2009_12_11

Page 1

91211

di e h c a n cro

Non cercate nel monte un’impalcatura per arrampicare, cercate la sua anima Julius Kugy

9 771827 881004

di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • VENERDÌ 11 DICEMBRE 2009

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Aperto solennemente dal cardinale Angelo Bagnasco il convegno della Cei su credo e modernità, organizzato da Camillo Ruini

Parliamo di Dio, che è meglio Un grande meeting a Roma ci invita a uscire dall’aridità della nostra vita pubblica.Cosa diventerebbe l’Uomo senza la fede? Forte messaggio del Papa: «Il XXI secolo rischia il vuoto spirituale e culturale» di Gabriella Mecucci

Anche Gianfranco Fini chiede chiarimenti al premier per le accuse

ROMA. Perché ora e perché in questa forma, i vescovi italiani hanno deciso di riproporre Dio? Un interrogativo questo che nasce davanti al grande impegno che la Commissione Episcole Italiana ha messo nell’organizzare il convegno sul tema: «Dio

Berlusconi sragiona Napolitano ragiona

«La Corte è di sinistra come la Costituzione, ma adesso cambierò tutto: dove lo trova l’Italia un capo con le palle come me?». Il Cavaliere straparla a Bonn davanti al Ppe. E il Quirinale replica subito: «Sono parole che preoccupano. Il Paese ha bisogno di collaborazione». E intanto la Camera salva definitivamente Cosentino L’INTERVENTO DEL LEADER UDC IN AULA

La politica non può seguire una logica da “casta”

di Errico Novi

ignor Presidente, noi non abbiamo pregiudizi su questa vicenda. Proprio per questo mi rimetto alla libera e individuale scelta dei miei colleghi. I pregiudizi, siano pro o contro, possono uccidere gli uomini e sicuramente uccidono le idee e la politica. Così è capitato nella storia, anche recente. Ma a chi, anche sui giornali di questi giorni, si meraviglia del fatto che un partito come l’Unione di Centro, che ha una storia garantista e che ha sempre combattuto i giustizialismi, non si sia schierato a tutela completa dell’onorevole Cosentino, magari sulla base di una difesa della classe politica, vorrei fare una riflessione semplice e onesta, che si ricollega alla mozione di sfiducia presentata dall’Unione di Centro, che si voterà nel pomeriggio. Onorevoli colleghi, sono uno dei pochi in questa Assemblea a ricordarmi bene il discorso dell’onorevole Craxi alla vigilia di Tangentopoli. Ricordo il segretario socialista, grosso modo da quei banchi, e tanti silenzi imbarazzati.

Berlusconi sragiona e straparla. Ormai vede «la sinistra» dappertutto, come un toro davanti alla muleta: la Corte che ha bocciato il Lodo Alfano è di sinistra; d’altra parte anche la Carta Costituzionale è di sinistra, come pure gli ultimi tre inquilini del Quirinale venivano dalla sinistra. Per questo, dice, «cambierò la Costituzione». E, sempre più come un premier-toro, passa all’auto-elogio: «Lo sanno tutti che in Italia un altro leader con le palle come me non si trova..». Immediata e preoccupatissima la reazione del Quirinale: «Sono parole che rammaricano perché piuttosto occorrerebbe recupere uno spirtito collaborativo tra le istituzioni». Fini invece chiede chiarimenti ma Berlusconi risponde di no: «Basta ipocrisie».

segue a pagina 2

a pagina 2

di Pier Ferdinando Casini

S

se1,00 gue a (10,00 pagina 9CON EURO

I QUADERNI)

• ANNO XIV •

oggi. Con lui e senza di lui cambia tutto». Si tratta di un’operazione di altissimo livello culturale che arriva proprio quando la fine delle ideologie, la mancanza di senso e la nuova ricerca di senso riaprono la strada per riproporre la «questione di Dio». a pagina 11

IL TESTO DEL PONTEFICE

LA FEDE E I DIRITTI DELL’UOMO

È ora di uscire dalla penombra

La lotta all’Inumano può unire tutti

di Benedetto XVI

di André Glucksmann

a questione di Dio è centrale anche per la nostra epoca, nella quale spesso si tende a ridurre l’uomo ad una sola dimensione, quella «orizzontale», ritenendo irrilevante per la sua vita l’apertura al Trascendente. La relazione con Dio, invece, è essenziale per il cammino dell’umanità e, come ho avuto modo di affermare più volte, la Chiesa e ogni cristiano hanno proprio il compito di rendere Dio presente in questo mondo. a pagina 12

L

iviamo come se Dio non esistesse perché si sono perpetrati dei crimini tremendi, perché c’è stato Auschwitz. Così diceva Giovanni Paolo II. Ma si è arrivati a questo perché le religioni non hanno fatto nulla per impedire tali orrori. Un destino che attende anche l’Islam se le autorità musulmane non fermeranno il crimine fondamentalista. Come in Europa, anche quel mondo non avrà più fiducia nella religione. a pagina 13

LA RELAZIONE DEL CARDINAL RUINI

L’INTERVENTO DI SPAEMANN

Le tre moderne vie della fede

Ragionare e credere, un solo percorso

V

di Camillo Ruini

di Robert Spaemann

li approcci umani a Dio sono molteplici. Anzitutto Dio stesso può prendere, e di fatto ha preso, l’iniziativa di rivolgersi a noi, parlandoci “dall’esterno”e “dal di dentro”di noi, nella rivelazione ebraico-cristiana e attraverso la presenza del suo Spirito in noi. In virtù di questa presenza vi sono, come dice il Concilio Vaticano II, vie molteplici, che solo Dio conosce, attraverso le quali egli giunge al cuore.

l mito della caverna di Platone appartiene alle metafore immortali che consentono di interpretare la situazione dell’uomo. Semplificando al massimo essa si presenta così: gli uomini si trovano all’interno di una caverna priva di aperture. Sono incatenati e guardano verso una parete. Sulla parete appare un gioco di ombre proiettato da una fonte luminosa invisibile agli spettatori e posta alle loro spalle.

a pagina 9

a pagina 14

G

I

Obama difende la “guerra giusta” «Ma il Nobel lo meritavano altri» Il presidente degli Stati Uniti ha ricevuto a Oslo il premio Nobel per la Pace. Nel ringraziare i giurati, ha rivendicato le ragioni della guerra in Afghanistan: «È fondamentale nella lotta al terrorismo» Il discorso di Barack Obama • pagina 18 NUMERO

245 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


politica

pagina 2 • 11 dicembre 2009

Comizi. Il premier dà spettacolo a Bonn, al congresso del Ppe: «Dove lo trova l’Italia uno con le palle come me?»

Attacco di berlusconite

«La Corte è di sinistra, Napolitano è di sinistra, la Carta è di sinistra» Il Quirinale: «Basta attacchi violenti». Fini: «Ora deve chiarire» di Errico Novi

ROMA. Cos’è la Costituzione se non un’informe materia plasmabile, pronta ad essere modellata da un presidente del Consiglio «super, duro, con le palle»? È così che la mette Silvio Berlusconi a Bonn di fonte a un congresso del Partito popolare europeo in buona parte attonito. Lo è il cancelliere tedesco Angela Merkel che con un gesto sconsolato e pessimista si rifiuta di commentare lo show del premier italiano. Sembra esserlo anche il il neopresidente del Ppe Wilfried Martens, che di fronte alle “rassicurazioni” del Cavaliere sui prossimi interventi costituzionali della sua maggioranza, commenta: «Quello attuale è il primo presidente del Consiglio italiano, dopo la Prima guerra mondiale, ad avere una maggioranza così forte». Come a dire: è possibile che le minacce si realizzino davvero. Si tratta di uno spettacolo pirotecnico e come sempre in questi casi c’è chi se ne lascia affascinare senza preoccuparsi troppo di dove vadano a cadere i lapilli: prendete il vice di Martens, Peter Hintze, anche lui della Cdu come la Merkel: «Ha fatto un discorso splendido, davvero splendido, da vero combattente». Peccato che una parte delle polveri sia decisamente bagnata: il presidente della Camera nonché co-fondatore del partito di maggioranza dice chiaro e tondo di «non condividere» gli attacchi di Berlusconi alla magistratura in generale e alla Corte costituzionale in particolare. Chiede di precisare meglio, Fini. Non assiste inerte il presidente della Repubblica, che anzi diffonde la sua nota piena di «preoccupazione e rammarico» per il «violento attacco contro fondamentali istituzioni di garanzia volute dalla Costituzione italiana»

L’intervento del leader dell’Udc sul caso-Cosentino

La politica sta rischiando di nuovo di essere travolta di Pier Ferdinando Casini segue dalla prima Ricordo il crepuscolo della Prima Repubblica. Né più, né meno di me lo ricorderanno in quest’aula, nell’ambito della maggioranza, colleghi come il Presidente Fini e il presidente del gruppo del Popolo della Libertà, onorevole Cicchitto.

Sono passati tanti anni e penso che tutti mi daranno atto di non aver mai seguito nella mia vita politica e istituzionale la deriva giustizialista e demagogica che portò in quest’aula all’esibizione di un cappio da parte di un gruppo parlamentare. Tuttavia, non è mia intenzione oggi fare polemica. Vorrei solo suscitare in voi una riflessione pacata e sincera. Mi rivolgo a voi, a tutti i colleghi, ma in particolare a coloro che hanno la responsabilità di guidare questo Paese. Pensiamo davvero che la Prima Repubblica sia morta per la deriva giustizialista e per il pool dei giudici di «Mani pulite»? Colleghi, dopo tanti anni credo che ci spetti un atto di verità e di onestà: la prima Repubblica era già morta molto prima, quando si era chiusa in una difesa cieca ed assoluta della sua classe dirigente, senza saper distinguere tra le solidarietà doverose e quelle che mai dovevano essere date. È una misura difficile da cogliere, ma

mi permetto di dire a ciascuno e a tutti voi che nel clima tempestoso di questi giorni una difesa assoluta e corporativa di tutto e di tutti, al di là e al di sopra del merito, non solo finirà per militarizzare l’intera magistratura contro la politica - tutta la magistratura, non solo parti di essa - ma ci metterà prima o poi in una situazione insostenibile nei confronti dell’opinione pubblica.

Onorevoli colleghi, Berlusconi ha denunciato anche in queste ore, in questi minuti, da Bonn l’esistenza del partito dei giudici. Mi darete atto, e darete atto alla tradizione e alla storia che modestamente cerchiamo di rappresentare in quest’Aula, che mai abbiamo fatto parte di questo partito. Cerchiamo più semplicemente di essere parte di un partito più ampio, quello degli italiani, che ci dovrebbe accomunare tutti. Ebbene, il voto di questa mattina è solo tecnicamente disgiunto dalla decisione sulla permanenza al Governo dell’onorevole Cosentino. In realtà le due scelte sono politicamente e intimamente connesse, e al termine di questa giornata si capirà se la politica si assume la responsabilità di scegliere o pone le premesse per una sua fatale dissoluzione. La decisione di questa mattina sarà assunta in piena libertà di coscienza dai deputati dell’Unione di Centro, e io sono fiero di questa scelta, perché non è con i pregiudizi che si può decidere il destino delle persone. Ma oggi pomeriggio deve essere chiaro a tutti che sarà invece la politica a doversi assumere responsabilità precise. A voi, colleghi della maggioranza in particolare, la responsabilità di scegliere la strada da intraprendere al di là, mi si consenta, del caso specifico dell’onorevole Cosentino.

nel giro di pochissimi minuti dai lanci di agenzia sulle frasi del Cavaliere. In quella forsennata sequenza di colpi di piccone, Giorgio Napolitano deve leggere anche l’ennesimo riferimento alle sue origini politiche e al conseguente “vizio costitutivo” nella composizione della Consulta. Ma oltre allo stop politico di Fini e alla censura istituzionale del Colle, pesa un’altra ombra, sul giovedì spericolato del premier. Ossia la sensazione di un agitarsi scomposto, arrogante ma anche improvvido rispetto alla questione giudiziaria, del tutto analogo all’atteggiamento di autodifesa corporativa con cui la maggioranza respinge le mozioni di sfiducia presentate contro Nicola Cosentrino.

Già il voto contrario della Camera all’autorizzazione a

Dal Colle «preoccupazione e rammarico» per le frasi del Cavaliere. «Non sono d’accordo sulle critiche alla Consulta», avverte l’ex leader di An procedere per il sottosegretario (360 a 226) è materia suscettibile di perplessità, ma il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini segnala il pericolo di una «difesa corporativistica» della classe dirigente soprattutto rispetto alla permanenza di Cosentino nel governo. «Alla fine di questa giornata vedremo se la politica decide di assumersi le sue responsabilità», avverte in mattinata l’ex presidente della Camera, che rivolge all’aula di Montecitorio un monito (riportato integralmente in questa pagina, ndr) irrobustito dalle corrispondenze con «il crepuscolo della Prima Repubblica». Il discorso suscita l’approvazione di Fini, che invia un biglietto al predecessore: «Veramente bravo». Altra conferma che la necessità di un approccio riformatore e non militare sui problemi della giustizia è avvertita in modo trasversale nella maggioranza e nell’opposizione. Non se ne cura il presidente del Consiglio, che segue senza esitazioni i suoi propositi di guerra, salvo incupirsi quando i cronisti gli ricordano l’indi-

sponibilità di Fini a fornirgli munizioni: «Non c’è niente da chiarire, sono stanco delle ipocrisie, tutto qua».

E pensare che il presidente del Consiglio si lascia sopraffare persino da un sussulto di autoironia, quando conclude il suo proclama al congresso dei popolari europei con l’immancabile barzelletta, nella quale stavolta lui che è l’uomo più intelligente d’Europa, a bordo di un aereo in avaria, confonde uno zainetto con il paracadute. Troppo tardi, considerato che nel frattempo i suoi lo prendono sul serio fino all’ultima contumelia istituzionale. Dallo stesso Nicola Cosentino, che incassato il no all’arresto si concede un gesto di sfida al presidente della Camera («sulla mia candidatura in Campania non decido né io né Fini») ai coordinatori del Pdl. Sandro Bondi rincara la dose sui «poteri variamente interessati a guidare l’Italia» che stravolgono «decisioni liberamente e democraticamente assunte nell’interesse del Paese», oltre a ricordare che «gli unici a essere «legittimati dal voto e direttamente investiti dal popolo di una rappresentanza politica sono il Parlamento e il presidente del Consiglio». Quindi i triumviri si rivolgono ai supporters lombardi perché domenica prossima vadano in piazza Duomo a Milano per la manifestazione indetta con Silvio Berlusconi. Arriva anche una puntualizzazione di Paolo Bonaiuti: «Berlusconi ha detto nient’altro che la verità sul funzionamento della Corte costituzionale». Il Cavaliere però si è anche dilungato sul vero depositario del potere in Italia, che – grazie appunto ai presidenti della Repubblica eletti dalla sinistra, a loro volta colpevoli di aver riempito la Consulta con magistrati dello stesso orientamento politico – sarebbe l’ordine giudiziario. Al finiano Fabio Granata non sfugge il paradosso dell’ammissione: «È un autogol», dice, giacché così facendo il presidente del Consiglio presenta sulla scena internazionale l’immagine di un governo depotenziato. C’è meno sarcasmo nelle parole di Casini, che ricorda come nessun leader d’Europa si sia mai sognato «di confondere il consenso popolare con l’essere o il sentirsi i pa-


politica

11 dicembre 2009 • pagina 3

Il sociologo Luca Ricolfi ragiona sulla battaglia istituzionale

«Sì, è lo scontro finale come accadde nel 1993» «Ha fatto bene Casini a richiamare ”la classe dirigente” perché eviti una difesa cieca e assoluta di se stessa» di Riccardo Paradisi el giorno dello scontro istituzionale tra il premier e il Capo dello Stato Pier Ferdinando Casini interroga l’aula del Parlamento:«Pensiamo davvero che la Prima Repubblica sia morta per i giudici di Mani Pulite? Ci spetta un atto di umiltà e onestà. La Prima Repubblica era morta molto prima, quando si era chiusa in una difesa cieca e assoluta della sua classe dirigente, senza saper distinguere tra le solidarietà doverose e quelle che mai dovevano essere date». È questo il passaggio centrale del discorso del capogruppo dell’Udc Pier Ferdinando Casini prima della dichiarazione di voto sulla richiesta di arresto per il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa mentre da Bonn arrivavano gli strali di Berlusconi sulla Corte costituzionale

N

Il presidente Napolitano ha subito risposto alle nuove, allarmenti accuse del premier che, a Bonn per il congresso del Ppe, ha attaccato la Consulta, la Costituzione e lo stesso Quirinale. A destra, il sociologo Luca Ricolfi. Nella pagina a fianco, Nicola Cosentino, Bettino Craxi e Francesco Saverio Borrelli

droni del loro Paese». C’è un danno strutturale sia sul piano dell’immagine internazionale che dal punto di vista interno, dice Rocco Buttiglione, perché «l’annuncio di voler cambiare la Costituzione per colpire i giudici» significa che «il dialogo sulle riforme non solo non va avanti ma minaccia di non cominciare mai», mentre ci sarebbe bisogno di «lucidità politica, passione civile e amore per l’Italia».

Il Cavaliere invece si vanta di avere dalla propria parte «la

Casini ha ribadito che l’Udc lascia sul voto libertà di coscienza, osservando che «in questo clima tempestoso una difesa assoluta non solo finirà per militarizzare l’intera magistratura contro la politica ma ci metterà prima o poi in una situazione insostenibile nei confronti della opinione pubblica». A proposito di analogie con la Prima repubblica, nel lontano ’93, il sociologo Luca Ricolfi pubblicava un saggio titolato L’ultimo parlamento (Nuova Italia scientifica) che restituiva una radiografia impietosa della condizione politico giudiziaria italiana. In quello studio, dove le Camere del Parlamento venivano passate allo scanner dal vaglio scientifico, i parlamentari già inquisiti sono quasi 1 su 3, e 1 su 4 per reati gravi. Il tasso di criminalità dei ministri negli ultimi governi è circa 400 volte quello dei cittadini. Soprattutto emerge che dall’inizio degli anni Novanta i partiti hanno fatto un uso spudorato del loro potere discrezionale, ricandidando e facendo rieleggere alle politiche del ’ 92 circa la metà degli inquisiti per reati gravi. Soprattutto negando ai giudici circa la metà delle richieste d’ autorizzazione a procedere. Per questo Ricolfi, sentito da Liberal sull’analisi di Casini non vede nulla di nuovo sotto il sole italiano. Tanto per trovare altre analogie: nel 1862, a un anno dall’ insediamento del primo Parlamento del Regno d’ Italia, Ferdinando Petruccelli pubblicò I moribondi di Palazzo Carignano. Quei ”moribondi” che frequentavano l’ allora Torino capitale erano moralmente delegittimati a go-

vernare. Petruccelli chiedeva a gran voce che si togliessero di mezzo, rassegnandosi a nuove elezioni ricordando loro che i seggi non erano stati loro assegnati per l’ eternità. Li definiva come simili a lampadine prive della corrente elettrica popolare. «Sono d’accordo con l’analisi di Casini – dice Ricolfi – certo che è così. L’analisi è giusta ma, come dire, è un po’ irenica, o meglio, un po’ ingenua. Nel senso che la politica ha sempre reagito con riflessi corporativi ogni volta che s’è sentita toccata. Aspettare che la politica si autoregoli o faccia il mestiere di controllore di sè stessa rischia d’essere davvero speranza vana. Scatteranno sempre meccanismi corporativi che possono peraltro essere di segno diverso l’uno dall’altro, avendo però sempre l’autoreferenzialità come centro. Possono essere meccanismi tesi ad assolvere o anche a lasciare il politico perdente al proprio destino. Il Mastella della situazione viene abbandonato dal centrosinistra al suo destino politico giudiziario». Una soluzione concreta pare invece a Ricolfi quella proposta da Giovanni Sartori: è il singolo che deve scegliere se farsi indagare e processare o invece finire il proprio mandato senza avere a che fare con giudici e tribunali. Ma poi, scaduto il suo mandato, avrebbe l’impedimento a ricandidarsi nuovamente fino a quando indagini e procedimenti a suo carico non verranno conclusi. «Verrebbe salvato in questo modo il principio che l’eletto porta a termine il suo mandato in quanto eletto, ma salva anche le prerogative delle magistratura».

Negli ultimi mesi il tasso di sfiducia e di disinteresse della gente comune verso la politica si è letteralmente impennato

gente che dice “mamma mia, dove troviamo uno forte e duro con le palle come Berlusconi”». Francesismo che incrocia subito l’entusiasmo del precursore Bossi, pronto a confermare che «Berlusconi ha le palle ed è l’unico che non si preoccupa della giustizia». Non se ne preoccupa in generale la maggioranza, altrettanto sollecita nel respingere le mozioni di sfiducia contro Cosentino, con l’eccezione del solo Granata. La gioiosa macchina da guerra non ammette distrazioni dall’unico obiettivo, vendicarsi delle toghe.

Anni fa quando pubblicai quello studio sull’ultimo parlamento della Prima repubblica rilevavo come ci fosse un costante trend ascendente a respingere le autorizzazioni a procedere. Oggi la situazione è diversa da quella di allora ma non così dissimile, soprattutto registrando il tasso di crescente corruzione politica nell’intero Paese e in ogni partito, in particolar modo sul territorio. E comunque il riflesso della politica è sempre lo stesso, la propria autoconservazione. Un atteggiamento che naturalmente indica un pauroso calo di persuasione delle ragioni della politica nella società. Nel prossimo numero della rivista Polena (a gennaio nelle librerie) alla domanda su quali siano le proprie preferenze politiche una percentuale altissima di intervistati dice che non gli interessa proprio l’argomento. Un segnale chiaro». Siamo insomma oltre il disgusto.


politica

pagina 4 • 11 dicembre 2009

Criminalità. Controllano il mandamento di Brancaccio, hanno organizzato le stragi del 1993 e sono in galera dal 1994

Mafia modello Graviano

Due fratelli sempre divisi tra omicidi e computer, droga e internet Ecco chi sono i boss che oggi parleranno al processo Dell’Utri di Marco Palombi n tempo li chiamavano “i sollazzi”, una rete di magnifiche residenze regali che facevano deliziosa la vita della nobiltà palermitana. A far ombra al resto, secondo la leggenda, il buen retiro dell’emiro Giafar (ma è più probabile sia stato costruito dal normanno Ruggero II, sempre nell’XI secolo): il palazzo di Maredolce, il parco della Favara e un lago artificiale, quaranta ettari d’acqua che sciabordavano dolcemente sull’isolotto centrale, una piccola selva di palme e piante d’agrumi. Boccaccio, trecento anni dopo, ne parlò in una delle sue novelle come d’un paradiso in decadenza.

U

Quella lenta dispersione di bellezza evidentemente non s’è fermata e oggi quel che resta del parco della Favara sta a Brancaccio, quartiere della periferia sud di Palermo e uno degli otto mandamenti mafiosi della città. Il panorama, tra incuria e abusivismo, è parecchio cambiato: invece del lago, da una parte fabbriche e capannoni, dall’altra abitazioni che all’emiro Giafar non sarebbero piaciute affatto. Sullo sfondo lo svincolo per l’autostrada che da anni tenta, sempre invano, di connettere il quartiere con la A19. Oltre che uno spazio fisi-

co, però, Brancaccio si ritrova in queste settimane ad essere pure un luogo dell’immaginario, il regno dei nuovi fantasmi della Seconda Repubblica, i due fratelli Graviano, oggi di scena al processo contro il senatore Dell’Utri per confermare, smentire o ignorare i racconti di Gaspare Spatuzza sulla “seconda trattativa”, quella tra i corleonesi rappresentati proprio dai boss di Brancaccio e la politica nella persona di Silvio Berlusconi.

il primogenito Benedetto (1958) l’ultima volta, era il febbraio 2005, mentre passeggiava per piazza di Spagna a Roma; Nunzia (1968, detta a picciridda) la catturarono nel 1999 a Nizza, nel lussuoso residence “Port Azur”, dal quale, con parenti e fidati consigliori, gestiva gli affari in mancanza dei maschi di casa. Questa dimensione continentale dei Graviano, unita alla loro capacità di controllare il territorio alla vecchia maniera pur essendone fisicamente lontani – un mandamento impor-

tato, uno che - raccontò Vincenzo Sinagra - a 17 anni aveva strangolato il boss di Brancaccio Giuseppe Abbate e poi partecipato, carcere permettendo, agli episodi più significativi della mattanza degli anni Ottanta. Fu proprio dopo l’ultimo arresto di Lucchiseddu che i Graviano presero il controllo della famiglia di Brancaccio e il nostro divenne “Madrenatura”.

A quel punto, neanche trentenni, Filippo e Giuseppe - la mente e il braccio secondo la

Hanno un altro fratello e una sorella, anche lei inserita negli affari di famiglia; hanno un pedigree purissimo: sono figli di Michele, boss corleonese ucciso durante la guerra di Totò Riina Ma chi sono i Graviano? Intanto va detto che i due fratelli in realtà sono tre, tutti affiliati a Cosa Nostra, e hanno pure una sorella, Nunzia, anche lei inserita negli affari di famiglia. Pedigree mafioso purissimo, figli di Michele - boss corleonese ucciso durante la seconda guerra di mafia dal (poi) pentito Totuccio Contorno - i Graviano sono stati tutti curiosamente arrestati lontano dalla Sicilia: Giuseppe (classe 1963) e Filippo (1961), i più titolati a livello criminale, nel gennaio ’94 al tavolo di un ristorante di Milano;

tante, peraltro, molto grande e storicamente incline ai rapporti con politica e imprese – sono la traccia d’una peculiarità di questa famiglia: uno strano miscuglio di vecchio e nuovo, di managerialità e antiche abilità da scannacristiani. Non è un caso che Giuseppe, il vero capo della famiglia, noto ai picciotti come “Madrenatura” o “mio padre”, sia stato un precoce killer nella guerra di mafia che consegnò Cosa Nostra a Totò Riina: impiegava le sue arti nella “squadra” del giovanissimo Giuseppe Lucchese, campione di kickboxing e assassino spie-

vulgata - comandano senza complessi, s’arrischiscono assai e stanno come assisi nel cuore del sistema mafioso di Riina e Provenzano: quando si tratterà di fare le stragi, molti saranno gli uomini di Brancaccio chiamati a partecipare. I due però, anche solo per motivi anagrafici, restano mafiosi di nuovo conio rispetto ai viddani corleonesi: invece del Vangelo di zu Binnu, tanto per dire, si racconta che ogni giorno sul comodino di Nunzia e Filippo ci fosse Il Sole 24 Ore.Tradizionale mercato della violenza e affari complessi. È il metodo

Graviano. Affari talmente complessi da portare il loro immenso patrimonio quasi tutto fuori dall’isola: a Giuseppe nel 2003 e nel 2005 fu addirittura assegnato un avvocato d’ufficio perché nullatenente (poi, dopo nuove indagini, “Madrenatura” fu condannato pure per truffa). Sul finire degli anni Ottanta i Graviano a Brancaccio erano dio: giovani, ricchi, poco inclini alla pazienza e dotati d’una certa propensione per i vestiti firmati e le cose costose. A suo tempo, i due capi, avevano pure un locale notturno sulla spiaggia di Buonfornello, “Le Tours d’Orient”: i ricchi clienti, per stare con le entraineuses, dovevano spendere quarantamila lire di consumazione ogni quarto d’ora. Le ragazze – lo ha raccontato Alfonso Sabella, sostituto nel pool di Caselli – bevevano solo un cocktail chiamato «il messicano» (zucchero, limone e acqua, così non si ubriacavano), mentre per gli avventori era disponibile addirittura Dom Perignon del 1962. Solo che, sotto l’etichetta, c’era spumante Asti Cinzano. A Giuseppe, poi, piacevano i cavalli: a suo tempo regalò un purosangue da 35 milioni ad un amico, Santo Di Matteo, mezzanasca. Quando quello, però, cominciò a parlare coi giudici, mandò dei killer vestiti da poliziotti a rapirgli il figlio, il piccolo Giuseppe, che al maneggio stava montando proprio il pu-


politica

rosangue comprato da Graviano (un paio d’anni dopo Giovanni Brusca ordinerà di «liberarsi del cagnolino» e il bambino verrà strangolato e sciolto nell’acido).

pure quanto a “valori familiari”. La sorella Nunzia, ad esempio, è chiaramente una donna sveglia e istruita, parla inglese, usa il computer, viaggia e ha una certa pratica del mondo, ma è «cosa loro» (come dice anche lei). A Nizza, dove gestiva i cospicui affari di famiglia, s’era innamorata d’un medico siriano e Giuseppe - in un colloquio in carcere che ricorda una scena del Padrino II («Connie, se ti sposi questo mi dai un dolore») – le impone di lasciarlo: «Io sono siciliano, a casa nostra ci sono delle tradizioni, da noi non si usa il divorzio, qualsiasi frequentazione deve essere finalizzata al matrimonio. Ma di che religione è questo?». Lei obbedì. Fossero stati fuori quei due non si sarebbero mai incontrati, ma Giuseppe e Filippo

Erano «moderni» i Graviano, nello stile se non nella sostanza. Filippo, nel racconto di Spatuzza, è un tizio fissato coi soldi, con la Borsa, tanto da provare a spiegarne i meccanismi persino al suo sottoposto, uno non proprio avvezzo alle sottigliezze della finanza: curiosamente, secondo il neopentito, Graviano diceva meraviglie in particolare di Striscia la notizia, «piccolo investimento, altissimi introiti pubblicitari». Pure internet a un certo punto s’affacciò tra gli interessi dei fratelli: in un colloquio intercettato in carcere - qualche anno prima che Totò Riina avesse un suo gruppo su Facebook - i due discussero con la sorella Nunzia delle potenzialità propagandistiche del web. E sempre la rete era al centro delle attività del primogenito Benedetto quando – appena reintegrato da Provenzano a capo del mandamento dopo la spettacolosa caduta del medico-boss Giuseppe Guttadauro e prima dell’ultimo arresto, nel 2005 - mise su un grosso traffico di droga in joint venture con la ndrangheta: le comunicazioni tra i corrieri infatti, invece che coi “pizzini”, avvenivano su una casella e-mail. I fratelli di Brancaccio insomma erano moderni, ma erano pure vecchi. Giuseppe, quand’era già un capo da tempo, non esitò a partecipare all’ammazzatina mancata ai danni di Calogero Germanà sul lungomare Fata Morgana, a Mazzara del Vallo: il vicequestore, era il settembre del 1992, si salvò buttandosi giù dalla sua Panda sparando, ma sarebbe morto se non si fosse inceppato il mitra di Graviano. Vecchi, nel senso di vecchio stampo, i boss di Brancaccio lo sono

11 dicembre 2009 • pagina 5

frattempo, oltre a insanguinare l’Italia, non dimenticano il cortile di casa: il 15 settembre 1993 Gaspare Spatuzza e Salvatore Grigoli uccidono a colpi di pistola don Pino Puglisi, prete che si permetteva di «parlare contro la mafia» proprio a Brancaccio. «Me l’aspettavo» disse solo don Pino quando vide le pistole.

Il 27 gennaio 1994 è il giorno del loro arresto, il 41 bis – il carcere duro – gli è stato applicato dal marzo successivo. Quasi sedici anni fa. Gli ultimi minuti di libertà li hanno passati al tavolo di “Gigi il cacciatore”, a Milano, coi conterranei Salvatore Spataro e Giuseppe D’Agostino. Quest’ultimo era «salito» al Nord perché aveva un sogno: far giocare nel Milan suo figlio

Entrambi hanno avuto un figlio due anni dopo essere entrati in isolamento in regime 41bis. Pare che il “merito” sia di un avvocato compiacente che ha portato il loro seme fuori dalla galera

In alto, Gaspare Spatuzza, nascosto, parla al processo. Qui sopra, dall’alto, le stragi di mafia: Capaci, Via D’Amelio, la torre dei Georgofili a Firenze, il Velabro e via Fauro a Roma. Nella pagina a fianco, i fratelli Graviano

ballarono la loro ultima estate nel 1993, l’anno degli attentati in continente: viaggiarono molto quell’anno, sia con le fidanzate – rispettivamente Rosalia e Francesca – che soli, per divertirsi e pure per lavoro (dovevano scegliere i luoghi da colpire). Lo dicono i tabulati dei loro cellulari e decine di riscontri: a febbraio al Carnevale di Venezia in coppia, poi ad Abano Terme ospiti del proprietario di una tv privata siciliana, a Riccione tra maggio e giugno in un appartamento in affitto. L’inizio dell’estate lo passano in Versilia in una dimora messa a disposizione dal proprietario d’una scuderia e infine, ad agosto, raggiungono Porto Rotondo, in Sardegna, dove hanno a disposizione parte di una grande villa. Fanno un mesetto di «vita smeralda», Giuseppe e Filippo: se li ricordano vestiti Versace, amichevoli coi vicini, imbucati pure in un party organizzato da celebri industriali del nord. Nel

Gaetano, oggi centrocampista dell’Udinese. I due però, pure in galera, non hanno rinunciato alla loro mafiosità eterogenea: Giuseppe ad esempio, parlando coi radicali Maurizio Turco e Sergio D’Elia nel 2002, si lamentò che il non poter usare computer e walkman gli abbassava la media dei voti universitari in inglese e informatica (poi pare si sia laureato in matematica). Pure Filippo, quello fissato coi soldi, in carcere ha cominciato a studiare: economia, ovviamente. Ma non di sola cultura vive l’uomo e quindi i due Graviano, come ogni buon mafioso a fine latitanza, dalla galera onorarono il loro patto d’amore sposando Rosalia e Francesca. Non solo. Le nozze sono state pure benedette dalla nascita di due pargoli: uno per uno, entrambi maschi, entrambi chiamati Michele, come il nonno. Solo che Giuseppe e Filippo, al momento dei parti (giugno e agosto del 1996), sta-

vano già al 41 bis da oltre due anni. Le spiegazioni che girano sono due: un deposito di seme fatto poco prima dell’arresto o un avvocato compiacente che porta fuori le provette per perpetuare la dinastia. I due Michele, in ogni caso, vennero poi battezzati a Nizza, in un grande albergo sulla Promenade des Anglais i cui saloni, ha raccontato Attilio Bolzoni, un tempo avevano visto camminare Hemingway e Marlene Dietrich. Cannoli, champagne, un’orchestrina, poche parole delle due mamme: «Peccato che manchino i migliori tra tutti noi».

Sulla Côte d’Azur, intanto, s’era trasferita tutta la famiglia (con avvocato al seguito): «La mia nuova casa in Francia deve avere soprattutto tre cucine indipendenti», si raccomandava Rosalia, intercettata dalle microspie, nei mesi in cui Nunzia Graviano controllava gli affari di famiglia e s’innamorava del siriano. «Un giorno potremmo ritrovarci e il mondo, come per incanto, potrebbe colorarsi per noi», scriveva ispirato Filippo a Francesca. Gli anni però passano e la vita non sembra colorarsi per i fratelli. Adesso la loro cosca, a sentire i mafiologi, sembra muoversi in direzione di una piccola, privata trattativa con lo Stato: dissociazione, collaborazione o niente si vedrà. Già nell’estate del 2002 “Madrenatura” fu il primo firmatario della lettera che i detenuti del 41 bis di Novara inviarono agli «avvocati parlamentari» che prima avevano «fatto cassa» coi processi di mafia e, una volta eletti, erano spariti. Oggi i Graviano vanno in scena, il loro potere criminale è ridotto al lumicino, ma non quello politico (il ricatto) e economico. «Neanche cento lire gli avete tolto», continua a ripetere Spatuzza, uomo a cui – checché se ne dica – non manca il gusto per il particolare a effetto: basti dire che l’incontro tra Dell’Utri e i Graviano, secondo il nostro, si svolse al ristorante “L’assassino”.


diario

pagina 6 • 11 dicembre 2009

Tra centro e periferia. Va avanti lo scontro tra Tremonti e l’Anci sulla sforbiciata prevista dall’emendamento Calderoli

«Noi sindaci, gli unici a tagliare» Sergio Chiamparino: «Interrompiamo ogni rapporto con il governo» ROMA. «Non credo che a Varese, dove ci sono 40 consiglieri, la democrazia possa avere contraccolpi se scendiamo a 32 rappresentanti. Ma cosa succederà nei piccoli Comuni, quelli dove in media i consiglieri sono dieci?». Ieri Roma è stata invasa da centinaia di fasce tricolori, da sindaci di tutt’Italia che hanno marciato su Montecitorio, proprio mentre alla Camera si discute della Finanziaria. Quella che restituisce soltanto una parte dei mancati incassi Ici e che, soprattutto, con l’emendamento Calderoli riduce del 20 per cento il numero dei consiglieri e degli assessori comunali e provinciali. Attilio Fontana, primo cittadino di Varese e vicepresidente dell’Anci, rende bene lo spirito della giornata, sottolineando che «questa è una battaglia dal basso. Siamo a Roma da tutt’Italia perché questa vicenda dimostra la difficoltà reale che i nostri Comuni stanno vivendo. Non abbiamo più tempo di aspettare. Siamo al collasso». E non lo trattiene neppure l’appartenenza al centrodestra, il guidare da leghista quella Varese che è la capitale riconosciuta nel mondo dell’universo lumbard. I sindaci si sono riuniti al Capranichetta e i toni sono parsi molto accesi. Sergio Chiamparino, presidente dell’Anci e sindaco di Torino, è alquanto pessimista su questa partita: «Diciamolo chiaramente, dietro questa decisione c’è la spinta di Tremonti». Infatti nell’emendamento Calderoli, si legge l’invito a essere più virtuosi così come a mostrarsi

di Francesco Pacifico

fine abbiamo mantenuto soltanto due richieste: di stralciare le multe ai comuni virtuosi che non hanno potuto rispettare il patto di stabilità interno e rinviare al 2011 l’applicazione dell’emendamento Calderoli». Inutile dire che anche in questo caso la risposta sarà no: «Allora bloccheremo tutte le conferenze unificate come hanno fatto le Regioni: i governatori sono riusciti a ottenere 3 miliardi per il Patto della Salute, perché a noi dovrebbe andare male». All’incontro era presente anche Fontana, che

Attilio Fontana, primo cittadino di Varese: «Ridotta la spesa di 2,5 miliardi, mentre è esplosa quella del resto della pubblica amministrazione» più malleabili quando si discuterà del Codice delle autonomie. Vera o falsa che sia quest’impressione, Antonio De Poli, portavoce dell’Udc e ispiratore del Movimento dei sindaci del 20 per cento, nota: «Qui c’è un governo che si accanisce contro l’istituzione più vicina al cittadino. Non a caso Chiamparino, quando ha incontrato il ministro per la Semplificazione, Roberto Calderoli, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta si è trovato di fronte a un muro. «Hanno detto di no a tutto tanto che alla

nota: «Mi lascia perplesso il modo nel quale si sta trattando il tema. Se la riduzione degli assessori o dei consiglieri comunali può migliorare l’efficienza della macchina amministrativa discutiamone pure. Ma non mi si dica che lo si fa per migliorare i conti pubblici. Allora perché lo si fa? Come ha ricordato il presidente dell’Anci Chiamparino, l’applicazione nel 2010 dell’emendamento Calderoli porterebbe un risparmio tra i 12 e i 14 milioni di euro. Una quantità risibile. Se lo Stato non è in grado di recuperare una ci-

I terremotati abruzzesi incontrano Fini

«Non siamo di serie B» ROMA. «È disumano pensare che noi possiamo pagare le tasse, ci devono lasciare il tempo di rialzare la testa. Forse la colpa è anche dell’aspetto mediatico che ha avuto il nostro terremoto, trasformato in un grande show, con Obama, gli altri capi di Stato e le first lady. Ma L’Aquila è distrutta, è una città fantasma». Con questo spirito il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, ieri era in piazza Montecitorio in presidio con le istituzioni aquilane, i rappresentanti delle categorie produttive e delle forze sociali per essere ricevuti dal presidente della Camera, Gianfranco Fini e spiegare le loro ragioni. Il presidente della Provincia, Stefania Pezzopane ha sottolineato che la manifestazione «è servita a trovare alleati e sostenitori fra i rappresentanti politici nazionali. Abbiamo illustrato a Bersani, Casini, Franceschini, Di Pietro, e Marini, cosa

c’è dietro l’immagine del tutto risolto, che si è voluta dare di questo terremoto». Gli abruzzesi aspettano con preoccupazione il decreto legge, all’esame del Consiglio dei ministri di oggi, che contiene la proroga della sospensione delle tasse e dei contributi per i comuni del cratere oltre al passaggio delle consegne dalla Protezione civile al governatore e al sindaco per la ricostruzione. «Sia io che il presidente della Regione Chiodi - lamenta Cialente - siamo disorientati perché non c’è ancora la nuova ordinanza sulla governance». Ieri davanti a Montecitorio il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, incontrando il sindaco Cialente e il presidente della provincia Pezzopane, ha detto: «Gli aquilani sono stati trattati come cittadini di serie B. Ci sono dei problemi concreti che non si risolvono con gli spot».

fra simile, è meglio che porti i libri in tribunale. E gli sprechi? L’allarme non va circoscritto alle amministrazioni locali. Anche perché il nostro è stato l’unico comparto nell’anno che ha registrato risparmi. Parlo di 2,5 miliardi di euro. Questo ha contenuto la spesa, cresciuta negli ultimi tre anni soltanto del 3,3 per cento. Un terzo dell’inflazione. Si vada a guardare altrove Prego? Mentre noi recuperavamo due miliardi, la spesa di tutta la pubblica amministrazione è salita di 16 miliardi. Io, fossi al governo, inizierei a studiare questo capitolo prima di decidere i tagli I soldi per l’Ici ci sono. Intanto ballano ancora 350 milioni di euro, contro i 156 stanziati. Ma non direi che il governo ci restituisce 156 milioni. La locuzione giusta è il governo ci toglie 156 milioni, perché l’Ici era la principale entrata comunale. Cambierà la manovra? Quello che mi sorprende di più in questa Finanziaria è che manca persino un riferimento al federalismo fiscale. Di conseguenza, il tavolo sul Codice delle autonomie è l’unica sede nella quale introdurre modifiche all’emendamento Calderoli. E va fatto. C’è poi il nodo del Patto di stabilità interno. Non è stato neanche introdotto quello che avevamo: un calcolo per distinguere i sindaci virtuosi dai sindaci cialtroni. Si parla tanto di passaggio ai costi standard invece la spesa è stimata in spesa storica. Dimentica gli sprechi. Vorrei far notare che nessuno di noi ha più in bilancio la sponsarizzazione della sagra della ciliegia. Io, poi, non ho neppure l’auto blu né il portavoce. Quindi, non mi resta che tagliare i servizi. Ci sono soldi in cassa? I comuni virtuosi hanno in cassa qualcosa come 11 miliardi di euro. Di questi, subito spendibili sarebbero 3,5 miliardi. Una manna dal cielo per gli investimenti. La colpa è di Tremonti? Lui purtroppo subisce troppo il meridional-centralismo insito in questo governo Qualcosa da dire al suo compagno di partito Calderoli? L’ho visto ieri con Letta. Entrambi assolutamente e rigorosamente ancorati al non poter cambiare nulla.


diario

11 dicembre 2009 • pagina 7

Due gli imputati per la morte di 3mila persone e omissione dolosa di cautele

La nuova ricostruzione dell’accusa: «Chiara è morta dopo le 12,20»

Amianto-killer, al via a Torino il processo contro Eternit

Delitto Poggi, il pm Muscio: «Condannate Stasi a 30 anni»

TORINO. Si è aperto ieri nella

PAVIA. Trent’anni di carcere per

maxi aula 1 e 2 del Tribunale di Torino, davanti alla prima sezione presieduta dal giudice Giuseppe Casalbore, il processo a carico degli ex vertici della Eternit, la multinazionale svizzera dell’amianto. A giudizio, lo svizzero Stephan Ernest Schmidheiny e il barone belga Louis de Cartier de Marchienne, che devono rispondere di omissione dolosa di cautele antinfortunistiche e disastro ambientale. Alla prima udienza del processo, alla quale non erano presenti i due imputati, hanno assistito anche numerosi sindaci delle zone interessate, tutti con la fascia tricolore. L’inchiesta, coordinata dal procuratore Raffaele Guariniello e dai sostituti Gianfranco Colace e Sara Panelli, coinvolge oltre 2.800 persone che sono decedute o si sono ammalate a causa dell’esposizione all’amianto.

Alberto Stasi. È questa la richiesta pronunciata dal pm Rosa Muscio al gup di Vigevano Stefano Vitelli, chiamato ad emettere il verdetto sul biondino di Garlasco, accusato dell’omicidio della fidanzata Chiara Poggi. Al termine della requisitoria il pm ha chiesto che Alberto venga condannato perché contro di lui ci sarebbe un quadro indiziario «grave e preciso» che lo renderebbe l’unico responsabile del delitto. Per oltre 4 ore l’accusa ha ricostruito la mattina del delitto e ha fissato l’orario della morte dopo le 12.20, consentendo così di dimostrare l’impossibilità per l’imputato di non sporcarsi le scarpe quando scopre il corpo senza vita di Chiara. Elementi che, insieme alle tracce

Gli stabilimenti interessati sono quelli di Casale Monferrato e Cavagonolo in Piemonte, Rubiera in provincia di Reggio Emilia e Bagnoli in Campania. In aula, a rappresentare le vittime, c’era, per la prima volta in Europa, un collegio legale internazionale che vede insieme avvocati italiani, francesi, belgi, tedeschi e svizzeri in rappresentanza di oltre 1.600 persone costituitesi parte civile, tra lavoratori ancora viventi (298) e deceduti (930), ma anche per la prima volta cittadini viventi (17) ma anche deceduti (365), in qualità di persone esposte al rischio amianto. Per permettere alle centinaia di persone che sono giunte a Torino di assistere al processo, sono state allestite anche un’aula nella vicina sede della Provincia di Torino e due aule al Palagiustizia, la prima per il pubblico, le altre due per chi è coinvolto nel processo. Tra le numerose delegazioni, quella dei minatori francesi che, con tanto di casco da miniera in testa, hanno retto lo striscione con la scritta “Un solo essere umano ha più valore che tutto l’amianto e il profitto del mondo”.

L’enigma delle scorie (prima del nucleare) Nel 2010 il governo sceglierà i luoghi per i depositi di Alessandro D’Amato

ROMA. Il problema non sono tanto le centrali, quanto il deposito. L’ennesima indiscrezione sui siti dove sorgeranno gli impianti della prossima nuova stagione dell’atomo italiano ha suscitato una ridda di smentite. Ma in realtà, anche se sottotraccia, in attesa delle decisioni del governo, i tecnici sono già al lavoro per trovare il luogo ideale dove fare sorgere le nuove centrali, che saranno in un numero variabile da due a quattro.Tra queste, il Veneto è una delle più probabili; la Regione è stata una delle poche a non aver detto esplicitamente subito no all’atomo, e a non aver proposto ricorso davanti alla Corte Costituzionale per la legge varata pochi mesi fa che assegnava al governo poteri di decisione sui luoghi dove fare sorgere le nuove centrali. L’altro luogo maggiormente indicato dagli esperti è Montalto di Castro nel Lazio, dove Enel e Edf hanno già fatto un sopralluogo l’estate scorsa. Il nodo nucleare è però soprattutto politico: i decreti del governo sono previsti per il 15 febbraio; in essi ci sarà una dichiarazione di non-idoneità di alcuni dei luoghi contestati, mentre tutti gli altri verranno considerati idonei. Ma prima ancora di decidere le compensazioni per i siti nucleari, la scadenza delle elezioni regionali 2010 potrebbe consigliare nell’esecutivo una maggiore prudenza: una scelta di questo peso piomberebbe come argomento all’interno della campagna elettorale, con effetti che potrebbero essere, in alcune regioni considerate in bilico come il Lazio, deflagranti. Ecco perché si potrebbe andare a un rinvio, l’ennesimo, che porterebbe alla stesura definitiva dei decreti tra aprile e maggio 2009.

2007 e 500 nel 2008. Da qui verranno i fondi per il Comune che accetterà di ospitare il deposito. Il problema però risiede nei tempi. Scrive Luca Iezzi nel libro Energia Nucleare – Sì, grazie? che nel 2020 rientreranno i rifiuti stoccati a Sellafield nel Regno Unito, nel 2025 toccherà al combustibile nel frattempo ritrattato in Francia dall’Areva. È quella la data da ricordare come dead line per non avere ulteriori ritardi. E, considerato che per la costruzione ci vorranno sette o otto anni, e altri due per la procedura di autorizzazione del ministero (la «Valutazione di Impatto Ambientale»), ecco che il luogo dovrà essere prescelto entro il 2010. Per quella data non dovrà soltanto essere indicato il Comune, ma si dovranno anche convincere le popolazioni del luogo, per evitare una riedizione dei fatti di Scanzano, quando la decisione di governo e Sogin di edificare nella cittadina della Basilicata il deposito sotterraneo provocò una rivolta popolare che in poco tempo accese tutto il Sud, e costrinse l’esecutivo a una clamorosa retromarcia.

Gli «scarti» degli anni Settanta ora sono sistemati all’estero, ma tra dieci anni torneranno in Italia. E nessuno sa dove

Ma il problema vero più che altro sembra essere in quale luogo far sorgere il deposito per accogliere le scorie frutto della precedente stagione nucleare italiana e nel frattempo in via di riprocessamento tra l’Inghilterra e la Francia. I soldi già ci sono: in bolletta paghiamo una parte di Misure di Compensazione Territoriale che ha pesato per 274 milioni di euro nel

È probabile che la scelta ricadrà su una regione del Sud, magari proprio quella Sicilia che oggi vive l’agonia di Termini Imerese e che con il governatore Lombardo si era dichiarata non pregiudizialmente ostile all’atomo, anche se il suo assessore competente dichiarava invece di voler puntare tutto su solare ed eolico. Un’altra strada porta invece ai siti che già hanno ospitato le centrali, come Trino dove è già in costruzione il più grande deposito temporaneo italiano. Ma una cosa è voler ospitare una centrale, con tutto il ritorno economico che comporta: lavoro per la gente del luogo, industria di indotto e così via. Un’altra cosa è invece prendersi in carico un deposito che, una volta costruito, deve essere soltanto vigilato e – se possibile – dimenticato. Il tempo stringe: entro il 2010 si saprà se il governo fa sul serio o quella del nucleare era solo una boutade. Una delle tante della politica italiana.

trovate sui pedali della bicicletta e sul dispenser del bagno, dove si sarebbe lavato l’assassino, portano l’accusa a ritenere che Alberto sia l’assassino della fidanzata. La ricostruzione ha tenuto conto anche delle telefonate, alle 12.46 e alle 13.26, che risultano anonime ma che vengono attribuite dai carabinieri ad Alberto e indirizzate al numero fisso di casa Poggi.

Il pm ha inoltre sottolineato come «nessuna novità che capovolge la tesi accusatoria» sia arrivata dalle nuove perizie chieste dal gup Stefano Vitelli, che il 30 aprile scorso non se l’era sentita di emettere una sentenza. Quanto alla presenza della bicicletta davanti a casa Poggi, intorno alle 9,10 la mattina del delitto, secondo l’accusa non ci sarebbe nessuna certezza sulla sua presenza, così come «le testimonianze a proposito sarebbero non chiare». La nuova ricostruzione fornita dall’accusa garantisce ad Alberto un ampio arco temporale per uccidere Chiara: «Ha avuto tutto il tempo per ammazzarla, cambiarsi e scappare», sostiene l’accusa. Infine, nella sua requisitoria il pm ha affrontato anche il tema del movente: Chiara e Alberto avrebbero litigato la sera prima, poi quella lite sarebbe sfociata nell’omicidio.


economia

pagina 8 • 11 dicembre 2009

Polemiche. Finanziarie fotocopia e assenza totale di progettualità ambia tutto purchè nulla cambi…». Difficile non ricordare la lettura universale che viene da Il Gattopardo, quando si riflette sulla realtà politica del Paese, apparentemente tumultuosa, conflittuale e vivacissima e tuttavia in ultimi analisi desolatamente immobile. Infatti non c’è solo la Finanziaria che, pur più agile e meno sterminata rispetto a un recente passato, assume i caratteri di una “fotocopia” ristampata anno dopo anno: ma soprattutto emerge un quadro complessivo di paralisi che non muove né rimuove i gangli decisivi di una arretratezza istituzionale e amministrativa che si scontra in modo sempre più drammatico con una società altrimenti vitale e in continua obbligata trasformazione.

«C

Nessuno è indenne da questo circuito vizioso: e, nonostante lo scambio di accuse polemiche tra i due campi l’un contro l’altro armati, la colpa appare proprio equamente divisa. Se appena si spinge lo sguardo agli ultimi quattordici anni di vita politica, celebrati come la stagione luminosa del bipolarismo, si nota come nel tempo le responsabilità di governo sono state esattamente divise a metà, tra centro-destra e centro-sinistra. Negli strepiti delle vicendevoli opposizioni, i governi (fossero Berlusconi o Prodi e i suoi succedanei) si sono in sostanza limitati a “galleggiare” sull’esistente, lasciando agli affascinanti “libri dei sogni” programmatici le promesse di radicale trasformazione riformatrice. E laddove con fatica si è riusciti a impostare una riforma, questa non è mai stata completata fino al

Tra paludi e risse, manca ogni spinta riformista, nel puro intento di sopravvivere punto da renderla davvero e organicamente operativa. Un solo esempio. La legge Biagi, intitolata all’ultima vittima del terrorismo brigatista, ha sì dato forma e ordine a tutto il delicatissimo tema della flessibilità in entrata nel mercato del lavoro: ma come sosteneva lo stesso professore, per un minimo senso di equità sociale e di attenzione all’investimento sui giovani, andava naturalmente accom-

L’Italia e i governi del Gattopardo Berlusconi come Prodi: l’importante è galleggiare senza perdere posizioni di Giuseppe Baiocchi

pagnata dalle riforme sugli ammortizzatori sociali, sul sistema previdenziale, sul complesso di garanzie e di tutele innovative da inserire nel mondo della precarietà.

Purtroppo (o forse “naturalmente”) questa indispensabile “seconda gamba” è rimasta inerte e atrofizzata, e probabilmente non tanto per cattiva volontà, quanto perché significava rimettere in discussione nicchie di piccolo potere, sacche corporative e soprattutto quel ceto invisibile ma decisivo dell’alta burocrazia e dell’alta amministrazione che ha nelle sue mani la trasformazione dei principi approvati in sede parlamentare in commi operativi , in regolamenti di attuazione, in circolari “interpretative” che di solito complicano e sbriciolano le novità in un linguaggio (e quindi in una prassi concreta) spesso incomprensibile e di fatto riservato, perfino nell’applicazione, ai medesimi estensori. Che il nostro sia un Paese di Azzeccagar-

Dopo 15 mesi in caduta libera, ora è a +0,6%

E il Pil tornò a salire ROMA. Il Pil Italiano è tornato a crescere nel terzo trimestre del 2009, dopo esser caduto per 15 mesi consecutivi. L’Istat conferma i dati forniti in sede preliminare: tra giugno e settembre il prodotto interno lordo è salito dello 0,6%, per un dato tendenziale in calo del 4,6%. Confermato anche il dato del secondo trimestre: 0,5% su base congiunturale e -5,9% su base annua. In termini congiunturali, le importazioni di beni e servizi sono aumentate dell’1,5%, il totale delle risorse (Pil e importazioni di beni e servizi) è cresciuto dello 0,8%. Dal lato della domanda, le esportazioni sono cresciute del 2,5%, gli investimenti fissi lordi e i consumi finali nazionali entrambi dello 0,3%. Nell’ambito dei consumi finali, la spesa delle famiglie residenti è aumentata dello 0,4%, quella della Pubblica amministrazione e delle Istituzioni Sociali Private al

servizio delle famiglie è diminuita dello 0,2%. L’aumento degli investimenti è stato determinato da una crescita del 4,2% degli investimenti in macchine, attrezzature e altri prodotti; gli acquisti di mezzi di trasporto sono rimasti stazionari, mentre gli investimenti in costruzioni hanno registrato una diminuzione del 2,1%. In termini tendenziali, le esportazioni sono diminuite del 18,3%, le importazioni del 14,9%. La spesa delle famiglie residenti è diminuita dell’1,6%. Nel suo ambito, i consumi di beni non durevoli diminuiscono del 3,1%, quelli di beni durevoli dell’1%; gli acquisti di servizi sono diminuiti dello 0,2%. Gli investimenti fissi lordi hanno segnato nel complesso una diminuzione del 13,8% (con diminuzioni del 9,1% per le costruzioni, del 16,1% per i macchinari e gli altri prodotti e del 29,3% per i mezzi di trasporto).

bugli è condanna antica e probabilmente eterna: e di fronte alla loro legione compatta e al loro potere soffice e tuttavia invasivo e comunque determinante, davanti al quale si sfarina e si acquatta ogni fiero proposito rivoluzionario.

Certo, ci vorrebbe una forte “volontà politica”: ma se ognuna delle due conglomerate elettorali, pur di volta in volta vincenti, porta al suo interno le diversità e le contraddizioni che alla fine risultano esplosive, è logico che si fermi sempre tutto. Eppure da fare ce ne sarebbe: molto si discute sul “sistema giustizia che fa schifo da ben più di 15 anni, ma poco si riforma. Le infrastrutture sono una tragedia: e se qualcosa si muove è solo perché non se ne può proprio fare a meno. Adesso parti, sempre che sia vero, ad esempio la Pedemontana, che ha il record poco invidiabile del progetto più antico, rimasto sulla carta: ovvero 46 anni, pari almeno alle Commissioni bicamerali per la riforma delle istituzioni. L’elenco non finirebbe più: e intanto, come ogni anni spiega il Censis, vive comunque e imparato a sopravvivere”a prescindere”. La disillusione è ancor più grande verso questo governo, che è il primo a godere di una maggioranza così vasta e a prova di bomba. E forse sarà ricordato come il “governo Bertolaso”, nel senso che presso l’opinione pubblica gli unici risultati tangibili sembrano provenire dalla Protezione Civile. Nell’immobilismo reale, tra il paludoso e il rissoso, si nota non solo l’assenza di ogni progettualità nel puro intento di sopravvivere: ma chi ne soffre è solo il Paese. E invece basterebbe sapersi ricordare della stagione di De Gasperi, l’unica che ha conosciuto il grande balzo in avanti dell’Italia e nella quale proprio la linea esecutiva del governo era quella di «governare poco per governare bene». Allora la scelta fu quella di creare le condizioni politiche e la cornice istituzionale nella quale la società potesse esprimere in autonomia la sua straordinaria vitalità. «fidarsi della società» e aiutarla a crescere, sapendo intercettare le domande di politica che dal basso provengono, a cominciare, per esempio dal “quoziente familiare”: è la sfida che venne vinta sinora una volta sola nella nostra Storia e che toccherà ad altri soggetti politici saper ripetere.


prima pagina

11 dicembre 2009 • pagina 9

La relazione di Ruini al convegno di Roma

Tre vie moderne per arrivare a Dio Natura, etica, conoscenza scientifica: lungo queste strade credenti e non credenti possono camminare insieme nel nuovo secolo di Camillo Ruini li approcci umani a Dio sono molteplici. Anzitutto Dio stesso può prendere, e di fatto ha preso, l’iniziativa di rivolgersi a noi, parlandoci “dall’esterno” e “dal di dentro” di noi, nella rivelazione ebraico-cristiana e attraverso la presenza del suo Spirito in noi. In virtù di questa presenza vi sono, come dice il Concilio Vaticano II, vie molteplici, che solo Dio conosce, attraverso le quali egli giunge al cuore perfino di chi non lo riconosce esplicitamen-

G

razionali verso l’esistenza di Dio che proporrò cercano dunque di porsi come un’unità di distinti. Sono percorsi a posteriori che partono dalla realtà data alla nostra esperienza: anzitutto la realtà di me stesso, ma anche e inseparabilmente la realtà dell’universo al quale apparteniamo. Si articolano secondo i tre “trascendentali” classici dell’essere, del vero e del bene, sempre con riferimento prioritario a noi stessi, in quanto esistenti, capaci di conoscere e capaci di amare. Sono dunque percorsi che rimangono assai radicati nella grande tradizione fi-

I tre percorsi razionali verso l’esistenza di Dio cercano di porsi come unità di distinti. Sono percorsi a posteriori che partono dalla realtà della nostra esperienza te. Questa conoscenza di Dio che viene “dall’alto”, attraverso la rivelazione ebraico-cristiana e l’azione dello Spirito, prima che“dal basso”, cioè dal desiderio di Dio iscritto in noi, dallo stupore davanti al creato e dalla nostra ricerca razionale di Dio, si realizza nel rapporto misterioso delle due libertà, di Dio e nostra. Anche partendo “dal basso”e riflettendo con la nostra ragione troviamo nella realtà della storia molti spunti per risalire a Dio. Alcuni di essi hanno a che fare con la storia e la fenomenologia delle religioni, cioè con il dato imponente della dimensione religiosa appartenente all’uomo come essere “simbolico” e perciò presente e diffusa in tutta la vicenda delunital’umanità, mente al riferimento, più o meno chiaro ed esplicito, a una divinità suprema, seppure spesso “oziosa”. I tre percorsi

losofica e in particolare metafisica. Cercano però anche di prendere sul serio la distanza storica che ci separa dai periodi antico e medioevale di tale tradizione, distanza che si è concretizzata con speciale forza nella svolta verso il soggetto, nel grande sviluppo della dimensione critica nel pensiero moderno, nell’affermarsi delle scienze moderne con il radicale cambiamento dell’immagine dell’universo, e anche dell’uomo, che esse hanno portato e stanno portando con sé. Il primo percorso, che potremmo denominare “ontologico”ma “a posteriori”, inizia dalla constatazione – immediatamente evidente e non negabile se non vogliamo cadere, come si è visto, in una contraddizione tra il contenuto che affermiamo e l’atto con cui lo affermiamo – che esiste qualcosa piuttosto che nulla.

Qui sorge spontanea la domanda “perché esiste qualcosa piuttosto che nulla?”, classica nel pensiero filosofico da Leibniz ad Heidegger. Essa esprime la meraviglia davanti al dato primigenio che qualcosa esiste, davanti cioè all’incontro con la realtà. Nell’esperienza stessa che qualcosa esiste Il Cardinale Camillo Ruini. In alto Michelangelo Buonarroti, “Tondo Doni”

possiamo discernere però tra la sua determinatezza particolare - per cui io sono me stesso, un altro uomo è un altro uomo, ciascun’altra cosa è quella cosa e non una diversa, inserita in quel determinato contesto spaziale e temporale - e l’atto per cui essa esiste: nei termini di San Tommaso l’“atto di essere”. Quest’ultimo per un verso è proprio e peculiare di quella realtà particolare, ma per l’altro la supera e la deborda da ogni parte, perché alla base di ogni esperienza di qualsivoglia realtà esistente ritroviamo analogamente l’atto di essere. Anzi, si può e si deve dire che ogni realtà della nostra esperienza in certo senso è e al contempo non è: è come una realtà ben concreta dell’esperienza, non è nella misura in cui esiste in maniera limitata, mutevole, condizionata e transitoria, quindi non da se stessa.

Sotto questo profilo il suo atto di essere non le appartiene in proprio, ma piuttosto le è dato, e soltanto così la pone in essere. Per questo la nostra intelligenza non può non interrogarsi sull’origine dell’essere delle realtà che sperimentiamo e ricercarlo in una realtà profondamente diversa, non condizionata e trascendente, a cui l’atto di essere appartenga in proprio, anzi, che coincida con esso. Nello stesso tempo diventa chiaro che questa sorgente trascendente, e finalmente ineffabile, non può dare l’essere alle realtà del mondo se non in maniera conforme alla propria incondizionatezza. Non può quindi rientrare in alcuna serie di cause mondane né essere legata da alcun vincolo necessario con i suoi effetti. Una necessità può e deve sussistere solo in direzione inversa, per così dire non dall’alto al basso ma unicamente dal basso all’alto, nel senso che le realtà della nostra esperienza non potrebbero esistere se non ricevendo in dono da quella sorgente il loro atto di essere. Pertanto i concetti di causa e causalità vanno uniti, in questo ambito, a quelli di dono e donazione, per esprimere in qualche modo, secondo le modeste possibilità della nostra comprensione e del nostro linguaggio, il rapporto misterioso tra le realtà della nostra esperienza e la loro sorgente ineffabile.


prima pagina

pagina 10 • 11 dicembre 2009

Sono ben note le obiezioni che vengono opposte ad ogni uso trascendente del principio di causalità: in particolare la critica che ne ha fatto Kant, anche con la terza e quarta antinomia della ragion pura, è tuttora ritenuta da molti la parola definitiva su questo punto. Poi, con l’affermarsi della meccanica quantistica, il principio di indeterminazione è stato considerato una conferma scientifica della non universalità, anche all’interno del mondo fisico, del principio di causalità. Occorre dunque precisare, sia pure molto brevemente, il senso in cui facciamo riferimento all’espressione “principio di causalità”, gravata nella storia del pensiero da mille equivoci. Non si tratta del senso che tale principio assume nelle scienze empiriche, per indicare una successione necessaria di fenomeni fisici, e nemmeno semplicemente di un’estensione della causalità di cui facciamo esperienza nel nostro agire. Il significato che gli attribuiamo - che potremmo denominare “ontologico” o “metafisico” e che abbiamo cercato di mostrare concretamente motivando il passaggio dalle realtà della nostra esperienza alla realtà originaria è invece anzitutto quello di non limitare in maniera aprioristica la nostra tendenza a conoscere e quindi di non sottrarsi alle domande che l’intelligenza umana si pone quando riflette fino in fondo sull’esperienza stessa. L’ambito su cui possiamo interrogarci - ossia l’intenzionalità della nostra conoscenza - è infatti illimitato e non ammette restrizioni, dato che queste diventerebbero a loro volta automaticamente oggetto di interrogazione circa la loro legittimità.Tale ambito illimitato su cui possiamo interrogarci è esattamente l’essere, sul quale vertono le due domande fondamentali “an sit” e “quid sit”. In concreto, l’essere è ciò che in qualche modo conosciamo fin dall’inizio dell’uso della nostra intelligenza e che però rimane sempre anche il non ancora conosciuto, l’oggetto di ogni ulteriore domanda, conservando al tempo stesso una sua profondamente differenziata ma fondamentale unità, poiché ogni sua effettiva differenziazione a sua volta esiste e quindi rientra nell’ambito dell’essere. Analogamente, ogni suo limite, se reale, apparterebbe in qualche modo all’essere. E’ eliminata così, fin dall’inizio, la questione del “ponte” che ha travagliato il pensiero moderno prima di Kant e che ha contribuito a spingere Kant stesso ad operare la sua “rivoluzione copernicana”.

Conoscere il mondo, e insieme Dio Le nuove conquiste della scienza permettono l’intellegibilità del Creato l nostro secondo percorso razionale verso l’esistenza di Dio ha una profonda corrispondenza con il percorso precedente: riprende infatti sotto il profilo della nostra conoscenza ciò che finora avevamo considerato sotto il profilo dell’essere. Il suo punto di partenza è la constatazione che l’universo è conoscibile da parte dell’uomo, sia pure in maniera sempre imperfetta e rivedibile.Tutti i tentativi di conoscere noi stessi e la natura, che l’umanità da sempre ha compiuto nel corso dei millenni, hanno questo fondamentale presupposto. La nascita e lo sviluppo delle scienze moderne e delle relative tecnologie, con la loro specifica razionalità e fecondità operativa, che costituiscono qualcosa di nuovo e di assai rilevante nella storia del pensiero, presuppongono a maggior ragione la conoscibilità dell’universo e consentono di cogliere con particolare chiarezza che non si tratta di semplice esperienza sensibile, ma di vera e propria intelligibilità, che si pone a un livello diverso e più profondo. La struttura stessa della scienza moderna è caratterizzata infatti da una stretta sinergia tra l’esperienza e la matematica: è questa la chiave dei risultati giganteschi e sempre crescenti che si ottengono attraverso le tecnologie operanti sulla natura, così da mettere a nostro servizio le sue immense energie.

I

La matematica si spinge però al di là di tutto ciò che noi possiamo immaginare e rappresentare sensibilmente, e proprio così consente i più straordinari risultati conoscitivi e operativi, ad esempio nelle equazioni della meccanica quantistica e della teoria della relatività. D’altra parte, i riscontri sperimentali delle previsioni scientifiche e il successo delle loro applicazioni pratiche confermano che esiste una corrispondenza profonda tra la natura e questa nostra conoscenza empirico-razionale (e non soltanto empirica): questo è il senso nel quale affermiamo che l’universo è intelligibile. Si tratta di un’intelligibilità intrinseca alla natura e non ad essa esterna, dato che è la natura stessa ad essere, almeno in qualche modo, conoscibile scientificamente. Non può es-

sere però qualcosa di cui la natura sia dotata di per se stessa e in maniera autonoma: sarebbe infatti del tutto ingiustificata e alla fine assurda un’intelligibilità che esista di per sé, senza essere frutto ed espressione di un’intelligenza. Siamo rimandati così a un’intelligenza originaria, che sia la fonte comune della natura e della nostra razionalità: un’intelligenza distinta e trascendete rispetto alla natura e però, al tempo stesso, ad essa così originariamente e costitutivamente presente da porre in essere una natura in se stessa intelligibile.Riguardo

La natura non può essere totalmente rappresentata attraverso un approccio matematico, o quanto meno attraverso gli strumenti matematici di cui disponiamo attualmente

a questo percorso verso l’esistenza di Dio a partire da quell’intelligibilità del mondo che emerge soprattutto dall’analisi della struttura della conoscenza scientifica moderna e contemporanea, sembrano necessarie alcune precisazioni. Esso appare particolarmente adatto all’odierna situazione culturale, nella

quale le scienze e gli uomini di scienza giocano un ruolo quanto mai grande. Ha inoltre il vantaggio di mettere in discussione, in certo senso “dall’interno”, quella tendenza a considerare la conoscenza scientifica come la sola capace di farci conoscere qualcosa di razionale e valido per tutti che spesso sfocia nella negazione della possibilità di conoscere Dio e anche nella riduzione del soggetto umano ad un oggetto tra gli altri.

Va detto però chiaramente che anche questo percorso verso Dio, pur valorizzando la struttura della scienza empirica, non sta sul piano di tale genere di scienza e nemmeno dell’epistemologia intesa come studio dei metodi e dell’indole proprio della conoscenza scientifica, ma si sviluppa invece a livello filosofico e più precisamente metafisico, come riflessione sulle condizioni ontologiche che rendono possibile la conoscenza scientifica. Le obiezioni che vengono sollevate contro un simile percorso riguardano principalmente il fatto stesso che la natura sia da noi intelligibile. Rimane classica a questo proposito ed esercita tuttora una grande influenza la tesi di Kant, che già abbiamo discusso, secondo la quale le scienze farebbero conoscere non la realtà ma soltanto l’“oggetto”. Oggi però le obiezioni fanno leva soprattutto su quelle correnti dell’epistemologia che sottolineano i limiti della conoscenza scientifica, in particolare la sua rivedibilità e provvisorietà, assai diversamente da quel che si pensava al tempo di Kant. Conoscenza rivedibile e provvisoria non equivale però a nessuna conoscenza: in concreto nessuna critica epistemologica deve indurci a mettere tra parentesi quella capacità di penetrazione nella natura che, per quanto parziale, rivedibile e imperfetta, consente alle scienze di non limitarsi a descrivere i fenomeni direttamente osservabili, ma di indagare su di essi, per concludere ad altri fenomeni, di cui si ottiene spesso riscontro sperimentale, oltre che per conseguire tramite le tecnologie crescenti risultati pratici. Il principio di indeterminazione della meccanica quantistica, con la conseguente necessità che determinate leggi siano soltanto statisti-


prima pagina

11 dicembre 2009 • pagina 11

Il convegno dell’Episcopato italiano che si è aperto ieri propone un’innovativa operazione culturale

Ecco come risvegliare la fiducia nella ragione La ricetta del cardinal Bagnasco per sconfiggere lo scetticismo verso il pensiero di Gabriella Mecucci erché ora e perché in questa forma, i vescovi italiani hanno deciso di riproporre Dio? Un interrogativo questo che nasce davanti al grande impegno che la Commissione Episcopale Italiana ha messo nell’organizzare il convegno sul tema: “Dio oggi. Con lui e senza di lui cambia tutto”. Si tratta di un’operazione di altissimo livello culturale (basta scorrere i nomi dei relatori e dei partecipanti alle tavole rotonde), che arriva quando, la fine delle ideologie, le profonde crepe apertesi nell’idea che la storia marci verso il futuro promesso, la mancanza di senso e la nuova ricerca di senso riaprono la strada per riproporre la “questione di Dio”. Ma non si creda che il tentativo sia facile e tutto in discesa. Proprio il Papa nel suo messaggio al cardinal Bagnasco in apertura dei lavori ha ricordato le difficoltà dell’oggi: «Cresce la tendenza a relegare Dio nella sfera privata, a considerarlo come irrilevante e superfluo, o a rifiutarlo esplicitamente».

ranea, intendiamo mostrare quantomeno plausibile l’esistenza». La questione di Dio, quindi, non solo oggi è riproponibile, ma Ruini indica anche il come. Ripartendo dalla Fides e ratio di Giovanni Paolo II e dalle innumerevoli riflessioni di Benedetto XIV, il cardinale mette due capisaldi: quello che la chiesa sta facendo non è un’operazione con lo sguardo rivolto all’indietro, non si tratta di conservatorismo, ma di fare i conti con la contemporaneità e con la razionalità che ha prodotto. Tutto lo sforzo ruiniano è teso a valorizzare le strade da battere per arrivare a Dio attraverso la filosofia e, del resto, la sua relazione è stata eminentemente filosofica, escludendo che il sapere scientifico e gli approcci che fanno leva sull’esperienza morale, o su quella estetica, seppur importantissimi, possano essere sufficienti. Su un terreno molto vicino alla relazione di Ruini, si è mossa anche quella del presidente della Commissione Episcopale Angelo Bagnasco: «È l’itinerario dell’intellectus quaerens fidem, tradizionale e classico nel pensiero cattolico - ha ricordato - che si fa carico, nel tempo della sfiducia nel pensiero, dei diritti e della dignità della ragione umana». Accanto a questo riaffermato ruolo della ragione, entrambi i cardinali hanno messo al centro quello della rivelazione. Angelo Bagnasco ha usato queste parole: «D’altro canto il cristiano, ammiratore della ragione, sa che essa non può che ritirarsi sconfitta se non le si fa incontro la parola del-

P

Eppure quella realizzata oggi dalla Commissione Episcopale trenta o qurant’anni fa sarebbe apparsa una missione impossibile. Allora - per dirla con Andrea Riccardi (uno dei relatori) - «la fine della fede significava la vittoria sull’ignoranza». Oggi invece nel profondo vuoto che si è aperto, Ruini ha potuto affermare: «In questo evento internazionale diamo al problema una risposta più forte, perché facciamo apertamente riferimento non a un generico concetto di Dio, ma al Dio della nostra tradizione religiosa, il Dio di Abramo e finalmente, e soprattutto, il Dio di Gesù Cristo: è di questo Dio che, in dialogo con la razionalità contempoche e probabilistiche, non impedisce che anche queste leggi costituiscano una forma di conoscenza dei fenomeni fisici, sebbene molto diversa da quella delle leggi della meccanica classica. Tali leggi implicano a loro volta delle serie molto complesse di processi logici, attraverso i quali è resa possibile una nuova penetrazione all’interno del mondo fisico.

È da prendere inoltre in attenta considerazione l’esistenza di una grande abbondanza di sistemi fisici caotici che possono essere studiati solo con equazioni differenziali non lineari, che però quasi sempre non sappiamo risolvere. Ciò mette certamente in evidenza che la natura non può essere totalmente rappresentata attraverso un approccio matematico (o quanto meno attraverso gli strumenti matematici di cui disponiamo attualmente), ma non implica in alcun modo che tali sistemi siano propriamente e assolutamente inintelligibili. È chiaro, ad ogni modo, che il caos non può essere il tutto dell’universo, perché altrimenti le nostre tecnologie sarebbero inapplicabili, non funzionerebbero.Que-

Nelle foto sopra, dall’alto: Andrea Riccardi, storico della Chiesa e fondatore della Comunità di S. Egidio; il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei; il sindaco di Roma Gianni Alemanno

sto itinerario verso l’esistenza di Dio a partire dall’intelligibilità della natura è certamente vicino alla “quinta via” di S. Tommaso. A differenza di essa non parte però dalla presenza della finalità nell’universo ma, in maniera più globale e radicale, dalla constatazione che l’universo è intelligibile. Nel cercare di arrivare all’esistenza di Dio partendo dalla nostra conoscenza della natura non ho fatto riferimento agli apporti che potrebbero essere forniti dai risultati, e non solo dalla struttura, delle attuali conoscenze scientifiche sia dell’universo sia in particolare della vita. I motivi di questa scelta sono principalmente due: il continuo evolversi di tali conoscenze e la necessità, in ogni caso, di un passaggio non “fisico”ma metafisico se con la nostra ragione vogliamo arrivare davvero, per quanto imperfettamente, a Dio. Ciò non significa però che l’immagine dell’universo e della vita attualmente proposta dalle scienze non sia di grandissimo interesse per l’approccio razionale a Dio (come del resto in ogni tempo l’approccio a Dio è stato

I limiti intrinseci delle scienze moderne e la netta distinzione tra sapere scientifico e sapere filosofico, non implicano che vada ignorato quel nuovo interesse per le grandi domande sull’uomo e sulla vita

la verità in Cristo… Questo richiede, anzitutto, di liberare l’orizzonte da un preguidizio che mortifica la plausibilità stessa dell’annuncio cristiano: e cioè che il fatto religioso sia da rubricarsi fra i fenomeni sub culturali».

Nel convegno apertosi ieri, che qualcuno ha voluto definire «un festival di Dio» (Dio nella storia, nella politica, nella bellezza, nel cinema..) non c’è stata alcuna precettistica ma un dibattito approfondito e di alto livello culturale sulla ricerca di Dio nel Terzo Millennio. Camillo Ruini si è lungamente soffermato sui «maestri del sospetto» che hanno ricondotto Dio ad un nostro desiderio. Ma - ha risposto - «il nostro desiderio di Dio non è necessariamente da interpretarsi come un’illusione. Può essere invece visto come l’indizio della nostra apertura verso quell’Assoluto che, donandosi liberamente a noi, sarebbe il solo in grado di colmare pienamente la radicale non autosufficienza che si annida nel nostro volere come nel nostro essere». Ed infine un’affermazione importante e coraggiosa sulla grande difficoltà nel cammino verso Dio che nasce dall’esistenza del male. Ruini se da una parte risponde che «non solo il male ma anche il bene esiste nel mondo, e specificamente nell’uomo, perfino come santità», riconosce che nonostante ciò «l’aporia rimane in qualche modo irrisolta». Indica le tre vie razionali (la via etica, quella dell’intellegibilità della natura e quella che parte dalla nostra esistenza e dall’esistenza del mondo) verso Dio, ma conclude che è proprio, dal di dentro di un’indagine razionale, che si apre lo spazio per una risposta più alta che può venire solo da Dio. condizionato dall’immagine dell’universo allora vigente).

Mi limito ad osservare che la concezione, ormai affermatasi nel mondo scientifico, dell’universo come “storia” non è certo meno compatibile, ma piuttosto assai più simpatetica con la contingenza dell’universo rispetto alla concezione precedente dell’universo stesso, caratterizzata soltanto dalla perennità delle leggi fisiche. D’altra parte, i limiti intrinseci delle scienze moderne, derivanti dalla loro struttura e metodologia, e la netta distinzione che va mantenuta tra sapere scientifico e sapere filosofico e metafisico, non implicano che vada ignorato quel rinnovato interesse che le grandi domande sull’uomo, sulla vita, sulla totalità dell’universo suscitano sempre più tra coloro che sono impegnati nella ricerca scientifica. Non raffrenando ma al contrario incoraggiando tale interesse potrà progredire, nella distinzione reciproca, una feconda interazione tra le scienze e la filosofia, e anche tra le scienze e la teologia.


prima pagina

pagina 12 • 11 dicembre 2009

Il testo del messaggio del Papa al cardinal Ba

Papa Benedetto XVI. In basso: “La scuola di Atene” di Raffaello. Nella pagina a fianco: il filosofo André Glucksmann

L’assassinio di Dio uc

di Benedet a questione di Dio è centrale anche per la nostra epoca, nella quale spesso si tende a ridurre l’uomo ad una sola dimensione, quella «orizzontale», ritenendo irrilevante per la sua vita l’apertura al Trascendente. La relazione con Dio, invece, è essenziale per il cammino dell’umanità e, come ho avuto modo di affermare più volte, la Chiesa e ogni cristiano hanno proprio il compito di rendere Dio presente in questo mondo, di cercare di aprire agli uomini l’accesso a Dio. In questa prospettiva si pone l’evento internazionale di questi giorni. L’ampiezza di approccio alla importante tematica, che caratterizza l’incontro, permetterà di tracciare un quadro ricco e articolato della questione di Dio, ma soprattutto sarà di

L

stimolo per una più profonda riflessione sul posto che occupa Dio nella cultura e nella vita del nostro tempo. Da una parte, infatti, si intende mostrare le varie strade che conducono ad affermare la verità circa l’esistenza di Dio, quel Dio che l’umanità ha da sempre in qualche modo conosciuto, pur nei chiaroscuri della sua storia, e che si è rivelato con lo splendore del suo volto nell’alleanza con il popolo di Israele e, al di là di ogni misura e attesa, in modo pieno e definitivo, in Gesù Cristo. Questi è il Figlio di Dio, il Vivente che entra nella vita e nella storia dell’uomo per illuminarle con la sua grazia, con la sua presenza. Dall’altra parte, si vuole mettere proprio in luce l’importanza essenziale che Dio ha per noi, per la nostra vita personale e sociale, per la comprensione di noi stessi e del mondo, per la speranza che illumina il nostro cammino, per la salvezza che ci attende oltre la morte.Verso questi obiettivi

Etica e amore, la strada privilegiata Il valore morale costituisce un dato irriducibile della nostra esistenza l terzo percorso razionale verso l’esistenza di Dio ha a che fare con il bene e con la nostra capacità di amarlo, di accoglierlo e di compierlo. Come punto di partenza prendiamo il soggetto umano, e in particolare l’esistenza in noi e la percezione del valore morale e dell’obbligazione morale. Essi infatti costituiscono un dato irriducibile della nostra coscienza ed esperienza, dotato di un’incondizionatezza che non si lascia rendere totalmente funzionale ad alcuno obiettivo o fine ad esso esterno, sebbene altri obiettivi (ad esempio la conservazione della nostra specie) possano senz’altro congiungersi al valore e all’obbligazione morale. Una tale riduzione funzionale farebbe svanire infatti l’incondizionatezza del valore e dell’obbligazione e comporterebbe quindi l’eliminazione dell’esperienza morale in quanto tale. Il valore morale che sta alla base di questa esperienza fa certamente riferimento al soggetto umano, alla sua ragione, volontà e libertà, e a tutte le condizioni e i condizionamenti sociali e storici entro cui il soggetto vive. Non può tuttavia risolversi integralmente in essi, dato che ciò equivarrebbe a rendere del tutto relativa al soggetto e alla sua storia l’esperienza morale, sopprimendo di nuovo il suo carattere incondizionato. D’altra parte il valore morale non può godere nemmeno di una priorità “in sé”, che si riconduca in ultima analisi solamente al valore stesso: anch’esso infatti, per valere effettivamente, ha bisogno di esistere.

I

La persona umana (e con essa la comunità degli uomini), con il suo valore di fine e con la sua dignità inviolabile, sembrerebbe poter rappresentare per il valore un tale ancoraggio alla realtà: ad un esame più attento, però, il valore propriamente morale della persona concreta passa attraverso la sua adesione al valore stesso, adesione al contempo libera e obbligante, e quindi non può

fondarla ma piuttosto la presuppone. Fondamento adeguato del valore morale, nella sua incondizionatezza, può essere dunque soltanto un essere incondizionato, che coincida con esso: proprio attraverso questa coincidenza si esprimono l’esistenza e la natura intima di Dio. Questo percorso ha certamente bisogno di una formulazione e giustificazione più ampie e approfondite. Mi limiterò ad alcune precisazioni che inquadrano meglio il percorso stesso. Anzitutto il valore e l’obbligazione morale trovano il loro fondamento prossimo non in Dio ma nell’incondizionatezza a loro intrinseca. Non è possibile, inoltre, ricavare il valore e l’obbligazione morale da Dio fin tanto che Dio stesso non è riconosciuto come “morale”,

I tre percorsi proposti si riferiscono ai trascendentali dell’essere, del vero e del bene e ciascuno di essi può essere sviluppato mettendo in maggior o minor rilievo la specificità del soggetto sebbene in un senso del tutto trascendente. Proprio in quanto è, in questa maniera trascendente,“morale”in se stesso, Dio è il fondamento ultimo del valore morale e dell’obbligazione: senza di lui essi esistono ma non possono essere giustificati in modo pienamente coerente. Ciò detto, è facile individuare sia i punti di contatto sia le profonde differenze di questo percorso rispetto al modo in cui Kant afferma l’esistenza di Dio, sommamente santo e beato, come terzo postulato della ragion pratica. Qui mi preme soltanto sottolineare che, mentre per Kant si tratta appunto di un “postulato” che resta fuori dall’ambito della ragione teoretica ed è af-

fermato solo per “fede”o “conoscenza pratica”, per la necessaria connessione che deve esistere tra la bontà morale e il conseguimento della felicità, il percorso che ho proposto prende certamente in esame l’esperienza morale nella sua irriducibile specificità, ma per riflettere sulle sue implicazioni in termini non solo etici bensì metafisici. Il percorso razionale dall’esperienza etica a Dio può essere impostato anche in modo da condurre a Dio come colui che ci dona la capacità effettiva di agire moralmente, piuttosto che come fondamento del valore e dell’obbligazione morale. Si tratta di un approccio senza dubbio stimolante, che però deve stare in guardia dal rischio che l’esistenza di Dio sia affermata come una nostra esigenza, e non anzitutto come una verità che riconosciamo oggettivamente valida.

È vero d’altronde che un rischio del genere insidia con particolare intensità ogni percorso verso Dio che prenda le mosse dall’esperienza etica. L’aporia derivante dall’esistenza del male nel mondo e specialmente nell’uomo non può non avere, del resto, un impatto particolarmente diretto su ogni percorso razionale verso Dio che parta dall’esperienza etica. Tentiamo infine un approccio sintetico e una valutazione critica dei tre percorsi proposti. Essi si riferiscono, come accennavo prima di articolarli, ai tre trascendentali dell’essere, del vero e del bene e ciascuno di essi può essere sviluppato mettendo in maggior o minor rilievo la specificità del soggetto conoscente e volente, oltre che, ovviamente, esistente. Non ho fatto alcun riferimento a un quarto trascendentale, quello della bellezza, per la difficoltà che avrei a trattarlo, anche se sono convinto che l’esperienza della bellezza sia una via assai importante per andare verso Dio. Il Dio di cui questi percorsi conducono a riconoscere l’esistenza è a sua volta, inseparabilmente, esistente, intelligente e volente, sebbene in un modo che trascende ogni nostra capacità

di conoscere. Usando termini che stanno per così dire più dalla parte dell’oggetto, egli è l’essere, il vero e il bene originario. Nel giungere ad affermare la sua esistenza siamo quindi pervenuti anche a precisare, almeno in modo iniziale, che cosa, o meglio chi egli sia.(...) Tutti e tre i percorsi, come dicevo, comportano un passaggio propriamente metafisico, quindi non verificabile mediante l’esperienza sensibile. Questa è la condizione per tentare di accedere alla realtà trascendente di Dio ma, a mio parere, è anche la fonte di un limite ineliminabile che si annida in ogni percorso razionale verso Dio. Già si è accennato ai limiti della conoscenza scientifica, nonostante il suo costante ricorso alla verifica sperimentale: sarebbe strano che la filosofia, e in particolare la metafisica, non avessero dei limiti non meno gravi, anche se diversi. (...) A mio parere la metafisica oggi deve procedere a una auto-limitazione e rigorizzazione, che vadano nettamente al di là di quanto è stato già operato dai grandi metafisici dell’antichità e del medioevo . Dovrebbe essere meglio salvaguardata così, anche dal punto di vista della metafisica, quell’assoluta trascendenza di Dio rispetto ad ogni capacità della nostra mente che è ben riassunta dalle parole Deus semper


prima pagina

11 dicembre 2009 • pagina 13

agnasco sui temi dell’incontro di Roma

ccide anche la Vita

tto XVI sono indirizzati i numerosi interventi, secondo le molteplici prospettive che saranno oggetto di studio e di confronto: dalla riflessione filosofica e teologica alla testimonianza delle grandi religioni; dallo slancio verso Dio, che trova espressione nella musica, nelle lettere, nelle arti figurative, nel cinema e nella televisione agli sviluppi delle scienze, che cercano di leggere in profondità i meccanismi della natura, frutto dell’opera intelligente di Dio Creatore; dall’analisi dell’esperienza personale di Dio alla considerazione delle dinamiche sociali e politiche di un mondo ormai globalizzato.

In una situazione culturale e spirituale come quella che stiamo vivendo, dove cresce la tendenza a relegare Dio nella sfera privata, a considerarlo come irrilevante e superfluo, o a rifiutarlo esplicitamente, auspico di cuore che questo evento possa

contribuire almeno a diradare quella penombra che rende precaria e timorosa per l’uomo del nostro tempo l’apertura verso Dio, sebbene Egli non cessi mai di bussare alla nostra porta. Le esperienze del passato, anche non lontano da noi, insegnano che quando Dio sparisce dall’orizzonte dell’uomo, l’umanità perde l’orientamento e rischia di compiere passi verso la distruzione di se stessa. La fede in Dio apre all’uomo l’orizzonte di una speranza certa, che non delude; indica un solido fondamento su cui poter poggiare senza timore la vita; chiede di abbandonarsi con fiducia nelle mani dell’Amore che sostiene il mondo. A Lei, a quanti hanno contribuito a preparare il Convegno, ai Relatori e a tutti i partecipanti va il mio cordiale saluto con l’augurio di un pieno successo dell’iniziativa.

I diritti dell’Uomo sono “più universali” di ogni fede

La lotta all’Inumano: questo può unire tutte le religioni di André Glucksmann iviamo come se Dio non esistesse perché si sono perpetrati dei crimini tremendi, perché c’è stato Auschwitz. Così diceva Giovanni Paolo II. Ma si è arrivati a questo perché le religioni non hanno fatto nulla per impedire tali orrori. Un destino che attende anche l’Islam, al Cairo o altrove, se le grandi autorità musulmane non fermeranno il crimine fondamentalista, se non lo condanneranno, se non lotteranno contro chi uccide le bambine, le donne, i civili. Come in Europa, anche nel mondo musulmano la gente non avrà più fiducia nella religione a causa dei crimini commessi in suo nome. Mi rendo conto che questo già succede, perché dopo dieci anni di terrorismo fondamentalista in Algeria gli immigrati algerini in Francia sono sempre meno religiosi. C’è una minoranza che diventa radicale e fanatica, ma la massa è sempre meno praticante. Una volta, durante un incontro con delle donne algerine a Parigi, nel periodo in cui il terrorismo imperversava in Algeria, mi si sono trovato in una situazione imbarazzante.

V

muerte” dei falangisti spagnoli o la crudeltà delle S.S. naziste o dei bolscevichi. La stessa cosa può verificarsi a scapito di qualsiasi fede e di qualsiasi ideologia. Al di là dell’immagine dell’uomo che ciascuno di noi può avere o dell’immagine del Paradiso che ogni religione propone, c’è qualcosa di più universale. È il crimine. È l’inumanità. Penso che i diritti umani che si fondano sulla lotta all’inumano siano più universali di tutte le fedi e di tutte le religioni. L’Islam, ad esempio, non è contro i diritti umani, ma lo sono invece le crudeltà contro le donne, le uccisioni di semplici passanti in una via di Kabul, Bagdad o Algeri. Ed è quelle che bisogna combattere. Ma attenzione: nessuna religione detiene l’esclusiva di generare inumanità. Si può essere cattolici e uccidere il proprio vicino, come è successo a Kigali dove gli Hutu hanno massacrato i Tutsi, pur accomunati dalla stessa fede. Niente è interamente causa d’infamia, ma niente garantisce di non sprofondare nell’orrore. Solo quando Dio reclamerà ciò che gli spetta potremo restituire a Dio quel che è di Dio. Se la giustizia gli appartiene, è difficile accettare l’assenza di domande sul genocidio in Ruanda, a quindici anni di distanza. È stata una guerra di religione moderna che opponeva cattolici a cattolici e cristiani a cristiani. Ma ci siamo mai chiesti perché è successo? La religione si è mai interrogata? (Testo raccolto da Nicola Accardo)

«Tutsi e Hutu erano cattolici. Ma ci siamo mai chiesti perché è successo il genocidio in Rwanda?»

maior. Le difficoltà dell’approccio metafisico nel contesto culturale contemporaneo, aggiungendosi all’aporia derivante dall’esistenza del male nel mondo, sono le ragioni di fondo di quella“strana penombra che grava sulla questione delle realtà eterne”.

Perciò l’esistenza del Dio personale, pur solidamente argomentabile come abbiamo cercato di fare, non è oggetto di una dimostrazione apodittica, ma rimane «l’ipotesi migliore… che esige da parte nostra di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell’ascolto umile». Sono grandi le implicazioni di un simile riconoscimento, sia per i rapporti tra credenti e non credenti che, già per questa ragione di fondo, andrebbero improntati a un sincero e convinto rispetto reciproco, sia per l’atteggiamento personale di ciascun credente, e in particolare per il ruolo fondamentale che deve occupare la preghiera nel nostro rapporto con Dio, così da poter impetrare da lui il dono della fede, che ci dà quella certezza incondizionata, e al contempo libera, riguardo a Dio che, come spiega S.Tommaso, non esclude in alcun modo lo spazio per ulteriori indagini, ma sostiene la nostra fedeltà a lui fino al dono di noi stessi.Termino

con una constatazione che mi sembra assai significativa della condizione in cui stiamo vivendo. Esiste cioè un profondo parallelismo tra l’approccio a Dio e l’approccio a noi stessi, in quanto soggetti intelligenti e liberi. In entrambi i casi siamo attualmente sottoposti alla pressione di un forte e pervasivo scientismo epistemologico e naturalismo, spesso inconsapevolmente metafisico, che vorrebbero dichiarare Dio inesistente, o quanto meno razionalmente non conoscibile, e ridurre l’uomo a un oggetto della natura tra gli altri. Oggi, come forse mai in precedenza, appare chiaro dunque che l’affermazione dell’uomo come soggetto e l’affermazione di Dio simul stant et simul cadunt. Ciò del resto è profondamente logico, poiché da una parte è ben difficile fondare un vero e irriducibile emergere dell’uomo rispetto al resto della natura se la natura stessa è il tutto della realtà, e dall’altra è ugualmente difficile lasciare razionalmente aperta la via al Dio personale, intelligente e libero - in modo vero anche se per noi ineffabile - se non si riconosce al soggetto umano questa sua irriducibile specificità. Rendere testimonianza al vero Dio e al tempo stesso alla verità dell’uomo è però il compito forse più esaltante che ci sia dato di adempiere.

La sala fischiava e urlava contro un responsabile musulmano di cui avevo una grande considerazione. Lo faceva solo perché era il mufti di Marsiglia e sfogava contro di lui tutto il proprio anticlericalismo. Sono stato io a chiedere il silenzio alla sala, a dire al pubblico di calmarsi perché quel mufti era qualcuno che prendeva dei rischi nella lotta contro il terrorismo. Ma la loro reazione è naturale, non è diversa da quella avuta in passato dagli occidentali: se la religione non riesce a domare i crimini, la religione deperisce.Tutte le confessioni, compreso l’Islam, possono essere prese per mano dalla religione della morte, il cui simbolo può essere il grido “Viva la

Il 9 dicembre André Glucksmann ha ricevuto dalle mani di Benedetto XVI il premio “Auschwitz e Diritti Umani”. «È da lodare l’audacia di Wojtyla - ha detto Glucksmann, che ha dato vita a un premio paradossale, che associa Auschwitz ai diritti umani. Facendoli rinascere laddove erano stati completamente assenti».


pagina 14 • 11 dicembre 2009

prima pagina

l mito della caverna di Platone appartiene alle metafore immortali che consentono di interpretare la situazione dell’uomo. Semplificando al massimo essa si presenta così: gli uomini si trovano all’interno di una caverna priva di aperture. Sono incatenati e guardano verso una parete. Sulla parete appare un gioco di ombre proiettato da una fonte luminosa invisibile agli spettatori e posta alle loro spalle. Gli uomini non conoscono altra situazione che questa. Essi non possono né vedersi l’un l’altro né vedere se stessi. Quel che accade nel film è per essi l’unica realtà. In relazione a questa realtà essi si agitano, fanno congetture, delineano teorie e avanzano prognosi. Senza dubbio si aggira la diceria che vi sia, fuori dalla caverna, qualcosa come un mondo vero. Si è anche sentito dire che qui la vita sia come una prigionia, che esista la possibilità di una liberazione. Si è sentito dire che alcuni sono giunti in questo vero mondo ma che i loro occhi sono stati abbagliati dalla luce del sole al punto da non riuscire a vedere nulla. Gli abitanti della caverna dunque recalcitrano con mani e piedi se qualcuno da fuori ritorna per liberarli. Con questo paragone, Platone ha voluto simbolizzare la relazione fra il mondo vero delle idee e la pura immagine di queste, il mondo materiale. Tuttavia noi possiamo, senza allontanarci troppo dall’intenzione di Platone, modificare un poco l’interpretazione di questo paragone. Il sole è in realtà per Platone l’immagine del bene sostanziale, del bene ultimo, in virtù del quale tutto esiste e che motiva, alla fine, ogni sforzo degli esseri viventi. Già i Padri della Chiesa hanno paragonato l’idea del bene di Platone a Dio.

I

Nella variazione che introduco noi stessi non siamo soltanto gli osservatori del film che si proietta sulla parete, ma attori che prendono parte al film. La nostra vita - “la luce degli uomini”, come si dice nel Vangelo di Giovanni - deve se stessa in ogni istante ad un proiettore creativo e alla sua pellicola. Definisco creativo il proiettore per il fatto che esso proietta cose ed esseri viventi, che sono realmente animati e in una certa cornice addirittura liberi di muoversi in un modo o nell’altro. In ogni caso, comunque essi si muovano, colui che ha prodotto il film e il proiettore è già sempre un passo avanti. Esso dispone le azioni degli attori nel quadro di una totalità, che egli determina, similmente all’apparecchiatura per navigare, che alla fine porta il conducente a destinazione, malgrado i suoi giri viziosi. La causa vera e propria di quanto accade, e cioè il proiettore, naturalmente non affiora nel film stesso. Non appare nella concatenazione delle cause interne al film ovvero nelle condizioni antecedenti. In realtà si tratta della vera causa di tutta la concatenazione e di tutti i suoi elementi. La creazione non è un evento nel quale noi c’imbatteremo un giorno studiando la storia del cosmo. “Creazione” definisce la relazione che sussiste fra l’intero processo cosmico e la sua origine extracosmica, cioè la volontà divina. Che le cose stiano in questo modo lo dice una antica diceria, la diceria intorno a Dio. È singolare però che gli uomini non sono mai stati assorbiti nella realtà “interna al film”, e cioè nella sfera intramondana, fino al punto da dimenticare questa diceria. Il loro bisogno di comprendere non fu soddisfatto da ciò che essi vedevano. Ludwig Wittgenstein, il padre della filosofia analitica

La “Madonna di San Sisto”, uno dei primi capolavori dell’artista rinascimentale Raffaello Sanzio. Nella pagina a fianco, dall’alto: il filosofo francese Jean Jacques Rousseau, quello tedesco Ludwig Wittgenstein e il britannico David Hume. I tre sono chiamati ad esempio da Spemann per corroborare la tesi della razionalità della fede in Dio

Che cosa crede colui che crede in Dio? Egli crede in una fondamentale razionalità della realtà in cui vive. Ovvero che il bene sia più importante del male

La ragionevolezza di Dio Come, con le armi moderne dell’intelligenza, si arriva a dimostrare la realtà della Creazione di Robert Spaemann moderna, considera una “illusione della modernità”quella per cui le leggi naturali ci spiegherebbero il mondo, mentre in realtà descrivono soltanto regolarità strutturali. Queste regolarità non hanno nulla che sia vincolante sul piano logico; esse non spiegano né se stesse né il mondo. Il fatto che si lascino formulare matematicamente, per lo scienziato naturale, ad esempio Einstein, ha sempre rappresentato un motivo di stupore e di rinvio ad una origine divina. Tuttavia proprio il progresso della scienza fa parte delle ragioni che rimuovono la diceria intorno a Dio. Questo si connette da una parte alla rapida dilatazione della sfera del fattibile, che in noi produce il sentimento ebbro e fantastico dell’infinità, dall’altra alla rapidità con cui il mutamento delle nostre relazioni vitali cresce in modo esponenziale. In tal modo la nostra attenzione si fissa sul problema dell’adeguamento a questa realtà terrena in mutamento continuo tanto che noi non ci possiamo più per-

mettere la domanda circa il fondamento e il senso del tutto, dunque di ciò che sta fuori dalla caverna. Questo non ha propriamente nulla a che fare con le asserzioni concrete della scienza. Le scienze,

La Creazione non è un evento che incontreremo studiando il cosmo. “Creazione” definisce la relazione che c’è fra il processo cosmico e la sua origine extracosmica, cioè la volontà divina fino ad ora, non hanno formulato un solo serio argomento contro la diceria intorno a Dio, soltanto la cosiddetta visione scientifica del mondo, lo scientismo, dunque ciò che Wittgenstein ha definito come superstizione della modernità, ha

tentato di fare questo. La scienza moderna è ricerca di condizioni, non si domanda che cosa è qualcosa e perché è, ma quali sono le condizioni del suo sorgere. L’essere, l’essere-se stesso tuttavia è l’emancipazione dalle condizioni della sua genesi. E l’incondizionato, dunque Dio, per definitionem non può comparire all’interno di una ricerca di condizioni intramondana, così come non appare il proiettore nel film. Questo non significa che il film prima o poi incominci a spiegare se stesso e a rendere superfluo il proiettore. L’alternativa non può dunque suonare così: spiegabilità scientifica del mondo o fede in Dio, ma soltanto: rinuncia a comprendere il mondo, rassegnazione della ragione o fede in Dio. O Dio c’è, oppure l’autocomprensione dell’uomo in quanto essere di ragione, vale a dire in quanto persona, è una illusione. Il razionalismo dell’Illuminismo da lungo tempo si è abbandonato alla fede nella impotenza della ragione umana, alla fede nel fatto che noi non siamo ciò che


prima pagina pensiamo di essere: esseri liberi, autodeterminati. La fede cristiana non ha mai considerato l’uomo tanto libero come ha fatto l’idealismo, ma nemmeno lo considera così privo di libertà come fa oggi invece lo scientismo. Ragione, ratio, significa tanto ragione quanto fondamento. La visione scientifica del mondo considera il mondo e dunque anche se stessa come priva di un fondamento. La fede in Dio è la fede in un fondamento del mondo, che non è senza fondamento, dunque irrazionale, ma “luce”, trasparente a se stessa e così suo proprio fondamento. Sono in tal modo giunto alla seconda parte di ciò che vorrei discutere, e cioè alla domanda: che cosa crede colui che crede in Dio? Egli crede, io dico, in una fondamentale razionalità della realtà. Egli crede che il bene sia più fondamentale del male.

Egli crede che ciò che è inferiore debba essere compreso a partire da ciò che è superiore e non viceversa. Egli crede che il non senso presupponga il senso e che il senso non sia una variante dell’assenza di senso. Questo però significa che, contrariamente a quanto afferma David Hume, colui che crede in Dio crede che nell’incontro con gli altri noi abbiamo a che fare con la realtà. Nel concetto di “Dio”noi pensiamo l’unità di due predicati, che nel nostro mondo esperienziale solo qualche volta e mai in modo necessario risultano connessi l’uno all’altro: l’unità dei predicati “potente” e “buono”, l’identità del potere assoluto e del bene assoluto, l’unità di essere e senso. Questa unità non è per noi una verità analitica. Essa non si comprende da se stessa, anche se Rousseau lo ha creduto. Egli pensava che tutto il male derivasse da debolezza e che l’Onnipotente non potesse avere alcuna ragione per non esser buono. In ogni caso noi dobbiamo dire che i predicati “potente” e “buono” non significano la stessa cosa, così come non significano la stessa cosa le parole “stella della sera” e “stella del mattino”. Solo successivamente gli uomini hanno scoperto che le due parole hanno lo stesso “riferimento”, e cioè significano la stessa stella, e cioè Venere. Chi crede in Dio, crede che la potenza assoluta e il bene assoluto abbiano lo stesso riferimento: la santità di Dio. La fede in un unico Dio è la fede secondo la quale per questa luce, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, vale l’affermazione del Vangelo di Giovanni: “Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui”. Chi crede in Dio, crede che questi due incondizionati siano identici: l’incondizionato di ciò che è in quanto è, l’incondizionato della realtà fattuale, e l’incondizionato del bene. Contro ciò che è nel modo in cui è non si dà alcuna obiezione. Il fedele accoglie tutto ciò che accade e che non è in grado di modificare, dalle mani di Dio e senza accusare Dio. La sottomissione incondizionata alla volontà di Dio, che si rivela in ciò che accade e in ciò che noi non possiamo modificare, è l’atteggiamento fondamentale di tutti coloro che credono in Dio. Ma che cosa significa sottomissione a ciò che noi non possiamo in ogni caso modificare? Non è forse più dignitoso almeno rifiutarci di accettarlo? Ma a chi interessa questo, se Dio non esiste, se il destino è cieco e l’universo indifferente all’accettazione così come al rifiuto o addirittura alla protesta? Quando Giobbe protesta davanti a Dio, questo accade perchè egli pensa a Dio come ad un essere a cui appartiene il fatto di essere buono. Nella

protesta si trova ancora il riconoscimento di colui al quale noi rivolgiamo la protesta. Se noi lo considerassimo indifferente al dolore del mondo, non avrebbe alcun senso protestare. Per questo i Salmi chiedono a Dio la salvezza sempre “per amore del tuo Nome”. L’idea vi che sta dietro è che Dio è per così dire responsabile di fronte a se stesso nel venire in aiuto al suo popolo. È importante sottolineare questo oggi, dove addirittura i sacerdoti, anziché invocare su di noi la benedizione del Dio onnipotente, parlano soltanto di “Dio buono”. Il discorso sulla bontà di Dio, su Dio che è amore, smarrisce il suo punto sconvolgente, se passa sotto silenzio chi è colui di cui si dice che Egli è amore, se cioè passa sotto silenzio che Egli è la Potenza che guida la nostra esistenza e il mondo. Soltanto tale Potenza, infatti, può salvarci dalla morte. L’idea di un amore assoluto, infinito, resta un’idea puramente regolativa, se in essa non viene pensata l’unità di due assolutezze, quella infinita del fattuale, del destino, e quella infinita del bene. Quest’ultimo, il bene, non si rivela a noi, o comunque lo fa solo talvolta, in ciò che accade, ma piuttosto nella voce sommessa, anche se inesorabile, della coscienza, la voce della ragione pratica, il cui giudizio spesso sembra porci in contrasto con ciò che di fatto accade. Nessuno al mondo può costringerci a chiamare bene il male e male il bene, anche se il giudizio della coscienza non è affatto infallibile e anche se la coscienza, così come la ragione, per giudicare in modo realmente razionale, ha bisogno di formazione ed eventualmente di correzione. Chi dunque crede che il bene e l’essere, in ultima istanza e fondamentalmente, siano la stessa cosa, chi crede certamente non contro ogni ragione, ma contro l’apparenza, crede nel Dio nascosto. Il fattuale non ci è nascosto. Si trova davanti a tutti. E nemmeno il bene ci rimane nascosto. Ragione e coscienza ci consentono di conoscerlo. Ciò che ci è nascosto è l’unità di questi due assoluti, l’unità di potenza e senso, di onnipotenza e amore. È questa unità a rimanerci nascosta. Anche se resta ragionevole credere ad essa. La Croce sembra essere la sua confutazione, la Resurrezione la sua dimostrazione. Se io dico che è ragionevole credere a questa unità, è perché noi non possiamo pensare a nessuno di questi due assoluti in modo conseguente fino alla fine senza pensare contemporaneamente ogni volta all’altro.

La potenza assoluta, l’essenza di ciò che è, non sarebbe questa essenza, non sarebbe l’Assoluto, se non avesse di fronte a sé sempre un occhio silenzioso, che inesorabilmente la orienta. Se il bene non appartenesse all’essere, l’essere non sarebbe tutto, non sarebbe cioè la totalità. L’occhio che inesorabilmente dirige e che è allo stesso tempo inesorabilmente buono appartiene esso stesso all’essere, altrimenti l’essere non sarebbe tutto. Ma vale anche il contrario: se il bene fosse impotenza, allora non sarebbe il bene tout court. Poiché l’impotenza del bene non è bene. La fede nella potenza del bene è ciò che ci consente di abbandonarci attivamente alla realtà, senza dover temere che in un mondo assurdo anche ogni buona intenzione sia giudicata come una assurdità. Tommaso d’Aquino ha in mente questi due assoluti, che noi pensiamo nel concetto di Dio, quando parla delle due volontà di Dio, la volontà di comando e la volontà storica, dunque di ciò che Dio vuole che noi vo-

11 dicembre 2009 • pagina 15

ubbidire al volere di Dio. L’“assoluta volontà”di Dio, la sola che si cura del bene dell’universo, si mostra alla fine nel fatto che quell’uomo alla fine venga arrestato o meno. Il re e la moglie devono accettare questo risultato umilmente come volontà di Dio.

O Dio c’è, oppure l’autocomprensione dell’uomo in quanto essere di ragione, vale a dire in quanto persona, è una illusione. Da tempo l’Illuminismo si è arreso a credere all’impotenza umana gliamo e di ciò che egli vuole che accada. La volontà storica ci è nascosta. Di ciò che Dio vuole che accada, noi veniamo a conoscenza soltanto quando è accaduto. Di ciò che Egli vuole che noi vogliamo, noi questo lo sappiamo in ogni momento. Si tratta della moralità, e su questo ci illuminano la ragione e la coscienza o anche i Dieci Comandamenti. Circa ciò che Dio vuole che accada, questo noi non lo sappiamo in anticipo e dunque non possiamo nemmeno cercare di volerlo e di farlo. Possiamo unicamente sottometterci a tale volere. Dobbiamo

Il re non può uccidere Antigone, dal momento che essa adempie al suo dovere di sorella verso il fratello colpevole di alto tradimento e gli dà sepoltura. Antigone non può divenire una terrorista, che impedisce al re di realizzare il suo dovere. Ciò che Tommaso chiama volontà assoluta di Dio, si realizza nella storia attraverso la continua trasgressione della volontà che si esprime nei suoi comandamenti. «Oh felice colpa di Adamo», canta la Chiesa ogni anno nella notte di Pasqua. Il Mefistofele di Goethe pensa allo stesso modo quando si definisce come “parte di quella forza, che vuole sempre il male e crea sempre il bene”. Dio viene qui rappresentato come un pittore dalla creatività infinita, sul cui dipinto che si sviluppa progressivamente un malfattore getta continuamente schizzi di colore. II pittore, però, utilizza ciascuno di questi schizzi per trasformare di continuo il dipinto, all’aggiungersi di ogni schizzo, in qualcosa di sempre più perfetto. Alla fine si dirà: il dipinto compiuto non sarebbe quello che è, senza gli sfregi del malfattore. Quello che si avrebbe sarebbe stato dunque un dipinto differente. Non dobbiamo cedere alla tentazione, scrive Tommaso, di voler cospirare con la volontà assoluta di Dio. In questo senso Gesù dice del tradimento di Giuda: «Il Figlio dell’uomo deve essere consegnato, ma guai all’uomo per il quale Egli è consegnato». Soltanto il marxismo ha superato il dualismo tra significato storico e morale e ha derivato l’orientamento dell’agire dal senso storico che presume di aver compreso: «A noi – e cioè i rivoluzionari esecutori del senso della storia - a noi tutto è permesso», scrive una volta Lenin, il quale, in un altro passo, chiarisce anche come nel marxismo non vi sia «nessuna grande etica». In tal modo Lenin ha fatto emergere una implicazione decisiva dell’ateismo. Probabilmente egli aveva nell’orecchio l’espressione di Dostojewski: «Se Dio non c’è, tutto è permesso». Ma quale ragione abbiamo per ammettere che Egli esiste? Noi sappiamo ciò che intendiamo quando diciamo “Dio”: un Assoluto, che ha in sé stesso il suo fondamento, perché Egli è ciò che ha senso per eccellenza, ciò che basta a se stesso. La dottrina cristiana della Trinità traduce compiutamente questo concetto di Dio, quando essa lo pensa come amore onnipotente, e certo come amore in se stesso, cosicchè non occorre alcun mondo e alcun uomo per realizzare la sua essenza. Dio non è mai solo. In questo caso infatti Egli sarebbe soltanto una parte della realtà, meno dunque di Dio e mondo insieme. La creazione del mondo sarebbe la rimozione di una mancanza e non il libero atto dell’amore. Dio è in se stesso amore, il che significa: Egli è riflesso in se stesso, Egli ha in sè una immagine adeguata di se stesso, ha il Logos come qualcosa di vivente che gli stà di fronte, e la sua processione nel Logos, il “Figlio”, avviene in un donarsi, che di nuovo è Dio stesso, il santo Pneuma o, come diciamo noi occidentali, nello Spirito Santo. I misteri del Cristianesimo sono l’imprevisto adempimento di ciò che nel concetto di Dio viene anticipato dalla ragione.


mondo

pagina 16 • 11 dicembre 2009

Crisi. La Banca centrale classifica l’Italia tra i Paesi considerati a “medio rischio” per la sostenibilità dei conti pubblici

Bce, cauto ottimismo Trichet rivede al rialzo le stime sulla crescita del Pil, ma avverte: «Ancora molta incertezza» di Alessandro D’Amato il in crescita, disoccupazione al ribasso ma anche tanta, tanta cautela. La Banca centrale europea ha rivisto al rialzo le stime di crescita per l’eurozona nel 2010. Le nuove previsioni contenute nel bollettino mensile di dicembre accreditano ora per il prossimo anno una crescita dei Paesi dell’area euro pari all1% rispetto al +0,3% precedente.

P

Nel 2011 la crescita è attesa, invece, al +1,6% (+1,5% la stima precedente). Sono state riviste al ribasso, ed è una buona notizia, le stime sulla dinamica del tasso di disoccupazione: per il 2009 Francoforte si attende una disoccupazione al 9,5% mentre per il 2010 la stima è di

un 10,6%. Le previsioni sono state riviste al ribasso, rispettivamente, di 0,2 e 0,3 punti percentuali. Ma l’ottimismo non è a piene mani, anzi: la Bce mette nero su bianco la previsione di un processo di recupero che «risulterà probabilmente discontinuo». E «le prospettive

mine» con attese stabili nel medio-lungo periodo, mentre sul fronte crescita è prevista una ripresa «a ritmo graduale nel 2010». L’incertezza su questo scenario, ripetono comunque a Francoforte, «resta nondimeno elevata». I dati in arrivo dalla congiuntura, spiega ancora la

Meno alte del previsto le cifre relative alla disoccupazione: 9,5% nel 2009 e 10,6% nel 2010, ma l’inflazione si riaffaccia nell’area dell’euro. E restano problemi seri nel settore produttivo restano soggette a elevata incertezza». Non preoccupa più di tanto il costo della vita. Secondo la Bce, a novembre l’inflazione si è riaffacciata nell’area dell’euro, ma sulla base delle informazioni e delle analisi che giungono in queste settimane dalla congiuntura dell’Eurozona «l’attuale livello dei tassi di interesse (1%) continua a essere adeguato». I risultati dell’analisi monetaria «confermano la valutazione di spinte inflazionistiche contenute nel medio ter-

Bce nel Bollettino mensile di dicembre, «continuano a segnalare un miglioramento dell’attività economica nella seconda metà» del 2009.

L’istituto presieduto da Jean-Claude Trichet riconferma poi che «alla luce del recente miglioramento delle condizioni dei mercati finanziari, è giunto il momento di procedere al graduale rientro delle misure» supplementari che, oltre ai tassi di interesse ai minimi storici, ha messo in campo per aiu-

tare l’economia e i mercati. Misure che prevalentemente fanno leva su liquidità supplementari immesse nel sistema bancario. La decisione è stata presa la scorsa settimana dal consiglio direttivo della Bce, e nel bollettino mensile Francoforte rileva che questa decisione «contribuisce a evitare eventuali distorsioni che potrebbero emergere, qualora tali misure fossero mantenute per un periodo di tempo eccessivamente lungo». Il ritiro avverrà in maniera progressiva.

Nel frattempo però il pericolo è in agguato: «Il trend dell’indebitamento pubblico nei Paesi dell’Eurozona è insostenibile e deve essere corretto prima che i problemi di carattere demografico dell’Europa lo peggiorino ulteriormente», ha detto Erkki Liikanen, governatore della Banca centrale finlandese e consigliere della Bce, presentando il rapporto trimestrale sull’economia e il sistema bancario in Finlandia. Per interrompere il trend insostenibile dei conti pubblici europei «è

Intesa tra Francia e Germania sulle nuove regole per il sistema bancario e per i top manager

Pace (solo economica) tra Sarkozy e Brown di Enrico Singer

Il presidente della Bce Jean-Claude Trichet. Al centro, la sede della Banca Centrale Europea a Francoforte

n incontro a tu per tu di quaranta minuti, prima dell’avvio del Consiglio europeo di ieri a Bruxelles, e una lettera firmata a due mani sul Wall Street Journal che chiede un patto mondiale per dare nuove regole al sistema bancario, compresa una tassa sui maxi-bonus dei top manager delle banche. La pace tra Nicolas Sarkozy e Gordon Brown è stata raggiunta così, dopo un lungo rosario di tensioni cominciato con la spartizione delle poltrone della Ue e culminato con quella frase galeotta – «gli inglesi sono i grandi perdenti della partita delle nomine» – che il presidente francese aveva cercato in tutti i modi, ma in-

U

vano, di smentire e che aveva mandato su tutte le furie Downing Street.

Più che di un nuovo asse Parigi-Londra, si può parlare del recupero di un rapporto che non è stato mai facile tra le due sponde della Manica, ma che è diventato ormai strutturale per tenere insieme il triangolo Francia, Germania, Gran Bretagna che rappresenta il vero potere forte dell’Europa. Con l’intesa tra Berlino e Parigi in posizione di punta e Londra a fare da sponda. Soprattutto quando si parla di finanza, poi, l’accordo del Paese della City, con la Borsa che capitalizza il doppio di quella di Francoforte e il quasi triplo di quella di Parigi, è indispensabile. Anche per un leader orgoglioso e sicuro di sé come Sarkozy. Per questo il terreno della finanza era ideale per ricucire lo strappo. «Mercati finanziari europei stabili, aperti e competitivi sono essenziali per la crescita globale», premettono nella loro lettera comune Sarkozy e

Brown che puntano, però, l’indice sui ritardi di questo processo avviato in sede di G20. L’Unione europea ha già approvato una serie di misure per evitare il ripetersi della crisi, ma secondo Sarkozy e Brown adesso è necessario «attuare regole più strette per le banche».

Se è vero che «la crisi ci ha fatto capire che siamo in un’economia che non è più nazionale, ma globale», allora servono «standard globali» che dovrebbero essere portati sul tavolo del prossimo summit del G20 che sarà presieduto, da gennaio, dalla Corea del Sud. E in questi standard c’è anche una tassa straordinaria sui bonus andati ai dirigenti delle banche che nel 2009 sono stati in parte il risultato degli aiuti forniti dagli Stati per evitare il collasso del sistema colpito dalla crisi mondiale. La cura dimagrante per i top manager delle banche è una di quelle misure destinate a finire – come è giusto che sia –


mondo

11 dicembre 2009 • pagina 17

Juncker esclude la bancarotta per Atene, ma la Ue chiede misure drastiche ed efficienti

L’Europa “salva” la Grecia di Andrea Ottieri la prima grande malata d’Europa? JeanClaude Trichet, presidente della Bce, chiede al paese ellenico di introdurre misure drastiche ed efficienti. Il presidente dell’eurogruppo, Jean Claude Juncker, esclude la bancarotta. Intanto la produzione industriale è crollata in ottobre del 9,2% annuo, dopo avere accusato già un -9% in settembre. Il debito pubblico ammonta a 300 miliardi di euro, il più ampio dell’era moderna per il Paese.

È

Ma i conti rifiatano: i governativi ellenici hanno stretto rispetto al titolo di riferimento tedesco, oggetto di ricoperture tecniche e acquisti speculativi. Il premio del titolo decennale, che inizialmente era aumentato ai massimi degli ultimi nove mesi (267 punti base rispetto al Bud), si è riavvicinato in area 240 pb. E il finanziere George Soros si dice «sicuro che il Governo della Grecia non avrebbe permesso il default malgrado le difficoltà e le preoccupazioni per il bilancio». Ewald Nowotny, governatore della Banca nazionale austriaca, afferma che i problemi della Grecia non saranno

Il finlandese Liikanen: «È necessaria una strategia credibile di stabilizzazione prima che le finanze pubbliche vengano investite dagli effetti dell’invecchiamento demografico» necessaria una strategia credibile - ha detto Liikanen - così da stabilizzare il rapporto debito/Pil prima che le finanze pubbliche vengano investite dagli effetti dell’invecchiamento demografico». La Finlandia è uno dei pochi Paesi dell’Eurozona ad avere i conti in ordine con

un rapporto debito/pil previsto al 56% nel 2011.

L’Italia è invece tra i Paesi a medio rischio, in compagnia di Germania, Francia, Austria, Lussemburgo, Portogallo e Belgio mentre ad alto rischio sono Irlanda, Grecia, Spagna, Cipro,

nei titoli dei giornali. Ma non è una novità assoluta nel pacchetto di proposte già partite tanto da Parigi che da Berlino e Londra. Appena tre mesi fa gli stessi Sarkozy e Brown, con in più Angela Merkel, avevano scritto una lettera congiunta al presidente di turno della Ue, lo svedese Fredrik Reinfeldt, chiedendo «regole obbligatorie» e sanzioni sulle remunerazioni dei manager del settore finanziario, fra le quali c’era anche un tetto per i bonus. E un mese prima, in agosto, il ministro delle Finanze britannico,Alistair Darling, aveva annunciato un progetto di legge per introdurre un limite ai bonus dei dirigenti del credito.

Malta, Paesi Bassi, Slovenia e Slovacchia In ogni caso, fa sapere Trichet, l’attuale livello dei tassi resta adeguato: sono parole importanti perché oggi, con il livello del costo del denaro più basso da quando è nata Eurolandia, si cominciava ad ascoltare distintamente qualche rumors, proveniente dalla Germania, che auspicava un’inversione di rotta più rapida nella curva del prezzo. Con questo intervento il presidente della Bce fa sapere che non è arrivato ancora il momento: i mercati, e le banche, sono

che, finora, era un’iniziativa nazionale - condivisa, non a caso, anche dalla Germania di Angela Merkel - nella richiesta di uno standard globale da adottare in sede G20. Ma il vero segnale lanciato con la lettera sta nella firma congiunta. Sigillo, almeno formale, della ritrovata armonia. La riconciliazione

In sostanza, le banche britanniche non potranno più offrire premi garantiti pluriennali ai propri top manager o ai migliori broker e i versamenti dovranno essere legati ai risultati di lungo termine. Inoltre il pagamento di almeno di due terzi del bonus dovrà essere dilazionato in tre anni e dovrà essere legato contemporaneamente alla performance individuale e della banca. La novità nella proposta lanciata con la lettera pubblicata ieri dal Wall Street Journal è che Sarkozy e Brown hanno trasformato quella

Torres ha ricordato come Almunia abbia già assicurato come la Commissione Ue stia vigilando da vicino la situazione greca, in stretto contatto con il presidente dell’Eurogruppo, e sia pronta ad assistere la Grecia secondo ciò che prevede il trattato della Ue. E nel frattempo barcolla la Spagna Standard & Poor’s pur confermandone il rating sovrano di AA+, ha rivisto l’outlook del Paese iberico da stabile a negativo alla luce del «pronunciato e persistente deterioramento» delle finanze pubbliche e di un «più lungo periodo di crisi economica rispetto a quello previsto». Il declassamento dell’outlook, secondo S&P, «rispecchia il rischio di un taglio del rating sovrano nei prossimi due anni».

ancora troppo deboli e non reggerebbero uno shock del genere.

Anche perché le aspettative di inflazione a medio-lungo termine, sottolinea la Bce, «restano saldamente ancorata in linea con l’obiettivo del Consiglio direttivo di mantenere l’inflazione su livelli inferiori ma prossimi al 2% nel medio periodo». L’analisi del settore produttivo continua a rivelare molti problemi: «Il tasso di crescita sui 12 mesi dei prestiti al settore privato non finanziario è risultato leg-

Non solo. La promozione del francese Michel Barnier che, nella nuova Commissione europea di Manuel Barroso, ha conquistato il posto-chiave di responsabile del Mercato interno, ha molto preoccupato la City che teme, non da oggi, misure della Ue che possano limitare la sua libertà di movimento. Per ora, Barnier ha cercato di tranquillizzare il cuore finanziario di Londra, ma proprio la frase di Nicolas Sarkozy sugli «inglesi grandi sconfitti» nel valzer delle poltrone (no a Tony Blair presidente stabile del Consiglio Ue e premio di consolazione per la baronessa Ashton di Upholland nominata alto rappresentante per la politica estera) ha fatto scendere il gelo tra le due capitali al punto che Gordon Brown, venerdì scorso, ha annullato una sua prevista visita a Parigi per un colloquio con il presidente francese, recuperato ieri a Bruxelles. In fondo – e anche questo non è da sottovalutare – sia Sarkozy che Brown sono entrati in una fase di vigilia elettorale: in primavera ci saranno le amministrative in Francia e le politiche in Gran Bretagna. Come dire che i problemi sono già abbastanza.

La riconciliazione non era facile, ma alla vigilia di una primavera in cui sono previste elezioni amministrative in Francia e politiche in Gran Bretagna, uno scontro non serviva a nessuno non era facile. Perché a rovinare i rapporti tra Parigi e Londra non c’era stata soltanto la frase galeotta di Sarkozy che Le Monde, tra l’altro, ha confermato. Un altro affronto francese era arrivato pochi giorni prima dal ministro dell’Agricoltura, Bruno Le Maire, che aveva escluso il suo omologo britannico, Hilary Benn, da una riunione sulla contestata questione delle sovvenzioni europee all’agricoltura. La Pac – politica agricola comune – è uno dei terreni di maggiore scontro tra la Francia, grande beneficiaria degli aiuti (riceve 10 dei 56 miliardi complessivamente stanziati), e la Gran Bretagna che vorrebbe ridurre questa voce del bilancio Ue.

trasferiti anche all’Eurozona. Intanto, la Commissione Ue indicherà entro i primi di febbraio la nuova scadenza entro la quale la Grecia dovrà risanare propri conti, riportando il livello di deficit entro i parametri del Patto Ue di stabilità e di crescita, ha detto il commissario Ue agli affari economici e monetari, Joaquin Almunia.

germente più negativo in ottobre. Per quanto riguarda le famiglie, gli ultimi dati forniscono ulteriore conferma di una stabilizzazione dei tassi di crescita su livelli contenuti. Quanto alle società non finanziarie giova osservare che solitamente l’espansione dei prestiti alle imprese aumenta con un certo sfasamento temporale rispetto al ciclo economico.

È quindi probabile che i livelli ancora modesti della produzione e degli scambi nonché la persistente incertezza circa le prospettive per l’attività delle imprese frenino la domanda di finanziamenti bancari da parte di queste ultime anche nei mesi a venire, soprattutto nel segmento a breve termine. Nel contempo, il continuo miglioramento delle condizioni complessive di finanziamento dovrebbero sostenere la domanda di credito nel prossimo futuro». E non preoccupano solo le imprese: le banche, secondo la Bce, dovrebbero sfruttare «appieno le misure di sostegno pubblico a favore della ricapitalizzazione. Al momento gli istituti di credito affrontano la sfida di gestire le dimensioni e la struttura di propri bilanci complessivi, assicurando al tempo stesso la disponibilità del credito al settore non finanziario. Potendo contare su una maggiore liquidità e capacità di finanziarsi sul mercato le banche dovrebbero raccogliere a sfida adottando misure idonee per l’ulteriore rafforzamento della propria componente patrimoniale e, ove necessario, dovrebbero sfruttare appieno le misure di sostegno pubblico a favore della ricapitalizzazione».


mondo

pagina 18 • 11 dicembre 2009

L’intervento. Pubblichiamo il testo del discorso del presidente Usa alla cerimonia d’accettazione del Nobel per la pace

«Difendo la guerra giusta» Obama: «Ci sono momenti in cui l’uso della forza militare è inevitabile. Il premio? C’erano altri che lo meritavano più di me» di Barack H. Obama minenze, Altezze Reali, Distinti Membri del Comitato dei Nobel Norvegese, cittadini d’America, e cittadini del mondo: ricevo questo onore con estrema gratitudine e profonda umiltà. È un riconoscimento che si rivolge alle nostre più alte aspirazioni: che per tutta la crudeltà e difficoltà del nostro lavoro, non siamo semplici prigionieri del destino. Le nostre azioni hanno valore, e possono orientare la storia verso la giustizia.Tuttavia potrei essere negligente se non riconoscessi la notevole controversia che la vostra generosa decisione ha generato. In parte è stato perché sono solo all’inizio e non alla fine del mio lavoro sul palcoscenico mondiale. In confronto ad alcuni giganti della storia che hanno ricevuto questo premio – Schweitzer e King, Marshall e Mandela – i miei risultati sono modesti. E poi ci sono gli uomini e le donne in tut-

E

Ci sono milioni di persone non riconosciute le cui azioni silenziose di coraggio ispirano anche il più duro dei cinici

to il mondo che sono stati imprigionati e picchiati per la ricerca della giustizia; ci sono coloro che si impegnano nelle organizzazioni umanitarie per dare sollievo a chi soffre; ci sono i milioni di persone non riconosciute le cui azioni silenziose di coraggio e compassione ispirano anche il più duro dei cinici. Non posso discutere con coloro che ritengono che questi uomini e queste donne – alcuni noti, altri ignoti a chiunque tranne a chi aiutano – meritino questo riconoscimento più di me.

Ma forse la questione più profonda attorno al mio ricevimento di questo premio sta nel fatto che io sono il comandante in capo di una nazione al centro di due guerre. Una di queste guerre è in fase conclusiva. L’altra è un conflitto che l’America non aveva cercato; uno in cui a noi si sono uniti altri quarantatre paesi – Norvegia inclusa – in uno sforzo di difendere noi stessi e tutte le nazioni da ulteriori attacchi. Ma siamo ancora in guerra ed io sono responsabile per lo spiegamento di migliaia di giovani americani che combattono in terre lontane. Alcuni uccideranno, alcuni saranno uccisi. E qui ci sono io con un acuto senso del costo del conflitto armato – pieno di domande difficili sulla relazione tra guerra e pace, e sul nostro impegno per sostituire l’una con l’altra. (...) Nel primo decennio del nuovo secolo, questa vecchia architettura si sta deformando sotto il peso di nuove minacce. Questo mondo

Tra i premiati Charles K. Kao, inglese di origini cinesi che ha rivoluzionato le fibre ottiche

Sfilano gli altri vincitori dalla chimica all’economia di Pierre Chiartano el parterre dei vincitori dell’ambito premio, forse messi un po’ in ombra dalla presenza dell’inquilino dell Casa Bianca, ci sono una serie di nomi di cui sentiremo parla re a lungo in futuro. Nel registro del prize per la Fisica, sono iscritti il britannico di origini cinesi Charles K. Kao e i due americani Willard S. Boyle e George E. Smith, per i loro «risultati rivoluzionari nel settore della trasmissione della luce nelle fibre per la comunicazione ottica e per l’invenzione di un circuito semiconduttore di imaging, il sensore ccd».

N

Per la Chimica i vincitori del Nobel sono Venkatraman Ramakrishnan, Thomas A. Steitz e Ada E. Yonath, premiati «per le ricerche sulla struttura e la funzione dei ribosomi», le strutture cellulari che fabbricano le proteine. La loro funzione è quindi quella di sintetizzare le proteine leggendo le informazioni contenute in una catena di Rna, un ruolo fondamentale per la vita. A Stoccolma per ritirarere la prestigiosa pergamena per la Medicina, sono giunti Elizabeth H. Blackburn, Carol W. Greider e Jack W. Szostak, scopritori dei telomeri. In pratica dei tappi di sicurezza per il nostro Dna. Hanno infatti scoperto la funzione delle strutture che proteggono le estremità dei cromosomi, chiamate telomeri, e l’enzima che li costituisce, la telomerasi, ricerche che hanno aperto la strada allo studio sulla longevità. Esistono infatti teorie che associano il continuo accorciarsi dei telomeri con la senescenza delle cellule della linea somatica e con la prevenzione del cancro. Il telomero ha un ruolo determinante nell’evitare la perdita di informazioni durante la duplicazione dei cromosomi. Per la vincitrice del Nobel per la Letteratura, invece, non ha dovuto fare un lungo viaggio. Si tratta della scrittrice e poetessa tedesca di origine romena Herta Mueller, la quale ha «descritto il panorama dei senza patria» in Romania sotto la dittatura di Nicolae Ceausescu «con l’intensità della poesia e la schiettezza della prosa». Ricordiamo alcuni suoi libri publicati anche in italia come Bassure

(1987) In viaggio su una gamba sola (1992), Il paese delle prugne verdi (2008), Lo sguardo estraneo, ovvero la vita è un peto in un lampione (2009). La Mueller avendo vissuto sulla propria pelle la dittatura comunista ha spesso avuto posizioni di rottura rispetto a una pèolitica di appeasement col passato. Nel 1997 abbandona il Pen Club (la più antica associazione internazionale di letterati, fondata a a Londra nel 1921) come forma di protesta per la decisione di riunire le associazioni che facevano capo alla Germania Est ed Ovest prima del crollo del Muro di Berlino. E nel 2008 invia una lettera critica a Horia-Roman Patapievici, presidente dell’Istituto di Cultura Romena, che aveva espresso il suo sostegno ad

una scuola romeno-tedesca nella quale lavoravano due ex-informatori della Securitate.

Elinor Ostrom divide a pari merito con Oliver Williamson il prize dedicato all’Economia. La Ostrom è la prima donna a ricevere il preminel settore economico. I due sono stati scelti per i loro studi sulla governance economica. In special modo Williamson ha studiato il rapporto che esiste tra le decisioni in ambito economico prese in ambienti legati al mercato e quelle prese in ambiti non legati alle dinamiche del libero mercato. Un lavoro che ha molto influenzato il settore degli investimenti.

potrebbe non rabbrividire più alla prospettiva di una guerra fra due superpoteri nucleari, ma la proliferazione potrebbe aumentare il rischio di catastrofi. Il terrorismo è stato a lungo una tattica, ma la tecnologia moderna permette a pochi uomini piccoli dalla rabbia smisurata di assassinare innocenti con proporzioni spaventose (...) dobbiamo cominciare riconoscendo la dura realtà che non riusciremo a sradicare i conflitti violenti nel corso della nostra vita. Arriveranno periodi in cui i paesi – agendo individualmente o con altri paesi – riterranno l’uso della forza non solo necessario ma moralmente giustificato (...).

Come capo di Stato ho giurato di proteggere e difendere la mia nazione. Io affronto il mondo per quello che è, e non riesco a rimanere fermo di fronte alle minacce verso il popolo americano. Quindi non facciamo errori: il male esiste nel mondo. Un movimento non violento non avrebbe potuto fermare gli eserciti di Hitler. Le trattative non avrebbero potuto convincere i leader di al-Quaeda a mettere giù le loro armi. Dire che la forza qualche volta è necessaria non è un appello al cinismo, è piuttosto un riconoscimento della storia; le imperfezioni dell’uomo e il limiti della ragione. Sollevo questo punto perché oggi in molti paesi si assiste a una profonda ambivalenza sull’azione militare, non importa per quale causa. In alcuni momenti, a questo si unisce un sospetto riflessivo dell’America, l’unico superpotere unicamente militare. Il mondo dovrebbe ricordare che non sono semplicemente le istituzioni internazionali - non solo trattati e dichiarazioni - che hanno portato la stabilità nel mondo dopo la II guerra mondiale. Qualsiasi errore abbiamo commesso, il fatto è questo: gli Stati Uniti d’America hanno aiutato a sottoscrivere la sicurezza mondiale per più di sei decenni col sangue del nostri cittadini e la forza delle nostre braccia. Il servizio e il sacrificio dei nostri uomini e delle nostre donne in uniforme ha promosso la pace e la prosperità dalla Germania alla Corea e ha fatto in modo che la democrazia arrivasse in paesi come i Balcani. Abbiamo sopportato questo fardello non perché cerchiamo di imporre la nostra volontà. Abbiamo fatto questo al di là di egoistici interessi di fama, ma perché cerchiamo un futuro migliore per i nostri figli e per i nostri nipoti, e crediamo che le loro vite potranno essere migliori se i figli e i nipoti di altre persone possono vivere in libertà e prosperità (...). Il mondo si è raccolto attorno all’America dopo gli attacchi dell’11 settembre e continua a sostenere i nostri impegni in Afghanistan, a causa degli orrori di quegli attacchi senza senso e del principio riconosciuto di auto-difesa. Allo stesso modo, il modo ha riconosciuto il bisogno


mondo

11 dicembre 2009 • pagina 19

Barack Obama durante la “cerimonia delle firme” dei Nobel al Nobel Institute con il direttore esecutivo Geir Lundestad. Nella pagina a fianco, il Nobel per la Fisica, Charles K. Kao

di far fronte a Saddam Hussein quando ha invaso il Kuwait – un consenso che ha lanciato un chiaro messaggio a tutti sul costo dell’aggressione. Inoltre l’America non può insistere affinché altri seguano le regole sul campo se noi stessi rifiutiamo di seguirle. Poiché quando non le seguiamo, la nostra azione può apparire arbitraria e minare la legittimità di un intervento futuro, non importa quanto sia giustificato. Ciò diventa particolarmente importante quando lo scopo di un’azione militare va oltre l’autodifesa o la difesa di una nazione contro un aggressore.

Sempre di più, ci troviamo di fronte a

bivalenza di un pubblico più ampio. Io capisco perché la guerra non è popolare. Ma so anche questo: credere che la pace sia desiderabile raramente è sufficiente per raggiungerla. La pace richiede responsabilità. La pace comporta sacrificio. Questo è il motivo per cui la Nato continua ad essere indispensabile. Questo è il motivo per cui dobbiamo rafforzare l’Onu e i processi di pace regionali, e non lasciare questo compito a pochi paesi. Questo è il motivo per cui onoriamo coloro che rientrano da operazioni di pace all’estero da Oslo a Roma, da Ottawa a Sydney, da Daka a Kigali – li onoriamo non come fautori di guerra, ma come fautori di pace.

domande difficili su come prevenire il massacro di civili da parte del loro stesso governo, o su come fermare una guerra civile la cui violenza e sofferenza può inghiottire un’intera regione. Io credo che la forza possa essere giustificata su terreni umanitari, come è stato nei Balcani, o in altri luoghi che sono stati sfregiati dalla guerra. L’inazione strappa la nostra coscienza e può portare a successivi interventi più costosi. Questo è il motivo per cui tutte le nazioni responsabili devono abbracciare il ruolo che i militari con un chiaro mandato possono svolgere per mantenere la pace. L’impegno dell’America nella sicurezza mondiale è irrinunciabile.Tuttavia in un mondo in cui le minacce sono sempre più diffuse, e le missioni sempre più complesse, l’America non può agire da sola. Questo è vero in Afghanistan, è vero in stati falliti come la Somalia dove al terrorismo e alla pirateria si aggiunge la carestia e la sofferenza umana. E tristemente, continuerà ad essere vero in zone instabili per anni a venire. I leader e i soldati dei paesi Nato – e altri amici e alleati – dimostrano questa verità attraverso la capacità e il coraggio manifestato in Afghanistan. Ma in molti paesi non c’è collegamento tra l’impegno di coloro che servono e l’am-

Vorrei trattare un punto finale sull’uso della forza. Anche nel prendere difficili decisioni sull’andare in guerra, dobbiamo anche pensare chiaramente a come combatteremo. Il Comitato dei Nobel ha riconosciuto questa verità assegnando il suo primo premio per la pace a Henry Dunant – il fondatore della Croce Rossa, e una forza predominante dietro le Convenzioni di Ginevra. Dove la forza è necessaria, abbiamo l’interesse morale e strategico ad attenerci a determinate regole di condotta. E anche di fronte a un avversario malvagio che non rispetta le regole, credo che gli Stati Uniti d’America debbano rimanere i titolari standard nella condotta di guerra. Questo è ciò che ci rende diversi da coloro che combattiamo. Questa è la fonte della nostra forza. Questo è il motivo per cui ho proibito la tortura. Questo è il motivo per cui ho ordinato la chiusura della prigione di Guantanamo. E questo è il motivo per cui ho riaffermato l’impegno dell’America a rispettare le Convenzioni di Ginevra. Perdiamo noi stessi quando compromettiamo i veri ideali che combattiamo per difendere. E onoriamo questi ideali sostenendoli non solo quando è semplice, ma quando è difficile(...). Mentre il mondo si rimpiccolisce, si potrebbe

Il male esiste nel mondo. Un movimento non violento non avrebbe potuto fermare Hitler. Le trattative non servono con i leader di al Qaeda

pensare che è più facile per gli esseri umani riconoscere quanto siamo simili, capire che noi tutti fondamentalmente vogliamo la stessa cosa, che noi tutti confidiamo nella possibilità di vivere la nostra vita con un po’ di felicità e soddisfazione per noi stessi e per le nostre famiglie. Tuttavia, a causa della sconcertante velocità della globalizzazione e del livellamento culturale della modernità, non dovrebbe sorprenderci che le persone temono di perdere quello cui tengono circa le loro particolari identità: la loro razza, la loro tribù e forse in maniera più forte la loro religione. In alcuni luoghi, questa paura ha portato ad un conflitto.

zioni qualche volta avranno scambiato il bene per il male.

Ma dobbiamo pensare che la natura umana è perfetta per credere ancora che la condizione umana può essere perfezionata. Non dobbiamo vivere in un mondo idealizzato per raggiungere quegli ideali che lo renderanno un posto migliore. La non-violenza praticata da uomini come Ghandi e King non avrebbe potuto essere pratica o possibile in qualsiasi circostanza, ma l’amore che predicavano, la fede nel progresso umano, devono sempre essere la stella polare che ci guida nel nostro viaggio. Poiché se perdiamo questa vede, se la allontaniamo come sciocca o ingenua, se la separiamo dalle decisioni che compiamo su questioni di guerra o di pace, allora perdiamo quanto c’è meglio nell’umanità. Perdiamo il nostro senso di possibilità. Perdiamo la nostra bussola morale (...). Quindi permetteteci di raggiungere il mondo che dovrebbe essere, quella scintilla del divino che ancora si muove in ognuno di noi. In qualche luogo, oggi, un soldato vedendosi disarmato rimarrà comunque ben deciso per mantenere la pace. In qualche luogo oggi una giovane manifestante si aspetta la brutalità del suo governo, ma avrà il coraggio di continuare a manifestare. Il qualche luogo oggi una madre sta affrontando una povertà incredibile ma dedicherà comunque il suo tempo ad educare il proprio figlio, che crede che un mondo crudele abbia ancora un posto nei suoi sogni. Facciamo in modo di vivere seguendo il loro esempio. Possiamo riconoscere che l’oppressione sarà sempre con noi, e continuare a lottare per la giustizia. Possiamo ammettere l’intrattabilità della depravazione, e continuare a lottare per la dignità. Possiamo capire che ci sarà una guerra, e continuare a lottare per la pace. Possiamo farlo, perché questa è la storia del progresso umano. Questa è la speranza di tutto il mondo e in questo momento di sfida, questo deve essere il nostro compito sulla Terra.

L’amore che predicavano Ghandi e King, la fede nel progresso, devono sempre essere la stella polare che ci guida nel nostro viaggio

A volte sembra quasi che stiamo tornando indietro. Lo vediamo nel Medio Oriente mentre il conflitto tra Arabi e Ebrei sembra indurirsi. Lo vediamo in nazioni che sono lacerate da linee tribali. In maniera più pericolosa, lo vediamo nel modo in cui la religione viene usata per giustificare l’assassinio di innocenti da parte di coloro che hanno distorto e defilato la grande religione dell’islam, e che hanno attaccato il mio paese dall’Afghanistan. Questi estremisti non sono i primi ad avere ucciso nel nome di dio; ci sono ampie prove della crudeltà delle crociate. Ma ci ricordano che nessuna guerra santa può essere una guerra giusta. Poiché se si crede realmente che si è portatori della volontà divina, non c’è bisogno di repressione. Un’immagine così deformata della religione non solo è incompatibile con il concetto di pace, ma anche con il concetto di fede, poiché l’unica regola che giace nel cuore di ogni religione maggiore è che quello che facciamo agli altri è come se lo facessimo a noi stessi. Aderire a questa legge di amore è da sempre stato il fulcro della natura umana. Siamo fallibili. Commettiamo errori, siamo vittime di tentazioni per orgoglio, per potere e qualche volta per il male. Anche quelli di noi con le migliori inten-


cultura

pagina 20 • 11 dicembre 2009

orreva il primo anno del dopoguerra. Piero venne a prendermi a casa per andare a far colazione. Misi il cappotto, e uscimmo». Così, dopo una spiritosa prefazione, Massimo Bontempelli apre il primo dei dieci «romanzi d’avventure» che compongono La vita intensa (1920), oggi riproposto dall’editore Isbn. E nel fulmineo passaggio tra i piani, nella gratuita rapidità da gag dell’incipit c’è già tutto l’impassibile sintetismo che dà il tono al volume.

che fu il Teatro degli Indipendenti di Anton Giulio Bragaglia. Nel gruppo c’era anche Alberto Savinio, nella Vita intensa citato a proposito di una disputa sul metodo di arrotolare le sigarette e poi rappresentato “in spettro”mentre suona il pianoforte con le sue «innumeri dita». Anche Savinio, come Bontempelli, praticò tra le due guerre una riduzione ludica delle avanguardie che precede e qualitativamente oltrepassa quella del Gruppo ’63; e giustamente, nella postfazione, Alessandro Tinterri insiste sul rapporto tra i due scrittori. Davanti al libro del ’20, il fratello di De Chirico salutò con gioia l’abbandono di quelle retoriche che fino allora avevano impedito all’amico d’imboccare una strada originale; ma così facendo sottovalutava le poesie appena più antiche del Purosangue e dell’Ubriaco, in cui Luigi Baldacci ha messo in luce un futurismo già tutto di secondo grado, pronto a risolversi addirittura in informale. Però è nella Vita intensa che la parodia letteraria esplode: e non solo attraverso il sofisticato sdoppiamento tra nipote e zio.

«C

Quando nel 1919 pubblicava mensilmente questi brevi antiromanzi avant la lettre sulla rivista Ardita, Bontempelli era un uomo di quarant’anni, e non più un letterato di primo pelo: aveva alle spalle tragedie in versi, prose narrative, raccolte di poesie carducciane prima e poi futuriste. Eppure, La vita intensa e La vita operosa (1921) rappresentarono per lui un nuovo inizio. Che qui è esplicitamente sceneggiato nel vero capolavoro del libro, quel settimo romanzo dove lo scrittore si sdoppia in uno zio succube dei cascami letterari tardo-ottocenteschi, e in un nipote deciso a conquistarlo al verbo marinettiano. Alla fine, entrambe le retoriche di questi “idioti” vengono spazzate via dallo scoppio della Grande Guerra. Tra l’altro, Mio zio non era futurista si apre con una magistrale descrizione di alcune velleità mai tramontate nelle patrie lettere, almeno a giudicare dall’odierna tendenza a livellare sui fuochi d’artificio d’una prosa postmodernista e narcisisticamente piccolo-borghese le esperienze sociali più distanti, più incomunicabili: «Sotto specie di romanzo d’avventure,» ci avvisa sardonicamente Bontempelli, «questo è anche, e soprattutto, un esempio di “romanzo storico d’ambiente letterario”. Esempi del genere non ce ne sono nell’antichità, e nemmeno nelle letterature moderne fino all’epoca decadente in Francia e dannunziana in Italia. Per contro in quell’epoca tutti i romanzi furono d’ambiente letterario, e tutti i personaggi - anche se era detto che fossero ingegneri, contadini, aviatori, esploratori, agenti di cambio, tranvieri, fabbricanti d’oggetti d’osso, o altro erano in realtà tutti letterati. Per un fatale compenso i loro autori furono spesso quasi analfabeti». Ecco: il dittico delle Vite, e la tabula rasa che presuppone, derivano dalla constatazione

Libri. Isbn rimanda in stampa la raccolta di romanzi brevi “La vita intensa”

Gli anni d’oro di Bontempelli di Matteo Marchesini che la prima guerra mondiale cancellato questo mondo a un tempo raffinatissimo e ridicolmente angusto.

Qui sopra, un’immagine di Massimo Bontempelli. In alto, un disegno di Michelangelo Pace

Ma se La vita operosa cristallizzerà in perfette geometrie satiriche una società già neocapitalista, in cui la Cultura e il Passato umanisticamente intesi hanno perduto ogni senso, La vita intensa racconta questa metamorfosi in maniera ancora giocosa, casuale, svagata. Comunque, i primi anni Venti sono il periodo d’oro di Bontempelli: quello in cui si è ormai liberato dalle pastoie formali della belle époque ma non ha ancora preteso di quadrare il cerchio con le favole novecentiste. Nelle due Vite, i temi che noi attribuiamo di solito alle poetiche della neoavanguardia - la totale fungibilità degli individui, l’equivalenza mediatica del pianto e del riso, il

Nei primi anni Venti l’autore si è ormai liberato della “belle époque” ma non ha ancora quadrato il cerchio con le favole novecentiste bricolage parodico di ogni eredità culturale - sono già assorbiti e bruciati in una lucida, impressionante accelerazione pop.

Non a caso, il Bontempelli della Vita intensa usa il termine «avventura» nella stessa accezione in cui lo useranno lungo gli anni Sessanta Calvino e l’Oulipo. Gli automi che disegna a questa altezza sembrano collocarsi in una terra di mezzo tra le maschere del maestro Pirandello e i fumetti già quasi ioneschiani del primo “avventuroso” Campanile: autori tutti rappresentati, a metà anni Venti, in quell’officina dell’intellettualismo magico e clownesco

Bontempelli gioca col Bildungsroman (si veda Morte e trasfigurazione) e si diverte a frustrare la suspence provocata in una tranche de vie sul poker. Allestendo i suoi scenari minimali, ci cala ora in un finto poliziesco e ora in un melodramma condotto comicamente alla deriva; ci propone qui uno psicologismo ridotto all’assurdo, e là un grandguignol da strip. Per non parlare poi dell’ultimo pannello, il «romanzo dei romanzi»: dove va in scena quello che di lì a poco Giacomo Debenedetti chiamerà lo «sciopero dei personaggi». Tutte le silouhettes comparse nei plots precedenti, compreso l’alter ego bontempelliano, si ribellano al ruolo attribuito loro nella Vita intensa e invadono la casa dell’autore. Certo, sarebbe fuorviante omologare il clima di questo divertissement a quello che circolerà due anni dopo nei Sei personaggi di Pirandello. Tuttavia la citazione è obbligata. Nessuno manca all’assedio: e quando i fantasmi lasciano lo scrittore, ecco che lo chiama al telefono «la Zolfanelli», puro flatus vocis, nome senza volto intercettato nella conversazione tra due giovani che chiude il primo romanzo. Sulla Zolfanelli, quarant’anni più tardi, ricamerà Arbasino: citazionista puro, che coi collages di nomi e di conversazioni ha costruito la sua opera omnia. Una prova in più del fatto che, nel primo dopoguerra, Bontempelli ci aveva già offerto in liquidazione quei souvenirs culturali esibiti poi a fine Novecento dalle più rinomate vetrine postmoderne.


spettacoli

11 dicembre 2009 • pagina 21

Musica. Il nuovo disco dell’artista “Inneres Auge”, ancora una volta realizzato con il contributo dell’amico Manlio Sgalambro

L’occhio interiore di Battiato di Matteo Poddi

A fianco e in basso, due immagini di Franco Battiato. Nella foto in bianco e nero, il filosofo Manlio Sgalambro. A destra, la copertina del nuovo album di Battiato “Inneres Auge” (letteralmente: “occhio interiore”)

inea orizzontale. Linea verticale. Da una parte la spinta verso la materia. Dall’altra quella verso lo spirito. Questo il senso di Inneres Auge (“occhio interiore”in tedesco) il brano che dà il titolo al nuovo album di Franco Battiato, per il quale il cantautore siciliano si è avvalso, ancora una volta, della collaborazione del filosofo Manlio Sgalambro. Il sottotitolo di questo ultimo lavoro di Battiato è: “Il tutto è più della somma delle sue parti”. E scorrendo la track-list ci si accorge che anche questo disco è molto di più della somma delle singole canzoni che lo compongono, 4 inediti e 6 classici del repertorio del Maestro.

L

Brani reinterpretati e riarrangiati risalenti al periodo elettro-pop degli anni Ottanta. Delle vere rarità. Così quei brani, ormai entrati nel canzoniere di Battiato, vengono presentati, in questo lavoro, sotto una nuova luce e possono venire letti da un’altra prospettiva. Ad esempio quella dell’impegno civile e dell’esigenza, da sempre avvertita dagli artisti, di alzare la voce contro le ingiustizie e le contraddizioni della società. E davvero Battiato non usa mezzi termini o giri di parole. Il testo di Inneres Auge recita infatti: «Uno dice che male c’è a organizzare feste private con delle belle ragazze per allietare primari e servitori dello Stato? Non ci siamo capiti e perché mai dovremmo pagare anche gli extra a dei rincoglioniti?». Interrogativi quanto mai attuali. Si avverte l’urgenza di fare qualcosa, di non limitarsi ad essere spettatori del degrado che ci circonda. Bisogna co-

Nel disco, 4 inediti e 6 classici del repertorio del Maestro. Brani reinterpretati e riarrangiati risalenti al periodo elettro-pop degli anni Ottanta

struire un argine per evitare il peggio. E questo argine può essere la filosofia, l’amore per la scienza, che può illuminare il nostro cammino e guidarci anche nella vita quotidiana. E davvero nel caso della titletrack la filosofia si fa musica. Un testo che invita alla riflessione viene esaltato da un accompagnamento sospeso tra la musica classica e la techno. Distorsioni e violini. Pieno e vuoto. Silenzio e rumore. Sì, perché in questo disco possiamo ascoltare anche il silenzio non intenso come assenza di parole ma come spazio per il pensiero. Basta citare la nuova versione di Haiku (da Cafè de la Paix) nella quale silenzi e parole si bilanciano perfettamente e rappresentano due facce della stessa, splendida, medaglia. A seguire la scia tracciata da Haiku ci sono La quiete dopo un addio (da Ferro battuto) e Stage door (b-side del singolo Shock in my town) due brani intensi che invitano al rilassamento sia fisico che mentale. Perché prima di pensare bisogna sgombrare la mente da tutto quello che la intossica. Anche dalle notizie d’attualità. In molti hanno visto in questo disco un istant album che fotografa la situazione assurda in cui si ritrova invischiata l’Italia. Un Paese in cui non si parla altro che di sesso, droga, politica e corruzione. E già ai tempi di Tangentopoli Battiato aveva detto la sua con Povera Patria. In effetti però questo disco è senza tempo. Può alludere, in alcuni brani, a situazioni ben definite ma indaga, più in generale, l’animo umano e le sue debolezze. Così in Stage door, ad esempio, Battiato canta «Biso-

gna ricominciare il viaggio» e quello a cui si riferisce è il viaggio della vita. La denuncia è affidata agli inediti. In Tibet ad esempio l’obiettivo è quello di rivolgere un invito ai politici di tutto il mondo affinchè si impegnino a fermare il massacro dei monaci buddisti perpetrato dal governo cinese. Il testo è in inglese proprio in quanto rivolto ad una platea mondiale e il brano è spesso presente nella scaletta dei live dell’artista. Quello che è evidente è che «stammu piddennu ‘u sennu» (“stiamo perdendo il senno”) per citare

U’ cuntu, brano cantato metà in dialetto catanese e metà in latino. «Hic et nunc non habeo dispositionem mentis latus mundi insanus est», continua il testo della canzone che rappresenta una sorta di attualizzazione del canto gregoriano. Ha il sapore del passato e della nostra tradizione musicale ma parla del presente e lo affronta con una sensibilità che appartiene solo a noi contemporanei. Un ibrido estremamente azzeccato. Questo album colpisce come uno schiaffo in pieno volto, già dal primo ascolto. Invita alla riflessione e all’indignazione. Ci siamo abituati a farci scivolare tutto addosso forse per

non fermarci ad analizzare la situazione che però, nel frattempo, continua a peggiorare. È il caso di correre ai ripari prima che possa essere troppo tardi. Battiato ci invita appunto a non chiudere gli occhi di fronte alla realtà ma ad aprirli. Anzi a spalancarli. «Che cosa possono le leggi dove regna soltanto il denaro?» canta il Maestro e nelle sue parole c’è tutto il disagio che stiamo vivendo. Dove andremo a finire di questo passo? È davvero questo «il migliore dei mondi possibili» come sosteneva Leibniz? No, ci dice Battiato, non può esserlo! Nella nuova versione, dolce e suadente, di Un’altra vita Battiato canta: «Certe sere mi metto a leggere e invece avrei bisogno di attimi di silenzio». Ecco, forse la prima cosa da fare è cercare un po’ di silenzio lontano dal frastuono che ci circonda e dal chiacchiericcio, sterile e vuoto, della politica.

Una volta fatto silenzio possiamo ascoltarci dentro. E ascoltare un Maestro della musica e del pensiero come Franco Battiato. Perché «Anche la luce sembra morire nell’ombra incerta di un divenire dove l’alba diventa sera e i volti sembrano teschi di cera» in un “Inverno” come quello che stiamo attraversando. Le feste natalizie rappresentano da sempre un momento di raccoglimento e di aggregazione. L’augurio è che possano diventare anche un momento di riflessione magari anche grazie ad un disco come questo. Un album che brilla di luce propria. Un’altra perla nella discografia, già unica e preziosa, del Maestro che vive alle pendici dell’Etna.


opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

da ”Asharq Alawsat” del 08/12/09

Uno sciita al governo? di Abdul Rahman Al-Rashed i sono due ragioni perché credo che il leader di Hezbollah, Sayyed Hassan Nasrallah dovrebbe sedersi sulla poltrona di primo Ministro del governo libanese. Primo per la scelta dei tempi che ha fatto, nel rendere pubblico il suo nuovo documento politico (il secondo in poco più di vent’anni, ndr) proprio mentre si stava formando il secondo governo Hariri. In maniera che tutti pensassero che, in qualche modo, Hezbollah agisse seguendo un percorso parallelo all’attuale primo Ministro. Secondo, perché il gabinetto formato da Saad al Hariri assomiglia sempre di più a quello che avrebbe costituito l’opposizione sconfitta nelle ultime elezioni. Ed è un lontano parente della maggioranza formata dall’Alleanza del 14 marzo, uscita vincente dalle elezioni politiche.

C

Hariri può avere anche ricevuto l’incarico da premier prima di aver compiuto quarant’anni, ma non significa che il governo da lui formato sia quello desiderato da tutti quelli che lo hanno votato in maniera così massiccia. Nel suo documento lungo ben trenta pagine il leader del Partito di Dio ha messo nero su bianco la sua visione. Non solo della politica, del Paese ma anche del mondo. La cosa che salta subito all’occhio in chi ha ascoltato o letto l’intervento di Nasrallah è che non si occupa solo della resistenza islamica. In dieci di queste cartelle Il leader del movimento sciita accusa gli Stati Uniti praticamente di tutto quello che è successo dal secondo dopoguerra in avanti. Eccetto che per questa digressione nel campo della politica estera, dobbiamo riconoscere al leader islamico il diritto di potersi occupare delle vicende interne al Libano e di dimostrare le

sue capacità di gestione del Paese. Rappresenta uno dei dieci pilastri religiosi su cui si fonda lo Stato. Così come dobbiamo riconoscergli di essere a capo di una delle fazioni meglio armate del Libano. Rispetto ad esempio al patriarca della Chiesa maronita, che occupa una posizione simile a quella del Papa per i cattolici. Una volta fu chiesto a Stalin perché non lasciasse i cattolici andare a pregare nelle chiese. Si dice che abbia risposto «Il Papa? Quante divisione possiede?». Ecco, Sayyed Nasrallah, al contrario del Papa del patriarcato maronita, ha una milizia che è più numerosa dell’esercito libanese ed ha un arsenale più fornito di quello dello Stato. Per questa ragione i suoi discorsi sono molto più importanti dei sermoni religiosi. Il leader del partito di Dio ha chiarito bene il perché non possa disarmare il proprio esercito. Elencando una nutrita lista di doveri, che i soldati sciiti dovrebbero assolvere, compresa la difesa del territorio nazionale e della popolazione, dagli attacchi esterni. Anche l’appello per l’abbandono del settarismo è un’iniziativa che darebbe più vantaggi alla minoranza sciita, rispetto a tutte le altre che formano la comunità libanese. Dubito che Hezabollah voglia veramente abbandonare il settarismo (cioè una ripartizione politica che rappresenti tutte le fedi e le etnie, ndr), come penso non lo vogliano fare neanche le altre fazioni religiose del Paese. A livello teorico il movimento islamico dovrebbe ricavare i

maggiori vantaggi dall’abbandono di un sistema elettorale a ripartizione, rispetto a un modello di tipo maggioritario. Ma solo in apparenza, se non si considerano gli effetti che avrebbe sulle altri parti politiche. Un cittadino di fede sciita, libero di scegliere alle urne, potrebbe non gradire la politica radicale rappresentata dalla resistenza musulmana. Potrebbe semplicemente scegliere tra chi possa meglio garantire per se e i propri figli i servizi essenziali, piuttosto che tra chi sia in grado di lanciare razzi contro Israele.

Hezbollah sa benissimo che i votanti sciiti lo punirebbero nelle urne, in un sistema maggioritario, se dovesse non mantenere le promesse fatte alla propria comunità. Una possibilità che un partito fondato sull’obbedienza, sui divieti e sulla santificazione della leadership non potrebbe mai tollerare. Chi più avrebbe da perdere nell’abbandono del sistema “settario” sarebbero quei Paesi che vogliono governare il Libano da lontano. Così, abolire l’attuale sistema politico in Libano, sarà meno facile che liberare la Palestina.

L’IMMAGINE

Nessuno si sente più libero di esprimere il proprio pensiero al telefono

Indossare un incubo

Credo che qualsiasi telefonata o registrazione effettuata, per un cittadino, può rivelare dei risvolti lessicali preoccupanti, nei confronti di chiunque. È la sicurezza di sentirsi libero di esprimere le proprie idee, senza che nessuno le ascolti, cosa che invece non è più. E molta gente che conosco inizia ad avere paura di parlare liberamente al cellulare o anche alla semplice cornetta casalinga. Possiamo parlare male della moglie, della mamma o del papà, ma esprimendo sempre, dopo, ciò che nel cuore desideriamo, bene e cordialità. Tali eresie sono cancellate dal decalogo politico e l’ultima vicenda la dice lunga: Gianfranco Fini avrebbe toccato il fondo nel suo rapporto con Silvio Berlusconi. Non credo che le cose stiano veramente così, e che il comportamento del presidente della Camera non sia esattamente la rappresentazione del suo vero sentire.

Una tigre blu dalle enormi fauci. Potrebbe essere il peggiore incubo di questa donna. Quello che vedete infatti, è un alebrije, una maschera particolare che nella tradizione popolare messicana serve a esorcizzare i mostri che popolano i nostri sogni. Ognuno si traveste da “incubo” - solitamente animali deformi, giganti, cornuti e con occhi fuori dalle orbite e sfila

Bruno Russo

SPARTIZIONE CATTOCOMUNISTA L’accanimento giudiziario contro il nostro capo del governo è unico al mondo. Ciò deriva dalla spartizione cattocomunista dell’Italia, dopo la caduta del passato regime. Il Partito comunista italiano si adoperò per controllare la giustizia e la cultura. La Democrazia cristiana volle guidare l’economia e trasformò i grandi enti di Stato in centrali di favori e finanziamento occulto. Ideologismo e dogmatismo continuano a prevalere su laicità, razionalità e concretezza.

Gianfranco Nìbale

PANNOLINI ECOLOGICI: PIÙ RISPARMIO E PIÙ RISPETTO Sono circa 6000 i pannolini monouso, fatti di plastiche e componenti chimici. La cosa più preoccupante non è tanto la spesa, calcolata in 500/600 euro l’anno a fa-

miglia, ma il pensiero che quei 6000 pannolini si trasformeranno in una tonnellata di rifiuti indifferenziabili, circa il 10% di tutti i rifiuti urbani prodotti, per cui, impiegheranno ben 500 anni per essere smaltiti. Invece, i pannolini lavabili sono costituiti da fibre naturali capaci di garantire massima traspirazione e assorbenza, limitando il rischio di dermatiti o allergie. Il vantaggio economico utilizzando i pannolini lavabili, è in un risparmio a famiglia di almeno 400 euro.

Domenico

CAPIRE CHI HA PAGATO Non raccontiamoci storie. Alcuni ragazzotti di belle speranze possono anche promuovere una manifestazione contro Berlusconi via web: è un loro diritto. Ma per portare decine di migliaia di persone a

Roma in pullman o in treno non basta avvalersi di internet o esibire uno straccio di colore viola. È indispensabile tanta vil moneta sonante. Allora, bisogna sempre andare alla ricerca di chi ha pagato per capire il senso e gli obiettivi di una manifestazione.

Francesco Comellini

COMPLIMENTI Devo complimentarmi con la redazione di liberal per gli articoli che ha dedicato allo scandalo del Climategate. È stato l’unico quotidiano italiano a parlare delle conseguenze dello scandalo scoppiato con l’email rubate, che hanno causato le dimissioni di

Phil Jones del Climate research unit e tra i principali membri dell’Ipcc. Purtroppo questo silenzio della maggior parte dei media sta ad indicare quanta poca verità vi sia nell’informazione nostrana e delle conseguenze che questa provoca nell’opinione pubblica.

Gianni Pettinari


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog

dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Promettimi di non preoccuparti Mio Bebè angioletto, non ho molto tempo per scriverti, né avrei in verità, mio piccolo amore cattivo, molte cose da dirti che non possa dirti assai meglio domani, a voce, durante il tempo, purtroppo breve, che dura il tragitto da Rua do Arsenal fino a casa di tua sorella. Non voglio che tu ti preoccupi; voglio vederti allegra, come è tua natura essere. Promettimi di non preoccuparti, o di fare il possibile per non lasciarti preoccupare. Non hai nessuna ragione per preoccuparti, credilo. Senti, piccolo Bebè... Nei tuoi voti chiediuna cosa, che prima mi sembrava impossibile, per via della mia poca fortuna, ma che ora mi pare più - molto di più - possibile. Chiedi che il signor Crosse azzecchi un grosso concorso - un premio di mille sterline - a cui hai partecipato. Non puoi immaginare quanto sarebbe importante per noi se ciò si verificasse! E poi, guarda, ho visto nel giornale inglese che ho ricevuto oggi, che egli si è già trovato a una sterlina di quota in un concorso in cui le sue sorti erano piuttosto scarse; tutto è dunque possibile. Ah, se ciò potesse succedere, mio piccolo amore, e proprio in un concorso di quelli grossi! Capisci? Ciao amore, non ti scordare del signor Crosse. Molti baci di tutte le misure. Fernando Pessoa a Ophélia Queiroz

ACCADDE OGGI

NO AI CROCIFISSI, SÌ ALLE MOSCHEE E AI MINARETI Se i popoli della regione geografica europea avessero contato qualcosa, ci sarebbero ancora molti crocifissi e poche moschee, salvo quelle storiche, ricordo della feroce invasione ottomana. E se anche da noi, contro la volontà degli “indiani d’Europa”, numerosi campanili diverranno minareti, ci deve essere qualcosa che non quadra. Ci viene quasi a noia, ripetere la stessa tiritela che affermiamo da venti anni. L’invasione extracomunitaria, che non ha nulla a che vedere con l’immigrazione, poteva e doveva essere evitata. Se è parzialmente vero che alcuni lavori i giovani dell’Europa occidentale non li vogliono più compiere, è anche vero che all’inizio dell’invasione il Muro di Berlino era già caduto e dall’Est - e non dal Marocco, dall’Africa e dall’Asia - sarebbero potuti arrivare i famosi manovali, muratori, imbianchini. Non ci vengano a raccontare frottole con la storia dell’agricoltura, questa è morta con l’industrializzazione selvaggia, con il concetto malvagio dello sviluppo e anche con l’aver indotto le donna a vergognarsi di sposare un “contadino”. Ma gli intelligentoni del Pci e della sinistra europea intuirono l’affare, anzi, lo dissero chiaro e tondo sin dal 1988: «Dal prossimo hanno faremo arrivare in massa gli extracomunitari, ci serviranno per rilanciare la lotta di classe, disarticolare l’Occidente e la chiesa cattolica». L’idea fu poi favorita da tutti i poteri forti, quelli che stanno riuscendo a far fabbricare a prezzi di fame oggetti più che

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)

11 dicembre 1958 L’Alto Volta (attuale Burkina Faso) dichiara l’indipendenza dalla Francia 1961 Gli Usa intervengono nella guerra del Vietnam 1970 John Lennon pubblica l’album John Lennon/Plastic Ono Band 1971 Viene fondato il Partito libertario degli Stati Uniti 1972 L’Apollo 17 sbarca sulla Luna 1979 Madre Teresa di Calcutta riceve il Premio Nobel per la Pace 1981 Javier Pérez de Cuéllar diventa segretario generale delle Nazioni Unite 1987 Un’autobomba dell’Eta a Saragozza provoca 11 morti e 40 feriti 1991 Nasce a Maastricht l’Unione europea 1994 Inizia l’intervento militare russo in Cecenia 1997 Kyoto: alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, viene redatto un Protocollo che prevede la riduzione entro il 2012 delle emissioni dei gas serra del 5,2% rispetto al 1990 2001 La Repubblica popolare cinese entra nella World trade organization

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

pubblicizzati - in India, nelle Filippine e in Cina - per poi imporli, con enormi plusvalori, in tutto l’Occidente. E se per far questo occorre distruggere le identità e le culture, chi se ne frega. Il mondo è bello quando saremo tutti bastardi, vestiremo tutti uguali, mangeremo la stessa brodaglia e avremo come “fidanzata” un trans… altro che famiglia tradizionale. È dalle fogne comuniste e paracomuniste che nasce ogni male, ma è dagli imprenditori “liberali”, dal loro inaudito egoismo, dalla loro ignoranza e meschinità, dalla voglia demenziale di ben apparire con macchinoni e prostitute al seguito, che si salda la sopraffazione sulla volontà dei popoli con la stampa - da loro pagata che urla contro il crimine della xenofobia. In questo contesto, molto ridicola è apparsa l’uscita del ministro Brunetta, che ha definito mascalzoni chi assume gli extracomunitari a nero. Si guardi intorno e vedrà che buona parte di questi “mascalzoni” sono tra i suoi elettori.

Lettera firmata

SCUOLE PARITARIE E 5 PER MILLE Il fondo per le scuole non statali e quello per il 5 per mille sono due priorità che nella finanziaria 2010 potranno trovare risposte attraverso gli emendamenti presentati dai componenti Pdl della commissione bilancio. In un’ottica sussidiaria e in attuazione del programma di governo, valorizzare queste realtà educative e associative, produce benefici, anche di carattere economico, alla comunità e quindi allo Stato.

TUTELA, PROMOZIONE, SOSTEGNO E QUALIFICAZIONE DELL’ARTIGIANATO ARTISTICO Nell’ambito dell’artigianato, quello artistico è da sempre il comparto più “fragile”, con meno tutele e relegato ad un ambito ristretto. L’artigianato artistico è invece un patrimonio culturale, storico ed economico che ha radici profonde nella nostra storia civile. Nell’ambito delle relazioni culturali mondiali, dell’economia globale e del confronto tra civiltà ed espressioni diverse, l’identità di un popolo diventa ricchezza. In questo senso il Titolo V della l.r 12 marzo 1990 n. 5, va estrapolato e modificato per farne una legge ad hoc. Si prova così a raggiungere i seguenti obiettivi:affermare la validità dei patrimoni unici presenti nella nostra tradizione di artigianato artistico attraverso una promozione culturale nelle scuole e nella nostra realtà. Conoscere è già promuovere; garantire l’autenticità della nostra produzione attraverso la sottoscrizione di disciplinari, utilizzando incentivi per il loro rispetto, così da garantire la qualità, la filiera produttiva e l’acquirente. La carta del Made in Italy va rilanciata; sostenere le botteghe artigiane promuovendo gli spazi di esposizione e vendita, anche come caratterizzazione dei centri storici, con piani annuali; affermare una diversa cultura del lavoro che recuperi la manualità e le competenze tecniche che si apprendono sul campo, attraverso contratti di apprendistato, tirocini lavorativi, progetti di ricerca aziendali con le università e/o con i centri di formazione, sia per gli aspetti gestionali e di marketing, che per l’innovazione produttiva; favorire programmi di reti di aziende per la promozione e vendita diretta all’estero, partendo da esperienze positive di aziende pilota, consolidando mercati e conquistandone di nuovi; organizzare itinerari turistici dell’artigianato artistico da finanziare e promuovere con il prossimo bando turismo ambiente cultura e grandi eventi d’arte. In questo modo si sviluppa un artigianato innovativo che testimonia la cultura di questi decenni, la ricerca dei materiali e le produzioni creative, al pari di altri settori dell’ economia dove “vive chi innova”. Di fronte alle difficoltà attuali occorre tamponare per non perdere le aziende e le loro professionalità, ma occorre riorganizzare il settore come hanno fatto altre regioni, investendo per superare la crisi. Ciò sarà possibile se anche i giovani ci crederanno e saranno messi nelle condizioni di scegliere questa professione. È una proposta di legge che punta a focalizzare interesse e impegno sul settore di nicchia, non con iniziative sporadiche, seppure utili, ma di sistema. Ada Girolamini

APPUNTAMENTI DICEMBRE 2009 OGGI, ORE 11, ROMA PALAZZO FERRAJOLI - PIAZZA COLONNA Consiglio nazionale dei Circoli liberal.

VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Gabriele

Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Filippo La Porta, Maria Maggiore,

Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio

Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,

Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,

Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma

Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via di Santa Cornelia, 9 00060 Formello (Rm) - Tel. 06.90778.1

Amministratore Unico Ferdinando Adornato

Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69922118

Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Bruno Lagrotta Amministratore delegato: Raffaele Izzo Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato,Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Gennaro Moccia, Angelo Maria Sanza Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: 0669924747

Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani,

Emilio Spedicato, Davide Urso,

Tipografia: edizioni teletrasmesse New Poligraf Rome s.r.l. Stabilimento via della Mole Saracena 00065 Fiano Romano

Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari,

Marco Vallora, Sergio Valzania

Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.”

Loretto Rafanelli, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner,

Abbonamenti

06.69924088 • fax 06.69921938 Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro

Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc

e di cronach

via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it

Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.