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ISSN 1827-8817 00527

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Niente è giusto o sbagliato, ma è il pensiero che lo rende tale William Shakespeare

9 771827 881004

di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 27 MAGGIO 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Il premier: «Sono tutte misure chieste dall’Europa». Barroso applaude. La Cgil convoca uno sciopero generale

Berlusconi ci mette la faccia Dopo giorni di silenzio (di ostilità verso Tremonti) presenta la manovra con il ministro. Cerca di indorare la pillola ma fa suo il messaggio di Napolitano: «Unità e responsabilità» La maggioranza ancora divisa

Parla Savino Pezzotta

Stavolta non bastano i “nì”

Ma nel Pdl scoppia la guerra delle Province

«Svegliamoci, stiamo colpendo i nostri figli»

Per Bersani è il momento della verità

di Riccardo Paradisi

di Francesco Capozza

di Enzo Carra

avino Pezzotta scorre i numeri che l’Istat ha messo insieme per fotografare il «disastro italiano» del 2009 e non nasconde il suo pessimismo: «Penso che questi dati non fanno che altro confermare la pesantezza della situazione in cui versa il paese. Dal rapporto emergono due figure particolarmente danneggiate da questa crisi: i giovani e le donne. L’impressione è quella di un Paese che ha dimenticato di occuparsi del proprio futuro. E allora mi chiedo: Quale Paese lasceremo in eredità ai nostri figli? In realtà, bisognerebbe cogliere l’occasione per fare le grandi riforme che servono al Paese».

a manovra da 24 miliardi di tagli costituisce un punto di non ritorno nei rapporti tra maggioranza e opposizione e all’interno della stessa opposizione. Anzi, è soprattutto in questo campo che si fronteggiano strategie diverse. L’eccezionalità di questa manovra – e di altre, se ve ne saranno altre – ne sbiadisce i caratteri politici e di schieramento che normalmente accompagnano queste operazioni. Questa volta le diversità di impostazione tra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia e l’appello del presidente della Repubblica a fare «la nostra parte in Europa» cambiano completamente le regole del gioco.

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a manovra di aggiustamento del governo rimette in vibrazione le geometrie interne alla maggioranza di centrodestra. La visita a Palazzo Grazioli del finiano Italo Bocchino – ricevuto dal premier Berlusconi dopo settimane di gelo successive allo scontro della direzione nazionale e dalle dimissioni da vicecapogruppo del Pd l– è il dato più significativo e clamoroso di quanto sta accadendo all’interno del centrodestra. Il colloquio s’è svolto in forma strettamente riservata, ma fonti interne alla maggioranza rivelano che il presidente del Consiglio avrebbe sondato la disponibilità dei finiani a riequilibrare una manovra concepita da Giulio Tremonti in splendida solitudine. Con l’appoggio da un lato della Lega – Bossi s’è affrettato a dare fiducia al ministro e a smentire che con i tagli agli enti locali il federalismo fiscale rischia d’essere archiviato – e dall’altro di «ambienti interessati alla tecnicizzazione del governo Berlusconi».

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Il rapporto annuale dell’Istituto

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L’Italia s’è persa Piccole imprese, precari, giovani: l’Istat fotografa un Paese (quasi) in ginocchio

Due milioni di giovani non lavorano né studiano. E il 13,2% dei ragazzi nel 2009 non ha letto un libro né usato il computer

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Franco Insardà • pagina 4

L’Iran contesta il trattamento “più morbido” riservato alla Corea sul nucleare

Mosca abbandona Ahmadinejad

Violento scontro sul voto all’Onu. Il Cremlino verso sanzioni dure di Vincenzo Faccioli Pintozzi

Il discorso del segretario di Stato ai coreani

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Anticipazioni/Un nuovo libro sullo statista Dc

De Gasperi, la solitudine del moderato

Washington con Seoul Una “storia d’amore”

a geopolitica non è una scienza esatta, e questo si sapeva. Ma vedere nel giro di poche ore un valzer diplomatico (che ruota sul nucleare) come quello che si è verificato ieri non è cosa da tutti i giorni. E così, se la Russia abbandona l’Iran al suo destino, gli Stati Uniti riprendono i toni della guerra al terrore contro la Corea del Nord e il suo dispotico leader.

a Corea del Sud è un alleato, un amico, un partner.Voglio ringraziare il presidente Lee per la sua ospitalità e per il colloquio che abbiamo avuto insieme. Le sorti delle nostre due nazioni sono collegate da molti decenni: ci siamo guardati le spalle a vicenda per 60 anni.

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Aldo G. Ricci • pagina 12

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30

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seg1,00 ue a p(10,00 agina 9CON EURO

Il rapporto con Sturzo e Togliatti, le scelte difficili, l’Alleanza Atlantica

di Hillary Rodham Clinton

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I QUADERNI)

• ANNO XV •

NUMERO

101 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO


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Sacrifici. Nella finanziaria non ci sono novità rispetto alle anticipazioni. Barroso applaude, la Cgil annuncia lo sciopero generale

Una manovra per l’Euro

«Il modello dalla culla alla tomba non funziona più»: Berlusconi e Tremonti presentano insieme la finanziaria che rivoluziona il welfare di Francesco Pacifico

ROMA. «Sono un ottimista inguaribile e ce la faremo anche stavolta. Ma chi parla di pessimismo e ottimismo è lontano dalla realtà», sottolinea il premier. «Una manovra di questo tipo, impegnativa, la fa il presidente del Consiglio, non una parte del suo governo», riconosce a stretto giro il ministro dell’Economia. Ieri, in tardo pomeriggio, Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti hanno presentato assieme la manovra da 24,9 miliardi con il quale l’Italia vuole riportare entro il 2013

tivatore e ha usato i toni più suadenti che conosce per difendere e rivendicare una manovra che secondo Tremonti ben si attiene «a un’Europa con pohe culle e poche tombe», che vede ridurre la produzione per deficit di capitale umano mentre salgono i numeri degli assegni pensionistici». E a dirla tutta si faceva fatica a distinguere il Cavaliere dal suo ministro meno amato quando spiegava «che questa manovra ce l’ha chiesta l’Europa», che è «dovuta anche alla speculazione»,

Ecco che cosa dice la nuova finanziaria

Tagli a pensioni e statali, condono catastale e vincoli alla Protezione STATALI. Sono congelati i contratti dei lavoratori pubblici per il triennio 2010-2012. Il blocco del turnover è esteso a tutte le categorie. PENSIONI. I lavoratori che nel 2011 avranno maturato un’anzianità contributiva inferiore ai 40 anni e vorranno accedere alla pensione d’anzianità, andranno a riposo il 1 luglio 2012. Chi, nel 2011, avrà maturato i requisiti per la pensione di vecchiaia (65 anni per gli uomini e 60 anni per le donne) potrà accedere al trattamento con uno slittamento di 6 mesi rispetto alla data in cui hanno maturato i requisiti. La percentuale di invalidità per la concessione della pensione si eleva dal 74 all’80%. PARLAMEMTARI. È previsto un taglio del 10% agli stipendi di ministri e parlamentari che eccedono la quota di 80 mila euro l’anno. ENTI LOCALI. Regioni e Comuni, complessivamente, contribuiranno alla manovra con una cifra vicina ai 10 miliardi nei prossimi tre anni. Di fatto, lo Stato trasferirà meno fondi agli Enti locali: per quest’anno, la riduzione è di 4 miliardi per le Regioni e 800 milioni per i Comuni. AUTO BLU. La manovra prevede una limitazione delle vetture di servizio con l’esclusione dei vigili del fuoco e del comparto sicurezza, un taglio dell’80% rispetto al 2009 per l’acquisto e la manutenzione e il noleggio e l’esercizio di autovetture nonché per l’acquisto di buoni taxi. Ridotte del 50% le spese per le missioni (escluse quelle internazionali di pace). Le spese per studi, consulenze, mostre e pubblicità non possono essere superiori del 20% a quelle del 2009.

Dopo una lunga giornata convulsa fra trattative e aut aut reciproci, il premier in pubblico nega ogni contrasto con il ministro sotto il 3 per cento del Pil il deficit. E se una cifra così alta serve per garantire i sottoscrittori dei Btp che il debito pubblico resterà solvibile, le parole usate dal numero uno e dal numero del governo vogliono convincere il Paese (forse in primis la stessa maggioranza) che è altissimo il livello di stabilità politica.

Di conseguenza Berlusconi ha smesso i panni del mo-

che «si vuole ridurre la spesa pubblica e lo spazio fisico dello Stato dell’economia». Soprattutto Berlusconi si è preso la briga (o è stato c ostretto?) di blandire le categorie più colpite dalla manovra. Con tono suadante eccolo chiedere «un atto di responsabilità ai dipendenti pubblici». Ricordando loro che è verò che fino al 2013 non vedranno un euro di aumenti, perché «negli scorsi anni le loro retribuzioni sono cresciuti del 42,5 per cento rispetto al 24,8 registrato nel privato. Dove c’è il rischio di andare in cassa integrazione ed essere licenziati». E più in generale un sacrificio viene chiesto «ai lavoratori», pregandoli «di ritardare qualche mese l’uscita dal lavoro». Altro che il brusco

CONDONO EDILIZIO. È stato chiamato «razionalizzazione catastale»: di fatto sarà possibile regolarizzare cambiamenti catastali ma solo se dichiarati entro il 31 dicembre di quest’anno. Decorsa tale data, incapperanno in una sanzione che varrebbe 1/3 del valore catastale. NORME ANTIEVASIONE. Il tetto alla tracciabilità contante torna a 5.000 euro dagli attuali 12.500. Introduzione della fattura telematica sopra i 3000 euro. Inoltre, ai Comuni sarà riconosciuta una quota pari al 33% delle maggiori somme relative ai tributi statali riscosse a titolo definitivo. ENTI E PROVINCE. L’Isae e l’Ice verranno soppressi, nell’ambito di una riorganizzazione degli enti di ricerca. Saranno soppresse le Province con un numero di abitanti inferiore a 220mila, che non confinino con Stati esteri né siano all’interno di Regioni a statuto speciale. Le competenze saranno trasferite ad altre Province. PROTEZIONE CIVILE. Qualora sia necessario proclamare lo stato d’emergenza, il Tesoro dovrà dare il suo placet alla richiesta della Protezione Civile. Stesso discorso per lo stanziamento dei fondi: di fatto, è un modo per rendere più controllabili le decisioni della Protezione civile. SCUOLA. L’organico per l’anno scolastico 2010-2011 deve restare invariato rispetto all’anno scolastico che sta volgendo al termine.

«ci sono 2,7 milioni di invalidi su 60 milioni di italiani. Un Paese così non può essere competitivo», pronunciato da Tremonti annunciando la stretta su questo tipo di pensioni.

Un contentito anche alle Regioni che metteranno sul piatto almeno 10 miliardi sui 24,9 cercati dal governo centrale, con il premier che sottolinea «come con il federalismo trasferiremo loro beni demaniali che possono valorizzare». E poco importa che non tutti siano d’accordo che la situazione giustifichi una manovra da quasi 25 miliardi. I governatori lanceranno oggi la loro controfinanziaria. La Cgil – che dall’accordo del ’93 in poi non ha mai lesinato sul versante dei sacrifici – ieri ha annunciato che è pronta a scendere in piazza, visto che a pagare il maggiore prezzo sono i dipendenti, quelli del pubblico come quelli del privato. «Proporremo uno sciopero generale da tenere entro la fine del mese di giugno con manifestazioni articolate su base territoriale», ha annunciato ieri Guglielmo Epifani. E tanto basta per capire che lo sciopero del 12 sulla scuola sarà un po’ la prova del nove, per capire il grado di disagio e scontro sociale. Berlusconi e Tremonti per ora si preoccupano però più della coesione all’interno del governo. Il premier infatti si è rammaricato per «aver letto sui giornali una realtà completamente inventata. Nel governo io, il ministro Tremonti, il sottosegretario Letta e i loro collaboratori abbiamo lavorato gomito a gomito. Non c’è stato giorno nel quale la dialettica abbia registrato una salita di tono». E di rimando il titolare di via XX settebre ha ricordato «che c’è stata piena informazione su quanto si stava realizzando». In questo gioco dove i due grandi contendenti si sono stati scambiati i ruoli naturali, ecco Tremonti illustrare la minima parte destinata allo sviluppo, con il premier che non è andato oltre la conferma «che vogliamo ta-


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Gianfranco Fini e Umberto Bossi ricominciano a duellare sul federalismo e sulla politica economica del governo. Ma c’è chi sospetta che stavolta la ”lite” sia voluta da Berlusconi che così vuole mettere in difficoltà Tremonti

Nel Pdl scoppia la guerra delle Province La maggioranza si divide tra mille liti incrociate. E il premier usa Fini “contro” Bossi di Riccardo Paradisi a manovra di aggiustamento del governo rimette in vibrazione le geometrie interne alla maggioranza di centrodestra. La visita a Palazzo Grazioli del finiano Italo Bocchino – ricevuto dal premier dopo settimane di gelo successive allo scontro della direzione nazionale e dalle dimissioni da vicecapogruppo del Pdl– è il dato più significativo e clamoroso di quanto sta accadendo all’interno del centrodestra. Il colloquio s’è svolto in forma strettamente riservata, ma fonti interne alla maggioranza rivelano che il presidente del Consiglio avrebbe sondato la disponibilità dei finiani a riequilibrare una manovra concepita da Giulio Tremonti in splendida solitudine. Con l’appoggio da un lato della Lega – il leader del Carroccio Bossi s’è affrettato a dare fiducia al ministro e a smentire che con i tagli agli enti locali il federalismo fiscale rischia d’essere archiviato – e dall’altro di “ambienti interessati alla tecnicizzazione del governo Berlusconi”come sostengono settori della maggioranza ostili al titolare di via XX settembre.

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Il portavoce del premier Paolo Bonaiuti si è affrettato a spiegare che Berlusconi e Tremonti troveranno la quadra mentre il ministro dell’Interno Maroni garantisce che tra il premier e il ministro non esiste nessuna tensione. Intanto però il Cavaliere torna a riaprire credito ai finiani. Un’ipotesi che solo fino a una settimana fa sarebbe apparsa psichedelica anche all’osservatore più spregiudicato. «Evidentemente la slealtà paga» – dice un berlusconiano gliare le tasse». Tremonti ha così annunciato le zone a burocrazia sero, «nelle quali ci sarà un responsabile di governo titolare di tutta la materia», la fiscalità di vantaggio per il Sud, «che tutti desiderano ma che mai nessuno ha mes-

di prima linea – che ricorda come i finiani abbiano votato contro il governo fino al giorno prima dell’udienza a Palazzo Grazioli. Ma evidentemente i ferri tra il premier e il suo ministro dell’Economia devono essere molto corti se siamo a questo rovesciamento di fronte. Un rimescolamento di carte e di ruoli che per il presidente della Camera Fini rappresenta una finestra d’oro per rientrare in partita e uscire dal cono d’ombra in cui il suo recente ruolo da coscienza morale l’aveva confinato. Fini incassa la vittoria sul Ddl intercettazioni dove passa il lodo-Bongiorno che lima considerevolmente il provvediemento e su cui è stato lo stesso avvocato del premier Nicolò Ghedini a rassicurare il presidente della Camera. Non solo, Fini può rivendicarsi anche l’annacquamento del federalismo fiscale che con buona pace di Bossi sarà una conseguenza della manovra tremontiana. Non basta. La componente finiana, ora necessaria a Berlusconi per non restare scoperto sul fronte interno, dopo aver registrato come un proprio successo anche l’abolizione di nove province, si consente anche una critica esplicitamente antitremontiana e antileghista a questo particolare provvedimento, denunciandone l’insufficienza e la parzialità: «Silvio Berlusconi aveva detto che sarebbero state abolite le grandi provincie. Tremonti invece cancella quelle piccole e quasi tutte al Sud, per non dare fastidio alla Lega».

so in pratica», quindi ha dato atto al collega Sacconi del lavoro sul contratto di produttività, che «lega il salario ai risultati dell’azienda».

Le manovre hanno avuto il via libera dell’Europa – soddisfatti sia il presidente

Lo scrive Generazione Italia, il sito della componente Pdl vicina al presidente della Camera, che definisce ”sbagliato” eliminare «le Province piccole, e non già le Province in generale». L’idea «contraddice quanto affermato dallo stesso Presidente del Consiglio: nel confronto con Fini in Direzione del Pdl». La notizia che i finiani giudicano positiva è che si possono abolire le grandi province ed accorpare i grandi comuni limitrofi «generando l’area metropolitana di Roma, di Milano o di Venezia, ed allo stesso tempo eliminare le piccole e ovviamente anche, a questo punto, le medie Province senza colpo ferire». Una polemica centrale quella sulle provincie visto che la Lega è attestata sul fronte della loro difesa strategica. Ecco allora il senso della polemica finiana sulla disparità territoriale del taglio: quasi tutte le Province eliminate cadrebbero nel sud Italia, e questa sembra una captatio benevolentiae nei confronti della Lega Nord. Un fronte questo dell’abolizione delle provincie su cui gli ex An si impegneranno anche con una campagna di firme in parlamento. Non basta ancora. Nel giorno del suo rentrè Fini coglie altre due occasioni per far pesare a Berlusconi i suoi rinforzi nella disputa interna apertasi con la manovra. Riaffermando da un lato l’esigenza di affiancare al rigore sui conti e al contenimento della spesa la riforme per la ripresa,

Italo Bocchino ricevuto a Palazzo Grazioli dal premier. Cambiano le alleanze all’interno del centrodestra?

Barroso sia il commissario Olli Rehn – sia quelli S&P’s. Secondo il presidente della Ue «si va nella giusta direzione». «C’è un chiaro bisogno di differenziare - ha sottolineato Rehn - I paesi più indebitati e che si sono rivelati essere i più vulnerabili

dall’altro rilanciando i temi che sono diventati in questi mesi i suoi cavalli di battaglia – politiche di accoglimento e legalità – che sono state le bestie nere per il resto della maggioranza.

Nel suo intervento alla presentazione del Rapporto annuale dell’Istat Fini dice che gli effetti prodotti dalla crisi economica sono tali da richiedere uno sforzo maggiore per dare concretezza a quel concetto di “sviluppo sostenibile” «inteso quale complesso di risorse economiche, sociali e ambientali che ogni generazione trasferisce a quelle successive, sempre più indispensabile se si guarda all’immediato futuro». Poi presentando a Montecitorio il libro dal titolo Romeni. La minoranza decisiva per l’Italia di domani di Alina Harja e Guido Melis (Rubbettino) Fini dice che «L’affermazione della legalità, anche tra le comunità di immigrati, passa per ”la riaffermazione dell’etica pubblica”. Lo stile delle classi dirigenti deve tornare ad essere modello di comportamento sociale, perché se i cittadini hanno la percezione che esistono varie zone di corruzione anche presso l’èlite politica e amministrativa non dobbiamo stupirci se alla base della società si diffondono fenomeni di illegalità». Lo spunto per il monito di Fini è stato il discorso sugli ”stereotipi partoriti da “un sistema di informazione superficiale”: «C’è bisogno invece di combattere l’associazione tra criminalità e immigrazione che può insinuarsi in alcuni settori della popolazione e dell’opinione pubblica». La novità è che oggi queste sortite finiane sono utili anche a Berlusconi.

alle reazioni dei mercati devono prendere le misure più decise e veloci, mentre quei paesi che hanno più spazio di manovra fiscale possono adottare un approccio più graduale. Questo è quello che sta accadendo e che deve continuare così». «Le mi-

sure - si legge in una nota della società di rating - mettono le finanze pubbliche su un binario più sostenibile e aiutano a realizzare l’atteso netto calo della spesa primaria in percentuale del Pil, daranno sostegno ai rating della Repubblica italiana».


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Istat. Nel rapporto annuale dell’istituto c’è la fotografia di un Paese sempre più diviso. E che abbandona chi è in difficoltà

L’Italia s’è persa

Le piccole imprese, i precari e soprattutto due milioni di giovani che non studiano e non hanno lavoro: ecco chi paga di più la crisi di Franco Insardà

ROMA. Due milioni di fantasmi. Ragazzi sotto i trent’anni senza lavoro, senza un’adeguata istruzione e senza alcuna prospettiva di inserimento. Il Rapporto annuale Istat sulla situazione, presentato ieri a Montecitorio, ha certificato proprio questo primato europeo targato Italia. Li definiscono Neet (Not in education, employment or training) e le loro fila sono ingrossate dai giovani che perdono il lavoro, caratterizzati da un forte rischio di esclusione sociale. Ma i “bamboccioni” italiani, per lo più maschi, costretti a vivere con i genitori sono circa sette milioni: una cifra tre volte superiore rispetto al 1983, passando dal 49 per cento al 58,6 per cento. I meridionali sotto i 34 anni che si trovano in questa condizione sono due terzi del totale, contro la metà del NordEst. Nel 2009, il 21,2 per cento delle persone tra 15 e 29 anni risultava fuori dal circuito formazione-lavoro, cioè non lavorano né frequentavano alcun corso di studi. Anche chi ha un titolo di studio si trova in grossa difficoltà: tra i diplomati e i laureati uno su quattro è senza

lavoro. E appena il 12,8 per cento della popolazione ha la laurea: oltre il 10 per cento di chi ha tra 15 e 64 anni possiede soltanto

La quota di italiani tra 18 e 34 anni, celibi e nubili, che vive in famiglia cresce dal 49% del 1983 al 58,6% del 2009 la licenza elementare o nessun titolo. Il 13,2 per cento dei ragazzi tra 15 e 29 anni dichiara

di non aver letto neanche un libro in un anno o di non aver mai utilizzato il personal computer. In un momento particolare come questo, però, rispetto al 2003 è aumentata la percentuale dei giovani che dichiara di voler uscire dalla famiglia d’origine (51,9 per rispetto rispetto al 45,1), un tendenza più accentuata tra 1 20-29enni che tra i 30-34enni. La crisi ha peggiorato la condizione occupazionale in tutta l’Unione europea, passando dal 65,9 per cento del 2008 al 64,6 per cento del 2009 e in Italia dal 58,7 per cento al 57,5 per cento. Nel nostro Paese ha colpito sia degli italiani sia degli stranieri, con la sola differenza che questi ultimi hanno fatto registrare un un aumento (+133mila unità) per le professioni non qualificate e in quelle operaie.

Altro dato negativo l’Istat lo registra sul fronte del lavoro femminile, soprattutto per le donne con figli. Il tasso di occupazione è sceso, infatti, al 46,4 per cento, rispetto a una media europea che supera il 58 per cento. Le cifre peggiori si registrano nel Mezzogiorno dove per ogni 100 donne occupate

nel primo trimestre 2008, a distanza di un anno 14 sono transitate nella condizione di non occupazione, contro le 10 della media italiane. Le donne laureate, però, riescono a trovare lavoro più facilmente rispetto alle altre e la percentuale di occupazione si avvicina alla media europea. Gli effetti della crisi, in quest’ultimo anno, sono stati mitigati dal ricorso alla cassaintegrazione, ma la famiglia italiana ha svolto il consueto ruolo di ammortizzatore sociale, sopportando il peso della mancanza di occupazione dei figli. I nuclei familiari più colpiti sono quelli già poveri nel 2008 che hanno fatto registrare un peggioramento delle loro condizioni di vita (il 15 per cento, mentre al Sud sono il 25 per cento).

Nel 2009 il 15,3 per cento delle famiglie italiane si trova in condizioni di disagio economico, mentre nel 2008 erano il 17,3 per cento: una percentuale che cresce tra le famiglie con cinque o più componenti (25,5 per cento), residenti al Sud (25,3 per cento), con tre o più minori (29,4 per cento) e tra chi vive in affitto (31,4 per cento). Non manca

neppure chi dichiara di non aver avuto almeno una volta nel corso dell’anno soldi per acquistare cibo: la media risulta pari al 5,7

Nel 2009, il 21,2% delle persone tra 15 e 29 anni risultava fuori dal circuito formazione-lavoro, cioè non lavorano né frequentavano alcun corso di studi

per cento (dal 5,8 per cento del 2008) ma al Nord si sale dal 4,4 per cento al 5,3 per cento. Il presidente dell’Istat Enrico


prima pagina Giovannini, presentando il rapporto ha detto che dopo un biennio «straordinariamente difficile per l’economia italiana, il 2010, malgrado i segnali di ripresa, presenta ancora forti rischi di instabilità. Le turbolenze sui mercati finanziari e valutari delle ultime settimane stanno spingendo molti governi europei ad adottare misure drastiche di contenimento dei deficit pubblici, e mostrano i rischi che l’Europa e tutto il mondo devono ancora fronteggiare per consolidare la ripresa economica».

Ripresa che passa per la produzione industriale, anche se,

Appena il 12,8% della popolazione ha la laurea: oltre il 10% di chi ha tra 15 e 64 anni possiede solo la licenza elementare o nessun titolo

sempre secondo l’Istat, bisogna distinguere tra le dimensioni delle imprese. In tutti i settori, infatti, si registrano tra il 2001 e il 2008 margini di efficienza «relativamente maggiori per le medie imprese, mentre appaiono contenuti o negativi per quelle più piccole o più grandi». Fra le imprese sempre attive tra il 2001 e il 2008 (circa 2,6 milioni) un quarto ha incrementato l’occupazione, determinando nell’11 per cento dei casi una transizione verso classi dimensionali superiori. Il 15 per cento ha, invece, subito un calo degli addetti (il 6 per cento delle imprese), con un conseguente spostamento – osserva l’Istat – in classi dimensionali inferiori. Nell’industria in senso stretto si osserva una maggiore dinamicità (circa il 34 per cento in aumento e il 27 in diminuzione). Le imprese hanno fronteggiato la crisi cercando di riorientare le produzioni e la presenza sui mercati internazionali e, sempre secondo l’Istat le piccole e medie imprese hanno gestito meglio le difficoltà rispetto alle microimprese e a quelle di grandi dimensioni. Il presidente dell’Istat ha lanciato anche l’allarme sulla sostenibilità economica nel lungo periodo.Tra i fattori che mettono a rischio la tenuta del Paese, ha spiegato Giovannini, ci sono un debito pubblico molto elevato

che si unisce al fatto che l’Italia cresce a ritmo troppo blando, che il Paese invecchia e che si investe troppo poco. Dopo due anni di crisi economica il Pil reale dell’economia italiana a fine 2009 ètornato sullo stesso livello dell’ultimo trimestre del 2000: si tratta, spiega l’Istat nel rapporto 2009, di un arretramento di 36 trimestri, sensibilmente più grave di quello registrato nei maggiori Paesi europei, dove è rimasto compreso tra i 13 trimestri della Francia e i 16 trimestri del Regno Unito. Nel primo trimestre del 2010, tuttavia, l’economia ha segnato una espansione dello 0,5 per cento che conferma una crescita acquisita per il 2010 pari allo 0,6 per cento.

A conferma delle parole di Giovannini ci sono anche le preoccupazioni dell’Ocse che nella sezione dedicata all’Italia del suo “Economic outlook”, scrive: «la recessione in Italia è finita a metà del 2009, ma ”a ripresa procederà a passo limitato nel 2010, rinforzandosi un po’ nel 2011». L’Ocse stima che il nostro Pil salirà dell’1,1 per cento nel 2010 e dell’1,5 per cento nel 2011, mentre nei trenta Paesi dell’Ocse il Pil crescerà del 2,7 per cento nel 2010 e del 2,8 nel 2011. Per l’Italia si tratterà, quindi, di un rimbalzo “limitato”, destinato a rafforzarsi di poco l’anno prossimo. Sempre secondo l’Ocse a risentirne sarà la disoccupazione che si attesterà all’8,7 per cento nel 2010 e salira all’8,8 per cento nel 2011. L’istituto parigino, promuovendo l’azione di contenimento del governo italiano, invita ad approvare la manovra correttiva dei conti pubblici, in assenza della quale non si riuscirà a ridurre consistentemente il deficit di bilancio, che resterebbe al 5 per

Il 13,2% dei ragazzi tra 15 e 29 anni dichiara di non aver letto neanche un libro in un anno o di non aver mai utilizzato il personal computer cento del Pil il prossimo anno, stime che non prendono in considerazione le misure supplementari sul 2011, che devono essere ancora approvate a livello parlamentare.

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L’esponente centrista insiste: «Aiutare le famiglie e fare le riforme»

«Stiamo dimenticando il futuro dei nostri figli»

Parla Savino Pezzotta: «L’Istat descrive una nazione che ha smesso di occuparsi dei giovani e delle donne» di Francesco Capozza

ROMA. L’Italia ha il più alto numero di giovani che non lavorano e non studiano. Si chiamano Neet (Non in education, employment or training) e nel nostro paese sono oltre 2 milioni. Per questo, ha il primato europeo. Hanno un’età fra i 15 e 29 anni (il 21,2% di questa fascia di età), per lo più maschi, e sono a rischio esclusione. Onorevole Savino Pezzotta, il rapporto Istat dice che il numero dei giovani Neet è molto cresciuto nel 2009, a causa della crisi economica: 126 mila in più, concentrati al nord (+85 mila) e al centro (+27 mila). Tuttavia il maggior numero, oltre un milione, si trova nel Mezzogiorno. Che ne pensa? Penso che questi dati non fanno altro che confermare la pesantezza della situazione in cui versa il paese. Dal rapporto emergono due figure particolarmente danneggiate da questa crisi: i giovani e le donne. Sui giovani i dati che lei ha citato danno molto da pensare in particolar modo fanno riflettere su un fatto: questo è un paese che non ha cura dei suoi ragazzi. Sono fuori dal dibattito politico e fuori dalla classe dirigente. In più, come ha dichiarato il presidente della Conferenza episcopale italiana, cardinale Bagnasco, siamo di fronte a un declino demografico; i giovani non si sposano o se lo fanno evitano di fare figli. Per quanto riguarda le donne, invece, il motivo è semplice e anche questo non è una novità: i datori di lavoro sono disincentivati ad assumerle per la maternità, perchè a loro modo di vedere se hanno dei figli sono meno produttive. A dire il vero il dato è migliore degli anni passati su questo punto, ma resiste ancora una disparità tra disoccupazione femminile e maschile. Dai dati emerge anche che i cosiddetti “bamboccioni” aumentano a dismisura, costretti dai problemi economici. Nonostante le aspirazioni, i 30-34enni che rimangono in famiglia sono quasi triplicati dal 1983 (dall’11,8% al 28,9% del 2009). Un dato allarmante o la naturale trasposizione della crisi nelle tasche degli italiani? Innanzi tutto non mi piace per niente questa definizione di “bamboccioni”. E poi mi scusi, dove dovrebbero andare i ragazzi che non hanno lavoro? In mezzo a una strada? È logico che la permanenza in famiglia si allunghi fino a quando non si diventa autosufficienti e se stiamo messi così, con i tempi che corrono, l’autosufficienza è assai difficile trovarla. Il problema è che noi abbiamo depotenziato le possibilità di un futuro per i giovani. La preoccupazione che dovrebbe avere la classe dirigente di questo paese non è tanto per quelli che hanno la mia

età, ma per i giovani. Che paese lasceremo ai nostri figli? Tuttavia, secondo l’Istat, la ripresa si avvia verso una fase di «progressivo consolidamento» nei prossimi mesi in tutti i settori «ad eccezione delle costruzioni» che restano a picco, in Italia così come in altri Paesi europei quali Francia e Spagna. Sì, ma il rapporto dice anche che il quadro è peggiore, nel complesso, di altri paesi europei. Insomma, non è certo un quadro positivo né in miglioramento quello definito dall’Istat. Oserei dire il contrario. Per quel che concerne la stasi del settore delle costruzioni, credo sia dovuto al fatto che il nostro paese è basato sulla piccola industria manifatturiera mentre il resto del mondo si tecnologizza sempre di più e si attesta, in generale, su ben altri livelli. La pressione fiscale in Italia è salita al 43,2% nel 2009, aumentando di tre decimi di punto rispetto all’anno precedente (42,9% nel 2008). Il tema è di strettissima attualità, proprio oggi che il premier ha ribadito di non voler «mettere le mani nelle tasche degli italiani». Le cose sono due: o Berlusconi ci fa o ci è. Voglio dire, o mente sapendo di mentire o non è informato dei fatti e quindi di qual’è realmente lo stato delle cose. Prima ci avevano detto che non sarebbe stata necessaria una manovra e invece eccola qui, con i suoi 24 miliardi. Poi ci raccontano che non mettono le mani nelle tasche degli italiani, ma il rapporto dell’Istat disegna un altro paese. Un paese dove la pressione fiscale aumenta e i soldi dalle tasche dei cittadini spariscono. Il premier doveva avere maggiore coraggio e presentarsi davanti agli italiani - mettendoci la faccia in questa crisi - delineando la situazione e chiedendo loro sacrifici. Lo avrebbero capito meglio e lo avremmo apprezzato senza dubbio di più anche noi. Ultima domanda: le famiglie sono sempre più povere e si indebitano sempre più. Come uscirne? È chiaro che la mia risposta è sempre la solita. La vera misura per aiutare le famiglie sarebbe il quoziente familiare. Mi rendo conto, tuttavia, che ha dei costi che in questo momento sarebbe molto gravoso affrontare. Ma bisogna che sia chiaro che la manovra varata dal governo va a colpire in particolar modo le famiglie. Il quoziente familiare incentiverebbe anche a fare più figli e verrebbe meno l’allarme della Cei. Questa manovra si profila tutt’altro che equa e a farne seriamente le spese saranno proprio le famiglie.

Non mi piace per niente la definizione di bamboccioni: ma dove dovrebbero andare tutti quei ragazzi che non hanno lavoro?


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l’approfondimento

Morando: «Tremonti sbaglia ancora ma in Parlamento lavoreremo». Treu: «È vero, il malessere del premier apre spazi»

Democratici o caporali?

Per il Pd è arrivato il momento della verità: dalle scelte sulla manovra (aprire una nuova stagione di collaborazione nazionale oppure cedere alla deriva antagonista di Cgil, Vendola e Co) si deciderà il vero futuro del partito di Errico Novi

ROMA. Sentimenti contrastanti. Da una parte l’avvilimento per una manovra, per un ministro dell’Economia ancora una volta «inaccessibili» al confronto: «Ci saremmo aspettati contatti che invece non ci sono stati», è il refrain più ascoltato alla riunione mattutina del Pd. Dall’altra però tra i democratici temporaneamente orafni di Bersani (in Cina) c’è un’altra consapevolezza: quei «contatti» sono stati negati, da Tremonti, persino al presidente del Consiglio. Anche al livello più alto del governo si sono levate rimostranze per il muro impenetrabile alzato da via XX Settembre almeno su alcuni dettagli dell’intervento correttivo. E questo apre spazi imprevedibili, per i democratici. Dalle contraddizioni nella maggioranza si genera dunque un sentimento opposto alla frustrazione, di speranza appunto e di laboriosa attesa per il dibattito parlamentare.

Al Nazareno ci si vede in mattinata. Con il segretario impegnato in Asia, a presiedere il dibattito è il vice Enrico Letta.

Confronto aperto alle riflessioni di tutti, a cominciare da Dario Franceschini, presente in veste sia di capogruppo alla Camera che di capo della minoranza interna. Con lui c’è l’omologa di Palazzo Madama Anna Finocchiaro, un fedelissimo di Bersani come il coordinatore della segreteria Maurizio Migliavacca, l’altro big dell’ala dem Beppe Fioroni, che è anche responsabile Welfare del partito. Siamo all’anteprima dell’assemblea dei deputati convocata per la serata, dopo la conferenza stampa Berlusconi-Tremonti. Ma anche in assenza di un testo vero, emerge già l’intenzione di «non sottrarsi». Dice Franceschini: «Alcune cose sono chiare: siamo nella filosofia di far pagare sempre i soliti, con provvedimenti tampone a carico sempre delle stesse persone, degli stessi ceti sociali, senza riforme strutturali». Quindi «non possiamo che avere un atteggiamento negativo». Ma appunto «al confronto in Paramento non ci sottrarremo».

Anche perché sullo scacchiere prevalgono due elementi: il

richiamo alla responsabilità di Giorgio Napolitano, certo, che di fatto vincola il Pd a non appiattirsi sulle posizioni di Guglielmo Epifani; ma soprattutto la ricerca da parte di Berlusconi di un equilibrio diverso, impossibile da individuare prima che la manovra fosse varata in Consiglio dei ministri. Su una scena segnata dal dissenso del premier per una strategia «depressiva», si possono inserire le «controproposte» dei democratici. Proprio questa definizione è l’altro ritornello gettonato alla riunione del Nazare-

«Nel Pdl figure come Baldassarri sostengono tesi condivisibili»

no. «Valuteremo norma per norma e quindi diremo quali sono le nostre proposte», spiega ancora Franceschini, illuminando un’ipotesi di strategia differenziata, modulare, variabile a seconda del consenso che le varie misure adottate saranno in grado di suscitare.

Non tutti la pensano esattamente così. Si prenda Enrico Morando: «Dal mio punto di vista è da escludere una convergenza del Pd sulla manovra, perché la maggioranza persiste nell’errore commesso dall’inizio della legislatura: insiste nel ritenere che le grandi riforme strutturali non vadano fatte nei momenti di crisi. È invece è il contrario perché è adesso», scandisce Morando, «che l’opinione pubblica ca-pi-reb-be». Ma è proprio dal senatore ed ex presidente della commissione Bilancio che arriva la prova del senso di responsabilità ormai prevalente nel Pd. Perché se è vero che «non credo si possano aprire margini per una condivisione complessiva del provvedimento», è anche vero che i punti di

attacco principali del suo controprogramma sono, per ammissione esplicita del parlamentare democratico, «incompatibili con un’opposizione omologa a quella annunciata dalla Cgil». Casomai ci sarà «presenza e lavoro in Parlamento, perché l’opposizione si fa sia proponendo un disegno d’insieme sia con il lavoro sui singoli provvedimenti».

Da un chiaro oppositore delle scelte di Tremonti, dunque, arriva un rifiuto sostanziale dell’ipotesi barricadera. E una traccia per quella «alternativa di governo» di cui oltretutto Pier Luigi Bersani torna a parlare in “differita”, cioè con un’intervista anticipata ieri da L’ago e il filo, il periodico dei folliniani. Bersani dice che «vista la situazione, le opposizioni devono accorciare le distanze tra loro». E d’altronde è stato lo stesso leader a consegnare nelle mani dei dirigenti «cinque priorità» prima di imbarcarsi per Pechino: alleggerire lavoro, imprese e famiglie e spostare la pressione su rendite e ricchezze, lotta vera all’evasione, no ai tagli lineari ma sì ai ri-


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Il Nazareno è diviso, ma questa volta deve ritrovare unità di fronte al Paese

Questa è l’ultima chiamata per un’opposizione responsabile Ci vuole più equità, è vero, e non è finita qui... ma l’eccezionalità della situazione impone di dire qualcosa più di un “niet” o di un “ni” di Enzo Carra a manovra da 24 miliardi di tagli costituisce un punto di non ritorno nei rapporti tra maggioranza e opposizione e all’interno della stessa opposizione. Anzi, è soprattutto in questo campo che si fronteggiano strategie diverse. L’eccezionalità di questa manovra – e di altre, se ve ne saranno altre – ne sbiadisce i caratteri politici e di schieramento che normalmente accompagnano queste operazioni. Questa volta le diversità di impostazione tra il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia e l’appello del presidente della Repubblica a fare «la nostra parte in Europa» cambiano le regole del gioco. Anche le intenzioni dichiarate dei sindacati, con Cisl e Uil che vogliono “capire e gestire” e la Cgil precocemente ostile, non sono la semplice replica di altre diversità.Tanto è particolare e grave il momento che tutti attraversiamo. Tanto è lontano, dunque, da quegli anni in cui i sindacati si dividevano sul “patto per l’Italia” (salvo constatare poi, insieme, che quel patto, semplicemente, non c’era). Altre stagioni. Quando si poteva liberamente discutere sulle capacità – e l’onestà d’intenti – di un governo scegliendo tra una posizione più collaborativa e una più critica. Oggi il governo si dimena insieme alle parti sociali e alle forze parlamentari nello stesso vortice che può trasformarsi, se già non è così, in un colossale moto centrifugo che può ridurre a brandelli l’Europa. E anche le osservazioni pessimistiche di chi pensa che questa manovra non basterà e che «il peggio deve ancora venire» non fanno altro che imporre la ricerca condivisa di soluzioni. Nei limiti del possibile.

L

Se non ora, quando? Una crisi epocale come quella in atto, i crimini e gli errori che l’hanno provocata, le soluzioni, parziali e reticenti messe in atto per fronteggiarla, la dislocazione in campo di blocchi sociali a difesa di opposti interessi: tutto fa pensare che da questa situazione usciremo cambiati. E che dinamiche perverse, già all’opera da anni, possano rivoluzionare ulteriormente un quadro sociale in progressivo peggioramento. La responsabilità delle forze politiche, dei sindacati, delle organizzazioni imprenditoriali è quindi perlomeno duplice. Affrontare la crisi, lavorare per un nuovo sviluppo. Sul secondo punto, naturalmente, le visioni non possono essere tutte uguali. Sul primo uno sforzo comune può essere tentato. Se d’altra parte il governo si

vede costretto a spedire in prima linea il sottosegretario Letta, da sempre critico nei riguardi del ministro dell’Economia, a difenderne la politica. Se il presidente del Consiglio deve guardare da un’altra parte per non assistere alla riabilitazione di Visco, il ministro dell’Economia del governo Prodi, che i suoi affettuosamente definivano Dracula, la cui “tracciabilità” è stata richiamata in servizio da Tremonti. Se Bossi è costretto a tacere, pensando a cosa racconterà ai padani per spiegare loro che nisba federalismo fiscale. Se, infine, Berlusconi è «teso e insoddisfatto» e ammette che questa «non è la sua manovra». Se tutto questo – e molto altro ancora – accade, allora è il momento di muoversi.

Certo, ci vuole più equità. Un’operazione che scarichi su quanti hanno «già dato» i costi della crisi e dimentichi alcuni dei responsabili, banche e finanze, non va bene. La crisi non è colpa di pensionati o degli statali che cercano una finestra per andare in pensione. Questo lo sappiamo. E sappiamo che non si fa un passo avanti con altri condoni, nascosti o mascherati. Insomma è una manovra così così. Per farla breve: la difesa del blocco sociale più debole è non soltanto legittima, ma necessaria. Soltanto che questa va fatta mettendo le carte in tavola,

proponendo soluzioni nuove e alternative, non limitandosi a dei semplici “niet”. Bersani, e con lui molti dirigenti del Pd (non tutti, però) obiettano che questa manovra “è niente”. Bersani esagera. Lui stesso sa che non la si può liquidare come si fa con una normale finanziaria, in quattro e quattr’otto. All’orizzonte c’è, ed è purtroppo vero, un panorama recessivo. Questo è però il panorama che circonda l’Europa e il governo italiano corre ai ripari come quelli degli altri paesi. A differenza di altri, però, usa qualche rispetto (non dovuto) in più per le rendite parassitarie e la politica bancaria. Ne faccia a meno. La linea europea, comunque, non si concentra oggi sulle riforme ma sui tagli. E questo fa il ministro dell’economia.

Si deve fare di più, come si dice sempre quando si sta per dire un no? Allora non c’è che far venire allo scoperto oltre le divergenze che pure ci sono nella maggioranza le misure del governo, e su quelle ragionare. Senza condanne preventive: la “macelleria sociale” è stata già aperta da tempo ed è in piena attività, manovra o no. Sull’“insostenibilità” di alcuni sacrifici è invece assolutamente necessario battersi, se non altro per ottenere che a pagare non siano soltanto statali e pensionati. Teoricamente, almeno, un dibattito senza soluzioni scontate potrebbe spostare in avanti tutto il lungo confronto sulle riforme. E, comunque, ora c’è bisogno d’ordine, più che di parole d’ordine. La posizione assunta in anticipo sugli altri da Casini e dall’Udc, di responsabilità e, a certe condizioni, di condivisione delle misure economiche, è, poi, un’ulteriore novità della quale il Pd e Bersani devono tenere conto. Il fatto che nel partito vi siano su questo tema chiarissime diversità non soltanto d’accenti ma anche di obiettivi è, o dovrebbe essere, un buon motivo per sconsigliare il segretario del Pd da una linea del no duro e puro. Non ci sono ragioni per passare da un’opposizione plurale quale c’è oggi a opposizioni distanti tra loro ma delle quali una, il Partito di Bersani, finirebbe per affiancarsi al partito di Di Pietro in una sorta di massimalismo fuori tempo. L’unica ragione che può portare al no delle opposizioni sulla manovra sarà determinato dall’eventuale irresponsabilità del governo. In questo caso l’opinione pubblica saprebbe tuttavia distinguere tra chi lavora per il bene pubblico e chi insegue i propri disegni e copre i propri interessi.

sparmi su beni e servizi, liberalizzazioni, apertura dei piccoli cantieri ed efficienza energetica». Potrebbe essere un estratto di quello che Morando ama definire «piano triennale per la competitività». È quello, dice, «lo schema che il governo dovrebbe assumere e sul quale personalmente non ho verificato grande attenzione all’interno del mio stesso partito».

Verrebbe da dire: pensioni innanzitutto. E invece il senatore pd cita i giudizi positivi della Banca mondiale sul sistema previdenziale italiano: «Riconoscono che con le misure introdotte nel ’95 abbiamo creato quella sostenibilità sul lungo periodo considerata essenziale dagli osservatori internazionali. E l’unico settore della spesa pubblica in cui siamo messi meglio della Germania». Il vero nodo dunque «è nel campo del fisco e della pubblica amministrazione». Primo; «Come si fa a sopportare che nel nostro Mezzogiorno le donne abbiano uno dei tassi d’occupazione più bassi d’Europa? Come restare immobili e non intervenire per portare le aliquote del lavoro dipendente femminile per esempio dal 23 al 17?». Secondo: «Come si fa a non procedere sulle liberalizzazioni? Solo con le professioni l’Ocse ci attribuisce un recupero di 14 punti di competitività, basta intervenire». E ancora: «Come si possono lasciare 6 corpi si polizia che fanno tutti le stesse cose?». Soprattutto: «Se non ora che la crisi rende più comprensibili per l’opinione pubblica degli interventi strutturali, se non ora, quando?». Tiziano Treu è anche più ottimista del collega. Posta la questione delle divergenze tra Palazzo Chigi e Via XX Settembre, osserva: «Il confronto può esserci, sarebbe anzi gravissimo se non ci fosse su una cosa così importante: tanto più, appunto, che nemmeno Berlusconi è apparso troppo soddisfatto della manovra». Non si può ignorare «l’appello del Capo dello Stato, anzi bisognerebbe evitare da parte della maggioranza un atteggiamento pregiudiziale nei confronti del Pd».Torna il disappunto per i «mancati contatti» con Tremonti. Affiora anche lo sconcerto «per la contraddizione con l’idea del federalismo: qui siamo di fronte a un centralismo dei peggiori, giacché si scarica il peso dei tagli sugli enti locali, con probabili ricadute sui servizi sociali». E poi ci sono individualità come quella di Mario Baldassarri con cui l’opposizione può trovare una sintonia: «Lui è isolato nel Pdl, ma molte delle cose che dice sono condivisibili: dai fondi non utilizzati agli incentivi alla produzione. Non c’è dubbio che se si vuole essere equi ed efficaci bisogna indirizzare i tagli dove c’è il grosso della spesa». Elementi per lavorare ce ne sono, e la piazza sembra lontana.


diario

pagina 8 • 27 maggio 2010

Giustizia. Il ddl da lunedì in Senato. Il Guardasigilli ha smentito anche le voci sul malcontento del presidente del Consiglio

Intercettazioni, niente fiducia

Il ministro Alfano: «Al momento non c’è alcuna ragione di porla» ROMA. Binario morto? Nemmeno per sogno. Di più, «lo escludo in modo categorico». Angelino Alfano ieri mattina ha per prima cosa voluto smentire con alcuni uomini del Pdl una voce riportata dalla stampa: il ddl sulle intercettazioni non piace più a Berlusconi e quindi, una volta approvato al Senato, finirà nel dimenticatoio nella commissione Giustizia della Camera. Diffusa la linea ufficiale, il Guardasigilli se n’è andato a fare il punto della situazione proprio col Cavaliere a palazzo Grazioli, dove i due sono stati raggiunti nientemeno che da Italo Bocchino e Andrea Augello, il finiano più odiato dal premier e il senatore che tenta di accreditarsi come l’unico possibile pontiere tra i due fondatori del Pdl. La situazione è davvero fluida, ma la scelta sembra essere quella di portare a casa il testo entro l’estate, come vuole l’ala ultraberlusconiana (nel senso di più berlusconiana dello stesso Berlusconi) del partito: l’unica via per farlo è trovare una mediazione fin dall’aula del Senato per portare a Montecitorio - dove i finiani hanno la presidenza della commissione Giustizia con Giulia Bongiorno - un testo blindato. All’ingrosso, Alfano, la strada l’ha già tracciata due giorni fa, di fatto sconfessando il lavoro della maggioranza nella commissione Giustizia di palazzo Madama: a parte il passaggio dagli «evidenti indizi di colpevolezza» ai «gravi indizi di reato» come presupposto per l’autorizzazione degli ascolti (il Quirinale aveva già fatto sa-

quelli che si intende cancellare - arriveranno in aula, dove il ddl approderà lunedì pomeriggio. La prima falla da chiudere è l’impatto della legge sul mondo dell’informazione. Alfano e gli altri stanno pensando come e quanto ridurre le maximulte per gli editori che pubblicano intercettazioni - si dovrebbe passare dall’attuale sanzione «da 250 a 300 quote» a una formulazione più sfumata come «da cento a 300 quote o meno» - mentre resterebbero le pene per i cronisti, che anzi

La prima falla da chiudere è l’impatto sul mondo dell’informazione.Il ministro e gli altri stanno pensando come ridurre le maximulte per gli editori pere che così la legge era infirmabile), tutti gli altri emendamenti approvati sono «iniziative di singoli parlamentari», mentre per il governo il punto di equilibrio, ha spiegato il Guardasigilli, è sempre stato «il testo della Camera». Si procederà normalmente, ha spiegato, perché «al momento non c’è motivo di porre la fiducia».

Come detto gli emendamenti concordati nella maggioranza - che dovrebbero portare la firma del relatore Roberto Centaro esattamente come

scrivere alcunché fino al rinvio a giudizio. Quanto alla disciplina vera e propria degli ascolti, la trattativa è ancora in alto mare: i finiani spingono per escludere dalle nuove norme (massimo 75 giorni e solo se «assolutamente indispensabili» e in presenza di «gravi indizi di reato») anche alcuni dei cosiddetti “reati spia” della criminalità organizzata come il traffico illecito di rifiuti, l’usura e l’estorsione (solo alcune delle criticità segnalate all’Antimafia dal procuratore Piero Grasso), mentre da altri settori della maggioranza - ad esempio il ministro Carfagna - si chiede il “doppio binario” anche per crimini assai sentiti dall’opinione pubblica come stalking, la pedopornografia o l’adescamento di minori.

di Marco Palombi

sarebbero aumentate in caso di ritorno al testo di Montecitorio. Non viene cancellato, ma rimodulato, il cosiddetto «emendamento D’Addario», cioè quello che prevede una grave pena per chi registra conversazioni all’insaputa dell’interlocutore: ne verrebbero esclusi i giornalisti professionisti nell’esercizio del diritto di cronaca. Infine dovrebbe venir previsto, come aveva proposto Giulia Bongiorno, almeno il diritto per la stampa di pubblicare gli atti di indagine per riassunto, mentre adesso è vietato

La sentenza d’Appello al processo Parmalat

Confermati 10 anni a Tanzi MILANO. I giudici della seconda corte d’Appello di Milano hanno confermato la condanna a dieci anni di reclusione, inflitta già in primo grado, nei confronti dell’ex patron della Parmalat, Calisto Tanzi. L’imprenditore è stato quindi giudicato colpevole per reati di aggiotaggio e ostacolo agli organismi di vigilanza. La corte ha anche condannato Tanzi e altri manager al risarcimento di circa 105 milioni di euro ai risparmiatori. La Corte d’appello di Milano, oltre a Tanzi, ha condannato a due anni e sei mesi di reclusione anche Giovanni Bonici e a tre anni di reclusione Luciano Silingardi, rispettivamente ex presidente di Parmalat Venezuela e consigliere indipendente del gruppo, imputati a Milano per la vicenda del crack dell’azienda. Silingardi e Bonici, a differenza

di Tanzi, erano stati assolti in primo grado. I giudici hanno inoltre confermato la sentenza di assoluzione per i tre funzionari di Bank Of America decisa dal tribunale nel dicembre 2008 scorso e dei consiglieri Enrico Barachini e Paolo Sciumè.

Risarcimento ai risparmiatori da 105 milioni: Calisto Tanzi dovrà pagare, in-

sieme ai manager Giovanni Bonici e Luciano Silingardi, una somma di circa 105 milioni ai risparmiatori che si sono costituiti parte civile.È questa la conseguenza finanziaria più importante della sentenza emessa dalla corte di appello di Milano.

A livello politico invece, a parte le non secondarie prove tecniche di pacificazione tra Fini e Berlusconi, resta una gestione del dossier intercettazioni da parte del Guardasigilli (e di Ghedini) che lascia assai a desiderare. Marce forzate e ritirate inspiegabili, un muoversi ondivago tra tentazioni punitive nei confronti di giornalisti e magistrati e la paura per le conseguenze di un atteggiamento del genere (le recenti rimostranze dell’amministrazione Usa ne sono un caso di scuola), l’isterizzazione del dibattito pubblico in un momento in cui il governo si trova costretto a procedere con una manovra economica che gli sta già facendo perdere consensi. Martedì sera, semmai ce ne fosse stato bisogno, l’uscita allo scoperto sulle modifiche di Alfano ha contemporaneamente reso trasparenti le divisioni tra le varie fazioni della maggioranza, maltrattato il lavoro del Senato e fatto incazzare la Lega tutto in un colpo solo. Mentre infatti la commissione Giustizia votava - tra animosità varie - il provvedimento, il giovane ministro a pochi metri di distanza informava la stampa che quel testo valeva meno della carta su cui sarebbe stato stampato perché il governo lo avrebbe cambiato in Aula. «Adesso basta», scandiva allora il capogruppo leghista Bricolo: «In Senato ne stiamo discutendo da un anno. Ora si vota per concentrarsi, com’è giusto che sia, sulla manovra economica». Per il ddl anti-intercettazioni è l’ultima chiamata.


diario

27 maggio 2010 • pagina 9

Blitz in 16 banche sui movimenti verso San Marino

Monsignor Zimowski: «Soltanto Dio può creare la vita»

La Finanza va in cerca dei paradisi fiscali italiani

Il Vaticano: «La cellula sintetica è un prodotto umano»

ROMA. Blitz di Guardia di Fi-

CITTÀ DEL VATICANO. La cellula sintetica creata in laboratorio dall’équipe del professor Venter non può assolutamente essere definita come «creazione della vita», «solo Dio crea, l’uomo produce». E la cellula in questione è appunto un prodotto tecnico dell’uomo, si tratta di «biologia sintetica». È questa la posizione espressa ieri dal Vaticano in merito alla nuova frontiera raggiunta dalla scienza con la prima cellula batterica artificiale dotata di Dna tutto sintetico.

nanza e Agenzia delle Entrate in 16 banche per verificare il rispetto degli obblighi di legge necessari a garantire l’identificazione della clientela. In tutto sono state visitate 78 filiali e due fiduciarie italiane, dislocate in sei regioni (Lombardia,Veneto, Emilia Romagna, Marche, Toscana e Lazio). Nel mirino del fisco ci sono gli intermediari nazionali, già emersi nel corso di attività operative finalizzate a contrastare l’evasione fiscale internazionale, le frodi Iva ”carosello” e il riciclaggio dei relativi proventi, individuati da Fiamme Gialle e Agenzia delle Entrate per essere stati utilizzati da contribuenti italiani per eseguire movimentazioni finanziarie illecite destinate alla Repubblica di San Marino. La banca dati dei rapporti finanziari contiene tutte le comunicazioni relative ai rapporti continuativi intrattenuti con la clientela esistenti, a partire dalla data del 1° gennaio 2005. I dati devono essere comunicati all’archivio mensilmente in via telematica. Il fisco italiano vuole accertare l’esattezza e la completezza delle informazioni che gli intermediari sono tenuti a comunicare all’archivio dei rapporti finanziari. L’eventuale omissione da parte delle banche farebbe scattare inda-

Vacanze o risparmio? È sempre lite sulla scuola Lo spostamento delle lezioni e gli attriti tra Pdl e Lega di Giulia Stella

ROMA. Basta fughe in avanti della Lega sulla scuola. Ora è il turno del Pdl. Con una “leggina” di poche parole, appena 17 («per le scuole di ogni ordine e grado l’anno scolastico ha inizio dopo il 30 settembre»), il Pdl ha riconquistato le pagine dei giornali con le sue proposte sull’istruzione e ha messo un freno a una Lega sempre più ingombrante in materia di istruzione. Nell’euforia post-regionali, infatti, il Carroccio ha cominciato a far piovere sul ministero le sue pretese. In primis la richiesta di regionalizzare l’assunzione degli insegnanti, con forti vincoli territoriali. Prima ci hanno provato alcune regioni leghiste, poi è arrivata in Parlamento la proposta di legge della deputata Paola Goisis. Un’iniziativa che ha messo a terra un’analoga proposta (più soft sui vincoli territoriali) del Pdl e che ha regalato al Carroccio i titoli di apertura di molte testate. Adesso si gioca a parti invertite: la proposta del senatore Rosario Costa, depositata a palazzo Madama due anni fa e riesumata in questi giorni, ha riportato sui giornali e nel dibattito un’idea del Pdl sulla scuola. Proposta che, peraltro, interviene su un campo di azione, il calendario scolastico, appannaggio delle Regioni. Un segnale al Carroccio? Un messaggio subliminale sul federalismo e sulla sua applicazione?

Pdl e Lega? Che il rapporto tra le due forze della maggioranza sia un sorvegliato speciale è noto e la partita-scuola ne ha dato conferma: è bastato il comunicato isolato di una leghista per far risuonare la bocciatura dell’intero Carroccio.

Al coro si è unito anche il neo governatore del Piemonte Cota, che ricorda al Pdl che il calendario è materia delle regioni. Mentre il senatore Mario Pittoni, capogruppo della Lega Nord in commissione Istruzione, ha assicurato: «Con Gelmini c’è sintonia». Per poi precisare, però, che la proposta Costa «è vecchia di 2 anni» e «non è mai stata calendarizzata. Non si capisce fra l’altro come un’idea del genere potrebbe procedere…». Aderenti getta acqua sul fuoco. Scaramucce sulla scuola tra Lega e Pdl? «Ma no, anche la mia precisazione è dovuta al fatto che sono una insegnante. Non posso accettare che si comprima il tempo di studio dei ragazzi». Certo sembra che il Pdl voglia strizzare l’occhio al territorio, a chi lavora nel turismo e sta patendo la crisi. Ma il rapporto con il territorio è la specialità della Lega. «Forse è tutta un’idea della Brambilla…», vocifera qualcuno nel Carroccio. E comunque «se il Pdl facesse qualche fuga in avanti rispetto alla Lega per avvicinarsi al territorio non avrebbe che da guadagnarci», suggeriscono dalla Lega. La “guerra” continua, mentre i sindacati attenuano le accuse piovute sul ministro dopo il sì alla proposta: vuole risparmiare sugli stipendi dei supplenti che non assumerà più a settembre, hanno detto in molti dall’opposizione. «Non è vero - spiegano dalla Gilda degli Insegnanti - perché se l’anno scolastico inizia dopo dovrà anche finire dopo». Intanto Costa ha chiesto la calendarizzazione della sua proposta in commissione a palazzo Madama. E se la Lega si ribella «è perché - dice - loro non vedono gli ombrelloni chiudersi nel Mezzogiorno quando ancora fa caldo e gli operatori potrebbero guadagnare invece di mandare la gente in cassa integrazione. Se gli chiudessero in anticipo la stagione sciistica, ecco che avrebbero da ridire».

I sindacati intanto attenuano le accuse piovute sul ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini dopo il sì alla proposta

gini finanziarie e verifiche. Ulteriore scopo delle attività in corso, oltre a contestare eventuali illeciti commessi dalle banche, è l’acquisizione di ogni utile informazione per il successivo sviluppo di indagini volte a ”scovare”evasori e recuperare i capitali illecitamente portati all’estero.

Su un altro fronte di indagine, sempre riguardante l’esportazione di capitali all’estero, le Fiamme Gialle hanno reso noto l’ammontare del ”tesoretto” contenuto nella ”lista Hbsc”, l’elenco di correntisti italiani della banca svizzera sospettati di evasione fiscale: 6,9 miliardi di dollari Usa.

A prendere posizione è stato il presidente del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, monsignor Zygmunt Zimowski. «Stando a quanto sinora

Gli interessati smentiscono, anche dal ministero non si sbottonano, ma quel che è certo è che Mariastella Gelmini ha subito cavalcato l’idea di Costa, mentre era rimasta più freddina sulle richieste in materia di reclutamento della Lega. O meglio, aveva aperto alle graduatorie regionali, ma solo quando sul tema era intervenuto il governatore lombardo Formigoni a cui la Gelmini è legata politicamente. Sullo spostamento in là delle lezioni, invece, il ministro è stato da subito possibilista. Finalmente una fuga in avanti del Pdl, che ha generato lo scazzottamento con la Lega che, attraverso la senatrice Irene Aderenti, ha detto no alla proposta Costa: «Non consente di fare i necessari 200 giorni di scuola previsti per legge». Clima sempre più teso tra

reso pubblico - ha affermato il polacco - si può certamente definirla un importante risultato tecnico della ricerca scientifica. E questo dobbiamo ammetterlo. È invece improprio definire la realizzazione di questa cellula come un atto creativo o come la creazione della vita». «Si tratta, senza nulla togliere al valore dei ricercatori, di una modifica di quanto già esistente, dunque, di biologia sintetica». Inoltre, «secondo me la cellula sintetica, d’altro canto rilancia due questioni fondamentali: il cosiddetto rischio dell’imprevedibile, legato a novità di questo livello, e l’indissolubilità del binomio scienzaetica. Dobbiamo sempre rispettare il binomio scienza-etica e sarà, dunque, necessario che il proseguimento delle ricerche su tale cellula sia accuratamente monitorato». Quindi il rappresentante vaticano ha osservato: «Vorrei aggiungere ancora che - come avvenuto per il genoma umano con la costituzione dell’Elsi-Ethical, legal, and social issues - per il suo futuro impiego sarà necessario mettere a punto un apposito progetto parallelo che vada cioè di pari passo con il progredire della sperimentazione, valutandone l’impatto etico, legale e sociale».


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Business. La Germania costruirà infrastrutture nei Paesi del Golfo Con il Cancelliere e i ministri anche i boss di Siemens e Deutsche Bank

Angela, volpe del deserto La Merkel negli Emirati e in Arabia Saudita stringe nuovi affari grazie all’euro debole di Enrico Singer euro balbetta e Manuel Barroso l’accusa di non avere fatto abbastanza per sostenerlo, ma lei, Angela Merkel, continua dritta per la sua strada. Obiettivo: rafforzare il primato che la Germania si è già conquistata sui mercati mondiali a colpi di export e di contratti per costruire infrastrutture. Se l’Europa rallenta e sembra guardarsi allo specchio della sua crisi economica concentrandosi sui tagli di spesa, Berlino passa all’attacco a costo di confermare l’impressione che, ormai, lavori più in proprio che per il successo della Ue. Al centro della nuova offensiva politico-commerciale è il cuore opulento del Medioriente - i Paesi del Golfo e l’Arabia Saudita – dove la Merkel è sbarcata da due giorni e dove rimarrà ancora per altre 48 ore accompagnata da un’importante delegazione ministeriale e dai boss dei colossi dell’imprenditoria e della finanza tedesca come Siemens, Linde e Deutsche Bank.

L’

La missione di Angela è cominciata martedì negli Emirati arabi uniti, è andata avanti ieri in Arabia Saudita e si concluderà in Qatar e in Bahrain. Con

una regia molto attenta a calibrare i temi politici - soprattutto l’attenzione al problema del nucleare iraniano - e quelli più direttamente economici. La stessa strategia, del resto, che la Merkel ha già messo in campo con la Russia di Putin nel grande affare del gasdotto North Stream e con la Cina di Hu Jintao che si è affidata alla

adesso, insomma, può stare tranquillo per un decennio di buoni affari. E nell’incertezza generale sul futuro della ripresa economica in Europa, la Germania guarda proprio a questi mercati.

Gli Emirati arabi sono già il primo partner commerciale della Germania tra i Pesi del

Berlino ripropone anche nel cuore opulento del Medioriente la stessa strategia d’attacco messa in campo con la Russia e con la Cina per sostenere le esportazioni. Tanto peggio per chi resta indietro tecnologia tedesca per realizzare la sua rete ferroviaria a grande velocità. Nell’area del Golfo le aziende tedesche hanno progetti per la costruzione di infrastrutture per un valore di quasi tre miliardi di dollari. In questa parte del mondo, più che altrove, è ancora il dollaro a dettare legge e l’euro debole fovorisce la strategia d’attacco di Angela, novella volpe del deserto. Non solo. La media della crescita nei Paesi del Golfo è stimata al 5 per cento (nel Qatar persino al 18%) e dovrebbe rimanere su questi livelli fino al 2020. Chi si assicura contratti

Golfo e non a caso Angela Merkel ha cominciato il suo viaggio proprio ad Abu Dhabi dove ha incontrato il presidente, lo sceicco Khalifa ben Zayed al Nahyane. La cancelliera ha anche visitato il sito in cui è in costruzione la “città verde” di Masdar, che ha definito un «progetto molto ambizioso». Masdar City sarà una città senza emissioni di carbonio, costerà 22 miliardi di dollari, ospiterà 50mila residenti e sarà completata nel 2015 non lontano da Abu Dhabi. Tecnologie tedesche saranno utilizzate in questo progetto e la Merkel ha

annunciato che la Germania è pronta a investire anche nei settori della cultura e dell’istruzione per non essere da meno della Francia che ha già aperto nella capitale degli Emirati arabi uniti una succursale della Sorbona, la prima sede dell’università parigina fuori dal territorio francese. Anche la competizione con Parigi sul fronte internazionale non è una novità per Berlino. Anzi, è la conferma che le due locomotive d’Europa - che siano, o no, unite in un asse strategico - si muovono con un attivismo che fa da contrappunto ai ritardi dell’azione comune che dovrebbe svolgere Bruxelles.

È una supplenza della Ue, o è la prova che Parigi e, soprattutto, Berlino si muovono fuori da qualsiasi coordinamento euro-

peo? Di sicuro, quando si tratta di questioni economiche, Francia e Germania pensano ai loro interessi prima di ogni altra cosa. Lo stesso presidente della Commissione europea, Manuel Barroso, non ha risparmiato critiche alla Germania e ad Angela Merkel in una intervista al Frankfurter Allgemeine Zeitung, in cui ha detto di «non aver visto da parte dei politici tedeschi un reale sostegno all’euro». Barroso ha anche respinto le proposte tedesche di modifica del Patto di stabilità: «È ingenuo ipotizzare modifiche al Trattato soltanto nei capitoli ritenuti importanti dalla Germania», ha dichiarato Barroso anticipando che la Commissione europea non proporrà alcuna modifica delle regole di Maastricth, ma la loro applicazione rigorosa. Anche a

Una scampagnata da un miliardo Il capo del governo tedesco elabora la strategia economica per il futuro na scampagnata da un miliardo e 250 milioni di dollari. A tanto ammonta il giro d’affari che genererà il viaggio di Angela Merkel negli Emirati Arabi, parte del tour che il cancelliere tedesco sta svolgendo nei paesi arabi. La cui partnership con Bonn, in totale, genera 60 miliardi di euro di fatturato tra import ed export.

U

L’obiettivo del viaggio, che arriva dopo le battaglie in patria per far approvare i provvedimenti per la Grecia e la crisi, è quello dichiarato dalla stessa Merkel al momento dello sbarco: incrementare il commercio e il libero scambio tra gli imprenditori tedeschi e tutta la regione nel golfo. Le promesse di maggiori investimenti fatte negli anni precedenti sono

di Alessandro D’Amato state parzialmente disattese dal crescente indebitamento della zona euro. I timori sulla capacità dell’Unione europea di riuscire a fornire sostegno alle economie martoriata come la Grecia e la Spagna hanno portato i mercati globali e l’euro a precipitare. Ma questo non fermerà i piani tedeschi di espansione nel Golfo, dicono gli imprenditori che fanno parte della delegazione che accompagna il cancelliere nel viaggio. La Merkel ha detto che i leader del Golfo hanno «una comprensione molto buona» della necessità di controllare i deficit sotto una moneta comune. Ma ha tuttavia osservato che il petrolio della regione e la ricchezza del gas permette di investire «nel futuro». Già og-

gi il commercio tra la Germania e l’intero Medio Oriente Merkel ha cercato di mantenere l’attenzione per rafforzare i legami economici con la regione - più volte notando interesse della Germania con l’espansione delle circa 60 miliardi di euro (74 miliardi dollari) in due vie del commercio tra la Germania e l’intero Medio Oriente. E il viaggio ha permesso di rinsaldare le alleanze e di stringerne di nuove. Lunedì, i vertici della Wintershall Holding GmbH hanno firmato un patto con l’Abu Dhabi National Oil Co. per un eventuale esplorazione di giacimenti di gas. I termini finanziari sono stati resi noti, ma in una dichiarazione ufficiale la Wintershall ha definito «un passo importante», nella collaborazione a lungo termine tra la Germania e Abu Dhabi. Wintershall,


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27 maggio 2010 • pagina 11 Il Cancelliere tedesco con lo sceicco di Abu Dhabi Khalifa ben Zayed. In basso, dall’alto: Gerard Schroeder, Vladimir Putin, Hu Jintao e il presidente francese Nicolas Sarkozy

distanza di migliaia di chilometri, così, lo scontro tra Frau nein e l’esecutivo europeo è andato avanti.

Prima di lasciare Abu Dhabi per l’Arabia Saudita, Angela Merkel ha voluto comunque lanciare un messaggio rassicurante dicendo che la Germania

indietro deve recuperare. È, in fondo, la posizione che la Merkel ha proposto in tutte le riunioni straordinarie delle ultime settimane: la crisi greca ha rivelato la fragilità dell’euro e Berlino non vuole mettere in pericolo la sua ripresa economia per le debolezze altrui. Anche il tour nei quattro Paesi del Golfo

Anche a distanza di migliaia di chilometri continua lo scontro con Bruxelles. Barroso critica i piani tedeschi, Berlino replica: sì alla moneta comune, ma la competitività deve essere allineata «ha guadagnato molto dall’euro» e per questo «farà tutto il possibile perché la moneta unica sia forte». Aggiungendo, però, che la competitività di tutti i Paesi della Ue «deve essere allineata». Come dire che chi è

segue questa logica. È la dimostrazione che la Germania continua a tirare la volata anche se il gruppo non riesce a tenere il suo passo. Nella corsa ai nuovi mercati, certo, Berlino non è sola in Europa. Basta ricordare

sere operativo nel 2015, mentre il North Stream che collegherà direttante i riacimenti russi alla Germania passando sul fondo del Mar Baltico potrebbe pompare gas già tra due anni. E a capo del consorzio Nord Stream AG che si occupa della costruzione del gasdotto che collegherà la costa russa di Vyborg alla costa tedesca nella regione di Greifswald, c’è l’ex cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, a dimostrazione che l’interesse nazionale e il business -in Germania mette d’ac cordo anche l’opposizione con la maggioranza. E se l’Italia in Cina punta ad esportare Ferrari e alta moda, la Merkel si è assicurata la costruzione dei treni per l’alta velocità e, dal 2007, è già operativo il primo treno container transcontinentale che collega la Cina alla Germania. Primati commerciali che consentono alla Merkel di pesare anche nei capitoli più strettamente politici. Come quelli affrontati con il re saudita Abdallah ben Abdel Aziz sulla questione iraniana. «Speriamo che l’Iran cambi politica. In caso contrario, sosterremo le sanzioni che l’Onu deciderà», ha detto Angela.

che l’Italia è impegnata nel progetto South Stream con la Russia, così come con la Cina sta cercando di imporsi nei settori del lusso e sta intessendo rapporti commerciali con la Libia.

Ma i risultati, se misurati in miliardi di euro, così come si conviene quando si parla di affari, sono a favore della Germania. Sia se il confronto è con l’Italia, sia se è con la Francia. Nel caso dei nuovi gasdotti tra Russia ed Europa, per esempio, quello che vede l’Eni partner della russa Gazprom e della francese Edf dovrebbe es-

una controllata dell’azienda chimica tedesca Basf Se, ha progetti in altre parti degli Emirati Arabi Uniti.

La società di investimento sostenuta da Abu Dhabi lo scorso anno ha invece pagato circa 2,6 miliardi dollari per una quota del 9,1% della Mercedes-Benz capogruppo Daimler AG, diventando il maggior azionista del più grande fabbricante automobilistico, proprio davanti a un fondo sovrano controllato da un altro stato del Golfo, il Kuwait. Il Qatar invece è il terzo azionista della Volkswagen, sempre attraverso un fondo sovrano. A novembre, invece, una società di investimento di proprietà del fondo sovrano del Qatar ha firmato un accordo da 26 miliardi dollari con l’operatore ferroviario nazionale tedesco Deutsche Bahn Ag per creare una rete ferroviaria nel piccolo paese arabo ricco di gas naturale. L’Arabia Saudita è il terzo partner commerciale della Germania in Medio Oriente. Il ministro delle Finanze saudita Ibrahim Al-Assaf ha recentemente annun-

ciato un piano di infrastrutture del valore di 300 miliardi di euro nei prossimi quattro anni, e molte aziende tedesche si sono dette interessate a partecipare. Poi ci sono gli accordi industriali. Come quello che hanno sottoscritto la Linde e la Borounge, finalizzata all’aggiudicazione di un contratto da un miliardi di dollari che comprende la costruzione di impianti a

energie verdi, con la Germania pronta a seguire i progetti degli Eau sulle rinnovabili che culmineranno, nel 2015, con la costruzione di Masdar City, la prima città a “zero emissioni” del mondo. Un po’ poco, forse, per parlare già di un’alleanza arabo-tedesca. Ma di certo Bonn è l’interlocutore privilegiato del Medio Oriente tra tutti i paesi del Vecchio Continente. E questo, in un’ottica di lungo periodo, dal punto di vista economico non potrà che essere d’aiuto sia al paese che all’area.

Il viaggio a Dubai e Jeddah ha permesso di rinsaldare le alleanze e di stringerne di nuove. Tra tutti i Paesi del Vecchio Continente, Berlino è ormai l’interlocutore privilegiato dell’area Ruwais, il complesso industriale di Abu Dhabi, per la conversione di fino a 1,5 milioni di tonnellate all’anno di gas naturale in etilene, da cui si forgiano le plastiche in politene. Il gruppo Siemens ha ricevuto un ordine di 150 ¤ milioni di eur o da parte dell’operatore di rete di Abu Dhabi, Abu Dhabi Trasmissions & Despatch Company, per l’espansione della distribuzione di energia elettrica. Infine, ci sono gli impegni sulle

Ma la Germania non si ferma alla penisola araba. Ha già stretto accordi molto saldi con la Russia per la costruzione di Nordstream, il gasdotto che porterà in Europa 55 miliardi di gas russo l’anno, e che comincerà ad andare in esercizio nel 2011. E poi ci sono gli accordi per l’Alta velocità con la Cina, che aiuteranno lo sviluppo del commercio internazionale tra i due paesi e i continenti. Così la Germania si costruisce un futuro economico, e quindi politico, sempre più da leader. In Europa e nel mondo.


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e Gasperi ha guidato ininterrottamente il paese negli anni più difficili della sua storia unitaria. Prima ancora di assumere la guida del governo, nel dicembre del 1945, già con Bonomi prima e con Parri poi, i suoi rapporti con gli Alleati furono decisivi per delineare quelle che sarebbero state in seguito le linee della politica estera italiana, necessitato e convinto a puntare sugli Stati Uniti come unica opzione possibile per far riacquistare all’Italia uno status internazionale di nazione indipendente. Assunta quindi la guida del governo, il suo ruolo si rivelò determinante per uscire dalle contraddizioni che rendevano difficile la scelta per risolvere la questione istituzionale. Il suo impegno per imporre la via referendaria, anche con il sostegno degli Alleati e nonostante l’opposizione dall’estero di un leader autorevole come Luigi Sturzo e tutte le ombre che per anni gravarono sull’esito del voto, si rivelò alla fine come la soluzione meno dolorosa. De Gasperi, che aveva lasciato alla libera scelta degli elettori democristiani la decisione sul referendum, seppe però nel momento cruciale prendere su di sé il peso della scelta di assumere le funzioni di Capo dello Stato per abbreviare l’agonia istituzionale che il paese stava vivendo e per ridurre i rischi di guerra civile. I lavori dell’Assemblea Costituente furono da lui seguiti con attenzione, conservando l’alleanza con socialisti e comunisti in nome della necessità di fir-

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Il suo impegno per imporre la via referendaria anche con il sostegno degli Alleati, nonostante tutte le ombre che per anni gravarono sull’esito del voto, si rivelò alla fine come la soluzione meno dolorosa mare il Trattato di pace e portare a termine i lavori costituenti. Lo stesso Trattato di pace, con le sue clausole dolorose, fu accettato come un sacrificio ineludibile per riacquistare la piena sovranità dell’Italia.

Interamente a suo merito va il successo del famoso viaggio negli Stati Uniti, all’inizio del 1947, dove vennero varati quegli aiuti economici senza i quali l’Italia avrebbe rischiato il tracollo finanziario. Altrettanto e forse più deve dirsi per la svolta della primavera del 1947, quando decise di rompere l’alleanza con le sinistre che aveva guidato il paese dal secondo governo Badoglio. In quel momento non era ancora maturata la svolta della politica americana, con la rottura con l’Urss e la decisione di impegnarsi nella difesa economica e militare dell’Europa occidentale. De Gasperi scelse quindi da solo la strada della rottura politica e di un difficile risanamento economico, con tutti i rischi che avrebbe potuto comportare. La strategia del doppio binario del Pci, che puntava a restare al governo, contrastandolo però nelle piazze e nelle lotte sociali, avrebbe rischiato, altrimenti, di travolgere la stessa Democrazia cristiana. In

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L’esperienza di governo dello statista trentino rappresenta la sintesi degli ele quelle condizioni si crearono le premesse per la grande vittoria del 1948, quando la Dc conquistò la maggioranza assoluta dei voti. Nonostante questo risultato gli consentisse di governare da solo, De Gasperi prese in questa occasione un’altra delle sue decisioni destinate a pesare stabilmente sul futuro della politica italiana. Scelse infatti di puntare su una politica delle alleanze con i partiti laici di centro, convinto che questa fosse la strategia migliore, anche per preservare la stessa Dc da ogni tentazione integralista.

Gli anni della prima legislatura repubblicana furono anni di apprendistato parlamentare, ma furono anche anni di rafforzamento e di crescita della nuova Italia, pur in un quadro interno e internazionale sempre più inquietante. L’attentato a Togliatti subito dopo le elezioni del 1948, le occupazioni delle terre, i conflitti sociali politicizzati, uniti al rischio continuo di una nuova guerra mondiale, di cui la Corea sembrava la prima avvisaglia, crearono un clima di difficoltà e di sospetti. La scelta in favore del nuovo sistema di alleanze promosso dagli Stati Uniti (la Nato) fu un’altra delle scommesse vinte da De Gasperi, che dovette superare per questo molte resistenze anche all’interno della stessa Dc. A proposito della particolare situazione politica in cui si trovava l’Italia, caratterizzata dalla presenza del più forte partito comunista dell’occidente, De Gasperi sapeva di muoversi su un sentiero molto stretto. Da una parte, infatti, gli era del tutto evidente la natura potenzialmente antisistema del Pci, legato alle scelte della politica sovietica da un cordone indissolubile: una natura che avrebbe potuto richiedere (e molti in alcuni momenti di crisi l’avevano chiesto) la sua messa fuorilegge. Dall’altra tendeva, fino all’ultima possibilità, a mantenere immutato il quadro censito dalla Costituente, pur rendendosi conto che per molti la Carta fondamentale era poco più di una foglia di fico adottata per coprire politiche ben diverse da quelle previste dal dettato costituzionale. Queste sue preoccupazioni erano trapelate nella drammatica seduta successiva all’attentato a Togliatti, quando parlò di un piano sovversivo generale, ma in pubblico fu sempre più prudente in proposito. Il suo pensiero più profondo emerge con chiarezza in due lettere fondamentali all’amico Sturzo, entrambe scritte da Sella di Valsugana. La prima è del 10 agosto 1950 ed è una risposta alle critiche di Sturzo alla riforma agraria e a presunti cedimenti ai comunisti sulla commissione parlamentare creata per la Sila. «La commissione parlamentare poi (consultiva) passò nella Sila per la debolezza “parlamentare” dei nostri ed era difficile poi escluderla altrove, benché si sia tentato. Sono gli ultimi resti di una illusione che va tramontando nel nuovo clima che si crea. In questo senso “le premesse legislative e pratiche della bolscevizzazione”stanno nell’eccessiva elasticità e non concretezza della Costituzione che rende difficile il governare e il deliberare e in fondo non prevede discriminazione contro i falsi democratici: il povero Segni, cui tu attribuisci una parte così ini-

La solitudine Il rapporto con Sturzo e Togliatti, i primi passi della Repubblica, la decisiva scelta atlantica: l’eredità politica di De Gasperi di Aldo G. Ricci qua, è colpevole come tanti altri costituenti, non più, anzi meno» (Carteggio Sturzo-De Gasperi (1920-1953), Rubbettino, 2006, p. 231). Secondo De Gasperi, Sturzo non avrebbe avuto una visione chiara delle diffi-

coltà della situazione politica: «In generale, caro Sturzo, o io mi inganno, o tu non hai una visione delle difficoltà concrete che deve superare la Dc fra gelosie degli anticlericali e dei signori e l’odio mortale dei socialcomunisti.


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ementi costitutivi che hanno caratterizzato la storia dell’Italia nel Dopoguerra IL LIBRO STA PER USCIRE PER LA COLLANA STORICA DELL’ISTITUTO STURZO

In anteprima un’anticipazione del saggio di Ricci Pubblichiamo in anteprima le pagine conclusive del saggio di Aldo G. La breve età degasperiana. Ricci (L 1948-1953) di prossima uscita per la collana storica dell’Istituto Sturzo presso la casa editrice Rubbettino (pp. 150, euro 12). Usciti negli scorsi anni, per la stessa collana: Pietro De Dominicis. Amministrazione e politica nell’Abruzzo democristiano di Tito Forcellese; L’appagamento morale dell’animo. Raccolta di scritti di Gabriele De Rosa, a cura di Concetta Argiolas; La Dc e il terrorismo nell’Italia degli anni di piombo, a cura di Vittorio V. Alberti; Le democristiane. Le donne cattoliche nella costruzione della democrazia repubblicana, a cura di Tiziana Di Maio.

Alcide De Gasperi, nella foto grande. Qui a destra, dall’alto: Luigi Sturzo; Palmiro Togliatti; Papa Benedetto XVI Sembra che tu non ammetta che sarebbe da parte nostra la scomparsa o la discordia di pochi uomini per provocare la caduta della valanga e che non senta quale sforzo inaudito è necessario per reggere in mezzo a tanta bufera» (ivi, pp. 232-233). Ma soprattutto, secondo il leader trentino, Sturzo poteva criticare così liberamente la politica del governo, perché non aveva respon-

tranquilli. Senza dubbio, non si debbono mutare sistemi elettorali con frequente leggerezza; ma non è tutta la nostra Costituzione, tutto il nostro sistema rappresentativo fondato sopra un presupposto di lealtà democratica, che in realtà si è rivelato non esistente? Non è la minima precauzione che possiamo prendere quella di difenderci contro l’abuso dell’organismo democratico meditato e tentato da chi vuole strangolare la democrazia? In verità o questa terribile minaccia esiste, e allora tutta la nostra politica si giustifica, o è immaginaria e inventata come uno spauracchio per suscitare reazione, e allora hanno ragione non i costituzionalisti che si richiamano ai sacri testi, ma i socialcomunisti che ne vogliono per contrabbandare la dittatura totalitaria» (ivi, p. 268). Sono parole drammatiche che testimoniano il tormento del politico trentino, che più di ogni altro ha sperimentato, come è stato detto da molti, la solitudine del leader di fronte alle scelte cruciali. Ma la sua politica, cme si è visto, non fu solo difesa della democrazia dai pericoli esterni. Fu anche, in parallelo, sostegno dello sviluppo e della modernizzazione, nella convinzione profonda che, alla lunga, questi cambiamenti avrebbero rappresentato le fondamenta più solide della democrazia stessa. A suo merito va quindi anche la politica di riforme che caratterizzò i governi della prima legislatura, pur nel difficile contesto in cui il governo si trovava a operare. Dalla politica per la casa alla riforma agraria, dalla Cassa del Mezzogiorno alla riforma fiscale, al rafforzamento dell’intervento pubblico nell’economia: furono tutti elementi destinati a trasformare l’Italia del dopoguerra. A questo si aggiunga la politica europeista, che vide De Gasperi impegnato allo spasimo, convinto, a ragione, che quello che non si sarebbe fatto nel primo dopoguerra per la nascita dell’Europa non si sarebbe fatto più; ma anche la stessa riforma elettorale mancata, bollata allora come “legge truffa” dalle opposizioni, ma rivalutata spesso in seguito come una “occasione perduta” per la stabilità politica. Nella vocazione politica di De Gasperi, l’elemento etico svolgeva un ruolo determinante e spesso sottovalutato, come ha ricordato Benedetto XVI il 20 giugno del 2009, ricevendo i membri del consiglio della fondazione che da lui prende il nome. «Docile e obbedien-

e del moderato sabilità dirette. Solo «chi può assumere la responsabilità, aggiungeva, ha la libertà senza riserve».

Ma soprattutto, secondo De Gasperi, mancava al fondatore del Partito popolare, la consapevolezza della precarietà della situazione politica. «Siamo sempre al punto di partenza: se si ha una visione realistica della precarietà del regime democratico, del pericolo gravissimo del totalitarismo, della relativa debolezza della Dc insidiata dalla varietà della sua compagine e individuata dai suoi alleati e dal mondo passato che non crede al nostro neoliberismo politico, allora le cose si vedono con una certa prospettiva e proposizione e si misurano i colpi, perché non abbattano; se invece ci si crede in un

mondo di libertà garantita e di democrazia assicurata, allora si pensa che il bisturi ripulisce e non va così addentro da recidere organi vitali. Se nel 1922 avessimo previsto il totalitarismo fascista, non credi che saremmo stati più cauti nell’attaccare lo Stato liberale?» (ivi, p. 233).

Questo discorso di principio venne ripreso due anni dopo, il 24 agosto 1952, a proposito della legge elettorale maggioritaria, a cui Sturzo, come si è visto, avrebbe preferito il sistema uninominale. L’argomento è diverso (prima la riforma agraria, poi la legge elettorale), ma il ragionamento di fondo è lo stesso: la fragilità del sistema politico italiano e la necessità di difenderlo. «La situazione è estremamente difficile: abbiamo bisogno della testa serena e dei nervi

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te alla Chiesa, fu però autonomo e responsabile nelle sue scelte politiche, senza servirsi della Chiesa per fini politici e senza mai scendere a compromessi con la sua retta coscienza». «Spiritualità e politica, ha proseguito, furono due dimensioni che convissero nella sua persona e ne caratterizzarono l’impegno sociale e spirituale». Non vi è politica degna di questo nome, che possa prescindere dall’etica, ha concluso il Pontefice, privilegiando, ovviamente, quella interpretata dal Magistero della Chiesa Cattolica, ma enunciando un principio, a cui si è sempre ispirato proprio De Gasperi, che deve essere «di incoraggiamento e di stimolo per coloro che oggi reggono le sorti dell’Italia e degli altri popoli».

Questa la sintesi degasperiana di morale e politica nelle parole conclusive di Benedetto XVI: «Nel sistema democratico viene conferito un mandato politico-amministrativo con una responsabilità specifica, ma parallelamente vi è una responsabilità morale dinnanzi alla propria coscienza, e la coscienza per decidere deve essere sempre illuminata dalla dottrina e dall’insegnamento della Chiesa». Una sintesi difficile, privilegio effettivo di pochi leader contemporanei. L’espe-

Fu un esempio modernissimo di quella capacità di sintesi che è una caratteristica della politica nelle sue espressioni più elevate: quando sa muoversi tra progetto strategico e mediazione tattica rienza politica dello statista trentino rappresenta la sintesi degli elementi costitutivi e caratterizzanti dell’Italia del dopoguerra: la Democrazia cristiana (e quindi una formazione politica ispirata ai valori religiosi e democratici della tradizione occidentale) come partito di maggioranza, il governo come politica delle alleanze tra cattolici e laici, la ricostruzione come sintesi di intervento pubblico e privato, le riforme come metodo di progresso, lo Stato come terreno privilegiato dell’operare politico. Si tratta di un esempio modernissimo di quella capacità di sintesi che è una caratteristica della politica nelle sue espressioni più elevate: quando cioè la politica sa muoversi tra progetto strategico e mediazione tattica, condizionata dall’intreccio delle emergenze e delle contingenze che la pagina bianca del divenire quotidiano prescrive a ogni periodo storico. La sua eredità politica, rimossa per molti anni come quella di un uomo del passato, alla ricerca storica più recente appare oggi come un lascito suscettibile di dare ancora frutti nel futuro. In particolare oggi, quando la politica sembra aver perso, non si sa se temporaneamente o stabilmente, quel ruolo di mediazione tra le diverse componenti economiche, sociali e culturali, e di guida dello sviluppo civile che per molti decenni di questo dopoguerra l’ha invece caratterizzata.


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Strategie. Pyongyang e Teheran sono il centro di un ciclone che sta riscrivendo gli equilibri tattici del nostro pianeta

La svolta di Mosca La Russia abbandona (per ora) l’Iran e gli Usa riscoprono il valore degli alleati di Vincenzo Faccioli Pintozzi a geopolitica non è una scienza esatta, e questo si sapeva. Ma vedere nel giro di poche ore un valzer diplomatico come quello che si è verificato ieri non è cosa da tutti i giorni. Segno di quanto il vero emblema dei giorni nostri, incresciosa memoria degli anni Sessanta, sia l’uranio e tutto ciò che gli ruota intorno. Armamenti e testate in primis, ovviamente.

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Se la Russia abbandona l’Iran al suo destino, gli Stati Uniti riprendono i toni della guerra al terrore contro la Corea del Nord e il suo dispotico leader. Creando alleanze strane, che valgono soltanto per alcune regioni ma che sono destinate a operare in barba a quanto si credeva di sapere sul mondo e i suoi equilibri. Le prime battute del valzer sono giunte nella notte da Seoul, dove si trovava in visita ufficiale il Segretario di Stato americano Hillary

Clinton. Concludendo la propria visita ufficiale nel Paese, con un tempismo degno dei film d’azione hollywoodiano, il capo della diplomazia statunitense ha rispolverato toni degno di un ispirato John Fitzgerald Kennedy. Abbandonando le rigide sottolineature e quell’aria un po’ professorale che l’ha accompagnata in giro per il mondo sin dall’inizio del mandato, l’algida avvocatessa ha richiamato alla memoria i

decenni: ci siamo guardati le spalle a vicenda per 60 anni, vigilando per la pace e la stabilità della penisola coreana e della regione. E per gli Stati Uniti, la sicurezza e la sovranità nazionale della Corea del Sud sono anche una responsabilità solenne, un impegno solido. La nostra alleanza è fonte di forza e fiducia: i nostri due popoli continueranno a godere di sicurezza, prosperità e progresso condiviso anche per gli anni a

Il consigliere diplomatico di Medvedev Sergei Prikhodko ha ricordato agli ex alleati: «Non portiamo la bandiera di nessun altro Paese. Siamo guidati solo dal nostro interesse nazionale» “ricordi condivisi”fra i due Paesi, l’alleanza per la pace e la fratellanza che unisce i popoli. Davanti a un pubblico composto dai media internazionali, ha detto: «Le sorti delle nostre due nazioni sono collegate da molti

venire». Ma non si è fermata qui, e ha preso in prestito il cappello da texano – e l’aria di “missione per conto di Dio” – dell’ex presidente repubblicano (e vituperato) George W. Bush per aggiungere: «Chiediamo

alla Corea del Nord di interrompere le sue provocazioni e la sua politica di minaccia e belligeranza verso i suoi vicini. Devono prendere le misure necessarie per arrivare alla piena denuclearizzazione, come dice il diritto internazionale. Pyongyang può ancora scegliere una strada diversa. Al posto di insolazione, povertà, conflitto e condanna internazionale può puntare verso integrazione, prosperità, pace e rispetto».

Dall’altro capo del mondo, geografico e diplomatico, il ballo l’ha iniziato invece il grande nemico degli Stati Uniti, l’Iran di Mahmoud Ahmadinejad e di Ali Khamenei.

Il presidente, parlando in un discorso trasmesso dalla televisione di Stato, ha definito “inaccettabile” un eventuale sostegno di Mosca alle sanzioni contro Teheran, proposte dagli Stati Uniti e ora in discussione

Il discorso del Segretario di Stato americano in Corea del Sud rilancia i rapporti “umani” in diplomazia

«Seoul, alleata e vecchia amica...» a Corea del Sud è un alleato, un amico, un partner.Voglio ringraziare il presidente Lee per la sua ospitalità e per il colloquio, veramente importante, che abbiamo avuto insieme. Le sorti delle nostre due nazioni sono collegate da molti decenni: ci siamo guardati le spalle a vicenda per 60 anni, vigilando per la pace e la stabilità della penisola coreana e della regione. E per gli Stati Uniti, la sicurezza e la sovranità nazionale della Corea del Sud sono anche una responsabilità solenne, un impegno solido. La nostra alleanza è da moltissimo tempo una fonte inesauribile di forza e fiducia: i nostri due popoli continueranno nel tempo a venire a godere di sicurezza completa, prosperità e progresso condiviso anche per gli anni a venire.

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Ma questa relazione va oltre le nostre garanzie di sicurezza: gli Stati Uniti sono stati, in una fase critica del Paese, un partner importante per la democrazia coreana, e lo hanno aiutato a trasformarsi economicamente. Grazie alla nuova visione del presi-

di Hillary Rodham Clinton dente Lee, che parla di una Corea “globale”, Seoul ha accelerato il proprio progresso ed è divenuta una protagonista del pianeta.

I coreani sono importanti per le sfide, locali e mondiali (compreso l’impegno in Afghanistan e contro la pirateria). Siamo molto contenti del fatto che proprio qui, alla fine dell’anno, si svolgerà il prossimo G20 e il secondo Summit sulla sicurezza nucleare, nel 2012. Quando il presidente Obama e il presidente Lee si sono incontrati per la prima volta, si sono impegnati a una nuova alleanza per il XXI secolo. Questo la dice lunga sul nostro desiderio di trasformare un rapporto bilaterale in una vera partnership globale. La mia visita è servita anche a questo. Ma per cogliere le opportunità di domani dobbiamo prima affrontare le sfide di oggi. Non possiamo chiudere gli occhi alle provocazioni e alle azioni di guerra: voglio ripetere pubblicamente che gli Stati Uniti sono vicini alla Corea in

questa difficile ora, e rimarranno con voi per sempre. Apprezzo molto il modo fermo e paziente con cui il presidente Lee e il suo governo hanno cercato la verità sull’affondamento della corvetta Cheonan. E i risultati dell’inchiesta indipendente e internazionale hanno dato una risposta chiara: è stata una provocazione inaccettabile da parte della Corea del Nord.

La comunità internazionale ha la responsabilità e l’obbligo di rispondere: le misure annunciate da Seoul sono prudenti, appropriate e godono del pieno sostegno degli Stati Uniti. Chiediamo alla Corea del Nord di interrompere le sue provocazioni e la sua politica di minaccia e belligeranza verso i suoi vicini. Devono prendere le misure necessarie per arrivare alla piena denuclearizzazione, come dice il diritto internazionale. Pyongyang può ancora scegliere una strada diversa. Al posto di insolazione, povertà, conflitto e condanna internazionale può punta-

re verso integrazione, prosperità, pace e rispetto. La popolazione locale può ancora vivere una vita migliore: sappiamo che questo è possibile. Come si vede ogni giorno nella parte sud di questa penisola, il talento e la creatività del grande popolo coreano fioriscono in una democrazia. Il futuro della Corea del Nord dipende dalle scelte che i suoi leader prendono oggi. Un futuro che non si può più rimandare.

Da parte nostra, rimaniamo fermi nella scelta di difendere il Sud: rientra nel nostro concetto di giustizia, ed è fondamentale per avere sicurezza e stabilità nella regione dell’Asia del Pacifico. L’alleanza fra Stati Uniti e Repubblica di Corea continuerà ad essere la pietra miliare della pace e della prosperità per entrambe le nostre nazioni, e noi continueremo a difenderla.


mondo

27 maggio 2010 • pagina 15

Il regime islamico teme la ritirata dell’unico alleato di peso in seno al Consiglio di Sicurezza

Ahmadinejad accusa il Cremlino: «Inaccettabile il voto all’Onu» Ma Putin “gela” gli ayatollah: «Ora basta con la demagogia, non siamo e non saremo mai filo-iraniani o americani. Siamo soltanto filo-russi» di Osvaldo Baldacci er George W. Bush erano insieme nell’Asse del Male. Quante polemiche per quella categorizzazioni. Ma oggi Obama è sempre con loro che deve avere a che fare. E non è poi tanto chiaro se sappia cosa fare. La via del dialogo e della “pazienza strategica” forse è l’unica percorribile, ma certo Iran e Corea del Nord cercano ogni pretesto per temporeggiare e ogni scusa per provocare. Una brutta gatta da pelare per il presidente statunitense che ha investito molto della sua immagine nella riduzione delle armi atomiche ricevendo pure un Nobel per la pace preventivo. E invece si trova a confrontarsi con programmi nucleari che procedono. E che inevitabilmente si influenzano l’uno con l’altro, generando anzi un effetto domino. Anche perché se è vero che l’Itran per motivi strategici è considerato più pericoloso, la Corea del Nord è però molto più avanti e già dispone di alcune bombe al plutonio nonché di centrali nucleari attive. Inoltre è proprio la Corea del Nord quella che fa più spesso la voce grossa minacciando vere azioni di guerra, e facendo registrare ripetuti episodi di scontri armati, con vittime, sui confini con la Corea del Sud. Inevitabile quindi che l’Iran dal canto suo usi anche la Corea come arma di propaganda. Un regime che gioca a fare la vittima della prepotenza statunitense e occidentale, che insiste sul suo diritto a perseguire un programma nucleare esclusivamente pacifico, facilmente può giocare sul fatto che ci si accanisca contro di lui mentre viene tollerato uno Stato che ha già le bombe atomiche, ne ha fatte esplodere sperimentalmente due, e non esita a parlare di guerra.Teheran, come è solita fare, gioca all’attacco per uscire dall’accerchiamento. È recente l’accordo del 5+1 sulle nuove sanzioni, e subito l’Iran torna a incalzare la comunità internazionale. Stavolta ad essere presa di mira è la Russia, che gioca un ruolo chiave nella questione iraniana, ed è un decisivo elemento di equilibrio.

P

presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Per il leader del regime islamico, «non dovremmo poter vedere, in tempi delicati, il nostro vicino (la Russia) sostenere quelli che sono stati contro di noi, dimostrando ostilità nei nostri confronti per trent’anni. Ciò non è accettabile per la nazione iraniana. Spero faranno più attenzione e assumano misure correttive». Sull’accordo con Brasile e Turchia per lo scambio di uranio scarsamente arricchito con combustibile nucleare, Ahmadinejad ha poi sottolineato che l’intesa «costituisce la migliore soluzione. Abbiamo fatto un passo in avanti».

La risposta del governo russo, che tutti si aspettavano più o meno accomodante, è calata come una scure sull’ambizione iraniana di riportare all’ordine l’orso ex sovietico. Il consigliere diplomatico del Cremlino Sergei Prikhodko ha voluto infatti specificare che la posizione della Russia non porta la bandiera di nessun altro Paese: «La Russia è sempre stata guidata dal proprio interesse nazionale: la nostra posizione è russa, riflette gli interessi di tutti i popoli della Russia, e pertanto non può essere né proamericana, né filo-iraniana». Prikhodko ha sottolineato che per la Russia è inaccettabile «ogni incertezza, ogni estremismo politico, la mancanza di trasparenza e di incoerenza nelle decisioni che interessano e riguardano tutta la comunità internazionale». Per poi sottolineare che «con la demagogia politica ancora nessuno è riuscito a mantenere la sua credibilità». Con tanti saluti alle alleanze, vere o presunte.

stra l’accordo raggiunto, con Brasile e Turchia, sullo scambio di uranio all’estero. L’accordo - siglato il 17 maggio e che prevede lo scambio in Turchia di 1.200 chilogrammi di uranio iraniano arricchito al 3,5 per cento, in cambio di 120 chili di combustibile nucleare al 20 per cento per il reattore nucleare a scopi medici di Teheran - è stato accolto con grande cautela dai Paesi occidentali, e Hillary Clinton l’ha definito «pieno di lacune che non rispondono alle preoccupazioni della comunità internazionale», mentre per Israele è solo un tentativo di distrarre l’attenzione. Ma per l’Iran Russia e Stati Uniti devono appoggiare l’accordo sullo scambio di uranio raggiunto la scorsa settimana e Ahmadinejad ha precisato che “l’accordo di Teheran è l’ultima opportunità per risolvere la crisi nu-

Lunedì è stata consegnata all’Aiea le lettera che illustra l’accordo raggiunto, con Brasile e Turchia, sullo scambio di uranio all’estero. Ma gli States frenano

La Russia infatti è direttamente coinvolta nella costruzione e nell’avviamento delle centrali nucleari iraniane, quelle per uso civile, e inoltre ha una serie di accordi commerciali tra cui la discussa fornitura di missili anti-aerei.Tutti motivi per i quali finora Mosca aveva frenato sulle sanzioni all’Iran. Ma stavolta, assicuratasi di non subirne contraccolpi economici, come d’altro canto ha fatto la Cina, Mosca ha approvato la bozza che dovrà essere discussa al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. E questo nonostante nelle stesse ore Teheran raggiungesse con Turchia e Brasile un accordo sullo scambio di uranio arricchito con combustibile nucleare. Lunedì Teheran ha consegnato all’Aiea le lettera che illu-

cleare iraniana”. Il presidente Usa Barack Obama, ha affermato Ahmadinejad,“tenga presente che se non sfrutterà quest’occasione, difficilmente gli iraniani gliene concederanno un’altra”. Per tutto questo ieri il regime di Ahmadinejad ha reagito duramente contro la diplomazia russa. Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha definito “inaccettabile” il sostegno russo alla tornata di sanzioni sponsorizzate dagli Usa. Per l’inusuale critica al presidente russo Dmitri Medvedev, Ahmadinejad ha scelto un comizio teletrasmesso in diretta: «Se fossi il presidente russo, assumendo decisioni riguardanti un altro grande Paese come l’Iran agirei con maggiore cautela». E poi ancora: «La nazione iraniana non capisce: i russi sono amici o nemici? Stanno con noi o cercano qualcos’altro? Non dovremmo vedere, nei momenti delicati, i nostri vicini appoggiare chi è contro di noi, chi da trent’anni mostra acrimonia». E ha concluso: «Tutto ciò non è accettabile per noi,

spero che la Russia faccia attenzione e cambi strada. Mi auguro che i governanti e le autorità prestino attenzione a queste parole amichevoli, cambino strada e non ci spingano a considerarli nelle fila dei nostro nemici storici».

Dura la replica della Russia che denuncia la “demagogia politica” di Teheran, attaccandone «l’estremismo politico, la mancanza di trasparenza e di incoerenza nelle decisioni che interessano e riguardano tutta la comunità internazionale». Il capoconsigliere per la politica estera del Cremlino Sergei Prikhodko ha reagito alle critiche di Ahmadinejad, dicendo che la Russia non è né filo-americana né filo-iraniana, ma che la politica di Mosca è solo filo-russa, guidata dall’interesse nazionale e “riflette gli interessi di tutti i popoli russi”. Intanto però che i rapporti tra Teheran e Mosca siano più tesi di prima lo dimostra un altro fatto, e cioè il repentino avvicinamento con la Georgia, a sua volta ostile a Mosca ma delusa dalla tiepidezza dell’occidente. Teheran è preoccupata anche da un’altra cosa: la Russia deve rispettare gli obblighi per la fornitura all’Iran dei missili S-300, altrimenti “la reputazione di Mosca come fornitore affidabile verrebbe colpita”, ha affermato l’ambasciatore iraniano a Mosca. «Speriamo davvero che il governo russo rispetti i suoi impegni sulla fornitura dei missili S-300, che sono armi difensive. Considero irrazionale per la Russia il non rispettare quegli impegni». Tutti segni della preoccupazione di Teheran di perdere un alleato decisivo all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, proprio ora che l’Iran intravede nuove sponde nel nuovo ordine mondiale policentrico. E sapendo di poter contare solo con diffidenza sull’amico più stretto, cioè Pechino.


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pagina 16 • 27 maggio 2010

Polonia. Gli Usa dispiegano a Est il nuovo sistema anti-missile per l’Europa rrivano i missili antimissile in Polonia e il Cremlino non gradisce. «Non capiamo la logica americana» così si è espresso in una nota ufficiale il ministero degli Esteri russo. Gli Stati Uniti dislocano batterie di missili Patriot in Polonia, e la Russia, irritata, subito fa notare che questo «non favorisce il rafforzamento della sicurezza globale e lo sviluppo della fiducia e della prevedibilità nella regione». L’installazione dei missili americani è iniziata ieri, nell’ambito dell’accordo polacco-americano firmato a fine 2009, che prevede la creazione di una base militare temporanea, da trasformare in «permanente» dal 2012. Nella base verrano installate batterie di Patriot e, in seguito, di Sm-3 (Standard missile, antimissili balistici). La conferma era giunta nei giorni scorsi anche dal ministro della Difesa polacco Bogdan Klich. Nel febbraio scorso, la Polonia ha ratificato l’accordo Sofa per lo stazionamento sul proprio territorio di truppe americane equipaggiate con la batteria di missili terraaria Patriot. La batteria, messa in funzione da oltre 150 soldati americani, sarà posizionata quattro volte all’anno a Morag, nel nord della Polonia, nei pressi dell’enclave russa di Kaliningrad.

A

Lo scopo principale del dispiegamento, per un totale di circa quattro mesi all’anno, è quello di addestrare il personale militare polacco. I soldati americani hanno scaricato ieri 37 vagoni pieni di strumentazioni, ha detto l’ambasciatore Usa. I funzionari americani e polacchi hanno visitato la sede della base missilistica, ieri, informando anche i media sui dettagli dell’operazione. La batteria, la cui sede perma-

I nuovi “patrioti” di Barack Obama La Russia si sente minacciata dalla batteria posizionata vicino ai suoi confini di Pierre Chiartano

ma missilistico difensivo terra-aria per intercettare missili già testato in Israele durante la guerra del Golfo. La Polonia ha dichiarato che la batteria non costituisce un pericolo per la Russia. Al momento Mosca e Varsavia stanno tentando nuovamente di trovare un punto d’incontro in diversi ambiti, dopo ripetuti scontri diplomati-

A febbraio, la Polonia ha ratificato l’accordo Sofa per lo stazionamento sul proprio territorio di una batteria Usa di missili nente è in Germania, ha un valore simbolico per la Polonia, che si lamenta della mancanza di truppe Nato o di altri impianti militari a 10 anni dal suo ingresso nell’alleanza. La Russia è sempre diffidente nei confronti del dispiegamento di truppe americane e di altri impianti nei pressi dei suoi confini, nonostante il ministero della Difesa abbia negato di voler aumentare la propria flotta nel Baltico in risposta al posizionamento del Patriot in Polonia. Il Patriot è un siste-

ci. Già i primi di maggio, sul palcosecnico belga, il vice presidente aveva promosso il sistema di difesa missilistico che la Casa Bianca del dopo Bush vuole realizzare al posto del cosiddetto Scudo spaziale. Quello di cui Biden aveva parlato è un sistema più flessibile che vedrebbe l’installazione di missili Patriot in Paesi dell’Est europeo, come la Polonia e in navi di stanza nel mediterraneo e nel Mar Nero. E il pericolo da cui difendersi ha un nome per Biden: Iran. «Gli

Qui nacquero l’ordine teutonico e il filosofo Kant

Kaliningrad la russa Kaliningrad è una città della Russia di circa 430mila abitanti, capoluogo e centro principale dell’Oblast di Kaliningrad, una enclave russa tra Polonia e Lituania con accesso al mar Baltico, di cui è uno dei maggiori porti. Tutto il distretto raggiunge il milione di abitanti. È fondamentalmente una grande base militare, come quella di Chkalovsk, in via di smantellamento. Con l’allargamento dell’Unione europea del primo maggio 2004 confina interamente con Stati membri dell’Ue. La città venne pesantemente bombardata alla fine della seconda guerra mondiale, totalmente rasa al suolo finché venne infine conquistata dai soldati dell’Armata rossa. I pochi abitanti tedeschi sopravvissuti furono espulsi dal-

la città o deportati nei gulag e sostituiti da popolazioni russe. Anche gli edifici storici superstiti, come il castello dell’ordine teutonico, vennero in seguito demoliti per fare posto ad edifici in stile sovietico in una sorta di damnatio memoriae di tutto ciò che era tedesco. Dopo la caduta del muro di Berlino, l’Urss della glasnost di Michail Gorbaciov offrì ai tedeschi la Prussia orientale, il territorio con capitale la storica Koenigsberg in cui nacque e morì il filosofo Immanuel Kant. A rivelare la notizia è stato Der Spiegel, secondo il quale al momento delle trattative per la riunificazione della Germania, un telex inviato a Bonn dall’ambasciata tedesca a Mosca il 2 luglio 1990 conteneva l’offerta sovietica.

Usa e l’Ue sono state fianco a fianco nell’impedire all’Iran armi nucleari», aveva affermato parlando del rischio di una corsa agli armamenti in Medioriente innescata da Teheran. «Non sarebbe ironico se, dopo la caduta della cortina di ferro e la scomparsa delle minacce di distruzione tra superpotenze, una corsa agli armamenti emergesse in una delle zone più instabili del mondo». «Non capiamo la logica che guida gli Usa nell’organizzare la cooperazione con la Polonia in questa sfera», ha dichiarato ieri a Ria Novosti il ministero degli Esteri russo. «Abbiamo chiesto agli americani perchè lo fanno e per il momento non abbiamo ricevuto alcuna concreta e fondata risposta». Per Mosca è una spina che punge il suo fianco occidentale da anni, diventata motivo di serio attrito con gli Usa con il progetto di scudo antimissile perseguito da George W. Bush. Barack Obama ha ridimensionato il piano, ma comunque intende mantenere una presenza missilistica in Europa centro-orientale, che la Russia considera una minaccia diretta. Sempre dal dipartimento infromazione del dicastero esteri del Cremlino all’agenzia Itar-Tass è arrivata una ulteriore precisazione: «questa attività militare non aiuta a rafforzare la nostra sicurezza reciproca, a sviluppare le relazioni di fiducia e la prevedibilità in questa regione». Già venerdì scorso il capo della Commissione per gli Affari internazionali della Duma Kossatchev Konstantin si era detto molto preoccupato della decisione polacca, affermando di voler capire contro chi sono puntati i missili visto che saranno posizionati al margine della frontiera con la Russia.

Il nome Patriot si collega all’acronimo: Phased array tracking to intercept of target. Il vettore classificato ufficialmente come Mim104 Patriot è attualmente il principale sistema Sam (Surface to air missile) adoperato dall’esercito americano e da alcuni Paesi alleati. Viene costruito nelle officine della società americana Raytheon. Il Patriot ha rimpiazzato il Nike Hercules per la difesa a quote basse e medie, ed ha sostituito lo Hawk come piattaforma per la difesa antiaerea tattica. Inoltre, il Patriot ha assunto il ruolo di principale piattaforma missilistica anti balistica (Abm), che attualmente è la sua missione primaria.


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27 maggio 2010 • pagina 17

Dopo gi allarmi Usa, le prime conferme dei gruppi d’analisi

Dodici impiegati hanno tentato il suicidio in cinque mesi

Sud Africa, l’ombra del terrorismo sulla Coppa

Troppi suicidi, Pechino li vieta ai dipendenti per contratto

WASHINGTON. La Coppa del Mondo del Sud Africa è a rischio terrorismo. Lo sostengono gli Usa e lo conferma Ron Sandee, ex 007 olandese e direttore analisi della “Nefa”, una fondazione Usa che studia il fenomeno terrorismo, ha fornito nuovi elementi sui nuclei jihadisti e la Coppa del Mondo. Tre i fronti di pericolo. Il primo arriva da Saif El Adel. Egiziano, alto esponente di Al Qaeda, ospite in residenza sorvegliata del regime iraniano, ha riacquistato piena libertà insieme ad altri operativi. Per Sandee El Adel ha le caratteristiche per pianificare un attacco spettacolare. Cosa già avvenuta nel 2003, quando ha diretto dall’Iran un attentato in Arabia Saudita. L’attività dell’egiziano si somma a segnalazioni sugli spostamenti verso l’Europa di gruppi di fuoco che potrebbero lanciare operazioni in un breve lasso di tempo. Il secondo fronte riguarda il teatro africano.

PECHINO. Troppi suicidi nella fabbrica che realizza pezzi per l’Ipod, e il management chiede ad ogni impiegato un impegno scritto a non suicidarsi. Quello che sembra uno scherzo è in realtà l’ultima trovata del gruppo dirigente della cinese Foxconn, società satellite di un’azienda di Taiwan, specializzata nella realizzazione di componenti tecnologici. Sono dodici gli impiegati che hanno tentato il suicidio in cinque mesi. Undici si sono lanciati dalla filiale di Shenzhen, uno da quella di Lanfang. A Shenzen ne sono morti nove, gli altri due sono ancora ricoverati in ospedale; l’impiegato lanciatosi dal dormitorio di Lanfang è morto e nello stesso dormitorio è stata

In Mozambico, vicino alla località di Nampula e nella provincia di Tete, hanno costituito tre ”centri” usati come base di addestramento per militanti.Ve ne è uno gestito da pachistani, uno da somali ed un terzo da elementi indiani/bengalesi. Poli che avrebbero attirato simpatizzanti anche da paesi africa-

E la British Petroleum getta fango sul fuoco L’operazione “Top Kill” ha il 70% di possibilità di riuscita di Lorenzo Biondi

WASHINGTON. L’ultimo stratagemma è gettar fango sul pozzo, letteralmente. Si chiama «top kill» la nuova operazione che la British Petroleum sta mettendo in atto per interrompere la fuoriuscita di petrolio al largo delle coste della Louisiana, ed è - ancora una volta - un’operazione mai tentata prima, a 1.500 metri sotto il livello del mare. Se va male si farà un altro tentativo, e un altro ancora. Ma intanto Obama è furibondo, e domani sarà nelle regioni colpite dalla marea nera per garantire tutto il suo impegno. Mentre molti a Washington gli chiedono di costringere i petrolieri a togliersi di mezzo e di prendere in mano direttamente la situazione. Quella della Bp è una tecnica sperimentata più volte nei deserti mediorientali, ma mai in condizioni così estreme. Una nave della compagnia britannica ha accostato la piattaforma Deepwater horizon e sta effettuando i test preliminari di resistenza degli impianti. Se i test saranno superati, la nave pomperà un fluido, denso il doppio dell’acqua, all’interno del pozzo danneggiato, sfruttando le tubature che consentivano l’estrazione del petrolio. Il fluido «fango da perforazione», in gergo tecnico - diventa particolarmente viscoso quando viene compresso: l’obiettivo è rallentare la fuoriuscita del greggio, consentendo così una seconda iniezione dall’esterno, stavolta di cemento. Quattrocento tonnellate, spinte nei tubi con un motore da trentamila cavalli, dovranno «soffocare» il pozzo «dall’alto»: «top kill», appunto. Un’operazione in diretta tv, grazie alle telecamere subacquee installate dalla stessa compagnia e grazie alle pressioni di Obama. Gli inglesi volevano interrompere le trasmissioni al momento dell’iniezione di fango. Il primo effetto dei flussi dall’esterno, infatti, è un aumento del getto di petrolio disperso in mare. Ma il presidente ha voluto che tutto fosse in diretta, per dimostrare che si sta tentando tutto il possibile. Alla Bp si continuano a studiare piani alternativi. Ci vorranno un paio di giorni per capire se «top kill» ha avuto succes-

so, altrimenti si proverà ancora a tappare la perdita con una cupola di metallo. Nel frattempo le trivelle della compagnia britannica stanno scavando un secondo pozzo, che vada ad intercettare quello danneggiato. Se tutti gli altri espedienti naufragassero, si userà il pozzo numero 2 per intercettare il petrolio sottoterra e bloccarne così la fuoriuscita.

Ci vorrebbero però due mesi per ultimare i lavori, oltre ad una spesa consistente. La Bp ha già bruciato la vertiginosa cifra di 760 milioni di dollari negli sforzi per chiudere la falla e limitare i danni all’ambiente, e aspetta con paura il conto per i danni causati alle coste e all’industria della pesca. Per molti, tra cittadini e politici, questa è invece l’ultima opportunità che bisogna concedere ai petrolieri. Sono passati 37 giorni senza risultati di peso e la Casa bianca ha dovuto ammettere che si tratta del peggior disastro ecologico nella storia degli Stati Uniti. Se fallisse anche questa prova, toccherebbe allo Stato federale prendere le redini della faccenda. Lo stanno chiedendo ad Obama una miriade di voci, dai sindaci della Louisiana a Bill Nelson, senatore democratico della Florida: «Se la cosa non si risolve oggi, il presidente non ha scelta e farà bene a mettersi in mezzo e prendere il controllo, magari incaricando l’esercito». È un’opzione che l’amministrazione Obama aveva rifiutato nel finesettimana. L’ammiraglio Thad Allen, in capo dell’emergenza, aveva spiegato che «solo il settore privato ha i mezzi, le capacità tecniche e le competenze per risolvere la situazione», mentre il governo non può che limitarsi ad un ruolo di supervisione. E poi, si chiede qualcuno, non si capisce perché un danno provocato da una compagnia privata dovrebbe essere risolto coi soldi dei contribuenti americani. L’amministrazione ha già inviato navi e uomini per arginare il disastro ecologico. Obama li incontrerà domani, sperando che nel frattempo dal fango sia emersa una speranza.

Quattrocento tonnellate di mota, spinte con un motore da trentamila cavalli, dovrebbero bloccare il pozzo dall’alto

ni. A coordinarli Ibrahim Ibrahimi. Originario del Pakistan, vive da tempo in Mozambico ed ha buoni collegamenti con il mondo criminale e quello dei trafficanti di uomini. È ritenuto ”molto pericoloso”. Imitando quanto fatto nel 1998 dagli attentatori che colpirono le ambasciate Usa in Tanzania e Kenya, copre le sue attività con una società ittica. Il terzo fronte è legato all’attività di proselitismo. Alcuni predicatori, come il giamaicano Abdullah Al Faisal, hanno lavorato sodo per reclutare nuovi elementi nei paesi della regione con la duplice missione di allargare il consenso e disporre – in caso di necessità – di una forza d’urto.

trovata morta anche una ragazza, ufficialmente per attacco cardiaco.Per questo la Foxconn ha deciso di far firmare ai propri dipendenti un documento in cui si impegnano a non suicidarsi. Il giornale Southern Metropolis Daily ha infatti pubblicato la foto di un uomo che mostrava una lettera, su carta intestata della Foxconn, che tutti i dipendenti avrebbero dovuto firmare. Nel testo la ditta chiede ai suoi dipendenti di non farsi del male e a denunciare ai propri superiori eventuali difficoltà o problemi.

La lettera infine prevede che gli impiegati autorizzino la società a sottoporre coloro che abbiano un “comportamento anormale”a trattamenti medici. Ma le polemiche sulle condizioni di lavorano son tante. Di recente nella fabbrica di Shenzhen (dove lavorano 42.000 degli 80.000 impiegati Foxconn) si sono infiltrati giornalisti e blogger sotto copertura. Uno di questi ha poi raccontato di difficilissime condizioni di lavoro, turni massacranti e di operai costretti a lavorare in piedi senza sosta per oltre otto ore senza nemmeno poter comunicare l’un con l’altro. Una realtà abbastanza comune, soprattutto nel sud della Cina.


spettacoli

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Anteprime. Un’anticipazione dal nuovo libro di Adriano Mazzoletti che racconta la storia del genere musicale in Italia dallo swing agli anni 60

Il jazz del Duce I tempi di Radio Tevere, l’emittente di Mussolini che si finse alleata alla fine della guerra di Adriano Mazzoletti Per gentile concessione dell’autore e dell’editore, dal libro di Adriano Mazzoletti Il jazz in Italia. Dallo Swing agli anni Sessanta (Edt, 2 volumi, 1664 pagine, 54,00 euro), in questi giorni in libreria, anticipiamo un brano del capitolo “Anni di guerra”. Il 10 giugno 1944 alle 20.30, sei giorni dopo la liberazione di Roma e vent’anni dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti, mentre la guerra poteva ormai considerarsi irrimediabilmente perduta, a Milano nasce Radio Tevere. La nuova emittente in onda media è irradiata dagli studi Eiar, sistemati in una ex scuola di via Giacomo Antonini a Morivione, fuori Porta Vigentina, da dove erano trasmessi il Giornale Radio e la quasi totalità delle trasmissioni del Primo Programma. Lo staff dirigenziale dell’Eiar era formato da Cesare Rivelli, direttore generale, Fulvio Palmieri, direttore dei Programmi e Paolo Fabbri, direttore dei Programmi giornalistici. Mussolini aveva nominato Rivelli direttore generale perché era l’unico giornalista italiano presente a Rastenburg il 12 settembre 1943, quando diede la notizia che i paracadutisti tedeschi avevano liberato Mussolini. «Era uno squallido personaggio che lavorava tenendo una pistola sulla scrivania», ricorda Oscar Valdambrini, che suonava con l’orchestra Zeme; come Bersano, un torinese, responsabile dei programmi musicali, «sempre con pistola Luger bene in vista», racconta l’annunciatore Gianni Bongioanni.

l’umorismo. Nei momenti in cui l’orchestra Zeme era in pausa, con Mario Midana eravamo soliti fare l’imitazione del grande invalido e superdecorato Carlo Delcroix che veniva ricevuto dal Duce. Dopo un po’, qualcuno fece una spiata e fummo denunciati al Direttore generale che ci convocò insieme a Palmieri nel suo ufficio di corso Sempione. Rivelli fu terribile, ci minacciò di farci mandare in campo di concentramento, dove saremmo stati a dir poco fucilati. Dopo la sfuriata disse: «Palmieri, occupati tu di questi due». Andammo nel suo ufficio

ti i possibili imboscati: Valdambrini, Masetti, Ferrero, Romanoni, Regolo [Rovero], Midana e tanti altri che andavano alla benedetta mensa, ci si conosceva… Poi con alcuni di loro formammo quel famoso Complesso Smeraldo».

L’idea di Radio Tevere nacque il 6 giugno 1944. Dal 10 giugno iniziò a trasmettere su metri 238,5 pari a Kc 1258 con orario dalle 20.30 all’una di notte. In seguito cambiò lunghezza d’onda: dalla fine di giugno passò su 209,8 metri (Milano III). Ai primi di luglio ritornò

L’idea fu di Paolo Fabbri, che aveva avuto dal Grande Capo il compito di dare voce a falsi antifascisti delusi dall’America. Ma l’avventura durò pochi mesi...

Il medesimo Rivelli, ogni mattina, recitava dai microfoni dell’Eiar un blasfemo e incredibile Credo dell’Italiano: «Credo in Dio/ Creatore e Signore del Cielo e della Terra./ Credo nel Duce fondatore del Fascismo./ Credo nella resurrezione dell’Italia tradita./ Credo nel camerata germanico…». Chi era invece una gran brava persona – ricorda Valdambrini – era Fulvio Palmieri, direttore dei programmi. Aveva un gran senso del-

che ci tremavano le gambe. Palmieri si sedette dietro la scrivania, stava zitto e ci guardava con quella sua faccia rotonda, con quel suo occhio un po’ strabico, sempre con un leggero sorriso sornione sulle labbra, con la sigaretta che non si levava mai dalla bocca e la cenere che cadeva sulla giacca. Noi, in piedi, pallidi, a guardarlo. E lui zitto. A un certo punto ci disse: «Cosa dovrei fare di voi due? Vabbe’, fatemi vedere questa imitazione e se è veramente divertente vi lascio andare». Mentre io e Mario cercavamo di mettercela tutta, Palmieri, seduto sulla poltrona, si sbellicava dalle risate. «L’orchestra Zeme – racconta Boneschi – era formata con tut-

sulla lunghezza d’onda iniziale di Roma II. Il numero zero fu registrato il 7 giugno, ma l’intera serata era messa in onda in diretta. Gianni Bongioanni, all’epoca giovane annunciatore Eiar, divenuto, con Giovanna Salvi, speaker ufficiale di Radio Tevere e in seguito anche regista, ha raccontato: «L’idea è stata di Paolo Fabbri, il quale aveva avuto da Mussolini l’incarico di realizzare un programma che doveva far credere a una radio clandestina, portavoce di antifascisti delusi dall’arrivo degli Alleati, che trasmettesse da Roma appena “occupata” dalle truppe angloamericane». Il modello che proponeva Radio Tevere era quello della propaganda occul-

ta, mirata più a disinformare e a disorientare gli avversari, soprattutto i partigiani del Nord, che a esaltare il fascismo, come invece facevano in Germania le emittenti tedesche. Spiega Bongioanni: «La sigla era così strutturata: le prime battute di Sole che sorgi (Puccini); Segnale Morse RT, punto, linea, punto, linea, linea, linea, modulato a mille periodi; Voce maschile: «Radio Tevere, qui Radio Tevere, voce di Roma libera»; Voce femminile: «Ecco le notizie». Un giornale era mandato in onda ogni mezz’ora. E poi jazz a strafottere. Teoricamente almeno. In discoteca c’era ben poco di jazz vero. Bisognerà comprare dischi alla borsa nera, contendendoli ai tedeschi che ne fanno incetta. Ma il M° Salvini, capo Ufficio

programmi, saprà scovare anche complessi nostri, ce n’è qualcuno in gamba, ha già dei nomi: Franco Cerri, Glauco Masetti, Oscar Valdambrini, Giampiero Boneschi. E poi sketch, e saranno umoristi di grido a scriverli, Carlo Manzoni e Marcello Marchesi. Alle 23.03 un attimo di raccoglimento, una canzone che diventerà la nostra Lili Marleen, e cioè Tornerai». L’emittente debuttò con una finta diretta dal Teatro dell’Opera di Roma di un improbabile concerto di Toscanini. La trasmissione, per la regia di Mario Ferretti, andava in onda in diretta e prevedeva una realizzazione innovativa e veloce, secondo lo schema delle radio americane dell’epoca, che avrebbe lasciato una traccia notevole nel linguaggio ra-

All’Auditorium la grande notte della musica Sestetto Franco e Dino Piana, Trio Amedeo Tommasi-Giovanni, Tommaso-Franco Mondini, Bruno Biriaco Saxes Machine, Gianni Coscia & Dino Piana, Giampiero Boneschi, Quintetto Swing Urso, Dino Piana & Luca Begonia, Rosario Giuliani & Enrico Pieranunzi, St. Louis Big Band diretta da Antonio Solimene con Valentina Piccioni e Marcello Rosa, Ramberto Ciammarughi, Nuova Roman New Orleans Jazz Band con Gianni Sanjust, Mario Cantini, Lino Patruno, Carlo Loffredo, Roberto Podio. Ecco gli artisti e le formazioni che domani sera 28 maggio, all’Auditorium Parco della Musica di Roma, Sala Petrassi ore 21, faranno rivivere la storia del jazz italiano in occasione del concerto-presentazione del libro di Adriano Mazzoletti Il jazz in Italia. Dallo swing agli anni Sessanta, pubblicato da Edt (1664 pagine, 54,00 euro). Alla conversazione a più voci tra esperti di jazz italiano e non solo - Leone Piccioni, Marcello Piras, André Clergeat, Marco Santoro e naturalmente l’autore - si alterneranno momenti musicali. A Piero Angela il compito di conduttore nell’alternare le digressioni degli esperti ai brani: tra swing, dixie e jazz di oggi. La serata, aperta al pubblico (biglietto unico 10,00 euro, info 06 80241281, www.auditorium.com), verrà trasmessa in diretta su Rai-RadioTre.


spettacoli

27 maggio 2010 • pagina 19

Un lavoro enciclopedico che condensa più di 50 anni di lavoro Qui accanto, Oscar Valdambrini, tra i principali protagonisti del jazz italiano, suonava con l’orchestra Zeme a Radio Tevere. A destra, in basso, Adriano Mazzoletti presenta alla Town Hall di New York il Sestetto Piana dello stesso Valdambrini (1993). A sinistra, una caratteristica radio d’epoca

diofonico del dopoguerra, dovuto soprattutto al rientro in Rai di coloro che avevano inventato e realizzato quell’emittente. I musicisti che dal 10 maggio 1944 suonarono a Radio Tevere, oltre ai giovani che stavano affacciandosi, Giampiero Boneschi e Franco Cerri, erano componenti dell’orchestra radiofonica di Carlo Zeme, come Nino Culasso, Glauco Masetti, Eraldo Romanoni e ancora altri come Cosimo Di Ceglie, Luciano Sangiorgi, Claudio Gambarelli, che era legato ai partigiani, come ricorda Boneschi. «Solo dopo la guerra ho scoperto che Gambarelli era un partigiano, che aveva addirittura una radio clandestina, e che io e Franco, senza sapere nulla, avevamo anche fatto da corrieri portando i pezzi della radio che, smontati, sembravano cose di nessuna importanza e passavano inosservati alle perquisizioni. Appena terminata la guerra, fummo chiamati dai responsabili della Red Cross della V Armata americana e ingaggiati per suonare allo Chalet Monte Merlo, che era stato requisito, e anche all’Hotel Diana». (…) Il trucco della radio che trasmetteva da Roma ormai liberata resse per poco tempo: bastarono alcune settimane perché la gente si accorgesse dell’imbroglio. Gli sketch, soprattutto quelli scritti da Mario Ferretti sulle am-lire in circolazione nell’Italia liberata, o quelli di Carlo Manzoni nell’imitazione di Radio Londra, non potevano ingannare nessuno. Anche perché la maggioranza degli italiani era solita ascoltare il colonnello Stevens, benché fosse severamente proibito e il segnale venisse disturbato. […] Radio Tevere

chiuderà il 24 aprile 1945 quando, dopo aver dato alle fiamme molti documenti, i redattori del Giornale Radio nazionale e quelli dell’emittente milanese cercheranno di sottrarsi alle loro responsabilità. Alcuni riuscirono a eclissarsi o a riciclarsi; altri furono uccisi o imprigionati. Scrive Bongioanni: «Sebastiano Caprino, redattore capo di Radio Tevere, venne ucciso a bastonate e il cadavere buttato da un camion in corsa. L’attore Carlo D’Angelo, Fulvio Palmieri e l’altro annunciatore Cordovani, condannati a dieci anni. Ma Cordovani muore a San Vittore, collasso cardiaco, per una finta esecuzione. Gli altri due escono con l’amnistia Togliatti. L’attrice napoletana Celeste Marchesini, collaboratrice di Radio Tevere, si è fatta due mesi di prigione, con relative finte esecuzioni. Paolo Fabbri e Giovanna Salvi, presi dai partigiani della banda capeggiata da Vero Marozin, vengono liberati dopo pochi giorni».

Alle 7 del mattino del 25 aprile 1945 dai microfoni di Radio Milano Liberata, che aveva iniziato a trasmettere da uno studio di corso Sempione sulle frequenze del Programma Nazionale, si annuncia: «I punti vitali di Milano sono controllati dai partigiani, che in tutta l’Italia settentrionale stanno combattendo contro i tedeschi». La voce era quella dell’ingegner Minicucci, che fece da tramite fra la Direzione dell’Eiar e un gruppo di partigiani, comandati da un capitano degli Alpini. Mussolini e i gerarchi sarebbero stati giustiziati tre giorni dopo. La seconda guerra mondiale, almeno per l’Italia, era finalmente terminata.

Adriano Mazzoletti, la “Bibbia dello swing”

Un grande concerto di Armstrong a Perugia. Comincia così la carriera di uno dei massimi esperti della materia di Leone Piccioni a più di cinquant’anni Adriano Mazzoletti si occupa di jazz: jazz italiano, jazz americano, jazz nel mondo. Nel 1957, data del suo esordio lavorativo, per il Jazz Club di Perugia organizzò un concerto di Louis Armstrong. Dal ’59 cominciò a lavorare per la Rai. Come collaboratore fino al ’75 e poi dirigente fino all’età pensionabile.

D

Io lo conosco dal Sessanta per un lavoro, in un certo senso collaborativo, che svolgevamo attorno alla musica jazz alla Radio. Fino al ’53, infatti, mio fratello Piero e io mandavamo in onda due rubriche settimanali di jazz. Ma quel che più conta è che apprezzai subito Adriano per il suo carattere gradevole, amichevole, generoso. Così anche al di là del jazz i nostri contatti si trasformarono in una vera e grande amicizia, anche con la cara Anna Maria, sua moglie, che cura attualmente una etichetta discografica assai pregevole dedicata al jazz italiano. Innumerevoli le rubriche curate da Mazzoletti che non staremo qui a elencare. Basti indicare le cento sue rubriche di jazz nel ’78 e nell’’81. Singolare che i suoi interessi si concentrassero soprattutto sul trascuratissimo jazz italiano. La sua competenza diventò assoluta: per tutti fu un ineguagliabile punto di riferimento. Gran lavoratore, pur di avere una rubrica fissa nel palinsesto della Radio, accettò di andare in onda al mattino presto in ore antelucane con Svegliati e canta e con il Mattiniere. Andavano volentieri in trasmissione tutti i maggiori personaggi musicali dell’epoca, con un ascolto di circa tre milioni di persone. Famosa la sua rubrica condotta da un aereo dell’Alitalia in volo. Tra gli altri Arbore e Boncompagni collaboravano con lui. Oggi nei due volumi editi dalla Edt appena usciti, Mazzoletti dedica 1650 pagine al Jazz in Italia Dallo swing agli anni Sessanta. È un grande punto d’arrivo, il seguito di quel volume del 2004 Il Jazz in Italia. Dalle origini alle grandi orchestre di 664 pagine (sempre edito da Edt). Nel libro odierno ci stupisce per le sue conoscenze tecniche e personali, per la completezza delle informazioni, per l’esposizione dei fatti che fa con chiarezza e semplicità, proponendo anche per i singoli ritratti di musicisti e suonatori una lettura che si potrebbe definire narrativa, fondata su una bella scrittura e su uno stile molto personale. Come rivela Enrico Pieranunzi nella sua breve ma succosa introduzione, spesso i protagonisti della storia parlano in prima persona con un florilegio di aneddoti ed episodi «spesso divertenti, a volte toccanti». C’è molta umanità. Si tratta, osserva giustamente Pieranunzi, «di una sorta di altra

storia, quella di decine di musicisti i cui nomi spesso non vi diranno nulla. Mazzoletti è andato a scovarli con certosina pazienza sottraendoli a un oblio ormai quasi irreversibile». Così anche i più modesti suonatori di jazz in Italia rivendicano il loro ruolo di laboriosi, onesti e appassionati coautori. Tanta passione dunque, tanto amore per il jazz e per il jazz italiano. Centinaia e centinaia i nomi ricordati. Il pregio del libro, già largamente dimostrato nei sei lunghi capitoli, è arricchito da alcune statistiche. Come anche dall’indice dei nomi, che occupa una sessantina di pagine; dalla bibliografia, di 40 pagine e dalla discografia - udite, udite - di 320 pagine.Vero è che Adriano dispone di una fantastica e numerosa collezione di dischi, ma per arrivare a quello cui lui è arrivato occorrono - così com’è stato necessario - anni e anni di lavoro. Una curiosità che ci ha stupito: il numero assai elevato dei dischi americani pubblicati in Italia sotto il Fascismo tra il 1930 e il 1936. Tante altre cose vorremmo dire: ma accanto al volume di Adriano, il posto d’onore domani sera spetta alla musica che verrà eseguita all’Auditorium di Roma, in occasione della presentazione del libro. Non posso fare tutti i nomi celebrati da Mazzoletti: mi limito a dire che c’è un ampio margine di spazio tra Kramer, Trovajoli, mio fratello e Nunzio Rotondo, Enrico Pieranunzi, D’Andrea e altri grandi. Adriano non smetterà di lavorare: intanto scrive sulle pagine di questo giornale, e nell’inserto culturale del sabato, Mobydick, cura un’ottima rubrica di informazione sul jazz (ha scritto anche alcuni ampi, bellissimi profili dei grandi, grandissimi, Billie Holiday e Miles Devis). E questa è già un’altra strada che potrebbe aprirsi per il suo lavoro.

Musicisti e suonatori rivivono in una lettura che si potrebbe definire narrativa, fondata su una bella scrittura e su uno stile fascinoso

Un ultimo ricordo della mia adolescenza con la presenza - ahi quanto rimpianta! - di Piero, che già dal ’35 si alzava la notte per sintonizzarsi con radio americane che trasmettevano jazz, suonando per ore e ore fino all’incontro con Mario Bertolazzi nel ’38. Sul Radiocorriere di quell’anno Emilio Radius dedicò un trafiletto a un giovane pianista di jazz che abitava a Bologna e mio padre fece in modo di mettere mio fratello Piero in contatto con Bertolazzi. Sentirli suonare insieme era un incanto, così come pochi anni fa fu un incanto sentire Armando Trovajoli e Piero che suonavano insieme. Nel programma del concerto di domani sera è inserita come cantante Valentina Piccioni: è la figlia di Piero, mia nipote, e con questo cognome ci leghiamo anche di più alla grande opera di Mazzoletti: la Bibbia del jazz italiano.


cultura

pagina 20 • 27 maggio 2010

Poesia. Jaca Book pubblica la nuova raccolta di versi che la poetessa dedica agli inquietanti simbolismi della pace domestica

La casa di Alleva dopo l’uragano di Matteo Marchesini

Nella foto grande, un’illustrazione di Michelangelo Pace. Qui sotto, e in basso, la poetessa russa Annelisa Alleva, che a sette anni dall’apprezzato “Istinto e spettri”, dà alle stampe la sua nuova raccolta poetica intitolata “La casa rotta”, che rispetto all’opera precedente segna una svolta radicale

ette anni dopo l’uscita di Istinto e spettri, l’editore Jaca Book ha pubblicato la nuova raccolta poetica di Annelisa Alleva, autrice raffinata e altrettanto raffinata studiosa di letteratura russa. Chi ha seguito il suo percorso, costellato di piccole prelibate plaquette, ritroverà in La casa rotta le consuete tracce di quel mondo domestico e candito che occupa buona parte dell’immaginario alleviano.

S

È un mondo pieno di mantelli e di corredi, di «asole, orli, bottoni, colletti», di paesaggi nivei o “scritti”come alfabeti e di libri squadernati come paesaggi. La metafora e a volte l’allegoria centrale di questo immaginario resta ancora quella che lega porte, chiavi e serrature in un continuo gioco di furti e d’amore, di violazione e di segreto: «Ho una porta dentro il corpo / e al centro una serratura chiusa / che un ladro tortura a tutte le ore. / Vuole aprire, entrare, impossessarsi, / e svita, svita con il cacciavite. / Forza il sorriso forzato con la forza». Nella nuova raccolta, tuttavia, questi emblemi si spogliano di ogni sicurezza diurna, e riappaiono investiti dai raggi tirannicamente affermativi e allucinati di un «sogno chimico». Gli oggetti enormi e minuscoli, artificiali e umani, si raccolgono insieme e si allineano in uno scenario definito da piaghe comuni o da comuni punti di sutura: e proprio a una tale violenta omologazione alludono lo sgradevole titolo generale, «la chiusura del bagno incerottata» che dà l’incipit a una delle prime poesie, e le foglie che in un altro testo «graffiano le strade, e scricchiolano / come forbici di sarta arrugginite. / Tagliano le ca-

se per imbastire vestiti / con fili di pioggia». Dell’opera di Annelisa Alleva, questa immersione onirica esalta le qualità plastiche, la pronuncia spiccata e apodittica, sempre tenuta sul sottile confine che corre tra necessità e arbitrio. Ma citiamo qui di seguito, per esteso, un esempio tipico del timbro della Casa rotta. È tratto dalla prima sezione, in cui le immagini vengono spesso inserite in uno spazio ospedaliero, filtrate dallo sguardo al tempo stesso viscerale e spietatamente oggettivante che l’io poetico dirige su una figura materna e malata: «La lama stordente della luce attraverso le veneziane. / Le macchine fuori sulla Cassia, a

sti. / Quante chiavi fra noi, porte sbattute. / Il tuo corpo – una profezia del mio più vecchio. / Due ventagli nel cassetto, scudi dimenticati». Come si vede, le cose acquistano una loro vitalità surreale e minacciosa, geometrica e sghemba.

Ma in questa poesia i versi sono ancora allacciati a una scena e a un rapporto più o meno riconoscibili. Nella seconda sezione, quella eponima, il «sogno chimico» arriva invece a occupare l’intero spazio della rappresentazione, prima di ritrarsi e scaricarsi nella serie elegiaca e “grafica” dei testi che vanno sotto il titolo di Castellane. È

/ Le belle nei casolari abbandonati, / attirate da tante mani sudate a mangiarsi manforte. / I giornali si prendono l’indomani il bianco e nero, / il rosso le perizie legali della morte. / Il grido del no il giorno di San Valentino. / La vecchia attrice vive ancora. / Si aggira senza calze e senza barboncino, / con il bavero della pelliccia premuto su un dente. / Figlia è fiore e figlia è pietra. / Le scrimino i capelli come quando cerco / una parola sul dizionario. / Poi guardo un piatto di spaghetti. Tutto è sparso. / Quelle con poco tetto sono le case del ricatto». In questa cronaca tagliuzzata, “incerottata”, folle, implode la poesia precedente di Annelisa Alleva; in questi brandelli d’emulsione ansiosamente giustapposti si disarticolano e si cancellano le sue stanze stilnoviste, i suoi ritmi familiari, le sue penombre incolori.

Abbondano rime frammentate e sghembe, perse in una dimensione onirica che esalta le qualità plastiche di una pronuncia spiccata e apodittica, sempre tenuta sul sottile confine che corre tra necessità e arbitrio destra e a sinistra, / fisarmoniche che intonano canzoni diverse. / Un occhio d’acqua sul tavolo da ping pong. / Si ammaccano i tubetti di pomata sul comodino / per strisciare carponi senza essere visti. / Le ciabatte – due frecce perse sot-

to il letto. / Imprigioni senza stretta apparente la mia mano. / Non amavo indossare i tuoi vestiti. / Davanti alle vetrine mai che avessimo gli stessi gu-

qui, nel baricentro del libro, che dilagano le inconsulte rime da nenia in precedenza soltanto accennate, le associazioni foniche a metà tra “lapsus” e ossessione: e nel loro accumulo sfacciato, magnetico, violento, balza agli occhi del lettore la somiglianza forse pilotata con un percorso singolare e insidioso come quello di Amelia Rosselli. Si veda ad esempio la poesia stampata a pagina 59: «L’ossessione si sfoga e non si sfoga. / Vuole mangiare sola. Giro la testa e mi gira. / Pois di coriandoli coprono escrementi, / bucce, cicche, macchie. / Lui telefona dallo Stato, / lui ti manda tante melettroniche in regalo, / lui te ne tira una fruttiera intera, / qui, status quo, qua, hic, et nunc, / viva Che Karenin, cioè, vero che, ecc. ecc., etciù. / Desiré, tanti no tante coltellate.

Né le ultime poesie d’ambiente scozzese, offerte sia in versione italiana che in versione inglese, valgono a ricucire lo strappo: sembrano semmai una breve fuga o pausa, il ralenti finale e felpato di una nervosa sincopata musica jazz. Ci voleva del coraggio, per compiere sul corpo della propria poetica e della propria percezione esistenziale un gesto così rischioso, così dissipatorio: l’Alleva l’ha avuto. E molti di questi versi ci convincono a dire che ne valeva la pena.


cultura

archeggiate, sgualcite, se ne stanno lì, aspettando che qualcuno le “abiti”. O magari qualcuno le ha “abitate”e poi se n’è andato via a piedi nudi, lasciando che le stringhe si aggrovigliassero. Forse, un paio di queste All Star le ha calzate John Travolta nel film Grease. E forse, un altro paio, le ha indossate l’uomo misterioso del Favoloso mondo di Amélie che sistematicamente, in una stazione ferroviaria di Parigi, si scattava fototessere per poi gettarle via. «Puoi buttarmi a terra, camminare sulla mia faccia/Diffamare il mio nome in qualsiasi luogo/Fai quello che vuoi/Ma dolcezza, stai lontana da quelle scarpe/e non calpestare le mie scarpe di camoscio blu», cantava nel 1956 Elvis Presley in Blue Suede Shoes. Versi ritmati dal rockabilly che fanno idealmente rima con le scarpe dipinte da Eleonora Bortolami, padovana, laureata all’Accademia di Belle Arti di Venezia in arti visive e discipline dello spettacolo con indirizzo pittura.

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P

Stravissute, macchiate, camminate fino all’ultima stilla di sudore ma irrinunciabili e mitizzate, sono esposte fino al 3 giugno al Bar Jamaica di Milano (lo storico ritrovo di artisti, da Piero Manzoni a Lucio Fontana, nel cuore di Brera) nella personale Coming Home in collaborazione con la Galleria Perelà di Venezia. C’è tutta l’efficacia fumettistica della Pop Art americana negli acrilici su tela che catturano paia di scarpe sul verde smeraldo d’un prato, sulle grate dei marciapiedi metropolitani, sul bianco e sul nero, su motivi optical. C’è l’essenza del rock, quello più tosto, dentro queste All Star che immaginiamo dialogare con le copertine dei dischi in vinile ripensando a chi le ha

Mostre. A Milano fino al 3 giugno una personale dedicata alla giovane artista

Bortolami, come fare le scarpe alla Pop Art di Stefano Bianchi

Nelle sue creazioni c’è tutta l’efficacia fumettistica della scuola americana, dalle calzature smeraldo ai tipici motivi optical calzate sul palco e nel backstage. Quei punkettari dei Ramones, ad esempio. Oppure Angus Young degli AC/DC e Slash, il chitarrista che ha fatto la fortu-

na dei Guns N’ Roses… Sotto questo piccolo esercito di suole gommate, c’è la memoria storica della ribellione creativa: gli anni Sessanta della Controcultura e della Summer of Love, del Festival di Woodstock e dello Human Be-In.

Calzando idealmente queste scarpe, l’artista vuole spronare chi come lei ha superato i vent’anni (ma anche i più giovani) a ribellarsi in senso positivo, a non omologarsi, a reagire costi quel che costi: «Ho scelto questo preci-

so modello di scarpa», spiega, «perché è l’icona del cambiamento. La certezza, dinamica, di un percorso che ci condurrà lontano». Il nuovo Viaggio dell’Utopìa (alla ricerca di una società che possa avvicinarsi il più possibile alla perfezione) sarà lungo e faticoso. Poi, però, tornare a casa sarà ancora più bello. Perché le case che Eleonora Bortolami ha realizzato (cubi di legno grandi e piccoli, della serie Agenzia Immobiliare) sono la miglior via di fuga possibile da sprechi, specula-

In questa pagina, alcune opere di Eleonora Bortolami. In alto, da sinistra a destra, “Green Shoes”, “Red Shoes” e “All Star”. Qui sopra, “Casedue”. A fianco “Casetre” e “Caseuno”

zioni, abusi edilizi. La società perfetta non potrà prescindere da un rinnovato rapporto fra l’uomo e l’ambiente. Ecco, allora, queste “abitazioni tipo” che ognuno di noi potrà scegliere azzerando consumismo e materialismo. Le vogliamo chiamare case-nido, case-tana, case-conchiglia? Sono gusci dove mettere radici. E finalmente sentirsi protetti, coccolati, svincolati dalla caducità delle cose terrene. Sono affettuosi microcosmi, semplici ed essenziali, che Eleonora ha voluto immaginare come «piccole cartoline colorate e astratte che rappresentano le abitazioni che stavo cercando di costruire nella mia mente. Piantine di edifici in cui lentamente facevo comparire misure e dimensioni, stabilendone ipotetici prezzi e collocandoli realmente in qualche cittadina». Impilate una sull’altra dalla più grande alla più piccola, o appese alla parete senza seguire un ordine prestabilito ma permettendo alla fantasia di volare, queste case non hanno materialmente porte né finestre ma esprimono il candore di un mondo fiabesco, spontaneo come certi giochi della nostra infanzia, dove sarà psicologicamente bello abitare. Opere d’arte e di design, questi contenitori dei nostri sogni mostrano colori persuasivi che fanno da sfondo a linee che curvano e ondeggiano spezzando l’andatura spigolosa delle figure geometriche. Sfoggiano decorazioni Pop e motivi che si rifanno all’Optical Art di Victor Vasarely, Bridget Riley e Julio Le Parc.

Dopo averli attentamente osservati, viene spontaneo pensare al più immaginifico fra tutti i designer, il danese Verner Panton, che una volta dichiarò: «Se un determinato oggetto è dettato dalla creatività, non può “non funzionare” perché avrà per forza un fine pratico». Nel caso specifico di Eleonora Bortolami, il fine pratico va sintetizzato in tre parole: Home Sweet Home. Con le scarpe, là fuori, sgualcite e parcheggiate. In attesa, chissà, di compiere un altro viaggio.


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE

I biberon al “bisfenolo A” sono nocivi. Cosa fa il nostro Paese? Biberon al bisfenolo A (Bpa) nocivi per i neonati. È quanto ha stabilito il Parlamento francese approvando la proposta per il divieto di commercializzazione dei biberon al Bpa. Il Bpa è il maggiore componente delle plastiche di policarbonato usate nei biberon ma anche in altri contenitori per alimenti. Può migrare nei cibi e nelle bevande conservati in materiali che lo contengono. Può causare l’endometriosi nelle donne, con effetti sulla capacità riproduttiva, una modificazione dello sviluppo fetale e danni ai neonati perché altera l’attività del sistema endocrino. I biberon al Bpa non si usano negli Stati Uniti, sono proibiti in Canada, Danimarca e in Francia. L’Efsa (l’Autorità europea per la sicurezza alimentare) dopo aver fissato un limite di assunzione del Bpa in 0,05 milligrammi per kilogrammo di peso corporeo, ha deciso di approfondire le indagini. Ovviamente, minore è il peso del soggetto interessato (es. feti, neonati) minore è la quantità di Bpa tollerata.Cosa accede in Italia? In commercio esistono biberon con e senza Bpa. Non è possibile avere Paesi europei che proibiscono l’uso di determinati prodotti e altri che li consentono. Se i biberon al Bpa sono nocivi è bene che se ne proibisca l’uso.

P. M.

BANDIERE BLU. ALLA LIGURIA LO SCUDETTO?

MASSIMA PROFESSIONALITÀ COME AMORE DEL PROSSIMO

Assegnate le bandiere blu 2010. Significa mare pulito (anzitutto) ma anche servizi ecologici. A guidare la classifica c’è la Liguria con ben 17 località premiate dalla Federazione per l’educazione ambientale. La notizia mi lascia perplesso perché nei giorni scorsi la Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia dell’Ue per violazione della direttiva 91/271/Cee sulle acque reflue (inquinate). In Liguria ci sono ben 19 comuni e aggregazioni urbane inadempienti. Certo, le località da bandiera blu non sono quelle sotto accusa, tranne Finale Ligure, che ha contestualmente la bandiera blu e l’accusa per inadempienza alla predisposizione di sistemi adeguati per il convogliamento e il trattamento delle acque urbane. Come la mettiamo?

L’adempimento indefesso del dovere è l’espressione massima dell’amore per il prossimo. Il lavoratore valoroso aspira più all’elevata professionalità che al compenso monetario. L’eccellenza della prestazione lavorativa ha un alto pregio etico: l’utente desidera l’appagamento dei suoi bisogni; il malato chiede al medico la cura più efficace. La preghiera più nobile è «il lavoro, autentico tesoro, che ci fornisce i beni e servizi». Il lavoro ha elementi di costrizione: non è gioco, ma neppure condanna dei poveri. Può dare gioia, sostegno e terapia antidepressiva. La perdita del posto e il declino professionale mortificano più la persona che il redditiere. Il lavoro è virtù, l’ozio è colpa. Anche il benestante deve lavorare, per contribuire al bene del consorzio umano.

Primo Mastrantoni

Generazioni Nepal Un uomo e il suo nipotino si riposano sui gradini di una pagoda a Bhakthapur, nella Valle di Kathmandu, in Nepal. Kathmandu è il centro del turismo nepalese (e dunque di gran parte della sua economia)

La ricchezza è pericolosa solo se conduce alla pigrizia e all’immoralità.

Gianfranco Nìbale

SIAMO ALLA FRUTTA Si è scoperto solo adesso, che in Campania il racket gestiva da molto il mercato degli ortofrutticoli, comportando quegli aumenti sui prezzi che fanno da anni lamentare la popolazione. Molta gente vuole tornare alla lira perché reputa l’euro come causa fondamentale della crisi econo-

L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

mica interna: in realtà vale sempre il principio di sovrapposizione degli effetti, perché il crimine organizzato è come quel rapace che al minimo odor di carcassa, giunge sulla preda e se la divora. Per combatterlo occorre che si aiuti il governo ad entrare nei quartieri del crimine, senza carri armati o soldati, ma solo con un collegiale e differente presenza sul territorio, cosa che dipende anche dal comportamento del singolo cittadino.

Bruno Russo

dal ”New York Times” del 26/05/10

Una moschea su Ground zero di Javier C. Hernandez i sarà l’ombra di una moschea sulle ceneri delle Torri gemelle. È stata una riunione turbolenta, ma alla fine il consiglio di circoscrizione per il centro di Manhattan ha deciso di votare a favore della costruzione di un centro culturale vicino a Ground zero. Niente di strano, se non fosse che parliamo di una iniziativa legata alla comunità islamica newyorkese. La mozione a sostegno è passata con 29 voti a favore, uno contrario e dieci astenuti alla fina. Ma lo scontro è durato quattro ore, con passaggi continui tra un fronte e l’altro. Il primo che affermava che il centro sarebbe stato un monumento alla tolleranza e l’altro che definiva la proposta come «un affronto» alle vittime dell’attacco terroristico dell’11 settembre 2001. Il voto del consiglio è solo consultivo, ma è un termometro molto preciso della sensibilità sull’argomento dei cittadini di Manhattan.

C

Giovani studenti e rabbini erano tra folla di un centinaio di persone che hanno partecipato alla riunione che si è tenuta a poca distanza da Ground zero. Alcuni mostravano le foto dei propri cari morti nell’’attacco, altri agitavano cartelli con scritto «Rispetto per 9/11. No alla moschea!». C. Lee Hanson, 77 anni, ha peso il figlio Peter durante gli attacchi del 2001. Si oppone al centro non per intolleranza, ma perché considera che costruire un tributo all’Islam in un luogo così vicino al World trade center sia una dimostrazione di «insensibilità». «Il dolore non ci abbandona mai» spiega Hanson. «Se dovessi vedere una moschea quando guardo Ground zero ne rimarrei ferito. Costruitela altrove». Jean Grillo, una scrittrice di 65 anni, che vive a TriBeCa, invece ha un’al-

tra opinione e odia ogni fede che possa minare i valori tradizionali su cui si fonda l’America. «Quale posto migliore per insegnare la tolleranza che proprio nel luogo in cui l’odio ha tentato di distruggere la tolleranza?» ha spiegato la Grillo.

Il centro culturale che si chiamerebbe Cordoba House, dovrebbe sorgere un paio d’isolati a nord dell’area una volta occupata dalle Torri gemelle. Avrebbe uno spazio dedicato alla preghiera e uno alle performance artistiche da 500 posti, una scuola di cucina, una piscina, un ristorante e altre strutture dedicate al tempo libero. Il gruppo che c’è alle spalle del progetto, la Cordoba initiative, vorrebbe portare dei cambiamenti strutturali al palazzo dove avrà sede il centro. Si tratta di un edificio di metà Ottocento costruito in stile rinascimentale e servirà un’autorizzazione della soprintendenza ai beni storici (Landmarks preservation commission) per poter intervenire. Si pensa che per luglio ci sarà un parere dell’autorità. In più il progetto è fortemente osteggiato negli Stati Uniti e a all’estero. La presidente di un’altra circoscrizione, quella di Lower Manhattan, Julie Menin ha affermato di essere stata sommersa di centinaia di e-mail e telefonate da New York e da fuori sulla proposta. Nel gruppo dei consiglieri astenuti molti avrebbero voluto conoscere meglio la Cordoba initiative prima di esprimere un parere, ma il Consiglio aveva respinto la richiesta di posporre la riunione di un mese. I giorni precedenti all’incontro sono stati caratterizzati da un clima di criti-

ca sferzante, in cui si è fatto notare Mark Williams, leader del Tea Party, per il fervore antisilamista. Ma Williams non è stato il solo a muovere delle critiche. Molte delle associazioni delle famiglie colpite dai lutti dell’11 settembre si sono dette contrarie al progetto di costruire una spazio di preghiera così vicino a un luogo tanto carico di simbologie.

Bob Doyle leader del gruppo di famiglie 9/11 spiega: «quel posto deve essere una sintesi di serenità. Se dovesse partire l’iniziativa ci sarebbero proteste e manifestazioni quotidiane». Alle spalle del progetto del centro islamico ci sono il sindaco Michael Bloomberg, la presidente dell’assemblea comunale, Christine Quinn e il presidente di quartiere in cui ricade Manhattan, Scott Stringer che lavorano perché il progetto da 100 milioni di dollari vada in porto.


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dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Qualche volta siamo attraversati da un lampo, tu ed io Cara Anna, l’unico sprazzo di sensatezza in tutto questo è che siamo tutti e due generosi, abbastanza generosi per capirci. Perché è vero, spesso ci capiamo, ma in modi vaghi e confusi, per mezzo di deboli percezioni, come fantasmi, che, mentre noi diffidiamo, ci perseguitano con le loro verità. E tuttora io, per primo, non oso crederci; perché tu sei sempre quel decimo che io non posso prevedere. Sono incomprensibile ora? Non lo so, forse sì. Non riesco a trovare un linguaggio comune. Generosità, ecco cos’è. È la sola cosa che ci tiene uniti. Qualche volta siamo attraversati da un lampo, tu ed io, abbiamo quel qualcosa in comune che ci fa respirare insieme. Sebbene siamo così diversi. Sorrido dei tuoi entusiasmi? È un sorriso che si può perdonare, è un sorriso di invidia. Ho vissuto 25 anni di repressione. Ho imparato a non essere più entusiasta. È una lezione dura. Incomincio ora a dimenticare, ma è così difficile. Al massimo, prima di morire, posso sperare di aver dimenticato qualcosa. Posso esultare, adesso che sto imparando, per piccole cose, per altre cose, ma per le mie cose, e per quelle segrete, doppiamente mie, non posso, non posso. Riesco a farmi capire? Riesci a sentire la mia voce? Temo di no. Ce ne sono tanti di posatori. Io sono il migliore di tutti. Jack London a Anna Strunsky

LE VERITÀ NASCOSTE

Gb, si scopre incinta dopo aver partorito LONDRA. E poi dicono che la vita non sia un miracolo. Amanda Morgan, una donna inglese di 41 anni, ha dato alla luce una bambina di 28 settimane senza nemmeno sapere di essere incinta. La donna ha raccontato che durante quei sette mesi ha riscontrato disturbi ginecologici ma che, dopo essersi sottoposta ad alcune analisi, era emerso che quei problemi risalissero a un principio di menopausa. Una sera, invece, Amanda corre in bagno e partorisce una bambina: Caitlin. La signora Morgan, già madre di due figli, ha spiegato che nelle precedenti gravidanze c’erano stati tutti i sintomi del caso: nausee mattutine, caviglie gonfie, stanchezza, e un gran bel pancione che annunciava la prossima nascita di una nuova vita. Stavolta niente di tutto ciò, a parte qualche chilo in più, qualche disturbo di stomaco e un’appena accennata irregolarità del ciclo mestruale nulla aveva fatto capire alla futura mamma di essere in stato interessante. Nella letteratura medica gravidanze inattese e impreviste non sono poi così rare. Nel Regno Unito delle statistiche sostengono che una su 600 future mamme è inconsapevole di aspettare un bambino fino al giorno della nascita. «Molte donne manifestano dei sintomi simili alla menopausa mentre sono incinte - spiega Jen Mearns, ostetrica -, così come accade spesso che giovani negano il proprio stato fino al giorno del parto, o altre ancora sono davvero inconsapevoli di essere incinte e confondono i calci del bambino con un’indigestione. Ciò che però occorre tener ben presente è che una mamma che dà alla luce un figlio in modo inaspettato avrà bisogno di molto sostegno, in quanto dopo la nascita si sperimenta un ampio spettro di emozioni diverse». Dominate sicuramente dalla sorpresa.

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

RISCHIO ACQUA AVVELENATA? 150mila tonnellate di erbicidi, insetticidi e altre sostanze chimiche (circa 300) sono assorbite dal suolo. La pioggia li trasporta da questo alle acque superficiali e alle falde acquifere. Potenzialmente pericolosi per l’uomo, inquinano gli ecosistemi acquatici e, direttamente (acqua potabile) o indirettamente (attraverso la catena alimentare), condizionano le situazioni di salute e di ambiente, di tutte le regioni italiane, in generale e di alcune, in particolare (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna). Il rapporto dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) parla chiaro: nelle acque ci sono miscele di sostanze i cui effetti non sono ancora ben conosciuti. In attesa delle risposte che mancano non facciamo salti nel buio: proteggiamo l’ambiente. Per noi e per i nostri figli. Bisogna ritornare alla filosofia dell’ecologia profonda. La filosofia che spinge l’uomo ad essere ecocentrico e non antropocentrico.

D.S.

INUTILI PAROLE, INUTILI RIMPIANTI “A volte ritornano”, si potrebbe intitolare il ritorno di Veltroni , magari con Nichi Vendola, alla guida della nave del Pd che presenta tante di quelle falle, che non se ne possono avere altre. Meglio che a scassare definitivamente, sia un grande veterano delle inutili filosofie retrò, di quelle che macinavano parole inutili per farle terminare dopo tanti anni, con i soliti e inutili rimpianti.

Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci,

Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,

Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)

Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Collaboratori

APPUNTAMENTI MAGGIO LUNEDÌ 31 - ORE 18,15 - CINISELLO BALSAMO (MI) AUDITORIUM DEL CENTRO SCOLASTICO PROVINCIALE DEL PARCO NORD - VIA GOKI 100 -

“Riforme istituzionali” - Circoli liberal Lombardia SEGRETARIO

Mario Salerno

Robert Kagan, Filippo La Porta, Direttore da Washington Michael Novak

SOSTENERE LA FAMIGLIA, PILASTRO DI SOLIDARIETÀ E COESIONE SOCIALE Bisogna porre in essere un’azione di solidarietà verso le famiglie modenesi colpite dalla crisi (attraverso riduzione di tariffe e trasferimenti per complessivi 600.000 euro) finanziata dai fornitori di servizi del comune di Modena per un importo medio di poco superiore all’1% dei loro contratti in essere. Tali fornitori non hanno subito diminuzioni di fatturato con il cliente comune di Modena che, oltretutto è un buon pagatore. Nella sottoscrizione di tali sconti da riservare al nostro comune tali fornitori si impegneranno per iscritto a non scaricare tale sconto sulle spese del proprio personale, così come tante aziende che lavorano nel privato hanno fatto in questi mesi in condizioni ben più drammatiche. Molte aziende private, infatti, hanno subito nel corso del 2009, e si preparano a subire purtroppo per il 2010, importanti diminuzioni di fatturato da un lato, e mancati pagamenti per prodotti/servizi già erogati: grande è stato lo sforzo di tanti imprenditori per non scaricare completamente sui dipendenti, e dunque sulle loro famiglie, tali difficoltà. Le aziende che lavorano per gli enti locali non hanno subito, se non in minima parte, tali vicende. Bisogna intervenire a sostegno delle famiglie più numerose attraverso una progressiva maggior riduzione delle tariffe in funzione del numero di figli a carico: si tratta, dunque, di rispettare e valorizzare le finalità e le previsioni dell’Isee, incrementando ulteriormente gli sconti man mano che aumentano i figli a carico. È la modalità che gli enti locali hanno, in funzione delle proprie competenze, di mettere in atto dei provvedimenti che possano avere un effetto sulle famiglie comparabile all’introduzione del c.d. “quoziente famigliare”, politica fiscale di competenza dello Stato. L’obiettivo è, dunque, quello di arrivare ad un sistema tariffario che simuli, per le famiglie più numerose, l’introduzione di una sorta di “quoziente Modena”, in cui i pesi (paragonabili, per semplicità ai valori della scala di equivalenza Isee) progressivi dei componenti, a partire dal terzo, siano crescenti e si assestino, orientativamente, sullo 0,6 per il terzo, 0,7 per il quarto, 0,8 per il quinto, 0,9 per il sesto, 1 per il settimo e successivi. Per il 2010 sono state pertanto previste, a causa delle riduzioni di tariffe conseguenti all’introduzione del “quoziente Modena”, diminuzioni in entrata sui proventi derivanti dalla refezione scolastica e dagli asili nido per 200.000,00 euro: occorrerà studiare poi nelle prossime settimane con maggior precisione su quali capitoli di entrata agirà la riduzione delle tariffe dopo aver messo a punto nel dettaglio i parametri del quoziente. Davide Torrini UDC MODENA

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ULTIMAPAGINA Miti. Dal 5 giugno al Franklin Institute di Philadelphia i manufatti della regina ritrovati in fondo al mare

Torna alla luce il tesoro di Francesco Lo Dico

inque giugno 2010. È ufficialmente aperto il conto alla rovescia per uno dei più attesi eventi culturali della stagione. Al Franklin Institute di Philadelphia c’è una regina che è pronta a riprendersi la scena. Poco importa che sia morta più di duemila anni fa. Peccati veniali, che a una leggenda come Cleopatra d’Egitto possono essere perdonati. Saranno molte, le cose in mostra che ce ne lasceranno intuire la presenza, la torbida bellezza che abbagliò Giulio Cesare e mise in ceppi Marco Antonio, la naturale eleganza sciorinata a ogni passo del piede, come ad ogni guizzo della scaltra intelligenza. Molte come le meraviglie del suo tesoro segreto, più di 250 manufatti riportati alla luce dalla spedizione subacquea di Franck Goddio. Gli stessi che faranno bella mostra di sè negli States, all’anteprima mondiale di “Cleopatra: alla ricerca dell’ultima regina d’Egitto”.

C

Ancora una volta , oggi come allora, c’è di mezzo un uomo, e un amore fatale. Quello che nel 1992 condusse Franck Goddio, archeologo, nato nel 1947 a Casablanca, al largo di Alessandria, fu corrisposto. Lui, Franck, ci si tuffò anima e corpo nel 1992. Una liaison clandestina, vissuta nella segretezza del mare e di un silenzio abissale. Laggiù, al largo di Alessandria, c’era ad aspettarlo uno dei più straordinari patrimoni mai seppelliti dalle sabbie del tempo. C’erano porti e isole popolate da luoghi di culto, palazzi e avamposti militari. Tutto cancellato da un terremoto tra il quarto e l’ottavo secolo. Tutto rimasto lì, come un enigma inerte fino a quando il Consiglio Supremo delle Antichità dell’Egitto incaricò Goddio di mappare il Porto Grande di Alessandria. Fu allora che l’uomo scoprì un importante tempio a Canopo est, nella baia di Abuqir, a circa sette chilometri dalla costa. Solo l’inizio di un’epopea sottomarina, di una grande apnea liberata in una sensazionale scoperta. Presto Franck capì di avere di fronte ai suoi occhi, a metri e metri di profondità, il Palazzo Reale di Cleopatra. Il lavoro di recupero fu lento, eccitante, e inesausto. E proprio l’anno scorso, l’archeologo strinse tra le mani oggetti che erano passati secoli prima tra quelle della grande regina. O che avevano incantato ai suoi occhi. O che dai suoi sogni di grandezza avevano preso la foggia. Monete, oggetti di tutti i giorni come piatti e stoviglie, ma anche gigantesche statue di sovrani e tempi dedicati alle divinità egizie. «Lo scopo del nostro lavoro è quello di rivelare le tracce del passato e portare indietro la storia alla vita – ha detto pochi giorni fa l’archeologo dissimulando a fatica in una superiore compostezza, l’emozione di essere l’unico uomo a essere stato ammesso alla corte di Cleopatra da duemila anni a questa parte –Siamo lieti di presentare i nostri risultati e le scoperte archeologiche sottomarine al largo delle coste di Egitto al pubblico americano», ha concluso lo studioso nella conferenza stampa che precede l’evento. Ma è chiaro che il cinque giugno, gli sguardi del terzo millennio conver-

di CLEOPATRA

Nella foto grande, “Cleopatra morsa dall’aspide” di Guido Reni. A sinistra, dall’alto al basso, alcune foto dei manufatti ritrovati dall’archeologo Franck Goddio al largo di Alessandria, nel corso di numerose ricerche subacquee avute inizio nel 1996. I reperti saranno in mostra dal 5 giugno al Franklin Institute di Philadelphia geranno tutti su di lei, proprio come doveva accadere duemila anni fa. In absentia, gli oggetti ne racconteranno la storia. E forse un giorno, potrà tornare in superficie anche il luogo mortale che ne suggellò la fine.

La troupe di Goddio insegue ancora il sogno di ritrovare il suo sepolcro. Il fatto è che in quel 30 a.C. la regina offrì i suoi fieri seni alla morte. Non volle concedersi da prigioniera. Nè a Roma nè ad altro uomo. E forse, di essere ritrovata, sarebbe niente affatto contenta.


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