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Se c’è una cosa di cui sono
di e h c a n cro
sicuro è che questo mondo non basta, e se non c’è altro se lo possono riprendere tutto intero
9 771827 881004
Saul Bellow di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • SABATO 26 SETTEMBRE 2009
Intesa “tripartisan” a Siena
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
DISORDINE MONDIALE
Afghanistan, economia, etica: nasce il partito del buonsenso
Poche ore dopo la risoluzione Onu sul disarmo, Teheran sfida tutti: «Abbiamo un secondo stabilimento nucleare». Obama, Brown e Sarkozy rispondono: «Violate le regole internazionali». E danno al regime due mesi di tempo
Al convegno di liberal Casini, D’Alema e Pisanu tracciano i contorni di un’Italia possibile oltre le contrapposizioni faziose
Ultimatum all’Iran
di Franco Insardà
alle pagine 2 e 3
SIENA. Ripartire dal buonesenso, in Afghanistan, in economia e nei valori. Questo il messaggio che arriva da Siena dove Pier Ferdinando Casini, Massimo D’Alema e Beppe Pisanu hanno partecipato al convegno di liberal.
Il giornale Usa parla di successione al «premier che teme anche gli alleati»
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Il Nyt sfiducia Berlusconi
Parla il generale Federico D’Apuzzo che ha ritirato il premio della Fondazione
«Bisogna restare Legge sulla cittadinanza: duro attacco di Cicchitto a Fini a Kabul, fino Contro l’egemonia del Pdl e del Pd Tutti dànno la Merkel confermata a missione compiuta» Quali ”due forni”, Germania al voto di Riccardo Paradisi
puzzo, a cui ieri il presidente della Fondazione liberal, Ferdinando Adornato, ha consegnato il “Premio liberal 2009” alla memoria dei sei militari recentemente caduti a Kabul, conosce bene l’Afghanistan essendoci stato per ben tre anni all’epoca della missione militare internazionale Enduring Freedom. Dal prossimo 1° novembre D’Apuzzo prenderà il posto del generale Castellano alla guida della brigata Folgore che rappresenta gli italiani in Afghanistan.
ROMA. Il New York Times lancia una mozione di sfiducia a Berlusconi e vota il suo successore. Nella persona di Gianfranco Fini, definito «uno dei politici italiani più interessanti, con un piglio da statista». Non solo: è «un ex fascista che nei primi anni Novanta aveva un busto di Mussolini esposto nel suo ufficio, ma che negli anni si è trasformato in un costituzionalista centrista e secolare (e sionista), molto rispettato anche da ampi segmenti della sinistra». Di Berlusconi, insomma, meglio non parlare più. L’articolo del Nyt era dedicato alla presunta tregua tra il premier e Fini. Tregua che ieri Cicchitto, capogruppo del Pdl alla Camera, ha già infranto, attaccando Fini dalle colonne del Corriere della Sera sulla legge sulla cittadinanza: un’iniziativa personale, non condivisa dal Pdl.
di Francesco D’Onofrio
di Aldo Bacci
a scelta strategica dell’Udc in riferimento alle prossime elezioni regionali consiste nel fatto che in ciascuna Regione i dirigenti locali del partito indichino, sulla base del proprio programma amministrativo-politico, quale sia la soluzione migliore. Questa scelta non è stata analizzata in modo approfondito da quanti hanno accusato l’Udc di aver scelto la politica dei “due forni”.
na campagna elettorale fiacca che potrebbe trasformarsi in un trionfo. Senza uso di effetti speciali, e nel cuore dell’Europa. Non in un piccolo Paese dalla mutevole opinione pubblica o dallo strano sistema elettorale. Bensì nella grande Germania. A poche ore dal prossimo voto politico i toni sono bassi, i comizi radi: insomma, il clima sembra moscio.
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di Francesco Capozza
SIENA. Il generale di brigata Federico D’A-
seg1,00 ue a (10,00 pagina 9CON EURO
I QUADERNI)
• ANNO XIV •
NUMERO
191 •
l’Udc è per il vero contro lo spettro federalismo della crisi
L
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
U
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Globalizzazioni. Teheran sfida la risoluzione del Consiglio di sicurrezza contro la proliferazione delle armi atomiche
Iran, sorvegliato speciale Ahmadinejad annuncia: «Via a un nuovo stabilimento nucleare» E Obama risponde: «Regole violate. Subito un’ispezione dell’Onu» di Antonio Picasso oco più di dodici ore dopo la firma dell’impegno contro la proliferazione nucleare da parte del consiglio di Sicurezza dell’Onu, l’Iran ha annunciato al mondo di averedato vita a un secondo impianto per l’arricchimento di uranio vicino alla città di Qum. Qualcosa a metà strada tra una sfida e una minaccia, che ha smorzano i sorrisi durante il G20 a Pittsburgh. Un fuori programma che però potrebbe rappresentare un successo per l’Occidente. La dichiarazione congiunta del presidente Usa, di quello francese Sarkozy e del premier britannico Brown – apparsi insieme di fronte alle telecamere di tutto il mondo, come espressione concreta del multilateralismo – è un’anticipazione di quell’atteggiamento che il cosiddetto “Gruppo 5+1”(i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, insieme alla Germania) assumerà il primo ottobre prossimo in occasione del vertice di Ginevra, quando verrà trattato appunto il nucleare iraniano.
P
Obama ha assunto una posizione che non lascia spazio agli equivoci. Pur riconoscendo il diritto a qualunque Paese di produrre energia nucleare civile, ha citato i documenti giunti in possesso delle agenzie di intelligence occidentali – il britannico
Parla l’economista Alessandro De Nicola
«Solo l’Europa esce sconfitta dal summit» di Gabriella Mecucci
MI6 in particolare – da cui si evince come Teheran sia evidentemente intenzionata a dotarsi di un arsenale nucleare. A dispetto di quanto promesso finora dai mullah. «L’Iran sta infrangendo le regole», ha dichiarato Obama. È chiaro, a questo punto, che, giovedì prossimo nella città elvetica, il dibattito sul nucleare iraniano presterà maggiore attenzione alle potenziali
mento dei rispettivi arsenali non permettono al Cremlino di andare controcorrente. Al di là delle accuse verso l’Iran, Obama però ha coinvolto direttamente anche l’Aiea, l’agenzia preposta con i suoi osservatori in loco a controllare che l’Iran stia effettivamente realizzando un piano di energia nucleare e non una corsa agli armamenti. Il Presidente Usa ha chiesto
pensare che il programma iraniano sia in una fase effettivamente avanzata. E se da un lato non certifica che si tratti di una produzione nucleare con fini militari, dall’altro confuta i dubbi che molti in Occidente nutrivano sull’eventualità che Teheran potesse permettersi di realizzare un progetto tanto ambizioso. Le perplessità nascevano dalla complessità tecnica in sé. Si era dubitato che l’ingegneristica iraniana disponesse del know how
La padronanza della situazione mostrata dal vertice Usa nasce anche dalla sicurezza che la Russia non farà ostruzionismo
nuove sanzioni nei confronti del regime degli Ayatollah. Altro che mano tesa alla Guida suprema Khamenei, come si era cercato di fare in primavera! La padronanza della situazione esternata da Obama ieri nasce dalle recenti rivelazioni, ma anche dalla sicurezza che la Russia, questa volta, non farà ostruzionismo. L’evidenza dei fatti recenti e gli accordi con Washington per un ulteriore smantella-
controlli più severi e un atteggiamento di maggior rigore da parte di un organo internazionale che è presente da anni, seppur in modo discontinuo, sul territorio iraniano e che, di conseguenza, non avrebbe dovuto lasciarsi sfuggire una violazione di simile portata.
Da un punto di vista tecnico, un secondo impianto, oltre a quello già noto di Natanz, fa
ROMA. Quali sono le novità di Pittsburgh? Davvero la musica è cambiata in campo economico? Gli Usa ne escono indeboliti? Ne parliamo col professor Alessandro De Nicola, bocconiano, studioso di diritto commerciale. Professore, questo G20 sancisce dunque la crescita del peso dei paesi emergenti e il declino degli Usa? Non esageriamo. È sicuramente vero che i paesi emergenti contano oggi molto di più di 10 o anche 5 anni fa, però resta fermo che il 50 per cento del Pil mondiale viene prodotto dai membri del G8... Eppure proprio la Casa Bianca con un suo comunicato fa sapere che da oggi in poi non ci saranno più gli incontri fra gli
otto, ma che l’economia mondiale verrà governata dai G20... Questa è una scelta di Obama. Una scelta politicamente molto intelligente per almeno due motivi. Il primo è che in questo modo gli Usa prendono la leadership di una tendenza e quindi riaffermano la loro centralità, il loro essere il punto di riferimento. Il secondo motivo è che la potenza americana governa con maggiore facilità un G20 che un G8. Si applica così il divide et impera. In un G8 se Germania, Giappone e Francia si mettevano d’accordo, potevano dare del filo da torcere agli Usa. Nel G20 per loro sarà tutto più difficile. In realtà chi perde drammaticamente peso è l’Europa, non gli americani che restano comunque la potenza di gran
necessario per produrre energia nucleare. Altrettanto si era polemizzato sulla lunghezza dei tempi e sulle spese economiche. D’altra parte, da anni il National Intelligence Estimate (Nie), che sintetizza le proiezioni delle differenti agenzie di intelligence Usa, non nasconde la preoccupazione riguardo alle attività iraniane. E soprattutto sostiene che la scarsa liquidità delle casse di Teheran, in seguito al crollo dei prezzi petroliferi, possa non incidere su un progetto avviato e messo in budget ormai da più di
lunga più forte e quindi centrale nelle decisioni che riguardano l’economia internazionale. In tanti però ormai sostengono che non ci sarà più la centralità del dollaro che dovrà condividere il proprio potere con altre monete. Pensa sia vero oppure che siano illusioni? L’euro è l’unica moneta che potrebbe minacciare la centralità del dollaro, ma è la moneta di paesi divisi politicamente e quindi con un potere notevolmente inferiore rispetto a quello degli Usa. La leadership di una moneta non è dovuta solo a fattori ecomici ma anche a fattori istituzionali. E l’Europa non è concorren-
vent’anni. Ne consegue, sempre secondo il Nie, che i sogni di gloria degli Ayatollah potrebbero realizzarsi nell’arco di 15-20 anni.
Ben più gravi sono le considerazioni fornite dal Consiglio Nazionale di Resistenza Iraniana (Ncri) in esilio. Ieri in una nota che ci giungeva da Parigi, veniva sottolineata l’esplicita finalità dell’impianto di Qum a realizzare un ordigno nucleare. Questo potrebbe essere armato su un vettore quale il “Sejil”, con un raggio di 2000 chilometri. Evocativo il nome del progetto: Research Center for Explosion and Impact, Metfaz secondo l’acronimo in farsi. Difficile pensare che con un nome di questo genere si voglia produrre energia elettrica per illuminare le strade di Teheran. Teniamo conto inoltre che i responsabili del progetto risponderebbero direttamente al Ministero della Difesa. L’Ncri fa poi due nomi che confermano le sue teorie: il generale Javad al-Yasin, veterano della rivoluzione del 1979, e Mohsen Fakhri Zadeh, lo scienziato che in anni precedenti si era occupato dell’impianto di Natanz. Anche in questo caso, l’evidenza smonta pezzo per pezzo le giustificazioni del regime. Da un punto di vista politico, infine, le ragioni di questa riveziale. Se non ce la può fare l’euro, è impensabile che ce la facciano lo yen cinese o la rubia indiana. Almeno in tempi ragionevoli, quelli cioè che riguardano un arco temporale di prevedibilità, tutto ciò non accadrà. Quali sono oggi i rapporti di forza fra le monete e fra le economie del mondo? Certanmente gli Usa vedono il loro peso leggermente ridotto. Ma solo leggermente. E non c’è dubbio che Cina, India e, in misura minore, il Brasile, stiano recuperando. Ma è un processo lento: voglio dire che gli americani resteranno ancora molto a lungo il paese leader. Per il momento, anche se la crisi ha colpito duro e il pro-
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Pittsburgh annuncia i limiti ai bonus dei manager e la nuova governance
G8. Colpito e affondato L’avvento dei nuovi eroi
Il summit a Venti scalza il predominio occidentale e detta le nuove regole per la finanza internazionale di Vincenzo Faccioli Pintozzi ra stato auspicato da molti, e infine è divenuto realtà. L’atteso allargamento del mondo, la presa di coscienza della fine dell’eccezionalismo occidentale si è concretizzata in una nota della Casa Bianca, emanata poche ore prima dell’apertura del G20 di Pittsburgh e confermata dalla viva voce del presidente americano Obama. Il summit allargato sostituirà infatti il G8 come forum economico globale, diventando un organismo permanente per la cooperazione economica internazionale. Si tratta di un evento che molto probabilmente verrà affogato dalle notizie sull’Iran e dai limiti imposti ai manager, ma che dà il vero tratto all’incontro. E alla presidenza americana, che oltre alla mano tesa ai vecchi caporioni dell’Asse del Male ha più volte dimostrato l’intenzione di applicare la realpolitik anche e soprattutto in campo economico. Complice forse quello spiacevole inconveniente che presenta nel portafoglio di Pechino tutto il debito estero degli Stati Uniti. In ogni caso, prima di piangere la tardiva scomparsa di un organismo inutile e obsoleto, vale la pena sottolineare che - almeno nel prossimo futuro - il G8 continuerà a riunirsi. Allargato ai Paesi emergenti come Cina, India e Brasile, e con la possibilità di discutere di temi geopolitici e delle principali sfide alla sicurezza internazionale. Una chiara distinzione, quindi, tra i due formati: il vertice dei 20 Grandi sarà quindi l’unico ad occuparsi di questioni economiche. Non più soltanto la gestione della crisi, ma «la creazione di un’architettura economica internazionale per il Ventunesimo secolo», mentre i leader del G8 si concentreranno soprattutto sulle questioni di sicurezza. Come se fosse possibile discutere di questioni legate al terrorismo senza il parere di quei Paesi (e torna in campo la Cina), che possono influenzare molto profondamente gli sceicchi del Medioriente.
E
Qui sopra, il presidente iraniano Ahmadinejad. A sinistra, un’immagine dell’impianto nucleare di Natanz, la cui esistenza era già conosciuta da tempo. Sotto, Alessandro De Nicola. A destra, una protesta a Pittsburgh contro il G20 lazione sono legate alla tempistica. Per tre settimane di seguito il regime degli Ayatollah si è mostrato al mondo nel pieno della sua aggressività. Quindici giorni fa, Khamenei aveva intimato le opposizioni riformiste ad abbandonare le piazze, altrimenti ne sarebbe seguito un ulteriore giro di vite repressivo. L’Onda Verde riformista non lo ha ascoltato. Quindi ne sono seguiti nuovi scontri. Venerdì scorso, era stato il turno di Ahmadinejad con i suoi strali ne-
dotto interno lordo è diminuito pesantemente, detengono ancora il 20 per cento del Pil mondiale. Quindi i sogni di revanche contro gli Usa sono destinati alla sconfitta? Se qualcuno pensa di strappare di mano la leadership agli americani sbaglia di grosso. L’ha tenuta ben stretta Bush con il suo unilateralismo che è stato molto criticato, e che comunque è riuscito a non far cedere il passo a nessuno (e ha governato una situazione difficilissima, in cui il suo paese era sotto l’attacco terroristico). Obama ha cambiato linea, ma le sue aperture – lo ripeto – sono un modo diverso di mantenere la centralità di Washington. Nessuno creda che il presidente democratico si farà da parte. Insomma questo G20
gazionisti e antisionisti. Durante questa settimana, ancora il Presidente iraniano ha avuto la possibilità di gettare altra benzina sul fuoco, intervenendo all’Assemblea Generale dell’Onu e provocando l’Occidente. La reazione è giunta immediatamente dal premier israeliano Netanyahu, il quale dallo stesso pulpito ha mostrato la mappa del campo di concentramento di Auschwitz. Mettendo a tacere il suo rivale. Ieri, poi, il gran finale.
non rivoluziona gli equlibri? No. Gli Stati Uniti cambiano musica (cioè strategia) ma i suonatori restano gli stessi (cioè loro). I paesi emergenti indubitabilmente avanzano ma non tanto sa minacciare la supremazia Usa. Piuttosto sono gli europei ad uscire ulteriormente ridimensionati da Pittsburgh. Quanto al dollaro resterà a lungo ancora la divisa centrale del sistema. Perché questa debolezza europea? Solo gli Stati Uniti ormai sono tanto da forti da poter trattare direttamente con gli emergenti. Ne passerà di tempo prima che si modifichi questa situazione, ne passerà parecchio. Da questa crisi si esce con gli equlibri solo molto parzialmente modificati.
sto il principio-cardine sul quale si basa la bozza di comunicato che dovrebbe essere stato approvato nella notte dai leader del G20. Il testo prevede in modo esplicito di «limitare i bonus a una certa percentuale dei profitti totali netti, quando non si sia in armonia con il mantenimento di una solida base di capitale».
In precedenza il ministro del Tesoro americano, Timothy Geithner, aveva spiegato come si vogliano «introdurre standard assai rigorosi per limitare i rischi». In realtà, proprio da Usa e Gran Bretagna sarebbe venuta la maggiore cautela sui provvedimenti da adottare, con Francia e Germania determinate a far passare invece la regola delle restrizioni dei bonus. Più in generale, l’intento in seno al G20 è di attuare compiutamente la nuova normativa per migliorare qualità ed entità dei capitali bancari entro il 2012, con una progressiva applicazione mirata sull’evolversi delle condizioni finanziarie e sulla ripresa economica globale. I leader del G20 hanno inoltre raggiunto un’intesa per evitare un arresto «prematuro» delle misure di rilancio dell’economia. Secondo la bozza, è «imperativo» che i Paesi restino uniti nella lotta contro il protezionismo. Il G20, inoltre, avrebbe accettato di aumentare la quota dei paesi in via di sviluppo nel capitale del Fondo monetario iunternazionale dal 43 ad almeno il 48 per cento. Una decisione che ha soddisfatto in maniera particolare la Russia: secondo il vice premier e il ministro delle Finanze Aleksei Kudrin «si è convenuto che per i Paesi in via di sviluppo e dei mercati emergenti ci dovrebbe essere una redistribuzione della quota non inferiore al 5 per cento. Siamo soddisfatti». Rimane l’incognita sulla forma che dovrà assumere la nuova governance finanziaria mondiale, che secondo Washington dovrebbe avere l’aspetto di un’Agenzia internazionale di controllo e regolamentazione mentre per diversi Stati europei dovrebbe limitarsi a un ufficio particolare nell’ambito della Banca mondiale. In ogni caso, il nuovo strumento verrà varato non prima di un mese, quando i grandi del mondo dovrebbero ri-aggiornare la situazione alla luce della pubblicazione sui dati di diversi Pil. Tutto questo dovrebbe essere suggellato da un documento che, per la prima volta, avrà l’altisonante nome di «Patto di Pittsburgh». Evidentemente, la stretta di mano e la firma risultano obsoleti ai venti leader mondiali: necessario ritirare fuori il gentlemen’s agreement per tirare fuori qualcosa di buono dal G20.
L’incontro “europeo” rimane ma allargato a Cina, India e Brasile. E soltanto per discutere di sicurezza internazionale e di lotta al terrorismo islamico
In ogni caso, Pittsburgh non ha deluso le aspettative: i venti capi di Stato e di governo hanno anche espresso la loro opinione sui rimedi da prendere per frenare la crisi economica internazionale. Secondo una bozza preparatoria, i bonus dei manager bancari dovranno in futuro essere direttamente collegati ai risultati a lungo termine da essi conseguiti nello svolgere le proprie mansioni, e non alla loro condotta sul breve periodo, soprattutto qualora comporti rischi per i rispettivi istituti e i relativi clienti, anche se magari fosse coronata da successo nella singola fattispecie. È que-
politica
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Prospettive future. A Siena nasce il «partito del buonsenso»: un’alleanza informale per favorire le riforme e una politica estera più solida
Intesa tripartisan Afghanistan, economia, etica: Casini, D’Alema e Pisanu al convegno di ”liberal” chiedono una svolta per l’Italia di Franco Insardà
SIENA. Una risoluzione parlamentare sul multilateralismo solidale in Afghanistan proposto dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama e condiviso dal governo italiano sulla questione afghana. È l’idea che Pier Ferdinando Casini, Massimo D’Alema e Giuseppe Pisanu hanno lanciato dal convegno della Fondazione liberal dedicato agli eroi di Kabul, moderato dal direttore del Tg2 Mario Orfeo, che si è chiuso ieri a Siena. Casini al termine ha detto: «Ci sono le basi per una visione comune che riunisce molti in questo Paese al di là delle appartenenze politiche. C’è il governo del buonsenso e poi c’è chi si attarda in visioni propagandistiche e populistiche che non servono al futuro del Paese.
mo per la serietà della politica per la conferma dei nostri impegni internazionali e naturalmente nell’ambito della Nato dovremo decidere la strategia».
Massimo D’Alema ha espresso un concetto molto chiaro e
Dall’incontro scaturisce una mozione che impegna l’Italia a una nuova strategia che coinvolga tutti i paesi dell’area afgana
rapporto con le popolazioni. La comunità internazionale non può arrendersi di fronte al terrorismo, ma avvertiamo che questa missione non sta andando come dovrebbe e quindi bisogna cambiare profondamente l’impostazione».
Nessuno degli intervenuti ha nascosto la difficoltà della missione e Giuseppe Pisanu, dopo aver posto l’accento sulla brutta stagione politica, si è detto sicuro che «ci siano le condizioni per una strategia diversa». Ricordando il convegno della Fondazione liberal di Venezia dello scorso anno su rapporti geopolitici nell’era della globalizzazione, Pisanu ha parlato di «spirito profetico di quei lavori rispetto al discorso di questi giorni che il presidente Obama ha fatto alle Nazioni Unite e che ha avuto la totale adesione del governo». Sulla posizione espressa dal presidente Berlusconi all’Assemblea dell’Onu Casini, si è detto «completamente d’accordo», avvertendo però che bisogna «tenere la barra dritta, altrimenti si rischia di indebolire i nostri militari con reazioni scomposte, soprattutto quando arrivano da esponenti del governo».
A Siena, chiamati da ”liberal” a discutere della politica estera italiana, si sono ritrovati Pier Ferdinando Casini, Massimo D’Alema e Beppe Pisanu, moderati dal direttore del Tg2, Mario Orfeo. Nella pagina a fianco, il generale Federico D’Apuzzo che ha ritirato il premio assegnato alla memoria dei sei parà italiani morti
forte che ha riscosso gli applausi del pubblico. «Persino chi lo pensa in un momento come questo non può PIER FERDINANDO CASINI MASSIMO D’ALEMA evitando la duplidire: andiamo cazione delle via». E ha ag«Mi sembra «Tra noi e l’Udc missioni, quella giunto di avere che il partito c’è una evidente dell’Onu e quella aderito volentieri del buonsenso convergenza americana». Anall’iniziativa di listia facendo su temi come che per Beppe Piberal che «intenstrada in Italia, politica estera, sanu «la missione de rendere omage vediamo se immigrazione così com’è non gio ai nostri miliprima o poi e politica può andare avantari non solo per sarà in grado economica. ti e bisogna trovail sacrificio di vite di determinare D’altra parte, re una sintesi alle umane, così presvolte politiche: in Parlamento due missioni preziose in un impeci sono le basi votiamo spesso senti in Afghanigno per la pace, di una nuova allo stesso stan». Casini alma anche per il convivenza» modo» larga lo scenario loro impegno, per Per D’Alema la sfida non è delle missioni e il grande lavoro esclusivamente né soprattutto avverte: «Non bidi assistenza alle militare, ma è soprattutto politiMi sembra che il partito del popolazioni. I talebani e i terro- ca e occorre «valorizzare gli ele- conquistando il consenso degli sogna ridurre l’impegno anche buon senso si sta percorrendo risti li colpiscono proprio per- menti politici, economici e uma- afghani, con una strategia mili- negli altri Paesi, sarebbe una costrada in Italia e vediamo se pri- ché vogliono impedire il tipo di nitari, perché bisogna vincere tare attenta alle vittime civili ed sa grave perché il terrorismo è ma o poi sarà in grado di determolto diffuso: dal Libano all’Afminare svolte politiche. Non abghanistan. Bisogna coinvolgere biamo fretta, siamo sereni. Non l’opinione pubblica». Visto il capisco perché bisogna evitare parterre di prim’ordine il diretdi allargare questo partito del tore del Tg2 Orfeo non si è fatto buon senso». sfuggire l’occasione per stimoROMA. Secondo messaggio di bin Laden in Secondo, mostrare al pubblico islamico la rilare il dibattito su altri temi di pochi giorni. Poco meno di cinque minuti trovata forza dei jihadisti, capaci di incalzare La conferenza internazionale attualità: crisi ecopubblicati su un forum islamico e dedicati al- le forze internazionali. Terzo, minare nomica e immigrasecondo il leader dell’Udc è util’Afghanistan. Come era prevedibile: il Paese ulteriormente le fragili e controverse zione, partendo da le «ma ci vuole soprattutto la è tornato al centro dell’immaginario fonda- istituzioni afghane, a partire dal preuna proposta di legcapacità della politica italiana mentalista, e i successi tattici dei talebani sidente Karzai (forse con un occhio ge bipartisan, predi rispondere unita alla sfida (l’avanzata territoriale e i violenti attentati) anche alle fragili istituzioni pakistasentata dai parladel terrorismo. Dobbiamo spieinfiammano l’orgoglio degli antioccidentali. ne). Quarto, c’è Obama nel mirino. Fimentari Giovanni gare agli italiani le ragioni del Bin Laden con la sua abilità coglie questo cli- nita la luna di miele del neopresidenSarubbi (Pd) e Fasacrificio dei nostri ragazzi e rima e prova a infliggere un colpo alla comu- te, Osama approfitta dei tentennabio Granata (Pdl) scoprire la vocazione all’unità nità internazionale in Afghanistan. Chiede menti Usa per forzargli la mano e tosul riconoscimento della nazione. Non è un caso agli europei il ritiro delle loro truppe, e lo fa glierlo dalla ribalta spingendo in un della cittadinanza che Bossi e Di Pietro siano coloavendo in mente quattro obiettivi. Primo, angolo: Osama vuol far intendere agli immigrati e ro che in queste ore hanno mespressare l’opinione pubblica europea a fron- che Obama non è in grado di offrire sottoscritta da so in discussione la nostra perte delle titubanze degli occidentali dimenti- un vero dialogo al mondo islamico 50 deputati di tutti i gruppi, manenza in Afghanistan. C’è la chi della missione originale e spaventati dal ma sa neanche affrontare con forza adeguatranne la Lega. «Che ci sia demagogia da una parte e la logorio e dal costo umano dell’impegno Isaf. ta la questione afghana. (O.Ba.) un’ampia maggioranza su quepolitica seria dall’altra. Noi sia-
Bin Laden: «Andatevene da Kabul»
politica
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Parla il Generale D’Apuzzo che ha ricevuto il premio di ”liberal”
«Bisogna restare, fino a missione compiuta»
«Sono rimasto colpito dalla compostezza delle famiglie dei caduti. E dalla volontà dei feriti di tornare a Herat» di Francesco Capozza
SIENA. Il generale di brigata Federico D’A-
sto - ha detto Casini - mi dispiace per la Lega ma è un segno che l’Italia vuole guardare avanti». «Nessuno potrà fermare i flussi migratori - ha detto D’Alema - occorrono politiche condivise di lungo periodo. È una sfida che va affrontata lasciando da parte il populismo, perché gli immigrati rappresentano il 10 per cento del Pil. I respingimenti si possono fare, ma
ha andare in Afghanistan?». ha concluso amaramente. Sull’importanza della presenza degli immigrati per il nostro Paese ha concordato Pisanu che ha ricordato: «Se non ci fossero saremo più vecchi e poveri. Gli immigrati vanno integrati tenendo presente le loro idee, la cultura e la religione». Pier Ferdinando Casini ha ricordato la tragedia degli eritrei: «Chi fugge BEPPE PISANU da quel Paese nel 90 per cento dei «Credo sia casi ha diritto alarrivato lo status di rifuil momento giato politico».. Il di stendere leader dell’Udc una bozza ha accusato la di risoluzione maggioranza di parlamentare «eccitare gli anisul mi e di amplifimultilateralismo care le tensioni. solidale indicato Ho paura di una dal presidente classe dirigente degli Usa che instilla pauBarack Obama» ra. Ho letto Cicchitto, che è una persona ragionenel rispetto del diritto interna- vole, che dice che non può eszionale della Convenzione di serci una legge bipartisan sulla Ginevra. Gli immigrati sono cittadinanza. Ma come? se non fondamentali per la nostra so- si crea una visione comune sui cietà, ma la sfida è quella di at- temi del futuro della nostra sotrarre le energie migliori che, cietà su cosa la si crea? Credo per i rigidi meccanismi della che il capogruppo del partito Bossi-Fini, non possono venire di maggioranza relativa doin Italia regolarmente e finisco- vrebbe cercare una legge conno per andare in altri Stati. divisa». Sulla crisi sia Casini Mentre da noi arrivano i peg- che D’Alema non hanno rigiori. Se non siamo in grado di sparmiato critiche alle politiospitare un profugo che senso che del governo.
puzzo, a cui ieri - a Siena - il presidente della Fondazione liberal, Ferdinando Adornato, ha consegnato il “Premio liberal 2009”alla memoria dei sei militari recentemente caduti a Kabul, conosce bene l’Afghanistan essendoci stato per ben tre anni all’epoca della missione militare internazionale Enduring Freedom (2001-2003). Dal prossimo 1° novembre D’Apuzzo prenderà il posto del generale Castellano alla guida della brigata Folgore, la stessa cui appartenevano i sei militari tragicamente deceduti nell’attentato di Kabul. Generale D’Apuzzo, conosceva qualcuno dei nostri commilitoni caduti? Sì, in particolar modo uno dei sei. Si può dire che fosse un mio figlioccio dal punto di vista umano e militare. È stato un duro colpo per il Paese, per la brigata e per tutti coloro che come me conoscevano questi ragazzi. Ha partecipato ai funerali di Stato, parlato con qualche parente delle vittime? Certamente. Prima delle solenni esequie celebrate a San Paolo fuori le mura ho fatto visita alle salme dei sei ragazzi composte nella camera ardente dell’ospedale militare del Celio. Devo dire che sono rimasto molto colpito dall’eccezionale compostezza delle famiglie. In quell’occasione ho avuto anche la possibilità di far visita ai militari feriti e ricoverati proprio lì al Celio: sono rimasto sbalordito dalla grande voglia di tornare. Tornare a casa? No, di tornare in Afghanistan al fianco dei loro amici e colleghi, al servizio del Paese. Generale, non crede che sei mesi - il tempo medio di permanenza di una brigata come la folgore in zone di guerra - siano troppo pochi per “capire”? Francamente, per un militare sei mesi sono il limite umano di resistenza psicologica. Non parlo della strategia militare e politica, sia chiaro. In quel caso, come ha avuto modo di dire giustamente l’ambasciatore Gentilini, ci vorrebbero anni per capire come ambientarsi in un Paese come l’Afghanistan. Però per un giovane che si esercita e che ogni giorno rischia la vita sei mesi sono un tempo giusto di permanenza. Lei tornerà presto a Kabul come capo della Folgore? Va fatta una precisazione in merito. Io avrò a breve l’onore di dirigere la brigata, ma in questa veste avrò per primo compito l’onere - e l’onore - di riportare a casa i militari ora di stanza in Afghanistan. Questi si dovranno riaddestrare, riposare e poi, dopo circa 10-12 mesi, saranno pronti per ripartire. Nel frattempo non sappiamo quali decisioni politiche saranno prese: potremmo anche non dover tornare.
A proposito di politica; i nostri ragazzi si sentono abbandonati dalla nostra classe dirigente? Il dibattito è sempre molto acceso su questo punto. Posso solo dire che noi siamo la proiezione materiale ed umana di quello che sono le decisioni che il nostro parlamento assume. Una cosa è certa: tutti i ragazzi che decidono di partire lo fanno con un grandissimo senso dello stato ed un profondo spirito di servizio. Ho notato che durante la tavola rotonda che si è tenuta in occasione del convegno di Siena lei ha più volte annuito quando il generale Arpino, ex capo di stato maggiore della Difesa, ha parlato della differenza tra attacco di terra e d’aria. Come mai? Il generale Arpino ha colto nel segno del problema: l’Italia non è abituata a vedere bare rientrare in patria perché da sempre noi siamo stati maggiormante incentrati in attacchi “dal cielo”. Innoqui, quindi, per chi li pone in esse-
Al militare è stato consegnato il “Premio liberal 2009” alla memoria dei sei parà uccisi a Kabul. Dal prossimo novembre, sostituirà Castellano alla guida della Folgore
re. Da qualche anno, tuttavia, si è visto un aumento sempre maggiore dell’invio di forze di terra, su spinta degli Usa (che infatti sono passati da 30mila uomini nel 2006 in Afghanistan agli attuale 85mila). È ovvio che più si aumenta lo stanziamento di forze di terra e più c’è il rischio che le perdite, in termini di vite, siano ingenti. Un’ultima domanda, forse banale, ma sicuramente di grande interesse per l’opinione pubblica: secondo lei la situazione in Afghanistan è risolvibile? Come lei sa io ho vissuto in Afghanistan per tre anni: senza luce, senza gas, senza i generi di prima necessità. Così vive la popolazione locale ancora oggi. Inutile un inno nazionale ed una nuova bandiera se mancano i principali motivi di civiltà. Noi siamo lì per portere la pace ma anche per dare dei punti di riferimento alla popolazione locale. Finchè non avremo raggiunto quest’obiettivo la nostra presenza non deve essere in discussione.
diario
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Rivoluzioni. La rete Mediaset cambia incarichi per i maschi e su Facebook si scatenano le proteste dei fans
Ecco a voi il tg delle ragazze D’ora in poi solo conduttrici per il notiziario di Clemente Mimun di Roselina Salemi n un paese più normale del nostro si griderebbe alla rivoluzione per qualcosa di un tantino più serio. Che so, se all’improvviso le competenze tornassero ad avere un valore, se arrivassero soldi per la ricerca. Ma dal momento che non è così, bisogna accontentarsi di spendere la parola rivoluzione (e il rivoluzionario sarebbe Clemente J. Mimun), perché da lunedì il tg5 delle 13 non avrà più la conduzione in coppia, ma solo le mezzebuste. Rivoluzione tanto più rivoluzionaria in quanto avviene all’indomani dello smantellamento (per legge) della giunta provinciale di Taranto, rea di non prevedere incarcihi per le donne. Insomma, le nuove mezzobuste sono Chiara Geronzi, Simona Branchetti, Paola Rivetta ed Elena Guarnieri. E via libera, nella ristrutturazione in corso,
te da Bruxelles per Rigoni, e precisa che si tratta solo di “cambiare immagine”, perché oggi si vive di immagine e basta, rimane in ombra la questione femminile. Il solito, vecchio problema. Tutti bravi a parlare delle donne stressate e meno pagate degli uomini (a parità di lavoro), ma quando poi, per qualsiasi ragione (costano meno?, hanno faccette più gradevoli?, è un’idea di Silvio Berlusconi?), si fanno spazio, apriti cielo. Delle poverine che hanno conquistato la conduzione unica si dice che non sono abbastanza brave, che si impaperano, e – a parte la Parodi, una delizia – non possono essere lasciate lì da sole. Le più cattive nei giudizi sono proprio le ragazze, Cindy, Jamila, Rosalinda, Maura, Grazia, che diffondono l’indirizzo a cui mandare la protesta e si augurano che abbia successo con ardore degno di cause migliori.
I
Insomma, sta per essere
ai volti nuovi nelle varie edizioni. Si fa, per esempio, il nome di Costanza Calabrese. Nel rimpasto notturno sparisce Carmelo Sardo e nelle news serali, accanto a Cesara Bonamici e Cristina Parodi potrebbe arrivare Monica Gasparini. Ma non è una questione di nomine e basta, tanto di valzer ce ne sono sempre. È una questione di Pari Opportunità:sarebbe gradito un intervento del ministro Mara Carfagna.
Il dibattito intanto dilaga
Sopra, Cesara Bonamici, Chiara Geronzi, Cristina Parodi e Costanza Calabrese. Qui a fianco, il direttore del Tg5 Clemente Mimun
su Facebook, dove si spendono anche termini pesanti come“discriminazione sessista”, per una volta al contrario, perché a rimetterci sono gli uomini, cioè Salvo Sottile, Giuseppe Brindisi, Luca Rigoni e Fabrizio Summonte: i più amati dalle casalinghe, visto l’orario. Salvo Sottile, romanziere (il suo libro più recente ha un titolo profetico: Più scuro di mezzanotte) e giornalista tanto popolare da meritarsi una garbata parodia in casa Rai, ha dato la triste notizia al suo fan club: «La direzione ha de-
ciso che all’ora di pranzo andranno in onda solo donne… non so quando ci rivedremo… un abbraccio a voi tutti!». La dietrologia si spreca, il tema è caldo. C’è chi dice che non funzionano i numeri, che le signore, bontà loro fanno più audience, che con la conduzione unica si risparmia (vero, la frase esatta è: «Si guadagna forza-lavoro»), e altre possibili decisioni, tipo il trasferimento del Tg Cinque minuti da Milano a Roma, fanno pensare a un’attenta analisi dei costi, più che a una decisione “politica”, ma l’onda di furore popolare sta
mangiato dell’aglio, quel giorno che hai deciso di cambiare in peggio… la nuova conduzione del tg5 delle 13..??..». Mentre è già nato, e si gonfia di iscritti il gruppo : «Rivogliamo il vecchio Tg5!». E questo la dice lunga su quanto in fretta si può diventare nostalgici di qualcosa.
La redazione è disorientata, anche se non ci sono da registrare, per il momento, gesti estremi. Forse, proprio per scongiurarli, è intervenuta la Fnsi e ci sarà un bel dibattito, il che assicura, almeno lunedì al-
«È più facile diventare una faccia che una firma», diceva Enzo Biagi. Infatti sempre più spesso l’informazione si trasforma in uno spettacolo montando e non bada alle sfumature. Blog Sicilia vede in tutta l’operazione anche un’ombra di razzismo perché Salvo Sottile e Carmelo Sardo, sono palermitani. Gli “amici”di Clemente J. Mimun registrati su Facebook lo hanno bombardato di messaggi, al punto da far chiudere le pagine: «Ripensaci!»,«Ti prego direttore, cambia idea!», oppure, spiritosi: «Clemente Mimun… hai
le 13 un picco di audience, tanto per dare una sbirciatina al primo giorno di rivoluzione. Mentre tutti si domandano che cosa sta succedendo, dal momento che la direzione del tiggì nega problemi sugli ascolti, nega intenzioni traumatiche, nega praticamente tutto e assicura rispetto delle professionalità, qualifiche di inviato in Italia e all’estero per Salvo Sottile, di corrisponden-
combattutam un’epica Battaglia dell’Ora di Pranzo: il Tg rosa ( ovviamente l’hanno già ribattezzato così) è vicino e gli schieramenti si fronteggiano. Per esempio, la bionda e graziosa Simona Branchetti (stile americano, provenienza Sky), ha già fan che si battono per lei, pronti a difenderla on line e oltre. Questo confronto, al quale si stanno aggiungendo, di ora in ora, opinioni femminili solidali o velenose e analisi sociologiche, potrebbe essere semplificato facilmente. Il tanto discusso Videocracy , uno dei pochi film per il quale si faceva la coda lunga a Venezia, dice una verità, anzi la mostra crudelmente: la televisione è potere, è successo, è effimera gloria, è un certificato di esistenza in vita, la popolarità è un trampolino di lancio per tutto: una candidatura elettorale, un incarico, un quiz, un film. I confini tra l’informazione e la Prova del cuoco si fanno sempre più sottili. Aveva purtroppo ragione il buon anacronistico Enzo Biagi: «È più facile diventare una faccia che una firma». Il mezzobusto è la rappresentazione del nostro tempo, è l’icona, è l’opinion leader, anche se non ha un’opinion, il tiggì è il Pantheon degli eroi. Perché lasciare tutto questo a una donna (o più di una)? Non andiamo per il sottile.Volendo, si può sempre ricorrere, più che alla Fnsi, alle Pari Opportunità.
diario
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La requisitoria del Pg al processo contro Dell’Utri e la mafia
«I figli hanno troppi genitori e pochi riferimenti certi»
«Mangano ad Arcore per interesse dei boss»
Il Papa attacca il divorzio e le famiglie allargate
PALERMO. «Vittorio Mangano fu assunto nella tenuta di Arcore di Silvio Berlusconi per coltivare interessi diversi da quelli per i quali fu ufficialmente chiamato da Palermo fino in Brianza». Così, con questa durissima affermazione nei confronti del presidente del Consiglio, il procuratore generale Antonino Gatto ieri è entrato subito nel vivo della requisitoria del processo al senatore Marcello dell’Utri (Pdl) per concorso esterno in associazione mafiosa. Il parlamentare è stato condannato in primo grado a nove anni di carcere. Come si ricorderà,Vittorio Mangano, morto alcuni anni fa, era stato condannato nell’ambito di un processo di mafia e per alcuni anni aveva svolto il ruolo di stalliere ad Arcore, la celebre tenuta del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ieri, davanti alla seconda sezione della Corte di appello di Palermo, Gatto ha affrontato subito il tema dello «stalliere di Arcore»: «Davvero - si è chiesto il Pg - non fu possibile trovare in Brianza persone capaci di sovrintendere alla tenuta di Arcore? Davvero dall’estremo nord ci si dovette spostare a Palermo per trovare una persona che non conosceva la zona e le coltivazioni
CITTÀ
Comincia la guerra ai vip dell’evasione Trovato mezzo milione di euro “fuggito” all’estero di Alessandro D’Amato
ROMA. Il fisco alza il tiro, e sul suo mirino finiscono personaggi eccellenti. Uomini d’affari, sportivi, imprenditori. E quasi mezzo miliardo di euro di capitali detenuti all’estero illegalmente, scoperti dalla Guardia di Finanza nell’arco di un’operazione durata 8 mesi. Si tratta complessivamente di quattro grosse indagini nell’ambito dell’intensificazione dei controlli per il contrasto all’evasione fiscale internazionale. Tra i presunti evasori finiti sotto la lente delle fiamme gialle ci sono il ciclista Davide Rebellin e il pilota di Formula 1 Vitantonio Liuzzi. Rebellin, già nei guai per doping, avrebbe scelto per custodire i suoi capitali il Principato di Monaco ma, secondo le indagini svolte dalla Compagnia Gdf di Cittadella (Pd), si allena in Italia e non manca a nessuna manifestazione locale di un paese del padovano. Liuzzi invece dal 2006 al 2008 ha trasferito la propria residenza dall’Abruzzo prima in Inghilterra e poi in Svizzera, continuando a comprare barche e case in Italia. Il valore di beni e capitali all’estero scovati dalle Fiamme Gialle ammonterebbe già a 1,8 milioni di euro. Il terzo sportivo sospettato di evasione sarebbe invece Tiziano Sivieri, navigatore di Miki Biasion, ex campione di rally, residente a Monaco ma con affari immobiliari in Italia.
migliaia di euro attraverso la fittizia istituzione di società in ”paradisi fiscali”. Se verrà accertata l’evasione, tutti rischiano sanzioni tributarie e penali e, in ogni caso, secondo la nuova legge non potranno avvalersi dello scudo fiscale. La lotta all’evasione fiscale internazionale «è una priorità tra i nostri obiettivi del 2009», riferiscono dal Comando Generale delle Fiamme Gialle. Per questo, sulle 5.000 verifiche in corso complessivamente, sono circa un migliaio quelle centrate sul fronte dell’evasione fiscale internazionale. Sempre secondo i dati 2009, aggiornati al 15 settembre, sono 1.500 i sequestri valutari effettuati per un valore di 400 milioni di euro, ai quali si aggiungono 180 miliardi di dollari Usa falsi. Per quanto riguarda le frodi Iva, le verifiche e indagini effettuate, sempre dall’inzio del 2009 sono state 1.663 ed è stata scovata Iva evasa per circa 2 miliardi di euro. I soggetti denunciati sono stati 3.804 (il 19% in più sul 2008) e i patrimoni sequestrai sono stati pari a 180 milioni di euro, il doppio rispetto al 2008. I controlli della Guardia di Finanza sui movimenti transfrontalieri di capitale sono stati da gennaio ad agosto di quest’anno 4.620. In queste operazioni sono state sequestrati titoli e valute per 396 milioni di euro (il 26% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente). I soggetti verbalizzati risultano 1.460.
Ma non finisce qui. Nel mirino delle Fiamme Gialle ci sarebbe anche un imprenditore cagliaritano, attivo nel settore del calcestruzzo, che avrebbe nascosto oltre 400 milioni di euro al fisco grazie ad un intreccio fra una decina di società con sedi nel Delaware (Usa), Qatar e Guinea. Qualche giorno fa anche l’ex porno-attore, Rocco Siffredi, oggi imprenditore cinematografico, è finito sotto la lente della Guardia di Finanza di Chieti, in una indagine sulla evasione fiscale all’estero. L’ex porno-attore è sottoposto a verifica delle fiamme gialle e deve giustificare di aver occultato all’erario redditi per centinaia di
E nello stesso giorno è arrivata un’altra brutta notizia per gli evasori. Anche le filiali estere delle banche italiane e degli altri intermediari finanziari residenti nel nostro Paese, secondo una nuova circolare dell’Agenzia delle entrate, “sono tenute a inviare i dati relativi ai rapporti intrattenuti e alle operazioni effettuate dalla propria clientela italiana all’archivio dei conti correnti dell’Agenzia delle entrate”. Le informazioni potranno anche essere usate “per verificare se i cittadini italiani hanno depositato i soldi all’estero comunicandolo al Fisco nel quadro Rw della dichiarazione dei redditi”.
Sotto la lente delle Fiamme gialle ci sono anche il campione di ciclismo Davide Rebellin e il pilota di F1 Vitantonio Liuzzi
brianzole? In realtà - ha proseguito Gatto - non solo Mangano di cavalli e di coltivazioni non sapeva nulla: ma se guardiamo i suoi numerosissimi precedenti penali, gli interessi che coltivava erano di tutt’altra natura rispetto a quelli agricoli». Poi Gatto ha ricordato le dichiarazioni spontanee rese in aula nel 2004 dallo stesso imputato, Marcello Dell’Utri, oggi assente in aula: «Quella volta - ha detto il magistrato - Dell’Utri disse che Mangano si interessava di cani e non sapeva nulla di cavalli. Non si capisce, quindi, quale sarebbe stato l’input, da parte di Dell’Utri, per fare arrivare Vittorio Mangano nella tenuta di Berlusconi».
DEL VATICANO. Nuovo, duro attacco di papa Benedetto XVI alle famiglie irregolari, in nome di un’idea della famiglia più tradizionale e solido. Il Pontefice, parlando ad un gruppo di vescovi brasiliani in visita “ad limina”, ha denuncia un vero e proprio «assedio alla famiglia» basata sul matrimonio tra uomo e donna e «la profonda incertezza» diffusa nel «mondo secolarizzato, specialmente da quando le società occidentali hanno legalizzato il divorzio». Infatti secondo il Papa il divorzio, la convivenza e le famiglie allargate rovinano la vita di molti bambini, spesso «privati dell’appoggio dei genitori, vittime del malessere e dell’ab-
bandono», e «che si sentono orfani non perché figli senza genitori, ma perché figli che ne hanno troppi».
«La Chiesa non può restare indifferente davanti alla separazione dei coniugi e ai divorzi - ha detto papa Ratzinger sempre rivolgendosi ai vescovi brasiliani - davanti alla rovina delle famiglie, e dalle conseguenze create nei figli dal divorzio. Questi, per essere istruiti ed educati, hanno bisogno di riferimenti estremamente precisi e concreti, di genitori determinati e certi che in modo diverso concorrano alla loro educazione. Ora - ha aggiunto - è proprio questo principio che la pratica del divorzio sta minando e compromettendo con la cosiddetta famiglia allargata e mobile, che moltiplica i “padri” e le “madri” e fanno in modo che la maggioranza di quelli che si sentono ’orfani’ non siano i figli senza genitori, ma i figli che ne hanno troppi». «Questa situazione, come l’inevitabile interferenza e intreccio di relazioni - ha concluso - non può non generare conflitti e confusioni interne, contribuendo a crescere e imprimere nei figli una tipologie alterata di famiglia, assimilabile in qualche modo proprio alla convivenza, a causa della sua precarietà».
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politica
Tregua armata. Nel Pdl c’è chi teme che dopo la festa nazionale di Milano si riaprirà il confronto interno in vista del Lodo Alfano
Silvio perde la Mela Il N.Y. Times dice «Fini è più affidabile» E con Berlusconi la pace è solo apparente di Riccardo Paradisi er essere una tregua quella tra il premier Silvio Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini è una tregua piuttosto anomala. Anche solo a giudicare dall’intervista rilasciata al Corriere della Sera da Fabrizio Cicchitto. Il capogruppo del Pdl alla Camera si dice d’accordo con Fini quando l’ex leader di An chiede maggiore dibattito interno per decidere la linea politica del centrodestra ma si domanda per quale motivo allora Fini poi faccia da solo, incaricando per esempio un suo fedelissimo, il siciliano Fabio Granata, di imbastire una trattativa col Pd per partorire una proposta di legge trasversale che vuole ridurre a cinque anni il tempo per far ottenere la cittadinanza agli extracomunitari.
P
Un messaggio chiaro a Fini e ai suoi, un invito a darsi una regolata su iniziative che tra i berlusconiani del Pdl sono ritenute tutt’altro che innocenti. Anche la lettera sul testamento biologico e le politiche di fine vita – preparata dall’ex radicale Benedetto Della Vedova e firmata da una nutrita pattuglia finiana – è stata letta come un’altra mossa del presidente della Camera per segnare una presenza e preparare il terreno in vista del passaggio parlamentare del Testo Calabrò che la maggioranza ritiene invece definitivo. A sostegno di questa tesi un ex An oggi in rotta con Fini come Alfredo Mantovano ha scritto sul Foglio una lettera aperta dove si dice «meravigliato che fra i venti sostenitori della lettera vi sia più d’uno che in passato ha chiesto la difesa delle prerogative del Parlamento da uno straripamento dei poteri dell’esecutivo. Auspicare, come scrivono i venti colleghi un ”disarmo ideologico” e una legge che ponga confini ma non pretenda di regolare tutto incontra un’ovvia condivisione di principio, trarre da tale auspicio la conclusione che la legge sul fine vita passata al Senato va modificata pone perplessità». Non basta: è noto che la candidatura del segretario dell’Ugl Renata Polverini alla presidenza del Lazio stia provocando forti malesseri tra gli ex forzisti
Da Cicchitto un richiamo all’ordine dopo le insubordinazioni degli ex An
Tra i deputati non regge più il “regime da caserma” di Errico Novi
ROMA. Non regge più. Il Pdl ha imposto da inizio legislatura un regime ferreo ai propri parlamentari, che ormai appare in crisi. Al di là del merito l’attivismo dei deputati “finiani”sulla cittadinanza prima e sul biotestamento poi sono anche un segnale d’insofferenza per la disciplina interna: diventa sempre più indigesta – non solo per gli ex An – l’idea che le proposte di legge d’iniziativa parlamentare debbano essere quasi abolite.
Che sia questa la linea finora assegnata alla legislatura lo dicono i numeri: dei circa 2700 progetti di legge presentati a Montecitorio dai deputati, ne sono stati approvati appena 18. Un dato mortificante, con un tasso dello 0,6 per cento appena. Statistica che fa ancora più impressione se confrontata con il numero di disegni di legge e decreti governativi a cui il Parlamento ha già dato via libera: 86 sui 140 presentati, per un’incidenza che in questo caso supera il 60 per cento. Finora i parlamentari della maggioranza hanno lavorato a testa bassa solo per la causa comune. Non è detto che vada avanti così. Con la sua intervista al Corriere della Sera di ieri, il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ha diffuso una sorta di richiamo all’ordine. Soprattutto con l’obiezione (rivolta nello specifico al finiano Fabio Granata) secondo cui sulla cittadinanza «si è presentata una proposta assieme a esponenti dell’opposizione senza prima averne parlato con il gruppo, senza aver approfondito il tema nelle sedi competenti». Come se i singoli deputati non godessero di autonomia personale. E quando Cicchitto ricorda implicitamente a Fini che certe scelte «sono costitutive della maggioranza di governo» diventa difficile risparmiargli la contropreplica di Granata che osserva come «neanche lo scudo fiscale risulti inserito nel programma di governo o di
maggioranza, né tantomeno è mai stato discusso all’interno del Pdl».
Il monolite dei gruppi parlamentari sembra lentamente sfarinarsi, per il Pdl. Quello di Chicchitto è un estremo tentativo, che però difficilmente riuscirà a restaurare la situazione iniziale. Anche al Senato gli ex An danno segnali di insofferenza, come è avvenuto con il seminario organizzato una settimana fa da Mario Baldassarri e Giuseppe Valditara contro il parere dei capigruppo. È l’effetto dell’attivismo di Fini e di un generale rifiuto dei soldati semplici a marciare per un esercito in cui tutto è deciso dal generale e da pochissimi colonnelli. Vedere puntualmente accantonate – o neppure messe in calendario – le proprie proposte di legge costituisce, per i deputati e i senatori della maggioranza, non solo una fonte di frustrazione: c’è soprattutto un problema di sempre minore riconoscibilità davanti agli elettori e sempre maggiore dipendenza dai coordinatori che stilano le liste di candidati. Mercoledì scorso è stata l’opposizione a protestare duramente a Montecitorio per la decisione di far lavorare l’aula solo per un giorno e mezzo e di rinunciare così preventivamente a dare spazio anche all’iniziativa dei deputati, oltre che a decreti e ddl governativi. «Chiudere la Camera dopo neanche due giorni non è una cosa buona per la dignità del Parlamento», ha detto Luca Volonté dell’Udc. «Non ci prestiamo a essere presi per scemi», ha urlato il democratico Antonello Soro, che ha maramaldeggiato: «Se poi la maggioranza si accontenta di ratificare e basta le proposte del governo sono fatti suoi». Ma ammesso che le cose stiano ancora come dice Soro, il malessere che ne deriva tra i banchi della maggioranza è sempre più ingestibile.
che preferirebbero Antonio Tajani in corsa per la regione. E certo ai forzisti non bastano le argomentazioni addotte dagli sherpa ideologici finiani che spiegano come la candidatura della Polverini possa erodere consensi a sinistra per la sua attenzione ai diritti sociali e civili. Ma il colpo più basso di Gianfranco Fini, come dice a liberal una fonte molto vicina al presidente del Consiglio, è l’incontro di Gianfranco Fini con il presidente della Fiat Luca Cordero di Montezemolo a Montecitorio. L’incontro , privatissimo nell’agenda ufficiale di Fini, dopo i funerali dei caduti in Afghanistan e l’incontro con Silvio Berlusconi, lunedì, non figuravano impegni ufficiali - è servito a preparare tra altre cose il convegno che la fondazione di Montezemolo Italia futura ha organizzato per il prossimo 7 ottobre. ”L’Italia è un paese bloccato. Muoviamoci”, è lo slogan dell’appuntamento cui parteciperanno Fini, Enrico Letta, Andrea Riccardi della Comunità di Sant’Egidio.
Ora è noto che Montezemolo per i berlusocniani rappresenta l’uomo su cui si concentrano le speranze di quelli che sognano un governo tecnico di transizione, che si potrebbe rendere necessario se questa legislatura dovesse interrompersi prima del suo tempo naturale. Cosa che potrebbe avvenire forse in un caso: quello di una bocciatura della corte costituzionale del lodo Alfano, la cui sentenza si attende per l’8 ottobre. Attenzione alle date: l’8 ottobre, in contemporanea cioè – fanno notare
politica
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Fu don Sturzo, già nel 1948, a parlare di «Regione nella Nazione»
Altro che due forni, l’Udc è “federalista”
La strategia alternativa al Pdl e al Pd è nello spirito della Costituzione. Anche nella sua versione ”aggiornata” di Francesco D’Onofrio a scelta strategica dell’Udc in riferimento alle prossime elezioni regionali consiste nel fatto che in ciascuna regione i dirigenti locali del partito indichino, sulla base del proprio programma amministrativopolitico, quale sia la soluzione migliore in vista proprio delle elezioni regionali della prossima primavera. Questa linea strategica non è stata molto probabilmente analizzata in modo approfondito da quanti hanno accusato l’Udc di essere sostanzialmente per la posizione politica cosiddetta dei “due forni”.
L
i berlusconiani più guardinghi nei confronti di Fini – con il convegno dove il presidente della Camera siederà accanto a Luca Cordero di Montezemolo.
Ecco, per i berlusconiani doc, queste non sono coincidenze o sortite estemporanee ma precisi tentativi da parte di Fini di costruire un nuovo asse di bilanciamento nel Pdl. La tregua stipulata a casa Letta per ora regge sui toni dunque, ma è una pace di superficie, che comunque non verrà increspata nel week end milanese dove il Pdl si dà appuntamento per la sua festa nazionale e dove Fini e Berlusconi però non parleranno insieme. Fini infatti terrà
dicato al pranzo di lunedì tra il premier e il presidente della Camera.«Fini è un ex fascista che nei primi anni Novanta aveva un busto di Mussolini esposto nel suo ufficio, ma che negli anni si è trasformato in un costituzionalista centrista e secolare (e sionista), molto rispettato anche da ampi segmenti della sinistra. Di qui le continue tensioni con Berlusconi. Mancando del sostegno radicato della Lega Nord, con cui si è scontrato sul tema dell’immigrazione, o del potere verticistico di Berlusconi - sottolinea il quotidiano americano (Fini) ha apertamente e coerentemente sfidato il primo ministro, presentando una visione
I berlusconiani ortodossi vedono una strana coincidenza di date tra il pronunciamento della Corte sul lodo Alfano e il convegno con Fini e Montezemolo sull’immobilismo italiano sabato il suo discorso, Berlusconi domenica e tutti sono sicuri che i due eviteranno di battere sui punti che creano tensione all’interno della maggioranza. Una tregua che con l’avvicinarsi del fatidico o8 ottobre potrebbe però rapidamente trasformarsi in qualcos’altro. E certo l’articolo di ieri del New York Times farà piacere ai finiani ma certo non contribuisce a sciogliere le reciproche sospettosità nel Pdl «Uno dei politici italiani più interessanti, con un piglio da statista – viene definito Fini dal quotidiano newyorkese – in un articolo intitolato ”Berlusconi si difende dai suoi partner” de-
alternativa del centrodestra. Il New York Times ricorda, per esempio, il suo appello per la libertà di coscienza sul biotestamento e osserva come, più il presidente della Camera si sposta al centro, meno sostegno ottiene all’interno del centrodestra, al punto che molti italiani scherzano e dicono che l’ex fascista sarebbe un leader migliore per il centrosinistra». Ma non tutti scherzano nel sostenere questa tesi. Nel Pdl c’è chi pensa seriamente che Fini coi suoi voglia sul serio congedarsi dalla destra. Per mettersi a disposizione di nuovi assetti di potere e cominciare la sua nuova navigazione.
Non si tratta per nulla della linea dei “due forni”, intesi in questo caso il Pdl e il Pd quali “forni”, tra i quali l’Udc dovrebbe necessariamente scegliere. Si tratta, invece, di una linea strategica certamente nuova rispetto ad altre linee strategiche che fanno o hanno fatto di volta in volta perno o sugli elettori in quanto tali (si tratterebbe in tal caso di quello che alcuni esponenti del Pdl chiamano“populismo democratico”); o sulla struttura sociale tipica di un sistema industriale (“classe operaia”e relativi partiti di riferimento); o su elementi esclusivamente locali (del tipo proprio di partiti quali la Lega Nord e l’ipotetizzato Partito del Sud). La proposta strategica dell’Udc non ha nessuno di questi elementi a fondamento della propria indicazione, ma, al contrario, ha la Costituzione repubblicana vigente vista nel suo insieme di intesa basata sulla sovranità popolare non assoluta; sui partiti politici intesi quali libere associazioni nate per determinare la politica nazionale; sulle istituzioni locali amministrative e/o politiche, destinate a divenire sempre più importanti allorché si capirà di quale federalismo fiscale si tratta.
locale. Non sorprende la difficoltà a confrontarsi con questa posizione da parte di chi ritiene che unico soggetto titolare del potere di governo è il popolo degli elettori, non distinto tra locale e nazionale. Non sorprende del pari che stentino ad accettare questa strategia fortemente innovativa quanti sembrano ancora fermi alle strategie della Prima Repubblica elaborate soprattutto durante i lunghi anni della Guerra Fredda. Fu infatti proprio durante quel periodo che le novità profondamente innovative della Costituzione repubblicana furono in qualche modo congelate perché gli equilibri internazionali presero il sopravvento sulle scelte politiche dei diversi partiti italiani.
Per comprendere in modo adeguato la strategia politica dell’Udc occorre pertanto riuscire innanzitutto ad andare oltre la vecchia logica dei partiti ideologici di classe di tipo sovietico: la difficoltà più rilevante di fronte alla quale sembra arenato lo stesso Partito democratico appare proprio la sua incapacità di andare oltre la vecchia teoria del Pci, inteso quale partito della classe operaia. È come se la transizione iniziata dopo la fine dell’Unione Sovietica – avvenuta ormai nel lontano 1991 – non riesca ancora a trovare un punto di approdo che sia seriamente capace di andare oltre le distinzioni di destra e sinistra proprie di quella antica stagione. E la pretesa del Pdl di fare del solo popolo il soggetto legittimato a governare finisce a sua volta e necessariamente con il non poter convivere con una qualunque idea di partito politico che abbia proprio un’idea diversa del governo del Paese: se Forza Italia sembrava essere riuscita ormai ad andare oltre la vecchia dicotomia destra-sinistra, il Pdl sembra invece del tutto impigliato nell’antinomia tra popolo degli elettori e partito politico, il primo necessariamente identico in sede locale e in sede nazionale, il secondo idoneo a distinguere l’una dall’altra proprio sulla base del programma.
Se Forza Italia sembrava essere riuscita ad andare oltre la dicotomia destra-sinistra, il partito del predellino è chiuso nell’antinomia tra popolo e politica
La strategia dell’Udc appare dunque la sola capace di combinare insieme le scelte di fondo che la Costituzione italiana vigente ha fatto, per tale intendendosi il testo costituzionale originario – che comprende partiti e sistema produttivo visto nel suo insieme – e le sue più recenti modifiche che stanno svolgendo in senso sempre più autonomista l’impianto originario della Costituzione medesima. Strategia nazionale dunque appare essere la elaborazione delle scelte politiche di fondo che si presentano agli italiani in quanto soggetti ai quali è rimessa la decisione della politica nazionale medesima. Le intese locali appaiono in questo senso non solo distinte dalla politica nazionale ma anche funzionali per il governo regionale o
La vicenda regionale appare dunque sempre più intrisa di valori politici di fondo ben oltre la stanca accusa di teoria dei “due forni”, che mai come in questo caso testimonia del difetto culturale a comprendere la nuova strategia dell’Udc quale strategia nazionale e locale ad un tempo, come Luigi Sturzo aveva scritto all’indomani della Costituzione repubblicana: «la Regione nella Nazione».
panorama
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Grandezze. L’acquisto di beni cala meno del Pil e beneficia dello stock di sommerso e risparmio
L’Italia investe solo sui consumi di Francesco Pacifico
ROMA. Le grandi imprese come i piccoli negozianti dovrebbero ricordare nelle loro preghiere i nonni con le loro pensioni, le mamme che si prendono in carico di affittare la casa al mare a luglio o settembre, i padri che fanno un secondo lavoro. Chiaramente in nero. E grazie a questa massa di danaro in gran parte fuori dal Pil che in Italia al caduta dei consumi è stato tutto sommato sostenuta.
caduta dei consumi (-2 per cento) offre letture più interessanti se si confronta con le stime sul Pil 2009 (tra il -4,8 e il -5,2): se la produzione crolla, gli italiani, come formiche che si sono trasformate in cicale, attingono a rendite o a patrimoni personali accumulati in passato (il risparmio su tutti, e che è difatti cala-
za pubblica. Tremonti dalla sua non ha poche ragioni quando dice che stimoli come quelli concessi in Francia e Germania da noi sono funzionali visto che l’Italia non ha gli strutturali ritardi nella domanda dei suoi vicini. Finisce per avere torto quando – al netto delle giuste preoccupazioni per la finanza
A luglio discesa mensile (ma limitata) delle vendite al dettaglio: -0,4 per cento. Ma il problema del Paese non sta nella domanda interna bensì nello sviluppo
Ieri l’Istat ha comunicato che le vendite al dettaglio nel mese di luglio hanno registrato un calo del 2,6 per cento rispetto allo stesso mese dello scorso anno e dello 0,4 rispetto a giugno 2009. Percentuali che finiscono per conferma una discesa dei consumi del 2 per cento rispetto a 12 mesi fa e dello 0,6 per cento nell’anno in corso. Fortunatamente lontano dal -1,6 per cento della media europea. Ma la
IL PROVINCIALE di Giancristiano Desiderio
to) oppure su risorse sconosciute al fisco. Perché se il Prodotto interno lordo è pari a più di 1.400 miliardi di euro, soltanto il lavoro sommerso costa alla comunità 250 miliardi di euro, mentre i patrimoni pubblici sono circa 7-8 volte il Pil.
Ma se i consumi reggono vuol dire che ne risentono pensamente le altre due destinazioni della produzione di beni e servizi: gli investimenti e le esportazioni nette. Questa tendenza è importante perché è la direttrice sulla quale dovrebbe muoversi la finan-
pubblica – la rivalutazione degli utili nell’ultima Tremonti ter ha un impatto tra i 4 e i 6 miliardi di euro.
Serve coraggio in questa fase. E allo stesso modo le imprese italiane dovrebbero avere il coraggio di approfittare della crisi per fare quegli investimenti che in tempi di ciclo favorevoli sono più costosi. Perché quando le cose vanno bene è meno impellente (e costa di più) rinnovare i macchinari per ottenere risparmi in termini energetico, assumere figure professionali più costose costosi, investire in ricerca.
Questo combinato disposto rende l’azienda più competitiva rispetto alla concorrenza internazionale.
E la cosa non è da poco per l’Italia, Paese esportatore che si trova davanti una complessa conversione del suo modello produttivo. Per rigore di cronaca, va aggiunto che acuisce questo gap anche il livello di credit crunch. Le banche italiane dicono che il volume degli impieghi sono cresciute nel secondo trimestre dell0 0,9 per cento. Dato che però andrebbe messo in relazione con l’aumento del livello di garanzie chieste a monte dagli istituti (in Italia, ha fatto sapere la Cgia, su 100 euro prestati 22 sono in garanzia) e la lentezza con il quale sono calati gli spread su mutui e fidi rispetto alla discesa in picchiata di tassi e Euribor. Basterebbero le banche per far ripartire la dinamica virtuosa prestiti-investimentiproduzione competitiva. Per far ripartire l’Italia. Ma il sistema Italia è spesso un cane che si morde la coda. Come potrebbe accadere se si userà l’incasso dello scudo fiscale soltanto per detassare le tredicesime.
Il nuovo libro sugli adolescenti (da leggere in fretta) di Marida Lombardo Pijola
Essere giovani nell’età dell’indecenza on ci sono più i ragazzini di una volta, quelli della mia generazione che erano ragazzini fin troppo normali. Sarà che non ho vissuto in una grande città - ma in Italia le “grandi città” si contano sulle dita di una sola mano e le dita avanzano pure - sarà che ho avuto una famiglia che mi ha dato regole semplici da rispettare e mi ha fatto crescere con dosi massicce di ironia, sarà che la gioventù è trascorsa tra scuola e calcio, certo è che i “miei tempi” erano un’altra cosa. Oggi non si capisce più niente. Ma dobbiamo fare tutti un grande sforzo per capirci qualcosa perché i ragazzini che fanno i compiti con la bottiglia di vodka sulla scrivania e le dodicenni che fanno la cubiste in discoteca e le tredicenni che si prostituiscono per un telefonino ci raccontano di una “età indecente”.
N
S’intitola così, L’età indecente, il nuovo libro di Marida Lombardo Pijola che un anno fa pubblicò lo sconvolgente Ho dodici anni, faccio la cubista, mi chiamo Principessa: il racconto, vero, della vita degli adolescenti - poco più di dieci anni - che mamma e papà non conoscono. A chi le ha chiesto perché scrivere un altro
libro sugli adolescenti, la giornalista e scrittrice ha risposto così: «Come si fa a non insistere nel raccontare una deriva che sta diventando sempre più diffusa, più estrema, più precoce, più ordinaria? Una generazione di Peter Pan al contrario, come li ho definiti nel libro precedente, ovvero bimbi o quasi bimbi (allora dai dieci anni, oggi dagli otto), travolti dall’urgenza di travestirsi da piccoli adulti pronti ad esercitare la trasgressione, il bullismo, il sesso occasionale, persino a pagamento, come unità di misura del proprio valore. Portati a usare il proprio corpo come strumento per sperimentare le emozioni più estreme. Frastornati da un flusso continuo di informazioni spesso fuorvianti, immaturi, vulnerabili, incapaci di selezionare. Contagiati da una disaffezione cronica
alla vita. Il filo rosso che lega tutto sono gli “attacchi di nientite” di cui saltuariamente si ammala il protagonista del mio libro, Niccolò. È il nulla. In questo romanzo, cerco di capire come comincia, perché accade. E soprattutto se esista o meno uno sbocco per restaurare la comunicazione tra figli e genitori. Il corto cocircuito mincia lì, in famiglia». Credo che Marida Lombardo Pijola, al di là del comprensibile desiderio di replicare il meritato successo del primo libro, abbia colto nel segno. Come non vedere, ad esempio, che il divieto della giunta Moratti a Milano di vendere alcolici ai minori di sedici anni nasce proprio dal fenomeno dell’alcolismo in giovanissima età. Indecente, appunto. Il mondo giovanile - ma in questo caso stiamo addirittura parlando di bambini:
dieci anni, di meno o poco di più - è diventato un mondo a parte che non sembra avere ponti di comunicazione e di interessi con il mondo adulto. Un fenomeno che, forse, è sempre esistito. I conflitti tra le generazioni e le incomprensioni tra padri e figli sono la cosa più vecchia di questo mondo.
Tuttavia, il fenomeno sollevato dai libri di Marida Lombardo Pijola (come dall’Istituto superiore di Sanità e da una ricerca del comune di Milano con i dato sull’alcolismo) non si fa facilmente ricondurre alla fisiologica lotta tra diversi mondi generazionali. Il conflitto tra generazioni - giovani-adulti; padri-figli - presuppone che i giovani affermino un loro mondo di valori e interessi, mentre negli adolescenti di oggi non si afferma niente se non il “niente”. L’età indecente parla degli «attacchi di nientite». È il niente il nemico che si è impadronito dei ragazzini - non tutti, naturalmente - nati nel Duemila. Il niente passa attraverso un mondo ridotto a mera funzione e strumento e comunicazione. Il niente passa attraverso un mondo privo di significato. Come risvegliare nei giovanissimi il senso della “meraviglia”? Bisogna ripartire da qui, credo.
panorama
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Primarie. Fra i leader democratici vicini a Bersani molti hanno già messo in conto l’addio al partito di Rutelli e dei teodem
La scissione del Pd. Vista da vicino di Antonio Funiciello e il disagio dei cattolici nel Pd cresce non è solo per ragioni contingenti. Ben oltre i temi dell’agenda politico-parlamentare, come l’indagine conoscitiva sull’Ru486 e il puntuale pasticcio del Pd al Senato, sono le strategie congressuali a spiegare e giustificare le motivazioni di chi si sente sempre meno a casa propria al Nazareno. La visione di partito che si sta nettamente affermando nei congressi, legata alla candidatura di Bersani, tende a porre l’accento sul legame con le esperienze politiche che hanno preceduto quella del progetto del Pd. D’Alema, gran timoniere della nuova stagione bersaniana, nei giorni scorsi ha per esempio richiamato l’esperienza della Dc per rivendicare il profilo laico del partito che verrà; ma soprattutto è l’esperienza del Pci che a ogni piè sospinto viene ritirata in ballo. Dall’orgoglio per il regionalismo della prima repubblica, di cui i comunisti sarebbero stati i migliori interpreti con le amministrazioni rosse, al ritorno ad un rappresentanza sociale più tradizionale in rapporto a quei ceti popolari negli ultimi anni
S
La strategia dei ”bersaniani” è chiara: ricostruire una sinistra che faccia la sinistra e cerchi alleanze al centro per competere alle elezioni emigrati a destra. Il Pd che D’Alema ha in testa è molto più netto nelle posizioni e negli orientamenti di fondo rispetto a quel sincretismo post ideologico predicato da Veltroni.
Come ha scritto Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di qualche giorno fa, D’Ale-
ma non crede nella crescita di consenso autonoma da parte del Pd. È convinto che l’obiettivo del partito sia quello tornare a rappresentare quelle minoranze sociali che, per quanto possano rispondere all’appello elettorale democratico stanno, in termini di percentuali di voto, stabilmente sotto
il 30: una sinistra che faccia la sinistra e cerchi le opportune alleanze al centro per competere alle elezioni.Tutto sommato, in D’Alema c’è una coerenza inossidabile e riconoscibile negli anni rispetto a tale lettura d’ispirazione comunista del tessuto sociale dell’Italia. Questa lettura si incarna perfettamente nella figura di Pierluigi Bersani, primo presidente post comunista della regione Emilia Romagna dopo le due presidente eretiche di Guerzoni e Boselli a cavallo degli anni Novanta. Se tale lettura risulterà vincente alle primarie del 25 ottobre, è più che legittimo chiedersi perché mai uomini e donne di culture politiche alternative ad essa debbano mai restare nel Pd.
Fermo restando la collocazione nel campo del centrosinistra di politici come Rutelli e i suoi coraggiosi, di popolari come la bistrattata Dorina Bianchi, dei teodem e di moderati di altra natura e ispirazione ideale, non si capisce per quale motivo essi dovrebbero restare in un partito di sinistra tradizionale come quello di D’Alema, che si iscriverebbe con grande
Retroscena. Il prestigioso quotidiano propone il governatore di Bankitalia al vertice della Bce
Perché WSJ ha candidato Draghi? di Alessandro D’Amato na candidatura che forse in Italia potrebbe fare più piacere che dispiacere. «Un uomo da tenere d’occhio a Pittsburgh»: così il Wall Street Journal definisce il governatore di Bankitalia Mario Draghi, in un articolo che ne ripercorre la carriera e che lo identifica come «possibile successore di Trichet alla Banca Centrale Europea». A Pittsburgh, ricorda il quotidiano finanziario più importante degli Usa, «Draghi sarà a capo di un team di esperti che presenterà ai leader mondiali alcune linee guida su come prevenire la prossima crisi finanziaria. In particolare, il Financial Stability Board farà le sue raccomandazioni sullo spinoso problema della limitazione ai bonus».
U
Paribas ha completato l’acquisizione di Bnl». Draghi ha inoltre «cercato di modernizzare l’immagine della banca centrale italiana». Tanto che la sua fama, sottolinea il quotidiano, «si estende molto al di là dei confini nazionali, e molti lo vedono come possibile successore di Trichet, il cui mandato scade nel 2011. In quanto componente del board della Bce, Draghi è stato coinvol-
«La sua fama - sottolinea il giornale - si estende molto al di là dei confini nazionali, e molti lo vedono come possibile successore di Trichet»
Ma i meriti del governatore non finiscono qui. Dal suo arrivo a via Nazionale, spiega il Wsj, Draghi «si è rapidamente sbarazzato dell’eredità del suo predecessore»: durante il mandato di Antonio Fazio «Bankitalia aveva la reputazione di bloccare le acquisizioni di banche italiane dall’estero», mentre «poco dopo la sua nomina, la francese Bnp
to in politiche chiave, come il taglio dei tassi coordinato tra Bce e Fed lo scorso ottobre». E non manca una piccola nota di colore: «Il 62enne professore d’economia - si legge nel “ritratto”- ha anche cercato di modernizzare l’immagine della Banca centrale italiana: a differenza del suo predecessore, che aveva un assistente addetto al trasporto della valigetta, Draghi se la porta da solo». Insomma, a prima vista sembra davvero un endorsement, quello del Wsj. Che non può che stonare con le critiche che il quotidiano ha invece riservato al ministro dell’economia Tremonti, sia di recente, quando ha pre-
sentato le lamentele dei piccoli imprenditori riguardo la politica economica del governo, sia nel passato, quando un suo editorialista ha fatto a pezzi il libro dell’inquilino di via XX Settembre. Insomma, sembra proprio che gli americani abbiano espresso la loro preferenza: tra il Divo Giulio e il banchiere centrale, preferiscono il secondo. Si vede che anche i tanti attacchi indirizzati a via Nazionale per la presidenza del Financial Stability Forum non hanno granché scalfito la fama mondiale di Draghi. Anzi: si direbbe che è successo l’esatto contrario. E questo non può che far piacere al governatore italiano, spesso sospettato dal centro destra di avere ambizioni politiche, ma in realtà più interessato agli incarichi internazionali, nel futuro prossimo e remoto.
Però, un trasloco di Draghi alle istituzioni europee (oppure a Fmi o Banca Mondiale) dovrebbe far piacere anche al centrodestra. Che così avrebbe la possibilità di nominare un nuovo governatore per la Banca d’Italia, magari trovandone uno più accomodante dell’attuale. Come si suol dire, due piccioni con una fava.
agio nella successione di acronimi Pci-Pds-Ds-Pd. Chi non è di “sinistra” sarebbe costretto dalle circostanze a cercare casa altrove. E siccome il mondo moderato che al momento ha scelto di stare nel Pd è ricco di spunti e consapevolezze politiche di primissimo piano, non avrebbe difficoltà a costruirsi o trovarsi una nuova casa più ospitale. Malgrado non sia chiaro se Bersani concordi o partecipi, spingendo tanto a sinistra il baricentro democratico D’Alema ha messo in conto una scissione al centro. Egli pensa, infatti, di recuperare i voti perduti in quell’elettorato di sinistra radicale che potrebbe in gran parte virare sul Pd, qualora il partito si disponesse ad accoglierlo su una linea politica più tradizionale. Tutto questo a beneficio di una nuova coalizione che, tenendo dentro praticamente tutti, s’incarichi di concorrere con Berlusconi o chi lo succederà per il governo del paese. Una strategia di così facile lettura, che fa riferimenti ai soliti paradigmi dell’ultimo quindicennio, è la più commerciabile in un congresso così povero di idee. E, difatti, sta avendo agilmente la meglio.
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ici cristianesimo e, sbagliando, pensi Occidente. Lo pensano in gran parte del mondo, purtroppo. È senz’altro vero che l’Occidente più di qualunque altra civiltà si è fatta permeare dai valori e dalla cultura cristiana, fino al punto che l’Occidente senza il cristianesimo non esisterebbe, e infatti oggi perdendo memoria di sé rischia di andare verso la disgregazione. Ma non è vero il contrario. Il cristianesimo infatti non è legato così intrinsecamente all’Occidente, è una religione profondamente universale, intrinsecamente predisposta ad abbracciare tutti. E spesso non si fa mente locale su dove sia nata: in Asia. Figlia anche di tradizioni sanguignamente asiatiche, come quella ebraica innervata di culture mesopotamiche e persiane e innestata in una cultura ellenistica che in Asia ha avuto il suo laboratorio. Gesù è nato in Asia. Eppure oggi l’Asia è il continente dove i cristiani soffrono di più, dove il culto è meno accettato, e anzi respinto e persino perseguitato.
D
Gesù in Asia continua a essere crocifisso. Secondo padre Bernanrdo Cervellera la comunità cristiana risulta essere la più perseguitata al mondo «perché - precisa - se guardiamo soprattutto all’Asia almeno 35-36 Paesi hanno limitazioni nella libertà religiosa» che porta i cristiani «ad essere oggetto di violenze continue, fino alla morte». Non si tratta solo di scoppi di violenza di gruppi integralisti. Si tratta delle legislazioni vi-
espande o si restringe per contaminazione. E questo al di là di ogni speciale solidarietà che dovrebbe legarci alle comunità cristiane e di quella responsabilità derivata dal fatto che loro spesso pagano come cristiani scelte fatte da noi come occidentali. Ma se guardiamo la cartina dell’Asia dovremmo restare esterrefatti. Non come lo siamo in modo episodico quando un fatto di cronaca particolarmente cruento accende per un attimo le nostre effimere emozioni. È qualcosa di più preoccupantemente strutturale. Limitiamoci a un riepilogo, partendo dalla più vicina Asia Occidentale.
Cristiani d’ da Madre T ai progro
Nell’avanzata e democratica Turchia che vuole entrare in Europa la libertà di culto è limitata, e le chiese non possono ad esempio avere seminari, scuole, nuovi luoghi di culto. Di recente la chiesa di Tarso, un luogo altamente storico e simbolico, che per l’anno paolino era stata riaperta al culto, è stata nuovamente privata dell’autorizzazione alle celebrazioni e rimarrà solo un museo. Il sentimento in certe parti della popolazione poi si manifesta attraverso purtroppo episodi di martirio come quello di don Andrea Santoro, il più drammatico ma non completamente isolato, oltre ai problemi non solo secolari che vivono ancor oggi gli armeni e chi vuole parlare della loro storia. E questa è la Turchia che ha nelle sue ossa le origini del cristianesimo, le prime comunità, la casa della Madonna, la storia di Costantinopoli. Ma in tutto il Medio Oriente la situazione è preoccupante. È vero che in alcuni
Le milizie fondamentaliste di Baghdad impongono la tassa (ma sarebbe meglio parlare di racket) che per il Corano devono pagare gli infedeli, considerati cittadini di “serie B“ genti e degli atteggiamenti delle autorità. Un fattore che non possiamo dimenticare, e che anzi ci riguarda e ci responsabilizza proprio in virtù di quella cultura cristiana di cui facciamo parte ma che in noi non si esaurisce. Viviamo anni in cui si arriva all’assurdo che mentre i Paesi europei tradiscono e abbandonano a proprio rischio e pericolo il cristianesimo, milioni di cristiani sono minacciati perché visti come espressione dei “crociati” d’occidente. Un’analogia sbagliata e strumentale da parte dei persecutori, ma che certo non può non farci arrossire ogni volta che non facciamo niente, o addirittura, per interessi economici, andiamo a braccetto con i carnefici. Anche perché non riflettiamo che la condizione delle minoranze è un termometro dei diritti e della democrazia, e dato che i cristiani sono in minoranza la loro condizione è una cartina di tornasole della libertà che esiste in certi Paesi e che può coinvolgere anche noi più direttamente di quanto pensiamo, dato che la libertà non è mai statica, ma si
Turchia, Libano, Iraq, India, Pakistan, Cina, Corea del a Oriente crescono - giorno dopo giorno - g
Paesi minori ci sono state delle aperture, ma la tendenza è all’incremento dell’islamizzazione a danno delle minoranze, e questo in virtù sì di generali condizioni di insicurezza, ma anche di prevaricazioni subdole e “di costume”ma sempre più anche di provvedimenti statali. Sono decine di milioni i cristiani spariti dal Medio Oriente negli ultimi decenni, e questo in virtù di politiche precise che dal Maghreb all’Asia Centrale hanno colpito, è sempre bene ricordarlo, non “agenti dell’occidente crociato”come certa propaganda ripete, ma al contrario comunità indigene molto più antiche dell’islam stesso. Si potrebbe parlare della libertà vigilata dei copti d’Egitto (“copto” viene da Egyptos, vuol dire egiziano, eppure oggi hanno meno diritti degli altri cittadini), ma restiamo in Asia. Accennato che persino in Israele i cristiani sono sotto pressione, non solo per la situazione generale di insicurezza ma anche perché pagano due volte, spesso di fatto emarginati dagli uni in quanto arabi e dagli altri in quan-
È il continente dove soffro dove il culto è respinto e spess In più di 30 Paesi sono in vigore della libertà religiosa, mentr le violenze degli integrali di Osvaldo Baldacci to cristiani, guardiamo a due antiche comunità, quella del Libano e quella dell’Iraq. Persino nel primo caso, quello di un Paese a lungo cristiano e dove i cristiani giocano un importante ruolo politico, nella vita quotidiana si vive un’avanzata dell’estremismo che spinge all’isolamento e all’esodo le comunità di molte aree del Paese. In Iraq poi l’arrivo della “libertà” ha portato un aggravamento della situazione delle comunità cristiane. Viste con sospetto perché “parenti”degli stranieri occidentali, e anche perché in qualche modo tutelate nel periodo di Saddam, le comunità cristiane in molte aree sono ormai bersaglio in modo mirato di aggressioni, attentati, taglieggiamenti.
Sono più di 700 i cristiani assassinati in maniera mirata dal 2003. Milizie fondamentaliste hanno preso a imporre la tassa, o meglio il racket, che per il Corano devono pagare gli infedeli, cittadini di serie B. Poco fanno le autorità, anche di fronte ai rapimenti a scopo di estorsione. La Chiesa irachena in particolare si oppone alla proposta che ciclicamente emerge di creare un distretto cristiano nell’a-
rea di Ninive: una sorta di ghetto, una riserva-prigione che estranierebbe i cristiani dal tessuto della società irachena.
A proposito di Paesi liberati, da ricordare che in Afghanistan il prezzo pagato dai nuovi governanti ai conservatori consiste in una serie di leggi sempre più islamiche, e non è passato tanto tempo dalla condanna a morte di un convertito che è stato salvato (a prezzo dell’esilio) con la scappatoia dell’infermità mentale. Ma è in Asia meridionale che la situazione appare al momento più preoccupante. India e Pakistan sono due Paesi simbolo delle nuove persecuzioni, non solo per la loro preoccupante frequenza, ma anche per la loro natura. Nel Pakistan agitato da un confronto che sa di guerra civile i più indifesi sono proprio i cristiani, quasi tre milioni di persone, da una parte vittime del crescente fanatismo dei gruppi integralisti, dall’altra schiacciati da un governo nato sull’identità islamica e che per la propria sopravvivenza deve pagare dei prezzi ai fondamentalisti. Ed è per questo che il principale problema della Chiesa in Pakistan non
sono le instabili aree sotto il controllo di estremisti armati, e in qualche modo neanche le purtroppo ripetute azioni cruente contro chiese e cristiani, quanto la vigente legge sulla blasfemia. In pratica è severamente vietato e pesantemente punito ogni atto che possa offendere l’Islam. E già così l’estensione interpretativa resta piuttosto ampia, pronta a essere strumentalizzata a piacere da qualsiasi fondamentalista violento.
Ma le cose vanno anche peggio, in quanto il clima creatosi ha fatto sì che basti il sospetto fondato o meno di blasfemia perché la gente si senta autorizzata a farsi giustizia. Non a portare davanti alla giustizia il presunto colpevole, bensì a sistemare le cose con la violenza in base a un semplice sentito dire, a una voce che gira. E si è arrivati al punto di punire che è accusato di aver pensato blasfemie. Il Codice infatti condanna «quanti con parole o scritti, gesti o rappresentazioni visibili, con insinuazioni dirette o indirette, insultano il sacro nome del Profeta». Le pene relative prevedono carcere duro, fino all’ergastolo e alla pena di morte.
Il principale problema della Chiesa in Pakistan non sono le instabili aree sotto il controllo di estremisti armati, e in qualche modo neanche le purtroppo ripetute azioni cruente contro chiese e cristiani, quanto la vigente legge sulla blasfemia
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l Nord, Thailandia, Malesia, Vietnam, addirittura le cattoliche Filippine: gli attentati contro i civili, i rapimenti e le uccisioni di sacerdoti
’Asia, Teresa om
continua a trovare sponde istituzionali: d’altro canto in molti Stati indiani vigono leggi discriminanti verso i cristiani, a partire da controverse leggi antiproselitismo e anticonversione fino all’impossibilità di manifestare simboli religiosi come la croce. Della Cina forse basta dire poco. O almeno basta ricordare che non sono solo i tibetani ad essere perseguitati. Per un motivo o per l’altro un po’ tutti i cinesi sono tenuti d’occhio, ma forse proprio i cristiani sono i più temuti. Anche perché, pochi lo sanno, il primo esperimento di democrazia in Cina venne da cristiani. Comunque la situazione lì è semplificabile in un divieto assoluto di essere cristiani
Chiesa, e ogni tanto qualcuno ventila anche l’ipotesi di una visita del Papa. Resta il fatto che la distanza tra diplomazia e vita quotidiana rimane abissale. Anzi, le aperture del governo scatenano la rabbia e la paura di molti fanatici e comunisti residuali, e i casi di persecuzione dei cristiani sono in aumento: vale tanto per alcune minoranze etnico-religiose, come i Montagnards, quanto per le comunità locali, con episodi di violenza diffusa e di aggressioni a volte letali, come accaduto ad esempio su larga scala a fine luglio.Tutto naturalmente con la benevola indifferenza di forze di polizia e autorità locali. In Indonesia apparentemente la situazione va un po’ meglio rispetto alle drammatiche esplosioni di violenza religiosa che in passato hanno investito diverse delle molte isole dell’arcipelago, a partire dalle Molucche. Ma ciò non toglie che sono la
ono di più, so perseguitato. e forti limitazioni re aumentano isti islamici Secondo gli ultimi dati forniti a Fides dalla Chiesa pakistana, negli ultimi 25 anni sono circa 1.000 i casi di persone accusate ingiustamente di blasfemia. In questo clima gli attentati anticristiani di pochi anni fa sono stati sostituiti da veri e propri pogrom condotti da squadracce di fondamentalisti: il 29 giugno distrutte 29 case presso Lahore; il 30 giugno a Bahmani 600 fedeli musulmani hanno preso d’assalto la zona del villaggio in cui vivono i cristiani con bastoni, acido, bombe molotov, bruciando macchine, moto e un centinaio di case, e distruggendo la rete elettrica; il 26 luglio a Korrial sono state bruciate un centinaio di case; il 30 luglio villaggio in fiamme a Krian Wala; dopo un appello violento di alcune moschee, due bambini, tre donne e tre uomini sono stati massacrati o bruciati vivi a Gojra il 1 agosto. Di fronte alle proteste, la polizia ha arrestato 29 cristiani e il vescovo di Faisalbad. Pochi giorni fa è misteriosamente morto in carcere un giovane cristiano accusato di blasfemia. In India non va meglio. Qui negli ultimi anni è cresciuto il fondamentalismo indù e ha preso di mira proprio i cristiani in diverse aree dell’immenso Paese, anche in zone prima tranquille come il Kerala.Tranquillo non è invece l’Orissa, dove i pogrom hanno rag-
per i cattolici fedeli al Papa, costretti “alle catacombe”, imprigionati nei lager, in primis i vescovi: è la Chiesa clandestina. Esiste poi una Chiesa ufficiale fedele allo Strato e al regime, e questa può esistere pubblicamente.
A Pyongyang la mancanza di libertà è totale, ma recentemente è stato eclatante il caso di una donna condannata alla fucilazione perché avrebbe distribuito illegalmente Bibbie giunto ferocia inaudita. Gli episodi purtroppo si moltiplicano e si ripetono, ma occorre ricordare le violenze dell’agosto scorso, con stupri e roghi, almeno 50 persone massacrate e 20 mila rifugiatesi nelle foreste. È importante ricordarlo per capire cosa è successo dopo: a dicembre sono stati scagionati alcuni leader delle violenze, e due si sono candidati alle elezioni politiche.
In estate altri 16 responsabili sono stati prosciolti da ogni accusa da un tribunale speciale.
Un altro esempio del clima generale che nel Paese circonda le comunità che – ricordiamolo – hanno millenni di storia, risalgono a San Tommaso e hanno annoverato tra gli altri Madre di Teresa di Calcutta. Eppure la violenza
Secondo alcuni tra le due Chiese ci sono legami e collaborazione, per cercare di avere una doppia linea di condotta che finisca per addolcire il regime. Gli sforzi del Vaticano verso Pechino si stanno intensificando, pur con pazienza, e ogni tanto c’è spazio per un barlume di speranza. Anche se poi fino adesso le svolte non arrivano mai. In Nord Corea la mancanza di libertà è totale, non solo per i cristiani. Ma è stato eclatante quest’estate il caso di una donna condannata alla fucilazione perché avrebbe distribuito illegalmente Bibbie. In Vietnam si sta invece affrontando un cammino lento ma costante verso la normalizzazione dei rapporti tra Stato e
società e la legislazione a virare verso un integralismo che emargina i cristiani rendendo la vita davvero difficile: solo a titolo di esempio va segnalato che nell’Aceh dal 2001 è stata introdotta la sharia, e il processo si è “completato” il 14 settembre con l’introduzione della lapidazione per gli adulteri. Problemi di fronte all’eccesso di islamizzazione anche in Malesia (nel 2007 un tribunale civile ha “impedito” a una donna la conversione al cristianesimo), mentre in zone come la Thailandia la vita è sulla carta più semplice, ma poi in certe aree si è al limite della guerra civile tra islamici e buddisti (non ovunque così pacifici come li disegnano), e l’esasperazione degli animi schiaccia in mezzo i cristiani. Persino nelle cattoliche Filippine si contano diversi martiri, dato che le aree islamiche sono preda degli integralisti violenti, e negli ultimi tempi si sono registrati sia attentati contro i civili sia rapimenti e uccisioni di sacerdoti.
mondo
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Elezioni. Pronti ad assistere a un remake della Grosse Koalition, i tedeschi sembrano voler premiare soltanto una novità: il partito dei pirati di Internet
La (ri)vincita di Angela Una campagna elettorale lenta, diversi accordi possibili per la Merkel Domani la Germania va al voto per mantenere lo status quo di Andrea D’Addio ecoslovacchia, Ungheria, Austria. E finalmente Germania dell’Ovest. Esattamente vent’anni fa, era l’11 Settembre 1989, cadeva la cortina di ferro tra Ungheria e Austria e migliaia di tedeschi dell’est si avventurano in un tortuoso viaggio di centinaia di chilometri per raggiungere l’altra metà del proprio Paese. Non ci si aspettava che nel giro di soli due mesi la Ddr sarebbe caduta e che per i berlinesi orientali sarebbe bastata una passeggiata per ritrovarsi dall’altra parte del mondo, quella capitalista. Tra i primi transfughi non c’era Angela certamente Merkel. All’epoca la futura cancelliera era occupata con il proprio lavoro da ricercatrice in fisica quantistica presso l’accademia delle Scienze di Berlino e, almeno in apparenza, sembrava convinta del regime socialista visto l’incarico di segretaria del dipartimento agitazione e propaganda della Freie Deutsche Jugend. Stando ai sondaggi, oggi come nel 2005, il partito della cancelliera sembra perdere ogni giorno punti di vantaggio sugli avversari. Quattro anni fa il testa a testa fu con Gerhard Schröder e il suo Spd, oggi il confronto è allargato: non c’è un unico grande competitore, ma l’avanzata della sinistra radicale (Linke) di Oskar Lafontaine e di altri partiti minori, sembra nuocere a tutti i grandi partiti. L’ultimo sondaggio è quello pubblicato dalla rivista Stern che dà il blocco conservatore della Merkel (Cdu più i Csu bavaresi) al 35 per cento e i liberali dell’Fdp al 13 per cento, per un totale di poco sotto, quindi al 50.
C
E dire che quando cominciò la campagna elettorale in molti erano pronti a scommettere su una Merkel nuovamente cancelliera grazie al solo aiuto dei liberali, in virtù delle buone doti di amministratrice attenta e intransigente dimostrate durante la legislatura. Eccoci invece ad immaginare la possibi-
lità di un remake della Grosse Koalition, con i socialdemocratici da una parte secondo partito del Paese, dall’altra travolti da una crisi che li vuole al loro minimo storico (li si prevede intorno al 26 per cento) e i liberali nuovamente fuori dal governo (il loro apporto a quel punto non sarebbe necessario). Un altro scenario potrebbe essere quello di un alleanza tra Spd, Linke (10) e Verdi (11). Insomma, sembra non essere cambiato molto da quanto accadde solo quattro anni fa quando si dovette arrivare alle dimissioni di
Schröder dal suo partito per arrivare ad un compromesso tra Cdu e Spd. La novità potrebbe essere rappresentata dal Partito dei pirati, un movimento nato per la difesa di temi come la libertà d’informazione e il rispetto della privacy in internet che sembra raccogliere molte simpatie tra i giovani (un 7 per cento dei tedeschi li prende in considerazione per il voto). Gli indecisi dovrebbero essere ancora intorno al 35: è sulla conquista della loro fiducia che si giocherà davvero la partita. Angela Merkel è il politico più apprezzato dagli europei occidentali (lo afferma un sondaggio di Le Figaro svolto lo scorso maggio tra i cittadi-
ni di Germania, Francia, Inghilterra e Spagna) e anche la migliore seconda soluzione per tanti tedeschi che non voteranno per lei, ma paga una situazione internazionale e interna indipendenti dal suo operato. La crisi finanziaria nata negli Stati Uniti ha coinvolto tutti i Paesi europei ledendo la popolarità dei rispettivi leader a prescindere dalle politiche d’emergenza intraprese. La Germania nel secondo trimestre di quest’anno ha fatto registrare un Pil finalmente positivo (+0,3 per cento) disattendendo le
aspettative negative della Banca Centrale Europea che indicavano un’ulteriore contrazione della crescita. Rimane incertezza sul futuro, come la stessa Merkel ha già anticipato, ma di certo si tratta di una dimostra-
Un dibattito pubblico pre-elettorale in cui Angela Merkel ha spiegato il suo programma elettorale. Sotto, i suoi sostenitori e il leader della sinistra radicale (la Linke) Oskar Lafontaine zione, seppur parziale, di possibile guarigione. Solo in Francia si è avuto un dato analogo (+0,3%) tra gli altri paesi europei. La guerra in Afghanistan, con le recenti scuse pubbliche della Merkel per il raid aereo americano (dietro richiesta d’aiuto di ufficiali tedeschi) dello scorso 4 settembre che ha portato alla morte anche dei civili, ha invece dato nuova linfa agli argomenti della sinistra, ma non ai socialdemocratici dell’SPD che hanno proprio il loro candidato leader, FrankWalter Steinmeier, a capo del ministero degli Esteri. La situazio-
ne interna soffre invece il fascino del populismo esercitato da Lafontaine, paragonato per carisma a Adolph Hitler e a Jean Marie LePen dal novantenne ex cancelliere Helmut Schmidt in un’intervista pubblicata sul-
l’ultimo numero del settimanale Der Spiegel. I buoni risultati ottenuti a fine agosto dalla Linke nell’occidentale länder della Saar e in Turingia, nelle rispettive elezione regionali (più del 20 per cento, con un calo della Cdu di circa il 10 per cento), testimoniano il graduale cambiamento nella società tedesca.
Forse ora è più omogenea nelle scelte di voto tra est ed ovest, ma anche più preoccupata dalla possibilità di non rivestire più quel ruolo di leader dell’economia e dell’industria europea rivestito dalla Repubblica Federale prima del naturale rallentamento dovuto alla riunificazione. Anche la tribolata gestione, non ancora completamente terminata, della vendita dell’Opel al consorzio Magna-Sberbank è stata caratterizzata dall’obiettivo di salvaguardare i 25mila posti di lavoro impiegati nei quattro stabilimenti della casa automobilistica in Germania. Un risultato che sembrerebbe raggiunto (seppure dietro lo stanziamento statale di 4,5 miliardi di euro) e che è servito alla cancelliera anche per non offrire ai partiti di sinistra (Linke e Verdi) nuovo terreno fertile. Una mossa quindi forse più politica che legata a criteri d’efficienza economica, ma compromesso necessario per la Merkel per cercare di riconfermarsi al vertice del governo anche domani. Angela Merkel è al centro degli spot elettorali dei suoi contendenti. I più aggressivi sono i Verdi che, in un video
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I cristiano-democratici pronti a guidare una maggioranza solidissima
Ma le regole del gioco premieranno la Cdu di Aldo Bacci na campagna elettorale fiacca che potrebbe trasformarsi in un trionfo. Senza uso di effetti speciali, e nel cuore dell’Europa. Non in un piccolo Paese dalla mutevole opinione pubblica o dallo strano sistema elettorale. Bensì nella grande Germania. A poche ore dal prossimo voto politico i toni sono bassi, i comizi radi, il clima moscio. Non sembrerebbe trattarsi di un voto decisivo in un Paese chiave nel bel mezzo della crisi economica mondiale. La Germania esce da una Grosse Koalitione che non è insolita da queste parti ma non può neanche durare troppo a lungo. Lo scenario su cui molti si interrogano è se i liberali e la Cdu raggiungeranno la maggioranza per governare insieme. Soprattutto è sotto osservazione la percentuale che possono raggiungere i liberali. Altrimenti, c’è la possibilità di una nuova alleanza socialisti-democristiani. La stampa italiana si concentra sulla somma delle percentuali di Cdu e Fdp, che si attesta a cavallo del 50 per cento, facendo pensare a un’incertezza del risultato che in realtà non c’è. Infatti un esperto di Germania ha svelato il trucco, ha fatto intravedere una diversa possibilità. Una distorsione che deciderà il prossimo governo del Paese più importante d’Europa. La campagna elettorale della Cdu è fiacca non per scarsità di argomenti, per mancanza di forze o peggio per paura di vincere. È il sistema elettorale tedesco che nelle attuali contingenze le regalerà una vittoria senza uguali e senza fatica.Tutto merito della debolezza della Spd. Partiamo da un dato: gli attuali sondaggi danno la CduCsu al 35 per cento circa, e la Spd al 25. La prima sembra avere dei margini di crescita, la seconda molti meno. Poi ci sono i liberali al 12-14, i verdi (11) e la Linke (10). Vediamo ora il sistema elettorale. Il quadro della Germania vede un sistema proporzionale nel suo spirito, ma con alcune significative correzioni che di fatto hanno un carattere maggioritario e un potenziale e molto particolare premio di maggioranza.
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Con una notevole eccezione. Il numero dei seggi parlamentari non è fisso: può crescere oltre i 598 di base: questo avviene quando un partito ottiene più seggi uninominali di quanti gliene spetterebbero in base alla percentuale raggiunta. Sono seggi extra che si sommano alla composizione proporzionale. Caso rarissimo, quando i due maggiori partiti sono testa a testa. Ma stavolta la Cdu sopravanza l’Spd di 10 punti. Potrebbe quindi “fermarsi”al 35 per cento dei voti, ma incassare quasi tutti seggi uninominali, quindi quasi la metà del parlamento (la metà dei seggi base). In questo modo la maggioranza parlamentare con i liberali sarebbe solidissima. Senza tenere conto del fatto che non esiste al momento una coalizione alternativa socialde-
Il sistema elettorale tedesco, nelle contingenze attuali, regalerà una vittoria senza uguali al partito del Cancelliere. Ma la Corte costituzionale già prepara una bozza di riforma del voto
Oggi il confronto è allargato: non c’è un unico grande competitore, ma l’avanzata della sinistra radicale di Oskar Lafontaine e di altri partiti minori sembra nuocere a tutti i grandi protagonisti proiettato nei cinema di tutto il Paese, indicano la Merkel come una marionetta in mano ai banchieri internazionali, pronta a dire sì a qualsiasi loro richiesta: aiuti alla grande finanza, nucleare, promettere e non mantenere la riduzione delle tasse, la diminuzione dello stato sociale. «Alles klar» risponde la cancelliera, «tutto chiaro».
In un altro, sempre i Verdi disegnano un’annoiata Merkel seduta su di una poltrona in salotto che risponde apaticamente a tutte le proposte (negative) avanzate dal leader dei liberali Guido WesterwelleUna coalizione cristianodemocratici-liberali significa status quo, nessuno sviluppo per la Germania. Per la Linke il discorso è tanto semplice quanto latamente violento: meglio un voto per loro il 27 settembre che i
sassi alle finestre degli avidi capitalisti. La gente, a sentire Lafontaine, è pronta a scendere in piazza. E la Merkel? Il suo slogan richiama quel senso di responsabilità che in molti le riconoscono: «Noi abbiamo la forza d’animo». Da una vetrata del Reichstag la Merkel riguarda il suo Paese: dalla folla festante accalcatasi il 9 Novembre 1989 intorno al muro davanti la Porta di Brandeburgo, alle nuove sfide future: ricerca, ambiente, edilizia, famiglia, Europa.
Sulla bandiera tedesca che sventola in sovrimpressione, anche due uomini che si abbracciano. Una bambina in visita sulla splendida cupola del palazzo creata da Norman Foster, le sorride: la Merkel non ha figli, ma continuerà a prendersi cura della sua Germania.
La metà dei seggi infatti è assegnato in collegi uninominali. Poi il risultato proporzionale assegna gli altri seggi in modo da avvicinare la composizione del Bundestag all’effettiva rappresentanza percentuale. Se un partito ottiene il 35 per cento dei voti e vince il 30 dei collegi uninominali, il restante 5 per cento dei seggi gli verrà assegnato dalle liste proporzionali. Anticipiamo che non avviene il contrario, cioè non vengono tolti seggi a chi vince più collegi di quanti corrispondano alla sua percentuale. Questo garantisce anche i partiti minori, anzi quelli medi, vista la soglia di sbarramento: non vincono i collegi uninominali, ma hanno un adeguato ripescaggio nel proporzionale. La composizione del Bundestag rispettarà così il risultato proporzionale.
mocratici, sinistra, verdi, in quanto Spd e Linke hanno dichiarato che non si metteranno insieme per il governo. A questo punto alla Cdu non conviene alzare i toni della campagna elettorale: a un grande sforzo seguirebbe solo un piccolissimo guadagno in termini di seggi. Anzi, se le proiezioni venissero confermate, la Cdu-Csu non guadagnerebbe nessun seggio in più, ma si limiterebbe a toglierli agli altri, di conseguenza rafforzandosi come partito ma indebolendo la maggioranza e gli alleati, che conoscono il sacrificio dei democristiani e saranno loro riconoscenti. Grazie quindi alla debolezza della sinistra divisa, la Cdu si appresta quindi ad essere un partito di soverchiante forza a guida di una maggioranza di solida forza.Tanto che i costituzionalisti tedeschi cominciano a interrogarsi e presenteranno alla Corte Costituzionale una richiesta di revisione della legge elettorale in senso maggiormente proporzionale: il proporzionale in Germania è sentito come un valore fondante. La Corte probabilmente non respingerà il ricorso, ma senza sentenziare nel merito inviterà il parlamento a una riforma elettorale. In senso ancor più proporzionale.
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Mercati. Resta un clima di grande incertezza sulle piazze finanziarie internazionali nizia circolare, con insistenza, l’idea di una moneta internazionale che sostituisca il dollaro, lanciata dal Nobel per l’economia Joseph Stiglitz. Piace ad alcuni, un po’ meno all’amministrazione Usa. E il ministro delle Finanze di Parigi, Christine Lagarde, ammette che saranno i Paesi europei a dover fare «sacrifici» sui diritti di voto nell’ambito della riforma del Fondo monetario internazionale. Si punta a dare più peso ai nuovi giganti dell’economia, come Cina e India. C’è aria dunque di cambiamenti, ma la politica ha dei tempi che non sono quelli dell’economia. Come sta reagendo l’economia reale in questi passaggi della politica internazionale? Proprio dagli Usa non arrivano splendide notizie. Il mercato è depresso dal calo a sorpresa sugli ordini dei beni durevoli. Ieri, c’è stato un avvio di seduta al ribasso per Wall Street, dopo che sono emersi dati peggiori del previsto sugli ordini per l’industria americana. Ad agosto, gli ordini erano scesi del 2,4 per cento rispetto al mese precedente, secondo quanto riferito dal dipartimento del Commercio Usa. Sono stati inoltre rivisti al ribasso i dati sulla crescita registrata a luglio. Ma anche dal Vecchio continente non arrivano buone nuove. Continua infatti ad indebolirsi la dinamica del credito nell’area dell’euro, tanto che ad agosto la crescita dei prestiti al settore privato si è quasi azzerata. Questo secondo i dati mensili pubblicati dalla Banca centrale europea. A luglio la crescita dei prestiti al settore privato si era già dimezzata, allo 0,7 per cento dal più 1,5 per cento di giugno. Nel frattempo il tasso di crescita sul generale aggregato M3 (tutte le attività finanziarie di un Paese, dalla moneta legale ai titoli di Stato)
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In libreria
Noi europei pagine 100 • euro 12
Economie deboli, torna lo spettro-inflazione Nella Ue cala il credito alle imprese, negli Usa frenano gli ordini di beni, borse giù in Asia di Pierre Chiartano
Si torna a parlare d’inflazione, ma i dati della Bce, in Europa, e del dipartimento del Commercio, negli Usa, non giustificherebbero i timori ha segnato un rallentamento al 2,5 per cento ad agosto, prosegue la Bce, contro il 3 per cento registrato a luglio e il 3,6 per cento di giugno. Prima che la crisi finanziaria degenerasse, queste voci avevano raggiunto tassi di crescita a
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due cifre. La debolezza dell’offerta di moneta può contribuire – secondo la filosofia di Eurotower, non sempre condivisa da tutti i partner europei – a smorzare le pressioni al rialzo sui prezzi, laddove, all’opposto, una solida crescita
OPERE DI
L’Europa riletta lungo un secolo di grandi trasformazioni. La società e la politica italiana osservate attraverso la lente di una transizione incompiuta. La lezione dei “ribelli al conformismo” che hanno saputo, nel Novecento, indicare un’alternativa ai percorsi della libertà. Questi i temi dei tre libri di Renzo Foa “Noi europei”, “Il decennio sprecato” e “In cattiva compagnia”. Il primo, firmato insieme al padre Vittorio, è un confronto tra due testimoni del “secolo breve” che con occhi
dei prestiti potrebbe favorire l’inflazione. Ad agosto, secondo Eurostat, per la media dei Paesi dell’area euro l’inflazione si è nuovamente attestata su valori negativi, al meno 0,2 per cento su base annua dopo il meno 0,7 per cento di luglio, record negativo nei 10 anni di storia dell’euro.Voci su di una ripresa dell’inflazione erano circolate anche negli Usa in tempi recenti. C’è chi la teme per l’enorme quantità di dena-
RENZO FOA ed esperienze diverse osservano le mutazioni del Vecchio Continente e soprattutto degli uomini che lo hanno abitato. Nel secondo, l’autore riflette sulle speranze e le delusioni messe in campo da quel cambiamento iniziato nel 1994 e mai davvero concluso. Il terzo raccoglie gli esiti di un meraviglioso viaggio personale nella vita e nelle opere di quei “grandi irregolari” (da Koestler alla Buber-Neumann, dalla Berberova a Joseph Roth, ma anche De Gaulle e Wojtyla) Il decennio sprecato che per Renzo Foa sono stati pagine 204 • euro 14 maestri riconosciuti.
ro messa in circolo dal pacchetto federale anti-crisi. Ma c’è chi invece è meno preoccupato. L’indice dei prezzi al consumo in luglio era addirittura calato. E lo scorso anno si è avuta una diminuzione del 2 per cento sulla media del costo della spesa dei cittadini americani. Né ci sono altri segnali che indicherebbero l’arrivo di questa vaticinata inflazione. Anche l’indice obbligazionario per il futuro è stabile: gli investitori non vedono nessun aumento all’orizzonte. Così il tasso sui prestiti rimane basso. Potrebbe mai il governo Usa emettere titoli di debito, cioè chiedere denaro in prestito per i prossimi dieci anni, pagandolo a meno del quattro per cento, quando si prevede una spirale dei prezzi a due cifre? In Europa, da sempre, il pericolo inflazione tiene invece svegli gli inquilini di Eurotower. Ma il rischio di un intervento su questo fronte sia negli Usa che in Europa rischierebbe solo di smorzare la già debole ripresa. Dal fronte asiatico, oltre alla notizia, buona, che gli investimenti stranieri starebbero tornando a frequentare la pianura cinese, non c’è molto. Nei giorni scorsi il rallentamento dell’acquisto da parte della Federal reserve di titoli (security) garantiti dai mutui immobiliari aveva frenato gli entusiasmi dalle parti di Lower Manhattan. Un clima che aveva subito contagiato le borse asiatiche. Sia in Giappone, dove l’indice Nikkei, ieri, aveva ceduto il 2,9 per cento, sia, con perdite più contenute, anche sui listini di Singapore, Honk Kong in Australia. A Tokyo la crisi della compagnia area Jal, sommersa dai debiti e l’improvvisa richiesta, giovedì, di una delle maggiori banche del Paese (Nomura), per un’emissione di azioni per 5,6 miliardi dollari hanno provocato un clima di sfiducia.
EDIZIONI
In cattiva compagnia pagine 177 • euro 12
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In occasione del sessantesimo anniversario della Repubblica
I candidati di molti partiti cercano di far accordare Micheletti e Zelaya
Il card.Zen chiede a Pechino di liberare i vescovi in galera
Honduras, ultima chance per una mediazione
HONG KONG. In occasione dei
TEGUCIGALPA. I candidati alla presidenza dell’Honduras di numerose forze politiche hanno chiesto al presidente de facto, Roberto Micheletti, e al deposto presidente eletto, Manuel Zelaya, di firmare il cosidetto Accordo di San Josè per risolvere l’attuale crisi politica e permettere la convocazione delle elezioni generali, previste per il prossimo 29 novembre. Elvin Santos, del Partito Liberale (al governo); Porfirio Lobo Sosa, del Partito Nazionale (destra, principale forza di opposizione); Bernard Martinez, del Partito Innovazione e Unità, e Felicito Avila, del Partito Democristiano, si sono riuniti separatamente con Micheletti e Zelaya per presentare questa
60 anni dalla fondazione della Repubblica popolare cinese, il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, suggerisce al presidente Hu Jintao di liberare tutti i vescovi cattolici in prigione. In un messaggio da lui firmato e pubblicato sul sito web della diocesi di Hong Kong, Zen dice: «A 60 anni dalla fondazione della Repubblica Popolare, è il momento che i dirigenti si assumano il coraggio di correggere gli errori del passato, liberando i leader religiosi a cui è stata tolta la libertà (da mons.Su Zhimin [vescovo di Baoding (Hebei)], sequestrato decine di anni fa, a mons. Jia Zhi Guo [vescovo di Zhengding], portato via dal marzo scorso); è il momento per i leader di scendere dalle loro posizioni per dialogare direttamente con i nostri vescovi, perché sono loro i capi della chiesa». Il porporato suggerisce al governo di Pechino anche di «sedersi con sincerità al tavolo [delle trattative] con la Santa Sede, per trovare modi di consultarsi vicendevoli, accettabili ad entrambi e coesistere in armonia». Nel messaggio, il cardinale elogia alcune parole di Hu Jintao che gli hanno suscitato «un filo di speranza». Parlando davanti alla Comitato nazionale della Conferenza politica
Atene, violenti scontri tra polizia e anarchici Guerriglia urbana dopo gli arresti di Salonicco di Massimo Ciullo degenerata in violenti scontri con la polizia, la manifestazione indetta ieri ad Atene dai giovani appartenenti all’area anarco-insurrezionalista, che protestavano per l’arresto di quattro persone sospettate di una serie di attentati dinamitardi. Gli agenti dei reparti anti sommossa hanno dovuto fronteggiare le cariche di oltre 200 manifestanti, che hanno lanciato pietre contro le forze dell’ordine e dato fuoco ai bidoni della spazzatura presso il quartiere di Exarchia, teatro lo scorso anno di una vera e propria battaglia campale contro la polizia, a causa dell’uccisione di un adolescente da parte di un agente.
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La polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere gli attaccanti e non vi sono stati arresti o feriti. I giovani arrestati mercoledì scorso invece, tutti studenti tra i 19 e 21 anni di buona famiglia, sono sospettati di appartenere al gruppo armato anarco-insurrezionalista “Cospirazione dei Nuclei di Fuoco Nichilista”, che ha rivendicato una serie di attentati dinamitardi, avvenuti nelle ultime settimane nella capitale e in altre città greche. A Salonicco, l’attentato che aveva provocato solo danni materiali non ingenti, era avvenuto parallelamente ad uno più grave ad Atene contro la sede della Borsa che aveva semidistrutto la facciata dell’edificio ferendo leggermente una passante. Quest’ultimo non è stato ancora rivendicato ma gli inquirenti ritengono sia attribuibile al gruppo Lotta Rivoluzionaria, erede della formazione armata marxista radicale “17 Novembre”, sgominata nel 2003. All’udienza per la convalida dell’arresto, fissata per ieri mattina davanti al giudice Eleni Raikou, sono comparsi Haralambos Hatzimichelakis, Emmanuil Yiospas, Myrto Pangeloglou and Panayiotis Masouras. Lo stesso magistrato dovrà pronunciarsi quanto prima sulla richiesta di un ordine di arresto per altri sei sospetti, tra cui un cittadino di nazionalità albanese. I quattro giovani, tre uomini e una donna, sono stati tutti rinviati a giudizio per cospirazione ed altri reati contro l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato. Ai quattro viene contestata anche l’appartenenza ad un’organiz-
zazione terroristica, il reperimento e la detenzione illecita di materiale esplosivo, due attentati dinamitardi, tentata strage, furto ed infine, traffico e possesso di sostanze stupefacenti.
Il gruppo è stato fermato dopo la scoperta da parte dell’antiterrorismo greco di un covo appartenente ad un membro dell’organizzazione, ad Halandri, un sobborgo alla periferia nord di Atene. Durante l’irruzione dei reparti speciali della polizia ateniese, sono stati sorpresi nell’appartamento, l’inquilino ventunenne, il figlio del proprietario e la sua ragazza, mentre la quarta persona è stata arrestata a Galatsi, insieme ad un quinto giovane, rilasciato poco dopo l’interrogatorio non essendo coinvolto nell’inchiesta. I “Nuclei di Fuoco”, che secondo la polizia arruola i suoi membri in seno al movimento anarchico, sono considerati i responsabili dell’attacco contro l’ufficio di Atene di due esponenti del Pasok, il partito socialista greco, che ha suscitato grande clamore nel Paese. Il 23 settembre una bomba era stata collocata davanti al pianerottolo del quarto piano del palazzo dove risiedono Gerassimos Arsenis, ex-ministro nei passati governi socialisti, e la moglie, Louka Katseli, responsabile per gli affari economici del Pasok. Sul gruppo anarchico si appuntano i sospetti degli inquirenti per gli attentati del 12 luglio scorso contro l’abitazione dell’ex viceministro per l’Ordine Pubblico, Panayiotis Hinofotis e contro il ministero per la Macedonia e la Tracia del 2 settembre. I “Nuclei di Fuoco Nichilista” avevano rivendicato l’attentato contro l’ex viceministro, responsabile della polizia al momento dell’uccisione, nel dicembre scorso del quindicenne Alexis Grigorpoulos da parte delle forze dell’ordine. Secondo i primi rilievi effettuati dalla scientifica sul materiale rinvenuto ad Halandri, l’esplosivo usato nei vari attentati corrisponderebbe al tipo nascosto nel covo. Un portavoce della polizia di Atene ha potuto confermare con certezza che l’ordigno esploso davanti all’abitazione di Louka Katseli è identico ad un’altra bomba rinvenuta nell’edificio usato dagli anarchici.
Pietre contro le forze dell’ordine, lacrimogeni sui manifestanti. Gli arrestati sono tutti studenti molto giovani
consultiva del popolo cinese il 20 settembre scorso, Hu ha detto che la funzione di quell’organismo è di «promuovere la democrazia, rafforzare la solidarietà, coordinare i rapporti, risolvere le contraddizioni». Zen non ha potuto «fare a meno di applaudire», quando ha sentito Hu affermare che «il Cppcc deve impegnarsi a promuovere… lo sviluppo armonioso nei rapporti con le religioni,… con i connazionali in patria e all’estero». Secondo il cardinale, il programma espresso da Hu Jintao è «una sfida senza precedenti… ma anche una grande opportunità». «La fede - conclude il presule – non è assolutamente in opposizione con l’amore di patria».
richiesta. Cesar Ham, del Partito di Unificazione Democratica (opposizione di sinistra) e Carlos Reyes, candidato indipendente della sinistra honduregna, non hanno partecipato a questi incontri, ma hanno annunciato che incontreranno oggi Micheletti e Zelaya, quest’ultimo rifugiato nell’ambasciata brasiliana a Tegucigalpa da lunedì scorso.
«Ci fa molto piacere che tutti e due si siano detti disposti a tornare al tavolo del dialogo, sopratutto nel quadro dell’Accordo di San Josè», ha detto oggi Lobo, mentre Santos ha dichiarato che «abbiamo trovato nelle due parti un’ampia volontà di dialogo». Secondo la proposta formulata dal presidente del Costa Rica, Oscar Arias, in qualità di mediatore nella crisi scatenata dal colpo di stato dello scorso 28 giugno in Honduras, Zelaya si vedrebbe restituito il potere presidenziale, ma si sospenderebbe ogni ritorsione legale contro i golpisti e si anticiperebbero le elezioni generali. Una richiesta che, almeno fino a poche ore fa, non era stata presa in considerazione dal premier de facto del Paese, che controlla il governo con l’appoggio del Parlamento, della Corte costituzionale, dell’esercito e della Chiesa.
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L’intervista. Storia ed evoluzione del nostro grande schermo attraverso il contributo di uno dei massimi esperti contemporanei. Che torna in libreria per la Laterza...
Cittadino del cinema italiano «È il luogo d’amore in cui ho colto il ritmo vitale del Paese» A tu per tu con il grande critico Gian Piero Brunetta di Orio Caldiron
ROMA. «Il cinema italiano è diventato nel corso degli anni compagno di viaggio e “luogo” della mia vita. Jean Renoir si definiva “citoyen du cinématographe”e anche a me piacerebbe vedere scritto sul mio passaporto “cittadino del cinema italiano”. Oltre che habitat culturale e materiale, il cinema italiano è stato prima di tutto un luogo d’amore di cui ho cercato di cogliere i ritmi interni, le armonie vitali, le concordanze e corrispondenze visibili e invisibili con la vita del Paese, di cui ho cercato di approfondire costantemente le conoscenze senza mai provare un senso di stanchezza e saturazione del rapporto. Forse per suggestione felliniana non riesco dopo quarant’anni a immaginare di scriverne la parola fine». Sono pochissimi gli studiosi che possono dire altrettanto, parlare con la stessa dedizione dell’oggetto della propria ricerca. Gian Piero Brunetta, ordinario di Storia e critica del cinema all’Università di Padova, è uno dei massimi studiosi del cinema italiano a cui ha dedicato mostre, rassegne, programmi televisivi e un gran numero di libri. Oggi escono da Laterza cinque volumi, Il cinema muto italiano (pp. 472, euro 22), Il cinema italiano di regime. Da “La canzone dell’amore” a “Ossessione” (pp. 440, euro 24), Il cinema neorealista italiano. Da “Roma città aperta” a “I soliti ignoti” (pp. 314, euro 20), Il cinema neorealista italiano. Storia economica, politica e cultura (pp. 464, euro 24), Il cinema italiano contemporaneo. Da “La dolce vita” a “Centochiodi” (pp. 828, euro 20), che ripropongono, ampiamente rivista e aggiornata quando non completamente riscritta, la Storia del cinema italiano apparsa per la prima volta nel 1979 e poi con numerose integrazioni nel 1993. Nel frattempo l’instancabile autore ha fatto in tempo a pubblicare Cent’anni di cinema italiano (1991), un’ampia sintesi incentrata sui modelli linguistici e culturali uscita per Laterza, e per Einaudi la preziosa versione breve intitolata Guida
alla storia del cinema italiano (2003) oltre ai sette volumi della Storia del cinema mondiale (1999-2001), quasi diecimila pagine scritte con il contributo di uno stuolo di studiosi italiani e stranieri. La nuova storia è un evento particolarmente significativo in una stagione di rinnovato interesse critico per il cinema italiano del passato. Come valuti, a quasi trent’anni dalla tua prima storia del cinema italiano, la lunga durata che precede questa nuova pubblicazione? Si tratta di un periodo cruciale, un’era geologica. Una fase importante per la mia esperienza di studioso e ricercatore, in cui si sono alternate spinte centrifughe e di allargamento di orizzonti fino ad abbracciare la superficie dell’intero cinema mondiale e continui ritorni in un territorio che non cessa di esercitare il suo richiamo, di af-
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rare qualsiasi fenomeno del cinema italiano in un’ottica comparatistica e alla luce della possibilità di un controllo di prima mano delle fonti, filmiche e non. Fonti rese sempre più accessibili grazie ai sistemi informatici e alla più aperta e lungimirante politica delle cineteche
Ho approfondito le conoscenze senza mai provare stanchezza. Forse per suggestione felliniana, dopo quarant’anni, non riesco a immaginare la parola fine
fascinarmi e sorprendermi. In questi anni, grazie alla confluenza di più fattori favorevoli, sono cambiate molte prospettive nello studio della storia del cinema muto: la quantità d’informazione è cresciuta in proporzione geometrica, il quadro di riferimento bibliografico è mutato grazie anche a non pochi importanti contributi internazionali e sta, maturando l’esigenza di osservare e misu-
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e delle istituzioni pubbliche e private. Di anno in anno ho assistito con entusiasmo alla moltiplicazione delle ricerche analitiche, al reperimento e restituzione a nuova luce e vita pubblica di centinaia di titoli considerati perduti, alla crescita di una nuova generazione di ricercatori in Italia e all’estero, allo sviluppo lento, certo, ma irreversibile di una diversa coscienza storiografica. All’inizio del Novecento si moltiplicano le sale cinematografiche e i padiglioni ambulanti, ma la produzione italiana non c’è ancora. Bisogna aspettare qualche anno per festeggiare la nascita del cinema italiano. Nel settembre 1905 migliaia di persone si affollano a Roma in Via Nomentana per assistere, proprio nel luogo in cui sono avvenuti i fatti, a La presa di Roma di Filoteo Alberini: in dieci minuti e sette quadri viene ricostruito l’episodio della presa di Porta Pia che ha dato luogo all’unità d’Italia. Nel primo de-
cennio la produzione cresce impetuosamente a nord come a sud. Ovunque con capitali minimi nascono le nuove “fabbriche delle film” che hanno carattere di piccole imprese a conduzione familiare. Il cinema italiano pensa subito in grande, attinge i suoi soggetti dalla storia, dalla letteratura universale all’intera tradizione artistica e al teatro di tutti i tempi: Dante e Omero, Verdi e De Amicis, Tiziano e Canova, Shakespeare e Manzoni, Rossini e Gozzano,Verga e Mascagni. Se D’Annunzio è il nume tutelare di questo periodo, una schiera di scrittori, artisti e intellettuali si accosta al cinema contribuendo alla sua vitalità che punta sulle grandiose rievocazioni antico-romane, sui corpi gloriosi delle dive liberty, sul dinamismo quasi futurista degli uomini forti. Gli anni Trenta e i primi Quaranta sono stati presi d’assalto da studiosi italiani e stranieri, modificando la visione riduttiva che si era avuta di un periodo così complesso. Dalla fine degli anni Sessanta si è assistito in Italia a una vera e propria corsa verso lo studio della storia del cinema del fascismo. Un territorio sconosciuto, che sembrava uscito dalla memoria quasi in base a un accordo sottoscritto dalle generazioni nate e cresciute tra le due guerre, attraeva in maniera irresistibile ricercatori, critici e studiosi delle generazioni successive. Soprattutto il quindicennio tra l’avvento del sonoro e la liberazione veniva a costituire, per le giovani generazioni una sorta di nuova frontiera verso cui spostarsi in massa con bagagli metodologici e critici leggeri e senza una vera idea della destinazione finale. In effetti la genesi di un processo di crescita e maturazione di una nuova coscienza storiografica si può riconoscere proprio a partire dall’esigenza di ridiscutere e riesaminare la storia del ventennio senza il condizionamento di un vissuto autobiografico, senza censure o autocensure,
senza intenzioni di aprire processi a posteriori, senza rimozioni o reinvenzioni della propria storia. Il dibattito-scontro sembrava più avere a che fare con l’esigenza edipica di uccidere i padri da parte delle nuove generazioni che con il bisogno di guardare l’insieme dei
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fenomeni alla luce di progetti di lungo periodo. Poco per volta le cose sono cambiate. E anche se non si è giunti a capire tutti i nessi e a spiegare tutte le contraddizioni del sistema, a documentare e comprendere tutte le metamorfosi e tutte le ragioni individuali e collettive che hanno determinato le scelte di campo, il territorio risulta assai più familiare e accessibile, senza tabù, né semplicistiche condanne o assoluzioni. A proposito del neorealismo, oltre agli autori insisti particolarmente sul contesto storico, sugli aspetti economici, sull’intreccio tra cinema e politica. Il neorealismo è stato un periodo in cui il tempo del cinema
Le copertine dei libri di Gian Piero Brunetta: “Il cinema muto italiano”, “Il cinema italiano di regime. Da “La canzone dell’amore” a “Ossessione”, “Il cinema neorealista italiano. Da “Roma città aperta” a “I soliti ignoti”, “Il cinema neorealista italiano. Storia economica, politica e cultura”, “Il cinema italiano contemporaneo. Da “La dolce vita” a “Centochiodi”
mondiale si è fermato e sintonizzato con quello del meridiano che passava per Roma città aperta, Paisà, Sciuscià, Ladri di biciclette, Riso amaro, La terra trema, Germania anno zero che, al di là dei loro meriti espressivi, hanno contribuito a ridare visibilità e dignità all’Italia agli occhi del mondo. Per lo spettatore del dopoguerra certi film hanno avuto l’effetto di una rivelazione, sono stati come una stella cometa che ha portato l’annuncio di una nuova era cinematografica. Grazie a un numero di film racchiuso nelle dita di una mano o poco più, il cinema italiano è diventato di colpo, da una parte, una potenza espressiva e una forza trainante capace di modificare tutti i modelli e i sistemi di riferimento, i paradigmi culturali del cinema internazionale, dall’altra il più autorevole rappresentante politico e diplomatico della nuova Italia repubblicana. Negli anni che vanno da Roma città aperta agli esperimenti dei film collettivi a episodi, come Siamo donne e L’amore in città, il pubblico è al tempo stesso destinatario e protagonista e lo schermo diventa proiezione dell’anima collettiva. Il secondo volume sul neorealismo è stato il più difficile per il calore della materia non ancora ben decantata, per la difficoltà dell’accesso agli archivi. Si trattava di dare la misura dell’importanza e ricchezza del contesto, della sua influenza sui processi realizzativi e distributivi, sulla storia e sulla vita dei film, dei generi e degli autori, e non ultimo sul pubblico e sui singoli spettatori. Naturalmente mi sono servito di strumenti attinti dalle discipline più diverse. Non dimentico mai che la storia, come dice Lucien Febvre, si fa con i documenti scritti quando ci sono, ma anche senza
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quando non ci sono.“Con tutto quello che l’ingegnosità dello storico può utilizzare. Con le parole. Con i segni. Con i paesaggi e con le tegole. Con le forme dei campi e con le erbacce. Con le eclissi lunari e con gli attacchi delle bestie”. La sfida più temeraria è però quella dell’ultimo volume dedicato alla svolta degli anni Sessanta e al cinema dei decenni successivi, fino alla contemporaneità meno decantata, ancora in fieri. Sì, perché abbraccia quasi la metà dell’intera esistenza del cinema italiano, parte dal momento più alto del suo intero sviluppo e ne segue i fasti, le trasformazioni, l’avvicendarsi generazionale e le crisi nei vari
settori che ne hanno reso difficile il cammino degli ultimi decenni. Se si do-
vesse partire dalla misurazione dell’energia creativa e vitale riscontrabile non solo nel cinema, ma a tutti i livelli della vita nazionale, gli anni Sessanta, ci appaiono come la fase di massima carica e potenza di tutte le batterie di una delle storie più grandi e più ricche di tutto il cinema internazionale. Oltre a cogliere il mutamento improvviso e rapido della corsa collettiva al benessere e a registrare quello parallelo e connesso del mutamento delle maschere sociali, dei comportamenti, dei canoni etici, dei gesti, dei modi di parlare, del lessico e delle forme elementari della comunicazione, il cinema allarga lo sguardo per andare oltre la superficie immediata del visibile e fare dello schermo un luogo di confluenza e interazione di sogni e desideri, di rappresentazione del presente e di proiezione in avanti, di registrazione di tutti i mutamenti di vita, comportamenti e mentalità, oltre che dei modelli e paradigmi ideologici, morali, sessuali e culturali. In nessuna fase della storia del cinema sono compresenti diverse temporalità e metamorfosi così rapide e profonde che si scontrano con realtà, mentalità, gesti, condizioni ambientali immutabili da secoli. Cosa succede nei decenni successivi in cui si arriva progressivamente a una sorta di desertificazione del nostro panorama cinematografico, un tunnel buio da cui solo da poco sembra si stia faticosamente uscendo? Dopo il ’68 qualcosa si spezza all’interno di un sistema che si rinnova in continuazione. L’avanzare della televisione, l’attraversamento di uno dei periodi più difficili della storia repubblicana, la crisi dei generi, non ultima la morte di alcuni grandi maestri fanno sì che il paesaggio risulti impoverito. La disgregazione del tessuto produttivo implica il mutamento rapido e irreversibile di un paesaggio che dall’avvento del sonoro aveva subito trasformazioni relativamente lente. L’avvento del digitale fa il resto. La storia che all’inizio del nostro racconto è grande, megalomane come un kolossal, si ridisegna su scala più ridotta, anche se in nessun periodo, grazie a qualche autore o a qualche film, cessa di costituire una fonte di illuminazione per il cinema mondiale o di ottenere riconoscimenti nei maggiori festival internazionali. È successo anche in queste ultime settimane. A Venezia il cinema italiano era presente con tanti, troppi titoli e lascia perplessi spettatori e critici. A Toronto ottiene riconoscimenti straordinari, anche sul piano delle vendite, riconquistando l’attenzione del pubblico di tutto il mondo.
cultura
pagina 20 • 26 settembre 2009
on il termine “storia” si definisce una realtà bifronte: da una parte un metodo di analisi, l’indagine o ricerca critica relativa a una ricostruzione ordinata di eventi umani reciprocamente collegati secondo una linea unitaria di sviluppo; dall’altra, il corso di eventi attraverso il tempo, in quanto oggetto di natura culturale o anche morale, e quindi le vicende stesse che quel metodo analizza. Nella Storia oggetto e punto di vista possono coincidere, il difficile equilibrio tra i due piani è legato alla possibilità di oggettivare il decorrere delle vicende umane, e quindi a tutto ciò che è legato al lavoro intellettuale della conoscenza.
un prelievo diretto che lo sradicamento dal passato storico e il successivo innesto innaturale nel presente dell’attualità. Le ricostruzioni oggettive di Fabio Mauri ci pongono davanti al disagio del déja vu, alla presenza di un commento autoevidente, insito nell’oggetto, perché in questo ancora sussiste qualcosa di irrisolto, che lo richiama ad una testimonianza originale, ponendolo in uno status di irriproducibilità, se non al prezzo del falso: davanti al dato storico la riproduzione potrebbe far saltare l’equilibrio dell’oggettività e spingere l’oggettività dell’ideologia nell’ideologico.
C
Lo sbilanciamento della storia sul suo piano soggettivo, trova l’incontro con l’Ideologia, ovvero con un discorso che non descrive le cose come davvero sono, ma corrisponde a esse solo in un modo limitato, superficiale, ignaro delle loro tendenze e connessioni più profonde, che impedisce di cogliere la Storia come totalità. In questa dinamica, l’arte può porsi come sguardo esterno, capace di guardare alla Storia e di fissarne i significati, proprio perché li “vede” e li “indica” attraverso
Il personaggio. Metodo e sviluppo dell’oggettivazione in Fabio Mauri
Quando la Storia si trasforma in Arte
Le performance di Mauri fanno leva sulla ricostruzione rigorosa, metodica, “scientifica” di fatti accaduti, in cui anche il titolo dell’opera evita ogni possibile interpretazione soggettiva e si pone come segnale, indizio didascalico che non commenta, pone interrogativi oggettivi, a cui risponde l’oggettività dell’arte, ed in modo alternativo, la testimonianza diretta, la scientificità del metodo storico-artistico che si basa su un fondamento inconfutabile, che Mauri ripete ed antepone davanti ad ogni dubbio: «Io c’ero». Ne è un esempio alquanto si-
di Angelo Capasso messa a nudo del medium artistico e di conseguenza il tutto della Storia. Per muoversi oltre, una volta raggiunto lo “zero delle forme”, Mauri cambia registro, si aggancia all’Ideologia, non per abbracciarla, ma come un treno su un unico binario, per continuare l’analisi strutturale in un territorio che, in quanto soggettivo, può avere connotazioni personali, sociali, culturali, storiche. Dallo zero delle forme, quindi passa alle “forme dello zero”, una pratica un linguaggio diverso: che non nasce da oggettivazioni, ma si esprime per oggettivazioni; che è all’interno della Storia, ma parla trasversalmente anche in senso astorico ad altre epoche, allo sguardo stesso sulla Storia. Il lavoro di Fabio Mauri, considerato oggi (con l’emozione dei quattro mesi trascorsi dalla scomparsa il 19 maggio scorso) e quindi dal suo essere diventato un corpus unico di opere e azioni, assume la definizione precisa di metodo: è un metodo di oggettivazione che s’impone come metodo per emancipare l’arte dall’ideologia. Una ricerca, la sua, connaturata agli esperimenti di Burri, Fontana, Manzoni, che assunse un punto di svolta negli ultimi anni 50, quando realizzò la serie degli Schermi, dopo un prima fase di pittura informale. Gli schermi di Mauri segnano il grado zero dell’immagine e la
che significa non aggiungere ma mostrare, azzerare continuamente.
Dallo schermo all’ideologia: il linguaggio di Mauri assume rapidamente una forma definita, parla attraverso un’esperienza che ha contrassegnato gli anni della sua gioventù, gli anni del fascismo, della guerra, della Shoah, oltre al periodo storico centrale del Novecento europeo. Dal 1971 ad oggi, Fabio Mauri ha realizzato opere d’ar-
te - quali Che cosa è il fascismo (1971), Ebrea (1971), Oscuramento (1975), Linguaggio è guerra (1975), Manipolazione di cultura (1973-76), I numeri malefici (1978), Europa bombardata (1978), Umanesimo/Disumanesimo (1980) - sono opere che si muovono in un ordine che inverte la relazione storiaarte: non più espressioni o rappresentazioni a carattere storico, ma oggettivazioni della Storia attraverso le sue testimonianze, i suoi reperti, attraverso
Una ricerca, quella dell’artista, connaturata agli esperimenti di Burri, Fontana, Manzoni, che assunse un punto di svolta negli ultimi anni Cinquanta, quando realizzò la serie degli “Schermi”, dopo un prima fase di pittura informale
In questa pagina, alcune tra le più significative opere dell’artista Fabio Mauri, scomparso lo scorso 19 maggio. Il suo linguaggio non nasceva da oggettivazioni, ma si esprimeva per oggettivazioni
gnificativo la performance dal titolo Che cosa è il fascismo con cui Mauri ricostruisce i Ludi Juveniles fascisti alle Cascine di Firenze del ’39, a cui Mauri prese parte da giovane balilla. Il lavoro di Mauri riporta alla luce un mondo che il senso di colpa collettivo e la reticenza complice che ha nascosto: libri, dischi, una parafernalia infernale tra cui la bilancia pesapersone per visite macabre, la macchinetta per tosare gli ebrei, la sella, la poltrona e la valigia ariane, e tutto un vocabolario di oggetti che ricostruisce il linguaggio della dittatura, la riporta alla luce per mostrarcela (verbo prediletto dell’artista) perché l’arte possa rendere immuni. Ma quel linguaggio in realtà si arricchisce e si trasforma nel tempo, inventa altri riti, altri oggetti, altra bellezza per favorire, ciò che Mauri definiva, l’estetizzazione del Male.
spettacoli
26 settembre 2009 • pagina 21
In questa pagina, alcune immagini tratte dagli spettacoli ospitati dal Teatro India di Roma: “Controllo Remoto” (a fianco e in basso a sinistra), e “Ritorno ad Haifa” (sotto e in basso)
Teatro. Molta qualità (soprattutto made in Italy) nella rassegna scenica “Le vie dei Festival”, curata da Natalia Di Iorio
Tutte le strade portano all’«India» di Enrica Rosso
ROMA. Dal 18 settembre, con la complicità del Teatro di Roma, la totalità degli spazi del Teatro India sono stati invasi da Le vie dei Festival. Anche quest’anno siamo stati testimoni di una programmazione fittissima e di ottima qualità. D’altronde cosi ci ha abituati da sedici anni a questa parte Natalia Di Iorio che ci fa sentire altrove con le sue proposte di un teatro multietnico, multiculturale, multiforme. La direttrice artistica di Le vie dei Festival ci ha più volte spiazzati facendoci assistere ad allestimenti di artisti con nomi impossibili, scovati in chissà quale festival e che si sarebbero a breve imposti all’attenzione della stampa internazionale. Pensiamo ad esempio a Eimuntas Nekrosius, a William Kentridge, a Alain Platel, a Alvis Hermanis, presente la passata edizione con due allestimenti. In quest’anno così duramente segnato dagli oltraggiosi tagli ai fondi per la cultura il Festival è interamente dedicato al talento italiano, a sottolineare la vicinanza con artisti che hanno saputo ricostituire in patria e all’estero l’immagine di un’Italia fattiva, che offre il proprio lavoro per aprire delle finestre di sogno in periodi altrimenti bui.
In apertura abbiamo assistito all’omaggio a Leo de Berardinis e Perla Peragallo, splendida coppia di autentici innovatori, attraverso la visione dei film A Charlie Parker e Totò Principe di Danimarca (quest’ultimo è la trasposizione televisiva di una memorabile messa in scena del 1998). Lo scorso fine settimana è stata la volta dei Motus, che
hanno spadroneggiato con il loro studio sugli adolescenti che si confrontano con le periferie urbane di varie città. L’uso del territorio, il consumo dei corpi, il mutamento da cuccioli di uomo a individui autonomi è alla base di questa realizzazione che titola X(ics) racconti crudeli della giovinezza e che rende conto delle varie performances agite dalla compagnia nel resto dell’Europa ulteriormente arricchite dalle esperienze messe a punto collaborando con due giovani gruppi italiani: i videomakers romani Aqua Micans e i musicisti napoletani Roca Luce. Egumenteatro, la compagnia diretta da
grandi intellettuali arabi: Ghassan Kananfani, autore del romanzo Ritorno ad Haifa. L’omonimo spettacolo traduce per noi il disagio, lo spiazzamento e la disperazione di una coppia
genza dell’emergenza. Un testo in cui una scrittura immaginativamente ricchissima non indietreggia di fronte alle descrizioni più crude e sostanziali. Un racconto elargito piuttosto energicamente dai due ottimi interpreti Carlo Orlando - che firma anche la regia - ed Eva Cambiale, lucidissima e molto motivata. Rimangono però dei dubbi sulla scelta ritmica - ossessiva e implacabile - portata avanti per tutta la durata della rappresentazione laddove la natura stessa della scrittura avrebbe tranquillamente permesso più libertà. Un teatro prettamente di parola che ben si combina con Controllo Remoto, la creazione presentata in anteprima nazionale dagli Orthographe. Non fiati ma sibili angoscianti (l’ambientazione
scompone e va letteralmente in fumo, e nella confusione del fumo la penombra diventa cattiva e le lame di luce taglienti, la nube impalpabile veleno che ci ingloba e teletrasporta nel mondo della simulazione, catapultandoci emotivamente dentro a un videogioco.
Il progetto di Alessandro Panzavolta è in realtà molto complesso e va diritto allo scopo: 40 minuti per trasformarci in bersagli umani. Un’operazione ardita -quasi un’installazione che smuove e commuove. Non ci stupisce che questo tipo di prodotto trovi al momento maggiore riscontro all’estero. Sempre nella giornata di venerdì è stato introdotto l’ultimo numero di Art’O, prestigiosa rivista di cultura e politica delle arti sceniche, mentre Societas Raffaello Sanzio ha presentato il sermone drammatico di Claudia Castellucci Il Regno profondo. Oggi, dalle 10 alle 17 “Fare un festival”, importante momento di riflessione collettiva curato da Gianni Manzella, direttore di Art’O; alle 20 nella Sala B bis, Dies Irae-5 episodi intorno alla fine della specie-Episodio 1, ricostruzione di un fatto avvenuto attraverso l’analisi delle tracce ematiche rimaste sul luogo del delitto ad opera di Teatro Sotterraneo. Alle 21 ritorna a grande richiesta Mòra, la compagnia di danza della Societas con Homo turbae, spettacolare traduzione de L’uomo della folla di Poe per otto danzatori di formazione classica, alle 22.30 nella nuova area bar “Black Fanfare” concerto di Demetrio Castelucci. Domenica in replica alle 18 Homo Turbae, alle 19 Dies Irae. Poi tutti a casa, appuntamento al prossimo anno.
Nonostante i numerosi tagli ai fondi per la cultura, il progetto convince. E punta su quei talenti che hanno saputo ricostituire l’immagine di un’Italia fattiva
Virginio Liberti e Annalisa Bianco, ha presentato due produzioni. Partendo da testi classici come Sogno ma forse no, All’uscita, L’uomo dal fiore in bocca e affidandoli alla lettura dei senesi LaLut, è approdata a un contenitore pirandelliano: Questa sera si recita la nostra fine in prima serata; seguito dal più riconoscibile Aspettando Godot imprestato ai fiorentini Gogmagog. Giovedì e venerdì sono andati in scena due gruppi con un comune denominatore: far riflettere sull’insensatezza dei conflitti mondiali. I Narramondo Teatro, giovane compagnia di Genova, hanno dato voce alle parole di uno dei più
di esuli palestinesi che costretti alla fuga a causa dei bombardamenti anglo-israeliani del ’48, ritorna ad Haifa, vent’anni dopo, nell’illusione di riabbracciare un figlio sconosciuto abbandonato a soli 5 mesi nell’ur-
sonora è firmata da Lorenzo Senni) che abbattono le mura del teatro e lo rendono foresta sonora, territorio ostile, ma non solo. La tramatura dello schermo fluido su cui si materializzano le prime immagini si
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
da ”South China Morning Post” del 24/09/2009
Le ali pesanti di Tokyo iccolo terremoto nella borsa giapponese. Ieri, l’indice Nikkei ha subito un sobbalzo negativo del 2,9 per cento. Non appena c’è stata l’apertura dei mercati asiatici, sono arrivati i primi segni negativi dal mercato immobiliare Usa. A questi si aggiungono segnali di preoccupazione per le capacità di ripresa della prima economia mondiale.
P
Il mondo finanziario del Sol levante ha accusato il colpo, dopo l’annuncio fatto da Nomura holdings (il maggior gruppo bancario giapponese, ndr), di un piano di emissione di azione per oltre 5,6 miliardi di dollari, facendo nascere il timore che anche altri istituti bancari possano seguire l’esempio. L’operazione di Nomura si è bloccata a causa di un eccesso di ordini di vendita, annunciato dal principale broker nazionale. Il mercato avrebbe percepito l’impatto negativo di questo piano sul mercato, non considerando le ricadute positive che avrebbe provocato sulle operazioni aziendali di Nomura. Un sintomo che indica come l’incertezza domini ancora i mercati finanziari. Ma le perdite sono state su di una base ampia, le aziende commerciali sono state colpite dal crollo dei prezzi delle materie prime e gli esportatori dall’apprezzamento dello yen sul dollaro. Soichiro Moji di Daiwa Sb investment è convinto che la colpa sia della banca. «Le perdite di oggi sono legate all’improvviso annuncio di Nomura di voler raccogliere nuovi capitali». Insomma, quando il mercato globale è già in calo, sono queste operazioni che provocherebbero un abbassamento aggiuntivo delle scorte finanziarie. Gli analisti affermano che con questa operazione Nomura avrebbe aumentato del 30 per cento le sue azioni sul mercato. Potrebbe voler dire che le banche giapponesi, in vista delle nuove regolamentazioni che prevedono mag-
giori scorte finanziare per affrontare nuove crisi, stiano cercando di adeguarsi ai nuovi standard. Alla chiusura di giovedì, l’istituto finanziario giapponese aveva perso il circa il 15 per cento sul listino. È il secondo scossone per la banca, da quando aveva deciso di comprare gli asset europei e asiatici della Lehman Brothers, con una politica di investimenti mirati e norme più stringenti sul capitale.
C’è timore che due grossi rastrellamenti di capitale pubblico, in un anno, possano diluire la solidità finanziaria della banca, afferma Hirakawa Okasan. Molti gruppi finanziari delle cosiddette keiretsu hanno perso molto nella seduta di borsa. La Mitsubishi circa il 6,1 per cento e il gruppo Sumitomo-Mitsui ha ceduto il 5,2 per cento del valore. Un piccolo terremoto. Poi sono arrivate anche cattive notizie dalla compagnia di bandiera, in crisi da tempo. In bilico da quando ha chiesto aiuto al governo di Tokyo, a causa dei conti in rosso. Il ministero competente ha però risposto che non ci sarebbero ancora le condizioni per un intervento statale nella Japan airline. I suoi piani di riduzioni dei costi non sarebbero ancora credibili e le spese sarebbero fuori controllo. Il ministero dei Trasporti ha dichiarato, venerdì, di aver incaricato un team di studio per elaborare dei piani di ristrutturazione della Jal, dopo che quelli della compagnia non avevano soddisfatto il governo. Anche Jal ha perso il 5,6 per-
cento in borsa in un solo giorno. Chi dovrà prestare denaro alla linea aerea ha dubbi, non solo sulla bontà dei piani di ristrutturazione, ma anche sulla capacità aziendale di porli in essere. Si parla di un debito sommerso enorme. Solo nell’ultimo trimestre la compagnia avrebbe perso un miliardo di dollari. Il pacchetto che Tokyo starebbe preparando come paracadute, ammonterebbe a circa 100 miliardi di yen.
Ieri, è stato il secondo giorno di frenata delle borse asiatiche, a seguito del calo di Wall Street, anche in conseguenza della decisione della Federal reserve di rallentare l’acquisto delle obbligazioni garantite dai mutui immobiliari. Un fatto che ha provocato non poche preoccupazioni sulla reale capacità che l’intervento statale americano riesca a rimettere in moto l’economia in crisi. In Corea del sud, Singapore e uastralia gli indici sono stati tutti negativi ma in misura minore.
L’IMMAGINE
Unione di centro e partiti di destra per vincere insieme alle prossime elezioni Sono uno dei pochi lettori che nella mia cittadina acquista, fin dalla sua prima uscita, liberal (comunque vende più copie dell’Unità, grazie a Dio!). Avendo avuto un’educazione cristiana e una cultura classica, ho sempre aborrito fin dalla nascita (1942) il comunismo in tutte le sue sfumature (grazie anche a fatti e episodi che potrebbero benissimo stare nel libro di Pansa Il sangue dei vinti). Sono iscritto all’Udc e prima alla Dc, ma sempre con la barra a destra. Nel mio piccolo ho contribuito nel mese di giugno scorso a far conquistare, dopo 65 anni di “dittatura” socialcomunista, il comune di Gualdo Tadino al centrodestra e alla validissima nostra senatrice Sandra Monacelli, con uno schieramento che andava dal Pdl all’Udc, Lista civica con elementi di sinistra e Idv, con una vittoria schiacciante del 66,70%! Le nostre più belle vittorie le abbiamo avute quando ci siamo alleati o sostenuto il Pdl. Per vincere anche nei valori, alle prossime regionali dobbiamo cercare il più possibile alleanze con il centrodestra.
Eriberto Polidoro
RINGRAZIAMENTI La ringrazio molto della bella pagina dedicata al mio ultimo libro e della puntuale ricostruzione (non capita spesso) delle storie che in esso si raccontano. Per chi scrive libri è sempre una bella soddisfazione venire letto davvero e commentato. Una sola precisazione: non ho omesso per anticraxismo ciò che Bettino fece di riformista a Milano, l’ho omesso perché temporalmente non rientrava nella data-limite del 1960. Richiamo la sua attenzione su di un altro aspetto: Craxi era forte, ma non maggioritario nella Federazione di Milano, che difatti per molti anni fu egemonizzata dal furbissimo Giovanni Mosca (ex operaio di Casalpusterlengo, segretario della Cgil e vice-segreta-
rio del Psi) e dai demartiniani. Craxi dominerà più avanti e - qui mi sbilancio - non sarà poi molto riformista con Pillitteri e altri, ahinoi. Di Craxi parlai di più (senza santificarlo né demonizzarlo, spero) in un mio precedente volume uscito da Baldini e Castoldi Benedetti, maledetti socialisti, devo dire che apprezzai il capo del governo assai più del segretario, ma sono un po’ settario, feci parte, come collaboratore, di quella straordinaria redazione di Mondoperaio, che purtroppo Craxi e Martelli smontarono in poco tempo.
Vittorio Emiliani
risponde Gabriella Mecucci Penso che al di là della data, Craxi iniziò la carriera di ammini-
La città sotto ai piedi Camminereste mai su una lastra di vetro sospesa a più di 400 metri d’altezza? A Chicago per provarci, fanno la fila. Dal 103esimo piano della Sears Tower sporge the Ledge (il davanzale) un belvedere trasparente sospeso a 412 metri sopra i tetti della città. Foto spettacolari e vista mozzafiato che valgono il costo del biglietto: 15 dollari, per accedere al grattacielo
stratore nel 1960, in un libro che parla del riformismo lombardo. Un riferimento più corposo al ruolo di Bettino sarebbe stato utile e persino dovuto. Detto questo, insisto: il suo è un bel racconto che si legge tutto d’un fiato.
PALIO DI ASTI: CAVALLA ABBATTUTA Purtroppo il peggio che si poteva
prevedere è accaduto: al Palio di Asti una cavalla di quattro anni, azzoppata durante la corsa, è stata abbattuta. La cavalla era stata operata, e sarebbe potuta sopravvivere: ma senza poter più correre. Con ributtante cinismo questi “amici dei cavalli” hanno perciò deciso di sopprimerla, in quanto per loro sarebbe stata solo un onere inutile. La notizia è stata
taciuta al momento… La scorsa notte, i militanti di Centopercentoanimalisti hanno denunciato l’assassinio di Domina affiggendo in piazza Alfieri (luogo dove si corre il palio) un enorme striscione con la scritta: “La vostra roulette russa deve finire! Palio= tradizione? No, vergogna della nazione!”.
Centopercentoanimalisti
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dai circoli liberal
LETTERA DALLA STORIA
Ti penso davvero tanto. Penso di amarti Emily tesoro caro, caro tesoro Emily, Emily Emily cara Emily, ti penso davvero tanto. Penso a noi, a tutte le cose buffe e belle che abbiamo fatto e a tutte le cose ancora più belle che faremo. Penso a posti e persone belle, e quando ci penso ci sei sempre tu, sempre alta e con una bocca assassina e occhi grandi e senza voce, con un nastrino di collegio o un cappello fallico. Penso a noi nei pub e nei club e nei cinema e nei letti. Penso di amarti. Quale bestiolina ti ha detto che quella sera non sono partito sul treno di Taffy? Sono partito, perdio, se sono partito, e il treno ci ha messo sette ore anziché quattro, fermandosi ad ogni singola stazioncina mentre la guardia raccontava barzellette spinte al capostazione e dei facchini ballavano nudi fra le zangole del latte e il bigliettaio si masturbava sopra la sua perforatrice e il macchinista inculava il pompiere sulla predella. Non ho guardato dal finestrino ma sapevo cosa stava succedendo: avevo una claustrofobia sensitiva e capivo da ogni ripercussione e strepito dei binari esattamente in quale posizione si esibisse il pompiere. Sono arrivato a casa alle otto e mezzo del mattino, molto debole, molto confuso, e ho dormito due giorni interi. Dylan Thomas a Emily Holmes Coleman
ACCADDE OGGI
LA FIDAPA IN CONGRESSO La Federazione nazionale donne arti professioni affari continua ancora oggi e domani il XXVII congresso nazionale presso lo Sheraton Golf hotel. L’associazione è indipendente e senza scopi di lucro, e da 79 anni, per mezzo dell’azione volontaria di 12.000 socie, svolge un movimento di opinione serio e costante, teso a ottenere leggi che migliorino la condizione della donna nel lavoro, nella famiglia e nella società in genere. Insieme alla propria organizzazione internazionale, la Business and Professional Women, Ong accreditata presso le Nazioni Unite, è annualmente presente ai lavori della commissione permanente dell’Onu sullo status della donna nel mondo. Negli ultimi due anni l’associazione ha trattato un tema di grande attualità “Alla ricerca di un valore perduto: il rispetto”, facendo riflettere tutti ma soprattutto i giovani, in sinergia con gli istituti scolastici, sull’importanza del rispetto, quale valore essenziale del vivere civile. Il rispetto verso l’altro, verso la donna, l’infanzia, gli anziani, i diversi, ma anche l’ambiente e i nostri beni culturali, con uno sguardo molto attento al rispetto delle altre culture, un rispetto dell’altro… senza confini. Molte le sinergie con altre associazioni e fondazioni come la Fondazione Doppia Difesa che si occupa dell’assistenza alle donne vittime di violenza. Per il lavoro così svolto la Fidapa ha ricevuto il plauso delle
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)
26 settembre 1968 L’Edilnord sas, di proprietà del 32enne Berlusconi acquista dal conte Bonzi, per 3 miliardi di lire, l’area dove sorgerà Milano2 1969 L’album dei Beatles, Abbey Road viene pubblicato nel Regno Unito 1980 Una bomba fatta esplodere vicino all’ingresso dell’ Oktoberfest di Monaco di Baviera dal neonazista Gundolf Köhler uccide 13 visitatori e ne ferisce altri 200 1983 Australia II, è la prima barca non statunitense a vincere l’America’s Cup 1986 Viene pubblicato il primo numero di Dylan Dog 1988 Ben Johnson viene spogliato della medaglia d’oro olimpica dei 100 metri per essere risultato positivo ad un test anti-doping 1991 Apre Biosphere 2 1997 Terremoto in Umbria e nelle Marche 2002 Il Joola, un traghetto senegalese sovraccarico, affonda al largo della costa del Gambia; più di 950 morti 2003 Esce l’album The platinum collection dei Nomadi
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
massime cariche istituzionali dal capo dello Stato al presidente della Camera, dal ministro dell’Istruzione a quello delle Pari Opportunità, oltre che l’apprezzamento incondizionato delle istituzioni locali e della stessa stampa.
Giuseppina Bombaci, presidente nazionale
CURE PALLIATIVE E MEDICINE INTEGRATIVE Ritorno volentieri sul tema cure palliative, proprio per porre l’accento sulla necessità di inserire altre pratiche, quali l’agopuntura, l’ortomolecolare, la fitoterapia e l’omeopatia, nel prospetto delle cure per la terapia del dolore. È importante che in Senato, in sede di modifica e approvazione del testo, vengano inseriti emendamenti integrativi, formulati solo nell’interesse della salute dei pazienti. Sul delicato argomento è intervenuto anche il dott. Mauro Cucci, direttore dell’istituto superiore di agopuntura: «sulla necessità di inserire nei protocolli di cure palliative e terapie del dolore anche le medicine complementari, non posso che ribadire, come già sostenuto da altri, che ciò è, oltre che giusto, anche doveroso. Vorrei ricordare inoltre come l’agopuntura, secondo recenti studi presentati in ambito internazionale, sia un efficace, economico e sicuro strumento nel trattamento del dolore centrale di natura oncologica e non».
Domenico S.
Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,
Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Filippo La Porta, Maria Maggiore,
Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio
Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,
Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,
SOLIDARIETÀ DELL’UDC AI PRECARI DELLA SCUOLA La rabbia dei precari della scuola del sud si è estesa a tutta la penisola con sit-in, presidi, bivacchi e forme più spettacolari: in catene a Milano, in mutande a Roma, per la strada in Campania. A Potenza è stato organizzato, per iniziativa dei sindacati della scuola, un sit-in in piazza per manifestare il grande dissenso nei riguardi di una riforma ingiusta e involutiva per la scuola pubblica. A Benevento sei insegnanti hanno stazionato sul tetto dell’ex Provveditorato: «Se finora non ci hanno ascoltato dal basso - spiega Daniela, precaria arrabbiata - forse ci ascolteranno dall’alto. I tagli del ministro Gelmini si sono abbattuti su di noi, e così 500, nella nostra provincia, non hanno visto rinnovato alcun contratto». Clima incandescente anche a Napoli, dove i manifestanti cercano di forzare il cordone dei poliziotti all’ingresso dell’ufficio scolastico regionale. Il direttore, Alberto Bottino, ha provato a gettare acqua sul fuoco: «Dal ministero arrivano segnali di apertura, seppure non ancora formali». Anche i precari siciliani sono sul piede di guerra. A Palermo e Catania i docenti hanno occupato gli ex Provveditorati, a Messina hanno allestito un presidio permanente davanti all’ufficio scolastico, e per sensibilizzare l’opinione pubblica alcuni stanno pure facendo lo sciopero della fame. Decisamente più folkloristica la protesta romana, in puro stile «Full Monty»: cinque supplenti in attesa di ricevere l’assegnazione di una cattedra di ruolo si sono calati i pantaloni davanti al liceo Newton. L’opposizione insorge e se la prende con il governo. «La scure del governo sul sistema scolastico rischia di creare danni incalcolabili», ha dichiarato il segretario nazionale dell’Udc, Lorenzo Cesa, che aggiunge «la scuola pubblica è vicina al collasso perché questo governo ha fatto cassa tagliando i docenti e il personale Ata». Anche i sindacati della scuola affilano le armi, e invitano l’esecutivo ad affrontare subito la situazione prima che degeneri. Cgil e Cisl chiedono un tavolo di confronto urgente a Palazzo Chigi, la Uil una trattativa non stop. La federazione Gilda promette di adottare «tutte le forme di protesta possibili» contro la politica dei tagli. Agatino Mancusi e Vincenzo Ruggiero C I R C O L I LI B E R A L BA S I L I C A T A
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PAGINAVENTIQUATTRO Arte. Da otto anni, il primo sabato di ottobre gli istituti di credito aprono i loro palazzi storici al pubblico
Per un giorno la banca diventa di Maurizio Stefanini gni anno le banche italiane spendono 500 milioni di euro, per valorizzare e mantenere il patrimonio artistico in loro possesso». Non un investimento a fondo perduto, «perché ogni euro investito nei Beni Culturali ne rende almeno sei: un ritorno non possibile con nessun altro tipo di investimento». E per l’Italia «l’importanza di questo patrimonio è particolarmente elevata, perché senza materie prime, senza energia e senza manodopera a basso prezzo, e questa la nostra principale chance per reggere alla globalizzazione: l’arte, il panorama, il design, il gusto». Parole di Corrado Faissola, presidente dell’Associazione Bancaria Italiana (Abi). Sono otto anni che ogni primo sabato di ottobre un numero sempre più cospicuo di banche italiane si apre per tutta la giornata gratuitamente al pubblico, in modo da mostrare i palazzi storici e gli altri tesori artistici in loro possesso.
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«Invito a Palazzo Arte e Storia nelle Banche» è l’etichetta ufficiale della manifestazione che, spiegano gli organizzatori, «nelle precedenti edizioni ha attirato oltre 600mila visitatori». Ma questo per le banche è stato un anno diverso dagli altri. Tra credit crunch, titoli tossici, bailout e fallimenti vari, imprenditori e utenti che protestano per il restringersi del credito, il ministro Tremonti che parla quasi peggio di Ezra Pound, e la che ogni tanto viene definita finita e subito dopo no. Ripetiamo: l’iniziativa non l’hanno inventata adesso. Ma quale migliore occasione per rifarsi un po’il look, e mostrare per una volta tanto ai cittadini un volto un po’ meno arcigno? Faissola dunque illustra le benemerenze del settore in materia di cultura in quello stesso Palazzo Altieri sede dell’Abi, gioiello del barocco romano in Piazza del Gesù, raccontando di come in continuazione soci e funzionari gli chiedano perché l’Associazione non si trasferisca in qualche spazio «più razionale», e lui fa «resistenza passiva». E le banche annunciano che ai visitatori stavolta a parte l’ingresso e le abituali guide in italiano e in inglese sarà anche offerto un ristoro enogastronomico: e a Roma, che con 11 siti ha il record dei luoghi esposti, ci sarà anche una Navetta no-stop, che dalle 10 alle 19 farà capolinea davanti a Palazzo Altieri apposta per portare i visitatori da un luogo all’altro. Uno dei siti romani è lo storico Palazzo di via Veneto della Banca Nazionale del Lavoro, dove un’iniziativa nell’iniziativa sarà l’incontro con Laura Barbarini: artista di cui la Bnl possiede varie tele, come primo di una serie di appuntamenti con gli autori contemporanei presenti nella collezione della sessa Bnl. Un altro sito romano è il Palazzo Dexia Crediop di via Venti Settembre, dove saranno celebrati i novant’anni dell’istituto attraverso la mostra “Corrispondenze”: dieci artisti contemporanei a dialogo con la collezione d’arte antica e moderna ivi custodita. Ma in tutto i palazzi aperti al pubblico saranno 93, appartenenti a 52 banche e situati in 47 città: «una media di due palazzi a banca», spiega ancora Faissola, «che ci indicano la densità di questo patrimonio». E ventuno palazzi saranno aperti per la prima volta. La più curiosa in assoluto è forse la sede del Credito Bergamasco: una banca che maneggia denari e ricchezze in quello che fu nell’800 un «albergo dei poveri». Ma addi-
UN MUSEO rittura da Guinness dei Primati è nel comune di Bormio la filiale della Banca Popolare di Sondrio presente ai 3000 metri del Passo dello Stelvio con «lo sportello bancario più alto d’Europa», sede anche del Museo storico “Carlo Doneghani”, dedicato alla Grande Guerra, al progettista della strada e ai grandi eventi sportivi dello Stelvio.
la stessa sede della Fondazione Banco di Sicilia di Villa Zito a Palermo.
In alternativa, si potrebbe costruire un percorso “collezioni d’arte”: da quella relative alla storia genovese della Sede Centrale di Banca Carige; alle opere del Guercino, che la Cassa di Risparmio di Cento conserva nel settecentesco Palazzo Rusconi. Oppure un percorso“Novecento”: dalle simbologie sull’ape della Sede della Fondazione della Cassa di Risparmio di Asti; al liberty della Sede Centrale della Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno. E anche fuori Roma diverse banche approfitteranno dell’occasione per organizzare propri eventi: la mostra sulla scultura lignea del Seicento e del Settecento nell’astigiano alla Cassa di Risparmio di asti a Palazzo Mazzetti; quella sulle macchine del fare banca al Chiostro di Santa Marta della Banca Popolare di Bergamo; le quaranta nature morte di Trento Longaretti al già citato Credito Bergamasco; la mostra fotografica di Cesare Bedognè al Palazzo Sertoli del Credito Valtellinese di Sondrio; l’esposizione sui volumi antichi della banca al Palazzo Donghi Ponti della Cassa di Risparmio delVeneto; i due eventi su Aurelio Saggi e sigli acquarelli di Maceo Casadei al Palazzo di residenza della Cassa di Risparmio di Forlì e della Romagna; l’incontro letterario su Arte, Poesia, Musica e Letteratura al tempo della Marchesa Casati al Villino Casati della UniCredit MedioCredito Centrale di Roma...
Nelle precedenti edizioni la manifestazione ha attirato oltre 600mila visitatori. E quest’anno, in piena tempesta finanziaria, è anche un’ottima occasione per “rifarsi il look” e mostrare ai cittadini un volto un po’ meno arcigno del solito Due poderi in pietra del ’500, in mezzo a uno spettacolare panorama di boschi, vigneti e ulivi, sono i due gioielli di famiglia posseduti dal Monte dei Paschi di Siena nel Chianti. Non mancano i luoghi di interesse archeologico: dall’area romana del I secolo d.C. tornata alla luce durante i lavori di restauro della Banca Regionale Europea al Palazzo Calissano di Alba; alla collezione archeologica frutto di campagne di scavo a Salinunte, Solunto, Himera e Terravecchia di Cuti custodita presso quel Museo Ignazio Mormino che sta nelIn alto, la “Porta del Diavolo” di Palazzo Levaldigi a Torino (foto grande) e un’immagine del salone principale di Palazzo Menz di Bolzano (foto piccola)