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Gli uomini coraggiosi sono dei vertebrati: sono morbidi in superficie e duri nel mezzo Gilbert Keith Chesterton
9 771827 881004
di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • VENERDÌ 19 MARZO 2010
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Tempesta sulle elezioni pugliesi: torna in primo piano la rete di interessi e favori che fa capo a Giampaolo Tarantini
La banalità del malaffare
Arrestato Sandro Frisullo, ex numero due di Vendola: denaro e donne in cambio di appalti. Una storia di “ordinaria corruzione”che racconta il sistema dominante in tante regioni italiane UN DOVERE DOPO IL VOTO
di Riccardo Paradisi
E adesso fuori i partiti dalla sanità
ROMA. Arrestato e condot-
di Marco Respinti a chiamano “Sanitopoli”, è un termine orrendo (oltre che, a rigor di termini, errato), ma soprattutto è uno schifo. Accade (ora, che vorrà dire “per ora”?...) in Puglia, coinvolge fino al carcere Sandro Frisullo, del Partito Democratico, ex vicepresidente della Giunta regionale di Nichi Vendola, e rappresenta bene il passato che non vuol passare. Un nuovo, un altro, un ennesimo caso di malversazione, malasanità gestionale, corruzione, ruberia, danno ai cittadini e alla cosa pubblica, e poi sfido io che la Sanità da noi costa fior di tasse e non dà mai quel che chiedi indi per cui vai dal medico privato che fa meglio, presto e però chiede altri esborsi non rimborsabili.
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Sandro Frisullo e l’imprenditore Giampaolo Tarantini
La candidata centrista denuncia un accordo bipartisan di spartizione delle risorse pubbliche
Poli Bortone: «In Puglia c’è un patto consociativo»
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«Finora il Pdl non aveva infierito sullo scandalo. Perché, nella gestione degli “affari”, la sinistra ha scelto di preservare il metodo Fitto»
to in carcere l’ex vicepresidente della Giunta regionale pugliese, Sandro Frisullo, è accusato di associazione per delinquere, corruzione e turbativa d’asta nell’ambito dell’inchiesta sulla sanità regionale. La Puglia torna così ad essere uno dei principali epicentri del terremoto politico giudiziario che sta rimettendo in vibrazione il Paese e che sembra mettere in allarme la classe politica sempre più timorosa che di frana in frana arrivi infine la grande slavina di una nuova Tangentopoli. Vanno lette in questa prospettiva le reazioni politiche all’arresto dell’esponente politico pugliese. «Le manette non ci fanno mai piacere – dice Rocco Palese, candidato del centrodestra alla presidenza della Regione Puglia – specie se scattano in campagna elettorale».
Errico Novi • pagina 4
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Nel suo nuovo libro “I cari estinti” una carrellata di ritratti piena di sentimento
Perché Israele deve mutare rotta
Caro Netanyahu, con Obama stai sbagliando
L’errore del primo ministro è stato quello di assecondare Barack. Un presidente ormai post-americano di John R. Bolton
o conosciuto Mario Capanna al Carnevale di Viareggio: invitato dall’amministrazione comunale, Mario sfila in passeggiata, come “carrista”, alla guida di un trattore. Dov’era il Capanna della Statale e quello di Democrazia Proletaria? Quello delle uova marce alla “prima”della Scala? Mi sono venute in mente queste cose, leggendo il capitolo dedicato a lui nel nuovo libro di Giampaolo Pansa (I cari estinti. Faccia a faccia con quarant’anni di politica italiana, Rizzoli, pp. 521, euro 21,50, in libreria dal 24 marzo).
i dissero che Zaccagnini stava parlando con il medico personale di Moro: il professore Mario Giacovazzo, del Policlinico di Roma. Qualcuno sostenne che il medico portava un messaggio del presidente rapito. Ma era una voce infondata. L’aveva convocato Zac, medico anche lui, per sapere tutto sulla salute di Moro...
l primo mandato di Benjamin Netanyahu come primo ministro è andato a gambe all’aria nel 1999, in parte a causa dei suoi rapporti infelici con il presidente Bill Clinton. È comprensibile allora che l’attuale governo di Netanyahu, fino alla scorsa settimana, ha fatto di tutto per rimanere vicino al presidente Barack Obama. Questa strategia sarebbe stata assolutamente ragionevole se Obama fosse semplicemente un altro presidente nella lunga fila dopo Franklin Roosevelt che affermava vigorosamente i diritti nazionali degli Stati Uniti, sosteneva i nostri amici (soprattutto i più in difficoltà), e manteneva forti alleanze. Tuttavia Obama è diverso. È il nostro primo presidente postamericano. Vede al di là dell’eccezionalismo americano e crede che il nostro ruolo sul palcoscenico mondiale sia come quello di una qualsiasi nazione.
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Jurassic Park, che nostalgia! I
Giampaolo Pansa riesuma i protagonisti della Prima repubblica di Mario Bernardi Guardi
Anticipiamo alcune pagine del saggio
Un grande dubbio: dovevamo salvare Moro
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di Giampaolo Pansa
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I QUADERNI)
• ANNO XV •
NUMERO
53 •
WWW.LIBERAL.IT
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IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Consociativismo. Denaro in cambio di commesse negli ospedali e nelle cliniche: torna in primo piano il “sistema Tarantini”
Grand Hotel Appalti
L’arresto di Sandro Frisullo, ex vice di Vendola, riporta al centro del voto regionale un mondo in cui la corruzione diventa “normale” di Riccardo Paradisi
ROMA. Arrestato e condotto in carcere l’ex vicepresidente della Giunta regionale pugliese, Sandro Frisullo, è accusato di associazione per delinquere, corruzione e turbativa d’asta nell’ambito dell’inchiesta sulla sanità regionale. La Puglia torna così ad essere uno dei principali epicentri del terremoto politico giudiziario che sta rimettendo in vibrazione il Paese e che sembra mettere in allarme la classe politica sempre più timorosa che di frana in frana arrivi infine la grande slavina di una nuova Tangentopoli.Vanno lette in questa prospettiva le reazioni politiche all’arresto dell’esponente politico pugliese. «Le manette non ci fanno mai piacere – dice Rocco Palese, candidato del centrodestra alla presidenza della Regione Puglia – specie se scattano in campagna elettorale. Siamo garantisti e lo rimaniamo anche nei confronti di esponenti della nostra controparte politica». Ma se il centrodestra pugliese fa trapelare riserve sulla coazione alle manette della magistratura al tempo stesso rivendica un lustro di continue denunce fatte in Consiglio Regionale sull’opacità della gestione Vendola in tutti i settori, soprattutto in quello della sanità. La campagna elettorale è sempre la campagna elettorale del resto.
Il che beninteso vale anche per Nichi Vendola, che non esita un secondo a ricordare come tra lui e Frisullo ci sia il fossato delle epurazioni che il presidente pugliese aveva già operato
nella sua giunta alla prima eruzione del vulcano sanitario: «Penso che la politica debba assumere un atteggiamento di assoluto rispetto nei confronti di chi ha il compito delicato e cruciale di accertare e perseguire i reati. Per parte mia credo di aver agito con estrema durezza già a metà dello scorso anno, quando ho azzerato la giunta, sia pure in presenza solo di notizie di stampa e di un unico avviso di garanzia. Non ho gridato al complotto e non ho messo la testa sotto la sab-
C’è bisogno di una vera e propria rivoluzione politica e amministrativa
E adesso, fuori tutti i partiti dalla Sanità di Marco Respinti a chiamano “Sanitopoli”, è un termine orrendo (oltre che, a rigor di termini, errato), ma soprattutto è uno schifo. Accade (ora, che vorrà dire “per ora”?...) in Puglia, coinvolge fino al carcere Sandro Frisullo, del Partito Democratico, ex vicepresidente della Giunta regionale di Nichi Vendola, e rappresenta bene il passato che non vuol passare. Un nuovo, un altro, un ennesimo caso di malversazione, malasanità gestionale, corruzione, ruberia, danno ai cittadini e alla cosa pubblica, e poi sfido io che la Sanità da noi costa fior di tasse e non dà mai quel che chiedi indi per cui vai dal medico privato che fa meglio, presto e però chiede altri esborsi non rimborsabili.
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La “Sanitopoli” pugliese, o come caspita si dovrebbe chiamare, è lo scandalo di un Paese che gioca con la salute dei cittadini, l’oscenità di un apparato pubblico inetto che rischia sulla pelle degli altri, la blasfemia dello sfruttamento per interessi illeciti di parte e di singoli di quanto dovrebbe di tutti essere giacché tutti pagano. “Sanitopoli”, o insomma quella roba lì, becca in castagna adesso un esponente della Sinistra, della Sinistra che aspirerebbe al governo del Paese, della Sinistra legata agli uomini (più o meno) nuovi che vorrebbero far voltare pagina a una regione problematica per molti, troppi aspetti. Sinistra, dunque, ma gli altri non si eccitino. Infatti qui non c’è Sinistra, Destra e nemmeno Centro che tenga. La questione vera che la “Sanitopoli” pugliese fa infatti emergere con un lucore abbacinante è che dall’amministrazione delle cose pubbliche i partiti debbono starsene prima fuori e subito dopo lontani le mille miglia. La verità è che cose come la Sanità, i servizi alla persona, le necessità primarie dei cittadini non debbono mai e poi mai vedere nemmeno l’ombra di lottizzazioni, spartizioni, carrierismi politici.
Essendo la Sanità un settore enorme e ricco è ovvio che la gestione secondo criteri di scontro e forca politiche vada a trasformarlo in carrozzone del mangia e bevi. L’unica vera riforma che una forza politica seria dovrebbe dunque realizzare in settori tanto delicati e strategici è l’esclusione tassativa dei partiti e dei politicanti. Non la cancellazione della politica, certo, giacché quella qui proposta sarebbe una riforma squisitamente e nobilmente politica, ma l’eliminazione immediata di tutto ciò che a che fare con criteri ideologici, pure nella loro versione postmoderna, debolistica e mesta che ha il volto della “banda dei furbetti”. La politica infatti deve indicare come amministrare settori strategici per la comunità locale e nazionale secondo scelte che abbiano a capo, a cuore e al fondo concezioni concorrenti di uomo e di società, ma ciò detto e fatto la politica deve lasciare immediatamente il posto, in settori così, ad amministratori veri, specchiati, il più possibile bipartisan (benché ognuno la pensi e si schieri in un certo modo, è naturale), professionali e professionisti, garantiti il più possibile, ma soprattutto senza il cartellino, il marchietto, perfino il codice a barre dell’imprinting di partito. Si mettano allora in campo che so concorsi, bandi, corsi di formazione, e vinca il più addestrato e capace ad amministrare. Com’è che in Italia si vedono invece responsabili di settori sanitari che non distinguono un’aspirina da una supposta, oppure si assiste al gioco degli scacchi di gente che oggi dirige questo assessorato o ministero e domani l’altro come se nulla fosse, come se dovesse provarli tutti?
La soluzione ai problemi di management di un Paese grande e importante come il nostro non è certo l’utopistico e antiumanistico “governo dei tecnici” sognato dalle tecnocrazie più avvilenti: ma la competenza, la professionalità, la cristallinità e pure quella cosa oggi poco di moda che si chiama onestà sì. Altrimenti diventa chiarissimo il perché in Italia i servizi pubblici si chiamino esattamente come i vespasiani. www.marcorespinti.org
bia. Altri governatori, invece hanno avuto ben altro stile dinanzi a casi analoghi». Eppure Adriana Poli Bortone, candidata dell’Udc, dell’Mpa e della lista civica che la sostiene Io sud non concede a Vendola il lusso di lavarsene le mani: «Troppo rapidamente Nichi Vendola ha creduto di essersi liberato del fardello scomodo dei suoi cinque anni di gestione della sanità regionale: non può bastare aver allontanato qualche presunto responsabile diretto per consentirgli di proporsi immacolato davanti agli elettori».
Ma Poli Bortone non risparmia nemmeno il centrodestra: «Ciò che appare evidente è l’assenza di un sia pur minimo proposito da parte del centrosinistra e del centrodestra regionale di fare chiarezza sul malaffare che è ruotato e probabilmente ruota ancora intorno alla sanità». Chi parla sempre di complotto di comunisti, di magistrati e di giornalisti ai
Chi parla di complotto antidestra, come spiega – dice l’Udc – l’arresto del Pd Frisullo a una settimana dal voto? danni della destra, avrà ora, per l’Udc, qualche difficoltà a spiegare l’arresto dell’ex vice presidente della giunta regionale pugliese ad una settimana dal voto. Secondo Michele Vietti capogruppo vicario dei deputati «potrebbe essere questa la buona occasione per Berlusconi di abbandonare il copione della vittima di rispondere delle insufficienze del suo Governo e di provare a risolvere i problemi del Paese». Invece il presidente dei deputati Pdl Maurizio Gasparri aggira il ragionamento di Vietti e ripropone la tesi della persecuzione giudiziaria: «Chi sa se le ridicole indagini di Trani non siano state un colpo di teatro per bilanciare, con il nulla, la sostanza degli scandali veri della sinistra?». Prudente e preoccupata la reazione del Pd. Nicola La Torre, senatore democrat eletto in Puglia, si rimette al lavoro della magistratura a cui viene ritualmente data piena fiducia, anche se parla di una troppo significativa coincidenza con le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale. «Adesso si faccia chiarezza su questa vicenda che viene da lontano. Certo, la tempistica dell’arresto di Frisullo, che cade a una settimana del voto, potrebbe destare qualche sospetto. Comunque è bene che si accertino eventuali responsabilità». L’indagine che ha portato all’arresto di Frisullo si avvale infatti anche delle dichiarazioni accusatorie rilasciate dall’imprenditore bare-
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Storia di quattro anni difficili, seduti insieme nella stessa giunta
Quel lungo filo rosso che lega Nichi e Sandro Il politico arrestato è stato il numero due del capo, e ne ha incarnato «l’apparato amministrativo» di Michele De Feudis
BARI. «La verità non la posso dire. Nessuno capiva niente di sanità... Il centrosinistra è un aggregato di chiacchieroni»: per comprendere la tempesta che si sta abbattendo in piena campagna elettorale sulla contesa pugliese è necessario partire da queste parole di Nichi Vendola. Si tratta di un fuori onda trasmesso da Report di Milena Gabanelli. Il governatore, pensando di essere “off record” spiega perché si è avvalso nel suo quinquennio di figure politiche che gli atti giudiziari hanno confermato essere politicamente discutibili. È il caso dell’ex assessore alla sanità Alberto Tedesco, attualmente senatore del Pd, e di Sandro Frisullo. Ma, nonostante le disavventure giudiziarie dei suoi collaboratori, la stella di Vendola continua a brillare nel firmamento pugliese e non solo, al punto che i sondaggi lo indicano stabilmente in vantaggio rispetto agli sfindanti.
Il governatore, ai primi sussurri, prese la situazione in mano e dimissionò mezza giunta, in primis Sandro Frisullo, che dalle trascrizioni dei primi interrogatori, risultò essere un amico stretto di Giampy. E lo stesso ex vicepresidente si difese sorpreso: «Tarantini l’ho conosciuto attraverso frequentazioni comuni. Un fatto è certo: non ho mai partecipato a feste, né in Sardegna né da queste parti». Nella calda estate barese, siamo a luglio,Vendola provò ad allontanare da sé ogni sospetto e spiegò: «Il rimpasto della giunta è un segnale forte ai cittadini pugliesi, ma anche alle corporazioni che occupano i gangli vitali della pubblica amministrazione». Il leader di Sinistra e Libertà utilizzò la questione morale come una clava contro il Partito democratico, suscitando l’ira dei dalemiani. A latere del rimpasto in giunta,Vendola tentò di aprire al partito di Casini, ma il matrimonio con lo scudo crociato non è mai andato in porto. E su questo nodo Francesco Boccia e la corrente bersaniana calcarono la mano nelle ultime primarie del gennaio scorso. Vana illusione. Il poeta di Terlizzi sbaragliò di nuovo il professore di Castellanza, potendo così lanciare la campagna elettorale a suon di filastrocche e rime baciate. Se qualcuno aveva ancora dubbi sulla moralità del futuro governo regionale, il carico da dieci l’ha portato Antonio Di Pietro: l’Italia dei Valori ha schierato il pubblico ministero Lorenzo Nicastro, da nove anni controparte processuale nelle inchieste in corso sul centrodestra. Nel futuro organigramma dovrebbe andare a ricoprire la casella dell’assessorato alla salute. Insomma, per evitare qualche sbracatura con “i chiacchieroni”, l’idea di Nichi è di affidarsi direttamente a un magistrato...
Le prime scosse risalgono al febbraio 2009: a restare coinvolto fu il responsabile dell’assessorato alla salute, l’ex socialista Alberto Tedesco
se Gianpaolo Tarantini. Quando a fine giugno dello scorso anno il nome di Frisullo viene tirato in ballo in una delle inchieste che riguardavano il cosiddetto sistema Tarantini e la sanità pugliese.
L’ex vicepresidente della Regione Puglia, secondo l’accusa avrebbe ricevuto dall’imprenditore barese uno stipendio mensile di 12mila euro per 11 mesi nel 2008, oltre a 150mila euro in danaro, capi di abbigliamento, buoni benzina, regali di vario genere e prestazioni di natura sessuale da parte delle prostitute della scuderia di Gianpi. In cambio Frisullo avrebbe fatto vincere a Tarantini e all’imprenditore barese Domenico Marzocca (indagato a piede libero) appalti per un milione di euro per la fornitura di materiale sanitario da parte delle società di Tarantini; e per quattro milioni di euro per la gestione dinamica dei documenti cartacei e cartelle cliniche’banditi dalla Asl di Lecce e aggiudicati a Tarantini e alla società Prodeo spa’ di Marzocca. Per questi servigi Frisullo avrebbe inoltre ottenuto la disponibilità, da parte di Tarantini, di un’autovettura con autista e del servizio di pulizia settimanale della sua casa barese. Nel suo privato Frisullo ci teneva alla pulizia.
Nikita, vinte a sorpresa le primarie del 2005 contro l’economista prodiano Francesco Boccia, giocò una partita spregiudicata contro Raffaele Fitto alle regionali. Sbaragliò Forza Italia e Alleanza nazionale con una campagna di immagine che puntava al rinnovamento. “Voltare pagina”,“Dare vita alla Primavera pugliese” erano slogan dietro i quali non c’era un autentico progetto di governo della “California del Sud”. Per questo Vendola dovette celebrare dei necessari compromessi nel definire la squadra di governo. Il suo vice, essendo il presidente di Terlizzi in provincia di Bari, doveva rappresentare un contrappeso territoriale e un contraltare partitico: da qui l’individuazione di Sandro Frisullo, cresciuto nel Pci, area dalemiana, plenipotenziario del leader Maximo nel Salento. La sua esperienza doveva servire per arginare i tanti esponenti di primo piano dell’opposizione a Lecce e dintorni, dal sottosegretario Alfredo Mantovano all’ex Sindaco Adriana Poli Bortone (ai tempi coordinatore regionale di An) fino al ministro Raffaele Fitto. Sul piano della cultura popolare, del resto, il vendolismo in chiave salentina era declinato dalla Notte della Taranta, immensa Woodstock che ogni anno si celebra nel comune di Melpignano al suono della “pizzica”, tradizionale musica di quel territorio, un evento cult ideato dall’attuale segretario regionale dei democratici, Sergio Blasi, sostenitore da sempre di Nichi.
poi confluito nel partito di Veltroni e Bersani. Una fuga di notizie dalla Procura favorì le dimissioni dell’esponente dell’esecutivo regionale, i cui figli gestivano società e rappresentanze di protesi sanitarie.Vendola colse la palla al balzo e al suo posto nominò un fedelissimo, Tommaso Fiore, docente della facoltà di Medicina dell’Università di Bari: esponente di sinistra radicale con la fama di “talebano intransigente”. Dopo quattro mesi scoppiò il caso Tarantini. L’outing della escort Patrizia D’Addario sembrò essere un uragano contro la destra. Alle comunali, infatti, il sindaco Emiliano per il clamore dello scandalo delle notti di Palazzo Grazioli, venne riconfermato al ballottaggio senza affanni. Subito dopo, con i primi interrogatori dell’aitante imprenditore Giampaolo Tarantini, emerse un sistema organizzato che presumibilmente avrebbe determinato l’esito degli appalti per le forniture degli ospedali pugliesi.
In alto, l’Ospedale pubblico di Bari, al centro dell’inchiesta che ha portato all’arresto di Sandro Frisullo (nella foto qui sopra e, a destra, con Nichi Vendola), insieme a una vasta serie di strutture private pugliesi che avevno rapporti molto solidi con l’amministrazione regionale
Le prime scosse nella giunta di centrosinistra in Puglia risalgono al febbraio del 2009. Sotto i riflettori delle inchieste della magistratura c’è la gestione della sanità.Vendola aveva chiamato come responsabile dell’assessorato alla salute un ex socialista, Alberto Tedesco,
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I candidati del Centro/7. La senatrice spiega come si è costruito l’equilibrio del potere regionale: «Siamo noi l’unica novità»
«È un patto consociativo»
Adriana Poli Bortone: «Finora il Pdl non aveva infierito sullo scandalo. Nella gestione della sanità, Vendola ha presevato il sistema Fitto» di Errico Novi
ROMA. Solo una persona che conosce davvero il copione e la qualità degli attori, solo chi come Adriana Poli Bortone ha un ruolo di protagonista nella vicenda elettorale pugliese, può cogliere davvero l’impatto dell’ultimo colpo di scena giudiziario sul voto regionale. Perché se in teoria l’inquietudine dovrebbe percorrere solo il centrosinistra vendoliano, non è che il Pdl possa coltivare un compiaciuto distacco. Nichi Vendola era riuscito a tenere lo scandalo della sanità lontano dalla sua campagna elettorale finché i fatti hanno decisamente avuto la meglio. Penso che Vendola abbia pensato di poter rimuovere il problema con la rimozione di alcuni assessori. Ma non si è mai deciso a fare chiarezza. Qual era la strada più corret-
ta da seguire? Semplice: ci sono due commissioni parlamentari d’inchiesta sul servizio sanitario, alla Camera e al Senato. Si sarebbe potuto sollecitare tempestivamente, e ben prima che la campagna elettorale entrasse nel vivo, un approfondimento delle vicende i cui aspetti più gravi, ora, sono oggetto dell’inchiesta e hanno portato all’arresto di Frisullo. E invece? Non è successo nulla, le commissioni non hanno sciolto i nodi della questione pugliese. Ci si è scandalizzati in modo intermittente quando la cronaca giudiziaria si è imposta da sola. Ma c’è una cosa che colpisce più di tutte. Ossia? Ho visto un notevole fair play nei confronti del Pd da parte del Pdl. In questa campagna elettorale per la Puglia, finora, non si era parlato molto delle inchieste sulla sanità, fateci caso. Oltretutto nelle commissioni di cui lei ricorda la scarsa incisività, senatrice, il Pdl ha la maggioranza, cioè le controlla. Vede, il malgoverno del quinquennio 2000-2005, quello di Raffaele Fitto, sul sistema sanitario pugliese ha prodotto effetti che sarebbe stato impossibile cancellare nell’ultima consiliatura. E anzi le emergenze sono rimaste tutte aperte. Mi riferisco alle liste d’attesa inaccettabili, al mancato miglioramento degli ospedali, al fatto che ancora manca un sistema davvero efficace di reclutamento dei direttori generali. Da quello dipende tutta la filiera delle nomine dei direttori sanitari, dei primari, di qualsiasi dirigente. Ebbene, il sistema è rimasto lo stesso. Riepiloghiamo: il Pdl fino a ieri non aveva infierito, non ha nemmeno usato le commissioni d’inchiesta, Vendola ha gelosamente custodito il sistema Fitto: vuole dire che sulla sanità pugliese c’è un patto consociativo PdlPd? Non lo nego, anzi, posso dire che senza dubbio c’è una forma assoluta di consociativismo, di cui sono protagonisti Pdl e Pd, e che non riguarda solo il tema della sanità ma si estende praticamente a tutto, a cominciare dalla legge elet-
Il candidato “voluto” dal ministro
Intanto la destra punta sul voto Palese ROMA. «Non va bene, è troppo folk». Così in sede di “casting” pare si sia espresso Silvio Berlusconi a proposito di Rocco Palese. Valutazioni che hanno preceduto di molto il giorno della svolta, coinciso con la domenica delle primarie del Pd, il 26 gennaio. Appena arrivata la notizia certa della vittoria di Vendola, con le urne dei democratici ancora aperte, Raffaele Fitto ne approfittò per annunciare la corsa del consigliere regionale considerato suo fedelissimo. Una mossa a sorpresa, anche per il premier, che fino a poche ore prima aveva continuato a esprimere riserve sulla decisione, obiettando che oltretutto i sondaggi davano decisamente più chances all’ex sindaco di Lecce Adriana Poli Bortone.
È così che nasce una delle candidature più controverse, per il centrodestra, in questa tornata elettorale. È anche in virtù di questo pasticcio, che ha portato l’Udc a sostenere da solo la senatrice ex An, che Berlusconi ha avanzato dubbi sulla dirigenza del suo partito e in particolare su Denis Verdini, che avrebbe offerto a Fitto la sponda decisiva per arrivare alla candidatura di Palese. Nei giorni successivi al 26 gennaio, il premier ha incontrato Lorenzo Cesa nella Sala del governo di Montrecitorio, per arrivare a uno schieramento unitario in Puglia. In quella occasione il presidente del Consiglio ha ribadito al segretario udc il suo parere positivo a un’indicazione unitaria per la Poli Bortone. Finché lui stesso ha dovuto rassegnarsi alla separazione con i centristi. Adriana Poli Bortone ha il sostegno, oltre che del partito di Pier Ferdinando Casini, del suo movimento Io Sud e dell’Mpa di Raffaele Lombardo, che a Bari enfatizza la propria divergenza dal resto del centrodestra. Con Rocco Palese ci sono il Pdl e altre cinque liste, tra cui “La Puglia prima di tutto”, espressione del movimento creato da Fitto, in cui si candida anche l’ex deputato ed ex consigliere regionale Tato Greco. Sarebbe stato quest’ultimo a offrire e concedere un posto nella lista a Patrizia D’Addario per le Comunali di Bari del 2009. Anche le liste a sostegno di Vendola sono sei, mentre corre con l’appoggio della sola Alternativa comunista il quarto dei concorrenti alla carica di presidente della Puglia, Michele Rizzi. La legge elettorale regionale è stata modificata di recente, con l’introduzione di una norma che di fatto liberalizza il sistema di presentazione. La raccolta delle firme infatti non è necessaria per le liste che abbiano a garanzia il sostegno di almeno un consigliere uscente. Una direzione completamente opposta a quella seguita del Pdl e dal Pd in Toscana, per esempio, dove la stretta sui movimenti minori arriva al punto da imporre uno sbarramento del 4 per cento anche per chi si presenta in coalizione e un totale di 13mila firme da raccogliere in tutte le province.
torale regionale modificata all’ultimo momento con un accordo trasversale. Parliamo di due partiti che a livello nazionale sventolano la bandiera del bipartitismo ma che qui in Puglia hanno agevolato la scomposizione. A cosa si riferisce esattamente? Alla possibilità di evitare addirittura la raccolta delle firme concessa anche a liste mai apparse in precedenza. Hanno approfittato dell’ultima Finanziaria regionale, l’iniziativa anzi l’ha presa proprio Rocco Palese, con la pronta convergenza della maggioranza. In pratica qualunque consigliere può presentare una lista senza la necessità di raccogliere sottoscrizioni. E infatti sulla scheda, con il simbolo del Pdl, si trova anche quello della lista ”I pugliesi”. Non era lei quella che, con l’Udc, favoriva Vendola sottraendo voti a Palese?… È una delle tante menzogne di questa campagna elettorale. Sarebbe ora di smetterla con le chiacchiere e dire la verità: il Pdl avrebbe potuto tranquillamente realizzare una compagine allargata a Io Sud e all’Udc: avevo dato la mia disponibilità a fare un passo indietro se Fitto fosse sceso in campo personalmente, loro invece non hanno nemmeno aspettato che si chiudessero le urne delle primarie. Ma questo alla fine ci ha giovato, alla luce di quanto accade a livello nazionale: mi riferisco all’implosione, prevedibilissima, del Pdl, al caso della Sicilia, alla situazione del Nord dove la Lega prevale sempre più come elemento terzo, scollegato dal Pdl. È così che si amplia lo spazio anche per noi, per un partito del Sud e per l’Udc insieme. In Puglia, con la sua candidatura, il bipartitismo vacilla ancora più che altrove. Lo abbiamo messo in crisi, ma io avrei esplicitamente dichiarato la mia sfiducia nel bipartitismo anche se non mi fossi candidata. Credo in un assetto multipolare che è anche l’inevitabile conseguenza di una politica sempre più legata al territorio. Federalismo vuol dire responsabilità ma anche identità. È inspiegabile l’atteggiamento del Pdl, perché l’accordo con l’Udc e Io Sud avrebbe enfatizzato da una parte la coerenza con alcuni valori, dall’altra l’investimento sul Mezzogiorno. Ha prevalso il personalismo
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Il governatore uscente punta tutto sulla sua riconferma
Super Nichi, un leader per caso (e per fortuna)
Dalla sconfitta in Rifondazione al caso Frisullo: sembrava finito, ma D’Alema lo ha fatto ”rinascere” di Antonio Funiciello
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Fateci caso: finora la questione giudiziaria era rimasta fuori dalla campagna elettorale. È l’altra faccia dell’intesa con cui è stata anche aggiustata la legge elettorale di Fitto, che forse è anche il tentativo di riprodurre il modello berlusconiano. E che in realtà corrisponde alla crisi della classe dirigente meridionale del Pdl. Berlusconi ha una sua unicità, da parte di Fitto c’è una prassi imitativa, connaturata nel suo dna: c’è la convinzione che in Puglia possa esserci solo lui o una sua controfigura. Eppure la sconfitta del 2005 avrebbe dovuto riportarlo con i piedi per terra. Non è bastato nemmeno il risultato ottenuto dalla lista in cui Fitto era candidato nel 2008 alla Camera e che ha preso meno voti di quella del Senato, in cui io ero capolista e e che non aveva il traino dei leader nazionali. La tempesta giudiziaria rischia di accentuare l’astensionismo. È probabile ma non saremo noi a pagarlo. Siamo l’unico elemento di novità di questa campagna elettorale, gli unici ad aver elaborato programmi veri: noi di Io Sud abbiamo cominciato a lavorarci da settembre, l’Udc ha tenuto un’assemblea programmatica. Gli altri fanno un po’ di copia e incolla. O peggio. Cioè? Palese ora annuncia il taglio dei consiglieri, eppure erano stati loro ad aumentarlo. Poi promettono di limitare le liste d’attesa a
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tre mesi: eppure hanno già governato e potevano provvedere a suo tempo. Lei ha firmato il manifesto del Forum famiglie in cui si sollecitano aiuti alle famiglie. Ho appena affrontato la questione con la Compagnia delle opere e ci troviamo d’accordo sul fatto che in Puglia sanità e assistenza escludono il sistema della sussidiarietà: il privato sociale non viene valorizzato, le convenzioni sono concepite solo in termini di profitto. Esclusi sono anche i piccoli produttori agricoli rispetto alla grande distribuzione. Si è preferito ottenere dieci assunzioni in più nei supermercati anziché far rispettare il “diritto di scaffale”per i prodotti locali. Anche su questo siamo gli unici ad avere posizioni chiare. E lei è chiara anche quando arriva a definirsi orgogliosamente terrona. Serve la rinascita di tutti: innanzitutto del popolo che si riappropria della dignità, anche definendosi terrone nel senso vero del termine, che evoca la terra come luogo della genuinità dei sentimenti; e poi della classe dirigente. Se è venuta a mancare è perché si sono dissolti i partiti. In questo sono stata premonitrice, aspetto sulla riva del fiume che gli eventi lo dimostrino fino in fondo.
ROMA. L’arresto di chi per quattro anni su cinque è stato il suo vice presidente, il capo dei dalemiani pugliesi Sandro Frisullo, ha regalato una notte insonne a Nichi, che da qualche settimana era tornato sulla cresta dell’onda. Le vicende giudiziarie che riguardano la sua giunta sono una bella grana per Super Nichi: come minimo, nel caso cioè in cui non s’era accorto per niente di tutto quel giro di tangenti intorno agli assessori che s’era scelto, Vendola ci fa la figura del ”distratto”. Non proprio una bella figura. Vasco Errani, per molto meno, ha costretto alle dimissioni il sindaco di Bologna Delbono, che quando era il suo vice presidente faceva viaggetti oceanici con l’amante a spese di emiliani e romagnoli. Quisquilie rispetto al pantano del sistema di potere pugliese. Da cui, non fosse stato per la confusione di D’Alema nel Pd e la miopia di Berlusconi di non convergere sul candidato presidente regionale dell’Udc, Super Nichi non si sarebbe levato in nessun caso. Ma Vendola è un uomo fortunato e, di suo, se manca di una qualche visione politica, ha un fiuto degno della migliore scuola.
re la parte imbarazzante di quello che non s’era accorto di nulla. Uno così, con la giunta azzerata per accuse di tangenti, in qualsiasi parte del mondo non sarebbe stato ricandidato neppure a capo scala di un condominio. Ma il recente pasticcio dalemiano doveva incredibilmente riportare in auge Super Nichi, fino alla piazza antiberlusconiana di sabato scorso, dove ha ricevuto più applausi di tutti da manifestanti, che ormai non sanno proprio più chi applaudire e si lasciano ammaliare dall’Obamino del Tavoliere.
Se nel panorama politico c’è un ”perdente di successo” che batte Veltroni, quello è Vendola. I due si somigliano. Entrambi, ad esempio, pur essendo stati allevati dal Pci, non sono stati molto amati dall’apparato, che a Veltroni ha sempre preferito D’Alema e a Vendola nell’85, come successore di Fumagalli alla segreteria nazionale della FGCI, preferì Pietro Folena. Entrambi hanno mostrato di avere più appeal verso l’esterno che non all’interno dei loro partiti. Entrambi sono dediti alla letteratura: Veltroni alla prosa,Vendola alla poesia. Simili in quella forma letteraria di cinismo che ispira la loro iniziativa politica, supportata da una retorica piena di aggettivi magniloquenti e uno sguardo che fissa assiduamente un punto lontano nell’etere. Potrebbero essere domani i leader che provano ad insidiare la leadership di Bersani, provando a mettere qualcun altro in testa al carrozzone della nuova Unione. IntantoVendola si gode l’inattesa fortuna delle divisioni nel centrodestra pugliese e i sondaggi che lo danno vincitore alle regionali. Portare a casa il risultato è il primo obiettivo, perché da Bari Super Nichi possa realizzare il sogno della leadership della sinistra meridionale. Tramontato come un incubo nefasto Bassolino, con le probabili sconfitte del centrosinistra in Campania e Calabria, Vendola sarà l’unico presidente di una regione del Mezzogiorno, a parte la piccola e ininfluente Basilicata. Rimasto solo vice Re di sinistra nel Sud del paese,Vendola potrà tenere la barra a sinistra, scongiurando modernizzazioni liberali del quadro politico. E continuare a parlare di cambiamento a ogni comizio, affinché la sinistra italiana cambi quello che basta a restare, chissà ancora per quanto, esattamente così com’è.
Nel panorama politico si è fatto la fama di un “perdente di successo”. Ma, come il suo «sostenitore» Veltroni, deve tutto ai trionfi nelle primarie
Neppure un anno fa, Vendola era politicamente finito. Nel 2008 era stato l’ideatore del disastro della lista dell’Arcobaleno, che riuniva tutta la sinistra radicale, e non riuscì neppure ad avvicinarsi alla soglia di sbarramento. I suoi, in verità, erano andati a bussare alla porta del Pd per chiedere un apparentamento, lo stesso che era stato concesso a Di Pietro, ma Veltroni gli aveva sbattuto la porta in faccia, tenendoli fuori dal Parlamento. Nel luglio dello stesso anno, aveva guidato cocciutamente la scissione dentro Rifondazione. Era convinto di vincere e perse clamorosamente. Col partito rimasto in mano a Ferrero, Super Nichi s’inventò allora Sinistra e libertà per le elezioni europee del 2009: un’altra batosta! Non bastasse, ai risultati modesti della sua giunta regionale si unì, la scorsa estate, lo scandalo del sistema-Tarantini. Mentre lui era in viaggio in Canada (viaggio istituzionale, s’intende), la sua giunta fu accusata di andare a donnine e ricevere denari in cambio di appalti per la fornitura di protesi e di vario materiale sanitario. Vendola ne restò fuori, ma fu costretto ad azzerare la giunta, a partire dal suo vice presidente Frisullo ieri arrestato, per finire a fa-
diario
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Risiko. Nel Cda dei “quotidiani” entrano Cesare Geronzi, Giovanni Bazoli e Luca Cordero di Montezemolo
Rcs, salotto esclusivo ma in rosso I grandi soci decidono di impegnarsi direttamente per migliorare i conti ROMA. Nella city milanese c’è
pacchetto di dismissioni di asset più ampio rispetto al previsto. In questa direzione rientra l’opzione per Andrea della Valle, fratello del consigliere Rcs Diego, sul 9,9 per cento della Poligrafici che via Solferino ha in pancia da qualche anno senza aver sviluppato mai importante sinergie. Proprio nel tentativo di garantire la continuità, è stato confermato di tenere fuori dal patto di sindacato Giuseppe Rotelli. Per quanto il primo socio privato (ha l’11 per cento) non abbia mai chiesto di entrare nel salotto buono, l’argomento non è mai davvero entrato in agenda. Intanto perché il re delle cliniche lombarde è molto vicino a Silvio Berlusconi e a Roberto Formigoni, non certo in spolvero dopo l’affaire liste Regionali. Eppoi, con una quota così ampia, si finirebbe soltanto per diluire il flottante: misura che rischia di essere dirompente per un titolo debole come quello di Rcs.
di Francesco Pacifico
chi ci scherza su e maligna che «la linea del Corriere della Sera è tanto indipendente che i grandi soci hanno dovuto commissariarlo...». Fatto sta che da ieri Cesare Geronzi (Mediobanca), Luca Cordero di Montezemolo (Fiat) e Giovanni Bazoli (IntesaSanpaolo) siedono nel Cda di Rcs quotidiani al posto dei tanti amministratori indipendenti nominati nel giro precedente e che fino a qualche mese fa erano il migliore biglietto da visita del capitalismo.
Alla base di questo coinvolgimento diretto dei pattisti di via Solferino non c’è la necessità di reindirizzare la linea del Corriere di Ferruccio De Bortoli di fronte alle scosse che stanno modificando la politica italiana e che potrebbero portare alla fine del berlusconismo. Quanto, più prosaicamente, la necessità di raddrizzare i conti sempre in rosso. Il secondo gruppo editoriale del Paese ha chiuso il 2009 con una perdita di 129,7 milioni di euro, contro l’utile di 38,3 milioni nel 2008. Indicativo poi che – nel bilancio approvato ieri dal Cda – i ricavi netti siano pari a 2,206 miliardi di euro, in calo del 17 per cento, con un -24,7 dei ricavi pubblicitari a 709,7 milioni. Il margine operativo lordo pre oneri e proventi non ricorrenti tra l’altro poi è sceso da 270,6 a 133 milioni, mentre il risultato operativo è passato da un plus di 130,1 milioni a una perdita di 97,1 milioni. Se non bastasse ancora l’indebitamento finanziario netto è di
chetti alla presidenza e di Giorgio Valerio come Ad, sono stati nominati in consiglio d’amministrazione Giovanni Bazoli, Luca Cordero di Montezemolo, Cesare Geronzi, Giampiero Pesenti, Marco Tronchetti Provera e l’Ad del gruppo Antonello Perricone, creando di fatto una riproposizione con quanto già deciso per il Cda della stessa holding.
Raccantano dal fronte dei soci forti: «Intanto ci si è liberati da personaggi che non è mai stato chiaro da chi e da
Il gruppo di via Solferino ha chiuso il 2009 con una perdita di 129,7 milioni di euro. Il re delle cliniche Rotelli ancora fuori dal patto 1,057 miliardi, nonostante il miglioramento di 90 milioni. È per tutto questo e per il fatto che i grandi soci hanno in carico i titoli di Rcs a 4 euro, quanto la società è inchiodata a piazza Affari a due (ieri i conti l’hanno fatto calare dello 0,59 per cento) che si è deciso per il cda della controllata quotidiani di fare a meno di personaggi autorevoli come l’ex presidente della Corte Costituzionale,Valerio Onida, oppure l’ex rettore del Politecnico Giulio Ballio. Così, accanto alla conferma del notaio Piergaetano Mar-
cosa fossero indipendenti. Molto semplicemente la proprietà ha deciso di affiancare la gestione perché i conti peggio di così non possono andare. Ora sta a Perricone dare una svolta». Non a caso si aspetta di capire le prossime mosse del management, prima di decidere il suo futuro. Proprio l’Ad, presentando i conti alla comuniutà finanziaria, si è detto «fiducioso sul raggiungimento del target di 200 milioni di riduzione dei costi». Dopo di lui il direttore finanziario del gruppo, Riccardo Stilli, ha annunciato un
Marcegaglia: inaccettabile lo scontro tra istituzioni
Al via il decreto incentivi ROMA. Dopo una lunga genesi – e uno scontro all’arma bianca tra i ministri Tremonti e Scajola – oggi arriva in Consiglio dei Ministri il decreto per gli incentivi. L’ultima bozza parla di un testo molto leggero: 5 articoli, compreso l’ultimo che stabilisce le modalità di entrata in vigore. Non ci saranno risorse per le rottamazioni, ma sul versante degli aiuti ai settori in crisi prevede si prevede la costituzione di un fondo da 200 milioni di euro. Soldi che saranno coperti con i proventi della lotta all’evasione fiscale.
È stato anche deciso che il fondo in un secondo momento potrà essere incrementato con altre risorse da parte del ministero dello Sviluppo economico, di concerto con il ministero dell’Economia. Intanto ieri è partito con una dotazione finanziaria di
un miliardo il Fondo Italiano d’investimento Sgr, voluto da Tremonti e destinato a sostenere la capitalizzazione e l’aggregazione delle Pmi. L’obiettivo della Sgr, che è stata costituita ieri a Milano, è di far sì che la raccolta arrivi a recuperare fino a 3 miliardi di euro.
Emma Marcegaglia, che da tempo si batte per ampliare la capitalizzazione delle imprese, ha l’ha definito «uno strumento di politica economia per aiutare le imprese, non è uno strumento per salvare le imprese in crisi, ma per aiutare quelle che già stanno sul mercato. Per le Pmi la capitalizzazione e l’aggregazione sono fondamentali, su questi temi si gioca il futuro della competitività del Paese». Al riguardo la presidente ha aggiunto: «Il conflitto continuo e permanente tra le istituzioni è inaccettabile».
Rispetto alle ipotesi circolate in questi giorni, il gotha dell’imprenditoria italiana è riuscito a trovare senza grandi difficoltà un accordo su via Solferino. E a ben guardare le decisioni prese in questi giorni potrebbero diventare un importantissimo precedente per gestire dossier più delicati come Generali. Intanto, dal punto di vista procedurale, il rinnovo del Cda di Rcs quotidiani è stato il primo grande banco di prova per il nuovo regolamento sulle parti correlate, da poco varato dalla Consob. E il fatto che i grandi soci abbiano deciso di impegnarsi direttamente per accompagnare il lavoro dei manager, di fatto smentisce l’indirizzo dell’autorità, che invece si affida ai consiglieri indipendenti nelle società controllate per difendere i diritti dei piccoli azionisti. Nota l’ex responsabile della sede Consob di Milano Fabrizio Tedeschi: «Quanto accaduto dimostra che i regolamenti possono poco di fronte alle volontà dei grandi soci». Non mancano poi indicazioni sulla guerra per il controllo dei pezzi pregiati della finanza italia. A meno di colpi di mano da parte dei soci francesi di Mediobanca – gli unici a difendere Antoine Bernhaim alla presidenza del Leone – potrebbe continuare la pace tanto agognata da Cesare Geronzi.
diario
19 marzo 2010 • pagina 7
La madre conferma. A breve l’esame del Dna sul cadavere
Oggi gli atti su Berlusconi trasferiti al tribunale di Roma?
Caso Claps, riconosciuti alcuni oggetti della ragazza
E l’Agcom apre un’istruttoria su Innocenzi
POTENZA. In attesa dell’esito dell’esame del Dna sui resti umani ritrovati due giorni fa nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza, che potrebbero appartenere a Elisa Claps, i familiari di Elisa hanno già riconosciuto, attraverso delle fotografie, alcuni degli oggetti appartenuti alla ragazza scomparsa nel 1993 a 16 anni. In particolare gli occhiali tondi e un brandello di maglia sono stati riconosciuti ieri dalla mamma di Elisa, Filomena, come appartenenti proprio a sua figlia.
ROMA. L’inchiesta di Trani sulle presunte pressioni per far chiudere Annozero potrebbe arrivare già oggi al tribunale dei ministri. O meglio: nella Capitale ci si occuperà probabilmente degli atti relativi al premier Silvio Berlusconi, cui i pm contestano la concussione e le minacce. La procura di Trani conferma: oggi si deciderà sul trasferimento degli atti a Roma. In Puglia resteranno invece le posizioni riguardanti il direttore del Tg1 Augusto Minzolini e il commissario dell’Agcom Giancarlo Innocenzi. Proprio su Innocenzi, l’Agcom ha deciso di avviare un’istruttoria. L’Autorità ha chiesto infatti al Comitato etico di esprimere il suo parere sul commissario, «in relazione alle notizie su alcune intercettazioni telefoniche che riporterebbero brani di conversazioni tenute, tra gli altri, da un componente dell’Autorità». Il Comitato etico si pronuncerà dopo aver ascoltato l’interessato. «Mi pare il minimo - ha commentato il leader del Pd Pierluigi Bersani -. Mi pare che andare a dare un’occhiata su come si siano sviluppate queste vicende, da parte dell’autorità sia giusto e doveroso. Abbiamo assolutamente bisogno che autorità indipendenti siano davvero tali».
Gli inquirenti, ad ogni modo, continuano a non sbilanciarsi e hanno già puntualizzato che una identificazione non avverrà prima delle attività di polizia scientifica e che la certezza assoluta arriverà dall’esame del Dna che deve ancora essere estratto dal cadavere. Gli oggetti non sono stati ancora visionati direttamente dai fratelli e dalla madre di Elisa ma, comunque, con il passare delle ore aumentano gli elementi a supporto del ritrovamento del corpo della ragazza. Intanto nel sottotetto della chiesa sono in corso gli accertamenti di polizia scientifica e quelli medicolegali. Il fratello di Elisa, Gildo, è insieme agli inquirenti nel posto dove è stato trovato il cadavere. Mazzi di fiori e messaggi aumentano di ora in ora davanti alla chiesa della Santissima Trinità. I bigliettini sono tutti dedicati alla ragazza. Molte persone lasciano i mazzi davanti al portale chiuso della chiesa. È stato srotolato anche uno striscione con la scritta “Verità e giustizia”. Dopo la scomparsa di Elisa, in mancanza del corpo, non si era mai potuto procedere per omicidio anche perché si erano verificati dei depistaggi con la segnalazione che la ragazza fosse stata vista viva, addirittura in Albania. Il ritrovamento del corpo, a cui sembra mancare solo l’ufficialità dell’esame del Dna, ha impresso un’accelerazione all’indagine sul suo omicidio.
Nuove polemiche su Peppino Impastato A Ponteranica disertato anche il concorso a lui dedicato di Angela Rossi
ROMA. Se oggi in Italia le logiche separatiste ormai non hanno storia e non riescono a trovare spazio, gli umori tante volte instillati sono invece stati assorbiti dall’opinione pubblica. E così, anche quando la Lega non c’entra, la sua propaganda genera poi comportamenti provenienti dal profondo del tessuto sociale. L’ultimo episodio di cronaca, a Ponteranica (provincia di Bergamo), ancora una volta a danno di Peppino Impastato, il giovane siciliano di Cinisi ucciso dalla mafia, la cui memoria non trova pace. Qualche mese fa, precisamente a ottobre dello scorso anno, la targa intitolata a lui fu rimossa dalla biblioteca del comune bergamasco. È storia di oggi, invece, la polemica della quale ha dato conto il quotidiano L’Eco di Bergamo. L’amministrazione comunale guidata dal sindaco leghista Cristiano Aldegani, ha indetto un concorso sulla legalità per scuole elementari e medie dal titolo: “18602010: Giuseppe Impastato e le vittime di tutte le mafie”. Un’iniziativa pensata dal Comune, come ha specificato il sindaco Cristiano Aldegani nella nota inviata alla dirigente scolastica Antonia Pendezzini, «per accogliere le segnalazioni pervenute dalla scuola che auspicavano la conservazione della memoria del giovane di Cinisi». Ma pronto è arrivato il “niet”del consiglio dell’istituto comprensivo attraverso la sua dirigente. Gli alunni che lo desiderano potranno partecipare al concorso a titolo personale. Il no viene giustificato con i tempi stretti dovuti all’anno scolastico ormai inoltrato. Però, una frase rivelatrice chiude la risposta di Antonia Pendezzini: «Nel territorio di Ponteranica la figura di Peppino Impastato ha assunto una connotazione non esclusivamente attinente alla legalità e alla lotta alla mafia». Non s’è fatta attendere neanche la controreplica del primo cittadino di Ponteranica, il quale fa sapere che non desidera entrare «in merito alle motivazioni che mi lasciano molti interrogativi e perplessità su scelte che
hanno sempre più carattere ideologico che educativo. Ciò risulta evidente dal fatto che le nostre proposte alla scuola hanno il medesimo risultato: un rifiuto o un’adesione sempre molto faticosa». Nel merito è entrata invece l’associazione “Libera” e il comitato locale “Peppino Impastato”: «Non si può prima togliere dalla biblioteca una targa dedicata a Impastato e poi aggiungere un concorso nelle scuole per ricordarlo. Ha fatto bene la scuola a rigettare la proposta. La memoria non può essere schizofrenica, altrimenti non è credibile». Va infatti ricordato che alla fine dello scorso anno, tra settembre ed ottobre, la polemica che scoppiò, sempre a Ponteranica, tra il sindaco e l’ associazione “Libera” a causa della rimozione dalla Biblioteca comunale della targa alla memoria di Impastato il quale, ricordiamo, fu ucciso a soli trent’anni, nel 1978 dalla mafia perché elemento scomodo a causa della sua attività. Fondatore infatti di Radio Aut, un’emittente autofinanziata che operava nel campo della controinformazione e soprattutto in quello della satira nei confronti della mafia e degli esponenti della politica locale, nel 1978 Peppino Impastato partecipò alle elezioni comunali a Cinisi.
Il consiglio di una scuola nega l’adesione al bando voluto dal sindaco. Solo sei mesi fa, la querelle sulla rimozione di una targa
Venne assassinato il 9 maggio, qualche giorno prima delle elezioni e qualche giorno dopo una documentata mostra fotografica sulla devastazione del territorio operata da speculatori e gruppi mafiosi: il suo corpo fu dilaniato da una carica di tritolo posizionata sui binari della linea Palermo-Trapani. Nello scorso ottobre, come si diceva, la polemica sulla targa. In un comunicato dell’epoca “Libera Bergamo” chiese al sindaco quali iniziative intendesse mettere in atto per l’anno corrente. «Con il plauso del ministro dell’Interno, Roberto Maroni - rispose Aldegani - abbiamo in programmazione un concorso, dedicato agli alunni del nostro Istituto compresivo, incentrato sulla figura di Impastato e di tutte le vittime delle mafie». Come è andata è cronaca di oggi.
Resta alta, intanto, la tensione tra il ministero della Giustizia e il Csm sull’ispezione a Trani. Sulla pratica, Palazzo dei Marescialli ha corretto il tiro, decidendo che non ci sarà nessuna istruttoria della sesta commissione: i consiglieri si limiteranno a una risoluzione di carattere generale, che ribadirà i principi del rapporto tra poteri degli 007 di Alfano e segreto investigativo. «Alfano può mandare gli ispettori ma non interferiscano» ha rilanciato da parte sua il vice presidente del Csm Nicola Mancino. «È opportuno che si faccia luce al più presto su questa preoccupante fuga di notizie», è la posizione espressa dal presidente del Senato Renato Schifani.
politica
pagina 8 • 19 marzo 2010
Anticipazioni. Nel suo nuovo libro, “I cari estinti”, il giornalista piemontese racconta storie e personaggi di un’Italia che non esiste più
Nostalgia mariuola Fanfani, Gava, Rumor, Capanna, Leone, Spadolini: 40 anni di storia politica “rimpianti” da Pansa di Mario Bernardi Guardi o conosciuto Mario Capanna qualche anno fa. Primo incontro al Carnevale di Viareggio: invitato dall’amministrazione comunale, Mario sfila in passeggiata, come “carrista”, alla guida di un trattore. Il tipo? Come sempre barbuto, decisamente invecchiato, gran simpaticone, conversatore cordiale e brillante, spirito libero. Già, e dov’era il Capanna della Statale e quello di Democrazia Proletaria? Dov’era il Capanna che lanciava le uova marce contro signore impellicciate alla “prima”della Scala? Dov’era il Capanna dei tetri, tenebrosi cortei per le vie di Milano? Dov’era il fascinoso tribuno coccolato dai radical-chic meneghini? Dov’era il capo dei katanghesi, pallido, scapigliato, ebbro di lotta e con la sciarpa rossa al collo? Mah.
H
giovane estremista che dava molto fastidio ai sindacati e ai partiti di sinistra. Era un politico abile, ma negava di esserlo. Era rosso, ma di un rosso molto diverso da quello di comunisti e socialisti. Non disponeva di un apparato tradizionale, ma alle spalle aveva un caos molto ben organizzato, che lo aiutava e lo sosteneva».
«Come si cambia per non morire, come si cambia per amore», canta Fiorella Mannoia. Com’era cambiato il Capanna con cui evocavo il suo e il mio ’68 davanti a un piatto di gam-
sere lasciata stravolgere da un’inchiesta giudiziaria”. Potrei citare altre verbosità di Capanna. Ma non ne vale la pena. Un vincitore sconfitto anche lui? Credo di sì».
Domanda: Capanna, allora, era in “buona fede”? È in buona fede, oggi, quando, se parla di fascismo e antifascismo, cerca di farlo da storico e non da militante? E che tipo è un ex-demoproletario che ha collaborato con una rubrica al super-berlusconiano Libero di Feltri? Interrogativi che restano in sospeso. E’ così strana la storia. Sono così strane le personali. storie Pensiamo a quella di Giovanni Spadolini, un altro dei “cari estinti” che Pansa evoca con la sua penna ironica e sapiente di cronista di razza. Guardiamo un po’. Nell’agosto del ’44 gli Alleati liberano Firenze. Sparpagliati per i tetti della città, i “franchi tiratori” fascisti sparano addosso agli yankee e ai rossi. Tra quei ragazzi, ubriachi di passione e di disperazione, non c’è Giovanni Spadolini, di-
Giulio Andreotti (a sinistra) e Bettino Craxi (a destra). In basso, il giuramento del Governo Forlani nel 1980. Nell’altra pagina, Giampaolo Pansa
Il gagliardo Monferrino non è un nostalgico. Non piange e non rimpiange. Però sa di avere incontrato gente di carattere
Il secondo incontro fu alla Versiliana di Marina di Pietrasanta. Capanna straparlò? No, parlò, evitando di tirar fuori “eroici furori” e con notevole capacità dialettica. Poi, andammo a cena insieme. E si parlò del ’68. Sì, per lui quegli anni erano ancora “formidabili”. E gli slogan incendiari, e il terrorismo verbale, e le violenze ecc. ecc.? Capanna ricordava una stagione fiammeggiante di passione innovativa: giovani che andavano all’assalto del cielo e un po’ di luce la portavano sulla terra. E il resto? Il resto non aveva nulla a che fare col Movimento Studentesco. Mi sono venute in mente queste cose, leggendo il capitolo dedicato al Compagno della Cattolica nell’ultimo libro di Giampaolo Pansa (I cari estinti. Faccia a faccia con quarant’anni di politica italiana, Rizzoli, pp. 521, euro 21,50, in libreria dal 24 marzo). Dove Capanna fa la sua figura che però non è sempre una bella figura. A partire dalle prime righe che, mi sembra, condensino il ritratto: «All’inizio degli anni Settanta c’era a Milano un
beroni alla griglia, in amichevoli conversari! E se ci si fosse incontrati - e scontrati - allora? Chissà. Anche ora avevo di fronte un combattente: ma non contro i «borghesi, ancora pochi mesi» e i «fascisti carogne, tornate nelle fogne», ma contro gli Ogm. Un tribuno furbastro e verboso? Di nuovo, mah. Pansa, però, è cattivista e così conclude il capitolo: «Quando presero gli assassini di Ramelli, nel settembre 1985, Capanna si scagliò contro l’inchiesta con un torrente di parole. Ricordo che disse: “Si vogliono criminalizzare vent’anni di lotte studentesche e operaie. La mobilitazione antifascista di quel tempo è troppo importante per poter es-
ciannove anni, brillante studente universitario, occhi azzurri e capelli biondi. Non c’è, ma sta comunque da quella parte. Visto che tra il gennaio e il maggio di quell’anno ha pubblicato un bel po’ di articoli su Italia e Civiltà, rivista repubblichina diretta da Barna Occhini (genero di Giovanni Papini) e che si avvale di firme prestigiose come Giovanni Gentile, Ardengo Soffici e Primo Conti.
Forse Spadolini si è nascosto o, per dirla in toscano, in “rimpiattato”: ogni caso non riescono a fargliela pagare. E lui, a partire dal ’47, fa una sfolgorante carriera: collaboratore del Messaggero, fondista e poi direttore del Resto del Carlino, direttore del Corriere della Sera dal ’68 al ’72, dunque in anni partico-
larmente difficili, senatore del Partito Repubblicano, presidente del Consiglio dal giugno del 1981 al novembre del 1982, ministro della Difesa del governo di Bettino Craxi nel 1985, per due volte presidente del Senato, competente, equilibrato, attento alle garanzie.Ma torniamo agli articoli “maledetti”. Il Borghese di Mario Tedeschi li aveva riscoperti nel maggio del 1972. Con un seguito di polemiche, veleni ecc. Poi, ricorda Pansa, ecco che nel novembre del 1985, «Democrazia proletaria li raccoglie in un opuscolo di cinquantasette pagine. Un libro dalla copertina verde, il colore dell’Edera repubblicana. Il titolo strilla: “Il repubblichino Spadolini. Scritti giovanili”».
I democraticissimi demoproletari, fieri custodi della Costituzione antifascista, sparano, un po’ vindici, un po’ ipocriti: «Noi non invochiamo vendetta. Vogliamo ribadire semplicemente questo: il Ministro della Difesa non può essere uno che è stato un attivo e convinto repubblichino, a meno che non si autocritichi». Già, una bella autocritica in salsa neo-stalinista: loro sì che se ne intendono. La fa Spadolini, l’autocritica? A noi non risulta. E nemmeno a Pansa.Del resto, Giovannone non era un tipo che piagnucolava e che mendicava perdoni. Non diciamo che si sentisse il
politica
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La testimonianza sui giorni della trattativa con le Brigate Rosse
Un dubbio dopo 32 anni: «Su Moro, sbagliammo?» «La Dc scelse la fermezza: non so se fece bene o male. Nel 1978 pensai che fosse la scelta giusta, ma ora...» di Giampaolo Pansa Pubblichiamo uno stralcio del libro I cari estinti di Giampaolo Pansa. Le righe che seguono sono tratte dal capitolo sulle trattative tra Stato e Br per la liberazione di Aldo Moro. unica novità veniva dall’interno di Piazza del Gesù. Ci dissero che Zaccagnini stava parlando con il medico personale di Moro: il professore Mario Giacovazzo, del Policlinico di Roma. Qualcuno sostenne che il medico portava un messaggio del presidente rapito. Ma era una voce infondata. L’aveva convocato Zac, medico anche lui, per sapere tutto sulla salute di Moro e dei rischi che poteva correre un uomo della sua età, 61 anni. La Direzione del partito tardava a cominciare. E in quell’attesa scorata e vuota, una domanda crudele aleggiava nell’aria, come un uccello nero del malaugurio. La domanda era quella che mi aveva spinto ad andare in Piazza del Gesù. Diceva così: «Se i rapitori proporranno uno scambio, Moro contro un terrorista in carcere, come vi comporterete?». La proposi a Bodrato. Mi replicò, con sofferenza: «Non ci possono essere opinioni personali di fronte a un’eventualità come questa. Se anche ne avessi una, non te la direi. È necessaria un’opinione del partito. Deve esprimersi il partito!». E Paolo Cabras, medico e deputato romano: «Una richiesta di scambio? Se ci fosse, reagiremmo con grande fermezza, con grande responsabilità.Testimoniando il nostro senso dello Stato. Credo che sarebbe l’omaggio più vero a Moro».
L’
strava una tolleranza di cui nessun altro gruppo politico sarebbe stato capace.
Carlo Donat Cattin mi rispose, schietto e brusco: «Io l’ho già detto ieri: non si scambia niente!». Avrei voluto interrogare anche Fanfani. Ma il presidente del Senato mi passò davanti veloce, la faccia dura, ingrugnata al massimo. E Zaccagnini? Lo scorsi mentre scendeva nel salone, barcollando sui gradini. Avvolto in un sudario invisibile. E non ebbi il coraggio di chiedergli nulla. La Direzione del partito iniziò poco dopo mezzogiorno, a porte chiuse. Il vertice democristiano durò quattro ore. La prima decisione venne presa con facilità. La Dc rinunciava a tenere le grandi manifestazioni previste a Napoli con Zac, a Firenze con Andreotti e a Napoli con Galloni. Non era prudente concentrare troppa gente in piazza. E impegnare tanta polizia. Più tormentato fu il dibattito attorno alle proposte sull’ordine pubblico, da portare all’incontro con gli altri partiti. Qualcuno osservò che non occorrevano leggi speciali. Bastava applicare quelle esistenti. Ma esisteva un problema: ne erano state approvate così tante che nessuno le conosceva tutte sino in fondo. L’intervento di Fanfani fu netto. Disse che l’ordine pubblico era il problema dei problemi. Non aveva senso pensare ad altre questioni se prima non veniva risolta quella alla base di tutto: in che modo organizzare la difesa dello Stato dal terrorismo. Nell’incertezza sul da farsi, il vertice convocò Francesco Cossiga, ministro dell’Interno. Lui si trattenne per una mezz’ora. Nell’andarsene si limitò a dire ai cronisti: «Ho fatto una relazione sulle misure operative già in corso. Le abbiamo valutate. E adesso si stanno esaminando le iniziative che può prendere il partito a sostegno del governo». Gli chiesi: «Che cosa pensa di un possibile scambio fra Moro e un terrorista detenuto?». Cossiga mi conosceva. Io stimavo lui e lui stimava me. Con i giornalisti ritenuti seri era sempre molto cortese. Ma quella volta mi guardò senza vedermi. E non rispose, com’era fatale che accadesse. Per ultimo uscì dalla sala Zaccagnini. Era terreo. Soffriva, per Moro, per il partito, per il paese. Si allontanò mormorando ai cronisti: «Non chiedetemi nulla. Perché non farò dichiarazioni». Nei giorni successivi, Moro percorse la sua via crucis dentro il carcere delle Brigate Rosse. Scrivendo agli altri capi democristiani lettere pesanti come macigni. Chiedeva di essere salvato. Ma dopo molte esitazioni la Dc scelse la linea che venne chiamata della fermezza. Fece bene o male? Nel 1978 pensai che fosse l’unica scelta giusta. Lo penso ancora oggi.Tuttavia, da quei giorni sciagurati sono trascorsi trentadue anni. E più di un dubbio assedia la mia coscienza.
«Vidi Zaccagnini mentre scendeva nel salone, barcollando sui gradini. Avvolto in un sudario invisibile»
depositario della Storia Patria, ma siamo lì, a due passi dall’Olimpo tricolore. Non era tipo da pentimenti e da pigolii antifascisti. E a noi piace ricordarlo in un incontro della “Versiliana”, quando ci disse che Prezzolini e Gobetti, Gentile e Croce, erano,“insieme”, l’Italia. Quella che non c’è, o non c’è più, o non c’è ancora. Comunque, Pansa racconta, se non l’Italia, ancora tutta da fare, per lo meno “un’Italia”che c’è stata, bene e male in allegro rimescolìo. Il nostro gagliardo Monferrino non è un nostalgico. Non piange e non rimpiange. Però, e su questo non ci piove, sa di avere incontrato dei “protagonisti”. Gente di carattere. Uomini che avevano una “faccia”. Sfacciati? Eccome. Però... Però, che tipi! «Il pio Rumor, l’irriducibile Fanfani, l’eterno Andreotti, l’enigmatico Moro, l’aggressivo De Mita, il monacale Berlinguer, l’ardimentoso
Craxi, il tenace Almirante, l’ambizioso Spadolini». E Gava, Gioia, Mancini, Ciancimino, Cresci, Selva, Costanzo, Evangelisti, Pertini, Nenni, Basaglia... Per carità, i duri e puri te li scordi. Non ci sono ora, non c’erano allora. Però... Però, ed ecco che qui forse Pansa è “nostalgico”; però, buoni, cattivi, buoni e cattivi, arroganti, ambigui, sfuggenti, prepotenti, schietti, reticenti ecc. ecc. che fossero, quei personaggi una “storia” ce l’avevano, qualche “ideale” per cui si erano battuti o continuavano a battersi lo esibivano, e se pure giocavano da maestri col sistema delle tessere e dei finanziamenti, e col più spregiudicato pragmatismo, e con questa o quell’altra “complicità” occulta, potevano esibire il dignitoso distintivo: confesso, ho vissuto. Vogliamo dirlo? Abbiamo perso qualcosa. E siamo in attesa di trovare qualcos’altro.
Provai a insistere: «Vuol dire che risponderete di no?». Cabras mi scrutò, con sofferenza: «Voglio dire che saremmo coerenti con quello che Moro ci ha sempre insegnato». Mentre la Direzione stava per iniziare, continuai con il mio test feroce. Scuro in volto, Luigi Granelli, uno dei capi della sinistra, mi rispose: «Se verremo messi di fronte a quel dilemma, non dovremo valutarlo da soli, ma insieme a tutte le forze politiche costituzionali del paese». Gli replicai: «Le sto chiedendo un’opinione personale. Lei ne ha una?». Con grande pazienza, Granelli mi rispose: «Ci sono dei valori fondamentali sui quali non si può essere che inflessibili. Dall’altra parte, c’è la salvezza di una vita umana che è sempre un dovere rrinunciabile». «Come potrete conciliare queste due esigenze?» gli domandai ancora. E Granelli, senza irritarsi, mi spiegò: «Dipende dalle circostanze. Lo vedremo se questa ipotesi diventerà concreta». In qualunque altro partito, mi avrebbero sbattuto fuori da un pezzo. Ma la Balena Bianca era un’entità speciale, nel bene come nel male. E anche di fronte alla più grande tragedia della sua storia, dimo-
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ragioni&torti di Giancristiano Desiderio
Le scale immobili di Napoli, città ferma apoli è una città immobile. Però, questa volta, se Dio vuole, Antonio Bassolino non c’entra. Uno dei problemi di Napoli e dei napoletani è come muoversi in città. Con l’automobile è praticamente impossibile. Ma anche a piedi non è facile. Molte delle scale mobili che mettono in collegamento Napoli alta e Napoli bassa sono in realtà delle scale immobili. Le scale ci sono, ma non si muovo. Non si sono mai mosse. Ferme. Immobili. Come quelle di pietra. Le scale immobili della città amministrata da Rosa Russo Iervolino sono l’immagine stessa dell’immobilità di Napoli.
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Il caso più eclatante è quello delle scale che corrono (si fa per dire) parallele ai gradini Paradiso. La rampa si trova sul lato sinistro della stazione della Cumana di Montesanto. L’impianto è stato inaugurato il 30 maggio 2008, ma non è mai entrato in funzione. Da queste parti si usa molto inaugurare lavori pubblici che non entreranno mai realmente in funzione. È quasi una moda. Tutto si fa in pompa magna, mentre i lavori si sa che resteranno fermi. Perché le scale non camminano? C’è un problema di soldi: non ci si mette d’accordo su chi deve gestire l’impianto che così resta fermo. In pratica la scala, ultimata da due anni, è chiusa e transennata. Impraticabile. La municipalità ha autorizzato intanto i lavori in piazzetta Paradiso, che è stata a lungo occupata da un altro cantiere. Lavori propedeutici ad un ulteriore collegamento sempre attraverso scale mobili - al complesso dell’ex ospedale Militare. Ma per ora questa resta una utopia. Ma a proposito di scale mobili che non funzionano, c’è un caso che riguarda la Circumflegrea nella zona Pianura: quartiere popoloso di Napoli che spesso e volentieri sale agli onori della cronaca nazionale per imprese di varia umanità e delinquenza. Il caso è alla stazione Trancia dove due anni fa è stato inaugurato un moderno impianto di risalita. I corrimano però si sono usurati ed è stato necessario chiudere la scala mobile. La situazione è questa da circa otto mesi. La società che gestisce la stazione si è attivata per sostituire i corrimano riservandosi di rivalersi sulla ditta che ha installato l’impianto. E intanto, agli utenti inferociti, non resta che utilizzare le scale o l’ascensore che ha una portata di 12 persone. Da Pianura a piazza Garibaldi, dove le due scale mobili della metropolitana, fronte binario uno, sono guaste ormai da tempo. Napoli è praticamente ferma. Anche se sembra sempre una città super indaffarata. E piena zeppa di cantieri. Da Piazza Municipio a Piazza Borsa a via Marina, solo per citare qualche zona, è tutto un cantiere. Solo che i lavori sono fermi. Il cantiere c’è, ma i lavori no. Così i cantieri diventano ben presto un arredo urbano ed entrano a far parte della città a pieno titolo. Il traffico deve subire dei cambiamenti e nelle ore di punta le automobili sono talmente tante che diventano un unico corpo con le strade, i palazzi e naturalmente i cantieri. Napoli, città immobile.
Solo la tecnologia salverà il capitalismo del futuro Come la crisi e la Rete hanno cambiato il mercato globale di Angelo Deiana * ome si evolve il sistema capitalistico? In questo periodo, molti analisti sottolineano: meno risorse, meno globalizzazione, meno fiducia, meno consumi, meno razionalità, meno occupazione stabile. Credo che sia necessaria una prima considerazione: nonostante la profonda incertezza della fase attuale, l’innovazione e la velocità di cambiamento non sembrano influenzate in misura apprezzabile dalle crisi economiche. Dovremmo far tesoro della lezione della new economy: la bolla esisteva ed è scoppiata, i mercati hanno sofferto per due anni, ma i nuovi modelli web-centrici basati sull’interazione personalizzata con i clienti hanno trasformato il sistema economico rendendo obsoleti paradigmi consolidati. Eppure, se avessimo descritto i trend nel periodo di sgonfiamento della bolla, avremmo visto meno globalizzazione, l’inflazione che rialzava la testa, la ristrutturazione di molti settori industriali, profonde crisi manageriali ed etiche.
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Non vale più l“uno per tutti, tutti per uno”, ma l’”uno per uno, tutti per tutti”. La conoscenza infatti si accresce solo qualora condivisa per cui diventa fondamentale scambiarla in rete. Tutto cambia: in un mondo in cui la condivisione è il valore, bisogna pensare e agire in modo diverso: non si fa più competizione individuale, si fa competizione cooperativa, federale, simbiotica. Non si vince più da soli: o vincono tutti o non vince nessuno.
Ma allora il capitalismo è veramente finito? Sì se guardiamo al passato, no se guardiamo al futuro. Sono finite la scissione tra capitale e lavoro di stampo fordista, il dualismo conflittuale tra ricchezza e valore ma rimangono ancora gli “animal spirits”imprenditoriali di keynesiana memoria, quelli che si rifanno al desiderio di conoscenza e di miglioramento che sono connaturati alla nostra evoluzione genetica. E questo pur nella consapevolezza che il capitalismo, per quanto intellettualmente orientato, non sempre è all’altezza delle aspettative. Così come nell’evoluzione, nelle fasi di crisi tornano a galla i suoi difetti, quelli che in tempi normali si tende a sminuire per non rinunciare ai benefici che genera in termini di crescita e progresso tecnologico. L’importante però è conoscere tali difetti per affrontarli in termini di cd. sicurezza profonda: anche il nostro sistema immunitario non garantisce protezione totale da tutte le malattie ma, una volta che le ha conosciute o è stato aiutato a conoscerle, ne rende minimo l’impatto negativo nel tempo. Ma c’è di più. Svolgere attività produttive e sociali attraverso un sistema a rete ci costringe a pensare ed agire in rapporto sempre più stretto con interfacce in grado di avvicinare mente e corpo e tecnologia. Capacità di calcolo e ragionamento ubique e connettività pervasiva che si concretizzano attraverso l’accesso continuo e il network sharing. Con un corollario ineludibile: alla fine le tecnologie più profonde sono quelle che scompaiono, quelle capaci di diventare trama del nostro tessuto di vita quotidiana fino a diventare invisibili e indistinguibili anche dal nostro corpo. E questa sarà la vera grande metamorfosi del capitalismo intellettuale che dovremo affrontare nel prossimo futuro. * Presidente Comitato Scientifico CoLAP
Lavorare con internet ci costringe a pensare in rapporto sempre più stretto con interfacce che legano la mente e il corpo
L’unica cosa che non rallentava era la diffusione del capitalismo basato su conoscenza e tecnologia.Tale realtà continuava ad avere una crescita esponenziale che non perde colpi nemmeno ora. È una tendenza inarrestabile che sta ridisegnando dalle fondamenta il contesto competitivo del pianeta: il capitalismo intellettuale è una rivoluzione silenziosa e pervasiva che pone di nuovo al centro dell’universo la conoscenza e, dunque, il capitale umano. Un capitalismo antropocentrico che crea valore a partire dal patrimonio di know-how dei professionisti/knowledge workers, che sposta la visione dal processo di produzione a quello di condivisione, ossia dal consumo razionale dei fattori disponibili (capitale e lavoro) alla creazione di reti che facilitano la condivisione della conoscenza. Ecco un primo salto evolutivo: la conoscenza si moltiplica attraverso i processi di condivisione nelle infinite connessioni del web 2.0 e dello sharing compulsivo dei social network. Tutto ciò rende i capitalisti intellettuali i maggiori soggetti di produzione di valore nelle reti globalizzate. Anche il modello di intelligenza si modifica: non più intelligenza individuale o centralizzata basata sull’equazione informazione uguale potere, ma intelligenza distribuita che muta a sua volta le logiche di competizione.
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Voto nel caos e sempre più a rischio annullamento. Intanto la Corte Costituzione boccia il ricorso contro il dl del governo
E Sgarbi tuonò: elezioni illegali! Il Tar riammette la sua lista nel Lazio e lui chiede il rinvio. E telefona a Berlusconi di Marco Palombi
ROMA. Siccome il fato ha stabilito che nelle regionali del Lazio non debba mancare niente, adesso è arrivato pure Vittorio Sgarbi. Nell’indifferenza generale infatti le liste della sua “Rete Liberal” erano state escluse dalla corsa nelle province di Roma e Latina per la solita storia della mancanza delle firme necessarie: mercoledì sera, però, il Tar le ha riammesse entrambe basandosi sullo statuto regionale (se il consiglio viene sciolto anticipatamente servono metà delle firme previste). Risultato: adesso il voto è a serio rischio rinvio perché le liste riammesse non hanno avuto tempo sufficiente per fare campagna elettorale.
romana di Silvio Berlusconi. Gli informali consulti tra lo staff del premier e il critico d’arte si susseguono in queste ore: pare che il Cavaliere non sia propenso all’ipotesi rinvio e comunque non vuole certo metterci la faccia, eppure la tentazione di assecondare l’estro guerriero dell’ex sindaco di Salemi non è da sottovalutare. Un paio di settimane in più per provare a recuperare i voti lasciati per strada con la perdita dei cacciatori di preferenze del Pdl a Roma
non sarebbero sgradite al centrodestra, ma solo se la colpa del rinvio - decisamente sgradito all’opinione pubblica se la prende Sgarbi (cosa dovranno dargli in cambio, non è ancora chiaro al momento). Prova della duplice pulsione a cui è sottoposto il partitone berlusconiano è possibile trovarla nel pilatesco comunicato con cui Renata Polverini, il candidato appoggiato dalle lista sgarbiane, è intervenuta sulla questione: «Non è vero che sono favorevole al rinvio, decidono le autorità competenti, ma i cittadini del Lazio siano informati per tempo e con obiettività su modi e tempi delle elezioni». Probabilmente, al di là dei roboanti annunci del nuovo momentaneo protagonista, per avere un quadro più chiaro bisognerà aspettare stamattina: se la richiesta di rinvio sarà depositata allora si vota ad aprile, sennò tra dieci giorni.
C’è anche chi dice che il clima ostile che ha portato all’esclusione del Pdl a Roma starebbe cambiando
È un dato pacifico: la decisione spetta alla regione Lazio e ieri il vicepresidente Esterino Montino, dopo un consulto con alcuni giuristi, ha fatto sapere agli interessati che non potrebbe che spostare le elezioni, di concerto col governo, se Sgarbi lo pretendesse. Il nostro, dal canto suo, annuncia fuoco e fiamme: «Certo che chiedo il rinvio», annuncia, le elezioni devono essere spostate all’11 e 12 aprile, i nostri avvocati presenteranno il ricorso entro le 36 ore previste. Niente da fare, si direbbe. La faccenda però non è così netta come potrebbe sembrare: la palla lanciata da Sgarbi, infatti, più che al palazzo della Regione è destinata a palazzo Grazioli, per i pochi che non lo sapessero la casa
In realtà un altro fattore spingerebbe il Pdl ad appoggiare (sempre di nascosto) il rinvio ed è il classico ultimo ospite del vaso di Pandora: la speranza. Ieri la Corte Costituzionale ha respinto la richiesta di sospensiva del decreto salvaliste avanzata dalla giunta regionale del Lazio: evidentemente, secondo la Consulta, non esiste il rischio di «danno grave e irreparabile» alla correttezza delle elezioni paventato dai ricorrenti, anche nel caso che la decisione di
merito sull’incostituzionalità del dl – che arriverà tra un mese o due – bocciasse il testo del governo. Una buona notizia per il Quirinale, che per la firma sotto quel decreto è stato attaccato assai duramente, e una buona notizia anche per Polverini: la decisione dei giudici delle leggi lascia infatti un ultima possibilità per i 40 e dispari candidati esclusi, per così dire, dal panino di Alfredo Milioni. Sulla seconda procedura di presentazione della lista del Pdl quella resa possibile proprio dal decreto anche se finora senza risultati positivi - manca ancora il parere del Consiglio di Stato, che dovrebbe arrivare sabato (a piazza San Giovanni in piena isteria berlusconiana). L’oramai enorme messe di sentenze sull’argomento non dovrebbe autorizzare facili ottimismi dalle parti del Cavaliere: la lista romana, anche nella sua seconda versione, appare decisamente “non sanabile”. Eppure in molti, anche nel Palazzo, sussurrano che l’aria potrebbe essere cambiata.Vuole un pettegolezzo da Transatlantico che in una di queste rilassanti serate romane piene di toghe, legali, politici, imprenditori, prelati e perdigiorno vari, fonti di primissima mano abbiano assicurato che la lista di Milioni verrà accolta, magari accettando anche il nuovo materiale prodotto l’8 marzo, dopo quel decreto salvaliste che da ieri ha pure il bollino di qualità della Corte costituzionale.
Il personaggio. Il premier gli aveva promesso un ministero, ma nessuno vuole lasciargli spazio
E Galan rimase senza poltrona di Valentina Sisti
MILANO. Che fine ha fatto Giancarlo Galan? Dopo tanto clamore non se ne hanno più notizie da governatore, non se ne hanno ancora da ministro. Dicono però che non si sia arreso dopo la bocciatura della sua candidatura, che stia preparando una strategia a medio-lungo termine. Dalla sua ha solo una vaga promessa di Silvio Berlusconi di un «posto di peso in qualche ministero a Roma» o qualche altro incarico di prestigio. Troppo poco. Ed allora, eccola la sua strategia: puntare sul temuto (e da lui auspicato, a questo punto) sorpasso della Lega, che l’ha avuta vinta schierando il ministro Luca Zaia. E se i rapporti tra Pdl e Lega dovessero logorarsi, Galan potrebbe correre a radunare gli scontenti del suo partito, per tornare al progetto di“Veneto Futuro”, tentando di aggregare altre forze moderate, dall’Udc di Antonio De Poli, a Massimo Cacciari, al rutelliano Massimo Calearo, la vecchia idea che non gli hanno fatto realizzare, insomma. E dichiarare così guerra al Carroccio, con un nuovo laboratorio veneto. Ma non sarà facile, per lui, riallacciare i rapporti col
suo partito. I maligni parlano di una cena, la scorsa settimana, con cui il governatore avrebbe invitato un centinaio tra parlamentari e amministratori azzurri a donare cinquemila euro a sostegno del partito, andata praticamente deserta.
Sembrano passati secoli, dal documento con oltre quattrocento firme per chiedere
parla anche di un uomo di partito come il berlusconiano e deputato padano Marino Zorzato, da affiancare a Zaia come vice, con funzioni di «commissario politico», a garanzia del ruolo e della tenuta dei berlusconiani veneti. Ma la vera incognita rimane Galan. Che per ora può contare solo su la promessa di un ministero. Già, ma quale? Le Politiche agricole le aveva sdegnosamente rifiutate, dicendo che non si sarebbe mai seduto al dicastero delle «mozzarelle». Il governatore veneto non ha mai fatto mistero di preferire di gran lunga i Beni culturali o le Attività produttive. Ma né Sandro Bondi né Claudio Scajola pensano lontanamente di mollare, salvo Berlusconi non chieda a uno dei due di dedicarsi a tempo pieno al partito. E allora c’è chi ipotizza per lui un posto fuori dal governo, per non alterarne gli equilibri: presidenza dell’Enel, delle Ferrovie dello Stato... Per ora, però, sono solo parole.
La Lega è decisa a tenersi anche le Politiche Agricole. Così adesso per l’ex governatore si parla di presidenza dell’Enel o delle Ferrovie la sua riconferma a Silvio Berlusconi. Ora, al grido “si salvi chi può”, il Pdl veneto in ordine sparso ha preferito scendere a patti con il Carroccio, trattando sul futuro assetto del consiglio regionale: otto assessori al Pdl contro quattro della Lega, un assetto però che potrebbe essere messo in discussione proprio dal tracollo del Pdl. Per cui si
il paginone
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Illustratore e storico dell’arte, nel mondo della celluloide preferiva i film comici, ch
Siamo uomin
Impeccabile artigiano della comunicazione visiva, Carlantonio Longi è stato l’autore, dagli anni ’40 ai ’60, di un numero impressionante di locandine cinematografiche di Orio Caldiron ella grande stagione della cartellonistica italiana che va dagli aurorali anni quaranta ai gloriosi sessanta, Carlantonio Longi si impadronisce Inimidelle terre incognite del cinema, procedendo con il passo spedito del folletto mercuriale, con la disinvolta curiosità di chi si avventura nei generi più diversi e nelle varie tecniche, giocando sapientemente con le forme e con i colori. Se Anselmo Ballester rappresenta nelle vicende del manifesto cinematografico un punto di convergenza di esperienze francesi, tedesche, inglesi, che l’accompagnano dal muto al sonoro, dal decorativismo liberty alla forte scansione delle tavole più tarde, che segnano la straordinaria maturità di una lezione irripetibile e fondante, Alfredo Capitani e Luigi Martinati, con lui costituiscono la prima agenzia pubblicitaria per il cinema, sono i più vicini alle sue squadrate geometrie, alla complessa alchimia dei piani del racconto, al gusto per l’impatto comunicativo che si impone per forza propria sul pubblico degli spettatori.
N
Nello stesso periodo – tra i cupi anni di guerra e l’inizio dell’esaltante stagione neorealista – il testimone passa a una nuova generazione di cartellonisti nati tra il 1918 e il 1928, da Averardo Ciriello a Longi, da Angelo Cesselon a Salvatore Campeggi, da Sandro Symeoni a Rodolfo Gasparri. Soltanto nel secondo dopoguerra comincia a dipingere per il cinema Enrico De Seta che, classe 1908, viene da una lunghissima carriera di giornalista disegnatore per un gran numero di testate, tra cui spicca il Marc’Aurelio, l’affollato laboratorio del cinema italiano di domani. Si direbbe che il livornese Longi stia a metà strada tra l’esuberanza di De Seta, che imprime ai suoi manifesti l’agitato dinamismo del cinema, il senso rossiniano del movimento con brio, e l’attitudine plurale dei suoi coetanei che si provano come lui nelle varie direzioni, tutti alla ricerca di una propria cifra. Campeggi, che firma Nano, diventa l’officiante più prestigioso del rito americanista, proponendo nelle centinaia di manifesti dipinti per le major i gesti e le posture della grande mitologia hollywoodiana, di cui nel disegno a tutto tondo, nella immediata riconoscibilità dei
volti, nella densa saturazione degli sfondi rincorre i tratti congeniali e simpatetici dello stile di un’intera cinematografia.
Cesselon esalta la sua personale vocazione di ritrattista, attento a privilegiare l’icona dell’attrice sul resto dell’affiche, in cui paradossalmente non illustra l’immagine impostagli dalla committenza, ma se ne serve come farebbe un pittore con la modella per la ricostruzione del temperamento divistico, dello speciale carisma della stella. Symeoni privilegia sempre di più il suo sguardo di pittore puro, che scompone le figure con un procedimento divisionista, aperto all’astrazione. Sul solco della tradizione di ballesteriana, Gasparri lavora sui contrasti tra chiaro e scuro, accentua le flagranze luminose, elaborando lo statuto di un manifesto moderno di singolare intensità. Ciriello è
Germi lo apprezzava particolarmente, fino al punto di chiedergli di abbozzare i volti dei personaggi della sceneggiatura per aiutarlo nella scelta degli attori uno straordinario illustratore di romanzi d’avventure che nei manifesti punta sulla drammaticità dell’evento rappresentato. Il massimo di suggestione è ottenuto con scelte compositive di rara sapienza. Se le prime prove sono più che apprezzabili, l’esplosione di Longi avviene nel dopoguerra con una serie di cartelloni di film italiani di spicco da Molti sogni per le strade di Camerini a Senza pietà di Lattuada, da Sotto il sole di Roma a È primavera, entrambi di Castellani, in cui si impongono i volti eloquenti dei professionisti e degli attori presi dalla strada, da Anna Magnani a Carla Del Poggio, da Oscar Blando a Elena Varzi. Il più originale è il manifesto di Proibito rubare di Comencini, che si affida alla coinvolgente strizzata d’occhio dello scugnizzo napoletano sullo sfondo del muro pieno di pupazzetti infantili. Il più famoso è quello di Riso amaro di De Santis, che immortala l’esuberanza carnale di Silvana
Mangano con la margherita in bocca: mentre le silhouettes delle mondine al lavoro s’intravedono ai lati del quadro, i volti di Vittorio Gassman e di Doris Dowling incombono dall’alto minacciosi.
Nello stesso periodo sono bellissime le brochures di Fuga in Francia di Soldati e di In nome della legge di Germi, in cui il formato lungo e la pluralità di disegni consente al pittore di suggerire con l’abile montaggio delle scene il carattere romanzesco dei due film. Nel primo il diffi-
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he gli consentivano di sfoggiare il suo gusto caricaturale e il suo estro vignettistico
ni o cartelloni? to, e cioè di abbozzare i volti che riteneva più adatti ai personaggi previsti dalla sceneggiatura per aiutarlo nella scelta degli attori a cui affidarli.
Nei vari generi si avverte sin dall’inizio la spiccata preferenza per il film comico che consente a Carlantonio di sfoggiare il gusto caricaturale e l’estro vignettistico, che si accompagnano spesso alle guizzanti immagini femminili da giornale umoristico. Se Macario ritorna a più riprese da Come persi la guerra a L’eroe della strada, da Come scopersi l’America a Adamo ed Eva, Aldo Fabrizi è al centro del vivacissimo manifesto di Papà diventa mamma, chiassoso e extralarge come il grande attore romano. Non mancano Renato Rascel con Botta e risposta,Walter Chiari con Amore a prima vista, Vittorio De Sica con Uomini e nobiluomini, Alberto Sordi con Bravissimo!, Nino Manfredi con Caporale di giornata, Tina Pica con Arriva la zia d’America, via via fino a Franchi e Ingrassia con 2 mafiosi contro Gold Finger. Ma il volto ricorren-
“Ritratti di cinema” all’Auditorium San Gregorio
In mostra a Pienza fino al 14 aprile
cile rapporto tra il gerarca fascista Folco Lulli e il figlio è suggestivamente inserito nel contesto corale degli emigranti incamminati sulla stessa strada tra la neve. Nel secondo il giovane questore Massimo Girotti, abbracciato alla baronessa Jone Solinas, si staglia sulla piazza di Sciacca calcinata dal sole, mentre la mafia a cavallo controlla il territorio. Non sorprende che Germi si sia accorto del pittore, apprezzandone la particolare sensibilità, fino a chiedergli per i prossimi film qualcosa di assolutamente insoli-
La mostra Ritratti di cinema, l’arte dell’illustrazione di Carloantonio Longi, inaugurata il 13 marzo, è aperta fino all’11 aprile 2010 all’Auditorium San Gregorio di Pienza, promossa dall’Associazione culturale“Il Circolo delle Idee”. Carlantonio Longi è nato a Livorno l’8 settembre 1921. Studia all’Istituto d’Arte di Firenze e all’Accademia delle Belle Arti di Roma. Giovanissimo, inizia l’attività di ritrattista per diventare per un ventennio illustratore e cartellonista cinematografico, oltre che grafico pubblicitario. Dal 1967 si dedica quasi esclusivamente alla pittura e partecipa a numerose collettive e personali, ottenendo consensi soprattutto negli Stati Uniti. La sua attività è bruscamente interrotta dalla prematura scomparsa all’età di cinquantanove anni, il 5 settembre 1980. La mostra – tratta dalla vasta collezione di manifesti e bozzetti di Roberto Longi, figlio dell’illustratore e storico dell’arte – inaugura come sede espositiva l’Auditorium San Gregorio che prima ospitava il vecchio cinema di Pienza, nel cuore della città rinascimentale, sulla Val d’Orcia. Nell’ambito della mostra vengono proiettati i brevi, divertenti film realizzati dallo stesso Longi assieme agli amici Paolo Panelli, Bice Valori, Elio Pandolfi, Nino Manfredi, oltre a un video che propone interviste e testimonianze sull’artista.
te è quello del principe, da L’Imperatore di Capri a Totò e le donne, da Totò e Carolina a Tototarzan. Il più divertente è il bozzetto per Totò e l’inferno con l’attore napoletano che tiene in braccio una strepitosa diavolessa munita di tridente. Il pasoliniano Uccellacci e uccellini ispira una serie di disegni di malinconica eleganza, in cui Totò sospeso a mezz’aria è struggente come un ectoplasma. La predilezione per comico e commedia affiora anche nel panorama internazionale dove spuntano il Bon Hope di Ho salvato l’America!, il Danny Kaye di Sogni proibiti, l’Alec Guinnes di L’incredibile av-
Svelto, inventivo, arguto: non si tira indietro di fronte a niente per fare arrivare il messaggio nella maniera più semplice, efficace e persuasiva ventura di Mr. Holland, il Peter Sellers di Sesso, peccato e castità, il Jack Lemmon di L’appartamento, manifesti diversi che colgono lo spirito di altrettanti momenti topici della comicità, volta volta impertinente, scatenata, paradossale, amara se non amarissima.
Sorprende nell’attività del cartellonista la serietà professionale con cui illustra il più modesto filmetto di genere, il musicarello come l’avventuroso, il peplum come il melodramma, in una pioggia di titoli spesso dimenticabili, di cui a ben guardare offre un’imprevedibile documentazione, un inatteso soprassalto di vitalità. È con lo stesso impegno che si misura con i film dei grandi registi italiani e stranieri, mettendo insieme una invidiabile galleria di autori. Inaugurata da Federico Fellini con lo splendido manifesto di Lo sceicco bianco. Il fotoromanzesco Alberto Sordi stringe a sé la sposina vestita da bajadera, mentre l’arcigno Leopoldo Trieste vorrebbe imporsi con la sua aria corrucciata e la pazzerella Cabiria-Giulietta Masina urla il bolloon con il titolo del film. Il manifesto di Il volto di Ingrid Bergman è marcato dai tratti segnati e sofferenti di Vogler-Max von Sydow, che si contrappone come in uno sdoppiamento incomponibile alle immagini avvenenti e vitalistiche di Ingrid Thulin e Bibi Andersson. L’avventura di Michelangelo Antonioni gioca sull’abbraccio tra Monica Vitti e Gabriele Ferzetti, che incombe sul paesaggio roccioso dell’isola, dove spicca la figuretta della scomparsa Lea Massari: ma come render conto figurativamente dell’assenza, della malattia dei sentimenti? Straordinario è l’affiche di La vita di O’Haru, donna galan-
te di Kenji Mizoguchi, un capolavoro di raffinatezza e eleganza. Il pittore s’ispira ai toni assorti e ai colori acquarellati dell’arte orientale, cogliendo il rapporto tra lui e lei nei suoi tratti paradigmaticamente essenziali in una postura al centrocampo con un lampione a fare da contrappeso. Sono numerosi i bozzetti dedicati ai film inglesi, francesi, americani , che ripropongono situazioni tipiche del giallo, della spy-story, dell’avventura, della commedia. Ma al di là della nazionalità – i film britannici sono tantissimi, quasi si fosse assicurato una sorta di curiosa esclusiva – s’impongono la varietà delle soluzioni grafiche, il gioco tra figura e sfondo, lo studio delle alternanze cromatiche, il rapporto tra titolo e immagine, che sembrano moltiplicarsi quanto più il film è minore e sconosciuto, quasi che nelle occasioni meno autoriali il cartellonista si senta più libero di sperimentare, di proporre scelte insolite e spregiudicate. Se si sfogliano le decine e decine di bozzetti dedicati al cinema di Serie B, qualche volta più d’uno per un solo film, ci si trova davanti a una suggestiva immagineria, insieme popolare e aristocratica, ricca di dettagli, di volti, di situazioni che rivendica una propria autonomia di segno e di significato nei confronti delle circostanze ormai dimenticate da cui ha preso le mosse. Forse è inutile fare indagini su La primula gialla, con la bionda in primo piano, lui che si dà alla fuga, i bobby londinesi in panne. O su Delitto al night club, con la bruna che scopre il cadavere in primo piano, mentre lo sfondo rimanda al locale notturno: ma non è il solo bozzetto e probabilmente la versione definitiva fa fuori la bruna, taglia in due la locandina, da un lato il protagonista di spalle sullo sfondo del night e dall’altro i due flic alle prese con il cadavere. Grande artigiano dell’immagine, Carlantonio Longi non si è dedicato solo alla cartellonistica, che per un certo periodo è stata la sua attività prevalente, tanto da condividere tra fine anni cinquanta e inizio sessanta la protesta dei disegnatori finalmente riuniti in una battagliera associazione di categoria. Ma frequenta altre forme della comunicazione visiva come la pubblicità dei cappelli Barbisio, della Penicillina Leo, del cacao vitaminizzato Farmovit. Le sue attraenti ragazze sono richiamate in servizio per reclamizzare maliziosamente le sigarette Macedonia, Serraglio, Rosa d’Oriente e Cow Boy. Le ritroviamo anche sulle copertine dei settimanali degli anni cinquanta come Posta e Marc’Aurelio, o nei rotocalchi in cui illustrano i romanzi gialli a puntate. Uomo per tutte le stagioni, il livornese è un artigiano della comunicazione che prima di dedicarsi esclusivamente alla pittura non disdegna alcun tipo di committenza. Svelto, inventivo, arguto, non si tira indietro di fronte al Corriere dello Sport come ai Gialli Mondadori. Un’immagine, un’idea per fare arrivare il messaggio nella maniera più semplice e persuasiva la trova sempre quando è seduto al suo cavalletto tra colori e pennelli.
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Diplomazia. La capitale russa ospita due vertici fondamentali: il Quartetto per il Medioriente e i negoziati del Trattato Start
Mosca Caput Mundi Oggi l’avvio dei lavori e Putin avvisa: in estate l’Iran avrà il nucleare. No della Clinton di Luisa Arezzo ashington sta tentando di ricucire con Israele, lo Stato ebraico fa intravedere alla Casa Bianca la possibilità di bloccare la costruzione di 1600 case nei quartieri a Est di Gerusalemme, Gaza accoglie Catherine Ashton, il Quartetto per il Medioriente ritrova oggi a Mosca, sulla spinta dell’emergenza e della crisi, una sua ragion d’essere, alla presenza della stessa baronessa, di Hillary Clinton, di Ban Ki-Moon e di Lavrov. La diplomazia riparte, ma tutti, però, devono fare i conti con il convitato di pietra terrorista che ieri ha seminato morte in Israele. Nella mattinata, infatti, tre lanci da Gaza di missili Qassam hanno aggravato il clima, già rovente di suo, che ha fatto parlare di terza intifada imminente. Uno di questi - rivendicato da Ansar al Sunna, la brigata miliziana salafita irachena legata ad al Qaeda ha colpito e ucciso un agricoltore thailandese che lavorava in un Kibbutz a pochi chilometri dal confine con la Striscia. Si tratta della prima vittima in territorio israeliano da oltre un anno. Il nostro presidente, Napoli-
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tano, nel mentre in visita in Siria, si è detto «preoccupato» per la questione degli insediamenti e convinto che Israele debba restituire le alture del Golan alla Siria come «parte del processo di pace». Intanto il ministro russo degli Esteri, Lavrov, rilascia interviste nelle quali proclama che il suo paese non è più nemi-
potrebbero essere sottoposte agli attori regionali delle proposte diverse perché «i tentativi finora portati avanti non hanno avuto successo», dichiarazione che certo non deve aver fatto piacere all’inviato Usa Mitchell. Chiosa finale a questo scenario, la dichiarazione - sempre di ieri - di Vladimir Putin, che ha
L’annuncio del nuovo accordo Start potrebbe arrivare durante il Summit per la sicurezza nucleare che si terrà a Washington il 12 e 13 aprile. Come luogo per la firma i russi pensano a Kiev, in Ucraina co dell’America, ma di certo nemmeno amico. Mentre il presidente Usa Barack Obama preferisce l’emittente Tv Fox News per far sapere - riferendosi alle tensioni con Israele - che i buoni amici possono anche litigare, ma che l’appoggio Usa a Gerusalemme non è in discussione. Netanyahu non è più disposto a credergli in bianco, ma d’altronde ha disperatamente bisogno di lui. E questo mentre altre fonti della Casa Bianca fanno trapelare che è possibile un cambio di strategia americana per il Medioriente e che presto
avvertito il mondo che la centrale nucleare costruita dai russi a Bushehr, nell’Iran meridionale, dovrebbe essere messa in funzione quest’estate.
Per uso civile, per carità. Ma si capisce che, se mai l’Onu si dirà favorevole alle sanzioni (leggi embargo petrolifero) al regime di Ahmadinejad, la Russia probabilmente non sarà del coro (come la Cina, d’altronde). E così la Clinton, dopo aver parlato delle dichiarazioni di Nethanyahu durante la visita di Biden come di «un insulto», si è
vista ripagare con la stessa moneta da Putin. Qui la sua risposta è stata meno drammatica e più diplomatica: il Segretario ha parlato di «scelta prematura». Ma la figura non è stata delle migliori. E mentre il nucleare iraniano va avanti a passi da gigante, è un’altra questione atomica a tenere banco. Perché fra ieri e oggi Mosca è teatro di due summit: quello del Quartetto di cui sopra, e quello bilaterale fra Hillary Clinton e Serghiej Lavrov sul nuovo trattato di disarmo nucleare, il cosiddetto Start, che dovrebbe stabilire tappe e numeri della riduzione di armi strategiche di teatro. Il documento che, insomma, dovrà sostituire lo Start del 1991, firmato da Mikhail Gorbaciov e George Bush padre, scaduto il 5 dicembre 2009.
Il Segretario di Stato Usa e il ministro degli Esteri russo, ieri hanno parlato rispettivamente di «progressi importanti» e di «inizio di dirittura d’arrivo», ma in realtà i messaggi giunti da entrambe le parti fino a ieri l’altro (i negoziati si sono tenuti a Ginevra) non erano esattamente votati al disgelo. Solo poche ore prima, infatti, Boris Gryzlov, il presidente della Duma, la camera bassa russa, aveva detto chiaro e tondo che se il trattato non normerà anche il cosiddetto “scudo Usa”, verrà bocciato dalla sua assemblea. Posizione confermata anche dallo stesso Lavrov, per il quale «il trattato dovrà contenere un legame tra le armi difensive e offensive in una forma giuridicamente vincolante». Mentre la Clinton ha sempre sostenuto
Il presidente post-americano che “molla” Israele L’errore di Netanyahu è stato quello di assecondare Obama. Che guarda oltre i suoi alleati di John R. Bolton l primo mandato di Benjamin Netanyahu come primo ministro è andato a gambe all’aria nel 1999, in parte a causa dei suoi rapporti infelici con il presidente Bill Clinton. È comprensibile allora che l’attuale governo di Netanyahu, fino alla scorsa settimana, ha fatto di tutto per rimanere vicino al presidente Barack Obama. Questa strategia sarebbe stata assolutamente ragionevole se Obama fosse semplicemente un altro presidente nella lunga fila dopo Franklin Roosevelt che affermava vigorosamente i diritti nazionali degli Stati Uniti, sosteneva i nostri amici (soprattutto i più in difficoltà), e manteneva forti alleanze. Tuttavia Obama è diverso. È il nostro primo presidente post-americano. Vede al di là dell’eccezionalismo americano e crede che il nostro ruolo sul palcoscenico mondiale sia come quello di una qualsiasi nazione. La strategia di Netanyahu è quindi anacronistica e sbagliata. Israele aveva cercato di favorire Obama su due questioni topiche: le trattative con i palestinesi e le armi nucleari dell’Iran. Questi tentativi hanno
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mantenuto ampiamente i disaccordi bilaterali fuori dalla vista. Ma adesso i conflitti soppressi sono pienamente visibili e dovranno essere risolti o causeranno un serio conflitto fra Israele e Stati Uniti. Sul fronte palestinese, il governo di Netanyahu ha tollerato 14 mesi di incosciente diplomazia che non ha alterato le realtà geopolitiche fra Israele e i palestinesi.
L’annuncio della scorsa settimana sulla costruzione di nuovi stabilimenti a Gerusalemme orientale mentre il vice presidente Joe Biden era in visita in Israele è stato un passo che si poteva evitare. Ma il vero problema non è l’ottica. La risposta di Biden («condanno questa decisione»), approvata in anticipo da Obama, e poi enfatizzata venerdì dal segretario di Stato Hillary Clinton in una fulminante telefonata a Netanyahu, fa prevedere quello che si prospetta. Non sarà piacevole. I tentativi di Netanyahu di evitare dispute pubbliche con Washington non gli sono serviti a ottenere gli applausi della Casa Bianca. Obama quasi certamente
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che «il modo migliore di fare passi avanti è quello di esaminare ogni questione a parte». Il motivo è chiaro: così non fosse il trattato potrebbe essere bocciato dal Senato statunitense.
aprile. Mentre l’Ucraina, recentemente ritornata in orbita russa col nuovo presidente Viktor Yanukovich, ha espresso il proprio interesse (avallato da Medvedev) a ospitare la firma.
Le testate dovrebbero scendere da 2.200 a 1.500 per l’America e da 3mila a 1.675 per la Russia. I vettori si fermerebbero rispettivamente a 500 e 1.000, così come concordato da Obama e Medvedev Nell’impasse di possibili veti incrociati, tuttavia, i due “registi” potrebbero essere al traguardo di un’intesa, già avanzata (e poi naufragata) alla fine di dicembre. Il nuovo annuncio congiunto potrebbe arrivare, questa volta, durante il summit per la sicurezza nucleare che si terrà a Washington il 12 e 13
In ogni caso, come ben ricordava su queste pagine alcuni mesi fa Mario Arpino, è bene ricordare «che l’accordo non ha nulla a che vedere né con l’osannata “opzione zero” di Obama, né con una moratoria nucleare che non ha mai funzionato. Le bombe atomiche resteranno ancora a lungo negli
crede che i veri ostacoli alla pace non siano rappresentati da nuove abitazioni o da un tempismo inopportuno, ma dalla cosiddetta intransigenza israeliana. Sull’Iran Netanyahu ha fedelmente sostenuto la diplomazia di Obama, sperando di incrementare la sua credibilità presso il Presidente in funzione del giorno in cui Israele potrebbe dover colpire preventivamente gli armamenti dell’Iran. Gerusalemme, per esempio, al momento sostiene i tentativi statunitensi di aumentare le sanzioni contro il programma nucleare dell’Iran, pur essendo questi destinati al fallimento. Con il passare del tempo, l’opzione militare israeliana diventa più difficile e le possibilità di successo si restringono man mano che l’Iran cerca nuovi sistemi di difesa aerea e rafforza le sue attrezzature nucleari. L’errore di Netanyahu è stato di supporre che Obama fosse generalmente d’accordo che occorre evitare che l’Iran acquisti armi nucleari. Tuttavia la Casa Bianca ritiene che un Iran nucleare, benché indesiderabile, possa essere contenuto e quindi non sosterrà l’uso della forza militare per contrastare le ambizioni nucleari di Tehran. In più, Obama non ha intenzione di lasciare che nessuno, precisamente Israele, agisca diversamente. Ciò significa che se Israele bombarda gli impianti nucleari iraniani, il presidente probabilmente negherà rifornimenti fondamentali ai danneggiati aerei israeliani e ad altri sistemi. Ci stiamo avvicinando inesorabilmente, e forse l’abbiamo già raggiunta, a una crisi israeliana con Obama. Gli americani devono rendersi conto che per-
arsenali, anche se in numero drasticamente ridotto».
Ma si parla pur sempre di alcune migliaia, non tutte in mani occidentali, una piccola parte delle quali sarebbe già sufficiente a distruggere il pianeta. In particolare, per quel che riguarda le testate nucleari e i vettori, Obama e Medvedev nel vertice del luglio 2009 avevano concordato che le testate sarebbero state tra 1.500 e 1.675 (attualmente gli Usa ne dichiarano 2.200 e la Russia 3mila) e i vettori tra 500 e mille.
mettere all’Iran di ottenere armi nucleari significa mettere in atto una minaccia esistenziale allo stato di Israele, ai governi arabi nella regione che sono amici degli Stati Uniti, e a pace e sicurezza mondiale a lungo termine.
Netanyahu deve rendersi conto che non ha accumulato crediti per buona condotta con Obama, ma che ha semplicemente posticipato un confronto inevitabile. Il Primo Ministro dovrebbe ricalibrare il suo approccio, e presto. La deferenza di Israele sulla questione palestinese non lo eviterà con Obama dopo un attacco preventivo contro il programma nucleare dell’Iran. Sarebbe sbagliato pensare che ulteriori ritardi di questo attacco possano cambiare materialmente la risposta politica che Israele si può aspettare dalla Casa Bianca. Il sostegno di Israele verrà dal Congresso e dalla popolazione americana, come dimostrano i sondaggi, non dal presidente. Obama non è ignaro della predominante posizione mondiale dell’America. È anche abbastanza imbarazzato da questa da rimpiangere di averla ridotta. Infatti abbiamo raggiunto questa preminenza non solo per glorificare il nostro ego americano, ma per difenderei i nostri interessi e quelli degli alleati che la pensano come noi. Cedere nel ruolo dell’America negli affari internazionali non è un atto di modestia, ma un pericoloso segnale di debolezza verso amici e nemici. Israele potrebbe essere il primo alleato a sentirne il dolore.
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In apertura: Hillary Clinton con il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov; sopra: una testata nucleare; sotto: il presidente Obama e in basso a sinistra il premier israeliano Netanyahu assieme a Bill Clinton
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Ciak. È la terza industria al mondo (per dimensioni e incassi) del settore iving in Bondage (1992), Osuofia in London (2003), The figurine (2009) sono solo alcuni dei prodotti della fiorente industria cinematografica nigeriana. Dopo Hollywood e Bollywood, sempre più con insistenza si parla tra gli addetti ai lavori - ma non solo del fenomeno Nollywood. Basata a Lagos, nel quartiere di Surulele, quella che è definita la “settima arte”permette un giro d’affari tra i 250-300 milioni di dollari, impiega oltre 250mila persone, si basa su piccole compagnie indipendenti, produce oltre 2mila film ogni anno e si presenta come un fenomeno culturale di rilievo dell’ultimo ventennio. Varie le caratteristiche che permettono grande successo alle pellicole nigeriane. La trama, il basso costo di produzione, la ricchezza della lingua, la modalità dell’offerta dei prodotti sono elementi vincenti che attirano un pubblico di tutte le età. Pubblico, certamente locale, sempre più regionale e in prospettiva, internazionale. Che siano tragicommedie, storie d’amore o di magia, film polizieschi tra sparatorie e gang di quartieri e poveri, le trame nollywoodiane riportano sempre la saggezza popolare, hanno una vivacità narrativa interessante e delineano un profilo della società africana. C’è sempre un messaggio nel sottofondo: la difficoltà di dialogo tra un nord musulmano ed un sud cristiano, la lotta contro la corruzione, l’impegno civile per l’affermazione della democrazia, lo scontro tra la tradizione e la modernità. Ogni elemento riflette quella lotta interna tipica di una società proiettata nel futuro, in via di riappacificazione con se stessa e con il passato. I costi non prevedono effetti speciali o grandi compensi per gli attori protagonisti, né
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Nollywood, il cinema in salsa africana Anglo o francofone, le pellicole locali puntano a universalizzare gli spettatori di Maria Egizia Gattamorta ta. L’inglese in questo settore non domina ma è affiancato dalla lingua Yoruba, Hausa, Igbo e Fulani. Le numerose etnie (circa 250) permettono una grande ricchezza espressiva e offrono stimoli non indifferenti ad un paese di 150 milioni di abitanti. Ogni gruppo ha la sua storia, la sua sensibilità che si riflette in sfumature diverse e richiede attenzione specifica da parte di chi vuole mettere su una pellicola una storia vera e accattivante. Il buon risultato è indubbiamente garantito anche dal modo in cui viene offerto il prodotto: la chiusura delle sale cinematografiche e le difficoltà della distribuzione sono state superate lavorando in vhs, dvd e video-cd. Il cinema - per lo più domestico e digitale - deve combattere la povertà locale, il mercato nero e il fenomeno della pirateria.
Il successo nigeriano - raggiunto anche grazie alla diffusione di documentari specifici come quello di Welcome to Nollywood di Jamie Meltzer e Mission Nollywood di Dorothee Wenner ha permesso negli ultimi anni di raggiungere Kenya, Uganda e Ghana. La conquista del mercato africano è
Un’industria da 250-300 milioni di dollari e 250mila impiegati, basata su piccole compagnie, che produce duemila film l’anno viaggi o grandiose location. Fare un film può costare tra i 90mila e i 150mila euro e una star può guadagnare fino a 10mila euro. cifre irrisorie se confrontate ai budget milionari della cinematografia americana ed europea! Anche la pubblicità è minima per lanciare gli attori locali, ma Nkem Owoh e Emeka Ike non hanno avuto difficoltà a divenire le stelle del cinema nigeriano, amate dal pubblico e seguite dai tabloid locali.Certamente giova alla diffusione delle pellicole la ricchezza della lingua utilizza-
uno degli obiettivi del ministero dell’Informazione e della Cultura di Abuja. Vendere i prodotti finiti ma anche acquisire nuove risorse significa ampliare un’industria emergente che garantisce lavoro e assicura ricchezza nazionale. Il cinema nigeriano rientra, seppure con un proprio profilo, nel più ampio settore del cinema africano. Che sia produzione anglofona o francofona, che provenga dall’Egitto, dal Marocco o dal Senegal, l’industria della comunicazione visiva continentale sempre più
I primi, timidi passi all’inizio degli anni Sessanta
Da Lagos al continente I primi film nigeriani furono realizzati da filmmakers come Ola Balogun e Hubert Ogunde all’inizio degli anni ’60, ma quest’attività - con le tecnologie dell’epoca - era ancora troppo costosa e complessa. Tuttavia, le trasmissioni televisive in Nigeria incominciarono nello stesso periodo ed ebbero molto sostegno dal governo soprattutto nei primi anni. A partire dalla seconda metà degli anni ’80 ogni Stato aveva la propria emittente televisiva locale. La legge limitava le trasmissioni straniere e fu così che i produttori di Lagos iniziarono a produrre trasmissioni televisive i cui contenuti proponevano dinamiche e forme stilistiche appartenenti al patrimonio teatrale e performativo; spettacoli di teatro popolare prodotti, ripresi e trasmessi dalle TV locali sono attualmente diffusi in moltissimi paesi dell’Africa subsahariana. Molte di queste produzioni furono circuitate anche attraverso dei video amatoriali, dando vita ad una
sorta di produzione filmica parallela in piccolo. Il successo di botteghino del film Living in Bondage del 1992 prodotto da NEK Video Links per la regia di Chris Obi-Rapu, prodotto da
Kenneth Nnebue ad Onitsha, nella regione orientale della Nigeria, può essere considerato il primo passo del percorso che ha portato all’affermazione di Nollywood. Alla fine degli anni ottanta una schiera di piccoli impresari ha investito nel supporto VHS. E realistico pensare che alcuni venditori abbiano inserito filmati amatoriali sui nastri per differenziare la propria merce dalla concorrenza. E da qui nasce il successo.
sta ampliando il suo raggio d’azione ed il suo successo. Conferenze specifiche e festival dedicati permettono alla “settima arte” in chiave africana di far conoscere autori e registi locali, sensibilità e problematiche sociali. Ola Balogun, Hubert Ogunde, Djibril Diop Mambéty, Ousmane Sembène, Safi Faye, Ahmed Atef, Gaston Kaboré sono nomi che si sono affermati anche in Europa per la tipicità dei propri lavori. Nel dare visibilità al fenomeno africano, grande merito ha indubbiamente avuto il Festival Panafricain du Cinéma de Ouagadougou conosciuto meglio come Fespaco e istituito nel 1969.
Che ha permesso agli artisti locali di far conoscere le proprie storie e di varcare le frontiere nazionali e continentali. Lungometraggi, cortometraggi, documentari e fiction sono il frutto di un lavoro comune volto ad una rilettura della“propria immagine”e del “proprio io”, senza le quali non possono esserci aspirazioni di crescita, ma soprattutto senza le quali si rischia di perdere la propria identità. Non solo il Fespaco ha fatto da volano per l’industria locale. Si potrebbe parlare anche dell’African Movie Academy Awards che riunisce celebrità politiche e del sistema cinematografico. Sempre più i leader locali si rendono conto che per proporre una nuova immagine è necessario avvalersi di molteplici mezzi, tra cui quello del cinema. Il mondo della comunicazione è essenziale per proporre un sistema Paese efficiente e competitivo. Di questo sembra essersi accorta anche la ministra nigeriana Dora Akunyili, che si trova inevitabilmente a dover convivere con il boom di Nollywood. Interessante notare che sempre più il cinema nigeriano e africano in generale amplia la sua rete di estimatori. Cannes, Londra, Berlino e Roma offrono una vetrina di tutto rispetto alle produzioni continentali. L’ultima edizione del London African Film Festival (Londra, 26 novembre-3 dicembre 2009) ha focalizzato la sua attenzione sul tema “African Film in the digital era”, mettendo in evidenza il successo ma al tempo stesso le difficoltà che vive la cinematografia locale. Che si chiami Nollywood o meno, anche questa è Africa e potrebbe offrire una nuova chiave di lettura di un continente che ha bisogno di farsi conoscere al di là di guerre, carestie e pandemie…ma più che altro necessita di “rileggere” il proprio quotidiano e costruire il proprio futuro.
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L’avvocato dissidente era da tempo scomparso nel nulla
Dopo le lunghe polemiche sul genocidio, Ankara all’attacco
L’ammissione di Pechino: «Gao Zhisheng è in galera»
Erdogan: «Pronto a cacciare gli armeni»
PECHINO. Gao Zhisheng, avvocato cristiano e noto dissidente, «è stato condannato per aver commesso il crimine di sovversione dei poteri statali». Lo ha ammesso il ministro cinese degli Esteri,Yang Jiechi, nel corso della conferenza stampa congiunta con la sua controparte inglese, David Miliband, in visita a Pechino. Tuttavia, il funzionario comunista non ha specificato dove si trovi l’avvocato, arrestato l’ultima volta nel febbraio del 2009 e da allora sparito nel nulla. Yang non ha neppure chiarito se la condanna si riferisce al processo celebrato (in un solo giorno) nel 2006, oppure se si tratta della conclusione di un nuovo procedimento. Il fratello maggiore del dissidente, Gao Zhiyi, commenta: «Cerchiamo ancora di capire cosa succede, dobbiamo aspettare per avere nuove notizie. Se è vero che è stato condannato, non è un buon risultato».
ANKARA. «Li stiamo tollerando»: questa brutale ed imprevista uscita di Erdogan, contro i 100mila armeni che vivono e lavorano in prevalenza a Istanbul, è la risposta alla decisione presa da Usa e Svezia di riconoscere il genocidio armeno. Erdogan ha fatto queste dichiarazioni alla trasmissione in lingua turca della Bbc. Egli si riferiva agli armeni che vivono come clandestini, o con la tolleranza delle autorità turche, visto che i rapporti tra Armenia e Turchia non sono ancora pienamente ristabiliti. Ankara e Yerevan hanno firmato due protocolli nell’ottobre 2009 per lo sviluppo delle loro relazioni diplomatiche, ma non si è giunti alla mossa conclusiva. In Tur-
Gao, 44 anni, una volta era avvocato modello del Partito comunista. Negli anni è divenuto un attivista per i diritti umani, difendendo cristiani, uiguri, membri del Falun Gong, e altre vittime di soprusi. Nel 2006 era stato condannato a tre anni di prigione, ma la sentenza era stata sospesa. L’avvocato Mo Shaoping, che in passato lo ha difeso nel corso di un altro processo, sostiene che Gao Zhisheng - che si trovava in libertà provvisoria è stato riarrestato e che quindi questa condanna si aggiunge a una precedente: «Secondo le legge cinese la libertà provvisoria può essere revocata senza che sia tecnicamente necessario avvertire gli avvocati o la famiglia dell’imputato». La prima volta, nel 2006, Gao Zhisheng è stato arrestato e condannato sempre con l’accusa di “aver tentato di sovvertire i poteri dello Stato”. Il caso ha provocato le proteste della comunità internazionale. Dopo le richieste di Washington e Berlino, l’ultimo a chiedere chiarimenti sulla sorte di Gao è stato il ministro degli esteri britannico Miliband, che fa ha espresso al collega cinese la sua preoccupazione per la sorte dell’ avvocato dissidente scomparso nel nulla.
Ancora sangue (donato) a Bangkok Continua la protesta dei “rossi” contro il governo di Osvaldo Baldacci a Thailandia non è solo una terra di vacanze. Anzi, di questi tempi il ministero degli Esteri raccomanda molta prudenza, se proprio non è possibile evitare. In realtà sono diversi anni che la situazione in questo grande Paese del sud-est asiatico è incandescente. Di fatto in piazza si confrontano e scontrano a muso duro due fazioni, i gialli e i rossi, sostenitori di opposte fazioni e visioni politiche. Il re cerca di mantenere un profilo di mediazione, mentre l’esercito, spesso intervenuto a prendere il controllo della situazione nella storia della Thailandia, ha le sue simpatie e si è fatto valere, ma tende a mantenere il più possibile un profilo basso. In questi giorni ad essere in piazza e tenere alta la tensione sono le camicie rosse, i sostenitori del magnate ed ex premier Thaksin Shinawatra, condannato per corruzione e a cui è stato sequestrato nei giorni scorsi metà del patrimonio, 46 miliardi di baht (1 miliardo di euro). L’uomo è stato infatti giudicato colpevole di aver approfittato del suo ruolo di potere per arricchirsi personalmente e già era stato destituito dal suo incarico in una successione di colpi di scena e di gravi tensioni.Thaksin nel frattempo sarebbe attualmente riparato in Montenegro, Paese di cui detiene la cittadinanza, e dovrebbe fare ritorno a Dubai, negli Emirati arabi uniti, nei prossimi giorni. Due giorni fa i manifestanti hanno versato del sangue (sostengono sia il loro) davanti alla sede del governo per chiedere le elezioni anticipate, insolito rituale che è stato ripetuto ieri davanti alla residenza del primo ministro Abhisit Vejajjiva: chiaro anche il messaggio, i cittadini, stremati dal malgoverno, dalla corruzione e dalle tasse, sono stanchi di vedersi succhiato il sangue da chi detiene il potere. Secondo gli organizzatori, i sostenitori del movimento hanno fatto la file per ore ieri sera per donare il sangue ai fini della protesta: fonti ufficiali della polizia parlano di un numero impressionante di donatori, quasi centomila. I leader della protesta hanno promesso delle manifestazioni per tutta la notte e ulteriori
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proteste nei prossimi giorni, anzi, hanno dichiarato che continueranno le loro proteste a Bangkok fino al momento in cui non riusciranno a ottenere le elezioni anticipate.
E hanno annunciato per sabato il blocco di Bangkok con una manifestazione di 2.000 veicoli nelle strade. «Sarà l’inizio di una lotta di classe», ha dichiarato Natthawut Saikua, uno dei leader dell’opposizione che considera queste manifestazioni una lotta fra le popolazioni rurali povere e una elite isolata di Bangkok, insensibile alle loro difficoltà. «Vi chiedo di pazientare ancora una settimana. Noi instaureremo una vera democrazia e miglioreremo la vita di tutti i thailandesi. Capisco che siate affaticati, che avete caldo e fame», ha promesso Thaksin ai suoi fan via video. «Abbiate pazienza ancora per sette giorni per il futuro dei vostri figli», ha aggiunto. Le camicie rosse sostengono che il governo Abhisit è illegittimo e che l’unica soluzione possibile è la sua deposizione, lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni. Secondo la polizia, dopo 5 giorni di proteste, però, il numero dei manifestanti è visibilmente calato da 100 a 40mila. Il premier Vejjajiva ieri ha ribadito di essere pronto a negoziare con l’opposizione: «Se i negoziati restano nell’ambito della legge, il governo non ha obiezione a partecipare ai colloqui». Intanto comunque il premier è stato trasferito per motivi di sicurezza nel quartier generale dell’esercito. Ma subito le camicie rosse hanno respinto la proposta del premier. Le trattative sono impossibili finché Abhisit si rifiuterà di considerare la richiesta di sciogliere il Parlamento e indire nuove elezioni, ha dichiarato Jatuporn Prompan, un altro dei leader al vertice dell’Udd (Fronte unito per la democrazia contro la dittatura). Nel settembre 2006, dopo disordini e tensioni e le manifestazioni di piazza delle camicie gialle, il governo del premier Thaksin accusato anche di corruzione (ma molto amato dai suoi numerosi sostenitori) venne destituito con un colpo di Stato dei militari, cui sono seguiti due controversi governi eletti.
Il premier si dice pronto a negoziare con l’opposizione, ma si rifugia in una caserma e non risponde alle accuse
chia vivono attualmente 170mila armeni. Di essi «solo 70 mila hanno cittadinanza turca. Se ci sarà bisogno, forse dovrò fare rimpatriare questi 100mila perché non sono cittadini di questo Paese. Non sono obbligato tenermeli». Erdogan ha poi accusato la diaspora armena di aver ordito e pilotato le decisioni prese dai parlamenti di Usa e Svezia nel riconoscere il genocidio degli armeni e ha invitato l’ Armenia ad assumere una decisa presa di posizione contro la diaspora, che frena sui rapporti diplomatici.
Egli ha pure invitato Usa, Francia e Russia ad aiutare l’Armenia a sganciarsi dall’ influenza della propria diaspora, concludendo che queste iniziative avranno ripercussioni sulle nascenti relazioni turco-armene. Pronta la reazione di Yerevan. Il primo Ministro Tigran Sarkosian ha ricordato che queste dichiarazioni politiche riportano alla memoria i fatti del 1915 e di conseguenza non aiutano a contribuire al miglioramento delle relazioni diplomatiche tra i due Paesi. La brutale presa di posizione di Erdogan si addice poco ai tentativi della Turchia di accelerare i tempi del suo ingresso nell’Unione Europea, la Bruxelles non si è ancora espressa in merito.
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Libri. L’intera storia, raccontata in un volume di Massimo Biagioni, attinge a documenti d’epoca e a preziose testimonianze
La vera ragazza di Bube Si chiama Nada Giorgi. E con Renato Ciandri ispirò il fortunato romanzo di Carlo Cassola di Marco Ferrari una storia da dimenticare/ è una storia da non raccontare/ è una storia un po’complicata/ è una storia sbagliata» cantava Fabrizio De Andrè. Ecco, una storia sbagliata calza a pennello sulla vita di Nada Giorgi, una gioventù bruciata, il rammarico di un riscatto mancato, prigioniera di un tempo che non c’è più. Chi è Nada Giorgi e perché parliamo di lei? È l’ispiratrice de La ragazza di Bube, il romanzo più famoso di Carlo Cassola, specchio di una generazione che uscì vittoriosa dalla lotta di Resistenza ma sconfitta dall’inevitabile restaurazione. Esattamente cinquant’anni fa, nella primavera 1960, nell’anno de La Dolce Vita, Einaudi diede alle stampe il romanzo di Cassola e fu subito polemica. Lo stesso anno il libro vinse il Premio Strega. E fu di nuovo polemica.
«È
Oggi Nada Giorgi è una arzilla ottantenne che vive a Pelago, in provincia di Firenze. Ha un figlio che si chiama Moreno. Ancora lottano insieme per dare giustizia e dignità a Bube che in realtà si chiamava Renato Ciandri, autentico protagonista, appunto, di una storia sbagliata. Il nocciolo della vicenda di Nada Giorgi e Renato Ciandri porta una data, il 13 maggio 1945, e un luogo preciso, il Santuario della Madonna del Sasso, vicino a Pontassieve, dove si svolgeva la tipica sagra religiosa toscana con messe, pellegrini, balli, panini, vino rosso e banchi di carne di manzo macellato di fresco. Era la prima volta dopo la guerra che la sagra tornava ad essere celebrata con i suoi rituali religiosi e laici. Nacque una discussione tra i partigiani che volevano entrare in chiesa con i calzoni corti e il parroco. Allora intervenne il maresciallo dei carabinieri per placare i toni e far sì che anche i partigiani potessero avere accesso nell’edificio religioso. Ma la discussione si accese ancora di più e degenerò in una sparatoria: alle fine rimasero uccisi un partigiano di Polcanto, il maresciallo e suo figlio diciassettenne. Renato Ciandri fu indicato come uno degli autori di quelle morti. Esiste una foto
scattata nel 1948 che ritrae una ragazza col volto squadrato e gli occhi sereni, innocenti e semplici. Dietro la foto, una scritta indirizzata a Renato, il Ciandri detto “Baffo”, fuggiasco in Francia: «A te per sempre, Nada». Ancora adesso Nada si batte per dimostrare l’innocenza del “Baffo”, partigiano di Volterra, accusato di aver ucciso il maresciallo dei carabinieri e suo figlio alla Madonna del Sasso. La confusione dei fatti guida il destino di Nada: resistere e combattere per la verità del “Baffo” che diventa suo marito nel carcere di Alessandria e che potrà riabbracciare solo il 22 dicembre 1951 quando tornerà libero per il suo primo vero Natale. “Baffo” è Bube e Na-
da è Mara, i protagonisti del romanzo di Carlo Cassola. La vera storia di Nada è narrata in un libro di Massimo Biagioni, Nada - La ragazza di Bube (Edizioni Polistampa).
La ricostruzione di Biagioni attinge ai documenti d’epoca, tra cui le lettere di Ciandri, e conta su preziose testimonianze dei sopravvissuti. L’8 marzo scorso Nada Giorgi è stata a San Casciano per assistere a uno spettacolo tratto proprio dal libro di Biagioni. Oggi, questa ottantenne dagli occhi accesi, tiene non solo a raccontare la “sua”verità, ma anche a ribadire che lei è ben diversa dalla Mara di Cassola, così come il suo Renato era diverso da Bu-
I due innamorati parlarono con lo scrittore quasi per caso, in un bar sulla strada durante una sosta. Nacque da qui l’avventura che divenne il simbolo di un’epoca e di un’intera generazione be. Lei e Renato confessarono le loro vicissitudini allo scrittore quasi per caso, in un bar sulla strada, durante una sosta, mentre andavano in camion a Volterra. Lo scrittore riconobbe Renato perché il padre di Cassola era stato il suo maestro di scuola. Da quell’incontro occasionale è nato un capolavoro letterario e quindi un film di successo del 1963 diretto da Luigi Comencini con una splendida Claudia Cardinale che interpreta Mara alias Nada. Naturalmente Cassola non si attenne per filo e per segno all’intricata vicenda di Nada e Renato, conoscendola solo a grandi linee, ma quel romanzo divenne il simbolo di un’epoca di trapasso e segnò comunque un distacco e un superamento del neorealismo poiché incentrato su una dimensione individuale e psicologica della protagonista, la ragazza di Bube, appunto, in un percorso di dolore.
Attraverso questo viatico drammatico si forgia il carattere della ragazza, che si lascia alle spalle il mondo dei sogni e dei desideri della gioventù, consumata in un pomeriggio che doveva essere di festa e diventa una donna colma di co-
raggio, sola contro tutti. In quel dolore si esprime il significato della vita che può passare dalla felicità al dramma in un solo attimo. Così, alle ultime battute del romanzo, Mara divenuta oramai solo “la ragazza di Bube” poté esprimere tutto il peso della sua nuova consapevolezza: «È cattiva la gente che non ha provato dolore - disse Mara - perché quando si prova il dolore, non si può più voler male a nessuno». Cosa resta oggi di Cassola? Il suo forte segno nella letteratura del secondo Novecento? L’impegno pacifista e ambientalista? Le polemiche con Italo Calvino quando si lanciò nella sperimentazione fantastica con Le cosmicomiche e Ti con zero? Carlo Cassola fortunatamente è ancora uno scrittore letto in Italia, specialmente dalle giovani generazioni che continuano ad apprezzare la tenuta del romanzo La ragazza di Bube ma anche de Il taglio del bosco, inizio della sua prosa intimistica, entrambi consacrati dal cinema. Demolito l’eroismo delle gesta resistenziali, Cassola ha dato alla dimensione storica un’immagine del tutto interiore. Lo scrittore delle cose minute e delle vite minime, movendosi nel
cultura
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Un rapporto strettissimo, che i due allacciarono un pomeriggio a Roma
Il critico e lo scrittore Storia di un’affinità elettiva Garzanti manda in stampa il carteggio tra Gadda e Contini, quasi trent’anni di dotta corrispondenza dal 1934 al 1963
n epoca di email, chat e messaggini fa una certa impressione rileggere un carteggio di lettere spedite, inviate e soprattutto ricevute tra il critico Gianfranco Contini e lo scrittore Carlo Emilio Gadda, in un periodo che va dal 1934 al 1963. Un rapporto tra critico e scrittore è, del resto, oggi una rarità perché i critici sono scomparsi mentre gli scrittori abbondano, perché nessun autore ha più l’ausilio di un consigliere e poche case editrici praticano l’editing del testi. Gianfranco Contini (Domodossola 1912-1990) e Carlo Emilio Gadda (Milano 1893 - Roma 1973) si conobbero nella Capitale in un pomeriggio del ’34 in Corso Italia, unico indizio di riconoscimento un giornale in mano, L’Italia letteraria. Le comuni radici lombarde e l’amore per le lettere fecero il resto. Le missive che i due intellettuali si scrissero in quel lungo lasso di tempo a cavallo della seconda guerra mondiale è ora presentato per la prima volta in maniera organica nel volume Contini-Gadda: carteggio 1934-1963 (Garzanti, pagg. 279, euro 25) a cura di Dante Isella, Giulio Ungarelli e dello stesso Contini, che nel 1988 diede alle stampe la corrispondenza indirizzata all’autore di Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana. Nel volume sono ora contenute le lettere conferite da Alessandro Bonsanti al Gabinetto Vieusseux di Firenze e restaurate dai danni dell’alluvione del 1966. Il progressivo abbandono delle relazioni epistolari non colpì mai Gadda, che non si piegò neppure alla novità popolare del telefono introdotto nel dopoguerra. Restò fedele alla carta, alla penna, alla macchina da scrivere e alle poste italiane per tutta la vita, come ci conferma la pubblicazione di altri carteggi, come ad esempio quello con la sorella, quello con il germanista Bonaventura Tecchi e quello con gli amici milanesi.
I
triangolo Volterra-GrossetoLucca, restò legato alla ricerca di una realtà sotto traccia. I suoi personaggi sono sempre indifesi, soccombono di fronte alla grande storia, ne diventano strumenti inconsapevoli, come appunto i protagonista de La ragazza di Bube. Cassola si piazza senza esitazione dalla parte dei vinti, dei reduci, delle passioni negative, di coloro che, come lui, scelgono l’isolamento. Lo scrittore sosteneva che «la rivelazione delle verità sta nel linguaggio muto delle cose». Come un Monet toscano, collocandosi tra i Macchiaioli e gli Impressionisti della penna, Cassola scrive «un film impossibile» cogliendo immagini fuggitive, spicchi di vita, sguardi occasionali, come ne La visita. La sua scrittura è frenata, trattenuta, come la sua esistenza è diventata un progressivo ritiro dalle emozioni, dai moti, dalle passioni, dal movimento. Per Cassola il muoversi, anche se minino, anche se si tratta di un piccolo viaggio in treno, rappresenta lo scomporsi di un quadro di certezze. Il suo riferimento letterario è fatto, appunto, di piccoli spostamenti, pendolarismo quotidiano, sbuffanti corriere, camion per trasporto
di gente, sconquassati autobus di linea, trenini che si agitano nella piattezza della verde campagna toscana. Il corso della sua esistenza appare un desiderio di radici in quella Toscana minima che apparteneva a sua madre, volterrana di nascita.
In quei luoghi dell’infanzia, dei sogni, dei rifugi, ma anche della memoria, troverà una pacata riflessione interiore. Nel suo ultimo periodo con Mio padre, Cassola ricostruisce la galleria dei suoi personaggi, da Bube a Lidori, dai partigiani ai preti, dagli insegnanti alle commesse nell’eterno conflitto tra il desiderio di partecipare e la ricerca di un luogo dell’anima che plachi ogni conflitto interiore. Dal suo rifugio lucchese, anche se minato dalla malattia, si farà alfiere di nuove battaglie contro l’atomica, il militarismo, il nucleare scrivendo sui giornali e andando anche in televisione. Qual è il debito che oggi la cultura italiana deve a Cassola? Prima di tutto l’insegnamento della coerenza anche con costi personali notevoli. Quindi l’aver indicato agli scrittori la possibilità di attingere da motivi autobiografici una storia più grande.
tini, come del resto Cesare Garbali, ha infatti praticato una critica di forte rilievo stilistico che non ha nulla da invidiare alla pratica dello scrittore. Si intreccia così quella che Giulio Ungarelli definisce «osmosi stilistica» tra l’autore della Cognizione del dolore e il professore della Normale di Pisa.
Pur nelle loro divergenze, una comune etica della letteratura li tenne uniti. Contini uscì dalla guerra con un senso civile alto, appreso nella Repubblica dell’Ossola del settembreottobre ’44, Gadda con un senso di frustrazione e prostrazione, un risentimento verso l’esistenza che si protrarrà sino alla fine dei suoi giorni. Non troppo uniti nella loro vita quotidiana, concedettero alle lettere il privilegio
Pur nelle loro divergenze, una comune etica della letteratura li tenne uniti. Nonostante l’uno uscì dalla guerra con un alto senso civile, l’altro con un risentimento verso l’esistenza
Potrebbe sembrare inusuale oggi che una persona conservi, tra traslochi, sgomberi, separazioni, cameriere sbrigative, figli ribelli e svuotamenti di stanze, un intero carteggio, ma all’epoca non era così anche se lo stesso Gadda passò da Milano a Firenze e quindi a Roma. Lo scrittore epistolografo disperde in mille rivoli il suo cammino terreno destinando ai diversi interlocutori un minuzioso labirinto della sua esperienza esistenziale e letteraria. Anche con Contini, pur usando una tradizionale distanza epistolare, Gadda sembra trasformare quelle missive in piccoli cammei di prove d’autore. Nasce una sorta di competizione di fioretto che equipara la scrittura del letterato a quella del critico. Gianfranco Con-
della loro reciproca conoscenza nell’esplorazione del loro modo di sentire e vivere la letteratura. Attorno ai due si muovono - e ottengono differenti giudizi - gli attori principali di quella irripetibile stagione letteraria a cavallo della guerra: ecco spuntare Moravia, Bonsanti, Ungaretti, De Robertis, Bacchelli, Gatto, Landolfi, Longhi e Montale, «importato dalle Cinque Terre», dice Contini. Il carteggio prende l’avvio con un distinto “lei”che dura per almeno due anni quando si passa ad un confidenziale “tu”. La parabola delle novelle passa quindi ai consigli, alle valutazioni, alle esperienze e anche alle confessioni in uno specchio che riflette l’autoritratto dell’uno e dell’altro, a volte timidamente abbozzato, altre volte apertamente dichiarato. Se adesso quelle lettere sembrano fogli asettici, contengono l’essenza contraddittoria di un periodo in cui la rotta ideologica era messa costantemente (m.f.) alla prova.
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mici batte X Factor per due a zero. Almeno a giudicare dai premi e dai riconoscimenti ufficiali che gli sono piovuti dal cielo. Infatti con ben due Festival di Sanremo vinti (2009 e 2010), il talent show condotto da Maria De Filippi ha battuto quello targato Rai Due e si è riscattato agli occhi della critica e degli spettatori più snob. Troppo presto per dirlo? Probabile, eppure c’è un detto popolare che recita: “il buongiorno si vede dal mattino”. E questo i discografici l’hanno capito subito, visto che da anni ormai fanno a gara per produrre il cd dei ragazzi che partecipano, edizione dopo edizione, al programma. Siamo arrivati così alla nona edizione. E 9 è proprio il titolo dell’album uscito il 12 febbraio, prodotto da Mario Lavezzi per Nuove Arti e distribuito dalla Sony Music di Rudi Zerby che, quest’anno, ha partecipato attivamente alla scelta dei cantanti in gara dall’inizio del prime time.
A
Grande l’interesse dei vertici della discografia italiana soprattutto per alcuni elementi, come Loredana Errore, Pierdavide Carone (autore del pezzo con il quale Valerio Scanu ha vinto il Festival di Sanremo) ed Emma Marrone. E a proposito del Festival della canzone italiana c’è da dire che le vendite online sembrano dar torto ai guru dell’industria discografica. Il web, infatti, premia Malika Ayane, prima nella classifica di iTunes relativa agli album e ai singoli più scaricati del momento. D’altra parte Marco Mengoni si guadagna sul campo la nomina di vincitore morale del Festival, piazzandosi al primo posto nella top ten dei dischi più venduti nei negozi con il suo album Re matto. Per non parlare dell’ottima performance di Noemi, che con Per tutta la vita si è guadagnata il favore delle emittenti radiofoniche. E Valerio Scanu dov’è? In quinta posizione preceduto dall’ex collega Alessandra Amoroso. Anche per questo sono tante le aspettative riposte in 9 che segue l’uscita di Sfida, compilation pubblicata il 27 novembre che ha venduto ben 130mila copie piazzandosi in testa alla classifica per ben sei settimane di seguito. 9 è un disco che punta sulla compresenza di stili diversi e su voci fresche e originali. C’è spazio infatti per l’intensità di Emma e Loredana, ma anche per l’irriverenza di Pierdavide. E la voce pulita di Matteo convive con lo stile più sporco, ma ugualmente emozionante, di Enrico. Questo secondo cd saprà sicuramente rendere onore al primo,
Musica. Grande successo per “9”, l’album della nona edizione di “Amici”
La squadra di Maria conquista la vetta di Matteo Poddi riuscendo addirittura a superarne le vendite: il pubblico, infatti, durante il serale si affeziona maggiormente ai cantanti e impara ad apprezzarne ogni sfumatura, anche quelle che prima erano rimaste nell’ombra. C’è da dire che 9 è anche il frutto di una scelta comune fatta dalle case discografiche
sal Pierdavide in coppia con Emma Marrone così come anche la Emi e la Warner. Emma Marrone e Pierdavide Carone sono stati gli unici due cantanti a ricevere rispettivamente tre e quattro proposte dalle major discografiche presenti al serale. Una bella soddisfazione soprattutto per il ventunenne
mo con il brano Per tutte le volte che. Molti gli artisti affermati che sono stati coinvolti nella realizzazione di questo album. Ragazza occhi cielo, per esempio, è stata scritta da Biagio Antonacci appositamente per la carismatica Loredana, mentre è Francesco Tricarico l’autore de La promessa, canzone con-
Il disco, già in testa alle classifiche, raccoglie diversi brani inediti scritti dai big della canzone italiana per i ragazzi del programma condotto dalla De Filippi. Che anche quest’anno ha lanciato il vincitore del Festival di Sanremo chiamate a prendere parte al programma. Un disco che ha messo d’accordo un po’tutti dal momento che la Sugar ha scelto Matteo Macchioni ed Enrico, la Sony Loredana Errore e Pierdavide Carone, la Univer-
cantautore romano che, senza avervi partecipato direttamente, si ritrova, così giovane, ad aver vinto il Festival di Sanre-
segnata al talento pop-lirico di Matteo Macchioni la cui parte orchestrale è stata registrata negli studi più importanti al mondo, gli Abbey Road, dove hanno lavorato, tra gli altri, i Beatles, i Queen e i Pink Floyd.
Nella foto in alto, un’immagine dei ragazzi di “Amici” e la copertina del nuovo album “9”. Qui sopra, la conduttrice del programma di Canale 5, Maria De Filippi, e le due cantanti perennemente in sfida tra loro: Emma Marrone (a sinistra) e Loredana Errore (a destra)
Sempre firmata da Tricarico anche Libera nel mondo, pensata per il virtuoso della chitarra Enrico Nigiotti. Pierdavide, invece, ha scritto da solo la canzone che interpreta in 9 intitolata Superstar, mentre Emma canta, dispiegando la sua vocalità decisamente rock alla Janis Joplin, Meravigliosa, pezzo scritto a quattro mani da Antonio Galbiati e Fortunato Zampaglione. Un autentico concentrato di adrenalina ed energia pura. Da segnalare anche Anna Altieri in Lonely, brano scritto appositamente per questo disco da Pixie Lott, Angelo Iossa in Why can’t I e Davide Flauto in Dentro di te. Due le cover: Satisfaction dei Rolling Stones, eseguita dalla squadra bianca, e Imagine di John Lennon eseguita da quella blu.
Sbirciando tra i sondaggi su internet, la canzone di Loredana Errore appare di gran lunga la più bella, al secondo posto quella di Emma, seguita da Pierdavide, stranamente ultimo il tenore Matteo. I brani sono stati inseriti in anteprima sul sito di RTL 102.5, segno evidente della sinergia tra case discografiche ed emittenti radiofoniche. Dieci le tracce delle quali otto inedite. E, visti i tempi, bisogna rallegrarsene dal momento che in Italia sembra ci sia spazio solo per le cover o i best of. Ora la sfida dei talent-show si sposta e dal palcoscenico dell’Ariston arriva direttamente nei lettori mp3 degli italiani. Quale dei due reality avrà la meglio alla fine? Alle vendite discografiche e al gusto della gente comune, il famoso “pubblico sovrano” sempre tirato in ballo dalle trasmissioni di questo tipo, l’ardua sentenza. Quanto alla conduttrice Maria De Filippi, a questo punto è difficile nascondere la soddisfazione. La recente vittoria di Valerio Scanu, infatti, non è che l’ennesima dimostrazione del successo di una trasmissione che ha lanciato talenti quali Marco Carta ed Alessandra Amoroso. Così, mentre prima le major guardavano con distacco il programma considerandolo soltanto un prodotto televisivo, ora sembrano litigarsi i vari cantanti in gara quasi in modo famelico. Su tutti si staglia la figura della De Filippi che, prima di tutti i cantanti di Amici, si è accaparrata il vertice della classifica e non intende cederlo a nessuno.
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Danza. Bill T. Jones porta in scena al Teatro Valli di Reggio Emilia uno spettacolo dedicato a uno dei padri fondatori degli Usa
Lincoln, un presidente da bis di Diana Del Monte
ill T. Jones è tornato. Maestoso come sempre, vasto nella figura e nella voce, ha parlato del suo nuovo lavoro in un incontro pubblico lunedì scorso, nel ridotto del Teatro Valli di Reggio Emilia. Serenade/The proposition, infatti, è stato presentato ieri sera in prima europea nel teatro romagnolo durante la seconda serata dedicata al coreografo americano; il giorno prima era stato riservato a un’altra prima europea, Between us, un progetto in continua trasformazione che ripropone i lavori storici della compagnia, la Bill T. Jones/Arnie Zane Dance Company, selezionandoli e ripensandoli in base al luogo ed alla situazione in cui sono presentati. Serenade/The proposition è il primo lavoro di Jones su Abraham Lincoln arrivato alle scene.
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Una riflessione sulla storia, sull’identità, sulle persone e le loro scelte, su chi non appare, ma vive l’imprevedibile sedimentarsi degli eventi storici
L’idea di lavorare intorno alla figura del sedicesimo presidente degli Stati Uniti è nata in occasione del bicentenario della nascita, festeggiata in America lo scorso anno; per la ricorrenza, il Ravinia Festival ha commissionato a Bill T. Jones la creazione di uno spettacolo sulla sua figura, Fondly Do we Hope…Fervently Do We Pray, presentato lo scorso settembre a New York. Tuttavia, il coreografo afroamericano, definito da The Dance Heritage Coalition «un insostituibile tesoro della danza», sentiva la necessità di approfondire il viaggio intorno a quest’uomo che gli americani considerano come un “santo laico”, voleva darsi il tempo di riflettere con profondità sulle questioni che la figura di Lincoln, colui che con la Emancipation Proclamation del 1863 liberò gli schiavi degli Stati della Confederazione durante la Guerra Civile, può ancora suscitare nell’America di oggi. Nasce così Serenade/The proposition, presentanto in occasione del 25° anniversario del Joyce Theatre di New York nel 2008; uno spettacolo sulla storia, sull’identità, sulle persone e le loro scelte, su coloro che non appaiono, ma vivono quotidianamente l’imprevedibile sedimentarsi degli eventi storici. «Questa è la storia di una persona nata nel 1862», raccontano in un dialogo ritmato, ma frammentato, i due attori ai lati del palco, «questa è la storia di una persona nata nel 1952», «questa è la storia di una persona, una donna», ed infine «la storia è distanza, la distanza che separa quell’uomo da me». La Bill T. Jones/Arnie Zane
movimento crudele e quasi nevrastenico, acrobatico ed essenziale: il loro accostamento provoca un amalgama curioso, di stridente contraddittorietà, ma estremamente affascinante.
In questa pagina, dall’alto: uno scatto della compagnia di Bill T. Jones e due immagini del suo spettacolo “Serenade The Proposition”, attualmente in scena al Teatro Valli di Reggio Emilia
Dance Company è stata fondata dal coreografo nel 1982 insieme ad Arnie Zane, danzatore e fotografo di livello internazionale, dopo undici anni di collaborazione tra i due. Insieme avevano ridisegnato il volto della danza e rivoluzionato il concetto di passo a due; Jones era alto, possente e nero, danzatore virtuoso e carismatico, Zane era bianco, piccolo, dal
Dopo la prematura morte di Zane nel 1988 a causa dell’Aids, Jones, che in quell’occasione dichiarò pubblicamente la sua sieropositività, decise di mantenere la doppia titolazione della compagnia in memoria del collega e compagno di vita. Jones è un danzatore che parla, che critica, che prende di petto le grandi tematiche sociali – la guerra, l’omosessualità, la malattia – che aggredisce la società benpensante americana, che agisce; lo stesso ha preteso e pretende tutt’oggi dai suoi danzatori a cui, di volta in volta, chiede di riflettere sulle tematiche che l’attualità propone, per poi agire, attraverso la danza. «Quando ero bambino, Lincoln era come un membro della famiglia, era l’unico uomo bianco a cui potessi davvero voler bene… aveva liberato gli schiavi – ha raccontato durante l’incontro – Poi, sono cresciuto ed ho cominciato a non credere più a nulla. Ma oggi, con questo progetto, mi sono ritrovato
di fronte a questa figura, a questo grande uomo, e mi sono chiesto cosa vuol dire per me, afroamericano, rapportarmi alla figura di Lincoln e alla storia americana». Durante l’incontro, Bill T. Jones ha parlato molto attentamente di questo suo progetto, da uomo di teatro, ha modulato l’immensa voce per far capire il senso di Serenade/The proposition. Saper usare la voce, la parola – Serenade, in questo caso, si riferisce all’arte oratoria – vuol dire credere, avere fede in qualcosa, The proposition, appunto; poi, inaspettatamente, verso la fine dell’incontro, aggiunge: «Una cosa importante: questo è uno spettacolo per gli occhi. Questo è uno spettacolo per le orecchie». Serenade/The proposition, in effetti, è un vero spettacolo per gli occhi e per le orecchie: i danzatori sono fluidi e precisi, leggeri e incisivi, perfettamente dentro a ogni passo. Ripetutamente, durante tutto lo spettacolo, si avvicinano, casualmente attratti l’uno dall’altro, per costruire dei veri e propri monumenti umani che pochi istanti dopo si sciolgono fluidi, così come sono nati; la musica dal vivo, poi, e le voci degli attori sono profonde, coinvolgenti e – elemento essenziale – in armonia con il tutto. Lo spettacolo scivola veloce tra le colonne dell’elegante scenografia ideata da Bjorn Guil Amelan ed i video di Janet Wong, direttore artistico associato della compagnia. Giocata sulla pulizia delle linee e sul contrasto tra il bianco e il nero, con poche e appropriate invasioni di colore e un’evidente preponderanza del primo, la scena si propone come una struttura significante di drammatica purezza, capace di molteplici declinazioni, tutte esplorate con grande intelligenza.
Lo spettacolo si chiude dopo un’ora, accompaganto dalla voce di un uomo che racconta: «la storia è un luogo», «in questo luogo sono nato, qui sono nati i miei figli», «nessuno che non sia al mio posto potrà mai capire», «vado via da questo luogo», «vado via da questo luogo e non so se vi tornerò mai, addio». Dal ridotto del teatro, invece, Jones, dopo aver rapinato gli astanti dell’attenzione e aver dettato regole e tempi, si congeda con una frase lapidaria, da profeta contemporaneo, senza dar tempo agli astanti di ribattere, di domandarsi: «La storia – dice – ci ha presentato grandi uomini. La sola cosa che possiamo fare noi, oggi, è chiederci come essere come loro. Grazie».
o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE
Regionali, ma anche Politiche 2013 (chi ci crede che ci arrivano?) AAA. Gruppo Prima Repubblica offresi: modica cifra per preparazione e presentazione liste elettorali credibili e soprattutto in tempo. Raccolta firme autentiche inclusa nel prezzo. Per un piccolo supplemento, possibile anche modifica liste in coda, sbianchettamento livello professionale. Realizzazione a prova di radicali, tribunali e giornalisti. Unica condizione: tenere a distanza dirigenti incapaci. Gadget in offerta: panini imbottiti e timbri multifaccia. No perditempo, no dilettanti. Per interessati prendere contatti anche oltre orario scadenza, anche senza timbri e documenti identificativi, anche firme a matita o in stampatello.
Lettera firmata
Il problema non è quello di sanare il caso Polverini o Formigoni, ma di annunciare concordemente e solennemente la volontà di cambiare le regole per la presentazione delle liste, anche perché di ipocrisia si può anche far morire una democrazia. Quando Bettino Craxi nel ’92 alla Camera sollevò la questione del finanziamento politico «irregolare o illegale» nessuno ebbe il coraggio di dire che aveva ragione.
Riccardo
ELIMINATO IL PARAMETRO DI LIMPIDEZZA DALL’ ESAME ORGANOLETTICO Nelle fasi precedenti al definitivo imbottigliamento del vino non deve essere considerato il parametro della limpidezza, da sempre una questione controversa, ma che non ha significato per i vini grezzi commercializzati allo stato sfuso verso le imprese imbottigliatrici, tenendo conto che l’esame organolettico completo viene effettuato secondo quanto prescritto dalla normativa comunitaria. Inoltre, con riferimento all’articolo 6, bisognerebbe rinviare ai singoli disciplinari di produzione la possibilità di prevedere l’indicazione obbligatoria sull’etichetta dell’annata di produzione delle uve. Infine è necessario eliminare il vincolo per i nomi propri aziendali di minimizzare i caratteri alle previste al comma 3, dato che è penalizzante per i
produttori, ai quali verrebbe imposto di ridurre le dimensioni grafiche dei marchi anche quando siano affermati e non siano idonei a indurre in errore il consumatore.
Giovanna Negro
ANTIDEMOCRATICITÀ IMPERANTE Non mi ero reso ancora conto bene dell’assoluta antidemocraticità e dispotismo di coloro che intendono, con i soliti cavilli, determinare l’esclusione non di un candidato, ma di un’intera parte politica, che oltretutto è vincente. Il governo deve intervenire prima che sia inghiottito da questa stortura, e tra il decreto legge ad hoc e il rinvio delle elezioni, opterei per il primo, perché ad una legge che impedisce ai cittadini di esprimere il voto, si risponde con un altrettanto decreto che si deve opporre al condizionamento politico che ne deriva,
Alla ricerca di Nemo Un “amphiprion akallopisos” - comunemente chiamato “pesce pagliaccio” si nasconde tra i tentacoli di un anemone marino (“heteractis magnifica”) nei caldi mari dell’Arcipelago delle Seychelles, in pieno Oceano Indiano
oppure si deve accertare che la pluralità eleggibile sia assicurata.
Lettera firmata
LA PIAZZA È L’UNICA PANACEA La panacea dell’attuale situazione elettorale, potrebbe essere la piazza, se non altro per dare una visibilità concreta al popolo del Pdl, che non può essere privato del diritto elettorale espresso verso i propri beniamini. Sono chiari e visibili i tentativi dell’opposizione di minare al nascere l’affermazione di questa volontà, al punto che (sembra un paradosso, ma è un chiaro
L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
segno probatorio) anche l’Italia dei valori, invece di unirsi al lancio dei sassi, si ritira ed esprime a chiare lettere il diritto che tutti hanno di eleggere le proprie liste. Ciò porta il disegno ad essere ancor più sinistro in tutti i segni, e bisogna solo augurarsi che ciò rafforzerà la compattezza politica e la volontà degli elettori, a confermare i politici della maggioranza, che per andare avanti con minor attrito e quindi più dinamicità, abbisognano proprio che si creino delle sinergie concrete tra il governo e le amministrazioni locali.
Gennaro Napoli
dal ”Washington Post” del 18/03/10
È sempre caccia all’uomo di Joby Warrick e Peter Finn li ultimi colpi inferti ad al Qaeda e ai talebani dai servizi segreti Usa e pachistani hanno lasciato l’organizzazione fondata da Osama bin Laden senza guida.Tutti i capi vivrebbero nascosti per il timore di essere catturati o uccisi. Lo ha afferamato il direttore della Cia, Leon Panetta in un’intervista al Washington Post, in cui ha definito le operazioni in corso in Afghanistan e Pakistan «le più aggressive mai affrontate dalla Cia in tutta la sua storia». La caccia continua nei nascondigli sparsi nelle zone di confine tra Pakistan e Afghanistan stanno dando i frutti sperati. I capi di al Qaeda vivrebbero braccati e il morale dei gruppi terroristici sarebbe a terra.Tanto che ci sarebbero delle intercettazioni, dove alcuni luogotenenti del gruppo terroristico chiedono a bin Laden di rientrare per prendere in mano la leadership delle operazioni. «Da tutte le fonti d’intelligence che possediamo appare ormai chiaro come al Qaeda abbia difficoltà a mettere insieme e rendere funzionante qualsiasi apparato di comando e controllo» ha spiegato il direttore della Cia. Panetta è uno dei responsabili dei servizi di sicurezza Usa che si è fatto avanti per dimostrare come il lavoro di questa amministrazione stia ottenendo dei successi nella guerra al terrorismo. Un modo per rispondere alle critiche di parte repubblicana che sostengono che il presidente Obama abbia indebolito la sicurezza nazionale. Purtroppo c’è una lista di affermazioni, dai toni trionfalistici, di direttori della Cia che poi non sono state supportate dai fatti. Come quella di Porter J. Goss, fatta nel 2005 poco prima che prendesse le redini di Langley: «ho un’idea piuttosto chiara su dove bin Laden si nasconda». E que-
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sta settimana diversi rappresentanti dell’amministrazione Obama sul campo, hanno dato diverse interpretazioni sullo stato dell’arte della guerra al terrore. Il generale Stanley McChrystal, comandante delle forze americane e Nato in Afghanistan, mercoledì, aveva affermato che «con certezza» avrebbero cercato di catturare bin Laden e di portarlo «davanti a un tribunale». Un giorno prima il segretario allla Giustizia Eric Holder aveva dichiarato durante una tavola rotonda al Senato, che bin Laden «non sarebbe mai finito sotto processo in un tribunale americano» perché le possibilità che venisse catturato sarebbero realisticamente «infinitesimali».
Aveva pronosticato che il capo di al Qaeda sarebbe stato ucciso o dalle forze Usa oppure dai suoi luogotenenti per evitare la sua cattura da vivo. Panetta avrebbe anche un piano nel caso un membro dello stato maggiore di al Qaeda venisse catturato. «Lo porteremmo subito in una struttura militare e solo allora verrebbe interrogato». Riflettendo sui primi 13 mesi di permanenza al vertice dell’Agenzia, Panetta non ha fatto previsioni sulla cattura di un uomo che è sfuggito a tutti per ben nove anni. Ma ha affermato che finalmente la campagna combinata tra forze Usa e quelle pachistane sta cominciando a dare dei risultati positivi. Per spiegare questi progressi molti ufficiali della Cia hanno cominciato a rivelare alcuni particolari sull’uccisione di un leader al vertice della rete di Osama bin Laden, scoperto e
fatto fuori l’8 marzo nel caposaldo terrorista di Miram Shah, nel Waziristan settentrionale. Hussein al Yemeni, il suo nome, è stato ucciso con la tecnica ormai collaudata del missile sparato da un drone volante. Un vecchio conto da chiudere. El Yemeni aveva fatto parte dell’operzione che il 30 dicembre scorso aveva portato un agente doppio giordano a farsi esplodere all’interno di una base della Cia in Afghanistan. Nonostante questi successi Panetta avverte che al Qaeda sta continuando il lavoro d’infiltrazione di terroristi nel territorio americano. Utilizzando questa volta gente che non ha un curriculum criminale o terrorista, persone dalla fedina pulita e senza legami con ambienti islamici. E che la caccia al numero uno di al Qaeda e del suo vice al Zawahiri sia una priorità per il capo della Cia lo si può desumere dall’arredamento alle pareti del suo ufficio: tra le decine di foto che raccontano della sua brillante carriera politca a Washington, c’è una sola mappa, quella delle regioni tribali in Pakistan.
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LETTERA DALLA STORIA
Per te mai invecchierò, mia nobile fanciulla Oh Fanciulla di Caledonia! Oh timida e silenziosa Hallie! Ogni volta che ascolterò dolce musica, penserò solo a te. Penserò a quelle “mezze ore” trascorse con te a Ripon. Sognerò il grande Beethoven e Mendelssohn così schietto. Se “notti insonni” mi assediano e mi rigiro invano nel letto, il ricordo di Heller mi fa riaddormentare. Un accordo di Caller Herrin, una nota di Home Sweet Home, una frase di Blue Bells di Scozia e il mio spirito di nuovo passeggia e va in un salotto del Crescent dove ascoltavo questi dolci suoni, e dove prontamente li seguirei se soltanto fossi un uccello. Hallie! Cara! Nobile Fanciulla! Non tradire il tuo “talento”, e quando suoni, talvolta pensa a me che ti sto guardando. Pensa a come ho amato la tua musica, non solo per sé, ma per le mani che suonavano e la mente che percepiva il tono. E ora addio, Nobile Hallie! Anche se io sto invecchiando, il ricordo sempre mi delizia. E per te mai invecchierò. Lewis Carroll a Clara H. Cunnynghame
LE VERITÀ NASCOSTE
India, il santone lancia “Mani Pulite” MUMBAI. Chissà se a Tonino Di Pietro interessano le filosofie orientali. Fatto sta che, in uno dei Paesi più corrotti al mondo, un santone dello yoga ha deciso di seguirne le orme: “Mani Pulite” sbarca in India, anche se probabilmente è destinata a fallire miseramente. Baba Ramdev, 57enne conosciutissimo maestro yoga, ha annunciato la nascita di un nuovo Partito politico per «ripulire il corpo della politica indiana». Secondo fonti di stampa locali, il santone ha intenzione di creare un vasto movimento politico per partecipare alle prossime elezioni legislative previste per il 2014. Ma, ha assicurato, «non intendo candidarmi in prima persona». Già in passato il guru dalla folta e nerissima barba - noto anche come Swami Randev, residente in un ashram da 1.700 posti nella città sacra di Haridwar (a nord di Delhi) - era salito alla ribalta della cronaca per alcune stravaganti campagne contro la mala gestione della cosa pubblica. Il suo programma politico prevede di usare il denaro sottratto ai corrotti «per il bene del Paese e per combattere miseria, fame e ignoranza». Il guru, nato nel Bihar (India del nord) con il nome di Ramkishan Yadav, vorrebbe anche misure drastiche come la pena capitale per i terroristi e per gli stupratori, oltre che per coloro che uccidono le vacche (sacre per gli induisti) e per i santoni indiani corrotti, come quelli che di recente sono stati coinvolti in scandali sessuali e finanziari. Uno dei suoi obiettivi sarebbe di riportare in India i soldi degli evasori fiscali nascosti nelle banche svizzere. Baba Ramdev è famoso per le sue lezioni di yoga in televisione al mattino presto e per le sue cure ayurvediche. Ora però deve stare attento: con un patrimonio da 160 milioni di euro, rischia di finire travolto dal suo stesso ciclone.
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
QUOZIENTE ROMA: UNA MISURA DOVUTA La proposta di delibera di Onorato va accolta e supportata perché un sistema fiscale equo, oltre che sul reddito, va modulato in base alla consistenza ed alle condizioni socio-economiche delle famiglie di un territorio. Ecco cosa penso della proposta di delibera consiliare volta ad introdurre il quoziente familiare nel comune di Roma. Una proposta in linea con il programma Udc, il cui faro è da sempre il sostegno alla famiglia, che mira a sfruttare il federalismo fiscale e i nuovi poteri di Roma Capitale per tutelare i nuclei familiari strutturalmente più deboli, e che maggiormente pagano lo scotto della difficile congiuntura economica di oggi. Una misura che, oltre ad essere un supporto, rivoluzionerebbe il ruolo della famiglia dal punto di vista economico: ogni famiglia avrebbe più reddito netto disponibili che porterebbe ripercussioni positive sui consumi. Senza dimenticare che rideterminando le quote in relazione al ruolo e ai carichi, si fa della famiglia un produttore anziché un fruitore passivo di servizi (come nel caso di assistenza agli anziani in casa o delle tagesmutter), procurando in tal modo un alleggerimento sui costi dell’amministrazione. Una Roma a misura di famiglia è il primo passo verso la regione a misura di famiglia che vogliamo costruire tramite l’introduzione del quoziente familiare su tutto il territorio del Lazio, il bonus bebè ed un “fondo nuovi nati”; agevolazioni e sgravi per nuclei numerosi; servizi per l’infanzia e politiche per gli anziani oltre al sostegno socio-sanitario dei malati e dei non autosufficienti.
APPUNTAMENTI ELETTORALI MARZO 2010 OGGI, ORE 12 NAPOLI-HOTEL MEDITERRANEO
“Impegno e rigore per la Regione Campania” L’onorevole Ferdinando Adornato, coordinatore nazionale Costituente Udc, incontra Pasquale Sommese, Stefano Caldoro. OGGI, ORE 18 TELESE-PARCO DELLE TERME
Ferdinando Adornato incontra Gennaro Santamaria. DOMANI, ORE 10 BARI-KURSAAL S. LUCIA
Ferdinando Adornato incontra Adriana Poli Bortone. DOMENICA 21, ORE 11 POTENZA-TEATRO PRINCIPE DI PIEMONTE
Ferdinando Adornato incontra Gaetano Fierro. DOMENICA 21, ORE 15,00 BATTIPAGLIA-PIAZZA CONFORTI
Ferdinando Adornato inaugura la Sede Udc e incontra gli amici della Provincia di Salerno. SEGRETARIO
Antonio Zanon
Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Riccardo Gefter Woondrich, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci,
Direttore da Washington Michael Novak
Supplemento MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri, Bruno Tabacci
Collaboratori
Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,
Francesco Alberoni, Maria Pia Ammirati,
Roberto Mussapi, Francesco Napoli,
Robert Kagan, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti,
Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo, Stefano Zaccagnini (grafica)
VECCHI E NUOVI PROBLEMI A SERVIZIO DELL’ASTENSIONISMO A campagna elettorale quasi conclusa, restano sopra e sotto il “tappeto”della politica nazionale e regionale i nuovi e vecchi problemi di sempre, più lo spauracchio dell’astensionismo di massa anche in Italia. Francia docet! Cosa che, secondo me, sta spingendo qualcuno a cavalcare il partito del non voto per rappresentare questo sentimento naturamelnte in modo strumentale e ai propri fini. Gli unici sopravvissuti al crollo della Prima e al destino oramai segnato della Seconda Repubblica, sono i “soliti”problemi, che denunciano palesemente l’incapacità dell’attuale classe dirigente che governa il Paese da oltre quindici anni. Il ritorno della spazzatura tra le strade di Napoli e della Campania problema reale - fa solo da cornice a tutto ciò. Direi che, incornicia un quadro politico-istituzionale “evanescente”, pieno di ossessioni e problematiche che, partendo dallo scontro tra il premier e la magistratura, arriva fino alla tv e a tutto quello che viviamo in queste ore, senza avere il “tempo”, la forza e la capacità di risolvere i problemi. Niente di tutto ciò tocca la vita e i problemi di chi vive la quotidianità del Paese reale, in un momento storico socio-economico e culturale dove i cittadini, incalzati dalla crisi, non vogliono e non chiedono più alla politica discussioni e risposte più o meno “ragionate”, ma solo soluzioni. Semplici soluzioni, quelle che portano in sé l’efficienza e l’efficacia di risolvere le cose, e perciò dettate dal buon senso e da una cultura politica moderata. Lontana dagli estremismi di destra e di sinistra, pronta a stipulare un’alleanza con i ceti e le categorie ai quali l’Italia com’è oggi non sta bene e non conviene. Un partito della Nazione per la Nazione, lontano da chi spera di trovare nell’astensionismo esasperato e nei mali italici un motivo per costruire qualcosa di diverso. Vincenzo Inverso S E G R E T A R I O NA Z I O N A L E CI R C O L I LI B E R A L
Mario Arpino, Bruno Babando,
Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,
Giuseppe Baiocchi, Giuseppe Bedeschi,
Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,
Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,
Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi,
John R. Bolton, Mauro Canali,
Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,
Franco Cardini, Carlo G. Cereti,
Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli,
Enrico Cisnetto, Claudia Conforti,
Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi,
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