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Lo sapevi, peccare non significa fare il male: non fare il bene, questo significa peccare

Pier Paolo Pasolini

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • VENERDÌ 26 FEBBRAIO 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

I dati della nostra economia continuano a rappresentare un panorama preoccupante. Nel quadro di un’Unione a due velocità

Destinazione: Atene e Madrid L’Ue dice che il pil italiano del 2010 sarà più basso del previsto.L’Istat che la ricchezza tiene solo nel Nordovest.Se continua così,il nostro futuro non sarà diverso da quello di Grecia e Spagna UNA MONETA SENZA STATO

HANDICAP STORICI

La politica italiana è in movimento

Reggerà l’Euro Fisco e corruzione: senza vera Europa? la nostra condanna di Desmond Lachman

di Marco Respinti

ne di ottimismo o pessimismo: bisogna essere realisti e collazionare bene i dati che gli istituti italiani e internazionali compilano sull’economia italiana. L’Unione europea, ieri, ha comunicato le sue prevsioni sul Pil del 2010: quello italiano si prevede a + 0,7%, ossia meno di quanto il governo (ma non solo lui) sperava. L’Istat, invece, sempre ieri ha fotografato la distruzione della ricchezza nel Paese. Si salva solo il Nordovest. Insomma: l’incubo di finire a far parte dell’Europa di serie B, dietro la locomotiva franco-tedesca, è sempre più concreto.

el 1999, quando venne lanciata la nuova moneta unica dell’Europa, Milton Friedman fece una famosa osservazione: l’euro non sarebbe sopravvissuto alla prima, grande recessione economica del Vecchio Continente. L’enorme crisi del debito che sta affondando la Grecia, la Spagna e il Portogallo – direttamente connessa con la“Grande Recessione”dello scorso anno – sembra suggerire che, alla fine, Friedman aveva ragione. Non sembra troppo presto, per i politici americani, iniziare a immaginare le serie ramificazioni internazionali - economiche e geopolitiche – che potrebbero verificarsi in caso di crollo dell’euro. Il motivo principale alla base della creazione dell’euro è stata politica, invece che economica. All’epoca si pensava che la creazione di un’unica valuta europea avrebbe aiutato la costruzione del sogno di un’Europa integrata, si sperava che avrebbe provocato quel cambiamento economico necessario alle nazioni che affacciano sul Mediterraneo.

elle tabelle compilate da Ue e Istat, c’è qualcosa che manca. Cosa? L’altra faccia della Luna, quella che resta sempre nascosta e che però, caspita se esiste. In quei conti non entra tutto quel cumulo enorme di vere e proprie ricchezze ancorché sommerse che nell’Italia Paese dei cento campanili si dividono pur’esse per fattispecie geografiche. Del Nordest non entrano in quei conti il “nero” e l’evasione fiscale. Del Mezzogiorno non entrano in quei conti i redditi da attività criminale. Del Centro, soprattutto di Roma, ma anche del suo resto, e pure del resto d’Italia, in ogni luogo cioè dov’essa alligna, non entrano in quei conti (comprisi quelli stilati dalla Ue per prevedere il nostro Pil) gl’introiti mascherati frutto di corruttele assortite e acquisite. Intendiamoci, non è che si debba fare di ogni erba un fascio, ma malaffare e l’immoralità proliferano là dove c’è denaro e potere, e questo paradossalmente dice che sotto l’infezione esiste un corpo sano (nessuno ruba in forzieri vuoti).

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di Francesco Pacifico

ROMA. Non è più solo questio-

Ora Fini e Tremonti cominciano a pensare alla Terza Repubblica

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L’insofferenza di Berlusconi verso il partito (con il richiamo alle armi della Brambilla) e il rischio che al Nord la Lega distrugga elettoralmente il Pdl mette in moto i due big. Che, in un convegno a Roma, si incontrano con D’Alema Funiciello, Novi, Paradisi • pagine 4 e 5

Dietro l’inquinamento del fiume, una storia di ignoranza e corruzione

Sì alla Commissione d’inchiesta sul “global warming”

Il Lambro, la faccia sporca del Boom

Accogliamo l’appello di Ripa di Meana

Verso l’arresto del senatore Pdl in attesa dell’interrogatorio di Scaglia

La scoperta del petrolio riaccende la tensione fra Londra e Buenos Aires

di Giuseppe Baiocchi

Schifani “licenzia” Di Girolamo

L’orgoglio di Margaret, l’oro nero di Brown

di Alessandro D’Amato

di Maurizio Stefanini

di Mauro Libè

enato Schifani chiede l’annullamento dell’elezione di Nicola Di Girolamo, il senato Pdl al centro della mega truffa che vede coinvolti anche i vertici di Fastweb. Nella notte di ieri, per altro, era atteso a Roma, Silvio Scaglia, di ritorno dal Sud America: oggi dovrebbe essere interrogato.

pensare che qualche anno fa i naturalisti avevano notato con sorpresa il ritorno dei gamberi d’acqua dolce nel primo corso, quello più alto del Lambro. Era allora il simbolo di una rinascita inattesa, dopo il distrato ecologico del Boom: tutto finito sotto migliaia di metri cubi di petrolio.

variamente stimato tra i 17 e i 60 miliardi di barili l’entità del tesoro che ha riacceso la tensione sulle Falkland-Malvinas. All’inizio delle prospezioni petrolifere il governo di Buenos Aires ha imposto alle navi da e per le isole di chiedere un’autorizzazione per entrare nelle acque territoriali.

a ragione Carlo Ripa di Meana, è ora di fare chiarezza ed uscire da un pasticcio che crea solamente confusione. I temi dell’ambiente riguardano noi ma, cosa ancora più importante, riguardano il futuro dei nostri figli e soprattutto di tutti quelli che verranno dopo.

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IN REDAZIONE ALLE ORE

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Conti. Ripresa timida in tutta Europa. Galli (Confindustria): A questi livelli di crescita Roma risalirà la china soltanto nel 2017

L’Italia verso la serie B?

L’Ue abbassa le previsioni del Pil per il 2010 mentre l’Istat fotografa una «ricchezza» in pericolo: in agguato la sorte di Grecia e Spagna... di Francesco Pacifico

ROMA. Uno 0,7 in più contro l’1 per cento secco di crescita pronosticato da Palazzo Chigi. Ma non è soltanto una questione di decimali quella che ha aperto ieri la Commissione europea con le sue previsioni di primavera su Pil e inflazione per il 2010. Da Bruxelles infatti arriva l’ennesimo monito su una ripresa che sarà timida se gli Stati membri del Vecchio Continente non sapranno trovare gli stimoli adeguati per rafforzare le loro imprese. Per adeguare una produzione che presenta un inaspettato deficit di innovazione, vista la difficoltà dimostrata nell’agganciare le commesse che arrivano dall’est del mondo.

«C’è una schiarita sulla ripresa economica ma restano molte nuvole», ha sintetizzato la situazione Olli Rehn, il commissario Ue agli Affari economici, che da questa mattina è Atene per disinnescare la maggiore incognita sul futuro dei 27: il deficit della Grecia. «Ma i rischi che le attuali stime possano peggiorare», ha aggiunto il successore di Almunia, «sono controbilanciati dalla possibilità che la ripresa economica possa essere più forte di quanto atteso oggi». Come dire che, a politiche inalterate, e mostrandosi cauti sulle prospettive di crescita della Cina e dell’America, lo scenario non è dei migliori. In questo quadro l’Italia non va né peggio né meglio degli altri: si conferma quel calabrone che contro ogni legge della fisica riesce a volare, ma con molta, troppa fatica. La sua crescita dello 0,7 è perfettamente in linea con una Germania e una Francia che a fine anno non andranno oltre il +1,2 per cento, l’Olanda con il suo +0,9, e con un’Europa (+0,7) dove è la Polonia (+2,6) ad atteggiarsi a locomotiva dei 27. Emblematico al riguardo l’esito di una ricerca sulla ricchezza delle famiglie presentata ieri dall’Istat e riferita al triennio 20052007: cioè gli ultimi anni segnati da un ciclo favorevole in tutto il globo. A fronte di un reddito cresciuto in media del 3,2 per cento, si registrano migliori performance nel Nordovest (con Lombardia a +3,4 e Liguria +3,3) rispetto a quelle del Nordest, dove il Veneto è inchiodato a un “misero” +3 per cento. Già prima della crisi maggiore dell’era moderna l’area più dinamica del Paese mostrava gli stessi limiti che oggi impongono un tagliando al

Fisco e corruzione sono la nostra condanna di Marco Respinti icono i nuovi dati Istat per il periodo 2005-2007 che il reddito disponibile delle famiglie italiane è concentrato in media per circa il 53% nelle regioni del Settentrione, lasciando il 26% circa al Mezzogiorno e il restante 21% al Centro. Di rincalzo, la Commissione Europea annuncia che la crescita del Pil italiano nel 2010 sarà dello 0,7 anziché dell’1% previsto, sempre meglio peraltro del 2009 dove la crescita complessiva è stata invece negativa, -4,7%. Bene per i dati di crescita riguardanti il reddito delle famiglie italiane, un po’ meno per il Pil del Paese-azienda Italia. Epperò qualcosa qui manca. Cosa? L’altra faccia della Luna, quella che resta sempre nascosta e che però, caspita se esiste.

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Nei conti suddetti non entra infatti tutto quel cumulo enorme di vere e proprie ricchezze ancorché sommerse che nell’Italia Paese dei cento campanili si dividono pur’esse per fattispecie geografiche. Del Nordest non entrano in

quei conti il “nero” e l’evasione fiscale. Del Mezzogiorno non entrano in quei conti i redditi da attività criminale. Del Centro, soprattutto di Roma, ma anche del suo resto, e pure del resto d’Italia, in ogni luogo cioè dov’essa alligna, non entrano in quei conti gl’introiti mascherati frutto di corruttele assortite e acquisite. Intendiamoci, né luogocomunismo né qualunquismo. Ciò non significa infatti che il Nordest sia il ladro di Baghdad: significa che l’esagerata pressione fiscale di cui tutti soffriamo esercita in quei luoghi effetti ancora più deleteri che altrove. Intendiamoci ancora, ciò non significa che il Mezzogiorno sia gangsterismo puro: significa che lì la criminalità organizzata è più strutturata, radicata e attiva che altrove (e che da quella basi sicure sa bene ramificarsi pure nel resto del Paese). Intendiamoci una ultima volta, ciò non significa che il Centro, Roma e i luoghi in cui essa viene scovata in tutto il Paese, siano solo pus di degrado: significa che il malaffare e l’immoralità proliferano là dove c’è denaro e potere, e questo paradossalmente dice che sotto l’infezione esiste un corpo sano (nessuno ruba in forzieri vuoti).

Ma se allora in Italia esiste una economia nascosta tanto grande significa che le statistiche fredde stilate solo sui dati ufficiali (che, se le considerazioni sopra fatte sono vere, diventano pure dati superficiali, illusori, falsanti) raccontano solo una mezza verità. Il resto della verità dice invece che l’Italia è o sarebbe un Paese ben più ricco, florido e aitante se quel sommerso emergesse. Evasione fiscale, redditi criminali e corruzione sono cioè una fonte d’introito prezioso per il Paese: lo sarebbero, al di là delle boutade, se solo potessero essere regolarizzate e bonificate. L’evasione, cioè, combattuta con quella drastica riduzione delle tasse che è da sempre il volano delle economie nazionali e il motore della produzione; la criminalità con la presenza sul territorio di meno Stato e più governo e società; la corruzione legiferando meno ma meglio. Resta insomma sempre e solo il buongoverno l’unico riciclaggio etico del denaro altrimenti sporcato, l’unica ricettazione legale dei furti causati dall’assenza di governance.

modello: un’internazionalizzazione limitata soltanto all’est europeo, dimensioni contenute delle sue aziende, scarso legame con i centri di innovazione. Ma non è meno preoccupante che il 53 per cento del reddito italiano si sia concentrato nelle regioni del Nord, il 21 nel Centro e 26 nel Mezzogiorno. Nota il segretario della Cgil, Guglielmo Epifani: «Questa è la fotografia di un Paese spaccato in due, e la verità è che il divario tra Nord e Sud in 40 anni non si è avvicinato: siamo tornati a una situazione di 30 anni fa». Settentrione e meridione simboli d’un’Italia a due velocità, il Triveneto che si scopre un’economia matura, senza contare la difficoltà della politica di favorire una ridistribuzione più equa tra le aree del Paese: non è un caso che le imposte dirette – tra le quali l’Irpef – siano cresciute soprattutto al Sud (+20,7 per cento), mentre il reddito secondario è aumentato soltanto del 4,3 contro il 16,7 e il 16,2 di Nord-ovest e Nord-est. In questo quadro di fondamentale staticità l’Italia – paradossalmente – si dimostra un’economia più sostenibile. Forse persino più dinamica. Stando alle previsioni intermedie di Bruxelles, le vendite al dettaglio calate nel 2009 “soltanto” dell’1,6 per cento contro un Pil crollato più del triplo (-5 per cento) finiscono per essere un buon viatico per la domanda interna. Allo stesso i timidi segnali sugli ordinativi non possono che tradursi in una ripresa dell’export, caduto lo scorso anno. Ma le note positive finiscono qui. Senza materie prime e con una produzione energetica troppo legata alle fonti fossili, l’economia del Belpaese si dimostra estremamente soggetta a quella dei suoi vicini. Ma se i maggiori compratori – Germania e Francia in testa – rallentano nel quarto trimestre 2009, perché scontano un abbandono troppo repentino alle misure eccezionali anticrisi, anche l’Italia finisce per risentirne.

In attesa che Berlino e Parigi ritornino a crescere – o che il differenziale tra dollaro ed euro si assotigli per permettere all’America di guardare all’altro lato dell’Atlantico – Roma rischia di restare nel guado: l’apertura verso i nuovi mercati asiatici richiede ancora del tempo; non è possibile muovere un centesimo dal bilancio dello Stato risorse per rilanciare i settori più dinamici, altrimenti l’alto debito diverrebbe ingestibile e metterebbe a rischio il buon esito delle emissioni del debito; servirebbero riforme dall’alto costo sociale come l’innalzamento dell’età pensionistica o le liberalizzazioni, ma una politica perennemente in campagna elettorale non può pagare lo scotto. Sintetizza il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli: «L’Italia uscirà completamente dalla crisi economica, tornando ai livelli di fatturato del 2008 soltanto nel 2017, se i tassi di cre-


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Qui a sinistra, Milton Friedman: il grande economista americano previde con molto anticipo la crisi dell’Euro. A destra, il presidente della Bce Jean-Claude Trichet. Nella pagina a fronte, Giulio Tremonti

Forse Friedman aveva ragione L’economista aveva predetto il crollo dell’Euro dopo la crisi dei Paesi del Mediterraneo di Desmond Lachman el 1999, quando venne lanciata la nuova moneta unica dell’Europa, Milton Friedman fece una famosa osservazione: l’euro non sarebbe sopravvissuto alla prima, grande recessione economica del Vecchio Continente. L’enorme crisi del debito che sta affondando la Grecia, la Spagna e il Portogallo – direttamente connessa con la “Grande Recessione” dello scorso anno – sembra suggerire che, alla fine, Friedman aveva ragione. Non sembra troppo presto, per i politici americani, iniziare a immaginare le serie ramificazioni internazionali - economiche e geopolitiche – che potrebbero verificarsi in caso di crollo dell’euro. Il motivo principale alla base della creazione dell’euro è stata politica, invece che economica. All’epoca si pensava che la creazione di un’unica valuta europea avrebbe aiutato la costruzione del sogno di un’Europa integrata, che avrebbe potuto sfidare gli Stati Uniti sul piano internazionale. Mentre si riconosceva che l’euro sarebbe rimasto la base dei fondamentali economici, si sperava che avrebbe potuto provocare quel cambiamento economico necessario alle nazioni che affacciano sul Mediterraneo. Questo sarebbe avvenuto perché, per adottare l’euro, quelle nazioni avrebbero dovuto intraprendere alcune profonde riforme economiche strutturali, fondamentali per aderire alle strette regole del Trattato di Maastricht in materia di politiche di budget. L’eventuale crollo di una delle nazioni del Mediterraneo significherebbe una tremenda forza d’urto contro il già fragile sistema bancario europeo. Ma significherebbe

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scita si manterranno tali». Di conseguenza la crisi greca diventa per il nostro Paese importante come l’incasso finale dello scudo fiscale. Infatti ieri la Commissione ha ribadito che la situazione si è deteriorata soprattutto sul versante dei mercati finanziari all’inizio del 2010 « in conseguenza dell’aumento delle preoccupazioni sulla situa-

anche la fine dell’euro-zona, quanto meno nella sua forma attuale. Tristemente, infatti, gli eventi economici non sono andati avanti come speravano i fondatori dell’euro. Politiche di spesa del budget troppo ampie in Grecia, Portogallo, Spagna e Irlanda hanno causato un’inflazione dei prezzi e dei salari che hanno portato la posizione di quei Paesi molto al di sotto della media continentale. Questo ha reso le stesse nazioni altamente non competitive nel mercato globale. Allo stesso tempo, i deficit di budget degli stessi Paesi hanno moltiplicato il rapporto fra spesa e prodotto interno lordo, con la conseguenza che i loro debiti pubblici sono divenuti insostenibili. E nei mercati si affacciano seri dubbi riguardo la capacità di quei governi di onorare le obbligazioni di debito che hanno stipulato. La minaccia maggiore contro la sopravvivenza dell’euro – nella sua forma attuale – è il massiccio squilibrio economico delle nazioni del ClubMed e dell’Irlanda. Questi squilibri hanno raggiunto proporzioni tali che correggerli all’interno dell’appartenenza all’euro-zona produrrà senza alcun dubbio molti anni di dolorosa deflazione e profonda recessione economica.

nei prossimi anni per raggiungere un livello di competizione internazionale. Allo stesso tempo cercare di ridurre in maniera radicale i deficit di budget a livelli più sostenibili, senza l’aiuto di esportazioni da una valuta più conveniente, potrebbe provocare un declino cumulativo delle uscite pari al dieci per cento. All’interno di questa situazione, c’è una sottile linea argentata per ognuno dei governi che affacciano sul mar Mediterraneo.

Lo dimostra il caso della vitalità della Grecia. Si tratta del fatto che le nazioni del nord Europa temono le conseguenze del debito sovrano delle altre nazioni molto di più rispetto a queste ultime. E questo perché un deficit di debito sovrano all’interno di una di queste nazioni non creerebbe soltanto un’onda contro il fragile sistema bancario europeo, ma provocherebbe l’abbattimento di quest’onda anche sugli altri vulnerabili membri dell’euro-zona. Provocando, con ogni probabilità, un devastante effetto domino. Ora dobbiamo aspettarci una serie di interventi di emergenza da parte dei governi del Mediterraneo e di quello irlandese, ma rimane la questione principale: questi interventi aiutano le finanze pubbliche e la competitività internazionale o sono soltanto di facciata? Si tratta di una situazione molto simile a quella in cui si trovava l’Argentina alla fine degli anni Novanta: gli Stati Uniti e il Fondo Monetario internazionale hanno autorizza-

Il collasso greco è un segnale d’allarme soprattutto per gli Usa, che devono tornare a coordinare il mercato

Nello specifico, senza un aiuto alla competitività fornito da una svalutazione della moneta, i prezzi e i salari di queste nazioni avranno bisogno di abbassarsi di circa 20 punti percentuali zione di bilancio delle economie sviluppate particolarmente in alcuni paesi dell’Eurozona». Cioè di Atene. Il risultato è stato un forte aumento degli spread nei titoli del debito sovrano con conseguente aumento della volatilità sugli eurobond. Che hanno perso la palma della stabilità rispetto ad azioni e obbligazioni delle imprese.

Proprio quest’incognita fa scrivere ai funzionari della Commissione che «l’aumento della turbolenza nei mercati delle obbligazioni degli Stati» porta con sé il rischio «che le previsioni pubblicate oggi non si avverino e debbano essere riviste al ribasso». Ma assieme con le emissioni del debito sovrano finiscono risente di questa on-

to degli enormi piani di prestiti e stimoli, ma questi hanno soltanto rallentato (e non evitato) la crisi del Paese. Va poi sottolineato che è proprio il sistema bancario dell’Unione europea a temere di più: d’altra parte, in caso di collasso delle fragili economie mediterranee, sarebbe proprio la Banca centrale europea a sentire di più il colpo. Parliamo del maggior detentore di buoni governativi europei. E la crisi della zona euro diverrebbe a quel punto un vero e proprio collasso: le nazioni che ne fanno parte cercherebbero infatti di uscire dalla crisi cercando una valuta più conveniente, in modo da migliorare il settore delle esportazioni. Ogni colpo assestato all’euro nella sua forma attuale sarebbe un colpo all’esperimento europeo in senso lato; un colpo che indebolirebbe una posizione mondiale già messa a dura prova.

Ma anche il mercato internazionale ne risentirebbe, con un’accellerazione verso le politiche protezioniste che porterebbero a una manipolazione degli scambi. Per questo, gli Stati Uniti devono rendere più effettiva ed esercitare con più forza la propria leadership economica, offrendo a tutti l’accesso a un mercato globale e spingendo per una coordinazione mondiale delle politiche del tasso di scambio. Solo in questo modo si potranno bilanciare un continente europeo diretto verso un quasi inevitabile declino con un continente asiatico che sembra inarrestabile nella sua corsa in ascesa verso una nuova (e predominante) posizione internazionale. Anche dal punto di vista economico. data di stabilità anche il mondo del credito, quelle che dovrebbero mettere la benzina necessaria per l’inversione del ciclo. «La ripresa del settore bancario appare tuttora fragile perché non possono essere escluse ulteriori perdite dovute alla debolezza dell’economia e al deterioramento del mercato del lavoro». È un cane che si morde la coda.


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Movimenti. Il ghiacciaio politico si sta sciogliendo. A Roma prove di intese bipartisan tra ex An e d’alemiani

Via alle grandi manovre Berlusconi chiama la Brambilla contro il Pdl, il Carroccio supera a destra: e così Fini e Tremonti cominciano a pensare alla Terza Repubblica di Riccardo Paradisi l ghiacciaio politico italiano tende a scongelarsi? A cambiare composizione e forma? La domanda potrebbe apparire oziosa, da futurologia politica. E però basta prendere in considerazione alcuni movimenti della scena politica e metterli assieme per scorgere le linee di faglia d’una scomposizione in atto dello stato di fatto.

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A cominciare dai sondaggi che danno il Pdl in calo nelle regioni del nord e una crescita esponenziale della Lega nord in tutto il settentrione. In Veneto la Lega è adesso al 39% e il Pdl al 21%. Una previsione che induce il ministro dell’attuazione del programma Gianfranco Rotondi a considerazioni molto preoccupate: «Un anno e diversi mesi di dialettiche continue non hanno giovato certamente alla salute del partito. E se il 2829 marzo il Pd prende un voto in più del Pdl si apre una crisi molto grave, che potrebbe pregiudicare l’intera legislatura». La legislatura secondo Rotondi infatti non la mette in crisi ”qualche velina” o ”qualche scandalo”: «La legislatura la mette in crisi la politica. L’idea e l’ambizione su cui è nato il Pdl è quello di raggiungere il 50 per cento dei consensi. Non raggiungere l’obiettivo significa una cosa sola: crisi. Non voglio fare la Cassandra, ma mi-

sureremo il successo dai voti che prenderemo. E finora i sondaggi non sono affatto incoraggianti. Il Pdl può andare in crisi e si può tornare alle urne anticipatamente». Ma più che una rimonta della sinistra a preoccupare il Pdl è appunto il dilagare leghista al nord, un risultato che per il partito di Berlusconi e Fini potrebbe

D’Alema e la strategia di lungo termine

In c er c a d i a lleati per anda re o l tr e Ber lus con i di Antonio Funiciello

davvero significare una subalternità definitiva. Che aria poi si respiri tra le varie componenti del Pdl lo si capisce dalla risposta che Rotondi dà ad Affari italiani: alla domanda se il Pdl corra il rischio di sciogliersi il ministro risponde: «A dire il vero non mi interessa molto. Sono impegnato in Piemonte dove guido una lista che si

chiama Democrazia Cristiana. Bisogna chiederlo a chi ha fatto le liste elettorali». L’eventualità della caduta dell’esecutivo, assolutamente imprevista e imprevedibile fino a pochi giorni addietro, non è una riflessione del solo Rotondi è lo stesso premier ad aver definito le prossime elezioni regionali un esame per se stesso e per il suo governo oltre che uno scontro tra le armate del bene e le armate del male. A questo deve aggiungersi il continuo stress politico giudiziario, l’esasperazione in casa fra Berlusconi e Fini riacutiz-

tono periodicamente in discussione la natura pentecostale della sua leadership. Ma sono questi stessi motivi che stanno inducendo gli ex di An nella maggioranza a pensare di reagire, prefigurando di nuovo colpi d’ala e scissioni: replicando ai club brambilliani dei promotori con i club Fini. Una minaccia per ora. Non va sottovalutato nemmeno quanto sta accadendo in casa azzurra a Firenze, dove il coordinatore cittadino del PdL Alessio Bonciani e il vice coordinatore provinciale Samuele Baldini hanno rimesso

Nella maggioranza c’è chi teme dopo le Regionali la fine anticipata della legislatura. Colpa della rissosità interna e del balzo in avanti leghista zata dalla diversa linea di condotta sui provvedimenti da adottare per tenere le liste pulite, il caos delle liste che sta provocando un sempre più forte distacco della base e dell’elettorato berlusconiano. Sono anche questi i motivi per i quali Berlusconi ha lanciato la sua ultima crociata interna al Pdl, mettendo di nuovo in pista Michela Brambilla, la sua risorsa estrema quando deve regolare i conti all’interno del partito, punire i riottosi, spaventare coloro i quali met-

il mandato nelle mani di Silvio Berlusconi: «Lamentiamo un difetto di legittimazione, spiega Bonciani e riteniamo necessario rimettere il mandato nelle mani del presidente affinché sia lui a decidere se confermare l’incarico». A provocare la decisione è stata la composizione delle liste per le prossime elezioni regionali. «Non è - spiega Bonciani - un problema di malcontento degli esclusi, che è una questione normale, ma il problema straordinario determinato dal veto posto per motivi per-

ROMA. Ieri a parlare di nazione con niana: ora queste armi non gli servono te) il contesto è tutto e l’arte politica sta Gianfranco Fini all’inaugurazione della fondazione del ministro Matteoli. L’altro ieri a discutere di riforma della giustizia e del rischio di una nuova imminente Tangentopoli con Pecorella e Violante. Lunedì alla London School of Economics a rilanciare il conflitto di classe. Massimo D’Alema è tornato a sciogliere le vele come richiede il vecchio lupo di mare qual è, proprio mentre il suo Pd vive in apnea, in attesa dell’esito regionale. Ma a D’Alema la cosa non pare interessare più di tanto e non perché la conduzione del partito di Bersani lo soddisfi, cosa che si è premurato di segnalare già alla seconda riunione della Direzione nazionale del partito. D’Alema ha, infatti, dismesso l’elmetto della lotta interna che lo costringeva a una battaglia di fanteria che non ritiene più all’altezza del suo nome. Per abbattere Veltroni aveva dato vita a ReD (corrente politica e televisione), militarizzando la sua componente allo scopo di erodere i punti d’appoggio della segreteria veltro-

più e le ha chiuse.

Perché ora D’Alema naviga spedito nelle acque che preferisce: quelle alte della grande politica. Se a metà anni Novanta era stato il presidente di una bicamerale che sosteneva strenuamente il doppio turno alla francese, oggi non perde occasione per rimarcare l’esigenza (nell’interesse dell’Italia) di una riforma proporzionale. Se quindici anni fa aveva chiuso il congresso del Pds invocando la rivoluzione liberale, oggi a Londra disputa (nell’interesse dell’Europa) che per uscire dalla secca in cui si sono cacciati i socialisti europei, ci vuole molto più socialismo e non meno, come mormora qualcuno. Fino a litigare con Tremonti su chi, tra lui e il ministro economico, sia stato più preveggente nello scorgere la fine (?) del capitalismo. Se qualcuno gli obiettasse un’assenza di coerenza politica nel suo pensiero, D’Alema risponderebbe che (marxianamen-

nell’adattarsi al contesto, anche contraddicendosi apertamente. Oggi il contesto istituzionale è quello di un bipolarismo azzoppato e quello culturale è un movimento socialista in affanno che deve essere rivitalizzato e messo in condizione di tornare a competere. Ma per il più bravo della generazione di tattici rappresentata dai ragazzi di Berlinguer, è la situazione interna che a D’Alema sta a cuore.

Il giudizio sul bipolarismo è definitivo. Si tratta allora di capire come uscire da una crisi del berlusconismo o dal suo decorso fisiologico alla fine di questa legislatura. Ed è per questo che D’Alema ha ripreso a dialogare con i due avversari interni del Cavaliere, che ogni giorno insidiano la sua leadership: Fini e Tremonti. Dal crack di sistema prodotto dalla fine (cruenta o naturale) dell’era berlusconiana, D’Alema non crede affatto di uscire con un bipolarismo che riproduca, senza


prima pagina sonali su una candidatura». Il riferimento è allo stop che la candidata alla presidenza Monica Faenzi avrebbe posto alla conferma di Angelo Pollina, vicepresidente uscente dell’assemblea toscana. A Firenze non si muoveva foglia nel Pdl senza la volontà di Denis Verdini.

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pan oram a

mobile, suscettibile come un caleidoscopio di mutamenti repentini, per il cui inizio bastano minimi impulsi. ”Per il Bene comune al tempo del federalismo”, è il titolo con cui la neonata fondazione presieduta dal ministro Altero Matteoli ha riunito al teatro d’Adriano il presidente della Camera Gianfranco Fini, il presidente del Copasir Massimo D’Alema e il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Figure che in questi ultimi anni hanno animato il dibattito su come sarebbe bello un governo di unità nazionale, un programma di larghe intese, un progetto di riforme condivise. Fini e D’Alema sembrano procedere a braccetto:Fini: «Il federalismo funziona bene se le competenze sono definite – ha detto – E io rivendico a due fondazioni, Farefuturo e Italianieuropei, da sinistra e da destra, ci trovammo d’accordo di aver garantito al Parlamento un ruolo centrale. Sono fondamentali nel federalismo i controlli del Parlamento e la commissione bica-

merale per l’attuazione del federalismo». D’Alema: «Saremmo ridicoli se non facessimo le riforme fondamentali». Fini: «La politica si attirerebbe il malcontento della gente. Pensare a costruire non a fare propaganda. Smetterla di fare politica guardando sullo secchio retrovisore. Sono ventunenni i ragazzi che sono nati al crollo del muro di Berlino». D’Alema: «E pensare che ancora qualcuno non se n’è accorto...». Il riferimento è a Silvio Berlusconi naturalmente, di cui si ride. Un disegno vero e proprio non c’è – dicono i sismologi interni al Pdl – ma certo i dalemiani avvertono la possibilità che la situazione subisca un’accelerazione nel senso di Rotondi (Crisi di governo ed elezioni anticipate). Fini prende le misure al polso della leadership berlusconiana: il ritorno al brambillismo è un segno di debolezza ma lui non ha ancora la forza autonoma per un’iniziativa politica individuale. Potrebbe però averne per un’esperienza di transizione d’intesa con i settori più disponibili del centrosinistra e la copertura tremontiana che in caso di sviluppi potrebbe essere della partita. È vero che Tremonti è un concorrente di Fini ma perché farsi la guerra adesso? Ragionano ancora i retroscenisti. Il futuro è insondabile, ma insomma qualche indizio di grandi manovre lo si riesce a indovinare.

Berlusconi, la classica dialettica tra centrodestra e centrosinistra. All’uscita di scena di Berlusconi, D’Alema fa seguire quella dell’attuale sistema istituzionale attraverso la disgregazione del Pdl, un riequilibrio al centro delle forze moderate e una gamba di sinistra (il suo Pci-PdsDs-Pd) a compattare il tutto. Che il Pd tenga una regione in più o una in meno, preoccupazione prevalente del segretario Bersani, è questione che non inficia l’impostazione di fondo dalemiana. Dopo le elezioni, l’impegno politico culturale del navigatore di Gallipoli avrà questa precisa rotta, con uno sguardo costante alla tenuta della maggioranza che potrebbe provocare un’accelerazione dei tempi. D’Alema richiama per sé questo ruolo di traghettatore per la sua generazione, per la quale prevede un ritorno al governo in un mutato schema politico che offra uno sbocco positivo all’anarchia post bipolarista che seguirà l’uscita di scena di Berlusconi. L’oste con cui D’Alema continua a non voler fare i conti.

Sopra, dall’alto: Giulio Tremonti, Alfredo Mantovano e Massimo D’Alema. A destra, Luca Zaia, candidato leghista alla Regione Veneto. Nella pagina a fronte, Gianfranco Fini, che sembra guidare la fronda a Berlusconi nel Pdl

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«In Veneto ci hanno quasi doppiato, è allucinante», sbotta Rotondi

Una prateria per la Lega «Favorita dagli scandali» «Le vicende giudiziarie pesano», dicono i sondaggisti dell’Ekma: così il Senatùr fa man bassa senza sforzi di Errico Novi

ROMA. Riccardo Bossi dice che papà è un supereroe. Sarà. A guardarlo adesso l’Umberto appare come uno che sta tranquillo sulla riva del dio Po ad aspettare i resti malconci dell’alleato. Poche sortite ad effetto in campagna elettorale: la campagna del Carroccio è basata su un banalissimo gioco di riporto. Con i guai del Pdl è facile: dopo gli scandali legati al G8 e alle altre inchieste divampate in vari punti della Penisola il Senatùr sa di essere l’approdo naturale per i delusi. «Nelle regioni del Nord il travaso di voti è quasi inevitabile», dice la sondaggista Natascia Turato (Ekma), «intanto perché gli ultimi casi giudiziari possono incidere eccome, e poi gli elettori settentrionali di Berlusconi, quando decidono di cambiare simbolo, optano prevalentemente per i lumbàrd». L’effetto è percepibile persino in Lombardia, dove pure la vittoria di Roberto Formigoni non sembra in pericolo: «Eppure un calo nelle intenzioni di voto per il governatore uscente c’è stato, ed è evidentemente collegato alle indagini in cui sono finiti esponenti del Pdl». Ultimo caso quello di Milko Pennisi, ma prima c’erano state le disavventure di Gianni Prosperini e di Rosanna Gariboldi, assessore a Pavia e moglie del formigoniano Giancarlo Abelli.

gnali più preoccupanti per il Cavaliere: secondo la affidabile Swg il trend favorevole al candidato leghista Luca Zaia soffierebbe così forte da spingere la Lega giusto un punto sotto l’incredibile soglia del 39 per cento, con il Pdl inchiodato al 21. «È una previsione allucinante», commenta un sempre più perplesso Gianfranco Rotondi, «praticamente hanno il doppio dei nostri voti. Se va così, dopo le elezioni il Popolo della libertà entra in crisi». Facile mettere uno sull’altro gli elementi della disfatta: prima il malessere per il benservito a Giancarlo Galan, con il vano tentativo di resistenza all’avanzata lumbàrd dei suoi fedelissimi in regione. Quindi l’altrettanto inutile brusio di fondo registrato in Piemonte, tra i maggiorenti ex azzurri ed ex finiani che nulla hanno potuto di fronte all’investitura concessa da Berlusconi a Roberto Cota. Quindi le recriminazioni che tornano a farsi sentire dalla componente finiana, con il presidente della Camera che si chiede «perché dobbiamo sempre inseguire la Lega sull’immigrazione» e Benedetto Della Vedova che domani inviterà Fini stesso a rilanciare la questione a Milano, durante la tavola rotonda su crisi e ritorno al mercato. Se si aggiungono i già ricordati handicap delle inchieste e del correntismo, si vede come il Pdl sia pesantemente esposto nella competition con l’alleato.

La rimonta c’è anche a Torino. «Può esserci un effetto disgusto, con elettori che votano i candidati presidente ma non le liste», dice l’Ipr

Formigoni ricorre a toni rassicuranti, come quelli adoperati un paio di sere fa negli studi di Otto e mezzo: «Siamo in crescita sia noi che la Lega, cambiano in meglio le posizioni di ciascuno ma il distacco resta invariato». E invece la forbice si sarebbe ridotta anche in Lombardia, se come termine di confronto si adopera lo score delle Politiche 2008: allora il vantaggio del listone unico Berlusconi-Fini sul partito del Senatùr era di 14 lunghezze (34 a 20), secondo le ultime rilevazioni sarebbe sceso ben al di sotto dei dieci punti. Non bastassero i colpi alla credibilità del Pdl inflitti dalle Procure, c’è anche il caos scatenato dai «giochi di potere». Lotte intestine che Berlusconi ha prima deplorato, ma alle quali ha risposto con un’iniziativa certo non pacificatoria come il lancio dei “promotori”. Ecco perché la tornata elettorale sembra fin troppo favorevole a un clamoroso recupero leghista rispetto al partito di maggioranza relativa. E con i rapporti interni al Pdl precari già adesso, è facile immaginare come dopo il 28 marzo Bossi possa trovarsi aperta davanti a sé una prateria: un elettorato di centrodestra disorientato, un Pdl segnato dalle divisioni e dai rancori, e nuovi ulteriori spazi di consenso sui quali provare a inoltrarsi. La pietra dello scandalo resta il Veneto. È lì che alcuni test delle ultime ore hanno dato i se-

Anche sondaggi meno catastrofici per via dell’Umiltà non lasciano spazio a dubbi: «Secondo i nostri dati in Veneto la Lega è 6 punti sopra», dicono dall’Ekma. La valutazione meno pessimista per il Pdl arriva dal direttore di Ipr Marketing Antonio Noto: «La possibilità di sorpasso grazie alla candidatura di Zaia c’è ma non è così scontata. E in ogni caso a noi non risulta che le vicende giudiziarie degli ultimi giorni stiano incidendo molto sulle intenzioni di voto». Ma non c’è il pericolo che i casi di corruzione facciano montare un progressivo senso di disgusto nell’elettorato del Pdl? «Questo è possibile, può darsi che gli effetti siano destinati a prodursi più in là», dice ancora il sondaggista, «magari in due forme particolari: da una parte con l’astensione, dall’altra con un voto indicato per i candidati governatore ma non per i partiti». In Piemonte, dicono all’Ipr, l’aggancio della Lega al Pdl è praticamente impossibile nonostante Cota. Ma anche lì gli ultimi dati diffusi da Piepoli riferiscono di un 31 a 16 rispetto al 34 a 12 delle Politiche. E Crespi va oltre: secondo la sua agenzia siamo già sul 29 a 18. Chissà se è un caso che un berlusconiano doc come Mario Valducci già si sbilanci così: «Seguire il modello Lega? Se una formazione ha successo non vedo perché non dovremmo guardarci intorno».


diario

pagina 6 • 26 febbraio 2010

Truffe. Il presidente del Senato chiede di rivedere l’elezione dell’esponente Pdl accusato di essere legato alla ’ndrangheta

Schifani attacca Di Girolamo

Scaglia era atteso nella notte a Ciampino. Oggi forse l’interrogatorio ROMA. È il giorno del ritorno del ritorno in Italia di Scaglia (dovrebbe essere arrivato a Ciampino alla mezzatonne di ieri), ma anche quello delle prime dichiarazioni ufficiali dei politici riguardo l’inchiesta su presunti episodi di corruzione che ha coinvolto il settore delle telecomunicazioni. Dopo che sui giornali erano finiti i nomi di alcuni politici, citati da Nicola Di Girolamo nelle conversazioni intercettate con gli altri indagati, è arrivata in mattinata la smentita di Gianfranco Fini, che nega «con decisione, di aver alcun legame il senatore ed esclude di averlo “convocato” nei propri uffici o altrove per incontri o riunioni», come si diceva nelle telefonate. Poi, è arrivato il duro richiamo di Claudio Scajola: «Ogni iniziativa giudiziaria che vuole riportare la legalità è ben accolta ma non c’è dubbio che ogni iniziativa giudiziaria ha dei contraccolpi. C’è bisogno di una moralità più forte ma anche di non destabilizzare il sistema», ha detto il ministro al quale poi hanno fatto eco il vice ministro alle Comunicazioni Paolo Romani: «Mi auguro che le inchieste non pregiudichino lo sviluppo delle società coinvolte», e il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia, che ribadisce la fiducia nei confronti della magistratura: «Per noi il tema della legalità è un tema fondamentale su cui vogliamo continuare a lavorare. Abbiamo anche riconfermato che abbiamo totale fiducia nei confronti della magistratura e altrettanta fiducia e auspicio che le persone coin-

blea già nel corso della prossma settimana». Anche Mirko Tremaglia, onorevole Pdl, si è schierato contro il senatore eletto all’estero: «A me non interessa se il signor Di Girolamo fa parte di un partito o di un altro. È un delinquente che va trattato come tale»; mentre Francesco Storace ha detto che «An è un partito sostanzialmente onesto, collegarla al gruppo criminoso è una bestialità». Sempre a proposito dell’aiuto arrivato al parla-

Si è scoperto che l’inchiesta ha preso l’avvio in base ad alcune denunce relative a truffe legate all’invio di sms a clienti inconsapevoli volte possano dimostrare la loro estraneità ai fatti». Fino al dietro front serale di Renato Schifani che ha auspicato la revisione dell’elezione di Nicola Di Girolamo. Il Presidente del Senato Renato Schifani ha scritto al Presidente della Giunta per le immunità, Marco Follini, invitandolo «a riprendere sollecitamente l’esame della questione relativa alla contestazione e alla proposta di annullamento» dell’elezione di Di Girolamo «affinché della questione stessa possa essere investita l’Assem-

di varare al più presto le sue norme anti-corruzione per dare un segnale al paese; Osvaldo Napoli, berlusconiano di stretta osservanza, gli ha replicato a stretto giro di posta: «Una tale bestialità non sarebbe venuta alla mente neanche dell’ideatore dello Stato etico. Pensare che esistano da qualche parte norme capaci di correggere la natura umana significa bestemmiare, per chi è credente, per chi non crede significa però essere fuori di brocca. Una legge disciplina i comportamenti concreti dell’individuo ma certo non può intaccare il suo convincimento morale. Neppure Mussolini».

di Alessandro D’Amato

mentare, il senatore del Pd Francesco Sanna, atti del Senato alla mano, sostiene che a salvare nel gennaio 2009 dall’autorizzazione a procedere Di Girolamo fu «un ordine del giorno presentato dal senatore Sergio De Gregorio e sostenuto in aula da interventi di Maurizio Gasparri, Gaetano Quagliariello, Luigi Compagna, Andrea Pasto».

Curioso il siparietto di omonimie tra due parlamentari del PdL: la finiana Angela Napoli ha chiesto l’arresto per Di Girolamo e anche al Parlamento

Il sequestro di 300 milioni di euro

Anche Telecom trema ROMA. L’inchiesta sul riciclaggio della procura di Roma comincia a investire anche Telecom: oggi doveva svolgersi il consiglio di amministrazione per l’approvazione del bilancio e si doveva discutere il nuovo piano industriale, ma è stato tutto rinviato a data da destinarsi. Il sequestro cautelativo di 300 milioni di euro a carico di Telecom Sparkle ha reso tutto più difficile, e così alla fine della giornata (che in Borsa è stata pesante) il cda ha deciso di far slittare di un mese la presentazione dei numeri del 2009.“Il cda di Telecom ha immediatamente deciso di assicurare la più ampia collaborazione all’autorità giudiziaria per la ricostruzione della vicenda» di Sparkle e «di attivare anche autorevoli consulenze tecnico legali per l’analisi dell’ordinanza”, si legge nella nota del gruppo. Intanto l’Asati, l’Associazione dei piccoli azionisti Telecom, chiede ai

vertici amministrativi e al collegio sindacale del gruppo telefonico, alla luce della vicenda Sparkle, di avviare azioni di responsabilità verso gli ex manager. Secondo Asati, «i danni provocati dal rinvio dell’approvazione del bilancio 2009 e del piano industriale con conseguente posticipo della presentazione

dello stesso alla comunità finanziaria dà una pessima figura a livello internazionale e sta creando effetti conseguenti negativi sull’andamento del titolo in Borsa di questi giorni». E Standard & Poor’s ha dichiarato che nonostante i possibili effetti delle inchieste sul bilancio non intende tagliare il rating al colosso italiano delle tlc, almeno per ora

Intanto la Procura di Roma ha rivelato che sono complessivamente 80 gli indagati, compresi i 56 raggiunti da provvedimenti di custodia cautelare, nell’ambito dell’inchiesta ; il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo ieri era in missione all’estero per visionare il materiale sequestrato e per avviare le procedure di estradizioni di alcuni degli arrestati. Sabato prossimo sarà fuori Roma anche il giudice Morgigni. Oggi invece ascolterà a Roma le altre persone finite in carcere e poi si recherà a Milano per interrogare le persone finite in carcere nel capoluogo lombardo. E si è scoperto che l’inchiesta giudiziaria ha preso l’avvio in base ad alcune denunce relative a truffe legate agli sms con i quali gli operatori di telefonia mobile attivavano all’insaputa dei clienti servizi a pagamento. Silvio Scaglia, ex ad di Fastweb raggiunto da un mandato di cattura, era atteso ieri sera all’aeroporto di Ciampino dove avrebbe dovuto consegnarsi agli inquirenti per essere poi trasportato a Regina Coeli. «Il mio assistito è rimasto sorpreso, anche perché si tratta di fatti vecchi di tre anni. Per ora non si riescono a cogliere elementi nuovi, salvo l’infedeltà di due dipendenti Fastweb», ha affermato Gildo Ursini, legale dell’ex presidente di Fastweb. Intanto a difendere l’azienda si è presentato l’attuale amministratore delegato Stefano Parisi (la proprietà è passata a Swisscom da tempo): «Fastweb è sana e sfido chiunque a trovare che abbiamo fondi neri o contabilità separata», ha detto a Radio 24, «Il commissariamento? Non ce n’è bisogno e sarebbe un delitto», ha poi concluso.


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26 febbraio 2010 • pagina 7

Gli inquirenti intanto indagano fra gli ex clienti del penalista

Restano gravissime le condizioni di Fragalà PALERMO. Restano gravissime le condizioni di salute dell’avvocato palermitano Enzo Fragalà, l’ex deputato di Alleanza nazionale e attuale consigliere comunale del Pdl, brutalmente aggredito martedì sera davanti al suo studio legale a pochi passi dal Palazzo di Giustizia di Palermo. Il noto penalista ha superato la seconda notte, ma è ancora in coma profondo. Per tutta la notte la moglie Silvana, i figli, i parenti e gli amici non hanno abbandonato la sala davanti alla Seconda Rianimazione dell’ospedale Civico di Palermo, dove Fragalà è ricoverato. Martedì’ notte è stato sottoposto a un delicato intervento alla testa per fermare una vasta emorragia per le bastonate ricevute. Intanto, proseguono le indagini dei carabinieri del Reparto operativo di Palermo, coordinati dal pm Di Matteo, che hanno ascoltato i tre testimoni oculari, ma anche i colleghi di studio e i parenti. La pista seguita e più accreditata è quella professionale.

Gli inquirenti stanno controllando i più recenti fascicoli processuali seguiti da Fragalà prima dell’aggressione di martedì. Sono diverse le ipotesi, tra queste ce n’è una che riguarda un processo per sfruttamento della prostituzione. L’ultima arringa di Fragalà riguardava un

processo su una baby-prostituta che avrebbe partecipato a festini palermitani. Sull’aggressore ancora non si è riusciti ad avere un identikit completo. Si sa soltanto che è un uomo molto alto e robusto, ma durante l’aggressione aveva il volto coperto dal casco. Gli investigatori ascolteranno nei prossimi giorni altri clienti, e soprattutto ex clienti dell’avvocato. Secondo gli inquirenti, quella di martedì sera è stata una vera e propria spedizione omicida: Fragalà è stato sorpreso di spalle, colpito con un bastone in testa e sul torace fino a cadere in una pozza di sangue. Ma l’aggressore ha continuato a infierire sul penalsita anche dopo.

Caso Bertolaso, lascia Balducci Dopo l’arresto, si dimette il presidente del Consiglio dei lavori pubblici di Marco Palombi

ROMA. Angelo Balducci s’è dimesso dai suoi incarichi al ministero delle Infrastrutture. L’ingegnere, arrestato il 10 febbraio nell’ambito dell’inchiesta fiorentina sugli appalti del G8 a La Maddalena e i mondiali di nuoto romani del 2009, ha inviato un telegramma al ministero in cui rinuncia ai suoi incarichi nell’amministrazione e di presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici. Il ministro Matteoli, con una nota, ha detto d’aver «apprezzato il gesto ed augura all’ingegner Balducci che possa chiarire al più presto la sua posizione in merito alle contestazioni della magistratura». Uno degli avvocati di Balducci, Roberto Borgogno, ha parlato di «un atto annunciato fin dal giorno dell’arresto», mirante «anche a permettergli di difendersi più tranquillamente dalle accuse».

infatti il “soggetto attuatore” degli appalti a La Maddalena e a Roma (quello che aveva i cordoni della borsa, in pratica) e s’era dato da fare, secondo l’accusa, anche per procurare contratti agli “amici” nel dopo-terremoto a L’Aquila. La capa-

e altri pubblici ufficiali, ha scritto il giudice, «hanno asservito la loro funzione pubblica (alquanto delicata, attesi gli enormi poteri a loro concessi e i rilevantissimi importi di denaro e risorse a carico della collettività) in modo totale e incondizionato agli interessi dell’imprenditore Diego Anemone (e non solo). Tale asservimento veniva ben retribuito con vari benefit di carattere economico e non». In soldoni, case, macchine, cellulari, pacchetti azionari e servizi d’ogni genere, sesso compreso per alcuni: «Anemone e i suoi collaboratori si mettevano a disposizione dei tre, in particolare di Balducci, per risolvere loro qualsiasi tipo di esigenza, anche la più banale», si legge nell’ordinanza che autorizza l’arresto.

Dopo il magistrato Toro, lascia l’incarico un’altra figura di primo piano dell’inchiesta sul sistema di appalti di Protezione civile e Grandi eventi

Queste dimissioni, però, tornano utili anche ai fini dell’istanza di scarcerazione su cui dovrà decidere il gip di Perugia: la Procura infatti ha espresso parere negativo anche per il «pericolo di recidiva», per il pericolo cioè che Balducci compia di nuovo gli stessi reati. Non risulta, hanno infatti scritto i pm, che “gli indagati pubblici ufficiali abbiano assunto determinazioni circa la dismissione della loro qualifica”. Ed ecco arrivare le dimissioni. La posizione dell’ingegnere, peraltro, è centrale nell’inchiesta sul sistema delle emergenze e i relativi appalti che vede indagato anche Guido Bertolaso: Balducci, che del “Capo” è stato uno stretto collaboratore, era

cità di movimento del sistema “gelatinoso”- parola del gip di Firenze - che volteggiava attorno al sistema dei lavori a chiamata diretta gestito dalla Protezione civile era notevole, tanto da risultare una macchina pressoché perfetta: l’ingegnere

Caso Mills: l’accusa chiede la prescrizione

ROMA. Al momento di andare in stampa, i giudici delle sezione unite penali della Cassazione che devono decidere sulle vicende dell’avvocato inglese David Mills era-

no ancora riuniti in camera di consiglio. Ai nove magistrati (presiede Torquato Gemelli, il relatore Aldo Fiale) spetta decidere se confermare o meno la condanna inflitta a Mills sia in primo che in

secondo grado a quattro anni e sei mesi per corruzione in atti giudiziari. La pubblica accusa di piazza Cavour, rappresentata dall’avvocato generale Gianfranco Ciani, a fine mattinata aveva chiesto di dichiarare la prescrizione del reato di corruzione in atti giudiziari nei confronti di Mills. Il pg aveva inoltre chiesto di confermare il risarcimento di danni per Palazzo Chigi quantificato in 250 mila euro. Mentre la difesa dell’avvocato inglese, chiedendo di annullare le precedenti condanne, aveva auspicato «un giudizio coerente». «Che la Cassazione - hanno sostenuto i legali nelle loro arringhe - fissi i principi del buon governo delle regole di diritto che secondo noi sono a nostro favore».

L’ingegnere, nei mesi in cui la polizia giudiziaria indaga su di lui, si dà da fare ad ogni livello per mantenere efficiente il “sistema”, ma sicuramente sono le manovre attorno al sisma dell’Aquila quelle più difficili da digerire per l’opinione pubblica. L’11 aprile 2009, ad esempio, a pochi giorni dal terremoto, Balducci, in una lunga conversazione con Anemone riportata dal giudice, «fa pesare il fatto che si è fatto promotore per l’inserimento delle sue imprese nei lavori post terremoto (“ti rendi conto? chi oggi al posto mio si sarebbe mosso?”) e senza pensarci un attimo chiede in cambio una sistemazione per il figlio Filippo (“tra qualche giorno compie 30 anni e io mi chiedo come padre: che ho fatto per lui? un cazzo”)». Storie di ordinaria corruzione, hanno sostenuto i magistrati, che adesso hanno portato l’ingegnere prima in carcere e poi dove non stava da moltissimi anni: fuori dal ministero.


società

pagina 8 • 26 febbraio 2010

Scenari. L’ombra della speculazione immobiliare si allunga sulle ragioni che hanno portato i sabotatori a riversare il gasolio nel fiume di Milano

Una ferita d’acqua Dietro all’inquinamento del Lambro, ci sono storie di ignoranza e corruzione di Gabriella Mecucci a lunga onda di morte continua lenta ma sicura ad annientare tutto ciò che trova sulla sua strada. La catastrofe del Lambro è già anche la catastrofe del Po e sta per diventare la catastrofe dell’Adriatico. E tutto questo è accaduto perché qualcuno, in nome dei propri affari, ha scaricato sul un fiume un tempo meraviglioso da 2500 a 10mila metri cubi di carburante (gasolio e olio combustibile), autentico veleno per la fauna fluviale e marina, e per le agricolture circostanti.

L

Sotto nuova forma si ripresenta la scia di malversazione che sta colpendo l’Italia un po’ ovunque. C’è quella del business degli eventi, quella degli scandali fiscali e tecnologici, e quella delle ecomafie che inquinano senza ritegno: un mix di arricchimenti illeciti, di ricatti e di ogni sorta di reati contro l’ambiente. Ogni giorno nel Belpaese ne scoppia una e al bombardamento di illegalità, l’esecutivo di Berlusconi reagisce sostenendo che è tutta colpa degli altri, di quelli che hanno governato prima di lui. È ovvio che non c’è un legame diretto fra la catastrofe del Lambro e l’operato di una maggioranza politica. Ma quando ogni giorno si manifesta una nuovo reato, vuol dire

che in questo Paese si respira una cattiva aria. Che c’è una caduta del senso del limite e che si vive oltre la legge, se non contro la legge.

Sull’inquinamento del Lambro la Procura di Monza ha aperto un’inchiesta nei confronti di ignoti e l’ipotesi più probabile è che qualcuno, nottetempo, si sia alzato e abbia dato il via libera ai veleni per fare pressioni. Pressioni per ottenere cosa? L’ombra della

somma, il progetto è questo: grande parco con dentro una colata di cemento impressionante. Dietro Ecocity i fratelli Addamiano, che per il momento sono introvabili. Così come Enzo Tagliabue, alla guida della Lombarda Petroli. La magistratura sta cercando di mettere in rapporto la grande speculazione edilizia con l’avvelenamento del territorio, usato come forma di minaccia e di pressione. Per avere presto tutti i permessi,

L’avvelenamento è partito dalla Lombarda Petroli, un’azienda che in realtà risultava chiusa, proprio mentre è pendente un progetto di “riqualificazione” della stessa area industriale speculazione immobiliare si allunga dietro le ragioni che hanno portato i sabotatori a riversare il gasolio nel fiume di Milano. L’inquinamento è infatti partito dalla Lombarda Petroli, un’azienda che risultava chiusa, proprio mentre è pendente un progetto di “riqualificazione” immobiliare della stessa area industriale. È lì infatti che dovrebbe veder la luce Ecocity, il più grande progetto multinazionale della Brianza. Villette, uffici, centri commerciali: un affare di mezzo miliardo di euro: 187mila metri quadrati di fabbricato su di un’area complessiva di 309mila. In-

subito e senza controlli. Per il momento si tratta solo di un’ipotesi: non ci sono prove, ma solo labili tracce. Ma, l’assessore regionale al Territorio della Lombardia con la sua dichiarazione fa pensare ad un suo sospetto preciso: «Questo è un atto doloso di gravità eccezionale - ha affermato David Boni -. E se qualcuno pensa che così facendo possa avere qualche agevolazione urbanistica, ha sbagliato previsione».

Gli inquirenti prendono in esame, però, anche altre piste. Una, ad esempio, porterebbe anche ad alcuni ex dipendenti

della Lombarda Petroli che potrebbero aver agito per vendetta. Anche qui, ancora nessuna prova solo qualche indizio. Quello che è certo, invece, è che il caso drammatico del Lambro è un’altra delle facce dell’illegalità di questo Paese.

Solo oggi sapremo se la marea nera ha intaccato la falda del fiume intorno a Monza. Di certo vent’anni di lavoro per disinquinare uno dei corsi d’acqua più avvelenati d’Italia, sono stati annientati nell’arco di una notte. C’è il rischio poi che il petrolio non si sia fermato al Lambro, ma sia debordato nella fitta rete di

canali che viene utilizzata per l’irrigazione nelle campagne a Sud di Milano e del lodigiano. In quel caso i danni all’agricoltura sarebbero incommensurabili. Una calamità senza precedenti. Per non dire del depuratore di Monza, intasato dal catrame e che sta funzionando a scartamento ridotto. Presto dovrà restare fermo tre settimane per essere pulito. Morale: gli scarichi delle fognature di circa ottocentomila persone verranno immessi direttamente nel Lambro. A disastro si aggiungerà disastro.

Sin qui siamo rimasti nella zona circostante il capoluogo


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26 febbraio 2010 • pagina 9

La caduta di un mito che aveva puntato sulla rinascita ecologica

La faccia sporca del boom economico di Giuseppe Baiocchi pensare che qualche anno fa i naturalisti avevano notato con sorpresa il ritorno dei gamberi d’acqua dolce nel primo corso del fiume. Segnale inequivocabile di purezza delle acque: il gambero infatti non riesce a sopravvivere a un pur modesto inquinamento. Era allora il simbolo di una rinascita inattesa che era tuttavia limitata al primo corso del Lambro, non lontano dalle sorgenti, in quel triangolo montuoso che separa i due rami del Lago di Como. Infatti fino al 1980 le acque del Lambro (cantate come “limpidissime” dal Petrarca), erano davvero le più sporche e ributtanti d’Europa. Nei centotrenta chilometri di viaggio fino alla confluenza con il Po si scaricavano le scorie e i rifiuti del “miracolo economico”, delle migliaia di piccole aziende che avevano fatto comunque la fortuna industriale della “Brianza felix”.

E

lombardo, ma ormai l’onda nera scorre sul Po. L’ingresso sul grande fiume è avvenuto l’altro ieri mattina alle 7,30, nei pressi di Calendasco, il punto in cui il Lambro confluisce nel Po. Si è cercato di fermare il petrolio con alcune paratie, ma sono state rimosse perché instabili. L’isola di Pinedo, oasi naturalistica nel Comune di Caorso è sta raggiunta dalla piena avvelenata alle 16 di l’altro ieri. Le anatre sono state coperte di catrame. Ma a rischio ci sono alcuni bellissimi volatili: dal germano reale all’airone garzeta. E i pesci del fiume: dal ghiozzo padano al barbo.

Se la Lombardia è in prima linea in seconda battuta toccherà all’Emilia Romagna. E in questa regione il danno potrebbe andare oltre il Po. Il terrore è che finisca sull’Adriatico. Ci mancherebbe questa, per quel mare che ne ha già viste di tutti i colori: si potrebbe passare dalle vacanze con mucillaggini, alla villeggiatura a petrolio. Il danno, oltre che la flora e la fauna, toccherebbe il turismo, asse portante del locale benessere. Naturalmente, questo tipo di problema si presenta anche lungo il corso del Po, ma se raggiungesse le coste emiliane e romagnole sarebbe un

Lì dovrebbe sorgere Ecocity, il più grande progetto multinazionale della Brianza. Villette, uffici, centri commerciali: un affare da mezzo miliardo. Dietro, i fratelli Addamiano (al momento introvabili) Lo spettacolo nelle zone già raggiunte è infernale: una lunga striscia di catrame passa e distrugge. Occorre stare molto attenti perchè una così grande quantità di gasolio e olio combustibile è a forte rischio di incendio. Eppure, nonostante la gravità dell’emergenza fosse diagnosticabile da subito, si parla di ritardi negli interventi. E mentre l’onda nera passa e distrugge, transitano velenose anche le accuse: «Pochi mezzi a disposizione, indecisioni e altro».

colpo terribile per l’economia di un’intera regione.

Il Belpaese, insomma, è stretto nella morsa delle catastrofi e delle illegalità. Erano molti anni che l’Italia non viveva un momento così difficile. I sondaggi ormai fanno trasparire la stanchezza e la sfiducia di molti cittadini. Alla crisi economica, qui da noi, si sono accompagnate una continua teoria di scandali, da mozzare il fiato. Da togliere la speranza per il futuro a chiunque.

L’odierno disastro ambientale, provocato in maniera deliberata, fa ripiombare indietro di trent’anni. Al punto da vanificare il complesso e paziente lavoro di ripristino ecologico intrapreso da decenni, compresa la creazione del Parco della valle del Lambro, che è diventato un altro fiore all’occhiello della creatività brianzola. Il Parco è salvo, perché sta a monte dell’«incidente» del deposito di oli combustibili di Villasanta. E tuttavia la macchia oleosa che sporca Monza, la parte est di Milano, le campagne lodigiane, e che inquinerà il Po fino alla foce nell’Adriatico suscita in chi vive in Lombardia e non lontano dal fiume il senso amaro di uno scoramento che prevale da subito su una pur legittima rabbia. Infatti è tale il peso e sono così rilevanti le dimensioni della tragedia ecologica da lasciare senza parole. E non ci si capacita di come sia stato messo in atto il piano prescindendo criminoso, completamente dalle conseguenze negative per una gran parte della collettività. Certo, si sussurra che non manchino corposi interessi all’origine del gesto scriteriato. Ma, si tratti di future lottizzazioni, di nuovi centri commerciali, di mala gestione del deposito di petroli, è comunque così sproporzionato l’eventuale profitto privato rispetto al sicuro danno pubblico da non riuscire a trovare risposta convincente alla domanda angosciante: «perché»?...

anni il costoso processo di ripristino e di bonifica intrapreso da lungo tempo. E, almeno per i lombardi, vulnera un simbolo doppiamente condiviso. Se il Lambro costituiva un tempo la “faccia sporca” della rivoluzione industriale (con l’emblematico nome della “Lambretta”, il mitico scooter della prima motorizzazione di massa costruito negli stabilimenti sulle rive del fiume) ,era diventato poi il segnale del “riscatto ecologico”, della nuova sensibilità collettiva verso la tutela e il recupero dell’ambiente particolarmente degradato.

Tutto questo processo virtuoso, per un delitto sciocco, prima ancora che criminale, si ferma e si aggrava, con costi per la comunità territoriale particolarmente onerosi. E frantuma quel legittimo orgoglio di essere comunque all’avanguardia nel costruire un’idea di sviluppo sostenibile che raggiunga il giusto compromesso tra le esigenze antropiche e la salvaguardia della natura, con la fattiva e coraggiosa capacità di correggere gli errori del passato. Piuttosto, per chi vive intorno al fiume e al bacino del Po interessato da questo rilevante inquinamento, non manca la sensazione di sentirsi soli. E cioè che sia il sistema

Negli anni Sessanta era diventato quasi il luogo simbolico - con tutte le contraddizioni del caso - della rivoluzione industriale lombarda, fino a dare il nome alla popolare “Lambretta”

Quel petrolio così indispensabile per l’energia della società contemporanea si è trasformato in un imbarazzante e pericoloso rifiuto che uccide la vita della natura: ha intasato i depuratori di una zona densamente popolata, ha lasciato tracce a lungo indelebili sulle sponde del fiume, ha compromesso un intero ecosistema, spingendo molto più in là negli

mediatico nazionale che i Palazzi del potere non abbiano colto per nulla le dimensioni e le annose conseguenze di questa tragedia insensata. Sembra infatti che scivoli via, una tra le tante notizia di cronaca brutta,(molto meno importante delle inchieste giudiziarie) e non ponga all’intera comunità nazionale questioni decisive sulla sicurezza, i controlli, la tutela, la prevenzione e la protezione ambientale. Quasi che il povero fiume che lambisce anche Milano non sia anch’esso un “bene comune”. Tanto al Parco Lambro non sono in pericolo i concerti rock….


panorama

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ragioni&torti di Giancristiano Desiderio

Manuale per il professore responsabile esame di Stato quest’anno sarà più serio perché saranno ammessi a sostenerlo solo gli alunni che avranno conseguito almeno la sufficienza in ogni materia. È solo una piccola novità, ma può produrre un buon risultato se i professori non bareranno prima di tutto con se stessi trasformando i quattro in sei. Per capire il senso della novità voluta dal ministro Gelmini è sufficiente fare un confronto con gli anni precedenti. Lo scorso anno per essere ammessi a sostenere l’esame di Stato era sufficiente avere la media del sei: ragion per cui un voto o più voti negativi potevano essere bilanciati - e di fatto lo erano - dai voti più alti. La necessità di quest’anno, dunque, come si può capire, è importante perché introduce serietà e rigore che dovranno valere sia per gli alunni sia per i docenti. Tra il dire e il fare, però, c’è sempre di mezzo il mare. E il mare, nel caso specifico, si chiama consiglio di classe.

L’

Se si legge il decreto del presidente della repubblica del 22 giugno 2009 che introduce la novità voluta dal ministro non ci dovrebbero essere dubbi. L’articolo 6 infatti dice: «Gli alunni che, nello scrutinio finale, conseguono una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline valutate con l’attribuzione di un unico voto secondo l’ordinamento vigente e un voto di comportamento non inferiore a sei decimi sono ammessi all’esame di Stato». Qualcuno, però, potrebbe interpretare il testo in questo modo: i voti che decretano l’ammissione o la non ammissione non sono quelli che entrano in consiglio, bensì quelli che escono dal consiglio di classe. In pratica, in questa interpretazione si ritiene che il consiglio non abbia una funzione di ratifica dei voti proposti dai singoli docenti, ma anche un suo potere che potrebbe modificare i voti. È la questione, insomma, del cosiddetto «voto consiglio». È un’interpretazione giusta? Se stiamo sia alla lettera sia allo spirito del decreto del 22 giugno - e, evidentemente, altro non possiamo fare dal momento che la scuola italiana è regolata dalle leggi dello Stato perché vige il monopolio dell’istruzione dobbiamo dire che si tratta di un’interpretazione errata. Per rendercene conto meglio possiamo considerare quanto dice l’articolo 4 dello stesso decreto a proposito della valutazione degli alunni negli scrutini: «Nello scrutinio finale il consiglio di classe sospende il giudizio degli alunni che non hanno conseguito la sufficienza in una o più discipline». In questo caso il consiglio sospende il giudizio e l’alunno andrà a frequentare i corsi di recupero. Ma al quinto anno i corsi di recupero non ci sono perché c’è l’esame al quale o si è ammessi o non si è ammessi. La legge è chiara: vuole professori responsabili. Tuttavia, è bene che il ministero fughi ogni dubbio possibile con la solita ordinanza ministeriale che detta istruzioni e modalità organizzative dell’esame di Stato.

Commissione sul clima: ha ragione Ripa di Meana Impegno in Parlamento per indagare sul Global Warming di Mauro Libé a ragione Carlo Ripa di Meana, è ora di fare chiarezza ed uscire da un pasticcio che crea solamente confusione. I temi dell’ambiente riguardano noi ma, cosa ancora più importante, riguardano il futuro dei nostri figli e di chi verrà dopo.

H

chiediamo al governo in carica di abbandonare i proclami ed intervenire con piani di lungo respiro che dimostrino capacità di decidere e non solo di parlare. In questi anni se ne è parlato molto anche nelle commissioni competenti di Camera e Senato. È sufficiente rileggere i resoconti e si troveranno moltissimi interventi che partono da posizioni equilibrate e di buon senso, che, con capacità critica, analizzano quando sostenuto dal mondo scientifico dando anche idee per eventuali iniziative.

Perciò, la questione del Global Warming ha bisogno di essere affrontata con serietà, chiarezza , trasparenza e, soprattutto, senza pregiudizi ideologici. Purtroppo i pregiudizi ideologici imperano, soprattutto sulle pagine di tanti giornali e negli studi di molti programmi televisivi, perché fanno rumore. Fa rumore anSu liberal di ieri Carlo Ripa nunciare catastrofi, fa anche rudi Meana, ex Commissario more sostenere che non sta suceuropeo all’ambiente, ha cedendo niente. E non è così diffiscritto: «Il governo Berluscocile trovare pareri dal mondo ni non ha, sino a un certo scientifico a supporto dell’una e punto, demeritato nel valutadell’altra tesi. Un mondo scientire il global warming. Mentre fico che qualche volta non si è diin altri paesi d’Europa c’era mostrato tale. I casi citati da Ripa chi si sfrenava nel sostenere di Meana (e sono solo i più eclale iperboli catastrofiste, qui tanti) anziché diventare un rida noi i toni erano pacati e chiamo per tutti alla serietà e alla non sempre appiattiti. Nulla consapevolezza, diventano la a che vedere con le carnevagrancassa per ribaltare all’ecceslate organizzate da Pecoraro so opposto le posizioni. Scanio e dall’esecutivo di È doveroso tornare all’equiliRomano Prodi. Adesso finalmente coloro che valutavano brio e, ancor prima, è un dovere con prudenza il Global Warper la politica che dovrebbe ritrovare quel ruolo guida che purming vedono riconosciute le troppo ha perso. Non è vero che loro ragioni: gli errori spunnon sta succedendo nulla, ma tano uno dietro l’altro, e ne non è vero che tra pochi giorni ci seguono dimissioni, atti di troveremo nel mezzo di catastrofi accusa, proposte di cambiasenza la possibilità di recupero. menti. Sarebbe il momento Anzi, proprio a proposito dei tanper un governo come il noti eventi alluvionali che colpiscostro, forte delle proprie scelno il nostro Paese mi piacerebbe te passate, di alzare la voce. che molti allarmisti ci facessero Anche proponendo una anche l’elenco degli interventi, commissione Parlamentare reali, consistenti, che hanno presul grande imbroglio del ridisposto e completato quando soscaldamento globale». no stati al governo. Così come

L’appello lanciato dall’ambientalista

Credo che si debba raccogliere la sollecitazione di Carlo Ripa di Meana e perciò con Ferdinando Adornato proporremo la costituzione di una Commissione d’inchiesta che dia credibilità e soprattutto trasparenza ai cittadini. Per un’azione efficace e utile è necessario che il Governo, di qualunque colore, ascolti il Parlamento e che il Parlamento abbandoni, specialmente da parte delle maggioranze di turno, la posizione rassegnata e si faccia sentire. Non è possibile ribaltare quanto fatto dalla Natura che ha messo l’uomo al centro. È normale che le condizioni del pianeta cambino, la popolazione aumenta e le attività industriali si sono moltiplicate. Ma non è limitando questo che si darà salvezza al genere umano che, proprio per suo compito deve crescere in nome di un famoso “andate e moltiplicatevi”. Bisogna smettere di abbaiare alla luna e iniziare ad operare affinché ci sia la certezza che i problemi sono reali e non finti. Così si potrà intervenire per le soluzioni, senza ideologie ma con tanta concretezza. L’uomo non vive di solo pane ma di pane ha bisogno. Certamente non vive con le ideologie ed ora ne ha sempre meno bisogno, ha bisogno di idee, di idee serie.


panorama

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La relazione di Francesco Amirante in occasione del tradizionale incontro con la stampa di inizio d’anno

«La Consulta? Non ha colore politico» Il presidente della Corte: «Il nostro orientamento è il rispetto della Costituzione» di Franco Insardà

ROMA. In questi ultimi mesi di scontro politico e istituzionale la Corte costituzionale è stato uno dei principali bersagli. Soprattutto dopo la bocciatura del Lodo Alfano. Ieri, però, il presidente della Consulta Francesco Amirante, in occasione della relazione sulla giurisprudenza costituzionale del 2009 che precede il consueto incontro con la stampa, soffermandosi sulla difesa di principi costituzionali ha colto l’occasione per chiarire la posizione della Corte. Ha rivolto un «grato pensiero» al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che «in numerose occasioni ha sottolineato la peculiarità e il rilievo di garanzia della Corte Costituzionale» e chiarendo di non voler entrare nei fatti specifici ha invocato per la Corte «l’esigenza, da un grande papa riferita alla Chiesa, di dover essere sensibile ai segni dei tempi o della Storia, ma anche aggiungerei indifferente ai clamori della cronaca».

si delegittima un’istituzione, a lungo andare si delegittima lo stesso concetto di istituzione e, privo di istituzioni rispettate, un popolo può anche trasformarsi in una massa amorfa».

Specificando poi che rispettare la Corte significa «anche, e forse soprattutto, conoscerne e considerarne i tempi in particolare in relazione al bilanciamento dei principi e dei diritti fondamentali, di valutazione delle decisioni nello scorrere

del tempo, della previsioni dei loro effetti e, quindi, alle cosiddette ricadute». E proprio sui tempi delle decisioni della Consulta ha avvertito che «quando la decisione di legittimità costituzionale ha a oggetto i principi strutturali della Costituzione e i diritti fondamentali della persona umana, quali sono riconosciuti e garantiti dalla Carta, ed eventualmente il loro bilanciamento, allora i tempi della Corte si diversificano da quelli di altre Istituzioni». Soprattutto perché ha spiegato «la nostra Costituzione“rigida”comporta tempi diversi da quelli di una legislatura e comporta l’abbandono della teoria secondo la quale il popolo, esprimendo la volontà generale, può in ogni momento cambiare tutti i principi e le regole della propria convivenza». Chiarendo, se ce fosse bisogno, che «non è così soprattutto se si considera che l’articolo 1 della Carta nel prevedere che la sovranità appartiene al popolo, subito dopo stabilisce che questo la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione».

Privo di istituzioni rispettate, un popolo può anche trasformarsi in una massa amorfa

Anche se ha aggiunto che «chi volesse vedere nelle sentenze della Consulta non dico un disegno ma anche soltanto un orientamento coerente sul piano, alla Corte estraneo, della politica di questo o quel partito e di questo o quel movimento, resterebbe deluso». A una domanda di un giornalista ha risposto di non sentirsi offeso a essere stato ritenuto un comunista: «Non sono mai stato comunista, ma non la ritengo un’offesa». Secondo il presidente della Consulta «quando

A proposito della “bizzarria” italiana, come l’ha definita Amirante, di avere un organo indipendente composto da quindici persone, non elette direttamente dal popolo che possano porre nel nulla una legge emanata dal Parlamento, è ormai comune a molti altri Paesi europei. E ha citato il caso della Francia dove, fino al

febbraio 2008, era previsto solamente il controllo preventivo sulle leggi da parte del Consiglio costituzionale, mentre ora è stato introdotto anche il controllo successivo, «superando così il moto giacobino che attribuiva soltanto all’assemblea il potere di porre nel nulla una legge». Il presidente della Consulta ha affondato, poi, un altro colpo sui decreti legge. «Il ricorso alla delega legislativa, in alcuni casi necessaria, è diventato sempre più frequente». Una prassi ha avvertito che rischia di «avere ricadute negative sul funzionamento della Corte», provocando «disfunzioni, ritardi e complessivi sprechi di notevole entità». E non meno leggero è stato a proposito del continuo contenzioso fra Stato e Regioni: definendolo «patologico».

Mantenendo, infine, fede alla premessa di non voler entrare nel merito della cronaca alle domande sul ddl sulle intercettazioni, al provvedimento anticorruzione o al regolamento Rai sulla par condicio Amirante ha risposto: «Non possiamo esprimere valutazioni preventive sulle normazioni da fare, non è reticenza: è opportuno che la Corte taccia, altrimenti darei false indicazioni ed entrerei in una controversia politica attuale che ha tutta la sua legittimazione, ma che non ci compete», dichiarando di voler accogliere l’appello del capo dello Stato di tenere bassi i toni della polemica e di sottrarre la Corte alla polemica.

Polemiche. Il caso di un professore di sociologia, certo che la corruzione vada “scusata” perché esiste un po’ ovunque...

Il Paese del “mal comune mezzo gaudio” di Anna Camaiti Hostert lcuni giorni fa un professore di sociologia ha affermato che l’Italia, con i suoi crescenti episodi di corruzione, non ha niente di diverso da altri Paesi del mondo. Secondo il principio “mal comune mezzo gaudio”, il professore si consola e ci consola, affermando che questo è un trend ormai consolidato e che non ci dobbiamo scandalizzare. Mi spiace contraddire il professore: il nostro Belpaese è di gran lunga quello che detiene questo triste primato rispetto a molte nazioni europee e di certo rispetto a quelle anglosassoni. E ciò non consola affatto. Inoltre mentre nei paesi anglosassoni, che il professore non considera degni di nota, pensando che sia l’America latina a dovere essere presa ad esempio, dopo che i malcapitati sono stati scoperti c’è il buon uso di dimettersi. Qui invece forse per qualche malcelata immagine di machismo, il rimanere incollati alla poltrona di potere è un elemento di merito. Forse si spera che ricevendo avvisi di garanzia su avvisi di garanzia e resistendo a qualsiasi ten-

A

Negli Usa però l’abitudine (sana) è quella di scusarsi e, in caso, lasciare il posto

tazione di dimissioni si possa eludere l’ostacolo e rimanere in sella cancellando la macchia.

Tutto ciò è coerente con un certo comportamento nostrano secondo cui dura chi resiste, perché quello che conta è mantenere il potere. «Il potere logora chi non ce l’ha» ricordava Andreotti. Purtroppo il vetusto senatore non sapeva quanto pericoloso sarebbe diventato questo suo motto, proprio in quanto alla luce dei fatti recenti è divenuto un principio che fa passare in secondo piano l’interesse della res publica e privilegia invece quell’utile particolare che tanti danni provoca quando va a svantaggio di un’etica politica senza la quale è impossibile governare. Non importa se emerge un problema di dignità e di credibilità, perché ciò passa in secondo piano. Al contrario in paesi come gli Stati Uniti o l’Inghilterra quando lo scandalo scoppia, ci si dimette immediatamente e si fa anche ammenda scusandosi con gli elettori. Forse è il retaggio di un’etica protestante puritana, ma rientra nella tradizione di una pubblica amministrazione che sente il dovere di ser-

vire il proprio Paese e non di derubarlo. Due sono le obiezioni che si potrebbero muovere: la prima è che i procedimenti giudiziari in quei Paesi avvengono solo in seguito alla provata colpevolezza di coloro che sono accusati; e l’altra che forse l’eccessivo puritanesimo di quelle culture spesso costringe figure popolari anche non politiche a rendere pubblica una vita privata che tale dovrebbe rimanere. In questa direzione vanno le scuse di Tiger Woods per essere stato fedifrago, forzate anche dal fatto che per questo il pubblico gli ha voltato le spalle. E con il pubblico anche i milioni di pubblicità legati al consenso perduto. Pertanto ben vengano le scuse del campione di golf se, oltre alla riconquista del mercato pubblicitario, possono servire da esempio. Perché qui da noi proprio di esempi c’è bisogno. Con buona pace del professore.


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Olivier Roy, francese, islamologo di riferimento per le università europee e statunitensi, quest’anno direttore del programma Mediterraneo all’Istituto di studi europei di Firenze. Ha presentato lunedì al Centre Culturel Saint-Louis de France il suo ultimo libro La santa ignoranza. Religioni senza cultura (Feltrinelli). Nel suo intervento, che qui proponiamo, c’è la radiografia degli effetti della secolarizzazione sulle religioni nel XXI secolo: calo della pratica religiosa, rottura tra cultura e religiosità, globalizzazione e deterritorializzazione delle religioni. Un contesto che vede protagonisti le correnti fondamentaliste islamiche (i salafiti) e i nuovi evangelisti, unici a crescere nella crisi culturale delle religioni. l ritorno dei simboli religiosi coincide con il trionfo della secolarizzazione, ne è un prodotto. La secolarizzazione ha funzionato perfettamente in termini sociologici: quasi ovunque e perfino negli Stati Uniti la pratica religiosa fa marcia indietro e allo stesso tempo i religiosi sono più visibili. Basta dare un’occhiata alle strade di Instambul e del Cairo, sono molto più islamiche rispetto a 40 anni fa. Anche in Europa il simbolo riprende vigore. In un Paese scristianizzato come la Francia negli anni 50-60 il religioso cercava in tutti i modi di mimetizzarsi. Per non farsi vedere i preti si vestivano in borghese e le chiese venivano nascoste come le stazioni, racchiuse in banali edifici. Ora invece si è tornati alla sottana, alla croce in evidenza nel sagrato di Notre Dame, alle processioni. Non è un caso se nei paesi dove gli immigrati sono di seconda e terza generazione il dibattito verta sul segno religioso e sulla visibilità dell’Islam: i minareti, il velo, il burqa. Anche in Italia il crocefisso ha scatenato polemiche e una domanda: è un segno religioso o culturale? Per lo Stato è «un segno puramente culturale», la Chiesa lo ha difeso: «Culturale? Il crocifisso è prima di tutto un simbolo di fede». Quel dibattito è un segno della rottura delle religioni con la cultura tradizionale, che è frutto della secolarizzazione. A poco a poco la religione ha smesso di essere nel cuore della cultura, in Francia è stata combattuta, altrove semplicemente messa da parte. Nella persona religiosa la dimensione di fede è andata via via scomparendo. Il colmo è stato raggiunto

I

il paginone

Il ritorno dei simboli sacri coincide con il trionfo della secolarizzazione. E la

Quelle religion

di Oliv tre le suore arrivano soprattutto dall’Africa, dall’India e dalle Filippine. Alla minore pratica religiosa si affianca la seconda conseguenza della secolarizzazione: la scomparsa della cultura religiosa tra i fedeli. Mentre in Italia i giovani crescono ancora con una buona educazione religiosa, in Francia non è più così: i giovani non sanno nulla della religione. E i sondaggi (cito quello realizzato due anni fa dalla rivista La Vie) mostrano che la gente che si professa cattolica ma non crede nei dogmi religiosi. «Lei è cattolico?» Sì. «Crede in Dio?» Il 60% risponde sì, il 40% no. «Crede alla verginità di Maria?» No all’80%. Il cattolicismo diventa così un elemento identitario ma è visto meno come religione.

In Québec dove fino agli anni agli anni 60 erano tutti battezzati e andavano a messa, la scomparsa del cattolicesimo avviene nel breve tempo di una sola generazione. Il vescovo di Montreal nel 2006 ha deciso di lanciare una campagna di pubblicità, per spiegare che cosa significa “tabernacle” (tabernacolo), che in quebecchese è un insulto, in origine blasfemo ma tutti lo ignorano. Grandi cartelloni nel metrò o lungo le autostrade con scritto: «Tabernacolo: piccolo armadio chiuso a chiave, che si trova sull’altare e contiene il calice». Per informazioni: andare sul sito della diocesi. La crisi culturale si segnala soprattutto nei nuovi attori religiosi, quelli che conquistano ancora le masse. Non solo si disinteressano alla cultura, ma la considerano qualcosa di pericoloso, la denunciano come espressione del paganesimo. Si sminuisce il sapere: sia i nuovi protestanti che i salafiti svalutano la teologia: per questo motivo non hanno proprie università. Hanno dei college all’americana,

Il metodo dei missionari americani è efficace perché la domanda di spiritualità avviene oggi in un contesto globale, dove tutte le religioni si sono più o meno uniformate in Danimarca, dove c’è una chiesa di Stato e i pastori sono funzionari. Due-tre anni fa un pastore ha ammesso di non credere più in Dio, il vescovo gli ha chiesto di dimettersi e si è sentito rispondere: «Perché? Io ho una funzione eminentemente sociale, sono libero di esprimere le mie opinioni». Solo la Corte Suprema lo ha costretto a dimettersi.

La pratica religiosa è in calo ovunque, negli Stati uniti, in Italia, in Spagna, in tutta Europa. Con la religione cattolica gli indicatori sono infallibili: basta contare i fedeli che vanno a messa. Per il protestantismo e l’ebraismo è più difficile. Negli Stati Uniti c’è un fenomeno curioso: rilievi statistici sul terreno danno risultati inferiori ai sondaggi telefonici, in cui la gente si dice molto più osservante. L’Europa si popola di sacerdoti africani, men-

professionali, per diventare missionari, dove si insegnano le lingue straniere dialettali per poter predicare per strada, ma non la cultura. Sono l’antitesi del Pontificio Istituto di Studi Arabi e d’Islamistica dei Padri Bianche del Cardinale Lavigerie, che aveva la vocazione di convertire i musulmani al cristianesimo. Innanzitutto era necessario conoscere i musulmani da convertire: così i Padri Bianchi hanno sviluppato un sapere straordinario sul mondo arabo e sul mondo musulmano. Risultato: un convertito per ogni missionario. Visto che ci vogliono ben 30 anni per formare un padre bianco, il rapporto qualità-prezzo è pessimo.

Chi ha convertito invece migliaia di musulmani in Algeria e in Marocco? La risposta l’ha data un piccolo giornale marocchino di lingua francese: metà degli in-

tervistati dicono che la conversione è avvenuta grazie a parenti o amici, il 40% è stato convertito dai padri missionari americani. La loro preparazione è molto più facile: imparano il francese, il dialetto arabo (non l’arabo classico perché non serve per parlare alla gente), non sanno niente di islamistica perché considerano l’Islam una falsa religione.Vanno per strada e dicono: «Sono venuto a parlarti di Gesù». Questo funziona. Un pastore, che non ha niente a che vedere con la preparazione dei Padri Bianchi, ha convertito un centinaio di persone. E’stato espulso dall’Algeria ma il suo metodo ha pagato.Vi è infine un ultimo 10-15% di persone convertite da un cosiddetto God’s channel, che si chiama Al Hayat, un canale tv di predicazione evangelica, in arabo, ideato in California. I canali di Dio sono tutti uguali: quale che sia la lingua in cui predicano, non c’è nes-

suna dimensione culturale. C’è una semplice sala con qualche fiore di plastica, delle sedie, una pedana, ogni intervento dura tra i tre e i sei minuti. Ci sono giovani che, microfono alla mano raccontano la loro storia: «Sono Mohamed, ero musulmano, ma non ero soddisfatto, mancava qualcosa, poi ho incontrato Gesù e son stato meglio».

Il metodo dei missionari americani è efficace perché la domanda di spiritualità avviene oggi in un contesto globale, dove tutte le religioni si sono uniformate, direi quasi “mcdonaldizzate”: sono in concorrenza perché offrono un prodotto che si assomiglia. E tutti cercano lo stesso prodotto, la verità immediata. I discorsi dei convertiti si assomigliano, che siano musulmani convertiti al cristianesimo o viceversa: «Sono cresciuto in un


il paginone

a fede diventa una manifestazione esteriore più che una pratica interiore

oni senz’anima

ver Roy pevole, spesso militante. In molti college americani per missionari è proibito leggere romanzi o guardare la tv.

Oggi c’è un altro aspetto in comune tra le religioni, che coinvolge anche i Cattolici. Tutte si proclamano sempre di più come una comunità di fede minoritaria in un mondo di atei affetto da cultura anti-religiosa. Per le nuove chiese questo è vivificante ma per la Chiesa Cattolica no. Perché ha sempre voluto e affermato che la parola di Dio sia il cuore pulsante della cultura, che riveste ancora un ruolo fondamentale nei discorsi di Benedetto XVI. Da un lato la Chiesa dichiara che la cultura occidentale è profondamente cristiana, dall’altro dice che la cultura ha perso la sua anima, la fede, e si trasforma in cultura della morte. Per questo le tematiche sulla vita e sull’eutanasia sono così importanti, non sono solo la conseguenza di un irrigidimento della Chiesa sui codici. La Chiesa sa che la religione ha abbandonato la cultura e che la cultura è autonoma rispetto alla religione. Il grande problema che si pone è quindi di ricollegare le due cose. A molti altri movimenti spirituali questa riconnessione

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rente o si è fuori. Per avere un’idea del processo di globalizzazione delle religioni, si pensi all’Embassy of God, la chiesa evangelica fondata a Kiev dal pastore nigeriano Sunday Adelaja. Era arrivato come studente, oggi ha due milioni di discepoli in Ucraina. Da Kiev, dove è molto potente, ha creato una branca a Londra e ora cosa succederà? Sono convinto questa chiesa tornerà in Nigeria attraverso l’Inghilterra. Così come il Movimento Hare Krishna, che è una forma di induismo americano, adesso si diffonde sempre di più in India. Il problema è questo: se il criterio di appartenenza a una religione non è la cultura ma esclusivamente la fede, cosa succede a chi condivide la stessa cultura religiosa ma non la fede? Nel discorso cattolico colui che ha la stessa cultura ma non la fede si sbaglia, e quindi se la cultura occidentale rinuncia alla fede è morta. E siamo all’annuncio della morte della cultura occidentale, che va di pari passo con lo sviluppo del carisma delle nuove religioni di oggi.Vanificando la teoria huntingtoniana dello scontro tra civiltà, le religioni si deculturano dappertutto, non hanno più una base territoriale e non si identificano più con delle forze politiche. Non possiamo dire ad esempio che gli evangelisti siano il braccio armato dell’imperialismo americano. Osserviamo che le forze vive della Chiesa cattolica vengono dall’Africa, ma è difficile affermare che il cattolicesimo sia una sorta di neocolonialismo.

I nuovi movimenti religiosi non sono più espressione di forze geopolitiche come governi o civiltà. Il loro effetto è destabilizzante per gli stati-nazione già scossi dalla creazione di organismi sovranazionali come l’Unione Europea.

Vanificando la teoria huntingtoniana dello scontro tra civiltà, le religioni si deculturano dappertutto, non hanno più una base territoriale e non si identificano più con delle forze politiche non interessa, perché pensano che è così che si vince, che predicando la parola pura e assoluta riescono a attirare i veri fedeli, non gli indecisi. Le chiese non vogliono più i tiepidi credenti sociologici, che si professano credenti senza essere praticanti. Oggi o si è dentro o si è fuori.

ambiente religioso dove regnava il conformismo e non c’era spiritualità, allora ho cercato tanto fino a quando un giorno ho trovato la verità». L’incontro immediato con la verità li porta a sentirsi realmente felici, pieni e realizzati. È una religione individuale. Con la prospettiva della realizzazione di se stessi, le persone rompono con ciò che sono state prima. Sono i “born again”, i nati di nuovo. Il principio è istituzionalizzato nel culto degli evangelici, per cui è obbligatorio un secondo battesimo. Il primo è culturale, conformista, deciso dai genitori, il secondo è una scelta personale. Tale religiosità è fonte di conflitti generazionali, di una rottura con la tradizione. Lo aveva capito bene Giovanni Paolo II, che ha gestito magistralmente il fattore generazionale. I giovani che vanno a vedere il Papa alla Giornata

mondiale della Gioventù non si avvicinano però al seminario. La motivazione che li porta ad incontrare il Papa non è quella che guida un seminarista. Una proiezione sul lungo termine, l’acquisizione di un dottorato, il sapere, la teologia... non interessano. Ciò che conta è l’immediato, la fede immediata.

Evangelici e salafiti ricevono una definizione del sapere molto limitata, conta solo ciò che è proibito e ciò che è autorizzato. E’ la contrapposizione tra halal e haram, tra ciò che è lecito e ciò che è illecito. Il sapere è quindi un codice, si riduce a dubbi del tipo: «Il cammembert è halal o no? E la carta di credito?» Si dibatte sul bene e sul mal, ma non sui valori. Mai ad esempio, sulla dimensione religiosa di un’opera letteraria. La rottura tra cultura e religione è consa-

In Italia si registra il passaggio dalla parrocchia alla comunità: prima chi apparteneva a una parrocchia era anche membro della Chiesa. Ci si battezzava, poi magari si tornava trent’anni dopo per sposarsi: il prete strigliava gli sposi ma li reintegrava pienamente. Oggi non è più così. È la comunità a guidare e, a differenza della parrocchia, non è territoriale. Si fanno decine se non centinaia di chilometri per raggiungere la propria comunità di fede dove la gente vive la religione come preferisce. Il fenomeno si chiama deterritorializzazione e lo si riscontra perfino in un’istituzione territorializzata come la Chiesa cattolica. I due ultimi papi hanno riconosciuto molte confraternite e comunità non legate al territorio e transazionali. Con l’esito di molte polemiche a livello locale tra il vescovo, che difende la sua autorità territoriale, e tutta una serie di confraternite e comunità che dipendono direttamente dal papa e si dicono globali. Mentre la chiesa cattolica prova a tenere unite comunità e diocesi, tra gli evangelici non c’è alternativa: o si segue la cor-

Assistiamo quindi a una fase in cui si vorrebbero addomesticare i movimenti religiosi fluttuanti. Lo si fa in due modi: alla francese, con l’autoritarismo per cercare di farli rientrare nei ranghi; oppure all’americana, usando il concetto di libertà religiosa e del multiculturalismo. Solo che ormai non si tratta di culture, ma di aspetti puramente religiosi. Così i tribunali della Sharia che si vogliono istituire a Londra, non saranno importati dall’Egitto o dal Maghreb, ma saranno creati sul modello del Beth Din ebraico, dove l’aspetto religioso è separato da quello culturale e deve riformularsi con un registro strettamente giuridico e nel quadro della legge del Paese in cui si trova. Negli Stati Uniti è l’esercito a istituire il cappellano musulmano. In Francia constatiamo come lo stato laico e repubblicano utilizzi un modello bonapartista e concordatario per mettere in piedi il Consiglio francese del culto musulmano. Creando un’istituzione che nell’Islam non è mai esistita. E’ l’esplicita volontà dei politici di costituire un clero per queste religioni. Il paradosso è quindi che lo sforzo di re-territorializzare i movimenti religiosi venga dagli stati, preoccupati da questo fenomeno di sfilacciamento e globalizzazione delle religioni. Queste si rassomigliano sempre di più e stentano ad esprimere la propria specificità. (testo raccolto da Nicola Accardo)


mondo

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Malvinas. Cosa c’è dietro al contenzioso tra Gran Bretagna e Argentina che è tornato a infiammare l’Atlantico

Falkland atto secondo Per la Thatcher era una questione di orgoglio imperiale. Per Brown il problema è il petrolio di Maurizio Stefanini variamente stimato tra i 17 e i 60 miliardi di barili l’entità del tesoro che ha riacceso la tensione attorno alle Falkland-Malvinas. All’inizio delle prospezioni petrolifere il governo di Buenos Aires ha infatti imposto alle navi in rotta da e per le isole di chiedere un’autorizzazione esplicita prima di entrare nelle acque territoriali, al fine esplicito di rendere insostenibili i costi che dovrebbero affrontare le società interessate: la Desire Petroleum di Londra, che ha iniziato le perforazioni lunedì; la Falkland Oil & Gas Ltd., pure di Londra; e la Bhp Billiton Ltd., che invece è di Melbourne e con cui la Falkland Oil & Gas Ltd. è associata. Ma è da ricordare che nel 1998 il petrolio era stato ricercato nella zona anche dalla Shell, che però non lo aveva trovato conveniente. Una convenienza che ora con il prezzo salito dai 10 ai 75-80 dollari al barile invece vi sarebbe. Inoltre ha annunciato l’inizio di ricerca la società ispanoargentina Repsól-Ypf: peraltro, fuori delle acque in disputa. L’Argentina ha approfittato del vertice di Cancún per incassare la peraltro scontata solidarietà dei Paesi latino-americani, e poi chiedere una mediazione Onu. Il premier Gordon Brown ha prima smentito l’invio di un cacciatorpediniere di rinforzo alle quattro navi che già vegliano sulla sicurezza delle isole, per poi mandare un sottomarino. E in concreto è stata una nave argentina la prima a essere intercettata dagli inglesi, e a dover cambiare rotta. Indiscrezioni pubblicate del Daily Telegraph riferiscono di una disponibilità del governo britannico al negoziato, dal momento che “dopotutto Regno Unito e Argentina sono partner importanti”. Ma dalle isole i kelpers insi-

È

stono di non volerne sapere niente. Falkland è un paesotto scozzese nella regione di Fife: neanche 1200 abitanti attorno a una piazza dal marcato aspetto medioevale, ai piedi un pendio verde delle Lomond Hills. Saint-Malo è invece un porto bretone fortificato di 50mila abitanti, sulle sponde francesi della Manica: famoso per le sue maree e famoso per quel settecentesco corsaro Surcouf, che fu il più grande dei suoi molti corsari, e una cui statua indica ancora oggi verso l’Inghilterra il nemico da combattere.

sud-est del Sudamerica. Da Saint-Malo era invece partito quando arrivò nello stesso arcipelago il famoso Louis-Antoine de Bougainville: l’ammiraglio, esploratore e matematico francese che ha dato il suo nome a un’isola delle Salomone, allo stretto che separa la stessa isola dall’altra isola di Chiseul, a un altro stretto che sta invece nell’arcipelago delle Vanuatu, a una regione dell’attuale Papua

Visconte di Falkand fu investito nel 1620 l’inglese Sir Henry Clay, che era stato governatore d’Irlanda e organizzatore di spedizioni in Canada: per sé, e per i suoi discendenti. Il quinto dei quali, Anthony, si trovava a essere Primo Lord dell’Ammiragliato, comandante della marina, quando nel 1690 il navigatore John Strong diede il suo nome a un remoto arcipelago cui era approdato, a

I giacimenti sono stimati essere un tesoro tra i 17 e i 60 miliardi di barili e i britannici sarebbero disposti a una mediazione. Ma dalle isole cittadini e politici dicono no e invocano l’Onu Nuova Guinea, e anche a una famosa pianta ornamentale. Arrivato alle Falkland, che Strong aveva lasciato disabitate, non si trattenne dal distribuire ancora un po’ la sua onomastica: si chiama infatti Bougainville una delle 200 isolette dell’arcipelago, c’è un Capo Bougainville nella più orientale delle due isole principali, e si chiamò Port Louis l’insediamento da lui fondato nel 1763. Quel territorio nel suo complesso, però, preferì ribattezzarlo in onore del porto breto-

ne: in francese, Îles Malouines. In realtà, nessuno dei due suoi battezzatori aveva scoperto l’isola. Prima di Strong ci era infatti arrivato nel 1592 un altro inglese, John Davis. Ed è probabile che le avessero avvistate in precedenza anche Amerigo Vespucci e Ferdinando Magellano, ma senza però fermarvisi. Certamente vi erano approdati prima ancora indios provenienti dalla Patagonia, ma lasciando solo resti di canoee e di archi. Se Strong rafforzò il primato inglese con la prima imposizione toponomastica, a Bougainville si deve il primo popolamento, peraltro seguito ad appena due anni da un secondo insediamento, inglese.

L’anno dopo ancora, 1767, la Francia vende i suoi diritti alla Spagna, trasformando così le Îles Malouines in Islas Malvinas. E nel 1770 il generale spagnolo Madariaga manda quattro navi con 1400 soldati. Nel 1774 gli inglesi sgomberano, pur lasciando in loco una targhetta di rivendicazione. Ma nel 1811 se ne vanno pure gli spagnoli, in concomitanza con l’indipendenza argentina.Tanto per confondere ancora più le idee, dopo un italiano e un portoghese al servizio della Spagna, due inglesi, un francese e uno spagnolo, nel 1820 arriva un americano, David Jewett.

Prende possesso in nome dell’Argentina, e se ne va. Nel 1826 è il turno di un altro francese, che si chiama Louis Vernet e che ristabilisce un insediamento. E nel 1829 Buenos Aires lo riconosce governatore. È questo il titolo giuridico in base al quale l’Argentina considera da allora le Malvinas parte del territorio nazionale. Vernet, però, fa l’errore di proclamare un monopolio sulla caccia alle foche, in nome del quale cattura quattro imbarcazioni americane. Washington inferocita lo definisce “pirata”, e nel 1831 gli manda contro la spedizione punitiva che gli distrugge l’insediamento. Azzerata per l’ennesima volta la situazione, l’Argentina manda come nuovo governatore il maggiore Esteban Mestivier per stabilirvi una colonia penale, ma il 15 novembre 1832 questi è ucciso in un ammutinamento di soldati. A questo punto Londra decide di rispolverare la rivendicazione su quell’agitato angolo di Atlantico meridionale: talmente freddo e remoto che alcuni manuali di geografia lo ascrivono all’Antartide piuttosto che all’America del sud. E manda il brigantino che il 2 gennaio 1833 intima lo sgombero al colonnello Pinedo. Il 5 gennaio 1833 è issata sulle isole la Union Jack: in tempo per accogliere il 15 marzo 1833 la Beagle con a bordo


mondo

È il titolo di governatore dato nel 1829 ad un francese,Vernet, l’atto giuridico grazie al quale l’Argentina rivendica il territorio. Ma l’uomo commise l’errore di attaccare gli americani e Londra intervenne

gommoni partono dal cacciatorpediniere Santisima Trinidad, per prendere terra alle 23. Un secondo gruppo, proveniente dal sottomarino Santa Fe, sbarca alle 4.30 del 2 aprile. E i primi spari risuonano alle 5.30, quando un’avanguardia attacca una caserma poi risultata deserta. Il grosso degli invasori parte dal trasporto Cabo San Antonio alle 6, con una flottiglia di anfibi che approda alle 6.30 e occupa un aeroporto pure deserto. Ormai convinti che gli inglesi siano spariti, alle 6.30 sedici argentini si dirigono sul palazzo del governatore Rex Hunt. Invece li aspettano 31 Royal Marines, 11 marinai e un volontario della locale Falkland Island Defence Force (Fidf). Scorre il primo sangue, e dei due argentini feriti uno sarà presto il primo caduto, mentre altri tre sono presi prigionieri. Ringalluzziti, i Royal Marines preparano un’imboscata, e alle 7.15 riempiono di razzi la colonna degli anfibi, distruggendone uno e danneggiandone un altro. Ma stavolta gli argentini sono troppi, e alle 8 il governatore dà l’ordine di resa. Soltanto una squadra di Royal Marines si imbosca nell’interno, ma si consegna in capo a due giorni «per evitare rappresaglie sui civili». I 57 Royal Marines e gli 11 marinai saranno subito rimpatriati attraverso l’Uruguay, visto che nel frattempo le relazioni diplomatiche sono state rotte. La quarantina di volontari

de la Plata, in cui gli inglesi chiudono a Montevideo e costringono ad autoaffondarsi la corazzata tascabile tedesca Admiral Graf Spee. Nel 1945 il regime di Perón approfitta l’apertura dell’Onu per risollevare la rivendicazione delle isole, rifiutando il negoziato proposto da Londra nel 1947 e 1948, e ritirato nel 1955. Ma le trattative riprendono nel 1967, e oggi si sa che nel 1982 si stava molto vicino a un accordo per una sovranità compartita, simile a quello che piloterà il ritorno di Hong Kong alla Cina. Ma in quel momento è al governo in Argentina una giunta militare che dopo aver vinto la guerra contro il terrorismo al costo tremendo di 20mila desaparecidos sta ora perdendo l’altra guerra contro l’inflazione.

locali della Fidf è invece tenuta in stato d’arresto. «¡Las Malvinas son argentinas!», proclama il generale Leopoldo Galtieri a Buenos Aires, davanti a una folla osannante, mentre Port

A sinistra, una trivellatrice petrolifera al Nord delle Isole Falkland (sopra la mappa). Sotto, da sinistra a destra, prigionieri argentini durante la guerra del 1982 con l’Inghilterra; il presidente Kirchner e manifestanti che legittimano la nazionalità delle Isole Malvinas Charles Darwin, che nel suo diario parla di“isole miserabili”.

Solo nel 1840 viene l’idea di dare alle isole una popolazione stabile, e solo nel luglio 1843 inizia la costruzione della cittadina che due anni dopo verrà battezzata Port Stanley. Il grande flusso di navi dirette per lo Stretto di Magellano o Capo Horn che accompagna la corsa all’oro in California propizia un piccolo boom economico, in cui i servizi portuali e la riparazione di navi si accompagnano all’allevamento, alla pesca e alla caccia alla balena. La popolazione rimane però minima: 287 abitanti nel 1852, 2043 nel 1901, 3140 oggi. I kelpers, così chiamati dalla gran quantità di alghe kelp che circonda le loro isole, non sono solo di origine inglese, scozzese, gallese o irlandese, ma anche latino-americana, scandinava, tedesca, di altre regioni dell’Impero Britannico. Però proprio la peculiarità della loro condizione propizia un’identità fortissima. L’8 dicembre 1914 presso le Falkland viene combattuta la grande battaglia navale in cui una squadra britannica di due corazzate, una corazzata leggera, tre incrociatori corazzati e due incrociatori leggeri distruggono completamente una squadra tedesca di due incrociatori corazzati, tre incrociatori leggeri

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e due trasporti. Ma il 15 agosto di quello stesso anno è stato inaugurato quel Canale di Panama che butterà le Falkland fuori dalle rotte commerciali. Ciò non impedisce alle isole di restare nell’occhio del ciclone della politica mondiale. Il 13 dicembre 1939 presso le Fakland viene combattuta la Battaglia del Rio

E per recuperare consensi, in un momento in cui le manifestazioni di protesta si susseguono, non trova di meglio che rispolverare l’antica rivendicazione: un po’ fidando nel prestigio di “invincibilità” di un esercito che però non ha più fatto guerre dall’800; un po’ contagiato dall’idea circolante nel Terzo Mondo dopo i disastri dei francesi in Indocina e Algeria, degli olandesi in Indonesia e degli americani in Vietnam, che dopo tutto gli eserciti occidentali non siano che tigri di carta. Il 19 marzo 1982, 50 argentini piantano dunque la bandiera nazionale nella Georgia del Sud, altro possedimento britannico vicino alle Falkland. Non sono soldati ma ferrivecchi, e la presenza britannica in loco si riduce a un paio di appassionate di trekking. Il 25 marzo la nave antartica Endurance tenta la riconquista con 22 Royal Ma-

rines, ma si trova di fronte la corvetta Guerrico, e d’altronde il trasporto Bahia Buen Suceso ha già sbarcato 100 soldati. E alle 21.30 del primo aprile, 92 commandos argentini su 21

Stanley è ribattezzata Puerto Argentino. Ma anche Margaret Thatcher in quel momento ha bisogno di recuperare popolarità di fronte alla crisi economica, e coglie l’occasione al volo. Già il 5 aprile salpa l’Armada, come è stata ribattezzata la spedizione punitiva. A far montare la rabbia degli inglesi sono i filmati dei Royal Marines prigionieri messi a faccia a terra. «La Gran Bretagna non è abituata a piegarsi ai dittatori», grida la Thatcher, pur se lei stessa in quel conflitto riceverà il prezioso appoggio di Augusto Pinochet, in lite con i “colleghi” di Buenos Aires per le isole del Canale di Beagle. I falklandesi fanno resistenza civile continuando a guidare a sinistra, malgrado l’imposizione del codice stradale argentino.

Il 21 aprile i primi commandos inglesi prendono terra. Il 25 è il primo scontro a fuoco tra l’Armada e un sottomarino argentino. Il primo maggio inizia il martellamento dei bombardieri Avro Vulcan, arrivati dall’isola africana di Ascensione con un viaggio di 13 mila chilometri. Il 2 maggio è silurato l’incrociatore Belgrano, una nave ex americana sopravvissuta a Pearl Harbor.Vi muoiono ben 333 dei 649 caduti argentini del conflitto, contro 258 inglesi (bilancio feriti: 1.068 a 777; prigionieri: 11.313 a 59). Il 4 è però il cacciatorpediniere Sheffield a essere centrato da un missile Exocet. Il 21 maggio c’è lo sbarco di San Carlos. Il 28 maggio è vinta la battaglia di Goose Green. Il 14 giugno il generale Mario Menéndez si arrende in una Puerto Argentino ormai ridiventata Port Stanley. A Margaret Thatcher la vittoria darà il tempo per far sì che la sua “cura da cavallo”possa dare grandiosi risultati economici. I militari argentini saranno invece costretti a restituire il potere ai civili. Il mantenimento della rivendicazione irredentista non impedirà nel 1990 la riapertura delle relazioni diplomatiche, e in seguito i rapporti migliorano a tal punto che con Menem i piloti da caccia inglesi e argentini tornano ad addestrarsi assieme. Rivoluzionate sono anche le Falkland, dove dal 1984 in poi la Falkland Islands Development Corporation ha propiziato un boom di lana, pesca e turismo. Fino a quando la scoperta di immensi giacimenti di petrolio un po’ più a nord, al largo della costa brasiliana, non ha riportato l’attenzione sull’arcipelago.


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Ucraina. Ieri il giuramento in Parlamento davanti ad un’aula semivuota ufficialmente il quarto presidente dell’Ucraina Viktor Yanukovich, che ieri ha giurato sulla Costituzione e sul Vangelo (una pregiata edizione in lingua ucraina del XVI secolo), nel corso della cerimonia di insediamento, alla Verkhovna Rada, il parlamento ucraino. E ufficialmente ritiene che l’Ucraina debba essere uno stato europeo non allineato. Confermando così l’intenzione di non entrare in alcun coté di tipo militare - nè con la Nato nè (all’apparenza) con la Russia. Una netta presa di distanza rispetto al suo predecessore, Viktor Yushchenko, che voleva l’ingresso del Paese nell’Alleanza. «Siamo pronti a creare e garantire une sicurezza generale in Europa come stato europeo non allineato» ha detto Yanukovich, considerato da sempre filorusso (in effetti la Russia non ha nascosto la soddisfazione per la vittoria del “suo” candidato. Ma negli ultimi mesi il Cremlino ha mantenuto un basso profilo, evitando nocive interferenze), un principio che vorrebbe trasformare in linea guida della politica estera di Kiev. Presenti all’insediamento anche undici capi di Stato e dei rappresentanti Ue: l’Alto rappresentante per gli Affari esteri Catherine Ashton e il presidente del Parlamento europeo Jerzy Buzek.

È

I vertici dell’Ue certamente vogliono verificare in tempi rapidi la capacità e gli effetti della sua svolta. Peraltro mai celata. Perché Yanukovich si è delineato un profilo pubblico molto nitido: integrazione con l’Europa, no alla Nato e intesa con la Russia, robuste politiche anti-crisi a tutela delle fasce sociali più deboli, dai pensionati agli operai, che sono anche il fulcro del suo elettorato. Tutto

No ai russi e alla Nato: parola di Yanukovich Il presidente ha promesso un Paese sganciato da ogni blocco e la ripresa economica di Luisa Arezzo

conferma della sua elezione, Viktor Yanukovich ha mandato un segnale al Paese e alla comunità internazionale molto chiaro facendo il suo primo discorso al popolo in russo e non in lingua ucraina. Che non è poco. Nè è un mistero che l’Occidente guardi all’Ucraina come ad nuovo satellite della Russia. Non a caso il Wall Street

Considerato filorusso, il neo-eletto ha deciso di fare la sua prima visita ufficiale a Bruxelles e di volare a Mosca da Medvedev subito dopo l’opposto della sua rivale, la bionda Tymoshenko, che ha esibito un’eccessiva volatilità programmatica e ideologica che la sua campagna elettorale non è riuscita a ridurre. D’altronde, le sue contraddizioni erano eccessive. Ex protetta di Yushchenko, poi alleata di Yanukovich, poi nuovamente insieme a Yushchenko; prima fiera avversaria di Mosca, poi mite negoziatrice di accordi economici col Cremlino, salvo poi riaccendere la sua “russofobia” prima del voto. Certo, il giorno della

Journal ha ragionato sugli effetti di lungo periodo e su scala militare della ritrovata intesa tra Kiev e Mosca.

Assolutamente chiara anche la reazione russa alla nomina: La posizione più diffusa a Mosca, persino su una testata d’opposizione come Novaja Gazeta, è la ricerca di una riunificazione dell’identità nazionale, lacerata dal conflitto tra le aree più occidentali dell’Ucraina, geograficamente e politicamente, e quelle più orientali e russofile. Mentre la Russi-

Il Patriarca di Mosca presente alla cerimonia

E Cirillo benedice... MOSCA. La vittoria diYanukovich si perfeziona con la benedizione delle autorità religiose russe : il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Kirill, è arrivato due giorni fa a Kiev per l’entrata in carica del neo-eletto presidente ucraino. E si tratta di un chiaro segnale di vicinanza dell’Orso al nuovo capo di Stato, per il quale il vertice della Chiesa russa ha celebrato una funzione prima dell’inaugurazione. Dopo che anche il Cremlino ha reso nota la sua soddisfazione e ha chiesto a Yanukovich di raggiungere la capitale russa al più presto. Per Kirill quella di ieri è stata dunque una giornata interamente dedicata all’Ucraina dopo un difficile viaggio tenuto lo scorso anno, con forti contestazioni dai parte dei sostenitori dell’indipendenza della chiesa orto-

dossa di Kiev. Dopo la caduta del regime sovietico e l’acquisizione dell’indipendenza dell’Ucraina, la Chiesa ortodossa in Ucraina si è scissa in Chiesa autonoma, l’unica riconosciuta dalle Chiese ortodosse autocefale òocali. L’ottavo capitolo dello Statuto del Patriarcato di Russia si occupa delle “Chiese autogovernantesi” del Patriarcato di Mosca: la Chiesa ucraina è l’unica tra queste Chiese cui viene riconosciuto “ampio diritto di autonomia”. La situazione tuttavia è stata fonte di tensione tra il Patriarcato di Mosca e quello ecumenico, impegnato in un fattivo sforzo di riconciliazione al fine di unificare la Chiesa ucraina. Nei rapporti ecumenici la posizione della Chiesa ortodossa autonoma ucraina sarebbe sovrapponibile a quella di Mosca.

skaya Gazeta, organo ufficiale dello stato, ha già annunciato il progetto di un consorzio per affidare a Gazprom la ricostruzione dei malandati impianti di gas in Ucraina.

Insomma, con tutti i distinguo e i ma, l’insediamento di Yanukovich a Mosca ricorda molto la parabola del Figliol prodigo. Silenzio invece da casa Obama: d’altronde la sua amministrazione non poteva certo esporsi contro Yanukovich in una fase in cui il progetto dello scudo difensivo mediorientale sta suscitando impreviste critiche a Mosca e rischia di compromettere l’imminente accordo sul disarmo nucleare UsaRussia. Inoltre Washington ha bisogno del consenso russo anche per un stringere ulteriormente il torchio delle Nazioni Unite contro Teheran. Nella prospettiva globale degli Usa, insomma, il consenso con Mosca val bene la perdita dell’Ucraina. Che a questo punto si avvia a non essere più un fattore di scontro tra le grandi potenze. E che nel migliore stile diplomatico, ha scelto Bruxelles come prima tappa da nuovo presidente. Yanukovich sarà nella capitale belga il primo marzo e qui incontrerà i vertici dell’Unione. La visita a Mosca - su invito del presidente Dmitrji Medvedev - è rimandata a un secondo momento, comunque entro i primi di marzo. La data verrà decisa dopo la nomina del nuovo primo ministro (sono in lizza Sergiy Tigipko (terzo al primo turno delle elezioni), Arseniy Yatsenyuk e Mykola Azarov (numero 2 del partito delle regioni e vecchia volpe della politica ucraina). La giornata dell’insediamento di Yanucovich è cominciata ieri con la benedizione del patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, e del metropolita di Kiev, Volodymyr. Poi a metà mattina la cerimonia in Parlamento, segnata dal forfait del predecessore Viktor Yushenko e della premier Yulia Timoshenko - che rifiuta di riconoscerlo come presidente. E soprattutto da un parlamento semivuoto, a sottolineare le divisioni che non saranno cancellate dal cambio di guardia al vertice dello stato. Anzi: la settimana prossima ci sarà la prima verifica, quando la Rada - l’assemblea monocamerale di Kiev - dovrà votare una mozione di sfiducia alla premier Tymoshenko, per niente intenzionata a mollare la guida del governo. Se la risoluzione non passerà, Yanukovich sarà condannato alla coabitazione con la “nemica arancione”almeno fino a luglio.


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Austria. Norbert H., 46 anni, si candida nelle file dei Popolari

Vertice fra Presidente, Premier e Capo di Stato maggiore

In politica l’ultimo discendente di Hitler

Erdogan vuole una riforma costituzionale in Turchia

VIENNA. L’ultimo discendente di Adolf Hitler vive in un paesino della Bassa Austria e potrebbe essere candidato alle elezioni comunali nelle file del Partito popolare. A rivelarlo è stato il settimanale austriaco News, che lo ha individuato grazie alla pazienta ricerca di un giornalista belga, JeanPaul Mulders. È stato lui infatti a scoprire negli Stati Uniti un lontano cugino del Fuehrer, di 61 anni, al quale è riuscito a sottrarre la salvietta di carta con cui si era pulito la bocca. Un esame del dna ha messo chiaramente in luce una relazione diretta di parentela con la famiglia del dittatore nazista. Mulders si è quindi trasferito nel villaggio austriaco di Waldviertel, del quale erano originari la nonna di Hitler, Anna Schicklgruber, il padre Alois e la madre Klara. La sua ricerca ha rischiato di insabbiarsi, perché tutti gli abitanti con il cognome Hitler se lo erano fatto cambiare dall’anagrafe. Esaminando invece la lista delle persone con un cognome modificato, ma simile a quello di Hitler, il giornalista belga ha individuato un agricoltore di 46 anni, Norbert H.. E utilizzzando la stessa tecnica usata da Mulders, è riuscito a prelevargli un campione di saliva risultato con-

ISTANBUL. A quattro giorni dalla maxi retata che ha visto coinvolti 50 esponenti delle forze armate accusati di tentato golpe, sembra sventata la resa dei conti definitiva fra l’esecutivo islamicomoderato di Recep Tayyip Erdogan e lo stato laico, guidato dai militari e rappresentato da capo di Stato maggiore Ilker Basbug. Almeno per ora. La riunione di crisi sotto l’egida del presidente Abdullah Gul al Kosk - la residenza del capo di stato - è durato oltre tre ore. Erdogan e Basbug sono arrivati con la faccia tesa, ognuno con una 24 ore zeppa di documenti. L’unico che ha sorriso ai fotografi con il suo solito fare rassicurante è stato proprio il presidente, che ieri più che mai ha avuto il compito di tenere

Se Assad si schiera con l’Asse iraniano Il presidente siriano difende il nucleare di Teheran di Osvaldo Baldacci a Siria al fianco dell’Iran. Ci sono forse diversi livelli di lettura di quanto sta accadendo a Damasco, e il più semplice evidenzia un riavvicinamento tra i due vecchi alleati in chiave anti-israeliana e antiamericana. Possibile che la chiave di lettura sia tutta qui. Come è possibile che le cose siano ancora peggiori, dato che molte cose si stanno muovendo in queste settimane in Medio Oriente, e tutte sembrano prendere una brutta piega. Ma è anche possibile che ci siano interpretazioni del tutto diverse, anche sorprendenti, che lasciano aperte strade alternative e più rassicuranti. Andiamo con ordine. Ieri il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad è andato in visita in Siria dove ha incontrato il suo omologo siriano Bashar Assad. E ha incassato un sostegno pieno su tutti i punti, a partire dalla questione nucleare: «Proibire a uno Stato indipendente il diritto all’arricchimento dell’uranio solleva un nuovo processo colonialista nella regione. Il programma atomico di Teheran è per scopi pacifici». Assad ha spiegato che il vertice è servito per «ribadire la profondità dei rapporti bilaterali e l’intenzione di migliorarli e rafforzarli a tutti i livelli e senza eccezioni». Come confermato dall’accordo che ha abolito i visti tra i due Paesi. Quanto a un altro tema assai caldo, vla “resistenza nella regione” mediorientale, Assad ha spiegato che con Ahmadinejah «sono stati evocati i modi per sostenerla. Sostenere la resistenza è un obbligo morale, patriottico e legale». Siria e Iran sono sempre stati i principali sponsor dei due movimenti armati. E Ahmadinejad non ha perso occasione per rincarare la dose: «Israele sta andando verso la sua dissoluzione perché è finito in un vicolo cieco - ha detto - dobbiamo sempre essere pronti a subire un attacco da parte loro, ma non solo a parole». «Se l’entità sionista intende ripetere gli errori del passato, la sua morte è inevitabile. Siria, Iran, Iraq e Libano faranno fronte comune». Le relazioni tra la Siria e l’Iran, ha concluso, «sono fraterne, profonde, solide e perenni». Cosa peraltro ve-

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ritiera, in quanto l’asse Damasco-Teheran è di lunga durata, e nasce sull’onda non tanto della comune opposizione a Israele, quanto sulla convergente opposizione alle mire egemoniche dell’Iraq di Saddam Hussein. Il primo accordo strategico-militare tra Iran e Siria fu firmato nel 1980 e successivamente è stato esteso e allargato anche al settore economico e culturale. Sembrerebbe quindi fallita la pressione di Hillary Clinton perché Damasco si allontani da Teheran, con gli Stati Uniti che avevano chiesto l’interruzione delle relazioni bilaterali. Anzi, il presidente siriano è stato sferzante con gli Usa: «Con il presidente Ahmadinejad ci siamo incontrati proprio per firmare l’accordo di distanziamento», ha ironizzato.

Un’altra pesante sconfitta per la diplomazia di Obama, che potrebbe far intravedere anche un quadro peggiore: l’endorsement della Siria infatti è il primo segnale che qualcuno crede nella consacrazione dell’Iran a potenza di primo piano uscendo vincitore dal contenzioso nucleare. E si inserisce in un momento di grande tensione in Medio Oriente: il riacutizzarsi della crisi israelo-palestinese dopo il caso Dubai e la tensione sui luoghi santi; le preoccupazioni istituzionali e le reciproche accuse di golpe nella Turchia spesso mediatrice proprio nei confronti di Siria e Iran; le imminenti e delicate elezioni in Iraq con seguente ritiro statunitense. Questo quadro fosco è appena rischiarato da un’ipotesi forse inverosimile, ma da tenere lì, in un angolo. Nei giorni scorsi gli Stati Uniti hanno inviato il primo ambasciatore a Damasco dal 2005. E se dietro alle roboanti e minacciose dichiarazioni di facciata di Siria e Iran non ci fosse una umiliazione della diplomazia statunitense ma un ben nascosto compito di mediazione affidato a Damasco per intavolare un dialogo a latere con Teheran sulle varie questioni aperte, dal nucleare all’Iraq? Fantapolitica, probabilmente, ma anche un lumicino di speranza per il prossimo futuro del Medio Oriente, altrimenti davvero preoccupante.

Ahmadinejad, in visita a Damasco, torna sulla propaganda contro Israele: «Se continua in questo modo, sparirà»

cordante con il dna della salvietta. A quel punto l’identità è risultata certa.

«Sì, sono imparentato con Hitler», ha confermato l’agricoltore al settimanale austriaco, aggiungendo subito che per lui «Hitler è il più grande criminale della storia». A dispetto della scomoda parentela, però, l’ultimo discendente del Fuehrer è intenzionato a candidarsi nel suo villaggio nella lista del Partito popolare austriaco. Bisogna adesso vedere se dopo questa “scoperta” il partito sarà ancora disposto ad averlo fra le sue fila. La polemica, infatti, sta già divampando e c’è da giurare che non si placherà in fretta.

sotto controllo una situazione estremamente pericolosa. Il contenuto del comunicato stampa alla fine dell’incontro è stato chiaro: i problemi del Paese si risolvono con la Costituzione e le leggi. Anche se non si è ben capito se quelle attuali, che riservano grande potere ai militari, oppure le nuove norme alle quali pensa l’esecutivo islamico-moderato di Erdogan, che fra l’altro limiterebbero proprio i poteri dei militari e della magistratura.

Per tutti però la cosa più importante era mantenere i toni bassi. Anche se la tensione è sempre alta. Ieri mattina infatti la Turchia si è svegliata con la notizia che gli ufficiali per i quali è stato convalidato l’arresto sono saliti a 20. Sempre ieri, i due nomi eccellenti della retata di lunedì scorso, il capo delle forze aeree e quello delle forze di mare, Ibrahim Firtina e Ozden Ornek, sono comparsi in tribunale per essere interrogati sul presunto piano di destabilizzazione Balyoz, il martello, ossia la strategia di attentati che avrebbe dovuto portare alla destituzione dell’Akp, il Partito islamico moderato per la giustizia e lo sviluppo. Il Paese si augura che la tregua tenga, ma il prossimo motivo di attrito potrebbe arrivare proprio sulle leggi di cui ha parlato Gul.


cultura

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Personaggi. Originario della campagna scozzese, visse una vita intensa e coraggiosa che lo portò all’Oscar e alla letteratura, oltre che sulle spiagge dello sbarco in Normandia

La Pantera di Navarone Dai film di guerra alle commedie più sofisticate: ritratto di David Niven a cent’anni dalla nascita di Gaia Giuliani fficiale – per l’esattezza tenente colonnello – decorato da Eisenhower in persona, senz’altro gentiluomo, scrittore e uomo d’affari, di scarsa fortuna, nel ramo degli alcolici. E attore. James David Graham Niven, più noto solo come David Niven, veniva alla luce un secolo fa in Gran Bretagna, il primo marzo del 1910. Come luogo di nascita l’anagrafe riporta Londra, ma fino al giorno della sua morte, il 29 luglio del 1983, per tutti era nato a Kirriemuir, nella contea di Angus, Scozia. «Più romantico» secondo lui, più fedele alla linea paterna che da lì proveniva. Ma anche sulle sue radici, c’è un piccolo mistero. Una storia stravagante come la sua vita, intensa, ricca, vissuta con coraggio e piglio ironico. Forse era figlio illegittimo, di un baronetto però, che impalmerà la madre di David mentre lui era ancora bambino. Il signor Graham Niven senior infatti morì quando il figlio aveva appena cinque anni, ucciso nella campagna di Gallipoli (o dei Dardanelli) durante la prima guerra mondiale. Sir Thomas Comyn-Platt, con cui la madre aveva iniziato una relazione adulterina qualche tempo prima, viene indicato come il padre naturale dell’attore, colonnello, scrittore eccetera, da un giornalista inglese che tutt’oggi sostiene di averne avuto la notizia dallo stesso Niven nel corso di un’intervista, doviziosamente registrata.

U

corporali, da parte degli insegnanti, erano cosa buona, giusta e soprattutto doverosa. Anche nei confronti di un esserino di dieci anni e mezzo a cui piaceva fare scherzi ai compagni, e che per questo, e altri analoghi atti di insubordinazione, verrà espulso dalla scuola. Niente più Eton, e come alternativa il riformatorio.

Tanto accanimento nei confronti della disciplina servì a forgiare il giovane Niven, ma fortunatamente per lui, e per i cinefili, non nel modo

mise nei guai finendo in manette. «Ci sono domande?», chiese il generale conferenziere. Il buon senso e la noia avrebbero suggerito a chiunque di tacere. Ma l’insofferenza per l’autorità spinse la futura star a chiedere al gallonato l’ora «perché, sir, devo prendere un treno». Bastò una manciata di secondi perché una bella signora cenasse in solitudine causa detenzione dell’accompagnatore. Che oltretutto non avrebbe più rivisto. Insofferente, ironico, ma anche indomito, il giovane tenente (per il colonnello bisognerà aspet-

Poi, nella primavera del 1934, David Niven (James e Graham furono presto accantonati) faceva finalmente il suo ingresso, non particolarmente trionfale, in quel di Hollywood, dove fu accolto come comparsa, l’equivalente cinematografico di un soldato semplice. Il primo ruolo “importante” arrivò con Gli ammutinati del Bounty del ’35, in cui Niven appariva in un gruppo di figuranti assieme ad un’altra futura stella del cinema, James Cagney. Pur senza spiccicare una sillaba riuscì ad attirare l’attenzione di un giovane produttore indipendente, tale Samuel Goldwyn, anche lui arrivato dall’Europa e destinato ad una folgorante carriera nella celluloide con la sua futura casa di produzione, la Mgm (oggi di proprietà della Sony).

Ex militare di carriera, allo scoppio della seconda guerra mondiale decide di abbandonare Hollywood per tornare in patria e arruolarsi ancora una volta sperato. Perché se anche si diplomò alla Royal Military Academy Sandhurst, famosa scuola per ufficiali del Regno, l’indole ribelle non venne meno, anzi. La leggenda vuole che alla fine di una lunga lezione militare sulle armi automatiche Niven, seccato per il ritardo che aveva arrecato al suo appuntamento galante, si

tare il D-day) decise che la sua carriera militare era arrivata ad un punto morto. Un paio di bottiglie scolate col secondino del carcere, e scattò l’evasione. Nulla di rocambolesco, la cella era a piano terra, ma si trattò in ogni caso di una fuga. Verso nuovi, letterali orizzonti.

Era il settembre del ’33 quando un giovane inglese di ventitré anni si affrettava ad acqui-

Le star cinematografiche al servizio dei militari

Purtroppo però il nastro della registrazione finì “maciullato” dal congegno usato durante l’intervista – così sostiene il giornalista – e non rimane altro che il suo fedele, forse, ricordo. Ma che si sia trattato del primo o del secondo marito di Henrietta (Graham Niven ComynPlatt) non fa differenza, perché entrambi sarebbero stati d’accordo nello spedire il piccolo David alla scuola di Heatherdown, dove studieranno anche due figli della regina Elisabetta II. Se chi prende a schiaffi il proprio figlio oggi è passibile di denuncia, all’epoca le punizioni

stare un biglietto per il primo piroscafo diretto verso gli Stati Uniti. Con un telegramma spedito durante la traversata, rassegnava le sue dimissioni dall’esercito. Ad attenderlo, oltre alla Statua della Libertà, una breve e insoddisfacente carriera di venditore di whisky e promotore di rodei, preceduta da una fugace permanenza in Messico in attesa del permesso di soggiorno.

H ol ly wo o d e l ’e se rc it o d e i vo l on t ar i d i g u er ra

on l’inizio della seconda guerra mondiale, Hollywood entrò in crisi: alla fine del 1940 infatti cessarono le importazioni dei film americani in Europa, e l’industria cinematografica perse quasi un terzo dei suoi ricavi. Ma col proseguire del conflitto, iniziarono le riprese dei film di propaganda, e le tematiche belliche si affacciarono in tutti i generi possibili, dal western al musical. Ai divi il compito di dare il buon esempio, e in molti indossarono l’uniforme di aviazione, marina ed esercito. Tony Curtis, Kirk Douglas, Henry Fonda, Glenn Ford, Gene Kelly, Paul Newman e John Ford si

C

Grazie al suo interesse, la comparsa David Niven pronunciò le sue prime parole davanti alla macchina da presa in Splendore, una commedia rosa con il divo Joel McCrea.

Seguiranno altri titoli di scarso rilievo finché, dopo una parte in Infedeltà, di William Wyler, Niven riuscì ad ottenere una scrittura per La carica dei 600 di Michael Curtiz (diretto sei anni prima di Casablanca). In entrambi i film impersona un capitano, grado poco distante arruolarono in Marina. Clark Gable, Charlton Heston, Alan Ladd, Ronald Reagan e James Stewart scelsero l’aviazione, mentre William Holden, Victor Mature, Sidney Poitier e Van Heflin finirono nell’esercito. Alcuni di loro tornarono a casa pluridecorati.

È il caso di James Stewart, che creò a proprie spese una scuola di volo in cui vennero addestrati più di 200mila piloti, partecipando in prima persona anche alle operazioni militari. Su sua richiesta infatti fu mandato in Europa dove pilotò i bombardieri B-24 guadagnandosi alla fine della guerra il grado di generale di brigata.


cultura

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David Niven insieme all’attrice Vera Ellen sul set del film “Happy Go Lovely” (1951). Qui sopra, insieme a Gregory Peck, Roger Moore e Trevor Howard, sul set del film “The Sea Wolves” (1980). Sotto: insieme ad Alberto Sordi sul set de “I due nemici” (1962)

da quello che si era realmente guadagnato nell’esercito inglese, e ruolo che l’industria cinematografica gli troverà non a caso congeniale, offrendoglielo ancora diverse volte e facendo la sua fortuna di attore.

Fuori dal set, il Niven dai baffi sottili e gli occhi di un azzurro limpido era molto apprezzato per la conversazione brillante, la raffinatezza dei modi, l’eleganza naturale. Un arguto intrattenitore da invitare a cena, ma anche uno stimato compaAnche Clark Gable combatté come pilota. Addolorato per la tragica scomparsa della terza moglie Carole Lombard morta nel ’42 in un incidente aereo - entrò nell’aviazione e prese parte a diverse incursioni aeree sulla Germania nazista, ottenendo alcune medaglie al valore ed il grado di maggiore. John Ford, comandante nella riserva della marina statunitense, non si distinse per meriti militari, ma filmò il D-day dalla Omaha beach.

Del documentario purtroppo non è rimasta traccia perché sembra che Washington ebbe paura di mostrare al pubblico il gran numero di vittime e fe-

gno di bevute. La casa che dividerà con Errol Flynn, conosciuto durante le riprese de La carica dei 600, verrà ribattezzata dai due “cirrosi sul mare”, anche se l’unico ad affezionarsi seriamente alla bottiglia sarà Flynn. L’attività cinematografica intanto proseguiva in ascesa con film come Il prigioniero di Zenda e Cime tempestose, diretto sempre da Wyler.

Allo scoppio della seconda guerra mondiale, James David Graham Niven, ex militare di riti, e lo fece sparire. Bob Hope invece fu uno stakanovista degli spettacoli oltreoceano organizzati per le truppe.

Cominciò con la seconda guerra mondiale, continuando con Corea, Vietnam fino alla prima guerra del Golfo. Nel 1997 il presidente Clinton lo nominò “veterano onorario” per il suo impegno artistico nei conflitti. E le dive? Per le visite di Marilyn Monroe all’esercito bisognerà aspettare la guerra di Corea, mentre negli gli anni ’40 la più attiva fu Bette Davis, che insieme a John Garfield fondò la Hollywood Canteen, al 1451 di Cahuenga Boulevard, Hollywood, Ca-

carriera, deciderà di tornare in patria per arruolarsi ancora una volta. Grato per la devozione, e

lifornia. Ne fu presidente e promotrice instancabile. Il locale visse per tre anni (dal ’42 al ’45) e durante quel periodo offrì cibo, drink e spettacoli - in cui si esibirono tra le altre Rita Hayworth, Betty Grable e Judy Garland - a tutti i soldati in uniforme che si fossero presentati alla porta.

Nessun biglietto d’ingresso, e alcol e pasti completamente gratis. Al milionesimo cliente poi, il club regalò un premio speciale: un bacio sulle labbra da parte di Betty Grable. Ai tavoli e in cucina si alternarono più di tremila lavoratori dello spettacolo. Tutti orgogliosamente volontari.

volutamente dimentico di un passato non memorabile, l’esercito gli restituirà il suo vecchio grado, con l’aggiunta di un attendente molto particolare: Peter Ustinov, futuro sir. Non potendo restare lontano dall’azione, il tenenteattore chiederà di farsi assegnare ai Commandos, uno dei battaglioni d’assalto più agguerriti dell’esercito.

Con loro parteciperà allo sbarco in Normandia – arriverà qualche giorno dopo il Dday – guadagnandosi il grado di tenente colonnello, gli encomi di Winston Churchill, come Niven stesso riporta nell’autobiografia La Luna è un pallone, e la Legione al Merito, la più alta onorificenza militare che gli Stati Uniti possono conferire ad uno straniero. Ad appuntargliela sull’uniforme ci penserà l’allora generale Dwight Eisenhower. Accantonati divisa e un paio di nomi, David Niven tornò al cinema e prese moglie, sposandosi in tutto due volte, e sempre con donne che aveva conosciuto da poco più di due settimane. La prima signora Niven, Primula Susan Rollo, era un’a-

ristocratica inglese. Da lei ebbe due figli e una vita coniugale piuttosto breve perché Primula morì a soli 28 anni per delle fratture riportate dopo una caduta nella villa di Tyron Power, avvenuta mentre giocavano allegramente a nascondino. La seconda moglie, Hjördis Paulina Tersmeden, splendida modella svedese, era arrivata in America con ambizioni d’attrice. Insieme adottarono due figlie, ma senza trovare grande felicità. Pare che la donna, da tempo alcolizzata, si sia presentata al funerale del marito completamente ubriaca.

Le soddisfazioni maggiori dovevano arrivare dal cinema. Con il ruolo di Phileas Fogg ne Il giro del mondo in 80 giorni, Niven ottenne un successo strepitoso - e una piccola rinascita artistica dopo alcuni film “alimentari” - che lo portò nel giro di due anni a vincere il suo primo e unico Oscar con Tavole separate, dove recitava nei panni di un maggiore introverso. Seguirono I cannoni di Navarone e I due nemici con Alberto Sordi, entrambi ambientati durante la seconda guerra mondiale. Subito dopo La Pantera Rosa e James Bond 007 - Casino Royale, unico film in cui interpretò Bond, seppure in versione parodistica, nonostante Ian Fleming lo avesse proposto fin dall’inizio al produttore Albert R. Broccoli per il ruolo dell’agente segreto. Negli ultimi dieci anni di vita, David Niven decise di cimentarsi con la letteratura - «mica facile, molto più semplice recitare» scrivendo tre romanzi e un’autobiografia che ha venduto ad oggi più di cinque milioni di copie. Quando si spense in Svizzera aveva settantatré anni, soffriva di sclerosi laterale amiotrofica. Rimpianti? Forse uno solo, perfettamente nel suo stile: «Credo di essere stato un uomo estremamente fortunato a vincere un Oscar e scrivere un best-seller. Un altro desiderio? Avere un mio quadro esposto al Louvre. Ma penso che l’unico sistema sarebbe disegnare qualcosa nella toilette dei gentlemen».


cultura

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lcuni anni fa su un forum di arredamento in web, apparve, rivisitata secondo le esigenze, la fatale domanda «Il mondo sta per scomparire e potete trarre in salvo 3 cose diverse. Quale unico libro, quale unico oggetto, quale unica canzone salvereste dentro una scatola per le generazioni future considerando che ciò che ne restasse fuori sarebbe disintegrato?». Spiazzante la risposta di un utente: «Perché un libro e un oggetto? Ma il libro non è un oggetto?». Esatto. O meglio, il libro è anche un oggetto. E tanto, tantissimo altro. Christopher Morley disse un giorno: «Quando vendi a un uomo un libro, non gli vendi 12 once di carta, un po’ di inchiostro e della colla, gli vendi un’intera nuova vita». Dietro alla simile definizione che compare sul vocabolario della lingua italiana Devoto-Oli («Serie continua di fogli stampati della stessa misura cuciti insieme e forniti di copertina o rilegatura») c’è un mondo, di più, un universo sconosciuto alla maggioranza dei lettori.

A

Questo infinito da mettere a fuoco è al centro della manifestazione Libri Come. Festa del Libro e della Lettura che si terrà a Roma, all’Auditorium Parco della Musica dal 25 al 28 marzo in collaborazione con il Comune di Roma. Quando abbiamo tra le mani un libro e lo stiamo per aprire per gustarne il contenuto, che sia un romanzo, delle poesie o un saggio, pensiamo mai a quanta strada ha già percorso? Uno scrittore, di talento si presuppone, lo ha pensato e scritto; un editore lo ha apprezzato e deciso di pubblicare; degli editor lo hanno controllato; dei grafici lo hanno impostato e dei tipografi stampato; dei librai comprato e messo in vendita; e infine noi lo abbiamo visto, ce ne siamo innamorati e lo abbiamo comprato. E non solo. Quelli che lo hanno promosso o ne hanno divulgato l’esistenza dove li mettiamo? E coloro che lo conserveranno nelle biblioteche? Ecco l’idea che sta dietro all’evento Libri Come: il libro non più solo come contenuto, come “cosa c’è scritto”, ma “come è stato scritto, come è stato stampato, come è stato pubblicato, come è stato venduto, come è stato letto, come è stato conservato”. Dunque, per la prima volta uno sguardo alla “filiera” del libro, dallo scrittore al lettore. Ricordiamo il vecchio editore Valentino Bompiani che un giorno notò: «Dietro ogni libro c’è una somma di azioni, pensieri, inquietudini, angustie, decisioni e

In basso, il giornalista Marino Sinibaldi, ideatore e curatore della rassegna culturale “Libri come. Festa del Libro e della Lettura”, al via a partire dal prossimo 25 marzo a Roma. A fianco, un disegno di Michelangelo Pace

si scrive il primo libro, o un romanzo d’amore, o un racconto, o un libro giallo, o una poesia, sentendolo dalla viva voce di chi, come Alessandro D’Avenia, o Simona Vinci, o Gianrico Carofiglio o Fabio Volo o Giancarlo de Cataldo o tanti altri scrittori lo hanno fatto? Oppure scoprire come un libro diventa un film? O sentirsi spiegare da Camilleri come scrive i suoi libri? Il libro è anche quotidianità e raccontarla non vuol dire scalfirne l’oggettivazione o la sacralità. Gli scrittori nelle sale dell’Auditorium racconteranno le loro esperienze di scrittura, cosa hanno letto prima di scrivere, quali film hanno visto, quali loro esperienze li hanno motivati. Vogliamo mettere in risalto il concetto di “democrazia del lettore”, che vuole sapere cosa è successo dietro a “quell’insieme di carte”, perché un editore ne ha scelto uno piuttosto di un altro».

Rassegne. Al via a Roma, dal 25 marzo, la “Festa del Libro e della Lettura”

Pagina dopo pagina, dallo scrittore al lettore di Dianora Citi speranze condivise giorno per giorno, ora per ora. Ritrovare tutto questo tra le proprie mani in un oggetto di pochi centimetri, ogni volta illude e consola». L’iniziativa è stata ideata e sarà curata da Marino Sinibaldi, giornalista, critico letterario, direttore di Radio 3 e conduttore della trasmissione sui libri Fahrenheit. «In casa mia non c’erano libri» ci dice Sinibaldi, «e io sono finito a lavorare nel ma-

nistratore delegato della Fondazione Musica per Roma «trovare la “chiave”di... lettura nuova e originale per una ulteriore manifestazione romana dedicata al libro». In effetti a Roma già esiste il Festival delle Letterature: lo scrittore, posto sul palco nella sacralità della basilica di Massenzio, impersona la Letteratura con la ‘L’maiuscola. Già esiste Più libri, più liberi, la Fiera della piccola e media edi-

l’editoria romana con tavole rotonde, dibattiti, incontri e concerti. «Libri Come è una manifestazione che non si soprammette alle altre», precisa Gianni Borgna, presidente della Fondazione Musica per Roma «ma ne è una esemplificazione complementare. Le sue caratteristiche sono del tutto diverse».

Da un lato il concetto di omaggio al libro come oggetto

L’evento, ideato e curato da Marino Sinibaldi, si propone di raccontare tutta la “vita” di un volume: come è stato scritto, come è stato stampato, come è stato pubblicato, come è stato venduto, come è stato letto e conservato gazzino di una casa editrice. Poi ho fatto il bibliotecario alla Biblioteca di Storia Moderna e Contemporanea. E poi tanto altro ma sempre a strettissimo contatto con i libri e la lettura. Ho sperimentato come il rapporto tra lettore e oggetto libro sia assolutamente diversificato. C’è una pluralità di domande che ogni lettore si pone di fronte a un libro». «Era difficile» interviene Carlo Fuortes, Ammi-

toria italiana che si svolge all’Eur: una mostra-mercato ideata dai piccoli editori (ormai solo a Roma sono ben 150), bisognosi di trovare uno spazio per portare alla ribalta la propria produzione spesso “oscurata”da quella delle case editrici “istituzionali”. Già, infine, dallo scorso anno, ha preso il via Roma si libra. Festa dell’editoria romana: piazza del Popolo si trasforma in capitale del-

fisico, da sempre strumento di conoscenza ma anche di piacere e il cui “agito”, la lettura, rimane perlopiù nell’ambito privato e personale. Dall’altro la messa in primo piano del backstage del libro, del suo “dietro le quinte”, che, per esperienza nel mondo della musica, del cinema, del teatro, abbiamo tutti visto quanto interessi al pubblico. «Quale lettore non vuole sapere», precisa Sinibaldi «come

L’Auditorium, oltre alla musica, non è nuovo alla presenza anche dei libri: c’è un fornita libreria interna e da tempo le sale ospitano presentazioni e dibattiti letterari. Per questa manifestazione sarà però costruito un ulteriore spazio di oltre 2 mila metri quadri, che verrà indicato con il nome di “Garage”, suddiviso in ulteriori 5 “officine”– sale, dove i lettori si troveranno direttamente a contatto con gli editori, che potranno chiarire, illustrare, spiegare come viene scelto un libro, come viene tradotto (Ah, beati i traduttori, nostri mediatori, a volte eccezionali, di scritture e opere che altrimenti ci sarebbero precluse!), come viene stampato e poi distribuito e poi collezionato e poi... Quanto ancora ci sarebbe da sapere: i libri al macero, i libri nelle biblioteche, i libri sacri, i libri d’arredo, i libri nascosti, i libri sui blog, i libri tecnici e specialistici. Nelle sale e nel “Garage”si alterneranno 250 tra narratori, poeti, saggisti, artisti, illustratori, critici; 14 saranno gli eventi, tra le tavole rotonde e gli incontri; 60 le case editrici che in prima persona faranno “outing”di fronte ai lettori. E non dimentichiamo i librai, ponte tra fruitori e produttori dell’oggetto: dal 26 marzo in ben 28 librerie indipendenti saranno messi in vendita a 2 euro i biglietti per poter partecipare (ed avere così il posto assicurato) alle manifestazioni che si terranno nelle sale dell’Auditorium (gli eventi del “Garage” sono a ingresso libero). Marino Sinibaldi conclude il suo intervento con una dichiarazione d’amore: «Non c’è nulla come i libri e nulla è come i libri». E vorrei aggiungere con Richard Le Gallienne: «Che sono i miei libri? Sono gli amici miei, gli amori miei, la chiesa mia, la mia osteria e la mia unica ricchezza».


sport

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Cartolina da Vancouver. Con la pessima figura degli italiani, in queste Olimpiadi lo spettacolo lo fanno gli altri

Meno male che c’è l’hockey di Alessandro Boschi

niziamo con il doveroso aggiornamento sulla partita di hockey tra il Canada e la Russia, partita questa che i padroni di casa si sono trovati costretti a disputare a causa della inopinata e già leggendaria sconfitta subita con gli Stati Uniti. Avevamo espresso dei dubbi sull’esito, ma siamo stati clamorosamente smentiti dal campo, in senso di pista ghiacciata. I canadesi hanno infatti stracciato i rivali con un perentorio 8-2. Evidentemente la sconfitta di tre giorni fa non ha lasciato scorie emotive nella compagine che continua ad essere la favorita per la vittoria finale di quella che è considerata una delle medaglie più importanti dei giochi olimpici.

I

E meno male che c’è, l’hockey, l’unico sport in grado di offrire uno spettacolo davvero degno di questo nome. Nato verso la metà del IX secolo, l’hockey è uno degli sport nazionali canadesi. L’altro è il lacrosse, il cui obiettivo, molto simile in questo all’hockey, consiste nell’infilare la palla con una specie di racchetta triangolare provvista ad una estremità di un retino simile a quello per catturare le farfalle, nella porta avversaria. Diciamo che è un hockey su ghiaccio senza ghiaccio, infatti si gioca prevalentemente d’estate. D’inverno, (ma a pensarci bene lì è quasi sempre inverno) non esiste ragazzino che non si cimenti con mazza e puck, il micidiale dischetto

piatto di gomma durissima in grado di viaggiare a velocità altissime e quindi pericolose per i giocatori. I quali, piuttosto violenti, si proteggono con delle bardature che avrebbero fatto l’invidia di Brancaleone da Norcia. O magari, data la maschera del portiere, al buon vecchio Jason Voorhees, uno al quale non affideremmo mai la custodia di un camping. Vedete, tutto ci riporta a dei confronti molto cinematografici. Forse perché questo sport possiede delle caratteristiche tali che ne fanno uno dei più spettacolari, o meglio, uno dei più facilmente spettacolarizzabili. Al di là di quello che, a rileggerlo, ci sembra un azzardato neologismo, non c’è dubbio che l’ambiente, l’aspetto dei giocatori con i loro sgargianti costumi, la velocità e la violenza degli scontri comunichino

Canada e Slovacchia in alcune delle sfide di hockey di questi giorni alle Olimpiadi di Vancouver

delle formidabili scariche di adrenalina. Tutto ciò, però, senza mai derogare a quelle che sono le regole di uno sport dove la lealtà non viene mai meno. O quasi. Ma l’eccezione, è la regola, rinforza la regola. Quindi adesso non ci resta che aspettare con ansia gli scontri dei prossimi giorni che ci porteranno alla finale del 28 Febbraio.

Ieri, tanto per non sottovalutare l’ipotesi di eventuali outsider, oltre al già citato successo del Canada sulla Russia, si sono registrate le vittorie della Repubblica Ceca sulla Lettonia, della Svizzera sulla Bielorussia e della Slovacchia sulla Norvegia. Come i più attenti di voi avranno notato parlando di questa disciplina non abbiamo mai menzionato la compagine azzurra. Gli italiani, ci sembra evidente, hanno altri interessi. Avete mai sentito disquisire l’aulico Aldo Biscardi di hockey? Non crediamo proprio. Oppure Maurizio Mosca fare il pendolino sugli incontri clou del campionato? Certo, perché anche noi il nostro bel campionato di hockey ce l’abbiamo, però è figlio di un dio minore. Di certo minore del dio Eupalla, se il grande Gianni Brera ce lo consente. Eppure ve lo assicuriamo, l’hockey, provate ad assistere ad una partita anche del nostro tutto sommato più che dignitoso campionato, saprebbe conquistarvi. A patto che la

deluda le straordinarie aspettative. Per il resto, spero vogliate convenirne, l’elettroencefalogramma piatto del medagliere azzurro non ci aiuta molto nel commentare l’Olimpiade di Vancouver (e Whistler), che fa venire voglia ai nostri tifosi di infilarsi in un caldo letto con la borsa dell’acqua calda vicino ai piedi. Cosa che gli atleti azzurri hanno probabilmente già fatto da tempo.

Il bilancio della spedizione italiana questa volta è veramente pessimo, fra le scuse del Coni e le lacrime degli atleti fuori dal podio partita ve la vediate dal vivo. Purtroppo, per ovvi motivi, le squadre più importanti sono tutte al nord, pur non avendo casacche verdi.

Insomma, prendendola così alla larga volevamo solo giustificare il fatto che la nazionale italiana, a queste Olimpiadi, non c’è proprio arrivata, non ce l’ha fatta a qualificarsi. Pazienza, noi aspettiamo. Nel frattempo confidiamo che il gran finale che si sta preparando non

Una delle ultime delusioni viene dalla graziosa Carolina Kostner, che a questo punto, chiamatela pure scaramanzia, siamo certi non riuscirà ad entrare in zona medaglie, risultato in realtà ancora alla sua portata considerato il settimo posto attuale nella specialità del pattinaggio artistico. Per questo, valutati i precedenti del cinema italiano sulla neve, Fantozzi, Ovindoli e Vanzina a parte, Carolina avrebbe tutti i diritti di dare una sterzata alla sua carriera. Con quel nome, quel fisico, e soprattutto con quel cognome, la Kostner dovrebbe passare al grande schermo, fare cinema. Anzi, dovrebbe “darsi” al cinema, come in maniera molto irriverente veniva fatto notare a qualche arbitro di calcio invitato a “darsi” all’ippica. Tutto ciò naturalmente accadeva secoli fa, quando gli insulti erano carezze e il turpiloquio, quello che ascoltiamo oggi in un qualsiasi bar o Parlamento, era ancora lungi dal venire.


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE

Stabilire regole precise e definitive per il settore In sede di approvazione del decreto Mille Proroghe in commissione Trasporti, la Lega Nord ha chiesto con forza la rivisitazione dell’articolo 29, affermando il principio di territorialità nell’attività di Taxi e di noleggio con conducente (Ncc), al fine di consegnare regole precise e omogenee al settore. Il protocollo d’intesa prevede che entro il 31 marzo 2010 si prevenga a una ridefinizione della disciplina, per assicurare l’omogeneità delle procedure di rilascio delle autorizzazioni e impedire pratiche di esercizio abusivo o illegale dell’attività. In una seconda fase dovrà essere svolta un’accurata verifica, a livello dei singoli comuni, sull’attività di noleggio con conducente e sul servizio taxi, allo scopo di verificare che la possibilità di operare al di fuori dell’ambito territoriale del proprio comune, possa essere concessa soltanto ai titolari della regolare autorizzazione e prevedere un’attività di monitoraggio anche sugli aspetti fiscali e contributivi. Auspico infine un coinvolgimento delle regioni in questa delicata materia, onde arrivare a definire norme condivise da tutti a tutela delle imprese.

Sarah Ostinelli

LA POLIZIA DI MILANO COME PARAMILITARI SUDAMERICANI Un’inchiesta contenuta nel volume in pubblicazione Il libro nero della Sicurezza, un dossier sullo stato del comparto Sicurezza in Italia realizzato da Fabrizio Cassinelli, giornalista dell’Ansa, rivela pratiche illegali e basate sul racial profiling da parte della polizia di Milano. Parlando dei controlli casa per casa agli stranieri, un agente milanese racconta come essi avvenivano: agenti travestiti da operai del gas per entrare nelle case illegalmente, individuazione dei soggetti da controllare sulla base della sola cittadinanza e segnalazioni anonime di qualsiasi genere. Questo racconto, se confermato, rivela una diffusa cultura dell’illegalità, del disprezzo dello Stato di diritto e dei diritti umani e civili all’interno del corpo della polizia di Stato. Si assiste alla violazione di numerosi principi di diritto: individuazione dei soggetti

da controllare sulla base dell’essere o meno straniero, una pratica nota come “racial profiling”, che viola i principi di uguaglianza sanciti dalla Costituzione e da numerosi trattati internazionali; controlli e perquisizioni illegali, in quanto gli agenti erano sprovvisti di qualsiasi autorizzazione (flagranza di reato, mandato di perquisizione, etc.). Tanto è vero che per entrare ingannavano le vittime facendosi passare per operai del gas e prospettando una situazione di emergenza (fuga di gas). Dalla violazione di domicilio all’abuso di potere, questo comportamento dimostra assoluto disprezzo per la legge. Bisognerebbe accertare i fatti in premessa, e individuare le responsabilità degli agenti di polizia coinvolti e dei loro superiori; per punire gli eventuali abusi e violazioni di legge; per evitare che fatti del genere possano ripetersi, anche attraverso corsi di formazione che educhino le forze dell’ordine al rispet-

Spicchio di Terra Quali nuove scoperte astronomiche ci riserva il 2010? Nell’attesa di scoprirlo godiamoci lo spettacolo di questa sottile “falce di Terra” fotografata dalla sonda della Nasa Rosetta, di passaggio in “prossimità” (a 633 mila chilometri circa) del nostro pianeta. Obiettivo: studiare la cometa Churyumov-Gerasimenko

to dei diritti civili e costituzionali della persona, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Donatella

OBAMA E IL DALAI LAMA Quello che il governo comunista cinese sta facendo in Tibet è un vero atto di deportazione nascosta dietro i provvedimenti di regime. Favorire con la forza la migrazio-

L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

ne di etnie cinesi equivale a trasformare una autonomia in una dipendenza dal regime. L’incontro del Dalai Lama con Obama sarà sicuramente epico, ma quanto veramente importa ancora all’esecutivo statunitense di allontanarsi da Pechino, quando lo stesso Obama aveva detto che tra i suoi principali obiettivi vi era una pace e una collaborazione con la Cina senza precedenti?

Gennaro Napoli

da ”The Guardian” del 25/02/10

Sotto i ponti di Londra di Larry Elliott orse dovremmo dimenticare le notizie che davano la Gran Bretagna già fuori dalla crisi. Un Paese emerso finalmente dalla grande recessione nell’ultima parte del 2009. I dati che il governo ha reso pubblici ieri mattina vedevano una statistica allarmante: gli investimenti sono calati del 6 per cento nell’ultimo trimestre dell’anno.

F

Significa che se anche gli altri dati econometrici dovessero rimanere invariati, il Paese perderebbe così mezzo punto di pil. Tenendo conto che le previsioni per il 2009 erano di un prodotto interno allo 0,1 per cento in campo positivo, non possiamo certo parlare di una bella notizia. Forse sono dati ancora peggiori rispetto al già tragico calo degli investimenti del passato: attestati su di un granitico meno 24 per cento dello scorso anno. Un fattore che aveva lasciato l’economia inglese come una foglia al vento della crisi. Ricordiamo una delle peggiori da quella degli anni Trenta. Giova sottolineare che, secondo le previsioni, la ripresa dovrebbe avvenire con un riequilibrio della spesa con un virtuoso travaso dal consumo verso gli investimenti. Il che lascia poche speranze, visto gli ultimi risultati. Ma vediamo cosa potrebbe significare sul breve periodo questa situazione.Venerdì prossimo, l’Ufficio nazionale di statistica (Ons) pubblicherà i numeri del pil per l’ultimo trimestre del 2009. Si lavora su tempi differiti, perché non è facile raccogliere tutta questa mole di informazioni per capire quanto bene sia andata l’economia britannica. Fino a ieri mattina la City si era convinta che ci sarebbero state delle stime che avrebbe registrato un leggero rialzo del pil. Soprattutto per

le notizie positive che venivano dall’industria manifatturiera che aveva mostrato una performance migliore del previsto. Ma sono i dati più recenti a dover dire se l’economia stia riprendendo fiato o meno. E bisogna andare sulle tecniche di ricerca per trovare motivi di ottimismo. Ad esempio quelli che riguardano gli investimenti tendono ad emergere nel terzo campionamento statistico, che dovrebbe essere reso noto il mese prossimo. Un motivo in più per il governo per non fasciarsi la testa subito. Si spera che allora ci sia un ribilanciamento di questo avvio così negativo del flusso degli investimenti. Serve anche ricordare che ci sono stati dei fattori precisi che hanno permesso di far crescere l’economia nell’ultima parte del 2009.

Parliamo degli incentivi statali al consumo, come la sospensione temporanea dell’Iva su alcuni prodotti. Un effetto positivo che sarebbe dovuto traghettare anche nelle prime settimane del 2010. La prima stima di crescita per questo periodo la vedremo nel mese di aprile e sarà un dato molto importante, visto che verrà fuori durante la campagna elettorale per le elezioni politiche. Ciò che impressiona di più sono le conseguenze a lungo termine che i dati sul calo degli investimenti potranno significare. Come aveva ben sottolineato la Camera di commercio inglese, questo era il

modo in cui l’industria aveva serrato le vele, calando investimenti e scorte in attesa che la tempesta della recessione cominciasse a passare oltre. Una maniera per sopravvivere al rallentamento della domanda e alla mancanza di risorse finanziarie.Tra la fine del 2008 e la conclusione del 2009 gli investimenti nel settore del manifatturiero erano infatti scesi del 38 per cento. Il che significa che l’industria britannica non sarebbe stata in posizione idonea per agganciare la ripresa della domanda mondiale partita nel 2009.

È una storia ben conosciuta quella che vede la mancanza d’investimenti come una delle ragioni fondamentali della mancata ripresa. Non solo, ma può diventare motivo per un ulteriore inasprimento della crisi.Visto che l’economia sembra ancora influenzata dall’incapacità di fare a meno dei servizi finanziari e di un consumo basato sull’indebitamento.


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dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Come l’acqua sul collo di un cigno Scrivimi tutto quello che vuoi; non mi adirerò; mi è impossibile con te, vedo bene che soffri troppo. Ma non ne parlerò e continuerò. Hai creduto di prendere la mia vanità sul suo punto debole dicendomi: «Sei dunque custodito come una ragazza?». Se questa frase mi fosse stata rivolta 5 o 6 anni fa, mi avrebbe fatto fare qualche sciocchezza spaventosa. È certo. Mi sarei fatto uccidere per cancellarne l’effetto su di me. Ma è scivolata su di me come l’acqua sul collo di un cigno. Non mi ha assolutamente umiliato. Credi che per me, per me solo, come uomo, non sarebbe bello riceverti qui? Che cosa rischio io, nulla, proprio nulla. Se mia madre se ne accorgesse non me ne parlerebbe, la conosco. Potrebbe essere gelosa di te (quando tua figlia avrà 18 anni saprai che si può essere gelosi dei figli e odierai suo marito; è la norma) ma tutto finirebbe lì. È per te che ti ho detto di non venire. Per il tuo nome, per il tuo onore, per non vederti sporcare dalle battute banali del primo venuto, per non farti arrossire davanti ai doganieri che passeggiano lungo il muro, perché un domestico non ti rida in faccia. Ma tu non hai capito. No, niente! Un sarcasmo a questo proposito. Andiamo, basta! Non parliamone più. Abbracciami! Gustave Flaubert a Louise Colet

RANDAGISMO, FENOMENO IN CRESCITA In Ciociaria, come anche in tante altre aree del Paese, soprattutto nel centro-sud, abbiamo una piaga che si chiama randagismo, un fenomeno preoccupante e in costante crescita. Due canili del territorio ciociaro, che prima soddisfacevano le esigenze di molti comuni, sono stati recentemente sequestrati, perché mal gestiti e affidati alla custodia giudiziaria. Fortunatamente si tratta di una buona gestione che, se da un lato ha consentito l’abbassamento della mortalità degli animali, dall’altro, ha determinato il problema inverso del sovraffollamento. La Ciociaria deve risolvere, quanto prima, questo problema, le condizioni e le risorse umane non mancano bisogna saperle valorizzare al fine di creare la sinergia giusta e necessaria. Si devono, per esempio, evitare sprechi facendo campagne di sensibilizzazione e sterilizzazioni; si devono sfruttare in maniera razionale e adeguata tutte le risorse ambientali ed economiche a disposizione, soprattuttosi deve impedire che la realizzazione di nuovi canili sia un’opportunità per arricchire pochi individui, a discapito dei cani e delle finanze pubbliche, già in crisi per i vari problemi finanziari.

Domenico

L’IMPORTANTE È CAPIRE Capita spesso, di fronte a cronache dove le vittime sono maschili, di osservare reazioni di insensibilità, me-

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

ACCADDE OGGI

26 febbraio 1266 Battaglia di Benevento: le forze francesi di Carlo I d’Angiò sopraffanno una forza combinata tedesco-siciliana 1561 Viene fondata la città di Santa Cruz de la Sierra in Bolivia 1658 Con la firma del Trattato di Roskilde la Danimarca-Norvegia cede ampi territori alla Svezia 1815 Napoleone fugge dall’isola d’Elba 1922 Inizia il governo di Luigi Facta, l’ultimo prima dell’avvento del Fascismo in Italia 1935 Viene costituita la Luftwaffe 1956 Termina il XX Congresso del Pcus, in cui Nikita Krusciov inizia la “destalinizzazione”dell’Urss 1991 Guerra del golfo: su Radio Baghdad, Saddam Hussein annuncia il ritiro delle truppe irachene dal Kuwait 1993 Un’autobomba esplode sotto la torre settentrionale del World Trade Center di New York causando la morte di 6 persone e il ferimento di diverse centinaia

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

negreghismo, peggio ancora di accanimento nei confronti di chi (papà, bambini, ragazzi, uomini) ha subito queste violenze. È veramente indecente! Quando c’è una violenza, non bisogna indignarsi in base al sesso o all’età della persona che l’ha subita. Lo si vede ad esempio sui papà a cui vengono negati i figli (come se non fosse anche una violenza sui figli sottratti dei papà!), dove si osservano questo persone aride far finta di niente e peggio interrompere o censurare con affermazioni davvero fuori luogo.. «ah ma anche le donne.. quindi». Provate a pensare se in una cronaca di stupro si affermasse «ah però.. ci sono tante donne che fanno violenza su uomini». Che cattivo gusto. Anche gli uomini hanno un cuore e quando sono vittime di un crimine, violenza o ingiustizia, soffrono. E provano dolore nel vedere tanta insensibilità e crudeltà nei loro confronti o nei confronti dei loro fratelli, amici, dei loro bambini, dei loro padri, che stanno soffrendo. Capisco che negli anni passati siamo stati così tanto inondati di violenza sulle donne, tanto da coniare addirittura un insano termine come “violenza di genere”. La violenza non ha sesso, e nessuno, nessuno che la subisce può essere considerato meno di altri che la subiscono. È una cultura, un pregiudizio, da cambiare, perché crea emarginazione, sofferenza, conflitto tra i sessi, apatia. Molti stanno cambiando, è importante capire.

APPUNTAMENTI FEBBRAIO 2010 OGGI, ORE 11, ROMA PALAZZO FERRAJOLI Convocazione Consiglio Nazionale dei Circoli Liberal. SEGRETARIO

VINCENZO INVERSO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Fabio Barzagli

Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci,

Direttore da Washington Michael Novak

Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci

Collaboratori

Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,

Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati,

Roberto Mussapi, Francesco Napoli,

Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti,

Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)

RIFORME STRUTTURALI PER L’UE, SENZA “DOPPIE VELOCITÀ” L’Unione europea ha messo sotto tutela la politica economica greca, approvando il piano di emergenza di Atene finalizzato a riportare entro il 2012 il deficit al 3%. La questione è però più impegnativa e riguarda la situazione di tutti i Paesi del Mezzogiorno d’Europa, perché gli elementi che hanno portato la Grecia sull’orlo del default sono gli stessi di Spagna, Portogallo e, in misura inferiore, Italia. In primo luogo, il pesante indebitamento pubblico, peggiorato dall’effetto incrociato tra disavanzo delle partite correnti e deficit di bilancio che porta ad aumentare l’indebitamento con l’estero, e la mancanza di competitività dovuta all’incapacità di investire con efficacia nello sviluppo e nei settori ad alto valore aggiunto, anche a causa delle rigidità del mercato del lavoro, dei servizi, e dell’eccesso di burocrazia. Senza dimenticare il boom creditizio che aveva sostenuto la crescita mitigando gli effetti dell’inflazione salariale, effetti che sono poi ampiamente emersi col divampare della crisi degli ultimi mesi. E allora, per avviare un circolo virtuoso di sviluppo, è necessario che questi Stati mettano mano a profonde riforme strutturali che rilancino con forza la competitività e che, attraverso tagli alle spese e riorganizzazione fiscale, riducano il deficit, anche ai fini di migliorare il rating del sistema Paese. E se non è auspicabile l’avvio di una nuova fase di sviluppo della Ue a “doppia velocità”, con il ruolo di guida nelle dinamiche economiche affidato all’asse franco-tedesco, diventa fondamentale che le grandi riforme economiche dei singoli Stati siano coordinate a livello comunitario. È sempre più necessario, ad esempio, che in tutta l’area euro vengano abbattute le barriere che causano rigidità negli spostamenti della manodopera, eccessiva volatilità dei costi delle materie prime, o ancora le distorsioni dovute alle diverse normative presenti nei singoli Stati su temi cruciali per lo sviluppo economico. E si dovrebbero rapidamente delineare regole chiare per la ristrutturazione del debito nei Paesi dell’area euro, una sorta di patto di crisi che vada oltre quanto prescritto nel patto di crescita e stabilità, per evitare l’intervento del Fmi nel salvataggio di Paesi dell’area euro, cosa che farebbe perdere credibilità a tutto l’euro sistema. Nessuna unione valutaria può sopravvivere senza unione politica ed economica, ed in questo senso l’Ue deve compiere ancora dei passi in avanti. Mario Angiolillo P R E S I D E N T E NA Z I O N A L E LI B E R A L GI O V A N I

Mario Arpino, Bruno Babando,

Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,

Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi,

Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,

Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,

Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi,

John R. Bolton, Mauro Canali,

Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,

Franco Cardini, Carlo G. Cereti,

Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli,

Enrico Cisnetto, Claudia Conforti,

Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi,

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Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


PAGINAVENTIQUATTRO

Serie tv. Fiato sospeso per la sesta (e ultima) stagione di “Lost”, il telefilm che ha conquistato il mondo

Diciassette puntate, poi... di Pietro Salvatori i sono quelle serie che accendendo a caso la televisione, le potrai trovare lì, per l’ennesima puntata della milionesima stagione. Ci sono poi quelle serie che, pur finendo, rimangono nell’immaginario collettivo. Il piccolo schermo continua a trasmetterne repliche su repliche, il pubblico si organizza in gruppi di fan, requisisce qualsiasi copia dei dvd, ne perpetua il mito e l’attualità alle generazioni future (vi ricorda nulla Twin Peaks?). Se Lost, vero e proprio fenomeno televisivo dell’ultimo decennio, rientrerà in questa seconda categoria - i sintomi della “malattia” ci sono già tutti - il serial partorito dal genio di JJ Abrams, alla fine della primavera, uscirà invece ufficialmente dalla lista dei programmi che non sembrano avere mai una fine. Le 17 puntate della sesta serie, partita il 2 febbraio sul network statunitense Abc, saranno le ultime dell’intricatissima vicenda.

è costellata la vicenda di Jack, Kate, Sawyer e compagni, che l’impresa adesso è scioglierli, tutti, e in modo da non disperdere quel capitale di pubblico, attese, manie collettive, che è arrivato e arriverà dall’home video costruito nell’ultimo lustro. I livelli di parossismo sono altissimi, al punto che Obama, che aveva in programma un discorso televisivo la sera del lancio della sesta stagione, ha ritenuto di rinviare l’apparizione per non scontrarsi contro il colosso d’ascolti della Abc. Lost batte anche il presidente che ha vinto contro tutto e contro tutti, ennesimo successo di una vita artistica che ha visto la serie sbancare il tavolo innovando il linguaggio delle serie tv, costruendo una nuova grammatica nel mondo delle storie ad episodi. Nemmeno lo spettatore di Twin Peaks risentiva così tanto della necessità di rimanere ben ancorato

C

Il plot non è riassumibile per i profani. Basti sapere che quelli che inizialmente dovevano “semplicemente”essere i superstiti ad una sciagura aerea, si ritrovano coinvolti all’interno di un territorio che sembra avere un proprio sistema spazio-temporale, totalmente contrapposto a quello che regola il normale flusso della vita al di là del mare. Metteteci mostri incorporei, antichi templi, basi super-tecnologiche, persone che si palesano laddove non dovrebbero essere, l’apparente mancanza di qualsiasi modo per fuggire via da quello che pian piano assume i contorni di un incubo. E questo solo per limitarci alla prima serie. Altre quattro stagioni hanno portato l’intreccio a una situazione, quella odierna, di una complessità e inestricabilità che sarebbe da pazzi tentare di darne conto qui in poche righe. Se ne dovranno assumere l’onere gli sceneggiatori, invece, chiamati a dare risposte a tutti i quesiti rimasti insoluti nel corso di questi anni. E, cosa non di poco conto, a farlo cercando di mantenere le aspettative. Raccontava Hitchcock del mcguffin. Cos’è il mcguffin? Nulla, solo un nome qualsiasi che il mai dimenticato maestro del giallo dava all’oggetto, alla persona, alla situazione che doveva risolvere

la VERITÀ È la più attesa edizione del “serial”, quella che finalmente svelerà gli intrighi, scioglierà i dubbi e metterà una volta per tutte la parola “fine” a tutti i misteri accaduti l’intreccio delle sue storie. È irrilevante, sosteneva, ai fini della messa in scena, l’unico suo ruolo è quello di mantenere viva l’attenzione dello spettatore, che brama il suo disvelamento, fino alla fine del film. E sarà pure irrilevante il mcguffin, ma la bravura di Hitchcock consisteva anche nel mantenere quelle aspettative che aveva tenuto alte nel momento della catarsi finale. Damien Lindelof - il boss del team degli sceneggiatori di Lost - e compagni saranno in grado di mantenere lo stesso livello? Lost vive di promesse. Sono tanti e tali gli enigmi di cui si

alla storia, di non potersi permettere di perdersi nessun passaggio. Lost ha vinto proprio qui, nella pericolosissima scommessa di rifiutare a priori lo spettatore occasionale.

Se non si conosce la vita familiare di Jack, il rapporto con la madre di Kate, la dipendenza e il passato da rock star di Charlie, non si ha alcuna possibilità di sedersi di fronte allo schermo e godersi una puntata random di Lost. La fidelizzazione di una fetta così ampia di pubblico ha sancito quel successo che ha condizionato tutto il settore. Prodotti come Fringe, Flash Forward, ma in qualche modo anche Dexter, non possono più esimersi dal legare i propri episodi nel filo indissolubile di un’unica trama che richiede continui colpi di scena. Il pubblico ormai questo si aspetta, con Lost come pietra angolare di paragone. Si capisce dunque la difficoltà di Lindelof e soci. Come uscire da questo meraviglioso vortice? Lo sapremo alla fine delle 17, lunghissime, puntate.


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