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L’unica differenza tra un

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capriccio ed una passione che dura una vita è che il capriccio dura un po’ più a lungo

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Oscar Wilde di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 25 FEBBRAIO 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Il Consiglio dei ministri rinvia la decisione sul ddl anti-corruzione. Proteste del Pdl alla Camera sui “paletti” di Giulia Bongiorno

La rivolta dei vescovi

Duro attacco della Cei: «Serve una nuova classe dirigente per salvare il Sud da mafia e politica». Ma sul primo provvedimento anti-cosche 42 deputati della maggioranza votano contro il governo di Andrea Ottieri

Ritorno al passato in vista delle Regionali

Troppe bugie e incertezze sul futuro del pianeta

ROMA. La mafia è un cancro che avvelena il Sud: le classi dirigenti del Mezzogiorno non hanno saputo affrontare questa emergenza. La Cei ha reso pubblico un documento durissimo sui rapporti tra mafia e politica. Ma non ha risparmiato neanche la deriva affaristica della politica.

Propongo al Parlamento una commissione d’inchiesta sul global PARLA OTELLO LUPACCHINI TRA RINVII E DISTINGUO warming La ’ndrangheta Nuova frattura di Carlo Ripa di Meana tra Forza Italia e An è entrata in Borsa

Brambilla di sera, il Pdl dispera Berlusconi rilancia Michela, la “guardia rossa”. Stavolta non sono circoli ma «promotori della libertà». L’obiettivo però è uguale. Mettere in mora il suo stesso partito. Si è di nuovo stufato...

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ai fanatico, spesso prudente, il governo Berlusconi non ha, sino ad un certo punto, demeritato nel valutare il global warming. Mentre in altri paesi d’Europa c’era chi si sfrenava nel sostenere le iperboli catastrofiste, qui da noi i toni erano pacati e non sempre appiattiti. Nulla a che vedere con le carnevalate organizzate da Pecoraro Scanio e dall’esecutivo di Il governo Romano Prodi. Adesso fiitaliano nalmente codeve che vasmettere loro lutavano con di stare prudenza o in silenzio meglio con sul clima scetticismo il global warming vedono riconosciute le loro ragioni: gli errori spuntano uno dietro l’altro, e a questi seguono dimissioni, atti di accusa, proposte di cambiamenti radicali. Sarebbe il momento per un governo come il nostro, forte delle proprie scelte del recente passato, di alzare la voce. Anche proponendo una commissione Parlamentare sul grande imbroglio del riscaldamento globale.

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di Marco Palombi

di Riccardo Paradisi

ROMA. Per il fantomatico ddl anticorruzione non c’è fretta. Né c’è fretta per il provvedimento che punisce con la decadenza dalla carica e l’incandidabilità chi si avvale per la campagna elettorale di persone sottoposte a misure di sorveglianza speciale. La maggioranza è divisa sulla lotta alle tangenti e alla commistione mafia/politica: quarantadue deputati del Pdl (tra contrari e astenuti) hanno votato contro il testo di Angela Napoli.

ROMA. Un’associazione per delin-

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quere «transnazionale» composta da supermanager e imprenditori della telefonia che si mettono in affari con uomini della criminalità organizzata, per coniugare il riciclaggio del denaro sporco e la costituzione di «fondi neri»: il giudice Otello Lupacchini, consulente delle Commissioni Parlamentari d’inchiesta Antimafia e Mitrokin traccia il ritratto della nuova mafia dei colletti bianchi.

di Errico Novi

ROMA. Quando Berlusconi non sopporta più i suoi partiti, s’affida alla Brambilla. Non è la prima volta che accade. Ieri, dopo aver tuonato contro le intercettazioni e lo «Stato di polizia» nel quale vivrebbero gli italiani, il premier ha lanciato i «promotori della libertà». In realtà, si tratta di un ritorno al passato, a quando, stufo di Forza Italia, puntò tutto sui Circoli della libertà animati dalla rossa Brambilla. Prima di passare direttamente alla rifondazione del predellino. a pagina 4

Un dossier sulla “sindrome dell’indifferenza”

Il rapporto annuale di Heritage Foundation e Wsj

Sos Cristianofobia

L’Italia in catene

Perché l’Occidente fa fatica a ribellarsi alle stragi quotidiane nel mondo

Tasse, spesa pubblica e corruzione ci relegano agli ultimi posti in Europa

René Guitton

di Marco Respinti

cristiani del Maghreb, dell’Africa subsahariana, del Medio e dell’Estremo Oriente sono perseguitati, muoiono o scompaiono in una lenta emorragia, vittime del crescente anticristianesimo. La cristianofobia è multiforme e si nutre di motivazioni tra loro assai diverse: tuttavia, ogni anno fa parecchie centinaia o addirittura migliaia di morti. Non si può più rimanere in silenzio.

MILANO. Da sedici anni

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Una croce viene bruciata in India: una scena drammaticamente ricorrente

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I QUADERNI)

• ANNO XV •

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WWW.LIBERAL.IT

L’immagine internazionale del ministro Tremonti non è mai stata così in pericolo • CHIUSO

The Heritage Foundation produce l’Index of Economic Freedom, che misura la febbre della malattia statalista che deprime lo spirito d’intrapresa stilando una classifica dove a ciascun Paese viene assegnato il posto che a esso spetta in ragione della libertà economica di cui gode. L’edizione 2010 dell’Index non è tenera con l’Italia.

IN REDAZIONE ALLE ORE

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Monito. La Cei interviene sui rapporti tra mafia e politica. E attacca il federalismo che spacca il Paese: «Deve essere solidale»

«Non uccidete il Sud»

Durissimo documento dei vescovi italiani: «La criminalità è un cancro, ma ormai non sembra che la classe dirigente voglia davvero contrastarla» di Andrea Ottieri

ROMA. La mafia è un cancro che avvelena il Sud e spesso le classi dirigenti del Mezzogiorno sono inadeguate di fronte a questa emergenza. Anche perché ormai la politica usa il Sud solo come serbatoio di voti. Sono parole durissime quelle che la Cei ha affidato a un documento ufficiale dedicato appunto al Mezzogiorno, e diffuso ieri mattina, dal titolo: «Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno». Naturalmente, a tutti è parso evidente il collegamento tra questa dura analisi e la cronaca italiana sempre più spesso pieno di vicende che incrociano politica, criminalità organizzata e truffe ai danni dei cittadini.

«Libertà e verità, e dunque giustizia e moralità - spiega la Cei - sono tra le condizioni necessarie di una vera democrazia, fondata sull’affermazione della dignità della persona e della soggettività della società civile. Non è possibile - si afferma ancora - mobilitare il Mezzogiorno senza che esso si liberi da quelle catene che non gli permettono di sprigionare le proprie energie. Torniamo, perciò, a condannare con forza una delle sue piaghe più profonde e durature - un vero e proprio “cancro”, come lo definivamo già nel 1989, una “tessitura malefica che avvolge e schiavizza la dignità della persona” -, ossia la criminalità organizzata, rappresentata soprattutto dalle mafie che avvelenano la vita sociale, pervertono la mente e il cuore di tanti giovani, soffocano l’economia, deformano il volto autentico del Sud». «La criminalità organizzata non può e non deve dettare - rilevano i vescovi - i tempi e i ritmi dell’economia e della politica meridionali, diventando il luogo privilegiato di ogni tipo di intermediazione e mettendo in crisi il sistema democratico del Paese, perché il controllo malavitoso del territorio porta di fatto a una forte limitazione, se non addirittura all’esautoramento, dell’autorità dello Stato e degli enti pubblici, favorendo l’incremento della corruzione, della collusione e della concussione, alterando il mercato del lavoro, manipolando gli appalti, interferendo nelle scelte urbanistiche e nel sistema delle autorizzazioni e

Mentre parte del Pdl cerca di bloccare la norma sulla prevenzione proposta da Angela Napoli

Corruzione, non c’è accordo: consiglio dei ministri rinviato di Marco Palombi

ROMA. Il fantomatico ddl anti-corruzione può aspettare, prima le cose serie. Il Consiglio dei ministri che doveva occuparsene domani è stato infatti spostato all’inizio della prossima settimana perché i membri del governo proprio venerdì saranno impegnati, si presume personalmente, «con le procedure relative alla chiusura delle liste elettorali in vista delle regionali». Ha spiegato Ignazio La Russa: «Avevamo chiesto o di anticiparlo a giovedì o di rinviarlo a lunedì». Alla fine, essendo sempre possibile che oggi i ministri dovessero magari raccogliere le firme per i candidati, si è deciso di far slittare tutto a lunedì. In realtà questo spostamento coincide con problemi politici rilevantissimi all’interno della maggioranza: all’anima berlusconiana del Pdl questo disegno di legge non piace. Punto e basta.

Bongiorno – sì: per ora alla Camera si procede coi voti e tra i contendenti vola pure qualche parola grossa («È solo uno spot elettorale», ha accusato Francesco Sisto), ma gli ex Forza Italia puntano ad un ritorno in commissione per “approfondimenti”, altrimenti a insabbiare il testo provvederà il Senato.

Di fronte al nodo gordiano, Silvio Berlusconi ha come al solito estratto la spada e cominciato a menare fendenti parlando d’altro. Armi di distrazione di massa in vista delle elezioni regionali. Ieri il premier, presentando assieme alla rediviva Michela Brambilla l’associazione i “Promotori della libertà”, ha di nuovo cercato di far spostare i riflettori su di lui: attacchi alla sinistra, ai giudici, agli stranieri, ma anche, curiosamente, nostalgia per la rigogliosa natura d’una volta («le nostre città hanno bisogno di più alberi, dobbiamo tornare ad essere il giardino d’Europa»). Si parte con le intercettazioni: «Siamo in uno Stato di polizia, siamo controllati – ha scandito - E poi partono secchiate di fango sui giornali che si risolveranno in niente visto che i reati non emergono con chiarezza. È un sistema barbaro». Poi si passa alla sinistra: «Le prossime elezioni sono un test nazionale, una scelta di campo tra noi e loro, tra il governo del fare e la sinistra delle chiacchiere, tra il nostro ottimismo e il loro pessimismo e autolesionismo». Non manca nemmeno un accenno al tema dell’immigrazione: «La sinistra vuole spalancare le porte agli immigrati, vuole la loro invasione perché pensa di cambiare il peso del voto moderato con quello dei cittadini stranieri». Quanto al Pdl, tutto a posto: «Non esistono scontentezze interne». Le reazioni, le solite.Va segnalata almeno quella, asciuttissima, di Gianfranco Fini sull’immigrazione: «Si sa che la mia opinione non coincide al 100% con quella del premier».

Gelo in Aula sulla norma che punisce chi si avvale per la campagna elettorale di persone sottoposte a misure di sorveglianza

Con ardito paragone Sergio Pizzolante, deputato ex Psi vicino a Fabrizio Cicchitto, giorni fa ha spiegato: se Tangentopoli fu come la Shoah questo ddl 1è un’operazione di negazionismo». Altri, meno inclini al dibattito storiografico, sostengono recisamente: «È una cazzata, siamo allo sbando». Il Cavaliere, infatti, si sarebbe lanciato nel difficile proclama contro corruzione e pro “liste pulite” spinto solo da una piccola flessione nei sondaggi seguita allo sputtanamento pubblico di Bertolaso, Letta e Verdini. L’ineffabile La Russa sostiene invece che la parte della legge relativa all’aumento delle pene «è stata già approvata» e manca solo quella sulla prevenzione, solo che nel Pdl più di qualcuno è convinto che quel testo non esista nemmeno. «C’è la bozza Ghedini-Bongiorno, ma è solo una bozza e non il testo del governo», spiega un deputato. In realtà a palazzo Chigi sanno che su questo tema non hanno una maggioranza alle Camere: «O meglio, ce l’avrebbero a patto di portare in maggioranza Di Pietro e il Pd. Vogliono fare questo?». Stesso discorso per il testo proposto dall’ex An Angela Napoli (ieri giunto in aula a Montecitorio) che punisce con la decadenza dalla carica e l’incandidabilità chi si avvale per la campagna elettorale di persone sottoposte a misure di sorveglianza speciale. In soldoni, mafiosi. I berlusconiani non lo vogliono, i finiani – soprattutto Giulia

concessioni, contaminando così l’intero territorio nazionale». In questo contesto, i vescovi ribadiscono l’auspicio già espresso da papa Benedetto XVI e dal presidente della Cei Angelo Bagnasco, che l’Italia dia spazio a una nuova classe dirigente. «Tanti sono gli aspetti che si impongono all’attenzione», scrivono i vescovi: «Anzitutto il richiamo alla necessaria solidarietà nazionale, alla critica coraggiosa delle deficienze, alla necessità di far crescere il senso civico di tutta la popolazione, all’urgenza di superare le inadeguatezze presenti nelle classi dirigenti. La comunità ecclesiale, guidata dai suoi pastori, riconosce e accompagna l’impegno di quanti combattono in prima linea per la giustizia sulle orme del Vangelo e operano per far sorgere una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile». Insomma: «Bisogna dunque favorire in tutti i modi nuove forme di partecipazione e di cittadinanza attiva, aiutando i giovani ad abbracciare la politica, intesa come servizio al bene comune ed espressione più alta della carità sociale».

In tutto ciò, un «sano federalismo – secondo la Cei - rappresenterebbe una sfida per il Mezzogiorno e potrebbe risolversi a suo vantaggio, se riuscisse a stimolare una spinta virtuosa nel bonificare il sistema dei rapporti sociali, soprattutto attraverso l’azione dei governi regionali e municipali, nel rendersi direttamente responsabili della qualità dei servizi erogati ai cittadini, agendo sulla gestione della leva fiscale». Invece «un Mezzogiorno umiliato impoverisce e rende più piccola tutta l’Italia»: Ed è difficile non rintracciare immediatamente in questa affermazione un richiamo alla politica leghista, sempre più spesso volta a depauperare l’iden-


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Cantieri infiniti, grandi opere sospese e lotta alla mafia relegata ai margini: il cardinal Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha denunciato la crisi italiana dovuta ai legami tra la politica e la criminalità organizzata al Sud

Se la ’ndrangheta va in Borsa Il giudice Otello Lupacchini spiega la svolta finanziaria della multinazionale del crimine di Riccardo Paradisi n’associazione per delinquere «transnazionale» composta da supermanager e imprenditori della telefonia che si mettono in affari con uomini della criminalità organizzata, per coniugare il riciclaggio del denaro sporco e la costituzione di «fondi neri».

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L’inchiesta su Fastweb scopre un panorama di alta e intensa attività criminale, un intreccio tra mondo della finanza, dell’impresa, della criminalità organizzata e della politica raffinato e capillare. Una delle centrali operative della «struttura transnazionale», specializzata nel riciclaggio era una lussuosa villa ad Antibes, sulla Costa Azzurra. Lì era di base Gennaro Mokbel, imprenditore romano con un curriculum già opaco: alle spalle un’accusa di favoreggiamento personale, nel 1992, nei confronti di Antonio D’Inzillo – un sicario che aveva “lavorato” coi Nar e la banda della Magliana. Mokbel è considerato dagli inquirenti l’anello di collegamento tra le società di telecomunicazioni e gli esponenti della ’ndrangheta calabrese di Isola Capo Rizzuto, la stessa che avrebbe sostenuto l’ascesa politica del senatore Di Girolamo. Un intreccio che rivela il sublimato livello operativo conseguito dalle organizzazioni criminali, tema su cui liberal ragiona con il giudice Otello Lupacchini. Consulente delle Commissioni Parlamentari d’inchiesta Antimafia e Mitrokin. Impegnato da sempre sui fronti caldi della criminalità organizzata, politica e mafiosa. Lupacchini si è occupato, fra l’altro dell’omicidio del banchiere Roberto Calvi, e ha indagato e scritto sui fatti della Banda della Magliana. Un vecchio apparato criminale che sembra riaffacciarsi in questo ennesimo scandalo italiano. «Certe protità unitaria del Paese additando il Sud solo come terrà di miseria, criminalità e corruzione da “staccare” letteralmente dal corpo della Nazione. «Per non perpetuare un approccio assistenzialistico alle difficoltà del Meridione - si legge ancora nel testo della Cei - occorre promuovere la necessaria solidarietà nazionale e lo scambio di uomini, idee e risorse tra le di-

fessionalità criminali – dice Lupacchini a liberal – non vanno in pensione. Continuano a svolgere lo stesso tipo di attività, di finanzieri, cassieri, riciclatori di denaro sporco in altre organizzazioni come se nulla fosse cambiato. Molti di loro però hanno operato un salto di qualità, sono entrati nel circuito finanziario che oggi rappresenta la nuova frontiera della criminalità organizzata. Alcuni della vecchia banda della Magliana, si sono riciclati». Il senatore Di Girolamo è uno dei perni politico dell’inchiesta in corso. «La criminalità organizzata quando opera il salto di livello – dice Lupacchini – rovescia anche il vecchio rapporto di sudditanza che aveva con la politica. Le mafie hanno cominciato a praticare la massimizzazione del profitto garantendosi impunità e guarentigie attraverso l’infiltrazione nei gangli del sistema. Nel sistema poliziesco o giudiziario, ma anche nel sistema politico. Che la ‘ndrangheta questo salto di qualità lo abbia fatto è evidente, la strage di Duisburg, parla da sola. Il che non significa che l’organizzazione abbia dimesso il tradizionale apparato ritualistico – il giuramento, l’iniziazione – ma che su questa base ha sviluppato nuove frontiere operative, tra cui la delega a organizzazioni collaterali delle attività criminali più imbarazzanti riservandosi attività più lucrose e meno grevi». Quello che può esser visto come linea di tendenza evolutiva è la sempre maggiore infiltrazione della criminalità nella politica. Le organizzazioni criminali possono schierare persone presentabili in quanto le attività che svolgono sono

verse parti del Paese». Secondo i vescovi, dunque, «la prospettiva di riarticolare l’assetto del Paese in senso federale costituirebbe una sconfitta per tutti, se il federalismo accentuasse la distanza tra le diverse parti d’Italia». Ma essa «potrebbe invece rappresentare un passo verso una democrazia sostanziale, se riuscisse a contemperare il riconoscimento al

meno imbarazzanti. Attività si potrebbe dire, da colletti bianchi. Un salto di livello che comincia ad avvenire negli anni Ottanta. «Il 13 settembre 1982 il parlamento licenzia la legge Rognoni-La Torre che interpola tra gli articoli 416 e 417 l’articolo 416 bis sull’associazione mafiosa. Questa interpolazione fotografa dal punto di vista criminologico il salto evolutivo delle mafie, per cui oltre alle attività tipicamente illegali di qualsiasi associazione per delinquere si individua nell’azione criminale organizzata anche un finalismo legale da esercitare con i metodi più vari. Quindi è in quegli anni che avviene il passaggio di livello. E se uno va a vedere all’indietro ritrova una formula analoga nella relazione al Parlamento sul caso Sindona, che è del 77-78. Del resto Ambrosoli cade proprio su questo fronte, sulle indagini che, da solo, conduceva sulla linea di collegamento tra i vari domini d’azione della mafia. Ma già alla fine degli anni Sessanta quando Sindona mette in piedi il suo impero attraverso una serie di relazioni che agganciano politica e criminalità erano state gettate le premesse di un salto di qualità nelle strategie mafiose, soggetto operante a pieno titolo nel mercato. Sono quelli anche gli anni del coinvolgimento della mafia nel golpe borghese, nell’omicidio Calvi e in altre clamorosi eventi criminali». Insomma è dagli anni Ottanta che la mafia aveva tra i suoi obiettivi anche l’individuazione di settori economici da infiltrare. «Settori che sono poi stati infiltrati ed egemonizzati come l’ecomafia, la grande opera pubblica, attraverso una strategia di alta imprendito-

Il salto di livello delle organizzazioni mafiose verso le attività finanzarie risale alla fine degli anni Settanta

merito di chi opera con dedizione e correttezza all’interno di un gioco di squadra». Per i vescovi, «un tale federalismo, solidale, realistico e unitario rafforzerebbe l’unità del Paese, rinnovando il modo di concorrervi da parte delle diverse realtà regionali, nella consapevolezza dell’interdipendenza crescente in un mondo globalizzato». Sarebbe questa «una

ria che implica una notevole intelligenza da parte dell’operatore». Vecchia storia quella del protagonismo mafioso nella politica italiana, ricorda del resto Lupacchini: «Gaetano Salvemini scrive nel 1910 un pamphlet contro Giolitti intitolato Il ministro della malavita.Salvemini sulla scorta d’un esperienza cronachistica diretta utilizzava i prefetti per convogliare i voti verso il partito di governo. Ma col tempo le pretese si sono fatte più alte. Il giro di capitali movimentato dal crimine è diventato tale che la criminalità organizzata ha assunto una forza tale da poter rovesciare i ruoli. Subappaltando la violenza più spiccia a criminalità neoarrivate».

Sul fatto se servano operazioni di liste pulite o leggi contro l’infiltrazione mafiosa in politica Lupacchini risponde tenendosi sulle generali. Ma il messaggio è molto più chiaro di un si o di un no. «Ognuno dovrebbe operare nell’ambito delle proprie competenze. Io magistrato non ho competenza per giudicare ciò che è morale o non morale. Però come magistrato non posso essere messo in una condizione di soggezione nei confronti dell’ambito politico laddove in quell’ambito avvengano episodi illegali. Vale anche il contrario: come magistrato incorro in un grande abbaglio se mosso da un animus moralista o giustizialista io vado cercando fatti per soddisfare un pregiudizio. Quello che si sta osservando è che da un lato c’è troppa gente che si ritiene al di sopra della legge e dall’altro ci sono troppi Savonarola in giro. Non è una situazione che favorisce il buon ordine delle cose, ma fa calare una nebbia che rende tutto confuso e oscuro. E nell’oscurità, come è noto, opera meglio chi fa il male e peggio chi fa il bene».

modalità istituzionale atta a realizzare una più moderna organizzazione e ripartizione dei poteri e delle risorse, secondo la sempre valida visione regionalistica di don Luigi Sturzo e di Aldo Moro». Ed anche l’imminente ricorrenza del 150esimo anniversario dell’Unità nazionale «ci ricorda che la solidarietà, unita alla sussidiarietà, è una grande ricchezza

per tutti gli italiani, oltre che un beneficio e un valore per l’intera Europa». Insomma, nel complesso la Cei traccia un panorama desolante, che per troppi versi coincide con una realtà amara non solo per i meridionali, ma per tutto il Paese; e di fronte alla quale nel buio della politica, sembra che nessuno sia in grado di trovare soluzioni concrete.


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Revival. Stretto tra corruzione, inchieste e frodi, il premier rilancia la strategia populista: «Un partito che dipenda solo da me»

Brambilla, riparte la fiction Dopo i circoli, ecco i «promotori»: sfufo del Pdl, Berlusconi ci riprova con il movimentismo. Poi accusa: «Siamo in uno Stato di polizia» di Errico Novi

ROMA. Ci risiamo. Silvio Berlusconi mette di nuovo in campo le guardie rosse. Meglio, azzurre. O meglio ancora – anche per aggirare tremende confusioni cromatiche – diciamo che il Cavaliere recluta un nuovo battaglione di guardie rivoluzionarie. Stavolta li chiama “Promotori della libertà”. L’acronimo è sovrapponibile a quello del partito: Pdl appunto. Non è un caso. Perché la chiamata alle armi di qualche centinaio di giovani, riuniti ieri mattina al Teatro di Adriano a Roma, ha molti significati, ma innanzitutto quello di mettere in discussione l’attuale vertice di via dell’Umiltà. È l’annunciato attacco al quartier generale. Solo che nessuno avrebbe immaginato di rivedere di nuovo in campo, per la causa, la guardia rossa per eccellenza, Michela Vittoria Brambilla. È a lei che spetterà il compito di coordinare questa nuova «organizzazione interna» al Popolo della libertà, annuncia il premier: «Risponderanno solo a me e a coordinarli sarà Michela». Un partito nel partito. Con un suo organigramma autonomo. Pensato in vista del voto di marzo. Ma non solo, evidentemente.

Non è la prima volta appunto. Alla stessa Brambilla è toccato di assoldare tra il 2006 e il 2007 i Circoli della libertà, e anche quella fu un’operazione contro la nomenclatura interna. Il premier tiene ad assicurare che stavolta non è così: «Michela opererà in raccordo con il coordinamento nazionale e il settore Tesseramento». C’è qualche legittimo dubbio. Dalla stessa pancia del Pdl si segnala «un certo straniamento di Verdini e Bondi rispetto all’iniziativa». I due triumviri di provenienza forzista sono composti in prima fila, al Teatro di Adriano, e ascoltano la carezza dedicata a loro dal premier: «C’è stima, considerazione e affetto assoluto» tra i coordinatori nazionali, dice, «non ho motivo di pensare a rivoluzioni nella dirigenza». Ma in-

Ma è solo un film (brutto) che abbiamo già visto di Giancristiano Desiderio arl Marx una volta disse: «La storia si ripete, ma la seconda volta è una farsa». Non poteva immaginare, però, che la storia si sarebbe ripetuta non solo una volta, ma anche due, tre volte e in un lasso di tempo molto breve. Abbiamo conosciuto i club, i circoli e ora siamo ai promotori. I club erano i club di Forza Italia, i circoli erano i circoli della libertà, i promotori sono i promotori della libertà. Ma invertendo l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia. Sempre di Silvio Berlusconi si tratta. In coppia, questa volta come con l’esperienza dei circoli, con Michela Vittoria Brambilla. Se la seconda volta è una farsa - e i caratteri del farsesco c’erano già tutti con i circoli: il grottesco, la pantomima, la caricatura involontaria - che cos’è la terza volta?

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Le cose che ha detto ieri il presidente del Consiglio in un video pre-registrato e pre-confezionato - e anche questa l’abbiamo vista tante volte - le sappiamo a memoria e potremmo persino riportarle senza ricorrere alle agenzie: «Le prossime elezioni in tredici regioni sono un test nazionale, una scelta di campo tra noi e loro, tra il governo del fare e la sinistra delle chiacchiere. Noi siamo il governo delle riforme e delle emergenze, loro sono la sinistra che dice solo no. Il nostro messaggio è di ottimismo, il loro di pessimismo ed autolesionismo». Lasciamo perdere il contenuto, che del resto non c’è, e guardiamo alla forma: tutto è polarizzato, tutto è messo nella logica del manicheismo - bene e male - e il bipolarismo non c’entra niente più perché bipolarismo significa «cultura moderata diffusa e riconosciuta». Berlusconi, invece, chiede un continuo plebiscito sulla sua persona affinché sia amata e odiata alla stesso tempo. Affinché gli avversari lo demonizzino e lui possa dire di essere vittima dell’odio della sinistra che vuole solo distruggerlo. Vi potrà anche suonare strano, ma Berlusconi in pratica è al contempo il leader del suo schieramento e il leader dello schieramento avversario. Seguendo questa logica politica che crea a suo uso e consumo la logica antipolitica che cosa accadrà prima: l’Italia si autodistruggerà - come sostiene peraltro Peppe Pisanu - o entrerà in manicomio? Il Pdl è diventato ciò che era: una scatola vuota finita in mano alla politica delle emergenze. All’origine del Pdl ci furono proprio i circoli della libertà della Brambilla che - ricorderete - crearono lo scontro con Forza Italia. Ora Berlusconi, stufo della scatola vuota che gli è sfuggita di mano, ritorna su i suoi passi e sfodera ancora i circoli brambilliani chiamandoli “promotori della libertà”e ricorrendo come sempre alla logica manichea del bene e del male: io sono il bene, loro il male. La cosa ha funzionato in passato e può funzionare anche ora. Anzi, diciamo meglio: la cosa funziona e funzionerà sempre semplicemente perché è l’applicazione delle scienze sociali e del marketing al mercato elettorale. Ciò che invece con questi metodi non funzionerà mai è la politica: il partito dei moderati, che Berlusconi non è stato capace di creare, non è il frutto di un gabinetto para-scientifico, ma della sensibilità culturale e del senso dello Stato. Il nuovo partito di Berlusconi preparatevi a questa ennesima mossa maoista - sarà qualcosa di molto simile a un partito-Frankenstein uscito dai laboratori della cosiddetta comunicazione politica. Ecco, la terza volta è un mostro senz’anima ma con uno splendido sorriso.

tanto costruisce una struttura parallela. Che avrà i suoi coordinatori: regionali, provinciali e cittadini. Una rete organizzata a immagine e somiglianza del partito vero. Con una differenza: che i “promotori-capi”saranno nominati direttamente da Berlusconi e appunto risponderanno solo a lui, mentre i responsabili locali del Pdl si sono dovuti sudare la nomina in una giungla di veti incrociati e algoritmi sulle quote.

Tempi dell’operazione? Difficili da misurare anche per i pochi animatori coinvolti dalla Brambilla nell’evento di ieri. «Abbiamo saputo tutto non più di una settimana fa». Gregorio Fontana, responsabile del Tesseramento a via dell’Umiltà, ridimensio-

«A giorni il presidente potrebbe fare un annuncio clamoroso», sussurrano i pretoriani. Ora l’ex An pensa ai suoi club. Via dell’Umiltà: «È un modo per stimolarci» na: «È una iniziativa a cui si è lavorato insieme con il coordinamento nazionale, presente oltretutto al Teatro di Adriano». Non c’è il triumviro in quota An, però: Ignazio La Russa chiede ripetutamente di non essere inserito in nessuna corrente. Gli altri ex di via della Scrofa trattengono a stento i «pensieri nerissimi» suscitati dall’ultima sortita di Silvio. Resta sul tavolo l’ipotesi che precede di un’inezia la scissione, ossia la nascita all’interno del Pdl di una rete di club che faccia capo all’area finiana, sotto la supervisione di Italo Bocchino.

Nel giro di pochi giorni, suggeriscono i parlamentari più vicini alla Brambilla, «potrebbe arrivare un altro clamoroso annuncio da parte del presidente», cioè di Berlusconi. E oltre la creazione del partito-bis c’è solo la scissione dagli ex An. Fontana assicura che «si sta alzando un gran polverone». E che tutto è assolutamente nella norma: «In ogni partito c’è sempre stata la casella riservata a quegli attivisti che si danno da fare più degli altri. Nel caso specifico i promotori della libertà potranno attivarsi anche sulle piattaforme virtuali come facebook». Ma non suona strano quel «risponderete solo a me»? No, ribatte il responsabile Tesseramento del Pdl, «casomai c’è per tutti la possibilità di partecipare alle iniziative politiche senza dover passare per forza dalla sede, dove magari c’è il coordinatore che ti sbatte la porta


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Il politologo Paolo Pombeni e il nuovo movimentismo

«È un trucco: il premier non è De Gaulle» «Con il Pdl Berlusconi voleva isolare Fini: non gli è riuscito, perciò ora cambia strategia» di Franco Insardà

ROMA. Roma. «È una cosa tipica dei partiti leaderistici: da Mussolini a De Gaulle, giusto per fare due esempi l’uno totalitario e l’altro democratico». Il politologo Paolo Pombeni minimizza l’effetto che i “Promotori della libertà”, presentati ieri da Berlusconi, potranno avere sulla scena politica italiana. Perché professore? Berlusconi è troppo abile per illudersi che questa possa essere una strategia vincente: i promotori della libertà si fondano sul nulla. Allora a che cosa potrebbero servire? Il leader carismatico, o presunto tale, tende sempre a farsi una cerchia di super fedeli che rispondono solo a lui e a usarli per tenere a freno le ambizioni di quelli che vorrebbero succedergli. In realtà non ci riesce mai. Alla fine della sua carriera De Gaulle cercò in tutti i modi di far fuori Pompidou, ma alla fine quest’ultimo fu il suo successore. Una situazione del genere si potrebbe ripetere oggi con Berlusconi e Fini? Sì, questo è un possibile dualismo. Ovviamente non è detto che la storia si possa ripetere, ma ci sono delle possibilità che possa andare così. L’agitazione tra i finiani, che minacciano la costituzione di loro club, può essere il preludio di una crisi del Pdl? Come ha scritto De Rita sul Corriere della Sera tempo fa, tutti i partiti tendono a essere confederali, con una leadership centrale che ha sempre meno capacità di controllo. Questo dipende dal fatto che non esistono più ideologie in grado di compattare con la conseguenza che si sviluppano gruppi di persone e di interesse. Un partito pigliatutto come il Popolo delle libertà è particolarmente esposto a questo tipo di tensioni, ma sarebbe utopistico pensare che nel futuro possano avere dei contenuti queste autorganizzazioni interne. Quale sarà il futuro del Pdl? Lo vedo simile a quello della Dc. Un partito fortemente caratterizzato dalle correnti che, nel momento in cui verrà meno il leader carismatico, dovrà organizzare gli equilibri interni per portare in primo piano, a seconda dei casi, uno dei capicorrente.

Silvio Berlusconi, sempre più in crisi con le gerarchie del Pdl, ancora una volta torna a puntare sull’attivismo di Michela Vittoria Brambilla. A destra, il politologo Paolo Pombeni

in faccia perché ha paura di essere soppiantato». E non è poco. «Certo», dice Fontana, «le iniziative del presidente sono anche un modo per costringere il partito a lavorare di più».

La sensazione che Berlusconi sia percorso da un’irresistibile sfiduicia verso i suoi dirigenti incombe pesantemente sul partito. Di nuovo un uomo solo al comando, come sul predellino. «Lo conosco e non mi aspetto nulla», commenta Pier Ferdinando Casini, finito dietro la lavagna perché con il rifiuto di entrare nel Pdl «mi ha deluso», confessa Berlusconi alle guardie azzurre. Ce n’è per tutti, per la sinistra che vuole promuovere l’invasione degli immigrati e lo stato di polizia, e soprattutto per quei ragazzi in sala: «Sarete l’esercito del bene contro le forze del male e dell’odio». Pier Luigi Bersani assicura che un Berlusconi così «non ci impressiona», i dipietristi lo trovano «più delirante del solito». Lui sul manifesto inaugurale dei Promotori della libertà esibisce una mano sinistra col pugno alezato, alla Che Guevara, e l’invito fatale: «Scendi in campo al mio fianco». Il simbolo del Pdl è già stato ristilizzato con la parola “Promotori”al posto di “Popolo”. Serve altro? Forse solo ricordare che è tutto già successo: nel ’94 ma

anche con la scommessa sui Circoli di Marcello Dell’Utri, messi in stato d’allerta dopo la sconfitta alle Politiche del 2006. Fu quella a prima svolta movimentista del Cavaliere.Venne quindi la macchina della Brambilla, quei Circoli della libertà diventati improvvisamente inservibili con la vittoria del 2008. Quindi poco più di un anno fa la nascita dei Club di Mario Valducci. «Continueranno a esistere», assicurano dal dipartimento Iniziative movimentiste. Una cosa è certa: da giorni il Cavaliere va ripetendo che «forse la fusione è stata un errore», che si è pentito e che magari una federazione con An avrebbe creato meno problemi. Si è accorto che assimilare un partito come quello di Via della Scrofa è impossibile. Se non altro perché Fini non glielo ha concesso. Altro che riprodurre Forza Italia in chiave ancora più leaderistica: con la sua struttura rigidamente scandita dal rapporto 70 a 30, il Pdl non sarà un partito ma è un sistema di potere assai rigido. Lo ammette Berlusconi stesso davanti alle trecento guardie rivoluzionarie convocate al Teatro di Adriano: «Il Pdl è un non-partito assolutamente democratico». Perfetto, definizione lucidissima. Cosa c’è di meglio che bypassarlo e affidare a un manipolo di giovani accoliti la promanazione del verbo, soprattutto in campagna elettorale?

Berlusconi ha dichiarato di essersi quasi pentito di aver fatto il Pdl e che sarebbe stata preferibile una federazione. Quando c’è un partito unico diventa più difficile spiegare come possano esserci opinioni differenti, con la federazione questo è possibile. È la stessa differenza che esiste tra un governo di coalizione e uno monopartitico nel quale le tensioni interne e le spaccature rischiano di mettere in discussione la sopravvivenza del gruppo dirigente. Il Cavaliere, tra il 2006 e il 2007, fece un’operazione simile con il Circoli della libertà sempre con la Brambilla che portò alla svolta del “Predellino”. E oggi? In un primo momento ha pensato che i vantaggi dell’unità sarebbero stati maggiori, sperando di ridurre le tensioni e di scompaginare le strutture dei vecchi partiti: su tutti Alleanza nazionale. L’obiettivo principale era quello di isolare Fini, ma i colonnelli, finora, si sono dimostrati più coriacei di quanto immaginasse il premier. Queste fughe in avanti di Berlusconi non producono mai l’effetto desiderato, eppure lui tenta sempre di fare il partito ad personam. È il suo modo di fare politica, non saprebbe fare diversamente. Tornando al paragone con De Gaulle, si deve ricordare che quando il Generale non ebbe più il controllo completo mollò tutto e andò via. Potrebbe succedere anche con Berlusconi? No. Lui non ha la statura di De Gaulle. Quale sarà allora il futuro del Pdl? Considerando il potere che gestisce, continueranno a stare insieme. Bisognerà, poi, vedere se questa situazione durerà, altrimenti il Pdl potrebbe sparire in una notte. Se i numeri saranno dalla loro parte, essendo formato da molti professionisti della politica, costruiranno un modello simile a quella della Dc. Il Pdl e il Pd arrivano alle Regionali nel peggiore dei modi. Entrambi hanno rifiutato di considerare che era finita la fase politica della prima transizione era finita: quella di proporre un’alternativa secca. Usando una metafora direi che oggi i cittadini più che decidere tra i gatti bianchi o neri, vogliono scegliere quelli che sono in grado di catturare i topi.

Quando non ci sarà più il leader carismatico, diventerà un partito fatto solo di correnti. E sarà difficile mettere tutti d’accordo


diario

pagina 6 • 25 febbraio 2010

Il caso. Clamorosa sentenza del Tribunale di Milano che riconosce la responsabilità penale del motore di ricerca

La Rete finisce in carcere

Condannati tre dirigenti Google: non bloccarono un video violento di Alessandro D’Amato

ROMA. «Un attacco ai principi di libertà». È una posizione molto netta quella presa da Google a proposito della sentenza che ha riconosciuto colpevoli tre suoi dirigenti (su quattro imputati) per violazione della privacy, e li ha contemporaneamente assolti dall’accusa di diffamazione. La storia è nota: nel 2006 una ragazza pubblica su Google Video (una piattaforma di hosting simile a Youtube, che poi Mountain View ha acquistato) un filmato nel quale si vedono i suoi compagni di classe vessare un ragazzo; il video finisce per diventare un ”caso” finché non viene rimosso dall’azienda, mentre i responsabili delle violenze (ragazzi di una superiore di Torino) vengono sospesi dalla scuola e l’alunna che l’ha pubblicato viene condannata a pene rieducative. Nel frattempo, partono due denunce-querele per reato di diffamazione portate avanti dall’associazione Vividown - che sembrava citata nel video - nei confronti di Google, considerato responsabile di quanto accaduto, e il Comune di Milano si costituisce parte civile; il pubblico ministero contesta anche il reato di violazione della privacy del ragazzo, minorenne, vessato.

Oggi in primo grado davanti al giudice monocratico della quarta sezione penale Oscar Magi, è il primo procedimento penale anche a livello internazionale che vede imputati re-

sikan, responsabile del progetto Google Video per l’Europa, a cui veniva contestata la sola diffamazione. Il giudice ha disposto inoltre la pubblicazione per estratto della sentenza su Corriere della Sera, Repubblica e Stampa. Non hanno ottenuto risarcimenti le due parti civili costituite, ossia il Comune di Milano e l’associazione Vividown, poiché la loro posizione era legata solo al reato di diffamazione contestato agli imputati.

«Un attacco ai principi di libertà» è stata la dura risposta dell’azienda. Tutto nasce dal filmato del pestaggio (a Torino) di un ragazzo down sponsabili di Google per la pubblicazione di contenuti sul web. In particolare il giudice ha condannato a sei mesi di reclusione (pena sospesa), David Carl Drummond, ex presidente del cda di Google Italy e ora senior vice presidente, George De Los Reyes, ex membro del cda di Google Italy e ora in pensione, e Peter Fleischer, responsabile delle strategie per la privacy per l’Europa di Google Inc. I tre sono stati condannati per il capo di imputazione di violazione della privacy, mentre sono stati assolti per quello relativo alla diffamazione. È stato assolto invece Arvind De-

Da segnalare anche che i genitori del ragazzo hanno ritirato la querela prima della sentenza.

«Il diritto alla dignità della persona umana è superiore agli interessi di qualunque azienda», ha dichiarato a caldo Alfredo Robledo, il pm, mentre Giuliano Pisapia, difensore della Big G., ha ribadito che l’azienda non può essere ritenuta responsabile tout court dei contenuti immessi dagli utenti, e che poche ore dopo la segnalazione il video è stato tolto. Anche la politica è intervenuta: «Con una sentenza esemplare il tribunale di

Milano ha condannato alcuni dirigenti di Google in merito alla vicenda del ragazzo disabile insultato e picchiato dai compagni di scuola, il cui video è circolato a lungo sul famoso motore di ricerca», ha detto il presidente dei senatori del Pdl, Maurizio Gasparri. «La dignità della persona oltre che ovviamente la sua privacy è stata calpestata evidentemente per incuria. Perché Google non ha, infatti, vigilato e collaborato per rimuovere in modo tempestivo contenuti violenti?».

Ma la reazione più virulenta è stata quella dell’azienda. La sentenza con la quale il Tribunale di Milano ha condannato i tre dirigenti rappresenta «un attacco ai principi fondamentali di libertà», ha scritto nel blog ufficiale il responsabile dei rapporti istituzionali del più famoso motore di ricerca, Marco Pancini. «Oggi il giudice di Milano ha condannato tre dipendenti di Google dichiarando in sostanza che gli impiegati di una piattaforma di hosting di siti internet sono penalmente responsabili per l’attività illecita commessa da terzi. faremo appello nei con-

fronti di una decisione che riteniamo a dir poco sorprendente dal momento che i nostri colleghi non hanno niente a che fare con il video in questione. Non sono nel video, non lo hanno girato, né caricato né visionato. Riteniamo anzi che durante l’intero processo i nostri colleghi abbiano dato prova di grande dignità e coraggio. Il solo fatto che siano stati sottoposti a processo è eccessivo dal momento che è l’unico processo del genere nel mondo. La normativa vigente è stata definita appositamente per mettere al riparo da responsabilità i siti internet a condizione che si rimuovano i contenuti illeciti non appena vengono informati della loro esistenza. Per questo sosterremmo fino alla fine i nostri colleghi».

Ma la sentenza è interessante di per sé. Come ha fatto notare il giornalista esperto di internet Vittorio Zambardino su Scene Digitali, importante sarà leggere le motivazioni: «Dalla sentenza si vedrà anche cosa, sulla privacy, esattamente si contesta a Google. Se si vorrà sostenere che Google deve occuparsi della privacy di tutti coloro che appaiono nei video che vengono pubblicati – una tesi che è stata sostenuta nella memoria delle parti civili e che è francamen-

te ridicola sul piano fattuale e tecnologico, prima che giuridico. O se si dirà solo che Google aveva obbligo di registrarsi presso l’autorità delle comunicazioni e della privacy (sono due diverse) come stazione televisiva, assumendone quindi gli obblighi. E siamo, ma guarda un po’, alla sostanza del decreto Romani». Una terza ipotesi è possibile, e la spiega Emilio Tosi, docente ed esperto di diritto su internet, il quale fa notare che Google potrebbe essere risultato colpevole perché non è intervenuto prontamente nella rimozione del video (è oggettivamente passato del tempo, più di alcune ore come sostiene la difesa). Se l’argomento della sentenza usato fosse davvero quello presentato dal giurista, è chiaro che ci troviamo di fronte a una valutazione con molto di soggettivo: chi decide qual è il tempo congruo per l’eliminazione di un contenuto ritenuto offensivo? In ogni caso, l’analisi del tempo trascorso e l’argomento che doveva passarne meno in ogni caso avrebbe un senso. In ogni caso sembra che stia nascendo un clima di ostilità nei confronti della rete (anche Facebook, dopo il caso del gruppo sui ragazzi down, non fa eccezione) che potrebbe costituire il preludio alla presa di decisioni censorie da parte della politica. Un clima cinese, si potrebbe dire, se non fossimo a migliaia di kilometri di distanza.


diario

25 febbraio 2010 • pagina 7

Aggredito a bastonate, le sue condizioni sono gravissime

Via libera all’emendamento presentato dal Pdl

In fin di vita l’avvocato di Palermo Enzo Fragalà

La Camera toglie il tetto agli stipendi dei manager

PALERMO. È in fin di vita l’avvocato Enzo Fragalà, l’ex deputato di An e consigliere comunale a Palermo aggredito nella tarda serata di martedì a colpi di bastone in testa. Le sue condizioni sono state definite dai medici dell’ospedale “Civico” di Palermo «gravissime». «Il coma - ha spiegato il primario - è in rapporto all’entità delle lesioni subite». Secondo il bollettino medico, le condizioni neurologiche del paziente rimangono estremamente gravi, anche se in assenza di condizioni peggiorative. Rimangono stabili le condizioni cardio circolatorie e respiratorie ma non viene ancora sciolta la riserva sulla vita. La scorsa notte è stato sottoposto a un delicato intervento neurochirurgico al cervello per fermare la vasta emorragia cerebrale. Quando è arrivato in ospedale Fragalà era già in stato di incoscienza. Sul fronte delle indagini gli inquirenti puntano sull’attività lavorativa del penalista.

ROMA. La polemica della politi-

Potrebbe essere stato un ex cliente oppure qualche balordo assoldato da chi voleva dare una “lezione”all’ex parlamentare di An. Fragalà, 62 anni, è stato colpito alle spalle e poi l’aggressore ha infierito sulla testa

Sì della maggioranza Salvi i giornali politici La Camera approva il ripristino dei fondi per il 2010 di Francesco Capozza

ROMA. Torna – seppure con una soluzione temporanea – il cosiddetto “diritto soggettivo” per le testate e radio di partito, quelle no profit e per i giornali gestiti da cooperative giornalistiche. La maggioranza ha formalizzato un emendamento al decreto “milleproroghe” all’esame dell’Aula della Camera che ristabilisce il diritto soggettivo ai contributi (il diritto, cioè, di avvalersi di prestiti-ponte delle banche in attesa dell’erogazione da parte del ministero dell’Economia) per un massimo del 100 per cento dell’importo spettante nel 2008. L’accordo tra governo e maggioranza per il ripristino dei fondi per il 2010 ha però incontrato grosse perplessità da parte di Pd, Idv e Udc. Per le opposizioni esiste il timore che la modifica possa nascondere ulteriori tagli per alcune testate. Senza contare che - e questa è soprattutto la posizione dell’Udc - l’emendamento approvato ieri dall’aula è visto come un semplice tampone per un anno mentre «la materia andrebbe disciplinata da una normativa più severa per quanto riguarda il reale diritto a ricevere i contributi e più sicura per quanto concerne le tempistiche di erogazione dei fondi».

milioni di euro per i giornali di partito, per le cooperative, per i giornali di enti morali o religiosi, per le minoranze linguistiche, per emittenti politiche, ma saltano almeno 8 milioni di rimborsi alle radio di partito per gli abbonamenti alle agenzie di stampa e la riduzione delle tariffe elettriche.Vengono poi resi immediatamente disponibili 50 milioni di euro per il 2010 per il rimborso delle tariffe postali del settore dell’editoria.

Accolta, almeno in parte, anche l’obiezione espressa dal presidente della Camera Gianfranco Fini che aveva raccomandato al governo un attento monitoraggio su chi ha davvero diritto ai contributi e chi, invece, no. Ed ecco, dunque, che entro il 30 giugno - assicurano fonti governative - sarà fatto quel monitoraggio accompagnato dal conteggio delle spese che saranno coperte dalla presidenza del Consiglio con proprio decreto. In caso i fondi dell’editoria non bastino, si potrà attingere alle dotazioni per le spese rimodulabili. Proprio quest’ultimo punto ha indotto l’Idv a votare contro in commissione. «Le uniche spese rimodulabili della presidenza del Consiglio sono quelle per il servizio civile», ha spiegato Antonio Borghesi, capo delegazione dipietrista in Commissione Bilancio. Quella sull’editoria sarà l’unica modifica a entrare nel decreto legge milleproroghe. A un certo punto è sembrato che potessero essere approvate anche proposte di proroga dell’entrata in vigore del nuovo regime per i noleggi con conducente e per i fondi degli atenei per il personale, ma dal Senato sarebbe arrivato un no a qualsiasi novità oltre alla norma sull’editoria. Adesso la norma passa a palazzo Madama per l’ok definitivo ma già martedì il presidente del Senato Schifani aveva assicurato: «Giudicherei positivamente la soluzione per i fondi all’editoria. È cosa che auspico fortemente. Se la Camera dovesse mandarci il decreto modificato soltanto in questo settore, il Senato certamente farà la sua parte per convertirlo entro i termini di legge».

Entro maggio si farà un «monitoraggio» per valutare quali testate hanno i titoli per i finanziamenti del prossimo futuro

a colpi di mazza anche quando il penalista era a terra riverso in una pozza di sangue. A fermare l’aggressore è stata solo la presenza di due passanti che hanno iniziato a gridare attirando l’attenzione. Fragalà è stato soccorso da un collega che lo ha portato in ospedale. Per tutta la notte gli investigatori hanno ascoltato tre testimoni e i colleghi di Fragalà riuscendo così a tracciare l’identikit dell’aggressore, un uomo di statura molto alta, almeno tra 1.85 m e 1.90 m. Subito dopo l’aggressione, è scappato a piedi. Non è escluso che le sue immagini possano essere state registrate da qualche telecamera sistemata o nei negozi o nelle banche. Il prossimo bollettino medico sarà diramato questa mattina alle 11.

ca contro quel malcostume della finanza in base al quale i manager hanno stipendi e premi altissimi anche se garantiscono successi alle proprie aziende ai danni degli altri, è subito rientrata. Infatti c’è stato un totale dietrofront della politica sul tetto allo stipendio dei manager delle società quotate e delle banche. La commissione finanze della Camera ha approvato l’emendamento al ddl (presentato dal relatore Gerardo Soglia del Pdl) che cancella dal testo i due commi che prevedevano che il «trattamento economico onnicomprensivo» dei manager degli istituti di credito e delle società quotate non potesse superare il trattamento annuo lordo spettante

Insomma, sulla norma, approvata a maggioranza già martedì dal comitato dei 18 (commissioni Bilancio e Affari costituzionali), le opposizioni – pur astenendosi – hanno visioni, come già detto, molto diverse. Il Pd vuole «vederci chiaro» perché teme che permangano penalizzazioni per le piccole emittenti (è di questi giorni la notizia della chiusura della dalemiana RedTv); della posizione dell’Udc, poi, si è detto mentre l’Idv teme che la copertura vada a toccare i fondi per il servizio civile della presidenza del Consiglio. C’è da dire, inoltre, che la discussione nel comitato dei 18 è stata piuttosto lunga e vivace. Il primo testo fatto circolare prevedeva il ripristino dei contributi fino a un massimo del 95 per cento poi, dopo una lunga mediazione, si è tornati al 100 per cento. E la misura non è comunque indolore. È vero che sono stati messi al sicuro 150

ai parlamentari e che vietavano di includere tra gli emolumenti e le indennità le stock option. Resta intatta, invece, la previsione secondo cui i sistemi retributivi devono essere «in linea con le politiche di prudente gestione del rischio della banca e con le sue strategie di lungo periodo». Come previsto dal regolamento della Camera, l’emendamento si intende accolto, salvo che la commissione per le politiche Ue, non lo respinga per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria o per esigenze di coordinamento generale.

Infatti ora la commissione Finanze trasmetterà all’ufficio «Politiche Ue» sia la sua relazione al disegno di legge comunitaria, sia gli emendamenti approvati. Il regolamento di Montecitorio prevede un iter particolare per le leggi comunitarie: gli emendamenti approvati dalle singole commissioni sono infatti ritenuti accolti dalla commissione Politiche dell’Unione europea salvo che questa non li respinga per motivi di compatibilità con la normativa comunitaria o per esigenze di coordinamento generale. Dunque anche un emendamento del relatore che non appartiene alla commissione di merito può comportare l’accantonamento della norma.


politica

pagina 8 • 25 febbraio 2010

Global Warming. Perfino in Italia le ragioni degli “scettici” iniziano a emergere. Ma dal governo arriva solo silenzio

Clima, l’ora della verità Dopo gli scandali del “Climategate” serve una commissione d’inchiesta di Carlo Ripa di Meana ai fanatico, spesso prudente, il governo Berlusconi non ha, sino ad un certo punto, demeritato nel valutare il global warming. Mentre in altri paesi d’Europa c’era chi si sfrenava nel sostenere le iperboli catastrofiste, qui da noi i toni erano pacati e non sempre appiattiti. Nulla a che vedere con le carnevalate organizzate da Pecoraro Scanio e dall’esecutivo di Romano Prodi. C’era poi, a onore della maggioranza, l’operato accorto della Commissione Ambiente del Senato, presieduta con grande equilibrio dal senatore Antonio D’Alì (Pdl). Nell’estate dell’anno scorso, ad esempio, mise bene in evidenza che le energie alternative necessitano di investimenti ingenti e ammortizzabili solo in vent’anni, e che non sono in grado di soddisfare il fabbisogno energetico se non combinati con altri impianti. Giusto.

M

Adesso finalmente coloro che valutavano con prudenza o meglio con scetticismo il global warming vedono riconosciute le loro ragioni: gli imbrogli e gli errori spuntano uno dietro l’altro, e a questi seguono dimissioni, atti

di accusa, proposte di cambiamenti radicali. Adesso, dunque, sarebbe il momento per un governo come il nostro, forte delle proprie scelte del recente passato, di alzare la voce.

Di chiedere conto alla comunità internazionale, ai centri studi, alle università, ai profeti di sventure come al Gore e il Principe Carlo, della valanga di scioc-

un picconare contro il global warming.Tantochè, colui che era stato chiamato “l’uomo del riscaldamento”, l’attivista scatenato della catastrofe,Yvo de Boer si è dovuto dimettere da segretario esecutivo della convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Un altro profeta di sventure, Phil Jones, che aveva dovuto abbandonare il suo posto di direttore della Climatic Re-

Yvo de Boer si è dovuto dimettere da segretario esecutivo della convenzione Onu sul cambiamento climatico. E Phil Jones ha abbandonato il suo posto alla Cru di East Anglia chezze che hanno divulgato con una iattanza e una prosopopea degne di miglior causa. Proprio ora che bisognerebbe alzare la voce, denunciare i raggiri e chiedere che si tornino a studiare seriamente i problemi del clima, Berlusconi e i suoi si sono zittiti. Non dicono più una parola. Anzi, sono così assenti dalla scena internazionale che rischiano di coprire le sciocchezze e le bugie veicolate dai santoni della catastrofe. Ho già proposto e rilancio l’idea di una commissione parlamentare d’inchiesta con i migliori scienziati. Ormai, infatti, è tutto

search Unit alla East Anglia University per lo scandalo delle email che mostravano come i ricercatori avessero falsificato i dati, ha dovuto ammettere che negli ultimi 15 anni non c’è stato alcun aumento «statisticamente rilevante» delle temperature. Per non parlare dell’Ipcc, forum scientifico nell’Onu: non passa giorno che non debba ammettere un errore. Il calcolo sui tempi dello scioglimento dei ghiacciai dell’Himalaya? Sbagliato. La percentuale fornita sui territori dei Paesi Bassi sotto il livello del mare (55%)? Sbagliatis-

Sotto, il principe Carlo d’Inghilterra, Al Gore, Barack Obama e Phil Jones

sima. E che dire dei calcoli di Al Gore sulla fine prossima ventura degli orsi bianchi?E di Venezia sommersa dalle acque? Tutto smentito. E tacciamo per carità di patria dei conflitti d’interesse di Rajendra Pachauri, presidente dell’Ipcc, che da una parte diagnosticava catastrofi e dall’altra collaborava con le aziende che forniscono le tecnologie anticatastrofe. Se la cantava e se la suonava. L’Ipcc ne ha combinate tante che ormai da più parti si chiede una sua radicale riforma. Perchè anche il governo italiano non interviene con una sua proposta su un tema così importante? Ci sarebbe poi da affrontare l’argomento Obama.Il presidente Usa infatti, dopo essere stato il più attivo propagandista delle energie rinnovabili, alla fine ha proposto di recente di costruire

nuove centrali nucleari. Una scelta sulla quale varrebbe la pena di sapere l’opinione dei suoi tanti acritici fan che dimorano a sinistra, e che di nucleare non ne vogliono sentire nemmeno parlare.

Questo giornale, insieme a Il Foglio e ad un gruppo di scienziati coraggiosi, da tempo ha esercitato l’arte della critica verso il global warming. Ora finalmente questo plotoncino di testa è stato raggiunto dai grandi quotidiani internazionali. E alla fine si sono mossi anche il Corriere della Sera e La Stampa. Negli ultimi dieci giorni è arrivata una boccata di buona informazione. Il corrispondente da Londra del quotidiano torinese ha ben raccontato, ad esempio, il dossier della European Foundation dove si spiegano le cento ragioni per affermare che il surriscaldamento del pianeta non è determinato dall’uomo. Nello stesso rapporto si mette in evidenza che il CO2, indicato come principale responsabile dell’effetto serra, sia an-


politica

25 febbraio 2010 • pagina 9

E adesso i britannici vogliono “azzerare” la raccolta dei dati sulla temperatura

L’ultima marcia indietro, quella sul livello del mare Gli scienziati ritrattano uno studio che confermava le catastrofiche previsioni del rapporto Ipcc del 2007 di Andrea Mancia ultima marcia indietro è di qualche giorno fa, quando un gruppo di climatologi è stato costretto a ritrattare uno studio del 2009 secondo cui con gli attuali livelli di riscaldamento terrestre - il livello del mare sarebbe cresciuto di quasi un metro (82 centimetri, per la precisione) entro la fine del secolo, provocando disastri di proporzioni inimmaginabili. Lo studio in questione, pubblicato dalla prestigiosa rivista Nature Geoscience, confermava le conclusioni a cui era arrivato il rapporto del 2007 compilato dall’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change), sulla base dei dati disponibili degli ultimi 22mila anni. «Lo studio rafforza la credibilità del rapporto Ipcc - aveva dichiarato, a suo tempo, Mark Siddall dell’Università di Bristol, uno degli autori del rapporto - secondo cui il livello del mare crescerà tra i 18 e i 59 centimentri entro il 2100». Siddall, per la verità, si lamentava dell’incompletezza dei dati a disposizione sullo scioglimento dei ghiacciai, sostenendo che la stima sarebbe potuta anche essere maggiore del previsto. E molti scienziati, sempre in questi giorni, si lamentavano dell’approccio troppo “conservativo” utilizzato dall’Ipcc. Uno studio di Martin Vermeer della Helsinki University of Technology e Stefan Rahmstorf dell’Institute for Climate Impact Research di Potsdam, prevedeva addirittura una crescita tra gli 0,75 e gli 1,9 metri entro il 2010. Nel comunicato stampa con cui “ritrattano” lo studio del 2009, invece, gli scienziati ribaltano la situazione: «Dalla pubblicazione del nostro paper, siamo venuti a conoscenza di due errori che hanno un impatto fondamentale sulle nostre previsioni sull’innalzamento del livello del mare. Questo significa che non siamo più in grado di trarre conclusioni precise riguardo al problema, prima di compiere ulteriori ricerche».

L’

che un formidabile stimolatore dei raccolti. Sulla prima pagina del Corriere è toccato a Giulio Giorello squarciare il velo delle iperboli catastrofiste con associate sciocchezze e imbrogli. Dopo aver riconosciuto che si passa ormai anche in ambienti scientifici dalla teoria del riscaldamento globale all’interrogativo su quando inizierà l’Era glaciale prossima ventura, Giorello denuncia come si corra il rischio

terroga sul gigantesco imbroglio, i giornali italiani ormai lo raccontano con ricchezza di particolari, e il titolare del dicastero dell’Ambiente cosa fa? Non sarebbe il caso di muoversi? Anche perchè all’interno della maggioranza transitano strane convinzioni ambientalistiche. Il sindaco di Roma, ad esempio, strapaga un catastrofista come Jeremy Rifkin che teorizza i piccoli impianti eolici e fotovoltaici. Bel colpo, proprio

La sempre minore fiducia della gente nella climatologia sta minando la fiducia nella scienza tout court e persino nel principio di verità. Di sciocchezze se ne sono dette troppe che alle bordate ideologiche si risponda con altrettante bordate anti ideologiche.

Dalla catastrofe prossima ventura alla difesa dell’esistente. E ancora più preoccupato è il giudizio di uno scienziato come Ralph Cicerone che mette in guardia: la sempre minore fiducia della gente nella climatologia sta minando la fiducia nella scienza tout court e persino nel principio di verità. Del resto, di sciocchezze affaristiche se ne sono dette troppe. Cose che hanno più a che fare con la malafede che con una ricerca seria.

In tutto questo, qualcuno ha sentito il ministro Prestigiacomo dire una parola? Il mondo s’in-

mentre, si apprende da Repubblica - un giornale che è stato il cantore delle rinnovabili che nel fotovoltaico piccolo non è bello, perchè non è remunerativo. Per non dire dell’imbroglio eolico che ormai alle nostre latitudini si è trasformato in un vero e proprio scandalo con indagini della magistratura, denunce e arresti. Quanto alla bioagricoltura c’è il forte sospetto che possa essere causa della desertificazione. La questione climatica, grazie ai profeti di sventure, si è trasformata in un verminaio. Non sarebbe l’ora che chi governa faccia un punto della situazione e, attraverso una seria riflessione, arrivi a elaborare qualche proposta seria?

cupante, per i sostenitori dell’influenza umana sui cambiamenti climatici, che inizia ad influenzare anche le autorità accademiche e governative.

Un paio di giorni fa, per esempio, il dipartimento di Metereologia dell’esecutivo britannico (noto come Met Office) ha deciso di “ripartire da zero”nella raccolta di dati sulle variazioni della temperatura terrestre. Lunedì scorso, in un meeting in cui si sono riuniti circa 150 climatologi di tutto il mondo, che si è svolto nella città turca di Antalya, i rappresentanti del Met Office hanno proposto formalmente di iniziare una «grande sfida» per pro-

Smentito l’innalzamento di quasi un metro entro il 2010. I climatologi: «Abbiamo scoperto troppi errori, non siamo in grado di arrivare a una conclusione certa senza nuove ricerche»

La notizia dell’ennesima “marcia indietro”ha invaso le pagine della stampa anglosassone. Anche perché è arrivata dopo qualche mese in cui - una per una - quasi tutte le previsioni del rapporto Ipcc sono state smentite, ritrattate o semplicemente ridicolizzate. A dare spazio al “global warming meltdown”, poi, sono state anche le testate storicamente vicine alla sinistra dello schieramento politico, soprattutto in Gran Bretagna, come il Guardian o The Independent, che invece negli ultimi hanno avevano fatto da cassa da risonanza a qualsiasi operazione di propaganda del fronte catastrofista. Un’inversione di tendenza preoc-

durre una nuova serie di osservazioni affidabili da sottoporre allo scrutinio della comunità scientifica e ad una «rigorosa peer review». Un modo, insomma, per porre fine alla polemica infinita che ha coinvolto i “possessori” dei dati sulle temperature globali negli ultimi mesi, dopo l’esplosione dello scandalo “Climategate”. Un portavoce del Met Office, Dave Britton, ha dichiarato che la decisione di «azzerare la raccolta dei dati» era in gestazione da molto tempo, «ma sarebbe sciocco affermare che la controversia del Climategate non ha avuto un impatto». Secondo i britannici, in ogni caso, i nuovi metodi di raccolta dei dati dovrebbero avere alcune caratteristiche precise: produrre set di dati verificabili raccolti in archivi aperti ed accessibili; essere sottoposti a peer review scrupolosa; essere raccolti da gruppi indipendenti con metodi indipendenti. L’idea è semplice, insomma, passare dalla propaganda politica alla scienza. Sarà interessante scoprire quanti “climatologi”accetteranno questo cambio di paradigma.


pagina 10 • 25 febbraio 2010

panorama

ragioni&torti di Giancristiano Desiderio

«Reggia Outlet», a Caserta la storia in saldo l Reggia Designer Outlet del gruppo inglese McArthurGlen è un perfetto “non-luogo”e rappresenta al meglio non solo il gusto architettonico della nostra epoca, ma anche il più ampio “spirito del tempo”. Se Marc Augè, che per primo ha teorizzato la categoria dei luoghi che non sono luoghi, facesse un salto qui, alla periferia di Caserta - città che in realtà è in sé tutta una periferia -, si ritroverebbe a suo perfetto “disagio”: il nuovo Outlet, realizzato in tempi record, copia in modo sfacciato la facciata della Grande Reggia del Vanvitelli che, a vederla, toglie il fiato, mentre il Reggia Designer Outlet, che sorge di fronte al gigantesco centro commerciale Campania, mette addosso un senso di tristezza che è direttamente proporzionale alla sua finzione scenica o inautenticità. Qui c’è tanta materia per il nostro Franco Arminio: il “paesologo” che si porta dentro una nostalgia per i luoghi storici e naturali in cui è ancora possibile abitare e soggiornare, mentre nei nonluoghi come il Reggia o il Campania non si abita ma si transita senza lasciar traccia di sé.

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Ci si chiede se non sia un controsenso ricorrere a tanta tecnologia innovativa per poi copiare la facciata della Reggia vanvitelliana. No, non è una contraddizione perché la copia non vuole essere una creazione vera, ma solo ciò che è: una finzione, anzi una cosa finta. Walter Benjamin nel suo noto saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica osserva che l’arte ha perso la sua unicità per diventare uno dei tanti prodotti del mondo capitalistico che sono pensati e costruiti in serie. Ma non occorre tirare in ballo la critica di Benjamin al modo di produzione seriale del capitalismo per notare che anche l’architettura e il nostro modo di pensare e costruire paesi, città, periferie e “centri commerciali” ha perso ogni connotato conoscitivo e abitativo per acquisire il carattere della infinita riproducibilità tecnica che Heidegger chiama Gestell o logica dell’impianto. Il Reggia Designer Outlet ha preso le finte sembianze della Reggia dei Borbone perché è stato “impiantato” a circa tre chilometri dalla monumentale Reggia, ma si poteva “impiantare” in qualunque altra parte d’Italia e del mondo. La particolarità della logica dell’impianto che in sostanza è quella del pre-fabbricato - è infatti quella di essere “universale” e applicabile ovunque proprio perché il suo fine non è creare un luogo da abitare ma costruire un non-luogo che ricava dalla natura energia da accumulare e impiegare. Il recupero o, meglio, l’impiego del gusto architettonico neoclassico svolge una funzione non estetica ma decorativa che attraverso l’imitazione posticcia finge di dare un’anima o un senso a ciò che essendo perfettamente funzionale e autonomo non ha più bisogno di avere un senso o un’anima. Possiamo anche nutrire gusti architettonici diversi, ma il Reggia Designer Outlet di Marcianise è un pro-dotto materiale e simbolico esemplare della nostra epoca.

«Testamento biologico, una norma di buon senso» Parla Rocco Buttiglione: «Abbiamo tolto spazio all’eutanasia» di Valentina Sisti

ROMA. La Commissione Affari sociali della Camera ha approvato un emendamento al disegno di legge sul testamento biologico approvato dal Senato sull’onda del caso di Eluana Englaro, che prevede un’eccezione all’obbligo di alimentazione artificiale. L’emendamento del relatore Domenico Di Virgilio (medico, del Pdl), al quale ha votato contro l’opposizione, modifica il comma 5 articolo 3 della legge, relativo all’alimentazione e all’idratazione artificiale, prevede che queste due pratiche «devono essere mantenute fino al termine della vita a eccezione dei casi in cui le medesime risultino non più efficaci nel fornire al paziente i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche esenziali del corpo». Il testo, non caso, «arriverà in aula dopo le Regionali». Per Rocco Buttiglione si tratta di un «intervento doveroso, prima che fossero altre autorità a decidere. Ma va migliorato». Il presidente dell’Udc segnala però il mancato recepimento della sua proposta sulle cure palliative. E assicura che non rinuncerà a ripresentarlo. Onorevole, quello approvato è un buon emendamento? Mi sembra una norma di buon senso, che introduce nel testo quello che si sarebbe verificato comunque in alcuni momenti estremi della vita. Mi auguro sia un segnale positivo anche del rallentarsi delle tensioni che si sono determinate attorno al disegno di legge sul testamento biologico. Ci sono punti da perfezionare? Mi spiace che in commissione siano stati respinti i miei emendamenti sulle cure palliative, che si pongono il problema del dolore dell’ammalato, offrendo alla pubblica opinione e a ogni cittadino una serie di strumenti normativi capaci di mettere in campo efficaci azioni di lotta contro il dolore, di protezione dei malati dal dolore che si accompagna alla malattia. Che fine faranno queste proposte? Le ripresenteremo in Aula. Riteniamo doveroso, comunque, sia stato ribadito il rifiuto dei trattamenti terapeutici non proporzionati o inutili, chiarendo anche sul piano legislativo che compito della medicina non è e non può essere quello di ritardare ad ogni costo l’esito finale della malattia del paziente, bensì quello di accompagnare il paziente stesso verso l’esito finale della malattia.

L’opposizione ha parlato di un grave errore… Abbiamo tolto, in realtà, le armi al centrosinistra. Questo emendamento fa chiarezza. Non c’è più spazio per l’eutanasia, toglie forza alla campagna dell’opposizione. C’è il rischio che rimanga spazio per la discrezionalità? I casi in cui un ammalato non è più in grado di ricevere l’alimentazione e l’idratazione dovranno essere assolutamente certificati. Chi deciderà quando è il momento di sospenderli? La decisione spetta solo al medico, questo è fondamentale. Ma su questo punto il testo non è chiaro... Sarebbe molto più utile, infatti, ricorrere a un inciso che lo precisi. Il cardinal Tonini ha detto che va sempre esclusa la volontà di troncare la vita. La Chiesa difende sempre i principi etici. Spetta poi al Parlamento legiferare. In questo caso c’era una sentenza della magistratura che ci obbligava a riempire un vuoto legislativo. Fino a quel momento, anch’io avevo sempre avuto la preoccupazione morale sull’opportunità di fare una legge sul testamento biologico. È stata fatta al momento opportuno, quindi? Credo che forse sarebbe stato meglio aspettare di trovare un equilibrio più ragionevole tra maggioranza e opposizione. Ma comunque, ci troviamo di fronte a una buona legge. Cosa risponde ai laici che accusano il centrodestra di considerare idratazione e idratazione artificiali come trattamenti sanitari? Ci sono laici di altissimo profilo come Norberto Bobbio che difendevano la vita contro l’aborto perché difendeva la morale laica. Oggi, purtroppo, i veri laici sono pochi e vivono in una sorta di relativismo etico. Che ne pensa di amministrazioni comunali come quella di Perugia che hanno approvato l’istituzione di un registro per le dichiarazioni di testamento biologico? Vorrei chiedere loro a quale legge fanno riferimento nel prendere simili iniziative. Forse farebbero meglio a concentrarsi sulle iniziative di propria competenza.

È stato un intervento doveroso, prima che fossero altre autorità a decidere, ma che può ancora essere migliorato


panorama

25 febbraio 2010 • pagina 11

Il ministro accusa la società di scarsa vigilanza in occasione dell’incidente che costò la vita a sette operai

Thyssen unisce Sacconi e Epifani Tutti contro la multinazionale che ha detto: «Rinunciate ai processi, vi daremo la Cig» ROMA. In tempi di crisi può succedere di tutto: anche che due che non si sono mai adorati, come il ministro del Welfare Maurizio Sacconi e il segretario della Cgil Guglielmo Epifani, si trovino d’accordo. Nello specifico, è successo sulla vicenda Thyssenkrupp, l’azienda divenuta tristemente nota per l’incidente che ha ucciso sette operai nel 2007, nel quale sono emerse una serie di responsabilità dell’impresa (sempre negate dalla proprietà) e che ha scaturito anche a una serie di cause legali tra i lavoratori e l’azienda. Cause alle quali agli operai è stato proposto di rinunciare “in cambio” della richiesta di Cassa Integrazione in deroga.

Una proposta che non ha tardato a creare proteste: una ventina di operai dell’azienda ieri ha deciso di passare la notte in piazza installando un gazebo in piazza Castello a Torino: resteranno lì, assicurano, fino a che non verrà convocato un tavolo istituzionale per risolvere il problema della loro cassa integrazione e del loro futuro, dopo il fallito incontro con la società siderurgica. «L’azienda – ha detto detto Piero Barbetta - ci impone un verbale capestro che non vogliamo firmare: chiediamo un tavolo istituzionale per sbloccare la situazione. Dal due marzo entriamo in mobilità e siamo fuori dalla Thyssenkrupp, l’azienda aveva promesso di ricollocarci, ma per noi che siamo impegnati nel processo (come parti civili,ndr) non ha fatto nulla». Anche

di Alessandro D’Amato Antonio Boccuzzi, ex operaio scampato alla tragedia e oggi parlamentare del Partito Democratico, aveva parlato di uno scambio che fa tornare indietro di cinquant’anni: «È una richiesta subdola che per fortuna i sindacati hanno respinto; mi sembra una forma di ricatto questa malsana idea di correlare la cassa integrazione in deroga per i lavoratori senza occupazione a un passo indietro al processo e in tutte le vertenze nei confronti dell’azienda».

E ieri è arrivata anche la presa di posizione di Sacconi. «La ThyssenKrupp ci ripensi e chieda la Cig in deroga senza condizioni», ha scritto ieri ai vertici il ministro del Lavoro. «Ho appreso con grande stupore della rottura delle trattative tra codesta Società e le organizzazioni sindacali di categoria - si legge nella missiva - nel corso dell’incontro tenuto ieri nell’ambito della procedura di mobilità attivata nei confronti dei 30 lavoratori ancora in Cigs per cessazione biennale di attività, iniziata il 3 marzo 2008 e in scadenza il 2 marzo prossimo. La richiesta delle organizzazioni sindacali di fare ricorso, in luogo del collocamento in mobilità, al trattamento di sostegno al reddito in deroga, fino al 31 dicembre prossimo venturo, ha ricevuto una risposta aziendale positiva ma subordinata a condizioni che il sindacato e i lavoratori hanno considerato inaccettabili e provocatorie». Il ministro è giustamente severo con le prese di posizione dell’aziende: «Normalmente, in casi similari - scrive Sacconi - le intese tra le parti prendono in considerazione soluzioni di compromesso. Nel caso di specie, tuttavia, la drammaticità delle vicende trascorse non può che incidere in maniera estremamente ne-

I dipendenti hanno aperto un presidio proprio al centro di Torino per protestare contro il ricatto

gativa e determinare l’esplosione di un problema politico. Il clamore, già registrato sui media, ne è puntuale conferma. Ritengo, quindi, assolutamente indispensabile che codesta Società decida di ritornare sui propri passi e dichiari di voler chiedere la Cig in deroga, senza particolari vincoli che continuerebbero ad essere considerati irricevibili dalla controparte». E a stretto giro di posta sono arrivati gli elogi di Epifani: «Il ministro Sacconi ha una posizione corretta. Ancora una volta, quella la ThyssenKrupp non ha una posizione che si dovrebbe avere».

Nel frattempo, è stato rinviato a venerdì l’incontro in calendario ieri tra Regione Piemonte, sindacati e dirigenti ThyssenKrupp dopo la mancata proroga degli ammortizzatori sociali annunciata nei giorni scorsi dall’azienda per circa 30 lavoratori. E gli operai hanno fatto sapere che il presidio permanente proseguirà anche nei prossimi giorni. Sempre ieri, durante un’udienza del processo sul rogo, uno dei due testi della difesa è stato indagato per falsa testimonianza, perché si è scoperto che uno degli imputati gli aveva consegnato dei foglietti con le domande che sarebbero state fatte e indicazioni su come rispondere. «Non era mia intenzione indurre la falsa testimonianza», ha detto Cosimo Cafuero, uno degli imputati che all’epoca dei fatti ricopriva l’incarico di responsabile del servizio prevenzione e protezione dello stabilimento.

Ritratti. Giorgio Napolitano rende omaggio al suo predecessore, nel ventennale della morte

Omaggio a Pertini, presidente di tutti di Gabriella Mecucci l presidente Giorgio Napolitano ha ricordato ieri, nel ventennale della morte, Sandro Pertini. Nel deporre una corona d’alloro davanti alla casa dove abitò anche durante il settennato (19781985), a piazza Trevi a Roma, ha messo l’accento sulla sua «integrità morale, sulla dirittura e la coerenza personale». Senza dimenticare la lunga battaglia per «l’affermazione dei valori» della Costituzione, che aveva contribuito a scrivere. Alla sobria cerimonia erano presenti il sindaco della capitale Gianni Alemanno, Antonio Maccanico, segretario generale del Quirinale all’epoca di Pertini, e alcune scolaresche.

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Napolitano ha richiamato il senso profondo dell’impegno politico di Pertini, probabilmente il presidente che più di ogni altro incontrò il consenso popolare. Antifascista, perseguitato, esule, partigiano coraggioso, militò per tutta la vita nel partito socialista. Quando venne eletto ottenne un numero altissimo di voti da parte delle Camere riunite in seduta comune.

La sua straordinaria biografia lo rendeva un politico conosciuto e apprezzato. Ma nel settennato al Quirinale, Pertini apparve sotto una luce nuova. E fu un presidente profondamente innovativo. Sino ad allora chi ricopriva quella carica, interveniva il meno possibile nella vita politica italiana, accentuando solo il ruolo di garante della Costituzione. Pertini fece anche questo, ma si caratterizzò per il suo carisma e

l’impotenza dello Stato nei soccorsi e la scarsità di leggi per la protezione del territorio. Un atto d’accusa inusuale per un presidente della Repubblica, almeno come era vissuto allora, ma che lo fece avvertire dagli italiani come uno di loro.

Era la figura carismatica, alla quale un Italia sofferente e dilaniata si aggrappava nei momenti particolarmente difficili. Ma fu presente anche ai momenti lieti: come non ricordare il tifo sfrenato – in piedi e pipa in bocca – che fece al Santiago Bernabeu in quella notte del 1982, quando l’Italia si aggiudicò il campionato mondiale? Presidente laico e socialista, fu il primo a incoronare capo del governo un laico come Spadolini e un socialista come Bettino Craxi. Il suo insomma fu un settennato che “riformò” profondamente il ruolo del Quirinale.

Nel suo settennato rivoluzionò la funzione e l’immagine dell’inquilino del Quirinale stando sempre tra la gente, dall’Irpinia al Mundial per alcuni interventi. Dopo aver giurato fedeltà alla Repubblica e alla sua Carta, per prima cosa ricordò Antonio Gramsci, suo compagno nelle carceri fasciste. Indimenticabile il suo discorso a reti unificate dopo il terremoto dell’Irpinia quando – dopo la visita sui luoghi del disastro – denunciò


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il paginone

In Maghreb, nell’Africa sub-sahariana, nel Medio ed Estremo Oriente: una minoranza progressivamente

I cristiani perseguitati (e a cristiani del Maghreb, dell’Africa subsahariana, del Medio e dell’Estremo Oriente sono perseguitati, muoiono o scompaiono in una lenta emorragia, vittime del crescente anticristianesimo. La cristianofobia è multiforme e si nutre di motivazioni tra loro assai diverse: tuttavia, ogni anno fa parecchie centinaia o addirittura migliaia di morti. In alcuni casi essa è frutto dell’adozione di una politica ispirata a idee di «pulizia» etnica e religiosa il cui scopo è cacciare dalla culla del cristianesimo le popolazioni cristiane, ostinatamente fedeli al credo dei loro antenati.Il nostro silenzio in proposito ricorda altri silenzi di sinistra memoria, e nel giro di due o tre decenni provocherà forse nuovi imbarazzati appelli al pentimento e dichiarazioni di rimpianto per non aver voluto far affiorare una verità che doveva essere resa nota a tutti.

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Nel corso di anni di ricerche mi è capitato di incontrare, in Occidente, numerosi cristiani, cresciuti in famiglie cristiane, benché non praticanti, i quali non erano minimamente turbati dagli attacchi contro i loro fratelli. Sembrava che quelle persone fossero affette da cecità o amnesia. E quando ho presentato il dossier da me raccolto, quando ho tirato fuori fotografie e ritagli di giornali citando statistiche, bilanci e rapporti, mi sono trovato di fronte al rifiuto, talvolta cortese, di ascoltare quanto avevo da dire. Non ero credibile e, soprattutto, non ero «moderno». Agli occhi dei miei interlocutori avevo il grande torto di predicare per la mia parrocchia, i cui valori sono rigettati e con-

I cristiani d’Oriente sono emigrati o stanno emigrando in massa; sono sempre meno numerosi e in mancanza di meglio sostengono i regimi al potere (ritenendoli preferibili all’avvento di regimi fondamentalisti); in pratica non hanno più alcun ruolo politico nei paesi in cui risiedono. In più, devono fare i conti con un circolo vizioso: sono emarginati in quanto cristiani, e, in quanto emarginati, di loro si parla sempre meno. Il loro isolamento è aggravato dal fatto che le persecuzioni contro i cristiani non sono generalmente menzionate nelle denunce delle violazioni dei diritti umani, per una ragione molto semplice: perlomeno in Occidente i cristiani faticano ad associare al cristianesimo il concetto di minoranza. La difesa dei diritti dell’uomo si è sviluppata a partire dalla lotta per la protezione delle minoranze religiose o etniche un tempo soggette a persecuzioni. Gli ebrei, i neri o i musulmani in Europa e in America rientrano in questo schema. La mobilitazione in loro favore è resa ancora più incisiva dal senso di colpa prodotto dal coinvolgimento delle Chiese cristiane nello sviluppo dell’antisemitismo, nello schiavismo e nel colonialismo (portatore di una visione umiliante per i musulmani). In Occidente prendere le difese dei cristiani equivale a schierarsi dalla parte della maggioranza. Il sempre più scristianizzato Occidente fa fatica a concepire che i cristiani possano essere perseguitati in quanto cristiani, perché essere tali, secondo uno slogan semplicistico che si sente ripetere spesso, significa stare dalla parte del

Ogni anno, la “cristianofobia” fa centinaia di migliaia di vittime. Ma l’Occidente chiude gli occhi e la violenza continua a crescere Di René Guitton

I cristiani d’Oriente sono emigrati o stanno emigrando. Sono sempre meno numerosi e, in mancanza di meglio, sostengono i regimi al potere, che preferiscono ai fondamentalisti dannati senza appello. All’inizio ho ingenuamente ritenuto che la colpa di questa situazione fosse da addebitare all’ignoranza. Ma essa non basta a spiegare tutto, anzi. Combattere l’antisemitismo e il razzismo, battaglie alle quali mi dedico con forza da decenni, non richiede necessariamente una conoscenza approfondita della letteratura rabbinica o della storia dello schiavismo. Non c’è alcun bisogno di avere un’empatia particolare con colui che soffre a causa della propria origine, vittima di una giustizia negata, per aver voglia di prendere le sue difese denunciando a gran voce il silenzio e l’oblio che circondano la sua condizione. Sono in ballo la dignità e i diritti umani. Una delle ragioni del silenzio e dell’oblio che circondano le minoranze cristiane è da ricercare nella loro progressiva emarginazione e nella continua perdita di peso politico e demografico da cui sono afflitte.

potere. Occorre combattere la gravissima disinformazione che affligge l’opinione pubblica occidentale a proposito della situazione dei cristiani nel mondo e in particolare nelle regioni dove essi sono minoritari, come nel Maghreb, nell’Africa subsahariana, in Medio Oriente e in Estremo Oriente.

L’esistenza dei cristiani orientali è poco nota. Coloro che non la ignorano ne danno spesso una valutazione troppo riduttiva, che tende a fare delle comunità cristiane d’Oriente una sorta di appendice del cristianesimo occidentale, o la conseguenza dell’espansione coloniale. In altre parole, i cristiani d’Oriente non sono considerati autoctoni, ma un elemento importato. Si dimentica che il cristianesimo è nato in Oriente dove si è sviluppato ben prima che l’Europa diventasse quasi completamente cristiana. Secondo il

punto di vista occidentale, le persecuzioni a cui sono sottoposti i cristiani in quei luoghi lontani colpirebbero il cristianesimo non in quanto tale, ma nella sua qualità di emanazione dell’Occidente. Inoltre, poiché in Occidente il cristianesimo è maggioritario, non può aspirare allo status di minoranza in Oriente.

Questo ragionamento sortisce l’effetto di negare implicitamente la sofferenza delle minoranze cristiane e di frenare la mobilitazione in loro favore. Al

tempo stesso, iniziative a sostegno delle popolazioni cristiane d’Oriente sono scoraggiate, in quanto potenzialmente controproducenti: trasformare i cristiani orientali in «protetti» dell’Occidente potrebbe esporli a rischi ancora più gravi. Tuttavia, questa preoccupazione deve forse esonerarci dall’intervenire, dal momento che proprio noi parliamo di «dovere di ingerenza»? E l’indifferenza non apre forse la via all’oscurantismo? Le guerre di religione o i fenomeni religiosi ci sembrano appartenere a una lontana preistoria: da ciò deriva


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e emarginata che perde peso politico e demografico

abbandonati) Il libro che ha vinto il Premio della Lega dei diritti dell’uomo In queste pagine pubblichiamo un estratto del libro “Cristianofobia. La nuova persecuzione” (edizioni Lindau), di René Guitton, infaticabile viaggiatore tra Oriente e Occidente che si batte da anni per il dialogo tra le culture e le civiltà, contro il razzismo e l’antisemitismo. Guitton - che grazie al suo ultimo libro ha ricevuto, in Francia, il Premio dei Diritti Umani è autore di diversi volumi, tra i quali ricordiamo: “Il principe di Dio. Sulle tracce di Abramo” (edito in Italia nel 2009), “Abraham, le messager d’Haran” e “Si nos nous taisons... Le martyre des moines de Tibhirine”, vincitore di numerosi premi. René Guitton è membro del comitato di esperti dell’Alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite.

gruppo di mujaheddin, che hanno ucciso 172 persone e ne hanno ferite circa 300, e alle sommosse anticristiane verificatesi in Nigeria, dove alcuni gruppi musulmani locali hanno attaccato i cristiani, uccidendone più di 300, saccheggiando i loro beni e devastando le loro chiese. Nel 2004 si erano scatenate violenze simili, che avevano lasciato sul terreno i cadaveri di oltre 700 cristiani. I fatti di Mumbai hanno occupato le prime pagine di quotidiani e telegiornali, mentre l’altro episodio è stato appena menzionato, sebbene l’ammontare delle vittime fosse assai più elevato e le distruzioni nettamente più gravi.

Questo trattamento differenziato da parte dell’informazione è emblematico della difficoltà di sensibilizzare l’opinione pubblica, persino la più accorta, riguardo alle persecuzioni che colpiscono i cristiani in numerose regioni del mondo. Si usano due pesi e due misure; se qualcuno protesta, viene accusato di essere a favore della censura, contro la libertà di informazione e di essere un bigotto e un baciapile. Ho avuto occasione di sperimentare personalmente questo disprezzo a Parigi, nell’agosto del 1997, in occasione della Giornata mondiale della gioventù, che aveva riunito giovani giunti da ogni parte del globo. Prima della manifestazione la grande stampa internazionale aveva pressoché ignorato l’evento. Se n’erano occupati soltanto alcuni editorialisti, i quali avevano previsto che quel tenta-

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cui è buona norma stigmatizzare coloro che si dichiarano credenti, e di conseguenza anche le Chiese ufficiali alle quali li lega la fede.

Questo atteggiamento è evidente ogniqualvolta è tirata in ballo la laïcité, principio legislativo che gode di un consenso quasi unanime e di cui nessuna associazione religiosa ufficialmente costituita chiede l’abolizione. Anche i cristiani d’Oriente si richiamano alla laicità. Inchieste e sondaggi hanno dimostrato che i cattolici francesi, praticanti compresi, erano favorevoli alla legge del 1905, la quale è ormai sul punto di diventare quasi un testo sacro, almeno a giudicare dagli strepiti che provengono da certi ambienti dell’integralismo laicista quando si affronta l’argomento. La legge del 1905 è probabilmente il solo documento mai votato a Palazzo Borbone che sia considerato scolpito nella pietra. Chiunque osi suggerire l’idea di una sua revisione si attira l’accusa di minacciare le fondamenta stesse della République. Nella loro miopia, i campioni della ragione, del libero esame e della critica rifiutano ostinatamente di applicare queste virtù alla propria causa. Chi commette il sacrilegio di non pensarla come loro è regolarmente denunciato come un novello inquisitore! I conflitti politici sono resi ancor più aspri dal fatto che per lungo tempo hanno riguardato la religione: il castello contro il municipio, il curato contro il maestro pubblico ecc. L’adesione alla Repubblica della quasi totalità dei cristiani ha semplicemente cambiato i termini del confronto, spostandolo sul terreno della scuola: di qui le grandi crisi provocate, nel corso del XX secolo, dai progetti di riforma delle leggi che rego-

Coloro che si preoccupano della sorte di queste minoranze sono guardati con gran sospetto: nella migliore delle ipotesi sono etichettati come ultraconservatori

la radicale incapacità, da parte dell’Occidente, di affrontare la questione in tutti i suoi aspetti. Per esempio, nella nostra società, la difesa dei cristiani di altre parti del mondo è spesso vista come un tentativo di favorire il ritorno del religioso o di imporre i principi cristiani, che non sono più considerati valori fondamentali; ne consegue che coloro che si preoccupano della sorte delle minoranze cristiane sono guardati con gran sospetto: nella migliore delle ipotesi sono etichettati come ultraconservatori.

Nel silenzio cristiano si deve scorgere altresì l’effetto di una svalutazione implicita e sistematica del cristianesimo, largamente incoraggiata da un laicismo ottuso e aggressivo, che spesso si manifesta nel modo in cui i media trattano le vicende che coinvolgono i cristiani. Tra fine novembre e i primi di dicembre del 2008 due avvenimenti legati alle tensioni interreligiose hanno fatto parlare di sé attirando l’interesse dei grandi media internazionali in modo assai diseguale: ci riferiamo al massacro compiuto a Mumbai da un

tivo di «irreggimentare» e «manipolare» la gioventù si sarebbe risolto in un insuccesso. Durante la manifestazione un certo numero di giornalisti si è limitato a sottolineare i gravi disagi al traffico cittadino causati del raduno. Nessuno si interrogava sulle motivazioni che animavano i partecipanti, né sul significato profondo di quel ritorno al religioso. Di fronte a un giornalista che mi intervistava rivolgendomi domande sarcastiche sull’avvenimento, ho abbozzato una provocazione, domandandogli a mia volta quale fosse la sua reazione di fronte al pellegrinaggio islamico canonico alla Mecca (Hajj). Il mio interlocutore mi ha guardato stupito, come se le mie parole facessero di me un emulo degli antichi inquisitori. Ho quindi capito quanto sia difficile perorare la causa dei cristiani che soffrono nel mondo e quanto essere cristiano, agli occhi di molti, rappresenti un’intollerabile mancanza di buon gusto, per non dire un handicap che sarebbe meglio tentare di nascondere. Come si può chiedere all’opinione pubblica di mobilitarsi in favore dei cristiani d’Oriente, d’Africa, del Maghreb, se il cristianesimo è la sola religione sottoposta a una sistematica denigrazione che si prefigge di snaturane lo spirito e il messaggio? La Francia è forse l’unico paese occidentale in

lano i rapporti tra lo Stato e l’insegnamento confessionale. Mentre le manifestazioni del 1° maggio mostravano segni di logoramento, quelle a favore della scuola laica o confessionale del 1984 hanno richiamato in piazza centinaia di migliaia di persone. Sembra quasi che la Repubblica sia costantemente minacciata dalle oscure trame dei bigotti. Provate a parlare di «laicità positiva» e scatenerete immediatamente una bufera difficilmente comprensibile per gli osservatori stranieri, che si stupiscono nel vedere quanto facilmente noi francesi ci crogioliamo in vecchie questioni «fratricide». Gli anticlericali di un tempo hanno lasciato il posto ai nuovi professionisti dell’anticristianesimo, intolleranti e irrispettosi delle credenze di coloro che hanno la sfortuna di non pensarla come loro. La società francese continua a essere impregnata del tanfo di un anticlericalismo primario che si ripresenta ogniqualvolta si discute a proposito di laicità. Se vi azzardate a far notare la cosa sarete etichettati come «baciapile», e vi sarà quasi certamente sbattuto in faccia l’affare delle vignette danesi sul profeta Maometto. Peraltro, le prime vittime di quelle caricature non sono stati gli anticlericali e i laicisti d’Europa ma i cristiani del Pakistan e della Nigeria, che hanno pagato con la vita l’«errore» dell’Occidente, il quale tanto per cambiare non ha mosso un dito.


mondo

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Rapporti. Presentato l’annuale Index of Economic Freedom. L’Italia di nuovo al 74esimo posto, in coda nell’area europea

Una Penisola in catene Fisco, certezza del diritto e corruzione: ecco perchè l’economia è in ginocchio di Marco Respinti

MILANO. Da sedici anni The Heritage Foundation produce un documento di utilità estrema. È l’Index of Economic Freedom, che annualmente, puntualmente ogni mese di febbraio, misura la febbre della malattia statalista che deprime lo spirito d’intrapresa stilando una classifica dove a ciascun Paese viene assegnato, su basi matematicamente rigorose, il posto che a esso spetta in ragione della libertà economica di cui gode. L’edizione 2010 dell’Index, che, ovviamente, come la dichiarazione dei redditi, riguarda lo stato del mondo nei dodici mesi precedenti, è significativamente sottotitolata The Link Between Economic Opportunity and Prosperity: “Il legame fra opportunità economica e prosperità”. Sembrerebbe cosa semplice, persino scontata, e invece non lo è affatto: basta infatti scorrere le situazioni registrate in un numero davvero grande di Paesi per sincerarsene. La Heritage, diretta a Washington da Edwin J. Feulner jr., è stato fondata nel 1973 e negli anni è cresciuta in capacità e in autorevolezza tanto da divenire certamente sì il maggior think tank conservatore degli

Stati Uniti di America ciò del mondo, ma sicuramente anche un fucina di analisi e un laboratorio di strategie influente su tutto lo spettro politico-culturale, ovvero rispettato anche dagli avversari. Lo racconta per filo e per segno un grande esperto, Lee Edwards, che del resto lo fa con il piglio dell’insider giacché è Distinguished Fellow in Conservative Thought presso il B. Kenneth Simon Center for American Studies della stessa Heritage, nel bel libro The Power of Ideas: The Heritage Foundation at 25 Years (Jameson, Ottawa [Illinois] 1997).

for Public Policy di Rijeka, in Croazia, l’Istituto Bruno Leoni di Torino, la Nadácia F.A. Hayeka di Bratislava, l’Institute for Maket Economics di Sofia e il Lithuanian Free Market Institute di Vilnius.

Tecnicamente, l’“Indice” è il frutto delle ricerche condotte da un pool di specialisti, tutti esperti di razza della Heritage, alla regia del quale siedono Terry Miller e Kim R. Holmes, e che si avvale della perizia professionale di Anthony B. Kim, Daniella Markheim, James M. Roberts e Caroline Walsh.

Il Belpaese, spiega Terry Miller (curatore del Rapporto), «non è a un passo dal disastro greco, questo no; ma i disastri alla greca possono piombare da un minuto all’altro senza avvisi preventivi» Strumento adeguato, accurato e assai utilizzato per testare l’efficacia delle politiche economiche mondiali, l’“Indice” della Heritage viene oggi prodotto in collaborazione con diversi organismi di respiro internazionale, The Wall Street Journal, l’Institute of Economic Affairs di Londra, l’Adriatic Institute

L’“Indice”in tutti i suoi segreti e in tutte le sue rivelazioni me lo spiega proprio Terry Miller, direttore dal 2007 del Center for International Trade and Economics della Heritage e prima, nel 2006, ambasciatore statunitense all’Economic and Social Council delle Nazioni Unite. Prima ancora era stato vice-as-

sistente alla Segreteria di Stato per le materie economiche e gli scenari globali, e precedentemente un diplomatico impegnato in Nuova Zelanda, Barbados, Francia e pure Italia. Ama il nostro Paese, infatti com’è possibile fare altrimenti? - e ricorda con piacere gli anni trascorsi al Consolato Generale degli Stati Uniti a Milano. «Vada come vada, voi italiani riuscite sempre a trovare il modo», dice, «per rendere le cose piacevoli, ma pure di più: per cavarvela». Noi di noi stessi diremmo che ce la facciamo sem-

pre a sfangarla, e in questo ha ragione l’ambasciatore Miller, che certo non mi (né ci) sta cullando con un po’ di luogocomunismo. «Fa parte della caratteristica innata di voi italiani: benché le cose possano strutturalmente andare male, riuscite comunque a trovare un modo. E questa è una gran risorsa….». Sì, è quella che ci tiene comunque e sempre a galla, e che, senza dover per forza ipotizzare delle gesta Dei per italicos, ci ricorda che forse forse l’Onnipotente ha deciso di scrivere diritto pure sulle righe storte

Il dittatore della Corea del Nord si scusa con la popolazione per “alcuni errori” economici

E Kim ammise: «Serve il libero mercato» ROMA. Persino Kim Jong-il, l’ultimo vero dittatore comunista, si è arreso all’evidenza: soltanto con il libero mercato si può sopravvivere. E per questo si è “scusato”con la popolazione per “alcune scelte economiche non corrette”, mentre la carenza di derrate alimentari in Corea del Nord nel 2010 è destinata a peggiorare. Lo scorso anno la produzione di grano è diminuita in modo sensibile e la popolazione è a rischio fame.Una crisi ammessa anche dalla leadership del regime comunista nord-coreano: il ”Caro leader” KimYong Il, infatti, si “scusa”con la popolazione per l’inflazione causata dalla rivalutazione monetaria e promette migliori produzioni per garantire cibo a ogni cittadino. Una fonte del Ministero sudcoreano per l’unificazione sottolinea che, nel

2009, Pyongyang avrebbe prodotto 4,1 milioni di tonnellate di grano, con una diminuzione di 200mila tonnellate rispetto al 2008. Un dato di molto inferiore ai 5,4 milioni di tonnellate di grano annui, necessari per soddisfare la domanda inter-

na e sfamare 24 milioni di cittadini. Le stime fornite dal governo di Seoul si basano sulla simulazione elaborata dalla Rural Development Administration, che ha analizzato i dati sulla produzione forniti dalla Corea del Nord, comparandoli con altri elementi quali clima e condizioni del suolo. La diminuzione di circa 1,3 milioni di tonnellate di grano equivale a quasi quattro mesi di scorte alimentari. Il calo della produzione è aggravato dalla sospensione delle forniture di fertilizzanti provenienti da Seoul – a causa delle tensioni sul nucleare e gli esperimenti missilistici voluti da Pyongyang – e il rifiuto, nel marzo scorso, di un consistente blocco di aiuti umanitari dagli Stati Uniti. La grave crisi umanitaria in Corea del Nord è ammessa anche dai vertici del regime nord-coreano, che riconosce – a denti stretti – di aver promosso politiche economiche fallimentari.


mondo

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smo di Gordon Brown non funzionino? Le rispondo sul piano squisitamente economico, tralasciando la politica; e tratto solo degli Stati Uniti, il mio Paese. Le ricette economiche seguite e predicate oggi dalla Casa Bianca

dei nostri apparati pubblici, soprattutto quelli economici. Ambasciatore, da tre anni lei lavora all’Index of Economic Freedom. In che modo stilate la classifica delle libertà economiche del mondo? Valutiamo ogni Paese in base a dieci criteri relativi ad altrettante aree di elevato livello indicativo e quindi facciamo la media matematica. Esaminiamo cioè la zavorra posta dalle regolamentazioni statali sull’economia di ciascun Paese, il fardello costituto dalle richieste

di sostenibilità ambientale, il gravame del fisco, lo stato della libertà commerciale import ed export, le politiche d’investimento, il livello della corruzione e le condizioni del rule of law, quella “certezza del diritto” che è la base, imprescindibile di ogni autentico “liberismo” economico. La sommatoria di tutto ciò ci dice quanto un Paese sia o non sia libero. E qual è la tendenza generale che emerge dallo studio da voi effettuato sui dati del 2009? Piuttosto semplice a dirsi. Abbiamo analizzato e censito 179

dex” calcolasse quanto i governi pesano sulle imprenditorie, sulle libertà individuali, sulle società... Esatto. L’edizione 2010 utilizza dati raccolti in un tempo economico particolare, quello contrassegnato dalla recessione globale da cui emerge con chiarezza che i Paesi rifugiatisi nell’aumento della spesa pubblica e nell’innalzamento della pressione fiscale hanno finito per restringere gli spazi di libertà concreta, con conseguente spreco di risorse immani. Lo si constata osservando le venti maggiori economie del

Sul podio ci sono Hong Kong, Singapore e Australia. Gli Stati Uniti sono all’ottavo posto e la Cina al 140esimo. La palma di Paese meno libero spetta, ancora una volta, alla Corea del Nord Paesi: Afghanistan, Iraq, Liechtenstein e Sudan vengono descritti ma non classificati poiché “non pervenuti”… Tutti ricadono in una di queste due categorie: o sono avanzati sul piano delle libertà economiche oppure sono retrocessi. Pare una ovvietà, ma non la è. Perché l’analisi rivela che non esistono Paesi stagnanti. Fermi, insomma, non si può stare. Chi non avanza, invece di arrestarsi arretra. Di fatto è come se l’“In-

mondo. Nel novero di quelle che si sono arroccate in politiche di tipo protezionistico rientrano oggi persino gli Stati Uniti e pure il Regno Unito, Paese che nella classifica 2010 si attesta al posto n. 11 ovvero esce per la prima volta in sedici anni dalla Top Ten. Fra chi sta invece facendo molto bene vi sono diversi Paesi europei ex comunisti, prima fra tutti la Polonia. Ma anche la Francia e la Germania, Paesi dove di per sé il dirigismo ha tradizioni antiche e basi piuttosto solide, si stanno comportando bene. Arretrano Stati Uniti e Gran Bretagna, i Paesi proverbialmente considerati più “liberisti”? È quasi incredibile… Forse che l’Obanomics e il laburi-

sono semplicemente catastrofiche. L’aumento della spesa pubblica che si sta da noi ostinatamente perseguendo è fonte di deficit enorme e l’aumento delle tasse intollerabile. Ma soprattutto sono misure assolutamente inefficaci. Lo dimostrano i tassi d’interesse oramai soffocanti, l’aumento dell’inflazione e l’innalzamento del livello della disoccupazione che ne derivano in modo diretto. L’economia statunitense vive cioè oggi un momento di colossale incertezza, e questo per ben due motivi. Anzitutto perché lo Stato sta intervenendo davvero troppo sull’economia nazionale e poi perché (e la cosa aumenta ancora più l’inquietudine e il disorientamento degl’investitori) il governo si muove costantemente alla cieca. Nessuno può oggi ragionevolmente prevedere quale possa essere, per sbagliata o giusta che sia, la prossima mossa della Casa Bianca… In novembre gli Stati Uniti votano per rinnovare il Congresso e il verdetto delle urne costituirà di fatto anche un giudizio sull’Amministrazione retta da Barack Hussein Obama… Per beneficiare l’economia di un Paese occorre ridurre subito la tasse, un dato, questo, risaputo e assodato. Si guardi a quei Paesi dell’Est europeo ex comunista che hanno adottato la flat tax, l’aliquota fiscale percentuale unica. Sono letteralmente esplosi in prosperità… Negli Stai Uniti (e lo dico ancora sul piano strettamente tecnico-scientifico) non mancano proposte intelligenti di questo tipo. Se ne fanno latori alcuni esponenti del Partito Repubblicano, ma pure i cosiddetti “Blue Dog”, ovvero i rappresentanti più “centristi”del Partito Democratico lontani mille miglia dall’estremismo dirigistico della Obanomics.

Ma mi permetta di aggiungere che il fenomeno ora più interessante sul piano dell’offerta politica proprio in relazione alle libertà delle persone, delle famiglie e delle imprese di cui quella economica regna sovrana è il movimento dei “Tea Party”, che prende nome proprio dalla rivolta fiscale da cui si è originato il mio Paese. Oggi sta andando in scena una nuova protesta fiscale capace di provocare il dibattito politico serio e in grado di rintuzzare l’offensiva dello Stato. Pensi che il Corriere della Sera del 19 marzo ha definito il movimento dei “Tea Party” una caricatura… Questo però ci porta all’Italia… Sì, il “caso Italia”. Nella classifica dell’“Index” l’Italia è 74a su 179 Paesi, ma il dato si aggrava considerando il punteggio ottenuto su scala regionale. Su 43 Paesi europei analizzati, infatti, l’Italia è 35a. Peggio fanno Paesi come Russia, Bielorussia, Ucraina… Perché? Perché manca una chiara disciplina fiscale, la certezza del diritto scricchiola e il livello di corruzione è alto. In questi tre settori strategici l’Italia è ben al di sotto della media europea. Intendiamoci, rispetto all’“Indice” dell’anno scorso il vostro Paese è avanzato dell’1,3 per cento, ma la strada è ancora assai lunga e in salita. Sul podio della classifica mondiale stanno Hong Kong, Singapore e Australia. Gli Stati Uniti sono all’ottavo posto, in calo del 2,7 per cento, la Cina sta al 140° posto e la palma di Paese meno libero del mondo spetta, ancora una volta, alla Corea del Nord, la quale totalizza un miserrimo 1 secco di media generale. Appena sopra l’Italia c’è però la Grecia… Ovviamente la crisi che ha travolto quel Paese è troppo recente per essere stata presa in considerazione nel nostro lavoro. Ma questo rivela un dato importante. Non certo che l’Italia è a un passo dal disastro greco, questo no; bensì che i disastri alla greca possono piombare da un minuto all’altro senza avvisi preventivi; ecco, questo sì. Insomma, al riparo dalla bancarotta non vi è nessuno, nemmeno i Paesi relativamente prosperi. Ciò però vuol dire che occorre fare bene e presto per incrementare le libertà d’investimento e di commercio. E soprattutto che bisogna ridurre al volo le tasse e disinnescare la bomba a orologeria della corruzione… Altre paure di livello globale? Be’, il costo della nuova correttezza politica di tipo ecologista sta diventando economicamente insostenibile, oltre che essere fomite di corruzione ulteriore e in primis di clamorosa inefficacia quanto a tutela ambientale vera…


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Cina. Il Comitato centrale vara un nuovo codice etico «contro le ingiustizie» l Comitato centrale del Partito comunista cinese ha emesso un nuovo codice etico - che deve essere sottoscritto da tutti i suoi quadri dirigenti - per assicurare “mani pulite” nel lavoro e prevenire la corruzione dilagante nel Paese. Secondo il presidente Hu Jintao la corruzione nel Partito è così grande «da mettere a rischio la sua stessa sopravvivenza». Le linee guida specificano 52 pratiche “inaccettabili” per leader e dirigenti, fra cui: accettare bustarelle o benefici finanziari; usare la propria influenza per favorire la propria moglie o figli o altri nell’impiego, il commercio e nella borsa. I leader non possono usare fondi pubblici o proprietà per scopi privati; non possono buttarsi in imprese profit; registrare compagnie all’estero o possedere azioni di compagnie all’estero. È toccato a He Guoqiang, membro del Comitato permanente del Politburo, presentare la guida, che ripropone in modo più analitico una pubblicazione simile edita nel 1997. He ha sottolineato che i leader del Partito devono “servire il popolo” e non devono mescolare i loro interessi privati nelle vendite governative di terreni, nelle costruzioni, negli sviluppi edilizi, nelle ricerche minerarie, nelle ristrutturazioni industriali, nei servizi di intermediazione. I membri del Partito sono pure invitati a non progettare edifici governativi lussuosi o comprare e utilizzare auto da nababbi. Le nuove direttive sembrano descrivere in negativo (“non fare…”) quello che nella realtà succede in positivo. Molte rivolte, scioperi, sit-in che avvengono ogni giorni in Cina sono dovuti proprio alla frustrazione della popolazione che vede i suoi leader e membri del Partito in-

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Il Partito all’attacco della corruzione Hu Jintao parla ai membri del Politburo: «Questa volta rischiamo di scomparire» di Vincenzo Faccioli Pintozzi

condo analisti, l’endemica corruzione di politici e imprenditori (cariche che spesso coincidono),“costa”l’equivalente del 3 per cento del Prodotto interno lordo annuo. Il Comitato centrale loda la nuova guida etica come «un’importante regolamento interno del Partito». Ma secondo analisti e dissidenti il problema sta proprio

Alcuni dissidenti sottolineano che la verifica sulle tangenti avviene da parte dello stesso Pcc corrotto: un cane che si morde la coda grassarsi a spese del pubblico, sequestrando terreni per progetti propri; provvedendo e aiutando i figli a divenire manager di industrie; stabilendo precise percentuali in bustarelle per contratti (dal 10 al 25 per cento); utilizzando fondi pubblici per investimenti privati; esportando all’estero fondi accumulati in modo illecito. La nuova guida etica rivela che dal 1978 al 2003 circa quattromila corrotti rappresentanti del governo sono fuggiti all’estero con almeno 50 miliardi di dollari Usa. Se-

qui: la verifica sulla corruzione avviene da parte dello stesso Partito corrotto. «È come se un malato volesse guarire da solo», dice un attivista per i diritti umani. In passato il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao hanno messo in guardia i quadri, dicendo che la corruzione rischia di essere il terreno su cui si gioca la stessa sopravvivenza del Partito. Fino a due anni fa si discuteva di introdurre una democrazia interna per le cariche, così da prevenire la salita al potere dei membri corrotti.

Eliminata la tappa di Pechino del Nexus One

E Google si vendica Non accenna a fermarsi la guerra in corso fra il governo cinese e Google. Il gigante informatico ha infatti deciso di eliminare Pechino dal tour di presentazione del suo nuovo telefonino, il Nexus One, mantenendo le tappe di Hong Kong e Taipei. Una fonte interna alla compagnia statunitense spiega: «Se Google non avesse avuto i problemi che conosciamo con il governo, avrebbe senza dubbio presentato il telefono anche a Pechino». Problemi anche per il sistema operativo Android, sviluppato da Mountain View, che fa funzionare due telefoni di nuova generazione. La compagnia americana ha infatti cercato di limitarne la diffusione sul mercato cinese, nonostante il governo abbia più volte affermato – per calmare gli investitori – che non ci saranno rap-

presaglie contro il software sviluppato da Google. Tuttavia, gli analisti sottolineano una pericolosa flessione nel mercato interno della telefonia, il più grande del mondo.

La battaglia fra i due giganti è iniziata il 12 gennaio scorso, quando i dirigenti della compagnia informatica hanno avvertito la Cina di essere pronti ad andare via dal territorio. Il motivo addotto, i frequenti attacchi informatici condotti contro i loro server da pirati in cerca di dati sensibili. La decisione è stata appoggiata dal governo americano, nonostante Pechino abbia più volte negato di aver nulla a che vedere con queste violazioni. Eppure, Google sostiene di essere riuscita a tracciare la provenienza degli attacchi: un’Università di Shanghai.

Ma la discussione si è arenata e le ultime promozioni sono state tutte di “principini”, figli di alte personalità del Partito. A testimoniare l’inutilità di queste guide etiche ci sono i numeri (offerti dalla Corte suprema di Pechino). Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2006, su 33mila casi di corruzione denunciati in via ufficiale, sono stati arrestati solo 1.600 funzionari e oltre l’80 per cento dei condannati ha evitato sanzioni penali. Sebbene sia proibito ai funzionari qualsiasi interessamento economico nelle miniere di carbone (come riafferma anche la nuova guida), nel 2006 è stato prosciolto circa il 95 per cento dei funzionari implicati nelle proprietà di miniere crollate. Nel 2005, 110mila funzionari sono stati puniti, ma quasi tutti solo con sanzioni disciplinari.

Va comunque approfondito un inquietante dato ufficiale: almeno 4mila funzionari e dirigenti cinesi sono “scomparsi” negli ultimi 30 anni, sottraendo allo Stato circa 50 miliardi di dollari (34,4 miliardi di euro) di fondi pubblici. Per portare all’estero il denaro e “pulirlo”, i funzionari cinesi si sono serviti di gruppi criminali, soprattutto in Stati Unitii e Australia, secondo quanto riferiscono oggi i media statali. I dirigenti disonesti hanno così potuto riciclare le somme in acquisti immobiliari e persino procurarsi nuove identità false. Ora gli ispettori stanno indagando sui viaggi all’estero di oltre 300 funzionari. Tra i casi più clamorosi, c’è la scomparsa di Yang Xianghong, dirigente del Partito comunista di Wenzhou, sparito nel 2009 mentre era in Francia. Sua moglie è stata arrestata, con l’accusa di avere partecipato al tentativo di riciclare 20 milioni di yuan (circa 2 milioni di euro). Da anni la leadership cinese ha dichiarato tolleranza zero contro la corruzione e spesso i media riportano clamorosi successi contro funzionari disonesti. Ma la corruzione non pare diminuire. Tra l’altro, alcuni esperti sono scettici circa l’effettivo valore di simili risultati e osservano che spesso finiscono sotto accusa per corruzione soprattutto i dirigenti non graditi alla leadership cinese, anche in vista del 18° Congresso del Partito Comunista fissato per il 2012. Altri esperti dicono che si potrà davvero combattere la corruzione solo quando si darà maggior attenzione alle doglianze dei cittadini contro funzionari disonesti, oggi spesso censurate.


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Tra i più inadempienti, Unione europea e Giappone

Lo riferisce il giornale “Politico” Si riparte proprio da Chicago

Haiti, arrivano i primi aiuti: manca però un miliardo

Obama pensa alla campagna presidenziale per il 2012

PORT AU PRINCE. Oltre 230mi-

WASHINGTON. Lo staff del presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha iniziato, senza dare nell’occhio, a preparare la campagna per la rielezione del 2012. Secondo fonti interne al Partito democratico, che hanno parlato al quotidiano online Politico, la campagna sarà guidata dal vice capo di gabinetto Jim Messina. Il quartier generale sarà Chicago, la casa del presidente Obama.

la vittime, 100mila edifici distrutti, 190mila danneggiati, 600mila le persone che hanno abbandonato la capitale. È il bilancio del disastroso terremoto che ha colpito Haiti 43 giorni fa. Una catastrofe nel luogo dove ancora oggi non c’è corrente elettrica, con il coprifuoco fissato alle 18, dove la terra continua a tremare e dove il 45 per cento dei sopravvissuti sono bambini o ragazzi senza famiglia e, proprio per questo, esposti al rischio di malnutrizione, malattie, sfruttamento sessuale, traffico di esseri umani. Per Haiti, stando ai dati dell’Office for the Coordination of Humanitarian Affair delle Nazioni Unite sono stati raccolti poco più di 2 miliardi e 35 milioni di dollari in tutto il mondo, attraverso 1330 organizzazioni in 22 nazioni. Il problema è che nelle ore immediatamente successive al terremoto, erano state promesse risorse ben maggiori.

Oltre 1 miliardo di euro in più. Basta scorrere le pagine del rapporto dell’Ocha per rendersi conto che il 43 per cento dell’intera cifra raccolta nel mondo proviene da privati (874.608.740 dollari) anche se non sono ancora disponibili 85.692.647 milioni. Dai grafici si deduce poi che, nel bilancio

La Grecia in piazza contro gli speculatori Bruxelles deferisce Atene all’Alta corte per aiuti di Stato di Pierre Chiartano aralisi dei trasporti ieri in Grecia, e manifestazioni pacifiche di qualche decina di migliaia di persone per lo sciopero generale, proclamato da diversi sindacati contro le misure di austerità lanciate dal governo, che intende risanare le gravemente dissestate finanze pubbliche. Ad Atene un episodio convulso è occorso a margine della partenza del corteo principale, ma circoscritto a brevi scontri tra la polizia e circa 300 giovani. Complessivamente nella capitale sono scese in piazza 30mila persone, secondo le forze dell’ordine, mentre altre 7mila si sono ritrovate a Salonicco, grande città portuale nel nord ella penisola ellenica. Per i mezzi pubblici è stato il blocco totale. Treni, pullman, autobus, aerei, traghetti e aliscafi degli innumerevoli collegamenti tra le varie isole e isolette del Paese: tutto fermo salvo finestre operative di sei ore ad Atene per far confluire e defluire i manifestanti. In precedenza i sindacati avevano promesso presenze massicce in piazza, sebbene diversi sondaggi pubblicati dai media ellenici abbiano rilevato che la maggioranza della popolazione ritiene necessarie o idonee le misure decise dal governo. Anche perché si sarebbero truccati i conti per poter entrare nell’euro, grazie anche alla compiacenza di banche internazionali che spiegavano come rastrellare fondi per abbassare il deficit. Un sistema che scaricava i debiti sulle generazioni future. Goldman Sachs, la scorsa estate, aveva fatto addirittura una proposta per la gestione strutturata del debito del sistema sanitario nazionale. Operazione che avrebbe aperto un’altra votragine nei conti greci, attraverso la sottoscrizione degli assai esosi Cross currency swap (Ccs).Titoli che non sarebbero stati venduti solo alla Grecia, ma anche ad altri Paesi europei.Invece di tassare la benzina bisogna «Tassare gli speculatori», recitava un cartellone di uno dei manifestanti ad Atene, oppure «le persone e i loro bisogni vengono prima dei mercati e dei profitti», si leggeva su un altro tra quelli presenti all’assembramento della Conferderazio-

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ne dei lavoratori della Grecia, la Gsee. Un’organizzazione che conta circa un milione di iscritti e che ha guidato il corteo principale assieme al sindacato degli statali, Adedy (che ha con 300mila iscritti).

Meno «pacifica» la manifestazione di dissenso di circa 300 giovani che, indossando dei caschi hanno tentato di staccarsi dal corteo per dirigersi ai grandi alberghi del centro della capitale. Una volta bloccati, hanno iniziato a bersagliare le forze dell’ordine con lanci di pietre e bottiglie molotov. Gli agenti hanno reagito con lacrimogeni e fermando alcuni manifestanti; alcuni negozi sono rimasti danneggiati prima che i giovani ripiegassero verso l’università, sono stati lievemente feriti anche due fotografi. Allo sciopero di 24 ore hanno partecipato anche i giornalisti greci, riuniti sotto la sigla Poesy, mentre il Fronte di lotta sindacale, sigla che fa riferimento al Partito comunista, ha indetto manifestazioni separate, richiamando alcune altre migliaia di persone. Allo scopo di ridurre il deficit di bilancio, dal 12,7 per cento del Pil stimato sul 2010, il governo ha, tra le altre iniziative, deciso un aumento di alcune imposte, come le tasse sulle benzine, il blocco delle assunzioni e delle buste paga a tutti gli statali, tagli sui loro bonus e un progressivo aumento dell’età pensionabile. A questo si aggiungono riforme tributarie restrittive su alcune categorie di autonomi, come i tassisti.Nel frattempo ad Atene prosegue la missione dei tecnici di Unione europea, Bce e Fondo monetario internazionale incaricati di verificare i progressi sul piano di risanamento. Sono giunti martedì per incontri a carattere tecnico, ha precisato il governo, che proseguiranno fino a giovedì. A tarda seduta la Borsa di Atene ha segnato un più 0,45 per cento. Intanto la Commissione europea ha deciso di deferire la Grecia alla Corte di giustizia dell’Ue per il mancato rispetto di una decisione della Commissione del luglio 2008. Bruxelles infatti aveva imposto alla Grecia di recuperare gli aiuti di Stato concessi illegalmente a centinaia di imprese attraverso esenzioni fiscali.

Oltre 30mila persone in piazza, secondo la polizia, mentre altre 7mila hanno protestato nelle strade di Salonicco

tra quanto annunciato e quello realmente arrivato a destinazione, i più inadempienti risultano essere il Giappone e l’Unione Europea. Il primo, che a fronte di 45 milioni di dollari promessi, ne ha mandati solo 25 milioni e 327 mila. Per quanto riguarda l’Ue, il confronto è ancora più eclatante: 155.375.857 annunciati, ma solo 15 milioni e 342 mila realmente disponibili. Va precisato, però, che i meccanismi di stanziamento ed erogazione delle risorse del’Ue sono complessi e, dunque, è praticamente certo che, gradualmente il denaro arrivi. In ritardo - tanto da costringere le organizzazioni che operano ad Haiti ad anticipare risorse - ma arriveranno.

Per adesso, la pianificazione è consistita solamente in conversazioni riservate e a porte chiuse, e al centro dell’attenzione dei democratici sono sempre le elezioni di metà mandato a novembre, in cui il partito rischia di subire un duro colpo dai re-

pubblicani del Grand Old Party, che con la conquista del seggio senatoriale del Massachusetts - storico bastione dei Kennedy - hanno inflitto un duro colpo agli avversari. Le fonti dicono comunque che Obama sicuramente vorrà correre per un secondo mandato e ha dato istruzioni ai suoi aiutanti di costruire la campagna sul modello di quella, molto fortunata, del 2008. David Axelrod potrebbe lasciare la Casa Bianca e tornare a Chicago dalla sua famiglia, e riprendersi il ruolo di “direttore creativo” della campagna, ispirandone il tono, i temi, i messaggi e la pubblicita, dicono le fonti. David Plouffe, il capo della campagna di Obama nel 2008, dovrebbe avere un ruolo centrale nel 2012, forse come consulente esterno. Anche se la pianificazione è in fase preliminare, fra solamente un anno la campagna dovrebbe già entrare nel vivo. L’ex presidente Bill Clinton lanciò la sua seconda corsa presidenziale nel marzo successivo alle elezioni di metà mandato, e George W.Bush adottò più o meno la stessa tempistica per lanciare il ticket Bush-Cheney ’04. In ogni caso, anche i repubblicani sembrano non voler rimanere con le mani in mano. Pur non avendo ancora uno sfidante: e di nuovo torna in mente Boston.


cultura

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Libri. Coco, Cavalli, Rosato, De Angelis e Cavicchia: cinque poeti contemporanei si confrontano con l’eterno tema della perdita

Le parole per dire addio Catullo e Foscolo, Apollinaire e Jiménez: nel dolore c’è il filo segreto che lega gli uomini di ogni epoca di Luciano Luisi ella storia secolare della poesia vi sono alcuni grandi temi ricorrenti legati alla nostra condizione esistenziale, che ci rivelano una innegabile verità, volutamente ignorata da chi, riempiendosi la bocca con il progresso della società nelle sue forme esteriori, vuole farci credere che anche l’uomo, come logica conseguenza sia cambiato. E ciò giustificherebbe, anzi renderebbe necessarie quelle ricerche avanguardistiche sul linguaggio per adeguarlo a quest’uomo nuovo. Invece la verità che quei grandi temi dimostrano è che l’uomo è immutabile.

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Uguale ai suoi progenitori, uguale all’uomo che verrà con il passare dei tempi. Immutabile nel suo volgersi al mistero, in cui la nostra vita è immersa, con quelle domande che non trovano risposta, quelle che il grande pittore Paul Gauguin ha riassunto mirabilmente nel titolo di un suo capolavoro: «Da dove veniamo? Che cosa siamo? Dove andiamo?». Quale futuro progresso potrà mai strappare queste domande dal cuore dell’uomo? Immutabile nella sua paura della morte, nelle sue angosce d’amore. E il primo di questi grandi temi è l’amore, questo sentimento che governa la nostra vita, la condizione, l’apre alla felicità e al dolore, e che rende Saffo e Catullo, Ovidio e Apollinaire e Jiménez nostri contemporanei, e contemporanei degli uomini che verranno perché con i loro versi sublimi danno parole a quei sentimenti, a quelle sensazioni, che tutti provano ma che restano oscure e inesprimibili in loro (nei lettori, voglio dire), e quei versi diventano uno specchio rivelatore, confermando la inconfutabile affermazione di Giorgio Caproni: «Chi legge un poeta vero legge se stesso». Anche a chi prova il grande dolore della perdita di una persona amata, i poeti danno parole ( Giosuè Carducci, riferendosi al poeta, ha scritto: «Pianse ed amò per tutti»). L’altro grande tema, consequenziale potremmo dire, è dunque quello della morte. (Ricordiamoci il memento di Giacomo

Leopardi: «Fratelli, a un tempo stesso Amore e Morte / ingenerò la sorte»). Grande tema struggente che porta in sé quelli del dolore, della solitudine, delle domande senza risposta, del tempo che ci trascina nella

«Cos’è assente o presente nelle nostre vite? Assente per noi è forse solo quello che non c’è mai stato», scrive Rainer Maria Rilke sua fuga, e infine della ricerca di Dio. Quale poeta (quale uomo) non ha sofferto il passaggio di una persona amata da quella porta nera? E ne sono esempio quattro poeti di oggi.

Il primo è Emilio Coco che con la raccolta Il dono della notte (Passigli editore) ci fa sentire vicino e sempre inaspettato il fiato della morte. Poeta, traduttore, famoso ispanista, Coco, con versi di esemplare chiarezza, scrive il diario di una agonia: l’agonia, durata circa due mesi fra il luglio e l’agosto, del fratello maggiore, Michele. Le sue poesie sono strofe di un poema unitario che svolge due racconti paralleli: quello del presente, nella clinica, con il progredire quotidiano della malattia, e insieme quello dei ricordi, la rievocazione commossa e tenerissima dei rapporti con questo fratello più grande, insigne latinista, grecista, traduttore, che per Emilio è stato un maestro e una guida, che gli ha insegnato che «in poesia è questione di musica e di ritmo» e lo ha iniziato «ai segreti di quel metro / che amava tanto, il bell’endecasillabo»: lezioni delle quali Emilio ha fatto tesoro. Si delinea così, per pochi cenni, la figura di questo fratello tanto ammirato e ama-

to. Fascinoso, corteggiato dalle donne, anche un po’ prepotente: «Mi soffocavi con la tua bravura / col tuo sapere tutto e aver ragione / sempre e comunque…». Ma qui, nella Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, è Emilio che può dire: «Ora ti tengo / totalmente in balia del mio amore». E questo amore, oltre la ragione, diventa speranza, si fa accorata preghiera. Qui dove Padre Pio, San Pio, è presente ovunque, e a lui Emilio si rivolge: «A modo mio, ma t’ho pregato tanto, / t’ho stretto forte la mano di gesso / quasi fino a spezzarla…», ma poi: «Accenno / una preghiera che si rompe in pianto». Il poema tocca la sua vibrazione più alta (come afferma felicemente anche il prefatore Vincenzo Ananìa), nella strofa finale in cui Emilio

Coco si abbandona all’estrema consolatoria speranza di ritrovare Michele «in quel paese / dove il sole risplende tutto il giorno… lontano dal frastuono della terra». E a lettura ultimata, non si può non pensare al sonetto del Foscolo in morte del fratello Giovanni: «Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo / di gente in gente, mi vedrai seduto / su la tua pietra, o fratel mio, gemendo / il fior de’ tuoi gentili anni caduto». E forse più d’un lettore, alla sola enunciazione del tema di questo articolo avrà recitato mentalmente, il celebre incipit foscoliano dei Sepolcri: «All’ombra de’ cipressi o dentro l’urne / confor-

Nella foto grande, “La morte di Marat”, celebre dipinto di Jacques-Louis David. Qui sotto, “Landscape and Yellow Church Tower” di Paul Klee. Nella pagina a fianco, in alto, la “Guernica” di Pablo Picasso, concepita prima “En muerte del torero Joselito” Più giù, “Il trionfo della morte” di Bruegel

tate di pianto è forse il sonno / della morte men duro?».

Torniamo ai nostri giorni con un altro poeta, Ennio Cavalli, autore della raccolta L’imperfetto del lutto (Aragno editore). Cavalli, che ha recentemente vinto il premio Viareggio, ed è stato finalista al Campiello con un romanzo, piega qui il suo linguaggio pirotecnico («Un autentico caleidoscopio poetico», lo definisce Alessandro Fo), la personalissima alchimia dei suoi versi, al realismo di un avvenimento tragico e assolutamente imprevedibile, come l’improvvisa morte della sua amatissima compagna. E la

prima invocazione, quella che apre questo libro, che potremmo definire un canzoniere, è tipicamente sua: «Dio bono, credo che un giorno mi dirai con calma / perché togliesti al mondo la sua anima…». La sua compagna, Paola Malavasi, era una poetessa (c’è nel libro una sua poesia e una che le dedica Derek Walcott) e aveva soltanto quarant’anni. Cavalli, ancora incredulo di ciò che è accaduto nel giro di una quarantina di minuti, in alcune intense pagine di prosa intitolate Destini incrociati, lo racconta a lei. Le dice che si trovavano in albergo a Venezia, proprio per quel Campiello, quando a un tratto ha sentito un tonfo. Lei era per terra: sembrava fosse un malore passeggero, era invece la morte che la portava via. La poesia di Cavalli, «indocile e non stretta da regole», come la definisce Roberto Roversi, non dà spazio al sentimento, non si concede al dolore che si manifesta invece vincendo faticosamente il


cultura

suoni» di cui parla da grande esperto Franco Loi.

Una analoga dolorosa vicenda accomuna Cavalli e Rosato a Milo De Angelis che ha perduto prematuramente la moglie, la nota poetessa Giovanna Sicari. A lei De Angelis ha dedicato nel 2005 la raccolta Tema dell’addio, dove l’analogismo rilevante nella sua poesia si compenetra con una visione oggettiva chiamata dalla memoria: «Un improvviso ci porta nel dolore / che tutto ha preparato in noi, nell’attimo / strappato al suo ritmo, nel suono / dei tacchi, nel respiro / che si estingue: era un pomeriggio / d’agosto tra le ombre della tangenziale, / il nostro niente / da dire, filo di voce, scena muta». Ora, prima di affrontare la quarta raccolta, pur sapendo

pudore, nella minuziosità della cronaca, nei giorni vuoti di lei: «Mi sembra che spogliarmi / per andare a letto / stanotte, ogni notte, / sia un non poterti aiutare / se hai bisogno, se chiami. / Vorrei che mi trovassi pronto, / con le scarpe ai piedi. / E se non chiami, se non chiami più? / Verrò lo stesso, verrò di corsa, / sai dirmi dove?».

Da tre anni ormai, da quando è scomparsa la moglie (Tonia Giansante, raffinata poetessa e scrittrice) il mondo espressivo di Giuseppe Rosato si è chiuso nel percorso doloroso della memoria di lei, e a lei, a poca distanza l’una dall’altra, ha dedicato due raccolte: La traccia di beltà nel 2006 e l’anno successivo Adesso quel pensiero che ripropone tutti i versi che dagli anni delle giovinezza aveva scritto per Tonia. Ora Rosato, «uno di quei poeti appartati che han dato vita alla letteratura italiana», scrive Franco Loi nella prefa-

zione, si affida al suo dialetto abruzzese di Lanciano, che lo pone tra i migliori dialettali italiani, come se volesse rivivere con questo linguaggio con il quale parlavano fra loro, quella felice intimità. Ma a noi, con sgomento svela, che il tempo nulla ha potuto per mitigare la pena della sua solitudine: «Lo so, sono gli occhi, sono questi occhi che da quando / mi si sono invecchiati mi fanno vedere / quello che non c’è / l’ombra che vedo muoversi come passo / da una stanza all’altra / (è un’ombra o un lampo?, come quando / si apre e si richiude una finestra / contro il sole) il tempo di alzare / la faccia e già non c’è più niente, e vado allora stanza per stanza / a ritrovarla…». Certamente la citazione nella traduzione letterale italiana, non fa godere della «musicalità rara», «la qualità dei ritmi e dei

che non si può ipotizzare – come dire? – una gerarchia del dolore, del vuoto che una morte lascia, perché molto dipende dalla sensibilità di chi resta a piangere quella morte, tuttavia credo si possa dire che se la scomparsa di un parente pur amatissimo, o peggio ancora della propria compagna di vita, specialmente se ciò avviene in età avanzata, può trovare il balsamo del tempo, o la morte dei genitori, che ci fa sentire improvvisamente soli nel mondo, ma che si accetta perché è una legge della natura, c’è invece una morte che lascia una ferita

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inaccettabile immedicabile, proprio perché contraddice quella legge della natura, ed è la morte di un figlio. Tanti poeti ci hanno trasmesso questa inguaribile pena. E mi viene alla mente la folgorante intuizione di Mario Dell’Arco che immagina il suo incerto, titubante ingresso nell’altro mondo dove il suo bambino di pochi anni, ma che già da molti lo ha preceduto, va a riceverlo: «Tu lo sai quand’è l’ora, e io t’aspetto. / In petto er core è un sasso: / Buffo che un regazzino / insegni er primo passo / a un omo: Tu me guardi e io cammino». E come non ricordare i privati, indifesi versi di Giuseppe Ungaretti: «Ora dov’è, dov’è l’ingenua voce / Che in corsa risuonando per la stanza / Sollevava dai crucci un uomo stanco … / La terra l’ha disfatta, la protegge /

Un passato di favola…». O la liberatoria affermazione di Elio Filippo Accrocca, per il figlio diciottenne schiacciato dalla moto contro un albero: «Non t’accadrà più nulla». Ora a questi poeti si aggiunge Daniele Cavicchia con un libro dedicato a sua figlia Micol, scomparsa nel fiore dell’adolescenza: Dal libro di Micol (Passigli editore). E si chiede: «Dove trovare le parole giuste / per ricomporre la sua immagine, / quelle che scrivendo di lei / non periranno nella pagina?». E ancora; «Una parola magari che incarni l’amore / in forma di preghiera

per poterti ascoltare». Le ha trovate suo padre queste parole, come ci suggerisce l’umanissima nota di Fabrizio Dall’Aglio: «Non ho conosciuto Micol. Ma è giusto dire che non ho conosciuto Micol?…L’ho conosciuta perché ogni vita è anche la nostra che le si svolge a fianco». E cita Rilke: «Cos’è assente o presente nelle nostre vite? Assente per noi è forse solo quello che non c’è mai stato». E Micol c’è, è fra noi, la troviamo in queste pagine talvolta convulse, fra questi versi dal respiro narrativo che, come scrive Marco Tornar nella prefazione «scardinano la resistenza del lutto». C’è, dentro la malinconia che permea tutto il libro (tutta la vita di Cavicchia), una raggelata disperazione che trova nel verso lungo (come un canto, come un’invocazione) il più giusto strumento espressivo: «Anche ottobre è andato e tutti i mesi dell’anno / e tutti i giorni di tutti i mesi sono andati / e tutte le ore di tutti i giorni e tutti i secondi… / il tempo è andato, Micol, e con lui tutto è andato». Tutto è andato via con Micol e il padre ha perduto il rapporto con la realtà, con le cose: «Non la vedi sul letto. / Pensi sia guarita lontano da te. / Era lei questa stanza, ora è solo una stanza, / prima era lei questa casa, oggi è solo una casa».

Io ho conosciuto Micol, la sua dolcezza, la sua intelligenza. E un giorno, da una piccola finestra, ho guardato, sconvolto, la sua immobile agonia. Quell’immagine è rimasta angosciosamente stampata in me. Ora ho ritrovato Micol viva in questo libro che strappa la commozione. E anche per le quattro raccolte di cui abbiamo parlato potrebbero valere le parole che Carlo Bo scrisse per i versi che Accrocca aveva dedicato al figlio morto: «La pietà, il dolore si sono trasformati in un sentimento più alto di comprensione e di comunione. Questo è il risultato più alto della poesia quando sia chiamata a bagnarsi del sangue stesso della vita, a farsi per quanto le è consentito carne». Ogni volta cioè che vita e letteratura coincidono.


spettacoli

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Musica. Il successo mondiale di “The element of freedom”, il nuovo album della Keys in collaborazione con l’eterna rivale Beyoncé

Alicia nel paese delle meraviglie di Valentina Gerace n un momento musicale in cui novità fa spesso rima con banalità, in cui la musica è diventata quasi uno stage per apparire, per raggiungere fama, riconoscimento o semplicemente per aderire a uno stereotipo, un’artista genuina e semplice come Alicia Keys si fa sicuramente notare. Autentica, moderna, sofisticata e alla moda senza dubbio. Ma anche classica nel suo comporre canzoni senza tempo, romantiche, sincere. Sensuale, estremamente femminile, sicura di sé ma senza mai esagerare. Molti la conoscono per il suo famosissimo duetto con Jay-Z nel brano Empire State Of Mind, tutto hip pop e sensuale energia R&B, un inno alla sua NewYork, in un video dominato dal suo pianoforte e da un look trasgressivo, in contrasto con la sua voce romantica e delicata. Non lo si può davvero negare.

I

Alicia Keys ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per sfondare. Il 15 dicembre è stata una data importante per i suoi fan. Dopo un capolavoro come As I Am, album più venduto del 2008 nel mercato americano con il quale la giovane diva dell’hip pop statunitense si è portata a casa ben tre Grammy Award, è arrivato il suo quarto successo, The element of freedom, prodotto con la J Record e registrato presso l’Oven studios di Long Island, New York. Raggiunge presto la seconda posizione della classifica Billboard e vende quasi 420 mila copie nella sua prima settimana dall’uscita. Le aspettative per questo ritorno sono davvero alte, ma Alicia Keys non solo non delude, dimostra anche di essere migliorata come cantante e come produttrice e compositrice. Senza ombra di dubbio l’artista più acclamata della nuova black generation, in grado di coniugare lo spirito del soul tradizionale con l’R&B più moderno e il pop da classifica, raccoglie in questa ultima produzione, 14 canzoni senza tempo, con un’impronta old school: pianoforte in primo piano e la sua splendida voce sempre più convincente. Entusiasmano sin dal primo ascolto i primi due singoli estratti: Doesn’t Mean Anything (ballata elegantissima e di atmosfera) e Try Sleeping With A Broken Heart, mid-

In questa pagina, alcune immagini dell’artista Alicia Keys, tornata recentemente sotto i riflettori grazie a “The element of freedom”, il nuovo (e attesissimo) album realizzato in collaborazione con l’eterna rivale Beyoncé

tempo sostenuta da un beat che sembra riprodurre il battito del cuore, a servizio di un testo di struggente romanticismo in cui la brava cantautrice sfodera tutte le sue doti di compositrice. Spiccano poi Un-thinkable (I’m Ready), con la partecipazione di Drake, Love Is My Disease, che trasuda emozioni, How It Feels To Fly, un inno alla gioia con tanto di coro gospel. Il livello è alto e omogeneo per tutte

devono essere scoperti. A collaborare con lei dietro le quinte, i produttori Jeff Robinson, Peter e Kerry “Krucial” Edge Brothers. Il singolo del disco Doesn’t Mean Anything e l’intensissima versione del brano Empire State Of Mind (Part II) contenuta nel disco di Jay-Z ma qui interpretata solo da Alicia e il suo romantico pianoforte. E ancora l’hit di successo Put It In A Love Song in cui duetta con la sensualissima di-

Il disco unisce tradizioni della musica black con una tecnica moderna, sofisticata ma allo stesso tempo romantica e intima le tracce. Il risultato è un album che unisce tradizioni e radici della musica black con una cantabilità moderna, sofisticata ma allo stesso tempo romantica e intima. Tanto pianoforte. Ma pieno di colori tutto intorno.Tastiere, sintetizzatori anni ’70’80, percussioni e groove tipicamente hip pop.

Ma la voce resta la protagonista. Vulnerabile, dolce, romantica, delicata. Un mix di energia, dolcezza e melodie efficaci, dei testi che

va Beyoncé, rivale di sempre con cui sembra aver raggiunto una certa simbiosi. Disponibile in due versioni quella standard e la deluxe contenente un dvd con performance dal vivo, il making of delle sessioni in studio durante la registrazione dell’album e del video, il videoclip del singolo Doesn’t Mean Anything oltre alle due bonus track Throufh It All e Pray For Forgiveness scritta insieme a Linda Perry. The elements of freedom non è più un disco di

debutto. È la verità di un’artista ormai matura. Che ha conosciuto gioie e sofferenza. Ha assaporato l’amarezza del distacco, della perdita. Il senso di vuoto che viene da una realtà a cui non sempre è facile dare un senso. Dopo il suo terzo disco, As I am, Alicia Keys racconta di aver trovato la strada per esprimere se stessa al cento per cento, per essere felice. «Non esiste una formula per la mia musica, è semplicemente radicata nel mio cuore e nella mia anima» dice Alicia introducendo il suo nuovo successo. Un viaggio verso il senso di libertà. Senza limiti o inibizioni. Gioie, dolori, esperienze di vita tradotte in musica, espresse con un discreto pianoforte, elegante, sofisticato, romantico. Coronato da un energico e travolgente groove hip pop.

Pianista, chitarrista, cantante, compositrice, produttrice, arrangiatrice, attrice e persino poetessa. Età: 29 anni. Si chiama Alicia Augello Cook ed è figlia di madre italiana-scozzese e padre afro-americano. La stella newyorkese dell’hip pop si è costruita un repertorio di hit e risultati senza

paragoni, con oltre 20 milioni di copie vendute nel mondo e ben cinque Grammy, tra cui Miglior Nuovo Artista e Miglior Album R&B. Inizia a suonare il pianoforte a 7 anni. Segue la Professional Performiing Art School ed è alla Columbia University che si rende conto che è la musica la passione e il mestiere della sua vita. Il suo album di esordio del 2001 Songs in A Minor è un successo formidabile. Vende più di 12 milioni di copie in tutto il mondo, portandola sul trono degli artisti nuovi del 2001. The Diary of Alicia Keys del 2003, sette volte disco di platino grazie a brani di successo quali If I Ain’t Got You, You Don’t Know My Name e Karma, si è aggiudicato quattro Grammy. Con l’Unplugged (2005), che ha venduto due milioni di copie, la Keys è diventata la prima artista femminile R&B ad avere ottenuto tre debutti consecutivi numero uno della classifica Billboard 200 con altrettanti dischi. Ma Alicia Keys non è solo fama e sensualità.

Sempre sensibile ai problemi sociali, continua in prima persona ad impegnarsi per l’acquisizione di fondi a favore dell’associazione “Keep a Child Alive” che aiuta bambini e famiglie povere dell’Africa e dell’India nella lotta contro l’Aids. E coinvolge i fan che acquisteranno il cd The Element Of Freedom a sostenere con il contributo di 5 dollari questa iniziativa. L’hip pop è sicuramente un genere di successo oggi. La colonna sonora della vita della maggior parte dei giovani. Ma davvero un singolo che invade le classifiche o le radio per qualche settimana può essere considerato vera musica? Alicia Keys fa parte di questi tempi. Eppure ha dimostrato di fare una musica diversa. Una musica che dura nel tempo. Quella che si ascoltera dopo anni, e che emozionare come nel momento della sua uscita. Il suo merito è oltre al suo innato talento, la sua totale originalità. Canzoni uniche, profonde, oneste. Un beat R&B, energico, ritmato, hip pop. Ma anche una voce calda, dolce, intima. Una musica che soddisfa proprio I gusti di tutti. Di chi apprezza l’hip pop ma anche le belle canzoni. Quelle che restano. In classifica, sicuramente. Ma sopratutto nel cuore.


sport a alcuni giorni la schermata del sito ufficiale delle Olimpiadi di Vancouver sembra essere diventata per i colori azzurri un fermo immagine: nulla si muove. Tre bronzi e un argento. Mettiamola così: potrebbe andare meglio. Termometro infallibile del fallimento della spedizione italiana sono come sempre le prime pagine dei giornali. La rosea, ovvero La Gazzetta dello Sport, che sta ai giornali sportivi come Tex Willer sta ai fumetti, ha sempre dedicato un ampio spazio alla manifestazione canadese, con aperture dai toni entusiastici e ampi servizi negli spazi demandati. Fino a ieri. Oddio, a voler essere sinceri le pagine su Vancouver sono sempre un buon numero, ma la spia di quanto queste Olimpiadi oramai non rappresentino un appeal per le vendite è dimostrato da quel piccolissimo riquadro in fondo a destra, quasi invisibile: “Blardone e compagni: un gigantesco flop”. E appena sopra: “Oro allo svizzero Janca”. Siamo sinceri: non sappiamo se rammaricarci più per il flop di codesto Blardone o per l’oro alla Svizzera.

In questa pagina, alcuni scatti dei nostri azzurri alle Olimpiadi invernali di Valcouver: Massimiliano Blardone, Enrico Fabris, Armin Zoeggeler, Carolina Kostner e Magda Genuin

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La Svizzera, capite? Ma mica per invidia, ché tutto sommato una buona tradizione sulle discipline invernali ce l’ha sempre avuta. Il fatto è che adesso, riascoltando il discorsetto che fa Harry Lime alias Orson Welles a Holly Martins alias Joseph Cotten... a proposito, ve lo ricordate? Sai che diceva quel tale? In Italia, sotto i Borgia, per trent’anni hanno avuto assassini, guerre, terrore e massacri e hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e di democrazia e cosa hanno prodotto? Gli orologi a cucù». Adesso, dicevamo, dovremo pensarci due volte, perché sarà pure tutto vero quello che dice il cinico Lime, ma è altrettanto vero che d’ora in avanti agli orologi a cucù dovremo aggiungere anche un bel po’ di medaglie d’oro. Sei, al momento. Quindi, se non ci rimane neanche la consolazione del cinema, finora nostra unica ancora di salvezza, come possiamo rimediare a questo sfacelo? Sentite qualche titolo: “Altro che riscatto, l’incubo

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Cartolina da Vancouver. L’impietoso bilancio del nostro medagliere

Per l’Italia l’importante è (solo) partecipare di Alessandro Boschi

Finora abbiamo acciuffato tre bronzi e un argento. Certo, potrebbe andare meglio. Eppure ci piace andar fieri anche di tutte le medaglie di legno continua”. “L’Italia resta a secco”, “Dovrebbero cacciarci tutti”, detto da un nostro consapevole atleta. Unico controcorrente il buon Alberto Tomba, che vaticina l’arrivo di tre medaglie.

Hai visto mai. Se però stessimo sbagliando tutto? Se invece queste Olimpiadi fossero quelle della svolta? Con tutti quei quarti posti che ci siamo beccati abbiamo in fondo dimostrato che per noi italiani, oltre ogni ragionevole dubbio, è davvero più importante partecipare che arrivare primi. Si ha un bel dire che non è importante vincere bensì partecipare. Bisogna anche dimostrarlo, esattamente come stiamo facendo noi. Ecco, questo è l’elogio del legno, il materiale di cui sono fatti i sogni dei veri sportivi. Ad essere sinceri questa è una frase rubata dal finale di quel bellissimo film di John Huston

Il mistero del falco: The stuff that dreams are made of. Visto che siamo in tema di revisionismo cinematografico e che stiamo alterando alla bisogna alcune delle frasi più belle della storia del cinema, per simmetria, se da una parte togliamo dall’altra possiamo anche aggiungere.

Quindi, da oggi, quando sentirete dire che gli atleti che hanno partecipato alle Olimpiadi di Vancouver e Whistler in Canada sono stati capaci di vincere solo un sacco di medaglie di legno non prendetelo come un insulto. Perché è invece la dimostrazione di quanto i nostri abbiano saputo incarnare in una maniera che definirem-

mo transustanziazionale questo nobile principio decoubertiniano. È facile essere dei bravi sportivi vincendo sempre, provate ad esserlo senza vincere mai. Era tempo che si rivalutassero certi principi. Peraltro, dimostrazioni di grande civiltà sportiva, non sono così frequenti. Ci piace ricordarne una avvenuta alle Olimpiadi di Torino, quattro anni fa, durante lo svolgimento della gara sprint di sci di fondo. Ebbene, una canadese, Sara Renner, spacca per la troppa foga uno dei suoi bastoncini e rimane in panne. Tutto finito? Gara persa? Nemmeno per sogno, nonostante la neve entra in scena la cavalleria. Bjørnar Håkensmoen, capo squadra norvegese la vede in difficoltà e le passa un bastoncino dei suoi. Al termine della gara, e solo grazie a questo gesto davvero d’altri tempi, la canadese contribuisce a far vincere alla sua squadra la medaglia d’argento. E indovinate chi invece esce dal podio? Esatto, proprio la Norvegia guidata da quel signore di Bjørnar Håkensmoen.

È molto vero che però i vincitori sono sempre più belli, più eleganti, più sorridenti e, spesso, anche più magri. Questo perché la cultura dello sport, vive da sempre su un equivoco. Noi, tutti, siamo convinti di essere dei gran sportivi, leali e generosi, perché quando vinciamo riconosciamo il valore dell’avversario. Sciocchezze, ditemi quanti di voi non si sono messi a sghignazzare dopo il rigore di Grosso nella finale dei campioni del mondo di calcio segnato contro i nostri cuginetti francesi? Ve lo dico io: nessuno. Certo, come si fa sempre al termine di una gara vinta: prima ci si congratula con lo sconfitto, poi si ride con i compagni di squadra e, infine, si sghignazza in maniera indecente. Per questo, le tante medaglie di legno che la nostra squadra si è aggiudicate vanno interpretate nella maniera giusta. Il fatto è che purtroppo chi non vince viene sempre dimenticato. Non serve più a nulla, non può rappresentare un modello. Fateci caso, a dire che l’importante è partecipare sono sempre e soltanto i vincitori. Un’Olimpiade, un Mondiale, non sono purtroppo come il Festival di Sanremo. Quando nel 1966 Adriano Celentano presentò Il ragazzo della Via Gluck non vinse nulla, ma vendette tantissimi dischi. Se un atleta arrivato quarto a Vancouver si presenta l’anno prossimo a Sanremo, non lo fanno nemmeno entrare in sala.


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE

Manifesti illegali: il governo mette la fiducia sulla legge della giungla Non sono tanti quelli che si scandalizzano per i manifesti selvaggi affissi per strada. In diversi, invece, si stracciano le vesti su una informazione presunta imbavagliata dai regolamenti della commissione di Vigilanza radiotelevisiva; non si vuole digerire che sia stata sancita parità di condizioni e di accesso e sia stato posto un freno all’uso privatistico che trasmissioni e conduttori fanno del mezzo pubblico. Ed ecco, quindi, cosa accade: per la campagna elettorale ci sarà certezza della legge della giungla, la legge del più forte, del più prepotente. Sulle strade e nei muri non sarà in vigore la legge che disciplina le affissioni pubblicitarie, ma il manifesto selvaggio sancito dalla legge che disapplica la legge. La sanatoria del decreto “milleproroghe” costerà alle casse degli enti locali (per minori introiti e per costi di ripulitura) circa 100 milioni di euro. Alla faccia del federalismo. La norma prevede che fino all’entrata in vigore del decreto (la cui pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è prevista per il 10 marzo) i partiti e i comitati elettorali potranno imbrattare a piacimento i muri e pagare mille euro di sanzione, non a violazione commessa, ma forfetario per tutta la campagna elettorale e per tutto il comune!

Donatella

OLIO DI OLIVA AL POSTO DI OPPIO? Il ministro degli Affari Esteri, Franco Frattini, in un’intervista al Quotidiano di Sicilia ha ventilato l’ipotesi di produrre in Afghanistan olio di oliva al posto di oppio. Un tentativo per indurre i coltivatori di quel Paese a non continuare a vendere i propri prodotti al mercato clandestino del narcotraffico che, dall’Afghanistan, invade essenzialmente l’Europa. A parte gli aspetti tecnici di piantagioni di ulivi a quelle alture (tutte da verificare), il nostro ministro fa un’ennesima proposta buonista che non sta in piedi. Ennesima perché non sarebbe la prima volta che in Afghanistan si fanno investimenti per colture alternative all’oppio e, puntualmente, per evidenti problemi di ricavi economici, i coltivatori incassano i soldi erogati alla bisogna e tornano a coltivare i loro papaveri da oppio. Buonista perché parte dal presupposto di ciò che uf-

ficialmente sia bene o male e, stabilito che la droga sia “male”, procede a vanvera. Cioè senza rendersi conto di quella realtà, delle loro necessità, dei loro tempi e di un conflitto politico in corso, che non ha alcuna intenzioni di farsi penetrare da culture e colture a loro estranee, quella dell’ulivo per l’appunto. Per avvallare queste proposte si tengono ben nascosti i fallimenti delle politiche di eradicazione e sostituzione delle colture che costano ingenti risorse umane e finanziarie. È dello scorso ottobre l’ennesimo rapporto dell’ufficio Onu contro la Droga e il Crimine, incentrato su “Tossicodipendenza, Criminalità e Insurrezione” in Afghanistan, rapporto che documenta il fallimento delle politiche mondiali in quel Paese. Il problema, invece, potrebbe essere incanalato nella produzione legale di oppiacei per la cura del dolore andando a incontrare la domanda reale di

Musica da campo Quale modo migliore per ritrovare l’ispirazione, che trascorrere un po’ di tempo all’aria aperta? Deve aver pensato il pianista taiwanese Chen Kuan-yu (nella foto). Stufo di teatri e palcoscenici, l’artista ha deciso di esibirsi in una location più “bucolica”, tra le risaie di Chishang, a Taiwan

analgesici per miliardi di poveri. Una direzione sanitaria che non sarebbe tanto campata in aria, visto che sono già diversi i Paesi nel mondo che si stanno attrezzando per il recupero di quelle droghe oggi illegali che, invece, possono essere utilizzate nelle terapie del dolore. Tendenza a cui anche l’Italia non è estranea: lo scorso 27 gennaio il Senato ha approvato un’ordinanza sulla cannabis terapeutica, grazie alla quale da subito si può partire per la produzione e distribuzione italiana di que-

L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

sto farmaco antidolore. Questo a significare che il tabù sulle attuali droghe illegali è superabile se si affronta la questione da un punto di vista medico e scientifico. Punto di vista che potrebbe essere utilizzato altrettanto in Afghanistan, trasformando quel Paese nel produttore per eccellenza di oppiacei contro il dolore. È solo questione di scelte accurate e non, come quelle del nostro ministro Frattini, solo propagandistiche e inutili.

Donatella Poretti

da ”Le Figaro” del 24/02/10

Raffinerie, Casinò Total lla Total è stata stabilita una tregua con i dipendenti, almeno temporaneamente. Lo sciopero che nei giorni scorsi aveva portato a un blocco della distribuzione dei carburanti e alla riduzione delle scorte strategiche di benzina della Francia, sembra scongiurato per il momento. Così anche lo spettro di lunghe file alle stazioni di servizio per il mancato rifornimento di carburanti sulla rete francese.

A

Il consiglio d’amministrazione di Total, messo sotto pressione dall’Eliseo e dal governo, ha finalmente accettato di rivedere i suoi piani industriali, promettendo di garantire per altri cinque anni l’attività delle raffinerie francesi, ad esclusione di quella di Dunkerque. Impianto da dove era invece iniziata la protesta dei dipendenti, poi allargatasi agli altri sei stabilimenti sul territorio francese. Il problema è sentito tanto che il governo ha promesso di stabilire una tavola rotonda sul futuro del settore nella seconda parte dell’anno. Preoccupati per il loro futuro, tutti i dipendenti della Total francese erano entrati in sciopero per una settimana, portando il Paese a un passo dal lasciare a secco le pompe di benzina. «Riprendiamo il lavoro come decisione unilaterale – aveva dichiarato il delegato sindacale della Cgt, Frank Mantle – ma dovremo decidere nella prossima riunione». Solo una tregua dunque che non comprende ancora i lavoratori della raffineria di Dunkerque, naturalmente. Mercoledì mattina, infatti quei dipendenti hanno deciso di continuare con l’astensione dal lavoro. Non si prenderanno altre decisioni prima dell’8 marzo, quando ci sarà un’assemblea generale dell’azienda petrolifera.

«Sono molto fiducioso che le attività riprenderanno in tempi rapidi», aveva dichiarato il direttore delle risorse umane di Total, Francois Viaud. La compagnia petrolifera francese ha intenzione di fermare le attività di raffinazione presso l’impianto di Dunkerque a causa della recessione che ha eroso la domanda per i prodotti petroliferi. Infatti, se i sindacati hanno ottenuto soddisfazione su due punti (un piano di investimenti per l’attività di raffinazione in Francia, e la creazione di una tavola rotonda sul futuro del settore, cui partecipa anche il governo) la loro richiesta di vedere la raffineria di Dunkerque riprendere la sua attività sembra compromessa. Per giustificare l’arresto del processo di raffinazione, la gestione della Total evoca un problema annoso: il calo strutturale della domanda di carburante.

Lunedi, ha però ribadito la sua intenzione di garantire a ciascuno dei 370 lavoratori della raffineria un posto di lavoro che corrisponda alle loro competenze. In questo conflitto, poche settimane prima delle elezioni regionali, il governo ha ripetutamente battuto il pugno sul tavolo. Tre incontri, a Bercy e all’Eliseo, con il capo della Total e il suo presidente del consiglio di amministrazione, sono comunque stati necessari per giungere ad una soluzione. Christian Estrosi, ministro

dell’Industria, non ha esitato a chiedere un ultimatum per la compagnia petrolifera «o un progetto complessivo che preveda la data esatta d’attuazione di nuove attività o la ripresa immediata del lavoro nella raffineria Total di Dunkerque», aveva avvertito. Dopo un incontro con i sindacati, avvenuto martedì scorso, Total aveva acconsentito di rivedere la gestione generale della produzione «con un piano di investimenti di cinque anni, che non comporti alcuna riduzione, chiusura o vendita di nessun impianto di raffinazione in questo periodo».

Da New York, dove si trovava per lavoro, il presidente di Total, Christophe de Margerie aveva ventilato anche la possibilità di ridurre la capacità di raffinazione del gruppo in altre aree geografiche rispetto alla Francia. «Abbiamo le capacità in Africa e abbiamo possibilità produttive in tutta Europa», aveva affermato, aprendo un spiraglio a una possibile trattativa.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog

dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Il dolore e il ghiaccio ti sono più vicini di me Se Dio mi avesse concesso di poter respirare dove tu respiravi, e di trovare il posto - da sola, di notte - se io non riesco a dimenticare che non sono con te, e che il dolore e il ghiaccio ti sono più vicini di me. Sai desidero con una forza che non posso reprimere, che mio fosse il posto della Regina, l’amore del Plantageneto è la mia unica scusa. Per poter essere più vicina dei nuovi presbiterii e più vicina della nuova uniforme che il sarto ha cucito, i giochi del cuore che si diverte sul cuore, una sacra vacanza, questo mi è vietato. E me lo fai ripetere - ho paura che tu ne rida - quando io non vedo, ma «Chillon» non fa ridere. Signore, ce l’hai tu il cuore, è nella stessa posizone del mio, un po’ sulla sinistra. Ha per caso,quando si sveglia di notte, la stessa apprensione - un tamburellare interno - una melodia sorda? Tutto questo è sacro, Signore (con reverenza), io tocco cose consacrate, ma coloro che pregano, osano l’espressione «Padre!» Tu dici che io non ti dico tutto, Margherita si è confessata e non ha negato. Il Vesuvio non parla, l’Etna non parla. Hai pronunciato una sillaba mille anni fa e Pompei l’ha udita e si è celata per sempre, non poteva più guardare il mondo in faccia da allora - credo - timida Pompei. Emily Dickinson a un destinatario sconosciuto

ACCADDE OGGI

PERCHÈ L’AMMINISTRAZIONE NON L’ACQUISTA? La statua del toro dorato, di Balzano, posta in piazza Scalpellini a Lucca, ha destato apprezzamenti positivi da parte della cittadinanza, che all’inizio era rimasta perplessa. In qualsiasi ora del giorno, possiamo vedere bambini che giocano con la statua o turisti che si accingono a fotografarla. Questa statua d’oro non è per niente incongrua con il paesaggio urbano medioevale circostante, già contaminato da vestigia romane. L’accostarsi di più stili, sopratutto in urbanistica genera un paesaggio postmoderno che risulta, con l’inserimento del toro più che apprezzabile. Allora perché non stimolare l’amministrazione all’acquisto della statua? Basterebbe solo un basamento ovale in pietra serena su cui poggiarla. D’altronde su questa statua molte sono state le venature culturali con cui è stata accolta, e anche se nata come dependance di una mostra, è un’opera più che valida. L’immagine del toro caduto ci rimanda al carnefice e alla vittima, ma anche alle difficili decisioni dell’uomo, che rimanda, rimanda, dovrà poi “tagliar la testa al toro”. Toro come punizione. Con Dante nella Divina Commedia, il Toro è a guardia dei violenti, come a ricordare il mito greco che lo faceva rappresentante della parte istintiva dell’uomo, la mattia bestiale, in contrapposizione alla razio. Per gli antichi egizi, fin dalla I Dinastia, il culto del toro Apis è vivo come divinità rurale simbolo della generazione e della forza fecondatri-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

25 febbraio 1695 Terremoto di Santa Costanza: l’evento provoca vittime e danni ad Asolo e nei paesi limitrofi 1798 Roma: una folla di popolani trasteverini e monticiani insorge contro la neonata repubblica, ma la sommossa viene sedata dalle armate francesi 1922 Nella prigione di St. Pierre a Versailles viene ghigliottinato Henri Désiré Landru, seduttore ed omicida di dieci donne, ingannate con la promessa di matrimonio 1964 Cassius Clay diventa campione mondiale dei pesi massimi a soli 22 anni, sconfiggendo a Miami Sonny Liston per abbandono alla settima ripresa 1991 Guerra del Golfo: un missile Scud iracheno colpisce una caserma statunitense a Dhahran, Arabia Saudita, uccidendo 28 marine 1995 Massimo Moratti acquista l’Inter 2008A Gravina in Puglia vengono trovati in una cisterna, i corpi mummificati di Francesco e Salvatore Pappalardi

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

ce. Adorato a Menfi, fu presto assimilato a Ptah, patrono della città, di cui fu riconosciuto come incarnazione. A Ra, Apis deve il disco solare piantato, con l’ureus, tra le sue corna. I sacerdoti di Apis a Menfi, conosciuti durante l’Antico Regno come “Bastoni di Apis” battevano la campagna alla ricerca del Toro recante il marchio divino, marchio che doveva essere presente su più parti del corpo dell’animale. Lo scopo era quello di fare di esso il successore dell’Apis regnante. Quando un Apis moriva, veniva sepolto secondo un rituale preciso, dopo essere stato sottoposto a mummificazione. Al termine del cerimoniale funebre, veniva calato nei sotterranei del Serapeum, dove andava a raggiungere le precedenti incarnazioni del dio.Veniva allora posto sul trono il nuovo Apis, fatto che costituiva un’occasione di festa. Dopo essere stato mostrato al popolo, il Toro divino veniva condotto nel santuario, dove era destinato a vivere con il suo harem di giovenche, per non uscire più se non in occasioni di processioni che richiedessero la sua presenza. Oltre a ricevere offerte dai fedeli, nell’Apeion, il Dio Toro rendeva anche responsi in qualità di oracolo. Flash-back forniti da questa statua dorata: l’Uomo Toro che è in noi, potrebbe anche risvegliarsi tra icone e uso della foglia d’oro, tra la carnalità più sudamericana e le nostre strade. Fino a giungere all’attualizzazione della nuova lama divinante: il Torocco.

APPUNTAMENTI FEBBRAIO 2010 DOMANI, ORE 11, ROMA PALAZZO FERRAJOLI Convocazione Consiglio Nazionale dei Circoli Liberal. SEGRETARIO

VINCENZO INVERSO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Vittorio Baccelli

Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci,

Direttore da Washington Michael Novak

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Collaboratori

Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,

Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati,

Roberto Mussapi, Francesco Napoli,

Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti,

Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)

IL CENTRO TRA CATTOLICESIMO ED ILLUMINISMO (TERZA PARTE) Seguendo l’anticapitalismo e l’anti-illuminismo di Del Noce, come non considerare una giusta conseguenza il pensiero di Emanuele Severino che considera cristianesimo, capitalismo, islam, democrazie e tecnica forze, che alla pari si combattono per prevalere l’una su l’altra, illudendosi di utilizzare quest’ultima (la tecnica) per vincere. Il che significa in realtà inconsapevolmente asservirsi ad essa tanto è potente sopravanzante come capacità di violenza.Forse da quest’errore di idee bisogna partire nel ripensare al significato di Centro prima filosofico (pensiero) che politico (azione). Forse bisognerebbe - senza pregiudizi illuministici o cattolicistici - rileggere la tradizione e localizzare i principi accomunati, che trascendono l’uomo, e farne progetto d’azione. Questi principi sono sì ragionevoli, ma non razionali, nel senso comune di provati empiricamente e scientificamente: altrimenti non sarebbero trascendenti. Dio, la libertà e non violenza, l’uguaglianza di opportunità, la fratellanza e l’amore per sé e gli altri, la tolleranza possono essere incontro a prescindere dal percorso che ognuno di noi ha avuto. Principi eterni sia per fede o perché “è di per sé evidente”, anche se non razionalmente definitivamente dimostrabile. E con la ragione nell’aquesta zione, inevitabilmente sì, relativizzarne il contenuto stopratico. rico Sempre tuttavia tendendo al miglioramento, alla perfezione spirituale e materiale progressiva. Questo era poi, per quanto le frange dell’antirisorgimento cattolico nel passato, come ora nel presente, assieme ai movimenti politici localistici sia nord che a sud lo neghino, ciò che per i Padri del Risorgimento era il significato ultimo di Patria.Valore ideale unificante con il quale una Nazione, elemento oggettivo dettato da confini geografici, cultura, tradizioni, lingua, può concretizzare le sue aspirazioni di ricerca della felicità. Leri Pegolo C I R C O L O LI B E R A L PO R D E N O N E

Mario Arpino, Bruno Babando,

Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,

Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi,

Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,

Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,

Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi,

John R. Bolton, Mauro Canali,

Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,

Franco Cardini, Carlo G. Cereti,

Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli,

Enrico Cisnetto, Claudia Conforti,

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PAGINAVENTIQUATTRO Dissidenti. Dopo 83 giorni di digiuno, è morto tragicamente il nero cubano che lottava contro il regime

Zapata, l’operaio ucciso di Maurizio Stefanini anno ucciso Orlando Zapata Tamayo, l’hanno fatta finita con lui. La morte di mio figlio è stata un assassinio premeditato. Hanno ottenuto quello che volevano. Hanno posto termine all’esistenza di un lottatore per i diritti umani». Reina Luisa Tamayo parla fuori dai denti dopo la morte del figlio, Orlando Zapata Tamayo. Deceduto all’ospedale Amalia Simoni di Camagüey, dopo 83 giorni di sciopero della fame.

«H

Quarantadue anni, idraulico e muratore, nero, Orlando Zapata Tamayo non corrispondeva allo stereotipo del dissidente “bianco e borghese”diffuso dalla propaganda del regime castrista e poi ripreso acriticamente da tanti incensatori dello stesso regime all’estero. Non corrispondeva perché, appunto, quello non è che uno stereotipo della propaganda. Lui era uno dei famosi “75”: i dissidenti che il regime aveva messo dentro nel 2003, approfittando del’opinione pubblica mondiale distratta dagli eventi in corso in Iraq. Un po’ di questi erano stati in seguito tirati fuori, col contagocce: tanto per far vedere che la situazione dei diritti umani stava “poco per volta” migliorando. Ma lui non era stato tra quelli che avevano beneficiato di questi calcolati gesti di liberalità. Un po’ perché si trattava appunto di un poveraccio e non di un intellettuale: meno internazionalmente noto di altri personaggi cui invece era stato concesso di andare in esilio. Un po’ perché era di uno di quei personaggi che evidentemente “esagerano”, se così si può dire, a non chinare la testa di fronte agli abusi. Condannato a tre anni per indisordine subordinazione, pubblico e disobbedienza, Zapata Tamayo avrebbe potuto in teoria tornare in libertà fin dal 2006. Ma di ribellione in ribellione agli abusi delle autorità carcerarie della prigione di Kilo 7, provincia de Camagüey, aveva cumulato altre condanne, fino ad arrivare al totale di

36 anni. Adottato da Amnesty International come prigioniero di coscienza, infine dal 3 dicembre aveva smesso di ingerire alimenti solidi, proprio per protestare contro i continui abusi dei secondini: in particolare, le feroci percosse ai detenuti, di cui secondo la madre sarebbe stato vittima almeno per tre volte, nei giorni precedenti all’inizio del suo sciopero della fame. La risposta individuata da due agenti della Seguridad del Estado, uno dei

do. Ma ormai era tremendamente tardi. Era da trentotto anni che un oppositore anticastrista non moriva per uno sciopero della fame. L’ultimo era stato il 25 maggio 1972 Pedro Luis Boitel: un leader studentesco che dopo aver lottato contro la dittatura di Batista, essere andato in esilio in Venezuela a lottare anche contro il regime di Marcos Pérez Jiménez ed essere tormato a Cuba per partecipare alla finale Rivoluzione contro Batista aveva finito per

da FIDEL Quarantadue anni, idraulico e muratore: Orlando Zapata Tamayo non corrispondeva allo stereotipo dell’oppositore ”bianco e borghese” diffuso dalla propaganda castrista quali identificato dalla madre come «maggiore Roilán», ha consistito nel negargli acqua per 18 giorni, per costringerlo ad abbandonare lo sciopero della fame. Invece, lo hanno ucciso. Al momento dell’arrivo all’ospedale Amalia Sironi, ha testimoniato sempre la madre, «era pelle e ossa, e il suo stomaco un buco». Il peso si era così ridotto che le flebo avevano dovuto essergli messe al collo, e la schiena era piagata per le botte ricevute. Ma solo quando le sue condizioni erano sembrate disperate era stato disposto il suo ricovero. Dapprima nel piccolo ospedale della prigione Cominado del Este, dove lo avevano pure portato in un’ambulanza sotto forte custodia: come se potesse essere nelle condizioni per cercare di scappare. Poi lo avevano portato all’Ospedale Hermanos Ameijeiras, che è considerato uno dei migliori del Paese: secondo i genitori, però, più nell’intento di far vedere che avevano cercato di salvarlo, che non per salvarlo sul serio.

Già in stato grave, un alto ufficiale della Seguridad del Estado aveva allora avvertito che Zapata «avrebbe potuto morire in qualsiasi momento», al che gli esponenti dell’opposizione cubana in esilio si sono mobilitati per cercare di portare questa storia sui giornali di tutto il mon-

scontrarsi anche contro Fidel Castro. Condannato nel 1961 a 10 anni, continuamente torturato, costretto a vedere sua madre umiliata durante le visite, non era stato liberato alla scadenza della condanna e si era messo dunque in sciopero della fame. Concluso dopo 53 giorni con la sua morte. All’inizio del mese in favore di Zapata Tamayo erano scesi in piazza i dissidenti, ma le loro manifestazioni erano state represse dalla polizia con durezza, e a Camagüey 35 manifestanti erano stati detenuti per diverse ore: alcuni di loro venendo anche picchiati. Adesso la sua morte è stata accuratamente taciuta dalla stampa del regime, ma secondo le testimonianze filtrate attraverso Miami di ciò che era successo il regime ha dato un segnale implicito, nel momento in cui ha mandato nuclei rinforzati di polizia per le strade, a prevenire nuove dimostrazioni.

È evidente che il caso Zapata Tamayo è in parte scappato di mano al regime. Ma è pure evidente il crescente limite dei segnali di rinnovamento che pure il regime di Raúl Castro aveva iniziato a dare: tra reintroduzione dell’iniziativa privata in agricoltura, liberalizzazioni dell’accesso a Internet e a beni elettronici, inizio di un prodente dibattito sui mali del Paese in alcuni media ufficiali. Alle manifestazioni organizzate a ottobre a partire da Internet aveva risposto a novembre un pestaggio di Yoani Sánchez, l’ormai celeberrima blogger dissidente. E a dicembre è stato arrestato per spionaggio Alan Gross: un esperto statunitense in cooperazione allo sviluppo e in informatica, che dopo aver lavorato alla campagna elettorale di Barack Obama era stato mandato a aiutare la comunità ebraica cubana a aggirare i filtri su Wikipedia.


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