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Si può resistere alla forza di un esercito; non si può resistere alla forza di un’idea Victor Hugo
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di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • MERCOLEDÌ 14 APRILE 2010
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Il leader conservatore, favorito alle elezioni del 6 maggio, ha presentato ieri il manifesto del suo “nuovo corso”
Arriva il modello Cameron
Già lo chiamano il Kennedy inglese.Attacca i populisti che dicono:«Votateci e risolveremo tutto». Punta molto sull’autogoverno.Da Londra parte un’inedita sfida politica (anche al centrodestra italiano) LE TESI DEL LEADER
Bocciato in Aula il decreto elettorale
Il governo va sotto: «Salvaliste addio»
di V. Faccioli Pintozzi
Un vero cambiamento non può venire solo dalla politica di David Cameron na nazione raggiunge il suo livello migliore quando i legami che uniscono la popolazione sono forti, e quando il senso di uno scopo comune è chiaro a tutti. Oggi, le sfide che la Gran Bretagna è chiamata ad affrontare sono enormi. Ma i nostri gravi problemi non possono essere superati se non in un solo modo: spingendo e lavorando tutti insieme. Alcuni dei nostri politici dicono: «Dateci il vostro voto e noi vi tireremo fuori da ogni problema». Noi, invece, diciamo: «Un vero cambiamento non può avvenire soltanto tramite il governo».
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Non passa il testo elaborato in tutta fretta per recuperare le liste di Polverini e Formigoni alle Regionali. Ora l’esecutivo, per evitare ricorsi, dovrà fare una legge
Iran sempre più isolato anche grazie allo yuan
Una“Grande Società”che si opponga al“Grande Stato”e che può garantire la ripresa di una nazione che da sempre traccia la strada per l’Europa. È il segno principale del manifesto conservatore presentato ieri da David Cameron, a 23 giorni dalle elezioni con le quali i tories sperano di mettere fine al dominio laburista dell’ultimo decennio.
E Obama “compra” il mezzo sì della Cina alle sanzioni
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Il testo del manifesto dei Tories
«Così costruiremo una Great Society» «Basta con il centralismo dello Stato che ci ha portato alla crisi: occorre ripartire dalle realtà locali. A cominciare dalla sanità e dalla scuola»
di Osvaldo Baldacci
di Luisa Arezzo
di Errico Novi
l filosofo Nikolaus Lobkowicz è una delle personalità di spicco del mondo intellettuale mitteleuropeo e ha un’idea chiara di cià che sta succedendo intorno alla Chiesa: «È necessario distinguere tra gli eventi scandalosi e l’incredibile eccitazione dei mass media. La Chiesa è un’istituzione che va tutelata, anche se alle volte al suo interno c’è chi sbaglia».
ROMA. Il Pd torna ai tempi di Prodi. Ma anche a quelli dei Ds. Ma anche a quelli del localismo. Insomma, il partito di Bersani decide di non decidere, o meglio di mediare ad oltranza tra le varie correnti. Sì alla conslutazione dei dirigenti locali per la nomina di quelli regionali e nazionali (e no alle primarie, dunque) ma no anche al partito federato del Nord chiesto da Massimo Cacciari.
uanti yuan costa la bomba atomica iraniana? È questo il tema degli incontri tra Barack Obama e Hu Jintao. Nel corso del vertice di Washington sulla sicurezza nucleare mondiale, uno dei temi più caldi è senz’altro il dossier sul programma iraniano. Dossier che sta molto a cuore all’Amministrazione statuni- Dopo tense che però Mosca, poco può fare Hu Jintao senza il supapre al no porto di Russia e Cina. E dell’Onu quel supporto al nucleare Obama si sta di Teheran dedicando a cercare, e anche ad esso sono legati da un lato il recente accordo Start2 con Mosca, dall’altro il dialogo con Pechino. E come nella tradizione cinese ieri il presidente Hu Jintao ha detto tutto e niente, lasciando ai cronisti l’interpretazione di ogni parola e del suo contrario. Il leader di Pechino, insomma, ha lasciato le porte aperte.
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Marco Palombi • pagina 7
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Il filosofo tedesco Lobkowicz su Chiesa e pedofilia
Solite mediazioni su primarie e federalismo
«Se un padre è colpevole, aboliamo la famiglia?»
Alla fine Bersani dà ragione a Prodi (ma anche no)
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I QUADERNI)
• ANNO XV •
NUMERO
70 •
WWW.LIBERAL.IT
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IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
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Analisi. Programmi elettorali e gestione della cosa pubblica dividono gli inglesi dalle altre nazioni del Continente
Destra, modello Cameron L’esempio del leader Tory dimostra che i conservatori europei sono vivi e vegeti. Una lezione da prendere in considerazione di Vincenzo Faccioli Pintozzi na “Grande Società”che si opponga all’idea di “Grande Stato” e che, sola, può garantire la ripresa di una nazione che da sempre traccia la strada per il Vecchio Continente. È la traccia principale del manifesto conservatore presentato ieri da David Cameron, a 23 giorni dalle elezioni politiche con le quali i tories sperano di mettere fine al dominio laburista dell’ultimo decennio. Il vezzo del cambiamento, quello stesso cambiamento assurto al rango di slogan e reso celebre da un oscuro senatore dell’Illinois poi divenuto presidente degli Stati Uniti d’America, non è dunque al centro del documento. Ma, nelle 177 pagine con cui Cameron ha deciso di tracciare la strada della sua sfida più importante, il cambiamento aleggia dappertutto. È la prima parola di tre su cinque titoli dell’indice, per esempio: cambiare l’economia, cambiare la società e cambiare la politica. Ma soltanto perché gli ultimi due temi - ambiente e interesse nazionale - non possono essere cambiati ma soltanto “protetti” e “promossi”. È importante sottolineare che il testo conservatore rappresenta una prima assoluta per i partiti di centro-destra europei. Non è soltanto un testo di rottura rispetto ai logori programmi di Major e degli altri leader che lo hanno preceduto, ma rappresenta una novità anche nei confronti della politica statunitense, che più volte ha rappresentato un’ispirazione per i cugini britannici.
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Cameron, infatti, si sfila dal ricorrente dibattito su “big government” e “small government”che caratterizza la politica di Washington per eliminare del tutto il “government”: non è una scelta populistica o demagogica, come il tentativo poco felice dell’ultima campagna elettorale incentrata sulla fine della burocrazia, ma è un totale capovolgimento del fronte elettorale. Con poche speranze per un maggior impegno di Londra all’interno dell’Unione europea: relegato in fondo al testo, infatti, è nascosto un referendum popolare su ogni singolo passaggio di poteri da Londra a Bruxelles, l’impegno a non entrare mai nell’euro e una serie di negoziati per ripor-
tare poteri in materia di diritti umani dall’Ue alla Gran Bretagna: «Non consentiremo mai alla Gran Bretagna di finire in un’Europa federale - si legge nel manifesto - in futuro, i britannici diranno la loro su ogni trasferimento di poteri all’Unione Europea. Noi cambieremo lo European Communities Act del 1972 così che ogni futuro trattato che trasferisca poteri o competenze sia sottoposto a referendum».
La Gran Bretagna, promettono ancora i tories - che in Europa sono alleati con un raggruppamento di euroscettici dopo l’uscita dal Ppe - negozierà il rientro di poteri dall’Ue alla Gb per quel che riguarda la carta dei diritti fondamentali, in materia di giustizia e sulle leggi sociali e sull’occupazione. Ma la parte europea del documento è alla fine, e occupa soltanto otto pagine su 120. La parte portante del testo è dedicata a cinque argomenti principali: economia, società, politica, ambiente e interesse nazionale. Lo scopo del nuovo corso, ha spiegato lo stesso Cameron, «è quello di avere un piano per cambiare in meglio la Gran Bretagna». Questo piano, defi“ottimista”, nito porterà a Londra un nuovo tipo di governo che abbia meno Stato e più potere popolare. Le libertà nuove che i conservatori promettono sono sostanzialmente in due campi: l’educazione e la libera impresa. Per il leader del Partito, si tratta della «più grande chiamata alle armi che questa generazione di inglesi abbia mai visto.Tutti dobbiamo essere coinvolti, e il governo deve essere partner, non boss». Fra gli scopi
principali del prossimo esecutivo vi sono delle proposte destinate a creare molta discussione all’interno del Paese. Le comunità locali avranno il diritto di scegliersi i propri dirigenti, a qualunque livello. Il Parlamento dovrà impegnare il primo anno a eliminare il deficit strutturale interno che lo rende una macchina per bruciare denaro. Il governo, nello stesso periodo, ha pronto un piano di tagli che prevede l’eliminazione di sei miliardi di sterline fino a ora “buttate via”. Il numero dei de-
putati verrà ridotto del dieci per cento, e all’elettorato verrà dato il potere di cacciare quei parlamentari che compiono «gravi errori». In pratica, si tratta di una rivoluzione copernicana che porta il Partito conservatore a molte miglia di distanza dal terreno, che gli è più congeniale, della politica come campo base per la gestione del Paese. Usando le parole del candidato, «dobbiamo riporre le speranze sulla società, l’idea migliore».
L’idea migliore, dunque, e so-
Il vecchio Partito si è affidato a un “boy”, un giovane che ha reso più convincente il messaggio della destra parlando a tutto il Paese
prattutto un’idea. Il risultato elettorale inglese, di cui si conosceranno gli esiti il prossimo 7 maggio, non è facilmente prevedibile. La possibilità più evocata e più probabile è quella di una vittoria dei conservatori, ma non così schiacciante da permettere loro di controllare anche le Camere. Ma, in ogni caso, c’è una campagna elettorale e un confronto con l’elettorato che devono essere prese in considerazione. Perché dimostrano che i conservatori in Europa - intesa come continente e non come Unione - sono ancora una forza con cui è necessario fare i conti. E perché dovrebbero spingere alla riflessione coloro che - in altre nazioni del medesimo continente - dicono di ispirarsi a lui. Prendiamo come termine di paragone l’esempio italiano, e teniamo un attimo da parte la pur giusta obiezione secondo la quale sono imparagonabili una coalizione abborracciata da poco tempo, il PdL, e un Partito come quello dei conservatori inglesi, con una storia che affonda le radici nel Tamigi. Prendiamo in considerazione modus soltanto operandi e animus
dei membri e dei leader di questi due Partiti. Dal lato della “perfida Albione”abbiamo politici di caratura, non scevri da vizi comuni e non immuni da tentazioni poco edificanti, che tuttavia hanno il senso della res pubblica e sono tenuti sotto scacco da un elettorato che ha modi e mezzi per ricacciarli nelle nebbie da cui sono usciti. Mentre in Italia esiste una casta di nominati talmente scialbi da risultare quasi invisibili, per la maggior parte, se messi alla prova del cittadino. Poi abbiamo il modo con cui si fa campagna elettorale. In Gran Bretagna si viaggia, si parla e si appare in televisione soltanto tre volte, a ridosso del voto, in occasione di faccia a faccia con gli avversari. In Italia si viaggia di canale in canale, e forse si parla con il vicino di treno quando ci si sposta per piacere. Infine, forse la nota più dolente, il programma.
La CdU di Angela Merkel, i conservatori di David Cameron, l’Ump di Nicolas Sarkozy hanno una nota comune: mettono il proprio elettorato a conoscenza di ciò che faranno una volta, e se, eletti. Pratica oramai scomparsa a sud delle Alpi. Insomma, quella di ieri a Battersea, zona industriale della Londra operaia da cui Cameron ha lanciato il proprio rush finale, più che una sfida sembra un monito al resto dei conservatori europei. Un monito che dovrebbe essere preso in considerazione soprattutto da coloro che ritengono il proprio mestiere emanazione di un potere superiore che non viene mai dal popolo. L’appello del giovane (molto giovane, per i nostri parametri) candidato al premierato è quello che dovrebbe risuonare quasi quotidianamente in molte nazioni, di colore simile o opposto: senza il sostegno popolare, senza l’ingresso virtuale della popolazione all’interno delle stanze del governo, non c’è voto plebiscitario che tenga. Si perde la legittimità a governare, e basta. E non serve convocare la piazza per dimostrare di essere ancora considerati in grado di guidare la nazione: i numeri, soprattutto quelli del Bilancio, parlano a chi li vuole ascoltare. Insomma, una lezione da tenere in considerazione.
prima pagina MARGARET THATCHER
Nel Pdl c’è chi guarda e si ispira al nuovo corso di Londra
La “Lady” conservatrice, che insieme a Ronald Reagan ha guidato l’asse occidentale durante la Guerra fredda, sembra essere sparita dal Pantheon dei tories
«Ma alla fine in Italia nessuno lo seguirà»
I dubbi dell’economista Carlo Pelanda: «Da noi il centrodestra è solo una sinistra populista» di Riccardo Paradisi
JOHN MAJOR Primo ministro inglese dal 1992 al 1997, viene considerato l’ispiratore del dominio laburista nato alla fine del suo mandato. Eletto dopo una spaccatura nel Partito, è quasi sparito
TONY BLAIR “Call me Tony” Blair, leader laburista e primo ministro dal 1997 al 2007, ha rilanciato il Labour, creando un modello per la sinistra europea. Cameron cerca di seguirne le orme, da destra
GORDON BROWN Un compito ingrato per un politico che avrebbe potuto essere, in un’altra congiuntura, di primo livello. La scomoda eredità di Blair ha influito troppo sul mandato di Brown
DAVID CAMERON In campagna elettorale da circa un anno, il volto nuovo dei tories affronta le urne giocandosi il tutto per tutto. In ogni caso, la “big society” porterà il suo marchio
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avid Cameron, 43enne leader dei Tories inglesi è indicato dai sondaggi come il vincitore delle elezioni politiche britanniche del 6 maggio: gli elettori del suo Paese dovrebbero scegliere lui e non il premier uscente Gordon Brown perché «un paese in recessione – dice lo stesso leader dei tories – in cui molti temono di perdere il posto di lavoro e tutti sono appesantiti dal deficit pubblico, ha bisogno di un cambiamento». E insieme all’economia, aggiunge Cameron, occorre cambiare e ricostruire la società britannica, che in questi anni è andata in pezzi: «Bisogna salvare e rinnovare il nostro servizio sanitario nazionale e migliorare la scuola». Cameron ha conquistato la leadership dei tories in seguito all’ultima sconfitta del 2005, quando aveva solo trentanove anni. A David Cameron si ispira anche la destra di casa nostra soprattutto l’ambiente di intellettuali e giornalisti della fondazione Farefuturo che ruota intorno al presidente della Camera Gianfranco Fini. La rivista della fondazione diretta da Adolfo Urso, Charta minuta, dedica a Cameron pagine entusiastiche: in un recente articolo della rivista dedicato all’economia di domani si fanno le lodi per esempio della green economy dei nuovi tories Ma è davvero un modello importabile in italia quello di Cameron? È credibile questo ispirarsi alla destra d’oltre Manica? Carlo pelanda, economista e conoscitore del mondo anglosassone ha molti dubbi a riguardo: «Le destre europee e in particolare la destra italiana rappresentano un mondo distinto e distante rispetto alle destre anglosassoni. Perché – in particolare in Italia – la destra continentale è sempre statalista, mentre nel Regno Unito e negli Stati Uniti le destre sorgono su un un filone e una tradizione culturale liberale e liberista». Ma la strategia di Cameron è stata quella di presentarsi come il nuovo Blair, capace di modernizzare un partito in crisi di identità e consensi. Per fare questo ha introdotto nel programma dei temi popolari nell’opinione pubblica, ma di cui i conservatori non si erano mai occupati,
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come l’ecologismo, la decentralizzazione, il volontariato, l’economia verde: una torsione statalista importante rispetto all’ultra liberismo della vecchia Margaret Tatcher. «Ci sono evoluzioni o involuzioni nelle destra angolosassone, è vero: penso al conservatorismo compassionevole di Bush o appunto al conservatorismo sociale di Cameron. Questo perchè l’elettorato di destra di Gran Bretagna e Stati Uniti è un po’ spaventato dalla crisi, vorrebbe i vantaggi del libero mercato senza rischi. Quindi certo, Cameron rappresenta un altro passo verso questa svolta del liberismo, verso uno stato politico più sociale. Questo potrebbe segnare un’ apparente convergenza con le destre anglosassoni e in particolare con quella italiana ma il rischio è quello di un’illusione ottica: perché la destra inglese resta pur tuttavia una destra la destra italiana, sia essa berlusconiana o finiana non è destra: è sinistra. Sinistra populista ma sempre sinistra». C’è anche un’altra differenza tra la destra britannica e quella italiana e più in generale tra la politica anglosassone e la nostra. «In gran Bretagna, come del resto negli Usa – dice Pelanda – i think tank sono forze reali della politica nazionale. In italia sono quasi sempre dependance di uomini politici di serie B. Questo si spiega da un lato col fatto che i think tank anglofoni derivano da una tradizione imperiale, tradizione che l’Italia ha avuto soltanto a metà con l’esperienza fascista. Quei centri studi portavano informazioni vere sui territori, si formavano sullo studio e l’osservazione da trasmettere al centro imperiale che chiedeva informazioni. Questa serietà d’impostazione ha fatto si che quei think tank una volta diventati indipendenti abbiano mantenuto un rigore scientifico. In Italia i riferimenti delle fondazioni sono i partiti o uomini politici ultracinquantenni in attesa di succedere a Berlusconi. Ecco, Cameron ha meno quarantacinque anni. A dimostrazione che nel mondo che parla inglese si fa più attenzione che da noi al ricambio generazionale, ci sono meccanismi che favoriscono la circolazione delle elite».
Il nuovo leader è un quarantenne. A dimostrazione che nel mondo anglosassone si fa più attenzione che da noi al ricambio generazionale
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Documenti. I tories promettono: «Non entreremo mai nell’euro e inizieremo a riprenderci da Bruxelles la sovranità nazionale»
Ecco la Great Society
«Serve una vera rivoluzione per superare il centralismo dello Stato. Partiamo da scuola e sanità federali»: il manifesto dei conservatori a Gran Bretagna ha bisogno di un cambiamento: pochi lo possono mettere in dubbio. Le nostre finanze nazionali sono impantanate in un debito massiccio. Milioni di cittadini stanno vivendo nella miseria della disoccupazione. Le nostre comunità sono squassate dalla criminalità e dagli abusi. La pubblica amministrazione è intrappolata in una rete di lacci e lacciuoli. La gente ha smesso di credere che questa politica possa risovere i nostri problemi, o che quei politici possano guidarci verso un futuro migliore. Ci si sente indifesi. E, cosa ancora più grave, si respira un sentimento di ineluttabile declino della Gran Bretagna. Ma nessuna legge ci impone di accettare questa deriva. Noi abbiamo l’energia, le idee e le ambizioni per riportare il Paese sui giusti binari. E questo include ogni cittadino britannico, ovunque egli viva e in qualunque circostanza si trovi. Se siamo uniti, se agiamo con decisione e guardiamo al futuro con ottimismo, possiamo cominciare a stabilizzare l’economia e affrontare i problemi sociali e politici che frenano la nostra nazione. Noi possiamo portare quel cambiamento che la Gran Bretagna merita. E che cosa è questo cambiamento? Alcune delle soluzioni promesse dall’alto, ma di reale cambiamento, derivano dall’atteggiamento collettivo. Noi vi offriamo un nuovo approccio: un cambiamento che è
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sia quello di rafforzare la società e rendere i servizi pubblici al servizio dei cittadini che li usano. In altre parole, il cambiamento che vi offriamo è quello capace di trasformare un grande governo in una Grande società. Questo manifesto è il passaggio più importante di questo lungo viaggio cominciato ormai quattro anni e mezzo fa, quando lo stesso Partito Conservatore decise di votare per il cambiamento eleggendo David Cameron come suo leader. Da allora, il Partito si è rimodulato
ECONOMIA
Aiuti a piccole e medie imprese, blocco dei tassi dei mutui privati. I tories puntano a rilanciare i mercati locali
SOCIETÀ
per affrontare l’era moderna, applicando i suoi valori più profondi ai problemi più stringenti e attuali. E benché lo abbia fatto, i problemi con cui si è dovuto confrontare il Paese sono cresciuti a dismisura, e velocemente. Perciò le nostre idee sono ambiziose e radicali così come moderne. Sono pronte a confrontarsi con i problemi della nazione, così come a leggere e interpretare un mondo che sta cambiando sotto i nostri occhi. Ma i nostri valori di fondo non sono mutati e i nostri credo restano. Noi crediamo nella responsabilità: la responsabilità del governo verso le finanze pubbliche, la responsabilità individuale verso le nostre azioni e la responsabilità sociale verso l’altro. Noi crediamo nell’impresa e nell’aspirazione. Noi puntare vogliamo sulla società, il che non significa puntare sullo Stato. Il nostro principio fondamentale è che il potere debba passare dai politici alla gente, dal centrale al locale. L’ambizione personale dovrebbe essere lasciata libera di immaginare quanto è umanamente possibile, senza che lo Stato debba porvi limitazioni. E, cosa forse più importante, noi siamo convinti che questo ci riguardi tutti. Ogni cosa che troverete in questo
La grande società è la chiave per cucire gli strappi del nostro Paese. Scuola e sanità al primo posto delle priorità qualcosa di più di un semplice passaggio di poteri da un gruppo politico ad un altro. È la sostituzione di una filosofia politica con un’altra. Dall’idea che il ruolo dello Stato sia quello di indirizzare la società e in parte occuparsi dei pubblici servizi, all’intuizione che il ruolo dello Stato
La lettera di Cameron agli elettori inglesi
«Ho bisogno di voi per cambiare il Paese» na nazione raggiunge il suo livello migliore quando i legami che uniscono la popolazione sono forti, e quando il senso di uno scopo comune è chiaro a tutti. Oggi, le sfide che la Gran Bretagna è chiamata ad affrontare sono enormi. La nostra economia è sopraffatta dal debito, la nostra fabbrica sociale rischia il crollo ed il nostro sistema politico si ritrova ad aver tradito il popolo. Ma questi problemi non possono in alcun modo essere superati se non in un modo: spingendo e lavorando tutti insieme. Soltanto se teniamo bene a mente che in questo problema ci ritroviamo tutti, insieme. Alcuni dei nostri politici dicono: «Dateci il vostro voto e noi vi tireremo fuori da ogni problema». Noi, invece, diciamo: «Un vero cambiamento non può avvenire soltanto tramite il governo». I veri cambiamenti si verificano quando la popolazione è ispirata e mobilitata. Si verificano quando milioni di noi si sentono chiamati in causa e vogliono giocare il proprio ruolo nel futuro della nazione. Certo, questo è un progetto ambizioso; certo, è un progetto ottimistico. Ma, alla fine di tutto il procedimento, ogni singolo atto del Parlamento, ogni nuova misura che viene varata, tutte le nuove iniziative politiche sono soltanto parole in bocca ai politici. Diventano realtà con voi e con il vostro coinvolgimento.
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Come potremo affrontare questa crisi del debito, se non comprendiamo di essere tutti coinvolti all’interno di questa? Come potremo crescere bambini responsabili, se ogni adulto non gioca secondo il proprio ruolo? Non è possibile in alcun modo rivitalizzare le comunità, se le persone non smettono di chiedere: «Chi aggiusterà questa cosa?». Questo risultato si otterrà quando le stesse persone inizieranno a chiedersi: «Cosa posso fare al riguardo?». La Gran Bretana cambierà in meglio quando ognuno dei suoi abitanti deciderà di prendere parte al processo, di assumersi le proprie responsabilità: quando decideremo di lottare tutti insieme. La forza della collettività è in grado di sconfiggere i nostri problemi. Soltanto insieme possiamo liberarci di questo governo e, di conseguenza, del debito che ha creato. Soltanto insieme possiamo fare in modo che l’economia riprenda a muoversi. Soltanto insieme possiamo proteggere la nostra sicurezza nazionale, migliorare il nostro sistema scolastico e curare la nostra società, che ora è malata. Insieme possiamo persino costringere la politica, e i suoi membri, a lavorare meglio. E se possiamo fare questo, possiamo fare tutto. Sì: insieme possiamo fare tutto. L’invito che vi rivolgo oggi, dunque, è questo: unitevi a noi, per formare un nuovo tipo di governo per la Gran Bretagna.
manifesto si basa su questi credo. Questi sono i mattoni del cambiamento che noi vogliamo veder realizzato in ogni casa, ogni strada, ogni comunità, ogni business. La nostra fiducia nella responsabilità con le finanze pubbliche è il punto di partenza del nostro piano di ripresa e crescita economica. Vogliamo il vostro consenso per un programma di controllo della spesa pubblica che affronterà la crisi del debito laburista e la tassa laburista sull’impiego che ucciderebbero la nostra ripresa economica. Il programma disegnato in questo manifesto è pienamente valutato e finanziato. Alcune delle nostre proposte come quella sulla disciplina scolastica - hanno costi pari a zero, ma richiedono energia e leadership. Altre - come bloccare la tassa laburista sull’impiego - richiederanno soldi, ma risparmieremo in altre aree per poter coprire i costi. La crisi del debito è la terribile eredità che Gordon Brown sta lasciando al nostro Paese. Ma la responsabilità fiscale ha bisogno di una coscienza sociale altrimenti non c’è affatto responsabilità: non permetteremo quindi alle persone più povere in Gran Bretagna di pagare un prezzo ingiusto per gli errori di qualcuno fra i più ricchi. Nè permetteremo atteggiamenti irresponsabili nel settore privato per continuare a rimanere incontrollati. Porteremo legalità e ordine ai nostri mercati finanziari come passo necessario per riportare fiducia. Ma il vero premio per la Gran Bretagna è creare un nuovo modello economico, un modello fondato su investimento e risparmi non su prestiti e debiti. Questa visione economica riflette la nostra fiducia nell’impresa e nell’aspirazione. Si tratta di una visione di economia realmente moderna: un’economia che sia più verde e più locale. Un’economia in cui la Gran Bretagna sia una guida in scienza, tecnologia e innovazione ma che sia fondata sulla determinazione che il benessere e l’opportunità devono essere distribuite più equamente. Vogliamo vedere un’economia dove non solo i nostri standard di vita, ma la qualità di vita di tutti, crescano costantemente e in maniera sostenibile. Tuttavia una nazione ha realmente successo solo se è costruita su una forte società. Noi non affronteremo mai i nostri debiti e costruiremo una nuova economia finché non risolviamo i problemi sociali che costano così tanto e tengono così tante persone indietro. Il grande approccio di governo dei labour sta peggiorando i nostri problemi sociali, non li sta migliorando – disuguaglianza e povertà in aumento, mobilità sociale blocca-
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ta, divisioni familiari che riguardano troppi adolescenti. Abbiamo bisogno quindi di un cambiamento: da un grande governo che presume di sapere di più, a una Grande Società che abbia fiducia nella gente per idee e innovazione. Passeremo dall’azione di Stato all’azione sociale, incoraggiando la responsabilità sociale in tutte le sue forme e in tutto il Paese, sia limitando l’inciviltà sulle strade che sostenendo iniziative sociali con il potere di trasformare i quartieri. Riparare la rottura della società sarà lo scopo principale del prossimo governo dei conservatori. Per questo motivo in questo manifesto ci poniamo un obiettivo ambizioso: rendere la Gran Bretagna il Paese più a favore della famiglia in Europa. Per questo motivo sosteniamo il Sistema sanitario nazionale. Per questo motivo faremo una riforma della scuola per aumentare gli standard e aggiustare la disciplina. Per questo motivo toglieremo benefici alle persone per inserirli nel lavoro; una riforma della legislatura, della giustizia e delle carceri. E per questo motivo siamo impegnati per un futuro più verde. Tuttavia non riusciremo a costruire una Grande Società, o a costruire un nuovo modello economico, finché non fermeremo il governo dal tentare di dirigere ogni cosa dal centro. Non andremo da nessuna parte con un controllo ancora dall’alto verso il basso. Quindi, dopo tredici anni di governo laburista, abbiamo bisogno di una riforma politica radicale.
SICUREZZA
porteranno in maniera più responsabile. Crediamo che se si decentralizza il potere, si ottengono migliori risultati e un valore migliore del denaro. Quindi i programmi stabiliti in questo manifesto rappresentano una redistribuzione senza precedenti del potere e del controllo dal centrale al locale, dai politici e dalla burocrazia agli individui, alle famiglie e ai quartieri. Daremo alla gente molto di più per quelle cose che riguardano la loro vita quotidiana. Renderemo il governo, la politica e i servizi pubblici molto più aperti e trasparenti. E daremo alle persone che lavorano nei nostri servizi pubblici una responsabilità molto maggiore. Ma a loro volta, loro dovranno rispondere alla gente. Tutte queste misure aiuteranno a ripristinare la fiducia nel nostro malridotto sistema politico. Sappiamo che si tratta di una visione ambiziosa. Una visione profondamente ottimistica, ma è anche una visione autenticamente Conser-
AMBIENTE
Le emissioni di carbone vanno ridotte a metà. Incentivi alle aziende “verdi” e promozione dell’agricoltura vatrice: moneta sonante, sostegno alle imprese, fiducia alla popolazione. Il viaggio che abbiamo intrapreso quattro anni e mezzo fa si basava proprio sull’applicazione di questo approccio Conservatore alle sfide progressiste della nostra epoca: rendere più equa l’opportunità, combattere la povertà e la diseguaglianza; migliorare l’ambiente e il benessere generale. Il nostro credo quindi oggi è un Conservatorismo progressista e questo è un manifesto Conservatore sfacciatamente progressista. Ora chiediamo a voi di unirvi a noi per il prossimo e importante passo del nostro viaggio: cambiare la Gran Bretagna per permetterci di dare una vita migliore ai nostri cittadini e svolgere un ruolo orgoglioso e preminente nel mondo. Ognuno dei tre programmi di riforma sottolineati in questo manifesto – i nostri programmi per costruire un nuovo modello economico, per costruire una Grande Società, per costruire un sistema politico in cui le persone abbiano maggiore potere e controllo sulle loro vite – è un’impresa
Sostegno senza condizioni alle Forze armate, impegnate in battaglia per la sicurezza di tutti noi Dobbiamo cambiare l’intero modo in cui questo paese è gestito. In quanto Conservatori, abbiamo fiducia nella gente. Crediamo che si dà responsabilità alle persone, si com-
POLITICA
Meno deputati vuol dire meno spese pubbliche. La gestione deve iniziare a essere realmente locale, anche in politica massiccia nel suo stesso diritto. Tuttavia, stiamo proponendo di realizzare questi cambiamenti subito, perché questo è l’unico modo per portare la Gran Bretagna sul giusto cammino per un futuro di successo. La Gran Bretagna sta affrontando enormi problemi che richiedono un cambiamento radicale che non potranno avvenire abbastanza presto. Siamo impazienti di metterci al lavoro. Siamo determinati a fare la differenza. Abbiamo le politiche per fare questa differenza e, più significativamente, abbiamo fiducia nei cittadini inglesi, perché sappiamo che se stiamo tutti insieme, allora questo Paese potrà cambiare il suo futuro.
14 aprile 2010 •
diario
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Conti. L’Erario registra a gennaio e febbraio un buco da 800 milioni rispetto al 2009. Il Tesoro: l’ultima coda della crisi
Tasse, il 2010 si apre in calo
Sindacati preoccupati per gli aumenti agli statali: servono 1,7 miliardi ROMA. Ottocento milioni in
di Francesco Pacifico
meno all’Erario e un motivo in più per intervenire sui conti pubblici già in primavera. Giulio Tremonti continua a smentire una manovra aggiuntiva, ma gli ultimi dati sul gettito fiscale (-1,4 per cento nel primo bimestre dell’anno) e l’incombente prima tranche per l’aumento degli statali (1,7 miliardi per oltre 3 milioni di lavoratori) potrebbero costringerlo a cambiare idea. Da via XX settembre fanno notare che i numeri sono migliori di quanto si possa pensare, in ogni caso “in linea”con la crisi e un quarto trimestre 2009 inferiore alle aspettative. Come dimostra anche l’ultimo dato fornito da Bankitalia sul debito pubblico, che a febbraio è salito a 1.795 miliardi di euro contro i 1.788 di gennaio a dispetto dei cali degli ultimi.
A dare maggiori preoccupazioni è l’Ires, la tassa che si paga sul reddito d’impresa, i cui incassi sono sempre bassi in questa fase dell’anno. Ma nel 2010 le cose sono andate peggio del solito perché rispetto al 2009 si registra un calo di 31 milioni (-7,3 per cento) sui 392 milioni raccolti complessivamente. Fanno notare dal Dipartimento di finanza pubblica: «Per quest’anno, le rilevazioni sinora effettuate sembrano indicare che i versamenti delle imprese potrebbero, come già avvenuto in passato, affluire al bilancio dello Stato nel mese di marzo». Rallenta anche la dinamica legata ai giochi: sia le imposte dirette sia quelle indirette
mesi del 2010 un aumento di 15 milioni (+0,5 per cento), che ha portato il gettito totale a 3,077 miliardi di euro. Tiene soprattutto l’addizionale regionale Irpef: in generale 609 milioni con un incremento dello 0,5 per cento. Quella comunale, invece, segna una minima perdita, visto che rispetto al passato manca un milione di euro ai 166 milioni complessivamente raccolti. Regge grazie al caro benzina anche l’Iva. Nei primi due mesi dell’anno le entrate sono state pari a 12,144 miliardi di
Tremonti non vuole fare una manovra anticipata. Ma la debolezza del gettito e le richieste del pubblico impiego potrebbero cambiare i piani hanno portato all’Erario 1,905 miliardi di euro, con un calo del 5,8 per cento e pari a 118 milioni di euro. Incassano meno rispetto a un anno il lotto (167 milioni di euro) e le lotterie istantanee (-79 milioni). Positivo invece il gettito dell’Ire (+1,4 per cento), che, secondo il ministero, «ha risentito degli effetti positivi conseguenti ai rinnovi contrattuali del settore pubblico registrati nel corso del 2009». Sul versante dei tributi destinati agli enti territoriali e locali si è registrato nei primi due
euro (+0,8 per cento a livello congiunturale e -2,4 a livello annuo). Proprio guardando al gettito dell’imposta sui prodotti importati, dal ministero sottolineano che è «influenzato dai prezzi dei beni importati e soprattutto dal prezzo del petrolio, che ha toccato il minimo proprio nei primi mesi del 2009 ed è ora a livelli molto più elevati». Buone nuove anche dalla lotta all’evasione. Da gennaio a febbraio il gettito derivante dalle attività di accertamento e controllo sul versamento dei
Slitta il bando internazionale per il sito Fiat
Per Termini 21 proposte ROMA. La notizia positiva è che sono salite a 21 le manifestazioni di interesse per la riconversione dello stabilimento Fiat di Termini Imerese. Quella negativa è che slitterà di qualche mese il bando internazionale per trovare un nuovo soggetto da insediare nell’area. E soprattutto una casa automobilistica in grado di garantire un futuro agli oltre 2mila lavoratori, tra diretti e indotto, che sono legati allo stabilimento siciliano del Lingotto. Questo il bilancio dell’ultimo incontro al ministero dello Sviluppo tra i funzionari del dicastero, i rappresentanti dei lavoratori, quelli dell’azienda e l’advisor Invitalia. Proprio il suo presidente, Domenico Arcuri, avrebbe spiegato che «la pubblicazione è stata posticipata di qualche settimana perché dal crescere delle ipotesi cresce la possibilità di risultato positivo».
Su 21 proposte complessive si lavora già su un paniere di 14 che sembrano meglio definite. Di queste sei riguardano l’automotive, una il settore media, tre il manifatturiero, una l’agricolo, tre sono progetti di ricerca. Tre di esse (Cape Regione Sicilia, De Tomaso e Hong Kong Tai) avrebbero anche visitato lo stabilimento.
Per tutta la giornata di ieri hanno incrociato le braccia i lavoratori di Termini Imerese. Intanto sempre ieri l’azienda ha comunicato che anche nel mese di maggio Fiat ricorrerà alla cassa integrazione allo stabilimento di Mirafiori. A essere interessati dal provvedimento i dipendenti di enti centrali, presse e costruzione stampi. E tanto basta per accrescere i timori che all’incontro con sindacati e analisti del 21 aprile, Fiat presenti il conto anche allo stabilimento torinese.
tributi è stato di 730 milioni di euro (+207 milioni, con un incremento del 39,6 per cento). Dalle imposte dirette arrivano 506 milioni (+156 milioni che si traduce in un +44,6 per cento), da quelle indirette 224 milioni (+51 milioni pari a un +29,5 per cento). Proprio il minor gettito rende più complesso affrontare le partite da rifinanziare (come le missioni di pace o i tagli all’università) che tra qualche mese potrebbero scoppiare in mano a Tremonti. Ma in questo clima inizia a far paura anche il rinnovo del pubblico impiego, che per il 2010 comporterà un costo di 1,7 miliardi. Da parte dei sindacati così come dal dicastero della Funzione Pubblica stanno arrivando non poche pressioni su XX settembre per sbloccare il dossier. Soprattutto non vuole rimetterci la faccia Renato Brunetta, che quando incontro Gugliemo Epifani a fine del 2009 presentò una road map secondo la quale ad aprile sarebbero rese disponibili le risorse necessarie. Si è arrivati a quella data, ma dal Tesoro non è stata ancora allocata la cifra necessaria. Tanto che Brunetta avrebbe già in mente di chiedere un incontro a Silvio Berlusconi per risolvere quello che si annuncia come l’ennesimo scontro con il titolare dell’Economia. E a peggiorare le cose anche il fatto che i sindacati – sia la più radicale Cgil sia i più collaborativi Cisl e Uil – non intendono fare sconti.
Spiega Carlo Podda, leader degli statali di corso d’Italia: «Di solito si mette in bilancio una parte della cifra dovuta, per poi dare il totale alla fine del triennio. Ma in questo momento non c’è un centesimo». Gli fa eco Gianni Baratta, segretario confederale della Cisl: «Il contratto va rispettato e se non ci sono i soldi, non ci si azzardi a recuperarli dagli statali o dai pensionati». La prossima settimana le parti si vedranno all’Aran per iniziare di discutere di comparti e settori. Ma già in fase di confronto sulle regole di contrattazione, i sindacati manderanno un avvertimento a Tremonti: vogliono per intero gli 1,7 miliardi previsti per il settore e non accetteranno una vacanza contrattuale, che stando alle intenzioni del governo è pari a sei euro al mese.
diario
14 aprile 2010 • pagina 7
La continua melina tra i due Stati sul terrorista italiano
Un documento dei vescovi «contro la secolarizzazione»
Caso Battisti, Berlusconi è fiducioso. Ma è stallo
La Cei attacca: «In Italia c’è troppo materialismo»
ROMA. «Silvio Berlusconi è fiducioso nelle nostre scelte». Così il ministro degli Esteri brasiliano Celso Amorin sintetizza le ripercussioni sul caso di Cesare Battisti dopo il vertice italo-brasiliano di Washington: praticamente zero. I 40 minuti di colloquio fra il premier italiano e il presidente Lula hanno dato il via libera a un rapporto di partenariato che dovrebbe produrre per il nostro Paese commesse per svariati miliardi (forse 10), per Finmeccanica e Trenitalia.
CITTÀ DEL VATICANO. «L’Italia
In ballo, la realizzazione di navi della marina fluviale e opere per l’alta velocità ferroviaria fra Rio e San Paolo. Quanto al caso Battisti, niente. E probabilmente è questa la vera ragione del più volte rinviato viaggio in Brasile di Berlusconi, non in vena forse di aprire contenziosi col prezioso partner. Ed ecco, quindi, l’insolita soluzione, il colloquio bilaterale – quasi furtivo – nel bel mezzo di un vertice che si occupava di tutt’altro, l’altro ieri, di sicurezza nucleare per la precisione. Berlusconi avrebbe espresso totale fiducia nelle autorità brasiliane. Non si capisce, in realtà, da che cosa derivi tanti fiducia, visto che sono passati più di tre anni dall’arresto dell’ex leader dei Pac, nel marzo
Il governo va sotto Salvaliste addio A sorpresa l’Aula boccia il testo scritto per Formigoni di Marco Palombi
ROMA. Non ci credeva nemmeno Rosi Bindi, che in quel momento presiedeva l’aula: «La Camera approva». Era accaduto, in buona sostanza, che Montecitorio avesse appena affossato (262 sì contro 254 no) definitivamente il cosiddetto “decreto salvaliste”, quello varato in tutta fretta dal governo per “salvare”la lista del Pdl in provincia di Roma e il listino di Roberto Formigoni in Lombardia alle ultime Regionali. Quel decreto, per rimettere tutto sul tavolo, che aveva innescato uno scontro abbastanza duro tra palazzo Chigi e il Quirinale e aveva poi, una volta emanato, provocato più di una critica a Giorgio Napolitano da parte dell’opposizione politica e sociale. Questo testo che Silvio Berlusconi aveva voluto con forza, attorno a cui aveva organizzato la manifestazione di piazza San Giovanni, è scomparso così, come un venticello primaverile.
L’aula della Camera, deserta di quasi cento parlamentari di maggioranza, ha infatti approvato un emendamento del Pd, a firma Gianclaudio Bressa, che prevedeva di sostituire l’intero articolato del decreto con questa formula: «Non è convertito in legge il decreto-legge 5 marzo 2010, n. 29, recante interpretazione autentica di disposizioni del procedimento elettorale e relativa disciplina di attuazione. Restano validi gli atti edi provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base della vigenza del citato decreto-legge n. 29 del 2010». Adesso, ad evitare la possibile ondata di ricorsi che potrebbe mettere in discussione la regolarità delle elezioni in tutta Italia, occorrerà mettere mano ad un ddl (il decreto è impraticabile) che metta in sicurezza gli effetti del decreto, proprio come si fece nel 1995 quando il governo Dini riaprì d’urgenza i termini di presentazione delle liste salvo poi farsi bocciare il dl in commissione. Questa formula, peraltro, era la proposta avanzata in Aula dalla stessa opposizione, rifiutata con sprezzo dalla maggioranza che aveva anzi deciso di “taglia-
re” la durata del dibattito per portare a casa il testo prima possibile. Perché? Risposta di un deputato d’opposizione che vuole rimanere anonimo: «Perché sono delle teste di c… e noi ancora di più visto che siamo tanto teste di c… da perdere le elezioni con delle teste di c…».
Nella maggioranza, oltre al tentativo di minimizzare, è partito pure una sorta di scaricabarile tra alleati: «Ancora una volta il Pdl non è in grado di controllare i propri deputati», sosteneva a caldo Raffaele Volpi, leghista, che prendeva pure la palla al balzo per cazziare Italo Bocchino (il capogruppo Cicchitto era assente per una polmonite), reo di preferire un premier gay ad uno del Carroccio: «Invece di occuparsi della Lega pensi a guidare i deputati di quel Pdl di cui risulta essere vicepresidente vicario. A meno che non sia talmente minoritario da non riuscire a farlo...». Giancarlo Lehner, sanguigno onorevole berlusconiano, invita il Capo «se intende varare le riforme istituzionali e della giustizia a mandare a casa gli attuali deputati del Pdl, capaci spesso e volentieri di andare sotto pur avendo, sulla carta, una maggioranza bulgara». Quanto a Bocchino si consola parlando delle assenze della maggioranza come «un problema endemico oramai» e concludendo: «Una soluzione normativa si trova». L’opposizione, ovviamente, festeggia. Secondo Pierluigi Bersani «il voto sul decreto salvaliste è una sconfitta politica per la maggioranza ed il governo: aggiungendo pasticcio a pasticcio, finiscono vittime della loro stessa arroganza«, mentre il dipietrista Massimo Donadi vede «un governo indecente» che «prima vara provvedimenti vergognosi poi non ha il coraggio di venire in Parlamento e metterci la faccia. Avranno pure vinto le elezioni ma non hanno la dignità di governare il paese». Michele Vietti dell’Udc, uscito dall’aula, sorrideva divertito: «Certo se questo è l’antipasto dell’attenzione con cui si mettono a fare le riforme costituzionali – scherzava coi giornalisti - stiamo freschi».
La Camera approva un emendamento del Pd che sopprime completamente il provvedimento: ora serve una legge
del 2007, e il Brasile ne inventa una dopo l’altra per non arrivare a soluzione. Il 18 novembre 2009 la Corte costituzionale brasiliana aveva giudicato illegittimo lo status di rifugiato politico concesso dall’allora ministro della Giustizia Tarso Genro, con una decisione sul filo, 5 favorevoli e 4 contrari e con una soluzione piuttosto “pilatesca” veniva affidata alla Presidenza della Repubblica brasiliana la parola definitiva. E Lula che cosa dice, ora? Che non ha ricevuto ancora le motivazioni della sentenza. E la melina continua, stavolta Berlusconi contro questi giudici fantasiosi del Brasile non ha nulla da ridire, a quanto pare. (v.s.)
conserva ancora larghe tracce di tradizione cristiana, ma è segnata anche da un processo di secolarizzazione. Si diffonde una concezione della vita, da cui è escluso ogni riferimento al Trascendente». Lo afferma la Conferenza Episcopale Italiana in una «Lettera alle comunità, ai presbiteri e ai catechisti nel quarantesimo del Documento di base “Il rinnovamento della catechesi”». I vescovi identificano i «molteplici influssi culturali» che hanno contribuito al diffondersi dell’«indifferenza religiosa» e cioè: «Il razionalismo, che assolutizza la ragione a scapito della fede; lo scientismo, secondo cui ha senso parlare solo di ciò che si può speri-
mentare; il relativismo, che radicalizza la libertà individuale e l’autonomia incondizionata dell’uomo nel darsi un proprio sistema di significati, rifiutando ogni imperativo etico fondato sull’affermazione della verità; il materialismo consumista, che esalta l’avere e il benessere materiale».
«In questo contesto culturale - si legge nel documento diffuso ieri - molti adulti e giovani attribuiscono scarsa importanza alla fede religiosa, vivendo nell’incertezza e nel dubbio, senza sentire il bisogno di risolvere i loro interrogativi. L’irrilevanza attribuita alla fede è dovuta anche al fatto che la formazione cristiana della maggior parte dei giovani e degli adulti si conclude nella preadolescenza: essi, perciò, conservano un’immagine infantile di Dio e della religione cristiana, con scarsa presa nella loro vita. Non negano Dio; semplicemente non sono interessati». «A questi processi - rilevano ancora i vescovi - si aggiunge il soggettivismo, che induce molti cristiani a selezionare in maniera arbitraria i contenuti della fede e della morale cristiana, a relativizzare l’appartenenza ecclesiale e a vivere l’esperienza religiosa in forma individualistica».
politica
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Difese. Le richieste del Professore parzialmente accolte da Bersani in segreteria nazionale: è una mossa per respingere gli attacchi interni
Sì a Prodi. Ma anche no Il Pd delle mediazioni: passa il coinvolgimento dei dirigenti locali, bocciato il partito del Nord di Errico Novi
ROMA. Una risposta? Non proprio. Quella che arriva dalla segreteria nazionale del Pd, cioè da Bersani, è una manovra difensiva. Basata su pochi aggiustamenti alla struttura organizzativa del partito, scelti per bene in modo da concedere quanto possibile all’ansia federalista risvegliata da Prodi e Chiamparino. In sintesi: maggiore peso ai
prossima ad essere ratificata dalla commissione statuto. E che rafforza il segretario senza scontentare, evidentemente, Massimo D’Alema.
Si legge un segno inconfondibile, nella parziale autocorrezione messa a punto da Pier Luigi Bersani insieme con il fidatissimo Maurizio Migliavacca, coor-
Stoccata al sindaco di Torino: «Incarichi di partito e ruoli istituzionali sono incompatibili». Marini: «Folle la proposta dell’ex premier». Cacciari rilancia la «secessione» del partito settentrionale circoli, progressiva apertura di spazi per i livelli locali verso gli organi superiori, uniformità di regole per i congressi. La platea dei segretari regionali a cui la riunione è allargata approva con poche riserve anche l’abile sigillo posto dal segretario al tema delle liti locali: dove le faide dovessero degenerare, come avvenuto in molte regioni prima del voto, spetterà a lui «intervenire per risolvere lo stallo». Formula che anticipa la definitiva archiviazione delle primarie,
dinatore organizzativo del partito: blindare la dirigenza nazionale con ferrea ostinazione, concedere qualcosa al pressing dei federalisti interni ma badare nella sostanza alla conservazione dell’esistente, secondo un metodo d’inconfondibile matrice post-comunista. Peraltro la scelta è rivendicata in modo esplicito proprio da Migliavacca: «Si riparte in due direzioni», dice al termine della segreteria, «in primo luogo con un progetto per l’Italia che sarà la nostra
agenda per il cambiamento, quindi con una rinnovata presenza nel territorio che passa anche per la riforma del partito, secondo un modello organizzativo già sperimentato dai Ds».
Non si tratta infatti della ristrutturazione radicale invocata da Romano Prodi. Migliavacca, piacentino come Bersani e suo amico inseparabile, lo dice chiaramente: «Vogliamo valorizzare i rappresentanti dei territori in modo che abbiano voce nella costruzione dei gruppi dirigenti», ma non ci saranno Pd autonomi e confederati, casomai una presenza “garantita”per i livelli inferiori nei rispettivi organismi dirigenti superiori. In pratica i circoli avranno una quota riservata nell’assemblea provinciale, le assemblee provinciali in quelle regionali e queste ultime nella direzione nazionale del partito. Alla proposta avanzata da Migliavacca – e studiata con Bersani – i segretari regionali dicono sì: comprendono che non è realistico pretendere ora un riconoscimento maggiore. E avallano di fatto la manovra difensiva del leader nazionale.
Che da uno schema così rigido – e così centralistico nella sostanza – possano nascere nuovi spazi per il rinnovamento della classe dirigente, è alquanto improbabile. La proposta di riorganizzazione sarà esaminata dalla commissione Statuto dopodomani, e sottoposta da Bersani alla direzione nazionale convocata per sabato prossimo. Ma di certo si tratta del minimo indispensabile per venire incontro alle richieste di Prodi e Chiamparino. Peraltro al sindaco di Torino viene rivolta un’indiretta stoccata: tra le novità presentate personalmente da Bersani alla segreteria c’è «l’incompatibilità tra ruoli di partito e ruoli istituzionali». Un modo soffice per ri-
cordare a Chiamparino che, fin quando sarà primo cittadino del capoluogo piemontese, dovrà modulare le proprie sortite. Il segretario poi tiene a rievocare la «questione morale»: chiede infatti che «d’ora in poi sia preteso dagli iscritti comportamenti sobri ed eticamente coerenti con l’adesione a un partito come il Pd». E come resistere, in questo caso, alla tentazione di leggere una stoccata allo spericolato Flavio Delbono e, indirettamente, al suo sponsor Romano Prodi?
Visto in un’ottica rovesciata, la mossa di Bersani può anche essere letta come parziale riconoscimento delle ragioni dell’ex premier. «Il Paese ha davanti a
Emanuele Macaluso analizza la situazione e propone il ritorno al sistema elettorale proporzionale
«Una sinistra senza leader né grandi ideali» di Franco Insardà
ROMA. «L’ho detto nel mio discorso: commemoriamo Pietro Nenni senza che ci sia più il Partito socialista né un partito che si definisce di sinistra. Senza cadere nelle nostalgie bisogna riconoscere che i grandi leader come Nenni, De Gasperi,Togliatti erano dei riferimenti. Oggi, invece, mancano le battaglie politiche, ideali e culturali che guardano al futuro e ai grandi traguardi della società. Se la sinistra non ha delle grandi idealità sui problemi del mondo, sui giovani non ha futuro. Obama è un leader perché ha avuto un’ispirazione ideale sulla società e sull’etica della politica. Oggi tutto è giocato sul quotidiano ed è giocato male». In tempi non sospetti Emanuele Macaluso ha criticato la ”fusione a freddo” tra ex Ds ed ex Margherita, considerandola già nel 2007 più una somma che una sintesi, destinata peraltro a esplodere in un prossimo futuro. E i fatti sembrano dargli ragione: «Queste elezioni purtroppo lo hanno confermato» dice amaramente. Onorevole nell’ultimo numero delle Nuove ragioni del socialismo lei propone il ritorno al proporzionale. È una provocazione visto che il centrodestra difende questa legge elettorale, peggiore della legge truffa che riconosceva un
premio a chi otteneva la maggioranza assoluta. Oggi addirittura viene dato il premio a chi ottiene la maggioranza relativa. Altro che legge truffa. Il Pd allora è al capolinea? Al capolinea c’è tutta la politica. Sono cambiati i rapporti di forza in tutti gli schieramenti, a partire dal Pdl. Berlusconi è stato sconfitto all’interno della sua coalizione e al Nord si è verificato lo spostamento dell’asse politico, con una separazione di fatto tra le due Italie che non si era mai verificata. In questo scenario che cosa dovrebbe fare il centrosinistra? Avere una funzione fondamentale e decisiva per contrastare questo processo. Che cosa pensa della proposta di Romano Prodi? Siamo nella confusione più totale.Va bene che si discuta, ma come si può pensare di non prevedere un’assise nazionale per eleggere il segretario nazionale? Questo vuol dire decretare la liquidazione del partito nazionale del centrosinistra. Una federazione di soli partiti regionali non esiste negli altri Paesi. In Germania ci sono i partiti nazionali con un’articolazione regio-
politica Nella foto grande, Pier Luigi Bersani, attuale segretario del Partito Democratico, insieme a Massimo D’Alema. In basso, il senatore Emanuele Macaluso, che propone il ritorno al sistema elettorale proporzionale. Qui accanto, a destra, il sindaco di Torino, Sergio Chiamparino, che studia da prossimo candidato premier del Pd alle elezioni del 2013 sé dei problemi seri da affrontare, serve un progetto per l’Italia: ora partiamo con una road map per cambiare il Pd, rafforzandolo anche in chiave federale», dice il segretario ai coordinatori regionali. Il problema delle energie soffocate c’è, dunque, ma al Nazareno si prova a risolverlo senza rivoluzioni e con una controriforma diessina della struttura. «Dobbiamo pensare soprattutto a definire la vera alternativa, ad offrire al Paese una prospettiva di cambiamento».Vorrebbe forse una resistenza anche più energica Franco Marini, che arriva a definire «una follia» la proposta destrutturante di Prodi, aggiungendo: «Probabilmente è in buona fede e qualcuno può apprezzarne lo
spirito, ma io non apprezzo nemmeno quello». Dalla sponda opposta Massimo Cacciari reclama «una struttura autonoma al Nord con una chiara, netta e forte responsabilità in mano a Sergio Chiamparino». Ecco, questa è la lettura più estrema della “rivoluzione federalista” che nessun aggiustamento bersaniano potrà mai contenere: «Il sindaco di Torino deve diventare immediatamente il segretario del partito autonomo e federato del Nord», è la tesi consegnata da Cacciari ad Affaritaliani.it, «si decidano alla svelta, possiamo ancora salvarci: altrimenti è questione di mesi e il Pd sarà finito, morto». È una campana che Bersani, però, non vuol sentire.
nale, così come negli Stati Uniti. Lo stesso Bersani ha tracciato una road map per cambiare il partito con un rafforzamento in chiave federale, anche se con regole comuni. Sono d’accordo su un regionalismo più accentuato, ma senza annullare il partito nazionale. Massimo Cacciari propone di affidare subito la guida del Pd del Nord a Chiamparino. Cacciari è un caro amico, è stato un sostenitore del Pd e ora spinge per il partito del Nord. Ho l’impressione che certe soluzioni vengano dall’incapacità di affrontare il tema di fondo. Che sarebbe... La proposta politica e la soluzione dei problemi. Qui non si tratta di parlare ai cittadini, ma di che cosa dire. La destra ha sollecitato nella gente la paura e gli istinti primordiali. La cultura politica di massa è stata abbandonata, diventando una battaglia politica da salotto televisivo. Che cosa bisognerebbe fare? La sinistra non è attrezzata per questo tipo di battaglia. Le tv sono nelle mani del Cavaliere, il Pd non ha più un suo giornale e non ha canali. Si insiste sul federalismo, ma bisogna confrontarsi e ragionare per stabilire che cosa dire ai cittadini campani, siciliani, rispetto a quelli veneti, piemontesi e lombardi. Si parla tanto di riforme, ma si faranno? Il centrosinistra gioca di rimessa, mentre il centrodestra vuole mettere mano pesantemente alla Carta costituzionale. Anche una posizione conservatrice della Costituzione può essere un progetto. La cosa più grave, invece, è quella di dire riformiamo senza avere una proposta.
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Nonostante il compromesso di ieri, i democratici si preparano al ribaltone
E D’Alema prova a mollare il segretario In vista della campagna del 2013, il vecchio leader cambia alleanze e sceglie la strategia di Chiamparino di Antonio Funiciello
ROMA. Se la ricetta di Bersani per rilanciare il Pd è rifare i Ds, allora pare inutile continuare a chiedersi perché il centrosinistra abbia perso, dopo sessant’anni, anche a Mantova. Eppure questo ieri Bersani ha sostenuto durante la riunione della segreteria e nell’assemblea al Senato col gruppo del Pd che lo aveva accusato, a mezzo stampa, di imborghesire (!) il partito. Nelle prossime settimane una commissione ad hoc, composta per quote correntizie, stravolgerà lo statuto nella sua impostazione primarista: via le primarie, via coincidenza tra premiership e leadership. Di contro «questione morale» e «delega di potere ai circoli di base e alle articolazioni locali del partito». Tradotto, equivale a dire che Bersani vorrebbe liberarsi della zavorra dei capi corrente romani e del vertice nazionale tutto, per trovare un nuovo consenso nel coinvolgimento della base. Naturalmente, più si proclama di voler coinvolgere le sezioni, più si accentra il potere nelle mani del solo segretario. È una vecchia storia che chi viene dal Pds-Ds conosce bene, ma questa è la strada indicata. Ne è prova l’indicazione di composizione dei nuovi organismi direttivi, a tutti i livelli, per metà su istruzione della base e per metà su segnalazione dei vertici. Come accadeva nei Ds e sempre attraverso la solita cooptazione per quote di correnti.
ce tra i due, visto che è D’Alema a controllare il partito locale: suoi sono i capibastone e i segeratari provinciali e regionali eletti. Ma, soprattutto, riproporrebbe per D’Alema un campo di gioco più favorevole al livello nazionale.
Quando c’erano i Ds, infatti, e Fassino era il loro segretario, era D’Alema a tessere i fili della tela del centrosinistra. Fino al punto di tenere fuori Fassino nel 2006 dal governo Prodi, per inserire nell’esecutivo se stesso nella casella preferita degli Esteri e un gruppetto di suoi fedelissimi negli altri ministeri. In tal sen-
La scelta di affidare un importante ruolo decisionale ai dirigenti locali, dà molto potere all’ex premier che ancora li gestisce direttamente
Se Bersani vuole rifare i Ds, i primi a non essere contrari sono Prodi e D’Alema. Il primo ha già sfiduciato il segretario democratico che ha concorso in maniera determinante ad eleggere con l’articolo sul Messaggero di domenica. È dunque sui movimenti di D’Alema che si concentrano le attenzioni. I dalemiani, non ancora informati del cambiamento di rotta del loro gran timoniere, mostrano irritazione nei confronti di Prodi che, nel suo attacco contro Bersani, prende di petto tutto l’establishment del Nazareno. Tuttavia D’Alema è scontento del suo Bersani quanto, se non più di Prodi. L’ex ministro delle lenzuolate non lo segue sul sistema tedesco e ha mostrato più di una volta di non accettare i suoi consigli. D’Alema non voleva la Bonino candidata nel Lazio ed era disposto a sacrificare la Bresso in Piemonte in favore di un candidato centrista. In nessuno dei due casi Bersani l’ha seguito e le cose sono andate come si sa. Inoltre D’Alema rifiuta l’addebito di cattiva gestione della vicenda pugliese, per la quale ritiene di aver svolto un ruolo comunque positivo, riconosciuto dal patto post primarie con Vendola, che dovrebbe dare i suoi frutti nella formazione della nuova giunta. Il ritorno al modello di partito diessino potrebbe, però, siglare la pa-
so torna a pennello il protagonismo di Chiamparino. Per il nuovo centrosinistra c’è bisogno di un leader diverso da quelli del passato e soprattutto che sia del Nord. La crisi drammatica di consenso dei democratici nel Settentrione (con la batosta di Mantova a fare da ciliegina sulla torta) sta convincendo D’Alema che l’idea di Prodi di puntare su Chiamparino come leader della nova Unione è fondata.
Si ripristinerebbe così, contro Bersani, quell’asse Prodi-D’Alema alla base del vittoria (di Pirro) alle politiche del 2006, in favore della leadership di Chiamparino. Un percorso non semplice, a sostegno del quale però D’Alema è convinto di poter persuadere Casini, nonostante le regionali e le amministrative non abbiano ovunque premiato l’alleanza tra Pd e Udc. Nel giro dalemiano sono molti a segnalare al capo la difficoltà della proposta Casini quale futuro candidato premier del centrosinistra. Un po’ perché Casini si è sempre mostrato tiepido verso una soluzione così preconfezionata; un po’ perché Bersani pensa di poter ambire alla candidatura e un suo richiamo al popolo della sinistra contro il leader dell’Udc potrebbe riscontrare non pochi favori. C’è bisogno di un ex Pci-Pds-Ds per neutralizzare le velleità di Bersani. E quello di Chiamparino è oramai l’unico nome disponibile su piazza.
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panorama
ragioni&torti di Giancristiano Desiderio
I gol di Messi, come quelli di Maradona e azioni calcistiche ritornano ciclicamente come le azioni storiche. Giambattista Vico, ispiratore della “logica poetica”del calcio di Maradona, parla di corsi e ricorsi storici del calcio. Lionel Messì sembra disceso dal cielo in terra a miracolo mostrare? Proprio come Maradona. Messì è uno splendido numero 10 del Barcellona? Proprio come Maradona, altro storico numero 10 del Barcellona (prima di arrivare a Napoli, si capisce). Ma, soprattutto, il centrocampista argentino ha segnato quattro gol da favola in una sola partita? Proprio come Maradona. Sembra irreale. Invece, tutto si tiene in questa storia nella storia che vale la pena raccontare.
L
Tutto accade per la prima volta in un giorno di ottobre del 1980. Per essere precisi e non lasciare nulla all’incertezza, tutto accadde il 9 ottobre 1980. Nel campionato metropolitano argentino si giocava Argentinos juniors contro Boca juniors. Diego era un ragazzino, ma per il grande calcio era già Maradona. Aveva venti anni, due anni dopo giungerà al Barcellona vestendo la maglia numero 10 all’età di ventidue anni, pari pari come oggi Messì. In porta al Boca giocava un portiere con un caratterino niente male: era Hugo Gatti detto el Flaco, il magro, un gran rompiballe e sbruffone, antesignano del portiere modello Higuita e coevo di quel furbacchione di Groobelar che con le sue smorfie portò via da Roma la coppa dei campioni di Falcao, Pruzzo e Odoacre (Chierico) e di quel gran signore del calcio e della vita che fu il Barone. Il giorno prima della partita el Flaco stuzzica e offende Maradona che già all’epoca tendeva alla pinguedine: «Maradona è el gordito» cioè è un ciccione. Diego Armando rispose con sole quattro parole: «Domani gliene farò quattro». Una risposta fuor di misura per chiunque, ma non per Maradona che evidentemente era sì piccolo e grassottello, ma già consapevole delle forze del pibe de oro. La partita fu bella e intensa e ricca di gol. Finì 5 a 3 per l’Argentinos e la partita nella partita tra el Gordito ed el Flaco finì come aveva preannunciato Maradona: gli fece ben quattro gol, uno dietro l’altro, dei quali due su punizione e uno fu un mirabile pallonetto a cucchiaio, come si usa dire oggi, proprio come quello fatto l’altro giorno da Messì. Corsi e ricorsi storico-calcistici. Come si vede, dunque, non è vero che quando la storia di ripete, la seconda volta è sempre una farsa, come sosteneva il regista del “socialismo scientifico” Karl Marx. Almeno per il calcio questa regola non vale. Ultima ma fondamentale informazione per tutti coloro che vogliono sapere vita e miracoli di Diego Armando Maradona prima, durante e dopo il Napoli: infatti, devo queste preziose notizie di cronache di storia del calcio internazionale al maradonologo più autorevole che ci sia in circolazione: Armando (non a caso e non a caso nato il 9 ottobre) La Peccerella, figlio di Vincenzo che fu la grande anima del Neapolis, squadra partenopea che milita in prima categoria.
L’autodifesa di Lombardo «Mai incontrato i boss» Il governatore siciliano all’attacco sull’accusa di favoreggiamento di Francesco Capozza
PALERMO. «Davanti all’Assemblea regionale diremo chi sono i politici legati alla mafia e agli affari». Il presidente della Regione siciliana Raffaele Lombardo, concludendo lunedì all’hotel Excelsior di Catania una manifestazione organizzata dall’Mpa, si era soffermato sull’indagine della procura etnea, dove si era recato sabato per rendere spontanee dichiarazioni. La convocazione dell’Ars non si è fatta attendere, nonostante il presidente dell’assemblea e competitor istituzionale, Francesco Cascio, abbia tentato più di una volta di rimandare a stamattina prima e a data da destinarsi poi la seduta. «È un vicenda giudiziaria dai contorni ancora sufficientemente nebulosi», così il presidente della giunta siciliana ha iniziato le sue comunicazioni all’Assemblea siciliana sulla vicenda giudiziaria che lo riguarda. «Chi vi parla non ha a tutt’oggi ricevuto neppure un avviso di garanzia, sembra incredibile ma è vero», ha aggiunto Lombardo non nascondendo la sua convinzione che si tratti di «un’aggressione mediatica congegnata da menti raffinate». «Può apparire incredibile - ha aggiunto Lombardo - che per una vicenda giudiziaria che investe il presidente della regione e mette a repentaglio la sopravvivenza di questo governo chi vi parla non abbia a tutt’oggi ricevuto neppure un avviso di garanzia. Sembra incredibile ma è vero».
Lombardo ha parlato apertamente di «infamanti accuse, calunnie e oltraggi rivolti da una sorta di magistratura parallela, perchè questo è il ruolo che è stato affidato a certa stampa». Il governatore siciliano ha poi chiarito la polemica con il ministro della Giustizia Angelino Alfano: «voglio chiarire - ha detto - che parlando di invio di ispettori e rivolgendomi al ministro della Giustizia non lo invitavo a fare la stessa cosa a Catania, dove venivo investito dalla fuga di notizie dovuta a una manovra politica, ma lamentavo una palese disparità rispetto all’intervento fulmineo in un’altra procura». Il capo del “governo” siciliano ha quindi aggiunto che le accuse che gli vengono rivolte si basano sulle dichiarazioni «di un ex collaboratore di giustizia per le quali era stata per ben due volte richiesta l’archiviazione». «Un pluriomicida e rapinatore - ha aggiunto - che risulta ufficialmente in sentenze del tribunale di Palermo personaggio non attendibile, personalità inquietante, inaffidabile». «Un uomo che non ho mai vi-
sto e con il quale ho chiesto che mi si metta a confronto in video registrazione pubblica». Sulla giunta da lui presieduta il segretario dell’Mpa ha voluto anche assicurare che «non trattiamo privilegi, premi e neppure tangenti», questo governo «ha assestato alla mafia i colpi più micidiali mai inferti, e così continuerà finchè noi vorremo, voi vorrete, finche Dio vorrà». «Subisco rispetto a questa scelta una aggressione quotidiana da un anno a questa parte». Rivolgendosi infine ai consiglieri di opposizione, il capo del governo siciliano ha precisato di essere pronto «a rendere conto, non attraverso certa stampa, di ogni mia scelt», è un «mio diritto-dovere essere chiamato a rendere conto», ma «questa legislatura - ha aggiunto Lombardo - si dovrà completare, per completare il cammino di cambiamento, per il quale credo che sarà necessario andare avanti anche nelle prossime legislature, magari con altri presidenti».
Raffaele Lombardo ha inoltre comunicato al parlamentino siciliano di aver consegnato - nei giorni scorsi - alla Procura della Repubblica di Palermo una relazione «contenente i nomi e i cognomi scritti sulle carte, ma anche i nomi dei prestanome, con le contrade e le discariche per i rifiuti pericolosi». Per Lombardo, infatti, «l’infiltrazione della mafia è soprattutto nel sistema rifiuti, in una società in particolare». Sui mezzi per combattere le associazioni mafiose, Lombardo si è rivolto direttamente al ministro della Giustizia Angelino Alfano «affinchè‚ non venga abolito questo utile strumento che sono le intercettazioni telefoniche». «Io dovrei sostenere Alfano - ha sottolineato il presidente della giunta siciliana - ma ribadisco che questo strumento ha consentito ad oggi i piú importanti risultati nella lotta alla piccola, media e grossa criminalità». Infine un avvertimento ai suoi accusatori, anche politici: «nessuno, tra amici o parenti, mi ha proposto di intervenire per appalti a favore di chicchessia, mafiosi o limpidissimi imprenditori. Il 29 marzo scorso, quando ho appreso dell’indagine è stato detto che io avrei eretto uno scudo invalicabile attorno a me, mentre io parlo con chiunque - ha proseguito Lombardo - Chiunque mi contatta, se non ci riesce al telefono, lo fa attraverso sms e poi viene richiamato. Tutto questo è registrato dai tabulati dei miei cellulari.Tutto è memorizzato, sappiatelo, peggio per voi, nelle schede compilate per ciascuna persona».
panorama
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Due milioni di visitatori prenotati, 4000 volontari, 1500 giornalisti accreditati. E il 2 maggio a Torino arriva Ratzinger
E il Papa si fece pellegrino La visita di Benedetto XVI alla Sindone sulle orme del viaggio di Wojtyla nel 1998 di Luigi Accattoli ue milioni di visitatori prenotati, quattromila volontari per l’accoglienza, mille e cinquecento giornalisti accreditati: le cifre di presentazione dell’evento Sindone (che andrà avanti fino al 23 maggio) dicono qualcosa sul nostro tempo scettico e stordito? Ci dicono, io credo, che non flette l’attrazione del mistero e che l’umanità di oggi – come quella di sempre – non cessa dal bussare alla sua porta. Più specificamente ci segnalano che è viva in noi la ricerca del volto di Cristo e in particolare dell’immagine dell’Ecce Homo, nel quale rintracciare il segno di ogni pena umana.Domenica scorsa, dopo la preghiera della Regina Coeli Papa Benedetto ha richiamato questi significati del pellegrinaggio alla Sindone, annunciando che a esso si unirà il prossimo maggio: «Auspico che quest’atto di venerazione aiuti tutti a cercare il Volto di Dio, che fu l’intima aspirazione degli apostoli, come anche la nostra».
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be da tanti segni che l’umanità – almeno quella europea – sia stanca del cristianesimo e ne voglia rigettare ogni precetto, ma si direbbe anche che non riesca a liberarsi di Cristo e in particolare del Cristo in croce e della sua “passione”, nella quale da sempre trova riflessa ogni umana sofferenza.
Ero a Torino come inviato del Corriere della Sera il 24 maggio 1998 quando toccò a Giovanni Paolo di farsi “pel-
con la sinistra al corrimano. Sembrava già la salita al Calvario. Dopo i tre minuti in ginocchio a mirare il telo con l’occhio trepido e le mani tremanti – lo stesso tempo che era concesso al singolo pellegrino – disse tutta la sua passione per la Sindone, che chiamò «icona toccante», «straordinaria immagine della Passione di Cristo» e suo «testimone unico», «specchio del Vangelo», «segno veramente singolare che rimanda a Gesù». Si avvertiva in quell’insistenza appassionata un qualcosa come l’intenzione del vecchio Wojtyla di dire di più di quanto aveva deciso di poter dire come Papa e pur moltiplicando le definizioni non volle arrivare a chiamarla “reliquia”, come aveva fatto almeno due volte in precedenza: quando l’aveva “venerata” privatamente nel 1980, in occasione della sua prima visita a Torino e successivamente durante un viaggio in Africa, nell’aprile del 1989, rispondendo in aereo alla domanda di un giornalista che fu anche un tenace cultore della Sindone: Orazio Petrosillo. Nel 1998 Giovanni Paolo II non qualificò la Sindone come “reliquia”perché nel frattempo – e cioè dieci anni prima – c’era stato il contestatissimo tentativo di datazione con la prova del carbonio 14 che l’aveva
Fu Giovanni Paolo II a parlare della ricerca del volto di Cristo, chiamando la tela un’icona della fede legrino alla Sindone”, come ebbe a dire di sé. Le gambe che l’avevano portato in tutto il mondo ormai lo facevano solo soffrire: saliva curvo e lento la passerella davanti al Duomo, tenendo nella destra il rosario e aggrappandosi
È una ricerca – questa del volto di Cristo – che impegna nei secoli e oggi tutti i cristiani ma che spesso coinvolge anche i dubbiosi. È con riferimento a quel volto che il poeta argentino Jorge Louis Borges, fratello discreto di ogni dubbioso, esclamava nel poema Cristo in croce: «Non lo vedo / e continuerò a cercarlo fino al giorno / dei miei ultimi passi sulla terra». Si direb-
assegnata a un periodo compreso tra gli anni 1260 e 1390. A seguito di quella “prova” il cardinale Anastasio Ballestrero – che l’aveva autorizzata con il consenso del Papa e per la quale fu ingiustamente criticato da ogni saccente – aveva coniato la geniale qualifica di “icona”, che non afferma l’autenticità ma neanche la esclude, e a essa il Papa decise di attenersi. «Non trattandosi di una materia di fede – disse dunque Papa Wojtyla a Torino – la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi sul rapporto tra il sacro lino e la vicenda storica di Gesù» e affida agli scienziati «il compito di continuare a indagare». Concluse invitando tutti al “rispetto”: come la Chiesa rispetta l’autonomia della scienza, così chi indaga rispetterà la “sensibilità”dei credenti.
Una linea saggia, che lascia aperta la questione ed evita di coinvolgere in essa l’autorità della Chiesa. Una scelta che ha contribuito a rasserenare la disputa ed è ragionevole prevedere che sarà confermata da Benedetto XVI quando sarà a Torino il 2 maggio. Dieci giorni dopo andrà al santuario di Fatima, in Portogallo, dal 12 al 14 maggio. E il 6 novembre sarà a Santiago de Compostela, in Spagna: il Papa teologo non disdegna i santuari e la pietà popolare. Si fa pellegrino tra i pellegrini, in mezzo ai quali trova ancora un popolo numeroso. www.luigiaccattoli.it
Tempismo. Mentre Bankitalia mette le carte di credito nel mirino, a Messina parte una discutibile inizitiva
Farmaci a rate, spunta una “revolving” di Angela Rossi
ROMA. Si possono trovare molti modi per aiutare chi non ce la fa ad acquistare le medicine. Certo l’ultima idea venuta alla Federfarma di Messina fa discutere. Anche per la tempistica forse non felicissima: proprio mentre la Banca d’Italia blocca le American Express, e fa emergere molte ombre sul meccanismo del credito “ricaricabile”, l’associazione locale dei farmacisti insieme con la Banca Antonello da Messina lancia “Farmacard”, una carta revolving per acquistare medicine a rate. L’iniziativa parte dalla Sicilia ma il progetto è destinato all’intero territorio nazionale, come spiega il presidente di Federfarma Messina, Francesco Mangano: «Farmacard vuole essere una risposta efficace e attuale a questo momento difficile di crisi. Ci rivolgiamo alle persone che hanno difficoltà ad arrivare a fine mese: Messina è l’ideatrice e la capofila di un progetto», dice appunto il dottor Mangano, «che potrebbe diventare pilota per le altre sezioni di Federfarma sul territorio nazionale. La soluzione più semplice e di facile e veloce attuazione, in questo momento, si è rivelata appunto quella di una “Farmacard revol-
ving”, una carta di credito che consentirà ai cittadini di acquistare, presso le farmacie di Messina e provincia, tutto quello che serve per i bambini, per la famiglia, per la cura e il benessere del corpo e della persona».
Farmacard è utilizzabile per il solo settore farmaucetico e offre la possibilità di comprare oggi e pagare poi un poco per volta a fron-
Il sistema di pagamento ideato nella città dello Stretto dall’associazione dei farmacisti e da una piccola banca locale: «Aiutiamo i pazienti in difficoltà» te di tassi di interesse che sono in teoria tra i più bassi del mercato, con il vantaggio di poter fruire di particolari agevolazioni e facilitazioni tra cui quelle legate all’acquisto di prodotti sanitari e di farmaci da banco. Resta il dubbio sul meccanismo para-usuraio di accumulo degli interessi fatto emergere dall’inchiesta della Procura di Trani, che ha portato
Bankitalia a bloccare l’emissione di nuove American Express. Dubbio a cui si aggiungono quelli sulle irregolarità rispetto alla normativa di contrasto al riciclaggio. Chissà cosa pensa la Ferderfarma di Messina della decisione assunta da associazioni di consumatori come l’Adusbef che si sono costituite parte civile e che, dopo la decisione di Bankitalia, hanno sollecitato un intervento dell’Antitrust anche «su altre società esercenti le carte di credito operanti in Italia che abbiano emesso carte revolving equivalenti per grave pericolo agli interessi economici degli utenti».
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Parla Nikolaus Lobkowicz, filosofo e politologo cattolico tedesco, e dice: «Sul c
Se un padre pecca, ab «Invocare le dimissioni di un Papa è un po’ come invocare quelle di un presidente perché il tasso degli omicidi del suo Paese è aumentato. La Chiesa? C’è chi la vorrebbe cancellare» di Luisa Arezzo ikolaus Lobkowicz è una delle personalità di spicco del mondo intellettuale mitteleuropeo, e soprattutto una delle figure più appassionate a rendere presente la Chiesa nel mondo della cultura e della politica. Proprio per questo, gli abbiamo chiesto di commentare l’attuale attacco mass mediologico (e non solo) perpretrato contro Papa Benedetto XVI e ilVaticano. La gravità dello scandalo della pedofilia tra le fila del clero cattolico è fuori discussione ed è stata riconosciuta in più occasioni da Benedetto XVI, che ha parlato di «vergogna» e ha invitato alla «penitenza». Altrettanto chiara è però la strumentalità di una campagna mediatica di dimensioni planetarie senza precedenti. Qual è il suo fine? Come giustamente sottolinea, è necessario distinguere tra gli eventi scandalosi e l’eccitazione dei mass media. Inoltre, è
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parenti stretti – genitori, zii, amici di famiglia – l’attuale cronaca dei mass media dell’intera vicenda è completamente sproporzionata. Gli attacchi di cui è fatto oggetto il Papa sulla pedofilia sono simili a quelli che la Chiesa ha ricevuto in altri momenti: prima ci sono state le battaglie del modernismo contro Pio X, poi l’offensiva contro Pio XII per il suo comportamento durante l’ultimo conflitto mondiale e infine quella contro Paolo VI per l’Humanae vitae. La Chiesa deve ciclicamente attraversare un periodo di Passione, come Cristo? Io posso rispondere solo in merito alla situazione tedesca. Da un lato, in quanto cristiani, dobbiamo essere sempre pronti a rispondere alle calunnie e alle persecuzioni; dopo tutto Cristo lo ha predicato e certamente non pensava soltanto al periodo dei martiri prima della svolta co-
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È necessario distinguere tra gli eventi scandalosi e l’eccitazione dei giornalisti. Inoltre, è più giusto parlare di abusi sessuali sui giovani piuttosto che di pedofilia
più giusto parlare di abusi sessuali sui giovani piuttosto che di pedofilia. Quest’ultima è un’aberrazione sessuale, mentre i casi in questione hanno molte forme diverse e probabilmente anche molte cause diverse. L’agitazione su questi atti esecrabili non è del pubblico in generale, ma è principalmente indotta da due caratteristiche dell’informazione: in primo luogo i mass media, che per loro stessa natura sono molto interessati a vendere notizie; e in secondo luogo molti giornalisti si considerano critici eletti dal Weltgeist per giudicare qualsiasi cosa succeda nel mondo. A volte sono tentato di domandare a quelli che si stanno occupando dei casi in questione: «Ora, per favore, ditemi quando è stata l’ultima volta che Voi vi siete comportati come porci?». Non avendo il timore di poter essere contraddetti pubblicamente, è facile immaginare che cederanno alla tentazione di fare di un’inezia una montagna. Ovviamente i casi in questione non sono inezie, ma se si considera il numero di episodi simili collegati a
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stantiniana. Dall’altro lato, i tedeschi erano così entusiasti che il Papa fosse uno di loro che dall’elezione del cardinale Joseph Ratzinger sono sempre rimasto in attesa di un contraccolpo. Il fatto che questo non sia avvenuto con Giovanni Paolo II è abbastanza insolito, probabilmente dovuto allo straordinario carisma dello scomparso Karol Wojtyla. Il carisma di Benedetto XVI è diverso: prima di tutto è uno dei maggiori teologi cattolici del nostro tempo - un carisma che, in quest’epoca così superficiale - non è certo facilmente apprezzabile. Dietro gli attacchi al pontefice ci sono visioni della famiglia e della vita contrarie al Vangelo? Certamente, anche questo. Viviamo in un’epoca in cui le persone odiano che gli venga ricordato quanto vivano nel peccato. Nel caso di Giovanni Paolo II si tendeva a guardare oltre e perdonarglielo, alla stregua di un piccolo capriccio di un uomo molto carismatico. Ieri il Vaticano ha pubblicato sul suo
sito internet che, con decisione inappellabile, il Papa può ridurre allo stato laicale il prete pedofilo, mentre un vescovo ha l’obbligo di denuncia alla magistratura solo se previsto dalle leggi dello Stato. Si tratta di linee guida già introdotte nel 2003, ma rese pubbliche per la prima volta. Un passo nella giusta direzione? È senza dubbio un’adeguata risposta in caso di abuso sui minori e i più giovani. A me però sembra importante rimarcare che il compito del vescovo di informare le autorità secolari rimanga ben circoscritto solo ad alcuni casi. Se si creasse la condi-
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caso pedofilia i mass media non hanno avuto il senso delle proporzioni»
boliamo la famiglia? do al loro, sfortunato,“dovere di informazione”. Detto questo, non mi pare che la comunità cristiana sia spaventata. Piuttosto, visto che parliamo di pedofilia, direi che è imbarazzata. Per carità, a ragion veduta, visto che per un considerevole arco di tempo non è stata capace di gestire il caso dei preti pedofili nella giusta maniera. Non vi è dubbio che alcune persone si stiano oggi allontanando dalla Chiesa, ma sono gli stessi che già da tempo erano, per qualche ragione, propensi ad abbandonarla. In Germania, c’è una crescente attenzione ai casi di pedofilia perpetrati nelle scuole private: che nulla hanno a che fare con la Chiesa. Recentemente, ho pensato di scrivere un articolo su un quotidiano a favore dell’abolizione di tutti i padri, gli zii e gli amici di famiglia, visto che una piccola parte di questi si sono macchiati di violenze e seduzioni sui
Il caso di cui mi parla può accadere, certo, così come accade che qualcuno sputi a degli immigrati di colore solo perché alcuni di loro hanno rubato qualcosa. In Germania, comunque, ci sono molte manifestazioni di solidarietà verso quegli istituti cattolici dove sono accaduti gli abusi. Alcuni ex allievi di una di queste scuole hanno pubblicato un discorso nel quale si dicevano felici sia dei loro convitti che dei loro insegnanti cattolici, e che mai avevano notato nulla di tutto quello che veniva descritto dai media. Il mio figliolo più grande ha passato un certo numero di anni in un convitto benedettino che oggi è sospettato di due o tre casi di pedofilia. Ebbene, lui adorava quella scuola e non si è mai accorto di nulla di tutto ciò che è stato descritto dai giornali.
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È importante che l’obbligo di un vescovo di denunciare alla magistratura un suo sacerdote rimanga circoscritto a casi specifici. Sarebbe grave se fosse obbligato a rispondere alle leggi civili
In alto, un consesso cardinalizio; a lato, il cardinale Bertone, segretario di Stato Vaticano; a sinistra, Papa Benedetto XVI e in alto a destra Nikolaus Lobkowicz zione in cui un vescovo dovesse denunciare per forza alla magistratura ogni atto commesso da un suo sacerdote contrario alle leggi di un determinato paese, si potrebbero creare situazioni molto problematiche. Immaginate laddove è considerato un crimine opporsi al governo o, come in Cina, avere più di due figli. Non ci vuole molto per comprendere la delicatezza di simili situazioni. E ancora, cosa dire riguardo al dovere di un sacerdote di osservare il segreto della confessione? Il padre confessore dovrebbe negare l’assoluzione fino al momento in cui il peccatore non si fosse auto denunciato? Ma anche il quel caso il confessore sarebbe legato al segreto. Questo Papa può essere avvertito come un capro espiatorio? Come capro espiatorio di cosa? Sì, forse un capro espiatorio per il messaggio scomodo della Chiesa. Ogni volta sono sorpreso dell’odio con cui questa viene attaccata. Molti pensano: «non vogliamo che ci siano ricordate le parti scomode del messaggio cristiano. Amiamo quelli che lo diluiscono». La grande caratura culturale e filosofica di Benedetto XVI può cambiare – così come il papato di Giovanni Paolo II – la natura della Chiesa. Può essere questa la motivazione dell’attacco nei suoi confronti?
No, io non credo che l’elevata qualità intellettuale di Benedetto XVI sia la ragione di questi attacchi. Per quanto questo sia un attacco e non primariamente una conseguenza della cultura dei nostri mass media, è un attacco diretto alla Chiesa nel suo complesso. C’è un numero di persone che sarebbero felici di sopprimerla così come fecero i regimi comunisti. Come ho già detto, Cristo ci ha avvisato… Fin dalla sua elezione, si è intentato un processo all’ultraconservatorismo di Benedetto XVI, ripreso di continuo dai mass media. Ma un Papa può essere altra cosa che conservatore?. Credo che sia assolutamente insensato descrivere Benedetto XVI come un conservatore. È da etichettare come tale colui che si oppone alle pericolose derive – per l’intera umanità! – del nostro tempo? L’opposizione progressista/conservatore si applica alla politica, certamente non alla Chiesa. C’è cristianofobia nel Sud del mondo - dove i cristiani vengono anche bruciati e crocifissi - e c’è un crescente atteggiamento anticattolico nel Nord del mondo. Gli uomini di Chiesa ne sono spaventati, ma la comunità cristiana in questa precisa fase storica sembra incapace di reagire con la forza e lucidità necessaria. A cosa vuole alludere dicendo questo? Io non vedo in Europa una crescita della cristianofobia, ma solo l’ossessivo atteggiamento di un gruppo ristretto. E la potenza dei mass media che li seguono - obbeden-
bambini. Il modo in cui i mass media affrontano l’argomento è assurdo: la Chiesa ha ignorato poche dozzine di casi, mentre vengono tenuti segreti la maggior parte dei casi che quasi quotidianamente si discutono in tribunale. Sottolineare questo non significa sottostimare lo scandalo che colpisce la Chiesa; piuttosto tendere a ricordare alle persone le reali proporzioni della vicenda. In Germania c’è una crescente attenzione al fatto che il problema non è il prete pedofilo, bensì il modo in cui le autorità ecclesiastiche hanno gestito la situazione. Quest’ultimi hanno trasferito dei sacerdoti in altri luoghi invece di – da un lato – prevenire ogni possibile altro contatto con i bambini, e dall’altro, informare le autorità competenti. Per come la vedo io la vera natura del problema è che il Vaticano ha cercato di affrontare la situazione secondo la legge canonica e non secondo quella dello Stato. L’abuso sessuale di un ragazzino è un crimine, non soltanto un peccato. Per essere chiari: è un peccato molto grave secondo l’ordine secolare. Se un prete si macchiasse di omicidio, le autorità ecclesiastiche certamente non tenterebbero di prevenire la sua condanna al carcere. Almeno lo spero… Un alto prelato italiano mi raccontava di recente che alcuni sacerdoti sono stati insultati mentre camminavano per strada; che altri – specie in Nord Europa – sono visti con sospetto e ci pensano due volte prima di accostarsi a un bambino, anche solo per dire una parola, perché bloccati dagli sguardi delle madri. Come potrà un giovane superare tutti questi ostacoli e decidere di dedicarsi alla vita attiva in seno alla Chiesa? Quest’ultima, teme un’ulteriore emorragia delle vocazioni. Soprattutto in Occidente. Come arginare e ridare fiducia?
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Questa campagna è nata all’estero ed è tuttora combattuta soprattutto all’estero. L’epicentro sono gli Usa, con un’appendice importante in Germania, Gran Bretagna,Austria. Il Washington Post ha chiesto le dimissioni del pontefice. Der Spiegel scrive di lui come della «fallita missione di Jospeh Ratzinger». Fatta eccezione per gli ambienti strettamente eccelsiastici, fra i laici solo in Francia si è creato un movimento di intellettuali in difesa del Papa. Nel resto di Europa solo qualche voce isolata. Come giudica questo silenzio? È noto che giornali e settimanali come Der Spiegel e il Washington Post esagerino le notizie per stimolare le vendite. Fanno soldi rimestando nel torbido e creando notizie sensazionali. Altri quotidiani sono stati molto più cauti sulla vicenda, soprattutto dopo che è emerso che in molte scuole affatto cattoliche succedeva la stessa cosa. Accuse del tenore «È fallita la missione di Joseph Ratzinger» sono semplicemente ridicole. È come se un presidente fosse invitato a dimettersi perché il numero degli omicidi nel proprio paese fosse passato dall’1 al 2 percento. Mi ripeto: il problema non sono gli abusi sessuali ma il modo in cui l’autorità ecclesiastica ha gestito l’intera vicenda. Hanno capito certamente troppo tardi che certi crimini non possono essere affrontati e risolti solo in camera caritatis, ma devono essere perseguiti anche secondo le leggi dello Stato. Molto interessante sarà capire come e in che modo l’agitazione presente inciderà sul Codex iuris canonici. In alcuni casi, la Chiesa – che è comunque parte del mondo secolare – non potrà e non vorrà evitare di consegnare i suoi peccatori alle autorità civili. Dopo tutto, i sacerdoti non sono solo membri della Chiesa, ma anche cittadini o quantomeno abitanti dello stato secolare.
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Afghanistan. In Italia tutti sono d’accordo nel ritenere l’Ong estranea alle accuse. Ma da dove arrivano le armi di Lashkar Gah?
Luci e ombre sulla Strada Emergency riflette il proprio fondatore, imparziale perché litiga con tutti quanti di Maurizio Stefanini ai simpatizzanti in Italia è arrivato il commento: «Emergency è al di sopra di ogni sospetto». Ovvero, come ha spiegato lo stesso Gino Strada a caldo: «Soltanto persone in malafede possano pensare che medici e infermieri decidano di passare anni della propria vita in Afghanistan con il segreto intento di far saltare il cretino di turno, questo governatore che non conta assolutamente nulla: è chiaramente una grossa montatura». Dagli antipatizzanti, il commento è: «Emergency è al di sotto di ogni sospetto». E qui un sentire diffuso l’ha espresso invece un articolo del Giornale, nel dubitare che Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani Guazzugli Bonaiuti potessero essrsi trasformati in «tre piccoli Bin Laden ‘fai da te’, soprattutto l’ultimo, con tutti quei cognomi: più probabile che i tre siano dei pirla, con rispetto parlando. Ovvero che si siano cacciati volontariamente nei guai», non controllando a fondo chi gli metteva cose in casa, e facendosi così scoprire quei due scatoloni carichi di materuiale bellico. Accordo perfettamente bipartisan, comunque. Non solo in Italia nessuno crede alla colpevolezza dei 3 di Emergency.
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Tutti sono anche d’accordo nel ritenere che i due famigerati scatoloni glieli abbia messi qualche afghano. Unica differenza: per Strada si è trattato di qualche afghano governativo, apposta per togliere di mezzo testimoni scomodi alla “sporca guerra” della Nato; per gli antipatizzanti si è trattato di qualche talebano, approfittando della dabbenaggine dei volontari. Opposta la lettura anche alla presenza delle forze multinazionali al blitz, documentata dai filmati.Visto da sinistra, come direbbe Guareschi: ecco la prova che la Nato vuole togliere di mezzo Emergency. Visto da destra: sì, ve li vedete Obama e Brown che ordinano una simile montatura in stile Ghepeù di Beria? Prova che gli scatoloni li hanno messi i talebani. È però vero che gli inglesi, da cui la zona di Helmand dipende, da un po’ di tempo si lamen-
Continua il rimpallo di accuse con le autorità di Kabul
E intanto l’ospedale è in mano agli afghani di Pierre Chiartano tti relativi a...». Con questa intestazione è stato aperto dalla Procura di Roma un fascicolo d’inchiesta sul caso dei tre operatori italiani di Emergency, arrestati sabato scorso nell’ospedale afghano di Lashkar Gah, con l’accusa di un aver partecipato ad un complotto assieme ad altre persone arrestate, per uccidere il governatore di Helmand. Il procuratore aggiunto Pietro Saviotti ha disposto una serie di accertamenti ai carabinieri del Ros. A piazzale Clodio, intanto, si spiega che non sono emersi sinora collegamenti di quest’ultima vicenda con la gestione delle trattative per il rilascio dei giornalisti Daniele Mastrogiacomo e Gabriele Torsello. E che le accuse contro gli operatori sanitari italiani siano fragili è forse probabile. Il problema per molti osservatori è la componente ideologica che ha sempre contraddistinto la pur meritoria attività di Emergency. «In un posto come l’Afghanistan, degli operatori umanitari che facciano anche politica attiva, rischiano di creare situazioni pericolose», spiega a liberal Nicola Pedde direttore dell’Institute for global studies, tornato da un recente viaggio in Asia centrale. Insomma, Medici senza frontiere l’ong francese fondata da Bernard Kouchner ha fatto lo stesso lavoro di Gino Strada, ma senza creare questo genere di problemi. L’idea è che Emergency sia diventato un elemento di disturbo, non per la sua attività umanitaria, ma per quella politica e «fortemente ideologica». Infatti le autorità afgane continuano a smorzare i toni sul-
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l’arresto dei tre operatori di Emergency a Lashkar Gah, anche se nessuna delle ipotesi al vaglio degli inquirenti locali è stata ancora scartata. Una sola sembra la certezza: non c’è stata alcuna «confessione», ma una semplice «collaborazione» da parte dei tre volontari italiani. «Le indagini sono in corso, non ci sono ancora novità, occorre aspettare», ha fatto sapere il portavoce della provincia di Helmand, Daoud Ahmadi.
La Procura di Roma ha aperto un fascicolo d’inchiesta ed ha disposto una serie di accertamenti ai carabinieri del Ros, già arrivati in Afghanistan. Intanto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha inviato una lettera al presidente afgano Hamid Karzai. Lo ha riferito lo stesso Frattini durante la sua visita in Bosnia che verrà recapitata, oggi, tramite il nostro ambasciatore a Kabul. Emergency e Strada giurano sulla loro estraneità ai fatti contestati e intendono capire come «pistole, giubbotti esplosivi, radio e altro equipaggiamento» possano essere finiti in un magazzino dell’ospedale dell’ong a Lashkar Gah senza che i tre italiani arrestati ne sapessero nulla. E da Gabriele Torsello arrivano accuse al personale locale: «c’è qualcosa che non va nel personale, afghano o pakistano, che lavora nell’ospedale. Lo ha detto anche Gino Strada, le armi può averle messe qualcuno che lavora lì». Torsello fu rapito sulla strada che da Lashkar Gah porta a Kabul il 12 ottobre 2006. Il Copasir, ha convocato per oggi il direttore dell’Aise, l’intelligence estera, generale Adriano Santini.
Con molte similitudini rispetto alla molto più istituzionale Croce Rossa, l’esperimento del chirurgo milanese opera in teatri di guerra cercando nel contempo di pacificare le zone in cui si trova tavano del modo in cui Emergency curando i talebani feriti finisse di fatto per aiutarli a sgusciare via. È vero anche che gli stessi inglesi hanno detto di non aver partecipato agli arrestati, che sarebbero stati compiuti dagli afghani: sono venuti dopo su richiesta degli stessi afghani, per «assisterli a mettere in sicurezza l’area dell’ospedale e a rendere inerte l’esplosivo scoperto durante le perquisizioni». È vero che è stato un giornale inglese, il Times, a tirare fuori la storia che i tre avevano confessato. È vero che era stato poi il governatore di Helmand stesso a smentire il Times: per altro non nuovo a clamorose bufale a proposito di faccende italiane (si ricordi la storia dei rapporti Berlusconi-
Noemi, alterata da errori di traduzione). È vero che lo scontento degli inglesi non riguarda solo Emergency ma anche il diverso stile “machiavellico” delle truppe italiane, accusate di ottenere migliori risultati con meno sforzi semplicemente pagando tangenti (guarda caso, pure questo fu uno scoop del Times). È vero che i comandi italiani a loro volta hanno l’amaro in bocca per come le forze speciali inglesi gestirono le operazioni durante il tentativo di liberazione dei due agenti del Sismi catturati dai talebani nell’ottobre 2007, con i nostri commandos lasciati indietro e Lorenzo D’Auria colpito a morte nel blitz. È vero che la bufala del Times è saltata fuori alla vigilia di una visita di Frattini nei
mondo logica a vantaggio delle vittime di guerra. Come tale, tra 1989 e 1994 lavorò per il Comitato Internazionale della Croce Rossa: in Pakistan, Etiopia, Perù, Afghanistan, Somalia e Bosnia-Erzegovina. Come mai nel 1994 decise di lasciare la Croce Rossa per mettersi in proprio con quella nuova Ong Emergency che di fatto rispetto alla Cri rappresenta un doppione?
Identico l’obiettivo di assistere i feriti; identica la dichiarazione programmatica di stare al di sopra delle parti e di curare senza guardare alla fazione di appartenenza. Conoscendo la personalità di Strada, sarebbe facile il sospetto di protagonismo: si sarebbe fatta una Croce Rossa su misura apposta per poter decidervi tutto in famiglia. Nel senso più letterale, visto che presidente è stata prima sua moglie Tersa Sarti; poi, dopo la di lei morte, la figlia Cecilia Strada. Conoscendo certi scontri verbali che ci sono stati in seguito, si potrebbe anche intuire il crescente disprezzo dell’ex sessantottino per un’organizzazione sì benemerita ma che, allo stile di un certo tipo di beneficienza cattolica, si proponeva di restare al di sopra della mischia col corteggiare sistematicamente i potenti. Ma Gino Strada spiega che «all’inizio degli anni Novanta la Croce Rossa ha deciso di ridurre la propria attività chirurgica nelle zone di guerra, e si è venuto così a creare una sorta di vuoto nell’assistenza delle vittime dei conflitti» per colmare il quale avrebbe deciso di fondasre Emergency. Non c’è motivo per non credergli. Emergency inol-
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conda causa di morte infantile dopo l’Aids, e che comunque buoni risultati si possono ottenere anche con un tipo di intervento che va dall’alto in basso, piuttosto del contrario. Ma è una querelle tecnica che non ha appassionato i giornali. Il problema è stato invece che dai tempi del “Katanga” Strada ha mantenuto un vivace stile di squadrismo che magari ormai è solo verbale e non più solo fisico; ma che all’inizio ha finito per ribaltare lo stile della Croce Rossa da “sono imparziale perché cerco di farmi benvolare da tutti”, in “sono imparziale perché litigo con tutti”, e, dopo ancora, facendo vedere che in realtà c’era qualcuno con cui d’accordo ci riusciva ad andare. In prima linea contro gli interventi in Afghanistan e in Iraq, ad esempio, Strada nel 2008 fu duramente attaccato da Bernard Kouchner, fondatore di Médecins sans Frontières e Médecins du Monde e attuale ministro degli Esteri francese, per aver difeso Bashir.
È pure manifesto che Strada in Afghanistan è riuscito ad andare più d’accordo con i talebani che con Karzai. Che sia questo il motivo per cui i talebani si sono infiltrati nelle sue strutture, per cui i governativi hanno deciso di toglierlo di mezzo o per cui l’Intelligence inglese abbia pensato di montarvi una provocazione anti-italiana, certo fu la ragione per cui i nostri Servizi si servirono dei suoi servizi, scusate il bisticcio, al tempo del sequestro del fotoreporter Gabriele Torsello e del giornalista Daniele Mastrogiacomo.Quando il responsabile
Sotto i riflettori il rapporto fra i medici di Emergency e i talebani del sud dell’Afghanistan: secondo il contingente inglese, infatti, vengono curati anche pericolosi leader fondamentalisti Balcani, e in un contesto di scontro tra gli interessi dei due Paesi a proposito degli hub energetici nella zona. Insomma, Strada probabilmente ci crede sul serio che il governo italiano sia d’accordo sotto banco sulla provocazione contro Emergency: ma magari è proprio Emergency che viene utilizzata per colpire in qualche modo il governo italiano.
Se così avviene, però, è perché in qualche modo Emergency ci si presta. O magari più che Emergency la personalità del suo fondatore. Ex responsabile del gruppo di servizio d’ordine del Movimento Studentesco alla Facoltà di Medicina nel ’68, quei famigerati “katanghesi”che esaltavano Mao e sprangavano come matti, pur laureandosi trentenne nel 1978 con un certo ritardo Gino Strada divenne poi un apprezzato chirurgo: dapprima specialista in trapianti cardiaci, poi dedicatosi alla chirurgia traumato-
tre si propone non solo di prestare il soccorso di emergenza, ma anche di garantire un’assistenza sanitaria di base e di addestrare il personale locale a far fronte alle necessità mediche e chirurgiche più urgenti. Con effetti anche a più lungo raggio, visto che ad esempio il Centro Salam di cardiochirurgia del Sudan cura pazienti anche di nove Paesi confinanti. Inoltre dall’aorile del 2006 c’è anche un poliambulatorio gratuito di Emergency a Palermo, per fornire assistenza sanitaria gratuita agli immigrati. In effetti, molte delle critiche che sono state fatte a Emergency riguardano scelte operative. Ad esempio, del Centro Salam è stato detto che è inutile porre la cardiologia come priorità in un’area dove mancano le strutture sanitarie a livello più elementare, ma Emergency ha ribattuto che è stata la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità a indicare che in Africa e Asia le patologie cardiache sono la se-
dell’ospedale di Lashkar Gah Rahmatullah Hanefi trovò un accordo con i taleban e versò una contropartita consistente anche nel rilascio di cinque detenuti per gravi reati, che né inglesi e né Servizi di Kabul hanno presumibilmente dimenticato. Di nuovo, è vero che Hanefi, dopo aver fatto tre mesi in carcere con l’accusa di concorso in omicidio dell’interprete Adjmal Nashkbandi, fu scagionato e liberato: la mobilitazione in Italia per evitargli la pena di morte aveva finito per mettere il governo di Kabul in una posizione imbarazzante, e comunque prendersela col responsabile della sicurezza dell’ospedale era “fuori centro” rispetto al problema vero: del perché ci si era razzisticamente preoccupati solo dell’incolumità dei due italiani, e non del loro accompagnatore. C’è qualcuno che ha fatto un nodo al fazzoletto, in attesa di regolare il conto? Oppure, nell’imbroglio Hanefi c’era qualcos’altro?
Dall’alto le sedi di Emergency di Gino Strada: in Afghanistan (Lashkar Gah), Iraq (Erbil), Cambogia, Sierra Leone, Sudan e Repubblica Centrafricana
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Usa. Al vertice sulla sicurezza nucleare mondiale approda il caso Teheran segue dalla prima Dopo l’incontro ai massimi livelli di lunedì notte, Zhaoxu, portavoce della delegazione cinese a Washington, ha voluto specificare che le due parti mantengono differenze sul contenuto di una risoluzione con sanzioni contro l’Iran. Appunto, la novità è questa. Di una risoluzione con sanzioni si parla, e Pechino non è pregiudizialmente contraria e contribuisce a definirla. Con tutti i distinguo del caso. Ma c’è. In effetti il consigliere della Casa Bianca per l’Asia, Jeff Bader, senza essere smentito, ha sostenuto che i due Presidenti avevano concordato l’avvio di un lavoro congiunto delle due delegazioni al Consiglio di sicurezza dell’Onu sul testo di una risoluzione con sanzioni. Obama quindi sarebbe prossimo a incassare un risultato molto importante, un vero successo, ma qualcosa gli costerà. E il prezzo sul tavolo sembra essere la mancata rivalutazione dello yuan, la moneta cinese. Hu e Obama - ha puntualizzato Zhaoxu - auspicano che i Paesi «perseguano in modo attivo vie efficaci per risolvere la questione iraniana attraverso il dialogo e i negoziati». Ulteriori puntualizzazioni cinesi, ma senza smentite, dalla portavoce del Ministero degli Esteri di Pechino, Jiang Yu: «La Cina ha sempre sostenuto che le sanzioni e le pressioni non possono risolvere alla base il problema del programma nucleare dell’Iran, e che il dialogo e i negoziati sono il sistema migliore per risolverlo».
L’Iran dal canto suo si dice tranquillo e anzi rilancia alzando i toni. Teheran non ritiene che le dichiarazioni effettuate a Washington dagli inviati di Pechino «significhi-
Quanti yuan costa l’atomica iraniana? Barack Obama e Hu Jintao negoziano la risoluzione contro Ahmadinejad di Osvaldo Baldacci
nergia atomica Behzad Soltani, l’Iran diventerà una potenza nucleare entro un mese. Secondo Soltani, che non ha aggiunto particolari, «nessun Paese penserà di attaccare l’Iran dopo il suo ingresso nel club dei Paesi nucleari». La Cina comunque sarebbe l’ospite d’onore al controver-
È da tempo che Washington accusa Pechino di sottovalutare la propria moneta per ottenere importanti vantaggi commerciali no l’approvazione della posizione e delle azioni ingiuste degli Stati Uniti», ha affermato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Ramin Mehmanparast. Il vertice sulla sicurezza nucleare di Washington, ha aggiunto, non avrà alcuna influenza sul programma nucleare iraniano: «Perfino l’approvazione di sanzioni non avrà impatto sull’intenzione del nostro Paese di perseguire i suoi diritti nucleari». Anzi, per il numero due dell’Organizzazione per l’e-
tice nucleare organizzato dall’Iran a Teheran con 15 Paesi. Ma il punto più concreto è soprattutto economico.
La partnership tra Pechino e Teheran è strettissima: l’Iran è il terzo fornitore di petrolio e uno dei primissimi fornitori di gas della Cina, Paese affamato di risorse energetiche. Inoltre la Cina detiene numerosissimi appalti di enorme consistenza in Iran, ed è elevato l’interscambio commerciale. È il motivo per cui finora la Cina si è presentata co-
«Sarebbe disastrosa al Qaeda “nucleare”»
L’appello degli Usa È necessario «lavorare insieme per evitare che materiali nucleari cadano nelle mani dei terroristi. Se al Qaeda ne entrasse in possesso, sicuramente non esiterebbe ad usarli». Così il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha aperto la seduta plenaria e i lavori della seconda giornata del Summit sulla sicurezza nucleare a Washington, presenti 46 Paesi per il più grande incontro del genere dalla fine della seconda guerra mondiale. Per Obama, con la fine della Guerra fredda i rischi di una guerra nucleare sono diminuiti, ma a causa del terrorismo sono aumentati i rischi di un attacco nucleare. Le sessioni di ieri avevano soprattutto l’obiettivo gi garantire la
sicurezza delle scorte esistenti di materiale radioattivo. Obama vuole ottenere il risultato di mettere sotto controllo, meglio se sotto chiave, tutto l’uranio e il plutonio arricchiti conosciuti, che permetterebbero di costruire fino a 120mila bombe atomiche. Sono state discusse le misure nazionali per rafforzare la sicurezza del materiale nucleare esistente nei rispettivi Paesi, poi il problema è stato affrontato dal punto di vista internazionale, puntando soprattutto a misure pratiche per individuare e bloccare il traffico illegale. Un successo preliminare è stato ottenuto con l’impegno dell’Ucraina a eliminare entro il 2012 le sue scorte di uranio altamente arricchito. (O.Ba.)
me la grande protettrice dell’Iran all’Onu e si oppone alle sanzioni. Anche la misurata apertura di queste ore avrebbe contemplato questo tema: Hu Jintao avrebbe dato a Obama l’assenso per cominciare a elaborare una risoluzione, ma con la delegazione cinese intenta a tenere fuori dalle penalizzazioni economiche internazionali tutti quei settori che interessano più da vicino le attività di Pechino. Quindi la partita è aperta, Obama ha ottenuto concessioni dall’omologo cinese, ma il defatigante lavoro di dettaglio deve ancora cominciare.
E la questione è economica. Obama infatti per convincere Pechino tiene sul tavolo il dossiere sullo yuan, la moneta cinese. È da tempo che Washington accusa Pechino di sottovalutare la propria moneta per ottenere vantaggi commerciali, e addirittura è arrivata a legare la ripresa mondiale dalla crisi alla rivalutazione della moneta. In quest’ottica gli Usa avrebbero un’arma segreta, un rapporto che il 15 aprile il Congresso renderebbe ufficiale con le accuse al governo di Pechino addirittura di manipolare in maniera illegale il mercato valutario. Questa ulteriore scossa potrebbe avere i suoi effetti negativi su Pechino, prima di tutto spingendo gli investitori occidentali verso l’India e il sudest asiatico. Fondamentale è ricordare che Usa e Cina, che sembrano contrapposti, hanno in realtà un rapporto simbiotico debitore/creditore, per cui a nessuno dei due fa comodo il crollo dell’altro. La Cina detiene un miliardo di debito pubblico Usa, che l’apprezzamento dello yuan potrebbe abbassare a 600 milioni. Non è stata un caso la visita della settimana scorsa a Pechino del segretario al Tesoro americano Timothy Geithner. Che potrebbe aver trattato in anticipo con i cinesi questi temi, mettendo sul tavolo una scelta tra il nucleare iraniano e l’accelerazione sullo yuan. I contabili cinesi sembrano ancora al lavoro per capire quale sia la maggior convenienza per il loro Paese, ma sembra che Obama possa incassare un buon risultato, portando a casa intanto un maggior appoggio alle pressioni sull’Iran, senza escludere d’altro canto che in futuro, progressivamente, i cinesi diano seguito a un apprezzamento dello yuan che i loro esperti in prospettiva non giudicano più tanto negativo.
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E gli intellettuali della Polonia aprono le porte a Mosca
Il giorno di Zulic, ex prigioniero in un lager serbo
Sono migliaia i polacchi che ringraziano i russi on-line
Karadzic, all’Aja riprende il processo. C’è un testimone
VARSAVIA. Una sciagura che ri-
L’AIA. Dopo quaranta giorni
concilia e che può cambiare il corso della storia, almeno nei secolari rapporti di inimicizia russo-polacchi: sembrano concordi media ed esperti russi nel valutare gli effetti della tragedia aerea nella quale sabato scorso, a Smolensk, hanno perso la vita 96 persone, tra cui presidente polacco Lech Kaczynski, che guidava una delegazione per commemorare il 70esimo anniversario dell’eccidio staliniano di Katyn. Da una tragedia che continua in parte a dividere, quella del massacro di 22 mila ufficiali polacchi da parte della polizia segreta sovietica nel 1940, ad una sciagura che “può cambiare tutto”, come l’attacco terroristico alle torri gemelle dell’11 settembre 2001, con l’immediata telefonata di cordoglio dell’allora presidente Vladimir Putin al collega americano George Bush, sottolinea il tabloid polacco Tvoi Dien.
di sospensione è ripreso ieri, con il primo testimone dell’accusa, il processo per genocidio contro l’ex leader politico del serbi di Bosnia, Radovan Karadzic, in corso di fronte al Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia. L’udienza è stata aperta alle 14.30 italiane dal presidente della corte OGon Kwon in presenza dell’imputato, che ha scelto di difendersi da solo e si dichiara non colpevole. Nel pomeriggio si è svolta la testimonianza di Ahmet Zulic, che fu prigioniero nei campi di detenzione serbi all’inizio della guerra di Bosnia (1992-1995). Il procuratore ha presentato la testimonianza scritta di Zulic, che è già stato
E questo grazie non solo alla trasparenza nelle indagini, alle quali sono stati subito associati gli inquirenti polacchi, ma anche ai gesti della leadership del Paese e dei cittadini russi: il leader del Cremlino Dmitri Medvedev che proclama il lutto nazionale una eccezione trattandosi di cittadini stranieri - e si rivolge direttamente al popolo polacco, il pre-
Bakiyev tratta la resa, ma il governo la respinge Il nuovo premier mira all’arresto del dittatore di Antonio Picasso
BISHKEK. Nella crisi del Kirghizistan si stanno aprendo gli spazi affinché il controllo delle piazze passi dalle mani dell’ex presidente Bakiyev ai suoi oppositori. I termini dei negoziati sono che questi ultimi garantiscano l’incolumità fisica del leader deposto e della sua famiglia. Bakiyev quindi, che era stato salutato dal Paese come un nuovo“padre della Patria”, colui che avrebbe donato unità e benessere a tutti, sta trattando per scappare e abbandonare i suoi sostenitori che, negli ultimi giorni, si sono battuti nelle strade in suo nome. D’altra parte il rischio di una guerra civile rimane elevato. La situazione è fluida, sia da un punto di vista della sicurezza, sia per quanto riguarda le prospettive politiche. Bakiyev, nascosto nel suo rifugio di Jalalabad, ha promesso di lasciare il Paese se le sue dimissioni venissero accettate. Può però fidarsi di chi gli sta di fronte? Il primo ministro entrante, Roza Otunbayeva, ha escluso qualsiasi trattativa con «il dittatore sanguinario», lasciando trasparire palesi intenzioni vendicative, invece che di compromesso. Il della ministro Giustizia del Governo provvisorio, Asimbek Beknasarov, è irremovibile riguardo all’ arresto dell’ex Capo dello Stato, a prescindere dal fatto che questo rimetta il mandato nelle mani delle Autorità. Ma chi sarebbero queste Autorità? La Carta costituzionale prevede che, se il presidente della Repubblica è impossibilitato a svolgere le sue funzioni, i poteri passino allo speaker del Parlamento, il quale dovrebbe sciogliere l’Assemblea nazionale e indire nuove elezioni. Attualmente però il Presidente del Parlamento kirghiso è a San Pietroburgo, dove si era recato in visita ufficiale prima della rivolta. E, stando a quanto di dice, non ha alcuna intenzione di tornare a Bishkek. Il primo ministro Daniar Ussenov, che in ordine di protocollo dovrebbe assumere la leadership del Paese, si è dimesso una settimana fa.Al suo posto si è auto-installata Otunbaiyeva, le cui dichiarazioni restano inequivocabili sul da farsi. Interessante è notare che anche il vice primo ministro del governo entrante Almazbek Atambaev sia in Russia – a
Mosca per la precisione – da dove ha mostrato l’unico segno di apertura nei confronti del deposto regime. «Il Kirghizistan è pronto per le riforme che diano vita a una Repubblica parlamentare, sulla base di una nuova Costituzione, libere elezioni generali e le dimissioni ufficiali dell’ex Presidente». Un’altra coincidenza è che appena prima del Colpo di Stato, sulla scrivania presidenziale di Bakiyev era pronta una bozza per una riforma costituzionale relativa alla trasmissione dei poteri dello Repubblica al Responsabile dell’Amministrazione presidenziale in caso di impedimento del Capo dello Stato.
La rivolta ha bloccato l’iter richiesto affinché gli emendamenti venissero approvati dal Parlamento. Nel frattempo i ricchi imprenditori, che avevano sostenuto la presa di potere di Bakiyev nel 2005, ora preferiscono restare in disparte. Una scelta, la loro, che fa pensare che sappiano già a chi andrà il governo del Paese. Per questo evitano di compromettersi con un leader ormai finito. Nessun gesto di eroismo quindi. Solo le piazze restano alla mercé degli scontri etnici e clanici, che potrebbero esplodere ora che non esiste più un capo forte e carismatico capace di contenere i rancori tra i kirghizi al nord e la consistente comunità uzbeka delle regioni meridionali. Fino a ieri Bakiyev poteva contare sulla protezione armata del suo clan, che si è compattato intorno al suo capo, e l’appoggio del finanziere locale Batyrov. Confrontandosi con il governo provvisorio, quest’ultimo aveva lasciato aperta la possibilità di trattare per una riforma costituzionale, sulla base delle uguaglianze etniche, nel rispetto dei diritti economici e politici di tutti i cittadini, incluso quindi l’ex Presidente. Ma il desiderio di Bakiyev di dimettersi ha reciso tutti i negoziati. Se sulla carta questa mossa appare provvidenziale per il Paese, in quanto buona uscita per evitare un’escalation dei disordini, l’aggressività dimostrata dal Governo provvisorio lascia pensare che le semplici dimissioni non siano sufficienti per risolvere la crisi.
Le piazze restano alla mercé degli scontri etnici e clanici, che potrebbero esplodere ora che non esiste più un capo forte
mier Vladimir Putin che vola sul luogo della tragedia e abbraccia commosso il suo collega Donald Tusk, il pellegrinaggio dei moscoviti con fiori e candele all’ambasciata polacca, i familiari delle vittime che arrivano a Mosca senza visti, l’ampia copertura televisiva. E il film del polacco Andrzej Wajda ritrasmesso in prima visione sul secondo canale federale. Nikolai Bukharin, un economista dell’Accademia delle Scienze, guarda già oltre. «Nella seconda metà del 2011 - osserva - la Polonia assumerà la presidenza di turno della Ue: se finora Varsavia ha impedito lo sviluppo dei rapporti tra Mosca e Bruxelles, ora può diventare un alleato della Russia».
citato in vari processi al Tpi. Adesso il testimone sarà interrogato dai giudici e controinterrogato da Karadzic. Nel giugno 1992 Zulic assistette all’esecuzione di una quindicina di uomini a cui fu tagliata la gola, secondo la sua testimonianza, da soldati serbi, nei pressi di Sanski Most, nel nord ovest della Bosnia.
Zulic partecipò anche a un trasporto in camion durante il quale vari prigionieri morirono per soffocamento, vittime del caldo e della mancanza d’aria. Zulic, che ha testimoniato anche contro l’ex presidente jugoslavo Milosevic, morto cella nel 2006 prima della condanna, pesava 55 chili alla sua liberazione nel novembre 1992. Ne pesava 90 quattro mesi prima. Karadzic, 64 anni, ha boicottato l’avvio del processo per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio, il 26 ottobre scorso con la motivazione che non era pronto per la difesa. Il processo, sospeso per quattro mesi, è ripreso il 2 marzo. La lista dei primi dodici testimoni d’accusa è stata pubblicata, ma non c’è calendario fissato. La presentazione dei capi d’accusa, con tre udienze di mezza giornata la settimana, dovrebbe durare tre mesi.
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Lirica. Oggi al Massimo di Palermo la prima nazionale di “Die Gezeichneten”, capolavoro del grande compositore austriaco
Schreker, le vite segnate Gli studi a Vienna, i successi berlinesi: breve guida a un maestro da riscoprire di Jacopo Pellegrini iglio d’un ebreo boemo convertito, fotografo alla corte absburgica, e d’un’aristocratica cattolica e stiriana, Franz Schreker vide la luce nel marzo 1878 a Monaco. Non però quello di Baviera, ma l’altro, sulla Costa azzurra. Alla nascita e sino agli anni della pubertà, di cognome faceva Schrecker; la decisione di modificarlo, anche se di poco, si spiega con facilità: in tedesco Schreck significa ‘spavento’, ‘terrore’. Studi musicali a Vienna, dal 1912 docente di composizione alla Musikakademie della stessa città, fra il ’20 e il ’32 è a Berlino per dirigere la Hochschule für musik. E nella capitale tedesca si spegne appena due anni dopo per le conseguenze d’un infarto; in sostanza, muore di crepacuore dopo che i nazisti hanno messo al bando la sua persona come jude, la sua musica come entartete, degenerata.
F
Scrive soprattutto per la scena e, in sintonia colla lezione di Wagner, oltre alla musica provvede anche al testo. Tra il 1912 ( Der ferne Klang – Il suono lontano – s’impone a Francoforte sul Meno, città più d’ogni altra dedita al suo culto) e la prima metà del decennio successivo ottiene una serie di successi, veraci o ‘di scandalo’, nei teatri d’Austria e Germania. Presto però, con l’affermarsi della Nuova oggettività, del Bauhaus, del neoclassicismo nelle arti, la sua stella impallidisce e tramonta. È solo dagli anni Settanta che si assiste a una lenta ma costante ripresa d’interesse per il lascito di Schreker: tutti i suoi titoli, inediti compresi ( Christophorus, rappresentato nel 1978), ritrovano la via del palcoscenico, e non solo nei paesi di lingua tedesca. In questi giorni, per esempio, quella ch’è generalmente considerata la sua creazione più attraente, Die Gezeichneten, alla lettera I segnati (ideata e composta fra il ’13 e il ’15, eseguita la prima volta a Francoforte sul Meno, nel ’18), approda in contemporanea alla Los Angeles Opera e al Massimo di Palermo: due prime nazionali; anzi, nel caso degli Stati Uniti addirittura
una prima continentale. Sotto il sole della California è stato James Conlon, grande paladino dal podio della entartete Musik, a imporne l’allestimen-
to in barba ai disagi finanziari della compagnia; la Sicilia replica con sei recite di una nuova produzione, da oggi al 21: direttore Philippe Auguin, regista insigne e per nulla convenzionale Graham Vick (si veda l’intervista qui in basso, ndr),
scene e costumi di Paul Brown, coreografie di Ron Howell, luci di Giuseppe Di Iorio, interpreti principali Angeles Blancas Gulin (Carlotta Nardi), Peter Hoare (Alviano Salvago), Scott Hendricks (Vitelozzo Tamare). In Italia il catalogo musicale di Schreker è pressoché sconosciuto, diversamente da quello del coetaneo, conterraneo e compagno di studi Alexander von Zemlinsky (1871-1942: proprio alla fine di questa settimana l’Accademia di S. Cecilia ha in programma il suo atto unico Una tragedia fiorentina – da Wilde, – accoppiato al pucciniano Gianni Schicchi). Le cronache ricordano un’apparizione isolata del Suono lontano a Venezia nel 1984, per la Biennale dedicata alla Secessione. L’occasione palermitana si rivela dunque non solo preziosa, ma istruttiva e golosa alquanto. I Gezeichneten fioriscono all’ombra di Otto Weininger, Karl Kraus, Freud, Musil, Schnitzler, Wittgenstein, Klimt, Schiele, nella capitale d’un impero agli sgoccioli, la
Le regole della prassi operistica sono sovvertite: la melodia e il tema perdono di significato Vienna retta da un monarca, Francesco Giuseppe, sopravvissuto a se stesso: infine, un altro ‘segnato’. Ha detto bene lo
psichiatra e psicanalista Francesco Montanari, che insieme al musicologo Paolo Petazzi ha presentato l’opera per gli Amici del Teatro Massimo: «È questa un’epoca talmente caratterizzata da una vita di superficie, che quanto sta sotto diventa un potenziale oggetto di studio e di ricerca». Le figure protagonistiche dello spartito sono marchiate a fuoco dall’atavismo (il deforme Salvago: era quello anche il tempo di Lom-
Esclusivo. Il commento del regista Graham Vick
«Un viaggio sulle note di Freud» PALERMO. Die Gezeichneten: il titolo dell’opera ch’è stato chiamato a mettere in scena dal Massimo di Palermo, Graham Vick, inglese di Liverpool, ma in grado di padroneggiare l’italiano meglio di molti autoctoni, propone di tradurlo con «I macchiati, o forse, meglio, i marchiati. Quando Lorenzo (Mariani, direttore artistico del Teatro Massimo, nda) mi propose questo titolo di Schreker ero incline a dire di no, ma incuriosito mi feci comunque mandare lo spartito e una notte, in un albergo di Atene, lo lessi. Me ne innamorai subito. Nei Gezeichneten troviamo il risultato dell’Ottocento enucleato agli inizi del Novecento. La questione dell’inconscio, delle pulsioni profonde, in una parola della psicoanalisi, nell’opera in musica esisteva già da cent’anni, Freud (l’
Interpretazione dei sogni esce nel 1899, i Saggi sulla sessualità nel 1905, nda) è il punto focale che dà il nome alla cosa. Si trova già tutto in Wagner, e ancor prima nel Romanticismo, che inventa l’artista come ego, punto culturale e creatore. Anche creatore di sé come soggetto dell’opera d’arte: è il caso di Schreker, sia in Der ferne Klang ( Il suono lontano, 1912), sia nei Gezeichneten. Qui il compositore s’identifica in tutti e tre i suoi protagonisti (Alviano Salvago,Vitelozzo Tamare, Carlotta Nardi), ciascuno di loro rispecchia un aspetto della sua psiche e della psiche umana in generale».
In che modo dunque interpretare i Gezeichneten? «Si prestano a diversi livelli di lettura, com’è sempre delle espressioni artistiche riuscite. C’è il li-
vello della fiaba, la storia della bella e la bestia, colla bella che prima s’innamora del mostro ma poi lo lascia per il bello, che in questo caso è una persona diversa. Si può riconoscere anche un aspetto legato alla complessità politica, difficile però da tradurre sulla scena perché non ben sviluppato: da una parte, la borghesia, dall’altra, la nobiltà; nel mezzo, l’idea della legge (il Duca/Doge, gli otto senatori, che rappresentano un alter ego dell’Inquisizione). L’asse centrale dell’opera ruota attorno alla dialettica tra trasgressione e ubbidienza alla legge, tra rottura e chiusura dei limiti: è come il mito del Vaso di Pandora». E l’esotismo italiano, quella nostalgia per il meridione, così tipici della cultura tede-
sca dell’Ottocento? «È l’ombra del Sud, che troviamo anche nel Parsifal di Wagner: l’anima del Nord innamorata del sole, del caldo. Ma questa Genova di Schreker non ha molto a che vedere con la realtà storica, né entra direttamente nella vicenda. È un meridione generico: insomma, siamo lontani dalla Genova del Simon Boccanegra verdiano. Quanto all’epoca, sulla scia di Walter Pater, dei suoi scritti sull’arte italiana del Quattro-Cinque-
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la trama
broso) o dalle perversioni sessuali (Tamare e Carlotta: il sadico e la masochista).
Intreccio e versi mancano completamente «di quella chiarezza che – per dirla con lo stesso Schreker – sta alla base dell’essenza e degli effetti del “buon” testo teatrale»; e ciò perché «la chiave del problema» sta nella musica, incaricata di dare evidenza ai «moti istintivi, assopiti nel subconcento, si tratta di un rinascimento rivissuto in chiave romantica, sensuale, violenta, alla Caravaggio. Lo spettacolo sarà pieno di luce, in contrasto col buio che occupa le anime dei personaggi; l’oscurità dilaga a tal punto (già nelle prime battute del Preludio si sente il virus della corruzione propagarsi sotto pelle), che c’è davvero bisogno di luce. Elysium, l’isola di Alviano, simboleggia il ‘permesso’, è un luogo precristiano dove non esiste né religione né legge: là tutto è bello, meraviglioso e fuori controllo. Salvago crede di essere Dio, ha edificato dal nulla questo mondo ammaliante e
In queste pagine, alcune foto di scena opera di “Die Gezeichneten”, opera di Franz Schreker da stasera in scena al Teatro Massimo di Palermo e fino al 21 aprile. A dirigere lo spettacolo, Graham Vick
artificiale; ma questo mondo non può essere fatto che a immagine e somiglianza del dio che l’ha creato, quindi cela al suo interno un nocciolo di bruttezza. Alviano è brutto fuori e dentro: quella tra fine Ottocento e inizio Novecento è un’epoca che tematizza la bruttezza; basta pensare, in letteratura, a Wilde e a Stevenson. La ricerca del bello in Salvago può essere letta anche come una compensazione originata dal senso di colpa: la bellezza è tutta per gli altri, per i suoi compagni sani e forti; dal canto suo, egli vive da asceta, mangia fagioli e calza sandali.»
Non è strano che il tenore sia un ‘mostro’? «Ma è anche un giovane innamorato; non può essere che un tenore». E le altre parti principali? «Tamare deve essere baritono perché non ha nulla di romantico, è sensualità, trasgressione pura: i tenori sono
Atto primo. Il gentiluomo Alviano Salvago è padrone di una splendida isola al largo di Genova, isola che ha fatto diventare una specie di paradiso. Alviano è un uomo soggiogato dalla propria terribile bruttezza, , il che non gli ha mai consentito di recarsi nell’isola, dove hanno luogo orge clandestine organizzate dai suoi amici della nobiltà ligure; egli tuttavia, pur indignato da questo fatto, ha deciso di donare la splendida isola alla cittadinanza perché possa goderne. Nel frattempo giunge il podestà con la bellissima figlia Carlotta, di cui è innamorato il giovane conte Vitelozzo Tamare. Ella però non sembra ricambiare, preferendo piuttosto Alviano, al quale chiede addirittura di posare per un quadro che sta dipingendo. Atto secondo. Offeso dall’indifferenza di Carlotta, Tamare da un lato si dispera ma dall’altro medita vendetta contro la donna, e confida al duca Adorno di volerla sedurre e poi scacciare. Nello studio di Carlotta: la fanciulla, dipingendo, cerca di ritrovare in Alviano l’intensità dello sguardo ch’ella aveva colto un giorno sul suo volto, mentr’egli era rapito dal sorgere del sole. Ricorre per questo anche al proprio fascino femminile, al punto di dichiarargli amore. I due si baciano, ma sul più bello viene annunciata una visita di Adorno. Atto terzo. La bellezza dell’isola seduce il cuore di Carlotta, che segue Tamare nella grotta sotterranea. La sua scomparsa della ragazza mette in allarme Alviano, che dopo averla fatta cercare la ritrova nella grotta morente. Tamare lo schernisce dicendogli che Carlotta gli si è data di sua spontanea volontà. Alviano non gli crede e pensando che ella sia stata violentata uccide il conte. Udendo però la donna che con il suo ultimo respiro invoca appassionatamente il nome di Tamare, Salvago impazzisce.
troppo preoccupati degli acuti per poter essere sensuali. Carlotta è la donna artista (dipinge) che attira a sé l’altro artista (Salvago) e, al contempo, offre a colui che sta ideando l’opera, a Schreker, un’altra voce per affrontare i problemi della creazione artistica. È anche la donna che s’incammina sulla via dell’emancipazione, una suffragetta coi capelli ‘alla maschietta’… È l’egoista più forte del dramma: l’impulso autodistruttivo che la sospinge esprime questo desiderio egoistico». L’inizio del Novecento è anche il periodo in cui vengono classificate su basi medicoscientifiche le perversioni sessuali…«Schreker parte dalle indagini sulle psicopatie sessuali di Krafft-Ebing e Havelock Ellis, ma ne ribalta le conclusioni e ci dice che la normalità non esiste: se la perversione, come tutto il resto, è ereditaria, ne consegue che la civiltà, l’ordinamento sociale è solo l’esito di una formalizzazione. Si tratta di costruire una cosa che in natura non esiste.
desco) il compito di dar voce ai lati oscuri. La centralità del parametro ‘suono’ ammette, meglio, richiede una quantità di apporti diversi, tutti parimenti significativi, tutti rifusi in un unico crogiuolo. scio». Ne consegue un sovvertimento delle regole tradizionali della prassi operistica: il tema, la melodia, cantata o suonata, che s’imprime nella memoria, perde d’importanza e significato; il rivestimento di superficie assicurato da un’orchestra sfaccettatissima e avviticchiata in racemi del più puro stile Liberty, da piedistallo si fa statua. Al timbro (Klang in te-
È quanto tentano di fare il podestà e i senatori, attraverso il potere costituito, la famiglia, la religione. Gli aristocratici, invece, si presentano come una tribù pagana, sciolta da ogni vincolo, da ogni regola». Da un punto di vista fattuale come si presenta quest’opera? «Tecnicamente è una bella sfida. Il testo è pieno di soggetti molto interessanti, sono presenti tutti o quasi gli aspetti della natura umana. Purtroppo, Schreker non è molto bravo a caratterizzare vocalmente i personaggi: l’orchestra ha molto carattere, ma il canto, pressoché sempre declamato, non aiuta a capire l’essenza delle figure agenti. In questo senso c’è molto da fare: scavare nel testo per dipanare l’intreccio di simboli e significati che vi si trovano nascosti si rivela un impegno stimolante. Il momento più difficile è senza dubbio il finale dell’opera, quando Alviano, ucciso Tamare, impazzisce e smette quasi di cantare per rifugiarsi in un parlato appena intonato: è una
«Sono – ebbe a scrivere Schreker con un’ironia di facciata che, ancora una volta, cela una profonda verità – impressionista, espressionista, internazionalista, futurista, verista musicale. […] Ma sono anche idealista […], simbolista, aderisco all’ala estrema dei moderni (Schönberg, Debussy), […] mi rifaccio a Verdi, Puccini, Halévy, Meyerbeer». metafora dell’artista (del compositore) che perdendo la ragione perde anche la facoltà di creare (cantare).»
Quali forme assumerà quest’impegno creativo sul piano visuale? «L’ambientazione è attuale, ma è un oggi che non ha nulla in comune colla strada. Abiti, arredamento appartengono all’universo del teatro e dell’arte, a un mondo inventato, dove ogni cosa è spettacolo. Prendiamo Elysium: è un luogo teatrale, con fondali e spezzati dipinti; è un’isola come può essere concepita su un palcoscenico. L’intero spettacolo si basa sui simboli dell’arte, da intendersi quale creazione della psiche umana. Un contenitore-scatola bianca, nel quale personaggi e oggetti (tra cui varie cornici, dipinti, una Ferrari, ecc.) esistono e, nel caso, agiscono in quanto elementi di un’opera d’arte. Arte contemporanea o almeno recente: soprattutto pop e concettuale.» (j.p.)
cultura
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Tra gli scaffali. Le icone e lo spirito della modernità attraverso due recenti saggi di Umberto Galimberti e Michel Maffesoli
Processo ai miti d’oggi
di Giuseppe Del Ninno sempre più rari frequentatori dei commenti politici si imbattono spesso in espressioni quali «saper interpretare la pancia dell’elettorato» o «cogliere lo spirito del tempo», che connoterebbero i leader più avveduti e sagaci. Certo, anche in democrazia la “fabbrica del consenso” non smette di funzionare, nelle due fasi complementari della conoscenza dei fenomeni sociali e del tentativo di condizionamento e guida degli stessi.
I
Sotto questo profilo, se ne avessero tempo, voglia e capacità, i nostri epigoni del Principe di Machiavelli potrebbero trarre profitto dalla lettura di due volumi usciti di recente e che riprendono il tema dei “miti” e delle “icone” d’oggi. Alludiamo appunto a Icone d’oggi di Michel Maffesoli (Sellerio, pp. 236, euro 13) e I miti del nostro tempo, di Umberto Galimberti (Feltrinelli, pp. 406, euro 19). Proprio quest’ultimo afferma: «I miti sono idee che ci possiedono e ci governano con mezzi che non sono logici, ma psicologici, e quindi radicati nel fondo della nostra anima». Se si colloca tale affermazione nella dimensione collettiva, appare evidente l’importanza metapolitica di una simile affermazione; indipendentemente dalla valutazione - negativa che poi ne fornisce l’autore, siamo dunque sulla linea di pensiero che da Jung procede fino a Hillman e che fonda negli archetipi collettivi la causa efficiente del nostro agire. Va detto che, mentre negli studiosi appena citati il mito va a sostanziare la struttura permanente della coscienza, nelle elaborazioni di Galimberti la presenza attiva di miti “privati” e “pubblici” costituisce una prico-patologia da rimuovere, attuando un processo di “de-mitizzazione” in funzione terapeutica, attraverso la critica delle idee che ci possiedono e che non sono più idonee ad accompagnarci nella comprensione di un mondo in continua trasformazione. Così, appartengono alla categoria dei “miti privati”, fra gli altri, quelli dell’amore materno, dell’identità sessuale, della giovinezza, della moda, del potere; come si può intuire, una serie che affonda per lo più le radici nel primordiale e che andrebbe, a nostro avviso, non contrapposta, ma integrata con quel mito che l’autore non cita, ma pure sembra governare il suo pensiero, vale a dire il “mito delle idee chiare e distinte”.
Due volumi essenziali per mettere in ordine il nostro sapere ma soprattutto per orientarci al meglio in un mondo frenetico e in continua evoluzione Sono invece “miti collettivi” d’oggi quelli della tecnica e delle nuove tecnologie, quello del mercato e della crescita, quelli della globalizzazione, del terrorismo, della guerra, della sicurezza e della razza, tutti legati in una coerenza di fondo che rispecchia efficacemente in primo luogo l’immagine delle nostre angosce.
Tanto per restare in tema di patologia. Ora, se riesce diffici-
Sopra, la copertina del libro di Galimberti “I miti del nostro tempo”. A destra, quella del volume di Maffesoli “Icone d’oggi”. In alto, un disegno di Michelangelo Pace
le condividere le opinioni di Galimberti a proposito di un preteso culto estetico della guerra, in un’area geo-culturale come la nostra, dove non solo la pratica bellica, ma lo stesso servizio militare di massa sono la sparuta eccezione e dove le sirene letterarie - e non solo - del pacifismo dominano il concerto del discorso pubblico, sono invece di particolare interesse le considerazioni svolte in tema di terrorismo e di sfida simbolica.
In queste ultime pagine - dove è frequente il riferimento agli scritti di Jean Baudrillard appare con evidenza, forse anche contro le intenzioni dell’autore, come sia in atto un autentico e profondo conflitto di civiltà, già evocato nelle pagine che parlano della globalizzazione. Basti pensare alla “sfida simbolica” lanciata dal terrorismo «...non sul piano della realtà, dove in gioco sono i rapporti di forza, ma sul piano simbolico, dove la posta in gioco è la (loro) morte, un’arma assoluta contro “un sistema che vive dell’esclusione della morte”», secondo un’espressione, appunto, di Baudrillard. Sono poi di indubbio interesse i capitoli dedicati al mercato, dove viene tracciato a volo d’uccello il percorso evolutivo della nozione - anche qui principalmente nella sua valenza simbolica - individuandone, anche attraverso le lezioni di Marx e di Simmel, la trasformazione dalla sua origine di scambio simbolico e totalizzante fino agli esiti libertari, in cui l’attenzione si sposta dall’uomo nella sua interezza al bene prodotto proprio dal lavoro umano. Un ragionamento, questo di Galimberti, che presenta non pochi
punti di contatto con quello svolto nel volume di Giulio Tremonti, La paura e la speranza. Quanto a Michel Maffesoli, non se ne può trascurare la dichiarata intenzione di ricollegarsi, fin dal titolo del libro, al lavoro di un celebrato semiologo quale Roland Barthes, il quale pubblicava il suo Miti d’oggi nel 1957. Qui non è il caso di soffermarsi troppo sulle differenze
fra “mito” e “icona”: basterà ricordare che il primo termine romanda alla radice mu - la stessa dell’aggettivo “muto” per indicare la dimensione dell’indicibile, mentre il secondo ha un’etimologia legata al significato di “immagine esemplare”, di astratto modello figurativo; in ogni caso, siamo fuori dal cono di luce della ragione discorsiva. In particolare, nel saggio di Michel Maffesoli l’icona è «il trasferimento sullo schermo della metastoria culturale degli stereotipi ideologici e socio-politici del nostro tempo».
La lettura parallela che se ne può fare con il libro di Barthes mette in evidenza l’intreccio evolutivo fra i due testi e i ri-
spettivi contesti storici e culturali, ma segna anche il differente approccio e la diversa sensibilità dei due autori. Il primo esercita una critica ideologica applicata al linguaggio della cultura di massa, per arrivare ad un primo «smontaggio semiologico di questo linguaggio»; il secondo si avventura in questa rinnovata foresta di simboli, per riaffermare il suo radicato convincimento nella ripresa di una diffusa sensibilità pagana (a ulteriore riprova, se ne veda il recente Réenchantement du monde). Scorrendo l’indice di Barthes, ci si immerge in una Francia ma poi, in un’Europa e in un mondo - che non c’è più, un po’ come accade allo spettatore del film di Laurent Tirard, Il piccolo Nicolas e i suoi genitori: vi ritroviamo le prime riflessioni sul mondo del catch, sui Marziani e su saponificanti e detersivi, i ritratti di Poujade e della Garbo, l’epopea del tour de France e le frivolezze delle crociere “del Sangue Blu”, il discorso sulle radici individuate nell’opera di Racine e nella nuova Citroen.
Tanto per segnare il tempo che passa - ma anche il divario fra i due Autori - è sufficiente scorrere i capitoli del libro di Maffesoli: si va da Che Guevara a Second Life, da Sarkolène a Harry Potter, dall’edonismo alla globalizzazione, dal rave a Zidane... Insomma, c’è tutto un repertorio dell’immaginario collettivo a contrassegnare la Francia - e il mondo - in perenne trasformazione. Il punto di contatto dichiarato fra i lavori di Barthes e di Maffesoli e fra le loro rispettive raffigurazioni della Francia - è dato però dalla figura dell’Abbé Pierre, uomo di chiesa ribelle e controverso, venuto a mancare di recente. Così, se per Barthes quell’abate, fin dal suo taglio di capelli e dalla foggia della barba, incarna la rappresentazione stessa della santità francescana, quella capace di contestare l’ordine politico e sociale in difesa dei poveri, per Maffesoli richiama la figura di un Harry Potter che «oltre all’irruenza giovanile, possiede anche un’innegabile saggezza» e, nel suo essere «senex et iuvenis simul», rimanda al puer aeternus di Hillman, al di là della morale e delle categoria politiche e sociali correnti. Insomma, ce n’è abbastanza, non solo e non tanto per accrescere piacevolmente il nostro sapere, quanto per metterlo in ordine e orientarci nel frenetico nostro mondo in continua evoluzione.
spettacoli
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ndimenticabile, emozionante, sorprendente. Così le centinaia di fan presenti all’Hammersmith Apollo di Londra giorni fa hanno descritto il concerto dei Lynyrd Skynyrd. Sette musicisti, due sensuali coriste bionde. Non più giovanissimi, tutti 60enni, sprigionano un’energia e una passione come succedeva negli anni Settanta, quando il nome della band iniziava a farsi spazio prepotentemente nell’olimpo delle Star del rock. E il prossimo concerto della band, che si esibirà a giugno a Milano, ha già registrato il tutto esaurito.
I
Un rientro eccezionale in Italia. Un appuntamento unico per riascoltare il gruppo che ha segnato la storia del southern rock con brani del calibro di Sweet Home Alabama e Free Bird e che ha cambiato un’intera generazione musicale con il suo leggendario suono e la sua immagine rock. I Lynyrd Skynyrd sono una di quelle band che suona da una vita. E che vita, verrebbe da dire scorrendo la biografia di questa tormentata formazione della Florida. Un tragico incidente aereo nel 1977 uccide il cantante Ronnie Van Zant, il chitarrista Steve Gaines, il secondo cantante Cassie Gaines e altri membri della crew. E dopo l’ultima triste scomparsa del tastierista e fondatore della band Billy Powell, e del bassista Donald “Ean” Evans, la band è sempre andata avanti. Resiste più forte che mai imprimendo il proprio marchio a fuoco su tutte le tracce di God & Guns. Un album da cineteca con 12 canzoni che entrano nella storia e che dimostrano come oltre alla tragedia, alla storia, alle chitarre furiose e alle canzoni indimenticabili, i Lynyrd Skynyrd ruotano attorno ad una volontà indomita. Alla sopravvivenza dello spirito che non si piega, eccezionalmente americano, cocciutamente risoluto. Una delle formazioni sicuramente più sfortunate del rock, ancora una volta, come un’araba fenice, resuscita dalle proprie ceneri e sforna un disco eccezionale. God & Guns in uscita già da qualche mese, registrato a Nashville per Loud & Proud-Roadrunner Records tra il 2008 e il 2009, tra varie interruzioni dovute alla scomparsa di Billy Powell, è la prova di sette mu-
Musica. Un album nuovo di zecca e un tour mondiale (con tappa a Milano)
Il ritorno da leoni dei Lynyrd Skynyrd di Valentina Gerace sicisti che non si vogliono arrendere. Lo storico chitarrrista Gary Rossington, Johnny Van Zant (voce), Rickey Medlocke (chitarra), Michael Cartellone (batteria), Robert Kearns (basso) e Peter Keys (tastiere) sono inorgogliti dall’uscita del disco.
Occasione che ricorda che una delle principali icone del rock anni Settanta è ancora
presenza del chitarrista dei Marilyn Manson non lascia traccia di gotico o metal. I Lynyrd Skynyrd sono quelli di una volta. Dalle influenze country di Southern Ways, si passa con agilità ad un pezzo hard n’ blues con gli Aerosmith in agguato come Skynyrd Nation, per non parlare dell’elegante hard rock Settanta targato Storm o delle atmosfere ariose e rilassate da
Lynyrd Skynyrd, ma è la successiva Floyd a colpire veramente nel segno.
Un pezzo tutto westerndark che prende dentro, oscuro ed ironico, riporta con la mente a certi film western, uno dei pezzi di punta dell’album. That Ain’t My America riconduce tutto nell’alveo della tradizione del romanticismo lirico tipico della band. Anco-
A giugno la storica band Usa degli anni Settanta si esibirà nel capoluogo lombardo, in una serata già da “tutto esaurito”. Suoneranno dal vivo il loro disco “God & Guns”, 12 tracce che vanno dal rock al country, passando per l’hard n’ blues qui, nonostante la formazione originale sia ormai un pallidissimo ricordo. Un lavoro di qualità nettamente superiore alla media. Un concentrato scoppiettante di southern rock, hard rock e country rock, come vuole la tradizione. Rinvigorito dal taglio moderno di una produzione affidata alle sapienti mani di Bob Marlette. Ma niente paura. La
In alto, a destra e a sinistra, alcune immagini della storica band della Florida, Lynyrd Skynyrd. In alto a destra, la copertina del loro nuovo album “God & Guns”
superstrada nel deserto dell’Arizona presenti in Simple Life. A chiudere il cerchio ci pensano una titletrack, che parte in chiave acustica tra country e southern per sfociare in un rovente crescendo heavy rock.
Classico lento “americano” per Unwrite that song, altra ballatona in pieno stile
ra hard rock d’assalto con Coming Back for More. Ma è con la title-track che si raggiunge uno dei picchi dell’album, una canzone ancora di sapore western, struggente e malinconica. Nel 1973 con Pronounced I Lynyrd Skynyrd definiscono un rock heavy-boogie, ma non mancano le ballate melodiche lente e scoppiettanti reggae alla The Band. Seguono nel 1974
Second helping, che adotta la grammatica rozza ed elementare del rock e intona l’inno della band Sweet Home Alabama, Nuthin Fancy del 1975 in cui continua l’inno di Ronnie Van Zant allo stile di vita sudista americana. One more from the road del 1976 è l’ultimo album prima della scomparsa dei leader della band nell’incidende aereo che dilania il cuore di un gruppo arrogante, rissoso, pittoresco, che continua comunque a fare musica in altre formazioni.
Nel 1977 con Street Survivors tirano le somme della loro inquietante vita da strada con l’ultimo attacco hard rock a tutto volume. Uno tra I migliori dischi della storia del rock. Tra il 1991 e il 1995 escono altri tre strepitosi album rock-country. E dopo Vicious Cycle ecco God & Guns, un lavoro forte, fiero, che ripropone tutti gli stilemi tipici del Southern rivitalizzanti da un certa vena hard rock piuttosto palese, moderna. Nonostante la concorrenza in giro sia sempre più spietata con gente del calibro di Nickelback e Black Stone Cherry, i Lynyrd Skynyrd sembrano non avere alcuna intenzione di mollare quello scettro del southern rock che detengono da una vita. Da vera detentrice dello scettro del rock anni Settanta la band subisce colpi da un destino che sembra averla messi alla continua prova. Ma tutt’oggi conserva quello spirito ribelle, virulento, passionale, quasi affamato di vita con cui è nata. Una musica riciclata dal blues e dal rock and roll, grezza, senza fronzoli, aliena da virtuosismi. La voce del popolo sudista degli States, quella dei Lynyrd è ancora oggi un inno alla vita e alla voglia di andare avanti. Senza guardare indietro.
o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE
Più controlli sulle speculazioni a danno dei cittadini I prezzi dei carburanti nelle ultime settimane hanno segnato aumenti a giorni alterni. Una nuova ondata di rincari che ha investito la rete carburanti nel nostro Paese è arrivata, come ogni anno, proprio a ridosso delle vacanze pasquali, quando gli italiani sono in viaggio per le vacanze. Gli aumenti scattati per il prezzo dei carburanti in questi giorni costeranno cari alle famiglie italiane con esborsi non indifferenti, che andranno a colpire anche tutti coloro che non potendo permettersi una vacanza, sceglieranno di trascorrere le così dette giornate fuori porta. Siamo di fronte ad una vera e propria speculazione a danno dei cittadini. C’è bisogno anzitutto di un serio controllo sulle speculazioni e poi bisogna affrontare le altre criticità del sistema, che vedono ancora il nostro Paese differenziarsi dal resto d’Europa, che predilige il più ecologico e pratico trasporto su rotaie.
Lettera firmata
IL CENTRODESTRA STRAVINCE Dell’ultima votazione si sottovalutano gli aspetti di carattere sociale. Il governo era stato accusato dalle opposizioni e dalla Cgil di non aver tutelato i lavoratori e le imprese. Addirittura, prima delle elezioni, è stato sbandierato, in modo strumentale, persino il fantasma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, eppure i partiti della maggioranza hanno vinto, nonostante gli effetti della crisi, nelle aree del Paese dove è più intensa la presenza di unità produttive e di lavoratori (e dove sono più robuste e diffuse le strutture delle organizzazioni sindacali). Il Pdl e la Lega Nord sono stati votati dai cassintegrati e dai piccoli imprenditori perché hanno apprezzato il modo con cui il governo ha affrontato la situazione, assai più delle promesse di una sinistra, che non è più in grado di interpretare il Paese reale. Hanno accusato il centrodestra di rapinare le risorse del Mezzogiorno, ma ha vinto anche in Campania e
in Calabria e solo i nostri errori hanno regalato la Puglia alla sinistra.
G. C.
Onde di pietra
BENZINA: COME RISPARMIARE. CONSIGLI AGLI AUTOMOBILISTI Usare la propria automobile significa un vero e proprio salasso visto il costo del carburante. Carissima benzina, potremmo dire e non è l’inizio di una lettera ma la constatazione che il carburante viaggia su livelli di costi piuttosto elevati: siamo arrivati a 1,4 euro il litro. In attesa che il governo diminuisca la tassazione che incide per il 66% del prezzo, il “consumatore” del combustibile d’oro può adottare alcune tecniche che servono a risparmiare. Ecco i consigli: scegliere il fai da te nel rifornimento fa risparmiare, anche se è scomodo; si risparmia fino al 30%, mantenendo la velocita’a 2/3 di quella massima consentita dalla propria auto; si risparmia fino al 30% con un carico di bagagli non eccessi-
Le chiamano The Wave, l’onda, e sono le curve di arenaria del Paria Canyon, al confine tra Arizona e Utaha. Circa 190 milioni di anni fa erano semplici “dune” di sabbia, che nel corso dei secoli si sarebbero indurite e compattate fino a formare una suggestiva distesa di “onde” dall’aspetto stratificato
vo. Da evitare carichi esterni; si risparmia fino al 10% con una conduzione dolce della guida; si risparmia fino all’11% con un uso accorto del condizionamento (inutile tenerlo “a palla”. Utilizzare il ricircolo dell’aria già rinfrescata); si risparmia fino al 10% con una corretta pressione dei pneumatici; si risparmia fino al 10% spegnendo il motore in caso di lunghe file.
Primo Mastrantoni
L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
SÌ AL MINISTRO FITTO Caro il nostro Silvio nazionale, le dimissioni del ministro Fitto possono essere respinte per due motivi: il privilegio dei grandi, non consiste nell’ impeccabilità, ma nel pronto ravvedersi della colpa; si è trattato di un errore di valutazione fatto in buona fede; ci sono politici che fanno di peggio e nessuno presenta le dimissioni.
Michele Ricciardi
da ”le Figaro”del 13/04/10
Al bazar dell’uranio francese i può litigare anche sull’uranio francese. Edf e Areva, la prima fornitrice d’energia, la seconda produttrice di uranio arricchito, litigano da qualche mese. Erano soci d’affari su di un contratto per il nucleare europeo. Parliamo di arricchimento di combustibile atomico per il consorzio europeo Eurodif (che copre il 25 per cento del mercato mondiale, ndr). Un business da 500 milioni di euro. Sì, ma di perdite. Ora sembra che siano in condizione per giungere ad un accordo di proroga sul contratto che le legava. Lo scorso gennaio il premier Francois Fillon aveva incontrato a Matignon, l’amministratore delegato di Edf, Henri Proglio, e quello di Areva, Anne Lauvergeon. Il governo chiedeva che le parti risolvessero la diatriba commerciale che aveva causato un blocco della commessa. Da allora non è cambiato molto. Areva nei suoi impianti della valle del Rodano processa materiale fissile con cui rifornisce le centrali atomiche dell’Edf. Gli accordi fra le due società prevedevano forniture di combustibile nucleare fino a tutto il 2010.
S
Poi nel 2013 dovrebbe subentrare un nuovo impianto produttivo, quello di Georges Besse II con un sodalizio messo nero su bianco che dovrebbe durare fino al 2032. Come al solito il diavolo si nasconde nei particolari, perché ciò che non sembra chiaro è la contrattualizzazione dei rapporti nel periodo di interregno del 2011 e del 2012. E che consistono nelle ultime due operazioni per Eurodif. Nulla sembra essere stato pianificato. Robetta da poco, sembrerebbe. E invece si sono messe in campo carte bollate e avvocati. Edf non vuole estendere l’attuale contratto. Infatti già dispone di
scorte di uranio arricchito oltre alla possibilità di rivolgersi ad altri provider. Parliamo della società anglo-tedescaolandese, Tenex Urenco. Inoltre la produzione del nuovo Georges Besse II prevede una qualità diversa dalle specifiche ultime per Eurodif che richiedono un arricchimento al 60 per cento. Alla base c’è la solita questione di ogni business nucleare.
I grandi investimenti che richiedono rientri a lunghissimo termine e che mal si adattano a un clima improntato al libero mercato e alle occasioni proposte dal miglior offerente. Il piano d’affitto di Edf per la nuova unità produttiva di Areva, dovrebbe lasciare maggior agio a chi la gestisce per una più definita pianificazione economica. Per il gruppo guidato da Anne Lauvergeon, la parnership su Eurodif con Edf è parecchio penalizzante finanziariamente. Anche se l’azienda sta molto attenta ad uscire allo scoperto su questo argomento. Secondo alcuni analisti nel biennio 2011-12 si potrebbero accumulare perdite per 500 milioni di euro per Areva. E proprio il mercato del nucleare, con le sue specifiche caratteristiche, rende ancora più difficile trovare nuovi partner per sostituire Edf nel settore della produzione di combustibile atomico. Gli accordi in un campo così sensibile non si costruiscono dall’oggi al domani. Ma i dolori non mancano neanche per il primo produttore d’energia francese. La sospensione delle attività con Eurodif pone dei problemi di ordine tecnico. In pratica due dei quattro reattori della cen-
trale di Tricastin sono oggi dedicati alla produzione di materiale fissile. Se venissero messi in rete creerebbero un surplus di energia elettrica parì al 5 per cento del consumo nazionale. Una quantità che sarebbe difficile da smaltire e che anche la rete elettrica non sarebbe in grado di reggere, viste le numerose carenze strutturali che già esistono. Oltre all’impatto sociale, visto che sono migliaia le persone che lavorano in queste strutture.
Di base c’è la difficoltà di gestire aspetti commerciali ed economici in un settore “sensibile”dove interesse nazionale e mercato non sempre vanno a braccetto. Ricordiamo, per la cronaca, che Eurodif un tempo partecipata anche dalla Sofidif, detenuta al 40 per cento dall’Agenzia nucleare iraniana, fu al centro negli anni passati di numerose polemiche proprio per i rapporti non del tutto trasparenti con Teheran.
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog
dai circoli liberal
LETTERA DALLA STORIA
Mi sento pazzo e felice non appena comincio a pensarti Mio angelo adorato, sono prossimo a impazzire a causa tua, tanto quanto è possibile diventare folli: non riesco a mettere insieme due idee senza che tu ti intrometta fra di loro. Non riesco a pensare a nulla all’infuori di te. Anche contro la mia volontà, la mia immaginazione corre da te. Ti afferro, ti bacio, ti accarezzo, mille ardenti carezze prendono possesso di te. Quanto al mui cuore, sarai lì sempre - in eterno.Ti sento deliziosamente proprio lì. Ma, Dio mio, cosa mi succederà, visto che mi hai tolto la ragione? Questa è una monomania e stamattina mi atterrisce. Mi alzo a ogni momento dicendomi: “Su, corri da lei”. Poi torno a sedermi, spinto dal mio senso del dovere. È in atto un terrificante conflitto. Questa non è vita. Mai prima d’ora mi sono sentito così. Hai divorato tutto. Mi sento pazzo e felice non appena comincio a pensarti. Mi aggiro in un sogno incantevole dove ogni istante dura mille anni. Che orribile condizione! Travolto dall’amore, amore trabocca da ogni mio poro, vivo solo per l’amore, e mi vedo cosumato dagli affanni e catturato in una tela di ragno dai mille fili. Oh, mia cara Eva, tu non lo sai. Parlo con te come se tu fossi qui. Ti vedo, come ti ho visto ieri, e sei bella, sbalorditivamente bella. Honoré de Balzac a Eveline Hanska
LE VERITÀ NASCOSTE
Naufragano in mare. E restano dove sono SIDNEY. La storia di Lost la conoscono un po’tutti, e il naufragio in genere è uno dei temi più ispiratori per la letteratura e l’industria del cinema dei tempi moderni. Ma di certo, la scelta di rimanere dove si è naufragati non è da tutti. Tanto che ha fatto scalpore la storia di un nucleo familiare austrialiano che ha fatto una scelta controversa. La famiglia australiana - formata dal padre Andrew, dalla moglie Jennie, e dalle due figlie, Diana e Shannon - è naufragata su una remota e disabitata isola del Pacifico, e ora dovrà affrontare 6 mesi di vita “selvaggia”, mangiando carne di tartaruga e dormendo su una lastra di cemento a cielo aperto. La famiglia Barrie è stata catapultata sull’isola di Mog Mog la settimana scorsa, dopo che il catamarano su cui stava viaggiando è stato distrutto da una violenta tempesta tropicale. I Barrie erano impegnati in un viaggio di due anni, volto a esplorare tutto il Pacifico. I pescatori locali sono giunti in loro soccorso, invitandoli a trasferirsi sull’isola di Micronesia, di 200 abitanti. I Barrie hanno, tuttavia, deciso di non abbandonare la loro imbarcazione, scegliendo di rimanere a Mog Mog per riparare il catamarano e proseguire, poi, il viaggio. La riparazione dell’imbarcazione prevede un periodo di 6 mesi, durante i quali i coraggiosi membri della famiglia si vedranno costretti ad adottare uno stile di vita alla “Robinson Crusoe”. L’isola di Mog Mog è una delle quattro isole disabitate che si trovano nell’atollo di Ulithi, situato nel Pacifico occidentale. Da un primo punto di vista, si potrebbe dire che la scelta è condivisibile: chi non vorrebbe staccare del tutto dal proprio mondo e godersi un atollo pacifico? Ma poi torna in mente la carne di tartaruga, e si torna al pensiero di una zattera.
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
MALTRAMENTO DI ANIMALI È stato rinviato a giudizio il titolare del tristemente famoso canile “Oasi San Leo” di Cicerale (Salerno) posto sotto sequestro da parte dei Nas dei Carabinieri nel dicembre 2008, dopo anni di segnalazioni, denunce e numerose interrogazioni parlamentari. Il rinvio a giudizio, deciso dal Pubblico ministero Renato Martuscelli per i reati di maltrattamento di animali e detenzione in condizioni incompatibili, irregolarità nello smaltimento dei reflui e delle carcasse, è reso noto dal coordinamento legale nato per supportare il ministero della Salute e il tribunale di Vallo della Lucania nell’azione di chiusura del canile di Cicerale, cui aderiscono la Lega nazionale per la difesa del cane, la Lav, l’Associazione canili Lazio, Animals asia foundation, Oipa ed Enpa. Tutte queste associazioni si costituiranno parte civile nel procedimento penale che vede sotto accusa la gestione di un canile drammaticamente conosciuto, anche dall’opinione pubblica estera, per le condizioni tragiche in cui erano tenuti gli animali che vi conducevano una (brevissima) vita d’inferno. Lo aveva affermato anche il ministero della Salute a febbraio dello scorso anno, a seguito di un sopralluogo, durante il quale aveva riscontrato le precarie condizioni igienico-sanitarie ed aveva esortato i comuni a ricoverare i cani in strutture idonee. Le associazioni si augurano che, nel corso del giudizio, si chiariscano finalmente le responsabilità di gestione della struttura, infelicemente nota anche per l’altissimo tasso di mortalità che ha raggiunto il 98,05% dei cani accalappiati.
Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci,
Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)
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Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Collaboratori
APPUNTAMENTI APRILE 2010 VENERDÌ 23 ORE 11, ROMA, PALAZZO FERRAJOLI-PIAZZA COLONNA
Consiglio Nazionale Circoli liberal SEGRETARIO
Lega Nazionale Difesa del Cane
Robert Kagan, Filippo La Porta, Direttore da Washington Michael Novak
PRETI PEDOFILI E COMPLOTTO MASSONICO (I PARTE) Sulla questione dei pedofili, il Vaticano oramai grida al complotto internazionale. Ormai la globalizzazione delle informazioni moltiplica gli effetti domino in tutto e per tutto. Di conseguenza qualsiasi realtà organizzata e ramificata nel mondo si trova inconsapevolmente una volta vittima e una volta carnefice. Forse si può addirittura parlare, per effetto dei mezzi di comunicazione globali, dell’inizio di una fase di creazione di una coscienza universale. Orestes Augustus Brownson, maggiore intellettuale cattolico americano dell’Ottocento, diceva che, come esiste una coscienza individuale, esiste una coscienza nazionale somma e mediazione di tutte le coscienze di un popolo. Il richiamo quindi inevitabile per Broenson è quello della legge morale naturale che accomuna e rende armoniche in una nazione le leggi dello stato e le religioni. L’esempio classico è il popolo americano. Negli Usa, più che altrove, è direttamente proporzionale la forza della laicità dello Stato e quella della religiosità partecipativa che dà vigore alle stesse istituzioni. Per Brownson questa caratteristica del popolo americano deriva proprio dal fatto che, più di altri, ha radicata la convinzione dell’esistenza di una legge naturale assunta a trascendenza, e che le varie forme di religiosità, nelle sue varie esemplificazioni, ne sono i custodi spirituali. Il richiamo del Pontefice a questa legge morale naturale, unica possibilità di conciliazione della modernità con la tradizione, della scienza con la fede, dovrebbe aumentare l’interesse sull’argomento. È anche l’unica possibilità di conciliare l’Illuminismo delle origini (quello di Filadelfia invece che di Parigi) e il relativismo progressivo con la tradizione. La legge morale naturale non può che avere la caratteristica dell’universalità e conseguenti principi di giustizia. I tre principi fondamentale della giustizia sono prima di tutto: la legge deve essere uguale per tutti, poi il giusto processo e infine la giusta pena. Il senso del processo non è solo quello di tutelare l’imputato o risarcire la vittima. Il senso del processo è prima di tutto quello di generare la memoria storica. Stratificando la memoria storica nel tempo del fatto, del suo giudizio attraverso il giusto processo e la punizione, l’individuo e la società tendono a immagazzinare ciò che è bene e ciò che è male. L’ente deputato a questo procedimento nelle democrazie è lo Stato in quanto unico soggetto che può esercitare la violenza sul singolo (la pena). Leri Pegolo C I R C O L I LI B E R A L PO R D E N O N E
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ULTIMAPAGINA Intercettazioni. «I giornalisti sapevano già quattro anni fa»: L’opinione di Piero Ostellino
Calciopoli, se il vero scandalo è la STAMPA L di Francesco Lo Dico
a Procura di Napoli non si oppone all’acquisizione delle settantacinque nuove telefonate presentate dalla difesa di Luciano Moggi. Nonostante il pm Giuseppe Narducci abbia rinviato l’udienza su Calciopoli al prossimo 20 aprile, la decisione appare ormai scontata. Un segno forte, che al di là dei prossimi esiti processuali, restituisce a tifosi e cittadini dubbi leciti e abbondanti.
mibile in due parole: “relazioni esterne”. Un’attività svolta da qualunque società o impresa sia attivamente impegnata sul mercato, che non è mai sconfinata in niente di illecito. Tutti i colleghi che conoscono il calcio, sapevano benissimo quali regole governano questo mondo. In ogni ambito dello scibile umano, ci sono rapporti di forza. E come in qualsiasi settore dell’economia nazionale, anche le società di calcio hanno esercitato ed esercitano il proprio tentativo di influenza».
Perché decine di migliaia di telefonate non vennero prese in considerazione nel 2006? Possibile che nessuno sapesse? Perché solo quattro anni dopo, si squarcia un velo e si prospettano nuovi inquietanti scenari dietro il paravento di solide certezze? «Non c’è nessun nuovo scenario – dice a liberal Piero Ostellino, firma di punta del Corriere della Sera –, tutti sapevano già quattro anni fa, ma nessuno parlò. E se la verità è rimasta nascosta, è colpa della stampa italiana. Quello che è emerso negli ultimi giorni è l’ennesima riprova che il nostro giornalismo fa schifo, e che a parte qualche eccezione, è fatto da mascalzoni».
Sembrava da tempo che ci fossero tutte le risposte. Ci si ritrova invece in una selva di domande. Calciopoli, probabilmente, non è ciò che ci hanno raccontato. «Quattro anni fa mancò l’esercizio del dubbio, necessario in ogni giornalista degno di questo nome – prosegue Ostellino –. Perché nessuno si domandò allora se i
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La verità è che tutti facevano la stessa cosa. Una semplice operazione riassumibile in due parole: “relazioni esterne”. La squadra di calcio, come qualunque impresa, esercita la propria influenza
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nuovi assetti societari della Juventus maturati dopo la scomparsa di Umberto Agnelli avessero prodotto un contraccolpo letale negli equilibri del potere? Perché nessuno si chiese che cosa c’era infine di rilevante nel quadro accusatorio di quattro anni fa? La sentenza stabilì che non era stata truccata nessuna partita, e che le condanne erano da riferirsi a un “clima torbido”. Perché nessuno fece notare che le accuse su cui si fondò la decisione della giustizia sportiva, riflettevano, sentenza alla mano, “un diffuso sentimento popolare”?
I l si le n zi o de ll a sta mp a equivalse cioè a un generica apologia del bar sport dietro cui si mascherò il servilismo dei media.Tutti avallarono una vicenda assurda per proteggere i propri interessi, o quelli dei propri protettori». È ancora vivo il ricordo delle schede telefoniche a bizzeffe, degli spogliatoi trasformati in lager per uomini in abito nero, del profluvio di frasi virgolettate e di opzioni ermeneutiche di ogni sorta. Tutto da ripensare, il film Calciopoli? «La verità è che tutti facevano la stessa cosa – continua il politologo veneziano –, non un reato ma una semplice operazione riassu-
P e n a l i z z a z i o n i , squalifiche, terremoti, grandi burattinai, vittime inconsapevoli. L’immagine del calcio italiano annichilita in pochi mesi, e mai definitivamente riscattata neppure dalle glorie, ottenute sul campo, del 2006. «Non è necessario essere juventini per cercare la verità su Calciopoli. Basta semplicemente mettere in campo le risorse che si richiedono a un vero giornalista. Come mai nessuno si chiese perché l’avvocato della squadra bianconera, chiese la condanna della società invece di difenderla? Una vicenda ai limiti dell’incredibile, che sarebbe risultata plausibile soltanto nella Cina di Mao». Adesso bisognerà aspettare gli sviluppi. Le trascrizioni, i teste, i brogliacci, gli esercizi filologici infiniti. Che cosa c’è da attendersi alla fine di questo libro nero, dal quale forse erano stati strappati troppi capitoli? «Quale che sia l’esito della storia, viene fuori il ritratto di un’Italia disgustosa.Troppi protagonisti della carta stampata accettano supinamente le veline che i potenti gli sottopongono, dimenticando quali sono i presupposti di questo mestiere». Prosegue l’editorialista del Corriere: «Suppongo che oggi, in virtù dei nuovi equilibri instauratosi nel calcio italiano, sarà difficile rendere giustizia alla Juventus. Oggi come allora, quando la Vecchia Signora vinceva sul campo perché era la più forte, anche l’Inter può godere del naturale privilegio connaturato al vittorioso. Non si tratta di trame segrete nè di misteriose congiure, ma solo della inevitabile sudditanza che in ogni consesso civile si sviluppa intorno a chi detiene lo scettro del più forte», argomenta Piero Ostellino. La Procura di Napoli ha di fatto accettato le richieste dei legali di Luciano Moggi. Servirà qualche giorno, spiegano i pm, in modo che possano essere «trascritte fedelmente» e così si possa ragionare su «dati veritieri». Forse non sapremo mai davvero che cosa sia stata davvero Calciopoli. Ma ora riaffora un identico sentimento. Un diffuso sentimento popolare che chiede finalmente giustizia. Che sia fatta luce su un mondo del pallone, quello emerso da Calciopoli, che assomiglia a un calcio di rigore battuto troppo in fretta.