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he di c a n o r c
Il problema, nel tentativo
di ritrovare un padre ormai perduto, è perderlo decisivamente Donald Barthelme
9 771827 881004
di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • SABATO 16 GENNAIO 2010
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Il decennale della morte del leader Psi irrompe nell’attualità politica
È Berlusconi l’erede di Craxi? È la tesi della figlia Stefania. E mentre mezzo governo parte per Hammamet, Paolo Cirino Pomicino, Rino Formica e Sergio Romano spiegano a liberal perché si tratta di un’equazione politica sbagliata. E affrontano il tema più controverso: statista o furfante… alle pagine 6, 7, 8 e 9
Comincia a porsi l’enigma della ricostruzione
Haiti, sarà difficile farla rivivere
La strategia dell’Udc per le regionali agita il dibattito politico italiano
Tutti pazzi per il Centro di Errico Novi
«Non siamo un problema ma una soluzione»
ROMA. Lacerazioni simme-
A Port-au-Prince regna il caos. Estratti vivi dalle macerie tre sopravvissuti, ma cresce il timore di epidemie e rivolte popolari
triche e contemporanee. A Palazzo Grazioli, dove Silvio Berlusconi trattene a stento la rabbia per il via libera obbligato all’alleanza con l’Udc. E nei luoghi della politica pugliese, dove per il Pd la difesa della candidatura di Francesco Boccia, appoggiata da Casini, ha il prezzo della rottura con la sinistra estrema. Da qualunque angolazione lo si osservi, il panorama offre fratture profonde, tensioni fortissime.
di Enrico Singer è un disastro nel disastro ad Haiti. Adesso tutti pensano a salvare il salvabile, a soccorrere le vittime, a tirare fuori dalle macerie i superstiti. Ed è giusto che sia così. Purtroppo c’è anche poco tempo a disposizione perché le statistiche dicono che, dopo quattro giorni, è un miracolo trovare ancora qualcuno in vita. Ma la sensazione che il peggio possa ancora arrivare è sempre più netta. Perché questo terremoto è senza precedenti non tanto per il numero dei morti - pure spaventoso - quanto perché ha fatto saltare le già fragilissime strutture istituzionali del Paese. A oggi non c’è più alcuna autorità in grado di prendere in mano la situazione, nelle strade domina il caos.
C’
I QUADERNI)
di Franco Insardà
ROMA. «Berlusconi ha già tanti problemi, perché vuole crearsene un altro?». Il problema sembra essere l’Udc. «Che invece è la soluzione», dice Ferdinando Adornato. «Noi abbiamo un progetto politico. Se nelle regioni, Pdl o Pd ne riconoscono il valore, siamo qui. Altrimenti, amici come prima».
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Un libro e le polemiche sulla visita di Ratzinger alla Sinagoga di Roma
Parla Calogero Mannino, dopo 18 anni riconosciuto innocente dalla Cassazione
Perché sbaglia il rabbino Laras
«Vi racconto la mia assurda Odissea»
di Marco Respinti
di Aldo Bacci
a visita di papa Ratzinger, domani, alla Sinagoga di Roma riapre la ferita del rapporto tra Pio XII e il nazismo che da sempre divide cattolici ed ebrei. Alle proteste del rabbino Laras risponde un libro. a pagina 12
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Il parere di Ferdinando Adornato
• ANNO XV •
NUMERO
10 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
ROMA. «Non è troppo semplice spiegare il senso della mia Odissea. Nel 1992 sia pure per fatti oggettivi il potere giudiziario ha esondato dal suo corso, ha rotto un equilibrio istituzionale, ha travolto la politica». Calogero Mannino racconta la sua avventura. a pagina 10 IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Tutti pazzi per il Centro. L’attuale bipolarismo messo in crisi dalla strategia moderata. Ma anche dalla sua fragilità
Il ritorno della politica
«Casini fa emergere la subalternità alle estreme di Pdl e Pd», dice Campi. De Giovanni: «Seria la strategia Udc, la diaspora democratica la rafforzerebbe» di Errico Novi
ROMA. Scene simili. Lacerazioni simmetriche, contemporanee. A Palazzo Grazioli dove Silvio Berlusconi trattiene a stento la rabbia per il via libera obbligato all’alleanza con l’Udc. E nei luoghi virtuali della politica pugliese, dove la difesa della candidatura di Francesco Boccia, appoggiata da Pier Ferdinando Casini, ha il prezzo per il Pd di uno strappo forse irreversibile con la sinistra estrema. Da qualunque angolazione lo si osservi il panorama offre fratture profonde, tensioni fortissime, frantumazione. Sarebbe deformante certo attribuire alla capacità disvelatrice del Centro tutti i meriti della dolorosa chiarificazione in corso. È forse più corretto sostenere che il partito di Casini ha agito con la leva della politica, strumento quasi del tutto dismesso da altri, per rendere più visibili le incoerenze altrui. In Calabria, per esempio, dove una parte del Pd si prepara a sostenere il centrista Roberto Occhiuto contro l’uscente Agazio Loiero. «Eppure un’obiezione da fare c’è», dice il professor Alessandro Campi, direttore scientifico di Farefuturo, «e non mi riferisco alle vecchie accuse di democristianeria. Casomai la mia perplessità su Casini riguarda l’efficacia della sua strategia: se si contesta il bipolarismo perché non presentarsi da soli come terza forza anche alle Regionali, come si è fatto due anni fa alle Politiche?». Secondo Campi sostenere i candidati delle due coalizioni in modo disomogeneo «finisce per legittimare l’idea che ci si debba per forza schierare da una parte o dall’altra». Non si può accusare il Centro, in ogni caso, di stare lì a lucrare, di essere «il partito degli assessori», dice Campi. Ma allora non è utile, strategico, far emergere le debolezze di tutti e due i grandi partiti? «Posso capire la scelta di ricondurre al centro i due schieramenti, ma questo non intacca la struttura bipolare del sistema. Che ormai è connotato in questo modo anche nella testa dei cittadini: anche
grazie alle leggi elettorali i candidati che si confrontano sono sempre due». Insomma, dice il professore di Perugia, «se vuoi scardinare questo assetto non puoi tentare di intaccarlo a livello nazionale, come fatto con la scelta solitaria del 2008, e tenerlo in vita in periferia». È anche vero che l’agitazione prodotta nel Pdl e nel Pd dal tema dell’alleanza con Casini attesta una chiara fragilità dei partiti maggiori: «Non c’è dubbio, l’Udc ha sollevato il problema del condizionamento
che le due forze principali subiscono dagli alleati minori. Questo è un fatto che ha legittimato la scelta dell’Udc. Il nodo esiste», dice Campi, «però non credo lo si possa risolvere per la
Colpo di scena in Calabria: il Pd dice no a Loiero e alle primarie. «Il nostro candidato è il centrista Occhiuto» via intrapresa dal partito centrista». Peraltro secondo il politologo che dirige la fondazione di Gianfranco Fini le fibrillazioni degli ultimi giorni derivano anche dalla difficoltà a selezionare la classe dirigente». Più in dettaglio: «Non si riesce a individuare candidati che abbiano una caratura nazionale: Pdl e Pd finiscono in alcuni casi per mettere in campo loro parlamentari non all’altezza. Si può fare l’eccezione del Lazio, ma altrove si notano scelte troppo sofferte». L’esempio? «La Campania: non si riesce a trovare l’alternativa a Bassolino, eppure è chiara l’importanza della partita, visto che lì il go-
verno nazionale si è impegnato direttamente».
Verrebbe da pensare che certe sfuriate contro «Casini che ha stufato» siano lo schermo dietro cui si nasconde proprio questa povertà di risorse. È in ogni caso difficile accontentarsi della liquidatoria battuta sui due forni laddove l’Udc rivendica il diritto ad appoggiare candidati moderati. «Quest’aspetto c’è, è indiscutibile» dice il filosofo ed ex europarlamentare del Pci-Pds Biagio De Giovanni, «ma è solo una parte della verità:
il vero obiettivo dei centristi è la rottura del bipolarismo. Intendiamoci, questo a suo modo nobilita la politica dell’Udc, perché la pone in una dimensione strategica ampia. E però chi come me vorrebbe piuttosto far crescere il sistema bipolare, modificarlo ma non distruggerlo, non può che essere critico». Un conto è d’altronde giudicare la prospettiva centrista non funzionale alla crescita del sistema politico italiano, altro è liquidarla come mero esercizio opportunistico. Due cose lontane, tra le quali c’è tutta l’articolata analisi che propone De Giovanni: «Quel che si afferma non sempre è vero, ma nel caso dell’Udc non vedo inganni: siamo davanti a una politica del realismo, la cui forza fa perno sulla debolezza dei due poli. E più questa si acuisce più trova spazio la prospettiva di
Casini. Eppure io credo che i partiti maggiori debbano trovare il modo di superare queste contraddizioni, altrimenti il quadro rischia di frantumarsi». Secondo De Giovanni incombe un ritorno allo schema frastagliato della Prima Repubblica, «con una differenza: allora c’erano partiti veri, presenti sul territorio e il proporzionalismo puro andava bene. Oggi invece si produrrebbe uno scollamento confuso, se si tornasse a quel modello».
Proprio il sistema di voto ha un’evidente centralità rispetto al discorso. Perché anziché al baratro dell’anarchia, lungo la via disegnata dai centristi si può arrivare anche al modello tedesco: uno schema non bipartitico ma, grazie allo sbarramento alto, con un numero assai limitato di forze in gioco, e dunque con poche alleanze ipotizzabili. Ci sono due obiezioni, per De Giovanni: «Non vedo l’ineluttabilità del bipartitismo, io penso sempre a un sistema bipolare, anche se costruito attorno a due formazioni guida. E poi credo che ci si debba muovere entro un limite che definirei europeo: quando si vota deve essere chiaro chi governa. Non solo dev’essere riconoscibile la coalizione, ma anche il leader». Di certo lo studioso napoletano preferisce augurarsi una rigenerazione del sistema dal proprio interno: «Perché non si prova a superare il giustizialismo da un lato e dall’altro il populismo leghista, anche se su quest’ultimo il mio giudizio è assai meno severo?». Forse la risposta è nell’inadeguatezza della classe dirigente lamentata anche da Campi: «E però la qualità dipende anche dalla dinamica del sistema: nella Prima Repubblica il ruolo storico a cui Dc e Pci erano chiamati produceva da sé un livello superiore». Insomma, seppur collocato su un «piano strategico serio, che proprio in quanto tale va criticato seriamente», De Giovanni considera assai rischiosa, per il quadro politico in generale, l’opzione di Casini. Quanto meno non si può negare che la materia posta tra gli ingranaggi del sia appunto la politica, quella vera, elemento piuttosto sottoutilizzato negli ultimi tempi: «È vero e d’altronde la
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ROMA. «Berlusconi ha già molti problemi, perché vuole crearsene un altro?». Ferdinando Adornato sintetizza così il momento politico che vede il suo partito al centro dello scontro tutto interno al Pdl tra il premier e Gianfranco Fini. L’Udc è da sempre la spina nel fianco del Cavaliere. Ha già tante preoccupazioni dalla giustizia all’economia fino ai rapporti all’interno della sua maggioranza che non c’è proprio bisogno di inventarsene di nuove. Viva tranquillo. Se nelle diverse regioni la nostra presenza crea problemi ne prenderemo atto e faremo le nostre scelte. Se viceversa possiamo essere una soluzione siamo pronti a fare la nostra parte. Come spiega, allora, questo atteggiamento? Non facciamo parte del suo mondo di riferimento ormai da due anni, non siamo in Parlamento nè grazie a lui né grazie a Veltroni. Vogliamo essere la soluzione del problema che è quello di un sistema politico che non ce la fa più a governare il Paese. L’Udc, quindi, pronta a tutte le ipotesi. Questo no. Siamo un partito che ha un suo progetto che puo essere accettabile o meno. Si può trattare, ma se la nostra linea politica viene rifiutata allora, amici come prima e ognuno per la sua strada. Berlusconi può condividerla o meno, ma è la linea di un partito autonomo e libero. Lui non ha obblighi nei nostri confronti, né noi verso di lui. E l’accusa di adottare la politica dei due forni? Noi non usiamo gli altri per ottenere dei vantaggi, non lo abbiamo fatto per le elezioni politiche 2008 e non lo faremo adesso. In molte regioni abbiamo deciso di andare da soli, non abbiamo posto nelle trattative condizioni, se non programmatiche, non abbiamo chiesto di avere presidenti candidati. L’unica proposta in questo senso ci è arrivata dal Pd in Calabria. Comunque l’Udc sta dettando l’agenda politica. L’abbiamo detto a chiare lettere: il nostro obiettivo è quello di superare non il bipolarismo in se, ma questo bipolarismo, fondato sul premio di maggioranza legato al coalition power della Lega da una parte e di Di Pietro dall’altra. È solo una questione di voti?
mia analisi parte proprio da questo: le accuse di accomodamento rivolte a Casini sono del tutto insoddisfacenti. Dico di più: se il Pd si polverizza la strategia dell’Udc ne esce rafforzata. Anche perché a una
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L’opinione di Ferdinando Adornato
«Caro Silvio, non siamo un problema ma una soluzione» di Franco Insardà Non solo. Perché c’è l’esigenza di una cultura politica che non si sente rappresentata dai due schieramenti. Il centro è la gravità permanente delle regole di una democrazia. Bindi e Gentiloni dicono di non voler delegare ad altri la rappresentatività della cultura moderata. Eppure il Pd non ce la fa... E sul fronte opposto? Quando Fini dice che tra la sua cultura istituzionale e quella di Berlusconi c’è una distanza evidente pone lo stesso problema. L’Udc diventa attrattiva per i moderati sia del Pd sia del Pdl? Nella prossima settimana, quando sarà chiuso il capitolo delle candidature regionali, riproporremo l’appello della Costituente di Centro che oggi si è arricchita del movimento verso di noi di Francesco Rutelli e anche delle presenze di Renzo Lusetti ed Enzo Carra. A livello territoriale cominciano a essere più numerosi gli esponenti del centrodestra che manifestano interesse per noi. Vogliamo favorire l’ingresso di tutti perché abbiamo il ruolo di fondatori di un nuovo grande partito. Perché avete adottato questa
disgregazione su un fronte seguirebbe inevitabilmente, per una fatale legge dinamica, un inizio di disgregazione anche dall’altro: il contrasto tra Berlusconi e Fini, per esempio, si acuirebbe». Ci sono due varia-
strategia per le Regionali? Abbiamo ritenuto che ci poteva essere l’opportunità di mettere ulteriormente in crisi questo sistema che non funziona. Con quali strumenti? Esercitando una pressione perché alla fine il Centro venga ritenuto un luogo indispensabile dell’agire politico.Visto che gli italiani hanno confermato con
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tristi. Forse tutti e due. La nostra posizione è così trasparente che abbiamo deciso di non “entrare”nelle coalizioni, ma pronti a stipulare un patto di programma con i singoli candidati governatori, che sono liberi di sottoscriverlo o meno. Avete comunque posto delle condizioni. Di carattere generale. Nei confronti del Pdl abbiamo messo il paletto dell’egemonia leghista che contestiamo già a livello nazionale. E po c’è la vicenda pugliese dove il governatore uscente, pur essendo una persona apprezzabile, fa parte dell’era Prodi e della storia della sinistra radicale nell’Unione. Che tipo di alleanze vorreste con Pd e Pdl? Siamo interessati a un Pdl che rinunci all’egemonia leghista e a una sinistra riformista che Bersani e D’Alema hanno dichiarato di voler ffinalmente costruire. Non c’era alternativa a queste scelte per le Regionali? Quella di andare da soli in tutte le regioni. Che assieme alla radicalità di una testimonianza contestativa forse ci avrebbe potuto portare un pacchetto di voti maggiore. Non ci sentiamo, però, un partito di protesta, ma una forza di governo. Eppoi questa strategia non avrebbe ottenuto il risultato di rendere evidente il “bisogno di Centro” di entrambi gli schieramenti. Perché? Avrebbero fatto finta che non esistiamo, si sarebbero di nuovo appellati al voto utile, recitando la litania della campagna elettorale del 2008. E adesso invece? Prenda il Lazio e la Puglia. La Polverini sente il bisogno proprio per battere un candidato come la Bonino di poter far conto sui valori, sulla storia, sulla cultura di ispirazione cristiano-liberale. È chiaro che senza di noi la sua offerta politica è meno efficace. E in Puglia? Se decideranno (oggi ndr.) di puntare su Vendola, si verificherà alle elezioni che il perdurare di una proposta politica rappresentata dalla sinistra radicale non per vincere e non per permettere l’evoluzione di un Pd in chiave riformista. E avranno perso un’occasione.
In molte regioni abbiamo deciso di andare da soli, non abbiamo posto nelle trattative condizioni, se non programmatiche il loro voto la nostra esistenza e in molte regioni eravamo decisivi abbiamo ritenuto che il bisogno di centro potesse emergere meglio dando la nostra disponibilità a partecipare ai governi delle regioni. Una posizione che si tenta di far passare come equivoca. Questo avviene o perché c’è malafede o un pregiudizio nei confronti dei cen-
In alto, da sinistra: Fini, Berlusconi, Bossi e Bersani. Sotto, Ferdinando Adornato. Nella pagina a fianco, Roberto Occhiuto e Pier Ferdinando Casini
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bili importanti, secondo il filosofo: «Una è la Puglia, la regione laboratorio più d’avanguardia, per i centristi: se cade la candidatura di Boccia ne verrebbe un colpo pesante per i loro disegni. Così come, e lo dico
da amico personale di Emma Bonino, se la candidatura radicale nel Lazio dovesse produrre una frantumazione del Pd si avvierebbe quel processo, auspicato da Casini, di dissoluzione complessiva».
diario
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Dialogo. Il Capo dello Stato da Bari fa una «raccomandazione» al mondo politico: «Serve un’ottica di lungo periodo»
«Basta riforme a maggioranza» Appello di Napolitano. Ma Gasparri: «Noi andremo avanti comunque» al teatro Petruzzelli di Bari, dove ha presenziato alla cerimonia che ha aperto il nuovo anno accademico dell’ateneo pugliese da ieri intitolato ad Aldo Moro, il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha lanciato l’ennesimo monito al Governo.
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«Le riforme non debbono essere realizzate a colpi di maggioranza», ha ribadito il capo dello Stato. Sventato per il momento il tentativo di bloccare i processi in primo grado per novanta giorni a mezzo decreto, operazione che avrebbe messo in forte imbarazzo il Quirinale, la maggioranza non ha certo rinunciato ai requisiti di «necessità e urgenza» che caratterizzano l’azione del Governo a tutela della situazione giudiziaria del premier. Inutile ricorrere a un decreto, visto che secondo Elio Vito, la sentenza 333 della Corte costituzionale, che consente di stoppare i processi fino a tre mesi qualora l’imputato non abbia avuto la possibilità di ricorrere al rito abbreviato, è immediatamente applicabile. Soprattutto perché rispecchia alla perfezione la situazione giudiziaria del presidente del Consiglio. Archiviata l’effimera gloria della riforma fiscale, che Silvio Berlusconi ha prima annunciato imminente e poi collocato in un futuro più radioso nel volgere di poche ore, è chiaro che qualunque accenno alle riforme non possa che riguardare, in primis, la giustizia.Vero e proprio avatar del processo Mills e del processo breve, alias morto. «Faccio appello alla consapevolezza, che non dovrebbe
di Francesco Lo Dico
riforme ben più sentite come improrogabili dalla maggioranza. Che la preoccupazione del capo dello Stato sia rivolta in particolar modo al processo breve, lo conferma l’espressione «in un’ottica di lungo periodo e non sulla base di impostazioni contingenti», che fa il paio con il monito rivolto dallo stesso Napolitano a Berlusconi nel corso della telefonata di lunedì scorso. Il presidente della Repubblica auspicava infatti nel corso di un gelido colloquio con il premier «interventi non occasionali» e «non di corto respi-
Per il Quirinale, per costruire un futuro solido bisogna «sottrarre i cambiamenti costituzionali all’effimero gioco di semplici aggregazioni» mai mancare tra le forze politiche e sociali, dell’assoluta necessità di lavorare e di riformare, in un’ottica di lungo periodo e non sulla base di impostazioni contingenti, asettiche, di corto respiro cui corrispondano conflittualità deleterie», ha detto Napolitano nel corso del suo intervento. E pur riferendosi nello specifico a una riforma universitaria in grado di bloccare la fuga dei cervelli all’estero, come richiesto dal rettore dell’università barese Petrocelli, il capo dello Stato ha aggiunto un «anche per la riforma dell’Università», che fa pensare a
ro». Raccomandazione accolta da Berlusconi con un cordiale «naturalmente, presidente».
E naturalmente, intanto, il processo breve avanza al Senato, grazie a una maggioranza che ha ritrovato compattezza in seguito al recente rendez- vous tra Fini e Berlusconi. Potrebbe essere approvato prima dell’estate, a dispetto della sentenza Mills prevista tra aprile e maggio. Errore di calcolo? Niente affatto. Spiega un ex forzista: «Anche se la Consulta bocciasse il legittimo impedimento, ci sarebbe il secondo scudo del
Caso Mills: dibattimento aperto e rinviato
Berlusconi a processo MILANO. I giudici della decima sezione penale del Tribunale di Milano hanno dichiarato aperto il dibattimento del processo a Silvio Berlusconi, accusato di aver corrotto l’avvocato David Mills. I giudici quindi non hanno accolto la richiesta di dichiarare inutilizzabili tutti gli atti formatisi nel corso del processo - che si è concluso con la condanna del legale inglese - e il capo di imputazione che colloca il reato nel 2000. Subito dopo, però, sempre su richiesta dei legali del premier hanno deciso di rinviare le udienze al 27 febbraio, data in cui la Cassazione deciderà sull’avvocato inglese. La decisione viene considerata ”condivisibile” da Niccolò Ghedini. «Ciò consentirà di rinviare il processo - spiega il deputato, legale di Silvio Berlusconi - con maggiori elementi di cognizione di causa». Ma i giudici hanno sospeso i termini di prescrizio-
ne mentre prima avevano respinto un’altra richiesta avanzata dai difensori secondo i quali il processo era sostanzialmente «tutto da rifare». Infatti, secondo Nicolò Ghedini e Piero Longo, i legali del presidente del Consiglio, «nessuno degli atti dichiarati efficaci dal presidente del tribunale di Milano sono utilizzabili». Richiesta definita ”inammissibile” dal Pm Fabio De Pasquale.
Gli atti dunque restano validi anche se «l’opportunità di utilizzarli deve essere valutata atto per atto». La soddisfazione di Ghedini, comunque, dimostra che la nuova linea di difesa del premier (avvalorata da una voce che dave per imminente un decreto sul tema) resta quella che punta a invalidare gli atti di processi passati nel caso di nuovi processi. E questo, esattamente, è il caso di ieri e del processo Mills.
processo breve, che offrirebbe il tempo di pensare ad una nuova soluzione o con l’immunità parlamentare o con il lodo Alfano bis». Fatti che lasciano intendere quanto non siano occasionali né gli interventi studiati dal Governo in tema di riforme, né le parole del presidente Napolitano in quel di Bari. L’appello del Quirinale, intanto, sebbene espressamente rivolto alla maggioranza, è stato per il momento riferito dall’esecutivo ad altro destinatario. Libere interpretazioni sintattiche, insomma, come quella del ministro dell’Attuazione del Programma di Governo, Gianfranco Rotondi: «L’appello di Napolitano va sempre nella direzione auspicata da questa maggioranza di approdare a riforme condivise. Noi ci stiamo muovendo nel segno tracciato dal capo dello Stato nei mesi precedenti e nel discorso di fine anno. L’opposizione faccia altrettanto evitando derive». Dell’invito a non realizzare «riforme a colpi di maggioranza», fornisce la solita avvincente parafrasi anche il portavoce del Pdl, Daniele Capezzone: «La maggioranza ha teso e tenderà la mano alla minoranza sulle riforme. Ma ora sta all’opposizione essere coraggiosa e dare seguito al monito del Capo dello Stato: il Pd non può illudersi di avere un diritto di veto che non ha e non avrà, ma deve mettere gli estremisti dell’Idv in condizione di non nuocere politicamente, e deve prepararsi a collaborare al percorso riformatore».
Secondo le parole di Capezzone, Napoletano ha inteso dunque rivolgere un criptico invito al Pd, perché si liberi dall’abbraccio mortale dell’Italia dei Valori. Quando si dice “parole sibilline”. Altrettanto pronte, ma meno temprate dagli enigmi lessicali di Bartezzaghi, le dichiarazioni del presidente del gruppo Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, che ha spiegato come la maggioranza «si auguri la condivisione delle scelte tra le parti per le riforme della Costituzione, ma a nome della maggioranza ricorda che «sul presidenzialismo, sul federalismo, sulla riduzione del numero dei parlamentari e la riforma della giustizia abbiamo ricevuto un mandato dagli elettori cercheremo la condivisione, ma le riforme andranno fatte in ogni caso». Sbaglia dunque chi parla di riforme a colpi di maggioranza, insomma. Si tratta di riforme diversamente condivise.
diario
16 gennaio 2010 • pagina 5
Presunte foto del leader Idv con Mori e Contrada
Nuovo appello alla politica e al mondo scientifico
Di Pietro: «C’è un falso dossier su di me»
Il Papa chiede «leggi morali anche per i non credenti»
MILANO. «Stanno preparando un dossier contro di me». È l’accusa lanciata dal leader dell’Italia dei Valori Antonio Di Pietro. «Da giorni si aggira per le redazioni dei giornali e nel circuito politico della Capitale uno strano personaggio che sta offrendo a buon mercato un dossier di 12 foto che mi ritrarrebbero insieme indovinate a chi? No, niente escort. I miei interlocutori sarebbero, anzi sono, il colonnello dei carabinieri Mori ed il questore della polizia di Stato Contrada. Insieme a loro nella foto ci sarebbero anche alcuni funzionari dei servizi segreti» spiega Di Pietro che, dal suo blog, aggiunge che «naturalmente un acquirente si è subito fatto avanti: il solito quotidiano che, pur di buttare fango sul sottoscritto, acquista qualunque cosa, anche a prezzi esorbitanti, costi che poi si sommeranno a quelli che dovrà pagare per la querela che farò, e che si aggiungerà alla denuncia che ho già provveduto a depositare alla magistratura, perché questa volta sono venuto a conoscenza per tempo della trappola».
CITTÀ DEL VATICANO. Papa Ratzinger è tornato a parlare di bioetica e delle leggi che dovrebbero regolarne i limiti. La legge morale naturale, dalla quale la Chiesa fa derivare le proprie convinzioni in materia di bioetica, «non è esclusivamente o prevalentemente confessionale», ma è «iscritta nel cuore di ogni uomo» e «interpella ugualmente la coscienza e la responsabilità dei legislatori», anche se non credenti: con queste parole Benedetto XVI ha ricevuto ieri i partecipanti alla plenaria della congregazione per la Dottrina della Fede. Indicando una via che vale per temi «delicati ed attuali, come la procreazione e le nuove proposte terapeutiche che com-
«Il copione - dice il leader Idv - si sta per ripetere anche questa volta, come per tutte le fasi elettorali precedenti. Il “bidone” che il solito giornale sta costruendo è davvero sporco e
Tra inflazione e lavoro, il 2010 per Bankitalia Via Nazionale stima una crescita del Pil dello 0,7 per cento di Francesco Pacifico
ROMA. Mario Draghi l’aveva detto già nel marzo scorso, nella sue “Considerazioni”, che la crisi si sarebbe sentita più nel 2010 che nel 2009. E ieri sono arrivati i riscontri nell’ultimo Bollettino economico di Banca d’Italia. Guardando al futuro più prossimo Palazzo Koch vede per l’anno in corso una crescita dello 0,7 per cento, per quello venturo dell’uno. Ma più dei punti percentuali in meno rispetto alle stime del governo, spaventa la difficoltà del Belpaese ad agganciare la ripresa. Per il prossimo biennio «permangono significativi margini di incertezza, connessi, da un lato, a una domanda mondiale che potrebbe risultare più favorevole di quanto ipotizzato e, dall’altro, al rischio che le condizioni del mercato del lavoro permangano deboli».
Proprio l’occupazione rischia di essere la principale criticità. Essendo un indicatore ritardato, si sconterà il picco del calo di domanda nel 2009 su parte del 2010. E le cose non potranno che peggiorare se a oggi sono 2,6 milioni gli italiani in cerca di lavoro e le ore di cassa integrazione hanno sfiorato quota 1 miliardo. Ma un altro campanello d’allarme è l’inflazione. Ieri l’Istat ha reso noto che a dicembre ha segnato rispetto all’anno scorso un aumento dello 0,8 per cento, toccando il minimo storico dal 1959. Secondo la Banca d’Italia, e complice le tensioni su petrolio e materie prime, nel 2010 il carovita salirà all’1,5 per cento e all’1,9 nel 2011. Numeri che metteranno in crisi il potere d’acquisto, a rischio erosione anche per i prossimi rialzi dei tassi e per aumenti contrattuali decisi con i prezzi congelati. Di conseguenza, ci si affida all’export per frenare i i gap su occupazione e reddito. Export che potrebbe salire di oltre il 4 per cento del 2010. Altrimenti saranno guai, visto che «in presenza di ampi margini inutilizzati di capacità produttiva, la spesa delle imprese in beni strumentali si prefigura modesta». Tutto sulle spalle delle imprese che nel terzo trimestre 2009 hanno aumentato gli investi-
menti fissi lordi (+4,2 per cento nella componente dei macchinari), ma che ha visto nei primi 9 mesi dell’anno cadere la produttività del lavoro del 2,2 per cento. Di positivo c’è che la pressione fiscale non dovrebbe aumentare, se non nominalmente. Nel Bollettino si legge che la Finanziaria «prevede per il 2010, oltre alla proroga di interventi già avviati, alcuni aumenti di spesa corrente. La copertura delle misure è prevalentemente affidata alla riduzione di stanziamenti disposti in precedenza e a interventi temporanei sulle entrate che dovrebbero avere limitate ripercussioni sull’attività economica». Banca d’Italia presenta poi un consuntivo più pesante di quello del governo sul 2009. Emblematico che il Pil, tornato a crescere in estate dello 0,6 per cento a livello congiunturale dopo cinque trimestri, si è espanso nell’ultima parte del 2009 a ritmo inferiore. Le entrate sono diminuite del 2,6, per un valore totale di 10,6 miliardi. E il saldo finale non ha potuto beneficiare di una tantum come lo scudo fiscale anche per la decisione di far slittare al 2010 gli acconti Irpef e e Irap di novembre. I consumi delle famiglie hanno registrato una fiammata soltanto nella seconda parte dell’anno (+0,4) soprattutto grazie agli incentivi fiscali per il rinnovo del parco auto.
Sono saliti a 2,6 milioni gli italiani in cerca di lavoro. E i numeri possono soltanto peggiorare. Caro vita verso l’1,5 per cento
squallido: quello di voler far credere, utilizzando alcune foto del tutto neutre, che io sia o sia stato al soldo dei servizi segreti deviati e della Cia per abbattere la Prima Repubblica perché così volevano gli americani e la mafia. Certo che ce ne vuole di fantasia... e anche di arroganza per ritenere che gli italiani siano tutti così allocchi da bersi una panzana del genere». «Ne hanno acquistate 4 di foto – dice Di Pietro - e, prima delle elezioni, le pubblicheranno». E allora, aggiunge Di Pietro «magari sarà pure capitato che, nelle pause di lavoro, mi sia fermato a mangiare o a bere un caffè con loro, anche per approfondire meglio il lavoro. Dove sarebbe lo scandalo?».
Guardando in casa propria, cioè alle banche, via Nazionale vede una certa staticità nella raccolta (+2,1 per cento) e un calo dei margini d’interesse del 5,5, mentre prosegue il consolidamento dei ratios. Peggiora la qualità del credito con il livello delle sofferenze salito al record storico del 2,2. Nota l’economista ed ex vicedirettore di Bankitalia, Angelo De Mattia: «Il problema non è soltanto di offerta, ma anche di domanda». Ma la cosa non nuoce più di tanto alla sostenibilità degli istituti, e soprattutto non dovrebbe scaricarsi sulla clientela, perché «la redditività persa viene recuperata dalle attività di trading e dalla riduzione dei costi operativi di gestione.
portano la manipolazione dell’embrione e del patrimonio genetico umano». Insomma, un vero e proprio appello al mondo scientifico e politico impegnato sul fronte della manipolazione genetica dell’embrione e del Dna, affinché ascolti anche le argomentazioni della fede e il rispetto di ogni essere umano. «La Chiesa, nel proporre valutazioni morali per la ricerca biomedica sulla vita umana – ha aggiunto il Pontefice - attinge infatti alla luce sia della ragione che della fede, in quanto è sua convinzione che ciò che è umano non solamente è accolto e rispettato dalla fede, ma da essa è anche purificato, innalzato e perfezionato».
Benedetto XVI ha affrontato anche un nodo interno alla Chiesa. Quello dei rapporti dei problemi dottrinali con la Fraternità di San Pio X - il gruppo dei lefebvriani - auspicando il superamento definitivo delle difficoltà sorte nel corso degli anni. «Il raggiungimento della comune testimonianza di fede di tutti i cristiani – ha spiegato costituisce la priorità della Chiesa al fine di condurre tutti gli uomini all’incontro con Dio. In questo spirito confido in particolare impegno perché vengano superati i problemi dottrinali che ancora permangono».
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Dal senso dello Stato al senso dell’impresa
«Un paragone improprio, due leader lontani mille miglia» ROMA. «Caro Paolo, scusa il ritardo ho incontrato Signorile che mi ha bloccato per parlare di riforme». «Rino, non preoccuparti. È un piacere incontrarti». Ed è scoppiato un sorriso, forse accompagnato dal ricordo delle tante riunioni fatte assieme quando c’era da decidere la politica economica. Metti una mattinata intera nella sede di liberal con Paolo Cirino Pomicino e Rino Formica a discutere di Bettino Craxi, della sua eredità e del macigno che si porta appresso la Seconda Repubblica non analizzando la figura del leader socialista. Liberal ha chiesto loro, non due semplici reduci di una stagione tanto vorticosa quanto complessa, di trovare il filo conduttore tra il passato prossimo e il presente che stiamo vivendo. Dieci anni non sono sufficienti per porre fine al dibattito sulla figura e la politica di Craxi? Formica: Bisogna fare una distinzione tra chi sollecita la discussione su Craxi e chi, invece, vuole soffocarla. Certamente dopo vent’anni dalla fine di un ciclo politico e dieci da quella fisica di Craxi si può dire che, politicamente, il morto è vivo perché i vivi sono morti. È più importante, però, accertare perché i vivi sono morti, rispetto al perché il morto è vivo. A differenza di quello che avveniva nella Prima Repubblica, quando si sosteneva che tutto il male era la conventio ad exclundendum delle ali estreme, adesso c’è una conventio ad includendum sia a destra che a sinistra. Da almeno vent’anni non c’è un ambito nel quale il nuovismo non spazi con gli annunci che vengono soffocati dall’impotenza a fare di tutti. Pomicino: Mi sembra una fotografia sintetica ed efficace. Per parlare di Bettino Craxi è necessario, però, chiarire due questioni. Stiamo assistendo al disfacimento del Paese sul piano istituzionale e della governance politica con annunci, rapidamente smentiti, che si susseguono in continuazione. Questa situazione è figlia di ciò che avvenne nel 9293 e che ha contribuito alla crescita di un odio diffuso nella società. L’altra questione riguarda la sinistra italiana dal 1921, da Livorno, in poi. Oltre agli errori storici dei comunisti italiani mi riferisco al fatto che il Psi, a metà degli anni ’70, portando sulla scena politica una ventata di novità, fu visto dal Pci come un avversario da abbattere e non, invece, come
600 «amici» per il tour organizzato
Hammamet, comincia il pellegrinaggio MILANO. I viaggi organizzati sono rimasti una passione per i ”vecchi” militanti socialisti (molti ancora si ricordano quel famoso viaggio di Stato in Cina al quale parteciparono duemila amici e sodali socialisti). Infatti sono circa 600 i simpatizzanti dell’ex PSI che in questi giorni si recano ad Hammamet per le celebrazioni per i dieci anni dalla morte di Bettino Craxi. Il tutto avviene comodamente mediante un «pacchetto vacanze» organizzato dalla Fondazione Craxi della figlia Stefania. Il primo gruppo organizzato di 110 persone è partito ieri mattina dall’aeroporto di Fiumicino, mentre altrettante sono partite (sempre con un volo della Tunisair) ieri pomeriggio da Milano Malpensa. Un terzo, molto più nutrito gruppo di amici e sodali è in partenza questa mattina da Palermo. Bobo Craxi, non ha approfittato della promozione proposta dalla sorella e si è imbarcato da solo su un volo dell’Alitalia decollato sempre nella mattinata di ieri dallo scalo Leonardo da Vinci. Ieri pomeriggio, poi, sempre da Fiumicino, erano prenotati su un altro aereo della compagnia di bandiera tunisina il ministro Renato Brunetta e Margherita Boniver, mentre questa mattina dovrebbe essere la volta, tra gli altri, di Fabrizio Cicchitto e Gianni De Michelis. Il programma del tour ufficiale prevede, oltre alla cerimonia commemorativa domenica mattina al cimitero di Hammamet, una escursione a El Jem, luogo caro all’ex segretario del Psi, cui lo stesso Craxi ha dedicato la serie litografica Coliseum. Il costo del «pacchetto» curato dalla Franco Rosso varia dai 380 euro di chi parte da Roma ai 410 per chi viaggia da Milano, oltre a 35 euro per l’ assicurazione.
un interlocutore della stessa famiglia. Formica: Luciano Violante l’ha scritto: il Pci considerò i socialisti figli di un dio peggiore. Pomicino: Questa situazione portò il Pci a chiedere al Psi di togliere il veto per l’ingresso nel Partito socialista europeo, e, come ha ricordato Occhetto, nell’89 la cosa era sul punto di concretizzarsi. Con la caduta del muro di Berlino questo processo si arrestò perché l’obiettivo prioritario diventò l’eliminazione del Psi. Tenendo presente il quadro storico e politico si capisce l’attività di governo, da statista, che Bettino Craxi ha fatto insieme con la Democrazia cristiana: il taglio di quattro punti della scala mobile del 1984, la vittoria sul referendum, l’eliminazione della scala mobile del dicembre 1991. Formica: Accordo che fu rinviato a dopo le elezioni del ‘92 per l’intervento del Pci sulla Cgil e sugli altri due sindacati, come ha dichiarato lo stesso Benvenuto. Pomicino: Infatti. L’accordo partì dopo il 30 giugno 1992. E quando nel ’92 il governo Amato varò la politica dei redditi fecero proprio quell’accordo. Vorrei ricordare che agli inizi degli anni ’80 l’inflazione era al 17 per cento e, grazie all’azione della maggioranza fu ridotta al cinque per cento grazie anche al contributo di Craxi. Ci tengo anche a chiarire che quando si parla di eredità del passato e si fa riferimento al debito pubblico alcuni apprendisti stregoni dimenticano che parlare della storia economica di un periodo senza inquadrarla in quella politica dello stesso periodo è un esercizio accademico. Craxi, la Dc e gli altri partiti ereditarono, all’inizio degli anni ’80, un’Italia con l’inflazione a due cifre e in preda al terrorismo. Basta ricordare il senatore Roberto Ruffilli, ultima vittima delle Br: fu ucciso due mesi dopo il varo del governo De Mita nell’88. È ovvio che la politica di quel periodo tentò, e ci riusci, di far diventare l’Italia un Paese normale. Dove la normalità era il riordino del confronto politico, l’eliminazione
Rino Formica e Paolo Cirino Pomicino parlano di Prima e Seconda repubblica, di riformismo e Mani pulite, di comunismo e anticomunismo. A dieci anni dalla scomparsa del leader socialista
È Berlusconi l’erede di Craxi? a cura di Franco Insardà e Riccardo Paradisi
del terrorismo e la riduzione dell’inflazione. Dagli anni ’70 alla fine degli anni ’80 l’Italia conosce una violenza politica feroce, non solo verbale e mediatica come oggi. Pomicino: Allora era una violenza di elite, fortemente minoritaria che non si trasferiva nel tessuto del Paese, mentre oggi abbiamo una stragrande maggioranza in Parlamento, fortemente minoranza nel Paese, con una società che incorpora dosi di
contrasto che diventano problematiche se è quotidiana. Craxi e gli altri partiti vengono accusati di aver creato il debito pubblico, ma come avrebbe detto Bettino: carta canta, villan dorme. Nel senso che nel ’91 siamo stati il primo governo ad azzerare il disavanzo primario, cioè al netto degli interessi le entrate e le uscite si pareggiavano. Consegnammo a Giuliano Amato nel luglio del ’92 un bilancio dello Stato che aveva un avanzo primario di ottomila miliardi di lire. Ave-
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«Un modernizzatore, ma scelse il cinismo»
Sergio Romano: «Malgrado tutto, gli Usa si fidavano di lui» ROMA. L’ambasciatore Sergio Romano vede più differenze che similitudini tra Bettino Craxi e Silvio Berlusconi. Anche se le analogie poi ci sono tra queste due figure della storia politica italiana. Craxi ha cercato di modificare l’assetto politico del Paese e anche Berlusconi ha avuto questa intenzione. Ma le analogie, anche se riguardano un aspetto di fondo di questa comparazione, cominciano e finiscono qui. «Perché Craxi si muoveva in una prospettiva culturale socialista e socialdemocratica, veniva da quella tradizione e da una storia da cui non s’è mai discostato, ne fanno fede anche i rapporti con i leader del socialismo europeo da François Mitterrand a Felipe Gonzalez. Certo, è vero, Craxi ha declinato il socialismo in forme di modernizzazione e il termine più esatto per definirlo è proprio quello di modernizzatore più che di riformista. Berlusconi, che pure era amico di Craxi e in qualche modo suo sodale politico, s’è sempre inserito nel solco del liberalismo, ha agitato le libertà economiche, come bandiera della sua “rivoluzione”».
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mezza di Craxi sulla partita degli euromissili. Verso un presidente del Consiglio socialista, gli americani all’inizio avevano avuto un atteggiamento sospettoso e rimasero favorevolmente colpiti per la posizione chiaramente atlantista di Craxi che in quel passaggio specifico rappresentò per loro una garanzia. L’orizzonte di Craxi in politica estera resta tuttavia sensibilmente diverso da quello berlusconiano. Soprattutto per il tipo di idea che Craxi s’era fatto sulla crisi mediorientale, per il tipo di concezione che aveva sul conflitto israeliano-palestinese. Craxi in cuor suo sosteneva la causa palestinese e riteneva giusta persino la lotta armata di quel popolo. Berlusconi ha veramente spostato l’asse della politica italiana rispetto a quella regione anche rispetto alla tradizione dei governi democristiani».
È certamente vero che Berlusconi sia stato un suo amico e sodale politico, ma Craxi restò legato alla visione socialista della società
Le differenze tra i due proseguono sulla politica estera. «Berlusconi ha cercato da subito di stabilire punti di riferimento negli Stati Uniti: il suo progetto, la sua più grande aspirazione era quella di fare dell’Italia la Gran Bretagna del continente. Craxi aveva un orizzonte geopolitico completamente diverso: certo, i rapporti con gli Usa di Craxi sono stati tutto sommato – e malgrado l’episodio di Sigonella – distesi e funzionali. Al presidente Ronald Reagan piacque molto per esempio la fervamo al 31 dicembre 1991 un rapporto debito-Pil che era del 98 per cento del Pil. Dopo 18 anni, dopo diciannove manovre finanziarie, dopo 160 miliardi di euro incassati per la vendita delle aziende pubbliche non mi pare che la situazione sia migliorata. Anzi. Formica: Senza dimenticare la drastica riduzione dei tassi di interessi sulla gestione del debito di oltre i due terzi rispetto ad allora. Pomicino: Esatto.Voglio ricordare che in una mattina annullam-
mo, al ministero del Bilancio alla presenza di Craxi, Formica e del sottoscritto, il tabu della scala mobile senza colpo ferire. A quel punto accadde quello che Gerardo Chiaromonte mi confidò davanti alla stanza di Amato a Palazzo Chigi: attenti, il mio partito ha scelto la via giudiziaria per raggiungere il potere. Così mentre Occhetto nell’89, prima della caduta del muro di Berlino, trattava con il presidente del Pse e D’Alema e Veltroni chiedevano a Craxi il via libera, scattava l’ope-
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Sul piano delle riforme istituzionali le analogie tra Craxi e Berlusconi per l’ambasciatore Romano sono maggiori: «Entrambi hanno avuto come prospettiva quella di energiche riforme istituzionali in chiave più decisionista. Ed entrambi hanno subito le medesime accuse di forzare la costituzione o di volerla in qualche modo mo-
razione che mi aveva preannunciato, come è noto, l’ingegnere Carlo De Benedetti. Questo è il quadro storico delle fasi nella quali dobbiamo collocare la figura di Bettino Craxi. Quando poi si parla dei soldi dati al Partito socialista, bisogna chiedersi come è possibile che il segretario della Dc non dovesse sapere nulla e le responsabilità fossero soltanto del povero segretario amministrativo Severino Citaristi, condannato a 18 anni, ma che nessuno si permise di arrestare
dificare. È vero però che sia Craxi sia Berlusconi sono stati più declamatori che fattivi da questo punto di vista. Berlusconi non ha mai veramente imboccato la strada del mutamento del sistema per via legislativa; di Craxi si potrebbe dire la stessa cosa se non fosse che su di lui non abbiamo la controprova storica. Il suo percorso politico è stato interrotto in modo traumatico dalle inchieste della magistratura». E a proposito di Tangentopoli qual è il bilancio di Sergio Romano sulla figura di Craxi leader politico coinvolto in quella stagione di scandali? «Gli uomini – dice l’editorialista del Corriere della Sera – sono più cose al tempo stesso. Accanto al Craxi modernizzatore c’è stato il Craxi uomo di apparato e di potere. D’accordo, i partiti italiani erano diventati invasivi, troppo grossi, troppo estesi e avevano bisogno di denaro, di molto denaro per continuare ad esistere e produrre politica. Ed è anche vero che il Psi non aveva le fonti di sostentamento del Pci e della Dc. Ma da qui a costruire e lasciar costruire quell’aspirapolvere che era diventato il Psi, beh questo va registrato come un eccesso. Ed è inevitabile che venga ricordato. Non ha senso ricordare i meriti di Craxi e dimenticare questa cosa e non ha senso l’operazione contraria. Insomma è sbagliato sia schiacciare Craxi sul lato del modernizzatore sia su quello solo negativo del leader senza scrupoli. È stato una e l’altra cosa». (r.p.)
neanche per un’ora, tale era la sua adamantina trasparenza. Invece l’unico che non poteva non sapere era il segretario del Psi... Il discorso di Craxi alla Camera era una richiesta di assunzione di responsabilità, però, era anche un atto di consapevolezza di come funzionava il sistema. Non era fuori tempo massimo? Formica: Ci fu forse un errore retorico in Craxi in quel discorso, cioè quello di dare per scontato la risposta che era nella realtà
dei fatti: questo era il sistema e lo sapevano tutti. Avrebbe dovuto rivolgere un’altra domanda all’Assemblea: chi dei dirigenti dei partiti non ha mai saputo come funzionava il meccanismo? I partiti si alimentavano con risorse del finanziamento pubblico ed extra finanziamento. La legge sul finanziamento pubblico stabiliva che i partiti nel bilancio avrebbero dovuto indicare distintamente le voci del finanziamento pubblico e di quello extra.
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Formica.Tra tutti si stabilì che il bilancio che veniva presentato ai fini del finanziamento pubblico era non quello consolidato del partito, ma quello della sede centrale. Con questo sistema, per esempio, il finanziamento delle cooperative emiliane poteva stare nel bilancio del partito di Bologna. I bilanci centrali, fin da questa differenza di origine erano già falsi. La legge aveva stabilito che un gruppo di revisori, nominati dalla Camera, avrebbe dovuto controllare i bilanci, ma erano controllori nominati dai partiti. Nel 1992, quando scoppiò Tangentopoli, il presidente del comitato dei revisori, presidente dell’Ordine dei commercialisti di Roma, mandò una lettera al presidente della Camera nella quale scrisse che i bilanci dei partiti erano falsi e in particolare quello del Pci. Purtroppo questo è il Paese dell’allegra dimenticanza. Quando negli anni ’80 la presidenza della Camera, preoccupata di dover vistare i bilanci riconosciuti e visibilmente falsi, giustamente portò i bilanci al consiglio di Presidenza dove c’erano tutti i partiti. Basta leggere i nomi dei presidenti della Camera. Per caso nel ’92 ai vertici dello Stato non c’era uno di quelli che stava nell’ufficio di presidenza che approvano i bilanci falsi? Pomicino. Avendone avuto consapevolezza… Formica. La vulgata storica secondo la quale all’inizio degli anni ’90, quando si chiude il ciclo, la classificazione dei tre partiti di massa, garanti del patto costituzionale originario del 1946, identifica la Dc come il partito delle stragi e della mafia, il Psi come quello del relativismo etico e della corruzione, mentre i santi dell’opposizione sono nel Pci, partito della questione morale che assorbiva tutta l’altra critica della storiografia di destra, peraltro irrilevante, che vedeva nel Pci il partito della cospirazione e del terrorismo. Si annulla la storiografia strumentale e resta in piedi quella della sinistra comunista nei confronti della Dc e del Psi. Una grande opera di rivisitazione degli album di famiglia nel contesto degli avvenimenti politici dell’epoca. La Dc era un
Il nodo cruciale dei costi della politica «Fu un errore affrontare in ritardo la questione del finanziamento pubblico» grande partito di governo, maggioritario dopo il ’48 che ebbe il compito immane di ricostruire l’immagine dell’Italia che aveva perso la guerra e sedeva tra i vincitori, grazie all’opera di De Gasperi. Pomicino. Più che di vulgata,
dai partiti della Prima Repubblica nella Banca d’Italia e nel sistema Mediobanca. che aveva immaginato e deciso dal febbraio del ’91 di poter essere la testa governante e pensante di un nuovo sistema politico dove quelli del partito della sinistra
PAOLO CIRINO POMICINO
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Voglio ricordare che nelle elezioni del 1993, i cinque partiti di governo ottennero circa il 53% dei consensi. Altro che distacco dell’opinione pubblica dalla classe dirigente...
parlerei di leggenda metropolitana a proposito del fatto che l’opinione pubblica italiana fosse stanca dei partiti di governo ben prima delle inchieste dei magistrati di Milano. Voglio ricordare che con le elezioni del 5 aprile ’92 i cinque partiti di governo ottennero circa il 53 per cento dei consensi, ancora una volta il governo che si costituì come tutti i governi della Prima Repubblica - era maggioranza nel Parlamento e nel Paese. Dal ’94 in poi nessun governo della cosiddetta Seconda Repubblica ha avuto la maggioranza nel Paese. Sul discorso tardivo di Craxi, non c’è dubbio che c’è una responsabilità politica, anch’essa generale, di non aver posto il tema del finanziamento della politica. Tema anche questo legato, e lo dico da democristiano, da una cappa catto-comunista: e mi riferisco a quell’abitudine di proclamare il denaro sterco del diavolo salvo poi prenderlo sotto banco. Con questa impostazione qualsiasi finanziamento della politica era visto come un fatto corruttivo, per cui si spingeva a dare contributi nascosti e non palesi. Questi due elementi fanno capire perché si arriva al discorso di Craxi: la sua era una battaglia contro quella che io definisco la borghesia azionista, relegata
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sopravvissuto, il Pci, erano i guardiani del tempio sul territorio e l’establishment governava illuminata dallo spirito del laicismo. La risposta di Craxi in Parlamento era una risposta al disegno politico - e volutamente non lo chiamo complotto - della borghesia azionista che puntava alla conquista del potere. Io stesso fui avvicianto da Carlo De Benedetti che mi chiese la disponibilità di partecipare a un governo che doveva essere espressione di quel disegno. Lei, Pomicino, ha parlato anche di una sponda oltre Atlantico, che intervenne a condizionare quella situazione politica. Pomicino. Certo. Ma la mia non è un’ipotesi o un’ allusione: è la registrazione di quanto avvenne. La manina internazionale c’è stata eccome. Sono note le attività che certi personaggi americani svolgevano in Italia a quei tempi. L’intelligence statunitense ha fatto un grosso lavoro in quel periodo, un lavoro che andava nella stessa direzione di chi voleva liquidare Craxi e tutto il sistema politico. Ma perché questo intervento negli affari italiani?
Pomicino. Gli americani non avevano mai perdonato a Craxi l’episodio di Sigonella e non avevano mai perdonato alla Dc e in particolare ad Andreotti le politiche mediorientali fatte di equilibrio tra le forze in campo. C’è una confessione dell’allora capo della Cia William Wasley che spiegava com, avendo i servizi americani avuto il via libera da Clinton per lo spionaggio industriale con la motivazione di difendere le industrie americane dalla corruzione degli europei, loro non si limitavano a svolgere questa attività ma, dopo aver raccolto molto materiale, intervenivano politicamente cercando di destabilizzare i governi. E non è un caso che nell’aprile del ’92 arrivò in Italia, a Milano, l’agenzia Kroll, che è un’agenzia di spie a contratto che evidentemente ha svolto la sua azione. Intendiamoci questa non vuole essere il tentativo di
assolvere la Prima repubblica dai suoi limiti evocando l’intrigo internazionale e l’attentato alla sovranità nazionale, è la fotografia del contesto in cui è stato fatto collassare un sistema che ha avuto certamente delle gravi responsabilità, che però non erano superabili nell’ambito del quadro internazionale della guerra fredda fra Stati Uniti e Unione Sovietica. Si trattava di un difetto nel sistema che aveva bisogno di una risposta, di una soluzione politica. Che però non arrivò da un lato per le dimissioni anticipate di Francesco Cossiga e dall’altro perché il presidente del Consiglio socialista che prese la guida del governo il 29 giugno del ’92, Giuliano
Amato, avrebbe dovuto fare in tempi rapidi la depenalizzazione del finanziamento illecito che tentò di fare solo nel ’93, poco prima che si dimettesse. E che dai magistrati di Mani pulite fosse scatenata l’onda di piazza con la motivazione che senza la possibilità di poter arrestare per finanziamento illecito non c’erano le confessioni che poi gli imprenditori avrebbero fatto. Formica. Chi è stato il motore della grande rivoluzione colorata del ’92-’93? Questa è una bella domanda. E gran parte della risposta sta in quello che ha detto Cirino Pomicino. C’è una componente estera della crisi italiana e localmente questo spiega anche perché le forze
speciale/craxi oggi. Il paradosso è che oggi il finanziamento pubblico dei partiti è di dieci volte superiore rispetto ad allora. Craxi aveva una capacità di leggere con grande rapidità i movimenti della società, è stato un grande modernizzatore ma è vero, aveva le debolezza dei nani e ballerini. Però tra i trasgressori di allora, tra quella dolce vita e quella di oggi, be’... nel confronto le stranezze di allora rispetto ad oggi sono delle morigeratezze. Nella Prima repubblica c’era un sistema politico che aveva avuto grandi capacità di scelte avendo anche delle responsabilità negative, ma oggi siamo arrivati a un sistema in cui il cardine è il leaderismo proprietario. Oggi i partiti sono retti leader che ne sono anche giuridicamente proprietari, laddove i proprietari del Psi o della Dc erano i militanti attraverso i consigli nazionali e la rappresentanza delle classi dirigenti. Questo non è di poco conto riguardo l’involuzione democratica dei partiti che è anche l’involuzione democratica delle istituzioni, perché i
L’Ottantanove e la crisi internazionale «Ci fu chi approfittò della transizione sperando di trarne vantaggi economici» politiche aggredite hanno il 53 per cento del consenso popolare nel ’92. Insomma, avviene qualcosa che ha avuto un spinta esterna. Naturalmente si possono fare molte congetture, certo che sarebbe ingenuo escludere le vecchie ragioni di rancore sulla politica internazionale che oltreoceano venivano covate contro Andreotti e Craxi. Ma ci sono anche questioni di interessi materiali, come prendere sottocosto, a quattro lire, il sistema dell’economia pubblica e il sistema bancario. È certo che ci voleva una grande autorità internazionale che doveva intervenire a un certo punto per determinare il punto di rottura ma che poi ha lasciato il Pease in balia del suo marasma. Le transizioni per essere tali devono essere giustificate dalla storia, altrimenti sono stati di confusione indeterminati. Il tempo necessario per una rivoluzione è due tre anni quando dura
Una serie di istantanee della vita pubblica di Bettino Craxi. Da sinistra: il leader socialista in visita di Stato a Mosca; durante un congresso; in Vaticano con papa Giovanni Paolo II; con George Bush senior; con Gianfranco Fini; con Giulio Andreotti
vent’anni vuol dire che nessuno è in condizione di determinare un nuovo ciclo. Pomicino. C’è un’altra anomalia in quei primi anni Novanta in cui sia arrivò alla distruzione di tutti i partiti: dal ’93 al ’95 i comunisti venivano cacciati dai Paesi dell’est mentre in Italia erano alle porte del governo. Un paradosso tra i paradossi. E del resto se vinse il paradosso, se quella vicenda si conclude in quel modo è perché, come ha detto Ciriaco De Mita, mancò in quel momento un uomo di Stato. Dopo il discorso di Craxi e prima che Craxi avesse una avviso di garanzia io convocai a casa mia Andreotti, Gava, Forlani, De Mita e Martinazzoli per affrontare il tema del finanziamento pubblico che avrebbe distrutto tutti i partiti di governo. Non si riuscì però trovare in tempi brevi una soluzione. È così che si è aperta la grande transizione che dura fino ad
partiti si organizzano secondo modelli che vogliono trasferire nelle istituzioni. Voi avete parlato della lunga transizione ancora aperta. Questa grande e
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Pomicino. Che Berlusconi abbia avuto storicamente un ruolo di difesa dell’assetto democratico nel 1994, questo è un dato storicamente accertato. Perché nel ’94 si scontrano due idee di democrazia: la democrazia di stampo elitario della borghesia azionista di cui dicevo prima e dall’altro una democrazia popolare che affida al corpo elettorale la capacità di eleggere e definire gli assetti di governo. Da quel momento in poi però Berlusconi si allontana mille miglia da Craxi. Perché tutto si può dire di Craxi tranne che non lavorasse all’equilibrio dei poteri e per il primato della politica, con idee e prospettive politiche decisioniste, certo, che rientravano nella sua pulsione modernizzatrice, ma una cosa è il presidenzialismo che aveva in mente Craxi un’altra quello che ha in mente Berlusconi, riassumibile nella formula di un uomo solo al comando. Tra i suoi, il Cavaliere oggi ha molti ex socialisti. E qui va fatta una riflessione. La cultura socialista non è autoritaria, ma è vero che c’è un filone della cultura socialista che quando intercetta una personalità autoritaria ha una mutazione genetica. Come non vedere infatti che oggi siamo alla degenerazione del sistema parlamentare e che non siamo più in una democrazia parlamentare senza essere mai entrati in una repubblica presidenziale? Insomma l’analogia tra Berlusconi e Craxi per me non sta in
RINO FORMICA
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Il tempo necessario per una rivoluzione è di due o tre anni: quando invece dura vent’anni, allora vuol dire che nessuno è in condizione di determinare un nuovo ciclo sociale e politico
lunga transizione è caratterizzata dalla presenza e dall’azione di Silvio Berlusconi. Quali sono le analogie e le differenze tra Berlusconi e Craxi?
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piedi sul piano politico e soprattutto per le diverse idee che questi due personaggi hanno della democrazia. Formica. Condivido l’analisi di Pomicino. Intanto Craxi è un fi-
glio della lotta politica democratica di questo paese come tutta la classe dirigente della Prima Repubblica. Quando ci fu il congresso di Bari del ’91 Craxi, nella sua relazione iniziale, spiegava perché era stato contro il referendum sul finanziamento pubblico. Dice che è in corso un mutamento dell’assetto normativo della democrazia italiana e cita un’intervista che aveva dato Giovanni Spadolini ricordando La Malfa. Spadolini ricordava il pensiero di La Malfa degli anni ’74-’75, ricordava che il segretario repubblicano diceva: «Questo è un momento in cui c’è un ondata molto forte contro la politica. Io potrei cavalcare questa tendenza e prendere 4 5 milioni di voti. Però poi con questa massa di voti io non saprei cosa farne. Perché io sono figlio della politica e di questa democrazia fondata sui partiti, di questa repubblica che nei partiti ha la sua base e il suo fondamento». Craxi chiude il suo intervento dicendo: «Anche io sono figlio di questa repubblica dei partiti». Ecco: la differenza tra Craxi e Berlusconi è che Craxi è figlio della lotta democratica, è figlio del sistema dei partiti e della loro centralità. I partiti come trama dello Stato, come costruttori della democrazia. Berlusconi è la guida ideologia del leaderismo proprietario e la sua crisi di oggi è quella dell’antipolitica. Lo dimostrano la crisi con Fini e prima ancora quella con Casini. L’antipolitica di Berlusconi è quella di natura populista: il rapporto diretto del capo col popolo, un similperonismo. Pomicino. Abbiamo perso quindici anni.Tra gli errori della sinistra c’è stato quello di avere bloccato l’evoluzione del sistema politico italiano che nel ’92 aveva esaurito la necessità a escludere il Pci da un parte e l’Msi dall’altra. La sinistra avrebbe dovuto aprire una nuova stagione sulla quale il Psi puntò tutto, invece pensò bene di eleggere Craxi a suo nemico principale. L’evoluzione del quadro politico italiano verso una democrazia compiuta fu determinato da questo errore del Pci. L’ennesimo della sua lunga storia. Una storia del resto fatta di tragici errori.
politica
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Malagiustizia. Dieci mesi di carcere, altri quattordici agli arresti domiciliari: come si è tentato di distruggere una carriera politica
«I miei diciott’anni» Calogero Mannino, accusato ingiustamente, processato e prosciolto, racconta la sua Odissea di Aldo Bacci
ROMA. Ci sono voluti 18 anni, infine la sentenza definitiva di assoluzione è arrivata. L’onorevole Calogero Mannino, oggi deputato dell’Udc e in passato leader della Democrazia Cristiana siciliana, è stato prosciolto completamente dalle accuse di concorso esterno in associazione mafiosa. In questo lunghissimo periodo, nonostante tre assoluzioni, Mannino è stato anche costretto a dieci mesi di carcere e 14 di arresti domiciliari. Onorevole Mannino, come riassumerebbe il senso della sua vicenda? Non è troppo semplice. Nel 1992 sia pure per fatti oggettivi il potere giudiziario ha esondato dal suo corso, ha rotto un
magistrati di alcune procure nell’affrontare il problema del contrasto a Cosa Nostra si sono collocati in un punto di parallassi, dovrei dire, viziato dal pregiudizio politico. Per loro c’era un’equazione assoluta politica-mafia, partiti di governomafia. Hanno finito col non capire ciò che avrebbero dovuto vedere con occhi semplici, e cioè che certamente con l’operazione maxi-processo era iniziata una fase nella quale larga parte della politica e certamente la Dc siciliana guidata da me sosteneva gli stessi fini, gli stessi obiettivi del pool antimafia di Palermo guidato dal dottor Giovanni Falcone. Ne è nato un autentico travisamento della
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Alcuni magistrati di alcune procure nell’affrontare il problema del contrasto a Cosa Nostra si sono collocati in un punto di parallassi viziato dal pregiudizio politico.Aveva ragione Sciascia equilibrio istituzionale, ha travolto la politica. Questo fatto rispetto alla strategia di contrasto a Cosa Nostra negli anni in cui questa organizzazione criminale conduceva una sua strategia terroristica ha rappresentato un errore di fondo. Alcuni
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storia, da qui i processi come il mio, costruito soltanto su illazioni, presunzioni e quindi mai su fatti. È paradossale questo, ed è gravissimo perché alcuni politici come me si sono venuti a trovare al tempo stesso al centro dell’attacco della mafia
Qui sopra, Calogero Mannino e, a sinistra, Giovanni Falcone. A destra, in alto, un pentito durante un processo. L’assurda Odissea giudiziaria del politico siciliano è durata ben diciotto anni
Dall’avviso di garanzia del febbraio 1996 all’assoluzione definitiva della Cassazione
Tutte le tappe di un calvario giudiziario PALERMO. «È con grande emozione che tutta l’Udc si stringe in queste ore all’amico e collega Calogero Mannino, che dopo un calvario lungo 16 anni ha finalmente trovato giustizia. Soltanto oggi, con colpevole ritardo, ha trionfato una verità su cui noi non abbiamo mai nutrito alcun dubbio: Calogero è una persona perbene, che non ha nulla a che vedere con le tante menzogne sparse in questi anni sul suo conto». Sono queste le parole con cui il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa ha voluto manifestare al “suo”deputato tutto l’affetto e la felicità del partito per una giusta, ancorchè intempestiva, parola fine ad una vicenda durata tre lustri e risoltasi con la certificazione dell’innocenza dell’ex ministro democristiano. Per capire il calvario giudiziario di
di Francesco Capozza Calogero Mannino, assolto giovedì dalla Corte di Cassazione dall’accusa di concorso esterno alla mafia dopo 16 anni di indagini e processi, basta ascoltare il suo primo commento: «Hanno portato via un pezzo della mia vita». Già dai primi anni novanta Mannino era stato “sponda politica” della procura di Palermo nella lotta contro la mafia (celebri i manifesti della campagna elettorale del 1991, che gli valsero il plauso di Falcone e Borsellino). Due anni dopo le grandi strag in cui persero la vita i due magistrati siciliani, nel febbraio ’94, e a un anno dalla discussa cattura di Riina, fu però notificato un avviso di garanzia e nel febbraio ’95 maturò l’arresto di Mannino, triturato dal
pool della Procura dove era arrivato un nuovo capo, Giancarlo Caselli, indifferente a quei manifesti che debbono essergli sembrati la prova del paradosso siciliano di chi dice una cosa per farne intendere un’altra.
Calogero Mannino, quindi, da ieri l’altro non è mafioso. Lo ha sancito la sesta sezione penale della Cassazione assolvendo l’ex ministro e attuale parlamentare dell’Udc Calogero Mannino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo le accuse, l’uomo politico nell’81 avrebbe stretto un accordo con i boss agrigentini e palermitani, garantito da Tony Vella e da Gioacchino Pennino, diventato successivamente collaboratore di giustizia. Era stato raggiunto da un av-
e ad un convergente anche se opposto obiettivo delle procure. Nel 1987 Leonardo Sciascia con lucidità profetica aveva detto che era elevato il rischio di vedere incrociare la mafia con una certa antimafia. Il travisamento dei fatti ha portato alla mia vicenda, un processo ingiusto, durato 18 anni per la semplice ragione che chi ha assunto la funzione dell’accusa ha perseverato con un’ostina-
politica
zione inspiegabile in questa direzione. Un solo pubblico ministero, sempre lo stesso attraverso cinque processi, smentito in modo puntuale e clamoroso da una sentenza delle sezioni riunite della Cassazione e ancora giovedì dalla sentenza della quarta sezione che ha dichiarato inammissibile il ricorso contro la sentenza di Corte d’Appello che mi aveva assolto. In conclusione abbiamo assistito
all’unione di una deformazione nella concezione della lotta e del contrasto alla criminalità mafiosa e di una deformazione nell’uso degli strumenti del Codice di Procedura Penale. E ora cosa pensa del sistema della giustizia italiana? Lo vedo da vittima che non vuole fare del vittimismo. Il problema della giustizia non si risolve agendo contro. E poi contro chi? Prendendo il mio esem-
viso di garanzia nel 1994. Lo stesso procuratore della Cassazione aveva chiesto l’assoluzione. La vicenda giudiziaria, durata sedici lunghissimi anni, termina dopo cinque processi. La prima assoluzione, dopo sei anni di dibattimento, nove mesi a Rebibbia, due anni ai domiciliari e un carcinoma, arrivò nel 2002. Fu immediato il ricorso al secondo grado chiesto e ottenuto dalla Procura. Lasciando sul banco d’accusa lo stesso pm frattanto nominato sostituto procuratore generale, Teresi. Un nuovo processo concluso nel 2004 con una condanna a 5 anni e 4 mesi. Cominciò allora il ping pong fra Palermo e Roma. Con la difesa che ricorse in Cassazione dove il procuratore generale chiese l’assoluzione dell’imputato. La corte preferì ordinare un nuovo processo, ma esprimendo un giudizio severo per il lavoro compiuto in secondo grado. E i nuovi giudici d’appello a Palermo ne tennero conto. A fine 2008 la nuova assoluzione che demolì l’ipotesi di un presunto patto politico-elettorale con la mafia, ritenuto
pio devo esprimere un giudizio di ammirazione per i magistrati giudicanti del Tribunale, della Corte d’Appello, della Procura Generale e della Corte di Cassazione. Alcuni magistrati fanno un uso autoreferenziale dei poteri connessi loro dal Codice di Procedura Penale. L’anomalia è il loro funzionamento, che è sostanzialmente fuori dalle regole di diritto. Cosa pensa della riforma della giustizia? Si deve risolvere il problema affrontando certamente una riforma del processo nella parte che riguarda il funzionamento dell’ufficio dell’accusa. Anche il processo breve che potrebbe avere un senso, se non vede una ridefinizione dei poteri del pubblico ministero rischia di essere controproducente rispetto alla regola di garanzia. C’è il problema politico di alcuni magistrati che hanno un comportamento politico, non nel senso di essere correlato ad alcuni partiti politici, ma nel senso di un potere politico autoreferenziale. Se si vuole guardare oggettivamente, basti osservare che anche all’interno di un’organizzazione come Ma-
«evanescente, dunque insussistente». Poteva finire lì il «calvario», come lo chiama Mannino pensando alla moglie, Giusi Burgio, al figlio Toto, a tutti i familiari. E invece la procura generale ci provò di nuovo. «Prendendo una sberla dalla Cassazione», commentano euforici gli avvocati Salvo Riela e Grazia Volo. Perché la Suprema Corte ieri l’altro ha rigettato il ricorso ritenendolo «inammissibile».
Molti sono convinti che quella Dc, anche la Dc di Mannino, deve avere avuto le sue colpe per i compromessi con la mafia. E continueranno le polemiche politiche, mentre esultano Pier Ferdinando Casini, Rocco Buttiglione, Lorenzo Cesa, il suo «pupillo» Totò Cuffaro e non solo i leader dell’Udc, partito di cui Mannino è deputato a Montecitorio. Ma l’epilogo giudiziario evidenzia più di un paradosso. Perché Mannino era il nemico di Ciancimino. O meglio Ciancimino non lo tollerava, con lo stesso atteggiamento covato contro i big della sinistra Dc che lo
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gistratura Democratica sulle questioni fondamentali è aperta una dialettica, un confronto. La politica allora deve evitare aggressioni verbali alla magistratura, e deve invece aprire prima di tutto nel suo stesso seno e senza strumentalizzazioni, e poi anche all’esterno e anche verso la magistratura, un confronto che porti al ripristino delle regole di diritto. Diversa-
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costituzionale che garantisca la separazione dei poteri. Inoltre piaccia o non piaccia l’immunità parlamentare con una regolamentazione severa per evitare gli abusi è una scelta indispensabile. Cosa pensa della legge sui pentiti? Anche nel mio caso e per la mia esperienza, con molta serenità e forza d’animo che ho avuto in
La seconda Repubblica non è mai nata perché il conflitto tra politica e magistratura è un dato permanente che non riguarda solo Berlusconi. Basti pensare a come è caduto il governo Prodi mente le basi stesse dello Stato democratico saranno profondamente attaccate. La seconda Repubblica non è mai nata perché il conflitto tra politica e magistratura è un dato permanente che non riguarda solo Berlusconi. Basti ricordare che anche il governo Prodi è caduto per un caso giudiziario che riguardava il ministro Mastella. A monte di tutto vi è il problema del ripristino di una norma
avevano isolato sin dal 1983, al congresso di Agrigento. Ma paradossalmente da qualche tempo i pubblici accusatori di Palermo auspicavano una condanna definitiva di Mannino, mentre corre sulla strada accidentata di una ipotetica e complessa riabilitazione il rampollo di don Vito. È la partita aperta di una Palermo dove Mannino è il primo a non volere fare un uso strumentale del verdetto, pur convinto che «non c’è una giustizia da cambiare», ma «da cambiare sono le regole di funzionamento dell’accusa, questo è il vero problema». Un lieto fine quello sancito in grado supremo dalla Cassazione, e insieme una storia amara e triste. Difficile uscirne a testa alta per chi ha cercato con tenacia di rubarla ad un innocente. A chi gli chiede se racconterà mai questa storia alla sua adorata nipotina Vittoria, che oggi ha solo 15 mesi, l’ex ministro risponde: «cercherò di rccontarle la mia storia. Spero di vivere abbastanza per riscire a spiegarle che il nonno è stato vittima di un processo ingiusto».
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questi lunghi anni, ribadisco che utilizzare la collaborazione dei cosiddetti pentiti può essere utile laddove conduca all’accertamento di fatti criminali. Utilizzare i pentiti solo per sporcare fogli di carta per un gossip, come avviene spesso, è ciò che va evitato. Il dottor Giovanni Falcone nel 1991 avendo predisposto il disegno di legge che introduceva la procura nazionale antimafia prevedeva che questa ed essa soltanto gestisse i pentiti, in modo tale da assicurare una regola severa. Il dottor Falcone veniva da un’esperienza personale, aveva interrogato, esaminato un pentito che gli aveva fatto delle dichiarazioni false. Il dottor Falcone lo aveva allora incriminato per calunnia. Adesso i pentiti e gli aspiranti pentiti possono dire quello che vogliono. Del resto non ne rispondono. Non c’è un punto dell’ordinamento in cui vengano verificate nella concretezza le loro dichiarazioni. Si sta assistendo ad un ricorso così diffuso al pentimento che a volerci riflettere vede smarrita ogni regola morale. Cosa pensa delle recenti più note inchieste in corso? Vale lo stesso discorso. Cosa si deve fare oggi per combattere la mafia? Molto, ma è tutto un altro capitolo. Però se non si comincia dal ripristinare lo stato di diritto la mafia non la si può combattere.
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Una parte della comunità ebraica ha contestato l’annunciata visita di Ratzinger alla Sinago
Perché sbaglia i
Nel suo nuovo saggio Luciano Garibaldi affronta l’annosa questione dei “silenzi” di Pio XII sul nazismo. E dimostra la costante opera di solidarietà verso i “fratelli maggiori” svolta dai cristiani di Marco Respinti ut aut. Non si può servire due padroni, le Sacre Scritture sono tranchant, o Dio o Mammona. Eppure la dottrina e lo stile della Chiesa Cattolica sono sempre state quelle dell’et et, che però va correttamente inteso. L’et et della Chiesa Cattolica, infatti, è anzitutto e soprattutto il saper distinguere il momento in cui è opportuna e giusta la conciliazione dal frangente in cui è invece doverosa la contrapposizione. E ciò dipende evidentemente non dalla valutazione relativista delle convenienze di circostanza, ma dalla natura intrinseca della questione a cui ci si trova di fronte. Solo così la Chiesa Cattolica ha saputo sagacemente discernere sempre fra errore ed errante senza cioè mai confondere l’uno con l’altro, solo così nella storia ha voluto stigmatizzare errori e vizi senza mai intentare processi maliziosi ad personam, solo così ha potuto, per esempio concreto, condannare recisamente le ideologie e le ideocrazie dispotiche e totalitarie onde al contempo cercare di trovare forme di sopravvivenza dignitosa e di difesa autentica per quanti in quelle strutture di dolore e spesso di morte si trovavano ingabbiati, e questo senza rendere loro la vita ancora più difficile di quel che già era o purtroppo ancora è.
A
Importantissima è dunque la ricognizione che Luciano Garibaldi offre nel suo ultimo libro, O la croce o la svastica. La vera storia dei rapporti tra la Chiesa e il nazismo (Lindau,Torino 2009, pp. 202, ¤16,50). Giornalista professionista dal 1957, decano e veterano della professione, Garibaldi è stato inviato speciale, caporedattore e vicedirettore di quotidiani come Corriere Mercantile, La Nazione, Roma, il Giornale e La Notte, nonché di settimanali quali Tempo e Gente. Autore di numerosi libri per lo più incentrati su aspetti chiave della storia del Novecento, ha frequentato spesso temi legati alla Seconda guerra mondiale, al fascismo e alla figura di Benito Mussolini, ed è così finito vittima di una diceria infondata. Essendo Garibaldi uomo piuttosto scopertamente, cioè cristallinamente, di destra, in un mondo come il nostro dove si fa prima a citare che non a leggere le sue opere sui suddetti anche delicati temi sono state prese per apologie. Garibaldi, insomma, è passato per un fascista, lui che in realtà è cattolico e semmai filomonarchico, attento anche alle vicende della storia contro-rivoluzionaria, certamente anticomunista ma
tanto quanto antinazista, sempre lucido e schietto nel prendere le distanze da ogni forma di totalitarismo. Quest’ultimo suo libro, del resto, ne è la prova provata; non che Garibaldi dovesse in qualche modo giustificarsi agli occhi un po’ appannati del mondo, ma, come si dice in questi casi, non si sa davvero mai. O la croce o la svastica affronta quindi di petto una questione spino-
Fu proprio Paolo VI che nel 1964 istituì la prima équipe di studio incaricata di vagliare i documenti dell’Archivio Segreto vaticano relativi alla Seconda guerra mondiale sa e controversa, su cui a ogni piè sospinto se ne sentono proferire di ogni tipo, ma sempre e solo in modo indiziario, senza mai produrre cioè prove stringenti e al massimo dire solo delle mezze verità (cioè pure delle parziali menzogne), costantemente interpretate male, presentate ambiguamente e utilizzate propagandisticamente. Il piatto forte di tutto è, si sa, la querelle sui “silenzi”del venerabile Pio XII a proposito delle violenze perpetrate dal regime nazionalsocialista tedesco, la quale nella sua forma più malevola e spregiudicata giunge fino a parlare di positive complicità della Santa Sede nella persecuzione contro gli ebrei ordite da un pontefice antisemita. Ma sul punto esiste oramai, e pure in lingua italiana, una messe notevole di documentazione che sbugiarda ogni possibile illazione, mostrando al contempo l’esatto contrario: ovvero l’alacre e costante opera di solidarietà e di aiuto verso i “fratelli maggiori” che i cristiani, le chiese e in primis il Vaticano hanno sempre svolto nei gironi terribili della persecuzione nazista, spesso anche oltre quanto per anni si è ufficialmente saputo.
In questo ambito prezioso è stata il lavoro di ricerca svolto da suor Margherita Marchione, dal rabbino statunitense David G. Dalin (vederne il bel La leggenda nera del papa di Hitler, edito da Piemme a Casale Monferrato [Alessandria] nel 2007),
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oga riaprendo le dispute su papa Pacelli. Ma un libro dà loro torto…
il rabbino Laras dal vaticanista de il Giornale Andrea Tornielli (di cui ricordo Pio XII, il Papa degli Ebrei, prefato da Mario Cervi e pubblicato sempre da Piemme nel 2001), e questo solo per citare i nomi più noti, ma prima di tutti dal padre gesuita francese Pierre Blet, scomparso il 29 novembre all’età di 91 anni. Fu Papa Paolo VI che nel 1964 istituì la prima équipe di studio incaricata di vagliare i documenti dell’Archivio Segreto vaticano relativi alla Seconda guerra mondiale. La squadra era composta da quattro storici gesuiti, l’italiano Angelo Martini, il tedesco Burkhart Schneider, lo statunitense Robert A. Graham e appunto padre Blet. La commissione produsse quindi un risultato mastodontico, rappresentato dai dodici volumi degli Actes et Documents
du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale pubblicati dalla Libreria Editrice Vaticana tra il 1965 e il 1981.
È infatti ancora questa la pezza di appoggio principale che dimostra quanto la Santa Sede si sia sempre prodigata per alleviare la pressione del nazismo ovunque e per tutti, a maggior ragione a favore degli ebrei perseguitati. Del resto, padre Blet condensò l’esito di queste ricerche fondamentali in un libro destinato al grande pubblico, Pio XII e la seconda guerra mondiale negli archivi vaticani (Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo [Milano] 1999), e di grande efficacia. Basti pensare al fatto che, quando alcuni giornalisti chiesero a suo tempo a Papa Giovanni Paolo II conto
nizzato a Roma, nell’autunno del 2008, un importante convegno internazionale di studi che segna una meta nuova e imprescindibile delle ricerche scientifiche sul tema. Presto ne verranno pubblicati gli atti in lingua inglese. Intanto nel libro di Garibaldi si può gustare il discorso, e il ringraziamento, rivolto il 18 settembre 2008 da Papa Benedetto XVI ai partecipanti a quel simposio. Se però la vicenda del pontefice ingiustamente calunniato resta certamente d’importanza centrale, è il complesso dei rapporti tra la Chiesa e il Terzo Reich che occorre costantemente tenere presente, e. di ciò Garibaldi offre un importante compendio, per molti versi mettendo la parola fine a una serie infinita e avvilente di castelli di carte. Il giornalista-storico ricor-
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titetici al nazismo che Berlino pensò addirittura di rapire e di deportare il pontefice; il progetto fu affidato al generale Karl Wolff, comandante delle SS, ma fallì proprio per volontà dello stesso Wolff, che si ribellò agli ordini ricevuti. Per gl’ideatori della “soluzione finale” antiebraica, insomma, la Chiesa costituiva un ostacolo enorme all’“espletamento della pratica”, e doveva quindi essere combattuta con ogni mezzo e rimossa al più presto. Sembra allora davvero che gli “antinazisti” del dopoguerra abbiano appreso molto dalle lezioni di anticattolicesimo impartite dal Terzo Reich, se non altro nel contesto specifico delle false voci su certe connivenze inesistenti.
Garibaldi non manca del resto di ricordare l’epopea seminascosta e probabilmente volentieri da certuni dimenticata dell’antinazismo cristiano, in specifico cattolico, una epopea fatta spesso di volti e di nomi sconosciuti, ma avente un rappresentante altamente significativo nel colonnello Claus Schenk von Satauffeberg, l’ufficiale che ebbe l’idea e la regia del fallito attentato contro Hitler del 20 luglio 1944, insomma la famosa “Operazione Walkiria”. Von Stauffenberg era infatti un grande cattolico, e prima di agire chiese consiglio nel confessionale del vescovo di Berli-
Il papato e la Chiesa erano così antitetici al nazionalsocialismo che Berlino pensò di rapire il pontefice. Il piano fu affidato al generale Karl Wolff delle SS, che però si ribellò agli ordini Per gli ideatori della “soluzione finale” antiebraica, insomma, la Chiesa costituiva un ostacolo enorme all’“espletamento della pratica”, e doveva quindi essere rimossa con ogni mezzo
Come è nata la polemica sull’incontro di domani «Rispetto le opinioni differenti, rispetto il rabbino Laras per la sua storia e per la sua dottrina, ma sarà il tempo a decidere chi delle opposte visioni ha avuto ragione». Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, risponde così al rabbino Giuseppe Laras, presidente dell’assemblea rabbinica italiana, che ha annunciato in un’intervista al giornale tedesco Jüdische Allgemeine, la propria assenza alla visita del Papa alla Sinagoga prevista per domenica. «Solo la Chiesa trarrà dei benefici - ha detto Laras -, soprattutto con uno sguardo ai propri ambienti conservatori e potrà usare l’evento per esporre la propria “sincera amicizia” nei confronti dell’ebraismo». Il capo del rabbinato italiano ha definito «unilaterale» la decisione della Comunità ebraica di Roma di confermare l’invito a Ratzinger dopo la decisione di procedere con la beatificazione di Pio XII. «L’idea di annullarlo - afferma in polemica aperta con Di Segni - era stata salutata in Italia da molti, soprattutto dalle famiglie dei sopravvissuti alla Shoah e da alcuni rabbini»
dell’atteggiamento di Pio XII verso la Shoah, il pontefice polacco rispose tagliente: «Leggete padre Blet». Le false accuse a Papa Eugenio Pacelli resistono dunque oggi solo nel cuore e nelle menti dei più ideologicamente cocciuti, oppure sono il residuo di una meccanica cattiva della comunicazione e della conoscenza che non si farà mai abbastanza per combattere, in questo così come in numerosi altri ambiti. I giudizi critici e a volte francamente pesanti che sul tema giungono talora da parte ebraica ne sono la prova lampante. Per evidenti e comprensibili motivi psicologici, infatti, ma solo per quelli, una parte del mondo ebraico continua a dimostrare una sensibilità altissima al tema, tanto da cadere spesso preda di chi, fuori dal mondo ebraico (ricordiamo sempre la parte enorme che nella costruzione del falso mito del “papa di Adolf Hitler”ha avuto la propaganda sovietica e in genere socialcomunista, spesso oggettivamente coadiuvata da certe frange del progressismo cattolico), non agisce certo per il bene dell’ebraismo.Vale qui la pena di ricordare però almeno l’organizzazione ebraica Pave the Way, presieduta dallo statunitense Gary Krupp, che tanto sta facendo per avvicinare sempre e meglio cattolici ed ebrei attorno alla verità sul nome di Pacelli. Per Krupp, del resto, «Pio XII ha salvato nel mondo più ebrei che chiunque altro nella storia». Pave the Way ha orga-
da infatti il lungo e robusto braccio di ferro che sin dalla prima metà degli anni 1930 oppose la Chiesa Cattolica al nazismo, una sfida che il Reich interpretò subito alla lettera incarcerando per primi i sacerdoti che dal pulpito si scagliavano, senza compresso alcuno, contro il regime hitleriano. Alla guida di due indomiti pontefici, Pio XI e Pio XII, i cattolici patirono infatti tra i primi le angherie e le persecuzioni naziste, sovente proprio per avere preso le difese degli ebrei o per avere pubblicamente pregato assieme a loro. Il Vaticano finì infatti prestissimo per essere considerato un mero servo degli ebrei, altro che “papi di Hitler”, e quindi pure una potenza al soldo di quell’Occidente “governato dai semiti” a cui il nazismo aveva dichiarato odio e guerra.
Non stupisce dunque il vedere ritornate oggi quegli stessi linguaggi, quelle stesse accuse, quelle stesse farneticazioni e persino quella stessa squalificata letteratura che ne ha lastricato le strade nel mondo di quell’ultrafondamentalismo jihadista islamico che dell’antisemitismo ha fatto il proprio primo comandamento (e che forse forse è all’origine stessa di tutta la mentalità antisemita penetrata solo poi anche in ambiti non islamici, cioè per esempio pure presso certi cristiani epperò questo in evidente e oggettiva rotta con la Santa Sede). Il papato e la Chiesa erano peraltro così an-
no per poi in piena e avvertita coscienza cattolica compiere quel gesto di enorme patriottismo e di resistenza suprema che segue le norme di una dottrina antitirannica antica almeno quanto san Bernardo di Chiaravalle. Ci rimise la vita, e la sua famiglia ne venne perseguitata. Ma ancora non si vedono nel mondo evoluto e progressista celebrazioni in suo onore, non si assiste a parate in memoria dei resistenti cattolici al nazismo, si scivola sottilmente sulle gloriose pagine di opposizione scritte dai cristiani e dai loro pontefici, e legate ai nomi indimenticabili di Clemens von Galen, vescovo di Münster, o del gruppo della Weisse Rose, la nota“Rosa bianca”. Fa dunque benissimo Garibaldi a regalare ai più, che forse non ne sospettano nemmeno l’esistenza, il testo completo dell’enciclica pubblicata il 14 marzo 1937 da Pio XI contro il nazismo razzista e il “cristianesimo germanico” (una buona lettura è a questo proposito Il santo Reich. Le concezioni naziste del cristianesimo di Richard Steigmann-Gall, edito dalla milanese Boroli nel 2005), quella Mit brennender Sorge che, scritta in tedesco in tempi in cui la Santa Sede non pubblicava in vernacolo e questo affinché nessuno menasse alibi insulsi, è il sigillo della più granitica incompatibilità fra cattolicesimo e nazionalsocialismo. Aut aut, appunto. ww.marcorespinti.org
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Disastro. Obama manda i marines per gli aiuti e la sicurezza, ma la vera emergenza è un’operazione di “Nation-building”
Chi ricostruirà Haiti? Anche lo Stato si è sbriciolato come le case Nelle strade è caos. C’è il rischio di un golpe di Enrico Singer è un disastro nel disastro ad Haiti. Adesso tutti pensano a salvare il salvabile, a soccorrere le vittime, a tirare fuori dalle macerie i superstiti. Ed è giusto che sia così. Purtroppo c’è anche poco tempo a disposizione perché le statistiche dicono che, dopo quattro giorni, è un miracolo trovare ancora qualcuno in vita. Ma la sensazione che il peggio possa ancora arrivare è sempre più netta. Perché questo terremoto è senza precedenti non tanto per il numero dei morti - pure spaventoso ma inferiore a quello provocato da cataclismi simili in Cina o in altre parti del mondo - quanto perché ha fatto saltare le già fragilissime strutture istituzionali del Paese. A oggi non c’è più alcuna autorità in grado di prendere in mano la situazione, nelle strade domina il caos. Ovunque un terremoto abbia colpito, e in Italia lo sappiamo bene, quello che è stato sempre più importante è lo scatto di solidarietà nazionale combinato con l’intervento delle forze della protezione civile e coordinato da un
C’
centro operativo, da quella che tecnicamente si chiama “cellula di crisi”, capace di affrontare l’emergenza e pensare anche alla ricostruzione. Ad Haiti non c’è niente di tutto questo. Almeno per il momento. Il presidente, Réne Préval, scampato al crollo del bianco palazzo presidenziale le cui macerie sono diventate il simbolo del collasso generale, è ricomparso in pub-
fare ritorno nel suo Paese. L’ex sacerdote salesiano nato nello slum haitiano di Le Saline, è ricomparso vestito a lutto, con la moglie Mildred al fianco, e forse immagina una possibile rivincita politica. Eletto presidente nel 1990 e deposto da un golpe militare l’anno successivo, venne rimesso al potere da un intervento militare statunitense nel 1994. Rieletto nel
L’ex presidente Aristide in esilio in Sudafrica chiede di poter rientrare. Ma la soluzione del vuoto di potere non è in un ritorno al passato. E l’ipotesi dell’unificazione con Santo Domingo è fantapolitica blico ma non è ancora riuscito nemmeno a riunire il suo governo.
In un Paese che nel recente passato ha visto succedersi guerre civili e colpi di Stato, il rischio più concreto è che qualcuno possa approfittare della situazione per conquistare con le armi il potere. Dal Sudafrica, dove si trova in esilio dal 2004, l’ex presidente Bertrand Aristide ha detto di essere pronto a
2000, fu di nuovo deposto nel 2004 in seguito a una sanguinosa ribellione tra accuse di corruzione e un areo statunitense lo portò a Johannesburg. Ma la soluzione al caos non sembra poter essere un ritorno al passato perché nella storia di Haiti non c’è nessuna età dell’oro. Non è un caso se questa metà dell’isola che Cristoforo Colombo battezzò Hispaniola era, già prima del terremoto, il Paese più povero e politicamente
instabile dell’emisfero occidentale, passato dalla dittatura dei Duvalier padre e figlio - Papa e Baby Doc - a un vorticoso alternarsi di militari e governi eletti. Nuove elezioni politiche erano previste per il prossimo mese di febbraio e le presidenziali erano in programma per novembre. Ma nessuno, oggi, può dire se questi appuntamenti saranno rispettati. E, ancora una volta, si guarda a Washington per immaginare che cosa accadrà.
Gli Stati Uniti, con la Francia, ex potenza coloniale, sono gli arbitri del futuro di Haiti. Per ora Barack Obama ha ordinato un intervento straordinario che è un mix di aiuti umanitari e di
sicurezza. Il Pentagono ha già fatto arrivare la portaerei Uss Carl Vinson affiancata da una nave anfibia con duemila marines e seguita da altre quattro unità militari. Ad Haiti è anche sbarcata l’82esima divisione dei paracadutisti: cinquemila uomini partiti dalla base di Fort Bragg nella North Carolina. Ben presto il contingente militare raddoppierà: entro il weekend i soldati americani saranno 10.000. È il segnale evidente che Obama sa molto bene che Haiti era già un’isola senza Stato, una società assediata dalla miseria, dove soltanto i novemila caschi blu dell’Onu della missione sotto comando brasiliano garantivano
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Haiti - Obama ha affiancato il suo predecessore repubblicano George Bush. Una accoppiata bipartisan come avvenne anche nel 2004 per lo tsunami in Asia. A loro toccherà il compito di suggerire le soluzioni per una ricostruzione che non si limiti alle case, ma alle istituzioni del Paese. Ma non ci sono soltanto gli Stati Uniti a voler giocare questa partita.
un minimo di ordine. Il terremoto ha scompaginato anche le linee di comando del contingente dell’Onu e adesso tocca di nuovo agli Usa in prima persona. L’aviazione americana ha anche assunto il controllo dell’aeroporto di Port-au-Prince.
Ma sicurezza e aiuti non bastano. Per Obama la vera priorità è realizzare finalmente, dopo tanti esperimenti falliti, una operazione di Nation-building, la costruzione di uno Stato, difficile obiettivo già tentato in Iraq e in Afghanistan, oltre che nell’isola devastata dei Caraibi. Così, all’ex presidente democratico Bill Clinton - che era già inviato speciale degli Usa per
Il presidente brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, ha già fatto sapere che intende discutere con Obama come aiutare Haiti a uscire dall’emergenza dopo il terremoto. Se la Casa Bianca ha stanziato cento milioni di dollari (che in gran parte copriranno le stesse spese americane per l’intervento), Brasilia ha dato via libera ad aiuti immediati per 15 milioni di dollari. E la Francia non vuole essere da meno. Anche il ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, ha promesso finanziamenti e ha annunciato con evidente orgoglio che sessanta haitiani - «i primi feriti evacuati» - sono già stati trasferiti nell’isola delle Antille francesi della Martinica. La rincorsa al primato nell’intervento è senz’altro positiva e lodevole sul piano umanitario, ma nasconde anche interessi politici ai quali Haiti non è nuova. Da quando questa parte dell’isola ha conquistato l’indipendenza dalla Francia, le diverse formule appoggiate tanto da Parigi che da Washington hanno avuto risultati infelici. Qualcuno ipotizza anche l’unificazione del territorio con la Repubblica dominicana che è riuscita a costruire uno sviluppo economico più florido basato tutto sul turismo. Ma questa sembra fantapolitica. La speranza è che dal terremoto possa nascere una nuova Haiti. Come è ancora impossibile dirlo.
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Da Port-au-Prince scene da Apocalisse. Tra i morti una donna italiana
Detenuti in fuga e scorte di cibo finite S di Antonio Picasso
ono ormai 150 su 190 gli italiani residenti ad Haiti rintracciati dal ministero degli Esteri. Per quanto si tratti della maggioranza, si sa già il nome di una nostra connazionale morta sotto le macerie. Si tratta di Gigliola Martino, nata nel Paese caraibico, 70 anni fa da genitori italiani. Sono salve invece le due suore Salesiane e il sacerdote veneto, padre Giuseppe Durante, missionari da anni nella zona e di cui si erano perse le tracce nel momento del sisma. Al momento le operazioni di recupero degli stranieri a Port-au-Prince sono concentrate nell’area dell’Hotel Montana, dove sono attivi circa 60 soccorritori della Protezione Civile francese. Fino al pomeriggio di ieri, erano 23 le persone estratte vive dall’edificio crollato. Per quanto riguarda gli aiuti italiani, è partito ieri da Roma un aereo della Direzione generale per la Cooperazione allo Sviluppo (Dgcs) del ministero degli Esteri e un altro con a bordo un ospedale da campo e personale sanitario specializzato in medicina d’emergenza della Croce Rossa. Nel corso del fine settimana, seguirà un altro intervento della Protezione Civile, già presente sul posto con un primo team di esperti e che manderà un un posto medico chirurgico. Anche altre agenzie italiane si stanno adoperando per inviare i propri aiuti nelle aree colpite dal sisma.
il recupero dei dispersi. A questo vanno aggiunti l’incremento drammatico e incontrollabile di casi sciacallaggio. Si stima che almeno 4mila detenuti siano fuggiti dopo il crollo delle carceri. Proprio ieri è stato preso d’assalto il deposito degli aiuti umanitari del Programma alimentare mondiale (Pam) delle Nazioni Unite. Per questo il Palazzo di Vetro sta valutando l’invio di altri Caschi blu in appoggio a quelli già sul posto.
Le difficoltà di rifornimenti e adesso anche quest’ultimo episodio di delinquenza hanno provocato una drastica riduzione delle scorte alimentari distribuibili. Il Portavoce Onu ad Haiti ha parlato di sole 8mila razioni attualmente a disposizione. Questo potrebbe provocare rivolte e accentuare la tensione. È altamente probabile anche la diffusione di epidemie tra i sopravvissuti, a causa del crollo del sistema fognario e per la presenza di un numero crescente di morti abbandonati lungo le strade della capitale haitiana. A contrastare positivamente con questo scenario da Apocalisse, sempre ieri è giunta la notizia dell’apertura dello spazio aereo cubano per i voli da e verso gli Stati Uniti, per facilitare l’evacuazione dei feriti e per il passaggio delle scorte mediche. Si è messa in marcia anche la macchina di intervento dei Vip internazionali. Finora a intervenire è stata la coppia più famosa del cinema, Brad Pitt e Angelina Jolie, poi il golfista Tiger Woods, che hanno donato una somma complessiva di 3 milioni di dollari.
Ritrovati salvi il sacerdote veneto e le due suore che erano tra gli scomparsi. Cresce la tensione nell’isola
Il coordinamento di tutte le operazioni in ambito europeo è dato dalla European commission of humanitarian aid (Echo). I problemi prioritari riguardano il soccorso dei feriti e
mondo
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Iniziative. Pur non facendo parte dei 27 membri, la metropoli della Turchia si prepara all’invasione “continentale”
Capitale senza Europa Fra mille polemiche, Istanbul diventa oggi capitale della cultura dell’Unione di Marta Ottaviani
ISTANBUL. L’hanno chiamata in tutti i modi: Bisanzio, Costantinopoli, Istanbul. E adesso, la regina delle città, ormai una vera e propria megalopoli con almeno 15 milioni di abitanti, si prepara all’investitura più ambita. Il prossimo 16 gennaio diventerà ufficialmente Capitale Europea della Cultura per il 2010. Un evento che suona come un vero e proprio debutto in società. Per la prima volta l’aggettivo “europeo” viene accostato concretamente a qualcosa che riguarda la Turchia e assume ancora più valore se si pensa che dal 2011 potranno fregiarsi del titolo di Capitale Europee della Cultura solo città che fanno effettivamente parte dell’Unione. Istanbul si sta preparando dal 2006 a questo appuntamento. E come in tutti i grandi eventi non sono mancate le polemiche, in qualche caso anche feroci. Il calendario di eventi si presenta piuttosto fitto, con 467 eventi, scelti fra oltre 2000 proposte. Solo per la loro organizzazione sono stati stanziati circa 300 milioni di euro. Ci saranno mostre, concerti, balletti e rappresentazioni teatrali, che si richiamano ai quattro elementi, tutti presenti nella città: acqua, terra, aria e fuoco. Il tema principale di questo 2010 sarà illustrare in modi diversi gli 8.500 anni della metropoli e la sua
straordinaria stratificazione di culture ed espressioni artistiche, che poche altre città possono vantare. Non mancheranno a questo proposito laboratori e conferenze per mettere in comune la riflessione su Istanbul e su come migliorarne la fruizione da parte di abitanti e visitatori. I monumenti posti sotto restauro sono a stati decine, purtroppo non sempre con esiti fortunati, come avvenuto per le
merose e importanti testimonianze dell’epoca romana, così tante che nella zona dei ritrovamenti sono stati allestiti centri di esposizione temporanei, per trovare una collocazione definitiva una volta che il 2010 sarà concluso. A questo vanno anche aggiunti i quartieri di Balat e di Fener, riportati agli antichi splendori nel 2007 grazie a fondi stanziati dall’Unesco. La vigilia di questo 2010, che vede an-
Il calendario propone 467 eventi, scelti fra oltre 2mila proposte. Solo per l’organizzazione sono stati stanziati circa 300 milioni di euro. Ci saranno mostre, concerti, balletti e rappresentazioni teatrali Mura teodosiane dell’antica Costantinopoli. Fra quelli che hanno decisamente subito una sorte migliore ci sono le strutture concentrate soprattutto nel distretto storico di Sultanahmet, dove si trovano fra le più importanti testimonianze non solo del periodo bizantino ma anche di quello ottomano. Nella Basilica di Santa Sofia sono stati ritrovati frammenti di affreschi che si pensavano perduti per sempre e anche il Topkapi, l’antica residenza dei sultani, è tornata in alcune sue parti a vita nuova. Tanti cantieri aperti nel quartiere di Fatih, vicino al celebre acquedotto di Valente. Nelle aree interessate da nuovi progetti urbanistici, poi, sono emerse nu-
che il governo di Ankara impegnato a dare una svolta decisiva ai negoziati per l’ingresso del Paese un Unione Europea, è stata accompagnata dalle immancabili polemiche contro l’Agenzia per Istanbul 2010, che non si sono limitate solo ad aspetti legati all’organizzazione della kermesse.
Lo scorso aprile molti dei dirigenti dell’Agenzia si sono dimessi. Quella che è stata fatta passare per una decisione dettata da divergenze di vedute, nascondeva motivazioni ben più serie, visto che molte di queste persone erano interessate da episodi di corruzione, scoperti solo grazie a un’in-
chiesta del governo di Ankara. Le accuse piovono da tutte le parti, non solo dal campo della politica, ma anche da quello degli addetti ai lavori. Molti artisti che avevano proposto progetti da inserire nel calendario degli eventi, hanno visto approvare la loro idea per poi vederla rifiutata improvvisamente, dopo aver anche iniziato a investire soldi per pensare all’allestimento. È il caso di Nuri Kaya, che a causa di una decisione cambiata all’ultimo momento ci ha rimesso 50mila euro. In ultimo, c’è chi accusa il comitato promotore di avere destinato troppi fondi al restauro di monumenti, anche a quelli non proprio di primaria importanza, e di non aver investito a sufficienza sul contemporaneo. Comunque la si veda, tutto si può dire ma non che Istanbul per questo 2010 non abbia messo in campo un programma quanto mai variegato. La città
proporrà un fitto calendario di appuntamenti, mostre e spettacoli, idealmente anche loro a cavallo fra Oriente e Occidente.
L’evento che certamente richiamerà più di tutti l’attenzione sarà il concerto che gli U2 terranno per la prima volta nella loro carriera a Istanbul, tappa del “360° 2010 Tour”. La performance si terrà allo Stadio Olimpico e i ben informati dicono che è già partita la corsa per cercare di procurarsi i biglietti. Ma oltre alla band dublinese, sono oltre 400 le iniziative che attendono i visitatori nell’anno che sta per iniziare. Tanti i laboratori fotografici e di arte contemporanea, che avranno come oggetto soprattutto il racconto della città per immagini e l’esaltazione di Istanbul come crocevia di culture. Molto, secondo alcuni persino troppo, lo spazio dedicato alla tradizione turca, il che ha
Parla Eli Shafak, una delle più note scrittrici turche, autrice de “La bastarda di Istanbul”
«È l’occasione giusta per scoprirci» ISTANBUL. La città è pronta. La città fra i due continenti che quest’anno sarà Capitale Europea della Cultura, si presenta non solo ai turisti ma anche alla sua gente sotto una veste nuova, quasi a voler definitivamente guirdare la Turchia nel suo cammino verso l’Europa. Eli Shafak, una delle più note scrittrici turche, ha parlato di come la sua città di presenta al mondo in questa occasione così importante. Giornalista e scrittice, la Shafak, dopo i best seller La Bastarda di Istanbul e Il giardino delle Pulci, è tornata da poco nelle librerie italiane con il suo ultimo successo Le quaranta porte, edito da Rizzoli, che in Turchia ha venduto oltre mezzo milione di copie e che parla di filosofia mistica e amore universale. A liberal ha raccontato di Istanbul, parlato d’Europa e confidato quali sono i suoi suggerimenti per conoscere la sua città, che somiglia alla più colorata delle matrioske.
Elif Shafak, Istanbul sabato 16 gennaio diventa ufficialmente la Capitale Europea per la Cultura 2010. Come vede lei la città alla vigilia di questo importante apputamento? Penso che sia semplicemente grandiosa. Istanbul è una città straordinaria per artisti e scrittori. Forse non è un posto molto facile dove vivere ma è una continua fonte di ispirazione. E alla vigilia di quest’anno l’atmosfera è elettrica. Come definirebbe Istanbul a chi non c’è mai stato? Anzitutto ci sono città con un carattere maschile e città con un carattere femminile. Istanbul ha un carattere decisamente femminile. La mia città è come la più colorata delle matrioske. È una successione di bambole chiusa una sull’altra. Ne scopri un volto, poi apri il coperchio e ti rendi conto che all’interno c’è un posto nuovo, ancora tutto da esplorare.
Affascinante nella sua complessità insomma... Sì, certo, ed è proprio per questo che credo abbiano fatto bene a nominarla Capitale Europea della Cultura. Si tratta di un’occasione per creare un ponte fra
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sante e ricchissima esibizione che ripercorre i rapporti fra la Serenissima e l’antica Costantinopoli, celebrando idealmente anche gli stretti legami economici e commerciali che uniscono da secoli Italia e Turchia. Nella Capitale Europea del 2010 c’è spazio anche per la riflessione e la riconciliazione. Uno degli appuntamenti più emozionanti dei prossimi mesi sarà infatti l’apertura del mufatto rivolgere qualche critica al comitato promotore e, di riflesso, all’esecutivo islamicomoderato al governo. Una delle iniziative che ha creato maggiori polemiche è una mostra di 99 esemplari del Corano, il testo sacro dell’Islam. La mostra ha come tema portante l’aforisma “Il Corano è stato rivelato a La Mecca, recitato a Il Cairo e scritto a Istanbul”. Le copie esposte saranno autentici capolavori di grafia e miniature, come anche le numerose esibizioni dedicate all’artigianato turco in tutte le sue forme, dalla lavorazione della pelle a quella dei tessuti. Ampiamente rappresentata la musica e a più livelli. Oltre ai già citati U2, il 2010 sarà un concerto continuo in cui la parte del leone sarà fatto dalla musica di tradizione anatolica e ottomana, nonché da quella balcanica. Ma ci sarà posto per le avanguardie moderne e soprattutto i giovani, che il
21 giugno, durante la manifestazione “Istanbul on Stage” avranno tutte le piazze della città a disposizione per organizzare concerti a cielo aperto. Sarà solo una delle tante iniziative per le strade della metropoli, dove verranno allestite anche alcune librerie ambulanti proprio per avvicinare la gente alla cultura. Nell’anno da Capitale Europea della Cultura non poteva mancare l’omaggio alla letteratura. Fra i vari appuntamenti due fra i più significativi sono certamente l’omaggio a Eric Auerbach, che visse a lungo nella megalopoli sul Bosforo e la poesia dai tempi bizantini all’età della Repubblica. Il 2010 a Istanbul parla anche un po’ italiano. Sul Bosforo nel mese di novembre, quasi a voler rappresentare un anticipo di quest’anno così intenso, ha aperto i battenti la mostra intitolata “Venezia e Istanbul ai tempi dell’Impero ottomano”, un’interes-
persone, culture e religioni diverse, proprio in un momento in cui a livello mondiale si avverte una gran xenofobia e paura dell’altro. Penso che creare empatia fra persone diverse debba essere uno dei compiti precipui anche della cultura e dell’arte. Qualcuno però la pensa in modo diverso. Alcuni cittadini storici di Istanbul, come Ara Güler, sono critici e dicono che la città sta cambiando troppo in fretta, diventando troppo moderna e perdendo la sua identità. Cosa ne pensa? Ho un approccio differente direi. Ai miei occhi Istanbul è un’enigma, come una sala di specchi dove nulla è realmente quello che sembra. Mi spiego meglio. È un posto dove quello che sembra orientale a chi proviene da fuori invece può appartenere tranquillamente anche alla cultura occidentale. Il fatto è che se c’è una cosa che proprio a Istanbul non piace, quella sono i clichés e in questo senso la città può aiutarci moltissimo a ripensare a tutti clichés che ci portiamo dietro. Soprattutto quelli riguardanti “l’Est” e “l’Ovest”.
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der. L’interno conterrà tutti gli oggetti che Pamuk descrive nel corso della narrazione. Un progetto a cui lo scrittore sta partecipando con grande entusiasmo e ha un duplice significato. Da una parte rappresenta un suo personale tributo alla città nella quale è nato e dove ha ambientato alcuni fra i suoi romanzi più famosi, dall’altra l’ideale e definitiva riconciliazione fra il premio Nobel e la sua
L’antica Costantinopoli ha già ricoperto due volte il mestiere di capitale: durante l’impero bizantino e quello ottomano. Per la sua vocazione europea, però, c’è ancora molta strada da fare seo dedicato al premio Nobel per la letteratura 2006 Orhan Pamuk e noto nel Paese anche per i suoi problemi con la giustizia turca a causa di alcune dichiarazioni sul genocidio armeno del 1915 fatte a un settimanale svizzero. La sede espositiva si chiamerà il “Museo dell’Innocenza” esattamente come l’ultimo successo dello scrittore. Sorgerà a Çukurcuma, proprio il quartiere dov’è ambientato il romanzo di Pamuk, in uno stabile che il narratore ha comprato oltre 10 anni fa. Dell’allestimento si sta occupando il premio Nobel in persona, che ha affidato la ristrutturazione degli ambienti agli architetti tedeschi Brigitte e Gregor Sun-
città natale, dopo anni di tensione in cui Pamuk aveva anche deciso di trasferirsi temporaneamente negli Stati Uniti.
Alla fine non è un’esagerazione dire che questa Istanbul, che si affaccia fiduciosa e con grinta al suo 2010 da Capitale Europea della Cultura, con il suo perenne guardare sia a Oriente che a Occidente e le sue contraddizioni, sia la metafora di un Paese, la Turchia, che sta cercando di intraprendere con maggiore convinzione la strada verso l’Unione Europea. L’esecutivo islamico-moderato, in un momento in cui le tensioni con l’establishment militare e laico sembrano essere aumentate,
Bene però io le faccio lo stesso una domanda secca: c’è più Est o più Ovest nella sua Istanbul? Istanbul è la più orientale delle città europee e la più occidentale di quelle del Medio Oriente. È la prima volta che l’aggettivo “europeo” viene accostato in modo ufficiale a Istanbul e di conseguenza anche alla Turchia. Il processo negoziale per l’ingresso nell’Unione. Cosa possiamo augu-
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to sia importante per noi. E l’ingresso della Turchia in Europa nel lungo termine avrà effetti molto positivi per entrambe le parti.Viviamo in un mondo in cui sempre più persone pensano che il mondo occidentale e quello musulmano non possano convivere. È importante dimostrare che una loro convivenza è possibile. Dove porterebbe Elif Shafak una persona che visita Istanbul? Ci sono tantissimi posti dove vorrei portale. Non solo nella parte europea ma anche in quella asiatica, Bebek, Ortaköy, Beyoglu, Tünel, Galata, Kuzguncuk, Moda. Ci sono tanti quartieri che magari non hanno monumenti ma che sono belli da vedere. Ma permettetemi di dare un consiglio ai vostri lettori… Dica… Oltre a visitare i monumenti e a godere della vita artistica e culturale, vorrei che i visitatori girassero semplicemente per le strade, per godersi i colori, i profumi e i suoni della città. Osservare la quotidianità di Istanbul vuole dire molto se si desidera cogliere in pieno il ca(m. o.) rattere di questo luogo straordinario.
È esaltante vedere l’aggettivo europeo accostato alla città. La Turchia è un Paese giovane, incredibilmente dinamico. Sappiamo che il cammino verso l’Europa per lei non è facile ma sappiamo anche quanto sia importante per noi rarci per questo 2010? Sì è vero, è esaltante vedere l’aggettivo europeo accostato a Istanbul. La Turchia è un Paese giovane, incredibilmente dinamico. Sappiamo che il cammino verso l’Europa per lei non è facile ma sappiamo anche quan-
conta di aprire due nuovi capitoli negoziali durante il semestre di presidenza spagnola, specie considerando il fatto che Madrid è da sempre una delle più convinte sostenitrici dell’ingresso turco a Bruxelles. Da Ankara arrivano segnali contrastanti. Aria di riforme e cambiamenti nella vita civile del Paese per essere più vicini agli standard imposti dal Vecchio Continente, ma anche vecchi contrasti, destinati a protrarsi ancora per lungo tempo e a rendere più lungo il cammino dell’unico Paese della Mezzaluna a vocazione europea. Una situazione a cui l’unica città spalmata fra due continenti risponde con l’energia e la volontà che l’anno accompagnata in questi suoi 8.500 anni di storia e che cercherà di sintetizzare nei prossimi 12 mesi. Quello che gli organizzatori si augurano è che alla fine sia un anno di festa, in cui Istanbul possa dimostrare quello che non solo lei, ma tutta la Turchia possa offrire al mondo. Il compito non dovrebbe andarle stretto. L’antica Costantinopoli il mestiere di capitale lo ha già ricoperto due volte durante l’impero Bizantino e quello ottomano. E per quanto riguarda la sua vocazione europea, basta metterci piede per capire che qui c’è posto per tutti. E che tanto l’Oriente quanto l’Occidente sembrano trovarsi totalmente a proprio agio.
”
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Visioni. Il film del momento (campione di incassi e di polemiche) visto da uno specialista “particolare” grande amico di Federico Fellini
Avatar, un circo new age Al cinema con padre Fantuzzi, critico di Civiltà cattolica: «Solo effetti speciali e banalità politicamente corrette» di Riccardo Paradisi i solito sono film brutti da morire quelli di Cameron.Titanic m’ha dato addirittura fastidio». Padre Virgilio Fantuzzi, docente di Analisi del Linguaggio Cinematografico alla Pontificia Università Gregoriana, è il critico della rivista quindicinale curata dai Gesuiti La Civiltà Cattolica. Siamo all’ingresso del cinema Barberini a Roma, per la prima di Avatar il kolossal cameroniano che ha fatto parlare di una rivoluzione copernicana del cinema.
«D
Con noi entrano in sala poche decine di ragazzi: hanno saltato le lezioni per vedersi il film a cui Padre Virgilio avrebbe volentieri rinunciato. Poi s’è convinto: «Lo guarderanno milioni di persone nel mondo – gli ho detto per convincerlo – è un fenomeno di costume». Mi dice che è un discorso abbastanza convincente, del resto è quello che gli fanno anche in redazione. C’è da capirla questa mancanza d’entusiasmo. Fantuzzi è uno che è stato amico di Pier Paolo Pasolini, è uno che dava del tu a Federico Fellini, che a lungo s’è intrattenuto, meditandoli con i i capolavori di Bergman. Non è uno snob ma ecco è uno che ha il palato fine. Avatar s’annuncia un caleidoscopio di effetti speciali in 3D e di mirabilie tecnologiche in salsa ecologista e politically correct, non è esattamente quello che Fantuzzi cerca al cinema. Ci infiliamo gli occhialini d’ordinan-
Tutti i record minuto per minuto Ideato, diretto e prodotto da James Cameron, “Avatar” è stato distribuito nei cinema di tutto il mondo tra il 16 e il 18 dicembre 2009. L’Italia e la Svizzera Italiana,Ticino, dove è uscito il 15 gennaio 2010, sono gli ultimi Paesi al mondo in cui è stato distribuito (le case cinematografiche italiane non hanno voluto mettere in concorrenza i film natalizi di De Sica e Pieraccioni con il film di Cameron). Il 3 gennaio 2010, quindi in soli 17 giorni, “Avatar” ha raggiunto e superato il miliardo di dollari d’incassi. Il 6 gennaio, quindi in soli 20 giorni, è divenuto il secondo maggior incasso della storia del cinema, grazie a un introito mondiale di 1.331.140.000 di dollari, 374.445.852 dei quali ottenuti solo negli Usa. Il 10 gennaio ha raggiunto 429.040.000 di dollari degli Stati Uniti e 902.100.000 nel resto del mondo. Durante la vigilia di Natale ha incassato meno di “Alvin Superstar 2”, e il 26 meno di “Sherlock Holmes”.
za, cala il buio in sala. Sono le dieci del mattino. Quando le luci si riaccendono e togliamo le protesi dalla faccia sono le 12 e 40. Siamo stati in 3d per oltre due ore e mezzo sul pianeta Pandora e abbiamo appena assistito all’happy end con incoronazione del messia americano vittorioso con cerimonia ecoreligiosa annessa dopo l’epica battaglia finale tra indigeni e invasori. Fantuzzi mi guarda e sorride, come a dire ”Te l’avevo detto no?” Usciamo e an-
Immagini tratte dalla spettacolare opera di James Cameron dove il pianeta Pandora viene descritto come un Eden minacciato da un’umanità avida e inaridita dalla tecnologia. Nella foto il critico di Civiltà Cattolica Virgilio Fantuzzi
Un’ideologia eco-progressista che nella pellicola di Cameron si smaschera facilmente accanto allo sfondo new age che emerge nel generico concetto di ”rete di energia” che avvolgerebbe tutto l’esistente diamo verso il caffè di fronte al cinema.
«È un film pieno di citazioni abborracciate, di cattive rimasticature e alla fine di triti luoghi comuni – dice padre Virgilio davanti a un Crodino. Gli ingredienti del minestrone ci sono tutti: il duello dove il più debole vince sul più forte nella battaglia epica finale, la tecnologia cattiva contro la natura buona, la tirata contro l’avidità per le risorse della terra. Tutti stereotipi dell’epica americana progressista. Stavolta potevano misurarsi con Omero, potevano ispirarsi all’Odissea, al viaggio nei mondi fantastici ma qui Omero non c’è. È sostituito con la tecnologia avanzata, con gli effetti ridondanti». C’ha pensa-
to quindici anni per farlo questo film Cameron e ce ne ha messi cinque per realizzarlo, per un costo di duemila miliardi di vecchie lire compresi i lanci pubblicitari «A me viene da ridere – dice Fantuzzi – e l’abbiamo visto con questi ragazzini che facevano brucio a scuola. Per carità per uno della mia età avrebbe potuto essere divertente andarlo a vedere coi nipoti invece di portarli al Luna Park, ti dimentichi gli anni che hai. Ma insomma altrimenti ti senti ridicolo a te stesso. Poi tutti questi mezzi tecnologici sono davvero sproporzionati. Fanno spettacolo per carità, ma qui ci sono
quaranta minuti di battaglia tra indigeni che cavalcano draghi e elicotteri iperteconologici. Non si regge». Per Fantuzzi Avatar ha lo stesso difetto capitale di Titanic e di tutti gli altri dieci film che svettano in testa alla classifica dei film più visti, tra i quali ce ne saranno almeno tre o quattro di Spielberg. «Sono tutti film che si prendono tremendamente sul serio, che mettono in campo mezzi sproporzionati per farti credere che una cosa che non è vera sia vera». Il cinema è un linguaggio e come linguaggio serve o per comunicare o nei casi migliori per esprimere. Fantuzzi
spettacoli caleidoscopio di impressioni che ti travolgono: questa idea della religione della natura per esempio o la diffidenza reiterata nei confronti dell’archetipo maschile e paterno a favore del femminile e del matriarcato.
da questa regola aurea non di discosta: «Quello che conta – dice – è un rapporto equilibrato tra significante e significato nel caso che il film serva per comunicare. Se è qualcosa di più, se è espressione artistica, allora usiamo termini più sfumati: si entra nell’universo dei segni che rimandano ad altro, che consentono delle aperture a in-
tuizioni. Questi signori usano il linguaggio cinematografico con un rapporto sbilanciato, perché nella mia logica il significante è in funzione del significato, il segno è in funzione del senso. Qui il significante ha solo una funzione spettacolare». Eppure c’è eccome la pretesa di comunicare qualcosa in più del
Il grottesco soldato americano che guida l’operazione d’invasione di Pandora per esempio – e che a proposito di citazioni ricorda il colonnello che in Apocalipse now amava l’odore del Napalm la mattina – si fa chiamare Papà e incarnerebbe la figura paterna negativa. Un’ideologia eco-progressista che si smaschera facilmente accanto allo sfondo new age che emerge nel concetto di ”rete di energia” che tutto avvolgerebbe. E poi l’apologia della terra madre, degli istinti: il conflitto finale tra un robot militare guidato dal colonnello malvagio e l’animale cavalcato dall’indigeno fa passare quasi l’idea che l’alternativa all’uomo ipertecnologico possa essere il ritorno all’animalità invece che quello alla piena umanità. Ma secondo Fantuzzi non è questo l’essenziale del film. «Sai queste cose ci sono ma quello che conta secondo me per chi fa un prodotto del genere è solo la confezione. Poi certo dentro l’involucro c’hanno ficcato un catalogo di argomenti che impattano con l’attualità. Il vecchio e il nuovo colonialismo americano, l’ingegneria genetica degli Avatar, la crisi energetica, l’idea che per risolvere la crisi delle risorse in patria si deve andare a prendere del materiale altrove, dove poi ti scontri e ti incontri con un popolo e con una cultura diversa. E questo se vuoi è l’aspetto dove trovo un minimo di interesse. La necessità di andare a scoprire il diverso e anche la possibilità di farsi scoprire. Questo è l’argomento che considero meno superficiale anche perché lo sentiamo d’attualità in questi giorni in Italia. Ma ti ripeto, è tutto battage. L’essenziale è quella girandola d’effetti speciali. Di quello s’è innamorato Cameron».
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C’è poi la figura del salvatore. L’eroe che viene da un mondo dove i valori autentici sono decaduti, che rompe con la sua razza e trasformandosi salva un mondo più autentico dalla distruzione. Nel caso di Avatar dopo aver abbracciato il panteismo ecologista dei nativi. Un altro clichè. Un ingrediente tra gli altri nel gigantesco minestrone confezionato per il pubblico. Ma non vale la pena vedervi messaggi a-cristiani o post-cristiani per Fantuzzi. «Una figura cristologia credi-
ché è evidente che è la solita solfa, priva di credibilità. Questi riti che vengono fatti intorno all’albero degli antenati sembrano quelli di certi film degli anni Trenta intorno alla dea Kali. È strano che allora la gente ci credeva: capiva che era un rito alieno, però insomma le fiaccole, i cori, quei toni espressionisti creavano un’atmosfera. Oggi invece tutte queste cose vengono stipate nel contenitore, che è la forma e la sostanza di un film che si traduce nello spettacolo da luna park o circo Barnum con in più degli elementi che possono far discutere. Ma tutto questo è previsto dal gruppo di amministratori, ideologi liberal e addetti agli effetti speciali che si mettono a tavolino con il regista per fare un film del genere. È anche un film antiBush fatto da gente che ha votato per il simpatico Obama».
Un film che da fastidio
C’è nel film anche una grande diffidenza nei confronti dell’archetipo maschile e paterno a favore del genere femminile e del matriarcato bile l’ho trovata in Valchiria con Tom Cruise, in Wrestler con Miky Rourke, in Gran Torino con Clint Eastwood. Film americani della passata stagione di una certa qualità, dove la presenza del Cristo veniva evocata in maniera indiretta ma devo dire efficace. Nel film di Cameron qualcosa di simile si può dire solo in apparenza. Lui in carrozzella, parte dalla menomazione fisica per poi superare i propri limiti. Però qui non convince. Qui, come dicevo, il protagonista è ridotto a stereotipo, un avatar salvatore tra tanti. E anche questa storia della new age che poi la stampa cattolica ha criticato c’è, ma a me non dà tanto fastidio per-
agli altri che protestano sui paper americani conservatori. E anche questo è previsto nel battage. Del resto i nemici dei liberal sono molto peggio di loro. Sono quelli come il tele-predicatore statunitense Pat Robertson che ti dicono che il terremoto ad Haiti sarebbe la conseguenza di un patto col diavolo stipulato dagli haitiani agli inizi dell’Ottocento per ottenere l’indipendenza dalla Francia. Quello di cui s’è innamorato Cameron te lo ripeto non sono questi temi di cui stiamo discutendo. È questa fantasmagoria a cui ha creduto. Ed è questo che mi impedisce ogni sintonia». Eppure l’idea che esistono mondi diversi da questo nostro come idea di un’affabulazione è suggestiva per padre Virgilio e ha una sua valenza positiva: è un modo di dire che un altro mondo è possibile. «Ma allora mi racconti una favola e raccontandomela dovresti farmi capire che è una favola e che il significato sta al di là di quello che vedo. Ma se mi metti su un luna park con pretese realistiche fai un pasticcio. Fai un film insopportabilmente brutto come Avatar. Ma m’ha fatto piacere sai vederlo assieme comunque...». Mi sento meno in colpa per avercelo trascinato.
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Fiction. Domani e lunedì, in prima serata su Rai Uno, la miniserie “Lo Scandalo della Banca Romana”, per la regia di Stefano Reali
Il crack che sconvolse la Capitale di Francesca Parisella
ROMA. «Una stagione di fiction al 26% di share è una cosa eccezionale e insperata». Così Fabrizio Del Noce, direttore di Rai Fiction, ha commentato i risultati della stagione televisiva appena conclusa dove, eccezion fatta per Sanremo e qualche partita di calcio, è stata proprio la fiction l’àncora di salvezza della televisione generalista. Tra i dieci film per la tv più seguiti, in vetta alla classifica, con 7.603.000 spettatori, il Pinocchio di Alberto Sironi, prodotto dalla Lux Vide che ha già in lavorazione Cenerentola, fiction che promette di riunire davanti alla tv tutta la famiglia. «Serie e miniserie sono un pilastro della tv generalista e di Rai Uno. Per il futuro credo non si debba fare solo fictionevento ma, citando Beppe Fiorello, mi piace sottolineare che la fiction dovrebbe rappresentare la normalità», una normalità, quella invocata dall’attore siciliano e citata da Del Noce, che contraddistingue Lo Scandalo della Banca Romana, la miniserie coprodotta da Albatross Entertainment e Rai Fiction, nata da un’idea del produttore Alessandro Jacchia per la regia di Stefano Reali, in onda in prima serata su Rai Uno domani e lunedì.
sceneggiatore, scritta con Laura Ippoliti e Andrea Purgatori. «Fra gli imputati dello scandalo vi erano Eroi del Risorgimento, uomini che avevano partecipato alla spedizione dei Mille, o che avevano combattuto nelle guerre d’Indipendenza.
Vi erano professori universitari, giornalisti, poeti che avevano fatto l’Italia con il loro pragmatismo». «È straordinario come si riesca, raccontando una storia di oltre un secolo fa,
a parlare del mondo di oggi», afferma Beppe Fiorello che nella fiction veste i panni del protagonista, «la pericolosa vicinanza tra banche, politici, corruzione, malaffare, ambiguità e malcostume, tutto a discapito dei piccoli risparmiatori, del popolo onesto e lavoratore che si vedono di fronte persone che non sanno fare altro che alzare le braccia e dire “è il sistema”». Per raccontare questo scandalo, che nel 1983 coinvolse ben tre Presidenti del Consiglio e
Quanti sarebbero disposti a rinunciare al lusso, al successo, al potere in nome di principi sani dell’etica e della coerenza? E quanti possono affermare che l’integrità morale non ha prezzo? È su queste domande che sembra basarsi la fiction - girata tra Roma, la Sicilia e la Serbia, in particolar modo nella città di Belgrado, dove sono stati ambientati gli interni dei palazzi dell’epoca e una scena ambientata a Udine grazie a una fortuita nevicata che racconta il crack della Banca Romana, un fatto storico senza precedenti «avvenuto più di 100 In questa pagina, alcuni fotogrammi anni fa, ma dramdella fiction “Lo scandalo della Banca maticamente attuaRomana”, in onda in prima serata le» commenta Stefasu Rai Uno domenica e lunedì prossimi no Reali, regista e
più di 140 parlamentari, gli sceneggiatori si sono affidati a fonti storiche, atti processuali e a una preziosa relazione contenente situazioni e nomi precisi redatta dall’ispettore Biagini, nella fiction Marcello Mazzarella, che rivela tutti gli intrighi della gestione di Bernardo Tanlongo, l’allora governatore della Banca Romana, interpretato da Lando Buzzanca. «Per renderlo il più realistico possibile, come suggeriva Manzoni», precisa il regista, nonché autore
della colonna sonora della fiction, «è stato inventato un personaggio, Matteo Barba, il protagonista della fiction», che incarna gli uomini di oggi come quelli di ieri. Mattia è un giovane giornalista siciliano che vive in una Cefalù di fine ottocento e che, dopo la chiusura del Corriere di Cefalù, «il suo piccolo, umile ma importante giornale», come lo definisce Beppe Fiorello, decide di spostarsi a Roma dove presto cambia vita, entrando inconsapevolmente a far parte di quella grande trama che è lo scandalo della Banca Romana. È dalla chiusura del giornale di Mattia che ha inizio la fiction. Mattia Barba è un uomo che vuole essere onesto, sincero, «un uomo comune che ambisce a fare bene il mestiere di giornalista, raccontando la verità su di un certo malaffare politico e economico che sembra essere costume ancora fortemente radicato nel nostro Paese», commenta l’attore siciliano, «è nel-
la grande Capitale che Matteo conosce un mondo fatto di ricchezza, potere, intrighi economici e amorosi in cui, suo malgrado, resterà imbrigliato». Infatti, è nella Roma tanto sognata che avviene l’inaspettata ascesa professionale di Mattia,
Tra gli interpreti, Beppe Fiorello nei panni del protagonista (il giovane giornalista Mattia Barba), Marcello Mazzarella e Lando Buzzanca
incantato di fronte a un mondo che contrasta con il suo passato da ragazzo di provincia. La mondanità, le luci della ribalta e le belle donne come Renata, Andrea Osvart, coinvolgono il
giovane giornalista nei loschi affari di Vincent Perez, nella fiction Clemente Claudet, il direttore del giornale Il popolo italiano presso il quale Mattia svolge il suo praticantato. «Mattia è più ingenuo di me perché io diffido sempre del successo. Il successo nasconde delle insidie e poi c’è sempre qualcuno che prima o poi verrà a chiederti il conto è attraverso la sua esperienza che gli autori hanno anche raccontato cos’è l’etica per chi fa informazione, cosa si intende per onestà intellettuale e quale prezzo bisogna pagare per restare integri in un paese dove la verità è nelle mani di chi ha i mezzi per reinventarla come vuole», commenta Beppe Fiorello che non nasconde la sua soddisfazione per aver partecipato a questo progetto televisivo, «sono fiero di aver raccontato una storia vera che fa riflettere sulle nostre radici, lavori come questo sono la mia passione perché anche io imparo delle cose che non so.
Lo Scandalo della Banca Romana non si trova sui libri di scuola mentre sarebbe giusto che le giovani generazioni conoscessero un momento della nostra storia così importante, per questo credo molto in questa fiction e spero vivamente che venga accolta dagli spettatori con lo stesso affetto e interesse che ha animato tutti noi durante la realizzazione e con lo stesso successo di pubblico che ha contraddistinto i miei lavori precedenti realizzati con Stefano Reali con il quale ho un rapporto amichevole e di stima reciproca perché lui sa ascoltare gli attori sul set e trarne beneficio. Devo dire grazie a Rai Fiction, Albatross e Stefano Reali per avermi dato un’altra grande opportunità per trasformare il mio mestiere di attore in qualcosa di utile per non dimenticare il passato», un insegnamento importante, perché se è vero che si può imparare dalla storia allora si spera che almeno pagine di storia come questa non debbano ripetersi.
sport on ci posso credere! Non so se negli annuari delle discipline sportive olimpiche sia mai successo prima d’ora una cosa del genere: campionati assoluti italiani di categoria, pattinaggio su ghiaccio allround in pista lunga nel caso, anno 2010, non disputati per mancanza di atleti. Dovevano infatti andare in pista l’edizione numero 82 per gli uomini e quella 42 per le donne in quel di Baselga di Pinè, provincia di Trento per i più che non la conoscono, ma a meno di un mese dalle Olimpiadi di Vancouver, e quindi quando la manifestazione poteva essere ideale banco di prova per testare la condizione dei nostri atleti, ci si è resi conto che a disputare le gare sarebbero stati 3, dico tre, uomini e nessuna donna, cioè 0! Strano ma vero, si direbbe con l’enigmistica. A mia memoria, seppur recente e limitata per lo più agli eventi legati al mondo calciopedatorio, ricordo pochi annullamenti all’albo e per cause ben diverse: guerre, calamità altre o a posteriori, cioè a tavolino, come di recente accaduto nella vicenda “calciopoli” quando alla Vecchia Signora guidata dalla triade BettegaGiraudo-Moggi hanno annullato uno scudetto, “non assegnato” secondo gli annali, per le stranote vicende ancora in via di definizione giudiziaria, e gli altri sono stati consegnati all’Inter. Ma che un campionato non si possa disputare per mancanza di materia prima, cioè dei competitori, è roba del tutto inedita. Verrebbe da dire che è roba da freccette, ma non si vuole offendere questa disciplina, certo non olimpica, anche perché molto probabilmente sul suolo patrio annovererà più giocatori di quanto siano i pattinatori.
16 gennaio 2010 • pagina 21
N
Ora, visto che l’Italia alle Olimpiadi canadesi in procinto di arrivare andrà a difendere in questa disciplina la bellezza di due ori e un bronzo conquistati a Torino 2006 e che quindi, almeno stando agli allori vinti, è la nazione da battere, si poteva certo fare un po’ meglio. O no? E quindi visto che in quanto a campioni uscenti stiamo oggi molto meglio dell’Olanda che, ad esempio, conta 1.400 agonisti nel settore, 750 club e 400 piste, mentre nelle nostre patrie lande fredde tutto viene affidato al consueto geniaccio con gli 80 atleti impegnati nella specialità e solo 2 piste, per-
A fianco, gli atleti italiani Enrico Fabris e Matteo Anesi (rispettivamente classe 1981 e classe 1984). Qui sotto, la pattinatrice Chiara Simionato (nata nel 1975). In basso, ancora Enrico Fabris durante una gara
Fantasisti. I campionati italiani non disputati per mancanza di atleti
AAA: cercasi pattinatori italiani di Francesco Napoli ché non fare come si fa in ogni buon condominio ben amministrato, tanto a ben vedere questi sono i numeri?
Dunque: si è in vista dei campionati assoluti che per ragioni olimpiche possono davvero risultare significativi, si po-
trebbe fare in questo modo: si spedisce una bella raccomandata, meglio se a mano, con data, ora e luogo della prima convocazione e una chiara indicazione di seconda convocazione, e forse si potrà più facilmente raggiungere il nu-
presidenziale, e Anesi Matteo, da Trento, classe 1984, Commendatore anche lui, hanno l’influenza o qualche altro acciacco oppure l’amministratore di cui sopra non bada troppo al calendario internazionale e si accorge troppo tardi che la campionessa uscente, Simionato Chiara, da Treviso, classe 1975, è volata via in Giappone per disputare i Mondiali di specialità, tutto deve saltare di qualche settimana in avanti, ma mi raccomando: non in coincidenza con le Olimpiadi ormai imminenti. Così al Circolo Pattinatori di Pinè si sono dovuti arrendere all’evidenza e dopo un paio di telefonate hanno comunicato urbi et orbi, agli 80 agonisti, suppongo, oltre alla Federazione Italiana Sport Ghiaccio, che «a causa del limitato numero di iscrizioni e delle ulteriori defezioni dell’ultima ora di alcuni altri atleti», leggi Fabris, Anesi e Simionato, c’è stato «l’annullamento dei campionati». Avvenuto, sempre stando alle loro parole, «con grande dispiacere». Farle prima queste telefonate potrebbe essere un’altra idea e vedere il calendario internazionale, gli Europei si sono appena conclusi con un bell’argento per Fabris, la Simionato, come detto, è nella terra del Sol Levante per miglior causa, è un filo troppo difficile pensarlo in tempo per non trovarsi nell’imbarazzo di rinvii da guinness?
Viste le premesse e quanto accaduto a questi campionati nazionali assoluti di Pinè, per le Olimpiadi di Vancouver, l’evento dell’anno e quello mediaticamente coperto da Mamma Rai come da Sky, cosa dobbiamo attenderci? Alberto Tomba per le discipline scistiche che tanto l’hanno visto
Dovevano svolgersi a Baselga di Pinè, in provincia di Trento. Ma nessuno dei campioni tra Fabris, Anesi e Simionato confermato l’adesione mero legale e ovviare all’imbarazzante problema dei campionati assoluti disertati. È una possibile soluzione, non dico la migliore, ma una da prendere in considerazione quantomeno.
Certo, poi ci possono sempre essere i mali di stagione per cui se i due campioni olimpici Fabris Enrico, da Asiago, classe 1981 e Commendatore per decreto
brillare ha già dichiarato che potrebbe arrivare una medaglia per ogni specialità. E vedremo. Ma per il resto? Siccome, detto senza offesa, ad organizzazione complessiva siamo un po’ malmessi per garantirci un qualche alloro penso che tra stellone italico e virtù nascoste dei singoli atleti il miracolo all’italiana possa ripetersi, purché le federazioni competenti si prendano la briga di fare quel paio di telefonate giuste per avvisare i Fabris o le Simionato di turno.
opinioni commenti lettere proteste giudizi proposte suggerimenti blog L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
da ”The Indipendent” 15/01/10
Londra verso il piccolo gioco di Nigel Morris a Gran Bretagna sembra cominciare a fare i conti con il suo ruolo internazionale, passato dall’Impero al Commonwealth, poi all’asse con Washington, infine alle casse pubbliche vuote. Forse si può interpretare così l’intervento deputato Kim Howells, presidente della commissione parlamentare sui Servizi segreti di Sua Maestà. L’Inghilterra dovrebbe rinunciare a intervenire militarmente in tutti i focolai di guerra che si accendono nel mondo.
L
Howells che è già stato ministro degli Esteri, ha sollecitato il governo per un forte ripensamento del ruolo internazione del Paese. I morti in Afghanistan dimostrano come la pretesa che l’Inghilterra sia l’ultima istanza dell’Onu, per risolvere i conflitti sul terreno, sia arrivata «veramente alla sua ultima tappa». La critica si basa sul fatto che tutte le risorse finanziarie, logistiche ed umane consumate in guerre lontane dovrebbero invece essere utilizzate per la sicurezza interna del Paese. «Crediamo di avere un pugno più grande di quanto sia effettivamente e questa illusione si basa esclusivamente sull’eccellenza professionale delle nostre Forze armate», ha affermato il politico all’Indipendent. «Quando all’Onu servono truppe che possano veramente risolvere un problema, guardano agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna, non pensano a nessun’altro» spiega Howells. «Abbiamo sempre considerato il nostro Paese e noi stessi come a una nazione guida per l’Onu. Così quando ci sono problemi seri – vedi in Sierra Leone o in Bosnia – siamo noi alla fine che mandiamo i nostri soldati a correre i rischi più grossi. Non può continuare così». Il presidente della commissione è convinto che il prezzo pagato dalle truppe inglesi venga amplifica-
to, ogni settimana, dalle immagini – di forte impatto emotivo – che descrivono la cerimonia d’arrivo dall’Afghanistan dei corpi dei un nostri soldati a Wootton Bassett. «Alla gente piacciono queste cerimonie, vogliono che ai caduti venga tributato l’onore dovuto, ma sentono anche montare i dubbi circa l’utilità di mandare i nostri uomini in luoghi così lontani a correre tutti quei rischi. Più le orrende ferite e mutilazioni che subiscono i militari in combattimento vengono rese note al pubblico e più sorgono dubbie incertezze sull’utilità di farsi coinvolgere in questo genere di missioni». Howells, che aveva già chiesto il ritiro inglese dall’Afghanistan, è molto preoccupato che tutti gli sforzi di Londra siano concentrati solo sulla sconfitta dei talebani nella provincia di Helmand: «che è solo una parte di quel Paese». «Dovremo renderci conto che i terroristi non si concentrano solo in una specifica zona, ma possono metter radici in qualunque posto ritengano possa diventare un luogo sicuro per le loro attività». Non comprende la logica del presidente Usa Barack Obama nel mandare 30mila uomini di rinforzi in Asia centrale, senza avere una strategia precisa e teme che il presidente «speri solo che gli vada bene». «Servirebbero almeno 500mila uomini per aver un reale controllo di quel Paese. Un surge di 30mila uomini servirà a ben poco». Il politico britannico appoggiò l’invasione irachena nel 2003, ma credeva che quella operaz«ione avrebbe segnato una svolta nella storia militare inglese. Dimostrò quanto la Nato non fosse preparata all’invio di truppe in teatri fuori area e Howells è convinto che le cose non cambieranno neanche per un prossimo futuro. La commissione d’inchiesta Chil-
cot ha voluto dimostrare quanto le guerre moderne siano più uno spettacolo per il pubblico che utili.
«Siamo ossessionati dalla inchieste in questo Paese. Ci costano un sacco di soldi e quelle sì che hanno pochissima utilità per il pubblico» il commento di Howells, che è alla presidenza della commissione parlamentare sui servizi e sulla sicurezza dal 2008. Riperende le avvertenze fatte dal primo ministro: «il terrorismo è ancora molto pericoloso e in una evoluzione continua». In più le capacità di radicalizzarsi e di reclutare persone con un alto profilo educativo lo rendono ancora pericoloso. Insomma guardiamo ai pericoli che corriamo in casa piuttosto che quelli lontani, sotto l’orizzonte della Manica.
L’IMMAGINE
Caso Eluana Englaro: bisogna instaurare un clima di serenità, senza più accuse Termina un periodo di stigmatizzazioni anche violente che hanno portato esponenti del mondo politico e religioso a scagliarsi contro i protagonisti del caso Englaro con dichiarazioni assolutiste. Ora è necessario che tutti si sforzino per instaurare un clima di serenità e di dialogo, senza più accuse. Dopo la conclusione giudiziaria, è opportuno che si segua la strada del silenzio, necessaria perconsentire un dibattito serio e non emotivo, per riuscire a far approvare una nuova legge che superi i limiti e le criticità di quella licenziata dal Senato. Speriamo che i tempi siano maturi per battezzare la stagione del dialogo e del confronto, non per aprire nuove crociate che possono inquinare di nuovo gli animi. È fondamentale per questo incentivare un clima disteso per riprendere la discussione sul testamento biologico e modificare il testo uscito dal Senato; il nuovo testo dovrà tenere conto del rafforzamento del ruolo della famiglia, del paziente, del rapporto con il medico a cui non può essere delegato tutto.
Ferruccio
NEPPURE BERLUSCONI CREDEVA AL SUO ANNUNCIO
NECESSARIA AZIONE BIPARTISAN PER SALVARE LE ZONE FRANCHE
Berlusconi ci ha abituato alla politica degli annunci, ma questa volta nessuno aveva creduto al taglio delle tasse, neppure lui. D’altra parte, il fisco non è una variabile indipendente, ma è legato allo stato di salute dei conti pubblici, e dunque è impossibile ridurre le tasse senza una ripresa economica vera e duratura. Quanto agli annunci sulla riforma della giustizia, lo sanno tutti che il mondo gira attorno ai processi che riguardano il presidente del Consiglio e allora i tempi li dettano le procure. Il fatto è però che purtroppo gli annunci, soprattutto in campagna elettorale, vanno e vengono, mentre i problemi restano.
Il governo ha sbagliato a modificare, il 30 dicembre scorso, la normativa sulle zone franche urbane perché così ha bruciato l’autorizzazione della Ue, bloccando il via libera a 22 aree a fiscalità agevolata. Sono solidale con i sindaci dei comuni interessati; su tale battaglia non devono esserci schieramenti politici ma soltanto buon senso, per cui invito tutti ad un’azione comune per cancellare il comma 4 dell’articolo 9 del decreto milleproroghe, attualmente in discussione al Senato. Le zone franche sono state volute dal governo di Romano Prodi nel 2006 e portate avanti dal governo attuale fino al sospirato via libera comunitario, che al punto 66 vieta espli-
Lettera firmata
La foto più bella Quella che vedete è una delle foto più belle del 2009. Almeno secondo l’agenzia di stampa Reuters, che l’ha eletta tra gli scatti migliori dell’anno nella categoria “finanza”. Questo bambino sta sgambettando in un deposito di sale nel Gujarat (India). Qui si ricava gran parte delle 15 milioni di tonnellate di sale prodotte dall’India ogni anno
citamente modifiche non concordate. Cambiare le carte in tavola con un decreto, emesso il 30 dicembre 2009 a due giorni dall’avvio delle zone franche, come denuncia un dossier preparato dall’area dipartimentale politiche per il Mezzogiorno di Idv, è un atto privo di senso. L’unica folle spiegazione per questo gesto sconsiderato è che siccome nell’elenco
non c’è la zona franca di Trieste, gradita alla Lega, allora non devono partire neppure le altre 22, previste da Gela a Ventimiglia. Così mentre in Francia si è partiti con poche autorizzazioni e si è passati in cinque anni a 94 zone franche urbane, in Italia rimaniamo sempre indietro a causa di vergognose logiche di clientelismo.
Domenico S.
CHE BUON INIZIO 2010 Mi pare che sia cominciato bene il 2010: aumento dei pedaggi autostradali, del gas, della benzina e del canone Rai.Tutti gli aumenti hanno sempre provocato una corsa al rialzo dei prezzi, che producono un aggravamento della situazione economica, che non ci possiamo permettere.
Luigi Celebre
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dai circoli liberal
LETTERA DALLA STORIA
Addolcirei ogni parola come ad un uccellino Mi dispiace che per uno sciocco impeto di avventatezza abbia anche solo per un attimo dato un dolore a voi, verso la quale, in ogni caso, piuttosto «attenuerei e addolcirei ogni parola come ad un uccellino»... (un uccellino non come il mio nero io che se ne va in giro per il mondo a gracchiare «cavallo morto» - corvo (pico) - mirandola! Anch’io, che mi sono dato tanta pena per ottenere la fama di cui godo nel mondo (chiedete al signor Kenyon), e che mangio e bevo e ballo e faccio divertire la compagnia finché non mi fanno ammalare e me ne resto a casa, come negli ultimi tempi: il signor Kenyon (perché cito solo da fonti che potete verificare, se volete), lui dice di essere stupito del mio buon senso, e di quanto sia in contrasto con la mia confusa poesia metafisica! E altrettanto vi stupirete voi; benché infatti sia contento che, avendomi frainteso, me l’abbiate detto, dandomi l’opportunità di fare altrimenti ciò che avrei fatto in quel modo - tuttavia se non aveste alluso alla mia scrittura, come pensavo non doveste fare, avreste certamente compreso qualcosa del suo corso trovandomi, il martedì successivo, esattamente lo stesso quieto, lo stesso mite uomo di mondo con cui siete stata gentile l’altra mattina. Robert Browning a Elizabeth B. Barrett
ACCADDE OGGI
CONDANNATA A PAGARE MILLE EURO A UNA DONNA MORSA DA RANDAGIO Una sentenza destinata a costituire un precedente preoccupante per quei comuni in cui il randagismo è diffuso. La Asl di Brindisi è stata infatti condannata, con sentenza emessa dal giudice di pace, a risarcire i danni ad una donna che era stata morsa da un cane randagio. Mille euro la somma stabilita a titolo di risarcimento. La signora è stata fortunata a non restarne sfigurata come invece capita a molti cittadini del sud Italia, soprattutto bambini che subiscono attacchi da randagi. È veramente importante che si cominci a punire il lassismo e la disorganizzazione delle Asl che malgrado le normative vigenti non provvedono alla cattura e sterilizzazione degli animali vaganti a rischio della stessa vita dei cittadini.
Valentina Coppola
SEQUENZE SISMICHE PREOCCUPANTI IN ITALIA E NEL MONDO Quando c’è uno sciame sismico la probabilità di eventi importanti aumenta, senza però mai raggiungere valori alti di probabilità. Previsioni di terremoto nel mondo, dalla California all’Italia: per l’aftershock forecast fatto dagli americani dopo il terremoto di Mw 6.5 di alcuni giorni fa, le informazioni sono di qualità inferiore di quelle fornite dall’Ingv alla protezione civile, in quanto noi stimavamo anche la variazione spaziale delle probabilità, mentre gli americani no. Nessuna psicosi: la maggior parte delle volte queste sequenze appenniniche terminano senza un terre-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Nicola Fano (caporedattore esecutivo) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)
16 gennaio 1938 Memorabile concerto di Benny Goodman alla Carnegie Hall. Il pezzo finale è Sing, sing, sing, che diventerà uno standard jazz 1945 Adolf Hitler si trasferisce nel suo bunker sotterraneo, il cosiddetto Führerbunker 1956 Il presidente dell’Egitto Gamal Abd el-Nasser promette di riconquistare la Palestina 1957 Il Cavern Club apre a Liverpool 1966 La Metropolitan Opera House di New York apre al Lincoln Center 1969 Lo studente cecoslovacco Jan Palach si dà fuoco in Piazza San Venceslao a Praga 1970 Buckminster Fuller riceve la medaglia d’oro dall’American Institute of Architects 1977 I Fratelli Marx vengono introdotti nella Motion Picture Hall of Fame 1979 Lo Scià Mohammed Reza Pahlevi lascia l’Iran e si rifugia in Egitto 1991 Gli Usa e 27 paesi alleati attaccano l’Iraq per l’invasione del Kuwait
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
moto grande, ma il pericolo è certamente più alto ora che un mese fa. La scossa maggiore nelle Marche è stata di magnitudo momento (Mw) 4.5-4.6: i fenomeni sono collegati, e l’attività dell’Aquilano si è spostata verso Teramo. Il terremoto attuale di Ascoli Piceno va a “caricare”progressivamente le strutture di Rieti-Amatrice, così come probabilmente quello del 1950 ha “caricato” le strutture della valle aquilana, e gli eventi di Chieti-Lanciano del 1881-82 le strutture del Morrone-Valle Peligna. Il catastrofico sisma di Haiti (Mw= 7.1) del 12 gennaio 2010, circa 30 volte più energetico dell’evento aquilano del 6 aprile 2009, conferma lo scenario della distruzione sismica delle metropoli “radicate” sulle grandi faglie tettoniche. La tragedia haitiana conferma lo scenario della distruzione sismica delle metropoli “radicate” sulle grandi faglie tettoniche. E le cose peggioreranno. La “profezia del 2012”non c’entra affatto. L’aumento della popolazione mondiale, l’ignoranza sui fenomeni geofisici, l’assenza di una memoria storica, lo sviluppo abnorme dei centri metropolitani in prossimità delle coste e delle aree a più alto rischio sismico e vulcanico, sono un “cocktail” devastante. La nostra migliore difesa resta la conoscenza della normativa antisismica e la prevenzione con le simulazioni di massa (protezione civile), come già fanno in California e Giappone. Gli studi dei ricercatori Infn-Ingv e delle università italiane, dimostrano che la “corsa contro il tempo”interessa tutto il mondo della scienza.
FINI-BERLUSCONI: TREGUA ARMATA PER LA POLITICA DELLA CONVENIENZA Al di là dei convenevoli, in fondo tra l’ex leader di Forza Italia e quello di Alleanza Nazionale, di tregua armata si tratta, punto e a capo. Fini però ripete il “film” già visto in altre occasioni nel suo rapporto di odio-amore con Berlusconi. L’ex leader di Alleanza nazionale, l’ultima volta che criticò duramente il Berlusca, successivamente e per la precisione il giorno dopo, fece con lui da “predellino” il partito del Popolo delle libertà, sciogliendo nel sogno berlusconiano quello di tanti uomini e donne, che avevano fino a quel momento, con orgoglio e determinazione, rivendicato e difeso una storia umana e politica che Alleanza nazionale aveva rappresentato fino a quel giorno nel nostro Paese. E anche oggi, come allora, il capro espiatorio diventa l’Unione di centro. Il ritornello del voto utile e della politica del doppio forno, cui però stavolta l’armata berlusco-finiana, contrappone la sua politica della convenienza. La politica della convenienza sta tutta nell’appalto del nord Italia alla Lega e del centro e del sud del Paese nel dire «No all’Udc, ma alleiamoci pure…». Questa si chiama ipocrisia, l’ipocrisia di dare da una parte e prendere dall’altra, nel tentativo di annullare l’identità, i valori, l’impegno politico che l’Unione di centro mostra sia all’interno che fuori dal Parlamento. Oltre due milioni di italiani hanno già creduto in questo partito e tantissimi altri sono pronti a farlo attraverso la costituente Unione di centro, nella speranza di ripristinare la politica del bene e dell’interesse comune contro quella della convenienza. Per il resto, per dirla con Trilussa: «L’unità della famiglia si avverte durante l’ora dei pasti», e certamente anche se Fini «non lavora per Berlusconi, ma con Berlusconi», come egli stesso ha precisato al premier, insieme non lavorano per il bene del nostro Paese. Quindi andiamo avanti, c’è un’Italia politica,economica e sociale da (ri)costruire, non a tavola, né dal predellino, bensì tra la gente e con la gente, intorno ai valori laici,cristiani e liberali che hanno fatto grande la nostra Nazione. Vincenzo Inverso S E G R E T A R I O NA Z I O N A L E CI R C O L I LI B E R A L
APPUNTAMENTI GENNAIO 2010 LUNEDÌ 18, ORE 18,15, MILANO SALA CONSIGLIO REGIONALE LOMBARDIA Direttivo Circoli liberal Lombardia.
VINCENZO INVERSO, SEGRETARIO ORGANIZZATIVO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL
Nicola Facciolini
Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Arturo Gismondi, Raphael Glucksmann, Aldo G. Ricci, Giorgio Israel, Robert Kagan,
Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Filippo La Porta, Maria Maggiore,
Collaboratori Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Angelo Crespi, Renato Cristin, Francesco D’Agostino, Reginald Dale, Massimo De Angelis, Anselma Dell’Olio, Roberto De Mattei, Alex Di Gregorio
Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti,
Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Gabriella Mecucci, Assuntina Morresi, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Giovanni Orsina, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo,
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Con interventi di Adornato, Bondi, Capotosti, Casavola, Casini, Ciampi, Cisnetto, D’Onofrio, De Giovanni, Folli, La Malfa, Malgieri, Rutelli