he di c a n o r c
00722
La società non deve esigere nulla da chi non si aspetta nulla dalla società
George Sand
9 771827 881004
di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • GIOVEDÌ 22 LUGLIO 2010
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Una catastrofe annunciata: il racconto di un reporter cinese
Sommersi nel petrolio Le prime impressionanti foto della tragedia di Dalian di Joseph Yun Li-sun a fuoriuscita di petrolio che ha colpito lo scorso 16 luglio le coste di Dalian, anche se più piccola e maggiormente controllabile rispetto alla famigerata fuoriuscita che si è abbattuta sul Golfo del Messico, è comunque uno dei maggiori disastri ambientali mai avvenuti in Cina. Esso, dicono i ricercatori del governo, mette a rischio l’ecosistema dell’area per i prossimi dieci anni nonostante tutti gli sforzi di pulitura. a pagina 11
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E intanto il presidente della Camera incalza: «Le istituzioni hanno il dovere di fare di più.Vanno avviate le riforme»
Veleni, sospetti & ricatti Le stragi mafiose (politiche?) del ‘93. I conti di Verdini. Caliendo e i magistrati della P3. Cronache di un’Italia “in barca”, schiacciata dalla questione morale e senza un vero governo NEBBIA SULLA POLITICA
di Marco Palombi
Politica e “azione” cattolica
La Chiesa, la proposta di Casini, le Settimane sociali di Paola Binetti ell’ambito dei rapporti tra Chiesa e Politica le Settimane sociali rappresentano un incontro importante, legato a una storia di oltre 100 anni fa. Furono proposte per la prima volta dall’economista Giuseppe Toniolo, protagonista del movimento cattolico italiano tra il XIX e il XX secolo, con un titolo profondamente significativo: “Ispirare cristianamente la società”. Toniolo insegnava Economia a Pisa e volle partire proprio dalla sua città per proporre un’iniziativa che in un certo senso contribuisse a ricucire la frattura che in quegli anni si era creata tra Chiesa e politica. segue a pagina 10
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O superiamo il bipolarismo o moriremo nella melma
ROMA. Guerre tra i pretendenti al trono, trame occulte, crisi economica, aumento della pressione fiscale dovuta al crescere della spesa pubblica, contrazione dei consumi e degli scambi commerciali, stagnazione produttiva, rivendicazioni localistiche e, ovviamente, l’arrivo dei barbari dalle pianure del nord. All’ingrosso è così che Roma cominciò a dire addio al suo Impero, all’ingrosso è così che il conducator di Arcore rischia di perdere il suo tra le urla belluine dei lumbard. È la «fine dell’impero», dicono in molti. a pagina 2
La nebbia ci avvolge e sembra impedire di vedere e di rintracciare le vie. Si è determinato un clima che ci porta a chiedere se c’è ancora spazio per un’idea positiva dell’agire politico. a pagina 3
Parla Michele Ainis
«La questione morale esiste davvero. Ma non solo nel Pdl»
«Che strano caso, siamo già al dopo-Berlusconi. Con lui ancora in sella»
di Errico Novi
di Francesco Capozza
ROMA. Oltre le schermaglie, al di là dello
ROMA. Michele Ainis, costituzionalista e analista politico ha le idee chiare: «Altro che nuova Tangentopoli o nuovi anni di Piombo, il problema del Paese è sempre lo stesso di sempre con le lobby affaristiche che inquinano la politica». Quanto alle traversie nel Pdl, invece, «il fatto è che molti pensano che sia già cominciato il dopo-Berlusconi, ma il premier è ancora in sella. E ci rimarrà per molto». a pagina 5
«scontro politico che indubbiamente c’è» all’interno del Pdl, «esiste una questione morale profonda nel Paese», dice Gaetano Pecorella. Avvocato del premier e deputato ormai di lungo corso, Pecorella giudica oggi la realtà anche da un punto di osservazione privilegiato qual è la presidenza della commissione Ecomafie. a pagina 4 I QUADERNI)
• ANNO XV •
Così la Fiat si fa in due
di Savino Pezzotta
Parla Gaetano Pecorella
se1,00 gue a (10,00 pagina 9CON EURO
Via allo spin-off dell’auto
NUMERO
140 •
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
di Gianfranco Polillo La Fiat ricomincia da due: dall’azienda nascono una società per l’auto e una per i veicoli industriali. a pagina 8
Singolare diktat in Iraq
Le vedove di al Qaeda di Mario Arpino «Sposate le vedove dei martiti di al Qaeda»: è più che un semplice invito, quello delle autorità islamiche in Iraq.
IN REDAZIONE ALLE ORE
a pagina 15
19.30
pagina 2 • 22 luglio 2010
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Caos. Corruzione, mafia, lobby affaristiche, veti: un’altra giornata di ordinari veleni che la maggioranza non riesce a contenere
Fini colpisce ancora
«La politica deve fare di più per risolvere la questione morale. Per esempio, avviare le riforme»: la ricetta del presidente della Camera di Marco Palombi
ROMA. Guerre tra i pretendenti al trono, trame occulte, crisi economica, aumento della pressione fiscale dovuta al crescere della spesa pubblica, contrazione dei consumi e degli scambi commerciali, stagnazione produttiva, rivendicazioni localistiche e, ovviamente, l’arrivo dei barbari dalle pianure del nord. All’ingrosso è così che Roma cominciò a dire addio al suo Impero, all’ingrosso è così che il conducator di Arcore rischia di perdere il suo tra le urla belluine dei lumbard. È la «fine dell’impero», sostiene Francheschini, è la «fine dell’impero» fa eco la Bindi, «c’è un clima da fine impero», dice persino il finiano moderato Silvano Moffa. Sarà per questo che pretoriani berlusconiani come Frattini, Gelmini o Carfagna s’attrezzano una corrente («che non è una corrente») per conquistare le leve del comando e trovarsi in posizione di vantaggio quando arriverà il Dopo. Sarà per questo che – l’ha scritto Francesco Verderami sul Corsera – Giulio Tremonti si permette di definire il Cavaliere “nonnetto”, con conseguente incazzatura nera dell’anziano signore in perenne lotta col tempo che passa. Sarà per questo, ed è l’ultima, che l’insolenza nei confronti dell’imperatore chiuso nel suo castello di Tor Crescenza (che non sarà Capri, ma il suo straccio di simbolismo lo consente lo stesso) impera tra i divanetti del Transatlantico persino tra quelli che avrebbero avuto una vita ben misera senza Silvio Berlusconi, mentre gli ultimi fedelissimi immaginano impossibili abluzioni nel sangue di nemici spesso immaginari. Evidentemente il presidente del Consiglio non conosce l’ammonimento che Edward Gibbon affidò al suo Declino e caduta dell’impero romano: «I prìncipi sospettosi promuovono spesso l’ultimo degli uomini nella vana persuasione che chi dipende soltanto dal favore proverà attaccamento soltanto per il suo benefattore». È curioso che Gianfranco Fini, in un discorso all’università di Pisa a maggio, abbia citato proprio una delle fonti preferite di Gibbon, lo storico del quarto secolo Ammiano Marcellino.
Rovina l’impero berlusconiano, precipita a valle una pietra per volta, un pezzo di politica, un pezzo di morale pubblica, un pezzo di paese alla volta. Il conducator chiuso nel castello immagi-
Un’intervista polemica del vicepresidente sul nuovo scandalo e sul caso Marra
Mancino: «Dalla P3, un’ombra sul Csm» di Gaia Miani
ROMA. Nell’Italia dei veleni di queste settimane, non c’è una sola istituzione che si salvi dai sospetti: anche la magistratura, ormai è entrata nel «cono d’ombra». Questa, in estrema sintesi, l’opinione di Nicola Mancino, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura: «Gli ultimi avvenimenti relativi all’inchiesta sull’associazione segreta Loggia P3 gettano un cono d’ombra, ma non credo che possano incidere sulla sostanza dell’attività che abbiamo svolto al Csm». Il vicepresidente dell’organo di autogoverno della magistratura, intervistato da Sky Tg24, è tornato sulla vicenda della P3 e sui tentativi di interferire sugli orientamenti di alcuni consiglieri per favorire la nomina del presidente della Corte d’Appello di Milano, Alfonso Marra. Mancino, peraltro, ha fatto notare che «è in corso un’inchiesta da parte della Prima commissione del Csm» e che «lo stesso Pg della Cassazione avverte la necessità di avviare un procedimento disciplinare. Vediamo cosa succederà». Davanti al plenum del Csm, poi, Mancino è tornato sulla richiesta di dibattito sulla deontologia dei consiglieri avanzata da alcuni membri togati e rimandata dal capo dello Stato al nuovo Consiglio - ribadendo come il Csm abbia sempre garantito ai magistrati «la tutela del libero esercizio della giurisdizione».
«L’esperienza di questi quattro anni – ha detto Mancino - dimostra la validità di un impianto istituzionale che rende il giudice obbligato ad assumere la legge come guida nell’esercizio della sua attività. L’attività della sezione disciplinare dimostra con quanta attenzione ci siamo posti
il problema di garantire autonomia e indipendenza della magistratura. L’interferenza nella libera attività del magistrato non è mai stata posta in discussione e le stesse modifiche sulle regole per le pratiche a tutela dimostrano che ciò che il consiglio vuole garantire al magistrato è proprio la tutela del libero esercizio della giurisdizione». Mancino ha replicato così al consigliere Ciro Riviezzo che, prendendo la parola in aula nel corso del plenum del Csm aveva sottolineato come la stampa stia rappresentando una magistratura «fatta di faccendieri che si rivolgono ai loro amici per ottenere vantaggi, favori e raccomandazioni».
Mancino, sempre ai microfoni di Sky, è poi tornato a ribadire la propria autonomia nella scelta di votare a favore di Alfonso Marra per la presidenza della Corte d’Appello di Milano e ha sottolineato di «non aver potuto immaginare che esistesse una loggia P3: non ne conosco la consistenza, non so se esista o no e sarà la magistratura a fare chiarezza su questo punto. Non potevo mai immaginare – ha detto il vicepresidente del Csm a Sky Tg24 - che un geometra (Pasquale Lombardi, ndr) potesse convincermi a votare Marra. Io ho esercitato la mia funzione di elettore in autonomia e indipendenza. Tengo inoltre a ricordare - ha aggiunto - che all’epoca in cui il Parlamento ha trattato le conseguenze dell’appartenenza alla P2 io ho fatto dichiarazioni di voto a favore dell’entrata in vigore di una legge che punisse quelli che ne facevano parte». Infine Mancino ha parlato dell’esigenza di affrontare la «questione morale» all’interno del Csm, divenuta impellente dopo la notizia del coinvolgimento di alcuni magistrati nell’inchiesta sulla P3. «Certo va fatta non solo al termine del quadriennio - ha sottolineato - ma anche all’inizio di quello successivo». E ha aggiunto che «se per questione morale intendiamo il complesso delle attività che hanno un rilievo di carattere etico e morale allora la questione va affrontata perché qui è l’organizzazione stessa che viene messa in discussione».
na complotti, mentre la sua Corte – le persone che ha scelto a compiacente corona – deve solamente rammaricarsi per le proprie disinvolte abitudini rispetto all’uso del potere. È di ieri la notizia che si cerca nei conti di Denis Verdini - e di Flavio Carboni, personaggio che sembra come arrivare da un’altra vita del Cavaliere - per trovare tracce di eventuali tangenti: nell’occhio della Guardia di Finanza ci sono «talune operazioni finanziarie» effettuate dai due dal gennaio 2004 ad oggi. Il triumviro del Pdl, d’altronde, pur resistendo finora indenne al suo posto, non è nuovo a inchieste che s’interessano di quell’incrocio un po’sgradevole tra imprese private e denaro pubblico: basti citare quella dell’Aquila che racconta di persone vicine al deputato toscano che s’affannano ad ottenere contratti per la ricostruzione post-terremoto. Sullo sfondo, peraltro, non manca mai – e come potrebbe in una corte orientale come la nostra – la figura silenziosa del Gran Visir, oggi ribattezzato sottosegretario alla presidenza del Consiglio, che non parla mai, non telefona mai, incorporeo come solo il vero potere sa essere, eppure continuamente citato, evocato, supplicato via gentile segretaria da formiche in cerca della loro briciola, indispensabile alla leggenda dei millantatori, ubiquo ai casi più delicati come il commissario del Pasticciaccio. Non mancano le zone d’ombra tra chi dovrebbe amministrare giustizia - intendesi le toghe - o la giustizia, intendesi il governo, con le relative, inconfessabili, cordate ammucchiate a difesa del loro potere o alla conquista dell’altrui: il Guardasigilli Alfano però nega tutto, non c’è problema, il sottosegretario Caliendo «resta al suo posto» avendo operato con «piena correttezza» (lo dissero di Cosentino e si dimise dopo due ore).
L’impero crolla non solo perché lo dicono i sondaggi, crolla perché l’imperatore governava soprattutto sull’immaginario e adesso pare non riuscirci più. È la corsa a prenderlo in giro per l’infelice battuta sulle “quattro mele marce”: l’opposizione, Tremonti, la stampa cattolica e addirittura vaticana. Oltre a Fini, chiaramente: «Bisogna essere drastici - ha spiegato ieri alla cerimonia del Ventaglio – nel ribadire che se vogliamo che la politica sia in sintonia con la società, deve anche essere intransigente nei confronti di comportamenti che sono scarsamente in sintonia con l’etica pubblica e con il rispetto delle regole del vivere civile». Servono le riforme, ha detto poi, perché solo così «si rende più forte la democrazia». È un altro segno della fine quando la frequenza con cui si parla di riformare l’impero è inversamente proporzionale al numero delle riforme che si fanno. Ma non solo non si può cambiare la Costituzione adesso, ma persino gestire l’esistente sembra
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22 luglio 2010 • pagina 3
Guido Bertolaso, Marcello Dell’Utri, Claudio Scajola e Denis Verdini: sono solo quattro dei tanti protagonisti di storie pericolosamente sospese tra la politica e la corruzione degli ultimi mesi. Nella pagina a fianco, Nicola Mancino
I miasmi del bipolarismo fallito Come in un regime totalitario, non c’è libertà dove regnano solo sospetti su tutti e tutto di Savino Pezzotta
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aver perso il senso della sua “mission”e coloro che la cercano con fatica, come l’Unione di Centro, sono solitamente collocati nell’ambito della furbizia o dell’opportunismo.
Abbiamo sempre pensato che la politica fosse uno strumento per consentire alle persone di essere cittadini liberi e messi continuamente in condizioni di assolvere i doveri civili. Ma questo è impossibile in una situazione in cui tutti sospettano di tutti. Berlusconi sospetta di Tremonti. I suoi rapporti con Fini sono lacerati e ogni giorno è costretto a dimettere qualcuno dal suo governo. La cronaca politica è ormai piena di sospetti, di messaggi e di chiacchiericci da corridoio o sussurrati dietro le porte. Nel Pd le fibrillazioni tengono banco e non riesce a darsi una linea chiara di comportamento politico, anche lì sospetti e illazioni continue. A godere di questa situazione sono da un lato forze minoritarie come l’Italia dei valori o meramente territoriali come la Lega. La politica, almeno quella che appare e ha più possibilità di apparire, sembra
Il problema fondamentale della politica è che in questo nostro Paese non ci si fida di nessuno, né degli amici e tanto meno dei competitori politici; sembrano però affermarsi: servilismo, adulazione, identificazione con il capo, preoccupazione ossessiva per le apparenze. Nello stesso tempo vediamo sorgere una serie di episodi di corruzione, di malaffare, d’intrecci tra ruoli politici e malaffare, e non passa giorno che non si abbiano notizie del sorgere di vere e proprie camarille. Si fanno feste per “l’amato leader”e si annuncia che i figli succederanno ai padri: dalla crisi delle ideologie siamo approdati alla dottrina di Kim il Sung. Si è a lungo parlato di federalismo e nel frattempo la criminalità organizzata ha messo mani e piedi nel nord. Ogni volta che documenti e testi vari vengono a confortare l’ipotesi di un illecito o sospetto passaggio di denaro, il potente di turno veste i panni della vittima, indica al pubblico nella stampa il male dei mali, urla al complotto. È il dramma che abbiamo visto rappresentato in questi giorni con la più classica delle manovre: l’accusa alla stampa. Così non si va da nessuna parte. Intanto la crisi morde e le persone attendono delle risposte ai loro problemi che oggi si concentrano soprattutto sul
a calura di questi giorni incide molto sui nostri stati d’animo, ci sentiamo tutti un poco stanchi, la depressione aumenta e desideriamo andare in vacanza. Ci servirebbe una vacanza anche per allontanarci un poco dall’ambiente politico dove l’afa è aumentata e non si sente nessuna brezza di frescura.Tutto è diventato nebbioso e impenetrabile. Magari ci fosse un poco di buio, potremmo almeno vedere le stelle: La nebbia ci avvolge e sembra impedire di vedere e di rintracciare le vie. Queste mie affermazioni nascono dal vedere quanto sta accadendo in politica in questi giorni. Si è determinato un clima che ci porta a chiedere se c’è ancora spazio per un’idea positiva dell’agire politico.
fatica improba: ieri mattina, nell’aula di Montecitorio, questa maggioranza era riuscita ad andare sotto persino su un classico tema bipartisan come il rifinanziamento delle missioni all’estero. Quando il sole smette di splendere, d’altronde, non funziona più il meccanismo di trasmissione della volontà: l’imperatore di Tor Crescenza aveva il problema delle intercettazioni due anni fa, s’è fatto una legge e adesso, 24 mesi dopo, se
lavoro e sui redditi calanti. Da questa situazione occorre cercare di uscire e ridare alla politica il su senso vero. Per fare questo non servono più le dichiarazioni moralistiche, servono atti politici e delle vere e proprie cesure con gli ultimi quindici anni di storia politica. Il modello basato su due partiti a vocazione maggioritaria è fallito. Per sostenere questa affermazione basta seguire i comportamenti del presidente del Consiglio, che in queste settimane ha offerto l’immagine di un leader sdoppiato: insofferente bellicoso e, qualche volta, tollerante. Un giorno promette o fa trapelare la volontà di fare sfracelli e il giorno dopo offre ramoscelli di ulivo. È sbagliato valutare quest’andamento ondivago come legato all’umore, quando invece è l’espressione della contraddizione interna al suo ruolo di leader.
Lasciare le cose come stanno, è fare il male del Paese senza affrontare le questioni vere della gente
ne dichiara insoddisfatto un giorno sì e l’altro pure, mentre i “quattro gatti” del congiurato di Montecitorio – ancora il numero 4 - godono.
Non può mancare, infine, il feuilleton criminale, il romanzo d’appendice dietrologico, la spy story capace di sporcare, in questo caso “mascariare”, l’intera Repubblica italiana. È il caso delle indagini sugli attentati del 1992-93, inchieste
Una leadership si esercita solitamente in due modi, nella forma decisionista o in quella mediatoria. L’una è condensata nel “ghe pense mi”, l’altra è quella che smussa, ripiana, ragiona e cerca combinazioni. Sappiamo anche che lo stile leaderistico è proprio delle forme politiche dei sistemi a bipolarismo compiuto, dove i partiti non vivono di vocazioni ma di capacità di alternanza: in Italia non abbiamo un bipolarismo compiuto ma solo delle vocazioni che sono contraddette dalla situazione reale. Questa contraddizione ci ha portato verso forme nuove di democrazia blocche si occupano di un giallo e sono esse stesse un giallo. «Siamo ad un passo dalla verità su via D’Amelio - avrebbero detto i pm di Caltanissetta Lari e Gozzo - e la politica non è pronta a reggerne il peso». Una verità fatta di trattative tra istituzioni e mafia, di servizi al servizio del male, di depistaggi e complicità e finti pentiti che è assai difficile che diventi racconto storico, figurarsi giudiziario. Ieri, comunque, la smentita del presi-
cata, imballata e impotente. Non è un caso che a vivere fortemente le tensioni interne siano i due partiti maggiori. L’uno perché è messo nella condizione di non poter governare senza cedere spazi alla Lega e l’altro di essere impossibilitato a presentarsi come possibile alternanza perché condizionato dall’Idv e costretto in continuazione a subire candidature esterne (Bonino e Vendola) che danno il segno della sua incapacità a determinare una leadership. È partendo da questa situazione che bisognerebbe avere il coraggio di dichiarare che il modello politico con cui abbiamo convissuto in questi quindici anni è in una fase terminale.
Lasciare le cose come stanno, è fare il male del Paese porta a non affrontare le questioni vere della gente, delle imprese e quindi ad allontanare la possibilità delle grandi riforme e dell’innovazione di cui l’Italia ha urgente bisogno. Da qui la necessità di avviare una vera transizione verso un modello che vada oltre le pretese maggioritarie e fondate sulle leadership, per un modello che privilegi il confronto, la mediazione e l’arte del governare e del decidere. Per costruire una vera transizione non bastano le alchimie politiche, occorrono un forte ricambio nei comportamenti degli attori della politica e il ripristino nel fare e nel dire parole che sono diventate desuete e che sono state svalorizzate come: Onestà, uguaglianza, meritocrazia e trasparenza. Di fronte a certi episodi serve anche la capacità di indignarsi e di reagire alla perdita del senso comune del pudore civile, non si può fare i furbi, rubare e poi vantarsene. dente dell’Antimafia Beppe Pisanu: purtroppo la verità è lontana e comunque la politica la può reggere. insomma: il problema è quanto dura la caduta e se, posatasi la polvere, resta ancora qualcosa. Gibbon aveva pur detto anche questo: «Di tutte le passioni e di tutti i nostri appetiti, l’amore del potere è quello di natura più imperiosa ed egoistica, poiché l’orgoglio di un solo uomo esige la sottomissione della moltitudine».
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l’approfondimento
Emergenza legalità da minimizzare? L’avvocato del premier e presidente della Ecomafie dice: non si tratta di polveroni
Il numero delle mele
«Quelle marce non sono solo quattro, ma non si trovano soltanto nel Pdl». Gaetano Pecorella va controcorrente e sostiene che «c’è ancora una profonda questione morale nel Paese». E sul partito: «Non ci sono le sedi del dibattito» di Errico Novi
ROMA. Oltre le schermaglie, al di là dello «scontro politico che indubbiamente c’è» all’interno del Pdl, «esiste una questione morale profonda nel Paese», dice Gaetano Pecorella. Avvocato del premier e deputato ormai di lungo corso, Pecorella giudica oggi la realtà anche da un punto di osservazione privilegiato qual è la presidenza della commissione Ecomafie. Con gli altri parlamentari che la compongono ieri è andato a verificare sul campo alcune emergenze milanesi: in una serie di audizioni nella “capitale morale” ha affrontato dossier allarmanti come quello di Santa Giulia, il quartiere dei veleni, e della bonifica di Pioltello. Esempi di quella «economia del disastro» che secondo l’Avvenire rischia di soffocare il futuro. Segni, esempi proprio di quella «questione morale» che lo stesso Pecorella non disconosce. «Anche se mi sforzo sempre di vedere le cose in un’ottica positiva, e me pare già importante che di si-
mili emergenze finalmente si discuta, dopo anni di assenza delle istituzioni». Ma a proposito di questo, non le sembra singolare che un partito come il Pdl si divida proprio sul tema della legalità? Lo scontro in corso è politico, diciamolo. Si dice che in gioco c’è la questione della legalità, ma a ben guardare si tratta di un confronto aspro tra il presidente del Consiglio e Gianfranco Fini, tra la maggioranza del partito e quella parte più vicina al presidente della Camera. Dopodiché tutti gli argomenti possono prestarsi ad alimentarlo, quello scontro. Ma non credo che in un partito possa esserci chi non ha a cuore la legalità. Nel concreto le differenze sono costanti, si vedono su tutto, a cominciare dalle intercettazioni. C’è chi dà maggior peso ai diritti delle persone, alla riservatezza, e chi al diritto dell’informazione. Due principi costituzionali entrambi nobilissimi. Poi ciascuno prova a restituirli
con lo slogan più efficace. Vede, c’è un esempio lampante. Quale? Quello della cosiddetta P3. Non sta né in cielo né in terra che tre o quattro persone potessero attentare alla democrazia e smantellare la Repubblica, ma al fondo c’è senz’altro una questione morale profonda, al di là delle forzature giudiziarie. Anche se è proprio attorno a quelle forzature che ci si divide tra chi prende posizione più a favore della trasparenza, della chiarezza, della moralità politi-
«Deluso dal ddl intercettazioni? L’obiettivo era l’equilibrio tra due princìpi»
ca e chi dice invece che la magistratura vuole cogliere l’occasione per sferrare un attacco alla maggioranza. Ma la questione morale c’è. L’importante è capire che non riguarda tre o quattro persone. Perché non si considera che certi intrecci emersi dall’inchiesta e che hanno coinvolto il Csm, per esempio, fanno parte di una prassi ormai consolidata? Quando si deve assegnare un incarico giudiziario non credete che sia sistematico il mo-
bilitarsi di persone e gruppi per spingere in una certa direzione? E quando si attende una decisione importante da un’alta corte, non credete che ci si attivi sempre, da più parti, per capire come sono orientati i giudici? L’opacità dunque riguarda persino la magistratura. E in generale, presidente, inquina l’intera vita sociale del Paese, a cominciare dalle attività di chi, come a Santa Giulia a Milano, realizza un intero nuovo quartiere senza bonificare i suoli. In questo settore scontiamo anni di assenza delle istituzioni. La vicenda di Santa Giulia risale a decine di anni fa, nell’area della bonifica di Pioltello ci sono tonnellate di residui tossici dal ’95. È cambiata la cultura, la mentalità ed è facile che in queste attività si insinui la mafia, la ’ndrangheta. Ma appunto, considero già un passo avanti il fatto che finalmente se ne discuta. A proposito di dibattito e
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Analisi di «una continua e incessante disputa a scapito dell’interesse pubblico»
«Sì, siamo al dopo-Berlusconi. Ma lui è ancora in sella...»
Per Michele Ainis «nella maggioranza tutti cercano di ricollocarsi pensando a una nuova stagione che però non è ancora cominciata» di Francesco Capozza
ROMA. Assai opportunamente, due autorevoli commentatori quali Carlo Federico Grosso (due giorni fa su La Stampa) e Angelo Panebianco (ieri sul Corriere della sera) hanno analizzato, in riferimento al Consiglio superiore della Magistratura, l’esasperato correntismo e i rapporti più o meno sotterranei con la politica che ancora oggi legano il più importante organo di autogoverno della magistratura italiana. Sulle correnti e sulle loro «metastasi» concorda con Grosso e Panebianco anche Michele Ainis, ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l’Università di Teramo. Ma con Ainis liberal ha voluto approfondire a 360° il momento che il paese sta attraversando, prendendo in considerazione particolarmente quello che è sotto gli occhi di tutti: il clima di veleno che lambisce le istituzioni, gli organi giudiziari e quelli imprenditoriali. Un clima che per alcuni sembra aver fatto ripiombare il paese nei peggiori anni della prima Repubblica, quelli del parlamento sotto inchiesta e dei partiti bombardati dagli avvisi di garanzia. Un clima losco, per altri, più simile a quello vissuto a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta.
«Personalmente – dice Ainis - credo che il Paese sia tornato agli anni di Tangentopoli, né che siamo addirittura tornati agli anni di Piombo. Sono portato, piuttosto, a ritenere che l’Italia non sia mai cambiata. Che il clima sia sempre stato quello. Che il cancro delle correnti, delle lobby, dell’associazionismo esasperato abbia caratterizzato allora, come fa tutt’oggi, la vita politica e civile del paese». Per Ainis, il clima sarebbe dunque molto meno velenoso e non ci «sarebbe questo continuo rimestare nel torbido» se all’interno della «politica, dell’industria, delle università, della magistratura non ci fossero quelle numerose lobby e correnti e la loro continua disputa per il potere». Perché di questo si tratta per il costituzionalista, di una «continua e incessante disputa a scapito dell’interesse pubblico e dell’autonomia dei singoli. E ciò avviene senza differenze politiche, a destra come a sinistra». E siccome questa disputa «è sempre al limite della legalità, non c’è da stupirsi che quando il tappo salta escono fuori dalla pentola marcia effluvi che non si sarebbero nemmeno immaginati». Per quanto riguarda la politica e, più nello specifico i problemi della maggioranza, Michele Ainis ha un’idea ben precisa di ciò che sta accadendo e che viene mascherato, per esempio, dietro i continui battibecchi tra i due fondatori del maggiore
partito di governo: «Qua siamo in una situazione surreale, di fantascienza politica: tutti si preparano a conservare la propria posizione e a conquistare fette di potere – fino all’ultimo strapuntino – nella prospettiva di ciò che verrà dopo Berlusconi. Nessuno sembra capire che Berlusconi c’è ed è lui che comanda e chissà fino a quando».
Se Ainis è convinto che sul ponte di comando c’è e ci sarà ancora per un po’ Silvio Berlusconi, è altrettanto convin-
«Non è una nuova Tangentopoli, è sempre lo stesso dramma di un paese vittima delle lobby»
to che la dialettica interna ad un partito sia «fisiologica» e sintomo di «democrazia interna, altrimenti più che un partito sarebbe un sultanato». Tutto quello che accade nel palazzo (compresa l’immobilità totale del Partito democratico di fronte alla crisi della maggioranza) viene riscontrato quotidianamente dalla gente. Michele Ainis ne è talmente convinto che non esita a ragionare sui numeri: «sondaggi recentissimi ci dicono che un terzo dell’elettorato oggi voterebbe partiti come la Lega, Di Pietro e il movimento di Grillo. Questo significa che gli italiani si sono rotti le scatole delle chiacchiere da salotto politico e non hanno più tanta fiducia neppure nelle istituzioni» e sul Pd accenna uno slancio: «potrebbe essere il partito del futuro, se solo riuscisse a guarire anch’esso dalla malattia del correntismo». Tornando al clima nefasto di veleni, che ha affondato tre esponenti del governo, inquisito numerosi avvocati, giudici e imprenditori e lambito addirittura il supremo organo di autogoverno della Magistratura, quel Csm al cui vertice c’è lo stesso presidente della Repubblica, Ainis non ha dubbi: «quello che sta venendo fuori non è un ritorno al passato, ma il venire a galla di una situazione che c’è sempre stata nel paese. Oserei dire che è fisiologica ma che ci sono stati dei momenti in cui il tappo era rimasto saldamente chiuso».
Così come pure sulla P3, il professor Ainis non ha paura a riconoscere che «ce ne saranno moltissime, chissà quante, di situazioni analoghe: un caso viene denunciato e ottiene l’onore delle cronache politiche e giudiziarie, ma non credo assolutamente che sia un caso sporadico». Più nello specifico, un’idea il professore se la sarà fatta del perché anche il Csm è entrato in questo vortice? «Certamente, risponde con piglio Ainis, perché come ho detto anche il Csm è un’insieme di gruppi e gruppettini, di lobbies e di correnti. Come mai la Corte Costituzionale, che pure molti indagati in questa faccenda avrebbero voluto tirare in ballo, è rimasta sulle sue posizioni, non facendosi abbindolare? Semplice: perché all’interno della Consulta siedono dei singoli, e non ci sono fazioni o correnti. La Corte è formata da tanti battitori liberi, ognuno con una propria idea politica, ma sempre indipendente e distinta da quella degli altri giudici». È probabile, immaginiamo, che Ainis la pensi come Panebianco quando quest’ultimo afferma che il Csm, così come previsto dalla Costituzione, ha un disegno strutturale difettoso.
tornando al Pdl: un certo strano modo di procedere a “singhiozzo” come quello che ha accompagnato i vari aggiustamenti del ddl intercettazioni non deriva anche dalla mancanza di un dibattito strutturato all’interno del partito? Senza dubbio c’è un problema di organizzazione. Il Pdl non è nato come partito, non ne ha la struttura, la confluenza di Forza Italia e An non ha dato vita a una struttura omogenea, anzi ha esasperato la polarizzazione tra le varie componenti che preesistevano. Personalmente sono tra quelli convinti che su alcune leggi fondamentali sarebbe necessario un maggiore dibattito, da tenersi nelle sedi opportune. Poi magri questi luoghi di confronto esistono pure, penso alla Consulta giustizia del partito, ma manca un efficace raccordo tra questa e il governo o le commissioni parlamentari. Lo si è visto proprio con la legge sulle intercettazioni. Ma vede, anche in questa vicenda riesco a cogliere un aspetto positivo. Quale sarebbe? Il fatto stesso che il premier abbia manifestato il proprio dissenso è segno che la democrazia interna funziona. Certo, magari non è strutturata, ma in un modo o nell’altro si sviluppa comunque una dialettica che porta dei risultati. Condivide il giudizio di Berlusconi sulla Costituzione che frena le riforme? Abbiamo una Costituzione straordinariamente moderna per tutta la parte che definisce i diritti individuali, la concezione delle libertà dalla famiglia allo Stato, tutti aspetti che ne rappresentano il volto più liberale. Ma sull’organizzazione dello Stato si risente di problemi avvertiti in un’epoca lontana, in una fase in cui dopo il fascismo si riteneva che la decisione dovesse essere molto mediata. Oggi le democrazie sono mature e noi dobbiamo rendere le decisioni più rapide, cominciando a liberaci del bicameralismo perfetto. Anche perché il risultato paradossale è il ricorso al meno democratico degli strumenti che è il decreto legge. Davvero si poteva fare di più sulle intercettazioni, come dice il premier? Dipende: se si vuol privilegiare la tutela della persona e la privacy si poteva fare di più, se si vuole dare più spazio alle indagini si poteva fare di più… si tratta di stabilire un equilibrio tra esigenze e principi entrambi meritevoli di tutela, come appunto la riservatezza e l’informazione. Vediamo cosa si fa per i limiti alle indagini, in ogni caso l’obiettivo è trovare il miglior equilibrio possibile. E ci si è riusciti? Vedremo. Non ho ancora letto il testo nella sua ultima versione, attendo fiducioso.
diario
pagina 6 • 22 luglio 2010
Conti. Audizione alla Camera con polemica: «Gi argomenti delle Regioni non erano oggettivi»
L’autoelogio di Tremonti Il ministro presenta la manovra: «Noi, i più bravi in Europa» ROMA. «Saremo prudenti. Non
se si continuerà con le politiche fatte finora. Abbiamo un Centro-Nord con 40 milioni di abitanti e un livello di ricchezza specifico enormemente superiore alla media europea. Quello che drammaticamente vediamo è che il livello dell’altra parte del Paese scende e non sale. Dobbiamo correggere questa anomalia con il federalismo fiscale».
di Alessandro D’Amato
abbiamo la minima intenzione di rischiare”nella realizzazione del federalismo fiscale». Sceglie il low profile il ministro dell’Economia Giulio Tremonti nel corso dell’audizione in Commissione bicamerale sul Federalismo per spiegare come ha intenzione di muoversi il governo nelle prossime tappe che porteranno all’attuazione del federalismo fiscale, per lo meno nella sua parte più scottante: quella della definizione dei costi standard per beni e servizi degli enti locali.
Tremonti ha ammesso che «molti aspetti della finanza pubblica locale sono ancora da definire. Fino ad oggi, i bilanci non si parlavano. È difficile che sia affidabile un sistema contabile in cui esistono nomenclature diverse. Cerchiamo di uniformare i bilanci sulla base di conoscenze che dobbiamo acquisire ma che ancora non abbiamo». Il riferimento è ai dati sugli enti locali che dovranno servire per determinare costi e fabbisogni di partenza ai quali poi parificare tutti i rendiconti di comuni, province e regioni. Operazioni che porteranno a risparmi significativi nella spesa pubblica, secondo il ministro: «Nel valutare l’impatto della manovra bisogna considerare anche il federalismo fiscale e l’impatto positivo che può portare agli enti locali», ha detto sottolineando che anche su questo si è basata l’intesa con Anci e Upi che passa anche attraverso il calendario dei prossimi decreti attuativi della riforma. Nella relazione del Tesoro sul
“puntatina” sull’Irap, che il ministro ha ribadito essere una tassa ingiusta, ma ha anche ammesso che sarà difficile toglierla. Tremonti ha invece difeso la nuova tassa comunale sulla casa: «Una forma di prelievo comunale unica, al posto delle 24 attuali, è un opportunità che i Comuni potranno cogliere, lasciando fuori la prima casa che è un bene costituzionale. Non vuol dire un’imposta in più - ha sottolineato il ministro - ma eliminare 24 che ci sono. L’idea ci sembra di
«Non ci sarà un altro intervento sui conti del 2010 perché siamo in linea con tutte le previsioni e tutti gli impegni», ha promesso federalismo fiscale non c’è un’accusa agli enti locali per il debito, «ma la considerazione che il nostro sistema è un albero storto», ha aggiunto. E poi se l’è presa con i “microinterventi” degli enti locali, e ha citato la questione delle invalidità civile, su cui ha ironizzato parlando di Regioni “molto, troppo umane” nel concederli, tanto da portare la spesa in pochi anni da 6 a 16 miliardi: «Un conto è dare un assegno a chi ne ha bisogno, un conto è girarlo a piè di lista a un altro». Poi è arrivata l’ennesima
grande interesse perché semplifica la vita della gente, significa una sola coda, un solo pagamento». In ogni caso, ha aggiunto, «sarà un’autonoma scelta che si farà Comune per Comune. Non sarà imposto con una norma scritta sulla Gazzetta ufficiale. Se poi si pensa che un’imposta sia poca, vediamo come trovare alternative ma conservare il sistema che c’è non è il massimo del mondo”. L’obiettivo finale, ha ribadito il ministro, è «rendere più ricco il Sud: il Paese oggi è duale e rimarrà diviso
Ridotta del 10% l’indennità parlamentare
Tagli anche ai deputati ROMA. Dopo due lunghe riunioni congiunte di Camera e Senato, i questori del Parlamento sono giunti alla decisione proporre un taglio del 10% alle indennità di deputati e senatori. Si tratta di una misura stabilita in relazione alla riduzione delle spese prevista dalla manovra economica. La proposta prevede anche il blocco triennale dei meccanismi di adeguamento automatico degli stipendi. Mentre il limite pensionistico è stato elevato a 60 anni per le pensioni di anzianità. dei L’indennità parlamentari, prevista dalla Costituzione all’art. 69, come spiega il sito del Parlamento, è la prima voce del trattamento economico per i parlamentari ed è quella «che nel linguaggio comune è definita ”stipendio”» a cui seguono altre voci: la diaria e i rimborsi. Questi ultimi, in particolare, per le ”spese inerenti al rapporto tra eletto ed elettori”, per le spese
accessorie di viaggio, per i viaggi all’estero e infine per le spese telefoniche. A completamento del trattamento economico dei parlamentari ci sono le voci sull’assegno di fine mandato, le prestazioni previdenziali e sanitarie e sui trasporti. La legge n. 1261 del 31 ottobre 1965 fissa l’indennita «in misura non superiore al trattamento complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte di Cassazione ed equiparate».Tale misura era già stata ridotta durante la finanziaria del 2006. La misura dovrà essere ratificata dagli uffici di presidenza di Montecitorio e Palazzo Madama la prossima settimana. Il taglio verrà calcolato sull’indennità che ammonta a 5.486,58 euro nette al mese per 12 mensilità: il che vuol dire che ai deputati il taglio costerà circa 550 euro al mese
E le tappe sono ben delineate. Il consiglio dei ministri di giovedì prossimo esaminerà lo schema di decreto legislativo per la determinazione dei fabbisogni standard che comuni e province cominceranno ad applicare dal 2012, mentre il testo arriverà in aula martedì. Entro fine mese toccherà al provvedimento che introdurrà l’imposta municipale sugli immobili e la cedolare secca al 23% sugli affitti. Oltre a semplificare il sistema tributario e ad aumentare i poteri dei sindaci per l’emersione delle case fantasma, in quella sede verrà introdotto un fondo perequativo StatoAnci per riequilibrare le entrate fiscali tra i comuni ricchi, generalmente situati al Nord, e quelli poveri, più diffusi nel Mezzogiorno. Verrà invece rinviata a settembre la soluzione per le Regioni: insieme al decreto sull’autonomia tributaria arriverà il provvedimento per la fissazione dei costi standard. Ma il dialogo tra l’esecutivo e i governatori resta in salita per i tagli imposti dalla manovra 2011-2012. Sulla quale almeno una certezza il ministro dell’Economia si sente di darla: «Un’altra manovra sul 2010 non ci sarà perché siamo in linea con tutte le previsioni e tutti gli impegni», ha sottolineato Tremonti, intervenendo in Commissione Bilancio della Camera dove era in corso l’esame della manovra. Il ministro ha detto quindi che il paese è «sotto la continua osservazione che viene fatta da tutte le sedi internazionali. A occhio – ha ribadito - a oggi da nessuna parte si prevede una rottura del sistema sul 2010». Dichiarazioni di principio a cui però non tutti credono: «Già l’anno scorso Tremonti assicurò che non ci sarebbero state correzioni e ora siamo alla modica cifra di 24 miliardi. Gli suggerirei più cautela nelle previsioni», ha risposto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani.
diario
22 luglio 2010 • pagina 7
Clamorosa operazione che parte dalla zona di Cosenza
I disoccupati si tuffano e bloccano i traghetti per le isole
Blitz contro la ’ndrangheta: 67 arresti in tutta italia
Un bagno di protesta nel porto di Napoli
COSENZA. Aveva creato una società di calcio per coprire i flussi di denaro provenienti dalle estorsioni. È scattato nella mattinata di ieri il maxiblitz contro la ’ndrangheta, in particolare il clan Corigliano nell’alto Ionio cosentino, con decine di arresti in tutta italia. L’operazione, denominata «santa Tecla’» vede gli indagati accusati, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, usura, traffico di sostanze stupefacenti. L’operazione, coordinata dal procuratore di Catanzaro Vincenzo Antonio Lombardo e dal pm della dda catanzarese, Vincenzo Luberto, secondo gli investigatori, è una delle più importanti fatte nel cosentino per numero di arresti, spessore criminale e per il coinvolgimento di una dozzina di imprenditori.
NAPOLI. Il Sud continua a stu-
L’indagine è iniziata su un giro di droga tra la Calabria e la Lombardia. A Milano, in particolare, i componenti dell’organizzazione si davano appuntamento in locali pubblici di via Santa Tecla (da qui il nome dell’operazione), situata nel centro del capoluogo lombardo, per concludere accordi e definire strategie sulla gestione del traffico di droga che veniva gestito dal ”locale”di Corigliano. Le indagini, iniziate nel 2007 e portate avanti con intercettazioni
Secessione all’amatriciana La città di Amatrice pronta a lasciare il Lazio per le Marche di Francesco Capozza
ROMA. Cosa accadrebbe se il più famoso piatto di pasta della cucina romano-laziale, quell’amatissima amatriciana (guanciale, pomodoro, pecorino, una macinata di pepe e, per qualcuno, un profumo di cipolla, a condire prevalentemente spaghetti, bucatini o rigatoni) non fosse più, appunto, romano-laziale? Possiamo star certi che ci sarebbe una vera e propria rivolta e una levata, più che di scudi, di forchette e padelle da parte di cuochi e appassionati pastasciuttari. All’italiano medio si sa, toccategli tutto, ma non la pastasciutta e i piatti della tradizione che hanno fatto la storia della cucina. Togliere ai romani l’amatriciana sarebbe un po’ come togliere ai milanesi il risotto con lo zafferano o ai napoletani la pizza. Eppure questo scenario apocalittico non è frutto della mente perversa di qualche gourmet, bensì di un caso politico dai risvolti non ancora chiari che sta scuotendo la cittadina incastonata tra Lazio, Abruzzo e Marche. Le Marche, appunto: tra qualche mese è possibile che oltre alle seppie coi piselli e alle olive all’ascolana, la regione adriatica possa annoverare di diritto tra i suoi piatti tipici anche l’amatriciana.
co per far passare Amatrice dalla provincia di Rieti a quella, appunto, di Ascoli Piceno. Dal Lazio, dunque, alle Marche. Una decisione del genere, ovviamente, non può essere presa dalle amministrazioni comunali ma deve essere decisa dalla popolazione di entrambe le città mediante Referendum. E Pirozzi starebbe pensando di sottoporre il quesito alla sua popolazione già in autunno.
Dal fronte Piceno, appoggio totale all’operazione. E c’è da credere che la rivolta del bucatino non sia passata inosservata al quartier generale di Renata Polverini. Non sappiamo se alla nuova governatrice del Lazio la sola idea abbia fatto venire i crampi allo stomaco, ma una certa preoccupazione ci dev’essere tant’è che sembra confermata la visita della presidente del Lazio ad Amatrice nel pomeriggio di domani. Una visita che vedrà al centro ovviamente il futuro del nosocomio locale, ma che non potrà non avere come sfondo i rapporti sempre più stretti di Amatrice con Ascoli Piceno, e la raccolta firme avviata ormai da qualche settimana proprio per promuovere il referendum di aggregazione territoriale alle Marche, abbandonando quindi il Lazio. Ma in attesa che la Polverini cerchi di lasciare Amatrice nel Lazio e i bucatini ai romani, i due primi cittadini continuano a incontrarsi e a parlare di possibili iniziative congiunte da tenere nei prossimi mesi che possano saldare i legami tra le comunità.Tra i primi accordi è previsto l’ingresso gratuito per i residenti di Amatrice nella pinacoteca di Ascoli, l’ingresso gratuito per gli ascolani in un parco che verrà inaugurato ad Amatrice nei prossimi giorni e una serie di sconti in ristoranti e negozi convenzionati in entrambe le città. «È un rapporto che prosegue - ha commentato il sindaco di Amatrice - e che stiamo costruendo con soddisfazione reciproca». I pastasciuttari sono quindi avvertiti, tra non molto i laziali saranno costretti a dire “bye bye amatriciana”...
Al centro della questione, la chiusura dell’ospedale locale stabilita dall’ex Giunta. Domani, visita di Renata Polverini
telefoniche ed ambientali, hanno permesso di riscontrare le dichiarazioni dei pentiti, tra i quali figurano Carmine Alfano, cognato e collaboratore di fiducia sino al 2006 di Maurizio Barilari, ritenuto il capo della cosca; Vincenzo Curato; Giorgio Basile; Giovanni Cimino; Antonio Cimino; Giampiero Converso e Tommaso Russo. A capo del clan, secondo quanto emerso dalle indagini, c’era Antonio Bruno, detto ”giravite”, ucciso il 10 giugno 2009. Durante il suo ultimo periodo di detenzione, le redini dell’organizzazione erano state date, anche su volere della cosca degli zingari di Cassano, ed in particolare del capo Franco Abbruzzese.
pire il mondo per le sue straordinarie risorse di creatività e furbizia. Ieri, infattim, Napoli è stata teatro di una singolarissima protesta: un gruppo di manifestanti ha bloccato il porto della città per diverse ore. Alcuni manifestanti, infatti, si sono buttati in acqua e hanno cominciato a nuotare in mezzo al porto, fermandosi proprio davanti ai traghetti in partenza per le isole. Morale: le navi sobno rimaste a propria volta ferme al centro del porto, creando confusione e disagio per i turisti in partenza. Salvo alcuni turisti, a bordo delle navi, i quali tra l’incuriosito e il divertito scattavano foto ai protagonisti della stravagante manifestazio-
I motivi non sono gastronomici, ma politici. Ecco i fatti. Da qualche mese la cittadina laziale è sottosopra per una decisione presa dalla Regione ai tempi del commissariamento di Esterino Montino che ha decretato la chiusura dell’ospedale locale per carenza di risorse e nell’ottica di un ridimensionamento generale delle piccole strutture ospedaliere con meno di 30 posti letto. La sola ipotesi di non avere più un ospedale cittadino ha mandato su tutte le furie cittadini e autorità locali che fin dal primo momento hanno iniziato a parlare di “secessione”. Alle parole sono seguiti ben presto i fatti e il sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi, ha individuato in Guido Castelli (suo omologo ad Ascoli Piceno) l’alleato ideale. Ne è venuto fuori, dopo svariati incontri ufficiali e non, un vero e proprio accordo programmati-
ne acquatica. Dopo qualche ora a bagno (ognuno aveva indossato rigorosamente una ciambella colorata da bambino) i manifestanti sono tornati a terra e in 30 sono finiti in questura dove sono stati denunciati per interruzione di pubblico servizio. Alcuni di loro, comunque, si sono sentiti male e hanno avuto bisogno di cure mediche. Ecco, dunque, il miscuglio di creatività (lo spettacolare bagno) con la furbizia (i malori inspiegabili per far parlare di sé ancora di più). Non è chiaro, comunque, il motivo della protesta: si tratta di disoccupati.
Un altro gruppo si manifestanti poi ha occupato la sede comunale di di Acerra. Si tratta di un centinaio di persone del movimento precari Bros di Napoli e provincia che ha occupato il comune chiedendo l’apertura ufficiale di un tavolo interistituzionale per un sostegno al reddito. I manifestanti sono entrati in municipio prima dei dipendenti comunali, che sono rimasti fuori, e hanno impedito le normali attività amministrative e l’accesso al pubblico, consentendo solo il rilascio dei certificati urgenti. Il giorno prima, erano stati occupati i binari della stazione della cittadina campana.
economia
pagina 8 • 22 luglio 2010
Conquiste. Lo spin off piace alla Borsa che premia il Lingotto con un +6,64 per cento. Conti record nel secondo semestre 2010. L’ad: «Il business è in buona forma»
Quattro ruote motrici La Fiat del futuro ricomincia da due nuove società: di qua le auto, di là i veicoli industriali (e i debiti) di Francesco Pacifico
ROMA. «Il business è in buona forma», nota Sergio Marchionne. E lo dicono i conti dell’ultimo trimestre. Lo dice l’ennesimo tassello nel processo di crescita planetaria dell’azienda, visto che da ieri la Fiat è anche dal punto di vista legale una multinazionale.
Il Cda del Lingotto, volato per l’occasione nel quartier generale di Chrysler a Auburn Hills, ha varato lo spin off che separa le attività dell’auto dagli asset che si occupano della produzione di autocarri, macchine per la movimentazione terra e per le costruzioni. Il primo segmento proverà con la piccola di Detroit a conquistare i mercati di America, Europa e Asia; l’altro resterà nell’orbita degli Agnelli e potrebbe essere molto utile per drenare l’enorme debito – 5 miliardi di euro – che Sergio Marchionne non potrà gestire all’infinito come fa oggi. L’operazione intanto raccoglie il placet del mercato. A metà giornata Piazza Affari aveva scambiato 33 milioni di pezzi, pari al 2,9 per cento del capitale complessivo, in una corsa senza sosta che in serata porterà il titolo del Lingotto a registrare un + 6,64 per cento. In
Alla fine Marchionne è riuscito a imporre agli azionisti di Torino la sua «strategia mondiale»
È vero: globalizzazione fa rima con specializzazione di Gianfranco Polillo asce la Nuova Fiat: di qui le auto, di làveicoli industriali, motori “industrial & marine”, macchine agricole e per le costruzioni. Più che una separazione, un vero e proprio divorzio, che darà luogo a soggetti completamente distinti dal punto di vista giuridico economico ed amministrativo: ciascuno con un proprio cda e soci di riferimento. La vecchia azione Fiat, dal valore nominale di 5 euro, sarà sostituita da due distinti titoli: il primo, per un valore di 3,5 euro, con il vecchio marchio della casa torinese; il secondo, nuovo di zecca, avrà una valore nominale di 1,5 euro. Lo scambio sarà, come si dice, one to one.Tante vecchie azioni possedevi, tante nuove azioni riceverai, mentre il vecchio gruzzolo originariamente posseduto si ridurrà di 1,5 euro per azione. Formalmente non cambia alcunché, visto che la somma è sempre 5 euro. Nella sostanza, invece, è una piccola rivoluzione. Quale sarà, a partire dal prossimo anno, l’andamento dei due diversi titoli? Finora valeva il principio dei vasi comunicanti: perdite e profitti, nei relativi comparti, si compensavano. Le quotazioni di borsa riflettevano, pertanto, i buoni o i cattivi esiti del relativo matrimonio. Dal prossimo anno non sarà più così. Quali previsioni fare? Colpisce naturalmente la diversa potenza di fuoco: da un lato un complesso di marchi prestigiosi, con una forte proiezione internazionale, a partire dalla Chrysler. Senza voler trascurare: Ferrari, Maserati, Magneti Marelli,Teksid, Comau e PTF Powertrain Technologies. Dall’altro segmenti, con una loro forza oggettiva, come nel campo dei veicoli industriali, e partecipazioni varie in settori meno caratterizzati dalla presenza Fiat. Per compensare il divario, la Casa torinese attribuirà alla new company riserve per un valore pari ad oltre 1.800 milioni, per far sì che il relativo capitale risulti coerente con il rapporto di concambio, dopo lo spin-off. Nel frattempo, tuttavia, il titolo è volato in borsa, mettendo a segno consistenti rialzi: segno che gli investitori stanno apprezzando l’intera operazione. Come si spiega?
N
Sul piano industriale la scelta è coerente con i più recenti andamenti del mercato. Nel mondo conta sempre di più la specializzazione produttiva. Mettere pere e mele in un unico contenitore, come avveniva in passato, non è più conveniente. Le
condizioni della competizione internazionale sono divenute più dure.Vince chi riesce a comprimere i costi, senza perdere in qualità di prodotto. Al tempo stesso produrre è sempre più complesso. Nel settore automobilistico, ad esempio, non conta sola la meccanica. L’elettronica la fa ormai da padrona. Settori complementari, come la finanza e l’assicurazione, per non parlare della pubblicità, che oggi spadroneggia in tutti i media, sono altrettanti atout che incidono fortemente sulle scelte del consumatore. Occorre quindi un management che non disperda le proprie energie in settori, se si vuole anche complementari, ma che non rientrano nel core business. L’esempio, in negativo, è il caso della chimica italiana, il cui mancato decollo si deve anche alla sua commistione storica con le produzioni del gas o del greggio. Negli anni Settanta e Ottanta la filiera verticale – dall’estrazione del petrolio alla raffinazione e quindi alla chimica fine e di base – poteva essere un vantaggio. I bassi costi dell’approvvigionamento potevano compensare i maggiori oneri della ricerca e dell’innovazione. Ma la concorrenza a monte ha eroso le posizioni di rendita, creando le premesse per la successiva specializzazione produttiva. Cambiamenti significativi: come si vede. Amplificati dall’unificazione del mercato internazionale e dal trading di migliaia di operatori in grado di realizzare tutti gli arbitraggi possibili.
Non è un caso se questa filosofia, grazie ad un manager come Sergio Marchionne, sia entrata prepotente anche nella testa degli azionisti Fiat di riferimento. Essa non è altro che la proiezione, nel campo della produzione automobilistica, di principi che ormai, nelle grandi multinazionali – e la Fiat è una di queste – sono consolidati. Assistiamo pertanto alla morte di un vecchio modello che non aveva solo una caratura di carattere economico e produttivo. Smembrando quel che rimaneva di una vecchia holding, la Fiat si adegua ai tempi nuovi. In passato la sua forza soprattutto finanziaria – frutto della frammistione tra attività diverse – era lo strumento principe per condizionare le scelte del Governo nazionale. Cosa che ancora oggi la Fiom non esista a rimproverare. Ma erano scelte del passato. Oggi quelle vecchie polemiche non hanno più senso. La Fiat si misura con il mercato globale. È quindi più libera, come ha dimostrato il caso di Pomigliano d’Arco, di imporre le proprie decisioni – “prendere o lasciare”– senza subire diktat o condizionamenti. Ma questa libertà ha un prezzo, in termini organizzativi, Marchionne ne è consapevole e si comporta di conseguenza.
questo dato pesano anche le ultime performance del gruppo. Che ha chiuso il secondo trimestre del 2010 con ricavi pari a 14,8 miliardi, in aumento del 12,5 per cento nei confronti dello stesso periodo del 2009, quando tutti i business del Gruppo avevano subito gli effetti di deboli condizioni di mercato. A tirare la volata Chn, Iveco e di tutta la parte del business dei componenti e dei sistemi di produzione.
Guardando all’auto, il gruppo ha chiuso il secondo trimestre 2010 con ricavi pari a 7,4 mld, in crescita del 6,4 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’utile della gestione ordinaria è stato di 185 mln, in crescita rispetto ai 155 milioni del secondo trimestre 2009. Nel primo semestre i ricavi sono stati di 14,2 mld, in crescita del 13,5 per cento mentre l’utile della gestione ordinaria e’ stato di 338 mln contro i 125 mln del primo semestre 2009. Ora la palla passa all’assemblea dei soci, che il prossimo 16 settembre a Torino dovrebbe ratificare lo spin off voluto da Marchionne, trasferendo a una società di nuova costituzione, la Fiat Industrial Spa, tutta la parte della produzione che non riguarda l’auto e la sua componentistica. Spiegano da Torino: «La scissione darà chiarezza strategica e finanziaria a entrambi i business e permetterà loro di svilupparsi strategicamente in modo indipendente l’uno dall’altro». L’operazione poi «consentirà la giusta valutazione sui mercati dei capitali di entrambe le società». Dalla data di efficacia della scissione – che dovrebbe essere quella del primo
economia
22 luglio 2010 • pagina 9
È sempre più rottura tra la Fiom e le altre organizzazioni dei lavoratori
Ma il sindacato pensa al problema-Pomigliano Epifani attacca il Lingotto per i licenziamenti: «Così, è difficile non pensare a un atto di ritorsione» di Vincenzo Bacarani
ROMA. La galassia Fiat è in pieno movimento.
gennaio 2011 – le azioni di Fiat Industrial saranno assegnate agli azionisti Fiat sulla base di un rapporto uno a uno. Più in generale il patrimonio netto di Fiat auto calerà di 3.750.346.053 euro. E non avverrà attraverso una cancellazione di azioni, ma con una riduzione proporzionale del valore nominale di ciascuna categoria di azioni che dovrebbe essere pari a 3,50 euro. Di conseguenza, il capitale sociale di Fiat Industrial sarà aumentato di 1.913.178.892 euro, con il valore nominale dei titoli che saranno pari a 1,50 euro. La parte auto poi deterrà il 3 per cento del ramo che non entrerà nel deal con Chrysler. Intanto nei prossimi mesi si dovrebbe capire qualcosa in più sulla stabilità finanziaria dell’operazione. Che in massima parte potrebbe essere anche garantita da un pool di banche, pronte ad aprire una linea di liquidità da 4 miliardi di euro.
Ieri l’azienda ha ricevuto una “highly confident letter” firmata congiuntamente da Barclays Capital, BNP Paribas, Citi, Credit Agricole Corporate and Investment Bank, IntesaSanpaolo, Societè Generale Corporate & Investment Banking, The Royal Bank of Scotland plc e Unicredit Corporate Banking per annunciare che si arriverà a questa cifra con una combinazione di un finanziamento “revolving” e di uno a termine. Al riguardo il Lingotto prova a frenare le voci che vedrebbero Fiat industrial utilizzata anche come un bad company. Nelle slides presentate ieri agli analisti, ha messo nero su bianco che «ritiene di raggiungere, per entrambe le società un elevato
livello di liquidita». Con un livello che «sarà coerente con un profilo di credito robusto, con una divisione del debito industriale netto al 50 per cento fra Fiat e Fiat Industrial, per cui sarà creata anche una piattaforma di funding». Ma accanto a tanto entusiasmo c’è pur sempre la crisi che attanaglia il settore auto nel Vecchio continente. Qualche giorno fa si è saputo che il Lingotto ha visto scendere la sua quota in un anno dall’8,7 al 7,4 per cento. Nel secondo trimestre dell’anno le consegne complessive, tra auto e veicoli commerciali leggeri, sono state pari a 554.300 unità, in calo del 6,2 per cento rispetto al secondo trimestre 2009. Per quanto riguarda le sole autovetture c’è un crollo dell’11,6 per cento.
Eppure Fiat conferma tutti i target previsti per il 2011. I ricavi saranno superiori a 50 miliardi di euro, l’utile della gestione ordinaria tra 1,1 e 1,2 miliardi, il risultato netto vicino al break-even, indebitamento netto industriale superiore a 5 miliardi. Non a caso Sergio Marchionne ha sottolineato che «il secondo trimestre finanziario 2010 è stato eccezionale. La società ha superato quasi tutte le attese del mercato, se non tutte». Tanto che in una nota si ammette che «gli obiettivi saranno probabilmente rivisti al rialzo sulla base dei risultati del terzo trimestre 2010». Si dimostra poi in discesa il turn around di Chrysler. Le vendite con il marchio della piccola americana hanno fatto registrare nel secondo trimestre 407mila immatricolazioni, in aumento del 22 per cento rispetto al precedente trimestre.
Dopo la vicenda del referendum sull’accordo per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco che ha visto di fatto uno strappo tra i sindacati Fiom-Cgil da una parte e Fim-Cisl, Uilm-Uil, Ugl e Fismic dall’altra, ora il gruppo torinese ha deciso di dare il via all’operazione di spinoff. Una scelta strategica che sottrae marchi come New Holland e Iveco, ad esempio, da eccessive pressioni di mercato. Come se non bastasse, la vicenda di Pomigliano ha dato un forte scossone alle relazioni tra azienda e sindacati. Il Lingotto, forte anche della maggioranza del 64 per cento dei lavoratori raggiunta nel referendum sull’accordo dello stabilimento campano, ha cominciato ad applicare quello che aveva in mente da tempo e cioè a procedere al licenziamento di cinque delegati, l’ultimo due giorni fa, per comportamenti non corretti dal punto di vista sindacale. Decisioni che hanno suscitato forti reazioni negative da parte della Fiom che ha proclamato due ore di sciopero per domani e una manifestazione nazionale il 16 ottobre a Roma. Sulla questione dei licenziamenti è intervenuto anche il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani: «È uno stillicidio di atti contro il buon senso e contro ogni misura – ha detto - ed è difficile non pensare ad un atto di ritorsione. La mia impressione è che adesso la Fiat usi qualsiasi pretesto pur di provare ad intimorire o colpire lavoratori e delegati. E questo mi sembra inaccettabile nell’Italia e nell’Europa di oggi». Contro i licenziamenti, ha concluso Epifani, «dovremo ricorrere alla magistratura, perché si tratta di casi che non giustificano provvedimenti così forti».
la trappola della Fiom che ha interesse a creare contrasti e a spingere alcuni lavoratori e l’azienda a comportamenti esasperati». Il segretario generale della Uil, Luigi Angeletti è sulla stessa lunghezza d’onda: «L’accordo per Pomigliano rappresenta una svolta non solo per le relazioni industriali ma, soprattutto, per l’industria automobilistica in Italia. Inverte infatti una tendenza negativa che ha spinto il nostro Paese all’ultimo posto nella produzione di auto in Europa e, al contempo, consente di porre un freno alla deindustrializzazione del nostro Mezzogiorno».
Sullo spin-off del settore auto, il giudizio dei sindacati è tuttavia cauto. Dice ancora Vitali:
Durissime le parole di Bonanni: «Azienda e dipendenti stiano attenti a non cadere nella trappola di chi vuole creare solo contrasti»
Una presa di posizione ufficialmente forte che ne nasconde però una interna più debole. Da martedì, infatti, la Fiom ha una nuova segreteria nazionale composta da soli quattro segretari, anziché cinque: Maurizio Landini, che è anche il segretario generale, Laura Spezia, Giorgio Airaudo e Sergio Bellavita. Fausto Durante, esponente della corrente moderata di Epifani, non ne ha voluto far parte. «Da domani – precisa a liberal lo stesso Durante – comincia il mio lavoro, al di fuori della segreteria, per ricostruire l’unità nella Fiom». «A questo punto – afferma Bruno Vitali, segretario nazionale settore auto della FimCisl – nella segreteria Fiom sono rimasti solo i quattro duri e puri e a questo punto l’organizzazione di Landini deve decidere se vuole essere un sindacato vero o un movimento politico». A rincarare la dose pensa il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni: «Azienda e lavoratori stiano attenti a non cadere al-
«Staremo a vedere, se ne era già parlato da diversi mesi. Era dunque una mossa attesa da tempo e non credo che avrà ripercussioni pratiche perché avrà invece effetti sugli assetti del gruppo. Certo, per il sindacato sarà una nuova situazione e probabilmente si porrà un problema di partecipazione. Vedremo». «Non credo – aggiunge Durante della Fiom – che lo scorporo possa influire più di tanto sui rapporti sindacali: è un’operazione che consente alla Fiat Auto di alleggerire la pressione dei debiti. Quello che invece ci preme è che l’azienda torinese esca dalla logica dei licenziamenti per poter ristabilire normali rapporti sindacali». Intanto la Fiat ha programmato due settimane di cassa integrazione alla ripresa dell’attività dopo la pausa estiva alle Carrozzerie di Mirafiori. Il provvedimento, annunciato ieri dall’azienda ai rappresentanti delle organizzazioni sindacali, interesserà tutti i circa 5000 lavoratori dal 23 agosto al 5 settembre. Dal 20 settembre al primo ottobre, inoltre, è stata annunciata la cassa integrazione per i lavoratori delle Carrozzerie addetti alla linea di produzione della Multipla, dal 23 settembre al primo ottobre per quelli di Punto, Idea e Musa e dal 29 settembre al primo ottobre per quelli della Mito.
società
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Dialogo. Presentato a palazzo Giustiniani il Documento preparatorio all’iniziativa pensata oltre 100 anni fa da Giuseppe Toniolo
I cattolici “senza tetto”
Le Settimane sociali: una nuova fase del rapporto tra cristiani e politica piena assunzione di responsabilità nei confronti del Paese. E proprio per svolgere questo ruolo sorge spontanea una domanda, alternativa al bipolarismo che affligge il nostro Paese, condannandolo ad una estenuante conflittualità: «E se fosse giunto il momento per i cattolici di convergere verso un centro dinamico, capace di una proposta organica che faccia della ricerca del Bene comune globale la vera questione nazionale?». Non a caso anche Rutelli ha voluto lanciare questo filo di speranza, come una possibilità concreta per ridare respiro alla nostra vita politica, ricominciando proprio dalla questione etica, per mettere uno stop definitivo alle tante spinte disgregative che la corruzione rivela ogni giorno. È una traiettoria che sta particolarmente a cuore a chi come l’Udc sta lanciando a tutto campo una nuova offerta politica, fortemente inclusiva, ma nello stesso tempo fortemente radicata nella sua ispirazione cristiana.
di Paola Binetti segue dalla prima Pisa e Pistoia rappresentavano per lui un territorio familiare. Conosceva molti intellettuali cattolici, colleghi di università, impegnati in un lavoro di studio nel campo della giustizia sociale e del bene comune. Nei loro dibattiti emergeva il bisogno di capire come dare vita a iniziative che consentissero una promozione sociale efficace, nel difficile tentativo di ridurre le grandi differenze sociali, migliorando gli ambienti di lavoro per renderli più umani, insistendo per creare una maggiore accessibilità alla formazione per tutti i giovani in gamba. Erano però gli anni in cui vigeva ancora il non expedit, che non consentiva ai cattolici di partecipare alla politica, limitandone di fatto il peso nella vita pubblica. La prima “Settimana sociale”, da lui promossa nel 1907 come una iniziativa di studio e di riflessione, fu una reazione a queste difficoltà e rappresentò un contributo formidabile per comprendere come applicare la dottrina sociale della Chiesa a temi concreti. Da allora, con cadenza regolare, le settimane sociali si sono sempre svolte con questa grande passione intellettuale e sociale, con due sole interruzioni significative. Ci fu una prima lunga pausa dal 1934 al 1946, per le ostilità del fascismo prima e per la guerra mondiale subito dopo. Alla ripresa nel 1946 la prima Settimana sociale non solo vide la partecipazioni di importanti personalità del mondo culturale e politico cattolico, ma dette anche un contributo rilevante alla nostra Costituzione, allora in discussione all’Assemblea costituente.
Ci fu una seconda interruzione tra il 1970 e il 1988. Non solo perché furono gli anni difficili di un lungo ’68, ma la stessa Chiesa negli anni del post-Concilio era attraversata da un lungo dibattito interno. Le Settimane sociali furono riprese nel 1988 con una Nota pastorale della Cei, che ne rilanciava il valore e sollecitava i cattolici a impegnarsi in uno sforzo che andasse oltre l’analisi dei problemi del Paese, per “Ispirare cristianamente la società”, come fin dal primo momento Toniolo aveva proposto. Il Documento prodotto que-
st’anno dal Comitato scientifico della XLVI Settimana sociale dal titolo:“Un’agenda di speranza per il futuro del paese”, è stata presentata due giorni fa da Sua Eccellenza Monsignor Arrigo Miglio, presidente del Comitato scientifico, a tutti i parlamentari nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Il Presidente Schifani ha dato il saluto iniziale, sottolineando la peculiarità dell’iniziativa. Era la prima volta che una cosa del genere accadeva, in questi oltre 100 anni, ed era
emerse valutazioni diverse. Per Schifani e Quagliariello, ma anche per Bersani, sia pure con altre sfumature, è definitivamente tramontato il tempo del partito dei cattolici. Il loro ruolo è quello di sciogliersi nella vita della nostra società e testimoniare con coraggio i valori di cui sono storicamente portatori, con una laicità che esprima matura consapevolezza delle proprie idee e capacità di comunicare le proprie convinzioni in modo attrattivo. Sembrava che i due leader
cattolici che fanno politica, sia a destra sia a sinistra, per ragioni diverse, su temi diversi. Costretti più a stare sulle difensive, e quindi spesso all’opposizione interna nei loro partiti, che non capaci di “Ispirare cristianamente la società”, come Toniolo proponeva agli inizi delle Settimane sociali. La domanda posta da Casini a una platea molto numerosa toccava direttamente la libertà di coscienza, troppo spesso messa in conflitto dal dovere di appartenenza. Fino a che
Il testo, dal titolo “Un’agenda di speranza per il futuro del paese”, è stato illustrato da monsignor Miglio e discusso dai leader politici: Quagliariello per il Pdl, Bersani per il Pd, Casini per l’Udc e Rutelli per Api anche la prima volta he fossero chiamati a discuterne i leader politici: Quagliariello per il Pdl, Bersani per il Pd, Casini per l’Unione di Centro e Rutelli per Api. Quattro leader con sensibilità diverse, con storia politica diversa, con prospettive di futuro diverse, ma tutti profondamente convinti che la politica italiana senza il pensiero, la cultura e la tradizione cattolica, non sarebbe in grado di dare ragione di se stessa. Il tema centrale è stato proprio quello del rapporto tra cattolici e politica, e non a caso sono
stessero dipingendo un bipolarismo in grado di offrire ai cattolici, sia a destra sia a sinistra, tutte le migliori condizioni per un confronto interno ai partiti, con quanti hanno idee e convinzioni diverse perché provengono ad esempio dalla tradizione comunista o repubblicana, e per una collaborazione tra i partiti su quelle tematiche in cui i cattolici identificano un tratto identitario irrinunciabile. Casini con maggiore concretezza e con realismo politico ha esordito partendo dalle difficoltà in cui si imbattono i
punto i cattolici impegnati nei diversi partiti possono fare autonomamente scelte che toccano i punti nevralgici delle proposte descritte nelle cinque linee tematiche del Documento: la vita, la famiglia, l’educazione, la giustizia, l’immigrazione, una nuova mobilità sociale, i cambiamenti istituzionali sempre più urgenti, ecc... Il Documento parla di un’agenda che permetta al Paese di «riprendere a crescere» proprio lungo queste traiettorie e affida ai cattolici un ruolo fortemente propositivo, con una
Il valore aggiunto è la speranza nella reale collaborazione nel Paese tra Società e Politica, per trasformare il malessere percepito in un positiva ripresa etica. Benedetto XVI parlando ai Vescovi a proposito della Settimana Sociale 2010, ha detto: «Nella prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani, insieme alle forze migliori del laicato cattolico, v’impegnerete a declinare un’agenda di speranza per l’Italia, perché le esigenze della giustizia diventino comprensibili e politicamente realizzabili. Alla Chiesa, sta a cuore il bene comune, che c’impegna a condividere risorse economiche e intellettuali, morali e spirituali, imparando ad affrontare insieme problemi e sfide del Paese». Il prossimo appuntamento di Reggio Calabria vedrà molti parlamentari in atto di ascolto davanti alle mille voci del Paese. Un ascolto umile e attento, indispensabile per tradurre in proposte politiche operative e concrete ciò che verrà fuori dai dibattiti e dalle relazioni di tanti altri cattolici, secondo un ponte di dialogo, di reciproca fiducia e di stima condivisa, capace davvero di declinare un’agenda di speranza che tiri fuori il paese dalle secche di una stagnazione morale prima che imprenditoriale, umana prima che economica.
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Le impressionanti foto della tragedia ecologica che ha colpito Dalian e la testimonianza di un reporter cinese del Global Times
L’altra marea
Viaggio al centro di un’apocalisse annunciata. Come in Florida, ma senza lo stesso clamore, un fiume di greggio si è riversato nel più importante porto commerciale della Cina a fuoriuscita di petrolio che ha colpito lo scorso 16 luglio le coste di Dalian, anche se più piccola e maggiormente controllabile rispetto alla famigerata fuoriuscita che si è abbattuta sul Golfo del Messico, è comunque uno dei maggiori disastri ambientali mai avvenuti in Cina. Esso, dicono i ricercatori del governo, mette a rischio l’ecosistema dell’area per i prossimi dieci anni nonostante tutti gli sforzi di pulitura. Zhao Zhangyuan, ricercatore presso la governativa Accademia di ricerca per le risorse ambientali, spiega che anche dopo i quindici giorni di pulizia intensiva dell’area i fattori inquinanti dell’area non verranno dispersi.
L
Anzi, «presto si decomporranno e quindi saranno ancora più invasivi. Il loro effetto colpirà i nostri ecosistemi nello stesso modo in cui l’incidente del Golfo del Messico distruggerà quell’area. Le uniche differenze fra le due maree sono rappresentate soltanto da dimensione e intensità dell’incidente». Il petrolio in decomposizione, inoltre, potrebbe avere un devastan-
di Joseph Yun Li-sun mosse entro una settimana. Wu Guogong, vice direttore del locale Ufficio per la protezione ambientale, parla invece di decine di giorni e spiega che, in due giorni, si sono fermati a 200 tonnellate: nella migliore tradizione del governo cinese, inoltre, Wu va contro le previsioni di Zhao: «Il danno non è poi così elevato, e dieci anni sono una
quello che è avvenuto, l’incidente di Dalian ha scatenato la fantasia pubblica per le sue similitudini con la tragedia americana. Ma la fuoriuscita cinese è avvenuta proprio mentre la Cina decida di aumentare le proprie trivellazioni in alto mare, in cerca di petrolio nella continua corsa all’energia che tiene viva la crescita economica del Paese.
Il governo centrale ha adottato la stessa tecnica che mette in pratica ogni qual volta avviene un disastro ambientale: prima delinea i danni con onestà, e poi cerca di nascondere tutto nel fumo
Mentre l’acqua marina di diverse regioni peggiora in maniera paurosa. Alle 18 e 10 del pomeriggio del 16 luglio, il porto petrolifero di Dalian è stato colpito dall’esplosione di due tubi di trasporto petrolifero, da cui il greggio è uscito. Il mar Giallo si è annerito, nonostante l’immediato tentativo di toppare la falla in maniera abbastanza artigianale. La Marina cinese ha inviato diverse imbarcazioni con l’ordine di dragare la zona e raccogliere il petrolio, ma neanche questo esperimento ha prodotto risultati immediati. Il primo giorno, dicono le autorità, sono stati colpiti cinquanta chilometri quadrati di acqua; il se-
te effetto cancerogeno: «Le alghe e i pesci moriranno, non c’è dubbio: non possono sopravvivere a tutto questo. Gli uccelli più fortunati riusciranno a volare via». Anche se, dicono gli esperti, sono migliaia gli esemplari di volatili destinati a morire. Ma Yong’an, ricercatore del Centro di monitoraggio dell’ambiente marino naturale, aggiun-
ge: «Le fuoriuscite di petrolio sono una sfida, per ogni nazione. Se non vengono affrontate nel modo giusto possono essere la causa principale della morte di un’area». La Cina non fa eccezione: cerca di rispondere con forza, ma rischia di fallire. Xu Guochen, segretario generale del governo municipale di Dalian, sottolinea che tutte le 1.500 tonnellate di petrolio nel mare cinese dovrebbero essere ri-
stima esagerata». I commenti sono indicativi della situazione interna alla politica del Paese: davanti a una tragedia, in un primo momento Pechino si comporta in maniera sincera e spiega rischi e danni; passato il primo momento, tende a buttare una cortina di fumo sull’avvenimento e prosegue per la propria strada. Mentre devono ancora iniziare le indagini per capire di chi siano le responsabilità per
condo, l’impatto era arrivato a 183 chilometri. La mattina del terzo, la costa si è ricoperta di spesso, nerissimo petrolio; in alcune aree circostanti, la densità del liquido ha raggiunto il metro di altezza.
Giornalisti e testimoni locali possono confermare che l’odore pungente dell’oro nero non si è ancora dissipato, mentre un utente di internet scrive: «Sono a circa venti chilometri dal porto, e cammino immerso nei fumi neri». Interrogato sulla questione, il professor Xu ammette che «in questi fumi sono contenuti solforato di sodio e idrocarbone aromatico, ma questi non sono componenti mortali. Nessuno morirà avvelenato». Come se questo salvasse la situazione. Nel frattempo, però, le autorità portuali hanno ordinato e messo in pratica l’evacuazione di 1.600 residenti della zona; se vivono entro cinque chilometri dal luogo del disastro, vengono allontanati. E proprio come in Florida, ogni tipo di di intervento è stato messo in pratica. Per ora, quasi senza alcun risultato.
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il reportage
Pechino manda i primi soccorsi Capelli umani e pescherecci per cercare di salvare il possibile Nonostante un atteggiamento omertoso, il governo centrale e quello della provincia del Liaoning (che ospita Dalian) stanno facendo ogni tentativo possibile per fermare l’avanzata del petrolio. Quanto meno, dicono alcuni dei volontari presenti sulla zona, si cerca di tenere il greggio lontano dalle zone ecologicamente sensibili: il porto non è mai stato un capolavoro di pulizia, neanche marina, ma ci sono zone in cui vivono specie animali e vegetali fondamentali per l’ecosistema. Al momento sono impegnate sul
Oltre a questa aulica difesa della categoria, Wang aggiunge: «La fuoriuscita di petrolio siamo riusciti a contenerla nell’area portuale. Qui gli standard ecologici non erano poi così alti. Se riusciamo a mantenerla dov’è, possiamo considerare la situazione risolta. Certo, dovremo considerare i danni all’industria portuale: ma questo verrà in un secondo momento». Huang Yong, vice direttore dell’Ufficio portuale, delinea i dettagli: «Ci sono più di 800 pescherecci pieni di volontari, che navigano e dragano. Da lunedì si sono riuniti in maniera spon-
trasferito nelle acque di Dalian circa dieci anni fa, in cerca di zone più pescose; abita a circa 500 metri dalla costa, proprio davanti al punto in cui è esplosa la prima tubatura: «La mattina di venerdì scorso ho sentito un botto fortissimo e ho visto fumi neri alzarsi dal porto. Non sono scappato, ma mi hanno evacuato». Il giovane è comprensibilmente preoccupato per la propria barca, che non può reggere a lungo questi ritmi, ma si considera fortunato: centinaia di pescherecci sono saltati in aria con il petrolio. Ora però il pensiero è rivolto al pesce: «Se viene avvelenato, il mio commercio è finito. E con esso la mia vita».
Per ora, la certezza riguarda la morte degli uccelli. In Alaska, dopo il disastroso incidente alla Exxon Valdez del 1989, la compagnia decise che doveva salvare a tutti i costi i volatili della zona. Per riuscirci, “bombardò”le coste con idranti ad alta pressione: questi avrebbero dovuto ripulire uova, nidi e uccelli: l’esperimento riuscì, ma distrusse praticamente tutto il resto della vita vegetale dell’area. Silvia Gaus, biologa del campo delle enormi spugne che, nell’idea degli operatori, dovrebbero riuscire ad assorbire il petrolio. Insieme a loro, gli immancabili sacchi di capelli umani: anche se hanno fallito in Florida, dove hanno formato catene abbastanza disgustose a protezione della costa, il mare cinese ha componenti diversi rispetto a quello statunitense, che dovrebbero permettere ai capelli di agire. Requisite centinaia di barche, soprattutto pescherecci, che cercano di drenare con delle reti particolari la patina oleosa dal mare.
In alcuni casi simili, sono stati usati anche degli agenti chimici che (questi senza tema di smentita) sono in grado di distruggere del tutto il petrolio: ma questo metodo è il meno raccomandato data l’alta tossicità dei componenti. Il governo teme che, dopo il disastro commerciale di un porto in disarmo, possa unirsi anche la fine dell’industria ittica della zona. Wang Bin, vice direttore del Dipartimento per la protezione dell’ambiente presso l’Amministrazione statale per gli oceani, spiega: «Nella battaglia al petrolio la nostra armata migliore è composta proprio dai pescatori, che usano le proprie barche e le proprie braccia per fermare il greggio. Combattono per qualcosa, e conoscono l’importanza della posta in gioco».
Per ora gli esperimenti sembrano non dare i risultati sperati: i componenti chimici in grado di “sciogliere” il greggio sono estremamente tossici e il governo locale non intende usarli se non alla fine tanea». Wang Xiaokan, pescatore di 32 anni, non conferma del tutto la versione ufficiale: «Sono venuti da me martedì e mi hanno chiesto, diciamo con insistenza, di partecipare alle operazioni. Mi hanno dato una rete “speciale”, che rimane a pelo dell’acqua, e da allora faccio avanti e indietro». Wang si è
Parco nazionale tedesco di Wattenmeer, ha visto diversi incidenti di questo tipo: «Nonostante gli sforzi migliori per tenerli in vita, i volatili che sopravvivono a disastri di questo tipo si contano sulle dita di una mano. Il peso del petrolio distrugge le piume, e pian piano si spengono. Anche cercare di acchiap-
parli per pulirli a mano, come fanno in Florida, è altamente rischioso: oltre allo stress all’animale, che si terrorizza e rischia di continuo infarti mortali, i volontari eccedono con lo zelo e danneggiano con le mani gli organi interni degli uccelli».
Vanno poi considerate altre specie, che molto spesso vengono ingiustamente ignorate dalle operazioni di soccorso. Ci riferiamo al plancton e al resto della minuscola fauna marina, cibo vitale per le altre specie. Il petrolio non lascia scampo a
queste forme di vita, che è praticamente impossibile salvare. John Caruso, ecologista e professore universitario negli Stati Uniti, spiega: «Colpire queste comunità, in qualunque modo, significa spezzare quanto meno un anello della catena alimentare. I danni sono incalcolabili». A Dalian, però, c’è quanto meno una buona notizia: il greggio non ha causato un aggravamento dell’inquinamento atmosferico. Un responsabile del settore spiega: «Non abbiamo programmato interventi urgenti nel campo atmosferico. Abbiamo posizionato venti macchinari per la supervisione dell’aria nella regione circostante e altri dieci nel mare. Secondo i dati che abbiamo collezionato, la qualità dell’aria rientra ancora negli standard statali». Che non sono elevati.
Quale che sia il risultato, non è giusto fare finta che Pechino - come in tanti altri casi non abbia fatto nulla per Dalian. Soltanto, questo incidente capita in un posto estremamente sensibile agli scossoni ambientali e profondamente importante per l’economia locale e nazionale. Perché dal porto del Liaoning passa il 40 per cento dell’intero export cinese, destinato al resto del continente asiatico. Perderlo significa buttare una risorsa e distruggere una comunità.
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petrolio annue (anche se Pechino ha contestato i dati). Esperti osservano che i controlli di sicurezza ambientale sono spesso inadeguati per le grandi imprese, che riescono a sfuggirli grazie alla corruzione.
Un esempio ulteriore è il grave inquinamento causato al fiume Ting, contea di Shanghang nel Fujian, ormai diffuso sino al confinante Guangdong, dove pure si teme che avveleni l’acqua e causi un disastro ambientale. La ditta Zijin Mining Group, leader per rame e oro, ha accumulato i liquami tossici non trattati della sua fabbrica in una vicina pozza, adducendoli tramite uno scarico illegale, ma le pesanti piogge hanno fatto fuoriuscire 9.100 metri cubi di liquami che il 3 luglio sono finiti nel fiume Ting e hanno ucciso circa 1.900 tonnellate di pesce. Le autorità hanno arrestato 3 dirigenti della ditta, anche per non avere dato immediata notizia dell’inquinamenAlcune scene dal disastro: pescatori e operai aiutano i compagni caduti in mare e totalmente ricoperti dal petrolio. Nella pagina a fianco l’avanzata dell’altra, ignorata marea nera
Quale futuro per il porto? Da Dalian passa il 40 per cento dell’intero export cinese Il petrolio contenuto in alcune aree marittime della Cina è da due a otto volte più alto di quello che permette agli esseri umani di toccare l’acqua senza procurarsi danni permanenti. Con un tasso nazionale di 0,05 milligrammi di petrolio per litro, l’acqua marina del Paese inizia a essere un problema veramente serio. L’incidente che ha coinvolto Dalian ha coinvolto innanzitutto un porto che ha la capacità di 15 milioni di tonnellate. Affacciato sul mar Giallo, non lontano dal mare di Bohai, il porto guarda ogni giorno migliaia di piattaforme che - al largo - trivellano in cerca di petrolio. Questo fa di Dalian un posto particolare, fondamentale per il commercio tanto quanto per la pesca.
Dai suoi moli passa quasi tutto il greggio destinato alla produzione interna, e circa il 40 per cento dei prodotti destinati ad altri Paesi. Nella disperata corsa energetica della Cina, che cerca in ogni modo di “rubare” influenza in giro per il mondo promettendo investimenti in cambio di petrolio, perdere una pedina come questa significa quanto meno un giro di stop.
Perché non è rimpiazzabile dall’oggi al domani un porto con il personale, l’esperienza e la struttura geofisica in grado di poter scaricare e inviare verso l’interno il contenuto di due petroliere ogni ora. Parliamo di miliardi di kilowattora prodotti ogni giorno, proprio quei componenti che permettono a Pechino di vantare una crescita industriale annua del dieci, se non undici, per cento.
Ecco come si spiega l’attivismo sospetto delle autorità, che corrono a salvare il porto e le sue industrie. Pechino questa volta non ha intenzione di tollerare errori, e come spiegato non può perdere Dalian. Se sarà costretta a farlo, ovviamente la lascerà al suo destino per interessarsi di altre location; ma il tempo, mai come in questo caso, è tiranno. La Cina contemporanea ha dimostrato più di una volta di non avere a cuore nè le popolazioni disagiate del centro-nord nè tanto meno l’ambiente. Il terrificante terremoto che ha colpito nel 2008 il Sichuan, provocando circa 200mila vittime ufficiali, ha posto una tragica pagina di cinismo nella storiografia na-
Lo stoccaggio della provincia del Liaoning, dove si è verificato il disastro, “serve” tutto il resto dell’Asia. Se Pechino decide di abbandonare la zona, decine di milioni di persone finiranno disoccupati zionale. Gli sfollati sono ancora lì, le case sono ancora crollate.
Il porto e il petrolio non sono certo una regione scalcagnata come il settentrionale Sichuan, patria di ottimo cibo piccante e poco altro. Ma il greggio avanza e distrugge, quando cammina sull’acqua. È nella sua natu-
ra, e neanche il Partito comunista può fare alcunché per fermarlo. Il problema della sicurezza energetica appare oggi più che mai rilevante, dopo che l’International Energy Agency ha detto che la Cina ha superato gli Stati Uniti come maggior consumatore mondiale di energia, pari a 2.252 tonnellate di
to; 3 funzionari pubblici sono stati messi sotto inchiesta ed è stato cacciato il capo del governo della contea. Ma l’opinione pubblica è allarmata anche perché la ditta era già stata ammonita di eliminare gli eccessivi scarichi non trattati, ma non aveva fatto nulla e le autorità di controllo non sono intervenute. Ora i media statali riferiscono che questi disastri ambientali sono causati dai mancati controlli dei funzionari preposti e che molti funzionari di Shanghang avevano avuto posti ben pagati nella ditta Zijin. L’azienda nel 2009 ha portato nella casse della contea il 60% dell’intero reddito. Il Comitato di supervisione, che non ha effettuato controlli accurati, comprende alte cariche del Partito. I residenti di Dalian non danno la colpa di quanto sta avvenendo al governo centrale di Pechino. Oltre a essere uno sport pericoloso, imputano il vero danno alle decine di agenzie governative che si dividono i soccorsi senza assumersi la responsabilità. Ma la politica questa volta fa i conti con un problema che non può nascondere sotto il tappeto.Vorrebbe, ma proprio non ci si riesce.
mondo
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Grandi manovre. Incontro a Damasco tra l’ex premier Allawi e il fondamentalista sciita Muqtada al Sadr uniti contro al Maliki
Iraq, la guerra dei leader Non solo attentati nelle strade, a Baghdad è battaglia per il governo del dopo ritiro Usa di Enrico Singer raq e Afghanistan. Due Paesi, due guerre, due date luglio e dicembre 2011 per l’avvio del ritiro americano - e un’unica strategia: quella decisa da Obama del progressivo disimpegno militare e del passaggio di tutti i poteri alle nuove istituzioni democratiche locali. Se nella conferenza internazionale che si è appena conclusa a Kabul è stato indicato il 2014 come traguardo per il trasferimento della totale sovranità - ed anche della capacità di contrasto del terrorismo e del narcotraffico - al governo di Hamid Karzai, a Baghdad i tempi dovrebbero essere ancora più rapidi. Almeno sulla car-
I
Assad, che punta in tutti i modi a conquistarsi un ruolo di primo piano nella regione, il colloquio ha avuto un effetto più dimostrativo che pratico.
Il segnale lanciato da Damasco è ancora generico. Ayad Allawi e Muqtada al Sadr si sono detti d’accordo sulla necessità di accelerare la costituzione del nuovo governo e hanno reciprocamente riconosciuto ai loro movimenti un ruolo decisivo nella futura poltica irachena. Non ci sono ipotesi di formule di collaborazione, né di alleanze. Ma il fatto stesso che l’incontro sia avvenuto dimostra che la guerra dei leader si com-
Sono passati più di quattro mesi dal voto del 7 marzo e i tre protagonisti della scena politica irachena non riescono a mettersi d’accordo: anche l’ultimo colloquio è finito con un nulla di fatto ta. E le grandi manovre per formare un nuovo esecutivo - dopo le elezioni che si sono tenute ormai quattro mesi fa - sono in pieno svolgimento. Senza significativi passi avanti, ma con molte sorprese. A partire dall’incontro a Damasco tra i due principali avversari dell’attuale premier, Nouri al Maliki: l’ex capo del primo governo provvisorio del dopo-Saddam, Ayad Allawi, e il capo del partito fondamentalista sciita, Muqtada al Sadr. Favorito dai buoni uffici del presidente siriano Bashir el
batte ormai senza esclusione di colpi. Allawi, che guida il blocco Al Iraqiya si considera e si presenta come un laico, era stato scelto dagli americani per dirigere la transizione del Paese dalla dittatura di Saddam Hussein alle prime elezioni libere e, nei nove mesi del suo governo, ha combattuto le milizie armate di Muqtada al Sadr - il cosiddetto Esercito del Mahdi - uccidendo centinaia dei suoi seguaci. Non solo. Allawi ha anche un passato nel partito Baath ne uscì soltanto nel 1975 quan-
Un attenato nel centro di Baghdad. Nella foto piccola, l’incontro tra Allawi e Muqtada a Danasco. Sotto, l’attuale primo ministro, Nouri al Maliki, con Barack Obama alla Casa Bianca do si rifugiò a Londra - che ha fatto uccidere il padre e due fratelli di Muqtada. Il quale, a sua volta, vuole costruire uno Stato islamico in Iraq e considera - ma forse è meglio dire considerava - i laici come Allawi dei «servi degli Usa».
L’immagine dei due che sorridono fianco a fianco - Allawi in giacca e cravatta, Muqtada al Sadr con la lunga barba islamica, il turbante e la tunica nera - trasmessa dalla tv irachena ha suscitato molta impressione a Baghdad. Due nemici giurati che si parlano come fossero vecchi amici. Potenza e paradosso di una battaglia politica che si combatte con ogni mezzo: gli attentati per le strade e i messaggi trasversali. Distratti
dalle notizie di morte che arrivano dall’Iraq, dalle bombe nei mercati, davanti alle moschee o contro le reclute della polizia e del ricostituito esercito in fila per ritirare il loro salario, pochi in Occidente prestano attenzione alla guerra dei leader che è il frutto del risultato delle elezioni del 7 marzo scorso. Il partito Al Iraqiya di Ayan Allawi, ha ottenuto 91 seggi, due in più di quelli andati alla Lega per l’alleanza che è il partito di Nouri al Maliki. Il Movimento Sadrista ha conquistato 32 deputati ed è diventato una specie di ago della bilancia nonostante i 43 parlamentari ottenuti da Kurdistania, l’unione dei principali partiti del Nord del Paese abitato dalla popolazione curda, sia alleata con l’attuale pre-
mier. Il punto, finora insuperabile, della controversia è che sia il blocco di Allawi che quello di al Maliki rivendicano la poltrona di primo ministro del futuro governo: Al Iraqiya insiste sul suo diritto di guidare il nuovo esecutivo perché è il partito che ha ottenuto, singolarmente, il numero maggiore di seggi, la Lega per l’alleanza replica facendosi forte di una coalizione che può contare su 159 seggi. Insufficienti, comunque, per assicurarsi la maggioranza dei 325 membri del Consiglio dei rappresentanti.
Il vicepresidente Usa, Joe Biden, durante la sua ultima visita a Baghdad, ha chiesto ad Ayad Allawi e a Nouri al Maliki di collaborare. Sarebbe la solu-
mondo
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L’organizzazione vuole limitare i costi del mantenimento delle famiglie
Al Qaeda: «Sposate le vedove dei martiri» di Mario Arpino o stallo post-elettorale in Iraq sta producendo danni ed il suo persistere produce attivismo tra gli estremisti. Al Qaeda, sebbene severamente ridimensionata e indebolita, sta cercando nuovi spazi per rompere il fronte interno dei moderati di al Allawi e identica cosa sta facendo il filo-iraniano Moqtada al-Sadr in casa sciita, che tenta in tutti i modi di minare il difficile dialogo in corso tra lo State of Law di al-Maliki e l’interetnica ed interconfessionale Iraqiya. In ordine di tempo l’ultima mossa di al Sadr è stata la visita in Siria, dove sembra gli sia stato promesso supporto, mentre al Qaeda si è appena prodotta in uno spettacolare attacco suicida, che ha provocato una quarantina di morti tra quei miliziani che, per “l’effetto Petraeus”, erano passati armi e bagagli - ovviamente con un più che decente stipendio - a favore delle forze regolari. Quest’ultimo attentato è stato di particolare ferocia, in quanto indirizzato contro una tribù di “traditori” sunniti, che fino al 2007 avevano supportato i fanatici di bin Laden. Ma, a dimostrazione che in Iraq è ancora viva, al Qaeda oggi si dedica anche ad attività che potremmo definire di carattere “sociale”. Circola insistente la voce - raccolta anche da esperti occidentali - che in Mesopotamia sia stata recentemente emessa una fatwa, al momento solo a trasmissione orale, che invita i guerriglieri a sposare le mogli dei colleghi uccisi in azione suicida o in combattimento. Ovvero, le vedove dei “martiri”. Nulla di nuovo, ricordando che ai tempi della guerra in Bosnia i guerriglieri arabi, invitati da Itzebegovic e protetti dal suo doppio-gioco, praticavano la medesima prassi. La notizia potrebbe passare come irrilevante, ma non è così, se esperti e uomini dell’intelligence si stanno scervellando attraverso una ridda di ipotesi. Secondo i commentatori, è come tentare di leggere le figure delle nuvole nel cielo.
L
zione più semplice. Ma anche l’incontro che c’è stato ieri tra i due si è concluso con un nulla di fatto. C’è rottura totale su chi debba guidare il governo, a chi vada assegnata la presidenza della Repubblica e a chi spetti l’incarico di speaker del Parlamento. Tra l’altro, fino al colloquio di Damasco con Allawi, proprio Muqtada al Sadr aveva stretto un tacito accordo di non belligeranza con Nouri al Maliki che, sin dai tempi della dittatura di Saddam Hussein, aderì al partito islamico Da’wa che vuol dire appello) e che, pur non essendo un fondamentalista, potrebbe essere - almeno teoricamente - più vicino a Muqtada al Sadr di quanto non
na) fu dovuta proprio alla rottura con Saddam. Nel 1978 partecipò all’organizzazione di un complotto (fallito) per rovesciare il regime che si vendicò con un attentato in cui Allawi, nella sua casa di Kingston-uponThames, rimase seriamente ferito. Suo padre era un parlamentare e suo nonno negoziò l’indipendenza dell’Iraq dalla Gran Bretagna.
Nouri al Maliki, anche lui sciita come Allawi, fece subito parte dei movimenti di opposizione al regime di Saddam e, già da studente, si iscrisse al partito islamico Da’wa. Nel 1980 fu condannato a morte, ma riuscì a fuggire prima in Iran, poi in
Un fondamentalista, un islamico moderato e un laico: l’imposibile miscela del futuro esecutivo. Eppure, come per l’Afghanistan, ci sono scadenze che Obama vuole rispettare per trasferire i poteri lo sia Ayman Allawi. Ma la guerra dei leader, a quanto pare, sta rovesciando tutte le alleanze e le previsioni. E dimostra quanto sia difficile mettere insieme personalità che hanno una loro storia molto lunga alle spalle. Un altro degli errori che è facile commettere in Occidente - dove poco si sa del passato di questi uomini - è quello di considerare i protagonisti della confusa scena politica irachena come dei personaggi nati dal nulla dopo il crollo del regime di Saddam. Naturalmente non è così. Della militanza govanile di Allawi, il più anziano dei tre (è nato nel 1945), nel partito Baath si è gia detto. La sua fuga a Londra (dove completò anche gli studi in medici-
Siria dove diresse anche il giornale al-Mawqif (la situazione). Tornato in Iraq dopo la caduta di Saddam è stato il numero due della commissione per la de-baathificazione del Paese e, nel 2005, il suo partito ha vinto le prime elezioni libere. Muqtada al-Sadr, invece, è di origine libanese. Suo padre, Mohammed Sadeq al-Sadr, era un ayatollah e fu assassinato a Najaf, roccaforte della famiglia, nel febbraio 1999, insieme a due dei suoi figli, per volere di Saddam. Muqtada è anche cugino dell’imam Moussa al-Sadr, il fondatore della Lega dei Diseredati, da cui nacque il movimento Amal (speranza). Un groviglio di storie che oggi fa sentire il suo peso.
so legami famigliari quei contatti tra guerriglia e tribù che ormai si sono molto allentati, oppure si può pensare che si sta deteriorando quel “fondamento ideologico” che spingeva i combattenti “arabi” appena arrivati in Iraq a sacrificarsi quanto prima in attacchi suicidi.
In entrambi i casi, la questione è di estremo interesse. Nel primo, si può intendere che la guerriglia tenti di riguadagnare con il matrimonio la solidarietà di chi invece da tempo cerca di liberarsene. Nel secondo, sembrerebbe si chieda allo jhadista di riavvicinarsi alle cose terrene, prendersi cura della famiglia ed incamminarsi verso differenti forme di lotta politica. In entrambi i casi, secondo lo stesso analista, si tratterebbe di un “grido disperato” lanciato a livello di alte sfere. Un’altra corrente di pensiero, questa volta di tipo accademico - è la più comune negli Istituti pubblici di rela-
L’ordine, una vera e propria, fatwa, non è nuovo: ai tempi della guerra in Bosnia i guerriglieri arabi protetti da Itzebegovic praticavano la medesima prassi “musulmana”
In ciascuna di esse si può vedere rappresentato ciò che si cerca, in funzione dei momenti e delle prospettive: un segnale di debolezza, un atto di razionalità oppure il peggiore cinismo, che cerca artatamente di mescolare affetti e perversa ideologia. Secondo un ex analista dei sevizi Usa in Iraq, ad esempio, questo invito a sposare le vedove potrebbe essere considerato come l’indice del più grande fallimento delle tattiche di guerriglia preferite da al Qaeda, ovvero gli attacchi suicidi. Se un guerrigliero – attivo o in sonno – viene sollecitato a sposare una vedova, può significare due cose. O si sta cercando di ristabilire attraver-
zioni internazionali - si rifà alla cultura islamica e trae conclusioni diverse. Al Qaeda, ma anche altre organizzazioni terroriste - come ad esempio quelle palestinesi - dedicano molte risorse finanziarie a risarcire e mantenere le famiglie dei“martiri”. I rovesci subiti ultimamente in Iraq, ma anche le centinaia di attacchi suicidi perpetrati negli anni precedenti, vanno di pari passo con la severa débàcle finanziaria subita per il coalizzarsi del sistema bancario internazionale e dell’incremento dei controlli sui flussi. Il piatto piange, e l’unico modo di onorare la consuetudine islamica di proteggere le vedove dei martiri è rimasto quello di far provvedere a ciò dai singoli guerriglieri. Sembra che in tre mesi dall’emanazione dalla fatwa, nella sola provincia di Diyala - una delle più colpite dalla repressione - ci siano stati oltre 70 matrimoni plurimi di questo tipo. Ciò dimostra due cose: al Qaeda si è indebolita, ma i sui ordini si eseguono ancora.
BILANCIO AL 31 dicembre 2009 Bilancio redatto in forma abbreviata ai sensi dell'art. 2435 - bis
OCCIDENTE S.P.A. Sede legale: Via della Panetteria, n. 10 - 00187 Roma Capitale Sociale: € 2.722.000 i.v. Iscritta nella Sez. Ord. R.I. di Roma al nr. 09200821008 - REA di Roma nr. 1147283 - Pubblicato ai sensi dell'articolo 1, comma 33, del D.L. 23 ottobre 1996 n. 545, convertito in Legge 23 dicembre 1996 n. 650 e dell'art. 9 della delibera dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni n. 129/02/CONS
STATO PATRIMONIALE ATTIVO
31-12-2009
31-12-2008
-
-
A) CREDITI VERSO SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI
PASSIVO
31-12-2009
31-12-2008
2.722.000
2.315.000
1
300.001
-38.050
-37.491
-9.740
-559
2.674.211
2.576.951
- entro 12 mesi
121.338
88.567
-
-
121.338
88.567
18
18
2.795.567
2.665.536
31-12-2009
31-12-2008
A) PATRIMONIO NETTO
B) IMMOBILIZZAZIONI
I - Capitale
- IMMOBILIZZAZIONI IMMATERIALI
VII - Altre riserve
- ammortamenti
8.000
8.000
VIII - Utile (perdite) a nuovo
- fondo ammortamento immobilizzazioni immateriali
-4.800
-3.200
IX - Utili (perdite) dell'esercizio
Totale immobilizzazioni immateriali (I)
3.200
4.800
Totale Patrimonio netto (A)
III- IMMOBILIZZAZIONI FINANZIARIE
D) DEBITI
1) Crediti
1.935.947
1.700.244
594.520
594.520
Totale immobilizzazioni finanziarie (III)
2.530.467
2.294.764
- oltre 12 mesi
Totale immobilizzazioni (B)
2.533.667
2.299.564
Totale debiti (D)
2) Altre Immobilizzazioni finanziarie
C) ATTIVO CIRCOLANTE
E) RATEI E RISCONTI PASSIVI
II - CREDITI - entro 12 mesi
234.446
88.413
Totale crediti (II)
234.446
88.413
27.379
276.797
261.825
365.210
75
762
2.795.567
2.665.536
IV - DISPONIBILITA' LIQUIDE Totale attivo circolante (C) D) RATEI E RISCONTI ATTIVI TOTALE ATTIVO
TOTALE PASSIVO
CONTO ECONOMICO ATTIVO
31-12-2009
31-12-2008
A) VALORE DELLA PRODUZIONE 1) ricavi delle vendite e delle prestazioni Totale valore della produzione (A)
C) PROVENTI E ONERI FINANZIARI 256.310
110.407
16) altri proventi finanziari:
256.310
110.407
17) interessi ed altri oneri finanziari
B) COSTI DELLA PRODUZIONE: 7) per servizi Totale costi del personale (9)
Totale proventi ed oneri finanziari (C) (16-17) 270.905
110.839
270.905
110.839
10) ammortamenti e svalutazioni: a) ammortamento delle immobilizzazioni immateriali
1.600
1.600
1.600
729
717
Totale costi della produzione (B)
273.234
113.156
Differenza tra valore e costi della produzione (A-B)
-16.924
-2.749
14) oneri diversi di gestione
7.437
3.676
253
324
7.184
3.352
-
-
-
1.162
-
-1.162
-9.740
-559
-9.740
-559
E) PROVENTI E ONERI STRAORDINARI 20) Proventi - varie
1.600
Totale ammortamenti (10)
PASSIVO
21) Oneri - varie Totale delle partite straordinarie (E) (20-21) Risultato prima delle imposte (A-B+-C+-D+-E) 26) UTILE (perdita) dell'esercizio
ELENCO DELLE TESTATE/EMITTENTI IN CONCESSIONE PUBBLICITARIA PER L'ANNO 2009 EDITORE
TESTATA/EMITTENTE
EDIZIONI DE L'INDIPENDENTE S.R.L.
CRONACHE DI LIBERAL
ELENCO DELLE TESTATE/EMITTENTI IN CONCESSIONE PUBBLICITARIA PER L'ANNO 2009 EDITORE EDIZIONI DE L'INDIPENDENTE S.R.L.
TESTATA/EMITTENTE CRONACHE DI LIBERAL
quadrante
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Inghilterra. Il leader tory non intende abbandonare la Big Society bama ha lanciato il change e Cameron non si è fatto sfuggire l’occasione per un progetto che coltivava da prima che diventasse leader dei tory. Per Lyndon Johnson era Great per David è solo Big, ma alla base c’è una mezza rivoluzione della società britannica. Prima però serve mettere i conti in ordine. La Gran Bretagna non è gli Usa e la necessità di tagliare il deficit è immediata. A Washington per incontrare Obama, ieri Cameron ha affermato che la Gran Bretagna «non può permettersi il lusso di attendere. Non siamo una valuta di riserva. Non siamo gli Stati Uniti» ha osservato. Il premier inglese ha negato differenze di vedute con Washington su come affrontare la crisi: «ogni Paese – ha spiegato – deve riequilibrare il proprio deficit, ma il momento in cui farlo può variare». E la politica della scure per il neopremier può essere una grande occasione e un limite. La grande occasione è che crea le premesse psicologiche per poter varare il suo progetto di Big Society, presentato come il più grande travaso di potere dall’alto verso il basso dell’Inghilterra moderna. Si tratta «della più grande redistribuzione di potere dalle élites di Whitehall agli uomini e alle donne della strada» ha confermato Cameron, lunedì a Liverpool. Il limite è dato dalle stesse ragioni che ne costituiscono la premessa: la crisi economica. Per puntare sul terzo settore, qualche sterlina il governo dovrà pur spenderla. Ma vediamo nel dettaglio cosa ha in mente il primo ministro e in quali condizioni si muoverà. C’è chi pensa che questo grande cambiamento sia sostanzialmente causato dalla perdita di ricchezza del Paese, dai debiti e dalla man-
O
Cameron: «La crisi, opportunità per tutti» Lo scopo è ridimensionare lo Stato. In controtendenza rispetto ai conservatori di Pierre Chiartano
maglio delle riduzioni della spesa pubblica. È un po’ il riecheggiamento del discorso di John F. Kennedy sul chiedersi «cosa puoi fare per il tuo Paese». E mentre si arruolano migliaia di consulenti per l’attuazione della grande riforma e Whitehall è in stato di preallarme per i tagli senza precedenti previsti per i ministeri, Cameron
Per il premier britannico «è la più grande redistribuzione di potere dalle élites di Whitehall agli uomini e alle donne inglesi» canza di risorse. Sarebbe più onesto ammetterlo. La rivoluzione annunciata nel sistema sanitario nazionale che sarà costosa, caotica e, come pronosticato da Steve Richards sull’Indipendent, «richiederà correzioni da panico nei primi mesi d’implementazione». È comunque molto ambiziosa nella sostanza. Lunedì, c’era stato altro annuncio. Cameron aveva reso noto che un gruppo di volontari avrebbe cercato di tenere aperti alcuni musei di Liverpool, finiti sotto il
tiene discorsi per dare una speranza ai frequentatori di musei a Liverpool, pensano i suoi critici. Il premier ne parla come di una rivoluzione che chiama la costruzione di una Big Society. E anche per i suoi detrattori «è sincero», crede in quello che dice e sicuramente questi appelli al volontariato, alla chiamata dei cittadini a partecipare al grande piano, eccita molti amici e alleati, più di quanto non farebbe un discorso su entità e natura dei tagli «brutali» della spesa statale. I la-
Si accorciano i tempi del ritiro britannico
Via dall’Afghanistan nel 2011 Il ritiro delle truppe britanniche in Afghanistan potrebbe iniziare nel 2011. Lo ha dichirato ieri il premier britannico David Cameron. Nella sua prima visita ufficiale negli Usa, Cameron ha affermato che anche la Gran Bretagna potrebbe iniziare a lasciare l’Afghanistan l’anno prossimo «se ci sono le condizioni sul terrieno». «Quanto più rapidamente trasferiremo province e distretti sotto il controllo afghano, tanto più sarà veloce il ritorno a casa delle forze armate», ha aggiunto. Si vede che l’Afghansitan non piace al popolo britannico e il premier gioca sempre più al ribasso. Infatti al G8 di Toronto la data sul ritiro era il 2015. «Non fatevi illusioni del contrario», aveva affermato il premier britannico. Poche ore
dopo, aveva di poco ammorbidito i toni in una intervista a Sky News, precisando di non voler «discutere un calendario troppo preciso» per il ritiro delle forze. «Non possiamo rimanera là per altri cinque anni, dopo che ci siamo già stati nove»,aveva affermato il premier. «Ma su una cosa dobbiamo essere chiari: l’Inghilterra deve avere una relazione a lungo termine con l’Afghanistan, che include l’aiuto all’addestramento delle loro forze e dei loro burocrati, anche molto dopo che la maggior parte delle forze ha fatto ritorno in patria», aveva quindi concluso il premier. Poi improvvisamente i tempi si sono accorciati, forse in sintonia con i tagli di bilancio alla Difesa, programmati dal fido cancelliere dello Scacchiere.
buristi considerano la Big Society solo una confezione per giustificare e abbellire una politica di drastica riduzione della spesa pubblica. Ma l’attuale premier e il circolo più stretto di collaboratori stavano lavorando a questo piano, quando erano ancora all’opposizione. Steve Hilton, uno degli alleati più vicini al premier, è convinto che il discorso di Liverpool sia l’anima di questa nuova politica. Alla base c’è una straordinaria redistribuzione del potere verso il basso – probabilmente solo facilitata dalla crisi – e che sarebbe più che giustificata, «anche se l’Inghilterra fosse in pieno boom economico». Insomma anche per gli alleati Cameron sarebbe riuscito a volgere il male, una crisi economica senza precedenti, in bene, una riforma radicale della struttura del potere pubblico. Ma mentre il motivo dominante non è direttamente collegato alla situazione economica, la carenza di risorse è il motivo di una così limitata dimensione di un progetto tanto ambizioso.
E il fido Osborne, cancelliere dello Scacchiere, era stato messo subito all’opera per preparare il terreno. Salvaguardare la spesa negli investimenti a lungo termine – riconoscendo l’errore dei conservatori dei primi anni Novanta – e colpire i palesi eccessi in alcuni settori. Il sentiero su cui si è incamminato il Cancelliere è però «pericoloso», affermano i critici, perché lo porterebbe a far quadrare i conti in tempo per il prossimo appuntamento elettorale. Nella coalizione di governo «tutto ciò che alla voce debito è un male». E nonostante il deficit stia diminuendo più velocemente del previsto – dicono gli esperti – Osborne è impaziente di cancellarlo del tutto. E non è esagerato parlare di rivoluzione. Il ministro spera di avviare un cambiamento in maniera da rifondare la macchina dello Stato e rendere le riforme irreversibili. Creando così la prima gamba per la Big Society. La riforma di bilancio che verrà resa nota in ottobre contiene interventi ben maggiori della legge finanziaria. Quindi la grande sfida si giocherà fino prossimo autunno, dove ognuno cercherà di limitare i danni o di scansare la lama del cancelliere. Anche molta stampa, orfana di Margaret Tathcher, sostiene la politica di rigore del governo, ricordando i discorsi evanescenti del «pazzo, cattivo e pericoloso» Gordon Brown.
cultura
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Riletture. È senza dubbio questo il sovrano d’Inghilterra preferito dal Bardo: l’incarnazione di ciò che per lui un regnante dovrebbe essere e rappresentare
Shakespeare e il suo Re Il valore umano e l’eroismo di Enrico V nell’opera storica più tragica (ma anche comica) del drammaturgo inglese di Franco Ricordi di pochi giorni fa la notizia di un’interessante comparazione da parte dello scrittore Don Winslow, considerato oggi il re del poliziesco americano: l’affinità elettiva fra Il Padrino di Mario Puzo e quello che per lui rappresenta l’antecedente, i drammi dei due Re Enrico, il IV e il V, di Shakespeare. In questo senso Michael Corleone, che ricordiamo interpretato dal grande Al Pacino, sarebbe la reincarnazione del Principe Hal, che diviene poi Enrico V; mentre il vecchio Don Vito, l’altrettanto memorabile Marlon Brando, sarebbe l’anziano Enrico IV.
È
Si pone il problema della successione al Re ovvero al Padrino, e in ogni caso il figlio imparerà la lezione del padre, e anzi paradossalmente si dimostrerà “un buon allievo” proprio nel divenire più che mai cinico e spregiudicato. Questo per dire anzitutto quanto grande e complessa risulti ancora oggi l’influenza del drammaturgo Shakespeare sulla cultura moderna e contemporanea; e il ciclo di riletture che stiamo dedicando alle singole opere del Bardo vorrà alla fine evidenziare proprio questo: l’attestazione di una insuperata e inesauribile suggestione che ha toccato quasi tutti i campi del sapere. Tuttavia è sempre bene distinguere, confrontare e rielaborare. E se anche il Principe Hal, Enrico V, saprà essere duro e crudele - soprattutto come si conviene in guerra l’analogia con Michael Corleone si dovrà arrestare al rapporto con il padre: è infatti vero che Enrico V sarà disegnato da Shakespeare come uno dei più grandi eroi (nel senso positivo del termine) del suo teatro; e che quindi non potrà dirsi più di tanto analogo del
giovane decisionista Corleone, che rappresenta comunque una famiglia seppure grande e a suo modo epica, di delinquenti mafiosi. Alla fine del dramma precedente, la seconda parte di Enrico IV, il giovane Principe
Nulla è più suggestivo del racconto, con parole poetiche e febbrili, dello stato dei due accampamenti la notte prima dello scontro di Galles è stato incoronato Re. Tuttavia ciò che colpisce immediatamente è proprio la sua metamorfosi, in particolare nei confronti di quello che per tutto il dramma ci è apparso come il suo più caro amico, Sir John Falstaff. Quando quest’ultimo
va a trovarlo ma Enrico V non lo accoglie bene: un po’ forse per il tiro mancino che gli aveva giocato in battaglia, ma molto più perché si è reso conto della sua necessità di cambiare immagine, anche nei confronti di Falstaff: «Non credere ch’io sia quello che ero: Dio sa, e il mondo se ne accorgerà, che ho rinnegato il mio precedente me stesso, e lo stesso farò con chi mi teneva compagnia». Anche qui siamo di fronte ad una vera metamorfosi, un processo di evoluzione del proprio essere, che tocca da vicino quasi tutti i più grandi personaggi shakespeariani. In un primo momento Falstaff crederà che il suo caro amico stia scherzando, o abbia bisogno di tenerlo lontano per qualche tempo. Ma poi, come apprendiamo dall’allegra brigata che formerà il controcanto del dramma (Pistol, Bardolph, Nym, e lo straordinario capitano Fluellen) il povero vecchio Jack è morto, e sarà resuscitato da Shakespeare soltanto in occasione delle Allegre comari di Windsor. Da questo punto assistiamo alla glorificazione di Enrico V come monarca inglese per eccellenza, forse l’unico eroe e re shakespeariano a tutti gli effetti positivo. E va detto come tale inglese eroismo riesca più che mai a riscontrare l’idea della grande forza armata che, storicamente, non ha mai tradito le proprie ambizioni. Dalla sconfitta inferta alla spagnola “Invincibile armada”alla vittoria sulla Francia di Napoleone, dalla guerra contro la Germania di Hitler all’ultima umiliazione sull’Argentina per le isole Falkland, bisogna riconoscere al Regno Unito una lunga e glorio-
A fianco, una raffigurazione di Enrico V. Sotto, Laurence Olivier nei panni del monarca inglese e un’immagine di William Shakespeare. Nella pagina a fianco, in basso, Kenneth Branagh interpreta il Re d’Inghilterra e, sopra, le locandine dei due film
sa araldica di guerra. E qui il conflitto sarà scatenato anche da una infelice ambasciata che, da parte del Delfino di Francia, fa pervenire al giovane e appena incoronato re una cassa piena di palle da tennis (forse alludendo alla giovinezza notoriamente scapestrata dell’ex Principe). Enrico non la prende bene, e giura che per quelle insolenti palle da tennis i francesi dovranno aspettarsi i colpi delle più terribili palle di cannone: «Dite al Delfino che il suo scherzetto sciocco non gli parrà più tanto allegro quando vedrà, per esso, più gente in pianto che in allegria». E così sarà: la battaglia decisiva per il
mantenimento delle terre francesi avrà il suo teatro in Azincourt: e se scriviamo “teatro” è perché Shakespeare stesso ci coinvolge, più che mai in questa occasione, nel concetto di “teatro di guerra”: la peculiarità stilistica di Enrico V sta infatti anche nei bellissimi e incalzanti cori che precedono ogni atto. E non si tratta soltanto di introduzioni al dramma, ma di una vera e propria teoria del teatro che soltanto nel Novecento è stata intesa come tale. Se si pensa al celebre prologo «Oh avere una musa di fuoco, ora, che ascenda al cielo sfavillante della fantasia! Palcoscenico un regno; at-
cultura tico moderato, Marco Follini, abbia citato Enrico V in riferimento a quella che, nell’Inghilterra del tempo, veniva chiamata “Grazia di Stato”. Questa dovrebbe essere impiegata, secondo Follini, per agire nelle riforme del nostro Paese odierno. Enrico V è un «moderato che entra in guerra», a differenza di Coriolano che è «nato per la guerra». E il suo eroismo si qualifica più che mai attraverso il senso leopardiano della pazienza, «la più eroica delle virtù proprio perché non ha nulla di eroico». Ma di fronte alle leggi di guerra interne ed esterne Enrico V sarà un modello esemplare e intransigente: e in questa maniera sarà in grado di sventare, nella forma più elegante e intelligente, la congiura che era stata mossa contro di lui dai traditori Cambridge, Grey e Scroop, nel secondo atto del dramma; e quando questi implorano clemenza, Enrico non vorrà saperne: «Inglesi mostruosi! Ora contro di voi si rivoltano i vostri stessi argomenti come cani voraci contro i padroni, e vi sbranano». E con la stessa determinazione affronterà la battaglia, dopo che l’araldo francese Montjoy sarà per la prima volta sgomento di fronte alla sua determinazione. Tuttavia Enrico è il solo re shakespeariano desti-
tori principi; Monarchi spettatori a contemplare la superba scena», vediamo come l’autore riesce per la prima volta a sopperire la “povertà” del teatro, e ad evocare con le semplici parole poetiche la «splendida giornata di Azincourt».
Una anticipazione di quello che Grotowski ha teorizzato come “teatro povero”, possibilità da parte del corpo dell’attore di saper evocare anche la grande scena di una battaglia. E se nel XX secolo il cinema riprodurrà con i suoi mezzi, in maniera quasi pedissequa, le scene di guerra, nulla è più emozionante del coro che anticipa il quarto atto di Enrico V, che descrive con semplici paro-
le poetiche e febbrili lo stato dei due accampamenti la notte prima dello scontro. In realtà Enrico V si è dimostrato un grande re: e soprattutto ci colpisce il senso più profondo della sua virtù eroica, che è racchiuso in queste semplici parole: «In tempo di pace nulla si addice all’uomo quanto la moderazione, la calma e l’umiltà; ma quando ci squilla nelle orecchie la tromba della guerra, allora imitate la tigre…». Significativo come un nostro poli-
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nato a una vita tragica se non terribile; questo non toglie come sia particolarmente forte in lui il senso dello Stato; egli conosce profondamente le sue responsabilità, come esplicitato con forza e durezza nel grande monologo del IV atto: «Sulle spalle del re! Vite, anime, debiti, vedove disperate, orfani e anche i peccati, tutto sulle spalle
del re, l’enorme peso... lo schiavo, che si gode la pace del paese che l’ha accolto, col suo cervello grasso non afferra quali moti di veglia costi al re il mantenere quella pace che concede al contadino, ora per ora, i massimi profitti». Lo Stato, di cui il Re è emblema, è responsabile di tutti come sarà il Leviatano per Hobbes. Ma il poeta è anche in grado di alleggerire il dramma, e a questa scansione farà eco la comicità che deriva dall’uso particolare che in Enrico V Shakespeare si compirà del linguaggio: sia per i dialetti sia per le altre lingue. E il capitano gallese Fluellen si esprime con un linguaggio che potrebbe corrispondere all’odierno pugliese di un attore come Lino Banfi, laddove la “a” suona come la “e”. Fluellen ha lo stesso pregio-difetto, tanto che alla fine anche il re, che è stato principe di Galles, si mette a parlare in quel modo. Un gioco linguistico continua nel personaggio di Pistol, che si esprime esclusivamente in versi, tanto da dare l’impressione di una autorevole presa in giro della stessa versificazione. Ma poi in particolare l’ultima scena del dramma, l’incontro fra Re Enrico e la principessa Caterina di Francia, è per la prima volta giocata in una maniera in cui sembra fondamentale “imparare la lingua dell’altro”, anche per l’ideale costruzione dell’Europa.
Il corteggiamento di Enrico e Caterina, alla fine del V atto, è una delle pagine più belle di Shakespeare, e il finale del dramma sembra preludere a una pace europea che solo oggi possiamo immaginare, a scorno delle secolari guerre che ci pesano sulle spalle. Alla grande violenza dei drammi storici, da Tito Andronico a Enrico IV, corrisponde il sempre più maturo processo di misura e moderazione politica, assolutamente necessario nella proposizione di un viatico civile. E quello di Shakespeare è certamente un “teatro civile”, molto più che certi ammiccamenti dei nostri giorni. Si può dire che alla fine Enrico V sia il vero Principe guerriero di Shakespeare, l’incarnazione di quello che un re dovrebbe essere e rappresentare. Anche se sappiamo come, dopo di lui, i possedimenti francesi saranno perduti dall’Inghilterra; ci ammonisce l’ultimo Coro, nella generazione seguente la Francia sarà perduta. Ma Enrico V rimarrà in ogni caso «l’astro d’Inghilterra che mosse alla conquista del meraviglioso giardino del mondo».
cultura
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Tradizioni. Intimismo e poetica civile: la nuova edizione del progetto “Album di Roma. Fotografie private del Novecento”
La Città Eterna sotto scatto
di Giulio Battioni eppure i romani superstiti possono ricordarla così. Aristocratica e popolare come la sua anima papalina, grandiosa e borghese come il suo aspetto umbertino, moderna e monumentale come la volle il razionalismo fascista, austera e selvaggia come la costrinsero guerre e ricostruzione, dolce e cosmopolita negli anni Sessanta, stanca e satura nelle decadi successive, sino allo sfiguramento estremo dei nostri tempi. L’eternità pesa come un macigno e i secoli, specialmente l’ultimo, il lungo, infinito “secolo breve”, pesano ancora di più. Popolata da quattrocento mila abitanti all’inizio del Novecento, ai giorni nostri Roma raggiunge i quasi tre milioni di residenti, senza contare le alte percentuali di avventori, turisti, forestieri e immigrati che sfuggono alle statistiche ufficiali.
N
Non più antica, non ancora moderna, Roma è oggi il fantasma di se stessa, malata di una senilità permanente prodotta dal duplice deterioramento del suo sistema territoriale e della sua memoria storica. Roma è oggi una città vecchia e senza volto, un complesso urbano collassato a causa di una espansione deforme, una scazzottata continua fra centro e periferia, campagna e cemento, clivi e marrane, borgate e rioni, edilizia varia e vegetazioni indomite, sempre pronte a invadere il campo nemico, a insinuarsi nei marmorei blocchi lungoteverini come nel sabbioso, molle asfalto dell’Urbe. Roma è oggi una città vecchia e senza volto, incapace di contenere l’oceano di storia, arte e cultura che sgorga dai suoi sampietrini, una stratigrafia di epoche e mondi che dalle origini giunge al secolo XX, attraverso due millenni di civiltà e carità. I più non ricordano, né conoscono la storia romana, ormai ridotta a oggetto autoerotico per necrofili o ad argomento da bancarella del libro usato. I più non ne conoscono neppure la storia recente, gli eventi pubblici e spirituali, così come i paesaggi, le strade, le piazze, le ville, le stazioni. Ignoranza del territorio e deficit di memoria impediscono a Roma una vita sociale e civile degna del suo nome. Staccata la spina del ricordo condiviso, Roma non ha più un’anima, né una storia. Soltanto cronaca, burocrazia, traffico, salotti politici e qualche buona passione sportiva. È dunque notevole il contributo dell’Album di Roma. Fotografie private del Novecen-
to, progetto ormai pluriennale per la salvaguardia della memoria capitolina a partire dagli scatti, gli scorci, i momenti privati di chi la Città Eterna la vive e l’ha vissuta, l’ama e la ricorda con un affetto da raccontare e tramandare. Patrocinato dalle Biblioteche di Roma, dall’Assessorato alle Politiche Culturali e dall’Archivio Storico
scita e di adozione, Romoli e Remi, pellegrini e amici della città nella quale hanno immor-
di mercati rionali, chiese, quartieri storici e nuove urbanizzazioni, feste popolari e avvenimenti di costume. Nella galleria consultabile presso il sito web del Comune di Roma, si possono attingere risorse e documenti del Fondo Enrico Ricci e dell’Associazione Amici di Monte Mario, dell’Archivio dello Studio Artistico Fotografico
L’iniziativa, oramai pluriennale, è volta a salvaguardare la memoria capitolina attraverso gli scorci e i momenti privati di chi l’Urbe l’ha vissuta, la vive, l’ama e soprattutto la ricorda con un affetto da raccontare e tramandare Capitolino, il“book”digitale raccoglie gli istanti spontanei, i ritratti intimi ma anche l’elaborazione artistica di romani di na-
talato gli attimi più significativi del loro passaggio.
Al di là dei sentimenti personali, familiari ed esistenziali di queste cartoline, nel catalogo ridondano le immagini di matrimoni, battesimi, episodi di vita domestica, non mancano i richiami alla vita pubblica, a una quotidianità fatta
In questa pagina, alcuni scatti d’epoca della Capitale: il Tempio di Vesta; via Nazionale quando c’erano gli alberi; il Vittoriano ancora in costruzione; il Porto di Ripetta
Filippo Reale così come i riferimenti a collezioni fotografiche, stampe e cartacei che ritraggono il secolo breve romano nelle sue atmosfere più originali. Numerose sono le testimonianze private, il lascito digitalizzato di persone comuni che offrono la loro versione di una città viva nel ricordo, e forse nella nostalgia, ma terminale, o forse morta, nella sua condizione presente. Nonostante il grande sforzo degli amministratori locali, il centro storico è oggi degradato dall’eccessivo spazio concesso a esercizi commerciali di dubbio gusto, da un turismo selvaggio che, indotto a parte, richiede maggiore disciplina, dalla presenza in-
vasiva di istituzioni pubbliche e uffici privati che impediscono alla cittadinanza capitolina non solo di viverci ma anche soltanto di metterci piede. Come spesso avviene nelle grandi aree metropolitane del mondo, le periferie sono dei veri e propri dormitori, con l’aggravante, per l’Urbe, della carenza di collegamenti adeguati. Si parla spesso di “modello Barcellona” e “grandeur parigina”, di modernizzazione e rilancio.
Campione perfetto dell’Italia e del suo sistema orografico, Roma ha un territorio difficile, dominato dalla irregolarità e dalla ingovernabilità, un saliscendi senza tregua fra i Sette Colli che influisce sul temperamento disincantato di chi vi abita. Patria dei comuni e delle regioni, l’Italia ha in Roma il suo unicum, la ratio universale della sua storia, delle sue bellezze naturali e del suo patrimonio umano. Ricostruire l’identità di una Roma capitale che unifichi il Paese delle diversità, e la civiltà alla quale molto devono i cinque continenti, è oggi un obiettivo di primo piano per gli amministratori comunali. Ricostruire l’orgoglio italiano della Città Eterna è l’auspicio che le istituzioni pubbliche nazionali e la cittadinanza romana devono coltivare, oltre il sentimentalismo, in un rinnovato spirito di partecipazione sociale e poetica civile.
società e sapevamo già tante: la Tessera del Tifoso non è un obbligo di legge e poggia su un dispositivo del quale il Tar Lazio valuterà l’incostituzionalità. E un’imposizione per i club e una scrematura preventiva del pubblico, senza la certezza di estirpare i fenomeni violenti. Limita le libertà di movimento dei cittadini e mina la privacy, colpa il micro-chip con identificazione a radio frequenza. È un’operazione di marketing speculativo e il Presidente dell’Uefa l’ha bocciata senza riserve. E così via, sciorinando a più non posso le criticità di questa rivoluzione all’italiana. Ma l’ultima scoperta ha davvero del clamoroso: la Tessera del Tifoso è illegale. Contrasta una legge dello Stato varata dopo la morte dell’ispettore di Polizia Filippo Raciti e va contro il Codice di Giustizia Sportiva della Federazione Italiana Giuoco Calcio.
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configurarsi l’omissione di atti di ufficio. Agevolazioni come per l’abbonamento sono una violazione di legge». «Già il decreto del 1995 postumo l’omicidio Spagnolo vieta legami tra società e tifosi - ribatte Giovanni Adami, legale di molti sostenitori di curva - La tessera è una facilitazione che va contro questo principio. Oltre che in sede penale e amministrativa, si può pensare ad un esposto alla Procura Federale della Figc».
N
Tessera illegale. L’articolo 8 della Legge del 4 aprile 2007 n° 41, che ha convertito il decreto dell’8 febbraio 2007 n° 8 recante «misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche», obbliga i club di Serie A, B, Lega Pro e Dilettanti ad escludere qualsiasi tipo di facilitazione per i tifosi, pena una sanzione amministrativa del Prefetto con multa dai 50.000 ai 200.000 euro. Ecco il passaggio in questione: «È parimenti vietato alle società sportive corrispondere contributi, sovvenzioni, facilitazioni di qualsiasi genere ad associazioni di tifosi comunque denominate». Un divieto che riguarda anche le cosiddette associazioni di fatto, disciplinate dal codice civile, nelle quali si fanno rientrare anche i possessori della Tessera del Tifoso che, per il peculiare elitarismo voluto dal Ministro dell’Interno Maroni, sono facilitati da offerte commerciali e proposte logistiche atipiche: esclusività per l’acquisto di abbonamenti stagionali e biglietti in trasferta per i settori ospiti. Esclusività per i biglietti in casa nelle gare giudicate a rischio dal Casms. Accesso dedicato allo stadio con varchi prioritari (ancora da costruire). Agevolazioni per l’acquisto di merchandising e pacchetti finanziari (per i supporter della Fiorentina anche prestiti di denaro e mutui viola!) In parole povere, benefit per una cerchia di tifosi ufficiali, per i quali l’Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive spinge le società a favorire «la concessione di facilitazioni, privilegi e/o benefici». Cioè quanto vietato dalla legge pubblicata in Gazzetta Ufficiale nel 2007, dopo la morte di Raciti.
Il caso. Contrari al Codice di Giustizia Sportiva i privilegi per supporters fidelizzati
Sorpresa: la Tessera del tifoso è illegale di Maurizio Martucci
In più, la tanto osannata “carta” contrasta una legge dello Stato varata dopo la morte dell’ispettore di Polizia Filippo Raciti Contro il codice sportivo. Stesse prescrizioni nel Titolo I delle norme di comportamento previste dal Codice di Giustizia Sportiva della Figc, al primo comma dell’articolo 12 («Prevenzione di fatti violenti»): «Alle società è fatto divieto di con-
tribuire, con interventi finanziari o con altre utilità, alla costituzione e al mantenimento di gruppi, organizzati e non, di propri sostenitori». Cos’altro sarebbe la Tessera del Tifoso se non uno strumento per contribuire con altre utilità alla costituzione e al mantenimento di gruppi di tifosi? Cos’altro intendono i marketing manager per “community da fidelizzare” con la fidelity card? Regolamento sportivo e legge parlano chiaro: i titolari delle nuove carte non aderiscono ad un’associazione legalmente riconosciuta con finalità di divulgazione dei valori della Carta Olimpica e non hanno nemme-
no l’obiettivo di gemellaggi con altri tifosi (articolo 8, L. 41/07).
Gli esperti: norme scoordinate. «Nella fretta di varare la tessera del tifoso - sostiene l’avvocato Lorenzo Contucci, esperto di cause per reati da stadio - ci si è dimenticati di coordinare le norme. Forse non sarebbe stato possibile, visto che la tessera non ha fondamento normativo ma si basa su una circolare amministrativa. In realtà i Prefetti dovrebbero contravvenzionare le società che, con la tessera, costituiscono la categoria dei tifosi ufficiali senza formare prima un’associazione legalmente riconosciuta. Potrebbe
In questa pagina, tifosi di tutte le squadre d’Italia, di Serie A come anche di altre Serie minori, manifestano con striscioni, scritte e magliette il proprio “no alla tessera del tifoso”
Daspo ai camorristi. «Ultrà non sempre è sinonimo di criminale, ma a Napoli certi gruppi camorristici non sono estranei alla gestione delle attività illecite che ruotano attorno allo stadio». Lo afferma il procuratore aggiunto Giovanni Melillo, coordinatore della sezione criminalità predatoria della Procura di Napoli, dove un pool di pubblici ministeri è specializzato in reati da stadio. Melillo propone una ricetta inusuale: estendere le limitazioni della Tessera del Tifoso ai sottoposti a misure di prevenzione antimafia. «Il Daspo dovrebbe poter essere applicato anche a quanti, pur non essendo stati protagonisti diretti di comportamenti violenti negli stadi, abbiano riportato condanne, anche non definitive, per gravi delitti: rapina, estorsione, traffico di stupefacenti e, in generale, reati di criminalità organizzata». In pratica, significa trattare i camorristi come gli ultrà o, preferibilmente, gli ultrà come i camorristi. Una formula che non lesina polemiche. «Lo stadio non è un luogo extraterritoriale - replica l’avvocato Contucci - lo stesso principio dovrebbe valere per discoteche e osterie: contano una decina di morti l’anno. Sono dicontraddittorie: chiarazioni prima si dice che gli ultrà sono vicini alla camorra, poi che la camorra non gestisce le curve di Napoli ma bagarinaggio, scommesse e gadget contraffatti. Cosa ben diversa». «Rispetto la posizione del procuratore di Napoli - conclude l’avvocato Adami - ma il legislatore ha creato misure restrittive circoscritte alle sole manifestazioni sportive. La giurisprudenza (Tar Toscana e Liguria) dice che il Daspo non può colpire il delinquente abituale. Non vedo il motivo di estenderlo ai dediti ad attività criminale: c’è già il codice di procedura penale». Segno dei tempi: sta partendo la Tessera del Tifoso e, seppur fuori legge, tra i magistrati partenopei c’è già chi propone di superarla. Se non ce ne fossimo accorti, gli stadi ormai sono diventati il Nuovo Laboratorio Italia. Tra un pallone, un coro e una bandiera si sperimentano misure di controllo sociale di massa e ardite peripezie giurisprudenziali.
o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE
Contro i divoratori di elettricità, l’Europa è a digiuno di soluzioni Se il caldo ha fatto schizzare molto in alto i consumi di energia, è anche però vero che nelle sedi pubbliche come in quelle private, seguendo l’ultima moda degli Stati Uniti, si tiene una temperatura eccessivamente bassa. La mancanza di termostati, inoltre, impedisce ai singoli di regolare la temperatura negli uffici pubblici. All’eccessivo e assurdo consumo di energia elettrica si aggiunge poi il rischio salute: in questa epoca, infatti, vi è un aumento sempre crescente di polmoniti e bronchiti dovute all’eccessivo sbalzo termico. Mi chiedo, visto che esiste una regolamentazione per il riscaldamento invernale, ve ne dovrebbe essere anche una per l’uso dei condizionatori estivi, in quanto per il risparmio energetico, la lotta all’inquinamento e la salute dei cittadini, lo sbalzo termico fra dentro e fuori non dovrebbe essere superiore ai 5/7 gradi. Non mi sembra una proposta assurda, cosa aspettano i nostri governanti ad attuarla?
Alessandro Pavan
CONTENUTI INTERESSANTI E PROSA AFFASCINANTE Complimenti per la bellissima apertura di Mobydick di sabato scorso a firma di Pier Mario Fasanotti. Mi piacerebbe avere anche il formato elettronico dell’articolo, perché il cartaceo rischia di essere consunto dalle ripetute letture della pagina, dove, accanto a dei contenuti molto interessanti, si poteva gustare una prosa a dir poco affascinante se non quasi poetica. Il vostro collaboratore, noto, scrive soprattutto su Mobydick e lo seguo costantemente insieme al vostro giornale. Lo ammiro come scrive e cosa scrive: se da un lato, con le sue rubriche televisive, riesce a scuotere gli animi passivi di chi si siede in poltrona e subisce qualsiasi programma trasmesso ovunque, o arriva a dar voce allo sdegno, che molti vorrebbero manifestare ma non riescono, di fronte a certuni programmi, dall’altro, con un registro linguistico ben più alto, tocca le corde più in-
time di autori talvolta fraintesi dalla critica letteraria o, con preziose pennellate, comunica ai lettori, tramite una sicura e profonda cultura, peraltro mai ostentata, la bellezza dell’esperienza della lettura e della riflessione libraria.
Lettera firmata
NOCIVA PARTITOCRAZIA I partiti tendono a distorcere la volontà dei cittadini e a controllare tutta la società. Si burocratizzano, mancano d’adeguato ricambio e degenerano in coacervi di fazioni. La partitocrazia è monopolio di “professionisti”, che si autoreclutano e vivono la bella vita, tramite la politica. Il debordante finanziamento pubblico dei partiti rafforza le burocrazie e i vertici partitici, ai quali gli eletti sono sottomessi. Complice lo Stato interventista, molte cariche in vasti settori della società e dell’economia vengono lottizzate, ossia attribuite per appartenenza partitica (che
Condizionatori naturali Se siete arrivati in ufficio di buon mattino e già madidi di sudore, è loro che dovete ringraziare. Anche oggi le nostre ghiandole sudoripare - qui al microscopio - lavoreranno senza sosta, aprendosi e chiudendosi per rilasciare liquidi all’esterno ed eliminare il calore in eccesso
prevale su merito, competenza e professionalità). Sono colonizzati dai partiti: enti economici, banche, ministeri, Parlamento, scuola, pubblica amministrazione in, genere e mass media. Le degenerazioni più gravi e vistose si manifestano in Italia e dovunque le istituzioni e la società civile abbiano poca forza e autono-
L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
mia. Per rimediare ai danni della partitocrazia, occorre ridurre il numero di coloro che vivono di politica, nonché i loro compensi, pensioni, privilegi e sprechi. Servono anche il rinnovo, la rotazione e l’incompatibilità fra cariche. Vanno posti limiti temporali alla carriera politica.
Gianfranco Nìbale
da ”The Moscow Times” del 21/07/10
L’opposizione di comodo in Russia è speranza per l’opposizione in Russia? Ne parla una voce paludata come Moscow Times, sempre attenta all’immagine esterna del Paese. Il quotidiano moscovita dedica un lungo articolo al leader di Altra Russia, Eduard Limonov e a nuovi movimenti d’opposizione. La formazione politica «nemica del Cremlino» ha pubblicato il proprio manifesto sulle pagine della Rossiiskaya Gazeta, martedì scorso, dando qualche speranza a chi vorrebbe che anche chi si oppone a zar Putin avesse tribuna. C’è il sospetto però che siano partito che fanno comodo al potere.
avrebbe combattuto per ottenere la registrazione. «Abbiamo fondato un partito politico e tenteremo in ogni modo che venga riconosciuto dal ministero della Giustizia» ha affermato Limonov che, ricordiamo, era stato leader del Partito nazionale bolscevico messo fuori legge. La piattaforma politica di Altra Russia è fondamentalmente populista e allo stesso tempo richiama i valori liberali che furono la base costituente, nel 2006, quando si presentò come la coalizione una serie di movimenti d’opposizione. Tanto per restare in tema liberalizzazioni, il programma prevede la nazionalizzazione anche dell’industria del carbone, della produzione di energia elettrica e delle imprese di costruzioni.
C’
Tra i punti del programma infatti c’è la nazionalizzazione dell’industria del gas e del petrolio. L’aspetto più interessante e che la Gazeta è un organo di stampa, voce del Cremlino e che la pubblicazione del progetto politico di Limonov è avvenuto quattro mesi dopo lo sdoganamento, sempre sulle stesse colonne, di un altro partito d’opposizione.Allora si era trattato del Russian united labor front, meglio noto come Rot Front, un partito di sinistra. Una vera rottura rispetto all’assoluto silenzio mantenuto per anni dalla stampa filo-governativa. Una ”svolta” che ha riacceso il dibattito sulla possibilità che si apra a una certa liberalizzazione politica, come Dmitri Medvedev aveva lasciato intravedere con delle «vaghe promesse». Comunque molti esponenti del fronte antiCremlino rimangono scettici e bollano queste mosse come pure formalità. Una specie di passaggio buro-
cratico che non cambierà tanto presto l’attuale approccio della maggioranza nei confronti del pluralismo politico. C’è una legge del 2001 che obbliga Rossiiskaya Gazeta a pubblicare i programmi politici di tutti quei partiti che lo chiedano, che però siano regolarmente registrati negli elenchi del ministero della Giustizia. Per le formazioni che non sono sugli elenchi statali niente urne. E con la nuova legge dal 2004, nessun movimento è riuscito a diventare partito col bollino ministeriale. Il Rot Front ci aveva provato due volte e anche Altra Russia, senza esito. Le nuove normative prevedono che ogni formazione abbia almeno 50mila iscritti. Limonov nel suo blog ha promesso che
Promette di combattere la burocrazia, di introdurre una tassa sul lusso, di creare una magistratura indipendente, una stampa libera e di eliminare la coscrizione militare obbligatoria. Ciliegina sulla torta: un progetto per costruire una capitale tutta nuova da collocare nel sud della Siberia. Sergei Udaltsov, uno dei leader del Rot Front, dopo l’ennesimo rifiuto ministeriale, è convinto che le pubblicazioni dei programmi sulla stampa siano solo un’operazione cosmetica. La differenza dovrebbe arrivare col permesso di presentarsi alle urne come gli altri partiti. Il leader di Yabloko, il movimento liberale d’opposizione, Sergei Mitrokhin, ha affermato che le pubblicazioni sulla Rossiiskaya Gazeta significano «ben poco». E Boris Nemtsov che i due movimenti non costituiscono «alcun pericolo» per il Cremlino.
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LE VERITÀ NASCOSTE
La nuova frontiera del turismo: la caccia ai pirati MOSCA. Da qualche tempo, alcu-
evolute, M16, M60, Rpg, Bazooka. Inutile dire che queste “crociere” hanno scatenato moltissime polemiche, e non manca chi sostiene che questi “turisti” siano ben peggio dei pirati, dato che pagano per poter commettere impunemente degli omicidi, per quanto legalmente le loro azioni si configurino come legittima difesa. Gli organizzatori però cercano di smorzare le polemiche, e se i più spavaldi sostengono che in ogni modo queste crociere danno un contributo a combattere la pirateria, altre agenzie cercano di minimizzare e negano che le crociere abbiano lo scopo specifico di affondare le barche dei pirati, e che le armi
ne agenzie turistiche non solo della capitale ma anche delle altre maggiori cittadine russe offrono una nuova “entusiasmante” e sicuramente particolare frontiera nel turismo di avventura: la caccia ai pirati. Pagando semplicemente l’equivalente di circa 7000 dollari, si viene imbarcati su uno yacht di lusso, che naviga nelle vicinanze delle coste della Somalia, a velocità contenuta, allo scopo di attrarre i pirati. Compreso “nella quota di partecipazione”, c’è un Ak-47, con cui “difendersi” dai pirati che tentano di abbordare la nave. Con un piccolo sovrapprezzo, è possibile dotarsi di armi più
ACCADDE OGGI
SONO SEMPRE GLI ONESTI A PAGARE LE FURBERIE DEI DISONESTI A fare le spese dei disonesti che vivono a Napoli e dintorni sono ovviamente gli onesti: tutte le indagini che portano alla luce in questi giorni la grossa quantità di falsi sinistri riscontrati dalle nostre parti, non farà che aumentare la distanza e il sospetto delle direzioni assicurative che hanno sedesoprattutto al nord. Molte di queste, quando ricevono un incartamento proveniente dal sud lo archiviano subito, aumentando il tempo per la liquidazione dei sinistri che già notoriamente è esageratamente lungo.
Bruna Rosso
SPIAGGE: DIRITTI E DOVERI DEL CITTADINO Spiagge aperte con il bel tempo e la stagione balneare. Quali i diritti e di dovere dei bagnanti? Le spiagge sono demaniali, di proprietà dello Stato, cioè nostre. Vengono date in concessione a gestori, che possono chiedere un biglietto di ingresso, per poter usufruire di alcuni servizi quali le docce, i bagni, gli spogliatoi, il servizio di salvataggio e la pulizia dell’arenile. L’affitto di sdraio, ombrelloni e cabine in genere è aggiunto al biglietto di ingresso, ma non è obbligatorio affittarle, perché una volta pagato l’ingresso ci si può sdraiare sul proprio asciugamano. Si può accedere alla spiaggia di uno stabilimento balneare, per raggiungere il mare, senza pagare il biglietto di ingresso, ma non si può sostare né sulla spiaggia in concessione né sulla battigia, spazio che deve essere costantemente libero da persone o cose. Non è consentito l’accesso e la sosta agli animali, se non dove
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato
22 luglio 1946 L’Irgun fa esplodere una bomba nel King David Hotel di Gerusalemme, quartier generale dell’amministrazione civile e militare britannica, uccidendo 90 persone 1970 Un attentato orchestrato dalla ’ndrangheta per conto dei neofascisti di Reggio Calabria fa deragliare la Freccia del Sud presso Gioia Tauro causando 6 morti e 50 feriti 1974 Con il primo Congresso, nasce il Partito di unità proletaria (Pdup) 1975 L’Edilnord Sas, di proprietà di Silvio Berlusconi, aumenta nuovamente il capitale sociale, passando da 600 milioni a 2 miliardi di lire, equivalenti a 7 milioni di euro del 2005 1977 Il leader cinese Deng Xiaoping ritorna al potere 1981 Condanna all’ergastolo per Mehmet Ali Agca, l’attentatore di papa Giovanni Paolo II 1991 Il serial killer Jeffrey Dahmer viene arrestato dopo che i resti di 11 uomini e ragazzi vengono ritrovati nel suo appartamento di Milwaukee
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Francesco Capozza, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
vengono affittate ai turisti unicamente per offrir loro una forma di “rassicurazione” in acque pericolose, ma che non ci sarebbe nessuna intenzionalità nel farsi abbordare, né verrebbe incoraggiato l’uso delle armi da parte dei passeggeri.
espressamente previsto. È vietato giocare a pallone, a racchette o altri giochi che possano arrecare disturbo ai bagnanti.
P. M.
OCCHIO ALLE PROPOSTE “A GRATIS” L’Antitrust ha sanzionato il sito tatuaggi.in. La società Netmedia System Ltd dovrà pagare 10mila euro di sanzione. Il sito induceva alla registrazione gli appassionati di tatuaggi, lasciando intendere che fornire i propri dati fosse il solo “prezzo” per fruire dei contenuti. Invece, in comunicazioni successive, l’azienda trasformava gli utenti registrati in abbonati, chiedendo un prezzo. Un meccanismo già utilizzato da altri siti, tatuaggifantasy.com, sempre nell’ambito dei tatuaggi, ma pure Easydownload su cui è in corso un’istruttoria. Si sono moltiplicati i siti che con pratiche commerciali ingannevoli vincolano a pseudo contratti i consumatori. Non c’è molta differenza rispetto agli inganni che avvengono tramite telefono o tramite le vendite porta a porta. E il consiglio è quello di diffidare dalle tante proposte apparentemente gratuite.
Giovanni Spaventa
SEGNALI INQUIETANTI Segnali inquietanti dalla magistratura: la verità sulla strage Via D’Amelio è vicina ma la politica potrebbe non reggerne il peso! Spero solo che nessuno si sia fatto ancora debiti “a parole”, perché i parenti delle vittime hanno già pagato la perdita dei loro cari, e non possono assumersi altri oneri, specie se nell’immediato futuro tutto torni a tacere.
Bianca Della Valle
Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci, Robert Kagan, Filippo La Porta,
Direttore da Washington Michael Novak
Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)
Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci,
Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Andrea Mancia, Errico Novi (vicedirettori) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)
Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Collaboratori
Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,
Maria Pia Ammirati, Mario Arpino,
Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,
Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi,
Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi,
Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,
Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,
DAL LOCALE AL NAZIONALE: LA SCUOLA Credo che occorra ricominciare la ricostruzione del tessuto sociale e produttivo sul territorio, ma all’interno di regole comuni. Se da una parte la riforma dell’art. 117 della Costituzione mette in crisi lo Stato-Nazione, dall’altra offre un’opportunità per ristabilire un rapporto di coerenza fra territorio e società civile. Non v’è dubbio che nella società complessa una proposta coinvolga automaticamente altri settori. La formazione, la produzione, la possibilità di vita autonoma dei giovani, la loro fertilità sono sicuramente legate. Ora le Regioni hanno la gestione dell’istruzione professionale; da quest’anno, in Lombardia, gli istituti superiori avrebbero potuto attivare al loro interno dei corsi triennali professionali, sui quali raccogliere l’eventuale dispersione, nonché l’esubero della docenza conseguente alla riforma. Ben pochi l’hanno fatto, né le scuole medie hanno indirizzato i ragazzi verso questo tipo di formazione né gli istituti superiori hanno veicolato la loro probabile dispersione verso questi corsi. Risultato: pochissimi iscritti, molta dispersione, troppa confusione. L’assolutistica Cgil ha indetto scioperi nella scuola confondendo il problema della disoccupazione dei docenti con quello della riforma del sistema e tacendo, rispetto alla prima, sulle responsabilità della gestione del nuovo. Qui si arriva a un altro nodo di sistema: quello fra introduzione del nuovo e la sua gestione, cosa che non può essere fatta cambiando il nome o il vessillo dei vecchi dirigenti. È un problema di cambiamento culturale e come tale va gestito. Non si può quindi definire la stessa persona prima preside e poi dirigente d’istituto e pensare con questo di avere effettuato il passaggio. Ciò vale nella scuola, nella politica, nelle istituzioni. L’impacciato immobilismo è la naturale conseguenza in ciascuno di questi ambiti. Gli uffici scolastici provinciali, seguendo Sapelli, avrebbero potuto concordare con la Camera di Commercio alcune figure sinergiche al territorio e definirne le caratteristiche, poiché le scuole professionali hanno un tasso di interazione scuola-lavoro molto alto. Si sarebbe dovuta poi porre una condizione di raggiungimento degli obiettivi ai singoli dirigenti delle superiori. L’ autonomia delle scuole, invece, si è risolta in un potere burocratico personale. Ne consegue che la disfunzione viene attribuita al pubblico genericamente inteso, senza percepire che ciò è in aperta contraddizione con il concetto di autonomia della stessa singola istituzione. Un disastro concettuale e fattuale. Marina Rossi P R E S I D E N T E CI R C O L I LI B E R A L CI T T À D I MI L A N O REGOLAMENTO E MODULO DI ADESIONE VERSO IL PARTITO DELLA NAZIONE SU WWW.LIBERAL.IT E WWW.LIBERALFONDAZIONE.IT (LINK CIRCOLI LIBERAL)
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ULTIMAPAGINA Leggende. Riesumati i corpi del dittatore rumeno e di sua moglie
Ceausescu? Sta con Elvis e Mussolini in di Sabrina de Feudis
a storia rispecchia a pieno titolo l’inizio di un romanzo horror. Scena: un solitario cimitero nella periferia di Bucarest. Sulla lapide c’è incisa la data del 25 dicembre 1989, i nomi sono quelli del dittatore Nicolae Ceausescu e della moglie Elena. Il fatto: i due cadaveri sono stati riesumati per determinare senza ombra di dubbio la loro identità, come richiesto da tempo dai loro figli. I tre figli dei Ceausescu, dei quali soltanto il 62enne Valentin è ancora vivente, avevano avanzato dubbi sull’identità dei corpi seppelliti nella tomba. Negli uffici del cimitero, al comune di Bucarest o all’archivio militare, non esistono documenti sulla sepoltura avvenuta in gran fretta dopo il processo sommario e la fucilazione, mentre erano in corso le sanguinose battaglie della rivoluzione che portò alla caduta del regime comunista. La domanda è: dove sono finiti i veri Ceaucescu? E chi sono davvero i corpi di quesi due qui?
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Alla riesumazione era presente Mircea Opran, genero del dittatore, che all’emittente «Realitatea TV» ha spiegato che nella cassa del suocero c’erano solo ossa e abiti, compreso il berretto di pelle di pecora che Ceausescu aveva in testa al momento dell’esecuzione. Nei pantaloni si vedevano i fori dei proiettili. Ossessionato dal mito del totalitarismo, si creò a immagine e somiglianza del classico politico dittatore e spietato. La sua storia è drammaticamente celebre: nato in una numerosa famiglia contadina, nel distretto di Olt, all’età di 11 anni si trasferì a Bucarest per diventare apprendista calzolaio, ma di lì a breve la sua vita professionale prese un’altra strada. Fece parte illegalmente del Patito Comunista Rumeno, tra arresti e militanze nel 1939 incontrò la donna della sua vita. Elena Petrescu, lineamenti severi e austeri ne incorniciavano il volto, ebbe un ruolo determinante nel corso dei decenni per l’ascesa politica del marito.
Nel 1965 la Romania entrò in una nuova èra: nacque la Repubblica socialista. Nel giro di poco tempo, Ceaucescu divenne una figura popolare, l’evoluzione del suo regime seguì il tracciato stalinista già delineato. Come ogni regime creò la polizia segreta, la Securitate e il controllo sui media divenne totale.
L’anno 1966 passò tristemente alla storia del paese per i suoi decreti. Fu bandito l’utilizzo di tutti i metodi contraccettivi e vietato l’aborto, questo a sostegno dell’incremento del tasso di natalità. Il suo Governo si diede anche l’obiettivo di ridurre drasticamente la percentuale dei divorzi. Nel 1989, l’anno della sua drammatica e repentina caduta, Ceausescu e la moglie (la «zarina») ormai erano del tutto fuori dalla realtà del paese. Mentre la Romania attraversava un periodo di terribili difficoltà con lunghe file di persone in cerca di cibo davanti a negozi alimentari vuoti, Ceausescu veniva mostrato in tv mentre entrava in negozi ben riforniti e decantava «l’alta qualità della vita» raggiunta dal Paese sotto la sua guida. Lontano dalle reali problematiche del Paese ma attento solo all’arricchimento personale del tiranno e della
nell’est Europa. Dopo un rocambolesco tentativo di fuga, la polizia alla fine consegnò la coppia all’esercito. I due furono condannati a morte il 25 dicembre, da un “tribunale volante” militare, con l’accusa principale di genocidio e con l’aggravante di aver condotto la popolazione rumena alla povertà e di aver accumulato illegalmente ricchezze. La coppia Ceausescu fu giustiziata da un plotone d’esecuzione
ARGENTINA I parenti dei tiranni dubitano che i corpi sepolti a Bucarest siano quelli autentici: la risposta la darà il dna. Insomma, ancora una volta impazzano le storie metropolitane sulla “vera fine” di due miti che la realtà ha trasformato in «diavoli» moglie (Elena, donna di umili origini e che non aveva mai fatto studi di sorta, si mise a capo di ogni società scientifica e letteraria del paese, attribuendosi premi e meriti per metà incredibili e per metà ridicoli), il regime di Ceausescu crollò dopo una serie di eventi violenti culminati nella manifestazione del 21 dicembre, in quella che oggi è Piazza della Rivoluzione, a Bucarest. L’immagine dell’espressione di sconcerto sul viso di Ceausescu e della moglie nel momento in cui iniziarono i boati di protesta da parte della folla segnò il momento del crollo definitivo del comunismo
formato dall’elite del reggimento paracadutisti.
E così cadde un altro regime. Il problema è che dopo, come tutti i miti buoni o cattivi, anche sul dittatore Ceausescu si è creato l’alone del mistero. Come su Mussolini o Hitler, ma anche come James Dean, Elvis Presley, Jim Morrison, Moana Pozzi, Marilyn Moore, Kurt Cobain, John Lennon. Morti premature, finti suicidi o solo semplici scomparse? Grandi personalità, artisti o solo uomini e donne alla ricerca di qualcosa, ma non si sa cosa. C’è sempre qualcuno disposto a credere che loro siano ancora vivi, forse in una località sconosciuta, su un’isola deserta. Magari in Argentina, terra dove nazisti e fascisti trovarono rifugio davvero. Ecco: insieme a Mussolini, Hitler e Elvis, da qualche tempo, anche Nicolae e Elena organizzano cenette a lume di candela nella pampa...