerra?». Partecipano: il generale Mario Arpino, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa, Monica Maggioni, capo redattore esteri del Tg1, Paolo Mastrolilli capo della redazione politica de La Stampa, Andrea Margelletti, Presidente Ce.S.I. (centro studi internazionali); modera Luisa Arezzo, di liberal. Domani alle 10 confronto sul tema: «Gli eroi di Kabul e la politica estera italiana» con Pier Ferdinando Casini, Massimo D’Alema, Beppe Pisanu, modera Mario Orfeo, direttore del Tg2. Al termine del dibattito Ferdinando Adornato consegnerà il “Premio liberal” 2009 alla memoria dei sei militari caduti a Kabul, al Generale di Brigata Federico D’Apuzzo, prossimo comandante della Folgore in Afghanistan. Il convegno si terrà a Siena nella sala di Santa Maria della Scala in Piazza Duomo, 2. ripiego che tiene conto della situazione militare e politica, sia in Afghanistan che negli Stati Uniti. Un cambiamento che può essere stato provocato anche dalla delusione. Obama con gli alleati, aveva puntato molto sulle elezioni a Kabul, ma la vittoria contestata di Karzai e le accuse di corruzione verso le autorità hanno indebolito ulteriormente il possibile partner. Anche le forze afghane alle quali la Nato sperava – illudendosi – di passare progressivamente il carico delle operazioni, non sarebbero pronte. Se mai lo saranno. In America la politica, come l’opinione pubblica sono contrari a un incremento di truppe.

L’amministrazione sembra ancora divisa sull’opportunità di puntare tutto sulla lotta contro Al Qaeda, concentrando gli sforzi militari nell’area tribale del Pakistan

L’idea di puntare tutto su al Qaeda – soprattutto nell’area tribale pachistana – ha già sollevato dubbi. Il segretario di Stato, Hillary Clinton e altri esperti non sono convinti sia la strada giusta. Se alleggeriamo la pressione sui talebani – è la loro tesi – rischiamo di vedere ritornare i qaedisti in forze anche in Afghanistan. E non mancano neanche critiche nei confronti dei piani operativi del generale McChrystal. Preoccupato delle

perdite tra i civili, e convinto che conquistare cuori e menti degli afghani sia il solo mezzo per sottrarli talebani, il comandante di Isaf e della missione Usa, ha ridotto sensibilmente il ricorso ai bombardamenti, sia aerei che di artiglieria, da utilizzare solo come estrema ratio. Alcuni ufficiale dei reparti Usa in loco hanno fatto trapelare sul Washington Post che questo nuovo approccio ha ridotto le vittime civili, ma ha fatto aumentare i rischi per i militari. Negli ultimi mesi, il numero dei caduti è salito sensibilmente. Un rischio che McChrystal aveva già messo in preventivo, nel suo rapporto per la Casa Bianca. Non sono mancati episodi in cui reparti ingaggiati in scontri a fuoco e in serie difficoltà, abbiano aspettato per un intervento dei caccia che non sarebbe mai arrivato.

L’argomento ha tenuto banco anche quando Obama è stato ospite di David Letterman per la trasmissione The Late Show – molto popolare negli Usa – ha ammesso che gli americani «sono stanchi della guerra». Rivolgendo un pensiero particolare alle truppe statunitensi impegnate «eroicamente» in Afghanistan e in Iraq, il presidente ha ribadito che non verrà presa alcuna decisione sul dispiegamento di altre truppe, fino a quando «non sapremo con precisione quale sia la nostra strategia». Nel corso della trasmissione, che per la prima volta ha visto come ospite un presidente americano, Obama ha riconosciuto che «il Paese è stanco della guerra. Prima di inviare altre truppe in Afghanistan dobbiamo essere sicuri che ne valga la pena, deve esserci una strategia coerente che funzioni». Il presidente ha promesso, davanti ai telespettatori, che si porrà «delle domande molto dure» prima di decidere se inviare altre truppe. «Devo essere sicuro che la politica scelta valga il loro sacrificio – ha affermato – io rispondo davanti ai loro genitori, se non tornano devo scrivere una lettera in cui dico che loro figlio si è sacrificato per l’America».

L’altro giorno il Washington Post aveva diffuso il rapporto di Stanley McChrystal, secondo il quale l’invio di ulteriori truppe in Afghanistan, entro il prossimo anno, è necessario per evitare che la missione fallisca. Il Pentagono aveva fortemente osteggiato la sua pubblicazione, perché avrebbe contenuto dei dettagli operativi importanti. Così il giornalista Bob Woodward – protagonista negli anni Settanta dello scoop dello scandalo Watergate – autore dell’articolo, aveva dovuto cancellare alcune parti


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«Inevitabili altri attentati», secondo l’ex ministro degli Esteri afgano

«Pronti nuovi attacchi» La minaccia dei talebani «Non colpiamo gli italiani per la nazionalità, ma perché fanno parte di una coalizione in guerra» di Osvaldo Baldacci ono «inevitabili nuovi attacchi contro le forze militari internazionali presenti sul territorio dell’Afghanistan». Lo preannuncia a Lorenzo Cremonesi del Corriere Ahmed Muttawakil, ex ministro degli esteri talebano. Ma Muttawakil, che è considerato un talebano moderato e afferma di non aver più contatti da anni col gruppo dei combattenti del Mullah Omar, spiega anche che «i talebani stanno intensificando la loro offensiva militare a Kabul come nel resto del Paese. Lo avevano già annunciato ben prima del voto del 20 agosto. E gli italiani ne sono stati le vittime questa volta. Sono parte della coalizione di truppe straniere nel Paese, i talebani li vedono come invasori e li combattono in quanto tali. Non ci sono attacchi specificamente contro gli italiani». Come era prevedibile, la strage di italiani a Kabul non ha certo fatto abbassare i toni dello scontro, anzi. Muttawakil parla da esperto conoscitore della realtà, senza l’intenzione di minacciare. Ma percepisce bene il clima afghano. L’attentato di Kabul è allo stesso tempo la consacrazione e il preludio del rafforzamento della minaccia talebana e della rinnovata ondata di violenza. I mezzi di comunicazione degli estremisti ne hanno subito approfittato per diventare una cassa di risonanza del rinpotere novato fondamentalista. E sulla stampa islamica accanto al cordoglio delle autorità ufficiali si vedono i segni di un clima che sta tornando a deteriorarsi. C’è un altro esempio del tutto diverso ma chiaro: la sconfitta dell’egiziano Farouq Hosni per la presidenza dell’Unesco (il ministro dei beni culturali è accusato di aver favorito terroristi palestinesi tra cui quelli dell’Achille Lauro) risuona oggi sulla stampa araba come una «vittoria del sionismo con l’aggiunta del repentino voltafaccia europeo e il tradimento dei Paesi asiatici e latinoamericani» (il libanese Assafir). Qualche giornale come al-Quds al-Arabi si spinge a parlare della «riprova della mancanza di rispetto per gli arabi in tutti i campi e non solo in quello culturale», accusando di questo i regimi arabi. Perché questo inciso parlando dell’Afghanistan? Perché è la riprova che i toni bellicosi e antioccidentali non sono spariti dalla retorica di certe realtà islamica, e questo lo sanno anche i talebani e al

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Qaeda. Si potrebbe forse dire che stiamo vivendo l’ondata di riflusso all’elezione di Obama. Dopo la luna di miele, ora gli estremisti tornano all’attacco e trovano orecchie nuovamente attente, anche a causa dell’empasse americana e occidentale in genere, empasse che parte proprio dal futuro di Kabul. Per questo, niente di meglio dell’Afghanistan, tornato ad essere l’epicentro dello “scontro di civiltà” dopo la fuoriuscita dall’Iraq. L’attentato del 17 settembre costato la vita a sei parà della Folgore e a 15 civili afghani è stato subito sfruttato a scopo propagandistico. Ricordiamo il macabro video di al-Qaeda con le foto delle vittime, ma teniamo presente che poco dopo è stato pubblicato anche un messaggio del Mullah Omar. Il leader supremo dei talebani ha parlato il 19 in occasione della fine del Ramadan, e, senza fare riferimento diretto all’attentato anti italiano, è tornato ad intimare all’Occidente di lasciare l’Afghanistan, al prezzo di nuovi morti. Nelle stesse ore al Qaeda ha “consigliato” ai tedeschi di cambiare governo e ha minacciato azioni terroristiche se non ci sarà un impegno al ritiro delle truppe in Afghanistan.

Gli estremisti islamici seguono con attenzione il dibattito sul ritiro delle truppe in corso in Europa. E approfittano delle incertezze dei governi

del pezzo, prima di pubblicarlo. Sul fronte interno stanno aumentando le pressioni di molti poltici, tra loro il repubblicano Ike Skelton, perché McChrystal vada a testimoniare davanti al Parlamento Usa sulla reale situazione sul campo.Skelton è presidente della Armed services committee della camera dei Rappresentanti americana e ha espresso più volte la volontà di sentire «direttamente dal comandante in carica, come stanno veramente le cose».

Anche in Italia l’Afghanistan sta agitando le acque della politica nazionale. Un militare italiano è stato ferito a un braccio nel corso di un attacco a una pattuglia nell’area di Shindad, a circa 100 chilometri a nord di Farah, nell’Afghanistan sud-occidentale. Il nuovo attacco è avvenuto a meno di una settimana dall’attentato di Kabul, in cui sono morti sei militari italiani della Brigata Folgore. Dopo l’ulteriore episodio che ha colpito i nostri soldati, alcune forze parlamentari hanno chiesto che si discuta in Aula della presenza italiana in quel teatro. Se ne parlerà, oggi e domani, a Siena durante un convegno che la Fondazione Liberal ha dedicato agli «eroi di Kabul» e alla continuità della politica estera italiana. Tra gli interventi, da segnalare quelli di Pier Ferdinando Casini, Giuseppe Pisanu e Massimo D’Alema.

Qui sopra, alcuni miliziani talebani in azione in Afghanistan. Sopra, un’immagine dell’attentato di Kabul nel quale sono morti sei parà della Folgore. Nella pagina a fianco, uno dei militari ai funerali delle vittime e Monica Maggioni

Ennesima controprova che i miliziani islamisti seguono il dibattito interno ai vari Paesi, Italia compresa, come risulta chiaro dai riferimenti presenti anche in alcuni forum estremisti di questi giorni. Quindi possiamo dire che in Afghanistan bisogna attendersi una escalation di attacchi (peraltro va notato che gli attentati sono tornati a investire Kabul) e una parallela crescita della strumentalizzazione mediatica degli attentati. Questo per vari motivi. Perché i talebani in Afghanistan sono più forti e sono all’offensiva, e perché allo stesso tempo il governo di Kabul sembra uscito dalle incertezze elettorali ulteriormente indebolito. Ma contano molto anche i tentennamenti occidentali: gli insorti afghani forse non sono in grado di colpire gli italiani in quanto italiani (quanti italiani saprebbero distinguere tra un pashtun, un tagiko o un hazara? Lo stesso vale per gli afghani verso gli occidentali), ma certo sanno che in questo momento premere sull’acceleratore può favorire nell’opinione pubblica occidentale una spinta verso il ritiro. Sanno che in Europa se ne discute, e ancor più sanno che Obama ha detto che l’America è stanca, e ha molti dubbi sull’invio dei rinforzi. Quindi per loro questo è il momento di colpire e di guadagnare le prime pagine. Anche perché, e qui c’è l’ulteriore obiettivo, i talebani e gli estremisti stanno riguadagnando consenso nell’opinione pubblica islamica, stanno tornando a presentarsi come vincitori, come difensori dell’islam, come ribelli contro un occidente più incerto, più debole, ma non ancora amico. Nonostante Obama, o forse anche per il troppo che ha detto e il poco che ha fatto, anche e soprattutto in Afghanistan.


diario

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Bioetica. Rocco Buttiglione: «Sulle politiche di fine vita un’intesa con Fini è possibile. Ma per noi l’eutanasia resta un tabù»

Biotestamento: prove di dialogo

«Gli emendamenti riguardano terapia del dolore e la discrezionalità medica» di Riccardo Paradisi l passaggio sul biotestamento e sulla legge che dovrà disciplinare il fine vita è un nodo cruciale della legislatura e dei rapporti interni alla stessa maggioranza. Su questo fronte, capace di dividere e unire trasversalmente la politica italiana, si sta concentrando un grosso lavoro fatto di tentativi di compromesso e di ricomposizione per evitare lo scontro frontale in commissione e in aula. Il recente convegno di Chianciano dove l’Udc ha cercato di creare le basi per una nuova prospettiva del centro politico italiano è stata l’occasione, come riferiva ieri il Messaggero, per un incontro tra Rocco Buttiglione, Francesco Rutelli e Gianfranco Fini utile a mettere punto delle bozze di emendamenti al ddl Calabrò. Trattative che starebbero continuando con incontri con l’esponente teodem del Pd Paola Binetti e con l’avvocato Giulia Bongiorno deputato finiano del Pdl. Tre quattro emendamenti che dovrebbero smussare gli angoli anche se tra queste modifiche in predicato ce n’è una che investe il passaggio più delicato della legge quello che riguarda l’idratazione e l’alimentazione obbligatoria. Un compromesso in vista dunque? Si direbbe, vista la disponibilità di Fini. Ieri peraltro il presidente della Camera ha incontrato i radicali a Montecitorio che hanno presentato oltre tremila testamenti biologici, secondo Marco Cappato già legalmente vincolanti. Fini ha auspicato che il dibattito sul testamento biologico «si svolga nel doveroso rispetto del diritto di ogni deputato di esprimersi secon-

I

Partiamo da una premessa. Su questo passaggio delicato della politica italiana c’è stato un dibattito in commissione e un lavoro al Senato da cui è impossibile prescindere, perché è questa la base di partenza da cui muovere. Detto questo è anche impensabile non discutere tesi ulteriori, impedire miglioramenti: insomma la

«Ci deve essere un’area di discrezionalità medica. Ma con un limite invalicabile: non è possibile provocare volontariamente la morte del paziente» do coscienza in un clima pacato e scevro da ogni pregiudizio». Senoché le posizioni di Fini sul testamento biologico e la libertà di coscienza sul fine vita sono note. Sicchè si dovrebbe capire meglio il senso di questa interlocuzione con Rocco Bottiglione. Presidente qual è lo stato dell’arte di questo dialogo con il presidente Fini e con Francesco Rutelli sulle politiche di fine vita?

Camera ha diritto di intervento ulteriore su questa delicatissima materia. Quindi la vostra iniziativa. Certo. Un’iniziativa che fa già registrare un successo: quello di avere individuato dei punti su cui far convergere posizioni che su altri aspetti sono molto diverse o addirittura inconciliabili. Fini per esempio non ha nessun problema sugli emendamenti che abbiamo proposto.

Su quali emendamenti? Quello per esempio sulla giustezza e l’opportunità di prevedere una terapia del dolore. La legge sulle cure palliative finora approvata è infatti ancora insufficiente. Occorre inserire nel testo sul biotestamento una maggiore libertà per il medico riguardo le terapie contro il dolore. Questo inserimento toglierebbe molta forza argomentativa al fronte eutanasista che si basano ap-

punto sulla umana pietà per il dolore che un paziente terminale deve sopportare. Quello di consentire delle terapie antidolore, anche nel caso in cui possano avere l’effetto non intenzionale di accelerare la morte del paziente, è insomma una concessione doverosa. Ed è perfettamente in linea con la dottrina cristiana. Lo sa che Pio XII parlò a un congresso di anestesiologia in questo senso? Anche Fini a Chianciano ha citato passi del catechismo in questo senso. Citazione molto opportuna quella di Fini Già, anche se il presidente della Camera sul biotestamento e sulla libertà di scelta sulla propria vita del paziente e dei suoi famigliari ha posizioni molto diverse dalle vostre. Noi non pretendiamo che Fini venga su tutte le nostre posizioni. Ci mancherebbe. Fini sa benissimo però che per noi il valore della è sacro e che il nostro

essere assolutamente contrari a ogni forma anche mascherata o surrettizia di eutanasia è una posizione non negoziabile. La privazione di cibo e acqua, come è avvenuto nel caso Englaro, è stato il primo passo verso l’eutanasia in Italia. Anche se dare maggiore autonomia al medico per respingere terapie troppo invasive potrebbe toccare questo punto così delicato. Autonomia relativa. C’è un area di discrezionalità medica che non può essere annullata. Però c’è un limite preciso a questa discrezionalità: non è possibile provocare intenzionalmente la morte del paziente. Ancora più chiaramente non posso dare al paziente la morfina per farlo morire ma per abbattere il dolore. Non mi nascondo che nell’apllicazione questa declinazione di legge da dei margini ampi al medico. Però sono margini su cui stanno le consultazioni con i famigliari e che devono tenere conto delle volontà del paziente. La Cei però sembra molto ferma sul testo Calabrò. Lei crede che potrebbe accettare di buon grado queste modifiche? Io non credo che avrà difficoltà ad accettarle. Per le ragioni di cui le dicevo prima. Perché questi emendamenti tolgono forza all’ideologia eutanasica e perché restano nel solco della dottrina cristiana. Da parte di chi rivendica per il paziente la piena autonomia e autoderminazione della propria vita si accusa di ingerenza e di illiberalismo chi invece si propone di impedire l’eutanasia. Più che una posizione liberale questa mi sembra una posizione esistenzialista alla Jean Paul Sartre: io affermo la mia libertà assoluta attraverso il suicidio. A me sembra una sciocchezza. Il malato è un essere che soffre, che si trova in una situazione di forte turbamento e vulnerabilità. E allora è autentica la domanda di poter morire? O si tratta di un grido disperato per chieder aiuto? Per non dire del fatto che noi non apparteniamo solo a noi stessi. Noi apparteniamo anche ai nostri cari, a nostra moglie, ai nostri figli, ai nostri concittadini, alla comunità dentro la quale siamo nati e siamo cresciuti. Si nasce e si muore sempre a qualcun altro.


diario

24 settembre 2009 • pagina 7

L’ex pm: «Mobilitazione massiccia su lavoro e Costituzione»

Il vescovo di Stoccolma: «Avevo avvertito Roma»

De Magistris: «In autunno faremo cadere il governo»

Caso Williamson, nuove polemiche

ROMA. Il governo può cadere in autunno. Ne è convinto Luigi De Magistris, ex pm di Catanzaro e ora eurodeputato dell’Italia dei valori, intervistato dal quotidiano online Affaritaliani.it. «L’esecutivo va contrastato sul piano politico, nel senso che va costruito un modello culturale e politico completamente alternativo al berlusconismo. Cosa sulla quale stiamo ovviamente lavorando. Non vedo le condizioni per farlo cadere immediatamente, salvo che si rimetta in moto qualcosa in autunno e io prevedo forti mobilitazioni nel Paese - afferma De Magistris C’è un consolidamento dell’opposizione e ci saranno mobilitazioni sociali su temi fondamentali quali il lavoro e l’attacco finale alla Costituzione che porterà avanti questo governo sull’informazione, sulla magistratura e sugli organi di garanzia. Quindi, se nel Paese si riuscirà a costruire una grande mobilitazione con un consolidamento dell’opposizione e considerando anche la pessima immagine che Berlusconi ha all’estero, credo che si possano creare le condizioni politiche per una caduta del governo».

Parlando dell’inchiesta di Bari, De Magistris spiega: «Non ho la palla di vetro. Registro che da quello che è usci-

CITTÀ

Lo Ior cambia vertice Arriva Gotti Tedeschi Il manager del Banco di Santander alla Banca vaticana di Francesco Capozza

ROMA. Ettore Gotti Tedeschi è stato nominato ieri presidente dello Ior, l’Istituto per le opere di religione, la cosidetta Banca Vaticana. La Commissione Cardinalizia di Vigilanza dell’Istituto, ha nominato anche Hermann Schmitz come vice presidente. Accanto a loro nel Consiglio di Sovrintendenza siedono ora Carl Anderson, capo dei Cavalieri di Colombo, Giovanni De Cenzi, presidente del Credito Valtellinese, e lo spagnolo Manuel Soto Serrano. Restano confermati al loro posto il prelato dello Ior, monsignor Piero Pioppo, già segretario particolare del cardinal Angelo Sodano quando questi era segretario di Stato, il direttore generale, Paolo Cipriani, e il vice direttore, dottor Massimo Tulli. A questi ultimi tre, come ai nuovi membri del Consiglio di Sovrintendenza, la Commissione Cardinalizia di Vigilanza ha espresso infatti «i migliori auguri di buon lavoro a servizio dello Ior». Angelo Caloia, alla guida dello Ior per oltre 20 anni, subentrato al vescovo americano Paul Marcinkus dopo lo scandalo del Banco Ambrosiano, stando ad indiscrezioni provenienti da oltretevere, dovrebbe essere nominato Consigliere dello Stato della Città del Vaticano. Il nuovo presidente dello Ior gode della fiducia del cardinale segretario di Stato,Tarcisio Bertone, al quale di fatto si deve la nomina di ieri, e non più tardi di sabato scorso ha affiancato il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco, nella presentazione a Genova dell’Enciclica Caritas in veritate.

Gianluigi Nuzzi denuncia compromissioni dello Ior successive alla gestione Marcinkus, consumate in particolare nel periodo nel quale con Caloia, eletto presidente da poco, era rimasto al vertice della Banca Vaticana in qualità di “prelato” anche l’ex numero due della gestione Marcinkus, monsignor Donato De Bonis. L’operazione “trasparenza”sarebbe stata sponsorizzata dallo stesso Caloia, il cui mandato scadeva nel marzo 2011 e che forse riteneva di poter restare al suo posto dopo le rivelazioni di Nuzzi.

Docente all’Università Cattolica di Milano, l’economista cattolico Ettore Gotti Tedeschi, è una firma illustre dell’Osservatore Romano, sul quale ha pubblicato coraggiosi articoli sulla crisi economica e le sue cause, chiamando in causa la scarsa etica della finananza internazionale, è nato 64 anni fa a Pontenure in provincia di Piacenza, città dove attualmente risiede. Sposato, cinque figli, tutti laureati e che parlano almeno tre lingue, e alcuni quattro come il padre, che esordì - unico italiano - alla Sema di Parigi, la Societè d’economie et de mathematique appliquee voluta dal presidente Charles De Gaulle. Negli anni ’70 e ’80 ha lavorato per la McKinsey, la più famosa società di strategia e di consulenza, che ha lasciato per fondare la filiale italiana del gruppo Banco Santander, il primo istituto di credito della Spagna, il secondo in Europa e il nono al mondo per capitalizzazione. Gotti Tedeschi è anche presidente della Santander Consumer Bank, che con le sue 70 sedi è la seconda banca di credito al consumo presente nel nostro Paese. Il neo presidente della Banca vaticana è stato anche cofondatore, membro del Cda e del comitato esecutivo e poi Ad di Akros Finanziaria, banca di investimenti. Dal 2004 al 2007 è stato consigliere di amministrazione indipendente, nominato dal ministro dell’Economia, della Cassa Depositi e Prestiti, di cui è di nuovo nel Cda dal 2009. Dal 1996 al 2006, infine, ha insegnato Etica economica all’Università di Torino.

Prende il posto di Angelo Caloia, subentrato a Marcinkus vent’anni fa, dopo lo scandalo dell’Ambrosiano

to fuori sulle vicende legate alla vita apparentemente privata del premier ci sono dei profili che, secondo me, sicuramente possono interessare la magistratura. Poi prendo anche atto, una cosa che pochi hanno evidenziato, che Berlusconi ha messo un po’ le mani avanti, ha fatto una guerra preventiva ai giudici che stanno indagando sui fatti di mafia, dicendo in qualche modo che cospiravano contro di lui. Mentre il nome del premier non mi risulta sia mai stato fatto da alcun giornale o da alcun magistrato, anche questa è una cosa che mi ha incuriosito... può essere che Berlusconi su quelle vicende di mafia ne sa qualcosa in più».

DEL VATICANO. Si riaccende la polemica intorno al negazionismo del vescovo lefebvriano Richard Williamson. Il vescovo di Stoccolma, monsignor Anders Arborelius, in un documentario intitolato «Uppdrag granskning», andato in onda ieri sera, ha raccontato di aver informato, come di routine, il Vaticano dell’intervista alla tv svedese nella quale, nel gennaio di quest’anno, Williamson: «Tengo a sottolineare – ha aggiunto - che abitualmente inviamo informazioni su questioni che riguardano la Chiesa al Vaticano, e che non si tratta di nulla di eccezionale in questo caso». Il racconto di Arborelius si riferisce a una trasmissione, andata in onda il 21

Lo scorso 12 luglio, a proposito della nuova enciclica di Benedetto XVI, Gotti Tedeschi firmava un editoriale sull’Osservatore romano nel quale metteva in luce la necessità per l’economia di dotarsi di un forte profilo etico, pena il rischio di precipitare negli egoismi, nelle speculazioni, nel consumismo e quindi di alimentare una crescita fittizia che porta dentro di sè i germi della crisi e della distruzione della ricchezza. L’avvicendamento allo Ior, atteso da tempo, arriva a pochi mesi dalla pubblicazione del libro Vaticano s.p.a, in cui l’autore

gennaio 2009, coincisa con le prime voci - successivamente confermate - della decisione di papa Benedetto XVI di revocare la scomunica ai quattro vescovi della lefebvriana Fraternità Sacerdotale San Pio X, compreso lo stesso mons. Williamson. La coincidenza dei due eventi aveva provocato polemiche a livello globale tra la Chiesa cattolica e il mondo ebraico. Una nota della Segreteria di Stato, pubblicata il 4 febbraio 2009, spiegava che le dichiarazioni di Williamson non erano «conosciute dal Santo Padre nel momento della remissione della scomunica».

«È assolutamente senza fondamento affermare o anche solo insinuare che il Papa fosse stato antecedentemente informato sulle posizioni di Williamson»: questa la reazione immediata di padre Federico Lombardi, portavoce della Sanat Sede in merito alle affermazioni del vescovo di Stoccolma. «Ciò - ha scandito il gesuita - è stato negato chiaramente nella Nota della Segreteria di Stato del 4 febbraio, che esprime anche nel modo piu’ netto la radicale dissociazione del Papa e della Chiesa Cattolica nei confronti di ogni posizione antisemita o negazionista dell’Olocausto».


pagina 8 • 24 settembre 2009

economia

Rientri economici. È polemica tra le forze politiche per l’approvazione di un emendamento che, di fatto, annulla anche alcuni reati penali

Un’amnistia fiscale

Il Senato vota l’allargamento dello scudo al falso in bilancio Ma Napolitano frena: «Valuterò il testo con attenzione» di Alessandro D’Amato segue dalla prima

Lo scudo resterà invece precluso per i contribuenti nei cui confronti fossero stati già avviati gli accertamenti da parte del fisco e per chi avesse a carico procedimenti penali già avviati. L’emendamento anticipa inoltre la chiusura della sanatoria al 15 dicembre e solleva gli intermediari incaricati del le procedure di rimpatrio e regolarizzazione dall’obbligo di segnalazione ai fini dell’antiriciclaggio. In ambito governativo si stima che il potenziale introito dello scudo fiscale potrebbe essere pari a circa 4,5 miliardi di euro, tutti da destinare al fondo istituito presso la Presidenza del Consiglio. «Sì, quella di 4,5 miliardi è una stima che circola in ambienti governativi anche se il ministro dell’Economia su questo argomento è molto prudente», ha detto Adolfo Urso, viceministro per lo sviluppo economico con delega al Commercio estero. «Il nuovo scudo fiscale è in piena linea con lo schema dell’Ocse» ha detto ieri Giulio Tremonti, anche se persino il vicedirettore del Giornale di casa Berlusconi, Nicola Porro, ieri ha firmato un fondo molto critico nei confronti del testo approvato dal Senato.

Le parole del presidente della Repubblica sembrano voler preludere a un attento esame da parte del Quirinale: un segnale diplomatico ben preciso, nella scia della policy scelta da Napolitano nei confronti del governo Berlusconi. Moral suasion prima dell’intervento, come accaduto in altre occasioni: non un buon viatico per il provvedimento, che adesso dovrà passare al vaglio della Camera ed eventualmente tornare di nuovo alla a Palazzo Ma-

Non è affatto certo che i ”capitali” rientrino in Italia, compresi quelli ”sporchi”

Questo condono è dannoso (ma soprattutto inutile) di Carlo Lottieri segue dalla prima È un approccio contestabile, ma pragmatico, specie se si considera che c’è una bella differenza tra i capitali frutto di evasione fiscale e quelli, invece, che derivano da arricchimenti criminali: mafiosi o di altra natura.

Negli ultimi giorni il dibattito si è infiammato in ragione del falso in bilancio. In effetti, nella versione originaria del testo le norme garantivano l’immunità solo per i reati di omessa e infedele dichiarazione, ma poi ci si è resi conto che in tanti casi questi reati possono essere compiuti solo in concomitanza con altri: e quindi, per rendere efficace lo scudo, si è inserito pure il falso in bilancio. È su questo che si concentra una parte significativa delle polemiche di queste ore. In verità, dal momento che lo scudo fiscale riguarda solo le persone fisiche (e non le società), l’inclusione del falso in bilancio avrà una portata limitata ai reati commessi dai contribuenti nella loro qualità di amministratori di società. In questo senso si può pensare che, se uno scudo si voleva fare, o lo si faceva così, oppure non aveva molto senso. Anche se Italia dei valori e Partito democratico hanno denunciato con asprezza la questione del falso in bilancio, le vere perplessità allora sono altre.

ranno veri segnali di novità sul piano della politica economica. L’Italia vedrà insomma rientrare i capitali fuggiti, e vedrà venire da noi anche altri capitali di origine differente, quando ci si deciderà a creare condizioni migliori per operare. Il guaio è che il governo ha giocato molto più sul bastone (una maggiore lotta all’evasione e un’ampia pubblicizzazione delle liste degli evasori individuati, una crescente pressione sui paradisi fiscali, un’alleanza globale contro il segreto bancario) che sulla carota (le buone riforme di cui c’è bisogno). In fondo, quel 5% che comunque dovrà pagare chi sceglierà la via del ritorno rappresenta un onere di una certa consistenza: e proprio per questo motivo è concreta la possibilità che dallo scudo, alla fine, lo Stato ottenga molto meno di quanto si attende. Tanto più che le nuove norme, ovviamente, non rendono affatto immuni dai reati maggiori: bancarotta fraudolenta, riciclaggio, appropriazione indebita, ecc. E quindi non è per nulla scontato – nonostante quanto va gridando Di Pietro – che i capitali di origine criminale finiscano per rimpatriare.

Il vero problema è: o si ritiene che l’Italia possa attrarre risorse e investimenti dall’esterno oppure si pensa che debba chiudersi su di sé e proteggersi sempre di più

Nel suo sforzo di far tornare in Italia una parte almeno dei capitali che hanno trovato rifugio altrove, Tremonti ha puntato molto sull’eliminazione di ogni conseguenza di carattere legale. La scelta, in sostanza, è stata quella di un maxicondono per i reati tributari. È però probabile che i capitali usciti continuino a restare per lo più dove sono, almeno fino a quando non giunge-

La questione cruciale, che quasi nessuno ha rilevato, è che non si può al tempo stesso giocare la carta del realismo (come sta facendo il governo) e quella della lotta alla concorrenza fiscale (che da qualche tempo è la “bestia nera” del ministro Tremonti). Perché delle due, l’una: o si ritiene che l’Italia possa attrarre risorse e investimenti, come si sta cercando di ottenere anche con quest’ultimo provvedimento; oppure si pensa che la logica stessa della competizione tra sistema legali e tributari sia da rigettare, e che ogni economia debba chiudersi su se stessa e proteggersi sempre di più. Ma se non si eliminano le condizioni strutturali che spingono i capitali italiani ad andarsene, il saldo tra le risorse che entrano e quelle che escono rischia di essere – nonostante tutti gli scudi del mondo – costantemente negativo. L’opzione culturale del colbertista Tremonti, purtroppo, è chiara: ed è contraria ad ogni logica di mercato libero e di concorrenza tra sistemi. Ma è proprio questo dato che oggi frena sempre più i capitali internazionali, di origine italiana e d’altra origine, dal venire in un’Italia in cui il dibattito politico-economico troppo di frequente assomiglia più a quello del Venezuela che a quello della Svizzera.

Per Di Poli dell’Udc «i lumbard recitano due parti in commedia: fingono di difendere gli imprenditori onesti, ma votano un salvacondotto per i disonesti» dama in caso di modifiche. E non avrà vita facile, per lo meno a giudicare dalle dichiarazioni dell’opposizione. Anna Finocchiaro, capogruppo dei democratici a Palazzo Madama (i quali hanno abbandonato l’aula al momento del voto), ha commentato: «Era più onesto il cartello di Medellin. In violazione di tutte le norme, si fanno rientrare capitali sulla cui costituzione nessuno indagherà mai e a si garantisce l’anonimato, in spregio a qualsiasi norma di civiltà giuridica». Per il senatore Gerardo D’Ambrosio le nuove misure che ampliano lo scudo fiscale sono «un’amnistia e violano la nostra Costituzione». In particolare, l’ex giudice di Mani Pulite ha puntato il dito contro le norme che ampliano alle imprese estere controllate o collegate la sanatoria, avallando «trucchi vecchi come il mondo». Inoltre, il senatore del Pd ha evidenziato come trattandosi di un’amnistia


economia

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Oggi e domani il G20 dell’economia di Pittsburg

Strauss-Kahn: «La crisi? È ancora lunga» Il Presidente del Fmi frena gli ottimismi «La stabilità sociale è ancora a rischio» PITTSBURG. «È troppo presto per dire che la crisi è dietro di

la norma dovrebbe essere approvata «dai due terzi del Parlamento e non con una legge ordinaria».

Molto critici anche l’Italia dei Valori e l’Udc. Per il partito di Di Pietro parla il presidente dei senatori Felice Belisario: «Alla faccia degli italiani che pagano le tasse e degli italiani onesti che rispettano le regole. Questo governo è antitaliano, è contro l’Italia perché dichiara non punibili tutti i reati fiscali e il riciclaggio di denaro sporco. Il governo consegna il nostro Paese ai poteri forti, alle bande malavitose e anche ai terroristi oltraggiando lo Stato di diritto. L’Italia è diventata un Paese dove violare la legge è la regola». «La Lega si dimostra ancora una volta paladina dei furbetti e dei disonesti - ha dichiarato invece Antonio De Poli dell’Udc -. È ormai chiaro che i lumbard recitano due parti in commedia: da un lato fingono di interpretare le istanze degli imprenditori onesti, dall’altro votano un provvedimento che contiene un salvacondotto per coloro che hanno commesso reati tributari come il falso in bilancio. Il Carroccio in questo eccelle: predica bene e razzola malissimo». E mentre le banche, con Corrado Faissola presidente dell’Abi, hanno assicurato “collaborazione” per la nuova legge, a difenderla ci ha pensato Maurizio Gasparri, capogruppo Pdl a Palazzo Madama: «Lo Stato incasserà molti soldi, non si interrompe nessun

Dura protesta anche da parte dell’Associazione nazionale dei magistrati: «Questa nuova legge è come un’amnistia, garantirà l’impunità per chi froda il fisco» procedimento in corso. La sinistra non ci ha detto quale sarebbe l’alternativa. Loro ne hanno una sola: le tasse». In serata è arrivata anche la bocciatura più sonora, quella dell’Associazione Nazionale Magistrati: «Si tratta di reati oggettivamente gravi, puniti con una pena massima di sei anni di reclusione, per i quali lo Stato rinuncia alla punizione, in tutti i casi e indipendentemente dall’importo non dichiarato. Il diritto penale richiede certezza ed effettività della pena, e non può tollerare un così frequente ricorso ad amnistie o sanatorie, in particolare nel settore delicatissimo dei reati economici e fiscali. La nuova legge porterà all’impunità per chi ha frodato il fisco».

Il presidente Giorgio Napolitano ha espresso perplessità sullo scudo fiscale di Giulio Tremonti. A destra, Dominque Strauss-Kahn

E anche la questione della non applicabilità ai processi in corso non sarebbe poi così definita. Lo scudo fiscale da opporre all’amministrazione in caso di contestazioni, secondo l’Agenzia delle Entrate, si concretizzerebbe soltanto con la presentazione della dichiarazione riservata e il successivo pagamento, da parte dell’intermediario, dell’imposta straordinaria. Un adempimento che ha avuto decorrenza solo da metà settembre. In questo modo la norma, modificata e integrata dall’emendamento Fleres, giuridicamente farebbe decorrere le tutele dall’entrata in vigore della legge di conversione del decreto anticrisi, ma di fatto in via amministrativa il contribuente fino al 15 settembre scorso non poteva tecnicamente accedere allo scudo. E il termine dei procedimenti in corso alla data del presente decreto, secondo l’interpretazione di alcuni senatori, coinciderebbe con l’entrata in vigore del decreto correttivo della legge anticrisi e dunque, salvo intoppi nella conversione in legge, entro il 3 ottobre prossimo, data di scadenza del decreto. L’interpretazione che farebbe decorrere le tutele dello scudo dalla conversione in legge del decreto correttivo è ritenuta meno probabile e giuridicamente tutta da avallare. Ma a sciogliere il dubbio dovrà essere la Camera.

noi». Non si può dire che manchi di sincerità, il direttore generale del Fmi Dominique Strauss-Kahn che risponde così in un’intervista all’agenzia Bloomberg, alla vigilia del G20 sui temi economici in programma a Pittsburgh oggi e domani. D’altra parte, Strauss-Kahn non fa giri di parole per esprimere la sua preoccupazione contro l’ottimismo ormai imperante: «Questa ripresa sarà piuttosto fiacca, a una media inferiore rispetto alla crescita che avevamo prima della crisi. I governi devono continuare gli sforzi per sostenere l’economia». Secondo Strauss-Kahn, inoltre, i colloqui del G20 sono un’occasione «per stabilire il modo per governare insieme la globalizzazione, e può funzionare». Quanto ai singoli Paesi, a giudizio del numero uno del Fmi gli Usa possono fare la loro parte potenziando il risparmio e riducendo il deficit, mentre la Cina può contribuire promuovendo la domanda interna che avrebbe l’effetto di rivalutare lo yuan. E poi: «Per le persone che perdono il lavoro la crisi non è superata. In molti paesi, soprattutto quelli senza adeguata rete di tutele sociali la povertà resterà. Insomma, la crisi non è superata. E i costi umani e sociali possono peggiorare prima di migliorare».

Insomma, a Pittsburgh i grandi dovranno gettare le basi per le nuove regole che dovranno sovraintendere alla finanza globale. Per gli Stati Uniti, l’obiettivo è una crescita meno dipendente in modo esclusivo dagli stessi Usa, a conferma che il G20 è destinato a diventare un organo di governance globale. L’Europa si presenta con una riforma appena approvata che varrà per il Vecchio Continente, ma può essere anche estesa al resto del mondo. Il nuovo sistema proposto dalla Commissione Ue si fonda su due pilastri: il Board europeo sui rischi sistemici (Esrb), di cui faranno parte i governatori delle banche centrali e la Bce, un commissario Ue, i presidenti delle tre autorità europee (banche, Borse e assicurazioni) e che dovrà monitorare l’esistenza di eventuali rischi sistemici e, nel caso, intervenire; il Sistema europeo di supervisione finanziaria (Esfs), che si occuperà della supervisione microprudenziale, sulle singole banche, assicurazioni e borse, e sarà composto da tre autorità, che dovranno elaborare regole (a.d’a.) tecniche uniche e valide per tutti.

Alla riunione i grandi dovranno anche gettare le basi per le nuove regole che in futuro dovranno sovraintendere alla finanza globale


diario

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Ritratti. Professore di economia, sempre su posizioni atipiche: è l’uomo della Lega anche all’Eni e a Sviluppo Italia

Fruscio, un calabrese per Bossi Chi è l’uomo che darà soldi all’agricoltura per conto dei «lumbàrd» di Marco Palombi

ROMA. Umberto Bossi, si sa, ogni lunedì sera incontra Silvio Berlusconi ad Arcore. Negli anni Novanta, invece, quando il Cavaliere era ancora “Berluskaz”, il capo dei lumbard i lunedì li passava col professor Dario Fruscio: «Stabilimmo la regola di vederci ogni settimana per parlare di economia. Dossetti, La Pira, Vanoni: altro che mercatismo selvaggio!», ha dichiarato a La Stampa. E chi è Dario Fruscio? Domanda lecita, risposta semplice: è il molosso che Bossi ha scatenato nel mondo economico, il nome ricorrente quando alla Lega spetta una casella in un ente pubblico. Eni, Sviluppo Italia, Expo 2015 e, da adesso, anche l’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, l’istituto che gestisce il traffico dei fondi – statali ed europei – di sostegno alle imprese del settore: circa 5 miliardi di euro l’anno per una platea di 1,8 milioni di imprese, una bella fetta di elettorato. «La Lega è un partito serio – dice un avversario – si preparano alle regionali facendo politica, amministrando, conquistando una poltrona che significa molto per gli agricoltori del Nord».

Il nome di Fruscio, formalmente, l’ha fatto il ministro competente, quello dell’Agricoltura Luca Zaia, leghista veneto destinato – spieghiamo qui accanto – a tentare la scalata alla poltrona del doge Galan. Il professore, però, ha un unico sponsor in politica: Umberto Bossi. Un lumbard duro e puro, si penserà. Mica tanto. Dario Fruscio è nato sì a Longobardi, ma qui finiscono le sue ascendenze nordiche: trattasi infatti di paesino vista Tir-

aziendale a Pavia – e il leader del Carroccio è già leggenda. I due si conoscono per caso nel 1994, hanno i posti vicini sull’areo Linate-Roma proprio nel giorno in cui a Bossi arriva l’avviso di garanzia per i 200 milioni della maxitangente Enimont. «Ha tutta la mia solidarietà», esordisce Fruscio, dopodiché i due parlano fitto fitto per tutto il viaggio: all’indomani, nell’ateneo di Pavia, arriva la telefonata del Senatur che coopta il nostro nella Lega. Da allora Fruscio, cresciuto nell’Azione cattolica, simpatizzante della sinistra Dc di Giovanni Marcora («sono attratto dalle minoranze»), giovane pupillo di Riccardo Misasi, è un lumbard a tutti gli effetti: negli anni è stato, nell’ombra, ideologo della Lega, autore di pensosi saggi sul neokeynesismo pub-

Ruvido, loquace e competente, dovunque sia stato nominato ha litigato con i vertici. Ma alla fine ha vinto (quasi) sempre lui reno in provincia di Cosenza, Calabria profondissima. Tutto infatti – l’accento, l’eloquio, la statura, le giacche a quadretti, i riferimenti culturali – contribuisce a fare del prossimo presidente dell’Agea il classico «intellettuale della Magna Grecia» (Gianni Agnelli su Ciriaco De Mita). La storia dell’incontro tra il professore calabrese – con studio di commercialista a Milano e cattedra in Economia

blicati dalla Padania – la verbosità è un’altra sua caratteristica tutta meridionale – e uomo del Senatur dentro, e contro, i poteri forti.

Dopo la vittoria elettorale del centrodestra nel 2001 Fruscio, trombato nel suo collegio, entra infatti nei cda sia di Sviluppo Italia che dell’Eni e dà vita a battaglie memorabili coi due potenti amministratori de-

«Via Galan o corriamo da soli», è l’avviso a Berlusconi

Il ricatto veneto del Senatùr di Valentina Sisti

ROMA. Umberto Bossi ha deciso. All’incontro con Silvio Berlusconi si presenterà con una richiesta precisa per ilVeneto: il candidato per le Regionali non dovrà essere l’uscente Giancarlo Galan. Praticamente un aut aut: perché se il premier dovesse invece dar retta ai suoi responsabili locali e insistere nella difesa dell’attuale governatore, il Senatùr non esiterà a schierare un proprio uomo e a correre da solo. E in questo caso potrebbe tirar fuori la carta Luca Zaia, in vantaggio sul sindaco di Verona Flavio Tosi. I colloqui fra il ministro delle Politiche agricole e il Senatùr si sono infittiti in questi giorni: dopo quello, interlocutorio, di domenica, a Roma Bossi ha nuovamente convocato nottetempo Zaia per dirgli che alla trattativa con Berlusconi farà il suo nome, ma senza compromettere due priorità: portare per la prima volta la Lega nella foto di gruppo dei governatori, e quindi trattare, se necessario; in secondo luogo, Zaia verrà schierato solo in caso di corsa solitaria del Carroccio, considerato il rischio di perdere, con una sua eventuale elezione, la casella nell’Esecutivo. Se il Carroccio si dice sicuro («Berlusconi l’ha promesso a Bossi,

il Veneto tocca a noi, altrimenti corriamo da soli», dicono in coro Roberto Calderoli, Zaia e il coordinatore veneto Gianpaolo Gobbo), Galan, che lunedì ha incontrato Berlusconi ad Arcore, ostenta a sua volta una certa determinazione: si è portato avanti registrando un marchio e un sito (Pvdl, Popolo veneto delle Libertà) e sulla sua ricandidatura convergono più di 300 amministratori, ma anche i ministri veneti Maurizio Sacconi e Renato Brunetta e persino il legale del premier Niccolò Ghedini, che ha definito la Lega «antiquata e feudale».

In questo quadro preziosa diventa l’alleanza con l’Udc che Galan può vantare e che verrebbe certamente meno nel caso il Cavaliere cedesse ai lumbàrd. Certo i margini di mediazione tra Carroccio e Pdl sono ridotti rispetto al passato: ma se la trattativa dovesse aprirsi, lo stesso Zaia sa che non è lui il nome più adatto per indurre Galan al passo indietro. Ad accorciare le distanze potrebbe essere il leader regionale Gobbo o anche Gianpaolo Dozzo, che a suo tempo perse l’indicazione a ministro proprio a vantaggio di Zaia.

legati, Massimo Caputi e Vittorio Mincato. È rimasta nella storia la lettera che spedì al primo, 14 pagine di critiche e blandizie chiuse da una coltellata: «Credimi, con cordialità, serenità, con ansia di concordia. Ma anche con reciproca fiducia, che da parte mia implica il convincerti che tu di Sviluppo Italia non sei né il padrone né il giocattoliere». Fruscio, in sostanza, chiedeva la delega al Turismo. Passano due settimane e a Caputi arriva un’altra missiva, in cui il professore parla della «storia manageriale ben nota» dell’ad, «ben nota anche per gli insuccessi conseguiti». Il manager s’incazza assai, ma nel 2005 arriverà la pace: Fruscio ottiene la presidenza di Sviluppo Italia Turismo. Con Mincato stessa storia: gli dà di «accentratore», lo critica in pubblico e in consiglio, poi però si acquieta e all’Eni resterà per anni – anche mentre era senatore, dal 2006 al 2008, ed era quindi incompatibile per legge – autodefinendosi «salvatore della petrolchimica italiana» per aver evitato che il leone a sei zampe perdesse il controllo della rete di distribuzione.

«Non mi piace questa nuova classe sacerdotale, i manager imperatori, gli amministratori comandanti. Ho nostalgia del management fordista, dedito al benessere sociale», dichiarò al Corsera: «Ciò su cui ho irremovibile persuasione – aggiunse – è che il movente del profitto è, in sé e per sé, un non senso». La sua ultima battaglia è quella, in parte persa, da presidente dei sindaci di Expo 2015. Fruscio è riuscito sì a impedire l’arrivo al vertice della società del morattiano Paolo Glisenti – quello voleva un superstipendio, il professore glielo bloccò – ma poi, e siamo a marzo, ha dovuto dimettersi. Il rapporto con Bossi però è rimasto saldo: «Io ho la fiducia di Bossi – disse poco prima di dimettersi –. Alla Moratti, che si lamentava di me, ha risposto: “Se lo dice il professor Fruscio ha ragione lui”». Da adesso se ne accorgeranno anche gli agricoltori.


diario

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Un italiano precipita da una gru, un marocchino travolto dalla ruspa

Un’iniziativa di «Persone e Reti» con Binetti e Rutelli

Morti bianche: due vittime a Brescia e a Trento

I cattolici e la politica: un seminario a Roma

BRESCIA. Sono due le vittime

ROMA. Scienza, religione, economia e una «agenda della speranza»: sono i temi che saranno affrontati e sviluppati oggi e domani nell’ambito del seminario «La rabbia e il coraggio», terzo convegno organizzato dall’associazione «Persone e Reti». Tanti ospiti illustri prenderanno parte ai due giorni di dibattito culturale il cui filo conduttore è la frase di Sant’Agostino. Apertura dei lavori oggi alle 11.30, sala del Mappamondo a Montecitorio, con i risultati della ricerca della Ipsos su «I cattolici dopo il voto 2009», presentati da Nando Pagnoncelli. Nel pomeriggio, i dati saranno commentati nel corso di un dibattito sul tema «I laici cattolici e la democrazia in Italia», al quale parte-

di un gravissimo incidente sul lavoro accaduto ieri mattina a Brescia, nello stabilimento siderurgico della “Ori Martin”. Si tratta del titolare e di un dipendente, entrambi bresciani, di una ditta specializzata nella sistemazione dei tetti, la “Sm Lattoneria Brescia”. Ad avere la peggio è stato il 43enne Alberto Simoncelli. Il titolare della ditta è, infatti, morto sul colpo mentre, Gabriele M., di 47 anni, è ora ricoverato in gravissime condizioni presso gli ospedali civili della città lombarda, dove è stato sottoposto a un intervento d’urgenza. Del caso si sta occupando ora la polizia ma secondo le prime ricostruzioni i due uomini sono precipitati dal cestello di una piattaforma che si è sganciato all’improvviso. Appena venuti a conoscenza del terribile incidente, la Rsu e i sindacati metalmeccanici della storica acciaieria bresciana hanno indetto uno sciopero immediato fino alle 10 di domani mattina.

In provincia di Trento, ad Arco, un operaio marocchino, Said Karroui di 37 anni, è morto invece decapitato dalla lama di un escavatore. L’incidente è avvenuto nel parco Braille, vicino all’ospedale, in-

Alimentaristi, l’arrocco di Epifani a Sacconi La Cgil prova a ribaltare gli equilibri nelle relazioni sindacali di Francesco Pacifico

ROMA. Primo, sottrarsi dal giogo al quale l’hanno costretto i metalmeccanici di Rinaldini e gli statali di Podda. In secondo luogo, dare un calcio all’accordo separato sulla riforma dei contratti, dimostrare che le parti – se vogliono – possono andare oltre i rigidi paletti imposti da quel patto. L’ha voluta fortemente Gugliemo Epifani l’intesa sugli alimentaristi, che quarantott’ore fa la Cgil ha firmato assieme con con Cisl e Uil.Tanto che in corso d’Italia tutti cantano vittoria.

Perché se il segretario generale della Cgil è solito usare toni smodati nell’attaccare il governo, in questa trattativa che è andata avanti per tutta l’estate – al contrario – ha lavorato nell’ombra. Ha smussato angoli, spinto i suoi delegati a insistere per chiudere un accordo molto conveniente per la categoria, forse ha anche concordato i contenuti finali con Emma Marcegaglia. E forse l’ha fatto proprio nei giorni delle aperture registrate a Cernobbio. Per capire quanto quest’intesa possa essere incisiva nella geometria delle relazioni sindacali, è sufficiente chiedere a Agostino Megale, il segretario confederale che per la Cgil ha seguito le trattative sulla riforma contrattuale. «La soluzione trovata per gli alimentaristi», spiega, «dimostra che si possono concludere intese unitarie indipendentemente da quel protocollo, andando oltre le sue troppe rigidità». E andando più nello specifico, aggiunge: «In questo testo non sono presenti quegli elementi che ci avevano portato a non condividere quella piattaforma: è tutelato a livello nazionale il salario reale, non ci sono deroghe sui diritti e l’aumento pattuito, 141 euro, è superiore a quanto si sarebbe concesso calcolando attraverso il nuovo indice inflattivo Ipca». Certo, gli alimentaristi sono un mondo a sé: non sono estremisti, fanno parte di un settore che tira e soprattutto hanno una piattaforma che facilita le intese aziendali. Fatto sta che i riformisti della Cgil, non meno esperti dei colleghi della Cisl in tema di elaborazioni sul se-

condo livello, rimettono nel dibattito tutti quegli elementi che a marzo erano sembrati orpelli dialettici per far saltare l’intesa. E soprattutto escono dall’angolo, dove li aveva sbattuti l’attivismo conservatore dei metalmeccanici e degli statali, in prospettiva di un congresso di marzo. Oltre a spingere per un candidato a loro gradito, presenteranno una proposta molto ambiziosa sulle trattative aziendali, incentrata su incentivi per l’estensione del secondo livello alle Pmi per la bilateralità. Una proposta che dovrebbe entrare nella mozione della maggioranza, che la commissione per il documento politico sta scrivendo. Se il congresso è a marzo, il contratto degli alimentaristi finisce per avere forti ripercussioni già oggi nell’infinitiva guerra tra Maurizio Sacconi e lo stesso Epifani. Per i prossimi rinnovi il ministro vuole destinare le poche risorse a disposizione sulla contrattazione decentrata. Il segretario della Cgil, con gli alimentaristi che prendono 142 euro lordi invece dei 117 dall’Ipca, può dire a gran voce che il contratto nazionale è tutt’altro che superato. Ma in questa logica, e potrà sembrare paradossale visto gli equilibri attuali in Cgil, il gioco di Epifani potrebbe saltare per il massimalismo di tute blu e pubblico impiego.

È stato il segretario di corso d’Italia a spingere per un accordo unitario. Un colpo al massimalismo della Fiom

torno alle 10. Secondo una prima ricostruzione l’uomo, che risiedeva ad Albenga in provincia di Savon ed era al suo primo giorno di lavoro, si trovava alla guida di una piccola ruspa e stava effettuando lavori di pulizia su una stradina in forte pendenza quando ha perso il controllo del mezzo. L’escavatore è rotolato in una scarpata per alcune decine di metri. Sbalzato dal sellino, Said è rimasto decapitato dalle lame montate sul mezzo. Sembra che l’operaio non fosse assicurato alla ruspa con le cinture, ma sulle dinamiche dell’incidente stanno ora indagando i carabinieri.

Con la mobilitazione del 9 ottobre la Fiom è convinta di stravincere in piazza (più che nelle fabbriche) lo scontro con Federmeccanica e con Film Cisl e Uilm. La stessa Funzione pubblica di Carlo Podda vista la decisione del governo di non inserire le risorse per gli aumenti di categoria, gioco forza è costretta sulla strada dello sciopero. E se le manifestazioni andassero bene, Epifani non potrà giocare un ruolo attivo nel passaggio tra crisi e ripresa. Nota Fabrizio Solari, segretario confederale e riformista doc: «La Cgil è in grado di proporre soluzioni coraggiose e innovative, e l’accordo di marzo non lo era, ma bisogna uscire da una logica difensiva».

ciperanno Alberto Bobbio (caporedattore Famiglia Cristiana), Mimmo Delle Foglie (editorialista Avvenire) e Andrea Romano (direttore Italia Futura). Nel corso del seminario prenderanno la parola anche monsignor Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni, Francesco Rutelli e Paola Binetti.

Insomma, «rabbia, coraggio e speranza» sono le tre parole chiave di questo seminario, che il presidente dell’associazione, Luigi Bobba, presenta così: «La speranza ha due bei figli: la rabbia e il coraggio. La rabbia nel vedere come vanno le cose, il coraggio di vedere come potrebbero andare. La frase di Sant’Agostino ci ha ispirato nel pensare e nel realizzare questo seminario. Rabbia, coraggio e speranza sono il filo conduttore di queste due giornate di dialogo, confronto e proposta. Perché dei laici cattolici impegnati nell’agorà, nello spazio pubblico, non possono assistere indifferenti alla evidente corrosione di un’etica pubblica, alla crescente delegittimazione delle istituzioni democratiche, all’impoverimento dei processi di partecipazione popolare. Restare alla finestra è farsi corresponsabili di questo stato di cose».


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il paginone

Irina Bokova, bulgara, 57 anni, è stata ministro degli Esteri e ha traghe Adesso è stata eletta alla guida dell’Unesco lasciando al palo il grande f

La donna che ha volte succede. L’agnello sacrificale, il candidato di bandiera che tutti danno per spacciato di fronte a quello che si presenta come il vincitore designato, ce la fa. E improvvisamente si scopre che le regole della democrazia possono ancora funzionare e che riescono anche a battere gli accordi stretti sottobanco in nome della più spietata realpolitik. Non solo. Si scopre che la persona giusta per dirigere l’Unesco, che è il foro mondiale della cultura, era proprio lei: Irina Gueorguieva Bokova. La prima donna che siederà sulla poltrona di direttore generale nella storia di questa agenzia dell’Onu è una bulgara, 57 anni, già ministro degli Esteri del suo Paese - sia pure per pochi mesi, dal novembre del 1996 al febbraio dell’anno successivo - ed ora ambasciatore a Parigi dopo essere stata a lungo rappresentante della Bulgaria proprio all’Unesco. Sposata, due figli già grandi, un’educazione divisa tra la Russia - laurea in relazioni internazionali all’università di Mosca nel 1976 - e gli Stati Uniti - a Washington e a Harvard nel 1989 e nel 1999 come è successo a tanti politici dell’Europa orientale che hanno vissuto il crollo dell’impero comunista. È lei che ha lasciato al palo il potente ministro della Cultura egiziano, Farouk Hosni, il “faraone”, il fedelissimo del presidente Mubarak che ne voleva fare il primo arabo alla testa dell’Unesco che ha la sua sede centrale a Parigi e che era diretta dal giapponese Koichiro Matsuura che passerà in novembre il testimone.

A

Hosni è caduto sotto il peso delle polemiche sul suo antisemitismo. Ufficialmente e pubblicamente smentito proprio per mettere insieme la maggioranza

dei voti del comitato esecutivo dell’Unesco, ma confermato da tante sue prese di posizione su quello che ha definito «il carattere inumano e razzista» della cultura ebraica. Nel 2008, davanti al Parlamento egiziano, in risposta a un’interpellanza dei Fratelli musulmani sull’esistenza di libri israeliani nella biblioteca di Alessandria, Farouk Hosni era arrivato a dire: «Se ce ne sono, li brucerò io stesso davanti a voi». Nonostante queste credenziali che avrebbero dovuto rendere impresentabile la sua candidatura, Hosni era convinto di farcela. Perché oltre ai

sono divisi così: 31 sono andati a Irina Bokova, 27 a Hosni che, alla vigilia, si diceva sicuro di averne in tasca 32. Adesso la parola finale spetterà alla conferenza generale dei 193 Paesi membri dell’Unersco che si riunirà il 15 ottobre per ratificare la scelta. Ma da quell’assemblea non si attendono altri colpi di scena. Anche se c’è molta tensione e il presidente Mubarak ha preso questa bocciatura come un affronto personale. È molto probabile che le polemiche continueranno. Ma è sicuro che, per una volta almeno, ha vinto quella che si può definire la

Molti pensano che abbia vinto soltanto perché si è sgretolato il fronte che sosteneva il suo avversario, ma ha le idee chiare e un piano preciso: sfruttare lo strumento dell’educazione e della cultura per superare divisioni e conflitti Paesi del blocco favorevole all’Egitto, aveva l’appoggio di una parte degli europei: a partire da Italia e Francia, disposti a puntare sul cavallo sbagliato pur di favorire il dialogo con il mondo arabo. Incoraggiati, per la verità, anche da una posizione molto cauta di Israele che, in nome dei buoni rapporti con il Cairo, aveva annunciato la sua astensione. Alla fine delle prime quattro votazioni che si sono succedute a Parigi, Farouk Hosni e Irina Bokova erano arrivati a un testa a testa: 29 voti ciascuno. Col rischio di dover ripiegare su un’elezione per sorteggio secondo le curiose regole dell’Unesco.

Ma prima del quinto, decisivo voto, sul candidato egiziano si è abbattuto un nuovo colpo. In un’intervista a un sito arabo, lo stesso Hosni ha ammesso di avere avuto un ruolo di primo piano nella protezione di Abu Abbas e degli altri terroristi palestinesi che dirottarono la nave Achille Lauro nel 1985. Allora Farouk Hosni era direttore dell’Accademia d’Egitto a Roma e fu lui, in pratica, ad aiutare i ricercati a fuggire. È stata l’ultima goccia. I 58 voti del comitato esecutivo si

ragione sociale dell’Unesco che, in nome della cultura che dobrebbe difendere e promuovere, non tollera discriminazioni, pratiche censorie e bavagli. Non a caso l’Egitto è al 146° posto, su 173, della classifica di Repoters sans frontieres sulla libertà di stampa.

È questo clima che ha fatto dire a molti osservatori che all’Unesco, più che vincere Irina Bokova, ha perso Farouk Hosni. Anche perché, nelle prime votazioni, il vero candidato forte che si opponeva al ministro della Cultura egiziano era un’altra donna, l’austriaca Benita Ferrero-Waldner, già commissario europeo alle Relazioni internazionali ed ex ministro degli Esteri del suo Paese, che si è ritirata all’ultimo scrutinio lanciando la volata della meno favorita Bokova. Questa, però, è una lettura che non rende giustizia a un personaggio che ha, sì, il difetto di essere poco conosciuto fuori dalla Bulgaria. Ma che ha una storia d’impegno politico e una visione che potrebbero servire, finalmente, a rilanciare l’Unesco che è in una profonda crisi da anni, come molte altre agenzie dell’Onu dove l’unica regola


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ettato il suo Paese nell’Unione europea dopo i primi anni difficili del post-comunismo favorito della viglia, l’egiziano Farouk Hosni, caduto sotto il peso del suo antisemitismo

a battuto il faraone di Enrico Singer

Nella foto grande Irina Bokova eletta direttore generale dell’Unesco per 31 voti contro i 27 ottenuti dal ministro della Cultura egiziano Farouk Hosni (a fianco a sinistra). Nella foto sotto, la sala dell’assemblea dell’agenzia Onu che ha sede a Parigi

seguita con efficienza è la lottizzazione dei posti di potere tra gli Stati. Irina Bokova si presenta come una donna del cambiamento. Nel suo Paese è stata la più strenua paladina dell’adesione all’Unione europea. Ha fondato, nel 1997, l’Euroean policy forum, un’organizzazione non governativa che ha promosso la politica d’integrazione europea in una società, come quella bulgara, che era appena uscita dal dominio sovietico e che era attraversata da tensioni nazionalistiche contrarie a impegnare il Paese in una struttura sovranazionale come, in fondo, è la Ue. L’eunell’Europa roscetticismo orientale non è un fenomeno da sottovalutare perché sfrutta l’avversione della gente per ogni delega di sovranità dopo l’esperienza della sovranità limitata che aveva imposto Mosca ai suoi satelliti.

Europeista convinta, Irina Bokova si è battuta proprio per superare paure e frain-

«Il mio sogno? Costruire un mondo che sia capace di dialogare rispettando le differenze senza trasformarle, però, in armi per farsi la guerra». Ma il suo primo obiettivo sarà ottenere più soldi per rilanciare le attività concrete dell’agenzia Onu tendimeenti. E, a livello del suo impegno pubblico, è stata segretario di Stato per l’integrazione europea e ha fatto parte del Comitato che ha trattato con Bruxelles l’adesione della Bulgaria alla Ue. Puntando molto sullo slogan dell’unità nella diversità, in difesa delle cultura e delle tradizioni nazionali nell’Unione europea allargata a 27 Paesi. Favorita anche dalla sua perfetta conoscenza dell’inglese, del francese, dello spagnolo e del russo, Irina Bokova ha organizzato quasi tutte le iniziative che si sono tenute a Sofia in vista dell’ingresso nella Ue e poi è stata designata dal governo come ambasciatore, prima proprio all’Unesco e poi a Parigi. Il

suo programma come nuovo direttore generale dell’Unesco ha un obiettivo molto ambizioso: fare di tutto perché l’agenzia dell’Onu favorisca un «nuovo umanesimo» - questa è testualmente la formula che ha scelto unica strada per superare le divisioni e i conflitti. Irina Bokova non crede allo scontro tra civiltà. «La mia convinzione è che per superare le crisi attuali l’arma più efficace è la cultura, la scienza, l’innovazione che sono patrimonio comune dell’umanità», dice il neo direttore generale dell’Unesco che, già al momento di presentare la sua candidatura, aveva dichiarato che «al primo posto deve esserci l’educazione» se

si vuole parlare di sviluppo. E, soprattutto, se «vogliamo costruire un mondo che sia capace di dialogare rispettando le differenze senza trasformarle, però, in armi per farsi la guerra».

La sua speranza più forte è che la cultura e l’educazione possano diventare «la chiave per trasformare le crisi in opportunità e creare un mondo dove al primo posto ci sia la dignità umana». Naturalmente, da persona abituata a fare politica e determinata a raggiungere i risultati che si pone, Irina Bokova insiste già anche sull’aumento dei fondi che i Paesi destinano all’Unesco. Senza soldi, i buoni propositi rischiano di diventare belle parole al vento. Ma, in attesa di una revisione dei finanziamenti, ha già in programma una riduzione delle spese amministrative e un impiego più produttivo dei fondi disponibili. «So bene che in tempo di crisi economica generale bisogna essere realistici», dice la Bokova. Che ha anche in mente una riorganizzazione complessiva dell’Unesco se-

condo alcuni punti messi in chiaro al momento del lancio della sua candidatura: trasparenza, più equa distribuzione dei posti e delle consulenze, aumento della presenza sul territorio con il reclutamento di personale locale. Una rivoluzione, insomma, se si paragona questo piano all’attività dell’Unesco negli ultimi anni. È presto per dire se Irina Bokova riuscirà nel suo intento. Ma le motivazioni davvero non le mancano: «Quest’anno è il ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino che ha cambiato tutto il mondo e ha liberato mi-

lioni di persone. Ognuno di noi deve continuare a fare la sua parte». Come prima donna alla guida dell’Unesco, poi, non poteva ignorare l’impegno per la parità dei sessi che in molte parti del pianeta è ancora una chimera. Irina Bokova è una veterana delle battaglie per i diritti delle donne, ha partecipato alle conferenze di Copenhagen (nel 1980), di Nairobi (nel 1985) e di Pechino (nel 1995) che l’Onu ha dedicato a questo tema e dalla sua futura poltrona dell’Unesco promette di farne «uno degli obiettivi primari dell’agenzia». Certo, per ora tutti questi progetti esistono soltanto sulla carta. Ma, a confronto con i giochi di potere sui quali Farouk Hosni aveva costruito la forza della sua candidatura, la buona volontà - e la storia personale di Irina Bokova sono già una novità positiva. E non è soltanto rituale il fatto che la prima mossa del nuovo direttore generale dell’Unesco sia stata quella di rendere pubblico omaggio all’Egitto e al suo sfidante battuto. Il dialogo riparte da qui.


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Iniziative. Incarcerato con false accuse dal governo russo, è al centro del dibattito politico europeo e americano

Khodorkovsky bipartisan La Camera (tranne la Lega) approva la mozione dell’Udc che chiede a Putin libertà per l’industriale di Franco Insardà segue dalla prima La mozione a firma Pier Ferdinando Casini sul rispetto dei diritti umani in Russia, è stata sottoscritta da tutti i parlamentari dell’Udc, dieci del Pdl, da più di venti esponenti del Pd, due dell’Idv e due del gruppo misto. Ed è stata votata a larghissima maggioranza con la sola eccezione della Lega. Nel suo intervento ieri in Aula il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, ha ricordato che «il nuovo processo a carico di

cessione della libertà vigilata a Svetlana Bakhmina, ex legale del gruppo Yukos già condannata a sei anni e mezzo per malversazione, «sembrerebbe far presagire un atteggiamento più morbido delle autorità russe nell’affrontare la battaglia legale». In un’intervista pubblicata dal Corriere della Sera il presidente russo Medvedev recita ancora la mozione - «ha dichiarato che Khodorkovsky può chiedere di essere graziato dal presidente, ma deve prima riconoscere la sua colpevolez-

Casini: «Un Parlamento di un Paese con la nostra storia che si divide sulla difesa dei diritti civili non sarebbe in grado di assolvere alle sue responsabilità verso la comunità internazionale Khodorkovsky e del suo socio in affari Platon Lebedev verte sull’accusa di appropriazione illecita di azioni e fondi di una società sussidiaria della Yukos, nonché sulla sottrazione e vendita illegale di 350 milioni di tonnellate di petrolio, i cui proventi sarebbero stati riciclati attraverso un sistema di società offshore». Ovviamente la difesa dei due imputati ha respinto queste accuse, sostenendo, da un lato, l’impossibilità materiale di appropriarsi di 350 milioni di tonnellate di petrolio, dall’altro l’improbabilità che una società capogruppo potesse sottrarre illecitamente fondi alle proprie sussidiarie. «Inoltre la difesa - ha aggiunto Mantica sostiene che il petrolio può essere stato venduto solo attraverso la Yukos e in modo lecito, e quindi tutte le imposte sui proventi sarebbero state regolarmente pagate». La stessa Corte europea dei Diritti umani, come ricordava uno degli avvocati di Khodorkovsky, il canadese Bom Amsterdam, in un’intervista rilasciata a liberal l’8 febbraio del 2008, «ha emesso già tre sentenze contro gli abusi subiti dal suo assistito». Nella mozione presentata da Casini si paventa il rischio che il nuovo processo a Khodorkovsky si annunci «lungo anche in considerazione dell’elevato numero di testimoni chiamati in causa dalla difesa e dall’accusa». E mentre la con-

za: la nostra procedura è precisa, chi vuole, si rivolge al presidente, si riconosce colpevole e chiede l’atto di clemenza».

Nel suo intervento Pier Ferdinando Casini ci ha tenuto a ricordare che oltre al caso Khodorkovsky «esistono diversi e gravissimi episodi di giornalisti uccisi su cui ancora non si è fatta chiarezza. E poiché sono diversi, sono consequenziali questi episodi, sono tutti legati a vicende che rischiano di avere un unico filo conduttore, è ancora più preoccupante la situazione che monitoriamo dall’estero». Il leader dell’Udc ha evidenziato come la vicenda giudiziaria abbia assunto risvolti politici dal momento che l’ex magnate della Yukos aveva finanziato l’opposizione democratico-liberale al regime di Putin e aveva annunciato una sua imminente discesa in campo. «Noi non siamo interessati in questa sede alle attività finanziarie ed economiche di Khodorkovsky, ma questa vicenda giudiziaria si è tinta in modo preoccupante di gravi colori e motivazioni politiche». Casini ha sottolineato, poi, che «siamo l’unico Paese in cui per la prima volta si discute di questa vicenda in Parlamento. Al Senato americano c’è una mozione dell’allora senatore Obama e dell’allora senatore McCain, perché maggioranza e opposizione hanno fatto assieme una mozione parlamentare

sul caso Khodorkovsky, chiedendo alla Russia il rispetto dei diritti dell’uomo». Ha ricordato all’Aula che lo stesso cancelliere tedesco Angela Merkel ha, incontrando recentemente il presidente russo in una conferenza stampa, sollevato il caso Khodorkovsky. «Qui non si tratta - ha proseguito - di indagare sulle vicende giudiziarie di un signore o di un magnate russo: qui si tratta di capire in che misura la politica ha influenzato i destini di questo signore rispetto ad altri signori del petrolio in un Paese, che stiamo accreditando nonostante pagine buie».

Rivolgendosi ai colleghi Casini non ha risparmiato toni polemici: «In nome della realpoli-

La carriera dell’imprenditore: amicizie importanti e senso dell’iniziativa

Come nasce un tycoon di Massimo Fazzi ikhail Khodorkovsky è nato il 26 giugno del 19963 a Mosca. La sua carriera inizia nelle vesti di leale membro del Partito comunista in piena era sovietica. Dopo la laurea all’Istituto di tecnologia chimica Mendeleev, entra nella Lega comunista giovanile, il Komsomol. È una delle strade privilegiate per fare carriera nella Russia dei primi anni Ottanta. Dopo il lancio della perestrojka, usa i suoi numerosi agganci nella struttura comunista per sviluppare un personale accesso nel mercato libero. Nel 1986, grazie agli aiuti di alcuni soci del Komsomol (e formalmente sotto la sua autorità) apre la sua prima attività: un caffè privato. Nel 1987, quattro anni prima della caduta dell’Unione sovietica, fonda quella che sarebbe poi divenuta la banca Menatep. È proprietario della maggior parte delle azioni. È proprio grazie al pacchetto azionario collegato alla banca - che presto diventa uno dei colossi del settore - che potrà in un secondo momento controllare la Yukos. I primi guadagni seri arrivano nei primi anni Novanta, quando

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la banca inizia a comprare le azioni delle maggiori industrie russe. Che lo Stato decide di privatizzare per salvare il salvabile. La Yukos - uno dei grandi protagonisti mondiali della compravendita di petrolio e gas combustibile - viene acquisita a un’asta pubblica nel 1995 per l’incredibile cifra di 350 milioni di dollari. Al momento, nonostante la situazione di prigionia, controlla il 44 per cento delle partecipazioni sociali: il governo russo le ha congelate, e ha impedito a lui o ai suoi soci di vendere. Diventa uno dei primi tycoon a dichiarare apertamente il suo benessere: una fortuna personale stimata in vari miliardi di dollari. Ma, sotto la minaccia della bancarotta, è chiamato a rispondere in solido per le falle della Yukos. La compagnia viene accusata di aver evaso le tasse nel 2000 per 99 miliardi di rubli: il buco nasce da un’ordinanza giudiziaria che blocca i conti del gigante petrolifero. Subito dopo, e siamo nel 2004, scatta l’arresto ordinato direttamente dal Cremlino. È l’inizio di un calvario giudiziario che difficilmente si concluderà nei prossimi anni.

Partendo dal Komsomol, la Lega comunista, cavalca con stile la perestrojka


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Il precipitoso declino dell’imprenditore e la furia cieca del Cremlino

Un processo in stile sovietico di Guglielmo Malagodi ikhail Borisovich Khodorkovsky viene arrestato nell’ottobre del 2003 con l’accusa di frode ed evasione fiscale. Sotto inchiesta, il mancato pagamento delle tasse inflitte alla Yukos nel 2000.Viene condannato a nove anni di prigione (poi ridotti ad otto in appello) e sbattuto in una prigione siberiana. Secondo molti analisti, la sua vera colpa è quella di aver finanziato l’opposizione democratica ed aver annunciato l’intenzione di candidarsi alla presidenza russa contro Vladimir Putin. Sei anni dopo, il tycoon era pronto per ottenere la libertà vigilata: ma i giudici lo hanno risbattuto in cella e hanno annunciato un nuovo processo. Secondo una corte di Mosca, ci sono «troppe nuove prove, troppi nuovi documenti» da esaminare per prendere in esame la concessione della libertà condizionata». Nel frattempo, sin dalla proclamazione della prima sentenza di condanna, si sono moltiplicati i casi di intimidazioni, minacce e ingiustizie contro tutti coloro che sono coinvolti nella difesa di Khodorkovsky. Inoltre, le Corti di giustizia di decine di Paesi europei si sono rifiutate di inviare in Russia materiali e documentazioni

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relative agli uffici della Yukos presenti sul loro territorio. Un giudice di Londra, nel 2007, ha risposto così a Mosca: «Non daremo questi materiali perché quello in corso contro i due dirigenti della compagnia petrolifera è un processo con evidente carattere politico e discriminatorio». Karina Moskalenko, nota attivista per i diritti umani, ha commentato: «In questo Paese tutti i verdetti sono possibili. Ma in casi come quello in esame no, perché è stato già tutto stabilito. Fino a che il clima politico non cambia, è impossibile pensare a una revisione del processo Yukos». Nel frattempo, la stessa situazione del detenuto peggiora: l’odio del Cremlino si manifesta anche all’interno di uno sperduto carcere siberiano. L’imprenditore è stato punito per non aver voluto partecipare a un corso di cucito e per non aver tenuto le mani dietro la schiena nell’ora d’aria. Una sua intervista al settimanale Esquire - già approvata dai dirigenti della prigione - gli è costata alcune settimane di isolamento duro. Quando un suo ex collega era in fin di vita, ha smesso di mangiare per chiedere cure mediche adeguate. E poi è caduto in semi-coma per alcuni giorni.

L’imprenditore è stato punito perché non ha seguito un corso di cucito in prigione

Una mozione del Senato Usa del 2005 unisce repubblicani e democratici

McCain e Obama: liberatelo di Gaia Miani l 18 novembre del 2005, una risoluzione del Senato americano porta come intestazione la firma di tre politici statunitensi destinati a cavalcare le ultime presidenziali: Joe Biden jr, Barack Obama e John McCain. I tre senatori chiedono e ottengono dai loro colleghi una dura condanna nei confronti del governo russo per l’arresto, la sentenza e l’imprigionamento di Mikhail Borisovich Khodorkovsky e del suo socio, Platon Lebedev. Partendo da un lungo prologo, che racconta l’arresto e le accuse mosse contro l’industriale, i tre firmatari spiegano che «il sistema di giustizia criminale del governo russo non ha accordato ai due uomini d’affari un processo giusto, trasparente e imparziale». Prima di questa frase, i tecnici e gli sherpa della seconda Camera a stelle e strisce hanno descritto le modalità dell’arresto e le accuse assurde con cui i due sodali vengono incastrati in maniera pretestuosa dai funzionari del governo russo. Che arrivano a contestare loro cose veramente assurde. E scrivono che «i procedimenti penali intentati contro Kho-

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dorkovsky e Lebedev sono motivati da questioni politiche; il loro trasferimento in campi di prigionia a migliaia di chilometri di distanza dalle loro case e famiglie è contrario alle norme del diritto russo; quello in corso è un procedimento giudiziario strumentale al Cremlino, e quindi non indipendente». Si tratta di un attacco frontale a Mosca, non inconsueto nel panorama politico americano ma sicuramente significativo, dato che i promotori sono coloro che si sarebbero poi divisi la corsa verso la Casa Bianca. Quello a Khodorkovsky, inoltre, non è uno di quei processi ai difensori dei diritti umani sparsi per il mondo; non parliamo di un oscuro avvocato che presta la sua opera per tentare di tenere testa a un regime dispotico. Alla sbarra c’è un industriale, conosciuto (e spesso temuto) dalle Borse di tutto il mondo, uno degli uomini che teneva in mano i rubinetti del riscaldamento europeo. In quest’ottica, la difesa dei tre senatori americani assume un altro valore e determina senza ombra di dubbio come la sua sia una situazione totalmente ingiusta.

Alla fine del 2005 il futuro presidente insieme al suo sfidante attaccano il regime russo

tik abbiamo messo il silenziatore a vicende come quella della Cecenia: chiedo un sussulto di dignità in un Parlamento di un grande Paese democratico come questo. Credo che il richiamo che nella mia mozione è formulato alle autorità russe sia

Ho qualche dubbio sull’indipendenza e sull’autonomia della magistratura russa. Comunque non entriamo nel dettaglio, non voglio neanche metterla ulteriormente in difficoltà tenendo una linea che potrebbe vanificare il mio obiettivo: l’approvazione al-

Il sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica, ha chiesto di integrare il testo nel senso di impegnare «il governo a continuare a utilizzare, insieme con i partner europei, tutti i canali diplomatici» un richiamo di onestà intellettuale e di serietà politica finalizzato allo stesso interesse della credibilità del Paese della Federazione Russa nell’ambito della comunità degli Stati liberi».

E accettando l’invito del sottosegretario Mantica a integrare il dispositivo della mozione nel senso di impegnare «il governo a continuare a utilizzare, insieme con i partner europei, tutti i canali diplomatici» ha aggiunto il leader udc che «è giusto questo richiamo ai partner europei e lo accolgo volentieri. Mentre quanto alla parte successiva che fa riferimento all’indipendenza delle autorità giudiziarie responsabili, essendo una questione interna russa, non mi avventurerei, anche perché rischieremmo di aprire su questo punto un dibattito che francamente - quello sì potrebbe metterci in imbarazzo.

l’unanimità della mozione. Perché un Parlamento - ha concluso Casini - che si divide sulla difesa dei diritti civili in un Paese che ha la storia e la tradizione dell’Italia sarebbe un Parlamento non in grado di assolvere le sue responsabilità verso la comunità internazionale».

Sempre nella seduta di ieri è stata, invece, respinta la mozione presentata da Fabio Evangelista dell’Idv, al quale il sottosegretario Mantica ha spiegato il motivo della contrarietà del governo dal momento che «si chiede sostanzialmente un’azione cogente ovvero un atto specifico sulla materia dei diritti umani in Russia. In questo senso, vorrei ricordarle - ha concluso - che la Russia fa parte del consiglio d’Europa ed è un Paese che dobbiamo riconoscere ufficialmente sul piano internazionale».


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a decisione del presidente Obama di non schierare elementi di difesa missilistica anti-balistica in Polonia e nella Repubblica Ceca è inequivocabilmente sbagliata. Riflette una concessione non ricambiata alla belligeranza russa, un imbarazzante abbandono dei due più grandi alleati europei dell’America ed una spaventosa mancanza di comprensione dei rischi attuali e futuri posti dall’Iran. Quel che è peggio è che questa spontanea ritirata del potere duro dell’America indica chiaramente quello che sarà un lungo inno di chiusura americano a livello mondiale. In primo luogo la capitolazione di Obama riguardava la Russia, non l’Iran. Mosca ha sempre saputo che il progetto di difesa missilistica di Bush non aveva come obiettivo le capacità offensive nucleari della Russia, per portata o per schieramento geografico. Al contrario, i nostri interessi comuni nella difesa contro le minacce degli Stati canaglia avrebbero dovuto condurci a una cooperazione di difesa missilistica, non a un antagonismo. Quello che ha turbato la Russia non sta nel fatto che i siti erano per la difesa missilistica, ma nel fatto che rappresentavano una presenza americana negli Stati del precedente Patto di Varsavia, l’attualmente defunta sfera di influenza della Russia. Adesso, senza niente che faccia pensare a un contraccambio da parte di Mosca, Washington ha ridotto drasticamente la sua presenza e isolato i suoi amici. In Russia e nell’Europa orientale, la conclusione politica di base è diretta e preoccupante: la Russia, un potere in declino, ha ringhiato e gli Stati Uniti hanno ammiccato. Questa devastante reazione si estende a tutto il mondo, in special modo tra gli alleati che affacciano sul Pacifico, i quali temono simili concessioni unilaterali degli Stati Uniti nella loro zona. In secondo luogo, i nuovi schieramenti di difesa missilistica proposti da Obama non proteggeranno gli Stati Uniti contro i missili balistici intercontinentali (Icbm) dell’Iran, per i quali furono originariamente presi in considerazione i siti dell’Europa orientale. Proteggere l’Europa non era altro che un effetto collaterale subordinato, benché benvenuto, inteso a placare la preoccupazione dell’Europa che gli Stati Uniti abbandonino l’Europa e abbraccino l’isolazionismo dietro le difese missilistiche nazionali. L’Europa occidentale, non a sorpresa, sembra molto soddisfatta dell’alternativa proposta da Obama che, se realizzata, proteggerebbe l’Europa ma avrebbe pochi vantaggi tangibili per l’America. Quindi, nonostante la retorica del presidente Obama sulla sostituzione

L

Analisi. L’ex ambasciatore Usa all’Onu: «È una ritirata imbarazzante»

Obama sui missili sbaglia (quasi) tutto Capitolare davanti alla Russia significa ignorare un grande pericolo: Teheran di John R. Bolton del programa di difesa missilistica con un programma più efficace, i sistemi in questione mirano a due obiettivi completamente diversi.

Certamente, bisogna ancora vedere se e come esattamente l’amministrazione realizzerà il suo schieramento progettato, e

gli schieramenti in Europa orientale non furono mai intesi a contrastare le minacce esistenti rappresentate dall’Iran, piuttosto dovevano proteggere contro le minacce che potevano svilupparsi nel futuro. Ovviamente, per non farci trovare impreparati prima che la minaccia dell’Iran diventasse reale, dove-

L’abbandono dell’Europa orientale non tiene conto del perché eravamo lì, sottovaluta l’Iran e piega inutilmente le ginocchia alla Russia quali nuovi rischi comporterebbe questo schieramento. Per esempio, le navi statunitensi schierate nel Mar Nero sarebbero completamente esposte alle capacità navali della Russia, in contrasto a basi più sicure nell’Europa continentale. La mancata realizzazione del nuovo progetto sarebbe vista come un ennesimo fallimento della volontà americana. Obama, nella sua spiegazione pubblica, ha omesso di riconoscere che

vamo iniziare da subito il dispiegamento, non in un futuro distante. Invece la decisione di Obama preclude efficacemente la possibilità di essere pronti quando la situazione lo richiederà. In terzo luogo, sebbene presumibilmente in riferimento alle valutazioni della nuova intelligence sulle capacità dell’Iran, la dichiarazione di Obama rifletteva semplicemente i suoi pregiudizi di vecchia data contro la difesa missilistica interna.

Loro non hanno mai creduto in essa dal punto di vista strategico, loro non hanno mai creduto che avrebbe avuto successo dal punto di vista operativo. L’opinione della nuova intelligence minimizza piacevolmente la minaccia posta dai missili balistici intercontinentali dell’Iran, facilitando così una decisione di eliminarli che nel corso della campagna dell’anno scorso fu lungi dall’essere presa.

La valutazione, come riassunto al Congresso immediatamente dopo la dichiarazione del presidente, non implicava alcuna reale nuova intelligence, ma solo una previsione rivista delle future capacità dell’Iran. La nuova “valutazione” inoltre ha confermato il desiderio spesso manifesto e fino ad oggi frustrato di trattare con l’Iran sul programma di armamenti nucleari di Tehran. Questo programma è slittato notevolmente, lasciando Obama a corto di tempo per i tentativi diplomatici. Inoltre, con maggiori sanzio-

ni economiche, con la sua posizione sul ritiro ci sono sempre meno possibilità di essere comprensivi o abbastanza severi per fermare realmente il programma nucleare dell’Iran prima del suo completamento. Quanto è conveniente, quindi, “trovare” improvvisamente più tempo sul fronte missilistico, facilitando così una strategia diplomatica che era stata sempre più orientata a fallimenti disastrosi. Inoltre, qualsiasi sia l’intelligence disponibile, essa non determina quali livelli di rischio internazionale dovremmo accettare. Obama ha una tolleranza troppo alta per un tale rischio. Obama è troppo disponibile a porre l’America nel pericolo della minaccia dell’Iran, un calcolo esattamente opposto a quello che dovremmo utilizzare. È molto meglio errare dalla parte della sicurezza statunitense che dalla parte di un maggiore rischio di devastazione nucleare. Non vi è pericolo nello schierare le nostre difese missilistiche prima che i missili balistici intercontinentali possano raggiungere l’America, ma ci saranno rischi incalcolabili se l’Iran sarà pronto prima di noi. La spiegazione razionale di Obama per l’abbandono dei siti dell’Europa orientale non tiene presenti le ragioni importanti per cui furono creati, sottovaluta la minaccia iraniana e piega inutilmente le ginocchia alla Russia.Tutto questo fa presagire un futuro di depressione. Il nostro presidente, a disagio con il potere progettuale americano, sta seguendo il consiglio del suo predecessore intellettuale George McGovern: «Vieni a casa, America». Sia i nostri alleati che gli avversari di tutto il mondo ne terranno debitamente conto.


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Previsto un calo del 40 per cento A rischio anziani e bambini

La polizia greca segue la pista anarco-insurrezionalista

Nordcorea, allarme fame: crollano i raccolti di mais

Atene, attentato (fallito) contro l’ex ministro dell’Economia

PYONGYANG. Il raccolto di

ATENE. Un attentato di stampo anarco-insurrezionalista è stato compiuto ieri mattina nel centro della capitale greca Atene. L’obiettivo era chiaramente l’ufficio dell’ex ministro dell’Economia socialista Gerasimos Arsenis, candidato a ricoprire la stessa carica in un futuro governo del Pasok. L’ufficio è utilizzato anche della moglie di Arsenis, Luca Katseli, responsabile dell’economia del Pasok. Secondo fonti socialiste, Arsenis è candidato ad essere il prossimo ministro dell’economia in caso di una vittoria di Giorgio Papandreou alle prossime elezioni del 4 ottobre. L’attentato, preannunciato con una telefonata anonima ad un giornale, non ha provocato vittime

granoturco nel regime della Corea del Nord subirà un calo del 40 per cento quest’anno, rendendo ancora più dura la mancanza di cibo in uno dei Paesi più poveri del mondo. L’International Corn Foundation, con base a Seoul, ha dichiarato che quest’anno si attende una produzione minore di 1,5 milioni di tonnellate. La media dei raccolti annuali è di 2,5 milioni di tonnellate. Il biologo Kim Soon-kwon, presidente della fondazione, ha dichiarato alla Yonhap che «il raccolto di quest’anno è il peggiore di tutti i raccolti che io ho visto in Corea del Nord negli ultimi 12 anni». Secondo Kim, la causa di questa enorme riduzione della produzione è dovuta al mancato uso di fertilizzanti e a una profonda siccità durante l’estate. La carenza di fertilizzante è stata provocata dall’interruzione dei fra Seoul e rapporti Pyongyang. In tal modo, la Corea del Sud non ha provveduto quest’anno alle 300mila tonnellate di fertilizzante necessario. Da anni la Corea del Nord non riesce a produrre cibo necessario a sfamare la sua popolazione. Le cause sono in parte dovuti a disastri naturali, in parte all’incuria e alle disastrose politiche agricole del

Colpo a sorpresa: Parigi estrada Txeroki Il tribunale francese rimanda in Spagna il leader basco di Massimo Ciullo urante l’udienza di comparizione davanti ai giudici spagnoli, l’unica parola uscita dalla bocca di Garikoitz Aspiazu, “Txeroki”, ex capo militare del gruppo separatista Eta, è stata: «Ez» (no, in lingua basca). Alla domanda dei giudici se l’imputato avesse qualcosa da dichiarare, la risposta è stata secca e definitiva. I magistrati dell’Audiencia Nacional hanno contestato a “Txeroki” cinque imputazioni per altrettanti reati commessi tra gennaio e febbraio del 2002.Tra imponenti misure di sicurezza, il leader indiscusso dell’indipendentismo armato è stato condotto davanti al giudice Ismael Moreno. Il magistrato, nonostante il rifiuto di rispondere di Aspiazu, ha condotto l’interrogatorio di rito, contestando all’imputato l’invio di due pacchi bomba, destinanti al presidente del gruppo Correo, Enrique Ybarra e alla delegata di Antena 3 per il Paese Basco, María Luisa Guerrero, fatti avvenuti a Bilbao il 17 gennaio del 2002. Al leader dell’Eta è stato contestato anche il tentato omicidio del vicesindaco socialista di Portugalete, Esther Cabezudo, il 28 febbraio dello stesso anno. Dopo circa mezz’ora,“Txeroki”è stato condotto in un’altra aula del tribunale spagnolo, dove ad attenderlo c’era il giudice Santiago Pedraz, che indaga su altri fatti di sangue attribuiti al terrorista basco. Qui, si è ripetuta la stessa scena di prima, con Aspiazu che ha risposto nuovamente «ez», alla domanda del magistrato circa la sua posizione processuale.

D

sul furgone della Guardia civil e riportato nel carcere madrileno di Soto del Real. Alla fine dell’udienza, entrambi i magistrati hanno comunicato al ministero dell’Interno di aver completato la procedura istruttoria. I giudici hanno anche dato il via libera al trasferimento immediato in Francia del prigioniero, senza approfittare dei sei giorni concessi da Parigi per la formalizzazione delle accuse.

Le autorità francesi hanno concesso un’estradizione “momentanea”, il cui termine spira domani. Per la prima volta, la Francia accetta di estradare un membro dell’Eta in Spagna, senza che i magistrati francesi abbiano ancora sentenziato sul suo caso. Secondo alcune indiscrezioni circolate nei corridoi del palazzio di giustizia,“Txeroki”non sarà riportato in Francia prima di sabato prossimo, per concedergli la possibilità di contattare i suoi avvocati e preparare la sua strategia difensiva. Il capo dell’apparato militare dell’Eta è stato arrestato il 17 novembre del 2008 nella regione francese degli Alti Pirenei, nella Francia sudoccidentale. Con lui c’era una donna, anche lei arrestata, che i media spagnoli identificarono con la ricercata dell’Eta Leire López Zurutuza.“Txeroki”, 35 anni, è entrato giovanissimo negli ambienti della lotta armata, facendo una rapida carriera che nel 2003 lo ha portato al vertice dell’organizzazione separatista. Latitante dal 2002, in Francia deve rispondere dell’omicidio di due agenti della guardia civile, avvenuto nella località di Capbreton, il primo dicembre 2007. Oltre a quelli contestati ieri, sull’ex capo militare dell’Eta pendono altri 21 imputazioni, tra le quali l’attentato all’aeroporto madrileno di Barajas del 30 dicembre 2006, dove rimasero uccisi due cittadini ecuadoregni e che pose fine alla tregua unilaterale, dopo i negoziati segreti avviati con il primo governo del premier socialista Josè Luis Zapatero. Aspiazu è anche accusato di aver fornito il fucile con il quale Javier Pérez Aldunate avrebbe dovuto attentare alla vita di Re Juan Carlos.

Sull’ex capo militare dell’Eta pendono altre 21 imputazioni, tra le quali l’attentato all’aeroporto di Barajas

regime. Secondo la International Corn Foundation, almeno il 70 per cento della popolazione del Nord usa il granoturco come alimento base insieme al riso. La riduzione del raccolto di quest’anno mette a rischio l’approvvigionamento di cibo per almeno 6 milioni di persone, un terzo della popolazione del Nord. Nonostante lo spettro della fame, il regime ha preferito continuare a perfezionare il suo programma nucleare, rompendo i dialoghi con Seoul, Usa, Russia, Cina e Giappone. Secondo il presidente sudcoreano Lee Myungbak l’offerta di aiuti e sicurezza al Nord deve essere fatta in cambio dell’abbandono del programma nucleare.

Il giudice Pedraz ha chiesto a “Txeroki” se intendeva dichiarare qualcosa a proposito dell’attentato contro il deputato socialista, Eduardo Madina, vittima di un attentato dinamitardo in cui ha perso una gamba, il 19 febbraio del 2002 e dell’autobomba esplosa a Bilbao il 12 gennaio del 2002. L’imputato ha confabulato con il suo avvocato, senza badare alle domande del magistrato, e si è rifiutato di firmare qualsiasi atto relativo alla sua comparizione davanti ai giudici spagnoli. Dopo neanche tre ore, Txeroki è stato nuovamente caricato

e i danni non sono gravi, ma la zona è stata completamente circondata da polizia, unità antiterrorismo e vigili del fuoco. L’esplosione, al quarto piano di un edificio di appartamenti nel quartiere di Kolonaki, al centro della capitale, non è stata rivendicata. Ma gli inquirenti appaiono propensi ad attribuirla ad una delle organizzazioni anarco-insurrezionaliste che hanno intensificato attacchi contro lo Stato dopo l’uccisione il dicembre scorso di un quindicenne da parte della polizia, Alexis Grigoropoulos. Dopo quel terribile episodio, l’intera Atena è stata messa a ferro e fuoco da anarchici e manifestanti anti-governativi, che hanno costretto gli edifici pubblici e buona parte dei negozi a rimanere chiusi. L’attentato di ieri, effettuato con un ordigno di costruzione artigianale, posto nel corridoio davanti all’ufficio di Arsenis e della moglie, assomiglia a quello compiuto nei mesi scorsi davanti all’appartamento dell’ex viceministro dell’interno, Panayotis Chinofotis, responsabile della polizia al momento dell’uccisione di Grigoropoulos e rivendicato dal gruppo Cospirazione dei Nuclei di Fuoco, autore anche di un recente attentato a Salonicco. Intanto il Paese si prepara alle urne.


cultura

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L’intervista. La ricetta della pensatrice italiana, residente a Parigi, per ritrovare la felicità: riscrivere la società modificandone le dinamiche, i ritmi e i tempi

Il lavoro smobilita l’uomo «Purtroppo oggi non è più un mezzo, ma un fine» A tu per tu con la filosofa Michela Marzano di Roselina Salemi

ROMA. Il titolo del suo libro è

personale. Ma il messaggio è sociale e il piano individuale. di quelli che scoraggiano un passato. Resta la domanda. Abbiamo rinunciato ad afferCome siamo arrivati a marci come individui deleganpo’: Estensione del dominio della manipolazione (Mondaquesto punto? do tutto agli aspetti simbolici dori, pp. 202, euro 18): lei, che Ci siamo arrivati perché il lavo- della dimensione sociale. Per esempio? vive in Francia non se ne era ro è diventato un fine e non un accorta perché pensava più a mezzo, l’inizio e la fine della vi- Misurare il successo con il deparafrasare un testo di Michel ta, la chiave di volta della feli- naro. Avere soldi e oggetti che i Houellebecq (Estensione del cità personale, l’unica rappre- soldi possono comprare sostidominio della lotta di classe), sentazione di se stessi: io sono tuisce lo sviluppo del proprio che ha fatto tanto discutere a quello che faccio, il posto che essere. Si mostra ciò che si è atParigi e altrove nel 1994. Ma occupo. E proprio per questo traverso ciò che si ha, l’io si Michela Marzano, italiana che produce sofferenza: perché svuota. Erich Fromm ha parlavive in Francia dove è profes- non riesci a trovare lavoro, o, se to abbondantemente dell’imsore associato all’Università lo trovi è al di sotto delle tue portanza dell’essere rispetto aldi Parigi e si trova benissimo, ha assimilato l’eredità cartesiana delle idee chiare e distinte, perciò, anche se di aspettative, o delle tue speran- l’avere, ma nel fratmestiere fa la filosofa, mette ze, perché ce l’hai ma ti pro- tempo l’avere è stainsieme con sorprendente sciuga completamente e non ti to sostituito dalsemplicità l’idealismo hegelia- lascia tempo, né spazio per al- l’apparire, dal look. no e la tradizione marxista, tro, per la famiglia, per i figli, Il successo regala l’esistenzialismo e la scuola per te stesso. Non si lavora più una maschera sopsicanalitica, con una forte per vivere, si vive per lavorare. ciale, uno stereotiAbbiamo un’alternativa? impronta della teoria del desipo che forse rassiderio di Lyotard. Arrivando a Le alternative ci sono sempre, cura, ma nasconde 39 anni a una consacrazione soltanto non le vediamo. Ab- e blocca. Uno stedi un certo livello: il settima- biamo di fronte un modello vin- reotipo la cui fraginale Le Nouvel Observateur cente, ma non ci chiediamo: lità diventa evidenl’ha indicata tra i cinquanta che cosa significa essere vin- te in tempi di crisi pensatori francesi più interes- cente nella vita? Se cerchiamo come i nostri. La santi. Di rimbalzo, qualcuno di rispondere seriamente a verità è che lo sfruttamento è l’ha scoperta anche in Italia, questa domanda appare evi- diventato consensuale: ecco la appunto, con Estensione del dente la confusione tra il piano manipolazione. dominio della manipoC’è voluto del temlazione che enuncia po però, perché questo processo si una tesi provocatoria, realizzasse. Duspecie in tempi di crisi: rante la lunga fase il lavoro non è tutto. Maria Michela Marzano è nata a Roma il 20 agosto del taylorismo nesL’abbiamo adorato codel 1970, è una filosofa e docente italiana, attualmensun operaio andame un dio, gli abbiamo te residente in Francia. va a lavorare per offerto sacrifici sanguiHa studiato all’università di Pisa e alla Scuola Nornosi: le nostre emozio“realizzarsi”. Ci male Superiore. Dopo aver conseguito un dottorato di ni, la nostra libertà, ma andava per guadaricerca in filosofia alla Scuola Normale Superiore di ne valeva la pena? gnarsi da vivere. Pisa, è diventata docente all’Università di Parigi V Di Michela Marzano si Infatti. La fine del tay(René Descartes). Autrice di numerosi saggi e articoli comincia a parlar mollorismo avrebbe dovudi filosofia morale e politica, ha curato il “Dictionnaito, ma non abbastanza. to coincidere con la fire du corps” (Puf 2007). Se ne parla più perché ne dei ritmi di lavoro Si occupa di Filosofia Morale e Politica e in particolar esprime con candore infernali. Invece, non è modo del posto che occupa al giorno d’oggi l’essere filosofico opinioni criinsolito sentir parlare umano, in quanto essere carnale. L’analisi della fragitiche sull’Italia di oggi, di giornate che durano lità della condizione umana rappresenta per lei il sul valzer delle escort e più di dodici ore. Alla punto di partenza delle sue ricerche e delle sue riflessul cinismo della politiviolenza della vecchia sioni filosofiche. Tra i libri che Michela Marzano ha ca, che per la sua capacatena fordista si è sopubblicato in Italia: “Straniero nel corpo. La passione cità di mettere il dito stituita una violenza e gli intrighi della ragione”, Milano, Giuffré, 2004; nella piaga invitandoci psicologica. Un tempo “Estensione del dominio della manipolazione. Dalla a guardare un sistema l’operaio veniva esproazienda alla vita privata”, Milano, Mondadori, 2009; disumanizzato, che è priato della sua vita “Michela Marzano. Critica delle nuove schiavitù”, diventato l’unico paraper il privilegio del paLecce, Pensa MultiMedia, 2009. mento di valutazione drone: oggi l’impiegadel successo sociale e to si trova sistematica-

In basso, Michela Marzano e, qui sotto, la copertina del suo libro “Estensione del dominio della manipolazione”. Nella pagina a fianco, Michel Houellebecq. A fianco, un disegno di Michelangelo Pace

Non percepiamo il valore di ciò che sacrifichiamo: tempo libero, autonomia di pensiero, affetti, per le donne che lavorano, spesso, anche la maternità

la filosofa

mente “fuso” negli obiettivi aziendali e spogliato della sua vita privata. Si chiede alle persone un investimento a tutto tondo. Per impegnarsi a fondo, bisogna saper correre dei rischi, per assumersi i rischi bisogna essere capaci di entusiasmarsi, in una spirale di progressiva subordinazione del pensiero e della stessa dimensione emotiva. Questo processo è stato accelerato dalla globalizzazione e dalle ormai ripetute crisi industriali e finanziarie: a poco a poco la paura ha inva-

so il mondo del lavoro. Che cosa ha di particolare questa paura? È legata all’arbitrio del nuovo capitalismo finanziario: meglio sacrificare i dipendenti che deludere l’azionista. Perciò le paure si sono moltiplicate: paura del cambiamento forzato, paura di non raggiungere gli obiettivi, paura delle ritorsioni, paura di essere licenziati. Abbiamo scoperto permanente e il mobbing. Ma non prendiamoci i giro. Come ogni organizzazione le aziende sono sempre state un


cultura

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che cosa fare nella vita, di seguire le proprie inclinazioni non è in discussione. Certo è che le donne pagano un prezzo più alto in termini di contraddizioni e rinunce, e sono sicuramente più fragili. Molte hanno pensato di incarnare il mito di Wonder Woman, cadendo nella trappola dell’ansia di perfezione. Devi essere moglie, madre, manager, tutto insieme. Ma da questa sfida non si può che uscire sconfitte. Che fare allora? Non c’è una risposta a breve termine che valga per tutte. Ma bisogna che ciascuna si prenda del tempo per sé e stia in ascolto dei propri desideri. Il desiderio personale, non il lavoro è la chiave. Dobbiamo fermarci per capire che cosa vogliamo veramente, che cosa davvero conta per noi. C’è bisogno di un ritorno al pensiero, di un impegno a livello sociale. Dove sono le intellettuali, mi chiedo, guardando all’Italia dalla Francia, perché nessuna reagisce alla regressione in atto? Sono scandalizzata da quello che si sta facendo alle donne. La situazione italiana è peggiore di quella francese? Direi che è tristissima.Tutto ciò per cui le donne hanno lottato si perde giorno dopo giorno. Lo spettacolo dato dalla televi-

luogo di esercizio e abuso di potere. L’elemento nuovo è la dissimulazione degli abusi attraverso il linguaggio. Non si parla di licenziamenti, ma di “ristrutturazione”, “ammortizzatori sociali”,“riduzione del personale”, “uscita concordata”. Si invitano i lavoratori a diventare “imprenditori di se stessi” Se non ce la fanno, è colpa loro. Scenario inquietante. Significa che abbiamo smesso di essere liberi e non ce ne siamo accorti? Più o meno. Il nuovo management richiede una totale assimilazione dei valori aziendali. Si lavora in condizioni di emergenza permanente, di competizione permanente, e sotto la costante pressione degli obiettivi da raggiungere fissati da altri. Il tutto agevolato dalle tecnologie informatiche che permettono all’azienda di essere in contatto permanente con i suoi dipendenti, valutati anche in base alla loro capacità di essere “disponibili”. Il lavoro diventa l’equivalente di una religione. Non a caso si parla di “visione”, di una “missione”, nella quale

“credere” e di “carisma” del capo. Ma nel momento in cui l’individuo si identifica completamente con gli interessi dell’azienda – si è fuso con l’azienda, ne ha assimilato il credo e la visione – perde la capacità di percepire la manipolazione alla quale è sottoposto. Se fallisce, la sua vita perde senso. Forse l’obiettivo è proprio impedire la riflessione. Ma certo. Siccome abbiamo il mito della velocità, del cambiamento, non possiamo perdere tempo, non possiamo aspettare: l’urgenza serve a evitare la discussione. Dobbiamo essere rapidi e flessibili, dobbiamo coltivare l’idea (pericolosissima) che tutto sia possibile, basta volerlo. Discorso seducente, senz’altro: a tutti piacerebbe essere sempre al massimo. E invece? Invece perdiamo progressivamente il senso della realtà. Portiamo quest’arroganza, quest’ottuso senso di onnipotenza al limite estremo: non dobbiamo cambiare il mondo, ma noi stessi. Se il mercato non ci accetta come prodotti, siamo ob-

bligati a trasformarci. È da questa “visione” che nascono gli esperti di immagine per cambiare look, migliorare lo stile, essere accettati, nasce l’ossessione della chirurgia estetica, l’adesione alla retorica pubblicitaria, il dilagare del coaching: arriviamo a vivere in una dimensione pericolosamente fittizia. Non percepiamo il valore di ciò che stiamo sacrificando: il tempo libero, l’autonomia di pensiero, gli affetti, per le donne che lavorano, spesso, anche la maternità. Dalla rinuncia allo slancio onnipotente: cercare di avere tutto, di fare tutto, con il rischio di spezzarsi, di crollare. Questo significa che le donne, entrate da poco in maniera massiccia nel mondo del lavoro hanno sbagliato a mettere in crisi il modello di famiglia tradizionale, hanno sbagliato ad accettare la sfida della carriera? No. L’indipendenza economica, la possibilità di scegliere

sione e dalla politica è penoso. Il mito collettivo è quello della soubrette, siamo tornati al “sii bella e taci”, al mercato dei corpi e alla loro intercambiabilità. Eppure... Eppure? Le donne potrebbero, come è successo negli anni Settanta, essere portatrici di novità. Come hanno modificato il modello di famiglia potrebbero modificare l’organizzazione del lavoro anziché accettarla così com’è e subirla. È arrivato il momento di riscrivere completamente le dinamiche, i ritmi, i tempi. La società si deve riorganizzare in modo più umano, lo stress costante non migliora l’efficienza, ormai è evidente, si “scoppia” a quarant’anni, si va in pezzi a cinquanta. Consigli pratici? Trovare buone ragioni per avere altro, oltre il lavoro. Non lasciarsi prosciugare, alzare le difese contro l’invasione costante della privacy, non rinunciare alle vacanze, alle proprie emozioni o alla cura dei figli, non sentirsi sempre sotto scacco, obbligati al sacrificio. Quando avremo staccato, scopriremo di avere riserve nascoste, energie creative che aspettano soltanto di essere liberate. E saremo persone migliori. Saremo sicuramente più felici. Non è la felicità che vogliamo?


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cultura

Libri. Pubblicata in Germania la tesi (respinta) per la libera docenza scritta dal Papa nel 1955. Un lato di Benedetto XVI che sorprenderà

Ratzinger, la rivelazione di Luigi Accattoli

Michael Schmaus, ordinario di “Teologia sistematica e medievalista”, si oppose con tenacia all’accettazione del testo. Esponente della teologia accademica tradizionale, riteneva inaccettabili le conclusioni cui arrivava il giovane Ratzinger

rriva nelle librerie – ma per ora solo in tedesco – un inedito giovanile di Papa Benedetto, Il concetto di rivelazione in San Bonaventura, che a suo tempo (1955-1956) non fu accettato come tesi per la libera docenza perché ritenuto incline al modernismo. Con questa pubblicazione trova un epilogo risanatore, dopo più di mezzo secolo, quel “dramma della libera docenza”– come l’ha sempre presentato il cardinale Ratzinger – che aiuta a capire la vigile attenzione del Papa teologo alle idee e alle persone.

A

Si dice “Papa teologo” e si immagina un uomo cresciuto nella pace dei libri e delle aule universitarie, ma ben si sa quanto possano essere tormentosi i libri e le aule. Per l’uomo Ratzinger lo furono almeno in due occasioni: quando la sua tesi rischiò di essere “ricusata”e quando – tredici anni più tardi – esplose il “sessantotto” nelle università tedesche. Nel primo caso egli fu considerato come il portatore di una pericolosa “modernità”, nel secondo fu contestato come “antimoderno”. Ratzinger ha 29 anni e già insegna dogmatica a Frisinga quando si sente annunciare dal correlatore Michael Schmaus (1897-1993), un personaggio di grande prestigio, che «doveva ricusare il mio lavoro di abilitazione, perché non rispondeva ai criteri di rigore scientifico»: così racconta egli stesso nel volume La mia vita (San Paolo 1997, p. 73). Siamo a Monaco di Baviera. La proposta di lavorare – in vista della licenza – su San Bonaventura viene a Ratzinger

dall’ordinario di Teologia fondamentale Gottlieb Söhngen (1892-1971), che cinque anni prima gli aveva proposto per il dottorato l’indagine su Popolo e casa di Dio in sant’Agostino.

Ed ecco il giovane Ratzinger che prende passione per Bonaventura – ne ha riparlato con emozione domenica 6 settembre a Bagnoregio, patria di Bonaventura – come già per Agostino e indaga la sua idea di Rivelazione, per scoprire eventuali consonanze con la categoria di “storia della salvezza” che

arrivava il giovane Ratzinger, che poi così formulerà quella riserva del “maestro” ne La mia vita: «Forse gli erano giunte da Frisinga delle voci irritate sulla modernità della mia teologia e non vedeva affatto nelle mie tesi una fedele ripresa del pensiero di Bonaventura, ma un pericoloso modernismo, che doveva condurre verso la soggettivizzazione del concetto di rivelazione». Söhngen difende Ratzinger dall’attacco di Schmaus e il consiglio di facoltà gli rinvia l’elaborato con l’invito a tener conto delle osservazioni del correlato-

Ci si immagina un teologo cresciuto nella pace delle biblioteche e delle aule universitarie. Ma per il giovane Joseph questo ambiente fu causa di tormento, in almeno due occasioni era allora al centro della ricerca teologica tedesca. Consegna il lavoro nell’autunno del 1955. Il correlatore della tesi Schmaus, ordinario di Teologia sistematica e medievalista, si oppone con tenacia all’accettazione di quel testo: era rivale di Söhngen, trovava nelle pagine di Ratzinger un’indiretta accusa di arretratezza alla sua conduzione degli studi medievalistici, era urtato dal cattivo arrangiamento grafico del “manoscritto” affidato a una dattilografa «che non solo era lenta ma a volte arrivava anche a perdere dei fogli» e sbagliava «persino la numerazione delle pagine». Ma soprattutto Schmaus, esponente della teologia accademica tradizionale, riteneva inaccettabili le conclusioni cui

re. Ma una revisione completa secondo le sue indicazioni richiederebbe tempi lunghi, incompatibili con l’urgenza dell’abilitazione per poter continuare l’insegnamento a Frisinga, dove nel frattempo aveva fatto trasferire – dal paese natale – i genitori. Ed ecco che Ratzinger si vede costretto a staccare dall’insieme della tesi la parte finale, dedicata alla “teologia della storia”di Bonaventura, che a differenza di quella sul concetto di rivelazione «mancava completamente di osservazioni critiche» da parte di Schmaus.

Nel febbraio del 1957 il Consiglio di facoltà accetta il nuovo elaborato, che viene “difeso” da Ratzinger in seduta pubblica il 21 di quel mese, con l’accompagnamento di una memorabile disputa fra Schmaus e Söhngen. Gianni Valente, nel volume Ratzinger professore (San Paolo 2008), ha ricostruito la scena: “Il pubblico rumoreggiava, faceva il tifo, applaudiva”. Ratzinger ebbe la libera docenza e la chiamata a Monaco per il 1° gennaio 1958. Nel 1959 l’editore Schnell & Stei-

ner pubblicò Die Geschichtstheologie des heiligen Bonaventura (La teologia della storia di San Bonaventura), tradotto già anche in italiano (1991, 2008). Ma la prima parte di quel lavoro solo ora viene pubblicata, raccordata alla parte già edita e recuperando il titolo originario della tesi: Il concetto di rivelazione e la teologia della storia in San Bonaventura. Fa parte del secondo volume delle Opere complete di Joseph Ratzinger, affidate all’editore Herder.

Ma conviene concludere questo excursus con due notazioni rivelatrici dello stesso Ratzinger. La prima è di quelle che rendono amabile quest’uomo a chiunque non sia ideologicamente prevenuto: «Dall’incubo di quel che avevo passato mi restò il proposito di non consentire tanto facilmente alla ricusazione di tesi di laurea o di abilitazioni alla libera docenza, ma di prendere le parti del più debole, quando ve ne fossero state le ragioni» (p. 79 de La mia vita). La seconda Benedetto la esprime nella “prefazione” scritta ora al volumone delle sue Opere complete, dove chiarisce di non essersi «sentito in grado» – oggi, da Papa – di «rivedere e correggere il manoscritto», mai più riletto dopo il 1962, pur convinto dell’opportunità di «riproporlo». Di rinvio in rinvio, si era proposto di riprendere quel testo nel periodo «successivo al pensionamento», ma «nel frattempo il Signore mi ha condotto lungo altre vie». Cioè è diventato Papa invece di andare in pensione e quel lavoro viene pubblicato a cura di altri. Nelle parole «non mi sono sentito in grado» io leggo un lieve rammarico per non aver potuto dare forma compiuta a ciò che per mezzo secolo aveva sognato di sistemare. Così è fatto il Papa teologo: capace di portarsi dietro per decenni lo scrupolo di una nota inesatta o di una citazione non verificata. www.luigiaccattoli.it


spettacoli ROMA. Giornata plumbea e piovosa a Roma. Un manto d’acqua copre gli uffici allestiti accanto all’Auditorium progettato da Renzo Piano, che ospitano l’imponente organizzazione alacremente impegnata a dare vita alla nuova edizione del Festival di Roma, in programma dal 15 al 23 ottobre prossimi. Incontriamo Mario Sesti, l’ideatore e il curatore di una delle sezioni cardine della rassegna, L’altro cinema - Extra, fin dall’inizio coinvolto nel progetto di matrice veltroniana, poi adottato, dopo un primo momento di esitazione, anche dalla nuova amministrazione targata Alemanno. I numerosissimi dvd con Al Pacino sparsi per la stanza testimoniano il recente passato che ha visto il leggendario attore ricevere il premio alla carriera proprio nell’ambito del Festival. Il count down che segna giorni, ore e minuti al varo della nuova edizione che campeggia sul monitor degli addetti ai lavori, è segno di un presente e di un prossimo futuro che incombono come non mai. «Inquietante eh!?», sorride sornione Sesti. «Ma dopo tutto è un periodo intensissimo, si sfiora l’isteria, perché stiamo chiudendo il programma». Quasi a farlo apposta lo interrompe la telefonata di qualcuno che vorrebbe un proprio film in cartellone. «Ma non sei fuori tempo massimo, di più!», esclama il direttore desolato mettendosi le mani tra i capelli. Frenesia che sembra ben spesa, almeno a sentire i rumors della vigilia. Alla non confermata presenza di Richard Gere, fanno seguito alcune certezze di notevole interesse. Prima fra tutte la presenza sul tappeto rosso di Paulo Coelho. Lo scrittore brasiliano, nominato nel 2007 dall’Onu Ambasciatore della pace, accompagnerà un film da lui curato, ispirato al suo romanzo La strega di Portobello. «È un film molto particolare - ci spiega Sesti - Coelho ha invitato su internet i suoi lettori a realizzare dei cortometraggi che fossero ispirati al suo racconto. A noi presenterà il risultato finale, montato dalla nostra Elisabetta Sgarbi». E se questa potrebbe essere considerata una chicca per cinefili, o al massimo per i fan dello scrittore, il grande pubblico si potrà ben accontentare della presenza di Meryl Streep. A lei sarà infatti tributato quest’anno il riconoscimento alla carriera, altra attrice dall’enorme carisma, dopo la nostra Sophia Loren, a ricevere tale premio. Ma non solo. La Streep avrà anche l’onore e l’onere di chiudere la quarta edizione del Festival. Julia&Julia di Norah Ephron, la sofisticata commedia che la vede come protagonista, è programmato come ultimo evento

24 settembre 2009 • pagina 21

Cinema. Mario Sesti ci racconta novità e retroscena del Festival capitolino

Tutti gli ospiti del Presidente di Pietro Salvatori aveva fallito negli anni Ottanta, al di fuori del mondo del cinema drammatico. Basti pensare a Il diavolo veste Prada, o a Mamma Mia! Ma anche con Julia&Julia vi stupirà, vedrete». Tante star internazionali. Ma anche tanti nomi per il cinema nostrano. «Non posso rivelare molto di più del programma ufficiale, però sappiate che nella

Da Paulo Coelho a Meryl Streep, da Gabriele Muccino a Giuseppe Tornatore. Ecco le star del red carpet che animeranno Roma

Sopra, Meryl Streep; a destra, Gabriele Muccino; Sotto, Paulo Coelho; a sinistra, Giuseppe Tornatore. In alto, Mario Sesti, tra i direttori del Festival del Cinema di Roma e curatore della sezione “Extra” della rassegna cinematografica capitolina speciale dell’ottobrata romana. «È un’attrice drammatica di tecnica straordinaria, famosa per il melodramma ma che negli ultimi anni è riuscita a fare cose incredibili anche nella commedia, un’attrice che attinge a risorse particolarissime e rare, come il canto e la danza» racconta ancora Sesti, che avrà il compito di coccolare la star nel suo soggiorno nella capitale e quello di moderarne l’incontro con il pubblico. «Negli ultimi anni è riuscità là dove

sezione che curo, L’altro cinema - Extra, saranno presenti moltissimi documentari italiani di notevole spessore», ci spiega il critico messinese. Ma spazio anche all’incontro-scontro tra Gabriele Muccino e Giuseppe Tornatore che infiammerà il pubblico dell’Auditorium, e alla presenza, tra gli altri, di Sergio Castellitto, Maya Sansa,Valeria Solarino, Alba Rohrwacher e Giorgio Colangeli (che nel 2006 si aggiudicò il premio quale miglior attore), tutti al seguito dei

tre film italiani presenti nella selezione ufficiale: Viola di mare, Alza la testa e L’uomo che verrà. A valutarli sarà una giuria presieduta dal celebre regista ungaro-statunitense Milos Forman, coadiuvato da Muccino, in doppia veste di ospite e giurato, dall’architetto Gae Aulenti, dall’attrice e presidente dell’Accademia del Cinema tedesco Senta Berger, insieme allo sceneggiatore francese JeanLoup Dabadie, dell’Accademia di Francia, alla scrittrice e regista algerina Assia Djebar, e al regista russo Pavel Lungin. «La scelta di questo presidente e di questa giuria rientra nel discorso di Rondi, relativo al recupero di una certa classicità nella forma-Festival che prima a Roma, quand’era ancora una Festa, non era presente» - ci dice Sesti. Che non ci sta a sentir parlare di fallimento per quella che inizialmente era stata pensata come una giuria popolare: «Non lo definirei proprio così. Il premio di Juno era un segnale che quel progetto aveva un suo significato e un suo valore, anche se a volte la giuria popolare è stata più realista del re nel concedere i premi. Nonostante questo è stato un buon esperimento».

Ottimi i rapporti dunque con il Presidente Gianluigi Rondi, critico di lungo corso voluto alla guida della fondazione che gestisce il Festival da Alemanno? «È un uomo di grande levatura - conferma il critico che ha lavorato a stretto contatto con Veltroni nell’ideazione della rassegna fin dal 2006 - che in qualche modo ha inventato il Festival cinematografico così come lo conosciamo in Italia. Per cui era inevitabile che, come già accennato, inserisse in quella che prima era una vera e propria festa di pubblico qualche elemento più tradizionale. Un altro buon esempio di ciò è la suddivisione nettissima, cosa che un pò mancava gli altri anni, che ci sarà tra film in concorso e film al di fuori di esso». Non manca una bonaria frecciatina alla giunta Alemanno. «Era inevitabile che la crisi colpisse il Festival, molti sponsor si sono ritirati dall’impegno massiccio sostenuto nei primi anni». Colpa solo della crisi, suggeriamo, o anche del non idilliaco rapporto con la nuova giunta comunale? «Beh, diciamo che ci potrebbe essere un concorso di colpe fra le due cose». Così, tra la notizia dei tagli e la promessa di eventi collaterali al cinema ancora più corposi e pirotecnici, non ci resta che aspettare pazienti il prossimo 15 ottobre, quando il sipario si alzerà sul red carpet della Capitale.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

da ”Asharq Alawsat” del 22/09/2009

Trame libanesi di Tariq Alhomayed l puzzle libanese si complica, specialmente dopo il secondo incarico per formare un governo, conferito a Saad Hariri. Il ruolo dell’opposizione di Nabih Berri (leader del partito Amal, filo-sciita, ndr) e di Hezbollah che non si fida più di Damasco, sono alcune tessere per capire il quadro che emerge dalle elezioni, dove in teoria, gli sciiti avrebbero perso.

I

Divisioni e settarismi che non fanno intuire un futuro tanto facile. Ora i giochi sono scoperti e sotto gli occhi di tutti. Possiamo conoscerli? Quando Hariri fece un passo indietro – dopo il primo incarico – perché non era riuscito a superare il problema della tripartizione (sciiti, sunniti, cristiani, ndr), in una maniera chiara che potesse soddisfare tutte le parti, l’intera opposizione si era astenuta nel voto di fiducia al nuovo governo. Un evento che aveva bloccato i giochi politici. L’astensione dell’opposizione, quella di Nabih Berri in particolare, ha fatto ripiombare il Paese in una disputa settaria fra la fazione sciita e quella sunnita. Berri (che è presidente – speaker – del Parlamento) è stato la foglia di fico per nascondere un conflitto di carattere confessionale. Dopo settanta giorni di consultazioni, Berri aveva annunciato che il varo del governo fosse imminente. Mentre si tentava di coprire un’operazione per indebolire la parte sunnita del quadro politico – che è il punto di forza di Hariri – e che è rappresentata dalla carica di primo ministro (nella cosiddetta tripartizione, ndr). Dopo la riconferma di Hariri, Berri ha così abbandonato la terra di nessuno e si è schierato apertamente con Hezbollah e con la sua agenda sciita. Ora qualcuno potrebbe chiedersi: quale è il ruolo del generale Aoun? Il generale non è che un’altra pedina sulla

scacchiera, mosso dalle mani dell’opposizione e di chi lo sostiene, nella maniera che più gli fa comodo. La scena libanese fa vedere che il potere delle «armi» è nelle mani degli sciiti. Sono in grado di occupare Beirut e tutto il Libano, se vogliono, in meno di un giorno. Ed è proprio ciò che è accaduto nel colpo di Stato del 17 maggio, dove Hezbollah ha occupato in armi la capitale. Hanno soggiogato tutti, anche lo Stato, mentre i sunniti, commercianti e intellettuali, preoccupati delle questioni ideologiche, non hanno né armi, né milizie. Con i cristiani tutta l’opposizione – che a porte chiuse li definisce fantocci dell’Occidente e con forti legami con Israele – pensa di sfruttare la figura di Aoun (che è cristiano, ndr).

L’opposizione è convinta che tutta la sua forza venga dall’Iran, non dalla Siria. Infatti concorda con Damasco, ma, sa che sul terreno è Teheran che detiene il potere reale. L’opposizione libanese, Hezbollah in particolare, non si fida di Damasco. Basterebbe ricordare l’assassinio dell’eminenza grigia militare del partito di Dio, Imad Mughniyeh, avvenuto proprio nella capitale siriana (il 12 febbraio 2008, ndr). Di più, in precedenza elementi dello stato maggiore di Hezbollah avevano dichiarato ad alte personalità del mondo arabo, che in passato il partito aveva sofferto per mano siriana e che la de-

cisione di non avere disaccordi aperti con loro era servita solo ad evitare altri problemi e conflitti aperti. Questa era la situazione quattro anni fa. Comunque a partire dal colpo di Stato, Nasrallah e i suoi seguaci hanno raggiunto un buon livello d’arroganza. Quando il Movimento per il futuro (il partito di Hariri, ndr) aveva utilizzato lo slogan (copiando proprio una frase del capo degli sciiti, ndr) «noi non dimenticheremo, a patto che il cielo sia ancora blu», Nasrallah aveva risposto sarcasticamente: «Fratello mio, noi non vogliamo che dimentichi!».

Tutto ciò dimostra quanto il pericolo del settarismo sia virulento in quel Paese. Comunque potrebbe aiutare i libanesi a capire quanto sia grande e pericoloso il problema per l’intero Libano. Una divisione che, se anche segnala arroganza, è un sintomo di debolezza. Vista la situazione iraniana e il contesto interno e internazionale.

L’IMMAGINE

Bravo sindaco di Firenze, ma mantieni gli impegni e, soprattutto, per bene Il sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha annunciato che dal 25 ottobre piazza Duomo sarà pedonalizzata. Che respiro di sollievo!| Poi ci viene in mente piazza Repubblica e soprattutto via Roma: un colabrodo per non scontentare tizio, caio e sempronio. Ci vengono anche in mente le strade intorno al Duomo che dovranno accogliere il traffico deviato, e se pensiamo che attualmente il Duomo è già a traffico limitato, ci si accappona la pelle al pensiero del 25 ottobre. Ci assale, infine, un grande dubbio, non per innata diffidenza ma per storia e storie di vita vissuta e patita in questa città: sarà il 25 ottobre come, per esempio, il fine agosto dei lavori di largo Cantù o i volontari che puliscono piazza della Vittoria e il giorno dopo ci sono sempre le automobili sulla piazza e su quello che una volta era un manto erboso? Saremo clementi con il nostro primo cittadino fino alla fine dell’anno, perché siamo consapevoli che non è facile mettere toppe ai disastri perpetuati per più legislature.

Lettera firmata

HA SBAGLIATO LA PRESIDE DELLA IQBAL MASIH Morti bianche e soldati caduti in Afghanistan non sono la stessa cosa e la preside della scuola Iqbal Masih di Roma, ha commesso un errore a opporsi al minuto di silenzio. La professoressa Salacone, dimentica che quei soldati sono morti rischiando la propria vita per conto di tutti noi, per difendere la pace e la sicurezza collettiva, anche perché ce lo ha chiesto l’Onu, e non questo o quel singolo governo. Pensare poi di fare una missione di pace solo con dottori e insegnanti, ci sembra un’aspirazione giusta e legittima, peccato però che non la pensino così i talebani. La complessità del problema afghano forse sfugge alla professoressa.

C’è chi ritiene di risolverlo con un po’ di bombe in più e chi invece con qualche manifestazione per la pace. Francamente ci sembrano due strade altrettanto sbagliate, ma non meno errato è stato aver mancato di spiegare agli alunni della Iqbal Masih, il valore e il significato profondo del sacrificio personale di alcuni nostri soldati e della stessa istituzione delle Nazioni Unite.

Lettera firmata

UN MESTIERE PARTICOLARE L’omaggio della gente comune ai caduti ha dato un ritrovato senso di compattezza del nostro Paese che non si sentiva da tempo. Si sta prendendo lentamente coscienza, oltre a ciò che a comportato il cambio politico del gover-

Casa a castello Problemi di spazio? Provate la casa verticale. Questo appartamento sospeso a 10 metri di altezza progettato dall’artista brasiliano Tiago Primo si trova a Rio de Janeiro. Arredata di tutto punto, con mensole, tavoli e amache la casa non è dotata di servizi e i due ragazzi si sono serviti del bagno del palazzo, rigorosamente orizzontale raggiungibile dal balcone

no, che i nostri ragazzi che compongono il fronte di pace all’estero, non sono il frutto di un fatto occasionale ma il desiderio di uno dei pochi mestieri che assicura continuità e una retribuzione particolare: si capisce quanto sia ripagante al pari del vlgar denaro: la gloria, lo sforzo altruistico, il valore della propria persona come compendio fondamentale di dignità umana. Cose che altri

mestieri difficilmente danno.

Bruno Russo

CARENZE PRODUTTIVE PUBBLICHE Nella pubblica amministrazione manca la vigile cura del tornaconto: la ricchezza è di tutti e di nessuno. Accanto a campioni e eroi, vi possono essere posapiano e assenteisti: non sono sanzionati, né licenziati. Nelle aziende pubbliche, l’efficienza è subordi-

nata a interessi dei partiti; interessi camuffati da “istanze sociali”, ossia esigenze dei lavoratori. Nelle gestioni pubbliche le raccomandazioni sono assai diffuse e manca il fallimento, che colpisce le imprese private insolventi. Così, conduzioni pubbliche cronicamente malate vengono tenute artificiosamente in vita, scaricando le perdite sulla collettività.

Gianfranco Nìbale


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dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Stai diventando più brutale e meno orientale... È arrivato Pierre Loti e ho trascorso con lui un’ora squisita. Abbiamo parlato del suo adorato Oriente. Ha raccontato di aver visto il mio Le ali infrante e ha finito col commentare: «Stai diventando più brutale e meno orientale... peccatun vero peccato!» Io amo troppo la mia patriaper essere come gli altri suoi figli. Ma lui non lo capisce; è troppo delicato, troppo sensibile. La sua anima artistica ha tutte le splendide infermità orientali. E non vuol farsi ritrarre. «Oh, no, no! Io, posare per un artista? No, mai, jamais, abadun (in arabo), tutto ma non quello, mi ucciderebbe». Loti ha sessantadueanni, ma è incipriato a meraviglia e truccato con rossetto e matita e appare pateticamente assai più giovane. Voglio rivederlo. Mi fa sentire bene il fatto di vedere un tal sognatore di umbratili sogni, un simile occidentale orientalizzato. Ho tolto tutti i denti cattivi e cariati, sei denti cariati tutti insieme! Dolore indicibile, risultato buono. Mi sento molto meglio in tutti i sensi. Il mio stomaco funziona meglio di quanto abbia fatto negli ultimi tre o quattro mesi. Ma c’è ancoradafare prima che io possa pensare a ponti o cose del genere. Mangio cibo nutriente e dormo accanto alla finestra. Lavoro meno e rendo ugualmentebene. Kahlil Gibran a Mary Haskell

ACCADDE OGGI

FERMIAMO LA “CACCIA NO LIMITS” Indignazione e rabbia sono i sentimenti espressi da personalità del mondo dello spettacolo, dello sport, da scrittori e imprenditori, che hanno deciso di scendere a fianco della Lipu per contrastare il tentativo di estendere la stagione di caccia, senza limiti temporali che fissano, come prevede attualmente la legge, la data di inizio e di fine della stagione venatoria. Contro l’emendamento presentato dalla Lega Nord alla legge Comunitaria 2009, scendono in campo in tanti, da Maurizio Costanzo a Licia Colò, da Vivian Lamarque a Susanna Tamaro, da Marco Roveda a Carolina Morace, fino a Dacia Maraini Daniela Poggi e Stefania Casini. Le loro testimonianze rafforzano la lotta di tutti coloro, sempre più numerosi, che hanno a cuore le sorti della natura e degli animali selvatici nel nostro Paese. «Sono arrabbiato e indignato per questo tentativo, l’ennesimo, in corso al Parlamento – sostiene con forza Maurizio Costanzo – Chi ci riprova sappia che non molleremo mai». «Sono per un Paese civile, che difende la natura in ogni sua espressione – aggiunge l’attrice Daniela Poggi – Sono per una società in cui il rispetto verso gli altri, esseri umani, animali e vegetali, sia al primo posto». Contro l’idea di ampliare la stagione venatoria si pronuncia anche Susanna Tamaro, naturalista oltre che grande scrittrice: «La fauna non è proprietà dei cacciatori ma un bene che appartiene a tutti gli italiani che, magari, ne vogliono godere in modo diverso. La società è cambiata. Le nuove generazioni hanno sviluppato

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)

24 settembre 1890 La Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni rinuncia ufficialmente alla poligamia 1912 Enciclica XVI Singulari Quadam di papa Pio X 1948 Viene fondata la Honda motor company 1957 Il presidente statunitense Dwight Eisenhower invia la Guardia nazionale a Little Rock (Arkansas) per far applicare la desegregazione 1958 In una sala da ballo di Cremona, Natalino Otto e Flo Sandon’s scoprono una cantante diciottenne di grande talento, che diventerà famosa come Mina 1961Esordisce il professor Pico de Paperis 1962 La Corte d’appello degli Stati Uniti ordina all’Università del Mississippi di ammettere James Meredith 1991 Viene pubblicato l’album dei Nirvana Nevermind e Blood Sugar Sex Magik dei Red Hot Chili Peppers 1993 La Broderbund pubblica il videogame Myst 1994 Viene fondata la Cathay Pacific

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

una diversa sensibilità nei confronti dell’ambiente e hanno il diritto di avere un mondo meno devastato di quello attuale». Parole forti anche dall’attrice Stefania Casini, che ricorda le recenti minacce di denunce pervenute alla Lipu, la cui unica colpa è aver smascherato l’ennesimo blitz dei sostenitori di “caccia selvaggia”. «Denunciatemi – scrive l’attrice - sono anch’io a favore della natura, rispetto gli animali, voglio chiarezza e regole». Sostegno alla Lipu anche dall’imprenditore Marco Roveda («Ho fiducia nella Lipu per l’ottimo operato»), e da Vivian Lamarque: «Aiutiamo la Lipu a proteggere i nostri cieli. E aiutiamo i nostri giovani allontanandoli dalle armi». Un messaggio potente arriva anche da Carolina Morace: «La caccia non è sport, ma violenza gratuita contro chi non può difendersi».

Lipu

L’UNIONE FA LA FORZA Ricomponendo gli equilibri amicali all’interno del Pdl, il premier e il presidente della Camera, aumenteranno addirittura la bontà del nostro governo e dei rapporti che circolano al suo interno. Del resto, per zittire tutti i delatori che parlavano di antagonismi, di deviazioni o di successioni premature, le notizie dimostrano che a destra non esiste una materialità esasperata che fraziona e particella le componenti partitiche. L’amicizia tra Berlusconi e Fini è il fondamento della forza del nostro esecutivo e della ineluttabile sostanza che l’ha generato.

L’ITALIA NON SARÀ UNA SOCIETÀ MULTIETNICA (I PARTE) Crediamo che il presidente Berlusconi sia leggermente in ritardo. Oggi la popolazione straniera è di circa 4 milioni e risiede principalmente nel Nord. Il 39% del totale provengono dall’Europa dell’Est; mentre quelli provenienti dal Nord Africa sono circa il 35%, il resto proviene dall’Africa sub-sahariana, dall’Asia, dalla Cina. I matrimoni misti sono aumentati del 300%. Gli studenti iscritti nelle scuole italiane hanno superato i 610mila. L’Italia sta invecchiando, ma la presenza di questi nuovi italiani, di età media tra i 22-32 anni, e un tasso di fecondità maggiore di quello italiano, stanno accelerando la posizione italiana verso una buona classifica come nazione giovane. I nuovi italiani hanno prodotto nel 2008 il 9,28% del Pil; nel 2008, 278.000 nuove imprese sono state costituite da stranieri; le banche italiane hanno concesso finanziamenti per 11 miliardi di euro; i lavoratori stranieri versano ogni mese 590 miliardi di euro all’Inps. Nelle concerie il 72% della forza lavoro è straniero regolare, nelle acciaierie il 57%; nell’edilizia il 44%; ormai l’integrazione economica ha raggiunto eccellenti livelli di sinergia, l’immigrazione è un fenomeno che orienterà i processi economici e sociali dell’Italia nel prossimo secolo e non sarà sicuramente gestita da ronde, da focosi sindaci o da leader politici posti sotto sequestro. Appare chiaro che di 4 milioni di nuovi italiani il 99,6% è popolazione sana, laboriosa, ben inserita e partecipe alle attività di sviluppo del nostro Paese; di essa nessuno parla, nessuno se ne occupa, nessuno promuove leggi e iniziative a tutela della loro integrazione (voto amministrativo). Ma attenzione il multiculturalismo è letale nell’idea che la nostra cultura è di plastica, malleabile, quando invece deve essere rigida. L’integrazione non funziona se i nostri valori hanno una conflagazione con quelli degli immigrati. Un Paese, una cultura. Dobbiamo essere rigidi su alcuni valori non negoziabili, come la libertà di parola, l’eguaglianza uomo-donna, la separazione di Stato e Chiesa e così via: peraltro sono le rocce della libertà, che si trovano nella dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Il multiculturismo spesso dimentica i fattori educativi, religiosi, culturali pensando soltanto a quelli sociali. Allora sì che avverrà la nostra decadenza. Giancarlo Gonfalone C O O R D I N A T O R E P R O V I N C I A L E CI R C O L I LI B E R A L SI R A C U S A

APPUNTAMENTI SETTEMBRE 2009 OGGI E DOMANI SIENA - SANTA MARIA DELLA SCALA Alla luce dei tragici avvenimenti in Afghanistan, la fondazione liberal ha deciso di dedicare il convegno di Siena agli eroi di Kabul e alla continuità della politica estera italiana. Interverranno Pier Ferdinando Casini, Giuseppe Pisanu e Massimo D’Alema. SEGRETARIO

BR

Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Filippo La Porta, Maria Maggiore,

Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio

Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,

Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,

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PAGINAVENTIQUATTRO Contrappassi. Negli Usa impazza la mania per l’Alighieri: in arrivo un videogame e un film ispirati all’Inferno

Dante, il nuovo supereroe di Francesco Lo Dico rifagno come un supermanager ma spietato come Dick Cheney, più tonitruante di Jesse Jackson, ma appena meno truce di Sarah Palin. Tetragono ai colpi di sventura per sua stessa ammissione, il nostro Dante Alighieri dovrà pararsi stavolta dalla stoccata peggiore.

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L’attesa per Dante’s Inferno, videogioco Electronic Arts che vedrà il Sommo Poeta infliggere calci rotanti a tutte le creature infernali che gli capitano a tiro, registra negli Stati Uniti numeri record. In uscita a febbraio 2010, con annesso immancabile film d’animazione in tutti i multisala del Pianeta, il game made in Usa ha tutte le carte in regola per sbaragliare Superman e Spiderman. Il fiorentino, riveduto e corretto alla maniera della mitologia a stelle e strisce, ha già conquistato prima del debutto in console tre milioni di pagine web a lui dedicate. E poi una sfilza innumerevole di magliette, gadget, ninnoli, decine di nuove edizioni del poema, una serie a fumetti e il già citato film targato Universal. Detto in sintesi, e con una metafora facile facile, l’America si è trasformata insomma in un’autentica bolgia infernale. I cultori della materia, naturalmente se ne tengano alla larga. Dante’s Inferno è minuziosamente ricco di spunti metaletterari che farebbero accapponare la pelle ad Auerbach e Contini. Fedele solo a quello «sgomento» suscitato in esegeti e filologi danteschi, il viaggio ultramondano del poeta ha tutta l’aria di non trasumanar manco per sbaglio. Il Dante di Electonic Arts è infatti un veterano pluridecorato delle crociate, che scende all’Inferno per randellare zombie. Una maccheronica catabasi, che vede il poeta fiorentino, arzillo come non mai, sfoderare un impressionante repertorio di piroette, ganci, sganassoni e tackle a tenaglia contro le malcapitate anime prave che scorrazzano per i nove gironi dell’Inferno. Più cattivo del conte Ugolino, e tarantolato come una tartaruga ninja, l’Alighieri d’Oltreoceano non si inoltra nelle cavità infernali per redimere l’umanità, di cui non gli importa un beato piffero, ma solo per più modeste ragioni sentimentali.

AMERICANO Beatrice infatti è stata messa in ceppi da Lucifero e costretta al domicilio coatto nelle ridenti valli dell’Acheronte. Una condizione che avrebbe convinto persino Auerbach in persona a fare una scappata all’Inferno per porre fine all’orrore. Naturalmente non mancano i flashback. Quelle brevi scene scandite da rallenty drammatici, che rivelano agli eroi hollywoodiani alle prese con la propria mission verità inconfessabili. Man mano che si confronta con

nemmeno sotto tortura. Alla faccia di qualunque pretesa di supremazia culturale, che pure nel mondo era valsa al fiorentino qualche piccola soddisfazione. Intendiamoci. Il videogame Ea è a detta di quanti hanno potuto visionarlo, un vero must del genere action ricco di effetti grafici strabilianti. Non del tutto privo di spessore culturale, è invece il fumetto presentato al Comic-Con International 2009, in vendita a partire dallo scorso dicembre. Illustrato da Diego Latorre e scritto da Christos Gage, definisce in maniera più approfondita il panorama infernale e accentua maggiormente sviluppi e precedenti dei protagonisti della Commedia.

Il fiorentino, riveduto e corretto alla maniera della mitologia a stelle e strisce, ha già conquistato prima del debutto in console tre milioni di pagine web a lui dedicate. E la serie a fumetti va a ruba libertini, corruttori, avidi, megalomani, cantanti di crociere e peccatori della peggior risma, Dante si rivela, secondo la versione ludica della Commedia, di estrema attualità. Il poeta ripensa infatti, nelle rare pause di riflessione che gli concede l’aspra battaglia con i neuroni, al suo passato. Un importante valore aggiunto che sfuma il personaggio. Che lo mette in condizione di comprendere che lui, ne più o ne meno degli altri, è un fetente. Uno che ha gradimento perché è tutto quello che gli altri vorrebbero essere. Solo che in questo caso, non c’è neppure il conforto di avere un discreto talento per le terzine. Il Dante del videogioco suddetto, non saprebbe comporre una rima

Non dovrebbe presentare invece grandi contributi ermeneutici il film d’animazione che uscirà in contemporanea al videogame. Rispettoso dei clichè di genere, e animato dal solito armamentario effettistico degno di ogni supereroe, convincerà tutti definitivamente che Dante è nato a Manhattan City, i genitori lo hanno rimpinzato di hamburger e privato di attenzioni, e lui ha cominciato ad arrampicarsi sui cornicioni dei grattacieli in segno di protesta. Ma in fondo è tanto buono, e soprattutto il suo mantello è fichissimo. D’altra parte uno che si è inventato l’Inferno doveva aspettarselo, prima o poi. È il 2009, e i diritti d’autore sul contrappasso, pare siano scaduti da un pezzo.


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