2010_04_13

Page 1

di e h c a n cro

00413

La libertà, uno se la prende, e ciascuno è libero quanto lo voglia essere

James Baldwin

9 771827 881004

di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • MARTEDÌ 13 APRILE 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Sabato prossimo i funerali solenni delle vittime della tragedia di Smolensk: resta ancora incerto il futuro politico del Paese

Attenti, qua ritorna l’Urss Ucraina e Georgia? “Normalizzate”.Kirghizistan? È in corso un golpe.Ora,con la morte di Kaczynski, anche Varsavia rischia il nuovo dominio di Mosca.È il sogno di Putin: ma l’Europa deve scongiurarlo L’apertura di Fini: «Non è una vergogna cambiare la Carta a maggioranza»

Il giallo delle riforme: perché Berlusconi la “butta in caciara”?

di Antonio Picasso a tragedia che ha decapitato la Polonia apre uno scenario per molti versi inquietante: scorrendo i fatti che hanno coinvolto la Russia in queste ultime due settimane, si ha l’impressione che Mosca si stia preparando per un nuovo ruggito di orgoglio. Come quello risuonato due anni fa contro la Georgia, oppure anco-

L

UN PAESE AL BIVIO

Errico Novi e Riccardo Paradisi • pagine 8 e 9

di Enrico Singer La tragedia di Smolensk mette la Polonia di fronte a un bivio: cercare a ogni costo la continuità con il recente passato o rompere la triangolazione con Usa e Gb e guardare con maggiore attenzione ai nemici di sempre: Berlino e Mosca. a pagina 4

«Attenti, in Russia l’imperialismo non è mai morto: dagli zar a oggi» «Il gas e la politica energetica hanno rilanciato la strategia espansionistica a Est» Pierre Chiartano • pagina 3

Il Pdl strappa Mantova alla sinistra Il centrodestra vince anche a Vibo Valentia grazie ai centristi Nel Pd un asse inedito per la corsa a Palazzo Chigi

Mantova e Vibo Valentia al centrodestra e Macerata e Matera al centrosinistra: questi i responsi più significativi dei ballottaggi per elezioni comunali. Che, comunque, hanno fatto segnare un nuovo record: quello delle astensioni cresciute anche rispetto a due domeniche fa. I risultati più clamorosi, comunque, sono stati quelli di Mantova (dove Nicola Sodano del Pdl ha strappato il comune alla sinistra) e di Vibo Valentia dove ha vinto Nicola D’Agostino con i voti dei centristi.

Nel Pd l’impressione è che ormai il dibattito interno sia ridotto a una corsa a chi la spara più grossa. L’uscita di Romano Prodi, con la lunga coda di apprezzamenti del sindaco di Torino Sergio Chiamparino, è l’ultima “sparata” in ordine di tempo.

a pagina 7

a pagina 11

seg1,00 ue a p(10,00 agina 9 CON EURO

E adesso Chiamparino studia da “nuovo Prodi” di Antonio Funiciello

I QUADERNI)

• ANNO XV •

NUMERO

Obama, non puoi tacere sulla truffa al Darfur

a pagina 2

Votanti a picco per i ballottaggi delle Comunali: 15% in meno del primo turno

di Marco Palombi

Un articolo dell’attrice sul voto nel Paese di Bashir

L’analisi di Lucio Caracciolo

Solo Berlino può salvare la Polonia Il clima sembrava farsi positivo: ma improvvisamente il premier è tornato ad attaccare il Quirinale e a bisticciare con Fini: come mai? Ecco i retroscena raccolti nel Pdl

ra prima contro l’Ucraina. A quasi venti anni dalla piena disgregazione dell’Unione Sovietica, i vertici del Cremlino - soprattutto il suo numero due, il primo ministro Vladimir Putin mostrano tutte le patologie che erano proprie della nomenklatura del Pcus.

69 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

di Mia Farrow a scorsa settimana, Scott Gration, inviato americano per il Sudan, si è detto sicuro che le elezioni - le prime dal 1986 - sarebbero state «libere e trasparenti». Omar al-Bashir, il presidente sudanese, sull’onda di un simile complimento avrebbe dovuto tappezzare l’intera Khartoum «Pressioni di manifesti di e voti ringraziamen- di scambio: to con la scritaltro che ta «We love Gration» stam- una svolta pata un po’ storica!» ovunque. E il motivo è semplice: a parte l’inviato americano, nessun cittadino sudanese pensa che le elezioni possano essere né libere né, tantomeno, trasparenti. Intimidazioni, voti di scambio, manipolazioni e pressioni sulla popolazione fin dentro i seggi sono semplicemente sotto gli occhi di tutti. a pagina 16

L

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


prima pagina

pagina 2 • 13 aprile 2010

Scenari. Mosca sta tornando il principale attore della regione, proprio come succedeva ai tempi dell’Unione Sovietica

Il risveglio dell’Orso

Ucraina, Georgia, Cecenia, Kirghizistan. E ora la tragedia di Smolensk: ecco perché è concreto il rischio di un nuovo dominio russo nell’Est di Antonio Picasso correndo i fatti che hanno coinvolto la Russia in queste ultime due settimane, si ha l’impressione che Mosca si stia preparando per un nuovo ruggito di orgoglio. Come quello risuonato due anni fa contro la Georgia, oppure ancora prima contro l’Ucraina. A quasi vent’anni dalla piena disgregazione dell’Unione Sovietica, i vertici del Cremlino - soprattutto il suo numero due, il primo ministro Vladimir Putin - mostrano tutte le patologie che erano proprie della nomenklatura del Pcus. Un nazionalismo espansionistico oltre i confini naturali dell’ex Impero sovietico, la psicosi dell’accerchiamento, ma soprattutto il tentativo di percorrere altre strade rispetto a quelle dove l’orso russo si è visto costretto a chinare il capo di fronte alla potenza statunitense. Il nuovo trattato per il disarmo nucleare, firmato a Praga la scorsa settimana, è stato osannato come un nuovo passo per lo smantellamento degli arsenali tuttora operativi e che restano un retaggio della guerra fredda. Il presidente Usa, Barack Obama, e il suo omologo russo, Dimitri Medvedev, hanno trovato un compromesso nel rinunciare entrambi a oltre 1.500 testate missilistiche nucleari. È logico che questa decisione torni più favorevole agli Stati Uniti, che dispongono di una capacità economica maggiore per poter effettuare una futura ed eventuale accelerazione nel campo degli armamenti. Questo Putin lo sa bene. Il premier russo si ricorda i motivi della fine della guerra fredda e della sostanziale sconfitta dell’Urss. Motivo, questo, che lo ha portato a mantenersi in ombra sia nell’ultima fase dei negoziati, sia nel corso delle celebrazioni del trattato a Praga.

S

N e l l ’ oc c as i on e i l t a n de m Medvedev-Putin si è separato. Ed è paradossale come quest’ultimo abbia preferito partecipare alle celebrazioni del settantesimo anniversario del massacro di Katyn - altra pagina nera nella storia dell’Urss piuttosto che assistere impotente alla disgregazione del “tesoro atomico”dell’Impero in cui lui, giovane agente del Kgb, si era fatto le ossa. Lasciando da parte questi sentimentalismi

individuali, per alcuni aspetti poco appropriati per una mens algida com’è quella del Premier russo, non sono passati inosservati i “ma e però”sottolineati verbalmente dal Cremlino prima e dopo la firma del trattato. Il Ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, aveva mantenuta aperta la possibilità che la firma potesse essere rinviata ulteriormente, nel caso il suo governo avesse trovato anche

di queste tre macroaree, se non in modo diretto, attraverso politiche ad hoc, per esempio puntando sul settore energetico. È emblematico il caso dell’Ucraina e dei ripetuti ricatti a Kiev, per il passaggio del gas siberiano sul suo territorio, in base a prezzi e imposizioni dettate unilateralmente da Gazprom.

Alla fine del 2004, Mosca era giunta alla convinzione che l’indipendenza del Paese dell’Europa orientale fosse ormai un dato di fatto. Un suo governo a lei compiacente tuttavia

esplicitamente favorevole alle sue mire energetiche. Finora il neoeletto non ha manifestato un’effettiva inversione di rotta rispetto al suo predecessore. D’altra parte, si può supporre che oggi il Cremlino di Mosca guardi il Cremlino di Kiev con fiducia per la ritrovata amicizia. Tant’è che la scorsa settimana Putin si è incontrato con il suo omologo ucraino, Mykola Azarov, per un confronto bilaterale di stampo economico, soprattutto in ambito energetico. Ben più delicata è la questione polacca. La presenza del primo

La Russia ha sempre sentito la necessità di mostrare ai governi occidentali tutta la sua forza. Per questo però, ha bisogno di avere le spalle coperte. Caucaso e Asia centrale quindi non devono essere motivo di preoccupazione per il Cremlino

un minimo “cavillo” sfavorevole. Lo stesso presidente Medvedev ha detto che, oltre allo smantellamento dei missili contenuti nei silos di entrambi gli arsenali, è necessario ragionare anche in termini politici e contenere le reciproche capacità Abm (anti ballistic missile). Un messaggio, questo, chiaramente rivolto agli Usa e alle loro intenzioni di installare alcune basi di missili Patriot in Europa orientale. Finché Mosca non sarà matematicamente certa della rinuncia a questo progetto da parte del Pentagono, è possibile che l’accordo di Praga non venga ratificato. Consapevoli di questi pro e contro e mossi dall’ambizione di tornare a essere la Santa Madre Russia, è possibile che alcuni dirigenti del Cremlino, guidati proprio da Putin, stiano realizzando il classico “Piano B”. Questo sarebbe di natura parzialmente ridotta, dalle velleità puramente regionali, ma altrettanto ambizioso. Da un punto di vista geografico, per Mosca il grande cruccio postUrss è stato quello di aver perso il controllo dell’Europa orientale da un lato, insieme al Caucaso e all’Asia centrale dall’altro. È evidente quanto interessi al Cremlino il recupero

avrebbe colmato questo gap strategico. L’elezione di un europeista e filo-Nato come Viktor Yushenko però fece saltare i piani moscoviti. La “rivoluzione arancione” portò quest’ultimo alla leadership del Paese, senza che Mosca potesse intervenire. In questi cinque anni,Yushenko ha tenuto duro, fra gli aumenti di prezzo del gas russo, che ogni inverno si è fatto più caro, e una classe dirigente nazionale a lui sempre meno favorevole. Con le elezioni dello scorso febbraio però, ha dovuto lasciare il passo a Viktor Yanukovic: amico fidato della Russia ed

ministro russo alle celebrazioni di Katyn è stata accolta positivamente da Varsavia. Il gesto di apertura è stato interrotto però dalla tragedia nella quale è deceduta praticamente l’intera classe dirigente polacca. Gli avvenimenti sono ancora suggestionati dalla emotività collettiva e le relative indagini sono solo all’inizio.Vero è però che il defunto Presidente polacco Kaczynski era uno strenuo difensore dell’ingresso del suo Paese nella Nato e nell’Unione Europea. Come è avvenuto. Sua inoltre era stata la disponibilità all’installazione delle basi missilistiche Usa sul territorio nazionale, oggetto di discor-

dia tra Mosca e Washington. La Polonia ha sempre temuto – e subìto – l’aggressività del potente vicino orientale. Oggi, a Varsavia con le elezioni presidenziali previste a giugno, si potrebbero aprire scenari nuovamente favorevoli alla Russia. Questo significa una sua potenziale proiezione nel cuore dell’Europa. La coincidenza vuole peraltro che, proprio la scorsa settimana, Russia e Polonia abbiano firmato un accordo per una fornitura di gas fino al 2037. La decisione, vantaggiosa ovviamente per Gazprom, alleggerisce le tensioni che erano emerse anni fa in seguito alla nascita del progetto “North Stream”, il gasdotto russo-tedesco che bypasserebbe la Polonia. Con Kiev e Varsavia più accondiscendenti, Mosca riaprirebbe una linea politica squisitamente filo-europeista, iniziata ancora da Pietro il Grande, proseguita a fasi alterne da alcuni zar e soprattutto propria dell’Urss post-staliniana.

La Russia ha sempre sentito la necessità di mostrare ai governi occidentali tutta la sua forza. Per questo però, ha bisogno di avere le spalle coperte. Caucaso e Asia centrale quindi non devono essere motivo di preoccupazione. Sui recenti scontri in Kirghisistan si stanno addensando le ombre della strumentalizzazione del Cremlino, che vorrebbe riprendere il controllo delle Repubbliche ex sovietiche, con la stessa metodologia adottata per l’Ucraina: influenza della Gazprom sulle politiche energetiche nazionali e successivo posizionamento degli uomini di fiducia nei punti chiave delle istituzioni locali.

Così facendo, la Russia creerebbe un cordone sanitario intorno al“caos Asia”, epicentro dell’Islam più radicale che sta lentamente penetrando negli Stan countries, la cui popolazione è comunque musulmana. Il risiko putiniano ha però tre debolezze: la nuova insorgenza terroristica di matrice islamica in Caucaso, l’inaffidabilità degli oligarchi che fanno parte della corte del premier – e che devono essere controllati rigorosamente – e il crescente interesse verso la Russia da parte delle organizzazioni sui diritti umani. Dopo l’attentato alla


prima pagina

13 aprile 2010 • pagina 3

Lucio Caracciolo, direttore di “Limes”, parla delle ambizioni rinnovate

«Ma quell’imperialismo non è mai morto»

Il vero nemico oggi è Pechino: le relazioni con gli Usa restano fondamentali, mentre la Ue è tornata in gioco di Pierre Chiartano ussia e nuovi equlibri mondiali. Abbiamo chiesto al direttore della rivista di geopolica Limes, Lucio Caracciolo di tracciare i contorni del potere russo nella sua area d’influenza. In Ucraina il nuovo governo è filorusso, in Kirghizistan sembra che il rovesciamento del vecchio presidente sia stato favorito da Mosca, poi anche la fortuna ha favorito il Cremlino eliminando forse il leader più antirusso di tutto l’Europa orientale, il presidente polacco morto in un incidente aereo. e alla domanda se stia per tornare l’imperialismo russ, Caracciolo è lapidario. «La Russia è imperiale oppure non è. Chiaramente non si può immaginare la Russia come uno Stato nazionale di tipo europeo, ha una sua storia, una tradizione e dei caratteri abbastanza forti dal punto di vista geopolitica. Negli anni Novanta qualcuno aveva pensato di poter costruire una sorta di Russia modello occidentale. Ridotta nelle dimensioni e soprattutto nelle aspirazioni geopolitiche. Putin ha rovesciato questo disegno». Allo stesso tempo ristabilendo i canoni della Russia storica, ha messo in evidenza quali siano i limiti strutturali di questo Paese. Quelli interni, cioè il funzionamento delle istituzioni che di «democratico e liberale hanno piuttosto poco», e quelli economici che vede un Paese fondamentalmente basato sulla vendita delle materie prime. E non sembra che lo Start e il nuovo approccio della Casa Bianca favoriscano il risorgere di questo modello egemonico.

R

I carriarmati russi entrano in territorio georgiano, nell’estate del 2008. A destra, Lucio Caracciolo. Nella pagina a fianco, l’ex leader ceco Vaclav Havel e il presidente ucraino Yushenko metropolitana di Mosca due settimane fa, il governo sta ricorrendo a misure drastiche, mediante rappresaglie punitive in Daghestan e altre aree del Caucaso. La politica dell’“occhio per occhio” - che è sempre stata caratteristica di Mosca potrebbe essere controproducente, se non è appoggiata dal dialogo fra le istituzioni centrali e i capi mujaheddin più “acquistabili”. A questo va aggiunto il necessario allineamento russo alla cooperazione internazionale contro il terrorismo.

Sul fronte delle oligarchie finanziarie, la vicenda del miliardario azero Telman Ismailov spiega come il libero mercato

posti sotto sequestro perché ritenuti un centro di smistamento del contrabbando e dell’immigrazione clandestina. All’inizio di questo mese però, Putin ha assegnato allo stesso Ismailov la responsabilità dell’organizzazione delle Olimpiadi invernali del 2014, che si terranno nella cittadina cecena di Coci. Putin così ha calato sull’oligarca indisciplinato prima la pena e poi la possibilità di riscatto. Un gesto da “piccolo padre” un suo sudditi.

L’ultimo nodo, quello delle Ong straniere, è il più difficile da sciogliere. A suo tempo l’Urss era impermeabile alle accuse di censura che proveni-

Il risiko neo-sovietico ha però tre debolezze: la nuova insorgenza terroristica di matrice islamica in Caucaso, l’inaffidabilità degli oligarchi che fanno parte della corte del premier e il crescente interesse verso la Russia da parte delle Ong sui diritti umani interno sia in realtà manovrato dal primo ministro russo. Ismailov, magnate del settore alberghiero, era caduto in disgrazia lo scorso anno per la sua scelta di inaugurare in Turchia l’hotel più costoso d’Europa (1,4 miliardi di dollari). Fu un investimento all’estero quando Mosca era nel pieno della recessione finanziaria e che fece perdere le staffe a Putin. Ne conseguì che i mercati moscoviti di Cerkizovski, di proprietà del tycoon azero dove lavorano oltre 100 mila persone per lo più cinesi, furono

vano da oltre cortina. Oggi l’eliminazione fisica di un oppositore - vedi il caso Politkovskaja, la giornalista dissidente uccisa nel 2006 - non passa inosservato. Il Cremlino deve trovare un’alternativa quindi alle maniere radicali e “spicce” che appartenevano al Kgb. Da un lato per conservare l’apparente trasparenza delle sue istituzioni, dall’altro per contenere la tenacia delle opposizioni liberal-democratiche. Ma questo è un compromesso che nessun regime autoritario è mai riuscito a realizzare.

destino subirà? «Mosca da qualche anno è tornata ad essere parte dell’equazione di potenza continentale. Direi con una diffusione della propria influenza, soprattutto per via energetica, paradossalmente più forte in quella parte d’Europa che era stato l’avversario dell’Unione sovietica ai tempi della guerra fredda: la parte occidentale». Rimangono invece vive le diffidenze reciproche nell’Europa Centrorientale. Anche se recentemente, tutti si sono resi conto, «polacchi compresi, che relazioni accettabili e proficue con la Russia sono inevitabili. Soprattutto per chi ci abita accanto». Con un asse Mosca-Berlino poco influente verso il già claudicante processo di consolidamento europeo. «Non vedo alcun processo di costruzione politica in atto. È un discorso teorico. Da un punto di vista pratico la Russia tratta bilateralmente con tutti gli Stati europei, così come fanno gli americani. Non penso che il Cremlino voglia parlare con la baronessa Ashton o con von Rompuj». Insomma mr. Europe non c’è e si fa quel che si può. La nota dolente per il Cremlino sono invece i rapporti verso la Cina.

Il primo ministro ha rovesciato il progetto di costruire una sorta di Paese “modello occidentale”, dotato di poche ambizioni

«Il dato imperiale è consustanziale alla Russia. Per ciò che riguarda il nuovo approccio di Obama, non credo che spossa ancora parlare di una vera e propria strategia nei confronti di Mosca.Vi sono stati segnali molto contraddittori all’interno della stessa amministrazione americana. Certamente Obama sa che non può fare a meno dei russi in molti scenari, dall’Afghanistan all’Iran, e in qualche modo un compromesso l’ha trovato». Un accordo che non favorirebbe di più gli interessi del Cremlino rispetto quelli di Washington, per il direttore di Limes. «Mi sembra sia un buon compromesso tra due Paesi che si rendono conto che gli arsenali nucleari di cui dispongono sono piuttosto obsoleti e inefficienti. C’è bisogno di modernizzare strategicamente le rispettive forze armate con armi nucleari e convenzionali di nuova generazione. Naturalmente bisogna vedere se il Senato Usa ratificherà questo nuovo accordo Start. È una vicenda ancora tutta da definire». E l’Europa in preda alla crisi economica che ne evidenzia ancor più le fragilità politiche, che

«È il vero nemico storico della Russia, sia da un punto di vista geopolitico che cultura. Mosca si considera una prosecuzione dell’Occidente che ha cristianizzato gran parte dell’Asia, sia pure spopolata – parlo della Siberia. E non ha mai trovato un accettabile compromesso con la Cina». Pechino con la sua crescita stratosferica, da un punto di vista economico e demografico è oggi «più un potenziale avversario che un partner». Però è anche un mercato dove vendere armi. «Sì, è vero, la Russia come l’Italia o qualsiasi Paese esportatore di armi non va troppo per il sottile.Vende a chi vuol comprare. Però finora a Pechino,i russi hanno venduto armi non tanto moderne. Non c’è mai stata una partnership seria». Un rapporto con la Cina che potrà essere usato strumentalmente per bilanciare quello con Washington. «Ma con delle relazioni verso gli Usa decisamente più importanti per la Russia». Nel vicino Oriente la Turchia da sodisfazioni, mentre l’Iran qualche preoccupazione. «Con la Turchia i rapporti non sono mai stati così buoni, basati soprattutto sull’energia. Con Teheran c’è ambiguità. Da un lato i russi hanno fornito tecnologia nucleare dall’altro temono l’atomica sciita». Mosca tratta sul nucleare con gli iraniani ma non prepara alcuno scudo antimissile contro l’atomica islamica. «Non credo alle difese antimissile né degli Usa, né di altri. Non ci sono le tecnologie e i costi sono mostruosi».


prima pagina

pagina 4 • 13 aprile 2010

Scenari/2. Fra i papabili ci sono il gemello del defunto Lech, l’ex premier Jaroslav, e Komorowsi. E da Bruxelles si affaccia Buzek

Il bivio di Varsavia

Moderati e nazional-populisti si contenderanno entro giugno la presidenza Dividendosi fra l’odio per gli ex nemici e la voglia di capeggiare un fronte dell’Est di Enrico Singer ancora il momento del lutto e del dolore. I funerali di Lech Kazcynski, di sua moglie Maria e delle altre 94 vittime del disastro di Smolensk che ha decapitato l’élite politica polacca sono stati fissati per sabato. Ancora non è stato scelto il luogo in cui saranno celebrati: forse la cattedrale di Varsavia, forse quella di Cracovia. Di sicuro ci sarà il presidente russo, Dmitri Medvedev. Probabilmente ci sarà anche Barack Obama. E ci saranno tutti i leader europei e quelli di tanti altri Paesi riuniti attorno alle bare di quello che è stato già definito l’11 settembre polacco. Perché, come è stato per la politica degli Stati Uniti, anche per quella della Polonia niente sarà più come prima. Dalle elezioni presidenziali anticipate, che si terranno entro giugno, uscirà un altro Paese. Chi teme più nazionalista e intransigente nei confronti dei nemici di sempre - la Russia e la Germania - se a prevalere sarà il sospetto di un complotto o il rancore per la maledizione di Katyn. Chi spera più pragmatico e disposto a chiudere finalmente i contenziosi con Mosca, colpevole di mezzo secolo di sovranità limitata, e con Berlino alla quale, non dimentichiamolo, Lech proprio preKazcynski sentò un conto da 45,3 miliardi di euro per danni di guerra.

È

È p r e s t o p e r d ir e quale di questi due scenari dominerà il futuro della nuova Polonia. Molto dipenderà dagli uomini: dai candidati che i due schieramenti maggiori - quello dei moderati e quello dei nazional-populisti - metteranno in campo. Il resto lo farà l’emozione profondamente scossa di un elettorato che, dal 1991 a oggi, ha già cambiato per tre volte la direzione del Paese e ha macinato leader storici della riconquista della democrazia e

dell’indipendenza, compreso lo stesso Lech Walesa, padre di Solidarnosc e primo presidente - dal 1990 al 1995 - della Polonia libera dal protettorato sovietico. E sulla “pancia” dei polacchi punta adesso il fratello gemello di Lech Kazcynski, Jaroslav, l’ex primo ministro battuto nelle elezioni del 2007. Qualcuno ipotizza che, sfruttando l’onda emotiva che sta investendo milioni di polacchi, Jaroslav decida, alla fine, di candidare se stesso alla più alta carica dello Stato. Anche perché quello che era stato già designato come candidato ufficiale del suo partito, il Pis (Pravo i sprawiedliwosc, che vuol dire Diritto e giustizia), Przemyslaw Gosiewski, è morto sull’aereo precipitato a Smolensk. Gosiewski era il vicepresidente del partito che i gemelli Kazcynski fondarono nel 2001 sulla base di un credo profondamente nazionasta, euroscettico e populista, imbevuto di spirito antirusso e antitedesco, nonché da elementi omofobi e persino razzisti. Un movimento che, nelle politiche del

2007, raggiunse il 32,1 per cento dei voti, ma che nei sondaggi fatti prima dello schianto del Tupolev non reaccoglieva più del venti per cento delle intenzioni di voto.

Le elezioni presidenziali erano già in programma per il prossimo autunno, scadenza naturale del mandato di Lech Kazcynski che era diventato presidente nel 2005. E nessuno considerava possibile una vittoria del candidato del Pis tanto che il partito, di cui è presidente Jaroslav Kazcynski, ave-

Al vaglio tutte le ipotesi

Il Tupolev dei misteri e quella volta che in Georgia... di Nicola Accardo

Il partito Diritto e giustizia dei gemelli Kazcynski non aveva alcuna possibilità di vincere nelle elezioni previste per ottobre va ripiegato sul numero due Gosiewski. Il grande favorito era - e in parte rimane - il candidato dell’attuale maggioranza di governo della coalizione

isteri, sospetti, accuse e rancori. Il lutto avvolge tutta la Polonia, indistintamente, ma i veleni cominciano ad affiorare, latenti, attendono solo che si calmino le acque per alimentare polemiche. Sono tre i punti poco chiari della tragica vicenda. Il primo, già ampiamente discusso, è legato alla doppia cerimonia per la commemorazione delle vittime di Katyn, con la presenza di Tusk e Putin giovedì scorso e quella, prevista, di Kaczinski al fianco di Medvedev sabato. Era stata voluta fortemente dal presidente antirusso, in aperta polemica con il primo ministro Tusk e i suoi modi pragmatici nelle relazioni con Putin. Così una parte della classe dirigente è sana e salva, un’altra è andata incontro alla tragedia. Unico superstite: il Generale Jaruzelski, simbolo della svolta storica, odiato e amato dai polacchi, ideatore della Tavola rotonda con Solidarnosc

M

liberal-conservatrice Piattaforma civica (Po, in polacco, Platforma obywatelska), Bronislaw Komorowski. Per lui, uomo molto vicino al premier in carica, Donald Tusk, nonché presidente del Sejm, il Parlamento, la corsa elettorale di ottobre sarabbe stata una marcia trionfale. Dal giorno del disastro di Smolensk, per la sua carica istituzionale, è già diventato presidente della Repubblica ad interim. Ma la sua vittoria nel voto anticipato - proprio lui entro due settimane dovrà indire le elezioni - non è più così scontata. Anche perché nella rosa dei “presidenziabili” potrebbe entrare qualche outsider. Come Jerzy Buzek, che ora è presidente del Parlamento europeo, e che alcuni osservatori politici di Varsavia considerano l’uomo che potrebbe mettere tutti d’accordo.

La famiglia Buzek è protagonista della storia politica del Paese sin dai vent’anni turbolenti della Polonia libera tra le due guerre mondiali. E Jerzy ha partecipato a tutti i movimenti democratici anticomunisti, compreso Solidarnosc, per poi fondare Akcja wyborcza Solidarnosc, la coalizione elettorale che lo portò - dal 1997 al 2001 - a guidare un governo di centrodestra polacco. Se questi saranno i candidati, o se scen-

che ha avviato l’europeizzazione della Polonia. Kaczinski gli aveva negato un posto su quell’aereo.

Poi c’è l’aspetto interno, la lunga discussione sulla flotta presidenziale, da cambiare perché non al passo coi tempi, per di più prodotto della tecnologia russa ai tempi della Guerra Fredda. L’ex premier Leszek Miller l’aveva detto nel 2003, quando si era miracolosamente salvato dopo una caduta in elicottero: «I nostri aerei vanno cambiati, non vorrei che prima o poi succeda qualcosa di grave». Il mistero tutto da risolvere resta tuttavia l’incidente di sabato, l’atterraggio mancato, cercato con prepotenza, pur di arrivare in tempo alla cerimonia attesa da 70 anni. Ieri la Gazeta Wyborcza scriveva: «Le regole prevedono che solo il comandante di un aereo decide se atterrare o meno, non deve consultarsi con nessuno. Neanche se ha davanti a sé il Ca-


prima pagina

13 aprile 2010 • pagina 5

trato il suo omologo russo,Vladimir Putin, erano state pronunciate parole di conciliazione che avevano aperto uno spiraglio di conciliazione. Putin aveva detto testualmente: «Dobbiamo andare l’uno verso l’altro, dobbiamo ricordare il nostro passato, ma dobbiamo renderci conto che non possiamo più viverlo da soli». La responsabilità del massacro di quasi 22mila tra ufficiali, soldati e civili polacchi fucilati e sepolti in fosse comuni nel bosco di Katyn settant’anni fa dai reparti speciali dell’Nkvd, la polizia segreta sovietica di allora, per Vladimir Putin è «soltanto di chi la ordinò»: di Stalin, quindi, e non del popolo russo. Tantomeno della sua dirigenza attuale. Una mano tesa, un tentativo di riannodare rapporti di amicizia tra Mosca e Varsavia che - se il Tupolev non si fosse schiantato a Smolensk - sarebbe stata offerta anche da Medvedev a Lech Kazcynski.

deranno in campo altre personalità, lo sapremo soltanto quando sarà annunciata la data delle presidenziali. Ma il futuro della Polonia non dipenderà soltanto dai nomi dei pretendenti alla successione di Lech Kazcynski, quanto dalla svolta che il nuovo presidente, sulla spinta della maggioranza dei polacchi che lo sceglierà, saprà imprimere alla linea politica di Varsavia. All’interno del Paese e nella sua posizione in Europa. Da quando è uscita dall’orbita opprimente dell’impero sovietico, prima, e da quando è entrata nell’Unione europea, poi, la Polonia ha sempre privilegiato l’orgoglio nazionale e, in fondo, isolazio-

nista che ha accompagnato la sua storia sin da quando doveva difendersi dalla Prussia, da una parte, e dalla Russia, anche zarista, dall’altra. La presidenza di Lech Kazcynski aveva esasperato i sentimenti antirussi e anti-tedeschi della Polonia profonda, aveva puntato sull’asse preferenziale con gli Stati Uniti (accettando anche lo scudo missilistico proposto da Bush e cancellato da Obama), aveva accarezzato la leadership di una specie di fronte degli ex Paesi dell’Est entrati nella Ue, aveva sponsorizzato l’apertura all’Ucraina e alla Georgia portando anche personalmente a Tbilisi il suo appoggio al presidente Mikhail

po dello Stato o il Capo delle forze aeree. Forse hanno parlato tra di loro, ma questo non possiamo affermarlo». L’ipotesi è in piedi e c’è un precedente. Era l’agosto del 2008, Kaczynski volava in Georgia per stringersi attorno a Saakashvili durante la crisi con la Russia. Il comandante si rifiutava di atterrare a Tblisi perché l’aeroporto non era dotato di moderni sistemi di navigazione. Racconta il giornalista Jedrzej Bielecki, che si trovava a bordo del Tupolev: «Siamo atterrati a Baku e Kaczynski ha minacciato di licenziarlo».

Seguirono polemiche, con esponenti del partito presidenziale che attaccarono la condotta del pilota, imbarazzando gli altri partiti e gli esperti di aeronautica. Quella volta Kaczynski chiese di atterrare lo stesso a Tblissi, che l’abbia fatto anche a Smolensk nessuno può provarlo e saranno le scatole nere a rivelare se

Saakashvili nei giorni dell’invasione russa. Aveva anche boicottato in tutti i modi il nuovo Trattato di Lisbona della Ue cercando di prendere la testa di quel movimento trasversale che, con diversa intensità, esiste in tutti i Paesi arrivati nell’Unione europea dal disciolto impero sovietico e che è sempre meno sicuro che la Ue sia capace di proteggerli da una possibile rimonta dell’imperialismo russo in salsa putiniana.

Le paure di Varsavia hanno radici profonde nel caso dei disegni di Mosca ed anche in quelli di Berlino. Non solo perché la storia non si cancella e quasi sempre presenta il suo

il pilota fosse sotto pressione prima del tentativo di atterraggio. Il personale dell’aeroporto di Smolensk descrive come “impeccabile”, la condotta del pilota, che ha fatto un “eccellente” tentativo di riportare in quota l’aereo nonostante l’impatto con l’antenna del radar e gli alberi.

«Il problema è che non bisognava atterrare con una nebbia così fitta», spiega l’ex pilota e capo dei tecnici dell’aeroporto Aleksei Koroczin. La torre di controllo aveva consigliato al pilota di deviare verso Mosca o Minsk. Mezz’ora prima un aereo militare con a bordo membri della Protezione civile russa aveva seguito il consiglio, stava per toccare terra ma è comunque ripartito alla volta della capitale. Il Tupolev presidenziale, considerato aereo civile, non aveva l’obbligo di obbedire al suggerimento della torre. Ha fatto tutto da solo. E si è schiantato.

Il primo ministro russo Vladimir Putin visita il luogo a Smolensk dove si è abbattuto il Tupolev con a bordo la delegazione polacca. Nella pagina a fianco: in alto Lech Walesa, leader del primo sindacato autonomo Solidarnosc ed ex presidente polacco; in basso, il defunto Lech Kaczynski

La Polonia teme ancora il risveglio dell’imperialismo russo e l’asse preferenziale di Berlino con il Cremlino in nome di gas e petrolio conto. Ma perché anche l’attualità ha offerto alla Polonia di Lech Kazcynski l’occasione di resuscitare i fantasmi del passato. Se con Putin e Medvedev lo scontro si era sviluppato sulla Georgia, sullo scudo di Bush e sui rifornimenti di gas e di petrolio, anche con Angela Merkel il contenzioso non era soltanto sul risarcimento dei danni di guerra, ma si alimentava con i sospetti di un possibile asse russo-tedesco sulla politica energetica che avrebbe - nell’ottica di Varsavia - isolato ancora di più la Polonia in Europa. La partita del futuro di questo Paese - che è tassello fondamentale della Ue e cerniera con il resto dell’Europa orientale - sta proprio qui. Se dovesse vincere la “pancia” di un elettorato che considera la «nuova Katyn» - come l’ha definita anche Lech Walesa - un attentato all’orgoglio nazionale, il nazionalismo populista polacco potrebbe rafforzarsi e rappresentare un pericolo in più per la coesione dell’Unione europea, già incrinata da tante divisioni interne. Due giorni prima del disastro di Smolensk, quando a celebrare l’anniversario della strage di Katyn era andato il premier polacco, Donald Tusk, che aveva incon-

Basterà a rassicurare i polacchi e a convincerli che Mosca non è più un nemico? Per allontanare il sospetto di un incidente provocato, lo stesso Putin ha preso la guida della commissione d’inchiesta russa sul disastro aereo. Ma questa mossa - che nella logica russa vuole dimostrare quanta importanza viene data dal Cremlino alla morte dei leader polacchi che erano sul jet - in Polonia divide l’opinione pubblica perché c’è anche chi la considera come una blindatura delle indagini da parte del governo russo e non come la garanzia di arrivare davvero alla verità. È questa incertezza, questa spaccatura tra la gente che, tra poco più di due mesi, dovrà andare a votare che rende incerta ogni previsione sul futuro della Polonia. E che alimenta le speranze di un recupero del partito Diritto e giustizia e del gemello di Lech, Jaroslav Kazcynski. I numeri e la logica, tuttavia, spingono ad augurarsi che, da oggi a giugno, l’emozione lasci il posto alla ragione e che prevalga la linea portata avanti da tre anni ormai: da quando la guida del governo di Varsavia è passata al liberal-conservatore Donald Tusk e soltanto uno dei due gemelli Kazcynski era rimasto sotto i riflettori della politica polacca. Che il candidato di Alleanza civica alle prossime presidenziali sia l’attuale presidente ad interim, Bronislaw Komorowski, o l’outsider Jerzy Buzek, la vittoria del fronte moderato assicurerebbe alla Polonia un futuro più integrato in Europa. Se la ricucitura delle ferite con la Russia richiederà, comunque, tempi ancora lunghi, una molto più rapida riconciliazione potrebbe esserci tra Varsavia e Berlino. E, attraverso questa, la nuova Polonia potrebbe finalmente chiudere il suo lungo capitolo di isolamento e di rancore.


diario

pagina 6 • 13 aprile 2010

Cantieri. Dopo l’accordo all’Eurogruppo arriva la prima risposta positiva dai mercati. Oggi nuova prova per i bond ellenici

Grecia, il piano piace solo in Borsa La Merkel avverte: non significa che il salvataggio verrà utilizzato ROMA. Fatto l’accordo per salvare la Grecia, c’è già chi lo mette in discussione. Ed è la Germania, che pure dovrebbe mettere sul tavolo aiuti per 8,4 miliardi di euro. Christoph Steegmans, a nome della Cancelleria, ha spiegato che «il fatto che sia disponibile un estintore, non significa che verrà utilizzato». Quindi s’interverrà soltanto se Atene non riuscirà con mezzi propri a contenere le fiamme, a pagare i suoi debiti. Non la pensa diversamente il premier George Papandreou: se il suo governo chiederà a Ue e Fondo monetario lo stanziamento degli aiuti, sarà soltanto per «l’andamento degli spread». In ogni caso, contro «il terrorismo psicologico da parte dei mercati ora c’è un meccanismo di sostegno, che l’usiamo o no». Di diversa opinione i mercati. Che non potevano accogliere meglio il piano di Bruxelles. Le Borse hanno iniziato a correre verso l’alto. L’euro ha frenato la sua caduta, arrivando poco sotto gli 1,36 sul dollaro. Persino lo stesso spread dei titoli di Stato ellenici si è ridotto di 67 punti base rispetto ai Bund tedesco. Con la sua dote da 30 miliardi il piano Ue ha riportato sui mercati fiducia e liquidità. E se c’è stato in corsa d’opera un riallineamento verso il basso, questo lo si deve al fatto che i maggiori listini hanno dovuto fare i conti con trimestrali peggiori rispetto alle previsioni, mentre l’euro ha scontato una serie di realizzi. Il giudizio sul breve periodo,

sariamento della politica economica da parte dell’organismo di Washington. Il premier continua a vivere «nella speranza che la pistola carica sul tavolo» spinga i finanziatori del debito ellenico a comprare i loro bond e a fornire denaro con tassi più bassi di quelli di mercato (oggi intorno al 7 per cento). Anche perché Papandreou sa bene che la stretta concordata con l’Eurogruppo porterà il deficit di Atene di poco sotto il 9 per cento, mentre il Pil regi-

Il premier Papandreou è pronto a non chiedere finanziamenti alla Ue e all’Fmi se i Paesi membri garantiranno ad Atene denaro a prezzi accettabili quindi, è positivo. Ma sono in pochi a scommettere su quali saranno gli effetti a medio e lungo termine qualora il piano europeo rimanesse inapplicato. Anche perché gli operatori non amano quello che il presidente Ue José Manuel Barroso ha definito ieri «un compromesso all’italiana». Che il piano resti sulla carta lo spera anche Papandreou. E non soltanto perché i prestiti di Ue e Fondo monetario comporterebbero tassi altissimi (intorno al 5 per cento e al netto dell’inflazione) e il commis-

cato T-Bill greci da sei e dodici mesi pari a un valore di 1,2 miliardi di euro. Mentre il 22 aprile, con la ripresa dello sciopero generale contro l’austerity, sapremo il grado di tenuta del governo socialista. Di conseguenza ad Atene ci si accontenta della giornata di tregua concessa ieri dai mercati: la Borsa locale ha chiuso in crescita del 3,5 per cento, dopo aver sfiorato durante la giornata anche il +5, mentre il rendimento del titolo decennale è tornato sotto la soglia del 7 per cento e quello del bond biennale al 5,8. Se è difficile sapere come e quando Atene sarà costretta ad accettare l’aiuto dei suoi vicini, allo stesso modo non si conoscono ancora le condizioni del prestito che porrà il Fondo monetario internazionale. Ma è facile immaginare che i rendimenti saranno di poco più bassi al 5 per cento ipotizzato dai governi dell’unione monetaria.

di Francesco Pacifico

strerà una contrazione di 4 punti percentuali. Per non parlare del fatto che il pacchetto di aiuti garantisce il rifinanziamento del debito, non i costi della ristrutturazione economica. Ci vorranno settimane prima di capire se la Grecia riuscirà a evitare i prestiti di Ue e Fmi, i cui rendimenti fanno dire in un’intervista a Repubblica all’economista Jean-Paul Fitoussi che questa «non è vera solidarietà europea». Qualcosa in più si comprenderà oggi quando arriveranno sul mer-

Industria: primo segno positivo dopo la crisi

Sale la produzione ROMA. Soddisfazione a metà per le aziende italiane in lieve risalita dopo un ano di crisi nera: stando ai consueti rilevamenti dell’Istat, la produzione industriale a febbraio ha registrato una variazione positiva del 2,7% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. A guardare il bicchiere mezzo pieno, si può annotare che si tratta del primo rialzo tendenziale dall’inizio del 2008. Ma a guardarlo mezzo vuoto bisogna aggiungere che il dato risulta invece invariato rispetto a quello di gennaio 2010. L’incremento, comunque, è relativo sia all’indice grezzo della produzione industriale, sia all’indice corretto per gli effetti di calendario (i giorni lavorativi sono stati 20, come a febbraio 2009). I dati grezzi non crescevano da luglio 2008, mentre quelli corretti erano fermi da aprile dello stesso anno. L’anali-

si per settore di attività economica evidenzia che a febbraio l’indice corretto per gli effetti di calendario ha segnato, rispetto allo stesso mese del 2009, gli incrementi più marcati nei settori dei prodotti chimici (+15,7%), della fabbricazione di computer e prodotti di elettronica e ottica (+9,9%) e dei mezzi di trasporto (+9,1%). In diminuzione sono risultati, invece, l’industria del legno, carta e stampa (-4,7%), l’attività estrattiva (1,8%) e i macchinari e le attrezzature non classificati altrove (-1,3%). Per quanto riguarda in particolare la produzione di autoveicoli, l’incremento tendenziale è stato del 16,1% su base annua (dato corretto per effetti di calendario). Nei primi due mesi del 2010 l’indice ha segnato un aumento del 31,3% rispetto al periodo gennaio-febbraio del 2009.

Intanto da Bruxelles è stato ribadito che il governo ellenico non potrà fare un arbitraggio sul prestito a costo più basso e l’intervento del Fondo «sarà contestuale» a quello dell’Eurozona, ma nella misura di un terzo- due terzi rispetto alla somma necessaria. Senza contare che Berlino ieri sottolineava come l’ultima decisione sarebbe stata presa all’unanimità in un vertice straordinario e ad hoc dell’Eurozona. Più in generale è stato anche deciso che ogni prestito bilaterale avrà un proprio tasso d’interesse e specifiche procedure di approvazione (passaggi parlamentari compresi), prima di convergere in un meccanismo unico, centralizzato dalla Commissione europea e dalla Banca centrale europea, la struttura che erogherà i soldi chiesti da Atene. Intanto girano già stime sulla ripartizione del prestito tra gli Stati membri. Partendo dalle quote in mano delle Bce, la parte da leone la farà la Germania con un contributo di 8,4 miliardi di euro. Seguono la Francia con 6 miliardi, l’Italia con 5,4 miliardi, la Spagna con 3,67, l’Olanda con 1,8, il Belgio con circa 1 miliardo. Sotto questa cifra il Portogallo con 775 milioni, l’Irlanda circa 450 milioni. Faranno la loro parte anche Austria, Finlandia, Malta, Cipro, Slovacchia e Lussemburgo.


diario

13 aprile 2010 • pagina 7

L’intervento del pm al processo sui diritti di Mediaset

Una frana travolge l’R108, tra le vittime due minorenni

Milano contesta il legittimo impedimento

Deraglia treno, nove morti e trenta feriti a Bolzano

MILANO. «La legge sul legitti-

ROMA. Come tutte le mattine era partito ieri da Malles, provincia di Bolzano, alle 8 e 20. Una breve corsa nella Val Venosta che avrebbe portato a Merano molti pendolari e studenti. E invece, ad attendere il treno regionale R108 c’era un tragico appuntamento col destino. Poco prima delle 9, il convoglio sferraglia vicino a una gola molto stretta. Questione di secondi, poi un turbine. Una colata di acqua e fango che si abbatte sulla motrice con uno schianto, i vagoni che si rovesciano e le lamiere che scompaiono in un’onda densa. Poi solo il panico dei sopravvissuti, e il silenzio di chi non ce l’ha fatta. È questa la prima ricostruzione del terribile incidente, che ha fatto dera-

mo impedimento firmata dal presidente della Repubblica lo scorso 7 aprile è incostituzionale secondo gli articoli 101 e 138»: lo ha sostenuto ieri il pm della procura di Milano, Fabio De Pasquale, nel corso del processo sulle presunte irregolarità nella compravendita dei diritti tv di Mediaset che vede tra gli imputati il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Dopo la lettera depositata dai legali del premier nella quale il segretario della presidenza del Consiglio ha indicato come prossime date utili per celebrare il processo il 21 e il 28 aprile, il pm ha rilevato che se «di fronte a una certificazione del segretario della presidenza del Consiglio il giudice deve rinviare il processo anche per mesi, allora la legge è costituzionalmente illegittima».

Per De Pasquale, la legge sul legittimo impedimento rappresenta un caso di «tanto rumore per nulla perché la novità normativa che introduce è veramente modesta». Il rappresentante della pubblica accusa ha spiegato che questa legge si limita ad ampliare i casi di legittimo impedimento già riconosciuti dall’ordinamento, «ma non dice nulla sul fatto che il legittimo impedimento produca

Il Pdl strappa Mantova al centrosinistra Astensioni record per il ballottaggio delle comunali di Marco Palombi

ROMA. I ballottaggi si chiudono con due fatti rilevanti: la scontata bassa affluenza e un pareggio che è una sostanziale sconfitta per il Pd e Pierluigi Bersani. Il segretario democratico aveva fissato a Mantova, uno dei quattro capoluoghi di provincia in palio e storica roccaforte rossa in Lombardia, la ridotta in cui resistere alla ventata leghista che ha spazzato via il partito dalle zone più ricche e popolose del Paese. Fiorenza Brioni però, sindaco uscente, è stata sconfitta dallo sfidante Nicola Sodano, che ha evidentemente manovrato meglio nella fase degli apparentamenti tra primo e secondo turno: il candidato del centrodestra infatti, oltre all’appoggio di una lista civica che aveva ottenuto l’8% dei consensi, ha capitalizzato anche il sostegno di una parte dell’Udc cittadino (che pure, ufficialmente, s’era schierato con la Brioni). Quale che sia la spiegazione, niente ridotta mantovana per il Partito democratico dunque, nonostante in città a fare campagna elettorale si fossero presentati lo stesso Bersani e Massimo D’Alema. Anche Vibo Valentia, altro capoluogo, passa dai fasti ulivisti di cinque anni fa – sindaco eletto al primo turno col 64% dei voti – ai sei voti su dieci arrivati ieri al cavallo del Pdl Nicola D’Agostino (premiato anche da quel quarto di elettori che al primo turno avevano scelto il candidato centrista Daffinà). Ribaltone verso destra anche in altri comuni dal peso rilevante – tra i quaranta e i cinquantamila abitanti - come Cerignola, in provincia di Foggia, Tivoli, vicino Roma, e Pomigliano d’Arco (Napoli), quest’ultima nota come la “Stalingrado del Sud”, tanto che il neosindaco ha subito proposto il 12 aprile come “vera festa della Liberazione della città”. A proposito di Stalingrado meridionali, anche San Giovanni in Fiore, centro dell’altopiano silano che in sessant’anni ha conosciuto solo giunte rosse, è passata ad un sindaco PdL-Udc. Considerando l’esito complessivo dei ballottaggi anche nei piccoli centri non si può non notare come l’era del centrosinistra in Calabria e, soprat-

tutto, Campania sia decisamente finita. Nella rubrica “onda di centrodestra” va almeno segnalato anche il caso di Vigevano, in provincia di Pavia, dove il candidato della Lega al ballottaggio ha surclassato col 73% dei voti quello del Popolo della Libertà.

Per sorridere Bersani può guardare in sostanza alla sola Matera. Nel capoluogo della Lucania il centrosinistra ha strappato il sindaco agli avversari anche se di soli duecento voti: 14.300 quelli presi dal nuovo primo cittadino Salvatore Adduce, che succede così a Nicola Buccico, consigliere laico del Csm in quota centrodestra affossato in autunno da faide interne alla sua maggioranza (da allora il comune era commissariato). Il Pd, poi, tiene anche l’ultimo capoluogo in ballo - Macerata, nelle Marche - solo che lo fa passando dalla vittoria al primo turno col 58% del 2005 a quella di ieri, al ballottaggio e con uno scarto di soli 126 voti. Il centrosinistra conserva anche il primo cittadino del comune più popoloso tra quelli arrivati al ballottaggio: Giovanni Speranza è stato rieletto col 65 percento dei consensi dai cittadini di Lamezia Terme, paesone in provincia di Catanzaro che conta all’ingrosso 70mila abitanti. Il Pd, peraltro, può vantare anche un buon risultato in Lombardia: esclusa Mantova i ballottaggi sono finiti 3 a 3 e il centrosinistra ha strappato la guida del “comune Mediaset”, ovvero Cologno Monzese, paese a nord di Milano che ospita gli studi televisivi del Biscione (ma anche quelli di Sky Italia, Disney Channel e altri). Anche in Piemonte, sottolineano a via del Nazareno, i democratici confermano il sindaco di Moncalieri, quinto comune della regione per popolazione. A Galatina, infine, in provincia di Lecce, sulla scia della buona prova di Adriana Poli Bortone alle regionali, va segnalata la vittoria del candidato di Io Sud e Udc, Giancarlo Coluccia, che ha sconfitto quello del PdL Maurizio Fedele (il comune, peraltro, cinque anni fa andò al centrosinistra al primo turno).

Anche a Vibo Valentia il centrodestra vince grazie al voto dei centristi. Centrosinistra a Macerata e Matera

o meno impossibilità assoluta a comparire in aula del presidente del Consiglio». Tuttavia, davanti alla certificazione dell’impossibilità di Berlusconi a partecipare al processo fino alla data del 21-28 luglio, saremmo di fronte a «un’interpretazione costituzionalmente illegittima». Che avrebbe come conseguenza il rivolgersi alla Consulta. In ogni caso la richiesta principale della procura è quella di invitare la difesa di Berlusconi a fornire delle date per la celebrazione delle udienza: «Anche di sabato e di domenica», ha aggiunto De Pasquale. Immediata la replica di Nicolò Ghedini che ha contestato l’intervento del pm.

gliare ieri mattina il treno regionale Merano-Malles provocando la morte di almeno nove passeggeri e il ferimento di altre ventotto. A causare l’incidente, ha spiegato Florian Schroffenegger, ufficiale del corpo permanente dei Vigili del Fuoco di Bolzano, è stata una frana che ha colpito il treno dopo essersi staccata dalla montagna sovrastante la linea ferroviaria. Una valanga di acqua e fango di quattrocento metri cubi, con un fronte di stimato di dieci o quindici metri, che ha travolto in pieno l’R108, treno della società di trasporti Sad, che è gestita dalla Provincia autonoma.Tra le vittime riportate alla luce dai soccorritori, anche il macchinista e due ragazzini minorenni, mentre i trenta feriti, di cui almeno sette molto gravi, sono stati trasferiti negli ospedali nella zona tra Silandro e Merano.

Pare che dietro la frana, secondo quanto riferito dall’assessore provinciale alla Mobilità Thomas Widmann, ci sia il cedimento di un tubo per l’irrigazione. «Nei prossimi giorni sapremo di più sulle responsabilità», assicura Widmann. Ma a neanche un anno dalla tsciagura di Viareggio, la morte corre ancora sui binari italiani.


politica

pagina 8 • 13 aprile 2010

Sdoppiamenti. Le polemiche sono un equivoco, dicono i fedelissimi del Cavaliere: «Ai dettagli del sistema francese non ha ancora pensato»

Ma le vuole le riforme? Pensando alla giustizia, Berlusconi preferisce il conflitto con Napolitano al clima di accordo di Errico Novi

ROMA. Che senso ha ravvivare

chiaro nella testa: mettere il leader in collegamento diretto con il popolo per restituire al Paese, spiegano, «un potere rappresentativo democratico». Sempre secondo i fedelissimi del Cavaliere, infatti, è proprio a quest’urgenza «e non al mero interesse personale», che si collega l’ansia di riformare «profondamente» l’ordinamento giudiziario, a partire dall’attribuzione «a un’Alta Corte fatta non solo di togati» delle funzioni disciplinari del Csm. «Anche perché se non si ricrea un equilibrio tra magistrati e politica», prosegue l’interpretazione autentica, «un presidente della Repubblica scelto direttamente dagli elettori si ritroverebbe nelle stesse condizioni in cui oggi è Berlusconi: sarebbe intercettato, impedito nell’azione di governo grazie alla continua minaccia della Corte costituzionale, pronta a ghigliottinare ogni legge sgradita». A tale insofferenza si ricollegherebbe, secondo il meccanismo del “falso scopo”, la sfuriata del Cavaliere contro i «consiglieri del Quirinale che controllano anche le virgole».

il fuoco della polemica a ogni occasione, accentuare le distanze con Fini, attaccare a freddo Napolitano? A cosa punta Berlusconi? Non a fare le riforme, si direbbe. Dalle ultime sortite sembra che il premier cerchi una confusione paralizzante piuttosto che la via d’uscita. Eppure l’interpretazione autentica fornita negli ambienti vicini al Cavaliere porta ad altre conclusioni: «Al presidente in questo momento non preme fissare una road map precisa sulla nuova forma di governo. Quella verrà dopo. In testa ha solo una cosa: destrutturare completamente il sistema di potere oligarchico in cui la magistratura è degenarata».

L’ennesima crisi diplomatica creata con il presidente della Camera altro non è dunque se non un colossale equivoco. Un contropiede subito da un Berlusconi «che non ci ha ancora messo la testa, sulla riforma costituzionale» e che «non ha approfondito i dettagli di un futuro assetto presidenziale». Un Berlusconi insomma al quale adesso interessa altro, cioè la giustizia, e che in mente ha solo quella. Si spiega così, dunque, lo «stupore» che viene accreditato dai suoi, con cui il premier ha accolto le puntualizzazioni di Fini sul doppio turno che lui, il Cavaliere, aveva invece bocciato. Certo, non c’è dubbio sul fatto che una legge elettorale con i ballottaggi al leader del Pdl non sia mai piaciuta, in ossequio alla teoria secondo cui l’elettorato di centrodestra non sarebbe abbastanza «militarizzato» da reggere due elezioni in quindici giorni. Ma, come dice Fabrizio Cicchitto, «siamo appena all’inizio». E «ferma rimanendo la scelta favorevole a un dato elementare, l’indicazione diretta del popolo nei confronti della leadership», fa notare il capogruppo del Pdl a Montecitorio, «poi l’architettura sarà tutta da verificare». Cicchitto enfatizza l’unico punto che, anche secondo altre fonti interne, Berlusconi ha ben

Alibi utili a far pas-

A fianco, Roberto Calderoli. In alto, Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi. Nella pagina a fianco, Gianfranco Fini

sare l’imminente lodo Alfano costituzionale? La tesi viene smontata con un argomento considerato inoppugnabile nel mondo berlusconiano: i sondaggi. A Palazzo Grazioli infatti circolano da giorni le analisi pubblicate ieri da Ilvo Diamanti su Repubblica: la stragrande maggioranza degli astenuti è

formata da elettori del Pdl. Chi ha tradito il Pd ha dirottato il proprio consenso su Di Pietro o, dove possibile, su Grillo. E Berlusconi ha individuato, con i suoi, la causa di questa disaffezione proprio nella mancanza di una vera riforma della giustizia. «Il presidente ne è convinto», raccontano ancora dal suo entourage, «una parte del no-

nere di cose il presidente non sbaglia mai». In ogni caso nelle mani di Berlusconi ci sarebbe un’altra certezza: l’insofferenza anti-giudici sarebbe fortissima anche nell’elettorato leghista. Tanto da rendere assolutamente indolore, per Bossi, l’esplicito sostegno alla «controriforma della giustizia». Non a caso, è il ragionamento del Ca-

Prima dell’elezione diretta, per Silvio, viene l’intervento per «liberare il Paese dall’oligarchia giudiziaria». Poi ci sarà tempo anche per un primo ministro lumbàrd che «non creerebbe un dualismo» stro elettorato è indispettita dai troppi, inutili interventi tampone, che non hanno certo ricondotto i magistrati a più miti consigli». E qui le “prove” si sprecano: «L’inchiesta di Bari, la richiesta di rinvio a giudizio per i diritti Mediaset», fino all’ultimo caso fresco di giornata, ossia l’eccezione di costituzionalità che la Procura di Milano ha sollevato proprio ieri.

Anche l’elettorato del Pdl condividerebbe, dunque, questo “senso di oppressione della democrazia” provocato dall’ingerenza delle toghe. Serpeggia, nell’opinione pubblica di destra, la frustrazione per una democrazia non abbastanza “diretta” e libera da pregiudiziali. Sarà vero? A Palazzo Grazioli assicurano che «su questo ge-

valiere, la Lega reclama da anni «l’elezione dei procuratori sul territorio, come avviene negli Stati Uniti».

È così importante, per il premier, procedere alla definizione di questo dossier, prima di passare alla riforma delle altre istituzioni, che davvero è disposto a dare la carica di primo ministro a «un Maroni», come suggeriscono i berlusconiani. L’uscita di Roberto Calderoli, insomma, non sarebbe frutto di una fantasia lanciata al galoppo: è tutto vero, a quanto pare. Silvio mediterebbe davvero la coabitazione con un premier leghista (l’inquilino del Colle ovviamente sarebbe lui, forte dei maggiori poteri assicurati da una riforma alla francese) e al limite il ministro


politica

13 aprile 2010 • pagina 9

Fini torna a parlare di riassetto istituzionale. Senza polemizzare col premier, stavolta

«Presidenzialismo, una via italiana» «Non sarebbe uno scandalo se la maggioranza, dopo aver tentato il dialogo con l’opposizione, cambiasse da sola la Costituzione» di Riccardo Paradisi on è detto che l’Italia debba per forza ispirarsi a un modello istituzionale straniero, ma potrebbe inventarne uno tutto proprio. Gianfranco Fini, davanti agli studenti del liceo classico Giulio Cesare di Roma, torna sulla questione delle riforme e lo fa evitando stavolta polemiche nei confronti del premier Silvio Berlusconi che aveva parlato di semipresidenzialismo alla francese senza doppio turno e senza modifica della legge elettorale. Una formula che Fini aveva definito ”sloganistica” nei giorni scorsi.

N

Ora Fini rilancia, indicando una terza

della Semplificazione ha avuto il torto di lasciarsi sfuggire la primizia. Eppure in gioco non ci sarebbe solo l’appoggio del Carroccio sulla giustizia. Il motivo per cui Berlusconi accarezza con piacere la prospettiva di una diarchia con Maroni o con un altro colonnello di Bossi sta anche nella considerazione sempre più bassa che ha del Pdl. E, soprattutto, nella convinzione che un primo ministro del suo stesso partito darebbe inevitabilmente vita a una forma di dualismo.

Il teorema è semplice: un colonnello leghista non coltiverebbe mai ambizioni sconsiderate. Non arriverebbe mai al punto da contendere la leadership di Berlusconi, se non altro perché resterebbe pur sempre un fedele soldato del Senatùr. Solo con un simile schema, al di là di ogni altra considerazione, il Cavaliere potrebbe salire al Colle più alto senza il timore di vedersi scavalcato un minuto dopo le elezioni. Doppio turno, voto contemporaneo per presidente della Repubblica e governo, fedeltà al sistema francese: tutti questi sono argomenti, assicurano i fedelissimi, che Silvio non ha ancora affrontato con «metodo». Adesso c’è solo la giustizia, con il necessario sostegno della Lega: la Repubblica francese, con un uomo di Bossi al governo, è sullo sfondo. E può ancora attendere.

strada: «Non so se il modello francese sia il migliore per il nostro Paese, potremmo anche dar vita a un sistema tutto italiano. Al di là delle scelte, dobbiamo stare attenti al principio che dobbiamo garantire, perché una democrazia risponde a due fattori, quello rappresentativo e quello governante. Non so se il modello francese sia il migliore per il nostro Paese potremmo anche dar vita a un sistema tutto italiano. Al di là delle scelte, dobbiamo stare attenti al principio che dobbiamo garantire, una democrazia risponde a due fattori, quello rappresentativo e quello governante». A prescindere dal modello, però, Fini si dice convinto della necessità delle riforme.

Da fare, al limite, anche senza l’accordo con l’opposizione: «È opportuno ma non indispensabile che una riforma così importante come quella del sistema istituzionale italiano sia condivisa da un numero il più ampio possibile delle forze politiche, ma non si può dire ”vergogna” se la maggioranza modifica da sola una parte della costituzione», dice Fini riferendosi all’articolo 138 della Carta. Tuttavia le riforme costituzionali che non ottengono subito il consenso di almeno i due terzi del Parlamento possono essere sottoposte a referendum confermativo: e «sulla base dell’ esperienza passata - fa notare il presidente della Camera, ricordando la riforma varata nella XIV legislatura e cassata in sede referendaria - c’è il rischio che il referendum imponga un prendere o lasciare, visto che questo strumento non prevede soluzioni parziali. Per questo bisogna cercare fino all’ultimo di coinvolgere il più possibile una maggioranza quanto più vasta». In coda Fini ri-

sponde a una domanda sulla prevista riforma della giustizia, ribadendo di essere «per la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e inquirente ma senza che i Pm siano alle dipendenze dell’Esecutivo». Insomma quella di Fini al liceo romano è stata una sortita interlocutoria, che nulla aggiunge e nulla toglie alla partita interna alla maggioranza sulla strategia da adottare per le riforme e sul ruolo che nel centrodestra spetterà ai vari attori nel processo di revisione costituzionale.

Resta il fatto che i rapporti tra Fini e Berlusconi restano se non tesi certamente molto freddi. Fini considera un affron-

(Adolfo Urso, segretario di Farefuturo). Il sereno pieno potrebbe tornare entro la settimana dopo il probabile incontro tra il premier di ritorno dagli Usa e Fini. In attesa a gettare acqua sul fuoco è il presidente dei deputati Pdl Fabrizio Cicchitto: «Fermo rimanendo la scelta favorevole a un dato elementare, l’indicazione diretta del popolo nei confronti della leadership, l’architettura sarà tutta da verificare attentamente. In questo quadro è auspicabile un rapporto positivo e costruttivo tra le alte cariche istituzionali». Fase di studio dunque, clima di tregua armata. L’orizzonte dove guardare per capire l’evoluzione della scacchiera del centrodestra è il campo d’azione di Generazione-Italia la corrente finiana organizzata da Italo Bocchino che ha già debuttato sul web lo scorso primo aprile e che i prossimi 8 e 9 maggio verrà ufficialmente presentata a Perugia con la partecipazione diretta di Gianfranco Fini.

Bocchino ha intanto rilasciato una lunga dichiarazione su YouTube dove presenta le forze dell’aggregatore, come lui lo chiama, nel Pdl: «Generazione Italia in dieci giorni - dice il vicepresidente dei deputati Pdl – ha già fatto registrare dei numeri molto importanti. Abbiamo avuto circa 20.000 accessi unici al nostro sito, circa 60.000 pagine sono state lette, ma soprattutto è la qualità dei commenti che ci soddisfa. È la dimostrazione che davvero si può costruire attraverso internet un laboratorio di idee. Abbiamo avuto un successo importante anche su facebook, dove in pochi giorni sono quasi 6000 gli iscritti alla pagina di Generazione Italia e lo stesso sta accadendo su Twitter e sugli altri social network. Dopo le migliaia di richieste per dar vita ai circoli o a strutture territoriali virtuali attraverso facebook e il web, nei prossimi giorni individueremo le modalità per strutturare Generazione Italia sul territorio, in modo da rappresentare le nostre idee e le nostre tesi in tutte le province d’Italia». E sarà questa – dicono fonti molto vicine al presidente della Camera – la prova del nove per Fini, il dato su cui capirà se poter contare su divisioni concrete. Dopo la stagione dei guastatori di Farefuturo Fini vorrebbe ora uscire dalla politica virtuale dei social-network e dei webmagazine per misurarsi con la politica reale. dove le idee si pesano col consenso e si misurano coi rapporti di forza.

L’ex leader di An si dice d’accordo per la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e inquirente ma senza che i Pm siano alle dipendenze dell’Esecutivo. Entro la settimana l’incontro col Cavaliere to il fatto che Berlusconi a più di due settimane dal voto regionale non abbia ancora trovato l’occasione per stabilire un contatto con lui, mentre con il leader della lega Umberto Bossi ha tenuto addirittura un vertice ad Arcore. La polemica finiana contro l’ipotesi di semipresidenzialismo alla francese senza doppio turno rilanciata da Berlusconi da Parigi, come il rinsaldarsi dell’asse tra presidenza della Camera e colle si inquadra in questa stizza finiana dopo che il risultato delle amministrative e la prospettiva della fase costituente sembrava aver generato un nuovo clima di tregua. Clima interrotto anche dalle dichiarazioni delle leve finiane sul presidenzialismo berlusconiano: «Alla sudamericana perché ritagliato su misura sul premier» (Italo Bocchino), «un presidenzialismo cileno»


pagina 10 • 13 aprile 2010

panorama

ragioni&torti di Giancristiano Desiderio

Addio a Berselli, «anti-maestro» alla Flaiano e avessi potuto, io Edmondo Berselli me lo sarei portato a casa. Perché non era mai noioso, non era scontato, stava mille e più miglia lontano dal conformismo ma non era per nulla snob. Berselli era popolare e al contempo aristocratico. Un signore, se questa parola desueta ha ancora un buon valore. Mi disse: «Ho scritto di canzoni, musica e calcio perché ho lavorato con persone, come Nicola Matteucci, che sapevano tutto di filosofia e costituzionalismo, Kant ed Hegel, allora io mi interessai di ciò che loro non sapevano». Nel 2006 scrisse un libro strepitoso, Venerati maestri, e io che conducevo una trasmissione televisiva su una rete Rai semiclandestina - RaiFutura - lo invitai a parlarne. Accettò di buon grado e venne a discutere con eleganza della teoria generale che serve per capire la cultura nazionale: la “bella promessa”che può evolvere o saltare nel cerchio dei “soliti stronzi” e da lì - ma sono in pochi a farcela - spiccare il volo verso l’empireo dei “venerati maestri”.

S

I libri di Berselli, insieme con gli altri che - vedrete - ora verranno fuori, resteranno, come sono rimasti a parlarci per sempre i libri di Flaiano e Longanesi. Quello appena citato, i Venerati maestri, inizia così: «Nei momenti di malumore, sempre più frequenti, io confesso che non mi piace nulla. Non mi piace un romanzo, non mi piace un film, la musica, la televisione, non mi piace praticamente niente di quanto viene prodotto in Italia. Non mi piacciono gli indiscutibili. Non mi piace ‘o presepio. Non mi piace Roberto Benigni. Non mi piace Susanna Tamaro». A me piaceva da matti il suo modo di scrivere, di dire, di pensare. Aveva un dono o, meglio, una “conquista”: attraverso canzoni, cantanti, mode, modi, automobili, battute, aneddoti, sapeva parlare dell’Italia di ieri e di oggi. Il “non sapere”di filosofia e di costituzionalismo - come diceva - era una scusa bella e buona per parlare delle cose gli piacevano perché avevano il gusto del suo Paese che amava. Nella pagina di Berselli, come nei suoi articoli, ci sentivi un’aria di famiglia: non era astratto, saccente, intellettuale, era concreto, umile, popolare. Era stato direttore di una delle riviste più importanti del secondo dopoguerra «Il Mulino», ma la cosa la faceva passare in secondo ordine. Era un intellettuale anti-intellettuale. Il suo libretto Il più mancino dei tiri - edito da Il Mulino e poi recentemente riproposto da Mondadori - è diventato un classico del genere e non nascondo di averlo studiato e ripreso qua e là per scrivere le mie cosette di calcio e filosofia. In Adulti con riserva spiegò alla sua maniera perché il Sessantotto e il rumore del rigore ideologico del Pci avrebbero finito di lì a poco per spegnere quel sano individualismo dei ragazzi italiani qualunque, rappresentati da Celentano e Mina, che avevano fatto una rivoluzione “beat” con jeans, minigonne, rock e twist e senza la solfa e l’impostura dell’impegno e della contestazione. È finito il pezzo e mi accorgo di non aver parlato di politica. Gli farà piacere.

Un giorno in Questura (e uscirne felici...) Una testimonianza di rara umanità all’ufficio immigrazione di Anna Camaiti Hostert

ROMA. Andare all’ufficio centrale immigrazione della Questura di Roma è un’esperienza che ogni europeo dovrebbe provare per riconquistare un senso reale di partecipazione e di umiltà che gli abitanti dei paesi ricchi del mondo hanno ormai dimenticato. Questo non solo perché per arrivare all’ufficio si deve compiere un viaggio fino nelle periferie degradate di Roma e dintorni, ma anche per l’umanità dolente che vi si incontra: una Babele di lingue, etnie e colori. Ci sono anziane signore indiane, vestite con sari tradizionali, che conversano nella loro lingua. C’è una giovane slava con due bambini e mezzo: uno nel passeggino, uno in braccio e uno in pancia. Viene aiutata da un giovane arabo che, dopo averla vista in difficoltà, si offre di reggerle per un momento il piccolo in attesa che possa prendere dalla borsa il biberon per dargli del latte. Poi c’è un gruppo di neri che scherza e ride in piedi fuori della porta. Sono giovani. Li avrà costretti a fuggire qualche feroce guerra civile o saranno state la fame e le carestie a far loro sfidare traversate in mare che a volte sono senza ritorno? Trovano quattro posti a sedere vicini, ma alla fine due di loro li lasciano ad una coppia di anziani cinesi che, si vede, sono lì da molto tempo. Insomma, l’apparente degrado interno dell’edificio è inversamente proporzionale al senso di solidarietà che unisce tutti, a prescindere dal colore della pelle, dall’età o dalla provenienza di classe.

ciso di passare metà del suo tempo a Roma e metà a Chicago. Così, da extracomunitario, ha chiesto il permesso di soggiorno che gli è stato accordato solo dopo molto tempo che era scaduto, nonostante avesse fatto domanda nei tempi consentiti.

Questa volta dunque è prevenuto. Dopo varie chiamate alla sonnacchiosa questura di quartiere, il giorno prima infatti gli viene risposto che deve andare alla posta e chiedere un kit con l’elenco dei documenti. Non convinto della risposta, decide di telefonare all’ufficio centrale di immigrazione. Una gentilissima signora Mariapia gli fornisce subito una precisa lista dei documenti che deve portare con sé il giorno dopo. Alla sua richiesta se avrebbe potuto chiedere di lei la mattina seguente la signora risponde che non si deve preoccupare perché troverà altre persone competenti. Molto titubante George decide di affidarsi alla sorte. Alla fila che precede lo smistamento prima di andare ad uno sportello fa presto, e già questo lo sorprende. Così, dopo avere ritirato il suo numero, nota subito con preoccupazione che allo sportello a cui deve andare non c’è nessuno. Dal display sembra tuttavia che il suo turno verrà presto. Improvvisamente viene chiamato il suo numero e il poliziotto dietro il vetro gli fa alcune domande. Dopo essere andato a fare una fotocopia del suo permesso di soggiorno vecchio ed essersi complimentato per come George porta bene i suoi anni, il giovane gli annuncia che avrà un permesso illimitato e dovrà tornare il 13 aprile a ritirarlo. Alla domanda ironica di George «di quale anno?», Gianluca, che parla bene inglese e che capisce lo scherzo, gli risponde ridendo: «Il prossimo mese, signore». Quando George meravigliato lo ringrazia e gli dice che in generale nelle istituzioni americane ha notato che c’è forse più organizzazione, ma mancano la solidarietà diffusa e la grande umanità che si respirano qui, gli viene risposto con un certo orgoglio: «Beh, signore, facciamo quello che possiamo per aiutare la gente».Viene da chiedersi come mai le Mariapia e i Gianluca, che lavorano con casi umani certamente più complicati della media delle istituzioni italiane, siano ancora preziose eccezioni nel panorama nazionale degli uffici pubblici italiani.

Al contrario che negli Usa, qui in Italia l’organizzazione è inversamente proporzionale alla solidarietà e alla gentilezza

Spesso le file sono lunghe, i documenti non sono in regola e molti di loro dovranno tornare. Altri invece già devono rifare la fila perché qualcosa che non sembrava in regola è stato chiarito. Il tutto in una lingua che molti non capiscono bene o che hanno appena imparato. Perché qui ci sono quelli che lavorano e vogliono regolarizzare la loro situazione e che, quasi sempre per cavilli burocratici o per mancanza di informazioni, devono tornare e ritornare per vedere completate le loro pratiche. E spesso ci vuole tempo, molto tempo, troppo. Come è accaduto a George la prima volta. George però è un cittadino americano che è stato alla guida di una prestigiosa università cattolica di Chicago ed è stato poi mandato a dirigere un campus decentrato a Roma. Si è innamorato dell’Italia a tal punto che quando è venuto il momento della pensione ha de-


panorama

13 aprile 2010 • pagina 11

La disputa sulla gestione federale del partito è solo uno schermo dietro al quale si gioca una partita molto più generale

Chiamparino a lezione da Prodi Nel Pd comincia la guerra per il prossimo candidato premier del centrosinistra di Antonio Funiciello

ROMA. Nel Pd l’impressione è che ormai il dibattito interno sia ridotto a una corsa a chi la spara più grossa. L’uscita di Romano Prodi, con la lunga coda di apprezzamenti del sindaco di Torino Sergio Chiamparino, è l’ultima ”sparata” in ordine di tempo. Che, come accade sistematicamente nel Pd, va interpretata per i suoi obiettivi politici piuttosto che nel merito delle questioni proposte. Nel merito, infatti, l’idea del nuovo duo Prodi-Chiamparino non dice nulla di più di quanto nel centrosinistra si discute da quasi vent’anni. Oggi, per altro, se il Pd solo volesse, potrebbe darsi una forte strutturazione federale, come il suo statuto (che nessuno ha mai letto) prevede da due anni. Altra cosa è pensare a una specie di tavola rotonda dei segretari regionali del Pd che si riunisce ed elegge un primo tra pari come segretario nazionale. Una roba del genere non esiste neppure negli Stati Uniti, che pure è una vera federazione di stati. Ancora più fragile è la tesi chiampariniana a supporto dell’ipotesi prodiana, per cui gli ammorbanti correntismi sarebbero guariti da una siffatta rifondazione dal basso del partito. L’imbarbarimento correntizio del Pd è, infatti, dovuto principalmente alla divisione per feudi interni che il partito conosce su base locale. Una divisione rafforzata dal sistema elettorale per le regionali, fon-

dato sull’originalità tutta italiana del proporzionale a preferenza unica.

Non resta che provare a capire cosa ci sia dietro alla proposta. Da parte del professore bolognese c’è il chiaro tentativo di scongiurare ogni ipotesi presidenzialista, a cui il Pd potrebbe cedere in cambio di un sistema elettorale che non gli spiacesse. L’obiettivo di Prodi resta il Quirinale, ma se l’assetto istituzionale conoscesse una qualche evoluzione, debole o forte, in senso

presidenzialista, i sogni quirinalizi di Prodi sfumerebbero nel nulla. Da parte di Chiamparino, d’altro canto, non c’è che da mettere in discussione radicalmente l’intero assetto di vertice del Pd, per pensare di poter svolgere il ruolo di nuovo Prodi per le elezioni politiche del 2013. Chiamparino, come Veltroni, è allergico alle battaglie interne al partito e, difatti, aveva rinunciato a sfidare Bersani e Franceschini, quando risultò chiaro che il Pd non intendeva al congresso riunirsi intorno al suo salvatore torinese. Da par suo, invece, Prodi aveva benedetto l’ascesa di Bersani, liberando i suoi più vicini - Bindi e Letta nel sostegno al suo ex ministro. Dopo la vicenda Delbono, l’articolo di domenica sul Messaggero certifica l’atto di sfiducia dell’ex premier nei confronti di Bersani.

Il sindaco di Torino si mette sulla scia del Professore che punta al Quirinale dopo Napolitano

Al Nazareno vedono in cagnesco l’uscita del duo Prodi-Chiamparino e in special modo le ambizioni di leadership del centrosinistra di quest’ultimo. Bersani non s’aspettava, dopo la sconfitta alle regionali, che il professore rivoltasse il coltello nella ferita. Come se non bastasse l’inventore dell’Ulivo, Bersani credeva poi che Chiamparino sarebbe stato buono fino alle prossime comunali della primavera del 2011. E, invece, il sindaco di Torino non perde occasione per tuonare contro il Pd ro-

manizzato e sottolineare la sua esperienza vincente di governo di una grande città del nord. Bersani, che di suo è di Piacenza, considera sleale questo continuo attacco. Intendeva recuperare Chiamparino per i suoi obiettivi, magari con un incarico importante al Nazareno dopo la scadenza del mandato sindacale, così da poterlo affiancare all’altro suo uomo del nord Penati.Tuttavia si ritrova a dover gestire il protagonismo di un uomo politico molto amato dall’elettorato di centrosinistra, avendo già Veltroni in libera circolazione ad accattivarsi simpatie a cui lui non sa ammiccare.

Chiamparino ha le idee chiare e a fare il pensionato non ci pensa neppure. Prodi è con lui e il giro dei suoi pretoriani potrebbe arricchirsi. Fassino, che dovrebbe finire a fare il sindaco di Torino sostituendo proprio Chiamparino, potrebbe strizzare l’occhio alla leadership nazionale del suo predecessore torinese. Lasciando tranquillamente Bersani alla segreteria, ma scavalcandolo alla maniera prodiana nella direzione dell’operazione ”elezioni politiche 2013”. Se poi altri leader, come Veltroni e D’Alema, si dovessero convincere dell’ipotesi Chimparino premier, per il sindaco di Torino la strada potrebbe di colpo essere tutta in discesa. E la leadership bersaniana potrebbe considerarsi virtualmente conclusa.

Rumors. Ad alleggerire i suoi impegni arriverà Crosetto, promosso anche per “risarcire” il Pdl Piemonte

Un vice ministro per La Russa di Valentina Sisti iù rappresentatività nel governo», aveva chiesto il Pdl del Piemonte, all’indomani della vittoria del leghista Cota, in una lettera pubblicata su La Stampa. E ora, le voci di un’imminente nomina a viceministro del sottosegretario cuneese alla Difesa Guido Crosetto ha tutto il sapore di un risarcimento. «Vogliamo capire meglio quale sia il nostro peso in Piemonte - spiega il coordinatore regionale del Pdl Ghigo - Per questo stiamo attendendo un incontro per la prossima settimana di una nostra delegazione composta dai parlamentari piemontesi e dai neoeletti in consiglio regionale, con i tre coordinatori nazionali per chiedere spiegazioni». La candidatura di Cota aveva preso in contropiede gli azzurri del Piemonte, lasciando una ferita aperta. Solo qualche mese prima, il Piemonte era tappezzato da uno strano manifesto che ritraeva l’ex governatore, allora candidato in pectore per il Pdl, che metteva una mano sulla spalla dell’attuale neo governatore. Naturale, allora, sperare in una rimessa in gioco di Ghigo, fortemente pena-

«P

lizzato, che fino a un certo punto aveva sperato di occupare la poltrona lasciata libera da Zaia al ministero dell’Agricoltura. Ma ora, le voci insistenti su un cambio con Galan al dicastero non fanno che alimentare i mal di pancia tra gli azzurri piemontesi. E, venuta meno la possibilità di sostituire Fitto

puntellare il ruolo di La Russa, costretto a dividersi tra il coordinamento del partito e la fitta agenda di ministro. Tramontata ormai l’ipotesi di passare dal triumvirato a un coordinamento unico, il ministro è sembrato in più di un’occasione lasciar trapelare qualche segno di stress da sovraccarico di lavoro. Come quando, intervenendo a difesa del crocifisso, dopo la decisione della Corte europea aveva ripetuto: «Possono morire, possono morire, loro e quei finti organismi internazionali che non contano nulla». O ancora, quando durante una visita a New York, nello scorso novembre, aveva risposto a un contestatore chiamandolo «pedofilo». Fino all’episodio del marzo scorso, quando, durante una conferenza stampa di Berlusconi, aveva dapprima invitato un attivista politico a smetterla di interrompere il premier, afferrandolo poi per il bavero della giacca. Ecco che allora la nomina di Crosetto potrebbe essere finalmente di giovamento.

Gli azzurri del Nord-Ovest non hanno troppo gradito la vittoria del leghista Cota e ora chiedono maggiore rappresentatività nel governo alle Politiche regionali, a Ghigo non rimane che la corsa alle comunali del 2011.

Anche perché, dopo la nomina del bresciano Saglia dopo la scomparsa di Martinat, il Pdl piemontese si trova solo con un altro sottosegretario, Bartolomeo Giachino ai Trasporti. La nomina di Crosetto, però, oltre a riequilibrare i rapporti di forza tra Pdl e Lega, risponderebbe anche alla necessità di


pagina 12 • 13 aprile 2010

a Sindone resta un mistero, cui milioni di persone stanno rendendo un devoto omaggio. Un mistero intorno al quale si addensano teorie, devozioni e ricerche scientifiche, e ciononostante mantiene elementi di impenetrabilità. Un fascino arricchito da una storia complessa e in cui gli studiosi tirano in ballo sempre nuovi protagonisti, da Pilato ai crociati ai templari. Che il lino conservi davvero l’immagine del corpo di Gesù neanche la Chiesa lo afferma con dogmatica certezza. La Chiesa cattolica non si esprime ufficialmente sulla questione dell’autenticità, lasciando alla scienza il compito di esaminare le prove a favore e contro, ma ne autorizza il culto come reliquia o icona della Passione di Gesù; diversi pontefici, da Pio XI a Giovanni Paolo II, hanno inoltre espresso il loro personale convincimento a favore dell’autenticità. Ma che non si tratti del sudario di Gesù è impossibile da dire. Specialmente perché nessuno sa spiegare come si sia generata l’immagine. È quasi certo che per “produrre”la Sindone servisse comunque un corpo di un uomo crocifisso. E negli ultimi tempi si sono susseguiti annunci di scoperte e di teorie che aggiungerebbero tasselli importanti alla storia della Sindone, mentre resta forte il campo di chi contesta l’autenticità della reliquia. La Sindone è un lenzuolo di lino, di forma rettangolare e dimensioni di circa 442x113 cm, sul quale è visibile la doppia immagine frontale e dorsale “in negativo” del corpo di un uomo con barba, baffi e capelli lunghi, sottoposto a una serie di torture che richiamano chiaramente flagellazione, coronazione di spine, mani e piedi trapassati da chiodi, ferita di lancia nel costato, e infine crocifisso. Le corrispondenze tra i fatti descritti nei Vangeli e i segni lasciati sul corpo che appare sul lino sono impressionanti, dai segni dei chiodi a quelli delle spine fino alla ferita di lancia sul costato. L’altezza dell’uomo, che ha il mento appoggiato sul petto, non è stata definita con certezza: tra i 168 e i 183 centimetri. Una prima immagine più lampante deriva dalle macchie ematiche, ma la vera impronta del corpo deriva da un misterioso scolorimento del telo, un ingiallimento del tessuto. L’impronta è molto superficiale e per questo compare solo sulla faccia anteriore del lenzuolo, mentre le macchie ematiche passano anche sul retro. Nel 1868 Secondo Pia fotografò la Sindone e scopri che il negativo mostrava chiaramente una faccia e i contorni di un corpo precedentemente martirizzato.

L

Il corpo dell’uomo non si incrocia sulla testa, come verrebbe da pensare se fosse derivata da un sudario che avvolge un corpo, ma questo è stato spiegato con la probabilità che una benda avvolgesse il capo del cadavere dal mento fin sopra la testa, per tenere chiusa la mascella. La trama del tessuto è a spina di pesce, cosa non insolita ma che per ora non coincide con gli altri due sudari del primo secolo ritrovati dagli archeologi in Palestina. Il lino è segnato dalle tracce dell’incendio che si sviluppò nel 1532 nella cappella del castello di Chambery, mentre è scampata indenne all’incendio della cappella del Duomo di Torino nel 1997. Documenti ritrovati di recente svelano che nella sua storia contrastata la Sindone è scampata anche a un altro pericolo: dopo una sosta in una cappella del Quirinale, dal 1939 al 1946 la Sin-

il paginone

L’ostensione nel Duomo torinese come al solito richiama migliaia di pellegrini che

Il volto, il pop

Il celebre telo della Sindone esposto a Torino è il sudario di Cristo o un falso medioevale? La Chiesa lascia la risposta alla scienza. Che si divide in due scuole di Osvaldo Baldacci done è stata nascosta dai Savoia e dal Vaticano in un convento benedettino in Irpinia, nell’abbazia di Montevergine: questo perché c’era la certezza che Hitler se ne volesse impossessare. È una delle tante recenti rivelazioni che sono state fatte in prossimità dell’Ostensione, alcune delle quali hanno già suscitato ampi dibattiti e posizioni opposte, come quelle relative al fatto che sul telo compaiano delle scritte. La Sindone è forse l’oggetto storico più studiato al mondo, e sicuramente uno di quelli sottoposto ai più accesi dibattiti sull’autenticità. La sua storia è documentata con certezza a partire dalla metà del XIV secolo, data della sua apparizione nel nord della Francia, in mano alla famiglia de Charny. Da allora la storia è abbastanza ben documentata, fino al suo arrivo per linea ereditaria in Savoia in mano alla

È certo che per “produrre” l’immagine tridimensionale servisse il corpo di un uomo crocifisso. E anche su questo negli ultimi tempi si sono susseguiti annunci di scoperte e nuove teorie futura casa regnante d’Italia, che infine la donò al Papa. Le controversie sono sulla sua storia precedente.

Per chi contesta l’autenticità della Sindone, essa è un falso medievale creato dai de Charny per arricchirsi con le offerte portate alla reliquia. A sostegno di questa tesi di falsificazione ci sono alcuni elementi oggettivamente interessanti, ma nonostante tutto non definitivi. Il primo e più noto è il fatto che la datazione al radiocarbonio 14 effettuata nel 1988-89 su incarico della Chiesa ha dato come risultato proprio il periodo tra il 1260 e il 1390, del tutto coincidente con la prima comparsa del telo. Meno noto c’è un altro elemento, una relazione del 1389 del vescovo di Troyes Pierre d’Arcis a Clemente VII il quale afferma che gli risultava che il suo predecessore Enrico di Poitiers dopo un’indagine aveva accertato che la Sindone era un falso artificialmente dipinto e avrebbe anche trovato e processato l’artefice. Ma altri dettagli non ne dà, e nonostante la diffidenza che a quanto pare proveniva pri-

ma di tutto proprio dalla stessa Chiesa, la Sindone non fece che accrescere la sua fama e la venerazione di cui è stata oggetto nei secoli. Il Papa dopo l’indagine non tenne conto delle affermazioni di d’Arcis, sospettato di invidia interessata, e gli impose di tacere autorizzando un limitato omaggio dei pellegrini. Tra l’altro tra le poche informazioni che dà il vescovo, non comprovate, spicca quella che indica il telo come un dipinto, cosa che certamente non è. E infatti gran parte del mistero della Sindone si incentra proprio sul problema di come è stata prodotta. Nonostante i pubblicizzati tentativi di riproduzione, nessuno davvero ha ottenuto risultati soddisfacenti. Ci sono alcuni punti fermi: non si tratta di un dipinto. La caratteristica più significativa è quella coloritura solo della superficie più esterna del tessuto. Ed è praticamente assodato che si tratti di un’immagine tridimensionale, anche se con un’inspiegata particolarità: l’immagine è una perfetta proiezione sul telo, senza le deformazioni che avrebbe

l’impronta lasciata da un corpo sul lenzuolo che lo avvolge. Chi quindi non crede alla sua autenticità, ha l’onere della prova di dimostrare come è stata realizzata, e tutti ormai sono orientati a cercare comunque un processo inedito, che preveda qualche superficie tridimensionale, almeno un bassorilievo. Ma i tentativi di imitazione restano fallimentari. L’unico risultato ottenuto è una recente scoperta italiana: nel 2008 gli scienziati dell’Enea di Frasca-


il paginone

13 aprile 2010 • pagina 13

e vedono nella reliquia che raffigura il volto e il corpo di Gesù un oggetto di fede

polo, il mistero

di studi antichi e recenti ce ne sono molti, con teorie diverse, scoperte controverse ma anche una linea prevalente abbastanza coerente. Secondo una ipotesi diffusa la Sindone prima di arrivare in Europa avrebbe avuto una storia nota in Oriente ma forse con un altro nome: gode di molto credito l’ipotesi che essa sia da identificare con il “mandylion” o “Immagine di Edessa”, un’immagine di Gesù molto venerata dai cristiani d’Oriente. Un percorso possibile è quello da Gerusalemme a Edessa (oggi Urfa) e poi nel 944 a Costantinopoli. Qui il nodo che lega al storia al suo passaggio in occidente, prima in Francia poi dal 1572 a Torino. Il momento cruciale sarebbe il 1204, ultimo anno in cui sacre immagini riportabili alla Sindone sono citate, in particolare una nella ba-

plari in oriente. Il traffico di reliquie era punito con la scomunica, quindi i Templari non ufficializzarono mai il possesso, ma tra le accuse a loro rivolte c’era quella di venerare immagini presentate dagli accusatori come di idoli, in particolare quella di un uomo barbuto. Un’immagine che secondo documenti studiati dalla Frale era proprio un telo di lino con impressa la figura di un uomo che veniva adorata praticando il bacio sui piedi. Esiste poi una cassapanca templare che ha raffigurato proprio lo stesso volto della Sindone. I de la Roche avevano legami con i de Charny, e questa via sarebbe l’anello mancante. Peraltro questo percorso ha coincidenze con un altro famoso studio sindonico, seppur anch’esso non privo di contestazioni, quello dei pollini: sul telo sono stati trovati pollini che fanno pensare a un suo possibile passaggio in Palestina, Medio Oriente, Anatolia e Grecia nei secoli precedenti al XIV. Il biologo svizzero Frei Sulzer ha individuato sul telo pollini di oltre 50 piante, presenti non solo in Europa, ma anche nelle aree palestinese (otto) ed anatolica. Ricercatori israeliani hanno inoltre rinvenuto tracce di particolari piante appartenenti alla zona di Gerusalemme, tre delle quali vivrebbero insieme solo in quell’area.

Ma la Frale ha fatto rumore anche con un’altra teoria. C’è chi infatti sulla Sindone legge delle parole scritte. Con le tecniche più recenti la Frale avrebbe rimesso in ordine le proposte di vari studiosi ricavando il fatto che il testo sarebbe scritto in un misto di greco. Latino e aramaico e farebbe riferimento esplicito a “Gesù nazareno re dei giudei”, cosa per la quale la studiosa ipotizza si possa trattare dell’atto notarile di conferma della morte e di consegna del corpo da parte di un funzionario di Pilato. Le scritte non sarebbero state fatte direttamente sul lino, ma sarebbero un’impressione da papiri allegati al sudario. Ma l’ipotesi è accolta con prudenza da molti, con scetticismo da alcuni, che contestano l’esistenza delle scritte, ritrovate solo dopo duemila anni, o comunque la loro veridicità. Come con prudenza viene vista un’altra rivelazione di qualche anno fa: la possibilità che sull’occhio del defunto compaia l’impronta di una moneta dell’epoca dell’imperatore Tiberio, impronta imprecisa e controversa almeno quanto la possibilità che il Figlio di Dio sia stato dotato di un obolo per Caronte. Ma tranne questo, il resto di quanto si vede sulla Sindone coincide piuttosto bene con gli usi funerari del I secolo. Così come alcuni aspetti della crocifissione ormai accertati ma a lungo non noti alla tradizione: i chiodi nei polsi e non nel palmo, non un chiodo per piede ma uno per tutti e due sovrapposti, i segni dell’asse trasversale della croce ma non di quello verticale. E a favore di una possibile autenticità ci sono anche altri elementi. Ad esempio la veridicità anatomica, anch’essa ben poco nota nel medioevo, e la presenza di tre diversi tipi di sangue (tutti sangue umano del gruppo AB, secondo gli studi del 1981 compiuti dall’italiano Baima Bollone e dagli statunitensi Heller e Adler): venoso, arterioso e postmortem, altro elemento che un falsario del trecento non poteva conoscere e riprodurre. Insomma, la Sindone di fronte a credenti e increduli conserva il suo mistero.

Ci sono alcuni punti fermi: non si tratta di un dipinto. La caratteristica più significativa è la coloritura solo della superficie più esterna del tessuto che riproduce un corpo silica della Madonna di Blacherne, e soprattutto anno della fatidica Quarta Crociata, in cui i crociati cristiani latini saccheggiarono la capitale cristiana ortodossa. Da lì due strade portano in Europa, non necessariamente in contrasto una con l’altra. Una passa da Atene, dove si insediò come signore uno dei leader della crociata. Il quale aveva contatti con i templari.

ti sono riusciti a riprodurre immagini simili a quelle della Sindone usando un laser ad altissima frequenza e raggi ultravioletti. Di questi impulsi laser ce ne vorrebbero però un numero altissimo contemporaneo o in precisa successione, con l’intento di creare l’immagine. E ovviamente questa tecnologia non era disponibile nel Medioevo. Anzi, per alcuni sostenitori dell’autenticità della Sindone la dimostrazione che essa si sia originata da un lampo di

luce rappresenta in qualche modo una “prova” della Resurrezione.

Resta il problema della datazione al radiocarbonio. Se i risultati fossero stati alterati, magari dagli incendi, dai restauri, da funghi, dalla bollitura nell’olio bollente o proprio dal misterioso processo di luce che ha modificato il tessuto lasciando l’impronta, allora si tratterebbe di cercare di ricostruire la storia della Sindone precedente al 1350. E qui

L’altra via suppone i templari direttamente a Costantinopoli. Della cosa si è occupata intensamente negli ultimi anni la studiosa Barbara Frale, riprendendo anche studi precedenti. La funzionaria dell’Archivio Segreto Vaticano ha evidenziato che la famiglia che possedeva la Sindone alla sua prima apparizione in Francia era quella dei de Charny, e un Geoffrey de Charny (la parentela non è però certa) era stato bruciato sul rogo da Filippo il Bello quarant’anni prima, nel 1314, essendo l’ultimo precettore templare di Normandia. Probabilmente il sudario fu preso come bottino dai crociati che saccheggiarono l’attuale Istanbul, e la Frale ipotizza che cadde in mano alla famiglia de La Roche, che nel 1260 l’avrebbe venduta a un suo membro capo dei Tem-


mondo

pagina 14 • 13 aprile 2010

Summit. Per la Casa Bianca il disarmo passa anche per il blocco dei traffici illeciti di esplosivi

La bomba di al Qaeda Gli Usa lanciano l’allarme: «I terroristi potrebbero avere l’arma nucleare» di Stranamore amministrazione Obama prosegue il suo forcing sul tema del disarmo nucleare e il presidente torna ad agitare l’incubo peggiore: la possibilità che una organizzazione terroristica, al Qaeda o chi per essa, riesca a mettere le mani su un ordigno nucleare. Un’ipotesi, quest’ultima, per fortuna abbastanza residuale, però la comunità intelligence ha segnali precisi, concordanti e consolidati, del desiderio dei gruppi del terrore di procurarsi e poi utilizzare l’arma totale. Il che non vuol dire che ci riescano. Ovviamente la soluzione migliore per i terroristi è quella di ottenere un ordigno pronto per l’uso, che sia relativamente facile nascondere, trasportare ed impiegare. Il che vuol dire un bomba “tattica”. Sono quelle che avrebbero do-

L’

A fianco, Osama bin Laden, sotto una serie di missili iraniani, a destra Obama e Hu Jintao

vuto essere impiegate sui campi di battaglia nel corso di una ipotetica terza guerra mondiale, lanciate dagli aerei, sparate dall’artiglieria, portate da piccoli missili o persino affidate a team delle forze speciali. Le bombe di questa classe non sono oggetto di specifici trattati per la limitazione e la distruzione e ne esistono svariate decine di migliaia. In particolare la Russia ne ha magazzini pieni, visto che non ha i soldi per smantellarle e già fatica a concentrarle in un numero limitato di depositi, protetti da misure di sicurezza che, per quanto incrementate nel tempo, lasciano ancora molto a desiderare.

Queste bombe, che possono avere comunque un potenziale di diverse decine, per non dire centinaia di kiloton (ogni kiloton equivale a mille tonnellate di tritolo, le bombe lanciate sul Giappone nel 1945 erano nella classe dei 20 kT) in teoria potrebbero essere oggetto di furti o di contrabbando nucleare. Ogni tanto si sente riparlare delle famose “bombe-valigetta”, che sarebbero state realizzate dall’Urss per affidarle a operatori delle forze speciali o agenti segreti. Per fortuna fino ad oggi non pare che i “cattivi” si siano impossessati di nulla del genere, ché non vi è dubbio che al-

dioattivo. Questo è fattibile e non ci vuole poi un agente della Spectre per procurarsi un quantitativo adeguato di “materia prima”, visto che tutto o quasi potrebbe andare bene, dal combustibile nucleare spento alle sorgenti utilizzate negli ospedali o nei centri di ricerca. A seconda di come fosse confezionata, collocata e delle condizioni meteo l’effetto di una bomba “sporca” sarebbe quello di provocare una contaminazione temporanea e di bassa intensità in un’area tutto sommato limitata e poi far

Bin Laden non potrebbe farsi l’atomica in casa neanche se disponesse dell’uranio arricchito e delle altre componenti essenziali. Sarebbe più semplice dotarsi di un ordigno “sporco” trimenti lo avrebbero utilizzato, almeno come arma di ricatto. Però anche ottenendo una bomba, poi non è che sia così semplice riuscire ad attivarla, anche se nei film di genere basta digitare una sequenza di lettere e numeri nella immancabile tastierina connessa ad un rosso display. In realtà per un gruppo terroristico sarebbe molto più semplice realizzare e impiegare una “bomba sporca”, ovvero un ordigno convenzionale utilizzato per diffondere materiale ra-

leva sull’effetto panico nella popolazione. Una bomba del genere, infatti, per avere un qualche effetto dovrebbe esplodere nel centro di una grande città. Può anche essere che attentati con bomba “sporca” siano già stati in realtà eseguiti, ma con effetti talmente minimali che nessuno o quasi se ne è accorto. È invece praticamente impossibile per un gruppo terroristico non statuale farsi “in casa” una vera bomba nucleare. Si, su internet vi fanno credere che basti procurarsi gli ingredienti giusti e poi assemblare la bomba sarebbe un giochetto alla portata di qualche buon studente

di fisica. Non è così invece, prova ne sia lo sforzo colossale che hanno dovuto compiere le potenze nucleari ufficiali, ufficiose e putative per arrivare anche solo ad una bomba da laboratorio. La bomba in casa i terroristi non la possono costruire, neanche se disponessero dell’uranio arricchito in qualità bomba e delle altre componenti essenziali. In ogni caso Obama brandisce lo spauracchio della bomba “vera” e cerca in questo modo di convincere i capi di stato e di governo concentrati a New York (sono in tutto 47) ad impegnarsi formalmente per ridurre la soglia di rischio.

Questo vuol dire innanzitutto mettere sotto controllo l’intera filiera nucleare e bloccare la proliferazione di uranio e plutonio, in qualunque forma e gradazione, nonché di tutte le strumentazioni, apparecchiature e materiali necessari per creare armi nucleari. Le retorica e le sparate iraniane ed i ricatti nord coreani sono lì a rendere più credibile e attuale la discussione. Obama intanto spinge per convincere la Russia a stipulare al più presto un ulteriore trattato sul disarmo nucleare, dopo il New Start sulle armi strategiche (che presto entrerà nelle forche caudine del processo di ratifica parlamentare statunitense), che riguardi anche le bombe più piccole, nonché l’uranio ed il plutonio che vengono otte-


mondo

13 aprile 2010 • pagina 15

Riuniti a Washington i leader di 46 Paesi. Non invitati Siria, Iran e Corea del Nord

Ma la vera partita di Obama stavolta si gioca a Pechino

Il presidente apre il summit sul disarmo incontrando Hu Jintao E spera di barattare la rivalutazione dello yuan con un voto all’Onu di Vincenzo Faccioli Pintozzi e sanzioni al governo iraniano, la sicurezza nucleare internazionale ma soprattutto la spinosa questione della rivalutazione dello yuan sono gli argomenti in agenda per l’incontro bilaterale di ieri sera (le 20.30 ora italiana) fra il presidente cinese Hu Jintao e quello americano Barack Obama. Molti analisti sostengono che, in cambio di una tregua valutaria, Pechino potrebbe votare a favore delle sanzioni contro il regime iraniano. In ogni caso, prima di partire per gli Stati Uniti, il presidente cinese ha fatto capire di essere pronto a trattare. Cui Tiankai, vice ministro degli Esteri, ha detto: «Sicuramente Cina e Usa possono avere visioni diverse su molte questioni, incluse la crisi economica mondiale e il commercio, ma non si può non tenere conto del fatto che abbiamo anche molti interessi in comune». La questione della moneta cinese è lunga e articolata, e negli ultimi mesi ha monopolizzato i rapporti fra le due nazioni. In un anno, lo yuan renminbi è cresciuto rispetto al dollaro dello 0,1 per cento: al momento, la moneta americana vale 6,6651 yuan. Washington chiede da tempo a Pechino di cambiare la propria politica monetaria e lanciare la rivalutazione della moneta; secondo il governo cinese, le pressioni Usa cercano nei fatti di “bruciare” una parte del debito pubblico americano nelle mani della Cina. Alle richieste americane ha risposto con forza il premier Wen Jiabao, che chiudendo l’ultima Assemblea nazionale del popolo cinese ha chiarito: «La nostra moneta non è sottovalutata, e questa posizione non cambierà». Tuttavia, dicono gli analisti economici, il test in corso significa che il governo «quanto meno prende in considerazione l’idea di avviare la rivalutazione». Tuttavia, Washington non molla.

L

nuti dalle vecchie bombe che lentamente la Russia disattiva.

Per le bombe tattiche si vuole in prima battuta una ulteriore concentrazione e un miglioramento della sicurezza, anche attraverso un disassemblamento più o meno spinto. Poi una drastica riduzione. L’offensiva di Obama prevede anche il rilancio del sistema internazionale anti proliferazione, sia rilanciato il trattato Npt, sia il connesso Ctbt, il trattato che mette al bando i test nucleari. E il presidente statunitense vorrebbe che lo sforzo internazionale per rilanciare le politiche di non proliferazione fosse sostenuto da un sistema finalmente efficace di verifiche, ispezioni e, nel caso, sanzioni. Parallelamente Obama non trascura neanche la contro-proliferazione, ovvero le misure attive volte a scongiurare che un qualunque attore, si tratti di un governo o di un gruppo indipendente, riesca a ottenere, in un modo o nell’altro, la bomba. E in questo caso gli Usa sono pronti a intervenire con qualsiasi mezzo o quasi. Almeno così dicono. Inutile dire che trovare il consenso su questi temi, al di là delle dichiarazioni di principio, è molto difficile, richiederà pazienza, tempo ed un mix appropriato di pressioni e di incentivi. E anche così non è detto che si arrivi a produrre qualcosa di significativo e di efficace. Anche perché la storia insegna che quando un’arma è stata inventata, è stata impiegata ed ha dimostrato la sua efficacia…è praticamente impossibile eliminarla completamente, a meno che non sia soppiantata da qualcosa di più terribile. Per ora però la bomba ha il rapporto costo/efficacia più vantaggioso. Neanche le più micidiali armi biologiche sono così straordinariamente e “clamorosamente” letali. E anche se Obama è un sognatore, sa bene che una volta che il genio cattivo è uscito dalla lampada è arduo sperare di ingabbiarlo di nuovo.

Il prossimo 15 aprile, un documento ufficiale del Congresso americano potrebbe apertamente accusare Pechino di manipolare in maniera illegale il mercato valutario per proprio tornaconto. Un’accusa che la Cina non intende subire, ma che colpirebbe in maniera forte i rapporti commerciali fra Pechino e il resto del mondo occidentale. In quest’ottica, l’esecutivo di Hu Jintao ha iniziato a dare segnale di una possibile marcia indietro. Dopo aver lanciato una lunga simulazione in diverse aree commerciali, per capire cosa potrebbe succedere in caso di rivalutazione monetaria, il vice ministro del Commercio Yi Xiaozhun ha concesso un’intervista alla Bbc in cui spiega il nuovo punto di vista cinese:

«Sul breve periodo, una rivalutazione colpirebbe duramente il mercato interno; ma sul lungo periodo potrebbe essere un beneficio. Io credo che alcuni professori e politici americani abbiano politicizzato troppo il tutto».

Rimangono in discussione anche altri argomenti sensibili, come la questione di Taiwan e del Tibet. Ma Zhou Zunnan, professore presso l’Università cinese per gli Affari esteri, spiega: «La Cina vuole rapporti stabili con l’America. Non può e non vuole essere una minaccia diretta a Washington,

presi. soprattutto alla luce delle recenti aperture che il Dipartimento di Stato americano aveva promesso al leoncino Assad. La speranza dell’attuale Amministrazione è quella di mettere giù un documento congiunto che possa divenire una sorta di manuale delle istruzioni per le nazioni che hanno un arsenale nucleare. Oltre, ovviamente, a porre dei limiti e delle sanzioni per quelle capitali che decidono di disattendere il manuale. Non è detto che questo esperimento riesca, ma il tentativo va registrato. E non importa poi molto se i tre assenti

Da parte loro, gli States hanno un asso nella manica: il rapporto del Congresso, che accusa la Cina di manipolare la propria valuta per tenere in piedi la crisi finanziaria globale come era la Russia durante la Guerra Fredda: ecco perché anche su questi argomenti troveranno un compromesso». Il passaggio obbligato con Pechino potrebbe dunque raffreddare gli entusiasmi di un incontro che non ha eguali nella storia degli Stati Uniti. L’ultimo di questo tipo fu convocato da Truman nel 1947, per dare il via all’esperimento delle Nazioni Unite: un esperimento poco felice, a voler essere sinceri. Oggi Obama ci riprova, agitando lo spettro di una guerra nucleare che veramente fa paura a molti. Ma non invita al tavolo quelle nazioni che, già nell’era Bush, erano comprese nella lista dei cattivi del pianeta: Corea del Nord, Iran e Siria. E se le prima due non sorprendono troppo, il governo di Damasco escluso dal tavolo lascia un pochino sor-

hanno, o sperano tutti di avere, bombe sviluppate. I loro leader rispondono infatti a “padrini nobili”, presenti al tavolo, che sono una sorta di garante per la loro buona condotta.

È impensabile, ad esempio, che Pyongyang faccia brillare un ordigno atomico senza il permesso o almeno il tacito consenso di Pechino. Che non ha intenzione, almeno per il momento, di liberare la catena al proprio cane da guardia. Ed ecco un altro argomento di cui probabilmente, ieri sera, hanno parlato Obama e Hu. Molto, molto distanti su tanti argomenti e sulle prospettive di vita ma altrettanto vicini sulle responsabilità che la congiuntura storica gli ha messo sulle spalle. Con la speranza che il peso voglia, da loro, essere condiviso.


quadrante

pagina 16 • 13 aprile 2010

La denuncia. Un articolo dell’attrice, che ha visitato i rifugiati 13 volte a scorsa settimana, Scott Gration, inviato americano per il Sudan, si è detto sicuro che le elezioni - in corso nel Paese da domenica scorsa - le prime dal 1986 - sarebbero state «libere e trasparenti». Omar al-Bashir, il presidente sudanese, sull’onda di un simile complimento avrebbe dovuto tappezzare l’intera capitale Khartoum di manifesti di ringraziamento: tipo «We love Gration» stampato un po’ ovunque. Perché a parte l’inviato americano, nessun cittadino sudanese pensa che le elezioni possano essere né libere né, tantomeno, trasparenti. Intimidazioni, voti di scambio, manipolazioni e pressioni (meglio parlare di costrizioni) sui leader delle varie tribù del paese sono semplicemente sotto gli occhi di tutti. La maggior parte del 2,7 milioni di darfuri vivono nei campi profughi. E sono impossibilitati ad andare alle urne. In parole povere: non sono stati contati. Se a tutto questo si aggiungono le continue violenze in Darfur, si capisce perché molti dei candidati chiave dell’opposizione, fra cuiYassir Arman del Sudan People Liberation Movement, siano stati costretti a rititarsi dalle elezioni. Il Carter Center, l’unica missione di osservatori internazionali, non ha mai smesso di denunciare quanto sia a rischio l’intero processo elettorale. E infatti, ha più volte richiesto nelle scorse settimane un posticipo delle consultazioni. Una richiesta che Bashir non ha preso molto bene, tanto da dire - nemmeno un mese fa - in diretta dal canale televisivo di Stato - che se gli osservatori avessero intereferito con gli affari di politica interna, avrebbero subito «il taglio delle dita» per poi vedersele schiacciare «sotto le suole delle scarpe presidenziali». Prendendo una decisione null’affatto consona al loro normale agire, la Save Darfur

L

«Il mio povero Darfur tradito da Obama» «In Sudan è in corso un voto truccato. Perché la Casa Bianca acconsente?» di Mia Farrow

La speranza è un sentimento raro in Darfur, ma quando Barack Obama è diventato presidente degli Stati Uniti i rifugiati hanno avuto buoni motivi per osare immaginare un cambiamento. Nel 2006, quando era ancora un giovane senatore, Obama aveva manifestato il suo pensiero sulla situazione in Darfur in maniera abbastanza chiara.

«L’ultima cosa di cui questa gente ha bisogno è veder legittimato il potere di Bashir. Invece è proprio quello che sta per accadere» Coalition - un’alleanza di oltre 190 persone fra religiosi, avvocati e attivisti umani - ha chiesto con urgenza agli Stati Uniti e alla Comunità internazionale di non legittimare le elezioni presidenziali in Sudan. «Crediamo che questa chiamata alle urne non sia né libera né trasparenete, e certamente non sarà in alcun modo credibile», ha detto Robert Lawrence, rappresentante della coalizione. «L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è una legittimazione della dittatura di Bashir».

«Oggi sappiamo cosa è giusto e cosa è sbagliato - aveva detto - la riduzione in schiavitù degli innocenti è sbagliato. Due milioni di persone tenute lontane dalle proprie case, è sbagliato. Migliaia di donne stuprate mentre vanno a raccogliere legna da ardere, è sbagliato. E il silenzio, l’acquiescienza e la paralasi davanti ai genocidi è, anch’essa, sbagliato». Un anno dopo, da candidato in pectore, il furturo presidente così diceva: «Quando si assiste a un genocidio, sia esso in Ruanda, Bo-

Dopo le pressioni di Carter urne aperte fino a giovedì

Dispersi 4 caschi blu Si vota, al momento senza disordini, in Sudan, ma quattro caschi blu dell’Unamid risultano dispersi da oltre 24 ore. Mentre la commissione elettorale ha prorogato di due giorni, fino a giovedì, le elezioni politiche, regionali e presidenziali. Contraddistinte da brogli (per l’opposizione) e da problemi tecnici (per il governo). La notizia circolava con insistenza già da ieri mattina, dopo che Jimmy Carter, l’ex presidente Usa la cui fondazione monitora il processo elettorale, era personalmente intervenuto per chiedere al governo sudanese di allungare il periodo di voto. I cittadini continuano intanto ad affollare i seggi dopo che ieri si erano verificati alcuni problemi tecnici che avevano rallentato le operazioni. Sono

le prime elezioni da quasi 25 anni e nonostante le massicce denunce di brogli, nessuno vuole mancare all’appuntamento. Code fin dalle prime ore del mattino a Khartoum, dove la polizia presidia le strade e i principali crocevia.

Il governo ha dispiegato 100mila agenti nel nord del paese per scongiurare le violenze durante le giornate elettorali per scegliere il nuovo presidente e il leader del sud semiautonomo e rinnovare il parlamento e i governatori locali. Omar Hassan alBashir, presidente uscente e ricercato dal Tribunale penale internazionale per crimini di guerra in Darfur, marcia spedito verso una riconferma dopo che i partiti di opposizione si sono chiamati fuori denunciando brogli.

snia o Darfur, si resta marchiati in maniera indelebile. Un genocidio è una macchia sulle nostre anime».

Nell’ascoltarlo, i darfuri hanno sperato nella sua elezione, immaginando che una volta alla Casa Bianca quelle parole sarebbero state ripetute, confidando che Obama avrebbe ridetto che il regime sudanese «offende la nostra intera umanità». Hanno sperato che avrebbe designato un inviato speciale che si sarebbe fatto carico - seriamente della loro causa e capace di mediare davvero fra i ribelli e il regime di Khartoum. E invece hanno appena ascoltato un diplomatico della Casa Bianca ”cinguettare” a favore di chi, da anni, perpetra quelle clamorose ingiustizie e atrocità che «macchiano le nostre anime». Eh sì che all’inizio del suo incarico Mr. Gration aveva detto: «Dobbiamo pensarci due volte prima di dare un contentino a questo governo». Evidentemente pensava che un contentino fosse troppo poco, e difatti gli ha fatto un vero regalo. Ma dico io: come si può dare un contentino a chi si è sempre dimostrato così crudele? Come si può sorridere a chi ha preparato nei minimi dettagli un colpo di Stato nel 1989 e da allora guida con pugno di ferro e brutalità ogni questione? Come si può immaginare di fare un regalo di questa portata a un criminale di guerra responsabile della morte, rapimento, stupro e trasferimento di massa di milioni di pesrone? Questa prospettiva così palesemente naive, accompagnata da una politica di appeasement, ha terrorizzato ancora di più i rifugiati, che si sono sentiti abbandonati dagli Stati Uniti e marginalizzati in seno al loro stesso paese. Con il supporto di Mr. Gration e degli Usa, le elezioni sudanesi andranno incontro a quelle «catastrofiche conseguenze» di cui ha parlato l’International Crisis Group. «Con il voto di Aprile verranno imposti dei militari eletti con i brogli e per la gente del Darfur non ci sarà alcuna speranza», ha detto EJ Hogendoorn, direttore dell’organizzazione per il Corno d’Africa. E allora, poiché non ci saranno novità da queste elezioni, e possiamo sapere già adesso, ad urne ancora aperte, chi verrà eletto, bisogna che la comunità internazionale e l’Onu dicano forte e chiaro, che Omar al Bashir, condannato in contumacia dalla Corte Penale Internazionale, non può diventare presidente in assenza di libere e democratiche elezioni. Il suo regime non deve essere legittimato. © The Wall Street Journal


quadrante

13 aprile 2010 • pagina 17

Nessuna vittima nel giorno della nomina di un ministro

Continua il caos in Thailandia, sale il numero delle vittime

Belfast, bomba funesta la transizione dei poteri

Bangkok, le “camicie rosse” sfilano con le bare

BELFAST. La Real Ira, uno dei gruppi repubblicani irriducibili dell’Ulster, ha rivendicato l’autobomba esplosa nei pressi del quartier generale dei servizi segreti Mi5 in Irlanda del Nord. L’esplosione a Holywood nella County Down, poco dopo la mezzanotte, era stata preparata per coincidere con il momento esatto del passaggio dei poteri di giustizia e di polizia dal governo di Londra a quello di Belfast. L’ordigno - esploso mentre la polizia aveva iniziato ad evacuare la zona, insospettitasi per l’auto - era stata messo in un taxi rubato poche ore prima a Belfast, con il tassista che è stato tenuto in ostaggio da uomini armati.

BANGKOK. Ieri mattina le “camicie rosse”hanno sfilato per le vie di Bangkok reggendo bare sulle spalle, simbolo delle vittime degli scontri del 10 aprile scorso. La maggior parte dei feretri erano vuoti, ma almeno due di essi contenevano i cadaveri dei manifestanti antigovernativi uccisi negli scontri con la polizia. Intanto si fanno sempre più gravi le ripercussioni della crisi sull’economia della Thailandia, con perdite pesanti in borsa per le principali compagnie. In un discorso alla nazione, il Primo Ministro Abhisit Vejjajiva ha sottolineato che il governo intende «assicurare il rispetto della legge» e non rifiuta «un dialogo franco con i leader della protesta». Dal 12

Solo un uomo anziano ha riportato lievi ferite. Dopo l’esplosione della bomba, è saltato anche il serbatoio dell’auto, causando danni a negozi ed appartamenti vicini. Tutti i politici locali hanno condannato l’attentato, e il ministro per l’Irlanda del Nord Shaun Woodward ha detto che «la transizione democratica (dei poteri giudiziari e di polizia) è in netto contrasto con le attività dei pochi criminali che non accettano la volontà della maggioranza della popolazione dell’Irlanda del Nord. Non hanno alcun sostegno». E ieri

Kabul, ora si indaga su Emergency Ancora dubbi sulla situazione dei tre italiani coinvolti di Aldo Bacci essuna confessione da parte degli italiani arrestati in Afghanistan. Anzi, solo una positiva collaborazione con le autorità che indagano sul ritrovamento di armi nell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah. «Un esempio di cattiva informazione», ha commentato il ministro Frattini riferendosi all’articolo del Times che aveva rilanciato in tutto il mondo la notizia che Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani Bonaiuti avevano confessato. Il giornale inglese attribuiva a Daoud Ahmadi, portavoce del governatore di Helmand, l’affermazione che gli arrestati (con i tre italiani anche sei afghani) avevano “confessato”e «sono accusati di collegamenti con al Qaeda e i terroristi». Avrebbero «ammesso che c’era un piano per condurre attentati suicidi contro mercati affollati e che volevano uccidere il governatore della provincia di Helmand, Gulabuddin Mangal». Ma è stato lo stesso Ahmadi a smentire le affermazioni superficiali del Times: avrebbe detto solo che Marco Garatti collaborava con gli inquirenti afghani. E anzi tutti smentiscono ogni coinvolgimento in qualsiasi reato, e i massimi esponenti di Emergency si spingono a parlare di complotto, di vendetta per allontanare l’organizzazione dal Paese. Il giornalista del quotidiano inglese, Jerome Starkey, ha tuttavia confermato il virgolettato che aveva riportato, sottolineando di aver addirittura richiamato il portavoce per farselo confermare. Certo è comunque che resta in piedi l’accusa, e anche il governo afghano, cui spetta la decisione su un eventuale trasferimento dei detenuti a Kabul, ha fatto sapere di non potersi pronunciare in alcun modo perché l’indagine è in corso.

N

Chiarito anche un altro giallo relativo alle ore dell’arresto, una presunta partecipazione delle forze dell’Isaf. «Gli arresti - ha affermato un portavoce del comando britannico di Helmand - sono stati effettuati dagli afghani e dopo poco tempo il governatore Gulab Mangal ha chiesto ad Isaf se potevano assisterli a mettere in sicurezza l’area dell’ospedale e a rendere inerte l’esplosivo scoperto durante le perquisizioni. Voglio ribadire che non abbiamo partecipato all’arresto, ma che siamo intervenuti solo dopo e su richiesta delle autorità locali». In Italia è durissima la posizione di Gino Strada. Il fondatore di Emergency ha riferito di non avere ancora ricevuto alcuna notizia ufficiale sull’indagine.

«Non sappiamo nulla, non abbiamo avuto nessuna informazione ufficiale. Le uniche notizie che circolano sono i deliri di quell’imbecille del portavoce del governatore di Helmand, che deve essere un altro zotico». La tesi di Strada è quella di un complotto contro Emergency, per togliere di mezzo testimoni scomodi in vista di un ulteriore inasprimento delle operazioni militari nell’area, e anche di una vendetta contro le posizioni dell’organizzazione. Ad esempio anche Matteo Dell’Aira, infermiere capo dell’ospedale di Emergency a Lashkar Gah, uno dei tre italiani fermati, aveva denunciato ripetutamente gli orrori della guerra sulla pagine del sito web Peacereporter. Per il fondatore di Emergency «è una grossa montatura» e anche le armi e gli esplosivi ritrovati nella perquisizione potrebbero essere stati messi lì apposta. E sul blog di Beppe Grillo annuncia: «Credo che presto dovremo mobilitarci. Noi stiamo già pensando a una grande mobilitazione su scala nazionale per il fine settimana, se la soluzione non dovesse venire prima». Intanto ieri a Kandahar la missione internazionale guidata dalla Nato ha confermato l’uccisione di quattro civili nel corso di un attacco militare a un autobus.

Gino Strada annuncia, dal blog di Beppe Grillo, una grande mobilitazione nazionale per il prossimo fine settimana

la transizione ha vissuto una giornata storica per l’Irlanda del Nord, dove è stato nominato per la prima volta un Ministro della Giustizia in seguito agli accordi di pace che hanno consentito il trasferimento dei poteri giudiziari da Londra a Belfast. I deputati hanno eletto David Ford, leader dell’Alliance Party, dopo l’intesa raggiunta fra il Democratic Unionist Party (DUP), vicino a Londra, e il Sinn Fein. In ogni caso, Londra ha permesso l’intero passaggio del sistema esecutivo e giudiziario a membri dell’amministrazione locale, passaggio che dovrebbe completarsi entro e non oltre la fine dell’anno prossimo.

L’ambasciatore italiano a Kabul, Claudio Glaentzer, ha incontrato il governatore Mangal a cui ha ribadito «la fiducia delle autorità italiane nelle leggi afghane», chiedendo comunque «un’accelerazione delle indagini per poterne conoscere i risultati al più presto».

marzo migliaia di “camice rosse”, vicine all’ex premier in esilio Thaksin Shinawatra e sostenuti dal partito di opposizione United Front for Democracy against Dictatorship (UDD), presidiano alcuni punti della capitale, chiedendo lo scioglimento del Parlamento e nuove elezioni. La tensione è precipitata il 10 aprile scorso, quando gli scontri fra manifestanti e polizia hanno causato la morte di 21 persone tra cui Hiroyuki Muramoto. Il numero dei feriti è superiore agli 800, almeno 90 dei quali in gravi condizioni. Tra le vittime vi sono anche quattro ufficiali di polizia, di cui due di alto rango e responsabili delle operazioni.

Sugli incidenti infuria la polemica fra governo e oppositori, che accusano l’esercito di aver usato proiettili di piombo contro i manifestanti. Le autorità negano le accuse, sottolineando di aver usato proiettili di gomma. Alcuni media hanno mostrato una serie di fotogrammi che mostrano uomini “non identificati”e vestiti di nero, mentre puntano pistole contro i poliziotti. Il governo ha deciso di cancellare le manifestazioni più importanti legate al capodanno thai, programmate dal 12 al 15 aprile.


cultura

pagina 18 • 13 aprile 2010

Ritratti. Mondadori dedica al grande scrittore spagnolo di “Soledades” un Meridiano che raccoglie tutta la produzione in versi e le prose scelte

I giorni azzurri di Machado L’infanzia a Siviglia e la fuga in Francia: storia di un poeta che diede al dolore i colori del sogno di Francesco Napoli ono gli anni Dieci e Venti del Novecento quelli che hanno determinato in tutta Europa un cambiamento radicale dell’ordine socio-politico nonché culturale con il quale tuttora facciamo i conti. Italia, Francia, Spagna, Russia e i paesi mitteleuropei di Germania e Impero, in disfacimento, Austro-Ungarico palesano una crisi che và oltre vincitori e vinti della Prima Guerra mondiale; oltre la difficile condizione economica generatasi all’indomani del conflitto; oltre il protrarsi di tendenze artistiche ormai avvertite come consunte e di fatto appartenenti al secolo appena alle spalle.

S

Il mondo intero entra nell’era moderna attraversando una crisi ideologico-filosofica, prima che politica, sulla quale vanno a innestarsi tanto le tendenze più reazionarie – dal fascismo di Mussolini al nazismo di Hitler, dalla dittatura franchista in Spagna allo stalinismo sovietico – quanto una rivoluzione artistico-letteraria quasi compulsiva che porta in tutta Europa forti mutamenti preavvertiti nell’esperienza dadaistico-futurista e maturati nel surrealismo che rapidamente, pur con i dovuti aggiustamenti locali, pervaderà buona parte delle coscienze artistiche del tempo. Se la Francia e, in parte Italia e Russia, sembrano le nazioni con le avanguardie più vivaci, soprattutto nell’espressione poetica e nelle arti figurative, mentre le nazioni mitteleuropee appaiono quelle in grado di regalare un nuovo volto alla cosiddetta musica classica nonché alla narrativa, la Spagna è percorsa anch’essa da un vento di rinnovamento artistico il cui contraltare politico sarà invece reazionario, diventando la nazione iberica il triste teatro di una guerra civile antesignana di quelle poi vissute altrove (Italia e Francia) e il banco di prova di

quella sorta di internazionale del fascismo, da tenere sempre a buona memoria per i suoi tragici orrori. In questo clima matura l’alta esperienza letteraria di Antonio Machado y Ruiz, il poeta spa-

Prima costretto a separarsi dall’amato fratello Manuel, e poi dalla sua nazione, affidò alle sue liriche l’amarezza di un esule

gnolo mai dimentico della sua Andalusia, quella Siviglia dove nacque il 26 luglio 1875 e poi lasciata all’età di otto anni. «La mia infanzia: memorie di un patio di Siviglia,/ e di un chiaro giardino dove matura il limone,/ la gioventù: vent’anni in terra castigliana;/ la mia storia: vicende che non voglio evocare». Così, con un Ritratto, si aprono i Campi di Castiglia (1912), seconda raccolta di Machado. Questo ritratto del poeta non ancora quarantenne offre, con sobrietà e fermezza, le coordinate per una biografia dove il dato esterno, oggettivo, concreto trova per la prima volta spazio dopo l’esasperato “intimi-

smo” delle liriche della raccolta d’esordio Solitudini (1903).

È il segno di un mutamento profondo che, se non tocca la sostanziale coerenza del codice stilistico machadiano, orienta i suoi “occhi” e il “cuore” verso l’“essenzialità castigliana”, lo spinge, come afferma lo stesso poeta, a “inventare nuovi poemi dell’eterno umano, storie animate che, essendo personali, vivessero nondimeno per se stesse”. Condensati con estrema e riuscita sintesi i dati anagrafici – l’infanzia sivigliana, la gioventù madrilena, i pochi amori, ma saranno anche i tre nuclei tematici portanti della sua poesia –, Machado qui espone di seguito, e con sistematicità, il proprio credo morale, estetico e ideologico, fino al puntiglioso catalogo della penultima quartina, laddove ricorda come «Nulla vi debbo, infine; voi a me quel che ho scritto./ Al mio lavoro attendo, col mio denaro pago/ la veste che mi copre e la casa che abito,/ il pane che mi nutre e il letto in cui giaccio». Ora non so se è una pura suggestione di chi scrive, oppure per un’affermazione di Oreste Macrì quando parla della singolarità di Machado che «sta nel riporto continuo alla propria sostanza di uomo di pena», ma questo Ritratto mi pare echeggiare la celebre poesia biografica di Ungaretti, I fiumi. Certo, Machado il suo “fiume” l’ha avuto, quel Duero che origina nella provincia di Soria, dove il poeta visse per lunghi anni, e celebrato nelle Solitudini – « … nulla noi siamo./ L’immenso mare ci aspetta dove il povero fiume arriva.»/ Sotto l’orbite del ponte passava l’oscura scia./ (Io pensavo: anima mia!)», XIII. Con motivi ripresi successivamente anche nei Campi di Castiglia, nella lirica XCVIII ( Sulle rive del Duero) dove leggiamo «sotto le petrigne/ arcate farsi oscure le ac-

Nella foto grande, la Guernica di Pablo Picasso, realizzata dall’artista dopo il bombardamento dell’omonima città nel corso della guerra civile. A sinistra, Antonio Machado, raffinato poeta spagnolo autore di liriche struggenti, che utilizzò nel corso della carriera anche gli pseudonimi di Abel Martin e Juan de Marteina que inargentate/ del Duero» e poi ancora «attoniti villani senza balli né canti,/ che vanno sempre, il misero focolare lasciando/ come i tuoi lunghi fiumi, Castiglia, verso il mare» e nelle considerazioni della seguente XCIX (Per le terre di Spagna) «Oggi vede i suoi poveri figli lasciare i lari;/ la tempesta portarsi i limi della terra/ nei sacri fiumi verso la vastità dei mari».

Tra i due, Machado e Ungaretti, corrono un po’ d’anni di differenza, a favore del nostro, più giovane di oltre dieci, e, naturalmente, una geografia personale e poetica distante, ma la suggestione si appiglia anche nel constatare un percorso culturale in parte simile, laddove ambedue attinsero a piena gola dalle fonti parigine dell’inizio del XX secolo. Gli anni francesi, pur vissuti nelle ristrettezze economiche dettate dalla scomparsa del padre datata 1893, furono per Antonio Machado, insieme al fratello maggiore Manuel, momenti certamente felici e fertili sotto il profilo formativo. Due i soggiorni nella grande capitale europea, ai tempi autentica fucina di idee e novità per l’arte. I due fratelli vi andarono nel 1899 e poi nel 1902. Nel primo Antonio Machado conobbe, tra gli altri, Wilde e Jean Moréas, e nel secondo il gran maestro del

“modernismo” spagnolo, il poeta nicaraguense Rubén Dario. Ma questo animo inquieto percorse in lungo e in largo con numerosi viaggi anche la sua natìa Spagna, amata fino all’estrema convinzione della fede repubblicana in chiave antifranchista che condusse Antonio prima a separarsi dall’amato fratello Manuel, convinto assertore della controrivoluzione reazionaria, e poi dalla sua nazione, giungendo stremato, il 28 gennaio, appena oltre il confine dei Pirenei in terra di Francia, a Collioure. Il poeta era stanco, malato, deluso e amareggiato; passava lunghe ore all’aperto a guardare il mare grigio anche se i suoi ultimi versi furono dedicati all’assolata Siviglia della sua infanzia. Il 22 febbraio morì e in una tasca del suo cappotto il fratello José trovò un pezzo di carta con l’ultimo verso «Quei giorni azzurri e quel sole dell’infanzia». La bara, coperta dalla bandiera repubblicana e portata in spalla da sei miliziani, venne tumulata nel cimitero della piccola cittadina francese.Tre giorni dopo morì anche la madre che venne sepolta accanto al poeta. Machado sarà da allora, come altri poeti iberici ma forse con meno evidenza politica, e penso a Lorca in particolare, una bandiera della libertà e della repubblica spagnola, sarà portato ad esempio per quel suo ostina-


cultura

13 aprile 2010 • pagina 19

ca segue naturalmente il percorso cronologico dello sviluppo della poetica machadiana, principiando da quelle Solitudini dove «l’indagine intimistica si sviluppa solitamente per sollecitazione di un’immagine capace di stabilire un raccordo ideale fra il presente e il passato, di lanciare un ponte verso il mondo dell’infanzia» in una incantata aurea di sueño, un sogno però tutto affidato alla memoria e senza alcuna possibile travisazione oniristica. Siamo, con questa raccolta, nel pieno fascino del crepuscolo, come preciserà con giustezza poco più avanti il curatore del volume, quasi in sintonia, si ricordi come la raccolta sia del 1903, con i miti del tardosimbolismo francese che sembrano pervadere la poesia europea generando, tra l’altro, alle nostre latitudini, Maia di D’Annunzio o l’opera dei crepuscolari, nonché il Pascoli dei Canti di Castelvecchio. Pienamente partecipe delle istanze di rinnovamento poetico della cosiddetta “Generazione del ’98”, con Miguel de Unamuno e Ortega y Gasset, per ricordare i più conosciuti in Italia, Machado pubblica i Canti di Castiglia (1912). Caravaggi dedica ampio spazio a questo passaggio, segnalando come il poeta allora abbia tentato, riuscendovi, «un’evocazione di più ampio respiro» con la quale «cerca di proiettare l’esperienza individuale in una più vasta esperienza corale». Il ritratto critico si articola ulteriormente, mettendo in luce un poeta che ha sempre privilegiato il contenuto, o come dice lui stesso «sono poco sensibile alla perfezione della forma, alla bellezza e pulizia del linguaggio e a tutto quello che, in letteratura, non si raccomanda per il suo contenuto».

to amore verso la Spagna, che lo tratterrà fin quasi all’ultimo prima di andare in esilio; sarà d’esempio per quel rapporto con il fratello Manuel che aveva sì operato una scelta politica opposta ma che comunque non verrà mai rinnegato o allontanato dall’universo sentimentale; sarà poi un esempio per tanti poeti coevi anche se quelli più giovani di lui avranno nei suoi confronti, almeno stando alla testimonianza critica di Macrì, una relazione improntata «a una reciproca sostanziale estraneità, pur con i dovuti riguardi di stima e di cortesia».

A ricondurre Antonio Machado oggi all’attenzione della critica in Italia si mostra decisivo il Meridiano Mondadori Tutte le poesie e prose scelte (CLXV1592 pp., 55 euro) curato da Giovanni Caravaggi che firma due solidi saggi introduttivi: Definizione e sviluppo dell’intimismo nella poesia di Antonio Machado e L’altro e l’eteronimo. Costanti e varianti della prosa machadiana. Ecco dunque il Meridiano che ti aspetti: opera omnia di un autore, in questo caso poetica, un corredo di note e di approfondimenti molto cogenti e stringenti, una cronologia biografica tanto dettagliata quanto documentata, per un volume decisamente irrinunciabile non soltanto per lo studioso più accorto di lettera-

tura ispanica. L’intera produzione poetica, peraltro già nota grazie al lavoro di Oreste Macrì, qui ripreso per le traduzioni, che aveva dedicato a Machado, come peraltro a tanti esponenti della poesia iberica di inizi Novecento, la sua attenzione critica così raffinata e acuta, viene affiancata da un’attenta scelta di prose: dalle massime di Juan de Mairena, uno degli eteronomi di Machado,“un professore apocrifo”, a scritti selezionati e disposti secondo argomenti che vanno dalle riflessioni sulla poesia e la critica lette-

raria a quelli sulla politica e l’attualità, con una buona manciata di lettere. Insomma un migliaio e mezzo di pagine ben correlate tra loro al fine di illuminare e approfondire vita e opera di questo poeta. Molti dunque gli spunti offerti dalla approfondita lettura critica di Caravaggi, soprattutto quando ci parla della prosa di questo poeta. Si sa, molto spesso proprio su questa misura formale si può riconoscere la forza e l’intensità della poetica di un autore in versi. Non sfugge in qualche modo neanche Macha-

do a una sorta di sillogismo critico per il quale un poeta è tale quando sa essere anche un prosatore di vaglia. Tanto da poter tranquillamente sottoscrivere quanto scritto da Caravaggi che ricorda come nella prosa machadiana ci sia «una stretta relazione fra i principali temi trattati in versi e in prosa (…) fino a giungere a una profonda compenetrazione tra le due modalità di scrittura». Sulla poesia di Machado, invece, è stato già scritto tanto, ma questo Meridiano offre qualche ulteriore spunto. L’analisi criti-

Il lungo percorso artistico di Machado è un continuo, inesausto tentativo di superarsi, non ritrovando, forse, che nel magnifico gioco dei due eteronimi, Abel Martín e Juan de Mairena, nella finzione machadiana rispettivamente maestro e allievo, il senso pieno dell’azione poetica. Nasce così negli anni Venti un apocrifo di 14 poeti, compreso un Antonio Machado, che entrano a far parte della finzione nella raccolta Da un canzoniere apocrifo firmato da Juan de Mairena, «definitiva proiezione della personalità machadiana». Resta probabilmente questa la cifra più originale, e ultima, della ricerca di Machado curiosamente convinto che «i poeti hanno creato molte liriche e pubblicato molti libri di poesia, ma non hanno mai tentato di fare un libro di poeti».


pagina 20 • 13 aprile 2010

barcato a Roma nell’aprile 1964 con una valigia piena di pistole, cinturoni, stivali, jeans spiegazzati, scatole di cigarillos, Clint Eastwood si scontra subito con Sergio Leone sui dialoghi del film che gli sembrano ridondanti e riesce a farli ridurre all’osso. Sul set di Almerìa una piccola Babele con copioni in italiano, inglese, tedesco, e spagnolo, ma pochissime persone in grado di parlare decentemente inglese - il professionismo puntiglioso e l’eccitazione fanciullesca del regista conquistano l’attore che lo trova irresistibile quando, con occhialini e cappello da cowboy, cerca di impersonarlo per spiegargli una scena. La troupe adotta lo spilungone con l’andatura da gatto che, rannicchiato dentro una Cinquecento, riesce a dormire tra un ciak e l’altro, svegliandosi solo per ammazzare due o tre banditi con l’energia e la velocità necessarie.

spettacoli

S

Nel volume più recente dedicato all’attore-regista (Clint Eastwood, a cura di Giulia Carluccio, Marsilio, pp. 172, euro 12) il successo europeo di Per un pugno di dollari rappresenta la svolta fondamentale nella carriera di Clint che a ventisei anni scalpita nei panni di Rowdy Yates, il deuteragonista di Rowhide, la serie televisiva western a cui deve l’inizio della sua notorietà. Nel cinema, da quando è nella scuderia di giovani promesse della Universal, non è andato oltre le fugaci apparizioni di poche battute. Senza smettere mai di aggirarsi negli studios e di interessarsi all’intero processo produttivo, cercando di rubare i segreti delle star di passaggio e soprattutto ai cameramen e ai montatori, che incarnano la lezione del grande artigiano cinematografico in cui si riconosce. con L’incontro Don Siegel per L’uomo dalla cravatta di cuoio (1969) gli consente di voltar pagina e di traghettare il personaggio dello straniero senza nome dello spaghettiwestern nello scenario inquietante del thriller metropolitano. Il sodalizio - dopo il fiasco di La notte brava del soldato Jonathan (1971), un “gotico” spiazzante e beffardo che molti

Tra gli scaffali. In un volume, la vita e i successi del grande attore e regista

Il Clint Eastwood della porta accanto di Orio Caldiron

identificato con il personaggio del superpoliziotto dai modi brutali, si rivela interprete di rara sottigliezza che si affida alla più rigorosa economia di gesti, sguardi, silenzi, ma anche regista di singolare efficacia che predilige le inquadrature essenziali, il montaggio serrato, la secchezza del racconto. Il successo commerciale dei suoi film più fortunati e l’oculato intervento della sua casa di produzione, che è venuta crescendo all’ombra prima della Universal e poi della Warner, gli consentono di affrontare progetti insoliti e rischiosi anche al di fuori dei territori collaudati del western e del film d’azione. Spetta alla critica europea, soprattutto francese, aver salutato per prima la maturazione dell’autore-attore che rivisita le mitologie della frontiera e le illusioni del sogno americano privilegiando le zone d’ombra, i punti di rottura, i nodi irrisolti in film memorabili come Honkytonk Man (1982), Il cavaliere pallido (1985), Gunny (1986), Bird (1988).

Soltanto all’inizio degli anni Novanta Gli spietati (1992) segna, con i suoi quattro Oscar, la definitiva consacrazione anche da parte di Hollywood, che fino ad allora era stata avara di riconoscimenti. «La verità, come l’arte, è nell’occhio di chi guarda», dice un personaggio Stroncato dai critici di Mezzanotte nel giardino del del New York Times e bene e del male (1997) che del Village Voice con Un mondo perfetto (1993), che lo accusano di polizia delle Filippine. Potere assoluto (1997), Fino a paranoia polizie- Se sul finire degli anni Sessan- prova contraria (1999), Mystic sca, ideologia fi- ta aveva fondato una casa di River (2003), Million Dollar lonixoniana, fa- produzione, la Malpaso, che Baby (2004) - indaga sul mecscismo, risulta sempre più avrà voce in capito- canismo della visione e sul gioall’epoca uno lo nella sua carriera, nei decen- co delle parti, sulla strategia dei preferiti ni seguenti si misura con la re- del potere e sull’irriducibile cadi Breznev e gia, definendo progressiva- pacità del soggetto di imporsi. viene adotta- mente statura professionale e Il libro evita l’apologia, s’interto come ma- personalità d’autore. roga su un protagonista del cinema americano - il più amerinuale da un L’attore “legnoso” e “ine- cano? - senza pretendere di dipartimento di spressivo”, sbrigativamente suggerire tutte le risposte. Certo, alla fine ne sappiamo di più del cineasta e dell’uomo dal coinvolgimento senza risparmio in ogni progetto all’ossessione del controllo che sul set non esclude l’attenzione al lavoro degli attori, e all’antica passione per il jazz a cui s’ispira il gusto per le variazioni ma molto ancora ci sfugge. Come avviene nel suo cinema, l’ambiguità dove In questa pagina, alcune immagini di Clint Eastwood attore prevale sulle certeze uno scatto dell’artista nei panni del cineasta. ze e la malinconia è In alto a destra, la copertina del volume “Clint Eastwood, piena di segreti. a lui dedicato, curato da Giulia Carluccio

considerano oggi un capolavoro - prosegue con il clamoroso successo di Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! (1971), destinato a diventare, in un polverone di polemiche, il film più popolare e controverso dell’attore.

Il libro, curato da Giulia Carluccio, s’interroga sull’artista americano, indagando soprattutto le esperienze personali e da cineasta


spettacoli

13 aprile 2010 • pagina 21

Musica. Collaborazione in corso tra Robert Fripp e Steven Wilson e in arrivo 6 cd della Universal con album fuori catalogo

Toh, è ritornato il progressive di Alfredo Marziano

Qui accanto, Bill Budford degli Yes in una foto recente. Sotto da sinistra in senso orario: Franz Di Cioccio, batterista e poi frontman della Pfm; Emerson Lake & Palmer al tempo del loro successo; la prima formazione degli Yes; la copertina del primo lp di King Crimson; la copertina di Genesis Live ai tempi di Peter Gabriel

icordate i primi anni Settanta? I Beatles si erano sciolti e i loro fratellini minori ambivano spudoratamente a trasportare il rock sul piano nobile della musica classica, azzardando avventurose e immaginifiche commistioni con la cultura “alta”. Lo chiamavano progressive, e alle nostre orecchie di studenti con un’infarinatura di Vivaldi, Rossini e Stravinskij quelle suite articolate in movimenti e talvolta ispirate alla mitologia classica adocchiata sui libri di testo, quei pianoforti romantici e quei mellotron che simulavano intere sezioni d’archi suonavano stranamente familiari: fu innamoramento istantaneo.

R

Pochi anni dopo arrivò il punk, e gli assalti all’arma bianca di Ramones, Sex Pistols e Clash ci colsero di sorpresa, costringendoci a uscire allo scoperto e a fare una scelta di campo. O con loro o con i Genesis, gli Yes e gli Emerson, Lake & Palmer, i “dinosauri” di cui la nuova onda che impazzava sulla Bowery newyorkese e sulla King’s Road londinese voleva fare piazza pulita restituendo il rock alle sue origini ribelli, proletarie e primitive, abbattendo scenografie e muri di tastiere per annullare la distanza tra pubblico e performer. Beh, è tutto passato, tutto dimenticato: oggi che Joe Strummer e la quasi totalità dei fratellini Ramone sono nell’aldilà, oggi che Johnny Rotten è lui stesso un monumento imbalsamato del Pleistocene rock, questa guerra tra sette musicali non ha più ragione d’essere e il “prog”è tornato in prima linea, amato dai vecchi nostalgici ma anche da schiere di giovanissimi desiderosi di sfuggire ai rigidi schemi della canzonetta pop radiofonica e “da classifica”. La collaborazione in corso tra Robert Fripp, demiurgo dei leggendari King Crimson, e Steven Wilson, leader dei Tree Porcupine molto amati anche alle nostre latitudini, è il segnale più forte di un ponte gettato tra le generazioni. Insieme i due si sono messi a lavorare di gran lena sulla rimasterizzazione e sulla revisione critica-sonora (in suono 5.1 surround) del catalogo storico dei Crimson, e nei negozi di dischi sono riapparsi di recente tanto il faccione dell’Uomo Schizoide del Ventunesimo Secolo disegnato da Barry Godber per In The Court Of The Crimson King (un capostipite, anno di grazia 1969) che la copertina in bianco e nero di Red, il disco di “power rock”minimalista che fece proseliti anche a Seattle tra la generazione grunge di Kurt Cobain. Le ristampe proseguiranno nei mesi a

venire, e dei Crimson si continuerà giustamente a parlare; intanto gruppi come gli americani Dream Theater, pionieri del “metal-progressive”, continuano a riempire le arene (anche in Italia), e pure da noi la scena torna a farsi vivace e brulicante come ai tempi dimenticati del Balletto di Bronzo e dei Latte e Miele, dei Jumbo e dei De De Lind, dei Sensation’s Fix e della Locanda delle Fate, fossili riportati in luce dalla Universal con una collana di cofanetti da 6 cd che in questi giorni ripropongono per intero album da tempo fuori catalogo ma sempre ricercatissimi sul mercato collezionistico mondiale. La novità è che in giro ci sono anche gruppi nuovi e freschi, che con rinnovato entusiasmo si riallacciano a un’idea e a

Cioccio, batterista e cantante della gloriosa PFM, a sondare con particolare attenzione il panorama producendo e pubblicando gruppi con la sua etichetta “Immaginifica”: ecco allora il prog hard rock dei triestini Sinestesia, l’etno rock mediterraneo dei salentini Abash e il progressive“classico”de La Maschera di Cera, già apprezzati all’estero e protagonisti di importanti festival “di settore”negli Stati Uniti. La casa editrice di cui il marchio discografico di Di Cioccio è

La novità è che ci sono anche gruppi nuovi, che con entusiasmo si riallacciano a un’idea musicale che da noi ha sempre trovato terreno fertile

un’estetica musicale che da noi ha sempre trovato terreno fertile (gruppi come Genesis e Van der Graaf Generator attecchirono qui prima che in Inghilterra). E non è un caso che sia proprio Franz Di

emanazione, Aereostella, tiene bordone e ha da poco distribuito nei negozi una imperdibile autobiografia alla batteria di Bill Bruford: il “padrino del progressive drumming”che con i Crimson, gli Yes

e (per un breve periodo) i Genesis ha vissuto da dietro i tamburi tutte le stagioni del prog. Con questo libro di memorie, Bruford sconfessa clamorosamente lo stereotipo del batterista taciturno e avulso dalla creazione musicale, raccontando con stile sciolto e pungente, acuto e divertente, aneddotico e analitico una vita trascorsa all’inseguimento della musica creativa e poco propensa al compromesso commerciale.

Chi meglio di lui, allora, per spiegare nobiltà e miserie del prog (Bill odorò per primo certi deliri di onnipotenza e i rischi caricaturali del genere, abbandonando la scialuppa per dedicarsi in veste di bandleader all’altro suo grande amore, il jazz)? In un capitolo esplicitamente intitolato “Ti piace ancora il progressive?”, Bruford ricorda con lucidità e precisione le origini geografiche e i connotati socioculturali di quel genere musicale: «Da un punto di vista demografico», scrive, «il progressive era una musica del Sud-Est dell’Inghilterra, fatta più che altro da bravi ragazzi borghesi come me. Il background dei musicisti era praticamente quello dei “colletti bianchi” (…) Qui la classe operaia non c’entrava nulla, si trattava piuttosto dell’espressione vitale di un’intellighenzia borghese e bohémien». Appunto: oggi che il rock sembra aver perso ogni connotato autenticamente o falsamente “di classe” e che la cultura giovanile privilegia altri strumenti e mezzi di comunicazione (Internet, i social network) c’è campo aperto per la rivalutazione e il rinnovamento di una musica che all’espressione di valori ideologici forti ha sempre preferito l’esercizio della fantasia, la fuga “creativa”dalla realtà, l’esplorazione avventurosa della tecnica strumentale e delle virtù salutari dell’improvvisazione. E allora, bentornato progressive.


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE

Lotta agli sprechi e interventi sui ticket. Ispezioni al funzionamento sanitario Il neo governatore del Lazio, Renata Polverini parte proprio dal tallone di Achille della regione, il sistema sanitario.Voglio ricordare quelle che sono le priorità di intervento al sistema sanitario, che sono contenute nel programma dei consumatori e che la stessa Polverini ha colto nel corso della sua campagna elettorale. L’esigenza di «spendere meglio» è uno degli obiettivi fondamentali per una buona politica della salute, che deve essere programmata con rigore e serietà: lotta agli sprechi e interventi sui ticket sono i provvedimenti urgenti. La Polverini aveva detto «no ai ticket al pronto soccorso», confermando l’inaccettabilità di far pagare ancora ai cittadini per l’erogazione di un servizio, quello sanitario, che già pagano attraverso le addizionali Irpef ed Irap, più alte rispetto alle altre Regioni. Inoltre, i consumatori ricordano che livelli elevati di efficienza, efficacia e trasparenza sono obiettivi irrinunciabili. Tra i vari provvedimenti contenuti nel programma delle associazioni, chiedo che sia applicato un sistema di monitoraggio al controllo delle prescrizioni, controllo già previsto dal programma della neo presidente. Devono essere previste delle ispezioni al funzionamento sanitario, sanzioni dove vengono riscontrate negligenze; diminuzione del costo del personale.

A PROPOSITO DI TUTELA DI ANIMALI Il 1° aprile il sindaco di Padova, Zanonato, ha emesso un’ordinanza che vieta di nutrire i piccioni nel centro cittadino. Forse questa è la prima applicazione del “famoso” regolamento per la tutela degli animali, tanto lodato dalle associazioni pseudoanimaliste? Le motivazioni dell’ordinanza sono le solite, pretestuose e infondate: sovraffollamento (se una colonia di animali prospera, vuol dire che il numero dei componenti è compatibile con l’ambiente), rischio di trasmissione di malattie all’uomo (inesistente), danni ai monumenti (è l’inquinamento provocato dagli umani che li sta erodendo), decoro urbano (non sono certo i piccioni a comprometterlo!). In realtà emerge la consueta linea di scaricare i problemi su un capro espiatorio qualsiasi, purché non

Ivano Giacomelli

Una casetta piccolina ad Amsterdam

sia in grado di difendersi, e di risolverli nell’unico modo che riesce bene agli umani: distruggendo e uccidendo. Perché proibire che colonie di animali, ormai domestici, vengano nutrite, significa condannarle alle malattie e alla morte.

Quello che vedete è un hotel costruito per apparire come un insieme di 70 case stipate l’una sull’altra. È stato inaugurato il mese scorso nella cittadina di Zandaam, non lontano da Amsterdam. Tra le altre caratteristiche, gli interni arredati con decorazioni che richiamano gli altri prodotti della zona come cioccolato, biscotti e mulini a vento

100%animalisti

MEGLIO SIONISTI CHE FASCISTI All’ on. Ciarrapico che a Radio24 durante la trasmissione La Zanzara ha apostrofato il presidente della Camera Fini come islamista e sionista, come se questi termini avessero una valenza negativa, dico: meglio sionisti che fascisti.

Vito Kahlun

LA VENALITÀ DEI TROPPI POLITICI Potere, notorietà, visibilità ed esternazioni gratificano i politici, che dovrebbe-

ro accontentarsi di compensi contenuti e rimborsi spese, senza pretendere il sovrappiù di vile denaro. Al contrario, il costo della politica è eccessivo, a danno del bene e del progresso dell’Italia. Un numero spropositato di persone vive di politica. Non mancano il voto di scambio e le raccomandazioni a beneficio di sostenitori della partitocrazia, con oltraggio del merito. Comportano oneri esagerati i massimi organi del potere politico: Quirinale, Parlamento, Corte costituzionale, Consigli regionali, provinciali, comunali. I parlamentari guadagnano me-

L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

diamente 15mila euro netti mensili (o più); i consiglieri regionali in Piemonte 16.630 netti, in Puglia 13.830, in Abruzzo 13.35. Nel frattempo, continuano gli ipocriti lamenti di politici su disoccupati, poveri e persone “che non arrivano a fine mese”. Saggisti, giornalisti e numerose “lettere al Direttore”di fogli segnalano ripetutamente la grave anomalia. Eppure i politici perseverano nell’abbuffata. La loro venalità è un cattivo esempio, che scoraggia il semplice cittadino e disincentiva le sue virtù.

Gianfranco Nìbale

da ”Haaretz” del 09/04/10

Nel mirino dello Shin Bet di Uri Blau

Q

uesto articolo è a firma del giornalista di Haaretz che in queste ore sta trattando con lo Shin Bet (i servizi segreti interni d’Israele, ndr) per il suo rientro in patria dove è ricercato per spionaggio. Avrebbe utilizzato del materiale classificato passatogli da un militare, per scrivere alcuni articoli sull’esercito. La vicenda è stata resa nota solo in questi giorni.

La telefonata ricevuta circa un mese fa non mi aveva sorpreso più di tanto. «Qualcuno ha messo a soqquadro il tuo appartamento di Tel Aviv» aveva spiegato la voce all’altro capo del filo telefonico. La casa era stata messa sottosopra e in mezzo a quel caos non era chiaro cosa fosse stato portato via. Mezz’ora dopo, mentre sudavo tormentato dalle zanzare di Bangkok, riuscii a parlare direttamente con un poliziotto che era arrivato in casa mia per il rapporto, dopo la denuncia. «Sembra come se stessero cercando qualcosa» mi aveva spiegato. Mi avevano avvertito dell’arresto di Anat Kam (una militare dell’Idf, ndr) qualche tempo prima, quando ero atterrato in Cina nel dicembre scorso. Al momento della partenza per il viaggio da Israele non avevo proprio idea che questa trasferta si sarebbe trasformata nella trama di una vera spy story la cui conclusione non è ancora ben chiara. Non potevo neanche lontanamente immaginare che mi sarei dovuto fermare a Londra e che non sarei potuto tornare a Tel Aviv da giornalista e da uomo libero. E tutto questo solo perché avevo pubblicato delle inchieste che non facevano fare un bella figura all’establishment. Ma le informazioni

sui guai che arrivavano da Israele non mi hanno lasciato altra scelta. I racconti di cui leggevo spesso nelle pagine dei thriller, negli ultimi mesi, sono diventate un’esperienza quotidiana per me. Quando cpminciano a metterti in guardia su come «loro sanno molto più di quanto pensi» e ti avvertono che il tuo telefono, le tue e-mail e il tuo computer sono oggetto di un monitoraggio continuo, allora significa che ai vertici del nostro Paese c’è qualcuno che non idea di cosa voglia dire democrazia e di quanto sia importante la libertà di stampa, per mantenerla in buona salute. Quando scoprì che numerose lamentele sul tuo operato riempiono pagine di rapporti distribuiti in varie agenzie governative, allora capisci di essere entrato nel mirino di forze più grandi e più forti di te. Quando questi poteri usano metodi di solito utilizzati contro gli Stati nemici, facendoti sapere che se dovessi ritornare «verrei messo a tacere per sempre» o accusato di spionaggio.

Allora viene il momento di combattere. Mi spiace di dover ricalcare un clichè, ma è un battaglia di libertà che non combatto solo per me, ma per l’immagine d’Israele. La situazione kafkiana in cui mi sono ritrovato, mio malgrado, mi ha spinto verso un ritorno alle origini. Sono un giornalista è il mio compito è quello di for-

nire ai lettori quante più informazioni possibili, nel modo migliore e più obiettivo. Non riguarda la mia agenda personale, non c’entra la destra o la sinistra politica. In tutti questi anni di lavoro per Haaretz mi sono occupato di molte figure politiche da Avigdor Lieberman a Ehud Olmert, da Ehud Barak al Peres center for peace. Nessuna delle inchieste che ho pubblicato avrebbe potuto essere stata scritta senza le pezze d’appoggio d’informazioni sicure e riscontri puntuali. Quelle che riguardavano l’Idf hanno sempre passato il vaglio delle autorità militari, anche quelle sugli assassinii mirati.

Capisco che non sempre le mie inchieste siano state piacevoli da leggere, specialmente per chi ne era coinvolto. Ma sono sempre state uno strumento per i lettori, per capire e giudicare. Tutti i giornalisti, anche quelli israeliani, hanno sempre saputo che non ci possono essere accuse senza prove, da oggi sanno anche che fare delle inchieste, può esporli all’accusa di essere dei nemici del Paese e portarli dritti in carcere.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog

dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Mia anima, Amore esige tutto e giustamente Mio angelo, mio tutto, mia anima. Solo alcune parole oggi e, oltretutto, scritte a matita (e con la tua matita). Non sarò sicuro della mia sistemazione qui fino a domani; che inutile perdita di tempo tutto questo. Perché questo profondo sconforto quando la necessità parla: può il nostro amore proseguire senza sacrifici, senza pretendere tutto uno dall’altra? Puoi modificare la realtà che tu non sei interamente mia e io non interamente tuo? Oddio, considera la Natura con tutta la sua bellezza e tranquillizza il tuo animo su ciò che deve essere. Amore esige tutto e giustamente, e così è per me con te e per te con me. Ma dimentichi tanto facilmente che io devo vivere per me e per te; se noi fossimo completamente uniti, sentiresti questa dolorosa necessità appena un po’, come me. Senza dubbio ci incontreremo presto; e oggi mi manca anche il tempo di dirti quali pensieri desolanti mi sono venuti sulla mia vita negli ultimi giorni. Se i nostri cuori fossero sempre uniti, non avrei sicuramente certi pensieri. Il mio cuore trabocca dal desiderio di dirti tante di quelle cose. Oh, in alcuni momenti trovo che le parole sono insufficienti. Sii allegra e per sempre sii il mio fedele, il mio unico tesoro, il mio tutto, come lo sono io per te. Il Cielo deve inviarci tutto il resto, qualunque dovrà essere e sarà il nostro destino. Ludwig Van Beethoven all’amata immortale

LE VERITÀ NASCOSTE

Un obelisco incrina i rapporti fra le Coree SEOUL. Un obelisco dedicato a Kim Il-sung e installato di nascosto in una nuova università di Pyongyang, costruita con le donazioni dei cristiani sudcoreani e americani, rischia di provocare la rottura definitiva fra le due Coree. Il monumento (una mostruosità alta venti metri e scolpita nel granito) è infatti una sorta di costruzione religiosa per i nordcoreani, costretti ad adorarlo in nome della “juche”, la disciplina filosofica dell’auto-sostentamento ideata dal fondatore della Repubblica popolare coreana. Le prove del misfatto sono state ottenute dal Daily NK, un network di dissidenti coreani che monitora la situazione dei diritti umani in quello che, oramai, è l’ultimo regime stalinista al mondo. L’obelisco è un “Yeong Saeng”, ovvero rientra in quella categoria di monumenti dedicati alla “vita eterna” di Kim Il-sung, sulla carta “presidente eterno” del Paese.Il bordo è arricchito da “kimilsungie”, fiori artificiali creati in onore del primo leader nordcoreani, e al centro c’è un’iscrizione che recita: «Il grande leader del Paese, il compagno Kim Ilsung, è con noi per tutta l’eternità». Non si tratta di una novità: gli obelischi della vita eterna fanno parte del decreto con cui Kim Jong-il, attuale dittatore di Pyongyang, ha inteso perpetuare la memoria del padre rendendone il culto della personalità semi-religioso. Gli “Yeong Saeng” sono presenti sia nelle grandi città che in quelle più piccole, e ve ne sono diversi persino nei pressi dei campi di lavoro agricolo più importanti. Il regime “incoraggia” con la violenza la popolazione a rendere omaggio almeno due volte l’anno all’obelisco: l’8 luglio, data della sua morte, e il 15 aprile giorno della nascita. Ma quest’ultimo ha urtato un po’ troppo la sensibilità dei vicini di casa.

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

PILLOLA RU486, VIA AD UNA CAMPAGNA DI INFORMAZIONE NELLE SCUOLE La RU486 rappresenta per il contesto italiano una svolta culturale, che porta il nostro Paese ad allinearsi ad altri Paesi europei, che già hanno introdotto tale farmaco inoltre, permette alle donne di sentirsi più libere di fare le proprie scelte, evitando lo stress dell’intervento chirurgico per aspirazione, un po’ troppo invasivo e lacerante. Tuttavia, è ora più che mai necessario avviare una seria campagna di informazione nelle scuole medie e superiori al fine di aiutare i giovani a capire quelli che sono gli effetti post RU486, in quanto non è un semplice anticoncezionale, ma un farmaco che ha una funzione molto importante, e che incide anche sul percorso di scelte di vita individuali. In Italia, secondo recenti indagini, l’età media del primo rapporto sessuale si attesterebbe sui 17,6 anni. Inoltre, secondo un’analisi su dati rielaborati da indagini universitarie sugli studenti, il problema della protezione contraccettiva al momento dei primi rapporti sembra confermare la carente informazione. E mediamente circa il 44 per cento dei ragazzi intervistati dichiarano di non aver utilizzato alcun anticoncezionale durante il loro primo rapporto sessuale. Pertanto le istituzioni sono invitate ad investire in campagne di informazione, volte alla tutela delle giovani generazioni su tutto ciò che riguarda la sfera della sessualità relativa anche all’assunzione di anticoncezionali e pillole abortive. Un cittadino informato è un cittadino consapevole.

Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci,

Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,

Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)

Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Collaboratori

APPUNTAMENTI APRILE 2010 VENERDÌ 23 ORE 11, ROMA, PALAZZO FERRAJOLI-PIAZZA COLONNA

Consiglio Nazionale Circoli liberal SEGRETARIO

Monia Napolitano

Robert Kagan, Filippo La Porta, Direttore da Washington Michael Novak

OSPEDALE TRANI: RIATTIVAZIONE REPARTO DI GINECOLOGIA Annuncio con soddisfazione, orgoglio e commozione la riapertura del reparto di ginecologia del nosocomio tranese. Mi sono impegnato nel massimo consesso regionale per la riattivazione di un reparto tanto importante quanto necessario per la comunità tranese e provinciale. Sono quei momenti in cui l’operato della classe dirigente seria, e che si preoccupa dei bisogni del territorio, viene messo a frutto e trova attuazione pratica. Aver quasi “braccato” l’assessore regionale alla sanità, Tommaso Fiore, in più circostanze, ha portato come conseguenza la concretizzazione di una delle priorità che mi ero prefissato all’inizio della mia attività in consiglio regionale. Questo episodio storico per la città di Trani e per tutta l’area della Bat non è una questione politica o ideologica, non c’entra nulla con la sinistra, col centro e con la destra, ma sottolinea l’impegno, la dedizione e l’attaccamento emotivo mostrati da chi ha profondamente a cuore il proprio territorio, e opera in favore di esso e dei cittadini che vi risiedono. Nonostante i soliti detrattori tranesi, impegnati a ostacolare il percorso piuttosto che a remare nelle stesse giuste direzioni, giungiamo a tagliare il nastro di ginecologia, riattivando così un elemento fondante dell’ospedale San Nicola Pellegrino. Mi auguro una larga partecipazione di cittadini e esprimo gratitudine alla direzione generale Asl Bat nella persona del dott. Rocco Canosa e al dott. Carlo Avantario, con cui ho lavorato congiuntamente al fine di arrivare a questo obiettivo, che è un punto di partenza verso una ulteriore completezza sotto il profilo dell’offerta dei servizi al cittadino. Carlo Laurora

Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,

Maria Pia Ammirati, Mario Arpino,

Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,

Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi,

Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi,

Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,

Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,

VINCENZO INVERSO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma

Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via di Santa Cornelia, 9 00060 Formello (Rm) - Tel. 06.90778.1

Amministratore Unico Ferdinando Adornato

Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69922118

Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Bruno Lagrotta Amministratore delegato: Raffaele Izzo Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato,Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Gennaro Moccia, Angelo Maria Sanza Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: 0669924747

John R. Bolton, Mauro Canali,

Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli,

Franco Cardini, Carlo G. Cereti,

Franco Ricordi, Carlo Ripa di Meana,

Enrico Cisnetto, Claudia Conforti,

Roselina Salemi, Katrin Schirner,

Angelo Crespi, Renato Cristin,

Emilio Spedicato, Davide Urso,

Tipografia: edizioni teletrasmesse New Poligraf Rome s.r.l. Stabilimento via della Mole Saracena 00065 Fiano Romano

Francesco D’Agostino, Reginald Dale

Marco Vallora, Sergio Valzania

Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.”

Abbonamenti

06.69924088 • fax 06.69921938 Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro

Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc

e di cronach

via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 92 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it

Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.