ISSN 1827-8817 00521
di e h c a n cro
Si può resistere alla forza
di un esercito; non si può resistere alla forza di un’idea
9 771827 881004
Victor Hugo di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • VENERDÌ 21 MAGGIO 2010
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
“Verso il Partito della nazione”: aperto a Todi l’atteso meeting della Fondazione liberal sull’Unione di Centro
Coraggio, riaccendiamo l’Italia «Il Paese è spento, il futuro è a rischio». Parte la nuova sfida centrista: un partito per la riconciliazione nazionale e la modernizzazione. E rilancia la ”grande coalizione” Autorità e cittadini comuni partecipano alla cerimonia
Tra folla e commozione: Roma dice addio ai caduti di Bala Murghab
MOVIMENTI E PARTITI
di Errico Novi
La nuova generazione dei cattolici in politica
TODI. Un nuovo progetto per rilanciare l’Italia è stato presentato ieri da Ferdinando Adornato in apertura del seminario della Fondazione liberal sull’Unione di Centro. la rifondazione del Paese passa attreverso la fondazione del Partito della nazione, il nuovo soggetto politico che nascerà al Centro per superare il bipolarismo.
di Rocco Buttiglione Il Santo Padre torna a chiedere una presenza dei cattolici, meglio dei cristiani, nella politica di oggi. Presenza ed una testimonianza, come se oggi essa non vi fosse. a pagina 8
a pagina 2
L’OPINIONE DI STEFANO FOLLI
«La strada è giusta, non tornate indietro»
Gli interventi di Marcegaglia, Bonanni, La Malfa e Sangalli
di Pierre Chiartano
ROMA. In un Paese dove non c’è virtù, la morte è verità. Gli italiani, popolo stanco e ormai, purtroppo, abituato all’ipocrisia dei potenti, spesso tributa il giusto onore e rispetto ai propri morti, come è successo ieri per i funerali dei due militari caduti in Afghanistan. Chi muore in servizio con la divisa o senza è un gigante di fronte all’Italia degli Anemone, dei furbetti del quarIl presidente tierino e all’Italia Napolitano gotica dei delitti irrisolti. Gli italiae il premier erano seduti ni sanno che di a quei ferein prima fila. fronte tri non c’è finzioUn applauso ne. E sono state interminabile centinaia e centiper Ramadù naia le persone presenti alla Basie Pascazio lica di Santa Maria degli Angeli a Roma, ieri mattina. Proprio di fronte alla fontana di piazza Esedra, dove altri caduti hanno avuto l’estremo saluto di familiari, amici e anonimi concittadini. Ieri c’è stata un’attesa sospesa nel silenzio, ma dove la tensione emotiva quasi si toccava. segue a pagina 10
«E adesso, unità di intenti contro la crisi»
«Quella che arriva da Todi è una voce che vuole essere ragionevole in un periodo di enormi incertezze». È la prima reazione di Stefano Folli alla relazione di Adornato. a pagina 6
«Il governo e le Regioni troppo spesso non si sono presi la responsabilità di scelte, anche difficili, per superare l’emergenza». L’indicazione lanciata dagli ospiti del seminario è: «Più coesione sociale»
di Francesco Capozza
di Franco Insardà
L’OPINIONE DI PAOLO POMBENI
Franco Insardà e Vincenzo Bacarani • pagina 4 Legge sulle intercettazioni
seg1,00 ue a p(10,00 agina 9 CON EURO
Quel bavaglio (inutile) sulla giustizia Questa volta è proprio difficile, per il governo, dimostrare che non si tratta di censura sulla stampa Enzo Carra • pagina 11 I QUADERNI)
• ANNO XV •
«Così il Centro rompe il bipolarismo» Paolo Pombeni non ha dubbi: «A questo punto il Centro ha davvero la possibilità di scardinare il bipolarismo e offrire una nuova prospettiva al Paese» a pagina 7
Anche Matisse, Leger, Braque e Modigliani: colpo da mezzo milione
Picasso e il furto del secolo Cinque capolavori del Novecento rubati a Parigi di Francesco Lo Dico È il furto d’arte del secolo: ieri all’alba dei ladri hanno rotto un vetro e un lucchetto dopo di che sono entrati nel Museo d’Arte moderna di Parigi dove l’antifurto era rotto da due mesi. Qui, hanno rubato cinque capolavori: L’olivier près de l’Estaque di Georges Braque, NaNUMERO
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WWW.LIBERAL.IT
ture morte aux chandeliers de Fernand Lèger, La Pastorale di Matisse, La donna con il ventaglio di Modigliani, e soprattutto Le pigeon aux petits pois di Pablo Picasso (nella foto qui accanto).Valore totale: mezzo milione di euro. a pagina 18
• CHIUSO
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
pagina 2 • 21 maggio 2010
Strategie. La relazione introduttiva al seminario di Todi disegna i contorni politici e culturali del nuovo soggetto
Il Partito della nazione
Adornato rilancia la sfida dei centristi: «Non vogliamo entrare in questo governo. Ne vogliamo uno nuovo di riconciliazione per salvare il Paese» di Errico Novi
TODI. Alla fine Ferdinando Adornato sceglie una metafora tra le altre, che pure si addicono al Partito della nazione: nessuna in fondo va bene come quella del partito “caldo”. Caldi sono gli applausi in cui un po’ si libera la platea del seminario di Todi, e con i quali ricorda i soldati caduti in Afghanistan. Caldo è l’appello ripetuto all’unità del Paese, a cominciare dai suoi simboli. E segnato da altrettanta partecipazione – è il messaggio che arriva – non può che essere l’orizzonte di tutta l’Unione di centro, per quei semplici motivi che il presidente della Fondazione liberal ricorda come segni di una «vittoria»: l’affanno del bipolarismo tempestivamente denunciato insieme con il “regno del tempo perso” in cui la Seconda Repubblica sembra essersi trasformata, l’appello impetuoso alla modernizzazione che la crisi globale rivolge. Tutte queste ragioni mostrano, sostiene Adornato nel-
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la sua relazione introduttiva, che il Centro ha indicato «il sentiero a chi voleva mettersi in movimento».
Mentre fuori infuria la tempesta della crisi europea, l’Unione di centro ridisegna il futuro. E accoglie con bonaria ironia l’estremo tentativo del circo politico di riportarla sul terreno della bega minimalista. Poco prima che inizino i lavori del seminario arriva l’ultimo messaggio di Umberto Bossi, informato all’evocazione biblica: «È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago piuttosto che l’Udc entri nella maggioranza». Lorenzo Cesa e lo stesso Adornato rispondono con pacatezza: l’Udc non ha alcuna intenzione di entrare in questo governo. Lo dicono entrambi, col sorriso anche compiaciuto di chi vede gli altri dibattersi nella stessa palude degli ultimi quindici anni mentre fuori, come dice il presidente di liberal, c’è da «ricostruire davvero l’Italia». C’è un altro piano su cui confrontarsi, un terreno più ampio da destinare al dibattito. «In attesa che l’onorevole Bossi inizi anche a cammina-
La crisi, la paura del declino e il discredito della politica sono le grandi emergenze
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re sul Po, vorremmo dirgli che questo governo non è il Regno dei cieli», replica Adornato attenendosi al registro scelto dal Senatùr, «noi non abbiamo annunciato l’ingresso in questo esecutivo ma abbiamo chiesto di dare vita a un nuovo governo di unità e responsabilità nazionale. Ciononostante oggi il leader della Lega», è la chiosa proposta alla platea di Todi, «ha assestato il secondo schiaffo al presidente del Consiglio, dopo il varo del subgoverno Bossi-Di Pietro. E allora che fa, Cavaliere, se li tiene gli schiaffi? Chi è il presidente del Consiglio, lei o Umberto Bossi?».
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cambiamenti in atto: «Ci sono momenti nella vita di una nazione nei quali si sente la storia passare vicino, quasi la si può toccare con mano, respirare l’incombere delle l’affacminacce, ciarsi delle speranze», dice Adornato, «ma abbiamo una classe dirigente in grado di guidarci con mano ferma in questo incrocio di futuro?». Nel «regno del tempo perso» tutte le migliori energie sembrano smarrirsi. O comunque restare bloccate nello «scontro bipolare che sta fiaccando l’Italia» e che l’Unione di centro ha denunciato nel 2008 con la sua stessa scelta di «uscire dal teatro della guerra civile».
Quale, se non questo, è il momento di sentirsi italiani prima che di Pdl, Pd, Udc, Lega?
Domande che attraversano in controluce la tesi introduttiva, senza però appesantirla, perchè altro è il piano su cui essa si muove. Che è quello appunto di una vittoria ripetutamente rivendicata sul terreno dell’analisi, a cui ora bisogna dare seguito: «Da un partito nato per denunciare l’inadeguatezza del sistema dobbiamo costruire un partito capace di governare il futuro del sistema». Come? Con una giusta lettura innanzitutto della portata dei
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Adesso la morsa sociale della crisi, il rischio del crac europeo, il riemergere di un senso di disgusto per la politica nella società civile fanno da acceleratori temporali. E da qui proviene una domanda retorica che è anche la chiave di tutta la prospettiva dell’Udc:
todi 2010
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Vogliamo sapere se il presidente del Consiglio dei ministri è Berlusconi o Bossi
«Quale se non questo è il momento di sentirsi prima italiani e poi del Pdl, del Pd, dell’Udc, della Lega? Cos’altro deve accadere perché scatti questo elementare amor di patria?». E in nome di questa urgenza, osserva il presidente di liberal, che Pier Ferdinando Casini ha avanzato due settimane fa quell’ipotesi: «Prima o poi sarà inevitabile che si formi un governo di responsabilità nazionale». In nome delle inderogabili questioni sul tappeto e non di un «trasformistico allargamento della maggioranza». Nel nome, aggiunge Adornato, «di quel buon senso che coincide con il dimenticato passo della grande politica».
Ed è proprio questo binomio, questa metafora, che racchiude il senso ultimo dell’appello centrista all’unità del Paese. Non il polverone, non il «pasticcio all’italiana» sempre sbandierato da Bossi: «La nostra è un’ipotesi, una proposta, forse anche di più: una diversa idea dell’Italia». E qui si disegna una visione che, tiene a dire il presidente di liberal, non è «dichiarazione programmatica» e quindi non si compone di indicazioni troppo dettagliate. Ma che pure richiama «cinque grandi modernizzazioni» peraltro «chiari da oltre un decennio». Primo: «Tagliare strutturalmente la spesa pubblica, con quattro voci-chiave: riformare le pensioni, aumentando l’età di uscita dal lavoro e sostenendo le fasce più deboli». Tra queste, chiosa Adornato, «non rientra Michele Santoro, e anzi la sua vicenda rappresenta uno scandalo in tempi del genere». I tagli necessari a «restituire competitività al sistema Paese» inducono ancora a «eliminare tutta la burocrazia inutile a partire dalle province», «metter seriamente mano alle inefficienze del sistema sanitario, «esaminare con grande attenzione i costi del progetto federalista».
quali è necessaria «una classe dirigente capace di creare un consenso vastissimo in nome dell’interesse nazionale, un clima di mobilitazione culturale e civile in grado di piegare ogni corporativismo. Appunto: un nuovo governo di responsabilità nazionale. Di più: un nuovo patto tra gli italiani».
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Un nuovo patto per l’Italia. Ecco, argomenta Adornato nella sua relazione, «cosa davvero proponiamo. Una seconda ricostruzione». E un simile richiamo è appuntato in calce al titolo stesso del seminario iniziato ieri: «Verso il partito della nazione, per difendere l’unità d’Italia e ricostruire la Repubblica». L’Unione di centro è pronta a dare vita a questo processo, con il dichiarato intento di andare «oltre la geografia sistemica». È vero, spiega il presidente di liberal, «l’insistente richiamo al Centro ha avuto un grande valore nel denunciare i limiti della destra e della sinistra. Ma oggi», aggiunge, «se vogliamo rivolgerci a una più vasta platea di cittadini dobbiamo tenere presente che le categorie di destra, di sinistra, di centro non sono più in grado di evocare visioni, passioni, immagini di futuro». Soprattutto «tra i ragazzi». Ciononostante «la nostra cultura politica non può che restare centrista: l’equilibrio istituzionale, la moderazione, il rispetto per l’avversario, la ricerca dell’intesa, e soprattutto il primato dell’interesse nazionale, saranno sempre la colonna sonora della nostra identità».
Facciamo nostra la frase di Adenauer: «Un partito esiste per il popolo, non per se stesso»
La seconda delle modernizzazioni necessarie consiste nell’«agire immediatamente sulla leva fiscale per ridurre la pressione sulle imprese, soprattutto quelle piccole e medie, e per rimodulare quella delle famiglie, in favore dei nuclei più numerosi». Quindi bisogna «aprire finalmente l’era delle liberalizzazioni, soprattutto quelle delle aziende collegate alle amministrazioni locali, spezzando il potere delle corporazioni che finora l’hanno impedito». Ancora, si deve «elaborare e attuare un nuovo, serio piano di sviluppo della Ricerca, dell’Innovazione e della Formazione», giacchè «la qualità del capitale umano è l’unico vero termometro di futuro del mondo globale» e infine «assumere il tema dell’energia come priorità dello sviluppo del Paese e della difesa della sua sovranità». Sono òisure anche impopolari, per le
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Eppure, e qui il passaggio alla costruzione del nuovo soggetto politico viene annunciato esplicitamente, «i programmi, i valori, i miti che metteremo in campo, a partire dal nome, dovranno parlare di Italia, non di aree sistemiche. Del resto, la Democrazia cristiana non ha avuto bisogno di battezzarsi con la parola Centro per diventare il più grande partito di Centro della storia d’Italia. Ebbene, si può dire che noi, da oggi, mettiamo al centro la nazione». E per essere ancora più chiari, completa il suo ragionamento Adornato, «il nostro non vuole più essere inteso come un partito di nicchia, di esclusiva affiliazione post-democristiana. Laici, cattolici, repubblicani, liberali, moderati del Pd e del Pdl, possono e debbono trovare nel nuovo partito una sponda libera, senza vincoli oltre quelli dell’adesione ai valori e ai programmi». Molti applausi, e l’umore della platea non cambia quando si afferma che «no, la Dc non può rinascere» e che «a maggior ragione non ha senso coltivare il reducismo: il nostro è dunque un progetto del tutto nuovo», ribadisce il presidente di liberal, «non un restyling dell’Udc: il progetto di un grande partito cristiano e liberale che si candidi a governare l’Italia del XXI secolo».
Non vogliamo essere una nicchia post-Dc ma una forza di governo aperta a tutti
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La platea del seminario è piena di facce nuove
Oltre destra e sinistra La politica dei giovani
I trentenni commentano il progetto centrista: «Superare insieme le vecchie contrapposizioni» di Riccardo Paradisi
TODI. Che cosa si aspettano i giovani renzi, 40 anni, di Massa Carrara. «Il centrisi dalla convention di Todi? Che attese ripongono nel Partito della nazione? Per loro la Dc è un ricordo lontano, sanno che l’Udc è stata anche frutto di quella storia lunga mezzo secolo, ma sembrano avere fretta di un balzo in avanti. Per andare oltre il centro, e oltre la destra e la sinistra. «Categorie che le persone della mia età – dice Giuseppe Foglia, trentenne casertano – non capiscono più. Per noi i vecchi schemi politici sono come quelle carte geografiche degli atlanti storici. Belle da vedere magari, cariche di insegnamenti, ma insomma inutili a muoversi e navigare nel mondo attuale. Che è cambiato mentre la politica italiana sembra non voler cambiare mai».
Per questo il Partito della nazione è una novità a lungo attesa da questi giovani centristi smarriti in un bipolarismo in cui non si ritrovano e che non ci stanno a sentirsi minoranza moderata. «Qui a Todi si gettano le basi di un progetto potenzialmente maggioritario, per rompere il ghiaccio di un sistema bloccato che esclude energie nuove dalla partecipazione politica, creando frustrazione in quei settori della società civile che vorrebbero fare la loro parte nella dimensione pubblica. Un disagio che noi possiamo intercettare e rappresentare in nome dell’unità della nazione e del liberalismo sociale oltre il modello di partito autoritario berlusconiano e oltre l’insostenibile leggerezza di un Pd che sembra sempre più disorientato, privo di bussola politica e culturale». Possibilità di partecipazione dunque ma anche maggiore concretezza e pragmatismo. Alessio Ciasco, venticinque anni, è stanco di parole e di retorica. «C’è una crisi economica che morde il lavoro, le imprese, le famiglie. La politica parla d’altro, di ingegneria istituzionale, di federalismo, di intercettazioni. Una nuova forza politica che ha il coraggio di lasciarsi alle spalle i retaggi retorici anche nobili della vecchia politica per investire i problemi di soluzioni condivise, di nuove intese». Insomma l’Italia avrebbe bisogno di forze che collaborano più che di scontri frontali. È l’esigenza avvertita anche da Pierpaolo Bertilo-
Paese non ci fa più niente coi solisti, con le prime donne. Ha bisogno di chi sa lavorare in equipe, di chi mette insieme le energie. Ai cittadini interessa questo: e sarebbe interessante valutare – una volta tanto – quale sia l’indice di gradimento d’un governo di responsabilità repubblicana capace di affrontare la crisi. A mio avviso sarebbe molto alto. La Germania ha scelto questa soluzione e il governo Merkel funziona, è capace di affrontare la crisi globale. Noi siamo paralizzati da veti e pregiudizi incrociati. Questo è il senso del Partito della nazione io credo, di andare oltre il centro, e naturalmente oltre la destra e la sinistra». «Nel partito della nazione mi aspetto – dice Alberto Evangelisti, trentenne aretino, che tutta la nostra identità cattolica, cristiana e liberale sia riproposta in una formula nuova». Nostalgia? «Nessuna. Anzi fretta di andare avanti, di proporre a quelli della mia generazione un’offerta politica fondata sui valori ma anche pragmatica. Ad Arezzo le liste dell’Udc hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei voti battendo i tradizionali presidi della sinistra universitaria da sempre egemone. Ha funzionato il metodo con cui s’è lavorato.Valori contro ideologie, pragmatismo contro retorica. Lo vedo come un auspicio e come un indicazione di metodo».
«Non ci interessa il passato, semmai vogliamo entrare in contatto con la storia»
Andare oltre il centro e anche oltre lo scudo-crociato, se necessario. «Superando il vecchio simbolo non proclamiamo la morte della patria – dice Alessandra Ricciardelli, barese, trent’anni – si chiude piuttosto una stagione e se ne apre un’altra semmai. Si archivia una storia per certi versi gloriosa, per altri problematica, ma si spalancano le porte alla sensibilità delle nuove generazioni che di partiti confessionali non vuole saperne ma che è prontissima, anche nei ranghi del Pd e del Pdl, ad ascoltare una forza nazionale, laica, cristiana e liberale che indichi concretamente una prospettiva di concordia nazionale». Se son rose fioriranno.
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Conti in rosso. Da Todi arriva la richiesta di una riconciliazione sociale per affrontare insieme i problemi reali del Paese
«E ora, unità d’intenti»
La stessa strategia per Marcegaglia e Bonanni: la crisi non è passata «Governo e Regioni non si sono assunti la responsabilità delle scelte» di Franco Insardà
TODI. «La crisi economica deve unire, non dividere». È questo il messaggio che il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha voluto lanciare telefonicamente nella prima giornata del seminario di liberal all’Hotel Bramante. E la crisi e la manovra hanno tenuto banco nei discorsi del segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, del presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli e nelle parole della Marcegaglia. Tutti hanno portato un contributo di idee rafforzato dall’esperienza quotidiana sul campo. Secondo la Marcegaglia nella relazione di Adornato c’è «un richiamo forte in un momento difficilissimo per una crisi europea dell’Euro e dell’Europa a unirsi rispetto a un quadro politico attuale caratterizzato da separazioni e conflitti».
Il segretario della Cisl Raffaele Bonanni dà il suo sostegno a quanto l’Udc si sta sforzando di realizzare in termini di unità nazionale per fronteggiare la crisi economica e realizzare le riforme necessarie per il Paese. Il presidente di Confindustria ha sottolineato la necessità di «un’unità di intenti, per chi ha a cuore le sorti di questo Paese, dei lavoratori e dei cittadini, concentrandosi su problemi seri di crescita, di rientro dal debito, perché senza crescita non possiamo sperare di superare questo momento». Lo stesso concetto è stato espresso anche dal segretario della Cisl Bonanni secondo il quale «in un momento tragico come quello che stiamo attraversando, quasi tutte le medie imprese riescono a competere nei mercati internazionali, mentre i due terzi stanno facendo davvero fatica. Questo perché c’è stato uno sforzo tra noi e gli imprenditori per cercare di unificare il linguaggio evitando così molti altri disoccupati, rafforzando gli strumenti di cassaintegrazione, il contratto di solidarietà e i contratti in deroga per coloro che non avevano
Le Regioni alzano la voce contro i tagli e chiedono un vertice straordinario
Manovra, nel mirino statali e Protezione civile di Francesco Pacifico
ROMA. L’ultimo dossier finito sulla scrivania dei tecnici del Tesoro è l’accorpamento degli enti previdenziali. L’ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, aveva calcolato che da un gioco di sinergie tra Inps, Inpdap, Ipsema, Enpals e Ipost si sarebbero risparmiati 450 milioni all’anno. Non poco in un momento dove vanno trovati 25 miliardi per scrivere la Finanziaria per il prossimo biennio. È probabile che, visto i tempi, non si vada oltre il trasferimento degli enti minori come l’Ipsema nell’Inail, eppure Tremonti avrebbe dato mandato ai suoi di studiare misure che – seppure di impatto contenuto sui conti – permettano un miglior controllo della spesa. In questa chiave vengono anche letti una serie di strumenti per vagliare ex ante le ordinanze della Protezione Civile. Misure che, al netto degli scandali sulle quali stanno indagando le procure di Firenze e di Roma, il ministro aveva in serbo da tempo, come dimostra il suo no alla “privatizzazione” del Dipartimento. In via XX settembre è tutto un taglia e cuci per un testo pensate che il governo vorrebbe portare in Consiglio dei ministri la prossima settimana. E un’accelerata potrebbe prendere in contropiede i tanti ministri e le parti sociali interessati dai tagli. Perché come ha notato Guglielmo Epifani, «con la manovra pesante che si profila, il governo non se la può cavare con il populismo dei tagli del 10, 5 o del 4 per cento sulle retribuzioni dei parlamentari». Si racconta che Renato Brunetta non abbia assolutamente gradito la bocciatura di sue 14 proposte di legge per mancanza di co-
pertura finanziaria. E se Silvio Berlusconi teme non poco le reprimende che Confindustria annuncerà all’assemblea di mercoledì prossimo. Ma la trattativa più serrata è quella con i sindacati. Se come sembra gli statali dovranno pagare dazio con il congelamento dei loro aumenti (5 miliardi che per la verità non sono stati ancora stanziati e quindi non possono rientrare nel monte tagli) Cisl e Uil sono pronte a garantire la pace sociale in cambio della promessa di non toccare la sanità e le pensioni. Se tagli ci devono essere su questi due fronti, allora il governo si deve accontentare di recuperare risorse dalla spesa farmaceutica e dalla chiusura di un paio di finestre pensionistiche (valore 900 milioni l’una). Altrimenti anche Bonanni e Angeletti seguiranno Epifani – che non a caso si è lamentato anche ieri per essere escluso dai vertici informali con Tremonti – già pronto a mobilitare la piazza. Ad alzare la voce sono soprattutto gli enti locali. Le prime ipotesi su un taglio ai trasferimenti pari ad almeno 4 miliardi di euro hanno messo sull’allarme governatori, presidenti di Provincia e sindaci. Se l’Anci preferisce tenere un basso profilo fino alla prossima convocazione del tavolo sul patto di stabilità interno, sono le Regioni ad affilare le armi. Siccome cresce il timore di un nuovo slittamento dei Fas e di una riduzione delle risorse per le opere pubbliche e per la sanità, ieri la Conferenza guidata da Vasco Errani ha richiesto ai ministri Tremonti e Fitto un incontro urgente sulla manovra. Va da sé che un loro no potrebbe avere non poche ripercussioni sull’introduzione del federalismo fiscale. In relazione al quale sono in molti a scommettere in uno slittamento. «È difficile che si vada avanti», nota Giuliano Cazzola, «se prima non si risolve il nodo della sanità». Così ieri l’unico a gioire era il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Da Tremonti ha ottenuto che vengano ampliate gli incentivi per la contrattazione di secondo livello legatà alla produttività.
La prossima uscita di Bertolaso facilita i tentativi del Tesoro di mettere sotto controllo la spesa del Dipartimento
alcuno strumento di tutela». E la Marcegaglia ha salutato con favore la proposta di Todi dichiarandosi pronta a lavorare e a ragionare per l’unità del Paese, adottando insieme le scelte giuste di rigore e di sviluppo, mettendo fine a una serie di scelte politiche sbagliate. Siamo pronti facendo il nostro mestiere e lo stiamo già dimostrando, perché nonostante la congiuntura c’è un settore manifatturiero che ha aumentato le sue quote di mercato». A proposito di scelte sbagliate, Bonanni ha denunciato che «i governi centrali e locali hanno fatto diminuire la fiducia dei cittadini, perché non hanno proposto soluzioni e
Giorgio La Malfa: «Il rigore è necessario, ma se non è accompagnato da politiche di sviluppo genera solo l’obbligo di ulteriore rigore» non si sono assunti le responsabilità delle scelte. Il progetto del governo della nazione per allargare le responsabilità va condiviso per chiedere unità a tutte le forze politiche. Ed è il minimo che si possa fare rifuggendo dai tatticismi. In queste ore saremmo chiamati a dare risposte e l’ostacolo è alto e ambizioso vedremo cosa ci proporrà il governo che dalla Cisl avrà il consenso soltanto se accanto al rigore ci sarà l’equità, ma anche le misure per lo sviluppo del Paese. Bisogna vedere quale spesa pubblica bisogna tagliare e come, così come per il federalismo bisogna capire come si organizzerà, chi pagherà e che cosa si riceverà in cambio. Il ministroTremonti chiede responsabilità, ma noi ne chiediamo altrettanto al governo. Sul fisco lavoratori e pensionati pagano tutto e gli altri? Bisogna allargare l’area della progressività ai consumi, considerando che la famiglia è il centro della vicenda fiscale. Bisogna prendere delle decisioni per organizzare i servizi comuni per gli enti locali territoriali».
Il segretario della Cisl, ricordando i quarant’anni dello Statuto dei lavoratori e la figura di Carlo DonatCattin, ha voluto puntualizzare la posizione del suo sindacato su pensioni e pubblico impiego che sono nel mirino della manovra che il governo ha allo studio. «Sulle pensioni - ha detto - abbiamo fatto tante riforme vantaggiose per le casse
todi 2010 Al seminario parla anche il neo presidente di «Impresa Italia»
«Mettiamo in Rete gli interessi del Paese» Per Carlo Sangalli è tempo di una «buona politica» che eviti risse e si occupi di emergenze concrete di Vincenzo Bacarani
TODI. Per Carlo Sangalli, «serve una gestio- cità delle piccole e medie imprese. Parne rigorosa dei conti pubblici e c’è la necessità di ridurre il debito pubblico, il quarto al mondo senza che la nostra sia la quarta economia del mondo». Il presidente di Confcommercio - e dal 10 maggio presidente anche di «Rete-Impresa Italia», l’associazione interconfederale promossa dalla stessa Confcommercio, Confartigianato, Cna, Confesercenti e Casartigiani - intervenendo ieri al seminario di Todi ha toccato aspetti economici attuali, ma ha anche evidenziato come l’attuale quadro politico italiano abbia bisogno di «una buona politica», sobria e che guardi al futuro del Paese, una politica competitiva, ma non “muscolare”. Sangalli ha sottolineato come «il futuro del Paese è comunque inscindibilmente legato alle piccole e medie imprese e all’impresa diffusa». In alto, la presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia. A sinistra, il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. A destra, il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli per l’Inps, oggi ci si chiede di spostare le finestre: non è un problema, ma chiediamo che i soldi siano impiegati per pensionati e pensionandi. Anche sul pubblico impiego siamo disponibili al blocco della contrattazione, ma chiederemo in cambio al governo di mettere in discussione e di far saltare quei meccanismi tesi a penalizzare ulteriormente i lavoratori. Sono passati tanti governi tutti hanno detto le stesse cose, ma non c’è mai stata unità di intenti. Il ministro Tremonti gestisce bene i conti, ma vorremmo conoscere che cosa si vuole fare per iniziare a far ripartire l’economia.Tutti devono mettersi in gioco, calare le proprie carte sul tavolo del risanamento e della solidarietà sociale dopo di che gli italiani sapranno capire chi è in buona fede e chi è in malafede».
Giorgio La Malfa, con la competenza di un ex ministro del Bilancio, ha lucidamente analizzato l’attuale momento economico, lanciando una serie di proposte per affrontare in maniera serie la congiuntura che sta attraversando il nostro Paese. Per La Malfa «il giro di vita riguarda tutta l’Europa, come se fosse emersa con la crisi dell’euro una realtà più dura di quella che si immaginava. In molti, però, lanciavano da tempo l’allarme sui conti pubblici traballanti, oggi si è presa al volo la situazione europea per
annunciare la manovra. Il rigore è necessario, ma se non è accompagnato da politiche di sviluppo genera soltanto la necessità di ulteriore rigore. In un’economia indebolita il potere di acquisto diminuisce e produce un gettito fiscale minore creando una sorta di circolo vizioso. Ovviamente lo sviluppo non si può stimolare con il deficit, è necessario tagliare la spesa corrente e aumentare gli investimenti».
Questo significa per La Malfa «mettere in piedi una grande operazione politica che guarda al domani, mentre Berlusconi e la sua maggioranza non ha alcuna consapevolezza di questi termini e non lo ha mai avuta perché hanno uno sguardo soltanto all’elettorato di oggi e per questo motivo si punta a tagliare la spesa in conto capitale e non quella corrente. Anche sulla riforma fiscale». L’interesse dell’Italia nella politica europea per La Malfa è quella di «mettere in sicurezza la posizione all’interno dell’euro che passa per la riduzione del debito e non del deficit. Altrimenti se dovesse passare il progetto della Merkel il rischio è che l’Italia si divida. La grande idea del Partito della nazione va nella direzione opposta e guarda, giustamente, all’unione delle varie componenti politiche laiche e cattoliche che già storicamente danno un loro contributo all’unione del Paese».
Anche per questi motivi - ha spiegato - è nata la «Rete» che «lavora per rafforzare le ragioni dell’unità di rappresentanza delle imprese e della collaborazione tra le imprese e il lavoro». Dunque non un nuovo soggetto di categoria, ma una unione che possa consentire di modernizzare la rappresentanza delle imprese e pertanto «non una sommatoria aritmetica delle imprese» che servirebbe a ben poco. Secondo Sangalli, la crisi non è affatto conclusa, anche se c’è all’orizzonte una crescita del prodotto interno lordo che a fine 2010 dovrebbe attestarsi sull’uno per cento e che dovrebbe in futuro avere qualche altro incremento. Ma, ovviamente, non basta. Questi timidi segnali non sono sufficienti a dipanare la nebbia dell’incertezza. Quale può essere allora una ricetta utile per cercare di uscire dal tunnel? Non c ’è, secondo il presidente di Confcommercio e Rete una ricetta, ma un insieme di intenti e di progetti.
tendo da queste basi, secondo il leader di Confcommercio si può attuare un piano che si basi sulla «tutela rigorosa della legalità e della sicurezza e l’efficienza della giustizia contro ogni forma di criminalità e come prerequisito di crescita e di sviluppo». Un altro aspetto fondamentale, secondo Sangalli, è «il pluralismo imprenditoriale, cioè la vitale compresenza di imprese piccole, medie e grandi come esito, e come condizione strutturale, di democrazia economica». Inoltre «l’apertura dei mercati e l’attenzione alle ragioni dei consumatori fondate su una concorrenza a parità di regole e poi l’impegno per lo sviluppo territoriale e per una maggiore competitività dell’intero sistema-Paese». Tutto questo perché «la grande depressione è stata scongiurata, ma la crisi non è finita».
Per poterla superare, secondo Sangalli, occorre una convergenza perché - ha sostenuto – «una litigiosità ormai oltre i limiti del lecito occulta l’interessa nazionale e così le riforme rimangono perennemente al palo e il rischio del declino continua a incombere». Una convergenza più che mai necessaria anche per le riforme economiche e sociali per un’Italia «più ambiziosa e più giusta, per un’Italia che cresca di più e meglio, producendo ricchezza, occupazione, sviluppo, coesione sociale e territoriale». Favorevole Sangalli, con opportune cautele, al federalismo fiscale: «Il federalismo – ha spiegato – e anzitutto un federalismo fiscale necessariamente pro-competitivo e giustamente solidale. Si tratta, come ha detto il Presidente della Repubblica, di un passaggio ineludibile». Questo passaggio può essere un’occasione «per ristrutturare e riqualificare la spesa pubblica e anche per ridurne inefficienze, sprechi e improduttività». Tutto questo è necessario purché ci sia in parallelo l’avanzamento di «una determinata azione di contrasto e di recupero dell’evasione e dell’elusione per ridurre una pressione fiscale complessiva troppo elevata: troppo elevata per le imprese, troppo elevata per il lavoro».
«La crisi è ben lontana dall’essere passata: certi timidi segnali non sono sufficienti a dipanare la nebbia dell’incertezza. Per questo, il governo deve cambiare indirizzo»
«Insieme facciamo rapidamente avanzare il cantiere delle riforme, ricercando la maggiore convergenza tra le istituzioni, le forze politiche, quelle economiche e sociali» ha detto. Scendendo sul pratico, Sangalli ha individuato quelli che considera i punti di forza del paese: la solidità del sistema bancario, il risparmio delle famiglie, la coesione sociale del territorio, il sistema di sicurezza sociale e la flessibilità e la dinami-
l’approfondimento
pagina 6 • 21 maggio 2010
L’opinione di Stefano Folli sul nuovo progetto centrista: «Dovete diventare il punto d’incontro tra Nord e Sud»
La strada giusta
La proposta di Casini di un governo di grande coalizione e la relazione di Adornato a Todi hanno gettato il sasso della “grande politica” nello stagno italiano. Ora bisogna che il Partito della Nazione diventi davvero quel che dicono... di Franco Insardà
TODI. «Quella che arriva da Todi è una voce che vuole essere ragionevole in questo periodo di enormi incertezze. Il sistema politico non sta offrendo una prova di dinamismo e non sta dando le risposte che si attendevano in un momento in cui la crisi greca dimostra che è necessario voltare pagina e cambiare passo. C’è la sensazione di una paralisi, di un blocco profondo, le riforme sono soltanto retorica e quei pochi interventi adottati non danno l’idea di essere risolutivi per un Paese che ha dei problemi così seri. Questa proposta politica dell’Udc giunge, quindi, nel momento giusto». È questo il commento a caldo di Stefano Folli alla prima giornata del seminario promosso dalla Fondazione liberal.
Partendo dalla relazione di Ferdinando Adornato l’editorialista del Sole 24Ore ritiene che l’idea lanciata da Pier Ferdinando Casini di un governo di responsabilità nazionale «abbia una sua validità e Casi-
ni si sia molto esposto anticipando i tempi. Spesso in politica un simile atteggiamento non paga e bisogna riconoscergli il coraggio di averlo fatto, in una fase in cui nessuno si espone e tutti giocano con le carte coperte. Ha voluto percorrere una strada diversa e inusuale per l’Udc che è sempre stato un partito molto tattico. Si è trattato di una fuga in avanti con la quale Casini ha parlato chiaro, delineando un orizzonte strategico e da questo punto di vista ha ragione Adornato, quando, nella sua relazione, sottolinea che si tratta di una proposta politica in termini nobili e alti, proprio mentre il livello è davvero molto basso. Si tratta di proposta non tattica ma strategica e non di piccolo cabotaggio». La Grosse Koalition ha assicurato in Germania buoni risultati, la Gran Bretagna, da sempre considerata modello da seguire, ha da poco imboccato questa strada che Casini prefigura e che secondo Folli «sul piano dei principi generali potrebbe essere una soluzione
per risolvere i problemi italiani. Vista la grande emergenza economica, che investe tutta l’Europa, si impone un rinnovamento delle strutture in senso lato del Paese ed è gioco forza immaginare uno sforzo di unità nazionale, teso a coinvolgere le forze di opposizione che non abbiano l’intenzione di lucrare sulle difficoltà, facendo ricadere le responsabilità soltanto sulla maggioranza di governo. L’occasione potrebbe essere propizia per un governo di unità nazionale, ma in questo
Ora occorre andare a una rifondazione generale dell’alleanza
momento non è facile prevedere in quali forme politiche potrà realizzarsi. La cosa peggiore sarebbe se questo tema, che richiede molto senso di responsabilità, diventasse argomento di polemiche quotidiane».
Cosa diversa, per Folli, la discussione sul bipolarismo all’italiana che «non nasce oggi e rischia di non avere mai fine, mentre la proposta del governo di responsabilità nazionale impone alle altre forze di prendere una posizione. Quello del
Partito della nazione, poi, è un discorso importante, ma bisogna farlo sul serio, evidentemente non può essere la riproposizione dell’Udc con qualche accorgimento cosmetico. Occorre davvero andare a una rifondazione generale dell’area di centro in nome dei valori di una nazione e della sua modernizzazione, come ha evidenziato Adornato. Non è facile da realizzare perché è più semplice proteggere il proprio orticello, invece di avventurarsi in mare aperto. Un Partito della nazione non può essere un partito del cinque per cento, ma deve avere ambizioni molto più grandi. Il progetto va spiegato meglio e il Partito della nazione è tale se riesce ad abbracciare una grande fetta di opinione pubblica, diventando una forza molto incisiva e in grado di rappresentare l’elemento della coesione nazionale. Ad esempio il punto di incontro tra Nord e Sud. Dovrebbe riuscire a essere, cioè, quella sintesi che la sinistra non riesce più a rappresentare al Nord, la destra lo
todi 2010
L’analisi del professore bolognese sulla sfida lanciata ieri da Todi
«Così il Centro può davvero scardinare il bipolarismo» Paolo Pombeni: «Se la crisi di Pd e Pdl si rivelerà irreversibile, per il nuovo soggetto politico si aprirebbero spazi enormi» di Francesco Capozza
TODI. «Ho seguito con molta attenzione l’intervento che Ferdinando Adornato ha fatto davanti alla platea del convegno di Liberal a Todi. Devo dire che non posso che essere d’accordo su gran parte dei temi esposti, anche se su alcuni vorrei fare delle mie personali riflessioni». Inizia così la lunga chiacchierata tra liberal e il professor Paolo Pombeni, uno dei più attenti osservatori di quanto accaduto nel panorama politico degli ultimi anni. Pombeni ha trovato particolarmente interessante la premessa che Adornato a voluto fare ad un più ampio ragionamento politico, cuore del suo intervento. In particolar modo, il professore bolognese ha voluto soffermarsi su quel ragionamento fatto da Adornato («Una vera classe dirigente avrebbe capito, già nel 2006, che l’Italia, spaccata in due dal ring di un bipolarismo inconcludente, stava chiedendo ad entrambi i pugili di levarsi i guantoni ed avviare una nuova fase nella quale l’interesse nazionale prevalesse sulle convenienze delle parti. Cooperare per rilanciare l’Italia. Ma Prodi non ebbe lo scatto dello statista. E diede luogo ad uno dei più confusi governi della Repubblica. Non ci fu dunque da stupirsi se, nel 2008, gli italiani, assai spaventati, tornarono a ripararsi dietro l’immagine di Silvio Berlusconi, assegnandogli una maggioranza schiacciante») che analizza la crisi politica degli ultimi quattro anni. «Nel 2008 - ci spiega Pombeni - c’erano due opzioni in campo: uscire dalla logica del bipolarismo ovvero rientrarci a pieno titolo come hanno fatto Partito democratico e Popolo della libertà. A tutt’oggi possiamo dire che il bipolarismo, almeno per l’Italia, non è la scelta giusta per risolvere il problema. Ma non possiamo dirlo in senso assoluto, perché non possiamo sapere se in un altro momento storico, con un’altra congiuntura economica, quell’opzione sarebbe potuta essere vincente». In un ragionamento che molto più ampio potrebbe essere, vista la vastità dei temi avanzati da Ferdinando Adornato, Pombeni vuole soffermarsi ancora sul governo di responsabilità nazionale, evocato per primo da Pier Ferdinando Casini ed in seguito ripreso da molti altri esponenti politici di rilievo. «La riflessione che fa Adornato sull’amor di Patria che dovrebbe spingere tutti i partiti a mettere l’interesse generale del Paese prima di quello soggettivo, mi sembra molto forte. Spinge a più di una riflessione» afferma il titolare della cattedra di scienza della politica presso l’università di Bologna. «In particolare c’è un dato politico e strutturale che mi porta a riflettere sulla possibilità che i partiti oggi in parlamento siano in grado di fare un così forte passo indietro a favore di una spinta nei confronti dell’unità nazionale di così grande impor-
tanza» riconosce Pombeni. Che aggiunge: «Laddove ci fossero pure le condizioni per un governo di responsabilità nazionale, sono poco propenso a credere che ci sia veramente una generale disponibilità». Questo è il punto chiave per il professore: «Chi - si interroga - è veramente pronto a dire: “Sospendiamo la lotta”? Leggendo Adornato sembra davvero che l’Unione di centro sia disponibile ad un sacrificio di questo genere per il bene comune, tuttavia ho paura che questo sia un faro nella notte».
Un altro punto della riflessione di Adornato che ha molto colpito Paolo Pombeni è senza dubbio il riconoscimento che la politica economica di Giulio Tremonti ci ha evitato il tracollo («Saremo come, se non peggio, la Grecia a quest’ora») e la proposta, tuttavia, di fare anche una politica economica d’attacco, per dirla con Adornato, oltre che quella di difesa. «A mio avviso sta proprio qui il punto focale per arginare la crisi - aggiunge Pombeni - bisogna trovare gli strumenti e i mezzi per poter attuare quelle politiche di attacco che cita Adornato affinché i cittadini possano ritornare a credere nella politica e nello stato». «Sarebbe troppo semplice e ovviamente impopolare - è il ragionamento del professore imporre ai cittadini di fare dei sacrifici senza però offrire loro, anche nel lungo periodo, delle “ricompense” in termini di miglioramento civile e sociale». Per Pombeni è vero il ragionamento che fa Adornato sulla fine dell’era marcatista, ma è pur vero che il modello a cui ci dovremmo ispirare («che sembra comunque quello che vuol intendere Adornato») è di fatto quello di uno stato di Etica Pubblica. «Un’etica pubblica intesa come autoconservazione della società e non come quell’afflato divino imposto dall’alto dal giacobinismo che sarebbe, anzi, assai pericoloso». Infine una lunga riflessione sul partito della Nazione: «La lettura che dà Adornato della crisi nel Partito democratico e nel Popolo della libertà è senz’altro una delle possibili (e plausibili) chiavi di lettura dell’odierna crisi politica generale. Ora bisogna vedere se questa crisi - argomenta Pombeni - è solo passeggera ovvero irreversibile. In questo caso, per un partito come quello della Nazione evocato da Pier Ferdinando Casini si stenderebbero delle vere e proprie praterie. Sia in termini di consenso sia in termini di aggregazione politica». Infine un monito: «Se la crisi dei due maggiori partiti avrà uno sbocco, lo si vedrà in tempi brevi, io credo.Vedremo come si comporteranno di fronte alla crisi economica. Se è vero, infatti, che non ci sono elezioni da qui ai prossimi tre anni, è vero pure che le elezioni portano un consenso banale, mentre fronteggiare la crisi economica porterebbe un consenso sociale».
fa soltanto grazie a Berlusconi, ma con una difficoltà sempre crescente, con la Lega che ha fatto una scelta precisa. Allo stato delle cose non esiste questo elemento di coesione e se il Partito della nazione riuscisse a rappresentare il punto di equilibrio tra Nord e Sud, anche per giustificare il suo nome, sarebbe una cosa magnifica. È fondamentale però che non sia un partito piccolo: è questa la sfida da vincere, facendo delle grandi battaglie politiche sui temi legati alla modernizzazione del Paese. L’appunto che mi permetto di fare e che, forse, bisognava partire prima». L’obiettivo dichiarato dai centristi di rappresentare un approdo per i delusi moderati dal centrodestra e dal centrosinistra per Stefano Folli può funzionare a patto che «sia presentata un’immagine completamente rinnovata e molto suggestiva, facendo un grosso sforzo in questa direzione, altrimenti se l’operazione dovesse essere percepita soltanto come una riproposizione dell’Udc, per superare le difficoltà tattiche del momento, potrebbe rappresentare un fallimento».
Una delle idee portanti della relazione di Ferdinando Adornato è il rapporto con l’Europa e la necessità di una comune politica che vada oltre l’unità monetaria è stata molto apprezzata da Folli che lamenta la mancanza nel dibattito italiano di questi argomenti e aggiunge: «Nei giorni della crisi greca sono rimasto impressionato dal fatto che non solo il centrodestra, ma anche il centrosinistra fosse impegnato a dibattere su beghe interne tra i vari esponenti, mentre a Bruxelles si decidevano le misure da adottare per fronteggiare il momento drammatico. Esiste, quindi, un grande spazio per recuperare il tema e portare la questione europea al centro del dibattito politico in termini nuovi e realmente corrispondenti alla drammaticità del periodo. Nessuno lo fa e se il nascente Partito della Nazione ci riuscisse, oltre a rendere omaggio alla sua storia e alla sua tradizione, offrirebbe un buon servizio all’Italia e all’Europa. Non so quanti voti si potrebbero raccogliere con questi argomenti, ma sarebbe importante mandare dei segnali chiari a un’opinione pubblica così disorientata». L’editorialista del Sole24Ore concorda con Ferdinando Adornato anche sull’idea di costruire una forza che unisca laici, cattolici, repubblicani e liberali con valori condivisi: «La storia della Prima repubblica insegna che laici e cattolici possono convivere, con valori, a volte distinti, trovando in ogni modo una composizione e senza giungere a guerre di religione. Occorre qualità politica, una certa dose di idealità e soprattutto la
capacità di dare risposte alte a problemi che per troppi anni sono stati confinati nel novero dei tatticismi». Per Folli non si risolve tutto con la legge contro la corruzione, perché esiste «una stagnazione della situazione di tipo politico-istituzionale nella quale trovano spazio tante patologie. Anche Tangentopoli è legata a una stagione in cui la Prima repubblica ristagnava ed erano venuti meno gli slanci. In questi anni non abbiamo avuto quasi mai un sistema dinamico, fatta eccezione per alcuni episodi come il passaggio all’euro, ma in sedici anni è davvero molto poco. Silvio Berlusconi, personalità con una capacità organizzativa e di comunicazione straordinaria, ha completamente mancato l’appuntamento con il rinnovamento delle istituzioni: questo è stato il suo grande errore storico».
In periodi di stagnazione di corruzione ritorna prepotente la questione morale e Adornato, dalla tribuna di Todi, ha parlato di Partito dell’etica pubblica, della legalità, del limite, della sobrietà, dell’autorità: concetti, secondo Folli «attuali, ma il rischio è che ci si trovi d’accordo sui principi e poi non ci siano le condizioni politiche perché si realizzi un sistema di pesi e contrappesi, di regole e sanzioni che vadano a costruire un meccanismo che sia in grado di funzionare. Solo a questo punto e a queste condizioni l’etica pubblica può avere diritto di cittadinanza. Continuare ad affermare principi etici nobili, giusti e sacrosanti, nei quali molti credono e fanno riferimento nella loro vita pubblica, in un sistema annichilito e statistico inevitabilmente produrrà, nel giro di alcuni mesi, un loro avvizzimento, dando luogo a comportamenti di segno opposto. È fondamentale, quindi, sostenere questi principi etici, ma occorre, anche attraverso l’appello all’unità nazionale, porsi il problema di un sistema che sappia veramente rinnovare se stesso dalle fondamenta. Questa è la battaglia epocale sulla quale un partito di dimensione medie, come l’Udc, può chiamare a raccolta le altre forze politiche. Occorre ovviamente che ci siano le condizioni perchè si passi dalla fase dell’affermazione dei principi a quella politicamente più concreta. In questo fase, poi, più che di riforme nel senso tradizionale del termine, che richiedono tempi più adatti, è fondamentale avere la capacità di affrontare la crisi economica e creare una convergenza nazionale, nei limiti del possibile, su alcuni obiettivi di risanamento economico e di finanza pubblica. Su questo il Partito della nazione dovrebbe impegnarsi, avendo come primo obiettivo quello di costruire una forza politica che aggreghi una buona parte dei cittadini moderati».
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grandangolo La risposta da dare all’appello del Papa
Un partito per la nuova generazione dei cattolici in politica Benedetto XVI ha chiesto ripetutamente che i temi della fede siano presenti nel dibattito come nella vita quotidiana. Addirittura, il Pontefice ha insistito sulla necessità di una «testimonianza». Questo appello mette in discussione l’idea stessa di rappresentanza popolare. Da Todi arriva una prima risposta di Rocco Buttiglione l Santo Padre torna a chiedere, con tono accorato e con decisione, una presenza dei cattolici, meglio dei cristiani, nella politica di oggi. Non chiede una maggiore presenza ma semplicemente una presenza ed una testimonianza, come se oggi essa non vi fosse affatto. Non è sufficiente, e non è utile, dare a questo ammonimento un consenso rituale, salvo poi lasciare che tutto continui come prima. Se il Papa insiste tanto su questo tema questo vuol dire che si attende da noi un’iniziativa ed un cambiamento. Quale iniziativa e quale cambiamento?
I
Intanto cosa vuole dire esattamente il Papa quando lamenta l’assenza di una presenza dei cristiani sulla scena politica? Vuol forse dire che non ci sono fra i politici dei cristiani, magari anche dei“buoni cristiani”? Se fosse così sarebbe giusto dirgli che si sbaglia, che ha torto. Cristiani che fanno politica ce ne sono, e fanno anche del bene. Il problema è però che il loro esserci non è percepito come una presenza, non è sentito come una testimonianza. Sono dei buoni cristiani, vanno a Messa tutte le domeniche (magari anche tutti i giorni), osservano i comandamenti (più o meno), ma il loro lavoro politico non è percepito come una testimonianza cristiana. La cultura che sta dietro questo tipo di cristiani è
una cultura profondamente dualista: la fede è una cosa, la politica è un’altra e fra le due non c’è e non ci deve essere nessuna comunicazione. Al massimo si può riconoscere l’esigenza di difendere un nocciolo di valori naturali irrinunciabili. E se si tratta di dare una mano per trovare un po’di soldi per le opere cristiane non ci si tira indietro. E tutto finisce lì. Manca lo sforzo di stare in politica da cristiani, la volontà di rappresentare un popolo cristiano, il tentativo di dare una lettura cristiana dei bisogni del popolo, delle sue esigenze, dei suoi valori e delle sue speranze. C’è la convinzione che il popolo non sia (più) cristiano e che una politica laicamente cristiana per rappresentare il popolo non abbia speranza di successo. Di più: in molti c’è la convinzione che una simile politica sia indesiderabile anche se fosse possibile. Non vorremo mica farci riconoscere come cristiani? Non è in qualche modo“integrista”la pretesa di una presenza cristiana in politica? E, di più, non ci espone al rischio di rappresaglia? Questa mentalità non è solo dei laici che vivono la fede nel privato ma la tengono nascosta per quanto possibile quando intervengono sulla scena pubblica. Essa tocca anche molti preti e molti vescovi. È lecito porsi la domanda: quando qualcuno si espone in politica per rendere una testimonianza cristiana qual è il livello di con-
senso e di sostegno che egli trova nella comunità ecclesiale? I vescovi gli sono vicini? Lo sostengono? Dicono che ha fatto bene? Nessuno pretende che il vescovo dica ai fedeli di votarlo o di votare il suo partito. Ma se si avesse il coraggio di dire semplicemente “bravo, hai fatto bene”, questo rincuorerebbe ed incoraggerebbe. Se si avesse il coraggio di dire “questo è un esempio che merita di essere seguito”, altri potrebbero essere invogliati a iniziare lo stesso percorso. Si ha invece talvolta l’impressio-
Il buon Pastore cerca la pecorella smarrita, ma non è scritto nel Vangelo che abbandoni tutte le altre perché si smarriscano ne che i vescovi sfuggano il rapporto con i politici cristiani. Certo, una volta c’era il rischio di identificare e confondere Chiesa e Democrazia Cristiana. Ma è questo il ri-
schio ed il pericolo oggi per la Chiesa? Se qualche volta i vescovi si sbilanciano in un rapporto con la politica questo avviene spesso con politici più o meno dichiaratamente lontani. Questa è certo cosa lodevole: il buon Pastore cerca la pecorella smarrita, ma non è scritto nel Vangelo che abbandoni le altre al loro destino perché si smarriscano anche loro.
Alcuni vescovi sentono fortemente il problema di tenere aperto un dialogo con la sinistra, per superare in qualche modo l’apostasia del proletariato che ha segnato una fase della nostra storia. Oggi però forse quel proletariato non c’è più ma è tuttavia certo lodevole il dialogo con i lontani, purché non finisca con l’emarginare i vicini. Altri vescovi sentono molto la responsabilità del dialogo con le istituzioni ed anche questo è certo positivo. La Chiesa deve collaborare con ogni legittima autorità per il bene del popolo. Pochi vescovi sentono la responsabilità di favorire la crescita di una testimonianza cristiana in politica e di incoraggiare e sostenere i laici impegnati in questa testimonianza. Per questo dicevo all’inizio che una riflessione sull’ammonimento del Papa non riguarda solo i politici ma tutta la comunità ecclesiale. Dobbiamo iniziare un approfondimento insieme. Dobbiamo domandarci: è sufficiente una
todi 2010 Ospiti del seminario saranno Federico Vecchioni, Giorgio Guerini e Luigi Marino
Oggi parlano Cesa, Buttiglione e Pezzotta Poi toccherà a cooperative e artigiani di Riccardo Paradisi
testimonianza individuale? Quando la questione antropologica entra di prepotenza nella sfera della politica, una testimonianza solo individuale, pur sempre necessaria e benvenuta, non può bastare. Il cristianesimo è per sua natura comunionale, corrisponde alla sua natura una testimonianza comunionale e pubblica. Tanto più quando ci sono battaglie che devono essere combattute sul terreno della politica, battaglie che toccano in profondità l’identità cristiana del popolo. Occorrono strumenti di collegamento, occasioni di incontro. La Chiesa italiana si è data alcuni di questi strumenti e noi sappiamo valutare l’apporto positivo che essi hanno dato. Penso a Scienza e Vita, al Forum delle Famiglie, alle Settimane Sociali della Chiesa italiana. Queste organizzazioni ed iniziative alimentano un humus culturale senza il quale una testimonianza cristiana nella politica difficilmente può maturare. Partecipando a simili iniziative i politici si rafforzano nella loro identità e trovano strumenti di collegamento e di coordinamento. Questi strumenti, tuttavia, hanno bisogno di essere rafforzati ed estesi. I cattolici oggi sono presenti in tutte le forze presenti nel Parlamento nazionale. Nel passato si sono anche confrontati aspramente fra di loro. È importante abituarli a lavorare insieme ed a superare le divisioni del passato.
È sufficiente questo a rispondere alla domanda che ci rivolge il Papa di una nuova e più forte testimonianza? Io credo che noi non possiamo eludere il problema della formazione di un partito di ispirazione cristiana, un partito che si sforzi di esprimere organicamente sul terreno della politica il popolo cristiano che è in Italia. Un partito così naturalmente deve nascere sul terreno della politica, non può essere il partito dei vescovi né il partito della Chiesa. Esso tuttavia non può nascere se non se ne avverte il bisogno, laicamente, nel popolo cristiano, e se non si dissipa la superstizione, oggi molto presente, che pensa che l’unità dei cattolici sul terreno della politica sia necessariamente un male. L’unità non è un obbligo, ma nemmeno una eresia. Essa è piuttosto una tendenza che si afferma nella forma che, di volta in volta, storicamente i cristiani ritengono opportuna. Alla base di tutto è, o deve essere, la libertà. Chi ritiene giusto dare una testimonianza solo individuale ha il diritto di darla. Chi si collega per dare insieme alcune battaglie
fa bene a farlo. Chi vuole costruire un partito per dare rappresentanza organica al popolo cristiano ha il diritto di provarci. Certo: nessuno ha il diritto di presentare la sua opinione come l’unica cristiana squalificando le altre sul terreno ecclesiale. La scelta di un partito ad ispirazione cristiana come strumento dipende da un giudizio storico e non da una tesi teologica. Il giudizio è quello di insufficienza per i risultati di una presenza dispersa all’interno di tutte le forze politiche, quale si è realizzata negli anni del bipolarismo. I cattolici hanno guardato con grande speranza ai governi di Romano Prodi ed all’esperimento politico da lui condotto. La disillusione è stata cocente. Allora in molti hanno guardato a Berlusconi ed hanno sperato nel Popolo della Libertà.Anche in questo caso la disillusione è stata forte. Si è sperato che una forza di diversa origine e visione culturale potesse garantire i valori e la presenza dei cristiani, come al tempo della fine dell’esilio israelita a Babilonia quando Ciro protesse il popolo di Israele e gli consentì il ritorno alla Terra Promessa. A noi sembra che questa scelta non abbia funzionato Forse è tempo di fare come i Maccabei, che scelsero di avere fiducia nel loro popolo e cercarono di dargli una organica rappresentanza politica.
Certo, dobbiamo interrogarci su cosa vuol dire oggi “ispirazione cristiana”. Credo che comprendiamo meglio il senso di questa espressione se la confrontiamo con quella equivalente contenuta nel programma della Cdu tedesca. Lì si parla di “immagine cristiana della persona umana”come punto di riferimento dell’azione politica. Su questa immagine cristiana dell’uomo possono convenire molti che non sono cristiani in senso confessionale. Forse sarebbe meglio, per sottolineare questo punto, parlare di “immagine ebraico-cristiana della persona umana”. Forse è anche utile avviare una riflessione sulla nazione, perché la nazione è lo spazio storico sociale in cui questa immagine cristiana dell’uomo diventa concreta e prossima a ciascuno di noi… L’appello del Papa che abbiamo riportato all’inizio non ci chiede solo un impegno moralistico ad essere più buoni ed a fare di più. Chiede una riflessione culturale approfondita che deve coinvolgere tutta la comunità ecclesiale. La costruzione del partito nuovo è la nostra proposta e la nostra risposta.
TODI. Con la relazione di apertura di Ferdinando Adornato l’Udc ha aperto a Todi il cantiere che porterà alla costruzione del partito della nazione. Oggi nel palco dell’hotel Bramante si succederanno tra gli altri il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa, il presidente del partito Rocco Buttiglione, il presidente della costituente di centro Savino Pezzotta. E poi Federico Vecchioni di Confagricoltura, Giorgio Guerini di Confartigianato, Luigi Marino confcooperative. Una riflessione, quella dell’Udc, tesa a cercar di ricucire quel tessuto sociale del Paese minacciato nella sua tenuta – come è detto a Todi – dallo stress prodotto dalla guerra “civile verbale permanente”, da un “bipolarismo muscolare” che ha fatto della contrapposizione frontale un metodo di condotta politica, una coazione a ripetere che logora da quindici anni la società italiana. I tricolori che fanno capolino dai taschini delle giacche degli ospiti, dei delegati, degli esponenti politici qui a Todi non sono quindi solo una risposta simbolica ai fazzoletti verdi padani che spuntano dai taschini dei seguaci leghisti, vorrebbe anche essere il superamento del vecchio simbolo scudocrociato – anche se c’è chi lo tiene ancora alto qui a Todi – per guadagnare una platea più ampia. Per rievocare l’idea di comunità nazionale al di là delle divisioni paralizzanti che rischiano di diventare croniche. I punti di riferimento sono quelli della cultura cristiana e liberale europea come testimonia lo stand degli amici della fondazione Konrad Adenauer presidiato da due ragazzone tedesche bionde e sorridenti. Una rete che unisce numerose personalità italiane e tedesche che si sentono legate alla fondazione e che contribuiscono al successo del suo lavoro.
Una rete attiva nella società civile tedesca da oltre dieci anni e che ora si allarga anche a livello europeo.
Accanto al tavolo dei libri di liberal si leggono così i titoli della fondazione Adenauer: “Profilo storico e programmatico della Cdu tedesca”, “Il 1989. La caduta del Muro e la libertà dell’Europa”, “Il liberalismo delle regole. Genesi ed eredità dell’economia sociale di mercato”. Il pensiero, qui a Todi, ricorre spesso alla Germania, alla Cdu, all’esempio tedesco di Angela Merkel. Il partito della nazione, ad ascoltare le relazioni e le riunioni informali che si tengono nelle sale del Bramante, si ispira a quel modello politico, al suo metodo, alla capacità di costruire grandi coalizioni di governo, di essere al tempo stesso laico, non confessionale, ma anche ispirato chiaramente ai valori cristiano-liberali. Un partito moderno, insomma, nuovo, che ha l’ambizione di agitare nuovi simboli, miti e passioni che possano affascinare anche l’immaginario dei più giovani. Non c’è solo Che Guevara, non c’è solo il Grande Fratello – dice Adornato nella sua relazione – “ci piacerebbe che i nostri ragazzi avessero nelle loro stanze il poster di Neda, la ragazza uccisa dalla polizia iraniana mentre combatteva per la libertà, o quella del dalai Lama che resiste con saggezza e moderazione alla violenza di Pechino. O quello di Massimiliano Ramadù e Luigi Pascazio caduti a Bala Murghab, che come i loro colleghi a Nassiryia o i paracadutisti della Folgore a Kabul, hanno dato la vita per difendere la bandiera della loro nazione e la sicurezza del mondo”. Anche nell’immaginario il Partito della nazione vuole andare oltre il Novecento.
diario
pagina 10 • 21 maggio 2010
Lutto. Si sono svolte ieri in un clima di grande emozione le esequie dei due alpini uccisi lunedì in Afghanistan
L’addio ai nostri soldati
Folla e commozione per l’ultimo saluto ai caduti di Bala Murghab di Pierre Chiartano segue dalla prima
sezionare l’anima di un Paese malato. «Non hanno voluto un’esistenza tesa solo alla propria soddisfazione e alla propria gloria – ha proseguito – la contraddizione più radicale non è tra vivere e morire ma tra vivere per sè e vivere per gli altri». L’amore «non può essere separato dalla pace» e, ha rilanciato monsignor Pelvi, «la coscienza nazionale di noi italiani si deve irrobustire, siamo un’unica grande famiglia, gli altri non sono nemici, concorrenti da cui difendersi, ma il nostro sangue italiano con cui essere solidali». «Il sacrificio dei nostri militari – ha concluso – non è vano per l’Afghanistan e non è vano per l’Italia, perchè ignorare il pericolo terrorista non allontana la minaccia, ma la porta dritta alle nostre case».Anche il primo caporal maggiore Gianfranco Scirè è arrivato per assistere alla cerimonia funebre. Scirè, rimasto ferito assieme al caporale Cristina Buonacucina, è arrivato su una sedia a rotelle dall’ospedale militare del Celio dove è ricoverato per la frattura alla tibia riportata nell’esplosione di lunedì.
Quei cittadini in divisa sono degli italiani che nei teatri all’estero ci fanno fare bella figura, mostrano un Italia che funziona, che aggrega e sa usare gli uomini giusti al posto giusto. Sono loro i mattoni sui cui ricostruire l’identità di un Paese che sembra fiaccato, demoralizzato e cinicamente distaccato dalle liturgie ufficiali. Solo questi tristissimi appuntamenti sembrano ricompattare l’identità di un popolo che appare ormai spenta.
Tanti italiani erano lì, in attesa dell’inizio della cerimonia funebre per il sergente Massimiliano Ramadù e il caporal maggiore Luigi Pascazio, uccisi lunedì nell’ovest dell’Afghanistan. In chiesa erano presenti le più alte cariche dello Stato e di Governo. Numerosi i militari che, a titolo personale o in rappresentanza delle Forze armate, hanno preso posto sui banchi lungo la navata centrale per l’ultimo saluto ai commilitoni. Un omaggio ai due Alpini caduti che, ieri mattina, anche moltissimi civili hanno voluto rendere con la loro presenza. I due militari erano membri del 32mo reggimento Genio guastatori della brigata Taurinense. I feretri di Ramadù e Pascazio erano stati rimpatriati mercoledì con un C-130 dell’Aeronautica militare atterrato a Ciampino. Dopo l’esame autoptico, i feretri erano stati trasferiti al Policlinico Militare del Celio, dove mercoledì pomeriggio era stata allestita la camera ardente.Poi alle 10, sotto le navate della Basilica, progettata da Michelangelo, ha avuto inizio la cerimonia funebre. Presenti, nelle prime file, le principali cariche dello stato e del Governo: tra gli altri, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, i presidenti di Senato e Camera Renato Schifani e Gianfranco Fini, il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Per il governo erano anche presenti i ministri Ma-
Giorgio Napolitano si è soffermato in un lungo abbraccio con la fidanzata e i genitori di Pascazio e con la mamma di Ramadù roni, Bossi, Matteoli, Brunetta, Prestigiacomo, Brambilla e Ronchi. Insieme a loro i due sottosegretari alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e Guido Bertolaso, capo della Protezione Civile. Tra i parlamentari, anche Pierferdinando Casini, Gasparri, Fassino e Rutelli e i presidenti delle regioni Polverini, Cota e Zaia.Accanto ai feretri, avvolti dal tricolore e sistemati al centro della navata davanti all’altare, i familiari delle due vittime. Presenti anche il capo di Stato Maggiore della Difesa Vincenzo Camporini e i vertici delle Forze armate. Poi Tonia, la fidanzata del caporal maggiore Pascazio, ha poggiato, tra le lacrime, un’orchidea sopra il feretro del suo Luigi. Centinaia le persone che hanno preso posto sui banchi del-
la basilica: moltissimi i militari, arrivati semplicemente a titolo personale o in rappresentanza delle Forze armate. Ma numerosa è stata anche la presenza dei civili, gente comune che ha voluto testimoniare così la propria vicinanza alle famiglie delle due giovani vittime. Palese, forte la commozione dei presenti: molti gli occhi lucidi e gli sguardi persi nel vuoto, evidente il senso di profondo vuoto che traspare dai volti affranti di molti commilitoni degli Alpini rimasti uccisi nell’esplosione di lunedì. Soprattutto fra i compagni dei due Hurt Locker italiani. Giovani artificeri che avevano il compito di svelare l’insidia delle bombe improvvisate. Quello dei guastatori è un lavoro che cementa, nella condivisione del pericolo, i legami
personali e collettivi della squadra. Lì non ci può essere invidia, ignavia o lassismo, perché in gioco c’è sempre la vita. L’omelia del vescovo, monsignor Vincenzo Pelvi, che ha officiato la messa funebre si è rivolta prima di tutto alle mamme dei due militari caduti in Afghanistan: «mamma Laura e mamma Maria la pace di Dio assomiglia a voi mamme, quando con una carezza consolate i vostri figli». I due giovani militari, sottolinea l’ordinario militare, «sono vissuti per gli altri e sono morti per gli altri, sapevano bene che la vera disgrazia sarebbe stato morire per niente e per nessuno, hanno scelto di non vivere solo per se stessi». E il loro sacrificio «non è vano». E mai prelato fu più chirurgico nel
Scirè – un nome che ricorda molto alla Marina militare italiana – ha preso posto di fianco alle due bare avvolte dal nei Tricolore, pressi dei banchi riservati alle famiglie delle vittime. Il caporale Buonacucina è invece tuttora ricoverata presso l’ospedale americano di Ramstein, in Germania, dove è stata sottoposta a un delicato intervento chirurgico per ricomporre le lesioni riportate a una vertebra. «Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi, salva noi armati come siamo di fede di amore», con la preghiera dell’Alpino e le note del silenzio si sono poi concluse le esequie solenni. La fidanzata del pugliese Pascazio, visibilmente scossa, all’uscita dalla basilica ha abbracciato a lungo il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il capo dello Stato si è soffermato in un lungo abbraccio anche con i genitori di Pascazio e la mamma di Ramadù.
diario
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Polemiche. Le nuove norme vietano di pubblicare notizie sulle inchieste
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uello che colpisce di più, nel testo sulle intercettazioni votato durante la notte alla commissione giustizia del Senato (poi dicono che i parlamentari non lavorano!, ha osservato con ironia il Corriere della Sera), è la concezione arcaica del funzionamento della giustizia. Che lo si voglia o no, siamo entrati nell’era digitale. Il traffico telefonico e la sbobinatura delle telefonate sono ormai da anni assicurate da sistemi tanto rapidi quanto efficaci. Per esempio: al vecchio “brogliaccio”dell’intercettatore, zeppo di ripetizioni e di omissis, si è sostituito un cd che può essere masterizzato e distribuito in tempo reale. E ricostruito in buon italiano dal redattore che ne viene in possesso. Così, la “fuga di notizie” su cui tanto si discuteva anni orsono ha perso la sua natura di fuga per acquisire quella di pura e semplice notizia. Una legge che vuol tutelare la privacy dovrebbe saperlo e non regolare una materia come si sarebbe fatto dieci anni fa. La stessa “talpa” che si vuol condannare non è più quella dell’era analogica. Lo sapete o no, che è tutto diverso?
Una politica debole attacca i più deboli Ecco perché la legge della maggioranza sulle intercettazioni è un bavaglio inutile di Enzo Carra
Si può, è vero, obiettare che anche il governo Prodi, guardasigilli Mastella, aveva tentato qualcosa di analogo. Ma questo non scalfisce la gravità della decisione, conferma soltanto l’intenzione di una politica debole di prendersela con i più deboli. Editori e, soprattutto, giornalisti. Si opera un disegno di separazione tra due categorie, entrambe quotidianamente sotto attacco, a favore del palazzo. Ma, come si vedrà molto presto, difendersi in questo modo è non soltanto sbagliato (e
Alle campagne ricorrenti di demagogia e alla pratica del giustizialismo questa legge offre, purtroppo, molte ragioni. Questo è un altro motivo, forse il più convincente sul piano politico, per opporsi a questa legge. Dobbiamo sapere infatti che, oltre le “norme bavaglio”, se passasse come è stata votata nottetempo dalla maggioranza l’azione antimafia e antiterrorismo verrà ridotta, se non bloccata. I limiti alle riprese visive, all’acquisizione dei tabulati telefonici e le nuove forme, molto rigide, sull’autorizzazione renderanno praticamente impossibili le indagini in questo settore. L’organizzazione del lavoro investigativo sarà di fatto paralizzata dalla burocratizzazione delle procedure. La limitazione della durata delle intercettazio-
Se passasse come è stato votato, questo testo bloccherebbe l’azione antimafia e antiterrorismo
Per superare il quoziente tecnologico si taglia in radice, allora. E ci si accanisce contro editori e giornalisti. Ai quali va resa più difficile la vita che hanno scelto: fare giornali, scrivere sui giornali. Non potranno dare notizie sulle indagini in corso, non potranno pubblicare le intercettazioni. C’è un piccolo particolare, però. Se si impedisce ai giornali di fare il loro mestiere si impedisce la libertà di stampa. Si contraddice dunque, nello spirito e nella lettera, quell’articolo 21 della nostra Costituzione secondo cui “la stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Difficile in questo caso, per il governo dimostrare che non si operi una censura sulla stampa. Che è notoriamente alla base di qualsiasi democrazia. Per una volta, e soprattutto per questa norma della legge sulle intercettazioni, dobbiamo ammettere che parlare di “voglia di regime” non è un espediente tragico e intimidatorio delle opposizioni.
anticostituzionale). Più concretamente è una di quelle misure che l’opinione pubblica respinge perché sa che di esse, se realizzate, beneficeranno alcune fasce, estremamente ridotte nel numero se non negli interessi: la criminalità organizzata, le “cricche” degli affaristi corrotti e corruttori, la “casta” di governo e del Parlamento.
Il premier scarica i due “ex-amici”: «Il Pdl e il governo non c’entrano niente con loro»
Berlusconi su Verdini e Scajola: «È solo corruzione personale» ROMA. Malgrado le cene recenti, gli attestati di stima e di amicizia, ieri Silvio Berlusconi ha ufficialmente scaricato Scajola e Verdini: «Si tratta di casi personali e isolati che nulla hanno a che vedere con l’attività del governo e del partito, il Pdl non ha mai ricevuto finanziamenti illeciti». Sono queste le parole che il premier ha affidato a Bruno Vespa che le ha trascritte nel suo nuovo libro Nel segno del Cavaliere, che sarà in vendita dalla prossima settimana. All’insidiosa (si fa per dire) domanda del giornalista che chiede a Berlusconi di commentare i casi Scajola e Verdini, il premier risponde: «Si tratta di casi personali e isolati e dagli ultimi sondaggi risulta che per l’opinione pubblica è chiaro che questi casi non hanno nulla a che vedere né con l’attività di governo né con quella del partito. Una cosa è certa: il Popolo della Libertà non ha mai ricevuto finanziamenti illeciti da nessuno e semmai e’ stato il presidente del Consiglio ad intervenire sulle finanze interne con mezzi propri». Al che il giornalista non ribatte ciò che sarebbe ovvio ribattere: ossia che Scajola era ministro (quindi il suo operato riguardava il governo) così come Verdini è
coordinatore del Pdl, e non un semplice iscritto o simpatizzante.
Quanto all’ipotesi di una nuova Tangentopoli sollevata dai giornali dopo l’inchiesta sugli appalti del G8, rispondendo a un’altra domanda di Vespa, Berlusconi la esclude in modo categorico, ma senza negare che ci possano essere mele marce da isolare e punire: «Non mi è piaciuta per nulla l’ennesima esibizione di isteria giustizialista, con la pubblicazione di centinaia di nomi di clienti di un’azienda presentati come se fossero tutti dei colpevoli. Non è gettando fango su degli innocenti che si fa giustizia. Se ci saranno uno, due, tre casi di comportamenti illegittimi saranno i magistrati ad accertarlo. E in questo caso ci sarà severità di giudizio e di decisione nei confronti di chi fa politica e ha responsabilità pubbliche». Non è chiaro, ma pare di capire che Scajola e Verdini sono quell’«uno, due, tre casi di comportamenti illegittimi». E poi, conclude il premier: «La nostra linea, da quando siamo scesi in campo, è sempre la stessa: nessuna indulgenza e impunità per chi ha sbagliato». Salvo che è sempre e solo lui, Berlusconi, a decidere chi ha sbagliato e chi no.
ni farà di queste una specie di jolly: se si pesca il reato nei giorni previsti, bene, se no niente (eppure gli altri mezzi di ricerca della prova possono essere utilizzati per tutta la durata delle indagini).
Infine, incostituzionale è e verrà certamente provato il no alle riprese visive ed ai tabulati che non hanno a che fare con la segretezza delle comunicazioni costituzionalmente tutelate. Il mix tra novità procedurali e freno alla libertà di stampa è esplosivo. Ed è una buona notizia che sul provvedimento ci sia stato il “no” dell’Udc. Nella scorsa legislatura molte di quelle norme furono votate all’unanimità alla Camera. Poi, lo spegnersi del governo Prodi spense anche quella legge. Anche allora si disse: “è un atto di civiltà giuridica o tutela della privacy”. Io non mi fidavo di quella tutela e, assieme ad altri otto (diconsi otto) parlamentari non votai quelle norme. Farò così anche in questo caso. La privacy non la si difenda attaccando i giornali. P.S.: tutto ciò non significa che vada difeso il lavoro dei Genchi d’Italia e dei magistrati che disinvoltamente preferiscono le intercettazioni a strascico ad ogni altro tipo di indagine.
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a sicurezza economica e nazionale degli Stati Uniti d’America potrebbe essere gestita nel miglior modo possibile dall’amministrazione del presidente Barack Obama. Ma questo può avvenire soltanto se ci si rende conto che siamo nel ventunesimo secolo, e di conseguenza che esistono altri attori sulla scena internazionale. In parole povere, se Washington capisce che per garantirsi deve allineare la propria sicurezza a quella di Pechino. I politici americani affrontano oggi problemi che le politiche e le strategie convenzionali del loro Paese non sono riuscite (e non riusciranno) a risolvere. Per salvaguardarsi nel miglior modo possibile, l’America deve prendere esempio dalle riforme lanciate all’epoca da Deng Xiaoping. Quelle riforme puntavano ad aprire la Cina al mondo, con un occhio particolare per gli Usa; oggi sono gli Usa che devono aprirsi agli investimenti cinesi, anche all’interno delle proprie aziende, se vogliono rinvigorire l’economia e lo stato dell’occupazione nazionale. Una mossa necessaria anche per bilanciare meglio il rapporto commerciale ed economico fra i due Paesi. Le crisi finanziarie ed economiche che hanno colpito l’Occidente hanno reso questa rivoluzione possibile e necessaria. Dopo l’ultima grande crisi, che ha sottolineato gli errori nella gestione economica americana, Robert Zoellick (presidente della Banca mondiale) ha riconosciuto l’inutilità delle richieste statunitensi a favore di un cambiamento delle politiche
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Il presidente americano pensa veramente che siano ancora valide le vecchie politiche, commerciali e non, in uno scenario mondiale totalmente stravolto dalla crisi finanziaria? È arrivato il momento di cambiare tutto cinesi: «È tipico della mentalità di Washington. Dicono che una cosa funziona, ma chiedono che venga cambiata». Tuttavia, è normale che sia difficile cambiare delle politiche economiche (e di sicurezza nazionale) che hanno funzionato bene per circa un secolo; e non importa che oggi siano obsolete.
Per allineare in maniera funzionale la sicurezza nazionale e l’economia di Cina e Stati Uniti, però, esiste un presupposto che negli ultimi trent’anni ha funzionato molto bene: i principi di coesistenza pacifica, tracciati da Deng e messi in pratica in maniera purtroppo (fino ad ora) unilaterale. Certo, questo include che l’America non interferisca nelle questioni interne che per la Cina sono fondamentali: parliamo di Tibet,Taiwan, Xinjiang e del sistema legale interno della Cina. Oltre ovviamente alla definizione di diritti umani. Questo è un presupposto necessario: per avere una relazione matura, entrambe le nazioni si devono riconoscere (e devono riconoscere l’altra) come adulta e in grado di gestirsi da sola. L’America sta scegliendo invece di affrontare in maniera aggressiva la Cina su questioni come la rivalutazione dello yuan e i diritti umani. E, allo stesso tempo, cerca disperatamente
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Il Quotidiano del Popolo accoglie la visita di Hillary Clinton con un articolo, scrit l’aiuto di Pechino su questioni come la crisi economica, il riscaldamento globale e la non-proliferazione nucleare. È corretto che Washington voglia mantenere il proprio atteggiamento carismatico, dal punto di vista della definizione e della protezione dei diritti umani; ma se vuole che il proprio sistema economico, legale e politico si affermi anche in questo secolo, deve riconoscere il diritto cinese all’auto-determinazione, al successo economico e alla sicurezza nazionale. Questo, ovviamente, comprende un cambiamento totale della mentalità politica americana e una rivoluzione nelle politiche adottate da Washington nei confronti di Pechino.
I cinesi hanno cercato senza successo di convincere gli americani che cambiare la mentalità “alzo zero” è utile a entrambi. Uno dei ritornelli più ripetuti dalle delegazioni cinesi è quello di accettare politiche “vincenti per entrambi”: mettersi d’accordo quanto meno per non danneggiarsi. Ma questo non avviene, non sempre. Tutto questo potrebbe cambiare con il presidente Obama, che però deve rispondere a queste dieci domande. Sinceramente.
1) Presidente, come molti suoi connazionali anche lei crede che per far vincere l’America sia obbligatorio che la Cina perda?
2) Presidente, lei crede che sia necessario – per proteggere l’economia e la sicurezza nazionale del suo Paese – preparare per poi condurre una guerra contro la Cina? E se crede che questo sia necessario, pensa di alzare le tasse per pagare questa guerra o intende prendere il denaro che le serve proprio dalla Cina? Se non lo pensa, perché non spiega ai suoi collaboratori e ai suoi connazionali che sono necessarie nuove politiche, più collaborative, con Pechino?
3) Presidente, non pensa che alcune delle politiche e delle strategie convenzionali portate avanti dal suo Paese, comprese quelle economiche ed estere, stiano minando la vostra sicurezza? Non crede ad esempio che, per fare un solo esempio, sia necessario per i due Paesi collaborare – e non combattersi – per la gestione delle riserve mondiali di petrolio? D’altra parte, tutto il mondo dipende da quel settore ma sono i due mercati americani e cinesi a far ruotare il mondo. La verità che dovremmo dirci è che entrambi i Paesi – la prima e la seconda economia più grande del mondo – consumano più petrolio di quello che producono. La politica americana attuale prevede di ostacolare in ogni modo le compagnie cinesi che vogliono comprare petrolio statunitense o da Paesi che lo vendono all’America o da Paesi che l’America disapprova. Ma questa politica non aiuta nessuno dei due, e colpisce tutte le altre nazioni coinvolte. Molti americani pensano che la competizione per il petrolio porterà a una guerra. Sono pochi quelli che riconoscono che la collaborazione sino-americana nel campo energetico porterà invece alla sicurezza. Non dimentichiamoci che, insieme, consumiamo il 42 per cento
Il XX secolo è ormai finito, e con lui anche la vecchia politica Usa. Ora è il turno di un nuovo Patto di ferro, da stringere fra Washington e Pechino. L’alternativa? È il crollo di entrambe Il presidente americano Barack Obama e la sua controparte cinese Hu Jintao. I due leader si sono confrontati diverse volte in maniera bilaterale, tanto su questioni economiche che su problematiche commerciali e valutarie. I due, però, non hanno ancora trovato terreno comune
Dieci domand dell’energia mondiale e che, sempre insieme, potremmo determinare o quanto meno stabilizzare il prezzo di un materiale che ha oscillato in due anni dai 43 ai 147 dollari per barile. Insieme potremmo aiutare tutti gli altri.
4) Presidente, non pensa che per fare i
Se crede, come noi, che siano necessari collaborazione e dialogo per ottenere dei veri risultati, dovrebbe interrompere la politica di confronto con la Cina. Noi siamo propensi a credere che la sincerità e il cambio di marcia siano veramente desiderati dal presidente Hu Jintao.
veri interessi del suo Paese e del mondo in cui viviamo sia arrivato il momento di mettere da parte le politiche che hanno caratterizzato il ventesimo secolo – composte da arroganza e scontro di civiltà – per adottare un nuovo paradigma valido per i nostri giorni?
6) Non pensa sia possibile che, prima o poi, sarà la Cina a mettere da parte la propria politica di coesistenza pacifica? Non vede un futuro in cui Pechino decida di mettere da parte le proprie relazioni con l’America per dedicarsi ad altre nazioni?
5) Presidente, in che modo crede che una guerra sino-americana potrebbe essere un vantaggio per gli Stati Uniti?
7) Crede che le prime mosse della sua amministrazioni siano andate verso la pavimentazione di un sentiero comune
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tto a quattro mani da un americano e una cinese, che chiede: «Vuoi la guerra?»
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aziendale. L’America e la Cina sono chiamate a salvarsi l’un l’altra, perché da sole non possono farlo: troppi rischi, troppe insicurezze aleggiano nel mondo moderno. Insieme, l’economia più sviluppata e quella più dinamica possono creare un sistema senza pari al mondo: lo stesso che il presidente Lincoln (in questo simile a Deng Xiaoping) aveva chiamato “i nostri migliori angeli”. È arrivato il momento di mettere in pratica questa teoria, perché il tempo a disposizione è estremamente più corto di quanto la maggior parte degli analisti possa pensare. L’ultima volta che una crisi economica ha colpito il mondo, 194 nazioni si sono trovate costrette a collaborare per dieci anni: e questi hanno prodotto cinque anni di guerra mondiale.
Oggi, una guerra - sia essa economica, commerciale, militare o cibernetica può essere vinta soltanto se viene evitata: un conflitto avrebbe come prime vittime la prosperità e la pace di Cina e America, e a ruota del mondo moderno. Bisogna essere molto chiari su una cosa: questo nuovo patto, questa visione comune del mondo, non intende in alcun modo rimpiazzare le alleanze politiche e militari che si sono formate nel
Il primo settore comune dovrebbe essere quello del rifornimento energetico, un problema che accomuna entrambe le nazioni: si deve cercare di coordinare davvero la gestione dei campi di gas e di petrolio, non combattersi
de (cinesi) a Obama di John Milligan-Whyte e Dai Min con la Cina? Crede di essere nel giusto, nelle politiche che ha intrapreso nei confronti del continente Asia?
va per il mercato? Crede che una maggiore presenza di investitori cinesi farà soffrire la sua popolazione?
8) Non pensa sia arrivato il momento, in
10) Presidente, crede che le aziende americane che non hanno una strategia per il mercato cinese rimarranno a lungo sulla scena economica?
primo luogo per aiutare l’economia e la finanza americana, di rimettere in pari la bilancia commerciale fra Cina e Stati Uniti? Al momento, l’America non accoglie con affetto le compagnie cinesi che vogliono investire su quel mercato. Eppure, nuovi fondi significa creazione e mantenimento di posti di lavoro: perché le compagnie cinesi sono di fatto escluse dal vostro mercato?
9) Presidente, alla luce dell’ottava domanda, lei pensa che i cinesi trattino male i loro dipendenti? Pensa che la presenza di investitori stranieri sia noci-
Queste dieci domande sembrano forse ripetitive, ma se le si ascolta e ci si ragiona sopra senza pregiudizi si inizia a capire cosa pensano le due nazioni, l’una dell’altra. Per avere un vero sviluppo di tante, nuove aziende statunitense – che entrano in un mercato nuovo e globale – è necessario che vengano previste strategie e obiettivi che in qualche modo siano allineati a quelli delle loro sorelle che nascono in Cina. Le compa-
gnie e gli operai cinesi devono essere accettati e integrati nelle compagnie americane, perché il futuro impone una commistione di investimenti e finanziamenti che non può prescindere dal rapporto bilaterale fra le due nazioni più importanti del mondo. E questo è tanto più importante se si pensa che Pechino vorrebbe investire in quegli Stati come California, Michigan e Texas che più di altri subiscono l’aumento della disoccupazione. In America esisono sfide importanti alla sicurezza economica: la Cina è la risposta. La figura del presidente Obama è, in questo senso, fondamentale: ha cercato di costruire una nuova immagine del suo Paese e ha sposato l’idea di una partnership globale. Ora però non può tenere ai margini la Cina, che cresce in prosperità e intelligenza
corso degli anni. Va benissimo che Washington rimanga leader del Patto atlantico, e cerchi insieme al continente europeo un modo per gestire al meglio l’ascesa della nuova Russia. Ma non si può e non si deve pretendere, ad esempio, che la Cina aderisca entusiasticamente a progetti come quello del disarmo nucleare o del trattato Star. Le armi atomiche, da sempre, sono state considerate dei deterrenti: Pechino non ha mai comunicato al mondo la vera dimensione o la portata dei propri arsenali, perché in questo modo non si otterrebbe altro che vanificarne l’effetto deterrente. Lo stesso modo di pensare può applicarsi alla questione dello yuan, la moneta nazionale cinese. Gli Stati Uniti continuano da molto tempo a chiedere a Pechino di rivalutare la propria moneta, un trucco che servirebbe a diminuire la portata del debito estero americano nelle casse cinesi. Quella valutaria è una sovranità incedibile, che l’Impero di Mezzo non ha intenzione di mettere in gioco per compiacere un qualsiasi partner, fosse anche l’America. Le dieci domande che abbiamo posto, in sostanza, si limitano a una sola: alla luce di un nuovo mondo, di una globalizzazione inevitabile e dei tanti rischi che aleggiano sui mercati commerciali e finanziari, Washington si trova davanti a un bivio. Da una parte ha la possibilità di scegliere un nuovo alleato mettendo in secondo piano le proprie pretese di gestione mondiale. Dall’altra può continuare così, ma rischia di scatenare reazioni molto peggiori di quelle previste.
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Thailandia. I violenti scontri colpiscono il business dei viaggi, fiore all’occhiello della regione. Ma anche investimenti e outsourcing
Il paradiso perduto Dopo la guerra mete balneari a prezzi stracciati e imprese pronte ad andarsene di Maurizio Stefanini paradisi per tuffatori nel Mare delle Andamane e nel Golfo di Thailandia; e le spiagge dalla sabbia finissima. Centinaia di isolette tropicali; e le discoteche aperte tutta la notte. I pacchetti vacanze per giocatori di golf; e quelli per subacquei. I siti archeologici e i musei che conservano le vestigia della civiltà thai e quelle delle altre civiltà con cui si è affrontata, in particolare khmer e bormani; e i “popoli delle colline”trobali, che vivono ancora in villaggi tradizionali. Gli onnipresenti tempi buddhisti; e i mercati galleggianti di Bangkok. Gli elefanti addomesticati; e una natura lussereggiante. La speziata cucina thailandese, il rilassante massaggio thai, quella boxe che si fa solo con i piedi. Ma anche la vergogna del turismo sessuale, con i 2,8 milioni di lavoratori del sesso che sono stati stimati nel 2004: 2 milioni di donne, 800mila minorenni e 20mila adulti maschi. E un’altra stima parla di un giro d’affari che con 4,3 miliardi di dollari all’anno arriverebbe al 3% dell’economia thailandese: sommando il 6% del turismo normale, si arriva al 9. Né bisogna dimenticare che le zone del traffico d’oppio, il famoso “triangolo d’Oro”, sono anch’esse tra le più gettonate dai turisti che non vogliono accontentarsi di sdraiarsi su una spiaggia. E neanche che furono
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i soldati americani in Vietnam a lanciare la fama delle bellezze della Thailandia, dove andavano a rilassarsi tra un turno al fronte e l’altro. Insomma, in Thaillandia c’è anche un filone di stranieri che arriva con l’idea di una vacanza vissuta sul filo del brivido, se non proprio pericosamente. E ciò potrebbe spiegare il perché lontano da Bangkok tutto sembra andare avanti come prima. Spiagge affollate, locali notturni affollati, villaggi vacanze a pieno ritmo. D’altra parte già da anni
gente non aveva cancellato la Thailandia dalle proprie vacanze. Anzi, è possbile che nell’immediato possa esserci addirittuira un aumento del flusso. Per controbattere alla cattiva pubblicità che arriva dai telegiornali, infatti, gli hotel a quattro e cinque stelle nell’area di Phuket e sulla costa andamana stanno per buttare sul mercato offerte a prezzi stracciati, e gli intenditori avvertono che se qualcuno stava cercando una vacanza extra-lusso conveniente, è questo il momento.
Le proteste avrebbero causato un calo del Pil tra lo 0,3 e lo 0,5%. E i siti specializzati in turismo avvertono che il Paese come luogo “vacanziero” va ancora bene, a condizione di cancellare la capitale una rivolta armata insanguina il sud islamico del Paese, la “proboscide”della sagoma di testa d’elefante descritta della mappa di Thailandia.
È almeno dal 2006 che Camicie Gialle anti-Thaksin e Camicie Rosse pro-Thaksin continuano a rendere impossibile la vita a qualsiasi governo, bloccando capitale e aereoporti. E non bisogna dimenticare che alcune delle più rinomate località balneari erano stati colpite dallo Tsunami: anche quella dove era stata girato il secondo Bridget Jones. Malgrado ciò, la
Tuttavia, è il ministro delle finanze Korn Korn Chatikavanij a riconoscere che già le proteste avrebbero causato un calo del Pil tra lo 0,3 e lo 0,5%. E i siti specializzati in turismo avvertono che la Thailandia come luogo turistico va ancora più che bene, ma a condizione di cancellare Bangkok. Non che sia possibile farlo del tutto, visto che dal suo aereoporto la maggior parte dei viaggiatori arrivano. Ma si danno dei consigli su come sbarcare e poi squagliarsela il più rapidamente possibile. Questa, d’altronde, è anche la linea ufficia-
le del nostro Ministero degli Esteri col sito “viaggiare sicuri”. In realtà, ci sarebbero anche varie zone della capitale che si sono mantenute tranquille.
Sostanzialmente, la guerra civile si è scatenata attorno ai luoghi simbolici, i palazzi del potere e quelli dell’economia. È però evidente che da una parte il rischio di estensione è enorme; e ancora più enorme è il rischo che il forestiero si perda si ritrovi in mezzo alle pallottole. Nel breve periodo, dunque, basta scegliere i luoghi. Nel medio, il ribasso dei prezzi potreb-
be addirittura favorire un aumento delle presenze, anche se con incasso complessivo più basso. Ma nel lungo, le cose sono ovviamente più delicate. Thailandia significa letteralmente “terra degli uomini liberi”, in contrapposizione allo spregiativo Siam che avevano affibbiato ai Thai i Khmer, e che sta per “neri”: per la loro carnagione più scura, rispetto agli altri popoli indocinesi. Di fronte al disprezzo razziale, i Thai avevano risposto proprio esaltando il loro modello di “monarchia benevola”, con il re visto come al servizio del popolo. In aperta
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Arrestati altri due leader della protesta. Il governo: situazione sotto controllo
È caccia all’uomo nelle vie di Bangkok di Laura Giannone n un’atmosfera da day after dopo il cruento blitz per disperdere le camicie rosse e l’anarchia che ne è seguita, Bangkok ieri non è stata un teatro di guerra. Ma finita la battaglia, è cominciata la caccia all’uomo. Le autorità hanno avvertito che «miliziani armati» sono ancora asserragliati in grattacieli e templi intorno a quello che fino a ieri era il presidio dell’opposizione nel cuore di Bangkok, «nei quartieri di Ratchaprasong, Rama IV, Bon Kai e Pratunam» e i soldati hanno assunto il controllo dell’accampamento occupato da migliaia di persone per sei settimane dopo aver affrontato nella notte la resistenza delle camicie rosse. Altri due leader della protesta, intanto, si sono arresi: Veera Musikapong, presidente del Fronte unito per la democrazia, e Weng Tojirakarn, si sono consegnati alle autorità all’indomani della resa di altri cinque elementi di spicco del movimento. E il governo, tramite il suo portavoce Panitan Wattanayagorn, ha già fatto sapere che presto i rivoltosi arrestati verranno giustiziati. Sempre ieri, centinaia di manifestanti, tra cui molte donne e bambini, asserragliati dalla notte di mercoledì in un tempio buddista, sono lentamente usciti scortati dalla polizia dopo aver consegnato le armi. All’interno, sarebbero stati trovati almeno sei cadaveri (ma altre fonti parlano di nove). Secondo le autorità thai il governo avrebbe già «ripristinato l’ordine e la legalità» a Bangkok, ma la tregua è fragile e la situazione rischia di precipitare in ogni momento.
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polemica con la figura satrapesca cambogiana dei Deva Rajah, “i re dei” divinizzati dell’Impero di Angkor. Spaventosi tiranni ordinatori di massacri, deportazioni e lavori forzati di massa, che infatti in qualche modo avrebbero ispirato anche la prassi dei khmer rossi.
Sfruttando anche il suo trovarsi in posizione di cuscinetto tra gli avamposti inglese della Birmania e della Malesia e i protettorati francesi di Indocina, la Thailandia restò anche una delle rare isole di indipendenza, nel momento in cui il resto del Terzo Mondo veniva quasi tutto fagocitato dagli imperi coloniali. Anzi, la storia pur romanzata di Il re e io evoca comunque la vicenda vera del re modernizzatore Rama IV, fautore dell’apertura all’Occidente. È vero che, sempre in nome del quieto vivere, la Thailandia non ebbe scrupoli ad allearsi con i giapponesi e con l’Asse, durante la Seconda Guerra Mondiale. Ma poi approfittò dei nuovi delicati equilibri in Asia per sterzare subito dalla parte degli Stati Uniti, al fianco dei quali mandò anche soldati a combattere in Vietnam. Sarebbe probabilmente eccessivo definire la Thailandia del periodo successivo un’isola di libertà e democrazia, visti i continui colpi di Stato. Ma certamente lo fu di tranquillità, in
particolare rispetto al resto dell’Indocina. E comunque, i regimi militari, pur lunghi, lasciarono sempre il posto a regimi pluralisti con elezioni tra le più libere del Terzo Mondo, e un gioco politico vivace. Anche per questo, la Thailandia attraeva turisti: pur con le già citate magagne della prostituzione e del narcotraffico. E assieme ai turisti erano anche venute multinazionali straniere in quantità Multinazionali che ora stanno facendo i conti, e vedendo se è davvero il caso di restare in un Paese ridotto a un campo di battaglia permanente.
Tra l’altro, tutto il sangue versato sta compromettendo la stessa immagine tradizionale dei thailandesi come “popolo sorridente” per eccellenza. Ovviamente, non è che General Motors e zaibatsu giapponesi possano smobilizzare progetti da decine di miliardi. Intanto, però, i possibili nuovi investimenti stanno venendo cancellati. E poi, si inizierà a studiare se non è il caso di spostare un po’ per volta anche quello che è stato già realizzato. Paradossalmente, i grandi capitalisti sono oggi molto interessati al vicino Vietnam: che si mantiene formalmente comunista, ma di un comunismo alla cinese. Che lascia fare gli affari ai privati che portino dollari e colpisce sul nascere ogni possibile focolaio di disordine.
E benché le camicie rosse abbiano abbandonato il centro della capitale, il governo non ha esistato ad estendere per altre tre notti il coprifuoco nella capitale; un provvedimento che tocca anche altre 23 province del Paese. Domati, intanto, quasi tutti gli incendi (39 in totale, secondo il portavoce dell’esercito, colonnello Sansern Kawekamnerd), appiccati dai dimostranti, ma i danni sono enormi. Distrutti, fra questi, la Borsa thai, una sede dell’Azienda elettrica della capitale, il teatro Siam e il centro commerciale Central World. Da quando le camicie rosse avevano occupato la Ratchaprasong Intersection, 30 mila persone provenienti dalle province rurali, o comunque delle classi più basse, si erano messe a bivaccare di fronte al centro commerciale più grande della Thailandia, dove probabilmente non erano mai entrate. Ma oggi il Central World, punto di riferimento della Bangkok medio-alta, non c’è più: nell’anarchia seguita all’annuncio di resa, gruppi di manifestanti lo hanno dato alle fiamme, sfogando la loro rabbia. Il fuoco è arso per ore senza che i pompieri potessero accorrere sul posto, a causa dei cecchini posizio-
nati attorno. La struttura è indebolita a tal punto che un funzionario dell’autorità metropolitana di Bangkok ha già dichiarato che dovrà essere demolita. Una perdita enorme per la famiglia Chirathiwat, secondo la rivista Forbes la terza più ricca in Thailandia, proprietaria del complesso che fino ai primi anni del Duemila si chiamava World Trade Center.
Intanto il ministero degli Esteri francese ha chiesto all’ex primo ministro thailandese in esilio, Thaksin Shinawatra, di astenersi da ogni presa di posizione pubblica in Francia. L’ex capo del governo ha infatti previsto di tenere un dibattito con la stampa francese il 31 maggio a Parigi. «Tenuto conto del contesto di violenze in Thailandia che abbiamo fermamente condannato ancora ieri, abbiamo fatto sapere a Thaksin, in soggiorno strettamente privato in Francia, che doveva astenersi da ogni manifestazione o dichiarazione pubblica durante il suo soggiorno sul nostro territorio», ha dichiarato il portavoce del Quai d’Orsay, Bernard Valero. Thaksin Shinawatra, icona (e finanziatore) delle camicie rosse, secondo il quotidiano Le Figaro, sarebbe stato fotografato con le buste dei suoi acquisti in un negozio di lusso degli Champs-Elysees mentre
Il ministro degli Esteri francese Kouchner ha chiesto all’ex primo ministro thailandese in esilio, Thaksin Shinawatra, di astenersi da ogni presa di posizione pubblica in Francia le forze dell’ordine thailandesi assaltavano i manifestanti. Il giornale non ha tuttavia pubblicato gli scatti in questione.Sulle violenze in Thailandia continuano anche le accuse di abusi compiuti da entrambe le parti. Secondo l’associazione per i diritti umani Human Rights Watch «la situazione è ormai fuori controllo perché azioni sbagliate sono state commesse da entrambe le parti». E Phil Robertson, vice direttore della Ong per l’Asia, ha fatto un appello affinché gli aiuti vengano fatti passare». Dall’inizio delle proteste sono state uccise 82 persone, e tra queste due giornalisti, uno dei quali l’italiano Fabio Polenghi. Almeno 1.800 i feriti.
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pagina 16 • 21 maggio 2010
Gb. Su punta su riforma elettorale (all’australiana) e riduzione del deficit LONDRA. Molte riforme, molta enfasi da «momento storico», pochissime sorprese. Il governo CameronClegg adesso ha un programma, a due settimane esatte dal voto del 6 giugno. Riforma elettorale, riduzione del deficit, libertà civili, Big Society: tutto in trenta pagine, quattrocento promesse per i cinque anni a venire. Ed è la conferma del patto tra il reuccio David Cameron e il king-maker Nick Clegg: i lib-dem si aggiudicano le riforme istituzionali, ma sono i conservatori ad imporre la linea politica. Con una clausola salva-coalizione: su poche questioni le più controverse, dove l’accordo è stato impossibile - i liberaldemocratici conserveranno il diritto a dissentire, che si tramuterà però in astensione e non in voto contro il governo. L’obiettivo è durare cinque anni. Ma il primo test difficile arriverà già lunedì prossimo, quando il cancelliere George Osborne annuncerà i primi (dolorosi) tagli alla spesa pubblica. «Un programma così non l’avete mai letto», ha esordito Clegg presentando il documento in conferenza stampa. Una conferenza che è proseguita all’insegna della retorica del «cambiamento storico», della «svolta senza precedenti», della «riforma radicale». Nessuna sorpresa rispetto alle attese dei giorni scorsi, ma davvero l’ingresso al governo di Clegg ha impresso al processo di revisione istituzionale un’accelerazione sconosciuta persino ai primi anni del governo Blair. I lib-dem hanno ottenuto la garanzia che i tories accetteranno di indire un referendum sul sistema di voto. I cittadini britannici potranno scegliere se mantenere il maggioritario in vigore oggi (come vorrebbero i conservatori) oppure pas-
A Nick il referendum A Dave tutto il resto Presentato il programma della coalizione composta da conservatori e liberali di Lorenzo Biondi
dei Lord che la renda interamente elettiva e basata sulla rappresentanza proporzionale. La commissione dovrà riferire entro la fine del 2010, anche se non è stata fissata una scadenza per il voto definitivo. In arrivo anche la legge per ridurre il numero dei parlamentari e ridisegnare le circoscrizioni elettorali (che al momento
L’obiettivo è quello di durare cinque anni, ma lunedì arrivano i primi dolori: Osborne annuncerà i temuti tagli alla spesa pubblica sare ad un sistema di «voto alternativo»: la proposta liberale conserverebbe le circoscrizioni uninominali, ma darebbe all’elettore la possibilità di esprimere più di una preferenza, numerando i candidati nell’ordine che preferisce.Vince il candidato con più «prime preferenze», ma i candidati con più «seconde preferenze» verrebbero ripescati in dei collegi unici regionali. In tempi rapidi verrà istituita una commissione parlamentare per una riforma della Camera
favoriscono fortemente il partito laburista), e la norma che fissa la durata della legislatura a cinque anni, con possibilità di scioglimento anticipato solo con un voto in parlamento a maggioranza qualificata (55%). Fin qui solo buone notizie per Clegg. Nel resto del programma, però, la mano di Cameron e soci si fa sentire molto più pesantemente. Innanzitutto sulla riduzione immediata del deficit. Anche i lib-dem in campagna elettorale avevano promesso più
Cameron cerca di ricucire con Sarkò e Merkel
Un euroscettico a Parigi Appena il tempo di presentare il programma della coalizione e presiedere un incontro di partito, e già David Cameron era in aereo per il suo primo tour continentale. Pomeriggio in Irlanda del Nord, poi cena all’Eliseo con Nicolas Sarkozy, e stamattina a Berlino per incontrare la Merkel. L’obiettivo è scongelare i rapporti, dopo la scelta di Cameron di abbandonare il Ppe. Sono bastati pochi giorni per far capire la linea del nuovo governo sull’Europa. Euroscetticismo pragmatico, ovvero: difendere sempre l’interesse nazionale contro quello degli «eurocrati», ma senza irrigidirsi su obiezioni di principio e ideologe. E infatti il cancelliere Osborne ha rinunciato a dare battaglia sulla direttiva europea sugli hegde funds,
approvata formalmente all’Ecofin ma già contrastata dal governo Brown. La Merkel ha apprezzato il gesto. Invece il programma di governo ha ribadito che Londra si opporrà ad ogni ulteriore trasferimento di poteri verso le istituzioni dell’Unione e che «difenderà con forza l’interesse nazionale britannico nei negoziati per il prossimo bilancio dell’Ue». Sarkozy - il difensore dei fondi europei ai contadini francesi non sarà contento. In cambio chiederà una maggiore collaborazione franco-inglese su difesa e nucleare. E poi c’è l’euro in crisi. I tories non vogliono saperne di aiutare la valuta unica, ma potrebbero essere costretti alla mediazione: l’euro debole è una brutta notizia per le esportazioni bri(l.b.) tanniche.
rigore sui conti pubblici, ma preferivano parlare di tagli nel medio periodo più che nell’immediato. Invece si comincerà da subito: niente aumenti delle imposte, ma tagli per 6 miliardi di sterline a partire da subito. Cosa si taglierà? La coalizione promette: solo le spese superflue, come gli sprechi della pubblica amministrazione, e nessun servizio di base. Ma i dettagli rimangono fuori dal programma: li presenterà lunedì prossimo il cancelliere Osborne, braccio destro di Cameron. Riesumata dal programma elettorale conservatore, riappare la Big Society, contrapposta al Big State laburista. In concreto, si promettono incentivi all’apertura di nuove scuole private e ad una gestione dei servizi pubblici più vicina al cittadino. Interessante la proposta di usare i capitali dei conti bancari «dormienti» per finanziare una «Big Society bank» che aiuti le associazioni non governative e non-profit.
Clegg, che aveva criticato duramente le «fumose» proposte di Cameron, ha buttato acqua sul fuoco: «Abbiamo usato parole diverse per le stesse cose: liberalismo per noi, Big Society per loro». In effetti su alcuni temi tories e liberaldemocratici hanno molto in comune: insieme si erano opposti alle leggi anti-terrorismo di Blair, all’introduzione della carta d’identità obbligatoria, alla diffusione delle telecamere a circuito chiuso. Ma le divergenze rimangono. Per cercare il compromesso tra le posizioni dei due partiti, il programma prevede l’istituzione di una quantità di commissioni, che contrasta nettamente col proposito di ridurre i costi della politica. Una sorta di accordo di nonbelligeranza è stato stretto sulla deterrenza nucleare (che i lib-dem vorrebbero dismettere) e sugli sgravi fiscali per le giovani coppie sposate (che secondo i liberali discriminano le altre coppie). Il capogruppo del partito di Clegg potrà esprimersi in parlamento contro la proposta del governo, ma chiederà ai suoi colleghi di gruppo di astenersi, per non mettere i bastoni tra le ruote ai conservatori. Anche sull’immigrazione hanno vinto i tories: gli accessi per i cittadini extracomunitari non potranno superare un tetto annuale. E sulla politica estera Clegg ha lasciato carta bianca. Cameron è già in viaggio, per far conoscere la sua nuova Gran Bretagna al resto d’Europa.
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21 maggio 2010 • pagina 17
Stretta contro i network per vignette anti-Maometto
Il Nord nega di aver silurato una corvetta. Ma ci sono le prove
Il Pakistan oscura Facebook e You Tube
Pyongyang minaccia Seul, la tensione è alle stelle
ISLAMABAD. Prima Facebook, poi YouTube. Nell’arco di 24 ore le autorità pachistane hanno bloccato l’acceso ai due popolarissimi siti per aver pubblicato delle immagini sul profeta Maometto giudicate «blasfeme» dall’Alta Corte di Lahore. A scatenare l’oscuramento «a tempo indefinito», imposto ai provider dall’Autorità pachistana per le telecomunicazioni su ordine del tribunale, è stato un concorso organizzato su Facebook che invita a mandare entro oggi delle caricature di Maometto. Al momento la pagina su facebook che ospita la competizione, chiamata «Everybody Draw Mohammed Day», ha ricevuto oltre 500 disegni e conta più di 7400 followers.
SEUL. Seul vuole giustizia e Pyongyang minaccia la “guerra totale”. Torna alta la tensione tra le due Coree, dopo che un’inchiesta condotta dal Sud insieme a esperti internazionali ha accertato che la corvetta Cheonan fu affondata da un siluro nordcoreano. Alle accuse al regime comunista, Seul ha fatto seguire la minaccia di adottare misure “decise”. La risposta non si è fatta attendere: il Nord è pronto al conflitto se saranno adottate nuove sanzioni. Il rapporto redatto da inquirenti di Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna e Svezia ha concluso che il siluro che ha affondato la corvetta e ucciso 46 marinai era stato lanciato da un sottomarino o da una nave
Catturato in Francia uno dei vertici dell’Eta Quattro arresti alla frontiera: fra questi anche “Aka” di Massimo Ciullo
Tra loro figurano anche alcuni celebri critici della religione islamica, come il politico olandese d’estrema destra Geert Wilders e la femminista somala Ayaan Hirsi Ali, che aveva lanciato l’idea dopo che gli autori di South Park, il celebre cartoon, avevano avallato una puntata in cui il profeta veniva caricaturizzato. Puntata probabilmente anche alla base dell’attentato (scongiurato) di Times Square. Creata da un utente anonimo, la pagina di Fb annuncia che il suo
MADRID. Altro duro colpo inferto dalla polizia francese all’Eta, l’organizzazione separatista che rivendica l’indipendenza dei Paesi Baschi. Tra gli arrestati figurerebbero i vertici del gruppo terroristico, sorpresi in un appartamento in una località nei pressi di Bayonne, nel sud della Francia, poco distante dalla frontiera con la Spagna. All’alba di ieri, in un’operazione congiunta tra la Gendarmeria francese, la Guardia Civil e gli uomini dell’anti-terrorismo di Madrid, sono stati catturati tre uomini e una donna. L’operazione è ancora in corso e le forze di sicurezza stanno ispezionando altre abitazioni alla ricerca di covi e fiancheggiatori.Tra gli arrestati figura Mikel Kabikoitz Carrera Sarobe, classe 1972, nome di battaglia “Ata”, ritenuto l’attuale capo militare della banda. Arkaitz Agirregabiria del Barrio, 27 anni, è invece sospettato di aver fatto parte del commando che ha partecipato all’omicidio di Jean-Serge Nérin, un gendarme francese ucciso alla periferia di Parigi, ultima vittima dell’Eta in senso cronologico. La donna risponde al nome di Maite Aranalde, da diversi mesi latitante, sfuggita al regime di libertà vigilita a cui era stata sottoposta dalle autorità francesi. Il quarto arrestato è Benoit Aramendi, un presunto fiancheggiatore dell’organizzazione terroristica. Insieme a quest’ultimo, è stata fermata anche la sua compagna, Laetitia Chevalier, che è stata trovata nello stesso appartamento durante l’irruzione della polizia. Carrera è considerato dagli esperti dell’antiterrorismo uno degli irriducibili della banda e aveva legami strettissimi con il precedente capo militare dell’organizzazione, Garikoitz Aspiazu, detto “Txeroki”, catturato sempre in Francia nel novembre del 2008. Originario di Pamplona, Navarra, nemmeno quarantenne, Carrera ha scelto di darsi alla latitanza nel 2003, nonostante la magistratura spagnola non avesse emesso alcun provvedimento contro di lui. L’intelligence spagnola ha quindi ricostruito la sua carriera all’interno del gruppo di fuoco dell’Eta e lo ha
messo in relazione con l’omicidio del dirigente della sezione aragonese del Partido Popular, Manuel Giménez Abad, avvenuta nel maggio del 2001 e con l’assassinio di almeno tre poliziotti, avvenuti in Spagna, tra il settembre del 2002 e il maggio dell’anno successivo.
Per l’antiterrorismo di Madrid, Carrera aveva assunto il comando dell’ala militare dell’Eta, dopo la cattura di Ibon Gogeascoetxea, avvenuta lo scorso marzo. In realtà, negli ultimi tempi, all’interno dell’organizzazione si era costituita una duarchia tra Carrera e Jurdan Martitegi, caduto nella rete degli investigatori a Perpignan, sempre in Francia, nell’aprile dello scorso anno. A Carrera vengono attribuiti gli ultimi tentativi di riorganizzare l’Eta, decimata dagli arresti, intorno ad un nucleo di “duri e puri”. Del suo progetto facevano parte le ultime generazioni di etarras, cresciuti nelle fila della “kalle borroka”, la scuola di guerriglia urbana. Carrera poteva inoltre contare sul supporto di un veterano del calibro di José Luis Eciolaza detto Galán, “Dienteputo”, oltre che su Eneko Gogeascoetxea, fratello di Ibon, da cui aveva rilevato il comando militare. Quasi tutti i suoi piani hanno avuto però, un esito negativo. Considerata la proficua collaborazione tra Madrid e Parigi che ha consentito nel volgere di pochi anni di smantellare i santuari dell’Eta in Francia, Carrera aveva deciso di spostare altrove i covi. Ma la sua idea di trasferire buona parte dell’arsenale esplosivo del gruppo in Portogallo è stata frustrata dalla polizia portoghese e dalla Guardia Civil che hanno scoperto il nuovo covo, ad Obidos. Anche il tentativo di stabilirsi a Girona, così come quello di riattivare i vari commandos in Euskadi, sono stati subito scoperti e vanificati dalla sorveglianza della Guardia. Il ministro degli Interni di Madrid, Rubalcaba, ha parlato nuovamente di «caduta della cupola dell’Eta», dimenticando però, che aveva già usato la stessa espressione in occasione dei precendenti arresti.
A lui vengono attribuiti i nuovi tentativi di riorganizzare il gruppo, decimato dagli arresti, intorno a un nucleo di “puri”
obiettivo è «incoraggiare una discussione libera sulla brutalità degli aspetti radicali dell’Islam». L’idea di Ayan Hirsi Ali era che davanti a una cragnuola di immagini, i fondamentalisti non avrebbero potuto prendersela con tutti e lanciare centinaia di fatwa. Certo è che alcune immagini postate su Facebook contengono allusioni e provocazioni dal potenziale esplosivo. Per esempio: una faccia barbuta sopra un corpo in bikini; il modellino di un uomo col turbante che sta per essere risucchiato da uno sciacquone; un aereo lanciato sulle Torri Gemelle sopra uno striscione che dice «Islam: una religione di pace».
di Pyongyang. «Non c’è altra spiegazione possibile» si legge nel documento che, secondo il regime del Nord, si fonda su prove false. La condanna della comunità internazionale è stata immediata, con l’eccezione della Cina, unico alleato rimasto di Pyongyang nella regione, disperatamente impegnata a evitare il collasso del regime che riverserebbe oltre confine milioni di profughi. Secondo il governo sudcoreano, l’affondamento della Cheonan è una vendetta per lo scontro a fuoco sul confine marittimo dal quale l’anno scorso la marina del Nord uscì umiliata.
Per il segretario generale delle Nazioni Unite la conclusione dell’inchiesta è «profondamente inquietante». Sia Washington che Londra hanno sposato appieno l’esito dell’indagine e la Casa Bianca ha esplicitamente parlato di un atto di aggressione che costituisce l’ennesima prova dell’inaccettabile comportamento del regime. Pechino diplomaticamente parla di “incidente sfortunato” e invita a mantenere la stabilità nella penisola. Intanto il presidente sudcoreano Lee Myung-bak terrà domani una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza nazionale.
cultura
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Capolavori. Colpo clamoroso al Museo d’arte moderna: un uomo incappucciato ha sottratto preziose opere dell’avanguardia per un valore di 500 milioni di euro
Ultimo furto a Parigi Dalla “Donna con ventaglio” di Modigliani a “Il piccione a pois” di Picasso: nel borsone del ladro c’è un importante pezzo di ’900 di Francesco Lo Dico
PARIGI. Davanti agli occhi sgranati degli addetti alla sicurezza arrivati di corsa al numero undici dell’avenue du Président Wilson , c’erano frantumi di vetro e un catenaccio spaccato in due. Ma non era ciò che era rimasto a turbare la mattinata dei vigilantes, ma quello che era sparito. Perché nell’arco di una notte, dal Musée d’Art Moderne de la Ville di Parigi, è stato acclarato che qualcuno ha trafugato cinque capolavori dell’arte moderna. Nell’ordine, l’uomo sgattaiolato nottetempo nei corridoi del palazzo, ha sottratto La donna con ventaglio di Amedeo Modigliani, La pastorale di Henri Matisse, L’Olivier pres de l’Estaquè di Georges Braque, la Natura morta con candelabri di Fernand Leger, e Le pigeon aux petits pois di Pablo Picasso. Molto probabilmente, a loro insaputa. Sapeva benissimo invece che cosa trafugare, il ladro irresistibilmente dandy, che dal museo sedicesimo arrondissement con vista sul Trocadero, ha portato via con abile mano, cornici dal valore stimato di cinquecento milioni di euro. I primi dettagli sull’identità dei colpevole, non sono particolarmente incoraggianti. E scomodano il mito di Arsenio Lupin. Non sarà semplice recuperare cinque pezzi così pregiati, perché al momento il lestofante, a parte lo spiccato apprezzamento per la scuola post-impressionista, sembra aver lasciato dietro di sè nient’altro che labili indizi. La brigata repressione del banditismo (Brb) incaricata delle indagini, come si diceva una volta nei romanzi noir, brancola nel buio. A loro disposizione
po, l’uomo incede con allure raffinato tra i corridoi, ostentando una certa boriosa sprezzatura per la congerie di statue e quadri che ne intralciano il campo visivo che lo separa dagli amati beni prendi cinque paghi zero. Sopraggiunto nelle sale, in poche studiate tappe, affida al taglierino il compimento dell’opera d’arte. Un’incisione chirurgica attorno ai bordi, e le tele finiscono finalmente tra pollici e indici, per venire pazientemente arrotolate con solerzia degna di una marmotta. Un borsone di tela a tracolla, che spenzola dietro le sue spalle, è l’ultima immagine che resta, prima che la notte inghiotta di nuovo il furfante dalle mani vellutate. Progressione lineare, nessuna capriola o salto carpiato. Il ladro ha cammiLa “Donna con ventaglio” nato in linea retdi Modigliani, dipinto a olio ta, ha intascato che il maestro livornese realizzò tutto con povertà nel 1919 a partire da un ritratto coreografica didedicato a Lunia Czechowska sarmante, e solo per nobiliare tamente in tinta, l’uomo in- sprezzatura, si è risparmiato frange il vetro con delicatezza alla fine dell’impresa di bocsartoriale, consapevole che cheggiare da un sigaro a favonon è collegato al sistema re di telecamera. Nella borsa d’allarme. Pochi secondi dopo dell’uomo, un bel manuale di sfila di tasca una seghetto e si storia dell’arte contemporadedica amorevole a scardinare nea in cinque capitoli. Innanl’inferriata. Quindi mano alle zitutto un Modigliani prestipinze, e il lucchetto si accascia gioso, come La donna con venper terra tramortito. Poco do- taglio. Conosciuto anche come Ritratto di Lunia Czechowska con ventaglio è un “L’Olivier pres dipinto ad olio su tela di (100 x de l’Estaque” 65) che il maestro livornese di Georges realizzò nel 1919 per la donna, Braque, intima amica conosciuta a Paolio su tela rigi per tramite della famiglia realizzato Zborowski. È la stessa Lunia, dal maestro a raccontare così la genesi cubista dell’opera nei suoi ricordi: a 24 anni, «Mentre preparavo la cena mi in un paesino chiese di sollevare il capo per francese qualche istante e, al lume della candela, abbozzò un mirac’è soltanto una registrazione delle telecamere a circuito chiuso, che sembra una sequenza tratta di peso dalla versione casalinga di un film di Luc Besson. Inguainato in un nero d’ordinanza, coronato da un passamontagna squisi-
bile disegno sul quale scrisse: “La vita è un dono dei pochi ai molti: di Coloro che sanno e che hanno a Coloro che non sanno e che non hanno”». E c’è poi La pastorale di Henri Matisse, realizzata dal francese nel 1905 in coincidenza con l’inizio della breve svolta fauve. E ancora, L’Olivier pres de l’Estaque di Georges Braque, pittura a olio su tela realizzata dal maestro cubista all’età di ventiquattro anni, nel piccolo villaggio del sud della Francia, che aveva ospitato e ispirato Cezanne. Altra opera cubista di rilievo, è inoltre la Natura morta con candelabri di Leger. E infine il borsone si richiude su Il piccione a pois di Picasso, lavoro nel quale l’artista volle immortalare alla sua maniera un volatile che non ha mai riscosso troppe simpatie se non in piazza San Marco, dove notoriamente non albergano lenzuola ad asciugare.
La stampa francese non sembra aver accolto il colpo con l’entusiasmo che si riserva ai gialli di Chabrol. Nè sembra appassionarsi granché all’avvincente tema del grado di sicurezza garantito dai sistemi di vigilanza della Capitale. Molti giornali transalpini tendono a dissipare i clamori sorti intorno alla vicenda, sottolineando come in passato numerose opere di “La pastorale” di Henri Matisse, grandi maestri siarealizzata dal maestro francese no state proditorianel 1905 in coincidenza mente sottratte dalcon l’inizio della breve svolta fauve la Ville Lumière. Gli addetti ai lavori non mostrano invece altrettanto aplomb. «È stupi- Nessuno può pensare di vendedo rubare quadri così, si tratta re questi quadri, per questo didi imbecilli e basta» ha com- co che è stupido rubarli. A mementato Pierre Cornette de no che non si voglia fare un riSaint-Cyr, commissario delle catto alle assicurazioni. Ma io esposizioni del Palais de Tokyo, sono convinto che li ritroverenel quale sorge l’edificio pari- mo. Con quadri del genere è gino destinato all’arte contem- così, è successo con L’Urlo di poranea. «Con quadri del ge- Munch». Il commissario si rifenere non ci si può fare niente – risce al furto dell’opera espresspiega Cornette de Saint-Cyr sionista avvenuto a Oslo nel alla tv Lci – tutti sono già al 2004. Allora la banda criminacorrente, i siti internet sono già le, che aveva già in curriculum pieni di notizie e immagini. svariate rapine, barattò la re-
cultura
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Breve storia dei furti artistici più celebri, da Leonardo a Van Gogh
E i voleurs rubarono il sorriso a Monna Lisa
Tutto cominciò con la Gioconda e un sospettato d’eccezione: il grande poeta Guillaume Apollinaire di Marco Ferrari l furto dei cinque quadri dal Museo d’arte moderna di Parigi è solo l’ultimo dei colpi impossibili espletati o tentati da ladri su commissione. Gran parte delle opere trafugate tornano al loro posto, ma una consistente fetta prende il volo per sempre. Per questo l’Interpol ha aperto un sito con un menu di 34mila pezzi di pregio rubati, un caveau di meraviglie perdute per tutelare i legittimi proprietari e mettere in guardia le case d’asta da oggetti di dubbia provenienza.
I
Il colpo grosso messo a segno a Parigi segna un secolo di furti d’arte. Infatti il 15 agosto 1911 fu compiuto a Parigi il tentativo di rapina più celebre della storia: la Gioconda di Leonardo daVinci. Nonostante i primi sospetti siano ricaduti sul poeta francese Guillaume Apollinaire, l’autore era un emigrato italiano, il pittore Vincenzo Perugia, che rubò la Monna Lisa uscendo dal museo con il quadro sotto il cappotto. Al momento dell’arresto il ladro dichiarò di aver agito per motivi patriottici. Il povero Perugia era ancora invaghito del sogno di riportare a casa tanti capolavori che Napoleone aveva sottratto alla penisola italica, come ad altri paesi dove aveva posato i suoi stivali imperiali secondo una non casuale pianificazione messa a punto dal barone Dominque Vivent Denon, consulente-ombra del córso, poco avvezza all’arte e molto ai cannoni. Nel 1985, nove dipinti, tra i quali Impressioni al levar del sole di Claude Monet, sono stati sottratti dal Marmottan Museum di Parigi. Nel 1991 le opere sono state ritrovate in una villa in Corsica. L’anno successivo 18 dipinti del valore di oltre 50 milioni di dollari sono stati rubati nella Russborough House di Contry Wickow, in Irlanda. I ladri furono molto ingegnosi: fecero volutamente scattare l’allarme e attesero all’esterno che la polizia se ne andasse dopo aver pattugliato l’edificio.A quel punto agirono indisturbati. Nessuno tornò sul luogo del delitto. Col tempo, però, 16 pezzi sono state recuperati.Tre opere di Vincent Van Gogh sono state sottratte nel 1988 dal Kröller-Müller Museum di Otterlo, in Olanda. Nello stesso anno un Beato Angelico e un Tintoretto sono stati prelevati nella Colnaghi Art Gallery di NewYork. Come in un film, i ladri si sono introdotti nell’edificio calandosi da un lucernaio. Due anni dopo 13 delle 29 opere sono state ritrovate. Uno dei più grandi furti degli Stati Uniti è stato compiuto nell’Isabella Steward Gardner Museum di Boston nel 1990 quando due uomini vestiti da agenti della polizia si introdussero nell’edificio e misero fuori gioco le guardie. In 80 minuti raccolsero opere di Rembrandt,Vermeer, Manet e Degas per un valore di 300 milioni di dollari. Sono ancora tut-
te nell’oblio con una“taglia”di 5 milioni di dollari per un eventuale soffiata. Nel 1991 venne compiuto il più complesso furto di opere d’arte della storia. Ben 20 capolavori di Van Gogh, tra i quali il celebre I girasoli, sono stati sottratti dal Van Gogh Museum di Amsterdam. Le opere vennero ritrovate poche ore dopo il furto, in un’auto abbandonata, ma tre tele furono seriamente danneggiate. Si è discusso molto del furto de L’Urlo di Edvard Munch, dipinto ne 1893, rubato nel 1994 nella National Gallery di Oslo. I ladri si arrampicarono fino a una finestra, facendo scattare l’allarme. Ma le guardie ignorarono il segnale dando loro il tempo non solo di fuggire con la tela, ma anche di lasciare un ironico biglietto: “Grazie per la pessima sicurezza”. Per fortuna del museo e dell’arte l’opera è stata recuperata alcuni mesi dopo. Nel dicembre del 2000, pochi minuti prima della chiusura, tre uomini incappucciati entrarono nel National Museum di Stoccolma, in Svezia. Nel 2002 è stata la volta di cinque capolavori, tra i quali alcuni dipinti di Tintoretto e di Murillo, rubati nel corso della più importante mostra tenuta in Paraguay. I ladri scavarono un tunnel da un vicino negozio che avevano preso in affitto sotto falso nome fino al museo dove erano conservate le tele. L’anno dopo è toccato a Leonardo essere preso di mira. Questa volta i ladri hanno posto lo sguardo su la Madonna dei fusi (1501), valore di oltre 35 milioni di euro. Per il duca di Buccleuch è stato un colpo al cuore quando ha scoperto il furto nel suo storico castello, in Scozia.
Nel 2007 sparirono due quadri di Picasso. Furono ritrovati tempo dopo: per la polizia, erano “privi di valore”
“Il piccione a pois” di Pablo Picasso, olio che il maestro cubista volle dedicare al volatile poco amato stituzione della tela con una riduzione di pena.
Ma è successo allo stesso Pablo Picasso, ormai record-man di un settore in grande espansione nella filiera parigina, non più di qualche mese fa in Costa Azzurra. Nella ridente location di La Cadiere d’Azur, lo scorso gennaio, alcune tele del maestro cubista sono state rubate insieme a una trentina di capolavori assortiti che un collezionista privato aveva pazientemente (e forse non troppo furbescamente) raccolto nella propria abitazione. Assicurandosi per giunta di lasciarla, lui che abita in Costa Azzurra, per andare a fare le meritate vacanze da un’altra parte. Un colpaccio da stropicciarsi gli occhi, che era arrivato all’indomani del furto delle Choristes di Edgard Degas (30
“Natura morta con candelabri” di Fernand Leger opera cubista nota per il ritmo antifigurativo
milioni di euro tondi tondi) dal Museo Cantini di Marsiglia, dove era stato appena messo a dimora direttamente dal d’Orsay di Parigi. Fosse accaduto a Napoli, avremmo sentito Salvini denunciare a voce alta l’antropologica cleptomania del terrone.
La tela è stata ritrovata dalla polizia di Glasgow nell’ottobre 2007. Sempre in Gran Bretagna nella notte tra il 26 e il 27 aprile 2003 alcuni ladri si sono introdotti, ovviamente senza biglietto, nella Whitworth Gallery di Manchester per portare via 3 quadri: Paesaggio tahitiano di Gauguin, Fortificazioni di Parigi di Van Gogh e Povertà di Pablo Picasso. Nel 2004 due uomini armati e a volto coperto si introdussero in pieno giorno tra la folla attonita nel museo di Munch (Munchmuseet) di Oslo e, armi alla mano, scapparono con sotto braccio il celebre Urlo,. Due celebri quadri di Pablo Picasso, sono stati rubati il 28 febbraio 2007 dall’abitazione della nipote dell’artista, Diana Widmaier-Picasso. Si trattava di ”Ritratto di Jacqueline”, dedicato alla seconda moglie nel 1961 e ”Maya con la bambola”del 1938. Le opere sono state ritrovate dopo alcuni mesi. I ladri, che le avevano inserite in tubi di cartoni, avevano tutta l’aria di ”studenti di arte con delle tele prive di valore”, ha scritto la polizia nel rapporto.
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a natura non ha vuoti. Ognuno occupa meravigliosamente il proprio posto». Così diceva Darwin, pressappoco 150 anni fa e, se non contestualizzassimo quest’affermazione, oggi, affacciati appena sul nuovo millennio, ci verrebbe da ridere. La prenderemmo per una battuta, forse dal retrogusto amaro, ma certamente non come un enunciato dotato di veridicità. Abbiamo, giustamente, la coda di paglia e a rubare posti che non ci spettano, a combinare marachelle eco-distruttive, salvo poi piangere lacrime da coccodrillo, noi umani siamo davvero esperti. Così, a ricordarci le buone maniere, a sottolineare i problemi che il lassismo ambientale, gli abusi alla terra e l’“individualismo-egoismo” hanno procurato, arriva la Settimana della Biodiversità.
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Dal ieri fino al 22 maggio, all’Auditorium - Parco della Musica di Roma. A voler essere precisi sono solo 4 giorni, un lungo weekend che vedrà la struttura di Renzo Piano contenitore di eventi, presentazioni, conferenze e tavole rotonde per sensibilizzare l’insubordinato genere umano ai temi della sostenibilità, dell’alimentazione e dell’ambiente. In realtà, a voler essere davvero pignoli questo, il 2010, è addirittura l’anno, così hanno deciso quelli della Nato, della biodiversità e l’iniziativa romana è soltanto una delle tante - necessarie - per riflettere e, si spera, agire in maniera eco-sostenibile. Così, insieme alle domande formulate per attirare l’attenzione, specchietti per le allodole, slogan pubblici-
Rassegne. All’Auditorium di Roma si celebra la “Settimana della Biodiversità”
Quando il cibo incontra la cultura di Livia Belardelli Petrini, fondatore e presidente internazionale di Slow Food, che ha aperto il festival con la presentazione di Terra Madre. Come non farsi mangiare dal cibo (Giunti - Slow Food Editore) dove espone, partendo dalla crisi energetica, climatica, alimentare e finanziaria, la necessità di affrontare il futuro ripartendo dall’alimentazione, riscoprendo la centralità del cibo e il suo valore autentico. Il tutto avvolto da una copertina su cui
tari da festival - “Perché gli Italiani mangiano la pasta? Perché esistono pomodori di diverse forme? Vorreste conoscere le origini della dieta mediterranea? – la kermesse romana offre davvero una sfilata di eventi rilevanti (bioversityinternational.org per il programma dettagliato) per scoprire i legami tra natura, cibo e cultura. È proprio il cibo, snaturato fino al declassamento a banale prodotto di consumo, oggetto di spreco continuo, il fulcro su cui si vuole riflettere, l’alimentazione come alternativa a un futuro di crisi. Di questo parla il nuovo libro di Carlo
cade l’occhio: una stilizzata e ironica apocalisse in cui un omino scuro, solo in un grande piatto vuoto, è minacciato da un’enorme forchetta incombente. A seguire, il focus Colture locali e turismo: una buona ricetta? per approfondire il rapporto tra turismo responsabile, biodiversità e agricoltura e comprendere come iniziative virtuose e una reale sinergia tra le componenti possa diventare efficace strumento contro la
più del 2008. La crescita della sottoalimentazione, chiariva il direttore generale della Fao Jacques Diouf poco meno di un mese fa, si spiega con la diminuzione degli investimenti nel settore agricolo, con la crisi economica e con la conseguente diminuzione dei redditi e la forte disoccupazione. Serve dunque una «politica mondiale della sicurezza alimentare» mirata ad aumentare la produzione agricola e un ripensamento dei sistemi agricoli a favore di una maggiore diversità di colture. Su questi ultimi due punti si discuterà nel talk show Biodiversità? Cibo sostenibile per tutti dove la dieta mediterranea si fa protagonista, modello esportabile sostenibile e sano. Si prosegue domani con la tavola rotonda su Diritti degli agricoltori, uso sostenibile dell’agrobiodiversità e politiche internazionali e, proclamata questa la Giornata Mondiale per la Biodiversità, i leader delle organizzazioni internazionali del polo agro-alimentare si riuniranno per la tavola rotonda Call for action, per esaminare le modalità per sfruttare il potenziale della biodiversità agraria a favore della sicurezza alimentare mondiale.
La domenica invece è dedicata ai cambiamenti climatici, legati a filo doppio con l’agricoltura e l’alimentazione con due focus su come adattarsi alla mutevolezza del clima. Tra le altre proposte, prima di concludere, un accenno va fatto al progetto Rural4kids, che ha interessato i bambini di alcune scuole romane sulle tematiche ambientali e del mondo rurale, oggetto del laboratorio
povertà. Nella giornata di oggi l’alimentazione resta il fil rouge da seguire con uno sguardo preoccupato - al futuro per capire come sopperire alle esigenze di oltre 9 miliardi di persone (questa la stima per il 2050) in un mondo dove ogni 5 secondi muore di fame un bambino. Gli ultimi dati della Fao fotografano una situazione preoccupante, parlano di oltre un miliardo di persone che soffrono la fame, 105 milioni in
La struttura progettata da Renzo Piano ospiterà eventi, presentazioni, conferenze e tavole rotonde per sensibilizzare “l’insubordinato” genere umano agli attualissimi temi della sostenibilità, dell’alimentazione e dell’ambiente Si è inaugurata ieri a Roma la Settimana della biodiversità. Ad aprire i lavori, la presentazione del libro di Carlo Pterini “Terra Madre” (qui a destra)
Rural4kids-I bambini raccontano la biodiversità. Sempre per i più piccoli anche La spesa consapevole-Gioco educativo sull’importanza del consumo responsabile, di respiro forse meno globale ma, proprio per questo, come le fondamenta di un palazzo, di importanza sostanziale. È dalle piccole cose di casa nostra che si dovrebbe cominciare. Per arrestare la deriva consumistica, gli sprechi e sensibilizzare davvero il genere umano tutto, non solo i bambini, a un atteggiamento responsabile nei confronti di un pianeta che ha un dannato bisogno di attenzioni.
spettacoli
21 maggio 2010 • pagina 21
Passerella. Applausi, flash, fan, autografi: ieri alla Croisette il protagonista è stato il leader dei Rolling Stones, Mick Jagger
Cannes incorona il “diavolo” di Andrea D’Addio
CANNES. Da Cannes al resto del mondo, è la Rolling Stones week quella appena trascorsa. Una grossa operazione commerciale e di marketing che passa dall’autopromozione fatta in prima persona da Mick Jagger ai dati sulle rilevanti vendite musicali dell’ultima settimana in Europa. E dire che tutto parte non da un nuovo lavoro, ma dalla rimasterizzazione, con l’aggiunta di una decina di inediti, del vecchio Exile on Main Street, datato 1972. Uscito il 18 maggio, l’album ha appena raggiunto la testa della classifica inglese, prima volta dopo 16 anni, mentre un dvd sul fantastico tour che seguì la pubblicazione dell’ellepì è pronto per il prossimo giugno. Ma non è tutto: la prémiere di un documentario sulla storia che portò alla realizzazione sempre dello stesso lavoro è diventata, per il leader della band, l’occasione per sbarcare a Cannes e riunire sotto il sole estivo della Costa Azzurra migliaia di fan. Flash, saluti a margine e sorrisi di circostanza. Nessuna possibilità di acquistare i biglietti, la sala è stata occupata solo da giornalisti e dai fortunati che avevano ricevuto un invito ufficiale. Insomma, non un incontro per il pubblico, ma senza dubbio una buona operazione mediatica che rilancia, semmai ce ne fosse stato bisogno, il mito della più grande rock’n’roll band del mondo. Il film si chiama Exile on the Stones, è diretto dal quarantenne Stephen Kijak e racconta come e perché i Rolling Stones si ritrovarono in
zione degno della curva di uno stadio. Nel post-proiezione, il tempo a disposizione è invece dedicato a un “domanda e risposta” con il pubblico. «La rivalità coi Beatles? Noi eravamo una live band, loro no. Non sono apparsi dal vivo fino al ’66, sono sempre stati isolati. Non erano mai nei nostri pensieri». Le recensioni dell’album uscite dopo la pubblicazione furono terribili. «Non direi che erano brutte, certo, non erano nemmeno buone, ma poi col tempo
pubblico viveva con noi la prossima lontananza». Arrivati in Francia, la vita autodistruttiva della band a base di droga e divertimento, raggiunse uno dei suoi apici. «Non fu certo una vacanza da consigliare ai bambini». In una sequenza Keith Richard sintetizza così il suo rapporto con il cantante: «Siamo gli esatti opposti. Lui deve sapere cosa farà domani, io invece vivo alla giornata. Ma
sce con il sentirsi lontani dai racconti. Riaccesesi le luci, la gente si alza in piedi in ascetica attesa. Quando appare, Mick Jagger è giovanile come al solito, vestito grigio di raso, camicia bianca e scarpe da ginnastica. I capelli? Scompigliati come sempre. Ha 66 anni, ma guardandolo ci si aspetta che da un momento all’altro possa fare sul palco uno dei suoi leggendari da movimenti ballerino. Quando circa un’ora prima si era presentato sul palco per introdurre la proiezione, aveva provato a parlare francese. «Sono fiero di essere qui. Questo film racconta di quando eravamo giovani, belli e stupidi, anche se stupidi lo siamo ancora adesso. In quel periodo c’era Nixon alla casa Bianca, c’era la guerra del Vietnam, c’era il Tour de France, ma noi non ne sapevamo niente, perché in quel momento l’unica cosa che sapevamo era che volevamo fare il disco». Il passaggio all’inglese avviene subito dopo, ma quanto pronunciato in lingua locale è abbastanza per suscitare, tra il pubblico francese, un grido di soddisfa-
cambiarono. Si trattava di un lavoro molto diverso dalle altre nostre cose, e ci mettemmo moltissimo a scriverlo, fu meno impulsivo». Che effetto fa stare qui a Cannes, a pochi km da dove questa storia ebbe inizio?
L’artista in Francia ha promosso la rimasterizzazione di “Exile on Main Street” e la prima di un documentario sulla storia che portò la grande band a realizzare l’album una villa a Villefranche-surMer, vicino Nizza, a comporre quello da molti considerato uno dei capolavori della musica contemporanea. I problemi con il fisco inglese, oltre a un manager che non aveva saputo amministrare le loro entrate, ma che al contrario, era riuscito ad accaparrarsi un’altissima percentuale sulle loro entrate, spinsero il gruppo a ritirarsi nel sud della Francia. Il timore di perdere il proprio affezionato pubblico connazionale era grande, ma il denaro è il denaro. Afferma Jagger durante il film che «la tournée dell’addio fu caratterizzata da una strana atmosfera. Non riuscivamo a essere disinvolti sul palco e il
siamo legati: lui è Rock e io sono Roll!». Qualcuno sorride, ma gli sbadigli sono molti. È vero che da Exile on Main Street sono state tratte canzoni come Tumbling Dice, Rocks Off, Sweet Virginia, All Down the Line e quella Shine a light che recentemente ha dato il titolo a un documentario di Martin Scorsese sulla band, ma le tante interviste che si susseguono sullo schermo risultano piuttosto ridonanti. Poco poi si sente di quel mix di blues, boogie, armoniche country e chitarre slide, che, a detta di Keit Richard fecero «il primo disco grunge della storia della musica» e così, non potendo associare le parole ai suoni, si fini-
Qui sopra e in alto a sinistra, due immagini del leader dei Rolling Stones, Mick Jagger. In alto, la copertina del loro vecchio album “Exile on Main Street” e uno storico scatto della band. Ieri Mick Jagger è stato osannato al Festival del Cinema di Cannes, dove ha presentato la rimasterizzazione del vecchio disco
«È come guardare un vecchio album di famiglia. C’è un po’ di malinconia, ma poi si pensa al presente e si è soddisfatti per ciò che si è diventati. Più che altro mi ha sorpreso non ricordare chi siano alcune persone che appaiono. C’è un tipo di cui non ricordo nulla. Ho chiesto in giro, mi hanno detto che ora lavora sulla tv americana. Non credo che quel periodo trascorso con noi in Francia sia stato per lui un buon bigliettino da visita». Ultima domanda: se dovesse far dirigere il film della sua vita, a chi lo affiderebbe? «Non saprei, ci sono tantissimi registi che amo, ma se devo dire il mio film preferito, la risposta è Apocalypse Now. Francis ford Coppola è un mito». Proprio come Mick Jagger, pensa il pubblico mentre corre sotto al palco a strappare un autografo.
o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE
Giusto ridurre gli stipendi parlamentari ma per i cittadini potrebbe non bastare Nobile l’intenzione lanciata da una parte della maggioranza di ridurre lo stipendio dei parlamentari, ancor più nobile la precisazione del ministro La Russa di estendere alle alte cariche locali l’eventuale provvedimento, ma sarà il tutto fattibile, e soprattutto si riuscirà ad evitare che altre tasse si formino nel calderone delle approssimazioni economiche, con il quale il sociale oggi deve fare i conti? Ciò che dovrebbe contare è la misura, l’entità di una legge del genere che da anni molti richiedono, e contemporaneamente, rifuggire da provvedimenti erariali che potrebbero ancora una volta andare a toccare le pensioni; in un momento in cui molte famiglie dopo i vari mutui e prestiti, compresi l’annosa cessione del quinto, iniziano a prendere in considerazione anche la cessione della pensione! Occorrerebbe non solo un censimento reale degli stipendi dei parlamentari ma anche una statistica sulla situazione debitoria dei cittadini, che lasciati da soli al controllo delle proprie finanze hanno già commesso varie imprudenze, con il vantaggio conseguente degli Istituti Finanziari, delle Banche in genere e, non ultimi, degli usurai sempre pronti dietro l’angolo.
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IL CALCIO, UN GIAVELLOTTO NEL BILIOSO CIELO Si parla tanto dei telegiornali faziosi. Una volta si diceva: be’, basta con queste balle, vediamoci un po’ di sport. Ora non è più possibile. Per colpa di Sky-calcio. E più precisamente del telecronista Fabio Caressa, in odore di innamoramento interista, uomo il cui equilibrio cardio-vascolare viene messo in pericolo ogniqualvolta un suo (ripetiamo:suo) beniamino va a fare gol. Suppongo che in quel preciso momento ingoierebbe anche il microfono tanto spalanca la bocca. Meglio non immaginare la sua pioggia salivare. È il più scalmanato tra gli agitati di tutte le curve di stadio, la sua gioia si trasforma in qualcosa che sta tra la catarsi orgasmica e l’affanno a cercare parole diverse da “gol” e “rete”, però non le trova, mica è Gianni Brera, quindi ci ammazza le orecchie col tripudio
delle sue tonsille, che girano più veloci dei “cabasisi” del commissario Montalbano, per poi passare a un reiterato elogio verbale dei bomber che “hanno fatto l’impresa”. I decibel hanno un picco straordinario se i goleador sono nerazzurri. Uno dei pochi che ha avuto il coraggio di mettere su carta l’apoplettico e isterico modo di raccontare una partita è stato il critico televisivo del Corriere della Sera, Aldo Grasso. Il quale, senza tanti giri di frase, ha suggerito a Caressa di riflettere sul proprio ruolo, che non è appunto quello del fantasista Lionel Messi. E a proposito del Barcellona, sconfitto dal «wall» dell’interista Samuel: anche in questo caso Brera è sideralmente distante), la coppia giornalistica di Sky ha stracciato la correttezza descrivendo gli spagnoli come i soliti latini furbi e imbroglioni, simulatori e piagnoni. «Comincia la battaglia» hanno annunciato, e
Salotti metropolitani a Parigi Siamo seduti alla fermata “Opéra” della metropolitana di Parigi, trasformata in un soggiorno da un’azienda di arredamento per convincere i consumatori della comodità dei suoi prodotti. Lo stesso marchio, a gennaio 2009, aveva allestito alla metro di Washington DC una riproduzione dello Studio Ovale in omaggio a Obama
non solo in quell’occasione ci sono stati riferimenti gladiatori e volgarmente guerreschi, così “educativi” per i ragazzi, ai quali si indica un nemico da irridere e da abbattere e non un semplice avversario in mutande, da rispettare sempre). Da europeo, e da padre, mi sono vergognato. E ho deciso di spegnere la televisione quando il calcio è lanciato come un giavellotto nel bilioso cielo (sky, in inglese) di un’emittente sempre più rauca e ridicola.
Pier Mario Fasanotti
L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
Le dimissioni di Scajola sono un atto dovuto. Il premier pensi a una sostituzione “industrialmente capace”, qualcuno che provenga dal mondo dell’impesa. Il governo ha trascurato finora lavoro e economia, le vere emergenze. Le dimissioni di Scajola offrono la possibilità di mettere a capo del ministero per lo Sviluppo economico una personalità vicina all’industria, se non addirittura un industriale vero e proprio.
Massimo Calearo Ciman
da ”Spiegel Online” del 20/05/10
Grande fratello Google
opo l’onore arrivano anche gli oneri per Google, il più importante motore di ricerca di internet al mondo. In fatti l’azienda di Seattle è caduta sotto le maglie della giustizia tedesca. La procura di Amburgo – dove Google ha il suo quartier generale tedesco – ha aperto un’inchiesta per violazione della legge sulla privacy. In pratica ci sarebbe stata un’appropriazione indebita di informazioni personali di migliaia di utenti di una nuova applicazione chiamata Street View. Il procedimento giudiziario nasce dall’azione legale di un avvocato di Aachen e si basa sulla stessa ammissione della società americana di aver accidentalmente «raccolto» informazioni sugli utenti che utilizzavano un sistema wireless di comunicazione. Una svista informatica su cui la legge tedesca non ha intenzione di chiudere un occhio. Ma non è ancora chiaro se dal procedimento si passerà ad un formale atto d’accusa e a un processo.
D
ALLO SVILUPPO, UN VERO INDUSTRIALE
«Siamo ad uno stadio molto iniziale del procedimento dobbiamo ancora decidere se vi siano indizi di reato» ha dichiarato il procuratore capo di Amburgo, Wilhelm Moellers allo Spiegel. Gli esperti del suo ufficio dovranno ora decidere se l’azienda di Seattle abbia o meno violato il paragrafo 202b del codice penale tedesco che si occupa dell’appropriazione non autorizzata di dati personali attraverso mezzi informatici. Google utilizzava delle macchine fotografiche con vista a 360 gradi montate sul tetto di automobili, per riprodurre le immagini panoramiche delle strade. Serviva a costruire la sua applicazione chiamata appunto Street View che è un servizio on line. È poi emerso che il sistema riusciva a catturare tutto il traffico wireless non protetto degli utenti che operavano nella zona dove passavano le auto di Google.
trebbe essere stata una violazione della nuova legge, introdotta in Germania nel 2007, per tutelare i cittadini dal furto di dati privati e dalla pirateria informatica. In maniera particolare viene punita la pratica definita a «radiazioni elettromagnetiche». Una tecnica mediata dalla guerra fredda, quando si saturava un ambiente con le microonde, in maniera che qualsiasi elemento metallico entrasse in risonanza e si trasformasse in un microfono. Bastava poi un semplice ricevitore radio, non troppo distante dalla fonte, per ascoltare ogni conversazione all’interno del locale soggetto a «saturazione elettromagnetica». Tecnica che aveva anche delle gravi conseguenze per la salute degli “osservati”. Con un sistema simile si bombarda un pc in maniera che si possa sentire l’impulso dei tasti sul keyboard e trasformarlo in testo, prima ancora che possa essere salvato e eventualmente cifrato. La legge prevede ora una multa e la detenzione fino a due anni di carcere. Johannes Caspar, responsabile per Amburgo dell’Autorità garante ha dato a Google un termine per eliminare dai propri server tutte le informazioni impropriamente registrate. In caso di inadempienza scatterebbe una multa da 300mila euro. Naturalmente la società si è detta disposta a collaborare con le autorità tedesche e farà di tutto per mettere il commissario Caspar in condizione di verificare personalmente l’avvenuta cancellazione dei dati nel più breve tempo possibile.
La società, venerdì scorso, ha ammesso la falla nel sistema di protezione della privacy e il suo portvavoce, Kay Oberbek ha affermato che «c’è stato un errore e siamo veramente dispiaciuti». Oberbek ha anche dichiarato che l’errore è venuto alla luce quando l’autorità garante tedesca aveva chiesto informazioni su che tipo di dati l’azienda raccoglieva nel settore delle comunicazioni wireless. Ci po-
Ilse Aigner, ministro tedesco per la difesa dei Consumatori ha richiesto a Google un completo rapporto sull’accaduto e sulle tecnologie utilizzate nel funzionamento dei veicoli dell’applicazione Street View. «Vogliamo sapere esattamente che strumenti sono stati utilizzati e per fare cosa» aveva dichiarato un portavoce del ministero qualche giorno fa.
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dai circoli liberal
LETTERA DALLA STORIA
La beatitudine d’essere amati raddolcisce qualunque dolore Ore cinque: io parto, mia cara, con l’amarezza nel cuore, e col presentimento di non rivedervi mai più - spero che quella divina fanciulla non sarà sdegnata con me, e che la sua compassione accompagnerà questo infelice nelle fiere disavventure che forse lo aspettano. E che mai potrà placare i miei mali nei paesi dove non potrò né vederla né udirla? Unica mia occupazione sarà di piangerla sempre... giacché l’ho perduta senza speranza. Ma se anche io tornassi a Firenze, oserò io più vederla? No! no! ch’io mora nel mio dolore innanzi che io le sia cagione di una lacrima sola... Ella è sposa... - e se pure nol fosse, io non oserei mai offrir la mia mano ad una donna più ricca di me. La delicatezza in ciò supererebbe l’amore - ma non per altro che per gettarmi più presto nel sepolcro. Domenica t’aspetto lung’Arno. Se io sarò a Firenze vi andrò. Scrivo pur male! Addio. Non ti scordare di me. Io sono infelice; veramente infelice; non la vedrò più forse. Quante cose vorrei dirti! sono... lasciami. - Fra mezz’ora si parte. Domani, chi sa dove...! Il tuo amico. P.S.Vorrei scrivere qualche cosa ancora. - Oh! Se tu mi stessi qui, qui, dentro questo cuore creato all’afflizione... il mio nome non ti uscirebbe di bocca senza compiangermi. Silenzio! Non v’ha riparo. Io devo lasciarla. Ma fossi almeno certo... Oh, come la beatitudine d’essere amati raddolcisce qualunque dolore! Ugo Foscolo a Eleonora Nencini
LE VERITÀ NASCOSTE
Tokyo e la crociata contro barba e baffi TOKYO. Il Giappone non sa più cosa inventarsi per stupire il mondo. Ed ecco che il divieto di barba e baffi per tutti i dipendenti del piccolo comune di Isesaki, a nord di Tokyo, entra di diritto nella serie di piccole follie ordite dal Sol Levante. In sostanza, gli stipendiati comunali d’ora in poi saranno costretti a radersi ogni mattina dopo le proteste da parte dei cittadini per il loro “look trasandato”. Il bando, con tutta probabilità il primo del suo genere mai varato nel Paese, è nato dopo alcuni episodi giudicati “indecorosi”da persone recatesi presso gli uffici comunali. Secondo quanto riferito dal governo regionale di Gunma, in particolare, sarebbero pervenuti accesi reclami di cittadini rimasti “offesi” dalle barbe incolte di alcuni dipendenti, che si erano presentati con un aspetto “poco curato” al lavoro dopo un ponte festivo. I responsabili della stretta hanno voluto spiegare che «ci sono persone che trovano disdicevole l’aspetto degli uomini con la barba. Sebbene tale giudizio non sia rappresentativo dell’opinione comune, i dipendenti pubblici di Isesaki devono comunque avere il decoro che ci si aspetta da un funzionario pubblico». Il divieto di barba e baffi dell’amministrazione di Isesaki è stato annunciato in occasione dell’avvio della stagione estiva del “coolbiz”, l’iniziativa ecologica varata dal governo dell’ex premier Junichiro Koizumi, che prevede un look senza giacche e cravatte per i dipendenti pubblici - e non solo - nel tentativo di limitare l’uso dei condizionatori d’aria e il conseguente consumo energetico. Le politiche di Koizumi hanno fatto increspare più di un sopracciglio, in uno dei Paesi più tradizionalisti del mondo. Il nuovo bando, forse, cerca di riportare i giapponesi alla loro migliore anima.
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
RYANAIR: L’ODISSEA DI UN VIAGGIATORE La compagnia aerea Ryanair disattende le norme europee previste per la compensazione e l’assistenza in caso di cancellazione voli. Questo è quanto è capitato a tre cittadine italiane di rientro da Madrid. Le passeggere hanno comprato un biglietto Ryanair on line Pisa/Madrid con andata 8 maggio ore 7.15 e rientro 11 maggio, ore 9.55. Una volta a Madrid, il 9 per l’esattezza, ricevono una mail dalla compagnia che annuncia il disagio di aver cancellato il volo dell’8 maggio. Anche se appare subito evidente l’errore, verificano il sito Ryanair, e consultano l’aeroporto su eventuali problemi o cancellazioni del loro volo di rientro. Tutto bene, fino alla mattina dell’11, quando, all’aeroporto, scoprono la cancellazione del volo. L’addetta alle informazioni annuncia loro che non è possibile volare su Pisa, che nelle more dell’attesa le spese saranno a loro carico, perché Ryanair non si fa carico dell’assistenza. Le ragazze scelgono un’altra destinazione: Alghero. La sera dell’11. Il 12 avrebbero potuto prendere il volo per Pisa delle 8.05. L’addetto fa presente che la compagnia non avrebbe pagato il volo. Arrivate ad Alghero, alloggiate a proprie spese, accedono a Internet per il check in on line. Nulla, sito fuori funzione: dopo un po’ di tentativi riescono a confermare i dati della prenotazione e del pagamento, ma non ad effettuare il check in. La mattina dopo, all’aeroporto di Alghero, fanno presente il problema ma l’addetta annuncia che non è possibile considerare valido il biglietto. Ben avrebbero potuto comprarne un altro, perché c’era ancora posto. Incredibile!
Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci,
Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,
Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)
Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Collaboratori
SEMINARIO TODI 2010 20, 21 E 22 MAGGIO - TODI - HOTEL BRAMANTE
“VERSO IL PARTITO DELLA NAZIONE” - Per difendere l’unità d’Italia e ricostruire la Repubblica SEGRETARIO
Annamaria Codice
Robert Kagan, Filippo La Porta, Direttore da Washington Michael Novak
UN NUOVO PATTO PER L’ITALIA: IL PARTITO DELLA NAZIONE Parte da Todi e dalla relazione di apertura del nostro presidente Ferdinando Adornato il nuovo patto per l’Italia attraverso il Partito della nazione. Un partito per l’Italia che si concretizzi in un nuovo governo di responsabilità nazionale, attraverso un nuovo patto tra gli italiani, (e io aggiungerei, non con gli italiani), cosi come il nostro leader Pier Ferdinando Casini con forza, coraggio ed entusiasmo ha ben sostenuto in questi ultimi e difficili giorni per la nostra nazione e la nostra Europa. Allora ecco che la sua magnifica relazione introduttiva ha indicato bene il percorso. Egli ha dato a tutti noi il senso compiuto di queste giornate, ponendo una luce non alla fine, ma dentro il tunnel che tutti insieme stiamo attraversando. Ha indicato al Paese una nuova strada. La nuova strada che noi tutti, fondatori del nuovo Partito della nazione, prima di altri dobbiamo percorrere per dare un senso compiuto al cambiamento di cui vogliamo essere promotori, artefici e protagonisti in senso positivo. Tenere insieme e unito il nostro Paese, in una “modernizzazione liberale” che rinnovi l’unità d’italia attraverso il possibile “scatto” del Nord e il “riscatto” di un Sud, che sia finalmente e degnamente guidato e rappresentato da una nuova classe dirigente capace, orgogliosa e rispettosa del proprio passato, ma al tempo stessa ferma, coraggiosa, determinata e responsabile nel compiere quel cambio di passo necessario a fare quelle nuove riforme di costume e di sistema che servono al Sud e a tutto il Paese. Un nuovo partito più giovane e più aperto. Un partito di regole e di valori. Un partito che sul territorio faccia valere il territorio. Un partito dei migliori, capace di creare, formare e generare il nuovo, come quello che, sono sicuro è nelle intenzioni di Adornato, Casini, Cesa, Buttiglione, Pezzotta, De Mita e tutti i nostri costituenti, di cui noi tutti dobbiamo essere solo degni rappresentanti nelle istituzioni e a tutti i livelli di governo. V IN C E N Z O IN V E R S O S E G R E T A R I O NA Z I O N A L E C I R C O L I L I B E R A L
Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,
Maria Pia Ammirati, Mario Arpino,
Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,
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Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,
Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,
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