L’illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari
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00216
Antonio Gramsci
9 771827 881004
di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • MARTEDÌ 16 FEBBRAIO 2010
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Bossi e Maroni costretti a smentire Matteo Salvini che aveva chiesto il «rastrellamento degli stranieri casa per casa»
Non sanno che immigrati pigliare Il “caso Milano”lo denuncia: l’esecutivo è una Babele.La Lega è divisa tra falchi e colombe.Poi c’è Fini e poi la Moratti...La verità è una: con la propaganda non si governa un fenomeno così importante Tra nuove rivelazioni e antiche malattie
Un saggio del grande storico tedesco
Decadenza Spa Scandali, affari, tangenti, festini: siamo al tramonto di un Paese che una volta era fatto di ideali, speranze e belle utopie politiche
di Riccardo Paradisi
L’annuncio di Gianfranco Fini
Protezione privata addio di Errico Novi
C’è stato un tempo, tra l’immediato dopoguerra e la metà degli anni Sessanta, in cui la nazione italiana, pur tra le rovine dell’immensa tragedia lasciate dalla guerra civile europea, seppe riconoscersi come comunità e inventarsi un destino.
ROMA. L’aveva preannunicato Gianni Letta e ieri Gianfranco Fini lo ha confermato: la privatizzazione della Protezione civile è stata accantonata dalla maggioranza: lo scandalo che sta travolgendo il modello-Bertolaso ha convinto il premier a non insistere sulla decisione. Ma per i sondaggisti,interpellati da liberal, lo scandalo non pesa sull’immagine del governo.
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di Gennaro Malgieri
Gli scontri di sabato tra immigrati a Milano hanno messo in luce un problema grave nel governo: non c’è una linea unica nell’affrontare il tema. Anzi, ce ne sono quattro: due nella Lega e due nel Pdl.Tanto che Bossi e Maroni hanno dovuto smentire Salvini che aveva chiesto i «rastrellamenti». a pagina 4
«Ci vuole un progetto, oltre l’emergenza»
Cina e Usa: perché la nuova storia non sarà bipolare
di Gabriella Mecucci
di Ernst Nolte
PARLA SAVINO PEZZOTTA
«Smettiamola di considerare l’immigrazione un’emergenza: è un fenomeno da governare. E il centrodestra non lo sta facendo»: questa la denuncia di Savino Pezzotta, candidato Udc in Lombardia. a pagina 3
Il primo giorno Udc di Paola Binetti
«Ora costruiamo il Grande Centro»
che metta chiarezza in una delle situazioni più spinose, e pesanti, in cui versa la Chiesa cattolica. Con ogni probabilità, Benedetto XVI ne autorizzerà per oggi la pubblicazione, al termine dell’inusuale “due giorni” di lavoro in corso da ieri in Vaticano. Riuniti al cospetto del pontefice, i vertici della Chiesa d’Irlanda e di Curia.
o scandalo dei preti pedofili è “orrendo”, ha detto l’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin. Più volte Papa Benedetto ha parlato di “profonda vergogna”, per l’Irlanda e per altri paesi. Non c’è che dire: la Chiesa cattolica non ha patito uno scandalo paragonabile a questo quantomeno lungo gli ultimi sei decenni. Ma reagisce.
ai prima d’ora la Cina è stata al centro di tale e tanta attenzione da parte dell’opinione pubblica occidentale e di statisti delle potenze occidentali. Tassi di crescita economica del 8-9% protratti nel tempo, provocano stupore, ammirazione e paura; sembrano avverarsi le profezie secondo cui la Cina entro breve supererà non soltanto la Germania ed il Giappone, ma perfino gli Stati Uniti. Sarebbe ormai iniziata “l’era cinese”, nella quale le industrie del “mondo progredito”(secondo i termini finora in uso) saranno trasferite sempre più in Cina, il cui miliardo e trecentomila abitanti, grazie ai salari bassi dei lavoratori ed anche a causa della disoccupazione di ampia parte della popolazione rurale, risulta incredibilmente attraente per investitori stranieri occidentali. Città come Pechino e Shanghai hanno vissuto uno sviluppo per il quale è difficile trovare analogie, perfino se paragonato alla “rivoluzione industriale”.
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«Nel Pd i cattolici schiacciati da radicali e dipietristi» Franco Insardà • pagina 8
La Santa Sede incontra i vertici di Dublino: oggi una lettera pastorale di Benedetto XVI
Il Papa processa la Chiesa irlandese Il cardinale Bertone: «Riconoscere le proprie colpe e pentirsi» di Vincenzo Faccioli Pintozzi
Se solo il Vaticano sa fare autocritica
ROMA. Una Lettera pastorale
seg1,00 ue a p(10,00 agina 9 CON EURO
di Luigi Accattoli
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I QUADERNI)
• ANNO XV •
NUMERO
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WWW.LIBERAL.IT
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IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Accoglienza. La politica non ha un modello: nel centrodestra, dopo i fatti di Milano, emergono almeno quattro posizioni
Labirinto integrazione
La Lega è divisa tra falchi e colombe, nel Pdl si litiga sulla linea dura o le aperture finiane: sull’immigrazione il governo non ha le idee chiare di Riccardo Paradisi ll’interno del Pdl non si è ancora visto un vero dibattito sull’immigrazione» lamentava Giorgio Israel dopo i fatti di Rosarno in Calabria. Come dire: la maggioranza procede occasionalmente di fronte alle emergenze che pone il fenomeno immigratorio, dividendosi sulle politiche d’integrazione e di contenimento dei flussi di arrivo ma senza avere un modello in testa, una visione di come impostare il problema. Non che nel centrosinistra le idee siano più chiare e definite e che non ci siano anche in seno all’opposizione linee di frattura tra posizioni diverse o antagoniste.
«A
Del resto i modelli europei finora adottati e che si potrebbero prestare a essere trasferiti da noi hanno avuto esiti che definire fallimentari è eufemistico. Il modello anglosassone: Together and equal (insieme ed uguali di fronte alla legge), si è trasformato presto in ”separated but equal” (separati ma uguali di fronte alla legge). I cittadini stranieri vivono in quartieri separati dove vigono regole e consuetudini specifiche con una conflittualità interetnica altissima. Ed erano immigrati di seconda generazione quelli che si sono fatti esplodere nella metro di Londra il 7 luglio del 2005. Non va meglio se si fa un bilancio del modello francese fondato sull’ideologia repubblicana e la laicitè. Modello la cui funzionalità avrebbe dovuto essere garantita da scuola repubblicana, leva obbligatoria, i sindacati con la loro capacità d’ integrazione, assenza di ghetti etnici. E dando il primato alla lingua e all’ insegnamento della cultura francese rispetto alle lingue e alle culture dei paesi d’ origine degli immigrati immigrati. Il risultato è stato la rivolta delle banlieu. In Italia per non sbagliare non esiste nessuna filosofia unitaria sull’immigrazione. Lo dimostra il fatto che dopo i fatti di Milano, all’interno della maggioranza di governo, si sono create nuove divisioni e emersi orientamenti se non contraddittori certo molto diversi. La Lega presenta apparentemente l’atteggiamento
più omogeneo all’interno della maggioranza: il Carroccio chiede la rigida applicazione della legge Bossi-Fini reiterando a ogni piè sospinto il mantra della tolleranza zero. Solo che quando l’esplosione del conflitto interetnico investe una delle sue roccaforti geografiche come Milano ecco che le esigenze di rappresentanza territoriale fanno salire in superficie posizioni diverse. La rivolta di via Padova non si era ancora placata che l’eurodeputato leghista Matteo Salvini chiedeva controlli ed espulsioni casa per casa. Il ministro per la Semplificazione Roberto Calderoli portava a stretto giro anche il suo contributo: «Gli incidenti di Milano sono un segnale
del rischio di possibili nuove banlieue come successo in Francia, dove ora si lavora a proposte rigide per il controllo dell’immigrazione. Occorre stringere la vite».
Ma Salvini va oltre: «Occorre fermare per un anno le vendite di case e di attività commerciali a tutti gli extrcomunitari; il problema è la densità abitativa. In via Padova e in tutte le vie limitrofe abitano troppi stranieri la metà di queste persone non ha diritto di abitare a Milano». Per il capogruppo del Carroccio al Comune di Milano tocca poi al sindaco «inviare i vigili a controllare la regolarità delle condizioni di residenza nell’intera zona di via
Padova. La prima cosa che un sindaco dovrebbe fare controllare chi vive in queste case, chi è in regola e chi no». Un eccesso di zelo che lo stesso segretario della Lega Umberto Bossi ritiene opportuno contenere: «I rastrellamenti lasciamoli perdere – dice il Senatur –
clandestina. Ora dobbiamo sostenere i processi di integrazione. Però far rispettare le norme sugli affitti agli stranieri, contenuta nella Bossi-Fini, che prevede sanzioni pesantissime per chi affitta in nero agli irregolari. Siamo stati attenti alla prima accoglienza ma abbiamo lasciato l’insediamento urbanistico al libero mercato. Invece occorre regolare anche questo aspetto».
Insomma nella Lega, l’ala dura del Pdl, si registrano posizio-
bocciando senza appello la proposta di Salvini». Per Bossi, il problema immigrazione non va però sottolvalutato: «Anch’io critico la sinistra che ha fatto arrivare in Italia montagne di immigrati senza casa, e poi sono nati i quartieri ghetto». Sulle linea della fermezza senza cedimenti al tremendismo è anche il ministro dell’Interno Roberto Maroni: «Fino a ora il governo ha dovuto affrontare il tema più urgente, ovvero il all’immigrazione contrasto
ni più radicali e posizioni più istituzionali mentre il Pdl e lo stesso premier per ora si limitano al tentativo di rassicurare i cittadini con l’invio di forze di polzia: «Abbiamo concordato con il Presidente Berlusconi e il ministro Maroni un rinforzo di uomini – dice il sindaco di Milano Letizia Moratti – il primo contingente arriverà nei prossimi giorni». Per quanto riguarda gli incidenti di via Padova Moratti, come il governatore Roberto Formigoni, prega rivolgersi allo sportello reclami del cen«È trosinsistra:
colpa loro se l’immigrazione è a questi livelli». L’opposizione ha insomma buon gioco nel parlare di una Babele di voci all’interno del centrodestra: «Dalla Moratti che oggi chiede rinforzi – polemizza il Pd milanese – al ministro Maroni che parla di nuova integrazione ma deve fare i conti con i suoi Salvini e Calderoli che invocano rastrellamenti». Ma esiste come è noto anche una sinistra del Pdl che invece chiede sia addirittura rivista nel senso di maggiori aperture e disponibilità all’integrazione la legge Bossi-Fini. A farlo paradossalmente è come è noto proprio uno degli estensori di quel disegno di legge: il presidente della Camera Gianfranco Fini. Per l’ex leader di An la Bossi-Fini sull’immigrazione «continua a essere valida nell’impianto generale ma alla luce delle esperienze relative e di alcune questioni applicative della legge, alcuni correttivi sono necessari».
Come le correzioni in merito al rilascio del permesso di soggiorno per poter rinnovare il contratto di lavoro: «È assurdo chiedere a un immigrato di tornare nel Paese di origine e poi tornare in Italia». Importante se-
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«Un progetto, non un manganello» Pezzotta: «Basta con la logica dell’emergenza, questo è un fenomeno da governare» di Gabriella Mecucci
ROMA. L’esplosione di violenza fra immigrati a Milano, la rabbia, la denuncia, l’elenco delle responsabilità. Dopo i fatti di sabato, il dibattito va avanti più per provocazioni e scaricaribale che mettendo al centro analisi e proposte. Adesso si denunciano miserie e marginalità che allignano a via Padova: i dormitori, la mancanza di poliziotti, i servizi insufficienti. Ora è accaduto a Milano, qualche tempo fa a Rosario. Il problema immigrazione comincia, in forme diverse, a manifestarsi platealmente in diverse zone d’Italia. Ne parliamo con Savino Pezzotta, uno dei leader più autorevoli dell’Udc e candidato presidente della Regione Lombardia per quel partito Pezzotta, che cosa pensa di quanto è accaduto a Milano? Quali le responsabilità? Questo scaricabarile delle responsabilità non è accettabile. Non è solo sbagliato, ma impedisce di assumere i problemi per quelli che sono. In Lombardia come a Milano il centrodestra governa da 15 anni. Non può far finta che non c’entra niente. Erano loro ad avere gli strumenti per comprendere meglio i fenomeni che si verificavano in quel territorio, e per contrastarli. Chi altrimenti? La verità è che ha vinto l’idea che l’immigrazione va più repressa che governata. E quello che vediamo è il frutto di questa erronea convinzione. Il sindaco Moratti ha accusato la sinistra, rea di aver facilitato l’accesso massiccio di immigrati... La sinistra ha le proprie responsabilità. Ma la Moratti dovrebbe riflettere prima di lanciare accuse: questa Regione, questa città sono state governate forse dal Pd e da Rifondazione? Ma
condo Fini per il Pdl è distanziarsi dalla Lega: «Chi arriva in Italia è una persona, ribadisce poi. La distinzione tra regolare e clandestino non può essere la cartina al tornasole per orientare una politica». La legge Sarubbi-Granata da
non voglio rispondere con battute propagandistiche ad un problema che è molto complesso. Noi lo collochiamo in una posizione centrale nel nostro programma di governo e avanziamo proposte. La prima è quella di creare un assessorato alla cittadinanza. Qual è l’errore fondamentale che è stato fatto nel nostro paese sul problema immigrazione? Continuare a pensare che l’immigrazione vada affrontata come un fenomeno di emergenza. Mentre la presenza di uomini e donne che vengono da paesi diversi e che hanno culture diverse è un dato strutturale della nostra società. Se a Milano, come altrove, le badanti extracomunitarie che assistono gli anziani, o gli operai extracomunitari impegnati nelle attività più pesanti tornassero a casa loro, che cosa accadrebbe? Avremmo risolto i nostri problemi? Neanche per sogno, anzi sarebbe una catastrofe. Chi farebbe più certi lavori? Quando c’è un fenomeno strutturale, si deve cercare di governarlo. Non si può puntare sulla repressione, magari immettendo nel codice nuovi reati più o meno fasulli, ma operare perché non si creino i ghetti, o, se ci sono, cercare di abolirli. Muoversi sul piano della interculturalità, mettendo in campo anche operatori culturali preparati ad hoc. La violenza però va repressa, o no? Certo che sì. Ma sono anni che si sbraita solo di repressione. Non si par-
Fini patrocinata e sostenuta vorrebbe peraltro dimezzare i tempi per la concessione di cittadinanza dai dieci ai cinque anni. Intanto un progetto di integrazione potrebbe essere presentato dal governo nel giro di un paio di settimane.
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la di null’altro. Prima ci volevano le ronde, ma non le hanno fatte. E comunque non avrebbero risolto niente. Adesso, si chiede solo la presenza di più poliziotti. E, per favore, la Moratti non ci venga a dire che se mancano è colpa di Bersani o di Casini. Al governo c’è Berlusconi: è il suo esecutivo a non aver previsti risorse adeguate per la pubblica sicurezza. La Lega strilla, ma con chi se la prende? Non è Maroni il ministro degli Interni? Di recente, ci sono state le violenze di Rosarno e lei, in quell’occasione, sostenne che erano figlie del super sfruttamento e dell’illegalità: anche al Nord ci sono illegalità e super sfruttamento? Purtroppo sì. Anche al Nord ci sono illegalità, emarginazione, lavoro nero. Questo nessuno lo ignora. Ma non è sopportabile che di queste cose si discute solo quando ci scappa il morto. Bisogna conoscere il proprio territorio, prevenire e combattere certi fenomeni prima che avvenga l’esplosione. Governare significa fare questo: creare strumenti adeguati ad evitare il peggio. C’è chi pensa invece che l’aver creato il reato di clandestinità equivalga a risolvere il problema. Non è così. La realtà replica duramente agli artefici di queste semplificazioni. E adesso c’è anche chi propone i rastrellamenti degli immigrati, le perquisizioni casa per casa. Certe immagini, certi termini non andrebbero nemmeno lontana-
Il centrodestra non può scaricare il problema sugli altri oppure evocare i rastrellamenti
In alto e a sinistra, alcune immagini degli scontri di sabato, a Milano. Sopra, Savino Pezzotta. A destra, Bossi, Fini e Maroni che hanno opinioni diverse
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mente evocati. Richiamano momenti terribili del tempo passato. Diciamo la verità, anche i paesi che hanno puntato su politiche che affrontassero la qualità della vita degli immigrati, si sono trovati in serie difficoltà. Basti pensare alla Francia e all’Inghilterra... So bene che governare il fenomeno migratorio è difficile per tutti. E ho ben presente il problema della sicurezza. Non escludo la possibilità, in alcuni momenti, di ricorrere alla repressione. Ma se si punta solo su questo non si va lontano. Quanto alla Francia, ha scommesso sul multiculturalismo, mentre io propongo l’interculturalismo, cioè una politica attiva che favorisca l’incontro fra culture diverse perché si arricchiscano reciprocamente senza annullare le proprie identità. Lei è il candidato presidente dell’Udc alla Regione, che cosa propone? Ha già parlato di un assessorato alla cittadinanza,che cosa dovrebbe fare? Per risanare un quartiere bisogna prendere in considerazione molti problemi diversi. C’è il tema dell’abitare che va affrontato con politiche attive. Occorre agire sui servizi, così come occorre istituire dei veri e propri mediatori culturali. Per questo proponiamo la creazione di un assessorato alla cittadinanza perché ci sia una sede per decidere tutte le misure da prendere e le priorità. Naturalmente questo è un cammino lungo e difficile. Ma le scorciatoie leghiste portano a via Padova. Quello che più mi interessa è che dobbiamo cambiare l’approccio al problema immigrati considerarlo un fatto strutturale sul quale agire con una molteplicità di misure: dal welfare, alla sicurezza, alla cultura.
Ad annunciarlo è il ministro del Welfare Maurizio Sacconi: «Gli eventi di Milano – dice – ripropongono il tema del disagio di alcune componenti dell’immigrazione, soprattutto quando questa si trova concentrata nei cosiddetti ghetti
nelle grandi città. Noi dobbiamo lavorare per una maggiore integrazione: presto presenteremo un piano nazionale per una più robusta politica per l’integrazione, che rappresenta l’altra faccia della medaglia della sicurezza».
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il caso bertolaso
Miserie. Riflessione addolorata sulla decadenza dei nostri costumi, che ormai ha coinvolto persino i nostri sogni
L’Italia incurabile
Scandali, affari, tangenti, festini: siamo al tramonto di un Paese che una volta era fatto di ideali, speranze e belle utopie politiche di Gennaro Malgieri è stato un tempo, più o meno lontano dal nostro, tra l’immediato secondo dopoguerra e la metà degli anni Sessanta, in cui la nazione italiana, pur tra le rovine dell’immensa tragedia lasciate dalla guerra civile europea, seppe riconoscersi come comunità ed inventarsi un destino. Non erano i partiti, le oligarchie, i potentati economici e finanziari a costruire la casa comune andata in frantumi, ma un popolo sostenuto da una forza che ancora ci stupisce. Certo, i soggetti ricordati non erano estranei alla ricostruzione e, pur badando innanzitutto ai loro interessi da cui scaturivano conflitti dai quali nascevano divisioni anche profonde e laceranti nel cosiddetto Paese reale, niente sembrava poter fermare quella macchina possente che era il popolo determinato a riconquistare la libertà dal bisogno e desideroso di vivere secondo i canoni di una morale connaturata al suo stesso carattere. Le speranze non erano mal riposte. Gli stessi partiti politici, pur ingerendosi quanto più possibile nella cosa pubblica, nella gestione dell’amministrazione
C’
dello Stato, nell’accaparrarsi risorse da distribuire a nuove clientele, per quanto si costituissero come casta partitocratica, non mostravano la spudorata arroganza di volersi impadronirsi dello Stato totalmente ed organizzarsi come padroni assoluti dei “sudditi” in nome della democrazia. Le degenerazioni cominciarono dopo, quando la politica e gli affari s’incontrarono sul terreno del-
l’avidità e finirono per travolgere le migliori intenzioni che gli italiani avevano dispiegato tornando dalla guerra e riprendendosi la vita. Eppure anche negli anni del primo centrosinistra una certa moralità di fondo permeava la vita pubblica come quella privata. Negli occhi della gente c’era una luce che non avremmo visto più negli anni dell’edonismo; nei sorrisi dei ragazzi e delle ragazze si
di quella luce, di quelle speranze. Per noi che stiamo trascorrendo la cinquantina l’Italia in bianco e nero è ancora un sogno che ci tiene vivi. Roba da romantici inguaribili? E sia. Ma quanto erano belle le nostre ragazze che con pudore si accostavano alle nostre labbra e ballavano con noi prima con vergogna e poi con un trasporto che ci faceva tremare. E quanto ci piaceva finire la sera-
Dagli anni Sessanta in poi è sparito del tutto quel grande spirito vitale che aveva consentito al nostro popolo, seppure distrutto dalla guerra civile europea, di ricostruirsi e reinventarsi un’idea di nazione. Anche nelle divisioni leggeva la leggerezza di una vita semplice che s’intrecciava con ideali; nel ribellismo dei giovani c’era l’ansia di costruire un mondo diverso da quello che avevano appena rimesso in piedi i loro fratelli maggiori. Forse era tutto sbagliato, chissà, ma quanto era pulito.
Non sono trascorsi secoli, ma è come se lo fossero, da quegli anni. Abbiamo attraversato il nostro scontento e siamo arrivati alla soglia della vecchiaia con la nostalgia di quei sorrisi,
ta in pizzeria continuando a parlare di politica dopo che per ore non avevamo fatto altro nelle nostre sgangherate sezioni. E ci entusiasmava studiare la rivoluzione (una qualsiasi) lasciando l’ultimo libro sul letto, per tuffarci nella notte ad attaccare manifesti. Ci consumavamo pure, nei giorni che sottraevamo a piaceri forse più effimeri, nel conquistarci un pezzo di gloria stracciona raccontando noi stessi a chi non era come noi. L’Italia ci amava e noi sentivamo di amarla. A de-
stra ripetevamo con Robert Brasillach che il nostro Paese ci faceva assai male; a sinistra, se ricordo bene, ripetevano più o meno la stessa cosa con lo stesso amore, con lo stesso dolore. Poi che strade le dovessero essere diverse era scritto.
Ma oggi a chi fa male questa Italia e chi non soffre vedendola così cambiata da non riconoscerla più? Neppure chi non c’era al tempo dei “domani che cantano”, avverte di trovarsi in una terra incognita, difficile da decifrare; una terra che sembra uscita dal romanzo di Cormac McCarty, La strada, nel quale la descrizione del nichilismo non potrebbe essere più disperatamente coinvolgente. Si vive, reduci delle generazioni che hanno ricostruito l’Italia, di quelle che volevano trasformarla, di altre che hanno immaginato di poterla cambiare violentemente, in un Paese senz’anima nel quale giorno dopo giorno s’affievolisce la speranza di vederlo integro com’era una volta e cresce la certezza che l’avidità, il potere, l’edonismo, la corruzione lo hanno consumato come si consuma un ammalato terminale.
il caso bertolaso
La decadenza, ci ricordavano morfologi della storia come Spengler, Toynbee, Huizinga, si manifesta sempre con l’ossessione della bramosia unita alla invasività del sesso e alla crudeltà nell’accanirsi sulle vite innocenti. La luce del tramonto getta ombre sinistre su un universo disordinato e nessuno sa dire quanto durerà la notte. E così muore una nazione senza che neppure una guerra l’abbia sfiorata, una rivoluzione ne abbia fiaccato la resistenza, un dominio esterno l’abbia piegata. Muore perché il male interno, il cancro che la corrode è talmente esteso da non prevedere salvezza dai farmaci che per quanto potenti nulla possono se la volontà di resistere è inesorabilmente minata. E così, uno scandalo dopo l’altro, un’inchiesta che tiene dietro ad un’altra inchiesta, tra menzogne e mezze verità, responsabilità mai pienamente accertate, l’Italia si disfa tra l’ottimismo degli imbecilli ed i corrotti che fingono di credere che tutto rientri nella normale patologia della “modernità”. Anche le puttane che ormai scandiscono l’orologio della politica, che segnano l’ascesa ed il declino di piccoli e grandi e uomini, che contribuiscono a determinare fortune insperate e disastri imprevedibili. Anche i grandi ciambellani di questa parodia di Stato che s’affloscia sotto i nostri occhi rientrano nel declino ineluttabile con le loro corti dei miracoli costituite da servi e da servette, da eunuchi al soldo dei satrapi, da corifei che sui giornali senza idee pontificano quotidianamente sulle magnifiche sorti e progressive di un mondo uniforme, privo di sfumature, proiettato nella magica agorà dove si pratica il potere inelegante come può esserlo la
gestione di un bordello di quart’ordine.
Chi governa tutto questo soltanto marginalmente occupa i Palazzi della Politica. In realtà tra quelle mura c’è poco da fare. È nel policentrismo il domicilio del potere e della corruzione. Come alla fine dell’Impero millenario quando tutti si ritagliavano serragli nei quali consumare le proprie aspirazioni circondati dai soliti orpelli di cui il potere si è circondato. Oggi i serragli sono gli enti locali, le regioni, i sultanati economici ed amministrativi nei quali si spende senza controllo, si dilapidano risorse per ignoranza o ingordigia. Fuori il conflitto sociale si nutre di amarezza e di disincanto. Fino a quando non esploderà la rabbia degli esclusi. Anche questo abbiamo visto dai tempi di Artemidoro a quelli del Termidoro. Nulla è cambiato, tutto è soltanto peggiorato poiché la tecnologia ha reso più temibili coloro che agiscono nell’ombra e posseggono le nostre vite espropriate della loro riservatezza, della loro “unicità”, della loro dignità. Non c’è essere umano, se non gli ultimi della Terra, le cui esistenze non sono state rinserrate dentro inaccessibili armadi in attesa di essere liberate per darle in pasto ad un’opinione pubblica desiderosa di essere così utilizzata dai ignobili carcerieri che sanno di poter diventare carcerati. E trascorre in questo modo il paradosso della libertà: d’intercettare, di fotografare, di filmare, di ricattare, di spingere alla disperazione, di fulminare angeli e démoni in un solo istante, di accomunare vittime e carnefici allestendo spettacolini ad uso delle tricoteuses nei quali l’Inferno e la Bellezza si confondono e scientificamente
L’Abbazia di Montecassino distrutta dopo la Seconda Guerra. Nella pagina a fronte, la Prefettura dell’Aquila distrutta dal terremoto. diventano inestricabili. L’impotenza a chiudere i serragli ormai è accertata: coloro che li hanno costruiti hanno perduto le chiavi e da fuori si vede tutto. Il potere è nudo, ma siccome sono nudi anche i guardoni, si può concludere con un bel chissenefrega.
Poco male se al di là della cortina molle la povertà non muove più le folle di un tempo, se lo schiavismo è la nuova scorciatoia per entrare nella storia, se si muore sul lavoro o se si sopravvive ai limite della morte senza lavoro, se i poteri dello Stato si combattono come in una guerra senza quartiere, se lo scettro è stato sottratto al popolo e però si continua a proclamare che la democrazia va difesa, se la criminalità battuta ogni giorno non fa mancare il suo contributo all’inquinamento sociale e condiziona la politica, se l’identità di una nazione è definitivamente sepolta sotto l’orgia di almanaccamenti ridicoli ed indecenti su un anniversario che nessuno sente (quello dei 150 anni dell’unità) posto che è andato a puttane, in senso letterale, ciò che bisognerebbe celebrare. Resta la malinconia. No, la malinconia non ce la può togliere nessuno. E a nessuno può venire in mente di sottrarci la nostalgia per quella Italia che abbiamo conosciuto e che probabilmente la nostra generazione non vedrà più. Bel capolavoro, da Tangentopoli ad oggi. Quanti rivoluzionari abbiamo visto passare senza che nessuno muovesse
una foglia per far finta almeno di volerla fare una rivoluzione. E quante intelligenze si sono sprecate nel tentativo si riformare l’irriformabile. Abbiamo chiuso botteghe politiche che francamente non meritavano la fine che hanno fatto, per aprirne di nuove nelle quali non si trovano generi di conforto, ma sono addobbate da scaffali vuoti, freddi, coperti da strati di polvere. Abbiamo gettato alle ortiche vecchie idee che, nell’ebbrezza del momento, ci sono sembrate inservibili: oggi non ne abbiamo altre, ed è bene non averne, ci fanno sapere i soliti oligarchi. Abbiamo dissipato un patrimonio di risorse
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sì, per quella che è. Ma non diteci che siamo pessimisti solo perché non ci piace quel che vediamo affacciandoci nelle scuole, negli ospedali, negli aeroporti, nelle stazioni ferroviarie, nelle città d’arte sconnesse e maleodoranti, sulle coste dalle quali scorgiamo dannati respinti perché la nostra nobile “identità” potrebbe esserne contagiata. Non diteci che siamo poco patriottici nel dire la nostra su questa Italia che adesso sì ci fa davvero male. E non rimproverateci se continuiamo a restare qui, a casa nostra mentre tutto ci chiamerebbe altrove. Non si abbandona un luogo dell’anima quando è accerchiato anche se si dispera di poterlo salvare. Nessuno, del resto, ci ha sciolto dalla consegna a restare al nostro posto, come italiani doloranti, ma non incattiviti.
Q u e st i gi o r n i p a ss e r an n o
Abbiamo gettato alle ortiche vecchie idee che, nell’ebbrezza del momento, ci sono sembrate inservibili: oggi non ne abbiamo altre civili, culturali, morali per che cosa? Questa è l’Italia, ecco ciò che resta, direbbe il vecchio e caro Prezzolini. Non è molto. Anzi è niente. Prendiamola co-
con noi. Purtroppo non ci sarà un Erodoto che avrà voglia di raccontarli. Della decadenza è già stato detto tutto almeno da tremila anni. Ci resta, per chi volesse coglierlo, l’ammonimento di Niccolò Machiavelli su quello che è il principio della dissoluzione del bene comune: «Nessuna repubblica bene ordinata – scriveva il Segretario fiorentino – non mai cancellò i demeriti con gli meriti de’ suoi cittadini; ma avendo ordinati i premii a una buona opera e le pene a una cattiva ed avendo premiato uno per avere bene operato, se quel medesimo opera dipoi male, lo gastiga, sanza avere riguardo alcuno alle sue buone opere. E quando questi ordini sono bene osservati, una città vive libera molto tempo: altrimenti sempre rovinerà tosto». Non c’è altro da aggiungere.
il caso bertolaso
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Inchiesta. Pagnoncelli, Pessato, Piepoli e Amadori analizzano l’impatto dell’«emergenza moralità» sull’opinione pubblica
San Sondaggio, assolvici tu Bertolaso e i dirigenti del Pdl coinvolti? Nessuno scandalo tra gli elettori, dicono gli statistici. Ma intanto il Pdl accantona la Protezione spa di Errico Novi
ROMA. Una conseguenza tangibile c’è: l’Esecutivo è costretto a fare retromarcia su un progetto qualificante, la trasformazione in Spa della Protezione civile. Dopo l’annuncio di Gianni Letta arriva infatti la conferma di Gianfranco Fini, che ribadisce l’eliminazione dal decreto in arrivo alla Camera dell’articolo 16, in cui appunto veniva sancita la nuova natura giuridica del dipartimento. Segno che l’inchiesta dei magistrati fiorentini sul G8 alla Maddalena comporta un certo impatto mediatico. Resta il dubbio sulla sua effettiva entità: tre dei quattro sondaggisti interpellati da liberal in proposito, Ipsos, Piepoli e Coesis, suggeriscono una lettura prudente: il giudizio dell’opinione pubblica
sul governo non cambia, e persino per gli esponenti coinvolti, da Bertolaso in giù, non si intravedono conseguenze pesanti in termini di popolarità. Solo la Swg indica uno scenario un po’ diverso, con una sostanziale so-
NANDO PAGNONCELLI
stanza descrivono un’opinione pubblica disinteressata non solo alle faccende più personali e pruriginose, ma anche alle «sfasature», come le definisce Nicola Piepoli, su gestione degli appalti e rapporti con le imprese. In un certo senso il distacco potrebbe passare anche come segno di un sempre maggiore allontanamento dei cittadini dalla politica. Questione di punti di vista: Amadori, che oltre a dirigere i ricercatori di Coesis è anche docente universitario di Psicologia politica, parla infatti di sostanziale “assoluzione” per Bertolaso, attestata anche da un sondaggio ultimato proprio ieri dalla sua società: «Oltre il 57 per cento ritiene che il sottosegretario debba rimanere al suo posto», spiega.
Le vicende giudiziarie non spostano più consenso, il che corrisponde anche a una certa diffusa apatia spensione del pronunciamento popolare in questa prima fase, ma anche con il rischio di ricadute pesanti da qui a qualche mese se gli addebiti dei pm non venissero smontati.
I dubbi restano, e le considerazioni proposte a liberal da Maurizio Pessato, ad dell’istituto triestino, meritano molta attenzione. Ma non appaiono infondate nemmeno le interpretazioni offerte dagli altri tre sondaggisti interpellati. Che nella so-
Eppure all’Esecutivo e al suo vertice potrebbe tornare utile un atteggiamento più prudente rispetto a quello esibito in altre recenti tempeste mediatiche, dice l’amministratore della Swg Maurizio Pessato: «Adesso prevale una certa sospensione del giudizio, intanto perché in campagna elettorale le posizioni si cristallizzano, nel senso che prevale la difesa o l’ostilità a priori. Pesano anche l’esito inconsi-
stente di alcune inchieste recenti e casi come quello di Calogero Mannino o di Ottaviano Del Turco. Ma intanto si può dire con certezza una cosa: se per Silvio Berlusconi una parte maggioritaria dell’opinione pubblica coltiva un pregiudizio positivo, lo stesso discorso non si può fare per altri esponenti della maggioranza». È una considerazione importante, perché è appunto questa una delle domande che è legittimo porsi: il salvacondotto morale di cui il premier sembra godere agli occhi di molti italiani si estende per assimilazione
che i fan del governo possano giudicarli negativamente «proprio perché mettono in difficoltà Berlusconi».
Tanto che, spiega il sondaggista della Swg, «molti elettori del Pdl possono considerarli dei fastidiosi politicanti». Anche Bertolaso? «No, per lui è diverso. Finora si è costruito l’immagine di una sorta di cavaliere senza macchia, quindi se le ipotesi dei pm dovessero trovare conferme attendibili, per lui la situazione potrebbe farsi pesante». Al punto da trascinarsi dietro anche un danno all’imMAURIZIO PESSATO magine del premier? «Non in termini immediati, ma sul medio termine, di qui a qualche mese, il quadro potrebbe cambiare: con eventuali conferme alle accuse di partenza, potrebbe farsi strada l’idea per esempio che su Berolaso c’è stata un’eccessiva concentraanche a chi gli è politicamente zione di incarichi. E in quel cavicino? Secondo Pessato non è so per Berlusconi potrebbe escosì, anzi: riguardo ai dirigenti sere conveniente non accusare i del Pdl chiamati in causa sul ca- magistrati come ha fatto in altre so G8 dal Corriere della Sera di occasioni ma riconoscere, con ieri, per esempio, Pessato ritiene spirito di saggezza, di aver
Il pregiudizio positivo vale per il premier, ma non per altri esponenti della maggioranza
L’inchiesta di Firenze impedisce a Berlusconi di mandare Bertolaso a Milano come commissario
E senza il risolutore l’Expo va in soffitta di Francesco Pacifico
ROMA. «Commissariamento dell’Expo? Per l’amor di Dio, in questo momento, non ne parliamo nemmeno». A differenza dei tanti che non soltanto a Roma hanno brindato, Bruno Ermolli non ha gioito dei problemi giudiziari di Guido Bertolaso. Ma proprio perché amico di Silvio Berlusconi, e suo tramite con la provincia ribelle lombarda, il consulente principe del premier deve aver tirato un sospiro di sollievo quando ha capito che al risolutore per eccellenza non sarebbe toccato, dopo Napoli e L’Aquila, salvare anche Milano.
Fino a mercoledì scorso era dato per sicuro che il capo della Protezione civile sarebbe stato mandato al Nord su input di Berlusconi per commissariare Letizia Moratti (attuale commissaria straordinaria), Giulio Tremonti, Lucio Stanca, Roberto Formigoni che almeno su questo versante ha stretto un asse di ferro con la Lega, e Roberto Castelli. Persino Filippo Penati, sfidante del Pd per il Pirellone, aveva benedetto la cosa in un’intervista a Repubblica. Nel mirino di Berlusconi c’è il gotha politico lombardo, le aspirazioni europee della Madunina, i protagonisti di una guerra civile interna del centrodestra che sta bloccando non soltanto l’Expo 2015.
L’Expo, appunto: a quasi un anno dall’assegnazione del Bureau international des expositions, ci sono state tante polemiche, un solo cantiere aperto e non un soldo sbloccato per le opere pubbliche. Che pure si traducano in appalti da sei miliardi di euro e in strade, autostrade e binari che potrebbero attutire i gravi problemi di mobilità e di inquinamento di Milano. Corollario a tutto questo il gelo dei privati, che, spiega giustamente Ermolli, «mancano perché mancano 5 anni all’evento e non c’è un’idea chiara dell’indotto che verrà messo in moto». Quindi il nulla. Tanto che quando sarà svanita l’euforia per lo scampato arrivo di Bertolaso, ci si accorgerà che la sua
il caso bertolaso
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commesso lui stesso un errore. A fin di bene, certo. Ma ammetterlo sarebbe utile».
C’è una sfumatura diversa nel discorso di Nando Pagnoncelli, guru dell’Ipsos: «È chiaro che certe vicende producono un disorientamento nell’opinione pubblica. Ma è difficile misurarne le ricadute in termini di consenso, anche perché in un fase del genere si confondono molte variabili, dalle alleanze nelle singole regioni al profilo dei candidati. E poi ci sono due aspetti. Primo, nell’opinione pubblica si registra un pragmatismo sempre più diffuso, per cui sui giudizi pesa piuttosto la coerenza del governo rispetto alle aspettative su sicurezza, lavoro, tasse. Persino l’intestardirsi sulla giustizia può provocare un certo dissenso solo nella misura in cui si ritiene che esso distragga dalle altre questioni, ritenute più urgenti. Secondo, le vicissitudini giudiziarie che riguardano personalità non di primissiNICOLA PIEPOLI
C’è sempre qualche sfasatura, ma agli occhi degli elettori si tratta di cose poco rilevanti ma fila non producono ricadute significative, tendono a essere circoscritte attorno ai singoli responsabili, e soprattutto si afferma sempre più una simmetria permanente per i fatti giudiziari: agli occhi dell’elettore di centrodestra gli inciampi della propria parte sono ampiamente controbilanciati da quelli degli avversari, e viceversa». Ma qui siamo
possibile nomina è stato l’unico interessamento di Silvio Berlusconi per l’Expo, mai stato al centro dei suoi pensieri. Pare che non voglia metterci la faccia perché difficilmente si potrà competere con la magnificenza di Shanghai 2010.
L’unica certezza è che nell’ultimo passaggio alla Camera il Milleproroghe non conterrà gli emendamenti che servono per far partire i cantieri. Così si cerca di capire cosa accadrà ad aprile, quando il commissario straordinario all’opera, il sindaco Letizia Moratti, e l’amministratore delegato della Società di Gestione, l’ex ministro e senatore Lucio Stanca, presenteranno ai vertici della Bie il masterplan sull’area – vicino alla fiera di Rho Pero – dove si terrà la manifestazione. Ma si dovrà anche fare il punto sullo stato dell’arte. Siamo soltanto nel campo delle ipotesi, ma il Bureau, insoddisfatto per quanto fatto dalla Madunina, potrebbe ritirarle l’organizzazione, dando un colpo senza eguali alla credibilità d’Italia. Più proba-
bile che la manifestazione si terrà comunque, in maniera più sobria rispetto ai faraonici progetti iniziali. Ma l’ipotesi di un ritiro prende forme se, come si fa a Milano, la si collega ai paletti finora messi da Giulio Tremonti: prima allo stipendio a sei zeri che l’ex capo di gabinetto della Moratti, Paolo Glisenti, voleva darsi come capo della Sogen; poi alle assegnazioni del Cipe per le opere di collegamento. Ed è proprio dal ministro dell’Economia che si deve partire per comprendere le difficoltà dell’Expo e il tentativo di Silvio Berlusconi di sbloccare la partita mandando a Milano Bertolaso. Per Tremonti la voce Grandi opere è quella più delicata del suo bilancio: spalmare sugli anni a venire l’avvio dei principali cantieri gli garantisce di alleggerire il peso del deficit sul Pil: pratica necessaria per portare a buon fine le aste sul debito e tenersi buona l’Unione europea. Il ministro, poi, non ha gradito che una volta arrivato al governo i vertici politici locali non abbiano concordato con lui la strategia da tenere. Non ama che su un
tesoretto di sei miliardi di euro – lui che tanto ha bisogno di soldi – si armino contese o si imbastiscano alleanze tra Letizia Moratti, Roberto Formigoni, i tre Roberto della Lega: tutta gente che come lui ambisce a guidare il centrodestra e che non può derogare dal controllare la Lombardia. Dice chi ha seguito la faccenda dall’inizio: «Di fatto la situazione è sbloccata: la Moratti ha i poteri commissariali per velocizzare la gare, la società di gestione con Stanca è partita, quello che manca è un accordo politico per sbloccare i fondi al Cipe. Il problema che non c’è nessuno che può mediare tra i milanesi e il Tesoro». Dopo il no di Ermolli che avrebbe declinato l’invito, Silvio Berlusconi voleva “sbolognare”la pratica a Guido Bertolaso. Ma le indagini sul G8 de La Maddalena l’hanno costretto a frenare. Gli uomini di Tremonti dicono che la priorità è risolvere problemi normativi comparsi strada facendo: intanto dare forma all’ordinanza del governo che prevede deroghe e varianti sulle valuta-
a una forma di disincanto che precede appunto il cinismo. E Pagnoncelli conferma: «Se è vero che certi fatti non spostano più consenso è anche vero che questo corrisponde a una certa apatia rispetto alla politica».
Anche più benevola è la previsione di Nicola Piepoli: «Intanto nei confronti dell’attuale governo prevale un giudizio positivo. E poi delle sfasature possono esserci sempre, ma agli occhi dell’opinione pubblica si tratta di aspetti poco rilevanti». Quel poco di suggestione negativa «può anche trasferirsi per analogia da un componente del governo a Berlusconi, ma è un fenomeno debole». La pensa così anche Alessandro Amadori, che proprio ieri ha registrato in un sondaggio la fiducia nei confronti di Bertolaso: «Il sottosegretario si è costruito una forte popolarità. Persino quel suo presentarsi sempre in divisa gli conferisce le sembianze di un vero eroe nazionale. Se ci si pensa, gli eroi della fantasia fumettistica hanno proprio questa caratteristica: si presentano sempre con lo stesso abito. Personalmente non riesco a immaginarlo in atteggiamenti equivoci con una massaggiatrice». Forse il 57 per cento è appena un po’al di sotto della popolarità riconosciuta a Bertolaso nei mesi scorsi: «Ma siamo nel pieno della tempesta», osserva Amadori. Che aggiunge: «Vista la situazione internazionale difficilissima, questo viene visto come un governo di emergenza, come il migliore e l’unico possibile». Tanto da relativizzare il problema della trasparenza. Sarà anche questo un sintomo di disincanto e di apatia?
zione d’impatto ambientale, sugli espropri, sulle bonifiche e sull’occupazione temporanea delle aree. Il ministro e il fronte lombardo torneranno a scontrarsi sui tre emendamenti al Milleproroghe dichiarati inammissibili, che prevedevano che i fondi versati dallo Stato per l’Expo non andassero alla società di gestione dell’evento, ma su un conto del Tesoro. Misura propedeutica al passaggio al Cipe.
Proprio l’evoluzione dei lavori è la perfetta cartina di tornasole dei lavori. Soltanto i cantieri della linea della metropolitana 4, quella tra Lorenteggio e Linate, sono aperti. Ma difficilmente per il 2015 si arriverà al city airport. Mancano i soldi per il secondo ramo della linea 5, per il quarto binario fino a Parabiago e il terzo fino a Gallarate, necessari per rafforzare la linea del Sempione, per il raccordo a Busto Arsizio tra Fs e Ferrovie Nord. Intanto i signori del mattone guardano a Milano sempre con più sufficienza.
diario
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Sofferenze. Paola Binetti spiega perché ha lasciato il Partito democratico e ha scelto di schierarsi con l’Udc
«Costruiamo un Grande Centro» La componente cattolica schiacciata dalla presenza dei radicali ROMA. «I cattolici faranno sempre molto fatica in qualunque schieramento per tre ragioni. Per prima cosa elaborare una cultura che rifletta i principi e i valori cristiani è difficile. In secondo luogo ai cattolici che si impegnano a fare politica si chiede il rigore personale, da testimoniare con l’esempio, contro la corruttela diffusa e contagiosa. I cattolici, infine, sono per definizione dialoganti con persone diverse, ma la difficoltà principale è quella di mettere in comune i valori senza rinunciare ai propri». Paola Binetti analizza serenamente la sua scelta di lasciare il Pd e passare con l’Udc. Onorevole finalmente ha deciso? Fino a quando la situazione era interlocutoria l’ho presentata come tale. Adesso è definitiva ed eccomi qua. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il suo voto per affossare la legge sull’omofobia? No. Confermo su questo argomento il massimo rispetto per tutte le persone omosessuali, il mio no assoluto e totale a qualsiasi tipo di violenza e discriminazione nei loro confronti. Ma allo stesso tempo la mia posizione è altrettanto ferma e serena rispetto alle richieste di Pacs, Dico, Didore, dei Cus e di tutte le diverse manifestazioni per le quali si sono espresse alcuni colleghi parlamentari. Quali sono i motivi veri? La causa scatenante è stata la scelta fatta per la regione Lazio. Sono rimasta stupita che il Pd abbia rinunciato, pur es-
di Franco Insardà
delle posizioni, ma non è accaduto nulla. Come giudica la Bonino? Merita il massimo rispetto, sta incontrando associazioni e istituti che si occupano di assistenza, ma mi ha colpito la relazione tra radicali e mondo cattolico, come se si cercasse di cancellare e vanificare le differenze tra queste due aree così diverse. C’è un tentativo di accreditare la posizione radicale come se fosse da sempre convergente con quella cattolica, dimenticando che dal referendum sul divorzio,
«Contro la corruttela diffusa e contagiosa si richiede ai cristiani impegnati in politica un grande rigore personale» sendo il maggiore partito dell’opposizione, a esprimere una sua candidatura. Ci ha provato in Puglia, in Umbria, in Calabria, mentre nel Lazio ha assunto come riferimento il modello Bonino, che ha indubbiamente un suo carisma. Che cosa contesta di questa scelta? Bisognerebbe avere un programma, una strategia, capire che cosa fa il Pd all’interno dello schieramento e quale sarà il ruolo della componente cattolica.Tutto è fumoso, come se basti il nome della Bonino. Ho atteso che emergessero
all’ultimo sulla legge 40, fino alle posizioni prese sull’etica di fine vita, esistono sostanziali divergenze. La Bonino ha detto che non vivrebbe mai la militanza in un partito con un: o lei o io. Ha ragione, ma nemmeno io ho questo approccio. Al contrario ho detto: se lei c’è io vado via. Finchè fa la vicepresidente del Senato e rappresenta i radicali non c’è problema, mi preoccupa quando si candida a guidare la regione Lazio, con una compagine nella quale c’è una componente cat-
tolica di antica tradizione, affermando genericamente che non esistono nodi da chiarire. Anche lei pensa che il vero segretario del Pd sia Marco Pannella? Sta tenendo in scacco il Pd. Come? Nel momento in cui il Pd indica Stefano Ceccanti per elaborare il programma e Pannella di fatto lo licenzia, la cosa mi sembra evidente. Non giudica singolare che sia Calderoli sia Zingaretti abbiano chiesto le sue dimissioni? Hanno ragione, avrebbero però dovuto chiederle anche agli fuoriusciti. Come spiega che il suo addio è vissuto in modo così traumatico? Nel mio piccolo mi sono impegnata molto nel costruire una rete di rapporti, di condivisione, di confronto. Ho sempre accettato con grande lealtà anche le divergenze, non le ho mai negate, le ho sempre assunte con la coerenza che devo a me stessa e ai miei valori, ma con il massimo rispetto per le persone, nella speranza che il Pd potesse realizzare quella che chiamo la straordinaria utopia. Cioe? Il dialogo tra la cultura cattolica e quella degli ex Ds. Ci ho creduto e mi sono impegnata. Sono dispiaciuta di andare via
dal Pd, ma a un certo punto è come se avesse messo da parte la propria leadership e si fosse consegnato a una cultura radicale che in me evoca molto la sinistra zapaterista. Gentiloni e Castagnetti si sono detti amareggiati del suo abbandono. Qual è il suo sentimento? Apprezzo molto in Paolo Gentiloni l’equilibrio, la prudenza, ma anche la lungimiranza. Nei confronti di Pierluigi Castagnetti nutro un grande affetto, è stato una guida per la mia vita parlamentare. C’è un grande dispiacere nel lasciarli, ma rimango nello schieramento di opposizione e mi auguro che ci siano molte battaglie da condurre insieme. Spero che il Pd si decida a guardare verso il Centro per poter condividere molti obiettivi, con quello sguardo alto verso la politica che, come ha detto anche recentemente il cardinal Bagnasco, è la più alta opera civile che si possa fare. Per Rosy Bindi nel Pd non si sta come in un condominio, bisogna far fatica a incontrare le idee degli altri. Quanta fatica ha fatto in questi anni? Ha ragione la Bindi e io ho faticato tutti i giorni e avrei continuato, ma nel momento in cui il Pd si consegna a una guida radicale il progetto diventa meno chiaro. Dopo di lei altri abbandoneranno il Pd? Oggi il partito è a un bivio, occorre chiarezza tra la scelta radical-dipietrista e quella originaria. C’è ancora posto per i cattolici, ma il costo che si chiede è quello di essere sempre loro a mettere da parte le loro convinzioni e i loro valori, come se appartenessero alla sfera privata, e non a una rappresentazione pubblica. Come mai ha preferito l’Udc di Casini all’Api di Rutelli? Rutelli è stato il primo a segnare una rottura con un certo tipo di equilibrio molto fragile. Ha dichiarato che vuole contribuire a costruire il più grande partito e per farlo bisogna costruire una rete di alleanze. Spero che tra Api e Udc nasca un soggetto di Centro forte e ben connotato nella sua progettualità politica. Per Veltroni il Pd non è nato per avere Casini premier ? Analogamente il Pd non era nato per avere la Bonino governatore del Lazio.
diario
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Secondo l’Istat è il dato peggiore dal 1970
La Basilica di Padova accoglierà pellegrini fino al 20 febbraio
Crollano le esportazioni nel 2009: - 20,7%
Migliaia in coda per l’Ostensione delle spoglie di Sant’Antonio
ROMA. Nel 2009, le esportazio-
PADOVA. Migliaia di pellegrini fin dall’alba di ieri in attesa di entrare in Basilica per vedere il corpo di Sant’Antonio. Le porte della chiesa si sono aperte alle 6. E nei sei giorni di Ostensione del Corpo, da ieri a sabato, sono previsti più di 100mila pellegrini provenienti da tutto il mondo.
ni italiane sono crollate del 20,7% e le importazioni del 22%, rispetto al 2008. Lo comunica l’Istat, aggiungendo che si tratta dei peggiori dati sui flussi commerciali dal 1970, ovvero da quando esistono le serie storiche. Nel 2009 il saldo commerciale è stato negativo per 4.109 milioni di euro, con una netta riduzione del passivo di 11.478 milioni di euro rilevato nel 2008. Considerando il mese di dicembre 2009 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, le esportazioni sono diminuite dell’1,9% e le importazioni del 3%. Su base tendenziale il saldo commerciale è risultato così negativo per 123 milioni di euro, inferiore a quello pari a 415 milioni di euro dello stesso mese del 2008. Si tratta, fa notare l’Istat, di dati che segnano una “ripresa” a confronto con i precedenti. Rispetto a novembre, i dati destagionalizzati relativi all’interscambio complessivo presentano a dicembre 2009 un incremento sia per le esportazioni sia per le importazioni con tassi di crescita pari rispettivamente al 4,4% e dall’1,6%.
Negli ultimi tre mesi, a confronto con il trimestre precedente, i dati destagionalizzati mostrano una flessione dello 0,2% per le esportazioni e una crescita del 2,4% per le importazioni. Riguardo ai settori di attività economica, nel complesso nel 2009, rispetto all’anno precedente, per le esportazioni si registra una flessione in tutti i raggruppamenti, particolarmente rilevante per l’energia. Anche le importazioni segnano riduzioni generalizzate, significative soprattutto per energia, prodotti intermedi e beni strumentali. Per quanto concerne i minerali energetici, nel 2009 le importazione di petrolio greggio rappresentano l’8,2% del totale dei flussi in entrata (il 10,6% nel 2008), mentre l’importazione di gas naturale pesano per il 5,9% (il 6% nel 2008).
Palermo non vola Bloccato l’aeroporto Il governatore Lombardo punta sui servizi a terra
L’Ostensione del Corpo del Santo coincide con la festa liturgica della Traslazione di Sant’Antonio detta anche “Festa della Lingua”, che si celebra ogni anno in Basilica il 15 febbraio, a ricordo della prima traslazione avvenuta l’8 aprile 1263 ad opera di San Bonaventura, che ritrovò in quell’occasione la Lingua incorrotta di
di Diana Izzo
PALERMO. Avevano giurato che non avrebbero mollato. E così è stato. Prosegue, infatti, all’aeroporto Falcone-Borsellino di Palermo la protesta dei lavoratori della Pae Mas, azienda catanese di handling che serve i vettori Meridiana e Easy Jet nell’aeroporto palermitano. Si tratta della quarta giornata di contestazione che ha mandato in tilt l’aeroporto. Check in bloccati, voli cancellati, passeggeri furibondi. La ragione dello sciopero degli occupanti della Pae Mas risiede nella volontà della società di avviare le procedure di mobilità per 50 dei 66 dipendenti, legata al probabile cambio di handler da parte di Meridiana. Il rapporto lavorativo tra Pae Mas e Meridiana è infatti scaduto lo scorso 31 dicembre e in questo momento è in proroga fino al 18 marzo. I sindacati hanno fatto sapere che la compagnia Meridiana vorrebbe affidare i servizi, finora espletati dalla Pae Mas, alla new entry Ast Aeroservizi, una società pubblica a partecipazione regionale che si occupa di handling all’aeroporto di Lampedusa. Lo stato di malcontento dei dipendenti della Pae Mas ha contagiato anche i colleghi della Gh, società che gestisce i servizi aeroportuali sempre a Palermo per Alitalia, Air-One e Wind Jet. La Gh si dice assolutamente contraria all’entrata in campo della Ast Aeroservizi in quanto quest’ultima potrebbe acquisire i servizi a terra di Wind Jet.
2006, n.223, meglio conosciuto come Decreto Bersani che prevede appunto che: «Al fine di evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e del mercato e di assicurare la parità degli operatori nel territorio nazionale, le società, a capitale interamente pubblico o misto (…) non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati (…) e non possono partecipare ad altre società o enti aventi sede nel territorio nazionale». Questo perché secondo l’Autorità per la Vigilanza l’intervento pubblico è fonte di vantaggi tali da impedire ad una società pubblica di concorrere con quella privata nell’ambito del libero mercato. Recentemente la Gesap, società che gestisce l’aeroporto di Palermo, ha chiesto all’Enac, autorità che regola e vigilia il settore dell’aviazione civile, di non fare entrare la Ast Aeroservizi nell’aeroporto proprio per tutelare il libero mercato. «La Regione non può entrare con una sua società nella gestione dei servizi aeroportuali e nel frattempo far fuori un’impresa privata con i suoi dipendenti - dichiara Carmelo Scelta direttore della Gesap -. Il governatore Raffaele Lombardo deve intervenire».
Al centro delle proteste, il destino di una società di handling che dovrebbe essere sostituita da una della Regione
La protesta dei lavoratori si sta svolgendo in modo quieto: i dipendenti della Pae Mas si mettono in fila al check in con i passeggeri limitandosi a mostrare fogli con le proprie rivendicazioni. Una richiesta in particolare cattura l’attenzione. Un manifestante si chiede: “Come mai l´Ast Aeroservizi è l´unico handler a capitale pubblico che può concorrere con il privato? Che cosa c´è dietro?” Ecco il vero problema, il motivo di tutto questo caos. La Ast Aeroservizi è una società a capitale interamente detenuto dalla Regione Sicilia e come tale non può concorrere con società private come Pae Mas o Gh. In merito a questo esiste anche una legge. Si tratta dell’art. 13 del D.L. 4 luglio
Tuttavia, non solo Gesap ma anche Pae Mas temono che dietro questa manovra ci sia proprio la volontà di Lombardo che punta allo scalo palermitano per poi mettere le mani su quello catanese. «Se l’Enac autorizzerà la Ast Aeroservizi a fornire attività di handling a Meridiana - specifica il presidente della Pae Mas Giovanni Li Voti - si porrà in aperta violazione di tutte le norme in materia di antitrust oltre che a deridere le direttive europee in tale materia. Fra l’altro, la Ast Aeroservizi non può effettuare tali servizi perché non dispone di macchinari adeguati. Per operare a Palermo dovrebbe sborsare 5 milioni di euro. Chi finanzierà queste apparecchiature? Certamente la Regione poiché la Ast Aeroservizi è sua. Invece di concorrere con i privati, la Regione non farebbe meglio a spendere questi soldi per sistemare gli ospedali o ripulire le strade?».
frate Antonio, e di quella del 15 febbraio 1350, quando la tomba del Santo ebbe la sua definitiva sistemazione nell’attuale Cappella dell’Arca all’interno della Basilica. I pellegrini e i devoti del Santo possono rivedere il Corpo di Sant’Antonio, ricomposto e visibile in un’urna di vetro, dopo 29 anni dall’ultima “ricognizione”canonica e medico-scientifica avvenuta nel gennaio 1981, a 750 anni dalla morte del Santo, cui seguì una memorabile ostensione, che si prolungò fino al 1° marzo 1981. In quella occasione affluirono in Basilica circa 650mila pellegrini. Al termine dell’ostensione prevista per sabato 20 febbraio, salvo proroghe decise dal Vaticano, il corpo di Sant’Antonio, ritornerà nella Cappella dell’Arca, che ora risplende in tutta la sua bellezza, dopo i lunghi e complessi lavori di restauro iniziato il 12 aprile 2008, con il trasferimento temporaneo dell’urna nella Cappella di San Giacomo, e conclusi lo scorso 4 dicembre. Già domenica sera alle 21 c’era stata una cerimonia durante la quale è stata aperta la cassa che contiene l’urna di cristallo con le reliquie del santo. L’urna è stata poi trasportata nella Cappella delle reliquie, dove sono conservate le teche con il mento e la lingua di Antonio.
società
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Denunce. Aprendo i lavori, Bertone invita a «riconoscere le proprie colpe e pentirsi, per raggiungere la vera salvezza»
Dublino, ultima chiamata Il Papa convoca in Vaticano l’episcopato irlandese per fare luce sui crimini commessi contro l’infanzia. E apre alla giustizia civile
di Vincenzo Faccioli Pintozzi
ROMA. La Polonia e l’Irlanda sono, da almeno cinquant’anni, i veri bastioni cattolici d’Europa. Messa da parte molto tempo fa la “figlia prediletta” di Santa Romana Chiesa, quella Francia troppo laicista per essere gradita Oltretevere, Varsavia e Dublino si contendono da tempo lo scettro di nazione più fedele ai precetti papali. Con la riunione che si conclude oggi, probabilmente, la Chiesa d’Irlanda vedrà la fine della competizione: troppi, e troppo impuniti, i crimini commessi dal clero locale ai danni dei giovani fedeli per poter pensare a un ripulisti efficace. Lo sa bene Benedetto XVI, che sempre oggi dovrebbe permettere la pubblicazione della Lettera apostolica annunciata in dicembre fa e diretta al gregge dell’Isola di Smeraldo. Una Lettera che, con ogni probabilità, metterà in chiaro senza più mezzi termini l’opinione del vescovo di Roma riguardo il tema drammatico degli abusi sessuali compiuti dai sacerdoti irlandesi sui minori. Benedetto XVI ha completato nei giorni il testo, che contiene direttive precise e molto severe: sembra quasi certo lo sdoganamento dell’uso della giustizia civile e ordinaria per risolvere quelli che, come ha detto il Papa, sono «crimini orribili». Un colpo durissimo per quell’alone di omertà che ha troppo spesso circondato le curie di tutto il mondo. «Scosso e addolorato» dai due rapporti ministeriali sugli abusi dei preti in Irlanda e nella diocesi di Dublino, le cui risultanze gli sono state confermate dai vertici dell’episcopato irlandese, il Papa aveva assunto pubblicamente l’11 dicembre scorso impegni precisi verso le vittime: i responsabili pagheranno, aveva assicurato annunciando la Lettera pastorale sulla dolorosa vicenda. Ad aumentare lo sdegno del Papa è il fatto che i sacerdoti colpevoli (una cinquantina) sono spesso stati semplicemente ammoniti e trasferiti dai loro vescovi. In una nota, il Pontefice aveva espresso ancora una volta «il suo profondo rammarico per le azioni di alcuni membri del clero che avevano tradito la loro solenni promesse a Dio, così come la fiducia in loro riposta da parte delle vittime e delle lo-
Ma solo la Chiesa fa autocritica Nel disastro morale generale, fa clamore la denuncia di Benedetto XVI di Luigi Accattoli o scandalo dei preti pedofili è “orrendo”, ha detto l’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin. La conferenza dei vescovi irlandesi l’ha definito «un grave tradimento della fiducia verso la Chiesa». Più volte Papa Benedetto ha parlato di “profonda vergogna”, per l’Irlanda e per altri paesi. “Spaventoso peccato” erano state le parole di Papa Wojtyla in riferimento agli Usa. Non c’è che dire: la Chiesa cattolica non ha patito uno scandalo paragonabile a questo quantomeno lungo gli ultimi sei decenni e forse più. Diciamo, dalla seconda guerra mondiale in qua. Ma reagisce, sta reagendo. Si capisce che è un corpo vivo e vitale perché combatte il male che l’insidia. La nostra società civile e politica invece non sembra in grado di avvertire la corruzione onnipresente, il mercimonio e il postribolo che la stanno travolgendo. Forse lo “spaventoso peccato” dei preti che calpestano l’innocenza loro affidata è più grave di tutte le indegnità dei politici e degli amministratori, ma attenzione: la possibilità del riscatto è commisurata all’avvertenza della colpa, non alla sua entità. Questo vale per la Chiesa ed è inscritto nel suo dna spirituale, ma vale anche – analogamente – per ogni società.
commissioni di inchiesta, allora erano conosciuti sommariamente ma già l’indussero a parlare di «enormi crimini» di fronte ai quali è «urgente» adottare misure per evitare che «si ripetano». Tra le misure indicò la necessità di garantire che «i principi di giustizia siano pienamente rispettati». Non specificò meglio, ma in quell’espressione era implicita l’indicazione di collaborare con i tribunali civili per il perseguimento di quei «crimini». La seconda tappa fu segnata dalla visita dell’aprile del 2008 negli Usa, quando parlò di «profonda vergogna» per i fatti analoghi di quel paese e – su iniziativa del cardinale di Boston, la diocesi più colpita – ricevette cinque «vittime».
L
La terza fu quella australiana del luglio del 2008, con l’affermazione che i colpevoli «devono essere portati davanti alla giustizia» e con un nuovo incontro con un gruppo di “vittime” e di loro familiari, a Sydney, l’ultimo giorno della visita compiuta in occasione della Giornata mondiale della gioventù. La quarta è l’attuale, che ha avuto inizio L’11 dicembre quando ricevette in Vaticano una delegazione dell’episcopato irlandese e – presa visione del secondo dei rapporti governativi sugli abusi commessi da preti a danno di minori – fece annunciare “la prossima pubblicazione” di una lettera pastorale ai fedeli d’Irlanda “nella quale indicherà con chiarezza le iniziative che devono essere prese in risposta alla situazione”: così un comunicato che riferiva come Benedetto fosse restato “profondamente turbato e addolorato” per i contenuti del rapporto. Esso nominava una decina di vescovi responsabili d’aver coperto gli scandali invece di perseguirli: quattro di loro si sono dimessi lungo il mese di dicembre.
Si tratta sicuramente dello scandalo più grave, tra quanti hanno scosso la Santa Sede dalla Seconda Guerra a oggi. Per questo la risposta del Papa è così forte
Ieri e oggi i vescovi irlandesi sono riuniti con il Papa e i suoi collaboratori per affrontare il loro scandalo dei preti pedofili che è il più grave tra quanti ne siano emersi finora, insieme a quello statunitense. Ma pessime vicende sono state accertate in Gran Bretagna e in Polonia, in Francia e in Brasile, in Austria e in Australia e ultimamente in Germania. Né dobbiamo immaginare che l’Italia ne sia esente: fino a oggi sono venuti alla luce una decina di casi nostrani, ma basta la vicenda fiorentina per dirci che almeno un nostro prete ha saputo fare quanto e più degli americani e degli irlandesi. Sembra ieri ma sono ormai otto anni che Giovanni Paolo II, provato nel fisico ma ancora ardimentoso per le sorti del Vangelo, convocò in vaticano per l’aprile del 2002 una consultazione
dei cardinali statunitensi e del vertice della conferenza episcopale di quel paese con sette capi-dicastero della Curia romana a partire dal cardinale Ratzinger: in quell’incontro fu decisa la linea della “tolleranza zero”. Benedetto XVI è oggi alla quarta tappa del proprio impegno in questa materia. La sua reazione all’orrendo scandalo è cresciuta in ardore lungo i cinque anni del Pontificato che saranno completi il 19 aprile.
La prima tappa è dell’ottobre del 2006 e già riguardava i vescovi dell’Irlanda. Gli scandali oggi noti in dettaglio, per due successivi rapporti di due
La lettera annunciata ora sta per essere pubblicata e si prevede che contenga tre capitoli centrali: far luce sull’accaduto, fare giustizia e impegnarsi per la “guarigione” delle vittime. www.luigiaccattoli.it
società
ro famiglie, e dalla società in generale». Il Santo Padre, si legge ancora in quella nota, «condivide l’oltraggio, il tradimento e la vergogna percepiti da così tanti fedeli in Irlanda, e si è unito a loro nella preghiera in questo momento difficile nella vita della Chiesa».
Nel testo anche l’assicurazione «a tutti gli interessati che la Chiesa continuerà a seguire la grave questione con la massima attenzione, al fine di meglio comprendere come tali vergognosi eventi siano accaduti e il modo migliore per sviluppare strategie efficaci così da evitare il loro ripetersi». La Santa Sede, del resto, come affermato dalla nota vaticana, «prende molto sul serio le questioni centrali sollevate dalla relazione, ivi comprese le questioni relative alla guida dei responsabili
ché perseverino nelle loro opere buone, a imitazione di Cristo Buon Pastore».Su questi fondamentali, il Papa ha voluto far poggiare i colloqui con l’episcopato irlandese, convocato in Vaticano per una insolita “due giorni” di lavoro. Le riunioni si sono aperte ieri alle nella sala Bologna del Palazzo apostolico e si concluderanno oggi intorno alle 13. Oltre ai vescovi irlandesi sono presenti i massimi vertici della segreteria di Stato vaticana e numerosi esponenti dei dicasteri competenti della Curia romana.Tra questi, il prefetto della Congregazione dei vescovi, cardinale Giovanni Battista Re, il prefetto per la Dottrina della Fede, cardinale William Joseph Levada e monsignor Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio consiglio per i testi legislativi. In apertura dei lavori, l’affondo
Pronta la Lettera pastorale annunciata l’11 dicembre scorso. Secondo indiscrezioni, contiene una condanna inequivocabile dei colpevoli e invita il clero a fare ricorso ai magistrati contro gli abusi della Chiesa locale che avevano la responsabilità ultima nella cura pastorale dei bambini». Il comunicato, che il direttore della Sala stampa della Santa Sede padre Federico Lombardi aveva definito «di chiaro stile ratzingeriano», termina con un ultimo invito di Benedetto XVI rivolto «a tutti coloro che hanno dedicato la loro vita nel servizio generoso ai bambini, per-
è stato affidato al Segretario di Stato Tarcisio Bertone, che nell’omelia della prima messa con i vescovi ha detto: «L’opera di carità di Dio, della sua infinita misericordia, può colmare l’abisso più, ma questo può succedere purché il peccatore riconosca la propria colpa in piena verità». Un invito a riconoscere i crimini e a pentirsi accolto in parte dal portavoce degli irlan-
desi, mons. Joseph Duffy. Il vescovo di Clogher, parlando a nome dei suoi confratelli, ha detto al Papa: « Ammetto con molta franchezza quello che tutti sanno. Sono episodi che hanno inferto alla Chiesa ferite profonde, mettendola in una situazione molto seria. Un grave danno all’autorità della Chiesa e alla fedeltà al Vangelo di Gesù Cristo». Se non si prendono provvedimenti adeguati, aveva detto il Pontefice nel 2006 proprio ai vescovi irlandesi, «il pregevole lavoro e l’abnegazione della grande maggioranza dei sacerdoti e religiosi d’Irlanda finiranno con l’essere oscurati dalle trasgressioni di alcuni dei loro fratelli».
Papa Ratzinger aveva chiesto in particolare ai presuli di «stabilire cosa sia avvenuto realmente nel passato, e prendere ogni provvedimento affinché casi del genere non avvengano di nuovo». E di «assicurarsi che i principi di giustizia siano pienamente rispettati, indennizzando tutti coloro che sono stati colpiti da questo grave crimine. Solo in questo modo la Chiesa in Irlanda potrà crescere più forte ed essere ancora più capace di dare testimonianza della forza redentrice della croce di Cristo». Ma nelle scorse settimane il Pontefice ha dovuto constatare purtroppo come tutto questo sia rimasto in gran parte lettera morta. In altre realtà invece soprattutto negli Stati Uniti, dove il Papa nel 2008 ha compiu-
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to un memorabile viaggio - sta pagando la linea della “tolleranza zero” individuata da Ratzinger quando ancora era prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede per sconfiggere il triste fenomeno dei preti pedofili. Un fenomeno emerso per la prima volta negli Stati Uniti: il vertice dei vescovi
ti intoccabili, compreso il vescovo John Magee, 73 anni, che in Vaticano era stato era stato segretario privato di tre papi: Paolo VI; Giovanni Paolo I e Giovanni Polo II ed ora a capo della diocesi di Cloyne (Irlanda). Questi avrebbe infatti omesso di prendere provvedimenti nei confronti di due sa-
Il responsabile Comunicazioni dei vescovi irlandesi, monsignor Duffy, dice al pontefice: «Sono episodi che hanno inferto alla Chiesa ferite profonde, mettendola in una situazione molto seria» americani, riuniti a Roma da Giovanni Paolo II, vennero accolti dall’allora prefetto per la Dottrina della Fede con un nuovo documento, il “De Delictis Gravioribus”, che definiva le linee guida del motu proprio con cui Giovanni Paolo II rafforzò l’ex Sant’Uffizio nel giudicare i casi di violenze e molestie. Dalla pubblicazione delle nuove norme (2001), nel mondo i nuovi delitti sono stati molto di meno rispetto agli anni precedenti, come dimostra uno studio del “John Jay College”, che rileva il «declino notevolissimo dei casi denunciati a partire dai primi anni 2000. L’opinione pubblica non se ne è accorta perché continuano a far notizia i processi in corso». Su questo terreno il Papa tedesco è molto severo ed esigente, più del suo predecessore Giovanni Paolo II, tanto che non ha esitato a calare la scure anche su potenti uomini di Chiesa fin qui ritenu-
cerdoti della sua diocesi, accusati di violenze sessuali su minori: Benedetto XVI ha già scelto il sostituto, nella persona Dermot dell’arcivescovo Clifford. Tutto questo dimostra come il Papa non intenda più giustificare nè coprire coloro che si coprono del peggiore fra i delitti, quello contro l’infanzia. E che non ha paura di lavare i panni in piazza, come dimostrano gli appelli e le condanne pronunciati più volte in pubblico e, come sembra, ancora più severamente in privato con i responsabili.
Quello che è certo è che la “questione irlandese”è destinata a rimanere negli annali della dottrina della fede e probabilmente della giurisprudenza vaticana. In ballo c’è la credibilità dell’istituzione e del mondo che le ruota intorno, un mondo che non può permettersi macchie di questa gravità sulla veste.
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ai prima d’ora la Cina è stata al centro di tale e tanta attenzione da parte dell’opinione pubblica occidentale e di statisti delle potenze occidentali. Tassi di crescita economica del 8-9% protratti nel tempo, provocano stupore, ammirazione e paura; sembrano avverarsi le profezie secondo cui la Cina entro breve supererà non soltanto la Germania ed il Giappone, ma perfino gli Stati Uniti. Sarebbe ormai iniziata“l’era cinese”, nella quale le industrie del “mondo progredito” (secondo i termini finora in uso) saranno trasferite sempre più in Cina, il cui miliardo e trecentomila abitanti, grazie ai salari bassi dei lavoratori ed anche a causa della disoccupazione di ampia parte della popolazione rurale, risulta incredibilmente attraente per investitori stranieri occidentali. Città come Pechino e Shanghai hanno vissuto uno sviluppo per il quale è difficile trovare analogie, perfino se paragonato alla “rivoluzione industriale” inglese: è da molto tempo ormai che imprese cinesi si sono stabilite in Europa, e le imprese occidentali che partecipano all’incredibile crescita devono accettare condizioni che sembrano sovvertire il concetto di “sfruttamento”: non sono più imprese straniere a sfruttare la popolazione locale, bensì sono le ditte locali in via di costruzione secondo i dettami di Stato, a sfruttare il know-how degli stranieri, risparmiando così una gran parte dei costi di ricerca e sviluppo.
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Oggi il numero delle auto in circolazione è ancora abbastanza esiguo, ma per la fine del prossimo decennio si prevede un numero sette volte superiore di vetture in circolazione. Dall’inizio degli anni ’90 il Giappone, che in passato era stato un vicino assai potente, si è visto sottrarre dalla Cina circa tre milioni di posti di lavoro. Anche la Germania deve prepararsi ad un futuro in cui metà dell’intera produzione industriale sarà di provenienza cinese. Oggi il numero di utenze di telefonia mobile in Cina è superiore al totale della popolazione tedesca, e la Cina possiede una tale quantità di riserve valutarie in dollari americani, che l’economia americana si troverebbe in serie difficoltà se il governo cinese decidesse di “buttare sul mercato” queste astronomiche riserve. Certo, questo immenso Paese non abbonda di materie prime, ma è proprio per questo che sui mercati finanziari mondiali si crea una situazione di concorrenzialità che risulta egualmente incalzante per americani, francesi e tedeschi. Potendo ormai viaggiare liberamente in quasi tutti i Paesi del mondo, i cinesi non risparmiano neanche il settore turistico, imponendosi anche qui. Non passerà molto tempo e vedremo
il paginone truppe delle potenze “imperialiste” entrarono trionfanti a Pechino; l’imperatore tedesco Guglielmo II. parlò in termini così spregevoli dei cinesi, da quasi offuscare il ricordo delle “guerre dell’oppio”britanniche.)
La caduta della dinastia Manciù e la proclamazione della Repubblica da parte di Sun Yat-sen nel 1908-1913 non cambiarono poi molto la posizione subordinata del Paese più popoloso del pianeta, dell’ex “Terra di Mezzo”, un tempo caratterizzata dall’altero disprezzo verso tutte le periferie “barbare” del mondo. Ma dopo la Seconda Guerra Mondiale, alla quale la Cina aveva partecipato subendo poi la grande offesa di non vedersi restituire l’ex colonia tedesca di Tsingtau assegnata invece al Giappone, essa trasformò in fenomeno di massa quel “nazionalismo” naturale, fino ad allora appannaggio del ceto preminente degli studiosi ed accademici. Il fenomeno trovò la sua massima espressione nel “Movimento Quattro Maggio” (1919) e portò alla nascita di due partiti che furono fondamentali per la successiva storia cinese: il partito Kuomintang che faceva riferimento a Sun Yatsen, ed il Partito Comunista, tra i cui fondatori si annoverava un bibliotecario ausiliario dell’Università di Pechino di nome Mao Tse-tung. Il partito comunista era votato all’ideale dell’unione internazionale senza classi e Stati ed ammirava l’appena nato Stato “sovietico”di Lenin. Gli americani consideravano la Cina della lotta tra partito nazionalista e partito comunista ancora più lontana da loro della Russia sovietica, alla quale lo Stato-emblema dell’economia di mercato capitalista aveva negato il riconoscimento fino al 1933, in quanto - secondo le parole di un importante statista - “l’americanismo”era nettamente opposto alla “autocrazia militare” del comunismo militante. Eppure prima ancora della Gran Bretagna, furono proprio gli Stati Uniti ad affiancare la Cina con mezzi militari, quando nel 1937, con l’attacco dei giapponesi, prese il via la Seconda Guerra Mondiale. Ma l’aiuto veniva offerto in primo luogo all’uomo simbolo del Kuomintang, il “Generalissimo” Cian Kai-shek. Per quanto riguarda la politica interna cinese, gli americani speravano più che altro in un accordo tra il Kuomintang ed il partito comunista di Mao Tse-tung, abbastanza debole a confronto. Quando la Guerra Civile in Cina, dopo la capitolazione giapponese, si concluse con la vittoria di Mao Tse-tung e la proclamazione della “Repubblica Popolare Cinese”, gli Stati Uniti, che avevano già subito una disfatta nell’Europa dell’Est ad opera dell’Unione Sovietica, incassarono la secon-
I suoi tassi di crescita fanno paura, ma Pechino non h
La Tigre
Il modello economico cinese è solo E sbaglia chi pensa che possa esse
di Ernst
Il Paese, grazie ai salari bassi dei lavoratori e anche a causa dell’ampia disoccupazione della popolazione rurale, risulta incredibilmente attraente per gli investitori stranieri gruppi di cinesi fotografanti a New York, Roma e Berlino, ed i turisti giapponesi avranno perso il loro primato. La trasformazione è veramente mirabile. Ancora alla fine del XIX. secolo un importante intellettuale cinese poneva la domanda per la quale vi erano esatte analogie nel mondo islamico ed in altre parti del così detto “Terzo Mondo”: perché gli “Stati progrediti” europei e gli Stati Uniti, benché piccoli sono comunque forti, mentre la Cina, benché grande, è debole? (In quel periodo, ed in seguito alla Rivolta dei Boxer e all’assassinio dell’ambasciatore tedesco,
da sconfitta del dopoguerra. La ritirata di Ciang e delle sue truppe sulla grande isola di Taiwan poteva essere considerata l’inizio di una nuova Cina, una Cina “americana”, di cui si garantiva l’esistenza, senza supportarne le rivendicazioni. Quando durante la guerra di Corea - “volontari”cinesi contribuirono in massa al fallimento della controffensiva americana e le truppe in ritirata a malapena riuscirono a tornare a Pusan, loro base di partenza, la disfatta politica sembrava trasformarsi in disfatta militare. Ma gli americani considerarono tutto ciò uno scontro con il “comunismo internazionale”, gestito da
Mosca, e anche quando il “conflitto cino-sovietico” risultava ormai palese, continuarono a parlare di “blocco cinosovietico”, nemico nella Guerra Fredda. Era infatti l’Unione Sovietica il vero obiettivo dell’impegno di Richard Nixon, quando nel 1972 andò in Cina,
primo presidente americano in visita nel Paese. La “Rivoluzione Culturale” continuava a suscitare orrore, ma sembrava svolgersi nel lontanissimo “Regno delle formiche blu”. Dunque l’ascesa al potere di Deng Xiao Ping nel 1978 appare come vero punto di svolta nei rap-
il paginone
ha una ricetta capace di rispondere alle sfide globali
la Cina si è trasformata in Stato di terrore totalitario spinta dall’obbligo del “dover recuperare”, procedendo all’estinzione di tutto il ceto preminente - imprenditori, funzionari di Stato,“latifondisti”- ma rivelandosi poi incapace di opporsi alla dilagante “liberalizzazione” o “umanizzazione”? Sarebbe forse più giusto partire dal fenomeno più sconvolgente del XX secolo: il fatto che nel 1917, per la prima volta nella storia dell’umanità, saliva al potere un partito che difendeva in termini militanti l’unione dell’umanità, che considerava l’internazionalità punto d’arrivo di una “globalizzazione”ormai da tempo avviata, e che al contempo perseguiva un pensiero antico: tale unione doveva eliminare tutte le differenze nazionali e sociali, dunque Stati e classi, per permettere a tutti gli esseri umani una convivenza pacifica ed in armonia.
Una unione di “esseri umani completi”, non più soggetti alla divisione del lavoro separatrice e mutilante, dunque cittadini di un mondo libero da“alienazione”, sfruttamento e repressione, li renderebbe“individui universali”. Si coniuga così l’elemento più reale in assoluto, l’evoluzione della storia dell’umanità, con l’elemento più irreale in assoluto, l’antica speranza di uscire dall’era moderna separatrice, complicata e dissolutiva, per passare allo stato di famiglia arcaica. Nessun altro pensiero poteva risultare maggiormente attraente sia per le masse dei poveri e svantaggiati che per gli intellettuali, tanto più che appa-
di carta
o una riedizione della Nep leninista. ere esportato nel resto del mondo
t Nolte
porti tra Stati Uniti e Cina; egli era stato perseguitato durante la Rivoluzione Culturale ed era l’autore della famosa e spesso citata frase sul gatto:“Non ha importanza il colore del gatto purché prenda il topo”. È solo da quel momento in poi che diventarono possibili grandi timori e grandi
speranze, andando a sostituire l’indifferenza ostentata in precedenza. La più semplice ma anche la più opinabile delle possibili interpretazioni fa risalire a quell’anno l’inizio della“marcia verso il capitalismo” della Repubblica Popolare Cinese. Sarà veramente sufficiente affermare che
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cambiamenti, le condizioni di vita migliorarono rapidamente e non pochi comunisti considerarono la Russia ormai avviata verso il capitalismo. D’altronde Lenin stesso non di rado contrapponeva la “gente Nep”, capace ed efficiente, ai burocrati comunisti, incapaci e lenti. Ma la grande industria rimase saldamente nelle mani del partito e rimase invariata l’ostilità assoluta verso gli “sfruttatori” nazionali; rimase infine invariato l’invito a “distruggere la borghesia internazionale”. Già nel 1929 Stalin proclamò la fine dell’era Nep e avviò l’impressionante sterminio dei “Culachi”, spesso definiti“individui che danno lavoro ad altri”, considerati dunque rappresentanti di un tratto fondamentale dell’era moderna ai suoi primordi. Quando nel 1991 crollò l’Unione Sovietica di Lenin, Stalin e dei loro successori, non rimase nulla della grande speranza “utopica” dei primi tempi. L’economia pianificata aveva reso possibile un’industrializzazione capace di reggere il confronto con le relative prestazioni dell’economia di mercato, ma richiese enormi sacrifici alla popolazione. Per formulare un giudizio affidabile circa gli esiti dell’attuale progresso cinese e la sostenibilità dell’idea di un futuro bipolarismo del mondo, credo che la cosa migliore sia considerare il tutto una versione più ampia e longeva della “Nuova Economia Politica”di sovietica memoria. La politica inaugurata da Deng Xiaoping interferisce nell’economia mondiale in termini che i comunisti sovietici mai avrebbero potuto immaginare ed attua-
La Cina non accetta la libertà individuale come un “sistema liberale” , ma è una sorta di socialismo nazionale, malgrado abbia poco da spartire con il regime del Terzo Reich riva“scientificamente provato”dalle opere di grandi pensatori, in particolare Karl Marx e Friedrich Engels. Proprio questo monumentale e contraddittorio costrutto teorico sale al potere nello Stato di maggior estensione del mondo, la Russia, trovando espressione nel bolscevismo, seguendo le tesi dei suoi alfieri più scevri di scrupoli, in seguito alle terribili esperienze del primo Novecento, il bagno di sangue della Prima Guerra Mondiale con i suoi milioni di morti e feriti. Prese il potere con un partito che si riteneva partito internazionale con seguaci in quasi tutto il mondo. Solo questo partito poteva essere paragonato ad una enorme campana che annunciava la salvezza al mondo intero. Solo un partito siffatto poteva rivendicare l’esistenza di un unico segno per il quale valesse la pena di lottare e di morire, il simbolo dell’Internazionale comunista. D’altronde nessun altro partito riusciva ad incutere egual terrore, recidendo il legame più elementare che tiene insieme gli Stati, trasformando cioè la lotta di classe in guerra di classe, con l’obiettivo di distruggere le classi “sfruttatrici”, ovvero quelle orientate verso la già ampiamente diffusa divisione del lavoro. L’economia pianificata che avrebbe dovuto essere la grande panacea in sostituzione dell’economia di mercato, nei primi anni di regime sovietico si dimostrò incapace di offrire risposte valide al grave problema della fame della popolazione. Per questo motivo Lenin optò per un percorso diverso, che nei suoi intenti avrebbe dovuto essere temporaneo, ovvero la via della “Nuova Economia Politica”(Nep), che ridava spazio all’iniziativa economica e alle attività dei singoli, facendo nascere in breve tempo intere classi di imprenditori e commercianti, la cosi detta“borghesia Nep”. Grazie a questi
re. Essa non fa più affidamento sulla tradizione “utopica”dei russi e di altri popoli, ma sul pragmatismo di un popolo di commercianti. Prende le distanze da eccessive e provocatorie idee avveniristiche. Evita di scatenare conflitti gravosi con i propri vicini (ad eccezione di Taiwan), e la lotta comune contro i terroristi islamici rappresenta un legame genuino con gli Stati Uniti.
Ma la Cina non accetta la libertà economica ed intellettuale dei singoli individui nell’economia di un “sistema liberale” che sembra andare verso il liberismo. Non dispone di ricette capaci di fornire risposte di sicuro successo ai pericoli derivanti per esempio dalla distruzione ambientale o dalla possibile scarsità di materie prime. Rappresenta un socialismo nazionale che ha ben poco da spartire con il regime nazionalsocialista del Terzo Reich. Solo così questo grande Paese, un tempo parte del “Terzo Mondo”, potrà un giorno andare di pari passo con l’America, avvantaggiata da cosi tanti punti di vista, creando un mondo “bipolare”, oppure dar vita ad un’era “multipolare” insieme a Paesi emergenti come India e Brasile. Se l’Europa sarà chiamata a far parte di questo mondo futuro è questione aperta. La risposta dipenderà dall’esistenza o meno di movimenti che ostacolino l’attuale processo palesemente orientato alla “decadenza”. Ma l’Europa non deve ancora arrendersi alla logica di quegli autori che paragonano questo continente, un tempo imperiale, ad una gigantesca Rothenburg che offra a spossati turisti cinesi una pausa rigenerante dalla frenesia della smisurata competizione con gli Usa. (traduzione di C.Galatzer)
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Iran. Mentre l’Onu accusa Teheran di non rispettare i diritti umani, Karroubi scrive a Khamenei: «Hanno torturato mio figlio»
Allarme pasdaran Hillary Clinton denuncia: «Militari pronti a imporre la dittatura nel Paese» di Luisa Arezzo pasdaran stanno per soppiantare il governo iraniano e il Paese rischia di diventare una dittatura militare: con queste parole ieri il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha lanciato l’allarme sui possibili scenari post-contestazioni elettorali. L’avvertimento arriva dopo l’annuncio che gli Usa presenteranno en-
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di Russia e Francia, tese a puntualizzare che l’unica proposta sul tavolo è quella fatta dall’Aiea (l’Agenzia Nucleare per l’Energia Atomica) a novembre e che Teheran non ha mai accettato. L’annuncio iraniano è l’ultima novità sul fronte della complicata crisi che continua a tenere in allarme la comunità internazionale. Dopo l’annun-
nificando un attacco contro l’Iran e ha assicurato che Washington vuole mantenere aperto il dialogo, ma ha ribadito che Washington non rimarrà a guardare mentre l’Iran lavora per arrivare alla bomba atomica. Proprio per convincere la Russia, che peraltro già ha inasprito il tono riguardo eventuali sanzioni, il premier israeliano
I Guardiani della rivoluzione, nati nel 1979, sono un corpo di almeno 300mila persone posto direttamente sotto il comando della Guida Suprema e dispongono di esercito, forze aeree e navali tro fine mese una richiesta all’Onu per una quarta tornata di sanzioni contro Teheran. E mentre dalla sede delle Nazioni Unite di Ginevra arriva una nuova ondata di accuse contro il governo di Ahmadinejad per il mancato rispetto dei diritti umani, la moglie del leader riformista Mehdi Karroubi, che durante la manifestazione di giovedì scorso si era vista portare via il figlio dai Guardiani della Rivoluzione, ha scritto una lettera aperta alla Guida Suprema, Ali Khamenei, nella quale rivela di aver saputo che il giovane ragazzo «è stato brutalmente torturato e minacciato di violenza sessuale dai membri di una non meglio precisata unità speciale». La donna si rivolge a Khamenei per chiedere un suo intervento affinché i detenuti non finiscano nelle mani di «persone irresponsabili». Quegli stessi pasdaran contro cui ieri il capo della diplomazia statunitense si è scagliato da Doha, durante il suo tour in Medioriente volto anche a trovare una posizione di consenso sull’emergenza Iran.
Emergenza che ieri ha registrato l’ennesimo “balletto” del regime sul nucleare. Secondo l’agenzia Ilna, con sede a Teheran, il Paese starebbe studiando una nuova proposta presentata da Stati Uniti, Russia e Francia per far arricchire il suo uranio all’estero in cambio di forniture di combustibile nucleare. Uno sforzo diplomatico guidato dal direttore dell’agenzia atomica iraniana, Ali Akbar Salehi. Immediate le smentite
Benjamin Netanyahu è andato a Mosca per incontrare il presidente russo, Dmitri Medvedev e il suo omologo russo, Vladimir Putin (vedi articolo di A. Picasso). Mentre sul versante mediorientale si è mosso il ministro degli Esteri turco Davutoglu, da ieri in visita a Teheran per cercare un compromesso che possa scongiurare il tracollo della situazione (vedi articolo di M. Ottaviani).
cio a sorpresa che gli Usa presenteranno alle Nazioni Unite nuove sanzioni entro la fine del mese, il segretario di Stato Hillary Clinton ha detto che gli Usa ritengono che l’Iran si stia trasformando «in una dittatura militare» e che la Guardia Rivoluzionaria stia soppiantando le istituzioni civili e religiose. Il capo della diplomazia statunitense, che parlava nel corso di un incontro con un gruppo di studenti a Doha, ha smentito che gli Usa stiano pia-
Intanto l’Iran si trova ad affrontare un altro scoglio a Ginevra, al Consiglio dei Diritti Umani. Mentre sulla spianata dinanzi al Palazzo delle Nazioni (sede europea dell’Onu), l’opposizione iraniana all’estero faceva sentire la sua voce,Teheran ha dovuto sot-
toporsi all’esame ed è stato pesantemente contestato dai Paesi occidentali per la sanguinosa repressione delle protese negli ultimi mesi e per le numerose condanne a morte eseguite. Subito dopo il rappresentante iraniano che ha difeso il regime, sono scesi in campo Stati Uniti, Italia, Gran Bretagna e Francia, uniti nell’esprimere la loro profonda preoccupazione. Impassibile il rappresentante iraniano, Mohammad Javad Larijani, che ha difeso il suo Paese dalle critiche e accusato le potenze occidentali di «un doppio standard» di comportamento. Non solo: Larijani ha detto che «le sanzioni unilaterali e coercitive imposte all’Iran da alcuni Paesi occidentali per ragioni puramente politiche... hanno
Il premier israeliano preme affinché il Cremlino avalli le sanzioni e blocchi la fornitura di missili S-300
Netanyahu alla corte di Putin & Medvedev di Antonio Picasso a visita di ieri a Mosca del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, è stata un’occasione colta al balzo per irrigidire il sistema di sanzioni contro l’Iran, dopo che quest’ultimo ha reso nota l’intenzione di aumentare al 20% l’arricchimento del suo uranio. Al Cremlino il Premier israeliano si è incontrato con il suo omologo Vladimir Putin, oltre che il presidente russo Dimitri Medvedev e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov. Non è la prima volta però che Netanyahu, da quando è alla guida dell’attuale esecutivo, giunge nella capitale russa. All’inizio di settembre era circolata la voce di un summit a porte chiuse Netanyahu-Putin, anch’esso concentrato sulla “questione Teheran”. L’evento era stato smentito poi dal governo israeliano perché non aveva prodotto nulla di concreto. La congiuntura diplomatica odierna è però differente e soprattutto favorevole a Israele. Mosca non ha apprezzato il rifiuto del regime degli Ayatollah alla cosiddetta “proposta di Vienna”, che avrebbe previsto l’esportazione dell’uranio iraniano presso centrali francesi e russe, per riportarlo nuovamente nel Paese, una volta arricchito per l’esclusivo utilizzo civile. È come se Teheran avesse snobbato l’appoggio che il Cremlino le ha garantito in
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questi ultimi anni. Uno sgarbo che potrebbe portare Medvedev e Putin ad allinearsi esplicitamente con i governi occidentali, Stati Uniti in primis, per sedare le ambizioni iraniane. Netanyahu deve averlo intuito ed è corso al Cremlino per promuovere la causa anti-iraniana. In Israele la questione resta prioritaria, ancora più importante del processo di pace con i palestinesi. Questo infatti potrà riprendere solo quando verrà fugato il temuto piano di attacco che l’Iran starebbe tramando contro Israele. Netanyahu pretende inoltre che venga bloccato il flusso di armi - secondo le sue fonti di provenienza russa e cinese - in favore dei Pasdaran e da questi alle milizie di Gaza.
A questo proposito, va segnalato che anche il segretario generale di Hamas, Khaled Meshal, era in visita al Cremlino solo otto giorni fa. L’operazione di Netanyahu quindi è bifronte. Da una parte vuole premere politicamente affinché Mosca rinunci ad appoggiare Teheran in sede del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, permettendo quindi l’elaborazione di una nuova risoluzione sanzionatoria contro il regime. Dall’altra vuole convincere la Russia a bloccare la fornitura del sistema missilisti-
mondo
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Pressing del ministro degli Esteri turco su Ahmadinejad e Mottaki
La strategia Davutoglu per il nucleare iraniano di Marta Ottaviani
avuto un impatto negativo nello sviluppo del Paese e nella tutela di tutti gli aspetti dei diritti umani degli iraniani».
Il corpo dei pasdaran (o guardiani della rivoluzione), fortemente sostenuti dal presidente Ahmadinejad, è la guardia d’èlite della Repubblica islamica, nata con la rivoluzione del 1979. Conta oggi dai 120mila ai 300mila uomini (il numero esatto non è noto), molto temuti e molto motivati ideologicamente, posti direttamente sotto il comando della Guida suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, come le altre forze di sicurezza iraniane. I Pasdaran dispongono di forze di terra - tra cui unità anti-sommossa - aeree e navali. Dai
Guardiani della rivoluzione dipendono i basiji, un corpo di volontari istituito dall’ayatollah Khomeini all’inizio della guerra Iran-Iraq, nel 1980, per organizzare la resistenza popolare contro il nemico. Attualmente tale milizia conta, secondo il regime, dai cinque agli 11 milioni di persone, tra cui centinaia di migliaia di donne, e costituisce una forza di intervento popolare rapida. Negli anni recenti i pasdaran sono diventati una potenza economico-militare, attiva nei settori del petrolio e del gas, delle telecomunicazioni e dell’agricoltura, e hanno costituito una rete di potere politico ed economico che si estende su tutta la società iraniana. Una potenza, secondo gli Usa, pronta a scendere in campo.
co antiaereo S-300 all’Iran, che potrebbe essere dispiegato a difesa dei siti nucleari e controllato direttamente dai Pasdaran. Questi ultimi sono da sempre i più fervidi sostenitori del piano nucleare nazionale. Oggi però stanno assumendo la grottesca immagine di spietati esecutori della repressione da parte del regime contro gli oppositori riformisti. È per questo che Israele continua a tenere aperta l’opzione di un intervento militare contro i siti iraniani come extrema ratio. La sua paura, condivisa dagli Usa, è che l’Iran si trasformi in un dittatura militare dei Pasdaran. Al contrario, se Netanyahu riuscisse a bloccare il rischio dell’escalation, si aprirebbero nuovi scenari nel quadrante mediorientale. Per prima cosa, Israele potrebbe riaprire i negoziati con i palestinesi. Ma soprattutto si creerebbero le condizioni adatte per la realizzazione di una Conferenza di Pace, promossa da Mosca ormai da due anni. Contestualmente va ricordato che il Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, è in visita ufficiale in alcuni Paesi del Golfo: Barhein, Kuwait e soprattutto Arabia Saudita. L’obiettivo del giro di consultazione prevede che i leader esportatori di petrolio facciano blocco comune sia per contrastare Teheran, sia per convincere la Cina ad abbandonare quella strada diplomatica filo-iraniana che invece insiste nel promuovere. Quello di Pechino infatti è ormai l’unico sostegno per Teheran nel Consiglio di Sicurezza. Un sostegno comunque sufficiente, visto che con il suo diritto di veto la Cina potrebbe bloccare tutte le manovre diplomatiche internazionali. Se anche questo dovesse mancare, le ambizioni del regime degli Ayatollah subirebbero davvero un brusco ridimensionamento.
ISTANBUL . Per la Turchia più che una conferma è un vero e proprio test di influenza. O almeno così i quotidiani della Mezzaluna hanno classificato la visita che il ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, sta compiendo in Iran. I due Paesi sono in ottimi rapporti da anni, tranne sporadiche parentesi, e l’obiettivo è quanto mai ambizioso: cercare di convincere Teheran ad accettare di mandare all’estero parte dell’uranio arricchito in cambio di combustibile nucleare, allontanando così la minaccia delle sanzioni da parte della comunità internazionale. In questo momento la Turchia sembra essere il Paese con le maggiori credenziali per compiere questo ruolo di mediazione. Proprio qualche mese fa lo stesso presidente iraniano, Mahmud Ahmadinejad, che secondo la stampa turca potrebbe incontrare Davutoglu dopo il suo colloquio con l’omologo Manouchehr Mottaki, aveva dichiarato che avrebbe preso in considerazione mediazioni solo se presentate dal Paese della Mezzaluna. Un compito che, se portato a termine con successo, porterebbe Ankara finalmente nel novero dei “pesi massimi”dal punto di vista diplomatico, ma rischia anche di trasformarsi in un boomerang. Addirittura, secondo il quotidiano Milliyet, in un isolamento rispetto agli alleati occidentali. Il capitolo sulle relazioni fra Turchia e Iran infatti produce non di rado sospetto all’interno della comunità internazionale. Le dichiarazioni di amicizia del premier Erdogan, il trattamento riservato ad Ahmadinejad durante la sua visita ufficiale, gli accordi firmati dai due Paesi in campo commerciale ed energetico, i tentavi di fare confluire il gas iraniano in condotte che trasporteranno l’oro blu sui mercati europei, come il Nabucco.Tutti aspetti che fanno apparire una Turchia e un Iran molto, forse troppo vicini.
litica estera che molti giudicano troppo audace c’è Ahmet Davutoglu, che guida la diplomazia turca da meno di un anno. Classe 1959, poliglotta (parla inglese, tedesco e arabo alla perfezione) Davutoglu è da tempo uno degli uomini più vicini a Erdogan, quello che più di tutti incarna la sua concezione di politica estera. Successore di Ali Babacan, considerato troppo vicino al presidente della Repubblica Gul, prima di assumere l’incarico di capo della diplomazia turca, Ahmet Davutoglu si è distinto in numerosi tavoli di mediazione, primo fra tutti quello fra Siria e Israele per la cessione delle alture del Golan. Trattativa sfumata a un passo dalla firma proprio a causa del nuovo conflitto sulla Striscia di Gaza, che mandò in frantumi i sogni di gloria di Erdogan, ma che almeno ha definitivamente lanciato il diplomatico sulla scena politica internazionale. Davutoglu punta tutta la sua politica sul concetto di neo-ottomanesimo, ossia di buon vicinato con i Paesi confinanti con la Turchia, che molto spesso coincidono con ex possedimenti dell’Impero ottomano. È stato proprio lui il fautore del grande riavvicinamento con la Siria, che lascia scettici Isreale e Stati Uniti, e a
Anche se l’amicizia fra i due Paesi è vista con sospetto, se la mediazione turca avesse successo, Ankara entrerebbe di diritto nel novero dei “pesi massimi” a livello diplomatico
Ci sono poi i rapporti con il resto del mondo, che fanno apparire la Turchia di oggi a tratti troppo sbilanciata da una parte. Il capitolo Unione Europea parla da solo. Le relazioni dipendono sostanzialmente dall’andamento dei negoziati per l’adesione al club di Bruxelles. Il Paese che il presidente degli Stati Uniti Barack Obama lo scorso aprile aveva messo al centro della sua politica mediorientale, dà a Washington non pochi pensieri. Per il protocollo con l’Armenia, firmato nell’ottobre scorso, ma a cui, fino a questo momento, non hanno fatto seguito interventi concreti. C’è poi il capitolo, dolente, dei rapporti con Israele, che vanno ad alti e bassi da circa un anno, ossia dalla reazione di Gerusalemme sulla Striscia di Gaza in seguito agli attacchi di Hamas. Un potenziale“cambio di asse”, che preoccupa non solo gli osservatori internazionali, ma anche molti commentatori nel Paese, timorosi che la Turchia possa perdere quel ruolo naturale di ponte fra Oriente e Occidente. Alla regia di questa po-
placare le ire dell’Azerbaijan al momento della firma del protocollo fra Turchia e Armenia. La firma dell’accordo fra Serbia e Bosnia per la riapertura delle relazioni diplomatiche è frutto dell’attività mediatrice del ministro degli Esteri. E naturalmente fra i Paesi confinanti c’è anche l’Iran, delle cui istanze la Turchia si fa portavoce. Tutti si chiedono quale sia la ragione ultima di tutto questo dinamismo. Se sia semplicemente esuberanza, talvolta al di sopra delle proprie possibilità, per porsi semplicemente in bella vista o se sia un piano alternativo per crearsi una propria sfera di influenza, nel caso in cui le trattative con l’Unione Europea dovessero andare definitivamente male. Di certo c’è che dall’inizio del suo mandato Davutoglu ha trascorso più giorni in missione cha a casa con la moglie medico e i quattro figli. E che l’aereo è andato molto più spesso a est che a ovest.
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La tragedia. Incidente all’ora di punta alle porte di Bruxelles atastrofe per un semaforo rosso non rispettato. Difetto tecnico o errore umano sono le ipotesi seguite dagli inquirenti in relazione alle cause del disastro ferroviario che ieri vicino Bruxelles ha causato almeno 25 morti. L’unico bilancio ufficiale è per sua ammissione parziale: secondo il governatore della provincia Lodewijk De Witte sono dodici i morti accertati ed estratti dalle lamiere dei due treni, e inoltre sono documentati 55 feriti, tra cui 15 che versano in gravi condizioni. Non è chiaro se ci siano stranieri tra le persone coinvolte. Lo scontro frontale tra due treni passeggeri è avvenuto ieri mattina a Hal, nelle Fiandre, a sud ovest di Bruxelles. L’uno effettuava il collegamento Louvain - Braine-le-comte, l’altro quello fra Quiévrain e Liegi. Secondo alcune fonti, un terzo convoglio - forse un treno merci - è rimasto coinvolto nel disastro. Era l’ora di punta sulla linea dei pendolari e il risultato è un massacro. I due treni sono andati l’un contro l’altro senza mostrare di accorgersi del rispettivo arrivo. L’impatto è stato violentissimo, i vagoni sono deragliati. Secondo le testimonianze e le immagini televisive i treni si sono accartocciati, almeno un vagone si è disintegrato, le lamiere sono esplose dappertutto. Mentre infuria una possente nevicata i soccorritori hanno lavorato tutto il giorno per estrarre dai rottami i tantissimi feriti e anche i molti, troppi cadaveri. I due treni su cui viaggiavano pendolari verso il loro lavoro nella capitale si sono scontrati poco prima delle 8.30 all’uscita dalla stazione di Hal, in direzione di Bruxelles. Secondo la testimonianza televisiva di un passeggero «C’è stata una collisione brutale. In un istante, tutto il mondo si è ro-
C
Il treno della morte si ferma ad Halle Ore 8,30: schianto fra convogli di pendolari: oltre 20 morti e 150 feriti di Osvaldo Baldacci
«La possibilità che uno dei due treni non abbia rispettato il segnale rosso esiste», ha indicato un responsabile del Centro di crisi subito allestito nei pressi del luogo della tragedia. «Non è però da escludere la possibilità di un difetto tecnico. Al momento è difficile fare speculazioni sulle cause». Sarà un’inchiesta «completa, oggettiva e indipendente» a stabilire le cause
Da chiarire le cause del disastro, ma secondo le prime voci alla base dell’accaduto ci sarebbe il mancato rispetto di un semaforo vesciato... Non ci sono parole per descrivere cosa è successo». A suo dire non ci sarebbe stata alcuna possibilità di prevedere cosa sarebbe successo. Almeno uno dei due treni marciava a circa 60 chilometri all’ora. Un testimone ha raccontato che l’impatto è stato violentissimo e «i treni non hanno neppure frenato». Christian Wampach, un passeggero del treno che viaggiava da Mons verso Bruxelles, ha raccontato che «i primi vagoni sono stati completamente distrutti e il primo si è disintegrato».
dell’incidente, ripetono come un mantra i responsabili delle ferrovie belghe, che non vogliono assolutamente sbilanciarsi: «È troppo presto per fare speculazioni sulle ragioni di questa terribile tragedia», ha detto Marc Descheemaecker, amministratore delegato della Sncb, la società che gestisce le ferrovie del Belgio. «Dobbiamo aspettare almeno alcuni giorni, è troppo presto per speculare su qualsiasi ipotesi», ha aggiunto, «Oggi è una giornata molto triste e buia per le ferrovie belghe.Temiamo che
Gli incidenti ferroviari più gravi nella Ue
Il “primato” di Viareggio Il disastro ferroviario belga ha avuto ripercussioni su tutto il traffico europeo. L’incidente ha bloccato i collegamenti ferroviari tra la Francia e il Belgio e il collegamento Eurostar tra la capitale belga e Londra. I treni Thalys,Tgc, Eurostar e Ter non hanno potuto raggiungere Bruxelles per tutta la giornata di ieri, mentre non è ancora chiaro se il servizio potrà riprendere il suo consueto svolgimento già oggi. L’incidente di ieri si colloca senz’altro tra i più gravi in Europa negli ultimi anni, il peggiore dei quali forse è proprio una tragedia italiana, quando il 30 giugno 2009 l’esplosione di un vagone che portava gas Gps uccide 29 persone a Viareggio. Il 7 gennaio 2005 inoltre, vicino a Bologna, la collisione fra un treno passeggeri e un merci provoca 17 morti. Per il resto il 4 gennaio 2000 ci fu una collisione fra due treni a Aasta, nel
sud della Norvegia: 19 morti. Il 5 febbraio 2000 deraglia a Bruhel, in Germania, un treno da Amsterdam: nove morti. Il 28 febbraio 2001 un convoglio e un treno passeggeri si scontrano in Gran Bretagna, nel North Yorkshire, a causa di un’automobile cascata sul binario: 10 morti. Il 6 novembre 2002 il treno francese ParigiMonaco di Baviera si incendia durante la notte: i morti sono 12. L’8 maggio 2003 in a Ungheria, Siofok, la collisione fra un treno e un autobus di turisti tedeschi provoca 33 morti. Il 3 giugno 2003 la collisione fra due treni a Chinchilla, in Spagna, provoca 19 morti. Il 23 gennaio 2006 a Krasnodar, in Russia, 22 passeggeri muoiono per uno scontro con un autocarro. Il 22 settembre 2006 in Germania, vicino Lathen, l’incidente di un treno a sospensione magnetica causa 23 morti. (O.Ba.)
ci siano molte vittime», ha affermato. E sul numero delle vittime le notizie si sono rincorse per tutta la giornata. Si è subito parlato di una ventina, stando a fonti comunali, mentre solo per breve tempo un tribunale ha provato ad abbassare la cifra tra 8 e 15. Vana speranza. Il dato ufficioso delle stesse Sncb i morti sono almeno 25: dieci di un treno e 15 dell’altro. I testimoni hanno rivelato che la maggior parte dei cadaveri sono stati recuperati dalla carrozza della prima classe di uno dei mezzi.
Incerto anche il numero dei feriti. Stando alle fonti citate dal quotidiano Le Soir, i feriti sono 125, almeno 150 secondo altri resoconti. Diversi i feriti gravi, tra cui un bambino, una dozzina in condizioni disperate. Secondo alcune fonti del governo, i medici hanno effettuato alcune amputazioni sul posto. Moltissime le persone sotto choc. Diverse persone sarebbero rimaste a lungo intrappolate fra le lamiere dei treni - scrive la Libre Belgique - mentre molti passeggeri sono stati trasportati nella vicina palestra di Buizingen dove hanno ricevuto le prime cure prima di essere smistati negli ospedali della zona. Si tratta dell’incidente più grave degli ultimi dieci anni in Belgio: nel 2008 circa quaranta persone rimasero ferite in uno scontro tra un treno merci e uno passeggeri a Hermalle-SousHuy. Nel marzo del 2001 due treni passeggeri si scontrarono frontalmente a Pecrot: il bilancio fu di otto morti e decine di feriti. In quell’occasione l’incidente fu imputato a un errore umano: i due addetti agli scambi dei binari, uno francofono e l’altro fiammingo, non si capirono bene sul da farsi non parlando la stessa lingua. Sul disastro di ieri non c’è comunque nessuna notizia che possa far pensare a una qualche incomprensione linguistica, un problema serio per il Belgio. Immediata la solidarietà di tutte le istituzioni europee partecipi del lutto belga. Il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso è in «profondo choc» per la tragedia ferroviaria a Hal. Un portavoce della Commissione ha sottolineato che Barroso invia le condoglianze alle famiglie delle vittime aggiungendo che «la Commissione è pronta a fornire un sostegno» se necessario per affrontare la situazione. Il presidente dell’Europarlamento Jerzu Buzek ha parlato di «tragico incidente» manifestando la propria solidarietà alle famiglie delle vittime e ai feriti.
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Evan Bayh (Indiana) decide di non correre alle elezioni di mid-term
Aumentano i paperoni dell’Est e le loro fortune decuplicano
Un altro ritiro: Democratici in difficoltà al Senato Usa
Miliardari russi alla riscossa: primo Lisin, re dell’acciao
WASHINGTON. Il senatore dell’Indiana, Evan Bayh, ha deciso di ritirarsi. E questo darà ai repubblicani, alle prossime elezioni di mid-term, la possibilità assai concreta di conquistare un seggio senatoriale che quasi tutti gli analisti consideravano fuori dalla portata del Gop. Malgrado la (striminizita) vittoria di Obama nel 2008, infatti, l’Indiana è uno stato di consolidata tradizione repubblicana, che però il moderato Bayh era riuscito a portare nella colonna democratica grazie al proprio carisma personale (e ai suoi altissimi indici di popolarità). Con il ritiro di Bayh, però, il seggio dell’Indiana sembra strutturalmente destinato a tornare in campo repubblicano, compli-
MOSCA.Tornano alla carica i mi-
Gheddafi rimpatria i cittadini europei La Libia chiude agli ingressi dall’Ue. Farnesina: «Chiarisca» di Pierre Chiartano ’aveva annunciato da tempo e l’ha fatto. Tripoli ha chiuso i cancelli dall’Europa a causa delle schermaglie con la Svizzera. E ha scatenato una dura reazione dell’opposizione e del governo italiano anche se di natura diversa. Le autorità libiche hanno fatto sapere ieri che, già a partire da domenica sera, non solo non saranno più rilasciati visti a cittadini provenienti da Paesi Schengen, ma non saranno ammessi sul territorio libico anche coloro che erano già in viaggio. Immediate le conseguenze della decisione: tre italiani e nove portoghesi, ieri, sono stati prima bloccati all’aeroporto dalle autorità libiche e poi rimpatriati. E altri 40 connazionali risultano bloccati. L’Italia ha fatto sapere che chiederà la revoca della decisione libica e la validità dei visti di ingresso già rilasciati, e che l’atto sia oggetto di discussione alla prossima riunione dei ministri degli Esteri dell’Ue del 22 febbraio. Il nostro Paese sta inoltre verificando «la correttezza» della decisione svizzera che ha suscitato la reazione libica, affermano alla Farnesina. Non è la prima volta che il leader libico ci stupisce con conportamenti a dir poco stravaganti, anche dal punto di vista diplomatico, visto i notevoli interessi che la Libia ha con l’Italia, colpita ugualmente dai provvedimenti restrittivi. Ma non è escluso che nei prossimi giorni il capo della rivoluzione verde non ci stupisca ulteriormente. Limitazioni dei visti dal Paese nord Africano sono in vigore da novembre ed avevano suscitato le proteste della Libia che aveva accusato l’Europa di «solidarietà sistematica e programmata» con la Svizzera nella crisi fra Tripoli e Berna, seguita al breve fermo, lo scorso luglio a Ginevra, di Hannibal Gheddafi, figlio del leader, accusato di aver maltrattato due domestici; arresto che aveva provocato come rappresaglia il sequestro dei due imprenditori e per il quale la Svizzera aveva porto le sue scuse ufficiali. Gli accordi prevedevano che i due imprenditori fossero liberati entro 60 giorni dall’accordo; nel novembre scorso, dopo aver posto ulteriori condizioni,Tripoli ha invece trasferito i due detenuti in un «luogo sicuro». Fonti ae-
L
cando ancora di più il tentativo dei Dems di più vicini possibili a “quota 60”, riconquistando la supermajority (60 seggi che permettono al partito di maggioranza di aggirare qualsiasi tattica ostruzionistica dell’opposizione) perduta con la vittoria di Scott Brown in Massachusetts.
«Dopo tutti questi anni - ha dichiarato Bayh annunciando il ritiro - la mia passione di essere al servizio dei miei concittadini non è affatto diminuita, ma è diminuita la mia voglia di farlo restando al Congresso». Bayh è stato eletto per la prima volta al Senato nel 1998, per poi essere ri-eletto (molto facilmente) nel 2004. Subito dopo il il ciclone-Massachusetts, però, il Gop aveva iniziato a guardare con estremo interesse al seggio dell’Indiana, ma l’unico repubblicano in grado di impensierire seriamente Bayh sarebbe stato Mike Pence, attuale numero 3 dei repubblicani alla Camera e astro nascente del movimento conservatore, o magari il segretario di stato Todd Rokita. Nessuno dei due, però, sembrava avere intenzione di correre. Almeno fino alla notizia del clamoroso ritiro, che ha improvvisamente fatto dell’Indiana una delle possibilità di pick up più appetitose per il partito repubblicano.
roportuali libiche avrebbero affermato: «Nessun visto per gli europei, con l’eccezione della Gran Bretagna». Sempre il ministero degli Esteri italiano, ha aggiunto che la decisione della Libia sarebbe una reazione alla pubblicazione da parte della Svizzera - un Paese entrato nell’aerea Schengen nel 2008 - di una «lista nera» di circa 180 personalità libiche alle quali è stato vietato l’ingresso nel Paese elvetico. «Sono in corso contatti tra i Paesi dell’aerea per coordinarsi sulla vicenda» ha aggiunto la Farnesina.
ll giornale libico Oea, legato al figlio di Muammar Gheddafi, aveva diffuso per primo la notizia riferendo di un provvedimento relativo al blocco dei visti per un’area che comprende anche la Svizzera, Paese non aderente all’Unione Europea.Visti che per essere rilasciati richiedono l’unanimità da parte di tutti i Paesi dell’accordo, compresa la Svizzera, che dal 12 dicembre 2008 ha il potere di bloccarne la concessione, essendo entrata nell’area Schengen. Berna ha cancellato i controlli sistematici delle persone alle frontiere con Austria, Francia, Germania e Italia, acquistando però il diritto di veto sul rilascio di visti a cittadini esterni all’area. La Svizzera, prima di questo provvedimento, avrebbe pubblicato, secondo quanto riferito dal giornale libico Oea, vicino a Seif al Islam, uno dei figli del leader libico, una lista nera di 188 cittadini libici, tra i quali Gheddafi e la sua famiglia, ai quali è stato imposto il divieto a mettere piede sul suolo svizzero. Secondo il giornale, che cita un «responsabile libico di alto livello», la lista comprende il colonnello Gheddafi e tutta la sua famiglia, poi responsabili del Congresso generale del Popolo (Parlamento), del governo e «responsabili economici e dirigenti militari e dei servizi di sicurezza». Il ministero degli Esteri svizzero non ha confermato - ma neppure smentito - l’esistenza di questa «lista nera». Una portavoce del ministero elvetico, Nadine Olivieri, si è limitata a dire: «la Svizzera prosegue nella sua politica restrittiva in materia di visti nei confronti della Libia, non c’è niente di nuovo».
liardari russi, dopo la battuta d’arresto della crisi: il loro numero riprende a salire, insieme a quello delle loro fortune, grazie anche a corroboranti aiuti statali. Crescono anche nuovi piccoli oligarchi legati all’imprenditoria informatica, benché il loro patrimonio non raggiunga ancora il miliardo di dollari. Lo scettro dell’uomo più ricco del Paese va a Vladimir Lisin, 54 anni, il proprietario del gigante russo dell’acciaio Novolipetsk Steel, con una fortuna stimata in 18,8 miliardi di dollari, contro i 7,7 della graduatoria precedente. Poco noto al grande pubblico, raro frequentatore di salotti, Lisin è considerato come “Dio e zar” di Lipetsk (500 km a sud di Mosca), il feudo dove controlla la maggioranza dei media.
Il re dell’acciaio ha detronizzato lo scapolo d’oro Mikhail Prokhorov, presidente del gruppo Onexim con interessi anche nel basket americano dell’Nba, sceso ora al secondo posto ma aumentando il suo gruzzolo da 14,1 a 17,8 miliardi di dollari. Perde un’altra posizione, ma incrementando il suo patrimonio, Roman Abramovich, l’ex governatore della Ciukotka e patron del Chelsea: è terzo con 17 miliardi di dollari (13,9 mld l’anno prima). Nella top ten guadagnano posizioni, raddoppiando le loro fortu-
Tre italiani e nove portoghesi, ieri, sono stati prima bloccati all’aeroporto dalle autorità libiche e poi cacciati
ne, Suleiman Kerimov, proprietario del gruppo Nafta Moskva, con 14,5 miliardi di dollari, il presidente di Alfa Group Mikhail Fridman (14,3 mld) e il re dell’alluminio Oleg Deripaska (13,8 mld). Nella classifica compaiono anche 33 parlamentari russi, quasi tutti del partito putiniano Russia Unita. Ma ad attirare l’attenzione è uno dei 28 nuovi miliardari considerati vicini a Putin: Ghennadi Timshenko, co-proprietario della Gunvor, la società svizzera di brokeraggio che rivende all’estero gran parte del petrolio russo che non viaggia su oleodotti. In un anno è passato dalla 375/a posizione alla 23/a, e il suo patrimonio da 70 milioni di dollari a 4,15 miliardi di dollari.
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Ritratto. È morto il popolare attore che con Ric aveva formato una delle coppie più amate della tv tra i Sessanta e i Settanta
Quella Milano da ridere I Navigli e il nonsense, San Siro e il cabaret: con Gian se ne va un altro piccolo simbolo di Roselina Salemi n una delle ultime interviste, gli avevano chiesto «Come si immagina tra dieci anni?». Aveva risposto, leggero: «Cremato in una cassetta, là sopra la tivù». Bella battuta, per un comico. Gianfabio Bosco, in arte Gian, che se ne è andato a 73 anni, il giorno di San Valentino, non era un nostalgico. Si era ritirato nel 2006 perché fare teatro lo stancava e la televisione non era più quella di una volta. Ma ogni tanto, quando raccontava gli sketch che lo avevano reso famoso insieme con l’altra metà della coppia (Riccardo Miniggio, ovvero Ric: si erano separati nell’87 e poi riuniti nel 2002), veniva fuori una piccola vena di rimpianto per la Milano degli anni Sessanta, quella del boom economico, lanciato verso il futuro.
hhhihiiiii - e intanto muove la mano su e giù - è una persona che non si deve far prendere troppo dal nervoso perché altrimenti toc toc toc - e il piede gli saltella - resta troppo agitato e... Avanti così tutta la visita e resto serio a fatica. La sera, poi, racconto a Ric la scena, imitando il medico. Lui mi segue e nasce lo sketch».
I
li. Anzi, cercava qualcosa, qualcuno da dissacrare. Giorgio Gaber, Enzo Jannacci («Vengo anch’io? No, tu no»),
Ric e Gian si erano trovati, all’improvviso, popolari. Avevano lanciato i primi tormentoni (lo schiaffone, seguito da «Bravo, barbiere!» il nome femminile sillabato con aria stralunata «Caro-la!»), imparato che certe battute è meglio non farle, per non uttare certe sensibilità (Ric: «1323 Avanti Cristo». Gian: «Non c’è». Ric: «Avanti un altro!»), avevano fatto anche un po’ di soldi che però se erano andati velocemente, così come erano entrati. E, per loro
Tutto era cominciato per caso, nel 1966, quando furono notati per un numero di avanspettacolo, al Crazy Horse di Parigi
La città, non ancora “da bere” come nello spot Ramazzotti, ferma al 1962, nelle belle pagine di Luciano Bianciardi (La vita agra). Brera, a quel tempo era una zona centrale, ma popolare e un po’ malfamata, piena di alberghetti, di scommettitori di pelota in via Palermo, di prostitute su e giù per via dei Fiori Chiari, di latterie come il bar Giamaica e i suoi sifoni da seltz della Saccab, di ragazze con il “mongomeri”e la coda di cavallo, di ristoranti toscani aperti da cuochi che venivano da Altopascio e Chiesina Uzzanese. Si mangiava un po’ qua un po’ là, nelle latterie cibicotti in corso Como o in San Gottardo, c’erano, prima che arrivassero i paninari negli anni Ottanta, i panini “sgombro e caprino” della “Crota Piemunteisa”. Per finire la serata, spettacoli di varietà con spogliarello allo Smeraldo. E il Derby naturalmente: crocevia di comici, ma anche di scrittori, fotografi, artisti, chiuso per 23 anni dopo un’irripetibile stagione di risate e riaperto in un’altra Italia, con un pizzico di tristezza. Allora, il Derby era fatto soprattutto da gente che si divertiva e non aveva timori reverenzia-
Cochi e Renato («Bene, bravo settepiù!»), Massimo Boldi “Cipollino”, Teo Teocoli. Gente senza un soldo, perché i comici non erano ancora i businessman di oggi: libri-dvd-teatrofiction-tv e diritti via satellite.
Il primo ingaggio, Ric e Gian l’avevano avuto a Parigi, 45 franchi a sera, come intermezzo tra gli spogliarelli del Crazy Horse. Lì Angelo Rizzoli li aveva notati e scritturati per Ischia operazione amore, un film non memorabile, ma buon antenato delle contemporanee. vanzinate Era bastato a farli notare. Allora la televisione era nuova e sorprendente, c’erano i varietà della domenica con indici d’ascolto balcanici, e c’era un’Italia ottimista (Anni beati li ha chiamati Carlo Castellaneta), che aveva voglia di barzellette (il Grande Raccontatore era Walter Chiari) e di quattro oneste risate. Eleganti, alla Tognazzi-Vianello. Niente parolacce, niente risse. La tv commerciale era ancora lontana. Nel ’66 era nato il famoso pezzo del barista nevrotico e della brioche che volendo, potete vedere su Yuotube, in un bellissimo bianco e nero. A Gian l’idea era venuta una mattina, «durante una visita da un neurologo, un tizio con un sacco di piccoli scatti involontari». «Vede signor Bosco, lei
spettacoli teralmente tutti», ricorda Franco Battiato, che ha dedicato il film Perduto amor a quell’atmosfera: «Chiunque sapesse suonare uno strumento o pensasse di poter scrivere una canzone veniva lì, come attirato da un magnete. Ovviamente c’erano i Morandi, le Pavone, gente che si muoveva in un’altra dimensione, ma per noi neofiti erano un mito anche personaggi che avevano inciso un semplice 45 giri e oggi sono scomparsi dalla memoria. C’erano Alberto Radius e Maurizio Arcieri. C’era una voglia di vivere e rivivere quasi dionisiaca».
stessa ammissione, non si erano resi conto di vivere una stagione che non poteva durare ma che per un decennio avrebbe mescolato i destini di scrittori come Bianciardi, scultori come Cascella e Pomodoro e comici in cerca di un pubblico. Nel ’69, Gian (e ovviamente anche Ric) era andato a lavorare con Mike Bongiorno a Giochi in famiglia. «All’inizio era difficile, troppo burbero. Se lo salutiamo con “Salve dottore” ci risponde: “Non sono medico né infermiere”. Se diciamo: “Salve signor Bongiorno” ci risponde: “Chiamatemi Mike. Baudo ci suggerisce di fare la scenetta del ceffone, che lo diverte molto. Gli diamo retta: uno fa il barbiere e l’altro gli dà una sberla dicendo: “Bravo barbiere!”. Diventa un tormentone. La settimana dopo, Mike arriva in studio: “Non capisco, ehhh. Tutti quelli che mi vedono in giro mi dicono bravo barbiere. Non capisco, ehhhh”. Gli spiegano che è il nostro sketch e da quel momento ogni volta che ci presenta ci coccola. Lanciandoci definitivamente».
Anche Ric e Gian, modestamente, hanno avuto la loro brava discografia. Due album, uno con testi di Leo Chiosso e musiche di Gorni Kramer, uno di cover, con le canzoni di Pino Donaggio e Gilbert Becaud . Ma restano “quelli della domenica”, quelli di “Okay Carola” una canzone comica del genere Enzo Jannacci-Cochi-e-Renato. Sullo sfondo c’era sempre il Derby, c’erano le serate di sberleffi, fatti da anarchici buoni che non prendono sul serio il mondo. Il mondo però non prendeva sul serio loro. Poi, una sera (gli anni Sessanta erano già in archivio da un pezzo), l’incontro, casuale, con Silvio Berlusconi. Eccolo, nel ricordo di Gian: «Siamo a teatro a vedere Enrico Montesano. A fine primo tempo, sento uno che mi appoggia la mano sulla spalla: “Gian, le ha telefonato il mio dirigente?”. Io rido: “No, perché avrebbe dovuto? E poi, lei chi è?”. Si alza, si gira verso la platea per farsi vedere e sentire e mi allunga la mano: “Piacere, Silvio Berlusconi”. E io: “Ah, lei è famoso per comprare la gente, pagarla e non farla lavorare!”. Mi sorride. “Non è vero. Vi piacerebbe venire a Canale 5? Vi farò chiamare». Era in arrivo il Telegatto, il nostro piccolo Golden Globe, l’ultima consacrazione. Nuove trasmissioni, nuove scoperte: (Donatella) Rettore, Zucchero (Fornaciari), Enrico Ruggeri. Ma prima di incontrare Qui sopra, un disegno di Michelangelo Pace. A destra, la copertina di un disco di Ric & Gian. Nella pagina a fianco, sopra Gian, al secolo Gianfabio Bosco, e sotto, la coppia in una foto d’epoca con Enzo Jannacci, un altro mattatore della Milano a cavallo tra i Sessanta e i Settanta
Milano era in pieno exploit creativo. Tutti provavano a fare tutto. Anche loro: il un disco di barzellette con accompagnamento musicale (Il giro del mondo in 45 giri, idea di Pippo Baudo), le sigle televisive (È solo un gioco), il cinema. Era il tempo dei musicarelli: una canzone di successo e... ciak di gira. Era andata molto bene Lisa dagli occhi blu (senza le trecce la stessa non sei più), di Mario Tessuto e il regista li aveva voluti nel film. Un trionfo a basso budget. «Erano gli anni d’oro della Galleria del Corso, dove c’erano le case discografiche e passavano let-
Berlusconi, Ric e Gian lavoravano per Antenna Tre Lombardia, e un pezzo della Milano che avevano conosciuto da giovani comici affamati se ne era già andata. Niente latterie e scommesse sulla pelota, niente più alberghetti equivoci, ma costosi monolocali, niente spettacolini scollacciati e osterie da barbera e champagne, alla Giorgio Gaber. Gli anni Settanta erano volati via, la pioggia aveva cancellato tutto, come in una vecchia canzone. Via dei Fiori Chiari era stata colonizzata da bar alla moda, boutique e lettrici di tarocchi. Stava per cominciare la stagione dell’happy hour.
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Un ruolo antico e difficilissimo
Elogio della spalla Nascosta dietro a un comico di Nicola Fano n un’altra epoca, un grande attore, Gianni Agus, mi disse risoluto: «Spalla sarà lei!». Non che volesse minimizzare il ruolo di spalla, per carità: solo, voleva far notare di aver fatto anche altre cose significative nella vita (tipo uno splendido Tiger Brown nell’Opera da tre soldi di Strehler/Brecht). Rigirai la risposta di Agus a Gian (una manciata d’anni fa, per una lunga intervista tv) e lui non si disse d’accordo. Anche lui aveva fatto assai cose nella vita - e non solo nell’ampio settore dello spettacolo - ma riteneva che fra tutte, la più difficile fosse stata fare la spalla. Ora, voi penserete che la spalla è quello che sta zitto, al massimo annuisce, comunque s’arrende al comico... E non è vero. Se andate a guardare, la spalla è quello che dice più parole e improvvisa di più: al comico basta una parola per far ridere, mentre alla spalla ne servono dieci volte tante per preparare la battuta dell’altro.
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La spalla, poi, deve essere cattiva e questo non è mai un bene a teatro: gli spettatori parteggiano per i buoni, anche quando i buoni sono scemi (e i comici sono scemi per definizione). Ma perché la stupidità di un comico si riscatti in genialità (ossia sappia stupire il pubblico che dice puntualmente: «Hai visto, sembrava un cretino e invece aveva capito tutto…»), ci vuole una spalla particolarmente odiosa. Ricordate Carlo Campanini con Walter Chiari? Ricordate Gianni Agus (sempre lui) con Paolo Villaggio/Fracchia? Ecco: Gian (Gianfabio Bosco) assolveva lo stesso ingrato ruolo con Ric (Riccardo Miniggio). Con un’aggravante: che Ric improvvisava troppo. È noto che i duetti fra Totò e Peppino fossero delle trappole reciproche: i due stracciavano la sceneggiatura e convenivano una variante con incroci obbligati (sui quali incontrarsi). Salvo che poi al momento del ciak improvvisavano una terza cosa. Ma avevano ruoli paritetici, quindi potevano ricamare uno sull’altro. Ric e Gian no: demandato alla risata era Ric e Ric cambiava anche le cose che i due avevano già stabilito di cambiare: provatevi voi a tirare la volata a uno che cambia sempre strada! Fare la spalla è difficile. In alcuni casi difficilissimo. Ed è un mestiere che non esiste più. Perché oggi non solo non esistono coppie comiche (non nel senso tradizionale di comico-e-spalla), ma anche perché i comici vogliono essere protagonisti assoluti e sovente sono afflitti da logorrea scenica (pensate a un grande, ma troppo parlatore come Brignano). E la spalla aveva anche questo compito ingrato: di contenere i comici, dando loro regole e vincoli. Non è un caso che pochissimi, tra i grandi del passato, abbiano saputo rifulgere da soli, senza la cattiveria delle spalle. Perciò quando scompare una grande spalla come Gian, la prima vittima è la comicità.
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spettacoli
Cinema. Vittorio Messori contesta il film della Hausner, che invece ha il pregio di mostrare l’umanità dei credenti
A Lourdes va in scena la fede di Sergio Valzania Nella foto grande, e qui in basso, due frame di “Lourdes”, film della regista Jessica Hausner. da pochi giorni nelle sale. Giù a sinistra, la locandina
ul Corriere della Sera di venerdì scorso Vittorio Messori manifesta forti dubbi sulla spiritualità proposta dal film Lourdes, per la regia di Jessica Hausner, premiato sia dalla critica cinematografica atea che da quella cattolica.
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Le obiezioni avanzate da Messori al film sono molto articolate e vanno da una eccessiva claustrofobia degli ambienti ripresi, una generale cupezza delle immagini, un atteggiamento di complessivo disincanto attribuito agli accompagnatori e manifestazioni diverse di invidia, superstizione e grettezza offerte dai malati, per una rappresentazione complessiva di Lourdes meschina e priva di spiritualità. Le dichiarazioni di ateismo della regista, che pure ha studiato presso un istituto di suore, costituirebbero la prova decisiva dell’orientamento del film in senso antireligioso. Un’operazione culturale intelligente, aggiunge Messori, dato che rinuncia alle rozzezze della contrapposizione, alle accuse di mistificazione, alla pretesa di scoprire nefandezze che non esistono per accontentarsi di mostrare, magari con qualche sottolineatura, la miseria umana insieme alle brutture e le tristezze dell’architettura e dell’arredamento conventuali del Novecento. La Hausner agisce sulla divaricazione di un dubbio, non sulla negazione di un’evidenza di diffusa devozione, peraltro in un ambito nel quale non sono proclamati dogmi di fede, ma esiste solo la contemplazione di un mistero. Devo dire che dal film ho tratto un’impressione completamente diversa, prossima a quella proposta da Anselma Dell’Olio sul MobyDick di sabato scorso. Quando Lourdes è stato presentato al Festival del Cinema di Venezia sono stato molto incerto se andarlo a vedere. Di-
sponevo di pochissime informazioni a riguardo e temevo di imbattermi in uno dei due eccessi possibili, quello negazionista e quello affermazionista, tutti e due sostenuti da quella che Giuliano Ferrara ha battezzato con efficacia pornografia del dolore, l’esibizione non necessaria della sofferenza degli altri. Mi avrebbero disturbato molto sia il tentativo di ridicolizzare una fede semplice ma radicata in profondità e accompagnata da un grande rispetto per la sofferenza, sia la pretesa di fornire un sostegno esplicito alla certificazione di una verità terrena e quindi indimostrabile. Rimango convinto che se Dio avesse voluto parlare agli uomini soprattutto attraverso i miracoli non avrebbe avuto problemi a farne di spettacolari. Le guarigioni di Lourdes sono parte di un dialogo discreto e personale, al-
nista, almeno narrativamente. Rappresenta infatti la figura del cattolico osservante tradizionale, che accetta il proprio dolore e non chiede una salvezza fisica particolare per sé, sfiorando in questo il martirio. La Hausner ha la delicatezza di porla a margine della vicenda, senza sottolineature. Tutti gli altri personaggi, a partire dalla protagonista Christine, interpretata magistralmente da Sylvie Testud, rappresentano l’umanità nei suoi limiti, nelle sue miserie, nel suo egoismo e nel suo dolore, ma nello stesso tempo nella dignità e nella speranza. Soprattutto ciascun uomo o donna presentato nel film manifesta in modo evidente il proprio bisogno di Dio, al di là persino della consapevolezza che possiedono di questa mancanza lacerante. Nessuno di loro contribuisce a sostenere l’idea dell’esistenza di un essere umano che proclami la propria autosufficienza di fronte al
presenta ogni essere umano gravato dalle sue debolezze, così che accompagnatori e malati si mescolano nel mostrare difetti fisici e morali. Christine ammette con franchezza di non essere andata a Lourdes nella speranza della guarigione, ma solo per viaggiare un po’, per spostarsi dalla casa dove la sua tetraplegia la tiene prigioniera. Nello stesso tempo, dubbiosa come tutti noi siamo, decide di confessarsi e incontra un sacerdote che non le sa fornire risposte soddisfacenti sul perché della sua tremenda malattia. Ma chi sarebbe in grado di fornirgliele? E il miracolo non è forse già completo nell’incontro di persone che si riuniscono per dare a chi soffre qualche giorno di svago e di maggiore serenità? Ho trovato di grande conforto la concretezza e i limiti attribuiti nel film all’umanità degli accompagnatori, che raccontano barzellette, fumano, bevono, a volte sono pigri e non perdono l’occasione per uscire la sera dopo aver messo a letto i malati loro affidati. Non sono dei santi e proprio il fatto che ci vengano presentati come persone normali, che potrebbero essere, e spesso sono, il collega d’ufficio o il vicino di casa, determina la grandezza del loro dedicare qualcuno dei preziosi giorni di ferie di cui dispongono al servizio degli altri.
Quasi tutti i personaggi, a partire da Christine, rappresentano gli uomini nelle loro miserie, nell’egoismo e nel dolore, ma soprattutto nella dignità e nella speranza l’interno del quale non si può entrare che con grande discrezione.
Assistendo alla proiezione del film non ho vissuto nessuno di questi imbarazzi, tanto che sono persino tornato a vederlo, insieme a degli amici ai quali l’avevo consigliato, senza provare né noia, né fastidio. Sono persuaso che questo dipenda da una mia sostanziale condivisione per l’umanesimo che il film propone, con la cui sensibilità mi sento in piena consonanza, e che secondo me ha profonde radici cattoliche. Le suore presso le quali Jessica Hausner ha studiato non sono riuscite a conservarle la fede, ma le hanno trasmesso una parte notevole dei loro valori di riferimento. I personaggi di Lourdes non hanno statura eroica, a parte uno, che svolge il duplice ruolo di accompagnatrice e di malata e andrebbe considerata cooprotago-
creato, dichiarando risolti i suoi problemi di comprensione del dolore, della sofferenza, della morte. Al contrario la Hausner si reca nel luogo della fede, dove la Madonna si è manifestata e dove siamo più prossimi alla certezza del miracolo, per raccontare dei limiti dell’uomo, della sua incredulità, del suo egoismo, della sua incapacità di affidarsi in modo completo, e nello stesso tempo confermare quanto sia grande il suo bisogno di un rapporto con Dio, quanto la Sua chiamata sia ineludibile. Lourdes non è né la storia di una santa, né quella di un miracolo, non intende fare dell’agiografia e neppure il suo contrario. Ritengo che il film voglia piuttosto descrivere la natura umana, nella sua misteriosa e variegata profondità, e lo fa scegliendo di incontrarla nel luogo del dolore e della speranza per eccellenza. Senza compiacersi di esso, del quale non mostra mai la crudezza. Semmai
Nello stesso tempo induce qualche senso di colpa, dato che non è vero che per fare qualche buona azione si debba essere degli eroi. La porta è aperta per tutti e la si può attraversare in ogni momento. Soprattutto resta vera l’assicurazione di Gesù quando dice: «Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». Se in Lourdes manca una Chiesa trionfante al suo posto ne troviamo una molto prossima agli uomini, pronta alla comprensione e al perdono.
spettacoli
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SANREMO. Squillino le trombe, rullino i tamburi: parte il Festival della Canzone targato Antonella Clerici. La pachidermica kermesse, numero 60 e cinquantacinquesima dell’era televisiva, prende il via sotto il segno del convitato di pietra: alla conferenza stampa s’è parlato molto – troppo – di Marco Morgan Castoldi, quello che non c’è ma in qualche modo ci sarà, spiega la conduttrice; relativamente poco di contenuti. In tutti i modi, il Festival si svilupperà in cinque serate da stasera al 20 Febbraio: ci sarà una competizione tra canzoni “nuove” interpretate da quindici artisti – si chiamavano ’big’ fino all’anno passato – individuati «secondo criteri di contemporaneità, fama e valore riconosciuti» (da comunicato); quindi una gara tra canzoni interpretate da otto artisti nella sezione Sanremo “Nuova Generazione”; infine una Serata Evento dedicata alla “leggenda” di Sanremo, durante la quale otto grandi della musica italiana e internazionale saranno invitati a scegliere e interpretare, tra tutte le canzoni presentate nelle cinquantanove edizioni, quella da loro più amata. Questa sera si parte con le esibizioni dei numeri uno: a partire dalle ore 21, i telespettatori potranno assistere all’interpretazione-esecuzione delle quindici canzoni degli Artisti con votazione della mitica giuria demoscopica del Teatro Ariston. Verrà stilata la graduatoria in base ai voti ricevuti nella serata e le 12 songs più votate saranno ammesse alla Seconda Serata. Si sfideranno a colpi di acuti Arisa con Malamorenò, la meneghina Malika Ayane con Ricomincio da qui, Simone Cristicchi con Meno male; ed ancora Toto Cutugno (Aeroplani), Nino D’Angelo (Jammo jà), Irene Grandi (La cometa di Halley), Fabrizio Moro (Non è una canzone), Irene Fornaciari feat. Nomadi (Il mondo piange), Noemi (Per tutta la vita), Povia (La verità); la triade Pupo/Emanuele Filiberto/Luca Canonici con Italia amore mio, Enrico Ruggeri (La notte delle fate), Valerio Scanu (Per tutte le volte che), Sonohra (Baby), Marco Mengoni (Credimi ancora). E le guest star? La Clerici ci tiene molto ad annunciare che i “superospiti” della prima puntata (proprio come li ha definiti lei) saranno Paolo Bonolis e Luca Laurenti. Oltre a loro ci saranno Dita Von Teese, Susan Boyle e Antonio Cassano. Duran-
Nella foto grande, l’insegna del Teatro Ariston di Sanremo, che quest’anno celebra l’edizione numero 60. Qui sotto, la conduttrice Antonella Clerici. In basso, Morgan e la locandina del Festival
Tv. Presentata la cinque giorni dell’Ariston che comincia stasera sulla Rai
Che noia, Morgan: è il solito Sanremo di Valerio Venturi te la seconda serata gradite ospiti saranno le ballerine del Moulin Rouge, mentre Jennifer Lopez sarà la bomba sexy nella serata di venerdì. Per tornare a stasera, saranno presentati gli artisti della “Nuova Generazione”. Tanta roba. Ma quando finirà il polpettone? La Clerici promette sobrietà: «non sto a pettinare le bambole, detesto le lun-
gaggini, ma ci sono tanti contenuti e obblighi con gli sponsor». Tradotto: aspettatevi uno spettacolone grasso come quelli degli anni passati con finale alle prime ore del giotno.
E poi c’è il caso Marco Castoldi, in arte Morgan. Che non ci sarà, ma ci sarà – sintomatico il fatto che alla conferenza stampa si sia parlato più di questo che d’altro. Probabilmente il brano che il cantante aveva preparato sarà presentato da qualcuno in qualche modo. L’importante è garantire l’assenza fisica e in video: la Rai non vuole sia mandato in onda chi elogia l’uso di droghe – pure se pentito; ma per una “presenza in spiritu” non meglio definita sembra non ci siano problemi. Quindi le dichiarazioni dei papaveri che hanno sfilato alla sala stampa dell’Ariston. Maurizio Zoccarato, sindaco di Sanremo consapevole: «Il Festival è troppo importante per noi; questa settimana deve essere la turbina che ci faccia riconquistare la celebrità a
Sul palco le quindici canzoni in gara: avanti le dodici più votate. Ospiti Dita Von Teese, Susan Boyle e Antonio Cassano
livello nazionale. Quindi chiude con stile: «Io che son cresciuto con il desiderio di conoscere le vallette, come faccio se il Festival viene ridotto per numero di giornate?». Mauro Mazza, direttore generale della Rai, si dice «emozionato, perché per me si trat-
ta del debutto a Sanremo. Il caso Morgan? Le polemiche sono il sale del Festival, prima che la musica la faccia da padrona. Ma ho fondati motivi per pensare che questa sarà un’edizione da ricordare in positivo. Per come è stato preparato, quello di quest’anno è il Festival ideale, quello che vorrei sempre».
Antonella Clerici è tiratissima ma apparentemente sorniona e rilassata: «Confido molto nella riuscita di questo Festival. Spero che sia un’edizione che vi farà divertire. La dichiarazione su Morgan fatta durante il Tg (ci sarà, ndr.)? Mi assumo tutte le responsabilità. Morgan in qualche modo sarà al Festival, anche se non sarà presente all’Ariston. Stiamo pensando al modo migliore per rendergli omaggio. Comunque non siamo stati noi a creare il casoMorgan, mi sembra ingiusto dire che abbiamo fatto un teatrino, che sia stata una cosa studiata a tavolino». Gianmarco Mazzi, direttore artistico, dice di aver «lavorato davvero molto. Il lavoro per preparare questo Festival è iniziato da mesi, la festa per i 60 anni di Sanremo vedrà protagonisti tanti giovani artisti». Quindi, parole sparse sugli ospiti, che temono il palco di Sanremo e che chiedono troppi soldi in un momento di crisi: «ma è prevista la presenza di Bennato che canterà Ciao amore ciao, la celebre canzone di Tenco. Assieme a lui ci saranno Elisa, Carmen Consoli, Fiorella Mannoia, Riccardo Cocciante e Massimo Ranieri». Bene. Oltre a Cassano c’è di più?
o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE
Il Risorgimento fu il più grande e spietato attacco al cattolicesimo In apertura delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia, il presidente Napolitano ha detto «Basta alle volgarità sulla Storia del Risorgimento». Detta da un non cattolico, l’accusa ha una sua ragion d’essere. Peccato che da una prospettiva cattolica, il processo storico di unificazione dal 1848 al 1861 si svolse in una vera e propria guerra di religione anticattolica condotta nel Parlamento di Torino dai liberali e dai massoni. Benché sui testi di storia scolastici non se ne trovi traccia, va ricordato che i liberali abolirono tutti gli ordini religiosi della Chiesa di Stato, spogliarono di ogni avere le 57.492 persone che li componevano, soppressero le 24.166 opere pie, lasciarono più di 100 diocesi senza vescovo, imposero al clero l’obbligo di cantare il Te Deum per l’ordine morale raggiunto, vietarono la pubblicazione delle encicliche pontificie, pretesero fossero loro somministrati i sacramenti nonostante la scomunica, e, come se nulla fosse, si proclamarono cattolici. Il Risorgimento fu il più grande e spietato attacco al cattolicesimo e alla società cristiana mai avvenuto nel corso della storia italiana. I fatti che non si vogliono ricordare di una vicenda tutta da riscrivere. Altro che volgarità.
Gianni Toffali - Verona
PROTEZIONE SPA: MOSTRO DA NON FAR NASCERE Aspettiamo che la magistratura faccia piena luce sulla gestione Bertolaso evitando accuse generiche, processi di piazza e condanne senza prove. Il passato ci dovrebbe insegnare che a volte queste montagne giuridiche partoriscono miseri topolini, ma rovinano persone in carne e ossa. Non c’è dubbio però che le vicende legate agli appalti in regime di emergenza, dimostrano che la Protezione civile Spa è un mostro che è meglio non nasca mai.
Lettera firmata
UNO DI LORO In Italia protezione sa di racket, prostituzion e pizzo, cioè tangenti & merletti. Di organizzazioni che hanno poco di civile e tanto della piovra. Quella che infiltra tentacoli ovunque e arraffa tutto. Ha l’attivismo degli av-
voltoi, sempre pronti a sciacallare su ogni sventura. Duttile, tempestiva e spavalda, fa suo il modello imprenditoriale nostrano, quello parassitario che succhia soldi allo Stato e specula anche sulla caritatevole consuetudine all’obolo dei nostri connazionali. Creduloni e mascalzoni ad un tempo. Credenti e delinquenti tutto in uno. In prima fila negli abusi edilizi e ai funerali per le vittime dei disastri, salvo a battezzarli come annunciati per non dire provocati. Abusivisti e devastatori, prima; cordoglisti e ricostruttori, poi. Finché va, pretendono che sia tutto condonato, quando non va, invocano il disastro annunciato. A guidarla un benefattore o un malfattore, a seconda delle convenienze. Raffazzone per professione, arraffone per missione. A fargli da paravento, un manipolo di reduci dell’esercito che fu, quello degli italiani “brava gente”. Li chiamano volontari.Talvolta missionari più spesso emissari di
Un anno da tigri L’anno cinese che è appena arrivato sarà anche per loro il 2010 e sarà l’anno della Tigre. Il calendario cinese si basa sulle fasi lunari (a differenza del nostro che è solare) e comprende cicli di 12 anni (anziché 12 mesi). Ogni anno corrisponde a un animale, che onora il Buddha nel giorno della sua morte
un fiume di denaro, sempre i soliti, quelli legati alla casta e alle cosce. A dirigerla un genio del senno di poi. Un competente onnipresente per il quale protezione non fa rima con prevenzione. Un tecnico-politico per il quale criticare è sempre meglio che governare. In sintesi, uno di loro.
Gianfranco Pignatelli
PASSEGGINI A RISCHIO Ci mancavano anche i passeggini a rischio amputazione delle dita dei bambini. L’allar-
L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
me viene dagli Usa, dalla Commissione per la sicurezza dei prodotti destinati ai consumatori e dal Canada, e riguarda un passeggino importato dalla Cina dalla Britax Child Safety, modello “Blink”, dotato cioè di parapioggia. La cerniera che consente la chiusura del passeggino può provocare l’amputazione delle dita o, comunque, la lacerazione della cute. Il prodotto è stato ritirato dal mercato. Non sappiamo se tale tipologia di passeggino è venduto anche in Italia.
Primo Mastrantoni
da ”The Indipendent” del 15/02/2010
Derivati, ancora loro… di Stephen Foley ietro i “magheggi” dei bilanci della Grecia, è saltato fuori che c’era il gigante delle banche d’investimento Goldman Sachs. Il gigante della finanza è finito al centro di una serie di critiche, per aver permesso complesse operazioni finanziarie che avrebbero consentito a un Paese della zona euro di uscire fuori dai limiti di bilancio. Con la riunione dei ministri europei (di ieri e oggi), si cercherà di trovare una soluzione alla crisi del debito che minaccia l’eurozona nel suo complesso, accendendo un riflettore sui metodi che hanno consentito ad alcuni Paesi di sforare il deficit, pur rimanendo apparentemente all’interno dei parametri richiesti da Eurotower. Le regole di adesione all’euro avevano introdotto dei tetti al deficit, legati al rapporto tra debito e pil, ma la Goldman Sachs insieme con altri istituti finanziari, fin dai primi anni del Duemila, hanno insegnato a Paesi come la Grecia a ”truccare i conti”, in maniera che le statistiche ufficiali rimanessero all’interno dei limiti voluti da Bruxelles. Con l’attuale recessione che s’innesta su di una crisi causata anche dalla crescita del disavanzo pubblico in tutto il continente, i timori che ci possano essere altri debiti nascosti nelle pieghe dei bilanci dei membri Ue ha fatto crollare la fiducia dei mercati nei confronti del debito Greco.Tirando giù anche il valore della moneta europea. Goldman Sachs è stata la più importante di una dozzina di banche utilizzate dal governo di Atene per gestire il debito nazionale attraverso gli strumenti di finanza derivata. La banca ha messo in campo una serie di operazione per rastrellare fondi e ridurre il deficit di bilancio subito, in cambio di pagamenti dilazionati negli anni a venire. In un caso, nel 2002, l’istituto
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di credito ha fatto affluire nelle casse del governo greco oltre un miliardo di dollari, attraverso uno strumento chiamato Cross-currency swap (il Ccs è un contratto col quale due controparti si accordano per scambiarsi reciprocamente un capitale iniziale, dei flussi periodici di interessi e un capitale finale, espressi in due valute diverse, ndr). Non si accusa Goldman Sachs di aver fatto niente di sbagliato, questo è solo un mezzo molto costoso di rastrellare fondi, ma ha il vantaggio di non essere contabilizzato come debito. Le regole per i governi dell’eurozona sono che il deficit non debba superare il 3 per cento del pil, mantenendo sempre il debito pubblico entro il 60 per cento del prodotto nazionale lordo.
Regole che la Grecia non ha seguito, neanche durante il periodo di boom economico. La banca d’investimenti più potente del mondo era da tempo sotto attenta valutazione per verificare la correttezza dei suoi comportamenti. Barack Obama, il mese scorso, aveva lanciato un attacco a Wall Street, proponendo di limitare le dimensioni dei grandi istituti finanziari Usa e di ridurre la loro capacità di trading. Nello stesso giorno GS stava distribuendo bonus per 10 miliardi di dollari ai suoi manager, per i buoni risultati conseguiti nel 2009, giusto un anno dopo l’intervento statale che salvò il sistema bancario dal crollo. Come diretta conseguenza dell’im-
portanza del governo Grecia come cliente, nel novembre scorso, GS inviò ad Atene, Gary Cohn il vice presidente del gruppo, per proporre un nuovo business nella gestione del debito. Secondo alcune fonti GS avrebbe proposto ad Atene come posporre il debito del sistema sanitario nazionale. La banca ha rifiutato di commentare la notizia. E si è scoperto che anche altri Paesi europei avrebbero usato i Ccs che tante preoccupazioni hanno causato alla Grecia, tra questi l’Italia, che avrebbe fatto delle operazioni controverse con la JP Morgan prima di entrare nell’euro. La reale quantità dei prodotti derivati utilizzati nei Paesi Ue non è chiara e neanche Eurostat è in grado di capire realmente i numeri del business. L’agenzia europea di statistica accusa molti governi di essere poco trasparenti nell’utilizzo di questi strumenti finanziari. Gustavo Piga, economista dell’Università di Roma ha da tempo lanciato l’allarme per le conseguenze di questo «abbraccio mortale» tra banche e governi.
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog
dai circoli liberal
LETTERA DALLA STORIA
La “pastinaca” della mia fanciullezza Carissima Tania, le sei piantine di cicoria si sono subito sentite a casa loro e non hanno avuto paura del sole: già cacciano fuori il fusto che darà i semi per le messi future. Le dalie e i bambù dormono sottoterra e non hanno dato ancora segni di vita. Le dalie credo siano veramente spacciate.Volevo pregarti di mandarmi ancora quattro qualità di semi: il primo di carote, ma della qualità detta “pastinaca”, che è un piacevole ricordo della mia prima fanciullezza: a Sassari ne vengono di quelle che pesano mezzo chilo e prima della guerra costavano un soldo; il secondo di piselli; il terzo di spinaci e il quarto di sedani. Su un quarto di metro quadrato voglio mettere quattro o cinque semi per qualità e vedere come vengono. Li puoi trovare da Ingegnoli; così ti farai dare anche il catalogo, dove è indicato il mese più propizio per la semina. Ho ricevuto un altro biglietto dalla signora Malvina Sanna: dille che comprendo le difficoltà finanziarie per procurarsi i libri da me indicati. Come fare a non perdere tempo in carcere e a studiare qualcosa in qualche modo? Mi pare che bisogna spogliarsi dell’abito mentale scolastico, e non pensare di fare dei corsi regolari e approfonditi; ciò è impossibile anche per chi si trova nelle migliori condizioni. Antonio Gramsci a Tania
ACCADDE OGGI
PARTO CESAREO E ANALGESIA L’istituto superiore della Sanità ha presentato le proprie linee guida per cercare di contenere i parti cesarei. Un fenomeno che vede il nostro Paese al primo posto in Europa e con un trend di crescita (38% nel 2008). Linee guida che si esplicano in due opuscoli, uno per le gestanti e l’altro per i sanitari. Opuscoli in cui si dà per scontato che l’unica alternativa al parto cesareo sia quello vaginale del “partorirai nel dolore”: sono sostanzialmente assenti le spiegazioni di come quest’ultimo possa essere affrontato con meno dolore; assenza che è grave in considerazione del fatto che la maggior parte delle gestanti sceglie il cesareo proprio per paura del dolore. Le spiegazioni e la presentazione dell’analgesia epidurale è assente nell’opuscolo per le gestanti. Altrettanto in quello per i sanitari, salvo poi leggervi: «qualora il motivo della richiesta di taglio cesareo da parte della donna sia riconducibile alla paura del parto, si raccomanda di offrire, già durante la gravidanza, interventi informativi e di supporto standardizzati e validati (come l’assistenza one-to-one e l’offerta di parto-analgesia anche non farmacologica), in grado di rassicurare la gestante e sostenerla nel processo decisionale». “Parto-analgesia anche non farmacologica”? Dando per scontato che chi legga sappia già che c’è quella farmacologica e comunque “rassicurandola” farmaci cattivi? - che potrebbe anche non soffrire senza l’uso dei farmaci... se questo non è un tabù, cos’altro potrebbe essere? Nella passata legislatura
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato
16 febbraio 1937 Wallace H. Carothers ottiene il brevetto per il nylon 1943 Seconda guerra mondiale: la Russia riconquista Kharkov 1952 L’abetonese Zeno Colò conquista la medaglia d’oro per la discesa libera ai VI Giochi olimpici 1959 Fidel Castro diventa premier di Cuba dopo il rovesciamento di Batista 1972 Il giocatore di pallacanestro dell’Nba Wilt Chamberlain segna il suo 30.000 punto 1978 Il primo bulletin board system viene creato a Chicago 1986 La nave da crociera sovietica Mikhail Lermontov naufraga a Marlborough Sounds 1987 Il processo di John Demjanjuk, accusato di essere la guardia nazista soprannominata “Ivan il terribile” del campo di sterminio di Treblinka, inizia a Gerusalemme 1989 Volo Pan Am 103: gli investigatori annunciano che la causa dello schianto fu una bomba nascosta all’interno di una radio
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
(ministro Livia Turco) l’analgesia epidurale fu inserita tra i Lea (Livelli essenziali di assistenza), ma si trattava di un decreto poi bloccato dalla tesoreria di Stato. Poi promesse, date preannunciate e una legge sul dolore che avrebbe potuto benissimo includerla. Ma niente. Addirittura un emendamento della Leganord (quindi di maggioranza, sen. Fabio Rizzi), sostenuto anche da diversi parlamentari dell’opposizione, su pressione del governo, fu ritirato. Ora questi opuscoli dell’Iss la dicono lunga: c’è un’opposizione ideologica all’uso dell’analgesia epidurale. Credo, essenzialmente, per due motivi, entrambi di potere sanitario: nel parto cesareo è sempre il medico che decide se procedere o meno (e, giustamente, non potrebbe essere altrimenti); il parto vaginale è visto solo come momento di forte dolore e, di conseguenza, altrettanta sudditanza della gestante verso chi può in qualche modo (molto a parole) renderglielo meno doloroso. L’analgesia epidurale darebbe invece la scelta e il controllo della situazione solo alla gestante, con i sanitari solo a supporto delle scelte di quest’ultima... non credo di sembrare prevenuta se credo che certe scelte di privilegiare il potere medico alla libera decisione della gestante siano fatte nell’ambito di un servizio sanitario piu’che altro attento ai propri operatori, piuttosto che agli utenti; servizio sanitario, inoltre, che subisce tutti i condizionamenti del potere maschilista (istituzionale o meno che sia) sul corpo e sulle scelte della donna.
APPUNTAMENTI FEBBRAIO 2009 VENERDÌ 26, ORE 11, ROMA PALAZZO FERRAJOLI Convocazione Consiglio Nazionale dei Circoli Liberal. SEGRETARIO
VINCENZO INVERSO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL
Donatella
Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci,
Direttore da Washington Michael Novak
Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Collaboratori
Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,
Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati,
Roberto Mussapi, Francesco Napoli,
Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti,
Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)
POTENZA. FALLIMENTO DELLA PROTEZIONE CIVILE (I PARTE) Il presidente dell’Acta di Potenza, Mimmo Iacobuzio e il direttore generale della stessa azienda Marcello Tricarico, avrebbero fatto meglio a tacere e confrontarsi sul perché ancora una volta il piano antineve nella città di Potenza è fallito, creando non pochi disagi e disservizi oltre ai potentini, anche ai tanti pendolari e studenti provenienti dai centri limitrofi che sono rimasti per ore imbottigliati nel traffico. Da parte mia non c’è alcuna volontà a voler strumentalizzare la morte dello sfortunato pensionato al rione Santa Maria, per il ritardo dei mezzi di soccorso del 118, ma solo a far constatare che di certo qualcosa non ha funzionato. Sarebbe il caso di capire perché, nonostante i bollettini di Stato di allerta della protezione civile e le previsioni metereologiche prevedevano l’arrivo della neve, i mezzi dell’Acta, sono usciti come dichiarato alla stampa dallo stesso direttore Tricarico «solo dopo che la neve era cominciata a cadere e dopo aver atteso il rientro degli autisti impegnati in quel momento nella raccolta dei rifiuti». Se così è stato, è il sistema organizzativo che è fallito, poiché l’azienda o non è in grado di organizzare il servizio con mezzi e uomini adeguati, o è negligente chi coordina tale servizio. Stia tranquillo il presidente Iacobuzio, so bene che sono 12 gli spartineve in dotazione dell’Acta e 34 i mezzi privati impegnati a liberare le strade delle aree rurali, ma non è pensabile che una città come Potenza, a 950 mt. di altitudine, a distanza di anni, non sia ancora capace di organizzare un efficiente servizio per evitare la paralisi o gli ingorghi ad ogni nevicata. Perché, caro presidente, proprio in virtù degli stati di allerta, non si predispone che alcuni mezzi siano collocati uno davanti la sede dell’ospedale San Carlo, uno nei pressi del covo degli Arditi o ex caserma Lucania e un altro lungo le strade di Macchia Romana, quartiere di oltre 6.000 abitanti, per consentire che le strade di accesso e di uscita dall’ospedale siano libere. Quanto al personale da allertare, magari i tre autisti, potrebbero nel frattempo, preoccuparsi di soddisfare altri servizi di pulizia nelle stesse zone. Vorrei, inoltre, ricordare al presidente dell’Acta Iacobuzio, che non devo prendere né io ne i cittadini visione del piano antineve, ma che tocca a lui e agli altri organismi interessati renderlo efficiente. Gianluigi Laguardia C O O R D I N A T O R E PR O V I N C I A L E CI R C O L I LI B E R A L PO T E N Z A
Mario Arpino, Bruno Babando,
Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,
Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi,
Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,
Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,
Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi,
John R. Bolton, Mauro Canali,
Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,
Franco Cardini, Carlo G. Cereti,
Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli,
Enrico Cisnetto, Claudia Conforti,
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PAGINAVENTIQUATTRO Cartolina da Vancouver. Queste saranno le prime Olimpiadi senza il mitico team di bob
Se la neve si scioglie al sole di Alessandro Boschi erte cose finiscono prima di iniziare. Per noi, che la neve «ci piace ma però» forse perché non c’è mai mancata, per noi. che amiamo i paradossi, le Olimpiadi invernali che si stanno svolgendo a Vancouver, sono terminate alle ore 14.14 di giovedì 11 Febbraio. In quel preciso istante le agenzie battevano la notizia della mancata partecipazione della squadra giamaicana di bob alla manifestazione canadese. Onestamente, ha davvero ancora senso seguire queste Olimpiadi? La leggendaria squadra caraibica, che aveva esordito a Calgary nel 1988 è stata esclusa «perché le attrezzature non rispettavano gli standard richiesti». Come dire che ai giamaicani mancavano i soldi. Pari pari a quanto si era verificato quattro anni fa quando, con i giochi invernali affidati a Torino, i nostri eroi, perché di eroi si tratta, se ne erano rimasti a casa con le pive nel sacco. Si ha un bel dire ora che la squadra non demorde e che farà di tutto per esserci a Sochi, in Russia. nel 2014.
neve” fu sfruttata per la pubblicità, lungamente programmata anche nelle tv italiane, di una notissima marca di automobili e, ad osservare con attenzione, qualche rimasuglio di quel plot è rimasto ancora. Tutto ciò purtroppo non sposta la questione di un solo millimetro: la squadra di bob dello stato della Giamaica non è a Vancouver. Pensare che invece ci sarebbe stata benissimo, e avrebbe magari fatto la sua figura accanto ad un altro paradosso, quello rappresentato dall’atleta più anziano dei giochi, il principe Hubertus von Hohenlohe, che difenderà i colori del Messico nella categoria dello slalom.
C
Si diceva anche quattro fa. In questo modo sembra davvero difficile che la Associazione Olimpica Giamaicana possa cancellare la casella dello “zero” vicino al numero di medaglie vinte nelle manifestazioni olimpiche invernali a fronte delle 55 vinte nelle altre. Calgary, Albertville (di cui riparleremo) , Lillehammer, Nagano, Salt Lake City, totale: zero medaglie su neve. Poi Torino, di cui s’è detto, e Vancouver, stessa storia: non classificati. La verità è che andrebbe istituita una fondazione per la raccolta di fondi in favore dei coraggiosi giamaicani su bob. O magari farli partecipare come si farebbe con la squadra di basket dei Globe Trotter, anche se il motivo sarebbe l’opposto. Un giamaicano sulla neve è un ossimoro, anzi, è il prototipo degli ossimori. È come «l’arsura gelata e il gelo ardente» di Giambattista Marino. Ma un giamaicano sulla neve è, soprattutto, uno spettacolo, come hanno dimostrato quei satanassi della Gialappa’s quasi uccidendoci dalle risate mostrandoci le gesta del marocchino Brahim Izdag (ma una scuola di pensiero sostiene fosse Ib Abdelleh Brahim) alle prese con il Super Gigante durante le Olimpiadi di Albertville del 1992. Sembra però evidente che quelli del comitato olimpico non abbiano lo stesso senso dello spettacolo. Che invece ha ed aveva Jon Turteltaub. Il regista e produttore di film come Il mistero dei Templari e di serie televisive come Jericho fu proprio grazie al film che realizzò sui quattro atleti dei carabi nel 1993 che iniziò a farsi notare. Certo, anche il padre potente produttore non fu certo un handicap per la
Ora, a parte che 51 anni sono davvero pochi non solo per chi come il principe ha partecipato a ben cinque olimpiadi compresa questa ma lo sono in assoluto, non è mica che in Messico ce ne sia tanta di neve. E questo nonostante «occasionali ondate di aria polare continentale provenienti dal nord America» (sebbene Paolo Conte con la sua indimenticabile Messico e nuvole ce l’avesse già fatto intuire abbiamo sentito il dovere di informarci). Purtroppo i componenti la squadra di bob, al contrario di Hubertus, non sono principi. Hubertus Rudolph von Hohenlohe, figlio nientedimeno che di Alfonso di Hohenlohe e di Ira Fustenberg, attrice molto nota nel nostro paese e protagonista di pellicole notevoli come La strana
della GIAMAICA legge del dottor Menga diretto da Fernando Merino, per l’appunto il principe dicevamo, non solo scia, ma canta e si diverte. E se ha partecipato dal 1982 al 2009 a quattro Olimpiadi e a dodici edizioni di Campionati mondiali sulla neve è solo perché ogni nazione ha diritto ad iscrivere un rappresentante anche se non ha i punti FIS necessari (FIS: Federazione Internazionale Sci). Raccomandatello l’amico eh? Infine, quando dicevamo che il principe canta e si diverte, non lo dicevamo tanto per dire: egli ha inciso infatti quattro album. Il primo dei quali, Rio-Vienna, ha pure ottenuto un discreto successo. Questo è davvero troppo: Bob Marley (e non può essere un caso se ti chiami così), vendicaci tu.
Non avevano soldi per la trasferta: per questo, i quattro campioni protagonisti a Torino non sono in Canada. In compenso, c’è sempre il principe Hubertus Rudolph von Hohenlohe, cinquantenne slalomista che corre per il Messico carriera del rampollo. Comunque, il film si intitolava Quattro sotto zero e in originale Cool Runnings. La pellicola andò piuttosto bene al botteghino e fu comunque accolta dalla critica in maniera tiepida (invero il film è modesto) ma senza nessun furore denigratorio.
D’altra parte l’idea di eccellere in una disciplina che per chi vuole praticarla definire insolita è dire poco rappresenta un incipit banale ma robusto, ideale per una commedia senza troppi pensieri. Vale la pena segnalare che i quattro atleti di colore vengono allenati dal coach Irving “Irv” Blitzer, interpretato dal compianto John Candy scomparso prematuramente all’età di 44 anni nel 1994. La curiosità più ghiotta è però che la forza del paradosso “giamaicani su