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ISSN 1827-8817 00604

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La minima deviazione iniziale dalla verità si moltiplica col tempo di migliaia di volte

Aristotele

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • VENERDÌ 4 GIUGNO 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

La Santa Sede chiede di sospendere l’embargo e dice sì a un’inchiesta «indipendente» sull’incidente

Cinque verità su Gaza Finora c’è stato un eccesso di propaganda e demagogia intorno al blitz israeliano: la situazione mediorientale è troppo delicata per consentirlo.Vediamo di diradare qualche polverone... Quattro anni dopo don Santoro

Ancora sangue cristiano in Turchia

1. Le organizzazioni umanitarie hanno il diritto di far arrivare gli aiuti a Gaza.

di Luisa Arezzo

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2. Israele ha il diritto di ispezionare le navi: Hamas le ha dichiarato guerra e quindi c’è il rischio concreto che possano trasportare armi. 3. Israele deve garantire un uso proporzionato della forza ma, in caso di incidenti, non deve aver paura della verità: è l’unica democrazia di quella regione. 4. L’Unione europea deve riflettere sul no alla Turchia: di fatto, quella decisione ha spinto Ankara a formare un asse con Siria e Iran.

Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, è stato ucciso a coltellate dal suo autista di Vincenzo Faccioli Pintozzi a morte del Vicario apostolico dell’Anatolia, monsignor Luigi Padovese, rientra nella scia di sangue che colpisce da anni non soltanto la Chiesa turca, ma tutte quelle del Medio e Vicino Oriente. La sicurezza degli“stranieri” - che siano cattolici Il Vaticano: diviene in certi ambien«È un fatto ti soltanto un aggravante - in Paesi come Iraq e orribile, Iran è la cartina di torsiamo nasole dello stato di dicosternati» ritto vigente nella nazione. Quella di monsiL’omicida era in cura gnor Padovese verrà dicome una morte psicologica pinta quasi accidentale: si da tempo parlerà di squilibrati, di menti eccitate dalla malattia o dal bisogno, e si passerà oltre. Eppure la testimonianza della persona, lasciando da parte per un attimo la sua veste episcopale, fa pensare che si sia voluto colpire un simbolo di pace in un Paese, e un momento storico, che vuole invece coltivare la guerra. A tutti i costi.

l Medioriente è sull’orlo del baratro: il blitz di lunedì nel quale sono morti nove militanti ha improvvisamente infiammato la crisi. Le diplomazie scardinano gli schieramenti: la Santa Sede ieri ha chiesto l’avvio di una inchiesta «indipendente» e la rimozione del blocco navale di Gaza. Ma spetta all’Occidente cercare di fare chiarezza, per far si che il processo di pace ricominci. a pagina 2

IL VICEPRESIDENTE DELLA KNESSET

«Rimuoviamo L’errore e la democrazia l’assedio. Viaggio nell’opinione Fa solo danni» di Jonathan Lis pubblica di Israele: così ha reagito all’attacco

5. Ha fatto bene

Il comportamento delle teste di cuoio nel raid di lunedì, è al centro di molte inchieste e di tutti gli editoriali

il governo italiano a dire no all’inchiesta internazionale: Gerusalemme è in grado di garantire un’inchiesta corretta.

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Che cosa dicono i giornali di Gerusalemme

Enrico Singer • pagina 4

aleb Majadele, laburista, vice presidente della Knesset, non ha dubbi: «L’assedio di Gaza deve essere rimosso. Io mi chiedo se abbia prodotto qualche risultato per il rilascio di Shalit, se sia stato un danno solo per Hamas. La risposta è no. Abbiamo solo rafforzato di Hamas». a pagina 5

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L’Anm annuncia lo sciopero contro i tagli: «Sono iniqui e ci penalizzano»

L’Europa ci riforma le pensioni L’Ue al governo: «Le donne devono lavorare fino a 65 anni» di Francesco Pacifico

Berlusconi riesce a dirsi contrario alla “sua” manovra ROMA. Doppio colpo sulla mano-

Lo strano caso del premier che si oppone a se stesso

vra del governo. L’Unione Europea ha richiamato l’Italia alla necessità di modificare al più presto le pensioni, equiparando il trattamento riservato agli uomini e alle donne: «Tutti devono andare in pensione a 65 anni». L’Associazione nazionale dei magistrati, invece, ha annunciato uno sciopero contro la manovra: «Questi tagli sono iniqui e ci penalizzano».

segue a pagina 14 seg1,00 ue a p(10,00 agina 9CON EURO

di Enzo Carra erto, non sarà la cuoca di Lenin che avrebbe dovuto insegnare a dirigere lo Stato, ma questo Michele, lo chef del cavaliere, sempre presente quando il soffio della storia gonfia le tende di Palazzo Grazioli, è un grande. a pagina 8

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a pagina 8 I QUADERNI)

• ANNO XV •

NUMERO

107 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


prima pagina

pagina 2 • 4 giugno 2010

Proposte. Il furore della Turchia, l’attivismo dell’Onu, la paura di Gerusalemme: cinque consigli per la pace

La lezione di Gaza

Maggiore chiarezza sui diritti e sulle opportunità: ecco che cosa devono fare le diplomazie occidentali per spegnere l’incendio in Medioriente di Luisa Arezzo bdullah Gul, il presidente turco, lo ha detto ieri a chiare lettere: «A partire da ora le relazioni (fra Ankara e Gerusalemme, ndr) non saranno più le stesse. Noi non perdoneremo mai l’assalto alla Freedom Flotilla». Ban Ki-moon, segretario generale dell’Onu, chiede «l’immediata revoca» dell’embargo; La Ue, per bocca di un

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Le organizzazioni umanitarie internazionali hanno il diritto di far arrivare gli aiuti a Gaza

portavoce dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune europea, Catherine Ashton, resta favorevole – nonostante i pareri contrari di Italia e Olanda, a una missione di inchiesta internazionale, inchiesta che Israele respinge. E intanto le piazze, tutte le piazze, da Teheran a Il Cairo, si infiammano contro Israele mentre gli attivisti liberati rientrano in patria da eroi, accusano con toni insostenibili Israele, e si vedono concessa da Abu Mazen la cittadinanza palestinese. In un montare di propaganda che certamente non può che nuocere al fragile equilibrio mediorientale e che getta benzina sul fuoco. La stessa benzina che potrebbe essere costata la vita a don Luigi Padovese, il vicario apostolico dell’Anatolia ucciso ieri a coltellate dal suo autista a Iskenderun. Benzina che al Jazeera, l’emittente tv del Qatar, spande sotto forma di servizi e dichiarazioni in tutto il pianeta.

Da questa pericolosa escalation mediatica e di violenza noi vorremmo invece provare a tirarci fuori e limitarci a indicare in cinque punti alcune questioni che ci sembrano verità incontrovertibili (naturalmente potremmo sbagliarci, ma a noi sembrano tali) con l’intento di diradare i fumi della propaganda in atto. In primis il diritto di far arrivare gli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Un diritto che certamente deve essere riconosciuto dalla Comunità internazio-

nale, ma di cui godono le associazioni e le Ong che intendono praticare questa loro facoltà. Oggi la Striscia di Gaza, sotto il controllo di Hamas, è diventata un campo di prigionia per un milione e mezzo di palestinesi e questo è un dato di fatto, anche se tutti siamo consapevoli che continua a servire come piattaforma di lancio per gli attacchi contro gli israeliani. Ma questa è l’eredità della politica del mondo arabo per i rifugiati palestinesi iniziata 60 anni fa, quando la Lega Araba realizzò delle leggi speciali per i palestinesi a cui tutti i paesi arabi dovettero attenersi.

La loro identità forzata è stata pensata apposta per eternare lo status di rifugiato, è vero. E i palestinesi sono sta-

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Israele ha il diritto di ispezionare le navi, perché Hamas le ha dichiarato guerra e quindi c’è il rischio concreto che possano trasportare armi

ti spesso manovrati e sfruttati dalle nazioni arabe. Ma il diritto della popolazione civile di ricevere aiuti umanitari non può essere negato. Questo però ci collega imemdiatamente al secondo punto: ovvero al diritto di Israele di ispezionare le navi che arrivano

nella Striscia di Gaza. Perché Hamas, lo ricordiamo, con Israele è in guerra e in passato più volte, sotto l’egida degli aiuti umanitari, si è dato vita a un vero e proprio trafficio di armi propedeutico a portare

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Israele deve garantire un uso proporzionato della forza ma, in caso di incidenti, non deve aver paura della verità perché rappresenta l’unica vera democrazia di quella regione

attacchi contro Israele. Un’offensiva che - è innegabile - è decisamente diminuita da quando vige l’embargo. Terzo punto: le ispezioni alle navi devono essere codificate dalla Comunità internazionale ma interamente gestite da Israele, che deve però garantire, in questo delicato compito di verifica, una professionalità militare e un uso proporzionale della sua forza.

Due qualità che - e questa è un’ulteriore verità che non può essere taciuta - nell’operazione Freedom Flotilla non si è vista. Perché se è vero che in mezzo a un cargo di medicinali si possono nascondere delle armi, è

altresì possibile che questo non sia. E come sottolineava mercoledì un editoriale di Hareetz, quotidiano israeliano, a proposito del blitz, «bisogna essere capaci di prendere una nave senza rischiare di affondare lo Stato». Insomma, queste posizioni che circolano ampiamente nell’opinione pubblica israeliana devono essere fatte proprie dalla Knesset, perché l’unica democrazia mediorientale non può avere paura della verità, visto che questa è la sua arma contro le menzogne e le bugie degli estremisti islamici. Di più: una democrazia, come quella israeliana, non ha niente da temere dalla verità. E proprio perché noi ci sentiamo amici - anzi di più, consideriamo gli ebrei, come ebbe a dire Papa Wojtyla, nostri fratelli maggiori - suggeria-

mo al governo di Israele, che forse senza Kadima si è un po’ spostato a destra, di assumere

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L’Unione europea deve riflettere sul no alla Turchia: di fatto, quella decisione ha spinto Ankara a formare un asse con Siria e Iran

di fronte alla comunità internazionale la posizione che la sua opinione pubblica gli suggerisce. Fermo restando la nostra

piena consapevolezza di un elemento cruciale: che quando Israele sbaglia - come nel caso del blitz - non è mossa dal desiderio di sterminare i palestinesi. Mentre è purtroppo vero che quando Hamas e alcune frange estremiste palestinesi attaccano Israele, l’obiettivo è uno solo: distruggerlo. Questa distinzione non può essere taciuta e rappresenta uno spartiacque che vale per tutta la politica internazionale in Medioriente e che ci conduce diritti diritti al quarto punto: la Turchia.

Il governo italiano, visti anche i rapporti di amicizia che ha il presidente del Consiglio con Erdogan, deve prendere una posizione chiara rispetto alle scelte di Istanbul. Non si può permettere che la propaganda turca arrivi a dire che il blitz alla Freedom Flotilla sia un altro 11 settembre. Questa è una posizione folle e fuorviante (la propaganda di cui sopra) che la comunità internazionale non può avallare. Dobbiamo però fare una considerazione e porci una domanda. È innegabile che la perdita di un rapporto amichevole fra Israele e il Paese della Mezzaluna si sia lentamente ma inesorabilmente deteriorato anche a causa dell’allontanemento della Turchia dall’Unione Europea. I continui tentennamenti di Bruxelles al di là di chi ha torto e chi ha ragione - hanno creato un paradosso e permesso ad Erdogan di gareggiare in farneticazioni con il presidente iraniano Ahmadinejad. Ma questo comportamento è anche figlio del continuo rifiuto dell’Europa di prendere in considerazione le opzioni che potevano portare la Turchia nell’orbita della Ue. Certo, è una questione assai complessa sotto diversi profili: morale, culturale e spirituale. Ma bisogna prestargli la giusta attenzione e non sottovalutarla o rinviarla all’infinto, perché è una questione che riguarda gli assetti geopolitici del mondo. Per quanto riguarda infine il quinto punto: non si può che condividere l’opera di prudenza mostrata dal Governo italiano in questa drammatica circostanza e il voto contrario espresso dal nostro Paese (as-


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4 giugno 2010 • pagina 3

Ankara interrompe i rapporti commerciali con Israele

Dalla Santa Sede sì all’inchiesta e no all’embargo di Pierre Chiartano Onu ha deliberato ieri per un’inchiesta internazionale che faccia luce su quanto accaduto, quando i commando israeliani hanno attaccato lunedì scorso un convoglio di navi diretti a Gaza, uccidendo nove persone. Anche da Oltretevere è intervenuto il Vaticano a sostegno di un’inchiesta indipendente e chiedendo la dell’embargo sulla Striscia di Gaza. fine Nell’Instrumentum laboris, il documento del prossimo Sinodo dei vescovi sul Medioriente che il Papa presenterà a Cipro, l’occupazione israeliana viene definita «un’ingiustizia politica imposta ai palestinesi». E il clima internazionale nel Mediterraneo si scalda ulteriormente. Il ministro degli Esteri Lieberman respinge la risoluzione Onu, perché non ha alcuna «autorità morale». Il presidente turco: «Tel Aviv ha commesso un errore di cui dovrà pentirtsi». I rapporti tra Turchia e Israele «non saranno mai più gli stessi, hanno subìto un danno irreparabile» ha aggiunto Abdullah Gul. E il premier Erdogan ha chiesto una «punizione» per Io Stato ebraico. «Psicologicamente per noi è come l’11 Settembre» ha commentato il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu ieri a Washington. Fra le nove vittime, otto erano cittadini turchi e uno era un americano di origine turca. Intanto Hamas ha bloccato l’ingresso degli aiuti della flottiglia. Mentre il ministro degli Esteri Frattini ha chiesto «chiarimenti su violenze denunciate». Trentadue nazioni al Palazzo di vetro hanno votato sì, solamente tre contrarie: Italia, Stati Uniti e Olanda. L’atteggiamento del governo italiano ha scatenato una polemica interna molto accesa. Intanto sono tornati cinque italiani arrestati durante il blitz. Nel corso di una informativa urgente alla Camera il sottosegretario agli EsteriVincenzo Scotti ha affermato ieri che l’operazione israeliana «appare viziata anche da errori operativi».

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sieme a Stati Uniti e Paesi Bassi) sull’avvio di un’inchiesta internazionale. Israele è un Paese sovrano e democratico che ha tutti gli strumenti

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Ha fatto bene il governo italiano a dire no all’inchiesta internazionale: Israele è in grado di garantire un’indagine corretta

per fare chiarezza sull’accaduto con rigore e obiettività. Metterlo sotto tutela sarebbe un errore gravissimo. Ne sono prova gli editoriali e i fondi degli intelletuali israeliani che hanno fortemente e durissimamente criticato l’operato del governo in questa circostanza. Frasi e posizioni nette che dimostrano, per l’ennesima volta, che Israele è l’unica vera democrazia mediorientale. In nessun altro Paese dell’area, infatti, in caso di errore del governo è possibile criticare aperamente il suo operato. La Comunità internazionale deve non solo esserne consapevole, ma alla luce di questo pretendere che Israele conduca, da sola, un’inchiesta rigorosa, obiettiva ed esaustiva, capace di accertare le responsabilità e gli errori commessi dai militari.

La Striscia di Gaza, sotto il controllo di Hamas, è diventata un campo di prigionia per un milione e mezzo di palestinesi. Ma lo ha voluto il mondo arabo

Nelle due foto piccole, momenti del blitz alla Freedom Flotilla. In alto: un miltante palestinese durante una manifestazione contro Israele. A destra, eloquente sventolio di bandiere contro Gerusalemme

Il voto contrario dell’Italia alla missione d’inchiesta internazionale dell’Onu è nato proprio da questa consapevolezza e dal fatto che nell’arco di poche ore l’indagine da indipendente era diventata internazionale, con il chiaro obiettivo di mettere sotto tutela uno Stato di diritto come Israele: un’ipotesi assolutamente peregrina e un precedente assai pericoloso per l’intera comunità internazionale. Fermo restando che se Israele non vuole tutte le volte ripartire daccapo, in un infinito gioco dell’oca, dovrebbe considerare le molteplici dimensioni della sua strategia e capire che la gestione dell’opinione pubblica internazionale, dei mass media e della diplomazia sono un fronte importante tanto quanto quello dello scontro militare. In una situazione così sfilacciata e instabile come quella mediorientale, certi errori dovrebbero essere scongiurati. Soprattutto perché dimostrano l’innalzamento del livello di tensione, anche in seno alle Forze Armate. Tutti noi abbiamo fatto male a sottovalutare e a considerare alla stregua di farneticazioni gli anatemi pronunciati da Ahmadinejad e il suo regime. E certamente faremmo male a sottovalutare gli errori che le forze che ad Ahmadinejad si oppongono potrebbero fare. Come è successo in questi giorni.

«Secondo la nostra ambasciata a Tel Aviv - ha dichiarato Scotti - sembra infatti che la pianificazione israeliana non ritenesse probabile l’eventualità di una restistenza attiva da parte delle persone a bordo». «Inoltre – ha proseguito – le unità speciali israeliane non sarebbero riuscite a penetrare sull’imbarcazione contemporaneamente dal cielo e dal mare, anzi la manovra con l’elicottero è stata interrotta e ripresa dopo diversi minuti. Di conseguenza alcuni militari sarebbero rimasti isolati a bordo e quindi sopraffatti dai presenti: uno è stato gettato in mare, altri colpiti con oggetti contundenti e con armi da fuoco sottratte ad uno o più commilitoni». «Il comando israeliano si sarebbe trovato quindi in uno scenario diverso le cui modalità operative non erano state evidentemente contemplate», ha concluso Scotti. «Tutta l’operazione sarebbe durata circa 30 minuti». Da Washington c’è chi butta acqua sul fuoco: il vice presidente americano Joe Biden ha difeso il diritto di Israele di ispezionare le navi dirette nella Striscia. «Si può discutere» sulle modalità con cui Israele ha compiuto l’operazione in mare, ha detto Biden in una intervista alla Pbs, «ma la verità – ha aggiunto – è che Israele ha diritto di sapere – sono in guerra con Hamas – se le armi vengono trasportate». Però un portavoce del Dipartimento di Stato Usa ha fatto sapere che Washington, nei giorni prima del blitz, aveva consigliato a Israele di tenere un atteggiamento prudente e moderato nei confronti della Freedom Flotilla. L’emissario della Casa Bianca in Medio Oriente, George Mitchell, ha intanto incontrato in Cisgiordania Abu Mazen, il presidente dell’Anp e ha garantito che gli Usa vogliono «lavorare con determinazione» affinché la popolazione della Striscia possa ricevere tutto il necessario.


l’approfondimento

pagina 4 • 4 giugno 2010

Dalla lettura dei giornali di Gerusalemme l’immagine di una realtà unica nel Medioriente

L’errore e la democrazia La stampa israeliana ha cominciato a criticare le teste di cuoio per il blitz di lunedì. È questa la vera forza di Israele, come di ogni Paese libero: la capacità di chiedersi se si è sbagliato. Perché Netanyahu ha paura di farlo? di Enrico Singer l traghetto turco Marmara come il mercantile Exodus, la nave con a bordo migliaia di ebrei scampati alla Shoah che fu respinta con la forza, nel 1947, dalla marina militare britannica mentre cercava di raggiungere la costa della Palestina, allora sotto il madato di Sua Maestà. Il paragone è forte, al limite della provocazione. Ma non è di qualche attivista filopalestinese. È comparso su Haaretz, uno dei tre grandi giornali israeliani, in un commento pubblicato con evidenza che ruota attorno a questo ragionamento: sul Marmara, naturalmente, non c’erano profughi, ma fanatici provocatori, eppure il raid di domenica notte potrebbe avere effetti controproducenti per chi lo ha organizzato, così come quello contro l’Exodus che accelerò la fine del mandato britannico sulla Palestina. Non è che un esempio. Tutta la stampa israeliana, da tre giorni non fa altro che interrogarsi su quanto è avvenuto. «Demenza totale» titola Maariv. «Dov’era il cervello» si

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domanda Yediot Ahronot. E lo stesso Haaretz scrive che «ci vuole una commissione d’inchiesta». Molti chiedono le dimissioni del ministro della Difesa, il laburista Ehud Barak. Altri ancora criticano il capo di stato maggiore, il generale Gaby Ashkenazi, uno dei militari che finora più ha goduto di ammirazione e rispetto. Certo, su una cosa sono tutti d’accordo: la missione della Freedom Flottilla era un’operazione che mirava proprio a scatenare l’incidente. Era una trappola. Che Israele non è riuscita ad evitare.

I video e le voci registrati durante l’incursione del commando che si è calato sulla nave, accolto con pugnali, spranghe ed anche a colpi di granata, lasciano pochi dubbi sulla trappola. Ma, allo stesso tempo, dimostrano che molte cose non sono andate come le teste di cuoio di Gerusalemme avevano previsto. «Hanno armi vere e ci sparano addosso», grida uno degli incursori via radio. «Abbiamo bisogno di

rinforzi». In pochi secondi, in poche parole concitate, è l’ammissione di un errore. E ieri lo stesso ministro degli Esteri, il “falco” Avigdor Lieberman, ha chiesto al premier Bibi Netanyahu di creare una commissione d’inchiesta. Israele ha respinto la risoluzione del Consiglio dei diritti umani dell’Onu che - con il voto contrario di Usa, Italia e Olanda aveva sollecitato l’altra notte l’istituzione di un’inchiesta internazionale, perché non ammette di essere posto sotto tutela, ma non teme alcuna indagine. Anzi, Lieberman ha detto: «Dobbiamo crearla noi la commissione d’inchiesta e deve essere aperta e trasparente». Per rispondere ai dubbi sollevati a livello internazionale. Ma, prima di tutto, per rispondere agli interrogativi che agitano la propria opinione pubblica. Quelli che la stampa israeliana ha rilanciato nelle sue analisi e quelli che s’intrecciano anche in rete, su internet. Una prova in più della profonda natura democratica

di un Paese che di fronte a un errore - o almeno a forti e motivati sospetti di un errore - è il primo a interrogarsi. L’errore e la democrazia, si potrebbe dire. In uno sfogo pubblicato da Yediot Ahronot anche un ministro, che parlava sotto anonimato, ha affermato che il piano di azione elaborato dalla Marina militare è stato presentato ai ministri mercoledì scorso, «quando ormai era già confezionato e sigillato». E che subito dopo Netanyahu è partito per una missione all’estero che avrebbe dovuto portarlo anche a Washington per l’incontro con Obama poi saltato.

C’è polemica anche nel governo, insomma. Secondo alcuni ministri, Netanyahu e Barak hanno gestito la crisi da soli, senza nemmeno convocare il Gabinetto di difesa che include i sette ministri principali dell’esecutivo. Uno di questi ministri ha detto di avere appreso soltanto dalla televisione dettagli importanti dell’operazione. «Se avessi saputo in anticipo la si-

tuazione, avrei fatto le mie osservazioni», ha aggiunto. E generale è lo stupore per l’inadeguatezza delle informazioni di intelligence in possesso dei vertici militari che hanno autorizzato il blitz. Essi ignoravano, precisa Yediot Ahronot, che sulla nave turca c’erano «decine di attivisti agguerriti e ben equipaggiati, pronti ad ingaggiare battaglia con i militari». Il disagio per il risultato del blitz è forte e, secondo un sondaggio dello stesso quotidiano, quasi la metà degli israeliani è convinta che sia necessaria un’inchiesta approfondita su quanto è successo. Un esempio dello stato d’animo di molti israeliani si ritrova anche su Facebook, dove un giovane,Youval Gazith scrive così: «Anche l’estrema destra concorda sul fatto che l’operazione è stata un fiasco completo d’immagine. Si poteva impedire alle navi di avvicinarsi alla costa, fermarle e poi scortarle in porto senza bisogno dell’intervento diretto dei soldati a bordo». Questo ragazzo elenca a modo suo i «falli-


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L’opinione controcorrente del vice presidente del Parlamento israeliano, Raleb Majadele

«Non abbiamo scelta, rimuoviamo l’assedio»

«La grande maggioranza dei palestinesi sostiene Fatah, non Hamas. E il blocco che abbiamo imposto non fa altro che generare violenza» di Jonathan Lis l deputato laburista Raleb Majadele è stato nominato vice presidente della Knesset sei settimane fa, in sostituzione di Yuli Tamir dopo che questa ha dato le dimissioni. In passato Majadele ha ricoperto la carica di Ministro della Scienza, della Tecnologia, della Cultura e dello Sport. È sposato, ha quattro figli e vive a Baka al-Garbiyeh. Onorevole Raleb Majadele, crede che Israele dovrebbe rimuovere l’assedio di Gaza? L’assedio deve essere rimosso. Il governo di Israele deve decidersi a condurre un saggio programma e rimuovere l’assedio su Gaza. Io mi chiedo se l’assedio abbia prodotto qualche risultato per il rilascio di Gilad Shalit, se l’assedio sia stato un danno solo per i membri di Hamas. La risposta è che l’assedio non ha prodotto alcun risultato, e danneggia Israele agli occhi della comunità internazionale. Comunque, Israele manda rifornimenti a Gaza ogni giorno. L’assedio è durato più di due anni. Ha prodotto qualcosa? Abbiamo solo favorito il rafforzamento di Hamas. Con molta probabilità gli verrà assegnato un premio Nobel [per la pace]. Presto ci verrà detto di parlare direttamente con Hamas. Un tempo si diceva ‘Quello che conta non è quello che pensa il goyim, piuttosto quello che fanno gli ebrei’. Ora sembra valere il contrario. Ma il suo partito rappresenta degli elementi basilari della coalizione. Le posizioni che sostiene sono in contrasto con le azioni del ministro della Difesa Ehud Barak, il presidente del suo partito. Io non lo capisco. Come ha fatto a cadere in quella trappola? Non capisco quali obiettivi vuole raggiungere. Immagini se – Dio ce ne guardi! – un elicottero fosse esploso in aria sopra la nave, ci sarebbero state centinaia di vittime. Esistono mezzi migliori e più creativi per arrestare la flottiglia. In questo caso, per-

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ché non si è unito alla flottiglia in protesta contro l’assedio, come hanno fatto altre personalità arabo-israeliane di spicco come l’onorevole Hanin Zoabi (Balad) e Sheikh Ra’ad Salah, capo del ramo settentrionale del Movimento Islamico? Non so leggere il pensiero di Ra’ad Salah e di Zoabi. Non so cosa li possa motivare. Con il dovuto rispetto, non è nel mio programma. Ognuno si sceglie il proprio. Il mio è di prendermi cura dei Palestinesi che sono cittadini di Israele, di fare in modo che le loro vite siano basate sul rispetto reciproco e sul dovere elementare di rispetto per la legge e per l’ordine pubblico. Questa è anche la mia risposta a coloro che ci chiedono lealtà. Un cittadino israeliano che obbedisce alla legge e all’ordine pubblico è autorizzato a vedersi riconoscere pieni diritti e al rispetto da parte dello stato. Un cittadino che sa rispettare le leggi del suo stato, adempie i suoi doveri e obbliga lo stato a rispettarlo Che cosa ha pensato della flottiglia? Sapevo che sarebbe finita male. Un assedio di un milione e mezzo di persone nuoce ai Palestinesi che non hanno fatto nulla di sbagliato. E nuoce non meno allo stato di Israele perché si tratta di una misura non democratica. La stragrande maggioranza di Palestinesi a Gaza sono sostenitori dell’Autorità Palestinese, di Fatah. Non sono sostenitori di Hamas. Partecipano agli sforzi di AP per ottenere un accordo di pace. Io so come avrei fermato la flottiglia (pausa). Avrei fatto suonare musica turca e araba e

avrei dato alla flottiglia un carattere di protesta. Si è sorpreso per l’intensità dell’odio e della rabbia espressi nella sessione del Knesset (di ieri), in cui ha partecipato Zoabi? Quanto è successo nel Knesset non va a vantaggio di nessuno. Perché Zoabi voleva esporre una dichiarazione personale? I titoli di tutti i giornali sono stati su di lei per tutta la settimana, non le era bastato? Non so come il mondo reagirà a queste immagini. Trovo che sia imbarazzante. La gente fa qualsiasi cosa per avere un titolo e una foto sui giornali. Su quali valori questi membri del Knesset alleveranno i propri figli? Cosa è successo? Forse (il Knesset) è un quartiere turbolento? Un mercato di strada? C’è un limite. Abbiamo toccato il minimo rispetto a 63 anni fa. Non si tratta di intolleranza? Quando (il deputato dell’Unione Nazionale) Prof. Aryeh Eldad generalizza sui commenti di un’intera minoranza, non è un comportamento fascista? Io disprezzo una persona così perché credo che non sia un essere umano. Se è così che parla un professore, cosa dovremmo dire di un analfabeta? Qual è la soluzione? Ogni volta che una persona così si accende e ottiene il clamore della stampa, questa torna e lo fa di nuovo. I media svolgono un ruolo fondamentale in questa situazione. Perché non ci sono discorsi accesi nei comitati del Knesset? Perché a questi non partecipa la stampa. Ci sono membri del Knesset che si svegliano ogni mattina per alzare polveroni pensando che questo garantisca loro voti elettorali e che vengano quindi eletti. Io mi sveglio ogni giorno e penso a cosa posso fare per aiutare i miei elettori, e solo dopo arrivano i titoli e i media. Non farò mai niente solo con lo scopo di conquistare i titoli. Sembra pessimista. Ci sono possibilità che la vedremo presto unirsi al governo? Non sono pessimista e non lo sono mai stato. Faremo ogni cosa per farli smettere prima che lo facciamo noi. La mia sensazione è ancora che Netanyahu ci sorprenderà, ma non posso diventare un ministro del governo. Assolutamente no. Come potrei convincere mia moglie e i miei figli di unirsi a un governo che non aspira a restringere le distanze e non aspira alla pace? Non si stanno tenendo nemmeno i colloqui di prossimità. © Haaretz

menti» del blitz: «Dov’era il Mossad? Non ci si imbarca in un’operazione del genere senza informazioni precise. I nostri soldati ne sono usciti picchiati e feriti. Nove persone sono state uccise, ma dai! E in un mondo che vive e respira in tempo reale, diffondere le immagini alla stampa con 22 ore di ritardo è un’eternità».

Da questo dibattito che rimbalza dai giornali, alla strada, a internet, esce ancora una volta la caparbia vitalità della democrazia in un Paese che, pure, è in perenne stato di tensione per le tante minacce che lo circondano. Dai razzi di Hamas e Hezbollah ai piani nucleari del regime fondamentalista di Teheran il cui presidente, Ahmadinejad, non perde occasione per proclamare che presto Israele sarà «cancellato dalle carte geografiche». Ed è difficile non notare quanta differenza c’è tra le critiche che, senza veli, sono apparse sui media israeliani e il coro di reazioni a senso unico che si poteva leggere ieri sulla grande stampa araba in generale. «Il massacro israeliano sciocca il mondo», ha scritto a tutta pagina il quotidiano giordano al Rai. «Il massacro israeliano colpisce la flottiglia della pace», ha titolato al Qabas del Kuwait, facendo a sua volta eco al quotidiano governativo siriano Tishrine il quale ha scritto che «il massacro mette la comunità internazionale davanti alle sue responsabilità». Per al Ittihad, degli Emirati Arabi, «Israele assassina la flottiglia della pace», mentre per al Watan, dell’Oman, «il crimine israeliano sciocca le coscienze del mondo». Il titolo del libanese an Nahar è «Israele affoga nel sangue dei turchi», mentre il giornale panarabo al Hayat scrive che «il crimine non deve restare impunito». Al Hayat, che è di proprietà saudita ed è diffuso in tutto il Medioriente, sostiene che «lasciare il killer a piede libero, espone la regione ad ulteriori fiumi di sangue». C’è da sperare che la previsione di al Hayat sia smentita. Che la verità, pur sovrastata finora dall’ipocrisia di tanti, riesca ad emergere e a stemperare le tensioni. Anche se la strada si annuncia ancora in salita come provano le bellicose dichiarazioni che arrivano dalla Turchia per bocca del presidente Gul e del premier Erdogan. E come dimostra la reazione di Hamas al primo gesto distensivo di Gerusalemme che voleva portare nella Striscia di Gaza almeno gli aiuti umanitari che erano a bordo delle navi della Freedom Flottilla. Il portavoce del gruppo fondamentalista palestinese, Ahmed al Kurd, ha detto che Hamas bloccherà gli aiuti fino a quando Israele non accetterà le condizioni del gruppo. Il muro contro muro continua.


diario

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Maggioranza. Dalla Consulta Giustizia del Pdl proposta di revisione per la norma che estende il divieto di ascolto ai processi in corso

Intercettazioni, si tratta a oltranza

Ma c’è già un successo per i finiani: previste eccezioni sul limite dei 75 giorni ROMA. Delle molte cose dette mercoledì pomeriggio al vertice di Palazzo Grazioli ce n’è una passata un po’ sotto silenzio. Certo, alla riunione tra Berlusconi e il gotha del partito – quello a lui più vicino – si è discusso soprattutto del ddl intercettazioni, di come eventualmente «limarlo» per venire incontro al cofondatore e delle colonne d’Ercole da non oltrepassare «per non svuotarlo del tutto», come dice il premier. Ma proprio il Cavaliere a un certo punto ha raccomandato a triumviri, capigruppo e ministri di prima fila di «lavorare sul territorio, far ripartire l’attività del partito, anche con eventi pubblici a livello locale per spiegare la manovra». Richiamo con cui il presidente del Consiglio ha evocato una delle sue principali preoccupazioni: ossia che la “macchina” possa progressivamente arrugginirsi, rallentare, fino a fermarsi del tutto. Ansia accentuata dal fatto che invece le controparti interne – la Lega da un lato, Fini e i suoi dall’altra – di politica ne macinano eccome, giorno dopo giorno: il Carroccio con un vero e capillare radicamento, l’ex capo di An con una rete di fedelissimi magari non stracarichi di consensi tra la gente ma molto ben organizzati e addestrati al confronto quotidiano. Emerge insomma una debolezza strutturale, confermata dal sostanziale successo della diplomazia finiana sul principale terreno di contesa con i berlusconiani, le intercettazioni, appunto. Niccolò Ghedini e Giulia Bongiorno mettono a punto un’intesa di massima che concede qualcosa alle istanze della “minoranza”, soprattutto sulla superabilità del limite dei 75 giorni almeno per alcune fattispecie, compresi i “reati-spia” collegati alla mafia, e sull’accantonamento della norma transitoria che applica i divieti anche ai procedimenti in corso. Un buon risultato, in cui la cosiddetta corrente del cofondatore svolge di fatto una funzione cuscinetto tra maggioranza e opposizione. «Non c’è nulla di strumentale nelle proposte che abbiamo presentato», spiega il finiano Benedetto Della Vedova, «si tratta casomai di un miglioramento della legge e di un arricchimento per il Pdl, in modo da rendere

zio per ulteriori aggiustamenti. Ma a quelli appunto provvedono Ghedini, che della Consulta Giustzia è coordinatore, e la presidente finiana della II commissione Giulia Bongiorno, attesi a lungo nel pomeriggio dagli altri componenti dell’organismo interno.

di Errico Novi

il ddl più difendibile e portarci consensi anziché critiche».

Ecco, è tutta qui la filosofia vincente dell’ala vicina a Fini: lavorare, emendare e dare a tutto una valenza da “apporto costruttivo”. Nella componente più ortodossa del Pdl berlusconiano non si intravede una simile capacità d’azione politica. Anche perché quel partitomacchina che il Cavaliere vorrebbe vedere di nuovo correre è ancora sotto botta per le disavventure di due uomini chiave come Claudio Scajola e Denis Verdini. Paga oltretutto i malumori del correntone ex An non schierato con Fini e fa un gran fatica a tenere il ritmo in una fase così calda, tra intercettazioni e manovra. A da-

re la misura del disarmo, tra i berlusconiani, basta il grande affanno organizzativo dei Promotori della libertà: martedì scorso Michela Vittoria Brambilla ha fatto partire una mail per gli aderenti, invitati ad allestire gazebo per il fine settimana, con tanto di opuscoli sulla manovra e questionari sull’immigrazione; ebbene, dalla periferia dell’impero sono arrivate risposte desolate e persino arrabbiate di militanti che non

ro», come si legge nella mail della Brambilla. Il tema è di quelli che vedrebbero senz’altro in minoranza il presidente della Camera, il fido Fabio Granata e la sua legge per accorciare i tempi di assimilazione degli immigrati. Ma il fatto stesso che Berlusconi debba rivolgersi a una organizzazione ancora fragile come quella dei Promotori per certificare un primato ideologico pure così scontato, dà chiaramente la

Ennesima prova della migliore organizzazione dell’ala vicina all’ex leader di An, utile al premier in vista della manovra. In affanno i “pretoriani” sanno nemmeno come stampare poster e volantini. «Abbiamo bisogno di mezzi», dicono. Quindi di soldi, sedi attrezzate, insomma di una normale rete da partito strutturato. Cose che esistono in forma sempre più disomogenea, nel Pdl.

Oltretutto l’invito della Brambilla contiene una implicita sfida ai finiani, con quel questionario su “Immigrazione, e integrazione cittadinanza”. Formulario messo a punto già da diverse settimane e utile a far emergere il «sentiment dei cittadini di tutta Italia e il loro pensie-

misura delle difficoltà registrate nel partito.

I pretoriani del Cavaliere tentano di compensare il deficit politico-strutturale con l’ortodossia ideologica. Prima che Ghedini e la Bongiorno illustrino gli aggiornamenti sulle intercettazioni alla riunione tardo pomeridiana della Consulta Giustizia del Pdl, Osvaldo Napoli alza i toni: «Nell’ufficio di presidenza di martedì ci sarà una votazione, la maggioranza vincerà e quella sarà la linea: se qualcuno non si attiene all’esito del voto è fuori dal partito». Certo, l’aver fissato la riunione del massimo organismo direttivo proprio martedì mattina alle 9, poche ore prima della ripresa dei lavori al Senato sul ddl, sa un po’ di implicita minaccia: o dentro o fuori, e nessuno spa-

C’è da riconsiderare la parte della legge che estende il divieto di intercettazione ai servizi segreti. In realtà l’emendamento presentato a Palazzo Madama corregge in senso migliorativo quella parte del testo: dopo la difesa d’ufficio del guardasigilli Alfano, lo ribadisce con molto fastidio il vicecapogruppo del Pdl Gaetano Quagliariello: «Basta sciacallaggio politico-mediatico, siamo venuti incontro alle richieste della Corte costituzionale». Riferimento alla pronuncia di Palazzo dei Marescialli sul caso Abu Omar. Sul punto le opposizioni non sembrano soddisfatte: non il Pd, che con Anna Finocchiaro chiede «una discussione separata e più approfondita su un tema così delicato», né l’Idv, con Luigi Li Gotti che nella norma continua a intravedere «la volontà di ostacolare le indagini sulle stragi del ’92-’93». Anche il finiano Granata batte sullo stesso tasto, per la verità, a conferma di una certa sintonia verificata negli ultimi tempi tra dipietristi ed ex An. Ma è un capitolo risolvibile, sul quale mediano, oltre alla Bongiorno, i diplomatici già individuati da Berlusconi tra le fila del cofondatore, Andrea Augello e Italo Bocchino. Sembra improbabile che il Pdl possa frantumarsi sulle intercettazioni. Anche perché a Berlusconi la cosa provocherebbe danni incalcolabili sul piano della popolarità. È vero che persino gli ex An non fedeli a Fini, come il ministro Matteoli, definiscono apertamente «strumentali» le obiezioni dell’ex capo. Ma le tensioni semplicemente rafforzano l’idea della confusione che attraversa l’ala ortodossa del partito. Tanto più che il presidente del Consiglio proprio non può fare a meno di un minimo di mediazione con i finiani in vista del Vietnam parlamentare sulla manovra, terreno sul quale il Cavaliere spera di riprendersi appieno la leadership dalle mani di Tremonti.


diario

4 giugno 2010 • pagina 7

È la prima tennista italiana a raggiungere questo risultato

La replica del ministro alle polemiche sulla Festa della Repubblica

La Schiavone nella leggenda: finale al Roland Garros

2 giugno, Maroni: «Sulla mia assenza un polverone»

ROMA. Risultato storico per il

ROMA. Nuove dichiarazioni e

tennis italiano: Francesca Schiavone da ieri è entrata nella leggenda. La giovane ventinovenne milanese è infatti arrivata in finale al Roland Garros dopo che la russa Elena Dementieva (moscovita, alta 180 centimetri e vincitrice di 16 titoli in carriera) si è ritirata nel corso della semifinale. La Schiavone aveva vinto il primo set al tie-break per 7-3, poi la russa è stata costretta ad abbandonare per problemi fisici. Dalle prime notizie filtrate dallo spogliatoio la russa potrebbe aver avuto un riacutizzarsi del problema al polpaccio sinistro che si trascinava sin dall’inizio del torneo.

commenti vanno ad aggiungersi nel già controverso “caso-2 giugno”. «È un polverone inesistente per riempire le pagine dei giornali» è stato infatti il giudizio, ieri, espresso dal ministro dell’Interno Roberto Maroni, che ha così replicato al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, sull’assenza sua e di altri ministri leghisti alle celebrazioni per la festa della Repubblica tenutesi mercoledì a Roma. «Sono almeno dieci anni che non vado nella Capitale, gli ultimi tre come ministro e anche i dieci precedenti ho sempre festeggiato la festa della Repubblica nella mia città,Varese», ha affermato Roberto Maroni. «Sono sorpreso

In finale, l’azzurra affronterà la vincente della sfida fra l’australiana Samantha Stosur (che ha eliminato in tre set due delle favorite per la vittoria finale: la belga Justine Henin e l’americana Serena Williams, numero uno del ranking mondiale e del tabellone di Parigi) e la serba Jelena Jankovic. Francesca Schiavone è la prima italiana di sempre nella finale di un torneo femminile dello Slam. Precedentemente, alla Schiavone erano arrivati i complimenti del presidente del Coni, Gianni Petrucci. «Al momento è storia, poi può essere

Fiat cresce in America (ma perde in Europa) Chrysler si aggancia alla ripresa del mercato Usa di Andrea Giuricin

ROMA. Fiat ha festeggiato ieri in Borsa l’aumento delle vendite della sua filiale americana Chrysler. La casa di Detroit, della quale la casa automobilistica guidata da Sergio Marchionne controlla il 20 per cento, ha registrato un incremento delle vendite nel mese di maggio del 33 per cento rispetto allo stesso mese dello scorso anno. In particolare il segmento delle automobili ha registrato un boom con una crescita dell’86 per cento. E su questo segmento Fiat ha deciso di puntare anche per portare alcuni modelli “italiani” sul mercato americano. Il mercato americano sta confermando una ripresa in atto dai primi mesi dell’anno, tanto che la crescita delle vendite da gennaio a maggio è stata del 17,2 per cento. Nel mese di maggio l’incremento è stato ancora maggiore ed è arrivato a sfiorare il 20 per cento. Da questi semplici dati, si può evidenziare che nell’ultimo mese Chrysler sia andata meglio del mercato. Di conseguenza la market share è arrivata al 9,5 per cento dall’8,5 per cento registrato nel mese di maggio del 2009, quando però la casa di Detroit non aveva alcuna fiducia da parte dei consumatori americani. È dunque tutto oro quello che luccica? Analizzando i dati d’inizio anno di Chrysler, la situazione sembra essere meno rosea di quanto presentata. Le vendite sono aumentate di circa l’8 per cento, ma la quota di mercato della casa automobilistica di Detroit è scesa nei primi cinque mesi del 2010 al 9,4 per cento, dal 10,2 per cento registrato solo un anno prima. Il dato di maggio, che vede una market share al 9,5 per cento è dunque di poco superiore alla media dei primi cinque mesi del 2010 e molto inferiore a quella del 2009. Il mercato dell’auto americano sta dunque rimbalzando e Chrysler sembra essere riuscita in parte a beneficiare di questo recupero. I dati a disposizione non sembrano tuttavia indicare un motivo di euforia, in quanto la terza casa automobilistica delle “Big Three” non si

sta comportando molto meglio del mercato: la strada è ancora lunga per vincere la sfida “americana”. L’aumento di capitale per salire oltre il 20 per cento dell’azionariato del produttore americano sarà molto probabile, in quanto attualmente mancano i miliardi di euro per crescere. Se dal lato americano dell’Atlantico le cose vanno bene, lo stesso non si può dire per il lato europeo. La crisi economica europea si sta prolungando più del previsto e i diversi Governi Europei hanno terminato di sussidiare le vendite di automobili. Per tale ragione il secondo semestre del 2010 potrebbe essere uno dei più difficili degli ultimi decenni, in termini di veicoli venduti. In Italia, la tendenza alla diminuzione delle vendite è già in atto dal mese di aprile, quando si registrò una contrazione di oltre il 15 per cento. Nel mese di maggio si è avuta un’ulteriore discesa nel numero di veicoli venduti pari al 14 per cento. La quota di mercato di Fiat in Europa sta scendendo e nel mese di Aprile ha perso oltre due punti percentuali rispetto allo stesso mese dello scorso anno. Inoltre nel mese di maggio la market share di Fiat in Italia è scesa sotto la soglia psicologica del 30 per cento.Tutti questi dati sono molto preoccupanti per il management e il fatto di essere riusciti ad entrare nel mercato americano con Chrysler ha sicuramente apportato il vantaggio di diversificazione del rischio.

Nel mese di maggio la market share in Italia del Lingotto è scesa sotto la soglia psicologica del 30 per cento

anche favola. Spero che i nostri complimenti non si fermino qua», ha detto. «È fantastico, ancora non riesco a rendermi conto di quello che ho fatto», è stato il primo commento di Francesca Schiavone, dopo il risultato di ieri. «È un’emozione enorme - ha aggiunto la tennista milanese, prima azzurra a raggiungere la finale in un torneo del grande slam - Ho scritto una pagina di storia per il mio Paese e per me». La tennista entrerà per la prima volta a far parte delle prime 10 giocatrici del mondo, come minimo nona, mentre Francesca Pennetta rientrerà in decima posizione grazie al raggiungimento del quarto turno a Parigi.

Il mercato europeo è in contrazione, mentre quello americano in espansione questo rende Fiat sempre più un’impresa globale e meno italiana. Una delle debolezze principali della casa torinese è stata quella di essere troppo concentrata sul mercato italiano. Se Fiat vuole rimanere competitiva nel mercato dell’automotive deve concludere la sua globalizzazione. Difficile da accettare, soprattutto per i sindacati, ma inevitabile. La limitata crescita di Chrysler non spiega l’euforia dei mercati per Fiat; la Borsa festeggia tuttavia una Fiat sempre meno italiana e sempre più globale.

dalla sorpresa», ha sottolineato il titolare dell’Interno.

Quanto all’assenza degli altri ministri leghisti, «non c’era neanche Giulio Tremonti, non c’era altra gente, è solo un polverone per riempire le pagine dei giornali», ha quindi ribadito Maroni. Insomma, il ministro chiude così le polemiche, sottolineando che comunque «mancavano altri esponenti del governo». Queste precisazioni sono arrivate ieri dal Lussemburgo, dove Maroni si trova per partecipare al Consiglio Affari interni dell’Unione europea, i cui lavori sono iniziati proprio ieri. Al vertice il ministro discuterà con i colleghi europei sull’azione europea per i minori di Paesi terzi non accompagnati, sui progressi in ambito Ue della gestione delle politiche d’asilo e dell’immigrazione oltre che del Sistema di informazione Schengen II. Al dibattito potrebbe aggiungersi anche la questione di eventuali profughi palestinesi che, in seguito alle vicende verificatesi all’inizio della settimana al largo di Gaza, potrebbero riversarsi a Cipro e nelle isole degli altri paesi Ue del Mediterraneo. «Parlerò di questo con il collega di Cipro» che ha lanciato l’allarme, ha affermato Maroni.


economia

pagina 8 • 4 giugno 2010

Riforme. La Commissione boccia il tentativo di Roma di spalmare su 8 anni la parificazione nel pubblico impiego. Scelta che si traduce in un mancato risparmio da 2 miliardi di euro

«Cambiate le pensioni!» L’Ue dà l’ultimatum al governo: «Equiparare i trattamenti» Mentre continuano le polemiche sulla manovra bis di Francesco Pacifico

ROMA. Prima il giallo una manovra bis suggerita dal Fondo monetario e poi smentiva. Quindi la richiesta formale da parte dell’Unione europea di equiparare già dal 2012 l’età pensionistica tra uomini e donne nel pubblico impiego. A tre giorni dall’avvio della discussione al Senato sulla Finanziaria da 24,9 miliardi di euro, i conti italiani sembrano mostrare un deficit di credibilità.

Se da Roma l’Anm ha annunciato una giornata di sciopero contro i tagli agli stipendi dei magistrati, da Bruxelles è arrivata una nuova sollecitazione all’Italia affinché adegui equipari le diverse età di pensionamento tra uomini e donne in vigore nel pubblico impiego. Situazione che secondo la Corte

l’esecutivo «risponderà in maniera collegiale e relazioneremo su questo al prossimo Consiglio dei ministri». Sembra di diversa idea Maurizio Sacconi. Il quale già lunedì prossimo incontrerà a Bruxelles la commissaria europea Viviane Reding per discutere di quella che il responsabile del Lavoro ha definito una «cortese contestazione». Dalla Cina, dove guida la missione governativa all’Expo di Shanghai, prima ha tranquillizzato che in manovra «non si prevede alcun anticipo per l’innalzamento dell’età pensionabile». Quindi ha sottolineato che l’obiettivo del governo resta quello di «ottenere una deroga». Di conseguenza in questa fase è prioritario capire «quanto vuole essere cogente

Renato Brunetta punta a un intervento definitivo già in finanziaria, Maurizio Sacconi spera in una proroga e per questo volerà a Bruxelles già lunedì prossimo. Sindacati sul piede di guerra di giustizia europea è «una palese violazione del principio della parità retributiva». Soprattutto la Ue – con una “lettera complementare di costituzione in mora” – biasima l’atteggiamento del governo italiano e il tentativo di aggirare la sentenza della corte con equiparazione a 65 anni da realizzare non prima di 8 anni.Dunque, si «persistere in un trattamento discriminatorio». Ma se la commissione non va oltre l’aspetto giuridico della vicenda, molti economisti in passato hanno calcolato che alzare l’età di ritiro delle donne comporterebbe un risparmio di almeno due miliardi. Non poco in una fase in cui il governo dimezza le finestre di uscita pensionistica per recuperare quasi 3 punti di Pil dal monte deficit. Se i sindacati fanno quadrato contro il warning, il governo conferma le sue divisioni sulla risposta da dare. Il ministro competente, il titolare del Pubblico impiego Renato Brunetta, fa sapere di voler approfittare del «veicolo della manovra per vedere come rispondere all’Ue e alla Corte di giustizia europea». In ogni caso, conclude,

questa richiesta e quanto rischia di tradursi in una procedura di infrazione».

Va da sé che l’equiparazione nel pubblico impiego finisce giocoforza per riaprire la discussione su una più generale riforma della previdenza, visto che in Italia si spende per le pensioni il doppio di quanto viene riservato alla sanità, finendo per lesinare risorse per l’inclusione nel mondo del lavoro delle categorie più deboli, donne in primis. La vicepresidente del Senato, la radicale Emma Bonino, una delle prime a porre il problema all’opinione pubblica, ieri spiegava che «l’equiparazione dell’età pensionabile nel pubblico impiego è una manovra che l’Europa ci chiede da tempo per ripristinare equità sociale e per evitare che con risarcimenti pelosi si perpetrino danni nei confronti delle don-

Berlusconi di lotta e di governo sulla strategia economica

Se il premier è contro se stesso di Enzo Carra erto, non sarà la cuoca di Lenin che avrebbe dovuto insegnare a dirigere lo Stato, ma questo Michele, sempre presente quando il soffio della storia gonfia le tende di Palazzo Grazioli, è un grande. Lo chef del cavaliere è uno dei nostri, pochi, veri punti di riferimento e martedì sera – secondo accreditati resoconti giornalistici – era nello studio del presidente del Consiglio. Per seguire Ballarò.

C

Non è dato sapere quale sia stata la sua reazione. Se abbia o no consigliato il cavaliere ad intervenire in trasmissione con una ruvida telefonata. Di

sicuro, il cuoco e il cavaliere erano soli soletti a godersi, si fa per dire, le facce che fa Floris e quelle che fa Tremonti. Michele e Berlusconi si saranno guardati negli occhi, scrutando le rispettive reazioni, quando il vicedirettore di Repubblica andava giù pesante contro il presidente del Consiglio, sostenitore dell’evasione fiscale che il suo governo vuol combattere. Prima di chiamare la Rai, il Cavaliere avrà avuto bisogno di un incoraggiamento? O, semplicemente, avrà ordinato una tazza di camomilla avendo già afferrato l’apparecchio per entrare in picchiata nello studio di Floris? Chi può dirlo?

Delle due dramatis personae alla fine una sola, ed è giusto che sia così, appare sul nostro proscenio. Teniamo a mente, però, Michele: ieri il cavaliere ci ha comunicato che lui non ha altro potere se non quello, delegato a Letta, di «stabilire l’ordine del giorno». Ecco, domani potremmo scoprire che è proprio lui, il cuoco, a governarci. Con tanti saluti a Lenin. Quanto a Tremonti, c’è da dire che il cavaliere ha sbagliato se il suo intervento a Ballarò era dovuto al fatto che il ministro dell’economia stava zitto e non difendeva il “primo contribuente d’Italia”dalle accuse di Repubblica. Ci saremmo attesi ben altro rimprovero del cavaliere al professore. Diceva Visentini (un ministro coi fiocchi!) che il miglior titolare delle Finanze è quello che non si vede. Il professore, invece, si vede e si sente molto. Forse troppo. Di questo dovrebbero preoccuparsi il cavaliere e il cuoco.

ne che non hanno alcun vantaggio da una uscita anticipata dal mercato del lavoro».

Il riferimento è al falso vantaggio «di dover continuare a fare le funambole per ovviare a servizi di assistenza e cura totalmente insufficienti e per giunta avere, per via di una norma anacronistica, qualcosa che sancisce di diritto una discriminazione pecuniaria tra uomini e donne, visto che a meno anni di contributi equivale infatti a una pensione inferiore rispetto a quella degli uomini, quando non pensioni misere». Al riguardo è utile una ricerca presentata ieri a Roma dalla Microsoft, dalla rivista Wired e dalla fondazione Cotec. E dalla quale si evince che se gli italiani sono concordi nel dire che l’innovazione tecnologica è stata fondamentale nel cambiare in meglio la vita delle donne rispetto alle loro madri, il 40 per cento del campione teme che l’attuale crisi «possa peggiorare la condizione femminile». L’amministratore delegato di Microsoft Italia Pietro Scott Jovane – la cui azienda sta portando avanti da due anni un progetto di alfabetizzazione in rosa, “futuro@lfemminile” – consiglia di non prendere sotto gamba questo dato. «Perché una vita migliore per tante donne, anche sul piano professionale, assicurerà una società migliore per tutti e ambienti di lavoro più efficaci». Intanto fa discutere ancora la manovra da 24,9 miliardi di euro che Silvio Berlusconi vorrebbe più votata allo sviluppo e che Giulio Tremonti potrebbe fare fatica a difendere nel pas-


economia

4 giugno 2010 • pagina 9

L’Udc ha incontrato ieri Rete Impresa Italia, Cisl e Confagricoltura

Un confronto per rendere la manovra più equa

Sangalli: «Sostenere le piccole e medie imprese, a cominciare dal rinnovo della moratoria dei debiti contratti con le banche» di Franco Insardà

saggio alle Camere. Ieri il Fondo monetario internazionale, attraverso il responsabile delle relazioni esterne David Hawley, ha ribadito di aver «dato il benvenuto alle nuove misure». Parole che vanno lette come l’ennesima precisazione dopo che mercoledì sera l’organismo di Washington aveva diffuso il rapporto conclusivo della missione di ricognizione annuale, redatto però quando non era ancora chiaro da cosa fosse composta la manovra per il biennio 2011-2012.

Quel testo però è centrato sul timore che l’intervento da 24,9 miliardi, senza una crescita sufficiente del Pil italiano, non

In alto, i ministri Giulio Tremonti e Renato Brunetta. A destra, il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini. In basso a sinistra, il premier Silvio Berlusconi esportazioni, l’impresa non avrebbe avuto la benzina necessaria per gli investimenti in ricerca e capitale umano. Al riguarda osserva l’economista Luigi Paganetto: «Nella relazione del governatore della Banca d’Italia c’è un riferimento molto chiaro al fatto che bisognerà valutare come applicare questa manovra. I contorni non sono ancora del tutto chiari e di conseguenza anche le stime sul recupero dall’evasio-

I magistrati annunciano uno sciopero generale per i tagli agli stipendi. Nota l’economista Paganetto: «Sono emblematiche le lamentele degli investitori su un basso dinamismo dell’Europa» avrebbe sortito effetti sui nostri conti pubblici. Smentita o meno questa previsione, la stessa analisi è stata espressa con termini meno diretti da Confindustria e da Bankitalia. All’ultima assemblea generale di viale dell’Astronomia la presidente Emma Marcegaglia ha in diversi passaggi rilevato che il Belpaese ha bisogna di un’ulteriore stretta per ripartire. Soprattutto se la risposta dei mercati agli interventi europei continuerà a essere tiepida. Lunedì scorso, leggendo le sue ultime considerazioni, Mario Draghi aveva sottolineato il carattere depressivo della manovra, aggiungendo che senza una ripresa più massiccia delle

ne fiscale potranno essere credibili soltanto quando conosceremo le grandezze sulle quali si giustificano».

Ma non è solo un problema di trasparenza. L’ex presidente dell’Enea nota che «siccome è prioritario capire se queste misure funzioneranno, non si può non guardare agli avvenimenti che si susseguono a livello internazionale e l’atteggiamento degli investitori, che lamentano un’insufficiente dinamismo dell’Europa. Il problema non se la crescita sarà dello 0,8 o dell’1,5 per cento, ma capire se queste performance riescono a sovvenzionare un welfare molto capillare come quello del Vecchio Continente».

ROMA. Pie Ferdinando Casini aveva tracciato qualche giorno fa la road map del suo partito sulla manovra: «Noi faremo tre cose: esamineremo la manovra, avvieremo contatti molto stretti con le parti sociali e poi decideremo come votare in Parlamento. A scatola chiusa non si può votare nulla, ma dietro l’angolo c’è la Grecia e quindi non si può scherzare». Detto fatto. Ieri è partito il giro di consultazioni con i sindacati e i rappresentanti delle categorie produttive nel Salone “Alcide De Gasperi” del gruppo parlamentare dell’Udc a Montecitorio. Il primo incontro si è svolto tra i deputati e i senatori centristi e la delegazione di Rete Imprese Italia, guidata dal presidente di turno del rassemblement delle partite Iva Carlo Sangalli. «Sostenere l’attività delle piccole e medie imprese, a cominciare dal rinnovo della moratoria dei debiti contratti con le banche che scade a fine giugno» questa la richiesta che il presidente di Confcommercio ha girato all’Udc.

infine, della Confagricoltura con il presidente Federico Vecchioni. Al termine degli incontri il segretario Cesa e i deputati Michele Vietti e Gian Luca Galletti hanno espresso l’augurio che la maggioranza sia disponibile ad accogliere gli emendamenti che l’Udc sta approntando soprattutto per rendere la manovra più equa e a misura di famiglia. Galletti dice a liberal: «Abbiamo colto dalle associazioni un giudizio positivo su alcune parti della manovra e negativo su altri che è in linea con le nostre posizioni. Il taglio dei costi alla politica e lotta all’evasione e la mancanza di riforme. Tutte considerazioni che faranno parte dei nostri emendamenti. Le associazioni hanno apprezzato il nostro modo di procedere e di affrontare responsabilmente le questioni che in questo momento sono sul tappeto».

Pier Ferdinando Casini: «Chiederemo al governo di introdurre subito un credito di imposta per le aziende che assumono giovani sotto i 30 anni»

Al segretario Lorenzo Cesa, al capogruppo alla Camera Pier Ferdinando Casini e al presidente del partito Rocco Buttiglione, il presidente Sangalli ha ricordato che «è necessaria una politica a favore di quella economia dei servizi che oggi concorre per il 56 per cento alla formazione del Pil. Economia dei servizi che dovrà, in un prossimo futuro, riassorbire la disoccupazione e creare nuovi posti di lavoro».Secondo Sangalli «ci sono certamente dei segnali di ripresa dell’economia, ma sono timidi e discontinui. Il rigore nella gestione dei conti pubblici e la fermezza nel contrastare elusione e evasione fiscale, sono essenziali per accelerare e irrobustire questi segnali. Sono due presupposti strutturali per arrivare quanto prima alla riforma fiscale che, incrociandosi con il federalismo fiscale, consenta di ridurre le tasse sulle imprese e sul lavoro. Ma a parere di Sangalli è anche indispensabile pensare a misure immediate «a favore delle piccole e medie imprese e dell’impresa diffusa, sulla scorta degli orientamenti europei, come la Small business act, che consentano a questa realtà di poter crescere. Serve anche una politica dei servizi fondata sulla leva dell’innovazione e del turismo che è il vero petrolio italiano». Sangalli ha anche sollecitato la necessità di «accelerare i pagamenti da parte della pubblica amministrazione». Dopo l’incontro con la delegazione di Rete Imprese Italia è stata la volta della Cisl, guidata dal segretario generale Raffaele Bonanni e,

Il tentativo è quello di trovare una condivisione con tutte le forze appellandosi ad un senso di responsabilità nazionale che come ha ricordato lo stesso Casini in occasione del discorso di Emma Marcegaglia all’Assemblea generale di Confindustria: «È un appello che sto facendo da tempo, per cui direi che sono d’accordo. È lo spirito giusto perché siamo sulla stessa barca, tutti assieme». E sempre Casini commentò la relazione annuale del governatore di Bankitalia: «Siamo in sintonia totale con Draghi che ha detto tre cose per noi essenziali: primo che la manovra economica del governo era inevitabile; secondo che la lotta contro la corruzione e l’evasione fiscale devono essere prioritarie per il nostro Paese; terzo che è necessario ora varare delle riforme strutturali perché senza interventi profondi il nostro Paese non ha futuro». E su queste direttrici l’Udc procede il suo lavoro preparando gli emendamenti alla manovra di Tremonti. Casini al termine del pomeriggio di incontri con le forze sociali ha detto: «La manovra economica è inevitabile. Noi vogliamo migliorarla proponendo al governo di far fronte alla vera emergenza, quella della disoccupazione giovanile al 30 per cento. Chiederemo al governo di introdurre subito un credito di imposta per le aziende che assumono giovani sotto i 30 anni. L’altro impegno è garantire le famiglie che rischiano di pagare attraverso tagli pesanti i minori trasferimenti di risorse alle regioni. Abbiamo un atteggiamento costruttivo e disponibile, ma vogliamo che nella manovra ci siano anche misure strutturali».


panorama

pagina 10 • 4 giugno 2010

ragioni&torti di Giancristiano Desiderio

Si può salvare Saviano dai fanatici di Saviano? Una volta Marx, che aveva già capito come sarebbe andata a finire, disse: «Non sono mai stato marxista». La stessa cosa, fatte le dovute differenze, dovrebbe dire anche Roberto Saviano: «Non sono mai stato savianista». Non c’è dubbio: Gomorra ha grandi meriti. Ma ci sono dubbi sul fanatismo nato intorno a Gomorra? Pier Luigi Battista ieri sul Corriere difendendo Saviano da alcune critiche ha scritto che gli italiani son fatti così: prima osannano qualcuno e poi lo buttano giù. È vero, ma non è tutta la verità. Bisogna distinguere tra Saviano e il savianismo. La critica sociologica e letteraria di Gomorra può essere vista con questa valenza: come salvare Saviano dai fanatici di Saviano? Infatti, i savianisti sono coloro che credono che la lotta alla camorra e al crimine organizzato passi solo ed esclusivamente attraverso Gomorra. Nasce così un fenomeno che possiamo definire “estetizzazione della lotta alla camorra”. Un fenomeno pericoloso perché ha un effetto opposto rispetto a quello che vorrebbe avere. Presentando il libro Solo per giustizia rivolsi al magistrato Raffaele Cantone questa domanda: «Saviano ha grandi meriti, ma nel fenomeno mediatico di Gomorra non c’è anche il concreto rischio di una estetizzazione della lotta alla camorra?». Il magistrato rispose con diplomazia, ma ammise che a volte si pensa di combattere la camorra mettendo Gomorra sul comodino. Quanto ha contribuito lo stesso Saviano a creare fanatismo? In Saviano c’è la tendenza a dividere il mondo in buoni e cattivi. Non solo in fatti di camorra. Un esempio. Per definire il proprio lavoro letterario Saviano ama ripetere una frase dello scrittore Celine sulla letteratura: «Chiesero al vecchio Celine: quanti modi ci sono di fare letteratura? Rispose: Ce ne sono solo due: fare letteratura e costruire spilli per inculare le mosche. Io - dice Saviano - non inculo le mosche».

La frase fa un certo effetto e chi la ascolta è portato a identificare la letteratura buona con Gomorra e la letteratura cattiva con tutto ciò che non è Gomorra. Tuttavia, è evidente che la estremizzazione dell’autore di Viaggio al termine della notte sta bene sulle sue labbra e nel contesto della sua opera, ma non è per nulla un buon criterio per demarcare ciò che è letteratura e ciò che è “spillo”altrimenti nella seconda “categoria” ricadrebbero i tre quarti della letteratura antica e moderna. Bisogna pur riconoscere, però, che gran parte del fanatismo savianista non è attribuibile a Saviano. E a chi, allora? A giornali, radio, televisione, cinema, web, pubblicità. Oggi il giornalismo è visto come “comunicazione” e si ritiene che la sua funzione sia tanto più democratica quanto più “comunica”. Ma è solo una parvenza di democrazia, tanto che chi non si ritrova nella comunicazione giusta è “scomunicato”. Qui il “caso Saviano”è esemplare: il giornalismo è accusato di essere contro Saviano proprio quando con Saviano esercita la critica e la conoscenza invece di fare “spilli per inculare le mosche”.

E adesso Di Pietro parla come Berlusconi L’ex Pubblico ministero accusa: rivelazioni a orologeria di Riccardo Paradisi ricostruire con maggiore puntiglio il pasticcio politico-edilizio in cui ora sembra invischiato anche Antonio di Pietro è il sito dei dissidenti dell’Italia dei Valori raccolti intorno a Alberico Giostra, il più prolifico accusatore dell’ex Pm di Mani Pulite e autore de Il tribuno, documentatissimo libro, edito da Castelvecchi, dove il leader dell’Idv viene descritto come «un moderno trasformista di idee conservatrici, insofferente verso ogni patto e alleanza». Un uomo che parla alle viscere degli italiani «ossessionati da Berlusconi e dalla Casta, ma che della Casta non rinuncia ai privilegi».

A

Giostra dà la sua versione della faccenda immobiliare in cui Di Pietro è stato chiamato in causa: «Silvana Mura (già tesoriera dell’Idv) a Roma abita in un appartamento in affitto in via delle Quattro Fontane. L’immobile è di proprietà di Propaganda Fide, la potente congregazione vaticana al centro di una bufera giudiziaria e mediatica in seguito all’inchiesta sugli appalti del G8 e dei grandi eventi». La parlamentare dipietrista alloggia nell’immobile dall’autunno del 2006, «in quel periodo il responsabile della gestione degli immobili della congregazione è Angelo Balducci, attualmente in carcere, dominus della Cricca che si spartiva la ricca torta degli affari che ruotavano attorno alla Protezione civile. A trovare l’appartamento è stato il senatore Idv, Stefano Pedica, che sostiene di esserci riuscito grazie all’intervento di un suo zio, alto prelato vaticano. Una versione confermata dalla stessa Mura. D’altra parte anche Pedica, fino al 2007 ha abitato in affitto, un altro alloggio della Propaganda Fide, nel quartiere Prati a Roma. Inizialmente la casa di via delle Quattro Fontane era destinata alla figlia di Antonio Di Pietro, appena diventato ministro delle Infrastrutture del governo Prodi, ma poi la ragazza ha deciso di iscriversi alla Bocconi di Milano e allora è subentrata Silvana Mura, la quale dice di non sapere che dal 2004 e fino al 10 marzo scorso a gestire gli immobili di Propaganda Fide sia stato Angelo Balducci. In quell’estate in cui l’immobile di via delle Quattro Fontane è entrato nelle disponibilità dei parlamentari Idv, l’allora presidente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, Balducci, non fu confer-

mato nell’incarico (che è cosa diversa dall’essere rimosso) e il 31 agosto 2006 fu nominato dal Consiglio dei ministri a capo del Dipartimento per le infrastrutture statali, l’edilizia e la regolazione dei lavori pubblici del ministero delle Infrastrutture. Si è scritto che il ministro Di Pietro avrebbe favorito un suo demansionamento perché da un incarico in cui gestiva somme enormi di denaro è passato ad uno privo di portafogli, ma non è vero: il Consiglio Superiore non gestisce ma svolge attività consultiva e il Dipartimento delle Infrastrutture viceversa gestisce molto denaro. D’altra parte Di Pietro ha dichiarato: «Io non avevo nulla contro Balducci». A questo punto però, dopo il caso Pedica e il caso Mura, è lecito chiedersi: Balducci ha avuto un ruolo nell’assegnare quest’appartamento destinato inizialmente alla famiglia Di Pietro?». Una ricostruzione quella di Giostra che sostanzialmente coincide con quella di Angelo Zampolini, il braccio operativo di Anemone, l’uomo che ha coinvolto nelle indagini l’ex ministro Scajola: «Io so che Balducci gli fece avere in affitto due case di proprietà della Propaganda Fide». Poi aggiunge: «Mi risulta che Di Pietro chiese anche un’altra abitazione, era per la figlia. Si trova in via Quattro Fontane e ricordo che Anemone mi disse che stavano facendo dei lavori di ristrutturazione per il ministro. Fu proprio Zampolini a firmare le Dia, le dichiarazione di inizio lavori». Ora, cosa provano queste ricostruzioni? Niente per ora.

Il leader dell’Italia dei valori, insieme con altri esponenti del partito, è stato tirato in ballo da Zampolini per una casa a Roma

Assolutamente niente. Rivelano però un paio di cose intanto. La prima è che Di Pietro, quando si trova mediaticamente con le spalle al muro, usa lo stesso linguaggio abusato da esponenti della maggioranza quando si trovano nelle stesse circostanze (leggi Berlusconi): «Opera di delegittimazione», «rivelazioni ad orologeria e pilotate». La seconda riguarda la natura bilama del giustizialismo che ferisce chiunque l’impugna. A riassumere bene i termini della questione è l’esponente dell’Udc Enzo Carra, che in passato ha avuto modo di conoscere bene Di Pietro. «Il campione del giustizialismo prova sulla sua pelle quanto sia penoso esser tirato in ballo da testimoni in situazioni scabrose e quanto sia difficile difendersi da accuse del genere. È arduo ergersi a coscienza morale del Paese».


panorama

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Valentina Aprea, relatrice di maggioranza, fa una serie di rilievi sostanziali al testo elaborato dalla Gelmini

Sfida nel Pdl sul maestro unico Il regolamento per la formazione di fatto sconfessa gli insegnanti “tuttologi” di Giulia Stella

ROMA. Sì alla nuova formazione degli insegnanti. Il primo via libera (parere obbligatorio, ma non vincolante) è arrivato alla Camera, in commissione Istruzione, quella presieduta dalla Pdl Valentina Aprea, berlusconiana di ferro. Ma non sono mancate critiche al testo prodotto dai tecnici del ministro Gelmini. Il relatore, la stessa Aprea, che di scuola ne sa eccome (è stata sottosegretario della Moratti, ma anche preside per diversi anni), ha posto oltre venti condizioni nel suo parere finale su cui, comunque, ci sarebbe il sostanziale accordo con il ministero, almeno su alcuni punti. Per la relatrice innanzitutto «è necessario indicare esplicitamente nel regolamento l’anno accademico a partire dal quale troveranno applicazione le nuove disposizioni, eventualmente differenziando le diverse situazioni». In poche parole dalla Camera è arrivata la richiesta di una maggiore chiarezza su quando apriranno i nuovi corsi di laurea necessari per diventare insegnanti. Secondo quanto emerge dal ministero, non si partirà prima del 2011/2012, anche perché le università stanno già consegnando l’offerta formativa per il prossimo anno accademico. Insomma, per aprire i corsi a settembre, ormai è tardi. Mentre sembra che il prossimo autunno potrebbero già essere messi in campo i tirocini

formativi attivi, la nuova modalità utile per abilitarsi all’insegnamento che saranno obbligatori per tutti coloro che vorranno diventare docenti. I primi tirocini, però non saranno dedicati alle matricole dei nuovi corsi di laurea, ma saranno l’ultimo treno per l’abilitazione (fino all’anno 2012/2013) offerto a coloro che già insegnano ma senza questo titolo (servono 360 giorni certificati di cattedra) o a quanti, ad esempio, hanno fatto la Ssis (la vecchia

scuola che formava i docenti delle superiori) ma non l’hanno completata. L’accesso ai tirocini, comunque, sarà condizionato come prevede il regolamento sulla formazione: bisognerà superare un apposito test nazionale.

Tornando alle condizioni, la relatrice del testo Gelmini ha chiesto anche di valutare l’attivazione di percorsi formativi distinti per lavorare nella scuola dell’infanzia e in quella primaria. Insomma, di non mettere in un unico calderone chi vuole insegnare ai più piccoli e chi agli alunni delle elementari. Ferma restando la possibilità per gli aspiranti maestri di conseguire la doppia abilitazione. Ma su questo punto Viale Trastevere non sembra intenzionato a cedere. Quanto alla formazione dei docenti della primaria, Aprea, fra le righe, sembra schierarsi contro il profilo del maestro unico voluto dal duo Gelmini-Tremonti. La deputata si raccomanda, infatti, di prevedere, per questi insegnanti, «la possibilità di acquisire, con un lavoro di approfondimento, la preparazione in una specifica area disciplinare, al fine di delineare un profilo di docente esperto in un’area disciplinare, ma in possesso al contempo di una formazione pluridisciplinare». Insomma, niente tuttologi, i maestri debbono potersi specializzare in una determinata

Si allungano i tempi per l’abilitazione. Ma ci sono ancora 220mila aspiranti da regolarizzare

area, quella umanistica o quella scientifica. Non sia mai che un domani lo Stato ci ripensi sul maestro unico prevalente... Il regolamento dovrà avere un parere analogo anche dal Senato. Poi il Consiglio di Stato, infine l’emanazione con i dovuti correttivi.

Nel frattempo resta l’incognita concorsi: la Finanziaria del 2008 indicava la necessità di rimodulare la formazione ma di procedere, al contempo, anche all’assunzione di docenti attraverso nuovi concorsi a cadenza biennale in attesa dei nuovi laureati. Ferme restando, comunque, le graduatorie. Poiché in queste ultime ci sono 220.000 aspiranti e lo Stato sta immettendo in ruolo una media di 8-10.000 docenti all’anno, i nuovi concorsi sembrano una chimera. E forse lo saranno anche per coloro che cominceranno i nuovi percorsi di laurea previsti dalla riforma del reclutamento. Le regole della Gelmini per diventare insegnanti, infatti, stabiliscono che per insegnare nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria occorrono la laurea magistrale quinquennale e un tirocinio di 600 ore. Per insegnare nella scuola secondaria di I e II grado, invece, serve la laurea magistrale (biennale) e un anno di tirocinio formativo attivo. Insomma per avere i nuovi laureati ci vorranno dai tre ai sei anni. Nel frattempo le graduatorie non saranno state esaurite.

Allarme. La commissione Grandi Rischi sottovalutò il pericolo del terremoto: sette indagati

L’Aquila, protezione (civile) mancata di Gualtiero Lami

L’AQUILA. «Non si tratta di un mancato allarme, l’allarme era gia’venuto dalle scosse di terremoto. Si tratta del mancato avviso che bisognava andarsene dalle case»: con questa motivazione, sono indagati sette componenti della Commissione Grandi rischi nel filone d’inchiesta sulle risultanze della riunione del 31 marzo 2009 all’Aquila, cinque giorni prima del sisma. Le indagini chiuse nelle settimane scorse dagli agenti della sezione di polizia giudiziaria della Procura della Repubblica dell’Aquila e dalla Squadra Mobile diretta da Salvatore Gava, sono finalizzate a chiarire se gli esperti e i rappresentanti della protezione civile abbiano fornito alla popolazione elementi troppo rassicuranti in rapporto allo sciame. Il filone - l’accusa per tutti è omicidio colposo - è stato aperto dopo la denuncia presentata da una trentina di cittadini secondo i quali la riunione della commissione Grandi Rischi fatta all’Aquila a cinque giorni dal tragico sisma aveva diffuso ottimismo e false rassicurazioni ai cittadini anche attraverso i messaggi di tecnici ed amministratori. Il fascicolo in mano ai magistrati aquilani, titolari dell’inchiesta è molto voluminoso e

raccoglie non solo studi di settore in materia di prevenzione dei terremoti ma anche le interviste rilasciate da politici e appartenenti alla Protezione civile subito dopo la chiusura della riunione.

«Si tratta di un filone molto importante – ha commentato il procuratore capo Alfredo Ros-

all’università Roma Tre), Bernardo De Bernardinis (vie capo settore tecnico operativo del dipartimento nazionale di Protezione civile), Enzo Boschi (presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e ordinario di fisica terrestre presso l’università di Bologna), Giulio Selvaggi (direttore del centro nazionale terremoti), Gian Michele Calvi (direttore della fondazione Eucentre), Claudio Eva (ordinario di fisica terrestre presso l’università di Genova) e Mauro Dolce (direttore dell’ufficio Rischio sismico del dipartimento di Protezione civile e ordinario di tecnica delle costruzioni presso l’università Federico II di Napoli).

Nell’inchiesta finiscono funzionari ed esperti. Fra loro anche Franco Barberi e Bernardo De Bernardinis: «Non diedero l’avviso di abbandonare le case» sini – che è stato portato a conclusione in maniera che gli indagati possano portare avanti le loro difese con serenità e con tutto il tempo necessario. Speriamo di arrivare ad un risultato conforme a quello che la gente si aspetta. Questo è un lavoro serio». Gli indagati sono Franco Barberi (presidente vicario della commissione nazionale per la prevenzione e previsione dei grandi rischi e ordinario di vulcanologia


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In una Vienna barocca e inquietante, che sembra anticipare quella di Freud e Wit

n una mitica, barocca e inquietante Vienna, che sembra per tanti versi anticipare quella di Freud, Hofmannsthal e Wittgenstein, si ambienta una delle più straordinarie ma diremo anche istruttive commedie di Shakespeare. Certamente siamo in presenza di una dark comedy, ovvero problem play; tuttavia la presa sul pubblico, e anche sul lettore, è ormai più che assicurata; e nel XX secolo Misura per misura è divenuta un “cavallo di battaglia” non tanto per gli attori, che peraltro ne sono molto attratti, quanto ancor più per i registi. E dobbiamo segnalare come nel nostro paese questo testo sia stato prediletto nel tempo almeno da tre di loro, che lo hanno messo in scena ben due volte: Luigi Squarzina, poi Luca Ronconi e Gabriele Lavia. E se scriviamo “istruttivo”è perché siamo convinti come, in questa commedia della maturità,

I

Il testo è un “cavallo di battaglia” non tanto per gli attori, che pure ne sono molto attratti, quanto per i registi. Luigi Squarzina, Luca Ronconi e Gabriele Lavia lo hanno messo in scena due volte il Bardo avanzi un suo messaggio che si può e si deve definire eminentemente politico. Non che Shakespeare non abbia già toccato la politica attraverso il suo teatro: l’ha sempre fatto, fin dalle prime tragedie, e con Giulio Cesare ha raggiunto uno degli apici della drammaturgia politica di ogni tempo. Ma mentre in quasi tutti gli altri testi assistiamo ad una denuncia che alla fine rimane super partes, nel caso in questione siamo tenuti a ipotizzare un“teatro politico”di Shakespeare che si risolva in una vera e propria proposta di dialettica democratica.

Tanto più ci preme evidenziarlo proprio in questo momento particolare della politica italiana e internazionale. La nostra interpretazione è semplice, e fa riferimento diretto al titolo: Misura per misura; è questa la commedia del moderati-

Quel moderato smo shakespeariano, il testo nel quale il Bardo propone e realizza una vera e propria politica moderata. Ma è strano che, nonostante le suddette interpretazioni sceniche – e tante altre esegesi criticoletterarie – nessuno abbia mai ipotizzato che in Shakespeare, soprattutto in questa occasione potesse (perché no?) rivelarsi un teatro “politico moderato” (e vedremo che lo sarà più che mai anche in

Amleto, Enrico V e La Tempesta). Non diciamo un conservatore (come potrebbe sembrare per altri passi del Coriolano o del Troilo e Cressida, nel celebre discorso di Ulisse sulla gerarchia), ma un fautore più che mai convinto del grande dialogo tra laici e credenti, cristiani e liberali. In ogni caso è certo come il teatro politico del XX secolo, del tutto preso e condizionato dall’irruzione e dalla prescrizione marxista, non abbia adeguatamente rilevato la fortissima tensione e problematica politico-democratica che promana da questa commedia.

Il Duca di Vienna Vincenzo, personaggio deus-ex-machina, si trova in un momento di debolezza: per superarlo lascia le redini del governo al suo Vicario, Lord Angelo. In città le leggi non sono più rispettate, soprattutto quelle che proibiscono la fornicazione. Di fatto la Vienna shakespeariana ci appare come un grandissimo e affascinante bordello; di più: un bordello connivente con le istituzioni, dove Potere e prostituzione sono immancabilmente reciproci. Il mestiere più antico del mondo non sarà mai debellato, e il Duca lo sa bene; tuttavia deve dare un segnale di forza, altrimenti si rischia una crisi delle istituzioni (si pensi al problema escort, per ciò che riguarda l’attualità!). E non è un caso che in questa commedia appaia, tra le altre, un personaggio che si

In “Misura per Misura” il Bardo lancia un messaggio politico pragmatico che esalta il dialogo tra le parti e le istituzioni di Franco Ricordi chiama Mistress Overdone, letteralmente “Strafatta”, la più grande puttana del teatro shakespeariano. Qui più che mai si evidenzia un forte parallelo metateatrale: quello fra le puttane e gli attori. L’analogia notturna e corporale dei due mestieri, anche nella necessità del trucco e della vendibilità effimera, è più che consapevole nel grande drammaturgo. Se dunque la Città sta“andando a puttane”in tutti i sensi, c’è bisogno di una legge che ne contenga gli eccessi. In realtà la legge c’è, ma non viene applicata. Così Lord Angelo, cono-

sciuto come integerrimo funzionario, appena investito del Potere non tarda un minuto a condannare un giovane, Claudio, soltanto perché ha messo incinta la sua fidanzata, Giulietta, che non è ancora sua moglie. Nel frattempo un gruppo di buontemponi, fra cui spicca il “fantastico” Lucio, si chiede dove sia andato il Duca, e approfitta ulteriormente di questa sua assenza per dedicarsi alla fornicazione. E quando il giovane Claudio viene arrestato per ordine di Angelo, essi fanno ricorso alla sorella di costui, Isa-


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ttgenstein, è ambientata una delle sue commedie più straordinarie (e istruttive)

di Shakespeare

la vita di vostro fratello»; così inizia a tenderle l’insidia, cercando di conquistare il suo corpo in cambio di una eventuale grazia per il fratello.

La novizia finge di non capire, Angelo rincara la dose affermando «i vostri sensi non coincidono con il senso delle mie parole...»; la scena è bellissima, tragicomica, e alla fine il corrotto Vicario si rivela: «vi siano chiare le mie parole: io vi amo». A quel punto Isabella minaccia di denunciarlo, ma Angelo sa bene che il suo potere lo difenderà da ogni illazione, e «la mia falsità varrà più che la tua verità». Nel frattempo il Duca ritorna in città nelle sembianze di un Frate, e pian piano viene a conoscenza di tutta la situazione.Va nella prigione dove si trova Claudio e, sempre fingendosi Frate, lo consola facendogli pensare che la morte «non è peggio della vita». Clau-

bella, che sta per diventare suora. E qui ci imbattiamo nel cuore della tragicommedia: Lord Angelo ha condannato a morte Claudio per aver messo incinta Giulietta.

La sorella di Claudio, appresa la terribile notizia, si reca dal Vicario per sapere se, in qualche maniera, si può ottenere una grazia. In questo è supportata da Lucio e dal Bargello. Costoro spiano il colloquio con Angelo: sulle prime il Vicario è assolutamente irremovibile, «la legge, non io, condanna tuo fratello». Fino a poco tempo, fa la legge“dormiva”, ma oggi è rientrata in vigore, e non c’è niente da fare: «Vostro fratello dovrà morire». Isabella sta per andarsene, ma Lucio la sprona ad insistere: «Siete troppo fredda». La giovane novizia, sempre nelle sue possibilità, torna alla carica. Comincia a parlare, soprattutto della “misericordia”, e in questo sembra che la legge divina si intersechi, pericolosamente, con quella terrena. Lord Angelo insiste nel suo diniego, adducendo anche «non posso ciò che non voglio, rassegnatevi bella fanciulla».Tuttavia Isabella, forse per la

prima volta, trova nel suo “parlare” una sensualità che dipende direttamente dalla“sensatezza”delle sue parole: Angelo, lentamente, ma sempre più “a senso”, ne rimane travolto: «Lei parla, e il senso delle sue parole accende i miei sensi». Lucio e il Bargello sostengono ulteriormente Isabella: «così, vai avanti così». Lord Angelo, il più incorruttibile e puro Vicario del Duca, cade in tentazione. Ed è la tentazione più grande, quella dell’innamoramento, ancor più insidiosa proprio perché nasconde in sé pure il germe della corruzione.

Quando rimane solo, Angelo è sconvolto: «Da te e proprio dalla tua virtù... mai non riuscì la prostituta ad eccitare i miei sensi, ma questa vergine mi soggioga». E così Lord Angelo è costretto ad ammettere e a riconoscere proprio la sua componente diabolica: «Scriviamo buon Angelo, sulle corna del diavolo». La mattina dopo Isabella si ripresenta dal Vicario, e qui egli comincia ad ammettere che «ci sarebbe un modo per prolungare

Così si esplicita il moderatismo shakespeariano: etica e prassi, laicità e religione, linguaggio e disponibilità, se ben coniugati, possono sommessamente indicare una strada verso la redenzione dio sembra per un attimo rincuorarsi, ma poi quando la sorella va a trovarlo, e le svela l’intrigo del Vicario, vorrebbe che essa si concedesse al corrotto politico; Isabella se ne risente, ma Claudio pronuncia la celebre battuta: «Si, ma morire, e andare dove non si sa...» analoga al celebre monologo di Amleto. E in effetti il testo sembra, nel-

l’insieme, una traslazione di Amleto in chiave di commedia; tanto il Duca Vincenzo appaia una sorta di Amleto in età matura. Alla fine, anche attraverso una serie di intrighi e scambi di persone, il Duca riuscirà a risolvere tutti i problemi che si sono creati nella corrotta città.

Ancora vestito da Frate parlerà bene del Duca (ovvero di sé stesso), laddove il ribelle Lucio si ostina a denigrarlo in ogni maniera. Non solo: egli vuole scoprire il volto di quel protervo frate che osa contraddirlo e, strappandogli il cappuccio, scopre che si tratta proprio del Duca! Che finalmente può affermare: «Sei il primo furfante a creare un Duca». Rivelatosi, Vincenzo si mostrerà grazioso quanto implacabile nel suo giudizio, punirà i malvagi e salverà gli innocenti . E così: «Un Angelo per Claudio; morte per morte. / Tregua per tregua e premura per premura; / simile per simile, ed è sempre Misura per Misura». Claudio sarà salvato, Angelo sarà punito e Lucio sarà costretto a sposare una donna – per inciso una puttana – che ha messo incinta. «Sposare una mignotta è peggio che la morte», griderà il libertino. E in questa maniera, con grazia e giustizia, il Duca ritorna a governare la città. Una “resa dei conti” che, evidentemente, serve al Duca per rinnovare le redini del suo governo. Così si esplicita la poli-

tica pragmatica e moderata di Shakespeare: la possibilità di salvare la situazione anche attraverso l’intercessione del cristianesimo, ma senza per questo non accedere ad una problematica che oggi si può definire bio-politica. La Città ritrova le sue leggi, anche se l’applicazione di queste non raggiunge quella violenza sacrale e ancestrale che, se esercitata alla lettera, condurrebbe ad una nemesi tragica. Il concetto della misura, della moderazione intesa come dialogo fra le parti e le istituzioni politiche, è quello che alla fine sembra indicare, seppure in maniera non categorica, l’etica di Shakespeare. In politica, sembra affermare il Bardo, è difficile e forse anche pretenziosa l’idea della “mancanza di peccato”, ovvero l’esaltazione ideologica e anche illuminista dell’incorruttibilità. Etica e prassi, laicità e cristianesimo, linguaggio e disponibilità, se ben coniugati, possono sommessamente indicare una strada verso la redenzione.


mondo

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Delitti. Il Vicario apostolico di Anatolia sarebbe stato colpito a morte dall’autista. Aveva passato la vita a predicare la pace in un mondo segnato dalla guerra

Altro sangue cristiano A 4 anni dall’omicidio di don Andrea Santoro ucciso a coltellate monsignor Luigi Padovese di Vincenzo Faccioli Pintozzi segue dalla prima Il vescovo di Iskanderun è stato ucciso ieri verso le 13. Un suo amico sacerdote l’aveva incontrato poco dopo le 12 e aveva parlato con lui. I primi sospetti sull’autore dell’assassinio cadono sul suo autista e collaboratore, un musulmano che collaborava da tempo con il prelato, che lo avrebbe accoltellato. Secondo testimoni, in questi giorni l’autista sembrava «depresso, violento e pieno di minacce per chiunque». Monsignor Padovese, 63 anni, era dal 2004 vicario apostolico dell’Anatolia e attuale presidente della Conferenza episcopale turca. Come pastore, era molto impegnato

sacerdote romano fidei donum don Andrea Santoro. Nello stesso 2006, alla messa di suffragio per il sacerdote ucciso, monsignor Padovese aveva detto: «Noi perdoniamo chi ha compiuto questo gesto. Non è annientando chi la pensa in modo diverso che si risolvono i conflitti. L’unica strada che si deve percorrere è quella del dialogo, della conoscenza reciproca, della vicinanza e della simpatia. Ma fintanto che sui canali televisivi e sui giornali assistiamo a programmi che mettono in cattiva luce il cristianesimo e lo mostrano nemico dell’islam (e viceversa), come possiamo pensare a un clima di pace?». E ancora, riferendosi a don San-

Parlando dell’omicidio del sacerdote romano aveva detto: «Chi ha voluto cancellare la sua presenza fisica non sa che ora la sua testimonianza è più forte che mai, per tutti noi» nell’ecumenismo e nel dialogo con l’islam; ma una delle sue maggiori attività verteva nel far rivivere le diverse comunità cristiane turche. Ieri aveva incontrato le autorità turche per affrontare i problemi legati alle minoranze cristiane. Oggi sarebbe andato a Cipro per incontrare Benedetto XVI, in viaggio sull’isola per pubblicare l’Instrumentum Laboris del Sinodo per le Chiese del Medioriente. Un testo cui monsignor Padovese aveva collaborato e che aveva presentato come “innovativo”. La Chiesa turca non è nuova a violenze, uccisioni e minacce. Nel 2006 era stato ucciso a Trabzon il

toro, ha aggiunto: «Chi ha voluto cancellare la sua presenza fisica, non sa che ora la sua testimonianza è più forte». Il direttore della Sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, all’apprendere la notizia, ha dichiarato: «Ciò che è accaduto è terribile, pensando anche ad altri fatti di sangue in Turchia, come l’omicidio alcuni anni fa di don Santoro. Preghiamo perché il Signore lo ricompensi per il suo grande servizio per la Chiesa e perché i cristiani non si scoraggino e seguendo la sua testimonianza così forte continuino a professare la loro fede nella regione». Nell’ultima intervista, concessa alcuni giorni fa al Sir, il vescovo cappuccino

sottolineava: «Il dialogo deve innanzitutto partire da una presa di coscienza dei cristiani stessi in Turchia, cioè essere coscienti della propria identità e di quello che sono. È inutile pensare ad un dialogo con chi non è cristiano, quando non si è pienamente consapevoli di quello che si è». Quindi, aveva spiegato, «buona parte della nostra azione pastorale quest’anno è e sarà concentrata nel rendere i cristiani più consapevoli della propria identità».

E proprio il tema dell’identità cristiana era uno dei motivi ricorrenti dell’apostolato di monsignor Padovese, che aveva tenuto un atteggiamento estremamente dialogico nei giorni successivi alla morte di don Andrea Santoro evitando di rifuggiarsi nel facile gioco delle accuse al nemico. Insomma, il vescovo italiano - ma turco di adozione - aveva scelto il cammino difficile dell’apostolo di Tarso, quel Paolo di cui è appena concluso l’Anno: aveva scelto di cercare di capire, aveva scelto di parlare, aveva preso una strada difficile. Difficile perché il mondo in cui viveva, quello in cui viviamo sempre di più tutti noi, è un mondo con la vocazione opposta: una vocazione belligerante, intransigente, fatta di schieramenti oltre i quali non c’è salvezza e non c’è speranza. Quale che sia la verità sulla morte di monsignor Luigi Padovese, non si deve dimenticare qual è la verità sulla sua vita e sulla sua missione: una missione difficile, fatta di pace applicata e non solo predicata. Per tutti allo stesso modo.

L’ultima riflessione pasquale del presule morto ieri a Iskanderun

Ma qui da noi «la Via Crucis è quotidiana» di Luigi Padovese a Pasqua di quest’anno in Turchia è tutta speciale perché si celebra l’Anno Paolino e san Paolo è colui che ha portato l’annuncio di Gesù morto e risorto nella nostra terra. In un ambiente saturo di religiosità, com’era il mondo antico, l’apostolo di Tarso ha concentrato l’annuncio nella fede in Dio, mediata dalla realtà concreta della morte e resurrezione di Gesù. Nessuna religione ha tratti più coinvolgenti di questa fede che crede nella nascita di Dio come povero e morto da crocifisso. Questo annuncio che ci richiama alla concretezza della fede cristiana è un messaggio nei confronti dei poveri e dei sofferenti, come delle vittime dell’ingiustizia. Esso è divenuto il leit-motiv della catechesi verso i nostri cristiani, fin dalla mia prima lettera pastorale. Come ai tempi dell’apostolo viviamo nella sua terra in una società non cristiana. Siamo un gruppo minoritario che corre il rischio di smarrire la propria identità attraverso un concetto generico di fede in Dio. Per questa ragione gli eventi della Pasqua che celebriamo sono importanti: ci rimandano a contemplare l’evento fondativo della nostra fede. Un fatto che ci conforta è vedere che proprio in questi giorni vi è un flusso continuo di pellegrini, anche stranieri, ad Antiochia e nei luoghi di san Paolo. Questa regione era al di fuori dei tour dei pellegrinaggi; invece quest’anno è stata battuta da migliaia di pellegrini. Non sono turisti, ma fedeli alla ricerca del contatto con i luoghi in cui l’apostolo ha vissuto.

L

Paolo è nato a Tarso, ma ha fatto parte della comunità cristiana di Antiochia e ad Antiochia è sempre ritornato per il suo ministero. In Turchia egli ha percorso almeno16mila chilometri! La Pasqua perciò qui da noi deve avere per forza una marcatura paolina. A questo proposito, noi speriamo in un grande dono pasquale: il ritorno della chiesa di Tarso ai cristiani. La conferenza episcopale turca e quella tedesca, le autorità del governo tedesco e la segreteria di stato vaticana hanno richiesto di avere a Tarso una chiesa dove i pellegrini di qualsiasi confessione cristiana possano radunarsi a pregare. A Tarso vi è una chiesa cristiana antica, che però è stata trasformata in museo. Per quest’anno le autorità turche ne hanno permesso l’uso, senza pagare il biglietto del museo. Ma si tratta di una misura che sta per scadere. Invece noi desideriamo che a Tarso vi sia un punto dove i cristiani possano sempre fare memoria dell’apostolo, non in un museo, ma in una chiesa. E aspettiamo una risposta da parte delle autorità. Mi auguro


mondo Il Vicario apostolico d’Anatolia e vescovo di Iskendurun, monsignor Luigi Padovese, ucciso ieri a coltellate dal proprio autista. A destra padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime e direttore di AsiaNews. Nella pagina a fianco don Andrea Santoro, sacerdote fidei donum della diocesi di Roma ucciso a Trebisonda quattro anni fa e la chiesa, ora trasformata in moschea, di Santa Sofia a Istanbul

che questa risposta positiva ci venga data almeno entro la fine dell’Anno paolino (il 29 giugno 2009). Il dono della chiesa sarà anche una sorta di cartina di tornasole per misurare quanto le autorità turche vogliono fare per garantire la libertà religiosa. Abbiamo bisogno di fatti concreti per credere che qualcosa sta davvero cambiando in questo Paese.Qui in Turchia le celebrazioni della Pasqua hanno anche un carattere ecumenico. Noi latini siamo una piccola comunità. Quest’anno la data della nostra Pasqua anticipa di una settimana quella ortodossa. È bello vedere come fra le diverse comunità cristiane non c’è opposizione, ma condivisione: ci sono ortodossi che vengono alle nostre funzioni e cattolici che vanno alle funzioni degli ortodossi. Da parte degli ortodossi, soprattutto i giovani, c’è desiderio di gustare la nostra liturgia, anche perché quella latina è in lingua turca, mentre quella ortodossa è in lingua araba e questo crea problemi di comprensione. Fra le due comunità non c’è assolutamente alcuna gelosia. C’è invece un sostenersi reciproco. Molti bambini ortodossi vanno nelle nostre parrocchie per la catechesi, tenuta anche da insegnanti ortodossi. Non c’è volontà di proselitismo, ma desiderio di aiutarci reciprocamente a seconda dei messi e delle possibilità di cui ciascuno dispone.Tutto è legato alla situazione comune di essere una minoranza religiosa e questo ci permette di superare tante prevenzioni e chiusure. Il nostro essere minoranza rende la nostra situazione molto simile a quella degli inizi del cristianesimo, quella in cui si è trovato Paolo nel suo annuncio.

Abbiamo bisogno, oggi più che mai, di fatti concreti per credere che qualcosa sta davvero cambiando in questo Paese

L’apostolo, nato in un ambiente di pluralismo religioso, ci insegna ad avere un atteggiamento di rispetto nei confronti degli “altri”e questo comportamento positivo sentiamo di doverlo applicare al mondo islamico. Nonostante tutto, il nostro atteggiamento è molto positivo anche nei riguardi dell’islam. Qui io trovo tanta gente di buona volontà, coscienziosa. E san Paolo mi ha davvero insegnato questa novità della coscienza come il luogo della profondità della persona di fronte a Dio. Devo però aggiungere che per alcuni miei cristiani la Via Crucis è un fatto di oggi, non una cosa del passato. All’interno del vicariato di Anatolia ci sono davvero situazioni difficili. L’esperienza del martirio di don Andrea Santoro e altri fatti hanno lasciato il loro strascico. Ci sono ancora cristiani vicini alla sofferenza di Gesù. Ma vi sono anche musulmani che si avvicinano al cristianesimo proprio attraverso le sofferenze di Gesù. Un piccolo numero è divenuto cristiani. La loro è stata una scelta sofferta e meditata per le conseguenze, i rischi, le fatiche che porta nella loro vita. Eppure divengono cristiani proprio partendo dal fascino di Gesù che ha sofferto [nel Corano Gesù sfugge alla morte e fa morire un sostituto – ndr]. Del resto, anche in passato l’umanità di Gesù è stata esaltata da alcune personalità musulmane come il poeta Mevlana e altri mistici sufi.

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L’opinione di padre Cervellera, missionario Pime e direttore di AsiaNews

«Ma Erdogan si muove con troppa ambiguità» di Gabriella Mecucci

ROMA. L’assassinio di monsignor Padovese in Turchia è frutto del terribile clima di scontro, ulteriormente acuitosi di questi giorni, oppure è figlio della mente afflitta da depressione dell’autista dell’alto prelato? Le possibili spiegazioni del folle gesto oscillano fra questi due estremi. E per ora è impossibile dire parole certe. Anche se le autorità turche accreditano la pista del malato di mente, da tempo sotto cure psichiatriche. E però il sentimento anticristiano che da tempo si respira nel Paese non può non far sorgere il sospetto che le ragioni vadano cercate altrove, in quel clima avvelenato di cui le piazze turche in questi giorni sono state palese testimonianza. Con Bernardo Cervellera, missionario del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) e direttore di AsiaNews, cerchiamo di ricostruire la situazione che si vive in Turchia e l’opera che lì stava svolgendo monsignor Luigi Padovese nella vestedi più alto rappresentante della chiesa cattolica in Anatolia . Esclude che questo omicidio possa essere in qualche modo legato all’escalation di tensione che si è verificata nei giorni scorsi in Turchia? Non escludo niente, ma ritengo che allo stato attuale questo non si possa dire. Ne sappiamo davvero troppo poco. Per il momento mi consta che ad accoltellare monsignor Padovese sia stato il suo autista, un non cristiano che lavorava da lungo tempo con lui. L’uomo era affetto da una seria depressione. Ed era anche stato sottoposto a cure. Qui si fermano le nostre informazioni. Non mi pare che autorizzino conclusioni che allo stato sarebbero quantomeno affrettate. L’uccisione di sacerdoti non è purtroppo un fatto nuovo in Turchia. Monsignor Padovese aveva celebrato i funerali di don Andrea Santoro, assassinato nel 2006 a Trebisonda. I cristiani vivono in una situazione particolarmente pericolosa? Il clima è certamente negativo. C’è una insistente propaganda, anche televisiva, che tende ad accreditare un’immagine dei cattolici e più in generale dei cristiani come inclini al doppio gioco, delle canaglie impegnate a catturare le anime, a fare proselitismo, nel tentativo di distruggere la Turchia. Il governo non sostiene pubblicamente simili posizioni, ma non le critica nè le combatte. In realtà i cristiani non godono della libertà di culto: non possono costruire chiese, nè celebrare liberamente i loro riti. Insomma, è una situazione molto pesante. In una parola qual’è il clima nei confronti dei cristiani? Di tensione, di continuo sospetto. E in alcune zone di vera e propria intimidazione. Di paura.

Monsignor Padovese come si muoveva in una situazione tanto delicata e rischiosa? La sua è stata un’opera splendida. Si comportava come un uomo di pace e di dialogo. Era riuscito a far incontrare le diverse confessioni cristiane che esistono in Turchia ed era riuscito ad istaurare fra queste un clima aperto, di amicizia e di confronto. Il suo è stato un impegno continuo e solerte in nome dell’ecumenismo. Aveva iniziato, poi, un fitto dialogo anche con gli intellettuali islamici. E questo aveva consentito di dar vita alla crescita di rapporti culturali e anche personali. E con il governo Erdogan? Di recente si era verificato un episodio positivo: ai cattolici era stata concessa l’autorizzazione a celebrare la messa nella chiesa di San Paolo a Tarso. Prima

Il vescovo «si comportava come un uomo di pace. Era riuscito a far incontrare le diverse confessioni cristiane che esistono in Turchia e a instaurare fra queste un clima di dialogo» per entrarci dovevano pagare. Un piccolo passo avanti,ma quanto alla concessione dei pieni diritti religiosi, ne siamo ben lontani.. Non c’è dubbio. Di recente il governo ha cercato di dare l’impressione di essere più disponibile, aperto. Con atteggiamenti però non lineari, ma ambigui. Qual è insomma la strategia di Erdogan? Da una parte strizza l’occhio all’islam e anche a parti del fondamentalismo, come i fatti di questi giorni testimoniano. Dall’altra cerca di rassicurare l’Occidente per raggiungere l’obiettivo di entrare in Europa. Calpestare i diritti religiosi non è però un lascia passare per l’Europa.. Alcune promesse che vanno nella direzione di un allargamento della libertà religiosa per i cristiani sono state fatte. Ci sono stati anche incontri. Queste aperture, non prive però di ambiguità, fanno parte della strategia di Erdogan di rassicurare l’Occidente.


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Summit. Il punto di partenza del confronto è stato economico-commerciale a prima democrazia del mondo, gli Stati Uniti, e quella più popolosa, l’India, sono in questi giorni a confronto. Si è aperto ieri a Washington il summit bilaterale fra i due governi. A ricevere il governo indiano il Segretario di Stato Usa, Hillary Clinton. Il viaggio però è un’anticipazione della visita da parte dello stesso Presidente Obama, che dovrebbe arrivare nel sub continente indiano in una data non ancora stabilita. A questo proposito gli osservatori internazionali non nascondono una vena di scetticismo. Ieri il Wall Street Journal titolava: «Obama andrà in India, Singh sarà pronto?» Il riferimento, schiettamente polemico, riguardava la crisi di popolarità che il Primo ministro indiano, Manmohan Singh, sta attraversando, a causa della attuale congiuntura negativa, fra l’impasse economica e i problemi di sicurezza nel Paese.

L

Obama sarebbe comunque il sesto inquilino della Casa Bianca a compiere un viaggio ufficiale in India. Chiaro quindi che fra i due Paesi l’alleanza si può dire più che stabile. Al di là di questo però il summit di due giorni e che si conclude oggi ha un valore strategico nell’ambito dell’economia globale e delle dinamiche geopolitiche. Il punto di partenza del confronto è di carattere economico-commerciale. È stato l’Us-India Business Council (Usibc) ad aver caldeggiato e promosso l’iniziativa. L’organizzazione è stata fondata ancora nel 1975 ed è per questo che oggi se ne celebra il 35 esimo anniversario con la maggiore visibilità possibile. L’Usibc si compone dei rappresentanti delle maggiori società industriali, commerciali e finanziarie – sia made

India, Hillary apre la strada a Obama Si è chiuso l’incontro bilaterale negli Usa. Aspettando la visita del presidente a Delhi di Antonio Picasso

ma potenza dell’Asia centrale rappresenta una “nuova frontiera” per le esportazioni statunitensi. In tal senso, l’unico Paese che può competere con l’India è la Cina, che vanta un credito con Washington di ben 268 miliardi di dollari. Non è un caso che proprio Pechino si sia fatta sentire polemicamente, palesando il suo timore che l’In-

Si è trattato di un vertice molto importante per il suo valore strategico nell’ambito dell’economia globale e della geopolitica in Usa sia made in India – interessate a un ulteriore consolidamento della collaborazione fra i due Paesi. Soprattutto in termini politici. «Il volume di affari fra i due colossi del mercato globale (che supera i 50 miliardi di dollari, ndr) non sono mai stati così floridi come in questo periodo», dice il Presidente dell’Usibc, Ron Somer con soddisfazione. Negli ultimi cinque anni, il numero di società americane che hanno deciso di investire in India è passato da 80 a 350. La pri-

dia diventi troppo competitiva nei suoi confronti, per quanto riguarda i rapporto con gli Stati Uniti.

Tuttavia né le regole del libero mercato globale né gli accordi commerciali bilaterali impediscono a Washington di siglare partnership con altri soggetti, senza il placet cinese. Del resto la lista di interessi comuni che legano gli Usa e l’India è lunga e va oltre il settore dell’economia. In questo, oltre all’Usibc, il merito dell’orga-

Inflazione, povertà, terrorismo e rapporti con l’Inc

Tutti i problemi di Singh Il governo indiano presieduto da Manmohan Singh sembra avere la salute malferma. Solo un anno fa, l’Indian National Congress Party (Inc) otteneva la conferma elettorale per un nuovo mandato. Oggi i problemi del Paese ne hanno provocato un calo di popolarità. L’India sta attraversando una fase delicata. L’inflazione che è salita al 10% e la lotta alla corruzione nel suo gigantesco apparato burocratico appare inefficace. Anche peggiori sono apparsi i risultati nella lotta alla povertà. In India ancora il 40% della popolazione totale (1,1 miliardi di persone) vive con poco più di 1 dollaro al giorno. Si aggiungono poi le persistenti tensioni con il Pakistan e le ondate cicliche di terrorismo – maoista o jihadista – le quali sembrano cogliere sempre di sorpresa le autorità.

Singh recentemente ha dichiarato la sua disponibilità a lasciare il potere nelle mani di Rahul Gandhi, qualora la Segreteria dell’Inc lo ritenga necessario. «I giovani devono farsi avanti», ha detto il Premier, dimostrandosi serafico di fronte alle avversità. Com’è da prassi indiana. Rahul Gandhi, classe 1970, è l’ultimo discendente della dinastia che dagli anni Quaranta primeggia nell’establishment politico nazionale. Il suo bisnonno era Jawarhalal Nehru, il Padre della Patria, sua nonna Indira Gandhi e suo padre Rajiv sono già stati alla guida del Paese e hanno pagato con la vita il loro impegno politico. Sua madre, Sonia Gandhi, è l’attuale Presidente dell’Inc. Nel caso Singh dovesse cadere, la stabilità politica del Paese sarebbe comunque assicurata. (a.p.)

nizzazione va attribuito al senatore democratico John Kerry, uomo ombra della politica estera Usa. L’obiettivo strategico dei due governi è di contenere l’influenza cinese che incalza a 360 nel mondo: dall’Estremo Oriente all’Africa, passando per l’Europa. È chiaro che un’alleanza fra New Delhi e Washington provochi una collaterale pressione sull’espansionismo di Pechino. Stiamo parlando di tre potenze industriali, ciascuna dotata di un proprio arsenale nucleare e con un peso demografico notevole a livello internazionale. Ma soprattutto ciascuna delle tre interessata a prevalere sulle altre due.

Seguono poi l’“Af-Pak war” e il terrorismo di matrice jihadista, in cui le forze di sicurezza indiane e statunitensi condividono la stessa trincea e sono alla ricerca di una soluzione comune per la stabilità dell’area. Tuttavia, data la presenza della stessa Clinton, non si può escludere che nel summit si stiano toccando altri dossier. Per esempio quello su Israele e l’altro sull’Iran. New Delhi vanta buone relazioni con entrambi i Paesi. È plausibile pensare che gli Usa siano alla ricerca di una sponda politicamente forte per invertire la rotta dei problemi di questi governi. A questo proposito merita di essere sottolineato che fu proprio Ron Somers il capo cordata nella partnership IndiaUsa per la produzione comune di energia nucleare. Ultimamente si è parlato di un Medio Oriente denuclearizzato. L’obiettivo chiamerebbe in causa il regime di Teheran – che nutre ambizioni militari e quindi aggressive nel settore – e la stessa Israele, la quale si presume che disponga già di un proprio arsenale atomico. Un mediatore come Somers in tal caso potrebbe tornare utile. In termini più generali, Washington spera di poter contare sull’India come su un alleato affidabile, politicamente stabile, che vanta una crescita economica dignitosa e anche forte in termini militari. Affinché il Dipartimento di Stato Usa possa manovrare agevolmente nel mondo arabo-islamico e in Asia centrale, l’amicizia con il Governo Singh diventa prioritaria. Ancora più importante del dialogo con la Cina. L’India a sua volta nutre un’ambizione che è difficile nascondere, cioè quella di arrivare a una riforma del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per conquistarvi un seggio permanente. Per questo avere l’aggancio degli Usa risulta fondamentale.


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Ignote le cause della sparatoria, che avviene dopo quella inglese

Il governo cinese, come ogni anno, fa sparire i dissidenti

Belgio, strage in tribunale: morti giudice e cancelliere

Pechino “commemora” Tiananmen con gli arresti

BRUXELLES. Sembra senza fine la scia di follia che ha colpito l’Europa. Dopo la sparatoria avvenuta due giorni fa, quando un uomo in Inghilterra ha imbracciato un fucile e ha sparato uccidendo 12 persone, un giudice di pace e un cancelliere sono stati uccisi ieri durante un’udienza al palazzo di giustizia a Bruxelles. Lo ha confermato ai microfoni della televisione pubblica Rtbf il ministro della Giustizia belga Stefaan De Clerck, che si è recato sul posto. «È la prima volta che accade una cosa del genere ed è assolutamente drammatica», ha aggiunto il ministro. Secondo una prima sommaria ricostruzione dell’accaduto fatta dai testimoni, la sparatoria è avvenuta nell’aula allestita in un annesso del palazzo di giustizia e il pluriomicida si è poi dato alla fuga in direzione del quartiere popolare di Marolles, poco distante dal tribunale.

PECHINO. Come ogni anno, l’anniversario del massacro di piazza Tiananmen viene celebrato a Pechino con arresti e “sparizioni temporanee”. Il governo cinese, infatti, continua a rifiutarsi di riconoscere apertamente di avrr usato forza bruta contro manifestanti inermi, e costringe al silenzio i cittadini cinesi che intendono commemorare l’accaduto e le vittime. Nel frattempo, almeno 4 degli attivisti che parteciparono ai moti di piazza del 1989 sono ancora in galera. Lo scorso anno, il governo ha condannato alla “rieducazione tramite il lavoro” 3 attivisti che hanno cercato di celebrare il ventesimo

Con il ministro, è arrivato sul luogo della sparatoria anche il capo della polizia di Bruxelles, Guido Van Wymersch, e il presidente della Corte d’Appello, Antoon Boyen. Indicazioni più precise sull’accaduto erano attese nel corso della conferenza stampa indetta per il primo pomeriggio, conferenza che tutavia non ha

G20 in Corea del Sud: missione impossibile Risanare i conti pubblici e stimolare la crescita di Alessandro D’Amato na mission impossibile, a prima vista: come risanare i deficit dei conti pubblici e al tempo stesso mantenere in vigore politiche di stimolo alla crescita economica. Questi i temi in discussione nel G20 dei ministri finanziari che si terrà nella città di Busan in Corea del Sud venerdì e sabato. La bozza di lavoro su cui stanno lavorando i viceministri si impernia su un duplice mandato. Da una parte i Paesi con forti passivi di bilancio devono agire con rapidità e decisione per risanare i conti e attenuare le tensioni dei mercati internazionali. Dall’altra quelli con un saldo attivo devono invece svolgere un ruolo di locomotive dell’economia mondiale mantenendo le politiche di stimolo.

U

Come ha sintetizzato una fonte del vertice, la crisi del debito europea ha dimostrato con chiarezza che alcuni paesi devono ora mettersi sulla difensiva e abbandonare prima del previsto le misure di stimolo ma questo non significa che ora tutti debbano fare la stessa cosa. I ministri sono convinti della necessità di maggiori requisiti di capitale per le banche, per evitare altri casi Lehman Brothers. Non c’è invece sintonia sul tema della tassa globale alle banche. Paesi come il Canada e l’Australia si oppongono perché gli istituti del loro Paesi sono riusciti a fronteggiare meglio la crisi avendo mantenuto comportamenti più virtuosi anche negli anni del boom economico e della corsa insensata alle cartolarizzazioni. Il G20 arriva mentre in Europa i paesi sono costretti a varare in fretta e furia misure di austerity draconiane (che preoccupano soprattutto la Cina, che teme di registrare un calo delle proprie esportazioni anche a causa del netto indebolimento dell’euro), dall’altra parte dell’oceano il Canada è divenuto ieri il primo paese del G7 a invertire la politica monetaria alzando il costo del denaro dallo 0,25 allo 0,50%. «Credo che sia giunto il momento in cui possiamo iniziare ad attuare le nostre exit strategies», ha detto il ministro delle finanze canadese Jim Flaherty parlando a Pechino con i giornalisti sulla rotta per Busan. Di avviso differente gli Stati Uniti. Il G20 - afferma il segretario al Tesoro,Timothy Geithner - deve accordarsi per

orientare di nuovo i conti pubblici verso una strada sostenibile ma in modo da non soffocare la ripresa globale: «È un imperativo condiviso. Tutti lo riconosciamo. Come ha detto il Fmi, siamo favorevoli a riforme fiscali che favoriscano la crescita». E Geitner rimarca anche le differenze sul punto delle imposizioni fiscali alle banche: «Non penso che siamo vicini a un consenso globale su una tassa - afferma Geithner - Ritengo ci sia ampio appoggio in Europa, soprattutto in Inghilterra, per l’applicazione di una commissione. Non penso che il quadro sia destinato a cambiare in Corea». In ballo c’è anche la pubblicazione degli stress test sulle banche: gli Usa sono favorevoli, altri paesi avvertono il pericolo panico per i mercati. Il documento del Fondo monetario su cui i ministri discuteranno conferma le previsioni di una crescita attorno al 4% avanzate il mese scorso, ma parla di ancora una volta di «ripresa fragile». Il timore è che le misure adottate per il risanamento dei conti pubblici in molti paesi europei possano fare da freno alla ripresa. «L’imperativo comune – ha detto il segretario al Tesoro Usa,Tim Geithner alla sua partenza da Washington – è portare avanti le manovre fiscali in modo growth-friendly, favorevole alla crescita».

Il ministro del Tesoro Usa, Geithner: «Non siamo ancora vicini a un consenso globale su una tassa per le banche»

aggiunto molto all’accaduto. Le autorità non hanno ancora reso noto il nome del cancelliere che, scrive l’agenzia di stampa Belga, era ormai vicino alla pensione. La sparatoria sarebbe avvenuta alle 11,15 del mattino. Secondo un analista, la scia di follia che ha contagiato l’Europa sarebbe una diretta emanazione della crisi finanziaria che ha colpito i mercati mondiali. Attanagliati dalla paura dei debiti e della bancarotta, persone che altrimenti sarebbero assolutamente normali lasciano spazio alla pazzia e si sfogano contro perfetti sconosciuti o, come nel caso belga, contro i simboli dell’autorità statale.

Un’intenzione nobile, che però comincia a scontrarsi con una realtà che via via si fa sempre più dura, dal punto di vista economico. Preoccupa, giustamente, l’indebitamento Usa. Il debito pubblico americano ha sfondato quota 13.000 miliardi di dollari, per la prima volta, l’1 giugno, attestandosi a 13.050,826 miliardi di dollari, ovvero all’88% del Pil. Per il Fondo, il debito americano raggiungerà quest’anno il 92,6% del Pil. E bisogna considerare che nel calcolo del debito federale non sono inclusi i singoli stati americani e neanche gli organismi di rifinanziamento ipotecatorio quasi-pubblici: includendo solo questi ultimi, che lo stato garantisce, il debito pubblico a stelle e strisce sarebbe già al 110%. E il Fmi ha di recente avvertito che se il debito non sarà ridotto, la crescita potenziale dei paesi avanzati potrebbe ridursi di oltre lo 0,5% l’anno.

anniversario. Quest’anno, in occasione del ventunesimo, la repressione si è spostata persino a Hong Kong: la polizia ha sequestrato due copie della “Dea della Democrazia” – la statua che venne innalzata dagli studenti in piazza – che i manifestanti del Territorio avevano preparato per la veglia notturna. Si tratta di un atto di interferenza senza precedenti per l’ex colonia britannica, che ha sempre ricordato in piazza il massacro. In ogni caso, ricorda il Chinese Human Rights Defender, la situazione peggiore è in Cina continentale.

Da diversi giorni, la polizia sta seguendo a vista diversi attivisti: questi sono stati avvertiti di non cercare di organizzare eventi o commemorazioni per il 4 giugno. Dalla mattina di oggi, l’avvocato per i diritti umani Teng Biao si trova di fatto agli arresti domiciliari. Sempre oggi, 3 poliziotti hanno minacciato di “gravi conseguenze” lo scrittore Wang Debang. Yang Hai, da Xian, ha invece avvertito i suoi compagni che la polizia “lo sta cercando per portarlo a fare un viaggio”; dall’avvertimento, non si è più riusciti a contattarlo. Sempre a Xian, la polizia ha portato “a prendere un te”Zhang Jiankang: sparito. Dal 2 giugno è agli arresti anche Liu Xianbin.


cultura

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Danza. La Biennale di Venezia consegna al coreografo statunitense il riconoscimento alla carriera attribuito lo scorso anno a Kylián

Forsythe, il Leone ribelle Dalla Juilliard School al Balletto di Francoforte: vita e opere di un “architetto del corpo” di Diana Del Monte

VENEZIA. Sessantuno anni, fiero di essere nonno e in procinto di ritirare un Leone d’Oro alla carriera. È William Forsythe, il danzatore e coreografo statunitense che domani, presso il Teatro Piccolo Arsenale, ritirerà il prestigioso riconoscimento dedicato alla danza, attribuito lo scorso anno a Jirí Kylián, nel 2007 a Pina Bausch e nel 2006 a Carolyn Carlson. Scienziato della danza, architetto del corpo, un vero erudito del settore; tanti sono stati gli appellativi che questo artista si è meritato durante la sua lunga carriera. Forsythe, infatti, oltre ad avere un’estesa e solida conoscenza del mondo della danza, sia a livello pratico sia dal punto di vista teorico, è anche un uomo dalla vasta cultura che trova spesso i riferimenti per le sue opere al di fuori del settore in cui lavora. Interessato alla filosofia, in particolare, Forsythe è in realtà un onnivoro della conoscenza, che spesso cita Virgilio, Lyotard, Barthes, Baudrillard, passando dalla filosofia all’estetica, dalla linguistica all’economia. Esponente d’eccellenza di quella corrente definita “postclassicismo”, questo coreografo ha saputo innovare la tradizione ballettistica riportando la danza accademica a una sorta di grado zero, epurandola da tutte le incrostazioni della storia, dagli anacronismi, dai sospiri romantici. Danzatore di forte formazione classica, nel suo lavoro ha voluto e saputo separare la grammatica della danza dalla letteratura del balletto, ritenendo quest’ultima una stantia ripetizione di stilemi oramai invecchiati, frutto di processi storico-culturali che hanno cristallizzato il corpo in forme oramai non più dialoganti con il contesto. Nato a New York nel 1949, Forsythe inizia la sua formazione in patria nel 1967, presso le prestigiose scuole del Jeoffrey Ballet e dell’American Ballet Theatre. Nel 1973 viene notato da John Cranko che lo invita a unirsi alla sua compagna a Stoccolma; Cranko, che molto aveva pun-

tato sul giovane Forsythe, però, non potrà assistere all’ascesa del suo pupillo poiché morirà poco dopo il suo arrivo e ben tre anni prima del debutto di Urlicht (1976), il passo a due su musica di Mahler che inaugurò la carriera coreografica del giovane danzatore newyorkese. Nel ‘78 Forsythe diventa coreografo indipendente dello Stuttgart Ballet e, nello stesso anno, compone il primo lavoro per la compagnia, Dream of Galilei. L’anno successivo, sempre per la compagnia tedesca, crea il celebre Love Songs, una serie di passi a due su canzoni popo-

Forsythe avrà il tempo e la stabilità necessari per perfezionare il suo inimitabile stile coreografico e, allo stesso tempo, portare la compagnia ai vertici della danza mondiale. Sono di questo periodo, tra gli altri, In the Middle, Somewhat Elevated (1987), Behind the China Dog (1988), Enemy in the Figure (1989) Herman Schmerman (1992). Durante gli anni ’90, infine, si dedica a opere di maggiore impegno tecnologico, sperimentando innovazioni tecniche insieme a nuove soluzioni artistiche; esemplare, in tal senso Eidos: Telos del 1995, uno spettacolo nel quale i danzatori improvvisavano partendo da alcuni input visibili su uno schermo, invisibile invece al pubblico, governato da un software sensibile ai movimenti degli stessi danzatori. Nonostante il perpetuarsi di eccellenti risultati, però, la città di Francoforte nel 2002 decide per una politica di riduzione dei costi che toglie il sostegno al Frankfurt Ballet per fondare, al suo posto, una compagnia di balletto più tradizionale. All’energica reazione del coreografo, che non manca di ricordare con forza all’amministrazione locale tanto i suoi meriti artistici quanto quelli di natura economica, segue una lunga polemica durante la quale Forsythe ottiene il sostegno di molti addetti ai lavori. Così, un anno dopo la chiusura della compagnia nel 2004, il coreografo fonda la William Forsythe Company, un ensemble ridotto quasi della metà rispetto al Frankfurt Ballet, ma composto quasi totalmente da ex danzatori della compagnia precedente, rimasti fedeli alla visione artistica del coreografo statunitense. Un vocabolario denso di movimenti fluidi, infinitamente complessi e apparentemente naturali allo

Non un semplice “uomo di scena”, è un vorace intellettuale che ha portato nei suoi spettacoli Virgilio, Barthes e Baudrillard

lari di successo. In Italia arriva per la prima volta nel 1979 con Folie, invitato dal Festival di Montepulciano; tuttavia, le due esperienze italiane più conosciute sono la rielaborazione di Love Songs per l’Aterballetto, nel 1984, e la creazione di Quartett per l’Etoile scaligera Alessandra Ferri, nel 1998.

Divenuto coreografo affermato in tutta Europa, nel 1980 Forsythe decide di lasciare la Compagna di Balletto di Stoccarda per iniziare una carriera da freelance durante la quale firma coreografie per il Munich State Opera Ballet, il Nederlands Dance Theatre, il Frankfurt Ballet, il Paris Opéra Ballet nonché per il suo “vecchio” Joffrey Ballet. La svolta professionale per Forsythe arriva nel 1984, anno in cui gli viene offerto l’incarico di direttore del Frankfurt Ballet, all’epoca sotto l’amministrazione del Teatro dell’Opera di Francoforte. Durante la ventennale direzione dell’ensemble tedesco,

stesso tempo, è, da sempre, la sua cifra stilistica.

La velocità e la destrutturazione del corpo del danzatore sono senz’altro gli aspetti più evidenti di questo suo stile, accusato, a volte, di essere troppo cerebrale e “violento”. «L’idea – afferma Forsythe – che ci sia un solo punto dal quale si promana il movimento è sorpassata. Non c’è più il centro del corpo, dell’universo, della stanza. Abbiamo decentrato l’origine degli eventi». La coreografia è una scienza, il balletto una reazione allo spazio, un’architettura. L’associazione tra danza e architettura è molto frequente in questo artista, interessato soprattutto alla comprensione del meccanismo-corpo; in un’in-

tervista rilasciata qualche anno fa a un settimanale tedesco, Forsythe affermava di voler comprendere e sentire appieno la sua colonna vertebrale, per arrivare, un giorno, a «saper muovere una sola vertebra per volta». La profondità del lavoro di questo coreografo, in altre parole, si concretizza in un’attenta, costante e incessante ricerca senza frontiere; non a caso, il coreografo ha ironicamente vagheggiato a lungo la possibilità di fondare un’Accademia dei Curiosi retta dal motto-quesito “E se?”. Durante l’ultima fase della sua vita artistica, iniziata negli ultimi anni di direzione del Frankfurt Ballet, Forsythe ha sempre più spesso portato in scena corpi in vesti quotidiane, concentrandosi sulle motivazioni intime del movimento e sulla “memoria” del corpo. Padrone assoluto della scena, di cui oltre alla coreografia, cura spesso anche la drammaturgia e il disegno delle luci, Forsythe soffre di un’idiosincrasia verso le forme compiute, immutabili. Nonostante i suoi spettacoli appaiano raffinati, e lo sono, per quanto le sue coreografie possano vantare una costruzione dal funzionamento impeccabile, e ce l’hanno, i suoi lavori mantengono tuttavia un’aura da work in progress


cultura

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Il premio alla miglior giovane compagnia va al P.A.R.T.S. di Bruxelles

E il Belgio mette le grinfie sull’argento Nella vetrina del Festival i talenti di Canada, Australia e Nuova Zelanda: in Laguna Marie Chouinard e Ros Warby Leoni della danza sono diventati due. Se dal 2006 la criniera dorata, com’è ben noto, appartiene al riconoscimento di una carriera significativa nell’ambito dell’arte di Tersicore, quella argentata, invece, a partire da questa edizione della rassegna lagunare, rappresenterà una promessa per il futuro. Da quest’anno, infatti, la Biennale Danza ha istituito un nuovo premio che affiancherà il Leone d’oro alla carriera: si tratta del Leone d’argento, dedicato ai giovani talenti in divenire e alle istituzioni che prestano loro attenzione, fornendogli spazi, opportunità e formazione.

I

Ospite della rassegna anche Lerni Ponifasio, artista originario dell’isola di Samoa che fonde cerimonie, cultura performativa e teatro

frutto della sua costante volontà di ricercare.

In una catena storica che ha visto la danza avanzare per negazioni – la Duncan con la danza libera contro l’accademismo, la Graham con la volontà di una tecnica strutturata, Cunningham con un formalismo antigrahamiano, la nouvelle danse francese contro il formalismo americano – Forsythe, invece, ha colto la possibilità di unire, andando oltre ogni “contro” e criticando esclusivamente il “come” e mai il “cosa”. Alla fine della cerimonia, sul palco del Teatro Piccolo Arsenale sarà presentato N.N.N.N., esemplare quartetto basato sulla decentralizzazione. Firmato nel 2001, N.N.N.N. sarà portato in scena da Cyril Baldy, Amancio Gonzalez, Tilman O’Donnell e Ander Zabala della Forsythe Company.

Da oggi, il neonato felino veneziano, che finora era stato appannaggio esclusivo della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che ne conta addirittura due – il Gran Premio della Giuria e il Premio Speciale per la Regia – poggia le sue nobili zampe anche sul terreno dello spettacolo dal vivo. Scommette, di volta in volta, sul futuro di questo settore, cercando di indovinare chi saranno, o dove potremo trovare, i futuri Leoni d’oro. Il primo a meritare questo riconoscimento è stato il Performing Arts Research and Training Studios (P.A.R.T.S.) di Brussels per essersi «da subito imposto in tutta Europa come centro di innovazione pedagogica – recita la motivazione del premio – con un completo e intensivo programma di studi in cui le tecniche più avanzate della danza contemporanea si coniugano con le altre discipline artistiche, in particolare il teatro e la musica. Un laboratorio sul movimento che mette al centro non solo lo sviluppo delle competenze del danzatore, ma anche la ricerca di un’identità artistica». Il P.A.R.T.S. è la scuola fondata nel 1995 dalla coreografa Anne Teresa de Keersmaeker, direttrice artistica della Compagnia Rosas, in collaborazione con il Belgian National Opera De Munt / La Monnaie; sotto la direzione della sua fondatrice, a tutt’oggi in carica, le sale del P.A.R.T.S., a cui si accede dopo una durissima selezione, hanno fornito e forniscono ancora ottimi danzatori a molte delle migliori compagnie di danza contemporanea oggi in attività, come la Trisha Brown Dance Company, la compagnia di David Zambrano, I Ballet C. de la B., Ultima Vez/Wim Vandekeybus e la Troubleyn/Jan Fabre Performing arts.

Ma la settima edizione del Festival Internazionale di Danza Contemporanea non è fatta solo di premi. Dedicato al mondo delle emozioni, sotto il titolo “Capturing emotions”, il programma di quest’anno indaga il panorama della danza contemporanea all’interno di due aree geografiche lontanissime fra loro: il Canada, da una parte, e l’Australia e la Nuova Zelanda dall’altra. E se il primo, grazie ad artisti come Marie Chouinard, è un paese ormai da tempo noto per la sua cultura nell’ambito di quest’arte, da ieri abbiamo iniziato a scoprire anche l’altro polo geografico, portato all’attenzione del pubblico dal Direttore Ismael Ivo. Il gruppo degli artisti neozelandesi e australiani è interessante e vario e porta sui palcoscenici della cittadina lagunare un mondo ancora pressoché sconosciuto al pubblico italiano. Molti di questi artisti si sono formati in Europa e Stati Uniti; alcuni sono già passati, senza troppo clamore, per il nostro Paese e per la Biennale, mentre altri arrivano in Italia per la prima volta quest’anno. Tra questi ci sono lo Splintergroup (45/06), giovane collettivo di artisti di stanza a Brisbane, e Ros Warby (3-4/06), danzatrice e coreografa di formazione classica che da vent’anni propone lavori solistici di estrema originalità. Già ospite alla Biennale, invece, Lerni Ponifasio, scoperto ad Adelaide dall’allora Direttore del Settore Teatro Peter Sellars che lo invitò nel 2003; originario dell’isola di Samoa, Ponifasio nel suo lavoro attinge alle culture aborigene del Pacifico; fondendo cerimonie, cultura performativa, danza e teatro contemporaneo, questo artista crea all’interno delle sue opere, difficilmente definibili secondo i criteri occidentali, un linguaggio fatto di simboli legati al presente che le contraddistinguono per il forte impegno civile.

Nella foto grande, il coreografo statunitense William Forsythe, scelto quest’anno alla Biennale per il Leone d’oro alla carriera. A destra, uno spettacolo di P.A.R.T.S. compagnia belga che si è aggiudicata il Leone d’argento come proposta più promettente della rassegna lagunare

La prossima settimana, infine, sono in programma le due prime assolute di Cristina Caprioli, con Cuts-out & trees (9-10/06) e Virgilio Sieni, con Tristi tropici (10-11/06). I due lavori sono i primi risultati di ENPARTS, un progetto dedicato alla produzione e alla diffusione della cultura dello spettacolo dal vivo sostenuto dal Programma cultura della Commissione europea e avviato dalla Biennale di Venezia in collaborazione con altre importan(d.d.m) ti istituzioni europee.


cultura

pagina 20 • 4 giugno 2010

hiamare italoamericani quegli italiani che risiedono o sono nati in America da famiglie provenienti dal nostro Paese non è più corretto. Si dovranno chiamare italiani d’America o americani di origine italiana, o meglio ancora italiani/americani come suggerisce Anthony Tamburri, professore ordinario di italianistica e letteratura comparata e preside del John Calandra Italian American Institute del Queens College della Cuny (City University of New York).

sponde a uno stereotipo e alla rappresentazione del vecchio italoamericano, quello emigrato, e dunque povero e nella maggior parte dei casi senza alcuna istruzione. Non dimentichiamo che gli emigrati italiani negli Stati Uniti, come ricorda anche Tamburri, nel XIX secolo furono considerati gente di colore, colored, e come tali anche linciati come accadde a New Orleans nel 1891. Inoltre epiteti razziali dispregiativi erano diretti verso gli emigrati di origine italiana e comprendevano espressioni come without papers nel doppio senso di senza documenti e analfabeta o until the day goes, cioè, a giornata, riferito all’assunzione giornaliera di lavoratori senza nessuna garanzia per il domani.

C

Nel suo nuovo libro Una semiotica dell’etnicità. Nuove segnalazioni per una scrittura italiano/americana, pubblicato da Franco Cesati Editore, l’autore, che ormai da anni si dedica a questo settore di studio con particolare attenzione alla letteratura e al cinema, rielaborando alcune tesi precedenti ce ne spiega il perché. Il suo sguardo, che già in passato si era concentrato su quelle che vengono definite identità col (hyphenated trattino, identities), vale a dire quelle la cui esistenza si basa sull’unione, attraverso il trattino appunto, tra il Paese di origine e quello acquisito (italo-americano, afro-americano, indiano-americano etc...) si era soffermato con particolare attenzione sulla formazione dell’identità di origine italiana in America. A questo proposito già nel 1991 Tamburri scrisse un piccolo pamphlet, To Hyphenate or Not to Hyphenate. In quel saggio l’autore, eliminando il trattino (hyphen-) in quanto espressione di una cultura dominante avversa ad accogliere i nuovi arrivati a cui impone una gerarchia di prevalenza del Paese di arrivo su quello di origine lo sostituì con uno slash /. Compiendo quindi una sorta di ribaltamento del trattino a 45°, affermò che quel punto di osservazione permetteva di comprendere che tutte le forme di dualismo sviluppano una sorta di intimità interstiziale e di contiguità, il cui legame e la cui temporalità in between costituisce il luogo delle narrative etniche. Applicando questo principio all’analisi della diaspora degli italiani d’America, la costruzione dell’identità italiana/americana evidenzia l’impossibilità di essere decifrata sotto una prospettiva monolitica. Il libro, che è diviso in tre parti, si pone inizialmente l’obiettivo di analizzare la ricezione degli studi sugli americani di origine italiana sia in Italia che negli Stati Uniti. Purtroppo l’autore conclude che all’oggi la situazione non è affatto rosea, venata di pregiudizi e stereotipi presenti da ambedue le sponde dell’Oceano anche se appare leggermente migliore negli Stati. Il capitolo principa-

Libri. Una brillante e controcorrente analisi del professor Anthony Tamburri

Esistono ancora gli italo-americani? di Anna Camaiti Hostert le della prima sezione del volume offre una tassonomia alternativa di come sia possibile reinterrogare lo scrittore italiano/americano oggi.Tra gli autori presi in esame nei capitoli successivi la scrittura “espressiva” di Tony Ardizzone, quella “comparativa” di Helen Baroli-

ture etniche e del loro rapporto con la cultura dominante richiamando l’attenzione sul discorso teorico postcoloniale. Le sue conclusioni in direzione della creazione di studi culturali sugli italiani d’America si fondano sulla convinzione che le differenze tra i diversi gruppi

Secondo l’esperto, oggi sarebbe più corretto chiamarli italiani d’America o americani di origine italiana. Il “trait d’union”, oramai, «non unisce più»

Aopra, Anthony Tamburri, professore di italianistica e letteratura comparata e preside del John Calandra Italian American Institute. In alto, un disegno di Michelangelo Pace

ni e quella “sintetica” di Giose Rimanelli. La terza parte del libro offre una serie di opzioni alternative atte a sprovincializzare lo studio dello scrittore italiano/americano nei termini di un dibattito multiculturale condotto attraverso i cultural studies, un settore e un’ottica non ancora approfonditi nei confronti degli studi italiani/ americani. Nel fare ciò Tamburri affronta il tema delle lettera-

subalterni dovrebbero essere analizzate attraverso la lente esplorativa e comparata degli studi culturali in un movimento che si colloca dentro e fuori la comunità italoamericana. A questo proposito particolarmente interessante è la precisazione dell’autore di come spesso gli italiani che risiedono in America amino definirsi italiani all’estero, e non italiani/ americani, perché questo corri-

E quindi il rifiuto a identificarsi come italiani/americani implica il non dare alcuna importanza alla sofferenza di coloro che hanno dovuto abbandonare il proprio Paese per andare in un altro dove hanno dovuto subire ostilità e discriminazioni. Come afferma Tamburri, è come se si volessero rendere invisibili due volte, una prima volta perché rifiutati dal proprio Paese di origine e una seconda perché rifiutati da quegli stessi concittadini che negli Stati Uniti per lavori più “nobili” non vogliono avere niente a che fare con gli emigranti. E pertanto Tamburri polemizza con coloro che stando in Italia hanno liquidato come terminologia senza alcuna importanza il problema del trattino. Questo infatti comporta un punto di vista molto limitato nei confronti di un’analisi che ignora oltretutto la nuova situazione che si sta creando in Italia e propone una sorta di irreale universalizzazione essenzialista in cui “tutte le vacche sono nere”. Così infatti non è più possibile distinguere l’epopea specifica dell’emigrazione che caratterizza gli studi italiani americani da quella, ad esempio, degli approdi, durante i secoli passati, degli esploratori sulle coste americane. Perché quella è un’altra cosa. «Ci si augura scrive Tamburri - che tale atteggiamento si sia già trasformato in un altro più sensibile ad un discorso teorico sull’argomento… Inoltre tale diffidenza palesa anche una mancanza di studi approfonditi nel settore dei cultural studies, e in particolare nel campo di quelli dedicati alla cultura degli italiani d’America, diffidenza culturale che in seguito si trasforma anche in una diffidenza socio-politica che per la seconda volta, dopo che il loro Paese li ha costretti ad andarsene, va a colpire gli stessi italiani d’America. Divengono invisibili per la seconda volta; e questo è profondamente ingiusto».


società

4 giugno 2010 • pagina 21

Rassegne. Torna a Roma, con la sua settima edizione, la grande kermesse dedicata agli eno-appassionati di tutta la Capitale

Tutti pazzi per il Vinòforum di Livia Belardelli

ROMA. Stessa strada, Lungotevere Maresciallo Diaz, stesso posto, i giardini della Farnesina, un anno di più, la settima edizione.Torna Vinòforum (fino al 12 giugno, per info www.vinoforum.net), appuntamento romano irrinunciabile per tutti gli eno-appassionati-edonistiviziosi che amano sorseggiare cullati dalla brezza estiva, sotto un cielo stellato (in verità poco di questi tempi…), degustando vino e perle gastronomiche a suon di jazz. Come al solito è un piacere affilare i sensi e varcare la soglia del foro del vino, pronta a zigzagare tra stand di beoni improvvisati con il piglio generalesco di chi, corso da sommelier alle spalle, sa dove andare. L’occasione, una delle tante sul calendario panciuto di quest’anno, è la presentazione del libro Champagne e Champagnes, presentato da Franco Ricci, presidente dell’Associazione Italiana Sommelier di Roma. Prima di addentrarmi nelle vie della Cittadella enoica intercetto Maurizio De Venuti che, insieme al figlio Emiliano, organizza la manifestazione e mi fa luce sulla nuova geografia sempre un po’ confusa per i non addetti ai lavori causa suddivisione per distributori - della kermesse. «L’area eventi è cambiata e la zona dedicata alla

d’approccio per i principianti con pillole del corso da sommelier, per i neofiti una via per cominciare a capire cosa vuol dire confrontarsi con vini di qualità ma anche degustazioni di nicchia con chicche per esperti che difficilmente troverebbero altrove». Athenaeum si concentra sull’abbinamento con il cibo, invitando a collocare il vino all’interno di un ambito meno tecnico e più familiare, la tavola e la sua convivialità. E a proposito di tavola una tappa obbligata è il bar à huitres di Quinzi e Gabrieli per il più classico degli abbinamenti, ostriche e champagne - anche se poi non amato da tutti, d’altronde l’abbinamento è cosa assolutamente personale ed affettiva - ma anche una puntata alla meno elegante ma altrettanto succulenta focacceria. d’Yquem. Tra le degustazioni meno blasonate non c’è che l’imbarazzo della scelta. Nel weekend l’associazione Athenaeum, alla quarta partecipazione - fatto non scontato visto che quest’anno qualcun altro (leggi Regione Lazio) si è sottratto ai giochi -, propone un giro nel Sud Italia con una verticale di Serpico della campana Feudi di San Gregorio (venerdì 4) e le eccellenze della siciliana Tasca d’Almerita (sabato 5). AIS risponde con un’incursione nelle Langhe e nel Barolo

champagne e riflettere, guidati dalle parole di Ricci sul senso della kermesse romana: cultura e qualità. «Gli assaggi non servono più a niente se non sono accompagnati dal messaggio culturale» mi dice un deciso Franco Ricci al termine della presentazione. «L’investimento va fatto nella cultura, bisogna spiegare cosa c’è dentro il bicchiere». E ancor meglio, con la naturalezza di chi racconta il vino con il “gergo di strada” Federico Quaranta del programma radiofonico Decanter interpreta così: «Dopo aver letto una parte di questo libro ho assaggiato un po’di champagne e l’ho trovato più buono, ma non rispetto a un altro ma rispetto allo stesso bicchiere che era lì prima dell’inizio del libro». Così, per imparare a bere con intelletto e non solo col palato, per raggiungere un piacere che un sorso ignorante e distratto non può dare, Vinòforum presenta diversi laboratori. C’è La scuola del vino che, mi racconta Paolo Lauciani, sommelier e docente AIS, propone «degustazioni

Oltre ai soliti appuntamenti con le migliori degustazioni internazionali, tra le curiosità c’è lo stand dedicato ai vini del Sud Africa, in occasione dei Mondiali musica è stata messa al centro di un’area più grande dove può accedere chiunque e assistere ai concerti» esordisce. È vero, tutto è più arioso e aperto, meno barriere architettoniche e una struttura più avvolgente e democratica. Per il resto poco è cambiato.Tornano il Jazz Festival e le etichette in degustazione restano 2500 circa come l’anno passato. Il prezzo invece è un po’ più alto, 16 euro dalla domenica al giovedì, 20 e 25 per venerdì e sabato. Si rinnova anche l’impegno nel sociale con il sostegno alla Fondazione sulla Fibrosi Cistica. Tra le degustazioni in calendario De Venuti cita orgoglioso nomi di fama indiscussa, come San Guido e la verticale di Sassicaia (in programma per l’8 giugno) e la degustazione di Sauternes (11 giugno) dove, tra gli altri, ci sarà il fascinoso Chateau

(domenica 6) mentre per il sabato propone una deviazione dal campo strettamente enologico per gli amanti del bere miscelato. Anche Slow Food, ospite alla manifestazione, suggerisce, attraverso un libro, una digressione nel mondo della birra artigianale (9 giugno).

Ma torniamo al vino e allo champagne. L’occasione, l’abbiamo detto, è la presentazione di un libro, una scusa per bere

Riparte a Roma l’amatissima kermesse “Vinòforum”, giunta ormai alla sua VII edizione. Fino al 12 giugno, l’appuntamento è con le migliori degustazioni di vini nazionali e internazionali (ma non solo...)

Tra le curiosità di quest’anno, spicca lo stand dedicato ai vini del Sud Africa dove è possibile sedersi a un tavolino e respirare l’aria dei Mondiali assaggiando discreti vini sudafricani e familiarizzando con una terra che ha oltre 350 anni di storia enologica ancora poco conosciuta in Italia. Infine anche quest’anno non manca l’Oleoteca. «Sull’olio si parla ancora in pochi, non gli diamo la giusta attenzione» dice Alessandro Scorsone, direttore della Casa Presidenziale e maestro di cerimonia a Palazzo Chigi, «ma è un altro mondo straordinario che ci lega alla terra ogni giorno perché ogni giorno è sulla nostra tavola». Così andare a Vinòforum, seguire un seminario o degustare un calice di vino facendo due chiacchiere con produttori, sommelier e semplici avventori può diventare davvero il modo di capire qualcosa di più su un mondo che incrociamo ogni giorno, a volte senza accorgercene quasi. E poi, sermoneggia allegro Federico Quaranta, rubando le parole a Confucio, «Per essere felici un giorno bisogna avere l’amante, per essere felici un anno bisogna farsi la moglie, per essere felici tutta la vita bisogna avere una vigna e bere il vino». Pesco anch’io da Confucio: «Accostatevi pure al vino ma non bevetelo fino all’ebbrezza». Era il VI sec a.C. E allora impariamo a bere con bocca, naso ma soprattutto cultura e intelligenza.


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE

Non è certo Ruzzante a poter dare lezioni di civiltà Da Ruzzante non prendiamo alcuna lezione di civiltà, tanto meno se preferisce ricorrere agli slogan e alle banalizzazioni del sentito dire invece che documentarsi. Non esiste in Veneto alcuna preclusione al trapianto d’organi a persone con gravi problemi psicologici o con malattie mentali. È la letteratura scientifica internazionale, sono i documenti ufficiali che suggeriscono una attenta valutazione per intervenire su queste persone, perché per loro ci sono oggettive preoccupazioni sul come gestire al meglio il post-trapianto. Se qualche passaggio tecnico avesse potuto innescare equivoci, lo chiariremo con un intervento interpretativo in stretto contatto con il Centro nazionale trapianti. Secondo la letteratura medica, occorre infatti capire se questi pazienti saranno in grado di seguire le complicate terapie post intervento; se hanno o no una famiglia che li può assistere; se i comportamenti legati alla loro condizione potranno nuocere al buon esito del trapianto nel tempo; se sono necessari e possibili interventi di tipo assistenziale. Il trapianto non è un’aspirina, né è un intervento per il quale è sufficiente che sia “tecnicamente riuscito”, ma serve a salvare una vita umana e a renderla di qualità sufficiente a consentire un’esistenza normale.

Luca Coletto, assessore alla sanità del Veneto

LA QUALITÀ DEI NOSTRI PRODOTTI TIPICI E L’AGROALIMENTARE ITALIANO La stupidità non ha limiti e, se potesse essere un’aggravante, coloro che oggi hanno compiuto il reato di piantare semi Ogm contro le nostre leggi dovrebbero per questo vedersi accresciuta la pena. Non esistono i reati “dimostrativi”, ma reati e incitamento a delinquere. Sono decisamente arrabbiato per il gesto “sconsiderato”di chi ha volutamente violato la legge piantando alcuni semi geneticamente modificati. La maggiore responsabilità di questi incoscienti è quella di avere deliberatamente messo a repentaglio la fama e il buon nome dei prodotti del Nord Est e italiani. Credo che tutti dovremmo costituirci parte civile nei loro confronti per il danno economico e d’immagine che hanno arrecato alla buona e straordinaria agricoltura

degli imprenditori che fanno con fatica e coscienza il loro lavoro.

Manzato

Il silenzio degli innocenti La pastorizia, in Scozia, ha una lunga storia. E non tutta piacevole. Molti dei pascoli delle Western Highlands (nella foto) furono creati sul finire dell’800, quando i ricchi possidenti terrieri - in cerca di maggiori profitti sfrattarono brutalmente i loro affittuari per trasformare le fattorie in pascoli

INTERCETTAZIONI: LA BAGARRE POLITICA NON RISOLVE LA CRISI DELLE IMPRESE Se non verrà risolta al più presto la questione del debito che il ministero della Giustizia ha nei confronti delle imprese che attualmente realizzano le intercettazioni, molte di esse si troveranno costrette a cessare la propria attività, e quindi a sospendere il proprio prezioso servizio a supporto delle investigazioni, con prevedibili ripercussioni sia sull’occupazione sia sulla lotta alla criminalità. Non sarà necessario quindi che gli schieramenti di maggioranza e opposizione si scontrino sull’emendamento relativo alla norma transitoria che applica la legge anche ai

procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della stessa, perché molte aziende non saranno in grado di sostenere i costi di gestione delle intercettazioni. Abbiamo più volte richiesto l’intervento del ministero, e non solo per risolvere la questione economica, ma ad oggi la situazione è rimasta invariata, nonostante le numerose proposte che I.l.i.i.a ha presentato nel corso dell’ultimo anno. La transazione dello scorso anno proposta dal ministero ha solo dato temporaneamente ossigeno alle imprese tant’è che il debito, sceso a 350 milioni dopo un anno,

L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

è risalito a 500 milioni come confermato dal ministro Alfano.

Walter Nicolotti, presidente di Ilia

L’ASL E LA DOLCE CAGNOLONA Due mesi fa una dolce cagnolona di quartiere, rea di avere accidentalmente morso una ragazza di passaggio, è stata catturata da due accalappiacani della Asl veterinaria di Pescara, che ne hanno subito provocato la morte. Speriamo che tragedie come queste non debbano mai ripetersi.

Blocco animalista

da ”Today’s Zaman” del 03/06/10

Ultime chanche per l’atomo sciita e potenze mondiali dovrebbero prendere in considerazione la nuova bozza di proposta per la vicenda nucleare e iraniana. Lo scambio di combustibile atomico con il materiale fissile già prodotto da Teheran. Lo affermano un gruppo di esperti indipendenti che martedì hanno rilasciato una dichiarazione ufficiale. Tra i nove esperti c’è anche l’ex ispettore agli armamenti David Kay, il già sottosegretario di Stato, Tom Pickering e due altri esperti d’armi, Jeffrey Lewis e Daryl Kimball che sostengono che la proposta andrebbe presa seriamente in considerazione. Il mese scorso Turchia e Brasile avevano riesumato una parte della vecchia proposta Onu che chiedeva la consegna dei 1.200 chilogrammi di materiale fissile a basso arricchimento – in possesso degli iraniani – in cambio del combustibile per far funzionare un reattore per ricerche mediche. Il piano originale delle Nazioni Unite, appoggiato da Stati Uniti, Russia e Francia era considerato un mezzo per abbassare la tensione internazionale. Si pensava di portare fuori dall’Iran la quantità di uranio ritenuta sufficiente per costruire una prima testata nucleare se arricchita ulteriormente. Oggi i Paesi occidentali non sono sicuri dell’utilità della nuova proposta, che arriva ben otto mesi dopo la prima transazione. Washington è convinta che la nuova iniziativa sia solo un tentativo del regime sciita di allentare la pressione internazionale ed evitare nuove sanzioni contro il proprio programma atomico che Teheran sostiene sia ad esclusivo uso civile. Un gruppo di esperti, martedì, ha però affermato che il piano non dovrebbe essere accantona-

L

to. Gli esperti vorrebbero che il gruppo di Vienna (Usa, Francia, Russia e Aiea) valutasse i termini della proposta e la perseguisse considerandola un’apertura per un nuovo processo diplomatico. Insomma, un primo passo per riaprire il dialogo con Teheran su un argomento così importante e delicato.

La dichiarazione è stata resa nota da un gruppo di pressione che ha base in America. Il National Iranian American Council (Niac) è un think tank con sede a Washington, sostenuto dagli iraniani che risiedono negli Usa e da molte fondazioni. Gli esperti del settore nucleare che hanno appoggiato la nuova trattativa sono tecnici indipendenti che lavorano anche per altri “pensatoi”negli Stati Uniti. Sono consapevoli che i contenuti dell’iniziativa non rispondano ai molti timori dei Paesi occidentali: come lo stop al piano di arricchimento dell’uranio, al suo stoccaggio e alla ne-

cessità per Teheran di collaborare con l’Aiea permettendo il lavoro degli ispettori. Ma l’approvazione del piano potrebbe portare alla riapertura di una più ampia trattativa diplomatica. «L’accettazione iraniana di portare per un anno fuori dai propri confini una grossa fetta del combustibile nucleare è un fatto da prendere in considerazione» ha affermato il gruppo di esperti supportato dal Niac, sottolineando come gli iraniani abbiano fatto un paso in avanti rispetto al passato, accettando i termini di questo nuovo accordo. In precedenza Teheran avrebbe voluto che lo scambio avvenisse contestualmente e sul proprio territorio. Il gruppo di tecnici ha anche sottolineato come il nuovo piano sia fortemente appoggiato dalla politica sciita e che quindi abbia meno possibilità di arenarsi sugli scogli della diplomazia internazionale. Per onore di cronaca ricordiamo che secondo l’Agenzia Onu un nuovo passo verso l’arricchimento dell’uranio permetterebbe, considerata la quantità già stoccata, la produzione di due ordigni nucleari. Quanto basta per spingere l’amministrazione Obama a mettere a punto un quarto giro di sanzioni economico contro l’Iran. Il documento riservato dell’Aiea, reso noto recentemente, rivela che l’Iran ha prodotto almeno 5,7 chili di uranio arricchito al 20 per cento fino all’inizio di aprile e rivela inoltre che la Repubblica islamica ha accumulato finora 2.427 chili di uranio debolmente arricchito. Si tratta del doppio della quantità che Teheran è disposta a trasferire in Turchia per un ulteriore arricchimento nell’ambito dell’intesa raggiunta anche col Brasile.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog

dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

O scriverò una grande opera o non ne scriverò nessuna

INSEDIATO IL COMITATO DEI GARANTI VERSO IL PARTITO DELLA NAZIONE In vista della nascita del nuovo Partito della Nazione, e in linea con quanto definito nel seminario di Todi, si è insediato nella sede dell’Udc di Roma, il Comitato dei Garanti del processo di adesione al nuovo soggetto politico aperto a movimenti, associazioni, liste civiche e singole persone, presieduto dal portavoce nazionale dell’Udc, Antonio De Poli. Fanno parte del Comitato dei Garanti: Mauro Libè, Renzo Lusetti, Vincenzo Inverso, Roberto De Masi, Saverio Romano, Mario Tassone, Gian Guido Folloni, Luca Marconi. Intanto, sul sito ufficiale dell´Unione di centro (www.udc-italia.it) continua il concorso di idee per definire il nome e il simbolo del nuovo soggetto politico. Roberta De Marco

Mio carissimo padre, ora farò del mio meglio per tirare avanti con gli scolari e guadagnare quanto più possibile. Ma lo faccio nella dolce speranza che avvenga presto un cambiamento: non smetto di desiderarlo; devo anzi confessare che sarei lieto di potermi liberare da simili necessità. Perché qui dare lezioni non è per nulla divertente, è una bella fatica, e se non se ne prendono molte non si guadagna molto. Non deve pensare che sia una questione di pigrizia, no! Lei sa che io vivo immerso nella musica e me ne occupo tutto il giorno, che mi piace meditare, studiare, riflettere. Ma ora tutto questo mi è impedito dalla vita di qui. Certo avrò qualche ora libera, ma questo tempo limitato mi servirà più per riposarmi che per lavorare. Dell’opera le ho già fatto cenno nella mia ultima lettera. Non posso fare diversamente: o scriverò una grande opera o non ne scriverò nessuna; se ne componessi una piccola, guadagnerei poco, giacché qui esiste una tariffa per tutto. Se poi avesse la sventura di non piacere a questi stupidi francesi, sarebbe finita; non potrei più comporre opere, ne avrei ricavato ben poco e per il mio onore sarebbe stato un danno. Se scrivessi una grande opera mi pagherebbero meglio, sarei sul mio terreno, il che mi farebbe piacere, e avrei maggiori speranze di essere applaudito, poiché in un grande lavoro esistono maggiori possibilità di farsi onore. Wolfgang Amadeus Mozart al padre

LE VERITÀ NASCOSTE

Trapianti e Ogm? Vengono dal 1600 LONDRA. Possono sembrare meraviglie della scienza moderna, ma i trapianti d’organo, la tecnologia satellitare e la chirurgia estetica si trovavano già nelle intuizioni di uno scienziato del diciassettesimo mo secolo, Robert Boyle, chimico e fisico irlandese. Più di 350 anni fa Boyle infatti scrisse una sorta di lista di desideri relativa ai traguardi che un giorno la scienza avrebbe potuto raggiungere. In un’epoca in cui Isaac Newton teorizzava la gravità, Boyle aveva previsto molte delle rivoluzioni scientifiche che si sarebbero realizzate nei quattro secoli successivi. La sua lista includeva sviluppi che agli occhi dei contemporanei sembravano sproloqui: dal trasporto aereo all’invenzione degli antidolorifici. Una per una, le sue 24 “aspirazioni” si sono tradotte in realtà, comprese la produzione delle colture geneticamente modificate e l’arrivo del caffè. In cima alle sue aspettative lo scienziato aveva collocato un problema che evidentemente aveva particolarmente a cuore: il prolungamento della vita. Se si pensa che la vita media all’inizio del Seicento non andava oltre ai 40 anni si comprende quanta strada sia stata percorsa da allora. Boyle nel 1660 fu tra i fondatori della Royal Society, l’accademia nazionale inglese delle scienze. Jonathan Ashmore, membro della prestigiosa accademia, ha commentato: «Le predizioni di Boyle sul futuro della scienza sono davvero notevoli». D’altra parte, il mondo della scienza è piena di celebri “visionari” che hanno tratteggiato il mondo che poi sarebbe venuto. Alla luce della scoperta di Boyle non si può non pensare agli schizzi di Leonardo da Vinci, che di fatto ha messo su carta qualche secolo prima l’avvento dell’elicottero, del paracadute e degli orologi a molla.

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

RIMBOCCHIAMOCI LE MANICHE E RISOLLEVIAMO IL PAESE Non c’è più tempo per stare a guardare il lento declino di un Paese come il nostro. È indispensabile rimboccarsi le maniche e darsi da fare, senza credere ai facili ottimismi di governanti che pensano che sia sufficiente tagliare qua e là la spesa pubblica. Mantenendo inalterati il grosso dei privilegi. Dall’altra parte, poi, il carro cattocomunista propone un vero e proprio ricatto di Stato nei confronti delle aziende: tasse zero per i primi due anni se assumono a tempo indeterminato. Diciamolo subito: i tagli che sta attuando il ministro Tremonti alla spesa pubblica sono necessari. Il problema è, semmai, che sono pochi. È ridicolo tagliare del solo 10% lo stipendio di manager pubblici e politici. Andrebbero tagliati almeno del 30% ed estesi a presidenti, assessori e consiglieri regionali. E poi c’è il discorso dell’abolizione delle Province. C’è anche il discorso dei comuni inferiori a 20.000 abitanti che costano e andrebbero accorpati. E poi è possibile che vi siano regioni in Italia che spendono e spandono sulla sanità senza rendere conto a nessuno? E dei “progettini comunali” socialmente inutili o, meglio, utili ai soliti noti, vogliamo parlarne? Una volta introdotti seri e drastici tagli alla spesa pubblica improduttiva allora si può pensare a ridurre il carico fiscale a due, massimo tre aliquote e ad innalzare la soglia della no tax area. Riducendo così le imposte, l’hanno dimostrato gli anni di Reagan e della Thatcher e noti esperti economici come Oscar Giannino, si amplia ben presto la base imponibile. E l’evasione si riduce automaticamente.

Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci,

Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,

Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)

Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Collaboratori

VENERDÌ 11 - ORE 11 - ROMA - PALAZZO FERRAJOLI

Consiglio Nazionale Circoli liberal “Verso il Partito della Nazione” SABATO 12 - ORE 10 - PALERMO - VILLA IGEA HILTON

Convegno Circoli liberal Palermo. “Dal Bipolarismo imperfetto a una politica per il futuro”. Conclude i lavori il Presidente Ferdinando Adornato LUNEDÌ 21 - ORE 17,30 - ROMA CAMERA DEI DEPUTATI - SALA DELLA MERCEDE

In occasione dell’uscita del libro “Ho visto morire il Comunismo” di Renzo Foa, ne discutono Ferdinando Adornato, Rino Fisichella, Stefano Folli, Claudio Petruccioli. SEGRETARIO

VINCENZO INVERSO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

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ULTIMAPAGINA Guerre stellari. Partita l’operazione coordinata dall’Agenzia spaziale europea che emula il viaggio del 2040 sul Pianeta Rosso

Mosca lancia i “comunisti” di Francesco Lo Dico uando a mezzogiorno di ieri, il portellone si è richiuso dietro le loro spalle, i sei cosmonauti partiti alla ventura dell’universo hanno infranto il proprio involucro temporale. Non lasceranno mai davvero la Terra, nei prossimi 520 giorni, ma gli uomini capitanati dall’ingegnere russo Alexei Sitev, non potranno fare a meno di credere di essere stati inghiottiti dalle pagine di Kim Stanley Robinson. Alla genesi della Trilogia di Marte, fra trent’anni, potremmo aggiungere loro. Prima ancora del romanzo utopico, del fantasy distopico e di quell’altro utopico. Prima ancora di tante fole galattiche e spaziali baggianate, nel recinto del dio Ares, loro potrebbero averci camminato sul serio. Perché forse fra trent’anni, ci ricorderemo di loro come dei primi che visitarono il Pianeta Rosso. Senza esserci mai stati in senso tecnico.

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Alla periferia di Mosca, in un’area spaziale che la fantasia vuole come uno spettrale capannone nascosto nella steppa, il già citato Sitev, i due medici russi Sukhrob Kamolov e Alexander Smoleevski, il francese Romain Charles e il cinese Yue Wang, hanno dato ieri il via alla più lunga simulazione di volo mai tentata. Ma a bordo dell’avveniristica navicella che li ospiterà per un anno e mezzo, ci sarà anche l’italiano (e un po’ latino, diciamo la verità) Diego Urbina. Ventisei anni, nato a Bogotà da padre colombiano e madre italiana, dal 2002 vive a Torino. «Meno male che non la fidanzata...», ha scherzato prima dell’inizio della missione. In missione per conto dell’uomo, i sei della task-force denominata Mars 500 vivranno in una sala di 180 metri quadri alternandosi in turni di otto ore per dormire, lavorare e svegliarsi da capo. All’interno del container, gli astronauti fingeranno di volare verso lo scalo Valles Marineris che li vedrà attraccare sul pianeta Marte tra 240 giorni. A quel punto, tre di loro simuleranno la discesa sul Pianeta rosso, e l’esplorazione delle attrazioni naturalistiche locali per circa un mese. Dopo di che, il piano prevede la ripartenza con destinazione Terra. Tutto virtuale, per carità, ma tremendamente veritiero. I nostri infatti usufruiranno di servizi minimi, non potranno vedere parenti e amici neanche in cartolina (siamo tra i 55 e i 400 milioni di chilometri dal primo ufficio postale conosciuto nella via Lattea) e la comunicazione gestita dal centro di controllo via sms, diventerà via via sempre più aleatoria man mano che il contachilometri aggiungerà zeri sul display. Come è intuibile dalle piacevolezze offerte ai sei viaggiatori, l’Istituto russo per i problemi biomedici (Ibmp) e l’Agenzia spaziale europea (Esa) conta di ricavare da Mars 500 preziose informazioni sul bioritmo dei pendolari spaziali. Si vuole indagare cioè quanto la mente riesca a tollerare la pressione e l’angustia di un viaggio così impervio, in vista del collaudo definitivo della tratta, previsto tra

trent’anni. E un’idea potranno farsela anche gli internettiani che si collegheranno in diretta con la navicella, sul sito che monitora l’iniziativa insieme all’immancabile Google : mars500main.appspot.com/ Sarà probabilmente il 2040, la data che segnerà lo sbarco su Marte. Non dovremo dunque aspettarci da Urbina e compagni, piratesche intercettazioni che ledono la privacy marziana ben oltre il limite dei 75 giorni. Per sapere la vera verità sul Pianeta rosso, sulla movida notturna e tutto il resto, bisognerà dunque attendere ancora. Più che la vita degli altri, importa insomma al momento, capire se la nostra riesce ad adattarsi a quella per

su MARTE I due medici Sukhrob Kamolov e Alexander Smoleevski, il francese Romain Charles e il cinese Yue Wang, hanno dato il via alla più lunga simulazione di volo mai tentata: a bordo c’è anche il “nostro” Diego Urbina

ipotesi osservabile tra i canali di Ares. Le ultime indicazioni della scienza, fatta la tara di strani ometti blu e improbabili snorky verde oliva, sono a tal proposito incoraggianti. Nei mesi scorsi alcuni possibili batteri fossili sono stati scoperti in due rocce di provenienza marziana, che hanno aggiunto ottimismo a quello srpizzato dall’altra pietra spaziale che nel 1996, sotto il nome poco accattivante di ALH8400, mostrò nel 1996 segnali di vita. Tutti indici di presenza d’acqua: milioni di anni fa di sicuro, oggi forse ma anche no. Sapremo, questione di tempo. Ebbene laddove c’era stato contatto con l’acqua, il SEM ha sistematicamente ritrovato tutte le possibili strutture ‘biomorfe’ che ci si dovrebbe aspettare da una intensa attività batterica.

Mancano ancora trent’anni, certo. Ma quando verrà il giorno, Sitev, Kamolov Smoleevski, Charles, Yue Wang e Diego Urbina, ce li ricorderemo come quelli che ruppero l’involucro. Quelli che vent’anni dopo, ispirarono Kim Stanley Robinson. Quelli che trent’anni prima, dissero al mondo come si stava sul Pianeta Rosso. Quelli che, con un po’ di ironia, forse battezzeremo, tra qualche tempo, «comunisti su Marte».


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