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Il futuro è come il paradiso: tutti lo esaltano ma nessuno ci vuole andare adesso

James Baldwin

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di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 17 GIUGNO 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Sempre più difficile la leadership del Cavaliere, che adesso apre a modifiche su misure anti-crisi e intercettazioni

Il governo in confusione Sulla manovra: per i rilievi delle parti sociali (non c’è crescita) e per il “niet di tutte le Regioni“. Sullo scontro con Fini: ora lo frena anche Bossi.E Berlusconi sbotta: «Quasi quasi vado in pensione» NON SOLO TAGLI

di Errico Novi

Dopo l’Antitrust Confcommercio: la manovra senza riforme non va bene

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Elogio di De Rossi, metafora di una nuova Italia

frase che sembra un lapsus: «Siamo tutti intercettati». Silvio Berlusconi evoca l’assedio. L’accerchiamento. Lo sublima nell’ossessione per il grande orecchio giudiziario che ascolta tutto e tutti. Ma basta fare un po’di filologia spicciola sul suo intervento all’assemblea di Confcommercio per intuire che il premier è afflitto da un più generale senso di oppressione, non solo da qualche Procura: è il clima che si respira attorno al suo governo a preoccuparlo.Anche perché alle critiche esterne si sommano gli smottamenti interni, da ultimi quelli causati da Bossi e Formigoni.

di Giancristiano Desiderio liel’ha detto la Marcegaglia, gliel’ha ridetto Catricalà, e ora gliel’ha arcidetto Sangalli: «È tempo di riforme, di scelte coraggiose, di libertà economica». Ma Berlusconi sembra distratto. Non sente e parla d’altro. Cosa? Intercettazioni. E se provasse a intercettare la richiesta di riforme di sistema che sale sempre più forte dal mondo delle produzioni e delle professioni? Non era proprio lui un tempo a vantarsi di essere in contatto diretto con l’Italia che lavora? Lui che ha sempre rifiutato anche solo l’idea di essere visto come un “politico di professione” e si è detto “un uomo del fare” ora che tutti gli chiedono di fare si trincera dietro quello che sembra a tutti gli effetti un alibi: «Non ho poteri».

La Nazione e la Nazionale

ROMA. A un certo punto gli scappa una

Gli scenari futuri disegnati da tre politologi

Ma reggerà l’esecutivo? «Il premier ha i numeri per resistere» - sostiene Gianfranco Pasquino ma «il governo è immobile» secondo Sofia Ventura e la crisi economica lo sta logorando,dice Paolo Pombeni: «Comunque,è finita l’era del consenso»

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PARADOSSI SINDACALI

A Pomigliano la Fiom tradisce anche se stessa

di Paola Binetti mondiali piano piano stanno assumendo un carattere sempre più penetrante nel dibattito quotidiano: giorno per giorno si commentano i risultati, si danno giudizi e si fanno previsioni, rendendo praticamente impossibile anche ai distratti e agli indifferenti starsene fuori. Più si parla di calcio, di partite, di risultati, e più si percepisce il grande valore di metafora che il calcio ha in Italia.

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di Gianfranco Polillo lla fine Pomigliano è divenuto un caso nazionale. La linea minimalista di Bersani - «spezzettare, circoscrivere, depotenziare» - non è passata. Le mille sinistre che si agitano dentro e fuori la pancia del Pd hanno dato fuoco alle polveri e trasformato la vicenda in un nuovo scontro di civiltà.

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Riccardo Paradisi e Angela Rossi • alle pagine 4 e 5

Marea nera e progetti verdi Il forte discorso di Obama sulla “green economy“ fa discutere il mondo

«Possiamo davvero aprire l’era post-petrolio» di Barack H. Obama

I MEDIA

RIPA DI MEANA

Ma ora serve una road map

Solo demagogia dal Presidente

a nostra nazione affronta una moltitudine di sfide. La nostra priorità è risollevarci e ricostruire sopra le macerie di una recessione che ha toccato le vite di quasi ogni americano. In politica estera, i nostri coraggiosi uomini e donne in uniforme stanno affrontando la lotta ad al Qaeda dovunque nel mondo. E stasera faccio ritorno da una visita sulla costa del Golfo per parlare a voi della battaglia che stiamo affrontando contro una fuga di petrolio che minaccia le nostre coste ed i nostri cittadini.

di V. Faccioli Pintozzi

di Gabriella Mecucci

Quello pronunciato due giorni fa, in quel famigerato prime time che è stato croce e delizia di decine di presidenti, è stato il primo discorso di Obama dallo Studio Ovale. Un discorso che ha diviso il Paese.

Carlo Ripa di Meana non ha dubbi: l’intervento di Obama sulla green economy è pura demagogia: «Esorta a scegliere la via delle rinnovabili, ma non accenna alla più importante e sperimentata fra queste: il nucleare».

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I QUADERNI)

• ANNO XV •

NUMERO

116 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


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Ultimo ring. Il premier soffre l’assedio e se la prende coi pm: «Siamo tutti spiati». Poi confessa: «Sogno la pensione»

Berlusconi nell’angolo

Bossi si aggiunge a Fini e scavalca Silvio sulle intercettazioni. Formigoni strappa la promessa di un “restyling” sulla manovra di Errico Novi

ROMA. A un certo punto gli scappa una frase che sembra un lapsus: «Siamo tutti intercettati». Silvio Berlusconi evoca l’assedio. L’accerchiamento. Lo sublima nell’ossessione per il grande orecchio giudiziario che ascolta tutto e tutti,persino le telefonate su Gianni Letta. Ma basta fare un po’ di filologia spicciola sul suo intervento all’assemblea di Confcommercio per intuire che il presidente del Consiglio è afflitto da un più generale senso di oppressione, non solo dalla curiosità indiscreta di qualche Procura. È il clima che si respira attorno al suo governo a preoccuparlo. Forse non è un caso se il Cavaliere si abbandona a uno sfogo così sincero davanti a un platea a lui amica come quella dei commercianti. E d’altra parte la richiesta rivoltagli da Carlo Sangalli per un intervento sulle tasse «a vantaggio di imprese e lavoratori» non fa che peggiorare il suo umore. Intanto perché si tratta di un appello assolutamente sovrapponibile a quello lanciato da Emma Marcegaglia a Santa Margherita ligure per la riforma fiscale. E poi perché il premier appare frustrato proprio dal fatto di non riuscire a evadere simili invocazioni: manca al suo gabinetto una strategia che non si esaurisca nel rigorismo inflessibile di Giulio Tremonti. E in queste condizioni accogliere gli inviti per una riforma di sistema è evidentemente impossibile.

Le voci critiche si moltiplicano. Dopo la Marcegaglia e prima dell’amico Sangalli, martedì si era levata quella non pregiudizialmente ostile di Antonio Catricalà. Anche lui impietoso nel sottolineare il ritardo dell’esecutivo sulla legge annuale per la concorrenza, ancora al palo. Anche lui, come la Marcegaglia, spietato nel colpire la maggioranza sul tema dei servizi pubblici locali da sottrarre al monopolio delle municipalizzate riconvertite dalla politica in territorio di caccia incontrastato. Con la sua relazione Catricalà ha versato altro sale su una delle principali ferite del governo, la resistenza leghista a violare l’area

Le giuste pressioni di Confindustria, Antitrust e Confcommercio

Ora il Cavaliere “intercetti” Catricalà e Sangalli di Giancristiano Desiderio liel’ha detto la Marcegaglia, gliel’ha ridetto Catricalà, e ora gliel’ha arcidetto Sangalli: «È tempo di riforme, di scelte coraggiose, di libertà economica». Ma Berlusconi sembra distratto. Non sente e parla d’altro. Cosa? Intercettazioni. E se provasse a intercettare la richiesta di riforme di sistema che sale sempre più forte dal mondo delle produzioni e delle professioni? Non era proprio lui un tempo a vantarsi di essere in contatto diretto con l’Italia che lavora? Lui che ha sempre rifiutato con orrore anche solo l’idea di essere visto come un“politico di professione” e si è detto “un uomo del fare” ora che tutti gli chiedono di fare si trincera dietro quello che sembra a tutti gli effetti un alibi: «Non ho poteri: l’unico potere che ha il presidente del Consiglio è quello di definire l’ordine del giorno dei lavori». Il presidente di Confcommercio Sangalli, dal palco dell’assemblea annuale della confederazione, ha disegnato un quadro dell’economia italiana non certo rassicurante: la crescita sarebbe talmente modesta l’0,7 per l’anno in corso e forse l’1 per cento per il prossimo - da non essere percepita come crescita. E Sangalli, uomo scrupoloso e non uso alle polemiche, ha chiesto con una certa forza che si facciano scelte coraggiose perché «questo è il tempo di farle». Come a dire, ora vanno fatte quelle riforme del sistemaItalia - il fisco, il lavoro, il welfare, il sommerso - per ridare spinta all’economia generale, grande e piccola, del nostro Paese. Sangalli

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- ci si passi la battuta - non è un gallo che canta da solo. In molti, in questi giorni, dopo aver visto la manovra economica del governo, hanno detto: va bene, ma non è sufficiente. Si tagli pure, ma si stimoli in modo concreto la crescita. Emma Marcegaglia non è di certo tentata dalla politica, anche se il presidente del Consiglio in persona proprio davanti ai soci di Confindustria ha chiesto la “mano”di Emma per darle il ministero che fu di Scajola. Gli è stato detto di no. Tuttavia, se il Cavaliere voleva la Marcegaglia nel suo governo perché non fa finta che sia effettivamente un ministro dei suoi e prova a darle ascolto? Il pensiero della presidente di Confindustria è noto da tempo perché è stato manifestato più volte: lo stesso accordo fatto per la riapertura e il rilancio di Pomigliano vanno in quella direzione. «È un accordo che farà scuola» ha detto il ministro Sacconi. Bene. Benissimo. Ma forse è il caso di “fare scuola” fin da subito e di non mettere mano alla manovra-Tremonti per trasformarla in Parlamento a colpi di emendamenti - Bossi ha dato il via libera - bensì di mettere mano all’altra manovra economica che manca. Non si tratta di cambiare ciò che è stato fatto, ma di fare un altro lavoro per liberare le forze di produzione che ci sono nel corpo sociale italiano. Anche Catricalà è stato esplicito: «Servono liberalizzazioni». Ma perché il governo - governo Berlusconi - è così sordo a una filosofia di libertà che è inscritta da sempre nella sua stessa ragione sociale? Possiamo sbagliare, ma ad oggi non c’è stato alcun membro dell’esecutivo che abbia preso seriamente in considerazione di affiancare alla manovra di tagli e risparmi una manovra di riforme e strutture: perché il problema non è solo risparmiare, ma anche produrre. Questo è il tema che c’è “all’ordine del giorno” nel Paese: dal momento che il capo del governo ha almeno il potere di fissare l’ordine del giorno dei lavori in Cdm che non significa Cordero di Montezemolo ma Consiglio dei ministri - batta un colpo. Prima che sia troppo tardi.

Vanno fatte subito quelle riforme di sistema (fisco, lavoro, welfare, sommerso) per ridare spinta all’economia generale

protetta delle utilities. Altro punto, al pari del fisco, sul quale la leadership berlusconiana non è in grado di intervenire con successo.

Anche perché il Cavaliere deve fare i conti con faccende di stretta emergenza: la rivolta dei governatori innanzitutto. In un pomeriggio di vorticose consultazioni a Palazzo Grazioli, dopo essersi confessato davanti alla Confcommercio, Berlusconi si ritrova a spiegare a Renata Polverini e Roberto Formigoni che «il saldo della manovra non si tocca, è stato concordato con l’Unione europea». Ma poi si fa strappare dai presidenti di Regione l’impegno a redistribuire i sacrifici imposti sotto forma di tagli in modo «più equo». Colpisce che gli amministratori locali riescano a incidere sulle linee del governo persino più dei leader di maggioranza: poco prima della stretta di mano tra Berlusconi e Formigoni, contro quest’ultimo si erano abbattuti gli strali di Umberto Bossi. «Non esagerare», aveva tuonato il Senatùr. Il “Celeste”, come lo chiamano in Lombardia, ha la meglio anche sullo scetticismo del capo leghista. Ma non è un buon segnale, appunto. L’insofferenza della periferia infatti si somma al dissenso permanente della minoranza interna. Quella di Gianfranco Fini, ovvio. Anche lui riporta un piccolo successo, visto che il premier apre a una discussione sui tempi del ddl intercettazioni e anche su eventuali modifiche. Gli altri big convocati da Silvio a Palazzo Grazioli, da Ignazio La Russa a Gaetano Quagliariello, lasciano la riunione con le polveri un po’ bagnate: «Sì, per noi intercettazioni, università e manovra sono tutti provvedimenti di uguale importanza. Non abbiamo preclusioni rispetto al calendario, siamo disposti a discuterlo». E quando qualche cronista chiede se questa non sia appunto un’apertura sul ddl contestato dai finiani, loro si trincerano con risposte poco credibili del tipo: «La nostra apertura è solo sul calendario». Di fronte al pressing delle parti sociali, soprattutto delle imprese grandi e piccole, e di fronte al lavoro ai fianchi inflitto a colpi di indiscrezioni sulle inchieste (con Letta e Verdini di nuovo sotto tiro) sarebbe tutta un’altra cosa, per l’esecutivo, se ci fosse almeno un po’ di compattezza interna. Invece anche quella viene meno, e in modo sempre più vistoso. Lo stesso Bossi scavalca senza tanti complimenti il Cavaliere, quando decide di prendere la parola anche sul nodo intercettazioni smontando tutta la contaerea dei falchi berlusconiani: «Se c’è un emendamento non lo si butta via». È il crollo di una diga. ma è soprattutto la prova che nella maggioranza ormai domina il caos. Una confusione che rende sempre più improba una strategia difen-


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A fianco, il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, che ieri si è unito al coro di Marcegaglia e Catricalà nel chiedere al governo riforme strutturali per il Paese. In basso a sinistra, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi

«Meno tasse o la manovra non serve» Dall’assemblea di Confcommercio, la ricetta per il rilancio del Paese di Alessandro D’Amato

ROMA. La crisi ha consumato il commercio, la crescita è fragile, la pressione fiscale è troppo alta. Il presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, nel suo discorso all’assemblea, ripercorre l’anno appena passato e disegna un futuro a tinte fosche per l’Italia, se la politica continuerà a non intervenire. Come? Riducendo l’Irap, «anzi… l’Iraq, come l’hanno ribattezzata per i suoi effetti devastanti», e togliendo le Pmi dalle «riserve indiane». Comincia dall’economia, Sangalli, per dire che dopo una crisi dal consuntivo pesantissimo, «ci confrontiamo, ancora una volta, con una prospettiva di crescita lenta e fragile. Il motore dell’Italia produttiva gira ancora troppo piano e il riassorbimento della disoccupazione appare particolarmente critico». Confcommercio prevede «una crescita del Pil dello 0,7% nel 2010 e dell’1% nel 2011. Anche i consumi delle famiglie seguiranno lo stesso profilo di moderata crescita». La stima dell’ufficio studi dei commercianti è quindi più severa rispetto a quella del governo. Poi arriva il cavallo di battaglia: le tasse. «Per chi paga regolarmente tasse e contributi, la pressione fiscale complessiva ed effettiva è ben superiore al 43,2 % del Pil e può essere stimata prossima al 52%», dice Sangalli. La stima si fonda sulla considerazione che la pressione fiscale complessiva e ufficiale (43,2%) è in rapporto a un prodotto siva chiara, omogenea, da quell’accerchiamento che Berlusconi percepisce sempre più distintamente.

Tutto avviene in modo casuale, estemporaneo. Anche le aperture sulla manovra. Tanto per avere un’idea ancora più netta del disordine, bisogna aggiungere il grande lavorio in cui si applicano i gruppi parlamentari del Carroccio per correggere la ricetta tremontiana con «formule che vadano incontro alle attese degli enti locali virtuosi», come dice il senatore padano Gianvittore Vaccari:

interno lordo che «tiene conto anche di un’economia sommersa che genera un imponibile evaso nell’ordine dei 260 miliardi di euro e determina mancati introiti fiscali nell’ordine dei 110 miliardi di euro».

Per Confcommercio, dunque «la pressione fiscale non può essere ulteriormente accresciuta. Anzi, per sostenere crescita ed occupazione, essa andrà al più presto ridotta. Rafforzare l’azione di contrasto e recupero dell’evasione e dell’elusione è, anche a questi fini, essenziale. Il dividendo economico e sociale di questa azione deve infatti essere la riduzione della pressione fiscale». Il giudizio di Sangalli sulla manovra è positivo: «È necessariamente impegnativa, ma più contenuta di quelle che dovranno operare altri grandi Paesi europei». Nella sua impostazione generale, fondata sul contenimento delle spese, Confcommercio ritrova principi condivisibili, nel tempo dell’emergenza, «coerenti con quanto occorrerà continuare a fare per realizzare» la riforma strutturale fondamentale: una riforma fiscale che, incrociandosi col federalismo, consenta di ridurre le tasse. Quanto alla spesa pubblica, dice il presidente Carlo Sangalli nella relazione all’assemblea,

«non può essere più considerata una variabile indipendente: essa va strettamente controllata, ristrutturata e riqualificata, e anche ridotta». Sangalli sferza anche la politica: «L’Italia chiede a tutte le classi dirigenti vera sobrietà e una ritrovata etica civile. È un punto essenziale, perché - ha aggiunto citando lo scrittore Corrado Alvaro - “la disperazione più grave che possa impadronirsi d’una società è il dubbio che vivere rettamente sia inutile”. È un dubbio che, purtroppo si fa strada. Va assolutamente dissipato. Il Paese chiede meno divisioni e più unità. Alla vigilia dei suoi centocinquant’anni, l’Italia chiede responsabilità, sobrietà e rettitudine, unità, coraggio ed ambizione». Poi è la volta dell’orgoglio Confcommercio: «Il settore manifatturiero, oggi, contribuisce per circa il 19% alla creazione della ricchezza nazionale. I servizi di mercato vi contribuiscono per circa il 58%. I servizi di mercato, ancora, concorrono per circa il 53% alla formazione dell’occupazione», ha snocciolato Sangalli, indicando per lo sviluppo del terziario una ricetta in sette punti.

«La pressione fiscale non può essere accresciuta. Anzi, per sostenere l’occupazione, andrà presto ridotta»

proposte alternative che viaggiano in parallelo con quelle messe a punto dai finiani, e orientati in altra direzione, cioè verso un maggiore sostegno alla crescita. Berlusconi si regge a malapena al timone di una nave sempre più fuori controllo. All’assemblea di Confcommercio, appunto, si lamenta per «i 7 milioni e mezzo di italiani intercettati». E ancora per le «forche caudine» da attraversare ogni volta che lui, il leader, vuole condurre in porto un’iniziativa. «Tra il dire e il fare», è l’altra metafora, «c’è di mezzo il mare, anzi un oceano». E per

Primo: «Incentivare la concorrenza»; secondo: «Non solo “Industria 2015”, essere ancora più immediati, «qui non c’è democrazia». Ci vuole «una riforma della Costituzione», è il refrain ripetuto alla platea dei commercianti. Sembra crederci poco anche lui.

Uno dei pochi passaggi illuminati dal tipico ottimismo berlusconiano è sull’interim allo Sviluppo economico: «Ci sto prendendo gusto a fare il ministro». Sembra però più una formula consolatoria, considerati i troppi no – dalla Marcegaglia a Luca Cordero di Montezemolo – incassati sulla successione di Scajola.

ma anche “Servizi 2020”»; in altre parole, «attraverso la rimodulazione di risorse nazionali e comunitarie già disponibili, si definisca e si realizzi un piano straordinario per l’innovazione del sistema dei servizi». Terzo: tutelare identità e vivibilità dei centri urbani che rischiano la desertificazione. Quarto: raddoppiare il contributo del turismo alla formazione del Prodotto interno lordo, attestandolo al 20%. Quinto punto: «Un patto nazionale per la mobilità urbana per ridurre il costo della congestione, valutato in circa 9 miliardi all’anno». Sesto: promozione congiunta dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e della cogenerazione. Infine: costruire le reti per la crescita delle piccole e medie imprese dei servizi.

Le reazioni non hanno tardato ad arrivare: «Mi pare - ha detto la presidente della Regione Lazio Renata Polverini - che anche le associazioni economiche e sociali stanno cambiando atteggiamento sulla manovra per quello che riguarda il mancato trasferimento alle Regioni». «Ottima la relazione del presidente Carlo Sangalli, pienamente condivisibile laddove ci chiede più coraggio, per esempio nel taglio delle province e nel campo delle liberalizzazioni. Credo che su questa strada la manovra si possa migliorare», ha invece affermato Adolfo Urso, vice ministro allo Sviluppo Economico lasciando i lavori dell’Assemblea. Più fedele al vero stato d’animo del Cavaliere è invece l’altro passaggio sulle intercettazioni: «Forse il ddl sarà approvato dopo l’estate, e comunque già mi dicono che la Corte costituzionale è intenzionata a bocciarlo». Affiora chiara la rassegnazione. Sublimata in una confessione finale, anche questa non inedita ma accompagnata da un tono più pensoso del solito: «Mi verrebbe voglia di lasciar perdere e tornare a fare l’imprenditore, o di andarmene in pensione». Il ring comincia a diventare impegnativo anche per un irriducibile come Silvio.


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l’approfondimento

Incognite. Recessione, inchieste della magistratura, critiche dell’Authority e di Confindustria, dissenso interno...

Ma il governo reggerà?

Due politologi analizzano lo stato di salute dell’esecutivo. Secondo Gianfranco Pasquino il largo consenso parlamentare di cui gode il premier lo mette al riparo da cattive sorprese. Per Paolo Pombeni, invece, la crisi metterà alle corde la maggioranza di Riccardo Paradisi n Italia ”tra il dire e il fare c’è di mezzo non solo il mare, ma l’oceano – lamenta il presidente del Consiglio di fronte alla platea di Confcommercio, che lo ascolta all’Auditorium della Conciliazione di Roma. «Quando un imprenditore come me deve passare attraverso le forche caudine di così tante difficoltà – confessa il Cavaliere – alla fine pensa: “chi me lo fa fare, ritorno a fare ciò che facevo prima o vado in pensione”».

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È vero: Silvio Berlusconi, che torna a criticare le lungaggini del sistema politico italiano, l’ha detto tante volte che avrebbe voglia di mollare tutto, che la politica con le sue pastoie, non lo merita. Ma l’impressione è che stavolta ci sia qualcosa di più dell’insofferenza dell’uomo del fare per i lacci e i lacciuoli della burocrazia. L’impressione stavolta è che lo sfogo del premier derivi dalla percezione di un assedio. Dell’assedio a cui il suo governo, la sua maggioranza è sottoposto. Le polemiche dell’authority, le

inchieste giudiziarie che sfiorano, colpiscono o coinvolgono indirettamente, i vertici della maggioranza, la crisi economica e la manovra controversa del ministro Tremonti, la guerriglia interna al Pdl degli uomini vicini al presidente della Camera che tornano a promettere di far vedere i sorci verdi al premier. Un rovello questo per Berlusconi, anche perché confessa lui stesso di temere che «Se il ddl intercettazioni dovesse diventare legge, alcuni pm della sinistra farebbero ricorso alla Corte costituzionale e, secondo quanto mi dicono, il provvedimento verrebbe abrogato». È per questo dunque che Berlusconi tenta di rompere l’accerchiamento rilanciando come sempre sulle riforme e in particolare sulla riforma della Costituzione: «Bisogna riformare la nostra Costituzione

per renderla adatta alle esigenze di un Paese moderno che vive dentro una globalizzazione totale e deve avere gli strumenti per poter intervenire con efficacia e tempestività in tutte le situazioni». Il Cavaliere vuole più potere, è stanco di mediare, ha bisogno di avere gli strumenti per fare le cose: tanto più che quanto fatto “anche se con molta fatica” dal suo governo è «apprezzato dalla gente, infatti l’esecutivo ha un gradimento vicino al 50%, quello del presidente del Consiglio è addirittura oltre il 60%, mentre tutti gli

Le inchieste dureranno molto a lungo, e l’Italia non reagisce...

altri presidenti europei sono sotto il 30%». Ma bastano gli indici di gradimento per navigare nei prossimi tre anni di legislatura? Può reggere una maggioranza che imbarca acqua ad ogni burrasca? Malgrado tutto si, secondo Gianfranco Pasquino, professore di Scienza politica all’Università di Bologna.

Questione di numeri e di forza. «Il Pdl ha una maggioranza cospicua sia al Senato che alla Camera. Dissenso interno che vuole rimanere in maggioranza e non ha nessuna seria intenzione di spingersi oltre il livello di guardia, un dissenso che si manifesta sull Ddl ma spesso sulle dichiarazioni avventate di Berlusconi e Cicchitto. La maggioranza dunque durerà fino al 2013. Anche perché l’unico che scuote seriamente la

barca è lo stesso. La legge sulle intercettazioni che il premier sembra volere a tutti i costi, è superflua, sbagliata, inapplicabile e probabilmente incostituzionale. Questo governo è in carica per fare politica economica, scuole, immigrazione, sicurezza. Ha ricevuto un mandato elettorale politico. Dovrebbe perseguire questi obiettivi invece di crearsi problemi da solo con queste leggi». E però le inchieste della magistratura che hanno lambito esponenti della maggioranza impensieriscono Berlusconi e il dissenso interno di Fini non è fonte di minore fastidio per il Cavaliere. «Le inchieste più che lambire ha proprio colpito alcuni uomini del presidente del Consiglio. Ma Berlusconi potrebbe risolvere il suo imbarazzo semplicemente scaricandoli. Le inchieste peraltro dureranno a lungo e non mi sembra che l’Italia sia così reattiva di fronte alla corruzione politica. Per quanto riguarda Fini potrà essere un fastidio per il Cavaliere ma insomma dove va se dovesse lasciare il Pdl come qualcuno dei suoi ha minaccia-


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Colloquio con l’analista ed editorialista del web magazine della fondazione “Farefuturo”

«Il Cavaliere ormai è stanco, il rischio è l’immobilismo»

Sofia Ventura: «Non si può parlare di un vero e proprio accerchiamento, certo è che ora servirebbe davvero un energico colpo di reni» di Angela Rossi

ROMA. Politologa, docente presso l’Università di Bologna, editorialista della rivista online di Farefuturo e del quotidiano Secolo d’Italia, Sofia Ventura, non vede una reale alternativa all’attuale governo Berlusconi, seppure in crisi, attaccato su più fronti e alle prese con una leadership che appare oramai stanca. Oggi il governo vive una situazione complicata soprattutto per una nutrita schiera di interlocutori critici nei suoi confronti. Confindustria chiede di accelerare sulle riforme mentre il governo pare non essere in grado di farlo; due giorni fa Antonio Catricalà ha ricordato che il Paese ha bisogno di procedere in fretta in settori come il mercato aperto, la concorrenza e la competitività; a tutto questo si aggiungono le difficoltà sulla legge che riguarda le intercettazioni, l’emergere degli scandali della

grandi progetti. C’è una classe dirigente immobile, una fase di stallo pericolosa che può voler dire declino. Finora non si è verificata da parte del governo una sorta di arrogante autosufficienza, una specie di sindrome dell’uno contro tutti? Forse sì, e questo è un po’ nel Dna di Berlusconi e quindi nella forza politica che si è creata attorno a lui. Un imprenditore sceso in politica: un’idea che passa la mediazione, e cioè la convinzione che “io so cosa fare e se non ci riesco la colpa è di qualcun altro”. Certo, Berlusconi sconta anche l’ostilità di certi settori, ostilità anche preconcetta e tutto sommato anche dell’opposizione e di parte del centrodestra. D’altra parte i problemi che Berlusconi pone sono seri, come quello della Magistratura, una corporazione che vuole difendere i propri privilegi. Ci sono pro-

sacrifici, la ricerca e l’ampliamento dei propri consensi non dovrebbe essere una strada obbligata? Sicuramente sì, dovrebbe essere l’abc di ogni governo, avere una buona comunicazione che convinca gli Italiani. È stata invece più forte la comunicazione dell’opposizione e delle altre forze. Da parte del governo non si è avuta una narrazione convincente. Forse troppa sicurezza. Che percorso avrà questo governo? Resisterà, procederà con affanno, si trasformerà? Se non si trasforma procederà con affanno. Il rischio è che le riforme non si facciano. Se il governo attuasse anche solo la separazione delle carriere dei magistrati meriterebbe di essere lodato solo per questo. E proprio questo mi chiedo. Se saprà resistere allo scontro con la magistratura che si compatterà. Se tutto resta com’è ci saranno grandi difficoltà ma all’orizzonte non ci sono grandi novità. Certo Casini fa un’oppo-

«Il governo non ha avuto il coraggio di lanciarsi in una riforma liberale. E si è rinchiuso in una posizione difensiva anche sul piano economico» cosiddetta “cricca”. Un quadro per niente rassicurante. A suo giudizio, può il governo uscire indenne da questo accerchiamento? Secondo me non si tratta di uscire dall’accerchiamento perché la situazione interna è in una fase di stallo per mancanza di alternativa. Il rischio peggiore è proprio che non accada nulla di sostanziale. Cambiamento che forse non vuole nemmeno l’opposizione, incapace di gestire eventuali elezioni anticipate. Forse il governo non ha avuto il coraggio di lanciarsi in una riforma liberale, si è rinchiuso in una posizione difensiva anche sul piano economico. Anche con la manovra in atto non ci sono grandi prospettive oltre alla difesa e ai conti in ordine. Non essendoci alternative serie, il rischio è che si vada avanti così per i prossimi tre anni. Nessuna forza politica è in grado di sostituirlo né esistono

blemi sui quali tutta la classe politica dovrebbe riflettere. Sulle intercettazioni ad esempio. La legge non va bene ma la Magistratura prende la strada facile delle intercettazioni e ne fa un abuso. Così non è possibile andare avanti. Il sentimento di assedio non è infondato. E se anche Berlusconi dovesse andare via non si risolverebbero certo i problemi ma avremmo solo un Paese allo sfascio. È in grado questo governo, considerata la natura della sua leadership, di trovare una composizione pacifica al suo interno? Può questa maggioranza reinventarsi? Al momento non vedo grandi prospettive, c’è anche una seconda leadership che pesa e crea qualche fastidio a Berlusconi, quella di Tremonti, però il governo si regge su questa coppia e questo rende tutto più difficile. In tempi di crisi come questo, in un momento in cui si chiedono nuovi

sizione responsabile ma non è sufficiente dirle soltanto le cose. Il problema è: con Casini quale sarebbe la vera novità? Uno spostamento al centro del governo? Ma lo spostamento va fatto verso gli elettori. Si ci sono i rumors di Montezemolo ma sono parole. Cosa vorrebbero fare? La forza delle persone perbene che sanno usare le posate a tavola? Servirebbe solo a ricreare un sistema basato sul centro che ci ha lasciato il debito pubblico più grande d’Europa. Ultima domanda. Quanto ha influito, in questa situazione di difficoltà, la crisi della leadership carismatica di Berlusconi, messa in discussione anche da Fini? Sono convinta che sia una leadership un po’ appannata anche se verso il suo elettorato Berlusconi ha un appeal molto forte, ma mi sembra stanco e ha difficoltà a imporsi. Forse ci vorrebbe un colpo di reni, non basta un predellino.

to. Fini questo lo sa benissimo e sa di aver bisogno di tempo per costruire e consolidare questa destra nuova di cui parlano i suoi. Una destra istituzionale, moderna ed europea. Questi tre anni gli serviranno per fare il predicatore di una destra diversa, più istituzionale e decente. No il governo Berlusconi non rischia».

Nemmeno la crisi economica, secondo Pasquino, dovrebbe impensierire la tenuta di questa maggioranza. «L’unico governo che rischia di essere travolto dalla crisi economica è quello di Zapatero. Nessun altro governo europeo sta cadendo sulla crisi economica e del resto Berlusconi non ha nessuna responsabilità in merito a questa crisi economica. Certo Tremonti l’affronta male la crisi, il governo fornisce una risposta tardiva, frettolosa e incompleta. Riuscirà a ridurre le spese forse ma senza rilanciare la produzione. Però per tirar giù un governo ci vuole ben altro». Per esempio? «Per esempio un’opposizione travolgente. E sfido chiunque a definire tale l’opposizione del Pd. Andiamo, nessun italiano vorrebbe Pierluigi Bersani come primo ministro». A indurre Paolo Pombeni, politologo dell’università di Bologna ed editorialista del Messaggero, a pensarla in modo diverso sono alcuni segnali che sta lanciando lo stesso Berlusconi. «La mia impressione è che stia alzando il livello polemico per un fine preciso, che è quello di andare a elezioni anticipate blindando la sua maggioranza. Una cosa non semplice da ottenere per lui. Già una volta Berlusconi s’è visto scavalcato da un governo tecnico e anche stavolta teme seriamente questa prospettiva, perché sa che di fronte a una prospettiva di elezioni incerte settori della maggioranza e la stessa Lega potrebbero mollarlo in vista di altre soluzioni». Per questo il premier mirerebbe ad arrivare a eventuali elezioni anticipate in un contesto drammatizzato. «Berlusconi però si illude che ci sia un paese che gli faccia da sponda. La crisi s’è aggravata, l’immagine del governo è usurata, la convinzione che serpeggia negli ambienti che contano è che è difficile restare in Europa con una leadership così usurata. Cosa può fare l’Italia se venisse stretta in un angolo da Sarkozy, Merkel e Cameron. La crisi che stiamo attraversando è molto profonda e Berlusconi continua a dimostrarsi incapace di fare sistema e manca ormai del carisma. Mi ricorda la parabola di Macmillan vittorioso alla fine degli anni Cinquanta in Gran Bretagna. Il suo slogan era «Non vi è mai andata così bene» ma poco dopo esce rapidamente di scena sconfitto, perchè le condizioni sociali cambiano radicalmente». In effetti oggi le cose non vanno così bene.


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pagina 6 • 17 giugno 2010

Il caso Pomigliano. Le nuove tecnologie hanno cambiato il volto della fabbrica moderna, ma il sindacato resta lo stesso

La Fiom tradisce anche se stessa I suoi punti di forza sono diventati le sue debolezze più evidenti lla fine, ed era forse inevitabile, Pomigliano è divenuto un caso nazionale. La linea minimalista di Bersani – «spezzettare, circoscrivere, depotenziare» – non è passata. Le mille sinistre che si agitano dentro e fuori la pancia del Pd hanno dato fuoco alle polveri e trasformata la vicenda in un nuovo scontro di civiltà. Il bene contro il male. La giustizia contro l’ingiustizia. La difesa della Costituzione contro i mercanti nel Tempio. Sconfitta secca, quindi, di chi cercava di gettare acqua sul fuoco ed evitare il peggio. Risultato tutt’altro che sorprendente se si considera la timidezza con cui sia il Pd, che la stessa Cgil nazionale, ha cercato di difendere le proprie posizioni. Nessuna reale presa di distanza dalle dichiarazioni più roboanti che denunciano il pericolo dell’involuzione democratica. Nessun tentativo di confutare visioni datate, da un punto di vista economico, del tutto aliene dalle tendenze reali della vita quotidiana. Non di quella cinese, ma della civile Germania: dove la crisi ha rivoltato, come un guanto, le vecchie relazioni industriali. Si è preferito invece smorzare semplicemente i toni, ma senza misurarsi realmente con il contenuto delle proposte avanzate. A partire dal referendum.

di Gianfranco Polillo

A

La Fiom lo giudica inaccettabile. Non si vota sotto ricatto: è stato più volte ribadito. E subito schiere di giuslavoristi a spiegarci quella sorta di patto leonino – l’Azienda contro masse di futuri disoccupati – che la consultazione non riesce a nascondere. Possiamo pure convenire, ma qual è, allora, la soluzione? Il referendum, seppure consultivo, è norma di chiusura. Se i sindacati sono divisi, con una forte maggioranza che approva – circa l’80 per cento, secondo le previsioni – ed una minoranza che si oppone, come se ne esce? Deve vincere la minoranza? È la codificazione di un diritto di veto che non trova ragione nella logica dei numeri, ma della tradizione e nel ruolo, tutt’altro che condiviso, svolto da ciascuna organizzazione sindacale? Domande senza risposte. Tito Boeri, fa bene a ricordarci la carenza di regole interne, nel disciplinare le relazioni sindacali all’inter-

no delle aziende. Suggerisce di votarle a tamburo battente. Missione quasi impossibile, se si considerano gli attuali impegni parlamentari e la densità, ideologica, ancor prima che politica, di questo argomento. Rimaniamo, quindi, con i piedi per terra, se vogliamo mantenere in vita lo stabilimento di Pomigliano d’Arco e dirottare, in Italia, investimenti che la Fiat, nel rispetto delle normali regole di mercato, potrebbe tranquillamente realizzare all’estero, sulla base di un legittimo criterio di convenienza.

Ma così, sostiene ad esempio Fausto Bertinotti, si violano diritti fondamentali. L’accordo sottoscritto incide su un diritto – quello di sciopero – che trova tutela nella nostra Costituzione. Anche in questo caso un’iperbole. Lo sciopero è un diritto sacrosanto, ma esso si «esercita – come recita la Carta fondamentale – nell’ambito delle leggi che lo regolano». Leggi che non sono mai state emanate. Le ragioni di questa inadempienza sono fin troppo note. La “sovranità” delle classi lavoratrici non

consentiva limitazioni di sorta. Principio che, ancora oggi, resta scritto sulle tavole delle legge, al punto che ogni eventuale intervento, nelle relazioni industriali, è rimessa all’autonomia delle parti. Ed è questo il senso più profondo dell’accordo siglato.

Naturalmente si può non essere d’accordo con le relative clausole. Si può ritenere che esse siano forcaiole, che minano alcune prerogative, che sono troppo severe o stringenti. Ma si può dire che

mento dell’economia nazionale. Ma nel saper coniugare quelle spinte all’interno di una diversa visione del processo di sviluppo. Irrigidire il mercato del lavoro significava, allora, costringere le aziende a fare investimenti, a innovare, a cercare nuove strade che non fossero quelle dello sfruttamento psicofisico dei lavoratori. La risposta non tardò a venire. Fu l’innovazione di processo che consentì a quel “made in Italy”, di cui siamo tutti orgogliosi, di far fronte alla grande competizione internazionale. Episodi irripetibili. Allora si ragionava in termini di economie chiuse e di sovranità monetaria. Se il conflitto sindacale debordava dai limiti delle compatibilità economiche e finanziarie, c’era sempre l’arma della svalutazione. L’inflazione che ne derivava diveniva lo strumento per regolare i conti interni. I salari operai, com’è avvento fino alla “marcia dei quarantamila”, negli anni Ottanta, potevano crescere ad un ritmo maggiore, rispetto a quelli degli altri ceti sociali.

che non può passare sulla testa di coloro – i lavoratori di Pomigliano – che ne subiranno le conseguenze. Chi si straccia le vesti in nome dei sacri principi violati, non ha molte frecce al proprio arco. Le ha ancor meno da un punto di vista economico. Nel nostro immaginario personale è ancora impressa la figura di Bruno Trentin. Sarà forse per gli anni, ma noi ricordiamo ancora quelle sue battaglie. La spigolosità del suo carattere. Gli scontri durissimi, in seno alla Cgil, quando era il capo indiscusso

Irrigidire il mercato del lavoro significava, negli anni Ottanta, costringere le aziende a innovare. Oggi non è più così questa procedura vulnera un principio di carattere costituzionale? E poi l’apprezzamento circa il loro contenuto effettivo non è rimesso al giudizio insindacabile dei legittimi rappresentati dei lavoratori. Gira che la rigira, si torna sempre al punto di partenza. Esiste un dissenso nelle valutazioni: esso va regolato con una procedura democratica,

della Fiom, o nel vecchio Pci. Anche allora la destra del partito non gli perdonava quella che riteneva essere una fuga in avanti. Quando si batteva sull’organizzazione del lavoro, per dare un ruolo diverso alla figura del metalmeccanico.

La sua forza non stava nelle piattaforme, sempre più avanzate rispetto al pigro anda-

Oggi, tutto questo è un ricordo del passato. Le regole sono cambiate. La manipolazione dei fondamentali – come insegna la crisi che stiamo vivendo – ad opera dei Governi nazionali trova uno spazio sempre più ristretto. E c’è chi è pronto a giurare che questo diverso orizzonte ponga una serie ipoteca sulla stessa “lotta di classe”.Vorremmo tranquillizzare tutti: il conflitto non cesserà. Ma come insegnava il vecchio Marx deve trovare logiche diverse, per evitare la guerra distruttiva di tutti contro tutti. Gli spazi ci sono. Le nuove tecnologie hanno cambiato il volto della fabbrica moderna. L’elettronica ha mandato in soffitta la vecchia catena di montaggio. Il lavoro è sempre meno parcellizzato. Le nuove tecniche, a differenza del passato, sono inclusive. Per averne un’idea basta rileggere le pagine di Antonio Gramsci su Americanismo e fordismo. Possiamo buttare a mare questo grande patrimonio culturale per cedere alle pulsioni più plebee di una sinistra che non sa leggere la realtà contemporanea? Dicevamo all’inizio che Pomigliano è un caso nazionale. Per fortuna lo è: ma per la ragioni che abbiamo appena detto.


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17 giugno 2010 • pagina 7

Tassone presenta un’interpellanza parlamentare

A Roma salta il consiglio comunale, oggi si decide

Udc: «Perché il governo non protegge Spatuzza?»

Tariffe taxi: in Campidoglio manca il numero legale

ROMA. L’Udc metterà in campo

ROMA. Il giorno in cui il Consi-

tutti gli strumenti per capire come si è arrivati alla decisione di negare la protezione al pentito di mafia Gaspare Spatuzza. Lo ha detto nell’Aula di Montecitorio il vicesegretario nazionale del partito, Mario Tassone, che ha annunciato la presentazione di un’interpellanza parlamentare sull’argomento. «Secondo molte fonti di investigazione - ha sottolineato Tassone - il pentito Spatuzza è un collaboratore di giustizia attendibile, che ha fornito elementi e indicazioni utili su una pagina delicatissima della storia dell’Italia come quella delle stragi del `92 e del `93 e della presunta trattativa tra pezzi di Stato e mafia. Non vorrei che la decisione delViminale di negargli la protezione preluda a un atteggiamento di distacco o a un tentativo di porre in oblio una vicenda circondata da molte nebbie».

glio comunale romano doveva decidere sulla delibera che riguarda gli aumenti delle tariffe dei taxi manca nuovamente nell’Aula della Protomoteca il numero legale. Una mattinata convulsa per il Consiglio capitolino, quella di ieri, che ha visto il presidente constatare per quattro volte la mancanza nei banchi della maggioranza di numerosi consiglieri. Da qui la decisione della sospensione della seduta e della convocazione per stamattina. Il sindaco Gianni Alemanno, ieri, ha avanzato una nuova proposta di riordino e adeguamento delle tariffe dei taxi. «Un pacchetto di aumenti - ha spiegato il primo cittadino , che riassume le condizioni più favorevoli che sono state fino a

«Metteremo in campo - ha concluso - tutti gli strumenti in nostro possesso, in Aula come in Commissione Antimafia, per capire come si sia arrivati a questa decisione, a meno che il governo non senta autonomamente il bisogno e il dovere di venire a spiegarlo qui in Parlamento». Dalla maggioranza, però, non arrivano troppi segnali d’apertura. Secondo il vicecapogruppo vicario del PdL al Senato, Gaeta-

Masi: «Sì ai compensi nei titoli di coda» L’audizione del direttore generale Rai in Vigilanza di Guglielmo Malagodi

ROMA. «Sono totalmente favorevole alle misure approvate dalla Commissione di Vigilanza Rai sulla trasparenza dei compensi dei conduttori. Pubblicheremo i compensi facendo però attenzione a non minare l’azienda sotto il profilo economico. Per questo ho inviato una lettera al garante dei privacy per sapere come applicare la misura sotto il profilo della concorrenza e della tutela della privacy». Lo ha detto il direttore generale della Rai, Mauro Masi, nel corso dell’audizione davanti alla Commissione di Vigilanza Rai. Il dg ha poi affrontato il capitolo dei palinsesti autunnali, che verranno presentati ad investitori ed addetti ai lavori stasera a Milano e domani a Roma. «La prossima stagione su Raidue tornerà X Factor il lunedì o il giovedì se non ci sarà Annozero, che come sapete è un tema a parte». Masi ha anche spiegato che sono ancora da definire le modalità di messa in onda dei programmi di Serena Dandini e di Roberto Saviano in coppia con Fabio Fazio: «Su Raitre - ha spiegato - spicca il programma Vieni via con me, con Saviano e Fazio i cui tempi e modi sono da concordare con il direttore di rete e con i conduttori. Per il programma della Dandini la configurazione è da definire tenendo presente la necessità di trasmettere i programmi sui 150 anni dell’unità d’Italia». Sul tema è intervenuto in serata proprio il direttore di RaiTre, Paolo Ruffini che ha assicurato la conferma delle quattro prime serate di Saviano e Fazio, spiegando che andranno in onda il mercoledì ad ottobre. «Le serate sono confermate -ha detto Ruffini - e anche il programma della Dandini proseguirà perché la seconda serata di Raitre ha funzionato bene. Ci saranno poi delle trasmissioni per valorizzare i 150 anni dell’unità d’Italia e troveremo il modo di contemperare queste esigenze». Quanto ai rapporti con l’ex direttore della rete Antonio Di Bella, Ruffini ha confermato che «con lui siamo amici, non ci sono mai stati

problemi, abbiamo le stesse idee sulla tv di qualità». Tornando a Masi, il direttore generale ha parlato di scommessa vinta, anche dal punto di vista degli ascolti per lo switch over digitale: «La Rai ha affrontato e vinto la rivoluzione digitale. Ed è una menzogna dire, come si fa in questi giorni, che lavori contro se stessa. Nel corso del 2010 il gruppo Rai ha aumentato i suoi ascolti ed ampliato il distacco da Mediaset. Raiuno si è confermata leader tra le tv generaliste aumentando il vantaggio su Canale 5 mentre Rai Due è l’unica rete in crescita ed è in vantaggio rispetto a Italia 1. La flessione di Raitre è compensata da Raiuno e Raidue». Anche la sfida della “discesa”dei canali RaiSat dalla piattaforma Sky per il dg è stata abbondantemente vinta: «Da gennaio ad aprile la Sipra, solo sui canali digitalizzati, ha raccolto più di quanto ha fatto Sky. I mancati introiti derivanti dalla vicenda Sky, ammontano a 50 milioni e sono già stati recuperati da Sipra», ha sottolineato. Infine nell’audizione si è parlato anche degli obiettivi economici del piano industriale triennale: «Senza interventi a fine 2010 l’azienda pubblica avrebbe una perdita di 200 milioni. Con il piano industriale prevediamo invece un pareggio di bilancio solo con forze interne alla Rai senza interventi sul canone.

Ruffini (RaiTre): «Confermate le quattro prime serate del programma condotto da Roberto Saviano e Fabio Fazio»

no Quagliariello. Secondo Quagliariello, «il fatto che la rigorosa e lineare applicazione della legge sui collaboratori di giustizia da parte della competente Commissione del ministero dell’Interno stia suscitando tanta sorpresa e tanta indignazione, quasi che si trattasse di un evento clamoroso e addirittura sconcertante, la dice lunga sul grado di assuefazione che anni di abusi e forzature interpretative hanno generato rispetto alla sistematica violazione delle norme». «Il ministero dell’Interno - dice ancora Quagliariello - si è limitato ad applicare una legge troppo a lungo ignorata, e il fatto che questo appaia come l’eccezione e non la regola è assai eloquente».

Nel triennio 100 milioni di euro saranno ricavati attraverso le modifiche del modello pubblicitario mentre, altri 100 milioni, proverranno dalla riduzione dei costi e dall’incremento dei ricavi», ha detto Masi. Nel dare appuntamento a domani per la seconda parte dell’audizione del dg, il presidente della Vigilanza Sergio Zavoli ha sottolineato come siano ancora tanti gli argomenti da affrontare, «non potendo oggi veder esauriti i suoi e nostri argomenti». La sua - ha detto rivolgendosi a Masi - «irrituale, lunga premessa servirà da supporto per qualsivoglia domanda le si vorrà rivolgere».

ora avanzate dai diversi rappresentanti della categoria. Le nuove tariffe fissano sempre in 1,42 euro a chilometri la tariffa progressiva per il primi cinque chilometri e in 45 euro la tariffa fissa da e verso l’aeroporto di Fiumicino». Qui si inserisce la prima novità presentata da Alemanno: un euro sarà incassato dagli autisti delle auto bianche per i bagagli di grandi dimensioni.

Nessuna novità, invece, per Ciampino e Civitavecchia dove resteranno a 35 euro e 120 euro il costo fisso previsto dalla delibera. Altra novità è l’introduzione di due nuove tariffe a pedaggio certo: una per Castello della Magliana e l’altra per Parco dei Principi (Fiera di Roma), rispettivamente a 25 e 30 euro. «Il nuovo sistema tariffario - ha spiegato Alemanno - entrerà a regime in autunno, così come previsto da un emendamento alla delibera di giunta sul complessivo comparto delle auto bianche. Ho dato mandato all’assessore Marchi di convocare i sindacati di categoria nella mattinata di domani (oggi, ndr) per raggiungere un’intesa». Insieme alle nuove tariffe, entrerà in vigore anche la nuova disciplina che prevede «un adeguato decoro nell’abbigliamento e l’obbligo di pubblicità delle tariffe sulle autovetture».


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pagina 8 • 17 giugno 2010

La protesta. Giovani, donne, anziani, rappresentanti delle istituzioni e del mondo ecclesiale ieri hanno aderito alla manifestazione organizzata dai Comitati cittadini

L’Aquila scende in piazza Sospensione delle tasse, occupazione, sostegno all’economia L’Abruzzo di nuovo in corteo per richiamare il governo di Franco Insardà

ROMA. Tantissimi giovani, adulti, donne con passeggini, ma anche molti anziani in corteo, dietro ai gonfaloni del Comune e della Provincia de L’Aquila, della regione Abruzzo e di tanti piccoli centri dell’aquilano. Il sindaco de L’Aquila, Massimo Cialente, ha sfilato con la fascia tricolore in mano, per rimarcare la sua protesta. Presenti tra gli altri il presidente della Provincia, Antonio Del Corvo, molti consiglieri regionali d’opposizione e alcuni parlamentari. A rappresentare la maggioranza di centrodestra in Regione, il consigliere Pdl Luca Ricciuti, e il capogruppo Gianfranco Giuliane. Si sono dati appuntamento alla Villa comunale de L’Aquila per il corteo organizzato dai Comitati cittadini per richiamare l’attenzione del governo sui problemi ancora aperti nel territorio colpito dal terremoto di un anno fa. Sos (Sospensione delle tasse, occupazione, sostegno all’economia) è questa la parola chiave della manifestazione alla quale hanno aderito istituzioni, politici, esponenti dell’economia e della cultura, gli stessi rappresentanti della Chiesa. Nel corteo, così come avevano chiesto gli organizzatori, solo bandiere neroverdi, simbolo della città. Al termine,

nel tendone della parrocchia di San Giovanni Battista in Pile, vicino Campo Caritas, l’Arcivescovo Molinari ha officiato una Celebrazione Eucaristica per pregare per tutta la città «perché la popolazione - si legge in una nota dell’Arcidiocesi - possa costruire insieme il proprio futuro con particolare attenzione ai giovani e ai più poveri, più deboli». Non è bastata la decisione presa martedì sera a Pa-

ancora non riparte con 32mila persone ancora assistite». Il presidente della Regione Gianni Chiodi si è dichiarato, invece, «molto soddisfatto» dalla decisione del governo e il sottosegretario Gianni Letta ha ribadito che «il governo non abbasserà mai l’attenzione nei confronti dell’Abruzzo e degli aquilani». E ieri in piazza gli aquilani hanno chiesto garanzie per i disoccupati e cassintegrati, au-

Il sindaco del capoluogo, Massimo Cialente: «La nostra mobilitazione andrà avanti: i fondi non arrivano e la ricostruzione vera della città ancora non riparte, con 32mila persone ancora assistite» lazzo Chigi di inserire un emendamento nella manovra che sospende parzialmente i tributi per le popolazioni terremotate. Massimo Cialente, in prima linea da quel 6 aprile del 2009, a nome di tutti gli aquilani ha rilanciato: «Il governo conosce bene le condizioni della nostra città, è fondamentale fare in modo che famiglie sfollate non si trovino a pagare le tasse. La nostra mobilitazione andrà avanti - ha detto comunque il sindaco - in quanto l’emergenza non riguarda solo le tasse, ma i fondi che non arrivano e il fatto che la ricostruzione vera

mentati notevolmente dopo il terremoto, e per sollecitare provvedimenti utili a far ripartire le attività economiche e procedure più snelle e mirate per la ricostruzione. Un corteo che aveva l’obiettivo di mostrare a che punto è la ricostruzione e formulare richieste al governo. Gli aquilani rivogliono la loro città, le piazze, le chiese e le scuole, persi insieme con le 307 vittime del terremoto. Gli organizzatori hanno denunciato che a oltre un anno dal sisma del 6 aprile 2009 la ricostruzione è ferma, il tessuto economico al collasso, la città e il territorio ri-

schiano lo spopolamento. Non è ancora completo il quadro normativo per la sistemazione delle case, non ci sono i soldi nemmeno per saldare le spese di emergenza già effettuate, nessuna misura è stata presa per contrastare il tracollo economico. Molti aquilani sono ancora costretti a risiedere fuori città, senza vedere nessuna prospettiva di rientro.

Sono migliaia i disoccupati, i cassintegrati, gli artigiani e i commercianti che ancora non riescono a far ripartire le loro attività (e che hanno ricevuto finora solo un modesto sussidio di 800 euro mensili per tre mesi); proprietari di immobili inagibili che dovranno riprendere il pagamento dei mutui, senza poter disporre della loro casa; prezzi alle stelle per i locali commerciali; aziende insolventi a seguito della mancata attività. In questa situazione l’istituzione della Zona Franca Urbana da parte del Cipe alleggerisce solo in parte gli effetti del problema. Sicuramente la sospensione del versamento delle tasse fino al 31 dicembre 2010 è una boccata d’ossigeno per gli autonomi che hanno un fatturato inferiore ai 200 mila euro, così come la restituzione del pregresso che non avverrà dal pri-

mo luglio 2010, come era previsto, ma dal primo gennaio del 2011 in “almeno 60 rate”. Il sindaco Cialente qualche giorno fa aveva chiesto ai direttori delle testate giornalistiche italiane di «accendere i riflettori per illuminare la città, affinché non rimanga solo l’immagine della consegna degli alloggi o delle proteste. Oggi la situazione è drammatica perché l’economia è allo stremo e non riesce a partire la vera ricostruzione». Concetti che Cialente ripete da mesi e che ha ripetuto anche a Pier Ferdinando Casini all’inizio di questa settimana. In quella occasione il leader dell’Udc ha sottolineato il lavoro fatto, ma aggiunse che «ora questi amministratori locali rischiano di non farcela se non hanno la solidarietà di tutto il popolo italiano, maggioranza e opposizione,


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dal presidente del Consiglio all’ultimo parlamentare. Il sindaco mi ha fatto vedere una città addormentata, una città che ha una ferita aperta, ci serve solidarietà da parte di tutti come nei primi momenti. Qui tutta la città è transennata, è una città morta». A più da anno dal terremoto sono ancora molte le persone che vivono fuori casa. Cinquantacinque mila secondo i dati diffusi dalla Protezione civile. Nello specifico: 14.657 usufruiscono degli appartamenti de Progetto Case, i complessi antisismici sostenibili ed ecocompatibili; 8.500 hanno preso possesso dei Map, i moduli abitativi provvisori, 4.305 alloggiano negli alberghi, sparsi sia nell’aquilano che lungo la costa, e 768 vivono negli appartamenti usati dalle delegazioni durante il G8. Infine, altri 27.316 sono sistemati provvisoriamente con “autonome sistemazioni”che ricevono un contributo mensile che può arrivare fino a 700 euro. Qualche giorno fa è stato diffuso anche uno studio dell’Associazione nazionale antimafia e usura, riabilitazione protestati e falliti, secondo il

quale a L’Aquila, nel 2008, i protesti sono stati 8.863 per un importo pari ad oltre 28 milioni e 800 mila euro; nel 2009 gli effetti sono stati 6.573 per un totale di 16 milioni e 700 mila euro. I primi dati del 2010 seguono lo stesso trend. Ma nei prossimi mesi si prevede un’escalation vertiginosa di protestati e, conseguentemente, di usurati.

Sul fronte giudiziario, infine, il lavoro dei magistrati prosegue e come ha dichiarato il procuratore della Repubblica Alfredo Rossigni: «Entro la fine dell’anno contiamo di ultimare le indagini sui crolli del terremoto, inoltre attendiamo lo svolgimento di qualche processo. Saremmo molto contenti che entro l’estate i periti terminassero il loro duro e proficuo lavoro noi li sollecitiamo sempre in tal senso». Sulla maxi inchiesta il procuratore capo ha ricordato che «le indagini iniziate subito dopo il terremoto sono andate avanti spedite, un fatto a cui pochi credevano, ma noi sì e lo abbiamo dimostrato arrivando ai processi».

Verdini, una pedina per arrivare a Letta “Corriere della Sera” e “Stampa” svelano il «patto politico» per la ricostruzione ROMA. Alla fine quello che più temeva Silvio Berlusconi è successo: dopo settimane di stillicidio, una notiziola qua, un’indiscrezione là, anche il Gran Visir di palazzo Chigi, al secolo Gianni Letta, è entrato nelle carte dell’inchiesta fiorentina sulle varie cricche degli appalti d’emergenza. Non che il sottosegretario sia indagato, per carità, ma la testimonianza resa ai magistrati aquilani l’11 giugno dall’imprenditore abruzzese Ettore Barattelli – e pubblicata ieri - tira “il dottore” dentro fatti poco piacevoli collegati alla ricostruzione del terremoto abruzzese. L’ultima icona di buona amministrazione che il Cavaliere continua a spendere nel discorso pubblico – il governo del fare che ha ridato le case agli aquilani in tempi record – rischia di venire travolto dalle inchieste tra gente che ride pensando agli appalti, imprenditori e funzionari statali di dubbia moralità, dirigenti politici di primo piano che si occupano di fare un favore a questo o a quell’amico. È una crisi di sistema nel mondo del premier, visto che è praticamente l’intero mondo del potere lettiano che viene sputtanato giorno dopo giorno sui quotidiani, Guido Bertolaso su tutti. E se Letta aveva abbracciato pubblicamente il capo della Protezione civile all’inizio delle inchieste sugli appalti, ieri Berlusconi ha voluto mostrare pubblicamente la sua vicinanza al sottosegretario: «Vi invito a rivolgergli un caldissimo applauso – ha detto alla platea di Confcommercio - perché se non ci fosse Letta anche quel poco che facciamo non potremmo farlo». Di più: «È una

di Marco Palombi persona straordinaria, di una onestà intellettuale veramente inarrivabile». Per il resto, silenzio. Nessuna giustificazione, nessuna smentita, nessun commento: Letta, d’altronde, ha reso celebre la sua riservatezza ancor prima della sua persona.

I fatti riesumati ieri dai giornali erano in realtà già noti a febbraio grazie alle intercettazioni, ma sono stati confermati e chiariti proprio dal racconto di Barattelli ai pm. Eccoli. Il 6 aprile 2009 la terra trema nella not-

te d’Abruzzo, dal giorno dopo gli imprenditori interessati alla ricostruzione cominciano a pensare a come ottenere gli appalti. «Fui contattato da altri imprenditori abruzzesi per costituire un consorzio d’imprese e accettai subito – mette a verbale Barattelli - Ci rivolgemmo ai dirigenti della Cassa di Risparmio della Provincia dell’Aquila (Carispaq) perché volevamo entrare in contatto con la Btp. Sapevamo che se l’avessimo coinvolta avremmo avuto diverse occasioni per vincere appalti. E questo perché ave-

Incontri a Palazzo Chigi con il sottosegretario e il coordinatore del Pdl per gestire il giro d’affari

va grosse entrature e appoggi politici». La Btp altri non è che la Baldassini-TognozziPontello di Riccardo Fusi, le cui entrature politiche – com’è noto – rispondono al nome di Denis Verdini, triumviro del Pdl. Quest’ultimo già il 14 aprile parla con Fusi di appalti da assegnare a Btp attraverso un consorzio di imprese: sarà costituito ufficialmente a L’Aquila un mese dopo, il

15 maggio, col pomposo nome “Federico II”. Tre giorni prima, nel pomeriggio, c’è l’imbarazzante incontro di palazzo Chigi nell’ufficio di Gianni Letta: presenti il sottosegretario, Verdini, Fusi, direttore e vicedirettore della Carispaq e, appunto, Barattelli.

«Analizzammo tutti gli aspetti della vicenda – ha raccontato quest’ultimo – e trovammo l’accordo». Il consorzio “Federico II” otterrà, secondo i carabinieri, appalti per 7,3 milioni nella prima fase della ricostruzione e verrà “bloccato” dalle inchieste quando si apprestava ad ottenerne altri. «Oggi ho fatto un lavoro straordinario», si vanta Fusi al telefono con un socio appena finito l’incontro. Secondo Verdini, sostiene ancora il patron di Btp, «si sarebbe i primi in classifica... operativi più che così non c’è verso». Letta, dirà il 26 maggio il triumviro del PdL allo stesso Fusi, sta portando tutte le carte a Bertolaso: «Sta comandando, vedrai... ti chiama... tu sollecita, poi semmai intervengo io». Un giro di interessi, di favori, di rapporti non proprio compatibile con le parole messe a verbale dal sottosegretario di palazzo Chigi a febbraio: dopo aver lodato «l’oculata gestione di Bertolaso» che aveva tenuto lontani gli avvoltoi, in una lettera alla presidente della provincia Pezzopane scrisse: «Penso anch’io con orrore a chi crede che le calamità possano essere un pretesto per fare buoni affari. Il terremoto, le vittime, la desolazione che ne consegue meritano ben altri sentimenti e ben altra pietà. Altro che affari! Ma, se qualcuno ha pensato il contrario, tutti faremo in modo che si ricreda!».


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panorama

ragioni&torti di Giancristiano Desiderio

Il mercato delle emozioni e il “Cristo Morente” l sacro rito del mercato delle emozioni dell’Art Basel di Basilea - riporto pari pari quanto ho letto sul Corriere della Sera - mi ha fatto venire in mente il “Cristo Morente” di San Tommaso. Che cos’è? Chi è? È una statua in bronzo posta a fianco di una piccola chiesa di campagna dedicata al santo e filosofo di Aquino che sorge al pendici del monte Taburno, caro a Virgilio e Orazio. Il Cristo è solo e alle sue spalle c’è una vallata, fatta di vigne, oliveti e alberi da frutto e una fabbrica di pietre e materiali da costruzione, quindi la montagna che limita e apre l’orizzonte. Il Cristo, messo in croce su una croce non di legno ma di spine metalliche e ferrigne, è solo nella pietà umana che suscita nei fedeli e negli infedeli che da quelle parti passano per caso o per ragione. Ma perché l’Art Basel mi ha riportato in mente il povero Cristo della piccola chiesa di San Tommaso? Perché lì, lì dove si celebra “il sacro rito del mercato delle emozioni”, ci sono la bellezza di oltre duemila artisti e trecento selezionate gallerie. Proprio così: 2mila artisti.

I

Confesso, a me stesso prima che ai lettori, di essere mosso da un pregiudizio negativo nei confronti dell’arte contemporanea e della smania avanguardista. Può darsi che il mio pregiudizio sia un po’ esagerato, ma forse è una sana reazione al pregiudizio positivo verso l’arte contemporanea e transavanguardista e roba del genere. Oggi gli artisti non creano più, ma “installano”; non esprimono, ma “comunicano”; non evocano, ma “provocano”. C’è una bella battuta di Longanesi che dice “non comprate quadri di arte contemporanea, fateveli in casa”. Irridente e irriverente, e pure molto vera. Che cosa rimarrà, infatti, tra qualche tempo quando l’“arte contemporanea” non sarà più contemporanea? Ecco perché quando leggevo il pezzo di Gianluigi Colin sul mercato dell’arte di Basilea mi è apparso davanti agli occhi l’immagine del Cristo povero e nudo, crocefisso sulle spine. Chi ne è l’autore? Velia Iannotta, artista romana di origine sannite (ieri è stata premiata in Campidoglio), non è estranea alle suggestioni dello spirito d’avanguardia. Tuttavia, nella sua opera così variegata - dal disegno alla scultura fino ai gioielli d’arte - c’è il tentativo di unire classico e moderno non per “comunicare”,“provocare”,“installare”ma ancora per fare la cosa più vecchia del mondo: esprimersi. La vera avanguardia, trans o meno che sia, passa oggi proprio per il recupero della qualità primaria dell’arte: la poesia. Ma la poesia è sempre cosa rara: se è già grottesco dire “oltre duemila artisti”, è umanamente impossibile dire “duemila poeti”. Il “Cristo Morente”di Velia Iannotta, immerso nel silenzio della campagna sannita, a fianco della piccola chiesa di San Tommaso, ha una sua natura poetica: il contadino, l’operaio, gli sposi, i bambini, i mortali lo guarderanno con l’amore con cui si pensa al padre e alla madre. Le opere, se sono arte, ci permettono di abitare nel mondo che viviamo rendendocelo meno estraneo.

Pdl pronto a ripresentare il condono in Campania La Lega dice sì pur di evitare un costoso piano di edilizia sociale di Lucio Rossi

ROMA. Un emendamento da inserire in uno dei prossimi provvedimenti in corso di approvazione al Senato, senza attendere i tempi necessari per ripresentare un decreto ad hoc. Sembra questo l’orientamento del governo dopo la decadenza della norma che sospendeva le demolizioni di immobili abusivi in Campania. Norma giustificata con la necessità di «fronteggiare la gravissima situazione abitativa» della regione, come si legge nella relazione definita «tacitiana» dai tecnici della Camera. Al Comune di Napoli c’era trepidante attesa per il decreto sul quale la maggioranza è stata poi battuta a Montecitorio, in una votazione segnata dalle proteste per l’eccessiva fretta del presidente di turno Rosy Bindi. «Aspettiamo il corso degli eventi per quanto riguarda la decretazione d’urgenza e se la bocciatura dovesse essere definitiva proseguiremo utilizzando le leggi ordinarie che sono già in vigore», ha detto il sindaco Rosa Russo Iervolino. Un provvedimento su cui si era speso in prima persona il ministro per le Pari opportunità Mara Carfagna, maggiorente del Pdl in Campania, che aveva sottolineato: «Il governo non poteva assistere impassibile al fatto che, con gli abbattimenti, molte donne con bambini, anziani, addirittura disabili, tutti senza un’altra abitazione, sarebbero finiti in mezzo a una strada. Per questa ragione e per l’ultima volta l’esecutivo è stato costretto a intervenire per sanare quella che la Consulta ha definito disparità di trattamento dei campani rispetto al resto dei cittadini italiani».

(l’abusivismo è una delle cause di scioglimento per il 67 per cento dei comuni commissariati per infiltrazioni camorristiche dal 1991 a oggi). Un fenomeno di proporzioni tali da giustificare semmai un intervento sull’urbanistica della regione attivando anche le misure riguardanti l’edilizia sociale. Insomma non un rimedio puntiforme ma nuove risorse per la Campania. E forse anche per questo la stessa Lega Nord aveva votato sì al provvedimento al Senato (dove invece Pd, Udc e Idv hanno detto no) e avrebbe sostenuto il decreto anti-demolizioni alla Camera, dove dieci giorni fa l’aula ha invece approvato (complici le assenze del Pdl) la pregiudiziale di costituzionalità presentata dall’Idv con 249 sì e 231 no.

La Lega invece avrebbe proprio voluto votarlo, questo provvedimento, se è vero che il deputato del Carroccio Dussin ha invocato addirittura la prova tv contro la gestione dei lavori d’aula della Bindi. Ma la sanatoria è comunque decaduta e ora si tratterà di ricominciare da capo, trovando il modo di intervenire su una vicenda molto complicata e non solo per le implicazioni sociali. Difficilmente sarà battuta la strada della riproposizione sotto forma di decreto: considerata la bocciatura di Montecitorio, i tempi tecnici richiederebbero alcuni mesi. Più probabile l’inserimento di questo pseudo-condono sotto forma di emendamento ad altre misure in via d’approvazione a Palazzo Madama. Dove oltretutto il blocco delle demolizioni aveva avuto vita facile: 135 voti a favore e 112 voti contro più un astenuto, il senatore campano dell’Idv Aniello Di Nardo. Con una generosa deroga anche per gli edifici ritenuti pericolosi o realizzati in violazione dei vincoli paesaggistici, “garantiti” fino al 31 dicembre 2010 con un subemendamento del relatore Franco Orsi (Pdl).

Dopo lo stop alla Camera si pensa a un emendamento da infilare al Senato. Libè (Udc): «Gli abusi in ballo sono migliaia»

Il testo (ormai decaduto) mirava a sospendere temporaneamente – sino al 30 giugno 2011 – le demolizioni (già disposte in seguito a sentenza penale relative a abusi compiuti entro il 31 marzo 2003) nella regione, circa 600 casi di immobili destinati a prima abitazione e occupati da soggetti sforniti di alternativa. Ma è proprio sul numero dei casi che, in commissione Ambiente a Montecitorio, era esploso il dibattito. L’esponente dell’Udc Mauro Libè ha infatti sottolineato l’importanza per il Parlamento di avere a disposizione dati attendibili in ordine all’entità delle abitazioni coinvolte «in quanto i numeri forniti dal governo sembrano del tutto irrealistici». Sia il servizio studi della Camera che quello del Senato hanno infatti citato il rapporto Ecomafie di Legambiente secondo cui, solo nel 2008, gli abusi in Campania sarebbero stati circa 6000, 60mila negli ultimi 10 anni

Il decreto era stato giustificato anche in base alla querelle giuridica nata dalla mancata applicazione, da parte della Regione Campania, del terzo condono edilizio varato dal governo nel 2003. E dunque dal “pregiudizio sofferto” dai cittadini campani che avrebbero potuto aderire, in base alle norme nazionali, alla sanatoria. Si ritenta, anche se ora fa capolino la possibile opposizione dei finiani, dopo che Fabio Granata si è compiaciuto per lo stop imposto dall’incidente di Montecitorio.


panorama

17 giugno 2010 • pagina 11

È questa l’energia sportiva che bisognerebbe tramutare in energia morale positiva per il futuro del nostro Paese

De Rossi, metafora di una nuova Italia Elogio del centrocampista della Nazionale, simbolo di speranza per la ripresa della Nazione di Paola Binetti segue dalla prima La Nazionale è l’Italia e le scelte di Lippi condizionano quella impalpabile forma di autostima nazionale che ci consente di sognare una fine quasi magica della crisi. Nessuno lo dice chiaramente, anzi si cerca di ridimensionare un tifo che sembra assorbire tempo e illusioni in modo esagerato. Ma poi a ben guardare, o meglio a ben ascoltare, ci si rende conto che c’è una tendenza a globalizzare sensazioni e aspettative, interpretazioni e paure: in due diverse visioni della vita, in cui sport e politica giocano due ruoli diversi: per alcuni prevale una interpretazione socio-politica del campionato, per altri una visione sportiva della politica. Per alcuni la politica non è altro che una grande arena sportiva, per altri invece lo sport non è altro che una lotta per il potere, comunque lo si voglia intendere.

In un caso e nell’altro la domanda più o meno nascosta tra un discorso e l’altro è sempre la stessa: riusciremo a superare questo primo round o incasseremo lo smacco di tornare a casa tra una manciata di giorni? Ce la faremo a sopravvivere a questa manovra oppure ne usciremo con le ossa rotte? Detto in altro modo, quante possibilità abbiamo di portarci a casa la coppa e mostrare che nonostante tutto siamo sempre geniali e capaci di trovare soluzioni creative, che consentono di capovolgere situazioni inizialmente ostili? Ma comunque la mettiamo, prevale sempre un inguaribile ottimismo e ci basta poco per illuderci e per tornare a sperare. Così è accaduto in questi giorni subito dopo Italia-Paraguay. La prima partita dei mondiali ha il suo eroe, un giocatore di quella Roma, che pur non avendo vinto lo scudetto, ha comunque giocato il più bel campionato di quest’anno. E il goal di De Rossi conferma nello stesso tempo la qualità del giocatore e la qualità della Roma. I suoi 27 anni ne fanno uno dei giocatori più giovani di questa Nazionale, confermando come per vincere sia necessario possedere non solo talento sportivo e abitudine a fare squadra, ma anche quel fattore età che rappresenta un ingrediente tanto prezioso quanto fugace. Non si è giovani a lungo, soprattutto nello sport, e nessun allenatore può sciupare agilità, prontezza di riflessi, generosità del cuore e velocità negli spostamenti, soprattutto quando si uniscono a quel lampo di genialità e di imprevedibilità che fanno di un buon giocatore un potenziale campione. E Lippi ha mostrato di saperne fare buon uso. Daniele De Rossi rappresenta in questa fase un concreto fattore di speranza proprio per i suoi chiaroscuri, per le sue luci e per le sue ombre. Mi piace pensare che essendo figlio d’arte abbia imparato tante cose da suo padre, Alberto De Rossi, attuale allenatore della Primavera della Roma, ma che tutto ciò invece di rappresentare un privilegio,

un modo per imboccare delle scorciatoie e eludere le responsabilità, come avviene in molti casi, sia stata una vera e propria scuola di carattere, di abilità tecniche e di passione sportiva. Qualcosa che gli ha lasciato quella spontaneità che caratterizza la sua capacità di giocare divertendosi, con l’apparente leggerezza con cui si muovono solo i campioni, che hanno imparato a giocare da bambini. «De Rossi è uno dei cinque centrocampisti più forti del mondo», ha detto Lippi. E non a caso subito dopo la partita con il Paraguay è stato il giocatore che ha raccolto

davanti a certi schemi di gioco degli avversari: ha assunto la sua responsabilità di campione del mondo e ha giocato non la sua partita, ma la nostra partita. Si è messo in gioco a livello personale per far giocare tutti noi in una logica di riscatto dallo smacco iniziale. Peccato che dopo di lui non ci sia stata un’altra azione altrettanto brillante e peccato che Lippi non abbia avuto più fiducia in altri giovani capaci di caratterizzare il gioco con quell’audacia creativa che può spiazzare anche l’avversario più prudente e calcolatore. Ed è questa l’energia sportiva che

il maggior numero di preferenze: migliaia e migliaia di voti che lo hanno consacrato come il migliore in campo, considerandolo determinante non solo per il goal segnato, ma anche per il modo in cui ha interagito con i compagni di squadra. Dopo di lui, abbastanza dopo è arrivato Montolivo, mentre sono stati bocciati Marchisio e Gilardino, che ha decisamente steccato, compromettendo alcune azioni di gioco che avrebbero potuto dare un esito ben diverso alla partita. Molti hanno pensato che se al posto di Gilardino ci fosse stato Totti, la partita l’avremmo vinta e non avremmo avuto i

vorremmo tramutare in energia morale positiva per il nostro Paese. Basta analisi estenuanti, fatte solo per giustificarci, basta domandarsi perché non cresciamo, con l’unico obiettivo di cercare responsabilità che non ci toccano e soprattutto non ci chiedono un cambiamento personale concreto... Così non si vince, né una partita né una sfida politica, tutt’al più ci si consegna a una sconfitta o a un rassegnato pareggio. Poca voglia di rischiare, poca voglia di sbagliare, ma ancor meno capacità di vincere: è lo stato d’animo generalizzato di tutta l’Europa, spiazzata dalla difficoltà economica, incapace di trovare un nuovo schema di gioco, intimidita dalla creatività disordinata, ma

Nella prossima partita occorre scommettere con fiducia su ognuno dei giocatori che scenderanno in campo problemi che abbiamo avuto negli ultimi trenta metri... C’è stata la sensazione che tra il portiere della squadra avversaria e gli azzurri ci fosse una sorta di terra bruciata, come se non si riuscisse a penetrare per uno strano sortilegio in quei trenta metri che ti fanno muovere nel circuito magico del goal. Laddove prendono forma quei tiri che hanno maggiore possibilità di convertirsi in goal e fanno esplodere in grida di entusiasmo o di disappunto gli stadi di tutto il mondo. Daniele ha esorcizzato questo spazio occupandolo con il suo entusiasmo, la sua capacità tecnica e la sua determinazione. Non si è fermato davanti a tutte quelle ragioni che sono state utilizzate per spiegare perché non abbiamo vinto, non si è perso in una analisi delle difficoltà, non si è intimidito

efficace dei Paesi del Bric. Questo mondiale, almeno per ora sembra un po’avaro sia di vittorie sia di goal, prevalgono i pareggi e in genere tutti si attestano sull’uno a uno, come se si faticasse a far emergere il gioco creativo, che si cimenta con il rischio della sconfitta, ma proprio per questo ha maggiori possibilità di convertirsi in vittoria. La paura di perdere è già lei stessa una sconfitta e finora sembra che le squadre, anche le migliori si siano mantenute sottotono, lasciando tutti un po’ perplessi e come in attesa che il mondiale entri nel vivo della sua azione di gioco. Gli spettatori, sia a casa sia allo stadio, vivono i 90 minuti della partita sempre nella mitica attesa del goal che cambierà le sorti della partita e in un certo senso ogni partita può essere sempre raccontata a partire dai suoi goal, come se descrivessero non solo il risultato finale, ma tutta l’atmosfera che l’ha permeata. De Rossi segnando quel goal ha dato senso alla nostra prima sfida in terra d’Africa e ha trasformato lo smacco iniziale in una nuova opportunità. E bisogna dire che il Paraguay non solo non è stato particolarmente brillante ma è stato invece particolarmente ripetitivo negli schemi e prevedibile nelle reazioni. Dopo questo inizio, sufficientemente positivo, ma non esaltante, pensiamo tutti che occorra fare un nuovo investimento per la prossima partita ItaliaNuova Zelanda. Il secondo impegno del girone sarà molto più impegnativo per gli azzurri, ai quali tutti chiedono di vincere non solo per salvare il nostro orgoglio sportivo, il pareggio è insufficiente in termini di salvezza sportiva, ma anche per evitare di dare un segnale ambiguo sulla nostra capacità di imparare dagli errori e diventerebbe una spia di rassegnato conformismo a un clima europeo che per ora si sta attestando su di un pareggio generale, salvo la Germania... Ed è questo clima che non ci piace e che vogliamo esorcizzare anche sul piano politico generale. Vogliamo guardare alle prossime partite con l’ottimismo necessario per mantenere alto il morale della squadra e farle sentire fino a che punto è nel cuore di tutti gli italiani.

Per questo nella prossima partita vogliamo scommettere su ognuno dei giocatori che scenderanno in campo, vogliamo De Rossi, ma non ci basta! Rinnoviamo la nostra fiducia nelle abilità tecniche di ognuno di loro e nella loro passione sportiva, nella tattica di gioco e nelle strategie che Lippi inventerà per tutta la squadra, cercando di valorizzare ognuno di loro, per farlo sentire davvero il protagonista della partita che si sta giocando. Metafora attiva di quanto ognuno di noi è disposto a giocare da protagonista in questa fase critica della vita del Paese, ben sapendo che molto dipenderà anche dagli schemi di gioco complessivi che ci verranno indicati da chi governa... In confronto il lavoro di Lippi sembra molto ma molto più facile e per questo speriamo proprio che ce la faccia.


focus

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La ricetta del presidente Usa per una nuova America, verde ed eco-sostenibile. Il rischio nel perdere questo momento è quello di vedere il crollo totale di Barack H. Obama a nostra nazione affronta una moltitudine di sfide. Dal punto di vista interno, la nostra priorità è risollevarci e ricostruire sopra le macerie di una recessione che ha toccato le vite di quasi ogni americano. A livello di politica estera, i nostri coraggiosi uomini e le nostre coraggiose donne in uniforme stanno affrontando la lotta ad al Qaeda dovunque essa si manifesti. E stasera faccio ritorno da una visita sulla costa del Golfo per parlare a voi della battaglia che stiamo affrontando contro una fuga di petrolio che minaccia le nostre coste ed i nostri cittadini. Il 20 aprile scorso, un’esplosione ha squarciato la piattaforma petrolifera Deepwater Horizon della British Petroleum, a circa 40 miglia al largo delle coste della Louisiana. Undici dipendenti hanno perso la vita. Altri 17 sono rimasti feriti. E di lì a poco, quasi un miglio al di sotto della superficie oceanica, il petrolio ha iniziato a mescolarsi con l’acqua. Poiché mai in precedenza si era

L

Mi rifiuto di accettare che cambi lo stile di vita di un intero Stato. La British Petroleum pagherà tutto, e questo denaro andrà a voi verificata una perdita di tale entità a quelle profondità, l’azione di contenimento ha messo alla prova i limiti della tecnologia umana. Ecco perché subito dopo l’affondamento della piattaforma ho costituito un team composto dai migliori scienziati ed ingegneri della nostra nazione al fine di misurarsi con questa sfida Gli scienziati nei laboratori del paese, gli esperti accademici ed altre compagnie petrolifere hanno anch’essi fornito suggerimenti e consulenze. Come risultato di tutti questi sforzi, abbiamo imposto alla Bp di mobilitare equipaggiamenti e tecnologie aggiuntivi. E nei giorni e nelle settimane a venire, tali sforzi dovrebbero bloccare sino al 90 % della fuoriuscita di petrolio. Ciò fino a quando la compagnia avrà ultimato la costruzione di un pozzo di salvataggio più avanti nel corso dell’estate, pensato per arginare completamente la perdita. L’attuale perdita di petrolio costituisce già di per sé il peggior disastro ambientale che l’America abbia mai dovuto affrontare. E diversamente da un terremoto o da un uragano, non è un singolo evento che arreca danno in pochi minuti o giorni. I milioni di galloni di petrolio che sono dilagati nel Golfo del Messico assomigliano più ad un’epidemia, un morbo che saremo chiamati a combattere per mesi e forse anni. Ma non commettiamo errori: combatteremo tale

fuoriuscita con tutte le nostre risorse fino a quando sarà necessario. Obbligheremo la British Petroleum a pagare per il danno che la compagnia ha a noi arrecato. E faremo tutto quanto sarà necessario per aiutare la costa del Golfo e la sua popolazione affinché si riprendano dalla tragedia.

Stasera desidero delineare per voi gli obiettivi del nostro piano di battaglia: quanto stiamo compiendo per eliminare il petrolio, ciò che stiamo facendo per aiutare i nostri vicini nel Golfo, e ciò che stiamo facendo per garantire che una catastrofe di tali proporzioni non debba più ripetersi. In primo luogo, l’eliminazione del petrolio. Sin dall’inizio della crisi, il governo federale è stato a capo del più grande sforzo di ripulitura nella storia del nostro Paese. Disponiamo ora di quasi 3.000 individui che operano in quattro stati per contenere ed eliminare il petrolio fuoriuscito. Migliaia di navi ed altre imbarcazioni nel Golfo hanno dato la propria disponibilità. E ho autorizzato il dispiegamento lungo la costa di oltre 17mila membri della Guardia Nazionale. Questi uomini e donne sono pronti ad aiutare ad impedire che il petrolio arrivi in superficie, sono pronti a dare il proprio contributo per ripulire le spiagge, per addestrare i volontari, o anche fornire aiuto nell’elaborazione delle richieste, e desidero sollecitare i governatori degli stati colpiti ad attivare tali effettivi quanto prima. In virtù dei nostri sforzi, milioni di galloni di petrolio sono già stati rimossi dalle acque mediante incendi controllati, l’utilizzo di schiuma ed altri metodi di raccolta. Più di cinque milioni e mezzo di piedi di boma sono stati dispiegati lungo la superficie dell’acqua per bloccare ed assorbire il greggio in avvicinamento. Abbiamo approvato la costruzione di nuove isole barriera in Louisiana per fermare il petrolio prima che raggiunga la costa, e stiamo operando con Alabama, Mississipi e Florida per adottare approcci innovativi per le loro peculiari linee costiere. Mentre le operazioni di ripulitura continuano, offriremo qualsiasi risorsa ed assistenza aggiuntiva di cui i nostri stati costieri possano avere bisogno. Ora, una mobilitazione condotta ad una tale velocità e di tale grandezza non potrà mai essere perfetta, e nuove

Il testo integrale del primo discorso dallo Studio Ovale d

Apriamo l’era mergere di altri danni prima che l’assedio si concluda. Questa è la ragione per cui il secondo aspetto su cui ci siamo concentrati è il recupero ed il salvataggio della Costa del Golfo.

sfide sorgeranno sempre. Ho avuto testimonianza diretta di tutto ciò nel corso di questo viaggio. Se dunque qualcosa non dovesse funzionare, dovranno rendercene conto. Se si dovessero verificare problemi nelle operazioni, li risolveremo. Dobbiamo però riconoscere che nonostante i nostri più estenuanti sforzi, il petrolio ha causato danni alla nostra linea costiera e ad alla sua flora e fauna. E tristemente, indipendentemente dall’efficacia della nostra risposta, dovremo far fronte alla fuoriuscita di altro petrolio e all’e-

Sappiamo che, per generazioni, uomini e donne che chiamano questa regione la propria casa si sono guadagnati da vivere grazie all’acqua. Questa fonte di sussistenza è ora in pericolo. Ho parlato con i pescatori di gamberetti e con gli altri pescatori i quali non sanno come faranno a dare da mangiare alle proprie famiglie quest’anno. Ho visto moli vuoti e ristoranti con pochi clienti – persino in zone in cui le spiagge non sono state ancora lambite dalla tragedia. Tutto ciò è connesso con un’ansia straziante riguardo al fatto che il loro stile di vita possa svanire. Mi rifiuto di accettare che ciò possa accadere. Domani [ieri notte ndr] incontrerò il presidente di Bp e lo informerò che dovrà mettere a disposizione qualsiasi risorsa venga richiesta per indennizzare i lavoratori e le attività che sono stati danneggiati per colpa della sconsideratezza della sua compagnia. E tale fondo non verrà controllato dalla British Petroleum. Al fine di garantire che tutte le legittime richie-


focus adottate le necessarie precauzioni. Ciò non è evidentemente accaduto nel caso della piattaforma Deepwater Horizon, e voglio capire perché. Il popolo americano deve saperlo. Ho pertanto istituito una Commissione Nazionale per chiarire le cause del disastro ed estendere raccomandazioni sui necessari standard di sicurezza ed ambientali da adottare. Inoltre, ho promulgato una moratoria di sei mesi sulle trivellazioni ad alte profondità. So che tale decisione può creare delle difficoltà per coloro che lavorano su quelle piattaforme, ma per la loro sicurezza, e per quella dell’intera regione, dobbiamo comprendere quanto è accaduto prima di autorizzare la ripresa delle trivellazioni. E mentre chiedo alla Commissione di completare il proprio lavoro il più rapidamente possibile, mi aspetto che i suoi componenti operino in modo imparziale e senza lasciare nulla al caso.

della presidenza Obama: marea nera e risposte “verdi”

a post-petrolio ste vengano soddisfatte in modo equo e solerte, la gestione dovrà essere affidata ad un terzo ente indipendente. Al di là dell’indennizzo spettante nel breve periodo alle popolazioni del Golfo, risulta altresì chiaro che abbiamo bisogno di un piano di lungo respiro per ripristinare l’eccezionale bellezza ed amenità della regione. La perdita di petrolio rappresenta solo l’ultimo colpo inferto a dei luoghi che hanno già sofferto molteplici disastri economici e decenni di degrado ambientale che hanno portato alla cancellazione delle zone palustri e dei suoi habitat. E la regione non si è ancora ripresa dagli uragani Katrina e Rita. Ecco perché dobbiamo assumerci un impegno nei confronti della Costa del Golfo che vada al di là della semplice risposta ad una crisi momentanea.

Desidero sancire tale impegno stasera. Ho già affidato a Ray Mabus, il Segretario alla Marina, il quale è anche un ex governatore del Mississipi ed un figlio di quelle coste, il compito di elaborare un piano di lungo periodo per il ripristino delle attività sulla Costa del Golfo il prima possibile. Il piano verrà definito dagli stati, dalle comunità locali, dalle tribù, dai pescatori, dai commercianti, dagli am-

bientalisti e dagli altri residenti della zona del Golfo. E la BP pagherà per l’impatto che la fuoriuscita ha avuto sulla regione. La terza parte del nostro piano di risposta è rappresentato dalle azioni che stiamo compiendo per garantire che un disastro di tali proporzioni non si ripeta. Qualche mese addietro, ho approvato una proposta per considerare nuove limitate operazioni di trivellazione al largo dietro l’assicurazione che queste sarebbero state assolutamente sicure – che sarebbero stati messi in campo adeguati supporti tecnologici e sarebbero state

Una sede in cui abbiamo già iniziato ad agire è l’agenzia preposta alla disciplina le perforazioni ed al rilascio dei relativi permessi. Nel corso dell’ultimo decennio, tale agenzia è divenuta l’emblema di un’erronea filosofia che guarda alle regole con ostilità: una filosofia secondo cui alle compagnie dovrebbe essere consentito di operare con le proprie regole e controllare autonomamente la propria attività. In questa agenzia, i membri del settore sono stati messi a capo degli organi di controllo. Le compagnie petrolifere hanno coperto i controllori di doni e favori, e hanno avuto essenzialmente carta bianca per condurre le loro ispezioni di sicurezza e dettare le loro regole. Quando Ken Salazar è diventato il mio Segretario agli Interni, uno dei suoi primi atti è stato eliminare le peggiori pratiche corruttive all’interno di tale agenzia. Ma ora è chiaro che il problema aveva radici ben più profonde, e le riforme procedevano ad un ritmo troppo lento. E così il Segretario Salazar ed io abbiamo deciso di nominare un nuovo capo dell’agenzia: Michael Bromwich, un ex arcigno procuratore federale ed ispettore generale. Il suo compito nei prossimi mesi sarà creare un’organizzazione che funga da supervisore - e non da partner - dell’industria petrolifera. Una lezione che abbiamo dunque appreso da questi eventi è che abbiamo bisogno di regole migliori, standard di sicurezza più stringenti e migliori misure di esecuzione per ciò che concerne le operazioni di trivellazione. Ma una lezione ancora più grande è data dal fatto che, a prescindere da quanto noi possiamo migliorare le nostre regole per il settore, al giorno d’oggi le perforazioni comportano rischi sempre maggiori. Dopo tutto, il petrolio è una risorsa finita. Consumiamo più del 20% del petrolio mondiale, ma disponiamo di meno del 2% delle riserve petrolifere del globo. E ciò rappresenta una delle ragioni per cui le compagnie petrolifere trivellano un miglio al di sotto della superficie dell’oceano: perché si stanno esaurendo i luoghi sulle terre emerse o nelle acque superficiali in cui effettuare perforazioni. Da decenni ormai abbiamo la consape-

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volezza che i giorni in cui il petrolio sarebbe stato disponibile in grandi quantità ed a prezzi bassi fossero contati. Da decenni discutiamo sulla necessità da parte americana di porre fine alla secolare dipendenza dai combustibili fossili. E per decenni non abbiamo saputo agire con il senso di urgenza che tale sfida richiede. Più e più volte il percorso è stato bloccato. Le conseguenze del nostro immobilismo sono ora sotto gli occhi di tutti. Paesi quali la Cina stanno investendo nelle professioni e nei settori connessi con le energie pulite che dovrebbero essere qui negli Stati Uniti. Ogni giorno destiniamo quasi un miliardo di dollari della nostra ricchezza a paesi stranieri per avere il loro petrolio. Ed oggi, quando volgiamo lo sguardo al Golfo, vediamo un intero modus vivendi minacciato da una cupa nuvola di nero greggio. Non possiamo lasciare in eredità un futuro di questo tipo ai nostri figli. La tragedia che ha come teatro le nostre coste costituisce il più doloroso e potente monito che è questo il tempo in cui abbracciare un futuro caratterizzato da fonti energetiche pulite. È questo il momento in cui la nostra generazione è chiamata ad affrontare una missione nazionale per liberare le potenzialità innovative del nostro paese e guadagnare il controllo del nostro destino. Ciò non rappresenta una visione distante per l’America. L’allontanamento dai combustibili fossili dovrà prima o poi avvenire, ma nel corso dell’anno e mezzo appena trascorso abbiamo già intrapreso azioni senza precedenti per fare avviare l’industria delle energie pulite. Mentre parliamo, le vecchie fabbriche riaprono per produrre turbine eoliche, la gente torna a lavorare

La politica e le lobby hanno bloccato lo sviluppo della green economy. Questo modo di pensare e di fare deve finire il prima possibile per installare finestre a bassa dispersione, e le piccole attività imprenditoriali producono pannelli solari.

Gli scienziati ed i ricercatori sperimentano tecnologie funzionanti con energia pulita che un giorno porteranno alla nascita di nuove branche dell’industria. Ognuno di noi ha un ruolo da svolgere in un nuovo futuro che apporterà benefici a tutti noi. Mentre il nostro Paese si risolleva dalla recessione, la transizione alle energie pulite racchiude il potenziale per far crescere la nostra economia e creare milioni di posti di lavoro. Ma solo se acceleriamo tale transizione. Quando mi candidai per questo ruolo, delineai una serie di principi che avrebbero condotto il nostro paese all’indipendenza energetica. Lo scorso anno, la Camera dei Rappresentanti ha operato secondo tali principi approvando un’ampia e dettagliata legislazione sull’energia ed il clima.Tale transizione comporta necessariamente dei costi.Vi sono però quanti ritengono che non ci si possa sobbarcare tali oneri proprio in questo momento.Voglio affermare in questa sede che non possiamo permetterci di non cambiare il modo in cui produciamo ed utilizziamo l’energia – in quanto i costi di lungo termine per la nostra economia ed il nostro ambiente sarebbero molto più ingenti.


focus

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Sono quindi felice di poter prendere in considerazione altre idee ed approcci provenienti da entrambi i partiti – fintanto che questi limitino concretamente la nostra dipendenza dai combustibili fossili. Alcuni hanno suggerito di innalzare gli standard di efficienza nei nostri edifici così come abbiamo fatto per auto e furgoni. Altri ritengono che dovremmo definire standard per garantire che una percentuale maggiore di energia elettrica derivi dal vento e dal sole. Altri ancora si chiedono perché l’industria energetica investa solo una minima parte in ricerca e sviluppo rispetto all’industria high-tech – ed auspica di aumentare rapidamente la nostra quota di investimenti in tali ambiti. Tutti questi approcci racchiudono in sé un grande valore, e meritano di esser presi in debita considerazione nei mesi a venire. Ma l’unico approccio che non accetterò è l’inazione. L’unica risposta che non prenderò in considerazione è l’idea che la sfida che abbiamo di fronte appaia in un certo senso troppo grande ed improba per essere affrontata. Simili affermazioni furono fatte circa la nostra capacità di produrre aerei e carri armati a sufficienza durante il secondo conflitto mondiale. Le stesse argomentazione vennero espresse riguardo alla nostra capacità di utilizzare la scienza e la tecnologia per far giungere un uomo in sicurezza sulla superficie lunare. E tuttavia, una volta ancora, abbiamo rifiutato di attenerci ai limiti irrisori dell’opinione comune. Ciò che invece ha caratterizzato noi tutti in quanto nazione è la capacità di plasmare il nostro destino – la nostra determinazione nel lottare per l’America che vogliamo per i nostri figli. Anche se non sappiamo con certezza cosa ciò significhi. Sappiamo che raggiungeremo quella meta.

È la fiducia nel futuro che ci sorregge in quanto popolo. È quella stessa fiducia che ora sostiene i nostri vicini sulle coste del Golfo. Ogni anno, all’inizio della stagione della pesca dei gamberi, i pescatori della regione prendono parte ad una cerimonia tradizionale importata in America molto tempo fa dai pescatori immigrati dall’Europa. È chiamata “La Benedizione della Flotta”, ed oggi è una celebrazione in cui esponenti di varie confessioni religiose si riuniscono per pregare per il successo degli uomini e delle donne che presto usciranno in mare – alcuni anche per settimane di fila. La cerimonia si svolge con il bello o il cattivo tempo. Ebbe luogo anche dopo Katrina, e si è celebrata alcuni mesi or sono – all’inizio della più difficile stagione che i pescatori abbiano mai dovuto affrontare. Ciononostante, si sono ritrovati e hanno pregato. Poiché come un religioso ed ex pescatore una volta ha affermato su questa tradizione, «la benedizione non consiste nel fatto che Dio abbia promesso di rimuovere tutti gli ostacoli e pericoli. La benedizione serve a far sì che Egli sia sempre con noi», una benedizione che è assicurata «anche in mezzo alla tempesta».La fuoriuscita di petrolio non rappresenta l’ultima crisi che gli Stati Uniti dovranno affrontare. Questa nazione ha conosciuto periodi difficili nel passato e di sicuro ne conoscerà di nuovi. Ciò che ci guida – e che sempre ci guiderà – è la nostra forza, la nostra determinazione, e la nostra incrollabile fiducia che qualcosa di migliore ci attenda se raccogliamo il coraggio di raggiungerlo. Stasera preghiamo per il coraggio. Dio benedica gli Stati Uniti d’America.

Parla Carlo Ripa di Meana

Solo fumo negli occhi, Obama ne uscirà indebolito di Gabriella Mecucci

ROMA. Obama ha annunciato la svolta anti-petrolio e a favore delle energie rinnovabili. Una scelta che lascia però piuttosto scettici gli ambientalisti americani e anche un ambientalista italiano come Carlo Ripa di Meana. Che cosa non la convince? Innanzitutto è un intervento solenne, fatto dalla sala Ovale, ma molto generico. Non dà una cifra né un dettaglio di questo rilancio sulla green economy. Esorta solo il Congresso a cogliere la sfida epocale, ma lascia tutti curiosi di capire cosa davvero voglia fare. Parla di un’uscita dalla dipendenza da petrolio, esorta a scegliere la via delle rinnovabili, ma non dice una parola sulla più importante e sperimentata fra le rinnovabili: il nucleare. Ma non è stato lui ad autorizzare la costruzione di centrali nucleari? Esattamente, si tratta di due impianti importanti a Burke in Georgia. E questo è accaduto dopo una lunga pausa -

durata 10-15 anni - negli investimenti in questa direzione. La sua presidenza per il momento ha fatto una predicazione a favore delle rinnovabili e ha messo a disposizione i fondi per due centrali nucleari. Questo la dice lunga sulla natura retorica della presidenza Obama. C’è del vero però quando indica le gravi responsabilità della Bp per la gigantesca fuoriuscita di petrolio e per la distruttiva macchia nera che minaccia le coste americane... Obama ha ragione quando denuncia la superficialità della British Petroleum nell’estrazione marina. Leggerezze sia nell’uso di cementi scadenti e inadatti alla spaventosa pressione sottomarina, sia nel non aver sufficientemente testato il pozzo dal quale ora fuoriesce in modo irrefrenabile una grande quantità di petrolio. Non può però sperare di convincere l’America solo minacciando sfraceli contro la Bp. Alla fine fa la figura del demagogo.

L’opinione pubblica sottolinea: «Ammissioni di colpa, ma nessuna strategia contro il petrolio»

Manca una road map Gli analisti d’America divisi sulle rinnovabili di Vincenzo Faccioli Pintozzi

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uello pronunciato nella serata di due giorni fa, in quel famigerato prime time che è stato croce e delizia di decine di presidenti americani, è stato il primo discorso di Barack Obama dallo Studio Ovale. E non è un caso che fra guerre guerreggiate e psicologiche, crisi economiche e finanziarie, crollo della credibilità statunitense nel mondo, il presidente americano abbia scelto una crisi ambientale per il primo discorso “in casa”. Perché è sull’ambiente, e sulle energie rinnovabili, che si è giocata buona parte della campagna elettorale dell’ex senatore dell’Illinois.

Da questo palcoscenico privilegiatissimo, il presidente ha cercato di convincere la nazione che la priorità sempre più attuale - non soltanto per gli Stati Uniti, ma per il mondo intero - riguarda l’energia e l’economia “verde”. Due concetti strettamente correlati fra loro. L’economia verde include infatti la generazione di energia dello stesso colore, basata sulle tecnologie rinnovabili come sostituto per i combustibili fossili e il risparmio energetico grazie all’efficienza energetica. L’economia verde si considera in grado di creare lavori verdi e di assicurare una crescita economica reale e sostenibile; in questo modo, sostengono gli apologeti di questa strada, il mondo

sarà in grado di prevenire l’inquinamento ambientale, il riscaldamento globale, l’esaurimento delle risorse (minerarie ed idriche) e il degrado ambientale.Tuttavia è innegabile il fallimento del mercato relativo alla protezione dell’ambiente ed alla mitigazione del cambiamento climatico. Si tratta di un fallimento direttamente collegato agli elevati tassi d’interesse e ai costi d’investimento iniziali, necessari per avviare la ricerca, proseguire lo sviluppo e fare marketing delle “fonti energetiche verdi”. Tutto questo, dicono ancora i sostenitori del “verde”, scoraggia l’entusiasmo imprenditoriale riguardo allo sviluppo volontario di atti-

vità poco nocive per l’ambiente o poco “amichevoli”. Per questo si ritiene che la “green economy” abbia bisogno di sussidi governativi e anche di incentivi di mercato che diano motivazioni alle imprese per investire nella ricerca e produzione di prodotti e servizi verdi, se vuole vedere la luce.

Molti provvedimenti legislativi, come quello approvato in Germania, e le leggi di molti Paesi dell’Unione Europea e il recente American Recovery and Reinvestment Act del 2009, forniscono questo tipo di incentivi di mercato. Una mentalità che fa arrabbiare buona parte dell’America liberale. Co-

Il braccio meccanico di un reattore nucleare. Nel piano di rilancio delle economie rinnovabili previsto dall’amministrazion e di Barack Obama non è previsto il rilancio dell’energia atomica, che secondo molti è invece la chiave per liberarsi dal petrolio. Nella pagina a fianco, in alto, Carlo Ripa di Meana


focus Non è un’accusa troppo pesante? Ma se la merita. Tace infatti sulle spese altissime e sulle diseconomie che può provocare un abbandono troppo frettoloso del petrolio. E tutto questo per di più senza citare il nucleare. Nella situazione in cui si trova l’economia americana, questa linea di grande spesa con piccoli risultati, non appare credibile. È possibile abbandonare in tempi brevi il petrolio? Come fa l’economia americana e quella del mondo intero a farne a meno? La fine del petrolio è stata annunciata più volte e tutte le previsioni sono risultate sbagliate. In verità la storia estrattiva degli ultimi decenni dimostra che sono stati scoperti nuovi giacimenti. È vero che molti di questi sono marini e di portata minore rispetto ai ritmi di consumo del mondo. È quindi giusto che uomini di governo saggi e lungimiranti si pongano il problema dell’esaurimento, ma se lo devono porre nei

munque, esistono ancora incompatibilità tra la chiamata fatta dall’Onu riguardo ad un “New Deal” verde su scala globale, e gli attuali meccanismi di commercio internazionale in termini di incentivi al mercato.

Ad esempio, l’accordo sui sussidi del Wto (Subsidies Agreement) impone regole severe contro i sussidi governativi, specialmente per le merci da esportazione. Queste incompatibilità possono agire da ostacoli ad ogni provvedimento governativo in favore al richiamo dell’Onu in favore della costituzione di un’economia verde globale. L’Organizzazione Mondiale del Commercio dovrebbe aggiornare le sue regole sui sussidi per accelerare la transizione verso l’economia verde mondiale. Si ritiene necessario con urgenza avviare una ricerca sulle possibilità e priorità dell’economia verde in modo da informare i governi e la comunità internazionale su come i governi dovrebbero promuovere l’economia verde all’interno dei loro confini nazionali senza sfociare in guerre commerciali combattute nel nome dell’economia verde e di

Il presidente si pronunci chiaramente sul nucleare, altrimenti la favola sulla green economy non è credibile

come dovrebbero cooperare negli sforzi promozionali ad un livello di coordinazione internazionale. Un tipo di sforzo che, come evidenziano i giornali Usa, non tutti sono pronti a condividere. Secondo il blog del capo-redattore centrale del Washington Post, «gli americani hanno atteso con molta ansia il discorso del presidente Obama, che si è assunto l’impegno di risolvere in qualche modo la catastrofe della fuoriuscita di petrolio nel Golfo. Parlando per la prima volta dallo Studio Ovale, il presidente ha dichiarato di “voler combattere il petrolio con tutta la nostra forza, per tutto il tempo necessario”. Ed ha aggiunto che “la British Petroleum pagherà per i danni che ha causato”».

Ora, riprende l’editorialista, «Obama e la sua squadra devono portare a termine gli impegni presi, con maggior energia di quella dimostrata fino ad ora. La nostra nazione ha bisogno di rassicurazioni, e temo che agli americani il discorso di ieri - privo di autocritiche e ancora più povero di soluzioni specifiche - non sia bastato. Anche perché il rilancio dell’eco-

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tempi medio-lunghi. Con prudenza e oculatezza, senza fare colpi di testa. Le svolte rapide sono impossibili. E questo è tanto vero che gli Usa hanno uno straordinario sistema di estrazione a terra: nel Texas, dove si lavora a pieno regime, in California e in Arizona, dove ci sono giganteschi giacimenti. Difficile immaginare l’America senza petrolio a breve? Proporlo mi sembra poco equilibrato. Somiglia piuttosto ad un’affannosa ricerca del consenso. E del resto le prime reazioni al discorso del Presidente battute dalle agenzie, mostrano che anche gli stessi ambientalisti e i membri del partito democratico nutrono scetticismi e perplessità verso questi annunci di Obama. Lo accusano di essere stato generico perché non vengono indicate scelte concrete: fotovoltaico? Eolico? Biomasse? Maree? Idrogeno? Polvere negli occhi e basta. Al Gore è davvero un cattivo consigliere e questa è forse

Il rilancio in tema di economia verde «non ha avuto un reale sviluppo: e per sviluppo reale si deve intendere il discorso pronunciato da Carter nel 1979»

l’uscita peggiore. Obama ne uscirà indebolito. Anche perché il Presidente ha scelto di fare un discorso solenne, dalla Sala Ovale. Una simile decisione faceva sperare in qualcosa di più: un vero e proprio piano per il futuro. E che cosa occorrerebbe fare? Prima di tutto essere chiari sulla questione del nucleare. È tempo che mister Obama pronunci una parola chiara su questa forma di energia. Se non lo fa non ha alcuna autorevolezza la sua costosissima favola sulla green economy. Lui pensa alle reti intelligenti, quelle in grado di dosare, di chiamare al bisogno energie rinnovabili dove c’è una crescita di consumo. Il secondo passo è quello di costruire una mappa di gradualità nell’abbandonare il petrolio. E comunque uscire dall’oro nero è una scelta saggia - non c’è dubbio infatti che ci sono molte controindicazioni - ma occorre un piano sui tempi lunghi e non annunci a effetto di brusche svolte. Questa è propaganda.

nomia verde non ha avuto un seguito reale: e per seguito reale intendo il discorso pronunciato da Carter nel 1979». Per Andrei C. Revkin, editorialista di punta del New York Times, «il presidente ha fatto quello che doveva, toccando nel suo discorso tutti i tasti che era necessario toccare. Non ha fatto quello che molti attivisti ambientalisti e energetici speravano: non ha esposto una sorta di piano preciso per il prossimo futuro energetico del Paese». Revkin, che solitamente sostiene le politiche governative, aggiunge: «Il discorso era pieno di allusioni a un futuro energetico diverso, ma per la maggior parte non è sceso nei particolari. Obama ha lasciato aperta la possibilità di porre energia e clima al vertice del proprio impegno presidenziale, ma ha deciso saggiamente di non lanciare questo cambio in un momento di disagio nazionale».

Disagio, spiega, «che nasce tra l’altro proprio da un problema legato alle questioni energetiche e ambientali. Il presidente ha sottolineato di voler

lasciare aperte molte porte, che portano a diverse politiche. Dobbiamo liberarci dalle trappole delle emissioni, ma abbiamo bisogno di una road map chiara che ci aiuti a farlo».

Fondamentalmente, commenta il Los Angeles Times, «Obama ha detto: “Sarò felice di ricevere commenti e proposte, da qualunque parte arrivino. Basta che ci liberiamo dei carburanti fossili”. Qualcuno suggerisce che la strada per raggiungere l’obiettivo passi dalle migliorie tecnologiche: in pratica, dovremmo costruire le nostre case così come costruiamo macchine e furgoni, cercando di ottimizzare i consumi». Una strada tutta in salita per una giovane amministrazione che, come detto, ha molti altri problemi da affrontare. E questo è il cavallo di battaglia del Partito repubblicano, che ha criticato in maniera feroce le scelte intraprese dal presidente sulla questione e la sua determinazione a portarla fino in fondo. Sperando che, colorando di verde, si ottengano risultati migliori di quelli in Iraq.


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Iran. Il presidente risponde alle sanzioni Onu e minaccia nuovi attacchi a risposta di Teheran alle nuove sanzioni imposte dall’Onu è giunta dopo una settimana. Mercoledì scorso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva varato la Risoluzione n. 1929, che autorizza “l’ispezione di tutte le navi con bandiera iraniana, sia nei porti sia in mare, per controllare che non trasportino materiale che possa essere utile il programma nucleare e missilistico del regime”. L’Iran ha preferito attendere sette giorni prima di replicare alla mossa della comunità internazionale. In questo modo ha formulato una risposta politica strutturata ed esposta dagli interventi pubblici del suo Presidente della Repubblica, Mahmoud Ahmadinehad, e dello speaker del Parlamento (Majlis), Ali Larijani. Nello stesso momento, l’ Agenzia nazionale per l’energia nucleare (Iran’s Atomic Energy Organization, Iaeo), presieduta da Ali Akbar Salehi, ha comunicato la costruzione di un settore di ricerca in campo medico.

L

Il primo è in funzione vicino a Teheran ormai da molti anni e viene alimentato da uranio arricchito al 20%. Quest’altro, come ha dichiarato Salehi, verrà utilizzato per ottenere radioisotopi per la produzione di farmaci per la cura del cancro. Salehi ha aggiunto che la fase di progettazione del reattore dovrebbe concludersi entro la fine dell’anno persiano (marzo 2011), per entrare in funzione dopo cinque anni. Il capo dell’Iaeo ha reso anche nota l’intenzione di realizzare altri reattori in varie regioni del Paese, ma soprattutto ha sottolineato che «i medicinali prodotti in Iran saranno anche esportati all’estero». La dichiarazione tecnica di Salehi è stata in-

Ahmadinejad: «Usa terroristi, niente pace» Il regime annuncia: presto un nuovo reattore nucleare, più potente del primo di Antonio Picasso

zioni, queste, che si sposano con la recente intervista rilasciata alla Bbc dal Presidente venezuelano, Hugo Chavez. L’alleato più vicino all’Iran e altrettanto agguerrito verso l’Occidente, di fronte al perplesso giornalista inglese Stephen Sackur che lo ascoltava, ha puntato l’indice contro il bellicismo che continua a covare all’interno

Per la Repubblica musulmana, è possibile un ritorno al tavolo dei negoziati con l’Ovest. Ma solo dopo aver punito chi ha votato contro corniciata nei discorsi prettamente politici di Amhadinejad e Larijani. Il primo è intervenuto a un comizio nella città di Shahrekord, a sud della capitale. Le sue parole sono risultate minacciose, quanto grossolane. Il presidente iraniano infatti è tornato ad attaccare il “regime sionista” israeliano, ma ha anche definito gli Stati Uniti «la dittatura più violenta del mondo. Per questo ci impegniamo a salvare il popolo americano dalla repressione del suo governo». Dichiara-

della Casa Bianca. Anche ora con l’Amministrazione Obama. In entrambi i casi si è trattato di un modo di ribaltare le accuse da parte di due regimi che non nascondono l’autoritarismo e la forza alla quale ricorrono per annientare i rispettivi movimenti di opposizione. Non è un caso che Teheran abbia aspettato a reagire all’intervento sanzionatorio dell’Onu proprio in coincidenza con il primo anniversario del tentativo di rivoluzione da parte dell’“Onda verde”. Ah-

Chi è il nuovo capo del “nucleare islamico”

Salehi, zar dell’atomo Il capo della Iran’s Atomic Energy Organization (Iaeo) e vice Presidente della Repubblica, Ali Akbar Salehi, rappresenta nel senso più canonico l’intellighenzia del regime iraniano. Salehi ha studiato a Beirut e poi ha conseguito il PhD al Massachussets Institute of Technology. È riconosciuto a livello mondiale per le sue competenze nella ricerca nucleare. Nel 2003, è stato nominato rappresentante di Teheran presso l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). Il difficile incarico ha richiesto anche notevoli doti diplomatiche. Nella figura di Salehi sono armonizzate il nazionalismo persiano, la cultura scientifica di stampo occidentale e l’arte di sapersi muovere in tutto il mondo. Appena un anno fa, Salehi ha

sostituito Gholam Reza Aghazadeh all’Iaeo. Si è trattato di cambio al vertice che ha suscitato polemiche. Tuttavia con questo, il regime ha confermato la sua capacità di dissimulazione. Prevedendo commenti e critiche all’esautorazione di Aghazadeh - altro “pezzo da novanta” del gotha scientifico nazionale - Teheran lo ha sostituito con un suo “pari merito”, in modo da evitare le accuse di aver estromesso un riformista, qual era Aghazadeh, in cambio di un oltranzista fedele al regime. Gli anni spesi da Salehi presso l’Aiea però hanno fatto di questo ingegnere un professionista in materia nucleare, nonché un fine diplomatico, dotato di un portafoglio di conoscenze internazionali di indubbio prestigio. (a.p.)

madinejad inoltre ha definito le sanzioni «un’ingerenza delle grandi potenze internazionali. Queste verranno punite e si pentiranno della decisione presa», ha ammonito il leader iraniano. Tuttavia, e questo è un ulteriore paradosso del suo intervento, il governo di Teheran è pronto a sedersi nuovamente al tavolo dei negoziati, «per presentare le sue condizioni, in risposta alla risoluzione 1929». Ahmadinejad però non è entrato in merito a quali condizioni il suo governo potrebbe presentare come contropartita alle Nazioni Unite. Di taglio molto più concreto è risultato invece il discorso di Larijani.

Il presidente dell’assemblea nazionale a Teheran ha dichiarato che proporrà all’esecutivo di «ispezionare tutte le navi straniere che approderanno nei porti iraniani, o che solcheranno le acque del Golfo persico». È una risposta speculare al documento Onu. Quindi ha un valore politico. È sostenuta però anche da un obiettivo strategico altrettanto significativo. L’Iran si sente in diritto di salire a bordo di tutti i navigli, civili e militari, che dall’Occidente e dall’Estremo Oriente giungono negli scali petroliferi dell’Arabia Saudita, del Bahrein, degli Emirati Arabi, del Kuwait e del Qatar. È un tentativo di intromettersi nelle attività commerciali e negli scambi di armamenti che i Paesi arabi mantengono con il resto del mondo. Al di là della propaganda di Ahmadinejad, forse è più importante sottolineare l’intervento di Larijani e l’astuzia nelle dichiarazioni di Salehi. Il primo, con questa linea vendicativa, si conferma essere un fine political animal che sulla base della passata esperienza come Ministro degli Esteri - sa come ferire l’avversario. Il secondo ha sottolineato che l’eventuale esportazione di medicinali ottenuti dai reattori in via di costruzione nel Paese. Un messaggio di “buonismo”, questo, che mira a smontare la tesi per cui l’Iran starebbe costruendo un proprio arsenale nucleare. In ogni caso le dichiarazioni di Ahmadinejad, Larijani e Salehi sottolineano come il regime degli Ayatollah, a dodici mesi di distanza da quando se ne ipotizzava il crollo, voglia dimostrarsi inossidabile di fronte agli attacchi trasversali della diplomazia straniera. Le contraddizioni interne all’Iran restano insolute ed evidenti. Ma Teheran non demorde.


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E i commilitoni degli assassini difendono il comandante

Il governo chiede agli agenti di gestire le crisi aziendali

Bloody Sunday, escluse azioni legali contro i parà inglesi

Pechino: sarà la polizia a trattare gli scioperi

BELFAST. Uno dei legali dei mi-

PECHINO. La polizia cinese «deve identificare e risolvere i conflitti sociali prima che questi crescano troppo». È il senso della nuova campagna lanciata dal governo, che intende “colpire duro” le tensioni alla base della recente ondata di crimini violenti. Ma alcuni analisti ritengono che questo ordine sia stato emanato con un occhio anche agli scioperi che stanno colpendo il Paese. Nonostante il premier Wen Jiabao abbia definito i lavoratori migranti “figli della Cina”, infatti, l’esecutivo non vede di buon occhio l’aumento delle proteste che chiedono aumenti salariali e miglior trattamento sul posto di lavoro, che rischia di mettere in crisi il sistema produttivo cine-

litari britannici coinvolti nell’inchiesta sul Bloody Sunday ha escluso che il rapporto sul massacro compiuto nell’Ulster 38 anni fa apra la via ad azioni giudiziarie. Richiesto di un parere sull’eventualità che i soldati siano perseguiti, dopo la pubblicazione del rapporto, l’avvocato Stephen Pollard ha risposto semplicemente: «No». Nel suo rapporto, il presidente della commissione d’inchiesta, Lord Mark Saville, non ha raccomandato azioni giudiziarie.

La procura di Belfast, dal canto suo, si è limitata ad assicurare che avrebbe esaminato «al più presto» le conclusioni del rapporto. L’avvocato ha peraltro accusato il giudice Saville di aver fornito un quadro parziale degli eventi. «Ha selezionato le prove. Penso che sia stato sottoposto a pressioni molto forti dopo 12 anni e 191 milioni di sterline (spese) per produrre un rapporto che ha fornito conclusioni molto chiare anche se, in realtà, non c’erano prove per suffragarle», ha detto Pollard. Il primo ministro David Cameron ha presentato ieri scuse solenni ai familiari dei manifestanti cattolici abbattuti il 30 gennaio 1972 da paracadutisti a Londonderry. Delle 14 vittime, 13 sono state uccise durante una marcia paci-

Spopola in Somalia il rap anti-Shabaab Il cd clandestino è di un gruppo esiliato in Kenya di Luisa Arezzo a a ruba nei mercati di Mogadiscio e di altre zone della Somalia un cd, distribuito in modo clandestino, che contiene la prima canzone in stile rap contro i Giovani Mujahidin, i più tristemente famosi Shabaab, gli stessi che hanno vietato a tutti somali che vivono nelle regioni da loro controllate, e soprattutto ai giovani, di seguire i mondiali di calcio in Tv (così come ascoltare musica o ballare, tutte attività contrarie alla shari’a islamica). La canzone è stata scritta da un gruppo di giovani rap somali che vivono in esilio in Kenya. Il gruppo si chiama Waayaha Cusub (“La nuova era”) e suona musica rap e hip hop a Nairobi. Guidati dal (coraggioso) leader 27enne Shino Abdullahi, il gruppo ha aperto le porte anche anche a due ragazze: Felis Abdi, 23 anni, e Amal Mohamed, di 22. I giovani cantanti si dicono «buoni musulmani che pregano e digiunano, ma che non uccidono come fanno gli Shabaab» e per le loro parole si sono immeditamente beccati un fatwa dallo sceicco somalo Ali Mohamoud Rage, che ha detto: «Ovunque andranno e qualisiasi cosa faranno, questi traditori non potranno mai scappare dal braccio armato dei soldati di Allah». E ancora: «Il loro destino è segnato, è solo questione di tempo. Un tempo breve».

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centri del fondamentalismo islamico, una musica del genere equivale a uno choc. E ciò che a noi può sembrare impossibile, è accaduto: il gruppo rap, che osa anche far ballare le sue girls (rigorosamente fasciate dal chador, neanche un capello in vista, nemmeno mezza caviglia), e che finora ha scritto 6 Cd, realizzato 2 Dvd e una clip postata su YouTube e Twitter, ha avuto un immediato successo. Non solo in Kenya (dove spesso suona, a Nairobi, senza alcun preavviso e nei posti più disparati: una casa, un locale, una piazza) ma in Somalia, dove le canzoni anti-Shabaab, scaricate anche da Internet e Youtube, vanno a ruba.

Con i Cd venduti clandestinamente nei mercati del paese e passati di mano in mano grazie al passaparola. E questo nonostante i ribelli islamici controllino quasi tutte le province del sud della Somalia. In esilio in Kenya fin dall’infanzia, i musicisti del Waayaha Cusub coltivano una speranza: essere capaci di combattere l’influenza islamica attraverso le note e inviare un messaggio di speranza ai giovani del loro disastrato paese, la Somalia. «fate circolare questa musica - dicono i rapper - regalatela, non fermate il giro. Quest’orrore può finire, dipende da noi». «Alcuni dei giovani che ci seguono in Somalia dice il portavoce e leader del gruppo, Abdullhai - scaricano le nostre canzoni da internet e le registrano sui cellulari. È così che aggirano la censura e i divieti». Già, perché ascoltare un ritmo musicale, in Somalia, è una condanna a morte se la notizia arriva alle orecchie sbagliate, visto che dallo scorso aprile vige il divieto assoluto, da parte degli Shabaab, di ascoltare la musica. «Mio fratello mi ha mandato da Nairobi un Cd e due album dei Waayaha Cusub - dice Udbi Hassan, studente 21enne di Mogadiscio - ma io non passo mai ascoltarlo in pubblico: rischio troppo». Così come rischia Abdullhai, che nel 2007 si è beccato una pallottola alla gamba. Ma che non demorde e imperterrito suona.

I Waayaha Cusub sono una band di dieci musicisti (di cui due donne). Il loro leader, Abdullahi, ha già subito un attentato

fista e l’altra è morta mesi dopo. Nel frattempo, alcuni di quei paracadutisti che hanno massacrato civili inermi si permettono di difendere l’operato del loro superiore dell’epoca. Sei parà in servizio a Derry sostengono che l’autore dell’inchiesta aveva solo bisogno di un ufficiale su cui far ricadere la responsabilità degli eventi. Il rapporto presentato ieri indica che il colonnello Derek Wilford, l’ufficiale al comando quel giorno, aveva ignorato gli ordini del suo superiore per non ordinare ai suoi uomini di oltrepassare una barriera, inoltrandosi più in profondità nella zona di Bogside. Criticato nel rapporto anche l’operato del generale Robert Ford.

L’agghiacciante sentenza di morte non ha però ancora fermato la band, nata nel 2004 ed ora composta da 10 membri (uno è stato ferito in volto con un colpo di pistola ed ha abbondonato il gruppo) che con il loro ultimo lavoro discografico hanno deciso di combattere gli estremisti islamici che li costringono a vivere all’estero. In Kenya per la precisione, anche se mai nello stesso posto (evidenti ragioni di sicurezza). «Non siete altro che i supporter di Satana - scrivono in una delle loro canzoni più famose: Terroristi - ed ignorate il vero senso della Shari’a così come i 5 pilastri dell’Islam. Terroristi, ecco cosa siete». In Occidente siamo abituati a linguaggi forti e contro, anche verso l’Islam. Ma in Africa, in uno dei veri epi-

se, basato sulla manodopera a basso costo. La campagna è stata presentata dal vice ministro per la Pubblica sicurezza, Zhang Xinfeng, che spiega: «La Cina, nel corso del processo di trasformazione economica e sociale, affronta conflitti interni e nuovi problemi nel campo della sicurezza. La polizia deve realizzare la complessità del problema».

Un comunicato del ministero afferma che gli agenti «devono individuare i problemi alla radice, e risolvere i conflitti nelle fasi iniziali». Non è chiaro, però, se gli agenti siano chiamati a affrontare in maniera pacifica o con le armi le tensioni nascenti nel Paese. Una campagna simile, lanciata prima dei Giochi olimpici di Pechino del 2008, si risolse con una serie di arresti. Nel frattempo, però, anche gli scioperanti stanno cambiando tattiche per cercare di portare avanti la protesta. I giovani migranti, infatti, fanno parte di una nuova generazione più dinamica e meno propensa a subire in silenzio lo sfruttamento industriale. I lavoratori della Honda, ad esempio, sono riusciti a contattare un docente universitario di Pechino per chiedergli di divenire il loro rappresentante locale.


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Stati Uniti. Per ora il movimento anti-tasse ha scelto come punto di riferimento i repubblicani, ma in futuro potrebbe ridefinire i confini del bipartitismo Usa

No Obama? Tea Party Li definiscono come la quintessenza del populismo di protesta. Ma la loro è politica allo stato puro di Marco Respinti ira voce che quell’enorme fenomeno di popolo che imperversa da mesi negli Stati Uniti d’America sotto il nome di “Tea Party” sia la mera reazione dell’antipolitica, la quintessenza del qualunquismo populista, la resa totale nei confronti del disfattismo più bieco, insomma la rinuncia a qualsiasi azione di proposta costruttiva di riforma della cosa pubblica per dare fiato solo ai polmoni della protesta sterile. Gira questa voce, anzi si fa sempre più insistente, ma è sbagliata. Certo che sì che i “Tea Party” sono reazione e protesta, ci mancherebbe altro, ma la loro offensiva è politica, assolutamente politica, squisitamente politica, addirittura nobilmente politica.

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La voce errata di cui sopra si è del resto fatta insistente dopo l’esito del confronto elettorale del cosiddetto “Supertuesday”, il 18 maggio, allorché diversi candidati sponsorizzati dal movimento del “Tea Party” sono riusciti a imporsi su uomini del Grand Old Party (l’altro nome dei Repubblicani) più decisamente legati all’establishment del partito. Per esempio in Kentucky Randal Howard “Rand” Paul, classe 1963, oftalmologo prestato alla politica antistatalista e antiabortista, terzogenito del fuoriclasse Ron Paul, ginecologo pro-life e libertarian attivo in Texas da una vita (e spesso mal sopportato) tra i Repubblicani. Il successo ottenuto da Paul figlio alle primarie intimidisce infatti non poco le sfere alte del Gop, le quali, temendo alle elezioni di medio termine del novembre prossimo di venire superate a destra da personale politico nuovo più

legato alla base, si stanno lanciando in una campagna discreta ma non morbida di sostanziale demonizzazione del fenomeno. Se infatti il movimento del “Tea Party” dovesse continuare a crescere anche dentro l’arena politica, l’egemonia comunque esercitata da tempo dai Repubblicani sopra certe aree del popolo conservatore potrebbe vacillare sempre più seriamente. Da qui l’affanno a denunciare il movimento come pericolosa crisi della politica. Epperò, appunto, non è vero. Il successo di candidati legati, appoggiati o provenienti dal mondo dei “Tea Party”, un successo destinato a crescere, è sì il segno di una crisi, ma non certo quello della crisi della politica. Semmai testimonia senza mezzi termini la crisi del bipartitismo creduto perfetto che da decenni domina apparentemente incontrastato lo scenario politico statunitense. A guardarli oggi sembrerebbe che gli Stati Uniti con il bipartitismo ci siano nati, che addirittura esso sia iscritto nel dna politico della nazione, ma non è affatto così. Di partiti gli Stati Uniti ne hanno conosciuti e ne conoscono molti; molti sono

Questa storia di amore-e-odio tra movimento conservatore e Gop prosegue senza sosta da più di cinquant’anni

andati, altri sono venuti, diversi si sono trasformati. Tanto per ricordarlo una volta in più, i Democratici come li vediamo oggi sono solo l’esito di quel lento ma costante slittamento a sinistra che si legge distintamente dentro le Amministrazioni guidate da Thomas Woodrow Wilson (1856-1924) e da Franklin D. Roosevelt (1882-1945), e che con John F. Kennedy (1917-1963) e con Lyndon B. Johnson (1908-1963) ha portato a conclusione l’iperbole di un movimento politico di suo nato aristocratico e arciconservatore. Parimenti, il Partito Repubblicano nacque a metà dell’Ottocento su istanze piuttosto progressiste e modernizzanti, e solo a partire dalla campagna elettorale condotta nel 1964 da Barry M. Goldwater (1909-1998) – annunciata in parte dalla cavalcata politica solitaria del senatore Robert A. Taft (18891953) – si è spostato, se non altro in diverse sue frange, decisamente più a destra. Più che di bipartitismo, cioè, negli Stati Uniti è opportuno parlare di bipolarismo, e le due cose non sono affatto identiche. Esistono cioè forze culturali chiare e distinte che propongono soluzioni politiche davvero fra loro antitetiche, ma non è detto che ciò si sovrapponga sempre con perfezione ai programmi dei partiti maggiori attivi sulla scena in determinati momenti storici, né che cioè coincida con la singolare tenzone fra due soli contendenti. Il bipartitismo, cioè, se ben congeniato, può incarnare il bipolarismo, altrimenti ne è la paralisi più svilente. Quanto sopra comporta dunque storicamente il fatto anzitutto che i partiti politici maggiori degli Stati Uniti si configurino più come federazioni di forze politiche fra loro anche piuttosto diversificate (e sovente su base regionale, ovvero geo-culturale), e non come strutture monolitiche di carattere ideologico, e in secondo luogo che un numero enorme di elettori americani non si senta affatto rappresentato né da l’uno né l’altro, oggi i Democratici e i Repubblicani: una delle ragioni, questa (non certo l’unica e però determinante), che spiega le proverbiali alte percentuali dell’astensionismo elettorale americano. Ora, la crescita esponenziale di personale politico legato ai “Tea Party”segna l’affermarsi prepotente sulla scena pubblica americana di un fenomeno nuovo. Ovve-

ro l’avvento di una “terza forza”concreta e reale rispetto al bipartitismo imperfetto, la quale ha le carte in regola per scompaginare i giochi oramai stantii della politica statunitense.“Terza forza”si badi bene, non ancora “terzo partito”; ma il passo dall’una all’altro potrebbe anche repentinamente rivelarsi più breve e rapido da compiere del previsto. E questo impone dunque un ragionamento sul Partito Repubblicano. Nato remotamente, come detto, non certo a destra, esso si è trovato fra anni Quaranta e Cinquanta del secolo scorso esterno e però anche prospiciente un fenomeno nuovo e in crescita veloce: il conservatorismo, che da fenomeno di cultura si è via via incarnato in una storia di popolo la quale a un certo punto ha pure cercato una sponda politica. La sagacia di uomini come Goldwater (più, di fatto, debitori al movimento che alle scuderie di partito) ha reso possibile lo scoccare, pur con circospezione e cautele, di una scintilla di simpatia spesso divampata in un incendio di passione. Per effetto prima di Goldwater in persona e poi della “cultura goldwateriana”, il GOP ha quindi imparato, per amore o per forza, ad articolare quel linguaggio, caro ai conservatori, che parla di Stato limitato, riduzione fiscale e libertà personale. Per forza di cose, quindi, am-


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macchina burocratica dello Stato ingigantita decisamente, ha deciso di mettersi in proprio.

McCain nel 2008 ha perso male, ma sarebbe andata peggio se la Palin non avesse tamponato l’emorragia elettorale pie fette del mondo conservatore si sono di fatto trovate schierate con i Repubblicani: mai automaticamente e però sempre più abbondantemente, soprattutto in presenza di uomini politici convinti e credibili. Sono però passati gli anni, e le riforme conservatrici promesse dai Repubblicani in cambio di voti hanno segnato il passo, hanno tardato, a volte sono state appositamente rimandate, insomma il popolo dei conservatori le aspetta ancora come Godot. E così, a fianco dei conservatori amici del Partito Repubblicano, è lentamente ma inesorabilmente sorta anche una fronda, polemica, vivace e assai attiva, spesso organizzata nel non-voto o nel supporto a candidature politiche di bandiera a favore di candidati “puri” e indipendenti. Questa storia di amore-e-odio tra conservatori e Repubblicani prosegue da più di 50 anni e la controversia interna alla maison conservatrice, che non conosce esclusione di colpi pure bassi, anche. Da un lato stanno i Repubblicani filoconservatori che continuano a chiedere fiducia al mo-

vimento, dall’altro ci sono gli scettici che sbattono loro la porta in faccia e nel mezzo sta il popolo degli elettori diviso fra chi è stato fin qui disposto ad accordare sub iudice un voto ancora e chi invece ha scelto da tempo di darsi ad altro. Oggi però la misura sembra essere davvero colma. Dopo decenni di promesse e di attese, il bipartitismo americano pare avere deluso quasi tutti. I Repubblicani, cioè, non riescono più a strappare fiducia ai conservatori e i Democratici non ci provano nemmeno. E, di suo, il successo (allora) di Barack Hussein Obama ha risposto più a logiche analoghe eppur giocate sul versante sinistro dello spettro politico che non ha un trionfo dei Democratici in quanto partito. Da questo punto di vista, il senso politico delle cruciali elezioni presidenziali del 2008 è netto: sconfitta secca dei Repubblicani istituzionali (John McCain) per abbandono del campo degli elettori conservatori e buona tenuta invece degli avversari interni (Sarah Palin) per volontà sempre dei conservatori. McCain, infatti, ha perso male, ma avrebbe perduto peggio se la Palin non avesse tamponato in qualche modo una emorragia pericolosissima. Epperò quella tornata elettorale è apparsa subito come decisiva.Vale a dire fo-

La crescita esponenziale di personale politico legato ai “Tea Party” segna l’affermarsi prepotente sulla scena pubblica americana di un fenomeno nuovo. Ovvero l’avvento di una “terza forza” concreta e reale rispetto al bipartitismo imperfetto, la quale ha le carte in regola per scompaginare i giochi oramai stantii della politica statunitense. “Terza forza” non vuol direancora “terzo partito”; ma il passo dall’una all’altro potrebbe anche repentinamente rivelarsi più breve e rapido da compiere del previsto. E questo impone dunque un ragionamento sul Gop riera di cambiamenti enormi. L’avvento dei “Tea Party”, che sono oggi anche la casa comune di quel personale politico percepito dalla base grassroots come solo temporaneamente prestato al Partito Repubblicano (Palin, Dick Armey, Newt Gingrich, Ron e Rand Paul), è pure il segno dell’insoddisfazione di un elettorato vasto che sin qui ha creduto al bipartitismo imperfetto appoggiando il Gop, ma che ora, dopo che anche con Amministrazioni Repubblicane ritenute amiche (George W. Bush jr.) la spesa pubblica è aumentata mostruosamente, la libertà personale diminuita sensibilmente e la

Per il momento, gli esponenti politici legati ai “Tea Party”scelgono ancora di stare nel Gop, svuotandolo però per bene dall’interno. Ma se domandi dovessero invece decidere di dare vita a un polo politico nuovo, alternativo? A quel punto la cenerentola della politica americana, il famoso “terzo partito”, che sempre esiste, che nella stragrande maggioranza dei casi è di cultura nazional-conservatrice e che però non ha mai funzionato davvero, potrebbe sorgere a vita vera. E delle due l’una: o i Repubblicani “istituzionali” verranno rapidamente sostituito da conservatori veri che determineranno un cambiamento politico epocale, oppure il Gop si avvierà al declino cedendo il passo a una formazione assai più conservatrice, ma soprattutto più ricca di sostenitori. Si guardi, per capirsi, al caso del Partito Conservatore del Regno Unito: la politica indecisa seguita da David Cameron è riuscita a battere di misura i Laburisti (ci voleva poco), ma non a convincere la Destra vera del Paese, evidentemente numerosa (ché sennò avrebbero vinto le Sinistre) bensì scontenta di quanto i Tory le propongono. Ecco, questo è ciò che ha capito il “Tea Party”: i tempi sono maturi per un superamento di questo bipartitismo, magari persino del Partito Repubblicano. E questo, signori, non è disfattismo, è politica bella e buona. La politica di quella famosa “Right Nation” che non è affatto scomparsa nel 2008, ma che solamente sta pensando di dotarsi di strumenti di battaglia più efficaci. Qualcuno potrebbe bollare tutto ciò come fantascienza. Possibilissimo. Epperò un dato importante è già accertato: se ieri il popolo conservatore litigava e si divideva fra chi era disposto ad accordare nonostante tutto ancora fiducia ai Repubblicani e chi aveva già deciso di tenersene lontanissimo, oggi nei cenacoli dei “Tea Party”, e soprattutto attorno ai suoi candidati politici, troviamo già di fatto riunite le diverse anime litigiose del movimento, tutte davvero, nessuna esclusa. Non è mai successo: qualcosa di tentativamente simile accadde in origine attorno a Goldwater e poi con Ronald W. Reagan (1911-2004), ma erano altri tempi, altri uomini. Oggi invece il goldwater-reaganismo potrebbe pensare e quindi decidere di avere trovato dimora altrove, non più insomma nel Gop. In crisi vera è dunque solo la dicotomia Democratici-Repubblicani, non certo la politica, quella cosa che per gli americani (a noi non sembra, ma noi non vediamo) resta sempre tanto seria da spingere le persone e le loro libertà a inventare e a tentare con orgoglio e generosità soluzioni nuove, persino drastiche. Se il “Tea Party”dovesse rafforzarsi generando una forza anche politica d’urto, la storia pluridecennale del mondo conservatore avrebbe raggiunto finalmente una tappa decisiva, inseguita da sempre, sempre sfuggita, ma da ora in poi maledettamente concreta. Fare da sé, lasciando a casa i tromboni. Immaginatevi il futuro. www.marcorespinti.org


cultura

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Tra gli scaffali. Dai tipi di Minimum Fax arriva la “Piccola enciclopedia dei personaggi letterari (1946-1999)” di Fabio Stassi

Holden, Lolita, Zivago e gli altri di Antonio Funiciello nimalista. Stassi cerca, cioè, di dare alla vista del lettore, che saltella senza alcuna regolarità da una pagina all’altra della sua Piccola enciclopedia, un’istantanea del personaggio da romanzo, non necessariamente scattata in un momento culminante della storia in cui appare. È una scelta narrativamente efficace, perché dispone immediatamente il lettore a ricercare nella memoria la sua personale istantanea di quel personaggio. Il confronto tra fotogrammi che ne segue dà il senso della piacevolezza che si riceve leggendo la Piccola enciclopedia. La

i sono due tipi di enciclopedie e dizionari dei personaggi di fantasia. C’è anzitutto l’austero e irrinunciabile Dizionario delle opere e degli autori edito da Bompiani, sfogliato e risfogliato nelle biblioteche e prima o dopo acquistato da chiunque si occupi di lettere. Ci sono poi libri più liberali e meno irrinunciabili, come il Dizionario dei personaggi di romanzo di Gesulado Bufalino. Liberali perché appassionati, più guidati da un competente gusto personale che da un’acribia dottorale e, per la stessa ragione, più opinabili e assai meno infallibili della piccola enciclopedia bompianiana. Il dizionario bufaliniano terminava a metà Novecento e lì lasciava il suo lettore, alle prese con le sabbie mobili della letteratura contemporanea.

C

Sono occorse la passione e la liberalità bufaliniane, con un po’ di intelligente incoscienza dell’editore Minimum Fax, perché lo scrittore Fabio Stassi s’incaricasse di proseguire la miscellanea interrotta di personaggi e coprire la seconda metà del secolo passato. La Piccola enciclopedia dei personaggi letterari (1946-1999) di Stassi esattamente questo fa, al netto delle legittime ambizioni diderottian-dalambertiane dell’autore, che pure impegnano in un excursus puntuale nelle lettere mondiali, mica solo occidentali. Con l’immancabile cedimento multiculturalista che, a ben vedere, è l’unico punto debole di questa lunga traversata nelle vite dei personaggi di fantasia. Non che Stassi, parafrasando Bellow, vada alla ricerca del Philp Roth dei Papua o del Nabokov degli Zulù, che notoriamente non esistono. Le escursioni extra occidentali sono poche e non sfilacciano i fili narrativi che tramano la sua raccolta di personaggi. Ma il politicamente corretto è la regola dei nostri giorni, anche del mercato editoriale italiano, e così davvero la debolezza multiculturalista della Piccola enciclopedia di Stassi merita meno biasimo di quanto, in altre circostanze, le sarebbe stato accordato. La for-

Tutta la forza dell’intero volume sta nella disponibilità del raccoglitore di vite di fantasia nel confrontarsi col lettore za del libro sta, invece, nella disponibilità del raccoglitore di vite di fantasia nel confrontarsi col lettore. Dei personaggi viene volutamente offerta una lettura univoca, che fissa il giovane Holden di Salinger o il Montag di Fahrenheit o il Barney Panofsky dell’omonima Versione in un ritratto fintamente mi-

cosa funziona anche coi personaggi di romanzi italiani, troppo spesso disumanizzati da una storiografia accademica disumanizzante. È il caso di Ciccio Ingravallo, il commissario del Pasticciaccio di Gadda, di Milton (Fenoglio) e Bube (Cassola), nonché della splendida Micol dei Finzi Contini bassaniani. Stassi ne fa voci eloquenti del suo dizionario, non già muti paradigmi letterari o archetipi culturali balbettanti. La loro vicenda gli interessa per sé e non per quello che rappresenta o dovrebbe rappresentare. Non è un caso che tanta liberalità sia messa in mostra da scrittori come Stassi oggi e Bufalino ieri, e non da critici o storiografi assillati dal

primato dell’incasellamento dottrinale. Nessuno come un romanziere - colui che crea personaggi fittizi in situazioni verosimili - sa che la forza delle sue creazioni va misurata nella capacità che esse mostrano nel penetrare l’esistenza privata del lettore che ci s’intrattiene. Andrea Tagliapietra nel suo Filosofia della menzogna (Milano 2001), a proposito del principe dei personaggi d’invenzione, Ulisse di Itaca, ha scritto: «Gli eventi decisivi della vicenda odisseica sono incentrati sul potere della parola, sulla “dialettica dell’eloquen-

In questa pagina, uno scatto dello scrittore Fabio Stassi, la copertina del suo libro “Holden, Lolita, Zivago e gli altri” e un disegno di Michelangelo Pace

za”, sulla capacità della parola di distanziare l’immediatezza della natura. Fa parte, del resto, delle prerogative della mêtis il produrre una sorta di arretramento rispetto alla realtà, di cui sono epifenomeni il sangue freddo e la padronanza di sé». Non che tutti i personaggi raccontati nella Piccola enciclopedia siano complessivamente caratterizzati da un buon grado di padronanza di sé, ma Stassi riesce a restituirceli in un momento di relativo sangue freddo. Questo ci permette, come lettori di quei romanzi che lo stesso Stassi ha letto e più o meno amato, di ritornare al momento dell’incontro e della conoscenza con quel personaggio, per verificare cos’è cambiato da allora. Se i libri non servono a cambiare il mondo e gli artisti impegnati in politica sono tutti piccoli D’Annunzio, senza la sua grandezza poetica, è certo che una qualche incidenza sulla vita individuale delle persone ce l’hanno eccome.

Ripercorrendo i 200 nomi che si susseguono nella Piccola enciclopedia, ci ritroviamo così a fare i conti con noi stessi. A riprendere quei libri che ci calarono nella circostanza dell’incontro col personaggio amato o detestato, a tornare al periodo della nostra vita che hanno abitato, a riflettere magari sul modo in cui da quelle storie siamo stati influenzati e, infine, cambiati. Winston Smith non è soltanto il protagonista di 1984 di Orwell incontrato, amato e così poco compreso al liceo, così come Moses Herzog dell’omonimo capolavoro di Bellow in cui ci si è radicalmente identificati - non è solo quell’intellettuale incredulo e immensamente sbigottito dal fatto che tutti i libri letti non lo aiutino a impedire che la sua esistenza privata vada a rotoli. Fabio Stassi con la sua Piccola enciclopedia ci mette davanti a uno specchio: ci piaccia o meno, le voci del suo dizionario mentre raccontano di sé ci parlano di noi; ci danno qualche attesa risposta e ci pongono qualche nuova domanda.


spettacoli

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arà un luglio di grande musica per la Capitale con il Rock in Roma, edizione 2010 all’Ippodromo delle Capannelle, la location romana del divertimento in estate. Una serie di grandi nomi che confermano l’imponenza del festival rock, tra i più importanti eventi musicali in Italia, che coinvolge migliaia di persone entusiaste ogni sera e che porta a Roma i più importanti artisti del panorama italiano e mondiale.

S

Questa estate possiamo aspettarci alcune chicche mondiali, The Cranberries, Mika, Gossip, Skunk Anansie, Litfiba. Eventi inediti come il progetto di Daniele Silvestri con l’Orchestra di Piazza Vittorio; e altri, creati ad hoc, che vedranno sullo stesso palco Ska-P e 99 Posse. Grandi ospiti, in prima posizione, il chitarrista statunitense blues Gary Moore (26 a Genova e 27 a Milano) e la band rock Zz Top (il 14 a Padova e il 15 a Milano). Prodotto dalla The Base S.r.l., con la direzione artistica di Sergio Giuliani e Massimiliano Bucci, il calendario di Rock in Roma si apre con i Cranberries il 5 luglio. Seguono in ordine, Mika, Gossip, Zz Top, Ska-P, Skunk Anansie, Afterhours, Litfiba, The Cult e il 28 Luglio Gary Moore. Dopo il successo delle precedenti edizioni, Rock in Roma 2010 si propone come uno degli eventi più importanti a livello nazionale. Il progetto a medio termine alla base punta a unire cultura (nelle prossime edizioni alla musica saranno affiancati film e letteratura), ecologia (presto un impianto fotovoltaico per la struttura oltre che sensibilizzazione e grande attenzione al riciclaggio) e sport nei 180 ettari dell’Ippodromo delle Capannelle, per fare del festival, quindi, non solo una piccola parentesi musicale durante l’anno. Per ciascun concerto è possibile acquistare i biglietti presso le prevendite abituali e tramite i seguenti circuiti: TicketOne, Greenticket, Amit, Listicket, Go2, Ticket.it e Booking Show. Appuntamento prezioso dunque per i fan del rock che avranno modo di vedere due grandi stelle del rock d’oltre oceano, Zz Top e Gary Moore, che fanno tappa molto poco in italia. Zz Top: una tra le icone più affermate e riconoscibili della musica internazionale, tre musicisti, Billy Gibbons, Dusty Hill, Frank Beard ricordati non solo per la loro musica ma anche per il loro look bizzaro e trasandato contraddistinto dalle lunghe e folte barbe rosse dei due front-men, occhiali da sole e cappello, e dal sound rockblues ruvido, tipico del Texas. A renderli autentici la loro formazione, sempre uguale da ormai 40 anni di attività, fin dal 1971 quando pubblicano Zz Top First Album. Con Tres hombres arriva il grande successo. È

Nella foto grande, il gruppo statunitense dei Zz Top, da quarant’anni un’icona del rock. In basso, il chitarrista Gary Moore

Musica. Torna dal 5 luglio alle Capannelle la tradizionale kermesse dell’estate romana

Gary Moore e Zz Top, una Capitale a tutto rock di Valentina Gerace

l’anno 1973 e i Zz Top con la mitica La Grange sono già al top delle classifiche rock statunitensi. La grande capacità di rinnovarsi negli anni, pur mantenendo intatta la propria natura, li porta a raggiungere la massima vetta di popolarità negli an-

loro un vero e proprio tributo, quando l’attore protagonista, un motociclista acrobata, indossa i loro tipici occhiali sulle note di Tush. Il tutto ambientato ovviamente nella patria della bands, il polveroso Texas. Nel 2009 gli Zz Top hanno

le un altro colosso della musica rock. Gary Moore, eroe della chitarra, “mostro sacro” del rock-blues per la prima volta arriva nella capitale italiana. L’artista islandese,

Il calendario si apre con i Cranberries. A seguire Mika, Gossip, Ska-P, Skunk Anansie, Afterhours, Litfiba e The Cult, per un’edizione 2010 piena di grandi ospiti e attrattive ni ’80, soprattutto grazie al disco Eliminator, quando aggiungono i synth e una certa vena pop alle loro canzoni. Nel 2004 vengono inseriti nella Rock & Roll Hall of Fame. La cultura americana, dal cinema alla moda, è ricca di riferimenti e tributi ai tre musicisti texani. Le loro canzoni sono la colonna sonora di Ritorno al Futuro e Terminator 2, mentre in Ghost Rider con Nicolas Cage viene rivolto

pubblicato il dvd dal vivo Double Down Live che anticipa ciò che Billy (voce e chitarra), Dusty (basso e voce) e Frank (batteria) portano in Italia questa estate.

Nel frattempo gli Zz Top hanno già annunciato la loro presenza al Crossroads Guitar Festival di Eric Clapton a Chicago, previsto per il 26 Giugno. All’ippodromo delle Capannel-

un esempio unico di chitarrista rock, dotato di un formidabile songwriting è famoso per il suo e coinvolgente fantastico Heavy Rock. Nato a Belfast nel 1952, possiede grande capacità compositiva e tecnica esecutiva straordinaria, tanto da essere citato come fonte ispirativa da chitarristi dal calibro di Kirk Hammett dei Metallica e il compianto Randy Rhoads della band di Ozzy Osbourne. Tra i suoi chitarristi preferiti Peter Green del periodo Fleetwood Mac e Jeff Beck. Nel suo stile si mescolano ed esaltano il rock, il blues, l’hard rock, il pop di qualità, le tradizioni della musica irlandese, l’attitudine virtuosistica dei migliori guitar hero, l’amore per le ballate avvolgenti, i ritmi del metal. La sua copiosa produzione discografica è molto variegata, sia nei dischi solisti sia in quelli dei gruppi in cui ha militato. Al suo attivo esperienze di rock progressivo, venato di jazz (Colosseum II del batterista Jon Hiseman), di hard/blues rock (Skid Row), hard-rock spruzzato di heavy metal (Thin Lizzy di Phil Lynott). Ha suonato anche con Jack Bruce e Ginger Baker, Greg Lake, Cozy Powell, Ozzy Osbourne e B.B.King.

Nei suoi lavori solisti della seconda metà anni ’80 non mancano gustose concessioni al pop-rock: Run for Cover del 1985 (dove spiccano Military Man, rocksong d’enorme pathos, Out in the Fields, singolo tirato, entrambi cantati da Phil Lynott, il secondo è anche l’ultimo brano da lui inciso prima della morte, pubblicato postumo) e Wild Frontier del 1987 (contiene la cover di Friday on My Mind, hit sixties degli australiani Easybeats). Da segnalare gli echi celtici dell’energica Over the Hills e Far Away e della ballata Johnny Boy. Nel 1990 pubblica un album di blues rock puro, Still Got The Blues, il suo più grande successo in assoluto, in cui è supportato da straordinari artisti come George Harrison, Don Airey, Albert Collins, Albert King, Andy Pyle, Nicky Hopkins, etc. Ultimo lavoro di Gary Moore è l’album Bad For You Baby, del 2008. Un’altra grande prelibatezza impregnata di blues americano. Ancora un’estate piena di sorprese, dunque.Tocca approfittarne, prima che I grandi Gary Moore e ZZ Top rientrino a casa.


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE

Una domanda dal ministro Tremonti Signor Direttore, mi è stata segnalata l’intervista rilasciata al suo giornale da Mario Deaglio e pubblicata sotto il titolo: “Addio conflitto capitale-lavoro, il marxista Tremonti ha ragione”. Non entro nel merito. Solo una rettifica. Alla domanda: «Tremonti marxista?» Deaglio risponde: «I suoi primi scritti sono usciti sui Quaderni piacentini. Aveva un’impostazione molto ancorata alla corrispondenza tra fattori di produzione e classi sociali». A me non risulta: quale anno? Quale numero? Deaglio o il Vostro giornale mi possono fare cortesemente sapere? Con molti saluti.

Giulio Tremonti

Gentile Ministro, abbiamo girato l’obiezione al Professor Deaglio, che ci ha amabilmente risposto: si tratta di un errore di testata, ma non del tutto di area culturale, giacché gli articoli in questione erano stati pubblicati non sui Quaderni piacentini ma sul manifesto. Cordiali saluti.

PENSIONI: UNA VERA E PROPRIA FREGATURA PER LE DONNE L’innalzamento dell’età pensionabile per le donne che lavorano nel settore pubblico a 65 anni a partire dal 2012 è una vera e propria fregatura. Una norma giusta in linea di principio in Europa, applicata però qui in Italia, si rivela come un’ennesima sperequazione di fatto. Il nostro Paese difatti è ancora molto lontano dall’assicurare un’effettiva parità tra i sessi nell’accesso al lavoro e altrettanto insufficiente è il livello dei servizi sociali per le donne che lavorano e per le famiglie. Stando così le cose, se il governo non farà nulla per modificare questa situazione, come è molto probabile che avvenga, quello dell’Europa sarà solo un comodo alibi per risparmiare, come dice Brunetta, 50 milioni nel 2012 e 150 nel 2013 grazie al maggior lavoro delle donne che continueranno a supplire allo Stato nell’assistenza ai figli, agli anziani, ai disabili.

Lia

DISABILITÀ: CANCELLARE I PROVVEDIMENTI INCOMPRENSIBILI

ziaria in merito all’innalzamento della soglia di handicap all’85% per avere diritto all’assegno di invalidità, e quelle inerenti l’ulteriore taglio degli insegnanti di sostegno per la scuola pubblica. L’articolo 9 della manovra “antisprechi escluderebbe una larga fascia di invalidi dal contributo statale, in particolare 38mila italiani con sindrome di Down. Non meno allarmanti le disposizioni che tagliano la possibilità di ricorrere agli insegnanti di sostegno nella scuola pubblica creando ulteriore pregiudizio al diritto allo studio dei cittadini portatori di handicap.

Ivano e Fabio

A PROPOSITO DI INTERCETTAZIONI Dopo aver catturato il figlio di un noto boss campano, alcuni media hanno commentato che si tratta di una grande vittoria dello Stato, ottenuta grazie alle intercettazioni. A questo punto si potrebbe dire che il governo vuole fare a meno di uno strumento essenziale per l’ottenimento di tali vittorie, o che più propriamente occorre limare tale strumento per fare in modo che non risulti deviabile?

Abolire le disposizioni previste dalla finan-

Lettera firmata

Il Festival della luce Il Diwali, o Festival della Luce, è uno degli eventi più popolari in India. Questo festival religioso indù si celebra ogni anno nei mesi di ottobre e novembre. In questo periodo, la gente festeggia comprando nuovi capi d’abbigliamento, illuminando le case e tirando petardi

ABOLIAMO LE PROVINCE La battaglia contro gli enti inutili è un esempio di democrazia diretta nel rispetto delle necessità dei cittadini, che inseriti in contesti abitativi con meno di 400 abitanti, restano sottesi alla burocrazia che noi tutti odiamo, ma di cui non possiamo fare a meno. Non è solo la battaglia di Italo Bocchino al-

L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano

la Camera, ma di tutti coloro che hanno capito che il proliferare di istituzioni locali accrescono il vuoto istituzionale. Abolire le Province indicate significa anche andare in questo senso, e non rimpinzare le regioni del personale tagliato e nemmeno avallare il provvedimento con sconti e sotterfugi.

Gennaro Napoli

dal ” The Asahi Shimbun” del 16/06/10

Il nuovo Kan del Giappone non convince l premier Yuko Hatoyama se ne è andato. Ma l’arrivo del nuovo primo Ministro, Naoto Kan, ha segnato un vero cambiamento? Le ombre giapponesi della politica non ci spiegano ancora se la svolta è soltanto di superficie oppure è reale. Neanche con l’intervento alla Dieta (il Parlamento, ndr) di lunedì, i dubbi sono stati dissipati. La relazione di Kan è risultata opaca e poco incisiva.

I

Era la prima volta che il premier affrontava i leader dell’opposizione. Sarebbe stato interessante conoscere gli aspetti comuni tra Hatoyama e Kan e quali invece le novità. Non è arrivata ancora nessuna risposta. Il mese prossimo ci saranno le elezioni per il rinnovo della Camera alta, ma gli elettori non hanno alcuna informazione aggiuntiva rispetto al nuovo governo. Non è politicamente corretto. Kan si è impegnato per fare una riforma fiscale, è vero. La sua amministrazione rinuncerà ad alcuni obiettivi per avere le risorse per finanziare alcuni servizi sociali. Kan sta anche pensando a una commissione bipartisan, per mettere mano alle riforme del sistema fiscale. Questa è senz’altro una posizione che lo distingue dai suoi predecessori e che fornisce agli elettori una speranza di cambiamento. Lunedì, l’opposizione in Parlamento ha chiesto chiarimenti sulla legge quadro di riforme fiscali prevista nella la prossima finanziaria triennale. E anche sulla previsione di spesa sul medio e lungo termine. Così come sulla «strategia

di crescita economica» che il governo intende seguire. «Ci stiamo ancora lavorando ed entro la fine del mese ci sarà una risposta»la ripsota del premier. Anche sulla proposta di alzare le tasse al consumo, Kan non ha dato indicazioni. «Inseriremo la questione nel programma elettorale entro pochi giorni» la laconica risposta del premier democratico che, ricordiamo, è in carica dall’8 giugno di quest’anno. Insomma, nessuno dei temi su cui era stato richiesto un approfondimento è stato affrontato. Poi c’è anche la consuetudine (che caratterizza i meccanismi politici giapponesi, ndr) di estendere la durata del Parlamento, in modo che il premier neoeletto abbia il tempo di elaborare la legge finanziaria. Anche in questo caso il Partito democratico (di cui fa parte Kan, ndr) sembrava

intenzionato a seguire la stessa prassi. Inizialmente si pensava ad un allungamento della legislatura di appena un giorno. Poi ci si è accorti che i tempi non sarebbero stati sufficienti. Ma il Partito democratico sembra aver anteposto un interesse di tipo elettorale a quello più generale che vede come necessario mettere sui binari il documento finanziario prima del richiamo alle urne. In pratica i democratici non vogliono che la propria debolezza politica sia palese prima del voto. L’ultima legislatura è stata sommersa di decreti leggi, una pratica esecrabile a cui la nuova amministrazione dovrebbe rinunciare. Se la nuova commissione bipartisan sulle riforme fiscali dovesse partire, potrebbe essere un primo terreno dove governo e opposizione potrebbe aprire un vero confronto politico. Una necessità vista con favore da molti.

Lo stesso leader dell’opposizione il liberal-democratico, Sadakazu Tanigaki, lunedì alla Dieta aveva accolto con favore la proposta del governo. Sempre che il Partito democratico non decida di togliere l’argomento dal manifesto elettorale. Il condizionale è d’obbligo. In sintesi, l’opposizione è convinta che i cambiamenti siano essenzialmente «cosmetici», mentre il governo per voce del premier afferma «aspettate e vedrete». Un primo segnale positivo sarebbe dimenticare un attimo l’interesse elettorale e prolungare l’attuale legislatura il tempo che serve.


opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog

dai circoli liberal

LETTERA DALLA STORIA

Non sai neanche quant’è bello stare qui da solo

GLI UFFICI GIUDIZIARI DEVONO RIMANERE NEL CENTRO STORICO Gli uffici giudiziari tranesi devono rimanere nel centro storico, uno dei più belli d’Italia, a forte vocazione turistica e commerciale. Se venisse depauperato con la sottrazione di tali uffici, scemerebbe anche la rilevanza del sito e l’attenzione quotidiana nei confronti di tale scrigno culturale cittadino. Non riesco a immaginare il centro storico tranese senza la presenza di sportelli e uffici di rilevanza pubblica e civile come gli uffici giudiziari, che danno un valore aggiunto al sito e che ne permettono anche una tutela sotto il profilo della sicurezza. Carlo Laurora U D C RE G I O N E PU G L I A

Non ti immagini neanche quant’è piacevole starmene qui da solo. Ho imparato l’arte perduta della vita solitaria: non dover trangugiare pasti e fare passi avanti nell’apprendistato da eremita. Poco fa, dalla strada, ho sentito un organetto in lontananza e, siccome gli organetti sono più rari a Edimburgo che dalle tue parti, quel suono ha riportato tanti ricordi sulle bancarelle della memoria, sbucati da tutti gli angoli più strani dove si erano a lungo nascosti. Me ne sono rimasto seduto a rimuginare sui morti, sui parenti disaffezionati e sulla mia infanzia; e mi è sfilato dinanzi un intero decamerone di piccoli aneddoti. Sarebbe impossibile restituirti tutto quello che è riaffiorato; non coglieresti i simboli che hanno valore nella mia memoria. Grosso modo, ti potrei dire che sono tornato molto indietro nel tempo, prima che persone amate si estraniassero da me; e ancora molto indietro, prima che, nel mio viaggio scapestrato, giungessi improvvisamente a un angolo e, giratolo, vedessi il sole. Ci sono piccoli sentimenti circoscritti che non si possono comunicare. Ci sono impressioni disperse dalla vita in ogni luogo della memoria che potremmo paragonare a qualcosa di fisico. Robert Louis Stevenson a Frances Sitwell

LE VERITÀ NASCOSTE

Giappone, tagliolini da Guinness TOKYO. Se c’è una cosa che ai giapponesi piace più del pesce crudo, è l’idea del primato. Anche se il primato è in un campo poco conosciuto, bizzarro o inutile. Chi non ricorda quei magnifici show televisivi coloratissimi e pieni di prove assurde? Oggi, il primato da Guinness in vista per la piccola cittadina nipponica di Mitake, nella prefettura centrale di Gifu, riguarda un campo meno assurdo. Anche se il tutto ha il sapore della stranezza. Gli abitanti di Mitake, infatti, hanno realizzato un “fiume”di tagliolini che ha viaggiato su un percorso di bambù dalla lunghezza record di 2.500 metri. L’evento è stato organizzato in occasione della festa locale per le risorse ittiche e ha richiesto una preparazione di circa un mese. Protagonisti dell’inusuale record i cosiddetti “tagliolini della corrente”(i nagashi somen), una pietanza che ha la caratteristica di essere servita alle feste cittadine su un piano inclinato, solitamente fatto con sezioni di bambu’ legate le une alle altre a formare un lungo scivolo. I tagliolini vengono immessi nella corrente e la gente, munita di bastoncini, “pesca” dall’acqua e mangia direttamente sul posto i nagashi somen. Per l’evento da record, cui ha assistito anche un responsabile del Guinness dei Primati, è stato costruito un super scivolo di bambù dalla lunghezza di 2.500 metri, poggiato sulla parete di una montagna. Per percorrere l’intero tragitto, i tagliolini hanno impiegato circa 35 minuti. I responsabili della cittadina di Mitake hanno annunciato che a breve inoltreranno la richiesta formale al Guinness dei Primati per il riconoscimento del record, che ha polverizzato quello esistente di 2.345 metri, assegnato a una località nella prefettura meridionale di Fukuoka.

e di cronach di Ferdinando Adornato

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

TRASPORTI PUBBLICI LOCALI: LA MANOVRA PENALIZZA GLI UTENTI La manovra con i tagli di 3, 5 miliardi sui trasporti pubblici locali penalizza i pendolari, categoria già vessata dai numerosi disservizi dei trasporti pubblici locali. Tra le regioni penalizzate, il Lazio, la Lombardia e la Puglia, contesti in cui sono presenti forti carenze del servizio e criticità. Il Lazio è una delle prime regioni d’Italia per numero di utenti che quotidianamente usufruiscono del trasporto su rotaie per raggiungere il posto di lavoro e/o il luogo di studio. I frequenti ritardi quasi mai annunciati, treni soppressi all’ultimo minuto, la scarsa igiene e pulizia sui convogli, l’assenza di personale che vigili all’interno delle carrozze fanno sì che il Lazio diventi anche una delle prime regioni d’Italia per inadempienze e disservizi inerenti proprio il trasporto pubblico locale. In Lombardia e in particolare a Milano sono 592 mila i pendolari, ovvero il 45,4% della popolazione residente, numero che cresce inesorabilmente, in considerazione anche dell’aumento dei prezzi delle case che ha determinato indirettamente il trasferimento di ampie quote di popolazione dalla città di Milano ai paesi limitrofi. Se chiedete alla gente come vive una persona che per lavorare o studiare è costretta ogni giorno a spostarsi, utilizzando i mezzi pubblici, vi evidenzierà le numerose criticità del servizio del trasporto ferroviario come degrado, sporcizia, carrozze sovraffollate e vetuste e soprattutto continui ritardi. E a questo si aggiungeranno i rincari che le aziende dei trasporti saranno costrette a fare a causa della manovra. Oltre al danno, la beffa!

Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci,

Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)

Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,

Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)

Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Collaboratori

RIMANIAMO VICINI AI GIOVANI PESCATORI Lo stato di agitazione dei pescatori causato dalle nuove normative europee mobilita il movimento giovanile dell’Udc che è concretamente accanto ai giovani pescatori della città di Molfetta. Faremo nostre le istanze, le rivendicazioni dei pescatori, avviando una raccolta di firme che irrobustirà la nostra congiunta protesta contro la norma europea in questione. Dopodiché le sottoporremo all’attenzione del nostro riferimento territoriale al Parlamento europeo on. Ciriaco De Mita e al capo delegazione Udc on. Carlo Casini. La nostra non sarà affatto una sterile e vacua attestazione di blanda solidarietà, ma un’azione concreta a stretto contatto con i giovani pescatori molfettesi. L’Udc pugliese saprà raccogliere le loro istanze che poi sono le istanze di una intera e larga categoria commerciale e professionale della nostra regione. Sergio Adamo U D C MO V I M E N T O GI O V A N I L E - ME Z Z O G I O R N O

APPUNTAMENTI GIUGNO LUNEDÌ 21 - ORE 17,30 - ROMA CAMERA DEI DEPUTATI - SALA DELLA MERCEDE

In occasione dell’uscita del libro “Ho visto morire il Comunismo” di Renzo Foa, ne discutono Ferdinando Adornato, Rino Fisichella, Stefano Folli, Claudio Petruccioli. SEGRETARIO

VINCENZO INVERSO NAZIONALE CIRCOLI LIBERAL

Ivano Giacomelli

Robert Kagan, Filippo La Porta, Direttore da Washington Michael Novak

ADOZIONI: BENE LA CASSAZIONE, IL PRINCIPIO VALGA SEMPRE Brava la Cassazione a negare l’adozione a chi vuole una selezione in base a criteri razzisti. In questo modo si ribadisce il principio che un bambino non è un giocattolo per soddisfare i desideri degli aspiranti genitori, ma un essere umano, una persona, con diritti propri da rispettare comunque egli sia. Allora non vale lo stesso principio anche nel caso della selezione degli embrioni? E della selezione delle caratteristiche degli embrioni? Sembra che da un uguale principio si facciano discendere conseguenze diverse, il che è illogico e ingiusto.

Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,

Maria Pia Ammirati, Mario Arpino,

Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,

Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi,

Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi,

Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,

Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,

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ULTIMAPAGINA Comunicazioni. Niente smartphone per i membri del nuovo governo Cameron: non è per niente sicuro

E gli 007 inglesi sconfissero di Massimo Ciullo soliti bene informati assicurano che ieri sono volati tappi di champagne ai piani alti della Research In Motion (Rim), l’azienda canadese produttrice del famoso smartphone BlackBerry. Per intenderci, il cellulare del presidente statunitense Obama. A far gioire i vertici della Rim ci hanno pensato gli 007 di Sua Maestà britannica, che hanno vivamente consigliato ai ministri del governo di David Cameron di non usare, per comunicazioni ufficiali sensibili, l’ i-Phone, principale competitore del BlackBerry nel segmento degli smartphone. Molti membri dell’establishment politico britannico sono affezionati proprietari del cellulare, marchiato con la Mela di Steve Jobs. Ma la creatura touchscreen della Apple, che nel Regno Unito ha già venduto quattro milioni di esemplari, non ha superato i test di sicurezza degli esperti dell’intelligence britannica.

I

Il suo uso quindi è stato fortemente sconsigliato, soprattutto nei luoghi dove si condensa l’attività del governo di Londra, come ha rivelato ieri il Daily Telegraph.Tutti i dipartimenti ministeriali, che si concentrano a Whitehall, hanno ricevuto un avviso con l’invito a non fornire ai loro staff l’ iPhones, poiché il terminale presenta rischi di vulnerabilità alle interferenze e all’attacco da parte di hacker e spioni vari. I difetti di sicurezza segnalati dagli 007 britannici sono stati smentiti dalla Apple. Ma, come se non bastasse, i responsabili dei ministeri sono stati invitati ad acquistare e a far usare ai loro membri l’odiato rivale BlackBerry o altri telefoni approvati. La guerra commerciale tra le due aziende è destinata a continuare. All’inizio di questo mese, la Apple ha lanciato la quarta versione dell’iPhone, destinato a colmare il gap con i terminali della Rim riservati all’uso aziendale. Anche in questo caso, molte aziende avevano in passato espresso dei dubbi circa l’adozione dell’iPhone, sempre per questione relative ai bug della sicurezza, qualcosa contro cui Apple sta ora lottando chiudendo le estensioni di Safari 5 (il browser per navigare in Internet) in una “sandbox” e

cercando di adottare tutte quelle misure che possano convincere i responsabili IT delle aziende ad autorizzare il passaggio allo smartphone di Cupertino. Ma un’altra tegola sta per arrivare per l’azienda di Jobs, sempre a causa dell’iPhone, per l’indagine da parte dell’Antitrust per il software della sua ultima creatura. La U.S. Federal Trade Commission, stando a quanto riporta il Wall Strett Journal, avrebbe iniziato a indagare sul comportamento del colosso di Cupertino nel settore della telefonia mobile. La chiusura nei confronti di alcuni software gratuiti, le limitazioni imposte

favore di Motorola. Nonostante la disavventura giudiziaria, la Rim continua a detenere il primo posto nelle preferenze degli utenti: il BlackBerry è da molto tempo indisturbato in vetta alla classifica del mercato statunitense.

C’è incertezza, invece, sull’attribuzione della piazza d’onore. A contendersela, iPhone e Android. Un rapporto della Nielsen (in verità, contestato da altri operatori del mercato) assegnano il secondo posto al “mela-phonino” di Jobs: infatti, dopo il BlackBerry al 35 per cento di share si classificherebbe l’iPhone con

l’iPhone La creatura touch-screen della Apple di Jobbs, che nel Regno Unito ha già venduto quattro milioni di esemplari, non ha superato i test di sicurezza degli esperti dell’intelligence britannica. E si scatena anche la battaglia sulla supremazia nel mercato agli sviluppatori terzi e il recente aggiornamento dei termini contrattuali (Apple limita iOS 4 per la pubblicità mobile) inerenti la pubblicità su iPhone e iPad avrebbe convinto gli inquirenti ad approfondire la questione. Contemporaneamente pare che il Ministero di Giustizia sia pronto ad avviare un’indagine parallela sulle pratiche adottate nel mercato musicale online, dominato con il 70 per cento di share. A difesa del telefono della Apple è sceso Gary Shapiro, presidente della Consumer Electronics Association. «L’iPhone è arrivato sul mercato tre anni fa, e tutto a un tratto Apple viene accusata di essere monopolista? Per me è assurdo», ha dichiarato Shapiro.

«Non hanno una posizione dominante nel mercato smartphone. Quello al massimo è BlackBerry» ha chiosato il presidente della Cea. Recentemente, la casa canadese ha raggiunto un accordo con la statunitense Motorola, che aveva trascinato in giudizio la Rim per furto di proprietà intellettuale. La vicenda è stata chiusa con una corposa transazione a

il 28 per cento. Ad Android, altro leader del settore in calo, andrebbe il quarto con il 9 per cento del mercato, superato anche da Windows Mobile al 19 per cento. Non differisce molto la classifica stilata da Gartner: iPhone al terzo posto con il 15,4 per cento, superato dal telefono di casa Microsoft e Android ancora quarto con il 9,6 per cento. I due smartphone rivali sono comunque gli unici a manifestare una crescita nell’ultimo trimestre (pari al 2 per cento) ai danni di BlackBerry e Windows Mobile che invece risultano in calo. In generale, gli statunitensi che possiedono uno smartphone sono oggi il 23 per cento degli utenti di telefonia mobile.


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