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01119
Per i tiranni la clemenza è un
modo elegante di farsi pubblicità Jean Anouilh
9 771827 881004
di Ferdinando Adornato
QUOTIDIANO • VENERDÌ 19 NOVEMBRE 2010
DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK
Videomessaggio di Fini: «Il momento del Paese è grave, il premier deve essere responsabile». E Bossi: «Meglio andare al voto»
Di grande c’è solo la confusione L’Italia politica torna ad essere una piccola palude tra voci di compravendita alla Camera e al Senato. L’unica proposta seria sul tavolo,quella della responsabilità nazionale,per ora resta fuori dall’agenda PALAZZI & DISAGI
di Riccardo Paradisi
Lettera aperta a un cittadino che non capisce più niente di Paola Binetti aro elettore confuso, ti ringrazio di aver voluto condividere con un politico non meno confuso di te le preoccupazioni che in questo momento toccano te e la tua famiglia, il tuo lavoro e quanto più ti sta a cuore. In questo momento di crisi generale, forse più di natura etica che economica, non è facile trovare elementi concreti su cui fondare la speranza di un futuro migliore per te e per i tuoi figli. Mi dici che tua moglie ha dovuto lasciare una consulenza importante con una azienda in cui lavorava da anni perché il lavoro si era ridotto ai minimi termini. Nonostante i minori introiti però tua moglie si è consolata pensando che in questo modo può dedicarsi maggiormente a sua madre e a tuo padre, che sono anziani e abbastanza malmessi. La sera è più stanca di prima perché deve correre da un lato all’altro della città, su di una metropolitana soffocante e in un traffico convulso che ormai dura tutta la giornata. Mi racconti come tuo figlio, dopo una serie di stages non retribuiti, ora si è rinchiuso in se stesso, si alza tardi al mattino, tira tardi la sera; sembra bighellonare buttando via tanti sogni e tanti programmi su cui ha lavorato mentre faceva l’università. Si è laureato nella prima sessione utile con 110 e lode. Oggi soffre per l’impossibilità di mettere in gioco le sue capacità, pensa che a nessuno importi nulla di lui e ti rinfaccia di averlo illuso, stimolandolo a studiare per costruirsi un futuro che non esiste. segue a pagina 3
C
Dove l’alleanza ha funzionato
Grosse Koalition, la lezione di Angela Nel 2005, unendo Cdu e Spd, la cancelliera Merkel ha cambiato la Germania: un esempio da seguire Luisa Arezzo • pagina 4
Il germanista Gian Enrico Rusconi
«Cercasi leader alla tedesca» «Tradizione, uomini giusti e voglia di deporre le armi: ecco cosa serve all’Italia per replicare quell’esempio»
coraggio: «Credo che le prospettive siano positive e questo non è un governo che si vuole fare logorare» dice il ministro degli Esteri Franco Frattini che invita Umberto Bossi, convinto che il governo andrà avanti ma impaziente di andare alle urne, di attendere l’esito del voto sulla fiducia il 14 dicembre prossimo. E i sondaggi che indicano un sorpasso da parte del centrosinistra sul centrodestra? A sondaggio Frattini replica con un altro sondaggio: «Secondo un altro istituto il Pdl sta guadagnando». Così è se vi pare insomma. Del resto sembra non esistere più la realtà ma solo le sue interpretazioni. Sicché fioccano le facce sorridenti, in Parlamento. A fronte, invece, ci sono quelle preoccupate; non tanto per il risultato della compravendita di deputati quanto per il Paese. Fini, per esempio, ha fatto circolare una videolettera ai suoi sostenitori nella quale spiega che «la situazione è grave, perciò occorre che il premier sia responsabile». E responsabilità è la parola chiave: quella sulla quale ruota l’unica proposta politica seria ma che, per il momento, è accantonata.
Pierre Chiartano • pagina 5
Emergenza rifiuti: il governo stanzia 150 miliardi
Dopo il verdetto sul presunto terrorista
Dopo la guerriglia delle scorse settimane, l’esecutivo ha cancellato il contestato progetto per la costruzione del secondo stabilimento alle porte di Napoli. E intanto Bersani va dal ministro Maroni per parlare del caos che è scoppiato intorno al termovalorizzatore in provincia di Salerno
Ahmed Khalfan Ghailani, detenuto a Guantanamo, è stato scagionato da 285 capi di accusa sui 286 che pendevano sulla sua testa. Rischia comunque vent’anni di galera per “distruzione di beni statunitensi”. E in America esplodono le polemiche sulla scelta di far processare i presunti terroristi dai giudici civili
Marco Palombi • pagina 7
Antonio Picasso • pagina 14 I QUADERNI)
• ANNO XV •
NUMERO
225 •
Vegas, il mago dei numeri sopravvissuto a Berlusconi
Cambio al vertice dell’Authority sulla Borsa. Prima grana: il trasloco a Milano chiesto dalla Lega
a pagina 2
Hanno vinto le proteste: Processo a Guantanamo no alla discarica di Terzigno Negli Usa è subito polemica
seg1,00 ue a p agina 9CON EURO (10,00
Ritratto del nuovo presidente della Consob
ROMA. La maggioranza si dà
WWW.LIBERAL.IT
• CHIUSO
di Errico Novi
ROMA. Provate a immaginarla quell’aula di Montecitorio, lacerata dai boatos della campagna acquisti, alzarsi tutta sull’attenti per salutare il nuovo presidente della Consob. È una scena difficile da concepire sempre, a maggior ragione in questi giorni di trame sotterranee e cedimenti inconfessabili. E lo è ancor di più perché il nominato, Giuseppe Vegas, è l’uomo che di solito ferma mani inavidite dalla torta della Finanziaria. Lo fa da quindici anni, da quando cioè fu scelto nel governo di Lamberto Dini come “tecnico” e destinato al ruolo di sottosegretario, prima alle Finanze e poi al Tesoro. Stessa missione gli è capitata col Cavaliere. a pagina 8
IN REDAZIONE ALLE ORE
19.30
prima pagina
pagina 2 • 19 novembre 2010
il fatto La maggioranza ha un tesoretto da offrire ai transfughi: posti di governo e Cda da 500mila euro all’anno. Fli però confida ancora in nuovi arrivi
Il mercato di riparazione
Aria di rivalsa nel Pdl sicuro di poter «acquistare» i voti necessari a ottenere la fiducia. Ma Bossi annuncia: «Meglio andare al voto» di Riccardo Paradisi a maggioranza si dà coraggio: «Credo che le prospettive siano positive e questo non è un governo che si vuole far logorare» dice il ministro degli Esteri Franco Frattini che invita Umberto Bossi, impaziente di andare alle urne, di attendere l’esito del voto sulla fiducia il 14 dicembre. E i sondaggi che indicano un sorpasso da parte del centrosinistra sul centrodestra? A sondaggio Frattini replica con un sondaggio: «Secondo un altro istituto il Pdl sta guadagnando».
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Così è se vi pare insomma. Del resto sembra non esistere più la realtà ma solo le sue interpretazioni. Per questo è cominciato il rodeo delle dichiarazioni trionfalistiche, s’annunciano dagli spalti del Pdl e di Fli contingenti di convertiti che avrebbero già oltrepassato il Rubicone per traslocare anima e corpo nel campo avversario. La realtà, come sempre, è molto meno epica. La battaglia per la
sopravvivenza del governo Berlusconi o per il suo abbattimento si sta giocando nei corridoi e nelle stanze riservate di Montecitorio e di Palazzo Madama dove è tutto un fruscio di ammiccamenti e incontri discreti, dove si esibiscono crisi e tormenti di coscienza con la tacita speranza di essere interpretate per quello che sono: dichiarazioni di disponibilità a muoversi. È in questa corposa pattuglia di inquieti che confida il Cavaliere per portare a casa la fiducia il 14 dicembre. Su di loro e sui cosiddetti moderati – i loro nomi sono noti: Menia, Consolo, Ronchi, Moffa, lo stesso capogruppo al Senato Pasquale Viespoli – si fanno i conti per capire il destino dell’esecutivo.Tanto più che uno come Ronchi avrebbe vissuto con grande sofferenza le dimissioni da ministro degli
affari comunitari spontaneamente rassegnate dopo la convention finiana di Bastia Umbra. Mentre la new entry di Fli Giampiero Catone parla di una sua indisponibilità a votare una fiducia al buio. D’altra parte il tesoretto del governo che potrebbe attrarre gli indecisi più pragmatici consiste in un pacchetto considerevole di incarichi di governo e sottogoverno: un ministro, due posti da viceministro, 5 sottosegretariati e una serie di consigli d’amministrazione tra cui Eni ed Enel dove i compensi viaggiano sui 400 mila 500mila euro annui. Insomma risorse sufficienti a soddisfare ambizioni personali, cauterizzare frustrazioni, suscitare tentazioni. Ma se ci sono, e ci sono, elementi tentennanti nell’opposizione interna alla maggioranza si notano crinali pericolanti anche sulle montagne del Pdl. «Non è vero che al Senato noi si
sia così tranquilli – rivela una fonte interna alla maggioranza – c’è un gruppetto di sei, sette senatori che potrebbero essere tentati da un voto di sfiducia. Certo l’operazione sfiducia da parte loro dovrebbe ancorarsi a un margine di successo sufficientemente alto. Insomma devono essere abbastanza sicuri che l’approdo dell’operazione sfiducia sia davvero un governo d’emergenza in cui possano ricoprire ruoli significativi». Per questo ognuno alza il tiro delle dichiarazioni: da una parte il Pdl che parla di continue telefonate rassicurazione al premier di molti esponenti di Fli mentre i finiani, per voce di Della Vedova, promettono invece altre conferenze stampa con nuovi transfughi dal Pdl. Ognuno cerca d’attrarre gli indecisi prefigurando per loro il carro dei vincitori. La realtà cruda – si diceva – è più prosaica. «Noi ci accontenteremo anche di una maggioranza numerica e non qualificata – dice la fonte interna alla maggioranza – un
risultato come un 309 a 307 per esempio, invece dell’amplein di 316 voti di fiducia, sarebbe per noi una grande vittoria visti i chiari di luna e considerato che il plenum non s’è mai raggiunto nelle votazioni in parlamento». Soprattutto un risultato positivo anche solo di misura costituirebbe un segnale importante rivolto al Colle, un deterrente forte a eventuali scelte di governi d’emergenza. Intanto sembra essersi spuntata l’arma della sfiducia a Bondi dopo che Fli ha fatto chiaramente capire che non voterà per le dimissioni del ministro dei Beni culturali. Un passo indietro che l’Idv non perdona ai finiani: «Fli considera secondario e trascurabile il crollo verificatosi a Pompei che ha arrecato discredito all’Italia in tutto il mondo». Ma su Fli s’abbatte anche la dura critica di Giuseppe Fioroni (Pd) che accusa i finiani di non aver votato gli emendamenti di correzione della finanziaria a favore della famiglia, presentati dal Pd e dall’Udc e condivisi
la lettera Famiglia, rilancio economico, posti di lavoro: non di sole mozioni vive l’elettorato...
«Caro italiano che (giustamente) non capisci... Lettera aperta ai cittadini sempre più lontani dalla politica: il berlusconismo è finito e il Pd è anonimo, solo il Terzo polo può ricostruire la nazione di Paola Binetti segue dalla prima
da tutta l’opposizione. «Non c’e nessuna motivazione che faccia riferimento a impegni di stabilità di non modificare il testo. Gli emendamenti non producevano effetti sconvolgenti sulla finanziaria, ma avevano un effetto importante per la vita della famiglia italiana».
Anche Casini, meno direttamente polemico, interviene su questo punto: «Sulla famiglia siamo al ”redde rationem”: c’è un emendamento dell’Udc che propone detrazioni e che si può votare o non votare, senza tante scuse. Si fanno grandi convegni nei quali si dicono cose anche condivisibili, ma poi si fa niente in Parlamento. Gli atti parlamentari chiariranno chi ha votato a favore o contro la famiglia». Una giornata no per i i finiani che su famiglia e bioetica incassano anche le critiche del quotidiano dei vescovi Avvenire. Da parte sua il presidente della Camera ringrazia con un atteso videomessaggio i sostenitori e i sottoscrittori del manifesto per l’Italia lanciato da Futuro e libertà. Con musica confidenziale in sottofondo Fini chiede nuove adesioni per arrivare alle centomila firme al manifesto indicate come obiettivo per metà gennaio e rivendica la sua appartenenza al centrodestra e ai suoi valori; rilancia le parole d’ordine legalità e giustizia, richiama il Presidente del Consiglio alla responsabilità e al rispetto dell’agenda di governo vista la gravità della situazione. Chi s’aspettava dichiarazioni roboanti o nuove scintille è rimasto deluso. I fuochi artificiali sono solo rimandati.
Litiga in continuazione con i fratelli più piccoli, che dal canto loro passano lunghe ore a giocare con la playstation perché in realtà non hanno compiti da fare: gli insegnanti si accontentano di prestazioni minime, che tu giudichi assolutamente insoddisfacenti. Ma la tua autorità non può nulla davanti alla demotivazione che i ragazzi assorbono nelle ore scolastiche.Tua figlia l’altro giorno ti ha spiazzato completamente perché ti ha chiesto un elenco delle persone a cui tu avresti potuto raccomandarla e ha bocciato una ad una le tue conoscenze. Nessun rapporto importante né in ambito politico, né imprenditoriale, e tanto meno nel mondo dell’informazione e dello spettacolo. Anche lei è laureata: non così brillantemente come il fratello, ma ha fatto con serietà Scienze politiche, ha un master in relazioni internazionali, sa piuttosto bene l’inglese e se la cava anche con lo spagnolo. Ma niente di tutto ciò gli serve per trovare lavoro.
In questo clima ti sembra davvero deprimente sentir parlare di elezioni anticipate, pensare ai costi che comportano, alle energie che assorbono, alla monopolizzazione di stampa e televisione sui confronti sempre più scontati tra gli stessi politici. Non vedi altro che fazioni pro o contro Berlusconi, di cui come la stragrande maggioranza degli italiani non condividi lo stile di vita; ma confessi che ciò che più ti esaspera, dopo averlo votato più di una volta, è il vuoto di prospettive che si apre per i tuoi figli e per una intera generazione che sta perdendo il treno. Mi chiedi: ma chi aiuterà i miei figli a diventare adulti, chi permetterà loro di trovare un lavoro, una casa, di sposarsi e di avere dei figli… Quale schieramento, quale partito sarà capace di innescare un forte e concreto cambiamento di tendenza per rilanciare l’economia, il merito, per sostenere le famiglie, per fare riforme efficaci, senza cedere a ideologismi riformisti, che inseguono obiettivi ben lontani da ciò che veramente serve agli italiani. Concludi in modo accorato che ti sembra di aver fallito come padre e come professionista. Temi di aver sbagliato tutte le scelte politiche e confessi che sei fortemente tentato di andare ad ingrossare la schiera degli assenteisti, di coloro che considerano la politica del tutto incapace di assolvere il suo ruolo. Prima di rispondere al-
le tue domande in cui ritrovo la stessa preoccupazione della maggior parte degli italiani, provo a riassumerne le caratteristiche principali: non si capisce cosa stia accadendo in Parlamento, dove tra Camera e Senato le mozioni di fiducia e di sfiducia si incrociano in modo contraddittorio, determinando la sensazione che la vita politica sia appesa a delle emozioni. Non si capisce come si vada strutturando la nuova mappa delle alleanze in Parlamento: è necessario capire se l’UdC riuscirà a fare archiviare l’attuale bipolarismo fazioso e aggressivo; se Futuro e Libertà sia ancora nel centro destra o se sia passato all’opposizione; se davvero si possa immaginare una coalizione che vada da Vendola a Fini, passando per Casini, sapendo che il suo indice di governabilità è prossimo allo zero... Non si capisce su che base si creino e si dissolvano nuove e vecchie alleanze, quanto pe-
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Vale la pena provare a costruire insieme questo nuovo soggetto: non aspettarti di trovarlo già pronto in offerta speciale...
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sino di fatto le questioni etiche relative alla vita, alla famiglia, all’educazione e alla libertà di religione; quanto conti la coerenza personale, l’affidabilità, il rigore morale e la sensibilità sociale.
Le persone oggi sono spaventate dalla prospettiva di elezioni a breve perché non riescono a capire quale potrebbe essere lo scenario che ne verrà fuori: un’eventuale vittoria del centro destra, senza il contributo di Fli, non potrebbe essere che più debole: un centro destra troppo avvitato sul personaggio Berlusconi, che ha illuso e deluso milioni di italiani e che deve fare i conti con una Lega sempre più determinata e con un nuovo partito di cui ancora non si capisce la natura. D’altra parte non appare più convincente neppure la prospettiva di un Partito democratico senza una vera leadership, sempre più distante dalla sua base e lacerato da tensioni interne che riflettono il nodo non risolto del rapporto tra popolari ed ex ds, esposto ad una pericolosa scalata dall’esterno. Basti pensare alla vittoria di Vendola in Puglia, di Pisapia a Milano, e la delega alla Bonino nelle recenti elezioni in Lazio. Anche per un elettore del Pd è difficile oggi capire verso quale direzione stia andando
il suo partito, ma non è facile capire neppure chi guidi di fatto il partito, quali siano i suoi valori strutturali e cosa ci si potrebbe aspettare nel caso di una eventuale vittoria. Difficile immaginare la tenuta del patto intergenerazionale, vera struttura portante del nostro welfare, se la tenuta familiare si frammenta e si attesta su richieste come quelle del divorzio sempre più breve, fino a coincidere in sostanza con le unioni di fatto. La gente come te, invece, si chiede con un’angoscia crescente quale speranza potrebbe venire da una ipotetica vittoria di una destra che si è rivelata finora verbosa e inaffidabile, troppo spesso incoerente. Ma si chiede anche quale speranza potrebbe venire da una altrettanto eventuale vittoria di una sinistra-sinistra. Alla tua domanda si può rispondere solo immaginando nuovi spazi e nuove prospettive che si aprano proprio a partire da un rinnovamento serio dell’attuale quadro politico italiano, incominciando dall’UdC con i suoi nuovi alleati.Vogliamo mantenere ferma la barra sui valori in cui si riconoscono oltre al mondo cattolico tutte quelle persone che si sono allontanate dalla politica perché non si riconoscevano più in certe scelte. Gente che ama la famiglia, perché pensa al futuro dei propri figli. Gente che vuole creare una rete di solidarietà reale con tutti coloro che hanno bisogno di aiuto. Gente che vuole divertirsi, ma non per questo vuole scivolare nella volgarità di una sensualità ostentata senza pudore. Gente che vuole pensare e vuole partecipare al dibattito sulle questioni attuali, senza farsi risucchiare nel vortice di una polemica ideologica e faziosa. La politica deve ricominciare dalla capacità di guardare la realtà, di interrogare le persone, di chiedere loro di cosa hanno bisogno, per farsene carico, con umiltà e con generosità. Una politica che sappia coniugare concretezza e sguardo di futuro, che sappia aprirsi ad uno slancio riformatore sapendo che c’è anche il rischio di scivolare in una deriva che deforma le cose perché ne stravolge i contorni. L’UdC sa mantenere questa attenzione ai valori e alle persone, rifuggendo dalle ideologie tipiche del bipolarismo che ci circonda e ci consuma. Credo che valga la pena provare a costruire insieme questo nuovo soggetto: non aspettarti di trovarlo già pronto in una confezione in offerta speciale. Proprio perché è ciò di cui gli italiani hanno bisogno c’è bisogno di costruirlo con gli italiani. C’è bisogno di te e di tua moglie, dei tuoi figli e dei loro amici, dei vostri ideali e della vostra amarezza di ora per trasformarla in una nuova avventura. Ci si può lamentare, ma non ci si può limitare a lamentarsi… Il mio modesto suggerimento è quello che stiamo rivolgendo a tanti italiani in questa fase di rilancio dell’UdC verso un nuovo grande Partito della Nazione: proviamoci insieme e non lasciamo che qualcuno ci provi al posto nostro. Usciamo insieme dalla confusione e scriviamo insieme una agenda di speranza per il nostro Paese…
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l’approfondimento
Nel 2005, Cdu e Spd si unirono per sciogliere i nodi di un popolo che stava perdendo identità: vediamo perché ha funzionato
Modello Germania
I tedeschi la chiamano «Grosse Koalition», è l’alleanza con la quale la cancelliera Merkel ha cambiato il Paese e l’ha riportato a guidare l’Europa. Anche per noi sarebbe la via maestra, e invece qui si parla solo di voti in vendita di Luisa Arezzo a Repubblica federale tedesca è da sempre considerata una democrazia stabile e virtuosa. I motivi di questa percezione possono essere ricondotti a quello che alcuni “addetti ai lavori” hanno definito una “democrazia riuscita”.Tra questi: il sostegno diffuso alle istituzioni democratiche, che ha rafforzato il sistema politico nel suo complesso; il sistema di governo e la sua stabile prassi dell’alternanza; la stabilità del sistema politico e partitico, che è stata considerta una virtù da molti paesi occidentali. Ma anche l’ordinamento giuridco, rappresentato dalla Grundgesetz, la cosiddetta Legge fondamentale. Originariamente creata come Costituzione provvisoria per la Germania ovest nel 1949, è invece sopravvissuta anche alla riunificazione delle due Germanie nel 1990. Negli ultimi vent’anni, tuttavia, questa immagine, nel suo insieme positiva si è lentamente ma inesorabilmente modificata, soprattutto con la riunificazione e con il processo di integrazione
L
europea, che hanno posto delle serie sfide al modello tedesco. Così, quello stesso sistema, fino ad allora lodato per la sua stabilità democratica e per i suoi risultati politici, ha cominciato a essere sempre più criticato per la sua scarsa capacità di implementare riforme ritenute ormai indispensbili e inevitabili.
Questa crisi montante ha toccato il suo apice con le elezioni federali del 2005. In quell’occasione, per la prima volta dal 1949, nessuno dei due partiti pigliatutto (Volksparteien) - i democratici della Cdu/Csu (Christlich Demokratische Union/Christlich Demokratische Union Deutschlands) e i socialdemocratici della Spd (Sozialdemokratische Partei Deutschlands) - riuscì a ottenere una maggioranza assieme al suo alleato natuarle, rispettivamente il Partito liberaldemocratico (Freie Demokatische Partei, Fdp) e i Verdi. Di conseguenza Cdu/Csu e Spd dettero vita a un governo di Grande coalizione sotto la guida di An-
gela Merkel (Cdu). «A differenza del primo - e sino allora unico - esecutivo federale costituito dai due Volskparteien, al potere dal 1966 al 1969, la Grosse Koalition formatasi nel 2005 non fu mai una soluzione voluta o gradita dagli elettori e tantomeno dai partiti. quanto piuttosto l’unica opzione possibile per poter formare un governo», scrivono Silvia Bolgherini e Florian Grotz nel loro libro La Germania della Merkel. E l’esecutivo della Cancelliera, a differenza del suo predecesso-
Riforme del fisco e delle pensioni: ecco due successi di quella stagione
re storico, al momento della sua entrata in carica non ha avuto quella connotazione di governo di larghe intese con il compito di far fronte a una situazione di crisi e varare importanti riforme. È stato piuttosto accettato obtorto collo e quasi con rassegnazione, come un esecutivo che, vista la forzata coabitazione dei due partiti avversari, sarebbe stato in grado di sbrigare solo il lavoro di ordinaria amministrazione. Molti osservatori ritenevano oltretutto che questa situazio-
ne coalizionale, politicamente sgradita a tutti, sarebbe durata ben oltre il 2009 poiché la configurazione del sistema partitico tedesco non sembrava offrire alternative.
Quattro anni dopo, questi malumori e queste paure si sono rivelate infondate. In termini di policy making, la Grande coalizione non ha affatto portato a uno stallo totale. Ha invece ricevuto giudizi di tutto rispetto, soprattutto riguardo alla gestione della crisi economica-finanziaria mondiale del 2008-2009. Ma ciò che forse più conta è che il governo democristiano-socialdemocratico non ha dato luogo a una situazione di stallo né tantomeno a una situazione immutabile. Il risultato delle elezioni federali del 2009 ha infatti permesso ai democristiani, di nuovo sotto la guida di Angela Merkel, di tornare a una coalizione con i liberal - ovvero l’alleanza che ha governato la Germania per la maggior parte del tempo dal 1949. Certo, c’è da dire che du-
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Parla uno dei più accreditati studiosi della storia e della politica di Berlino
«Ma per importarlo da noi servono politici alla tedesca»
«Tradizione, uomini giusti e voglia di deporre le armi: ecco che cosa serve all’Italia per replicare quell’esempio», dice Gian Enrico Rusconi di Pierre Chiartano ngela Merkel è stata incoronata alla guida della Cdu da un voto bulgaro, lunedì scorso. La tedesco-orientale che in molti dicevano non sarebbe durata nel partito e la kanzlerin indecisa a tutto è sopravvissuta ai suoi rivali interni ed esterni. Oggi, la nuova Germania che, prima in Europa, esce dalla crisi, che difende senza timidezze con Hu Jintao e Obama gli interessi tedeschi al G20, rappresenta stile e sostanza di una classe politica che vuole cambiare per sopravvivere.
A
crazie, a Berlino viene coniugato in maniera ortodossa, spiega Rusconi. «Non voglio fare l’apologia del sistema tedesco» che attraversa un periodo difficile, di distacco dai cittadini, con conflitti sociali «ma sempre alla tedesca», inquadrati e coperti. «La Merkel ha avuto una folgorante carriera da outsider. La nomenclatura la tollerava all’inizio, perché proprio con la Grosse koalition (2005) ha funzionato e con un risultato paradossale. Le misure restrittive dello stato
«Tutto quello che manca all’Italia», ribatte con rammarico il politologo Gian Enrico Rusconi, raggiunto telefonicamente a Berlino da liberal. In Germania si affronta la rivoluzione culturale del passaggio dal vecchio modello di società renana al nuovo paradigma globale, con l’economia tutta sbilanciata all’export. Si freme per ogni sospetto takeover di aziende germaniche e ci si preoccupa degli approvvigionamenti di materie prime. In Italia siamo invece avvitati su di una crisi la cui origine non sembra essere stata bene analizzata dalla classe politica in generale. «Siamo sicuri che mandando via Berlusconi risolviamo i problemi del Paese?», si domanda Rusconi che è convinto che l’Italia sia cambiata «in peggio» e che mandare a casa il premier si sia solo l’inizio dell’impresa, per cambiare cultura e stile politico. La crisi italiana vista da Berlino e dai media tedeschi «è sconsolante», un misto di disprezzo e dispiacere per la tradizionale fascinazione la Germania ha sempre avuto per lo Stivale. Pensare a una riedizione della Grosse koalition anche per l’Italia è quanto meno improprio, secondo Rusconi. «La conoscenza della politica tedesca presso il ceto politico italiano è assolutamente carente. La Grosse koalition non è stata semplicemente un’alleanza tra democristiani e socialisti o tra destra e sinistra. Si basa su di una cultura politica fondata sul consenso e non sul conflitto come in Italia. Si inserisce in una dinamica dove c’è un Bundesrat che non è paragonabile al nostro Senato. Il cancellierato è poi diverso da qualunque presidenzialismo. Non si può estrapolare un modello in astratto, come ad esempio un patto tra laici e cattolici» chiosa il professore. Insomma, per coniugare un modello simile, a sud delle Alpi, servirebbe «una cultura politica a conflittualità limitata». In Germania la storia pesa, per cui il significato del concetto di «democrazia del consenso» che vale per tutte le demo-
«Il coraggio è un elemento fondamentale in politica. E la cancelliera ne ha da vendere» sociale messe in atto dal governo sono state politicamente pagate solo dall’Spd di Gerhard Schroeder che è uscita distrutta da quella fase. La Merkel, politico di razza, sembrava allora una socialdemocratica prestata alla Cdu. Ora fa il discorso opposto». La cancelliere ha definito una possibile alleanza di governo con i verdi come una «pia illusione». La Merkel che per anni ha spinto il partito
oltre i propri confini culturali, sembra oggi voler fare qualche passo indietro. Ha ribadito l’importanza delle radici cristiane del partito, ha esaltato i valori tradizionali della famiglia e parlato di alcuni aspetti della bioetica. La Germania non starebbe patendo per una crescente islamizzazione, ma piuttosto per una debole presenza dei valori cristiani. «Ha utilizzato argomenti anche un po’ demagogici. La Cdu ha questa ossessione dell’identità cristiana. Subito la Merkel si è adeguata con quello stile straordinario, non enfatico o aggressivo. È convincente. Il 90 per cento dei consensi alla Cdu ha lasciato stupito anche me». Forse anche perché i suoi competitor erano spariti dall’orizzonte politico. Roland Koch il governatore dell’Assia aveva gettato la spugna all’inizio dell’anno. Edmund Stoiber, ex governatore della Baviera è ora nella inoffensiva postazione europea. L’altra stella nascente della Cdu Christian Wulff è stato parcheggiato sulla più che simbolica poltrona di presidente della Repubblica. E per finire anche Jurgen Ruttgers, ex amministratore della Renania del NordWestphalia si è ritirato dalla vita pubblica a giugno.
«La Merkel è stata un’abile manovratrice, oltre al fatto – stupefacente per gli italiani – che politici in carriera si ritirino dalla scena». La stampa tedesca non lesina critiche alla kanzlerin ma il Bild parla di avvio dell’era Merkel. «Non so se è già la definitiva consacrazione di una cancelliere da affiancare alle figure storiche del passato. Certamente è la donna adatta al momento. È elastica, ma ferma. Alza la voce sull’Europa, sulla crisi greca, anche sul Papa», con lei i tedeschi hanno qualcuno che «parla chiaro», che soddisfa la parte più emotiva dell’identità tedesca. Anche la struttura federale aiuta la dinamica politica. «Essere governatore della Sassonia non è un ruolo importante. Per intenderci, non sei come Vendola. Il sistema federale svolge un grande ruolo compensativo. La Grosse koalition si può fare in qualche lander, ma non a Berlino». Ma dai tedeschi, mutatis mutandis, l’Italia cosa ha da imparare? «Ad avere una classe politica seria e competente». Insomma, politici alla tedesca cercasi.
rante la coabitazione (termine forse improprio se riferito a questo caso specifico, ma comunque calzante) né la Cdu/Csu né la Spd hanno spinto per innovazioni radicali nei settori più spinosi come il mercato del lavoro, la politica fiscale, la sanità o il welfare state in generale. Dall’altro lato, i risultati della Grosse Koalition in diverse aree non possono essere ignorati. Uno dei maggiori è stato senza dubbio il miglioramento nei conti pubblici che, fino allo scoppio della crisi finanziaria globale del 20082009, aveva fatto quasi raggiungere il pareggio di bilancio. Un risultato certo ottenuto anche grazie a un’attenta politica fiscale che ha combinato aumento delle imposte e tagli alle spese, ha permesso al paese di affrontare il picco della crisi in condizioni relativamente buone.
Tra i successi della Grande coalizione si possono citare anche la riforma della tassazione delle imprese, che ha permesso di superare un dibattito venetennale e di rafforzare la competitività delle aziende tedesche; l’innalzamento dell’età pensionabile, misura necessaria - anche se ovviamente impopolare - in un paese a rapido invecchiamento; il nuovo approccio nelle politiche della famiglia, che ha teso a conciliare lavoro e sfera privata. Risultati importanti, dunque. Che lentamente hanno ricondotto gli scettici a guardare alla scommessa della Grande coalizione sotto un’altra prospettiva. E a fugare il timore principale: ovvero che un governo di siffatta composizione si adagiasse su un minimo comune denominatore fino a portare il paese a uno stallo permanente. Per carità, non tutto è andato sempre nel migliore dei modi. Ad esempio la riforma sanitaria ha aumentato il peso dei contributi sui salari e gli aumenti delle pensioni hanno ridotto i benefici di bilancio derivanti dall’innalzamento dell’età pensionabile. Ma nell’insieme, una politica di lavoro per il bene comune del paese ha prevalso sulle spinte dei singoli protagonismi politici. Anche sul versante della politica estera e comunitaria il trend è stato simile. Dunque la Grosse Koalition non ha inaugurato un nuovo corso nella politica Ue della Germania, né ha intrapreso grandi iniziative sovranazionali. Al tempo stesso, però, il governo Merkel non è nemmeno stato un interregno, anzi. È riuscito a rilanciare il processo europeo di riforma costituzionale conclusosi con il Trattato di Lisbona, a spingere per un coraggioso piano di politica ambientale (la cosiddetta formula 20-20-20), a portare la Germania verso una rinnovata intesa con la Francia e una stabilizzazione dei suoi rapporti sia a livello europeo che transatlantico.
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diario
Caso Saviano. Dopo essere stato sfiduciato dai giornalisti Usigrai, Mauro Masi incontra il direttore di Rai3
Maroni da Fazio, è quasi fatta Garimberti e Zavoli: «Giusto dare il diritto di replica al ministro» di Francesco Lo Dico
ROMA. Aveva in animo di rivolgersi al presidente della Repubblica, al presidente della Camera e al presidente del Senato. Ma il ministro degli Interni ha trovato per ora solo l’immediata e intercessione di Mauro Masi. Nell’intento di riparare il maltolto il direttore generale ha convocato nel pomeriggio il direttore di Rai3, Paolo Ruffini, con l’obiettivo di persuaderlo dell’assoluta necessità di ospitare il titolare degli Interni già nella prossima puntata di Vieni via con me. Un’ipotesi che prende consistenza con il passare delle ore, come ventilato dallo stesso presidente della Vigilanza, Sergio Zavoli: «Mi pare che a Maroni verrà garantito il contraddittorio». E siccome due indizi fanno una prova, anche le dichiarazioni del presidente della Rai, Paolo Garimberti, fanno pensare che Maroni sarà con ogni probabilità compreso nella lista degli ospiti di Fazio. «È opportuno dare al ministro la possibilità di esprimere il suo punto di vista sui temi oggetto di contestazione. Auspico, tenuto conto della disponibilità mostrata dal direttore di RaiTre, Paolo Ruffini, di ospitare la replica all’interno di Vieni via con me», ha dichiarato Garimberti.
Nel centro del mirino le «accuse infamanti» lanciate da Roberto Saviano contro la Lega, che hanno indotto il ministro Maroni a chiedere il diritto di replica. Un’opzione che era stata respinta prima da Loris Mazzetti, capostruttura Rai, e poi dallo stesso Ruffini. Ma proprio Mazzetti, potrebbe essere il primo a pagare per la tiepida accoglienza riservata all’“autoinvito” di Maroni in studio. «Rischio il licenziamento – ha rivelato il responsabile della messa in onda di Che tempo che fa – Non riesco a fare causa alla Rai. Credo che sceglierò l’arbitrato interno, come Santoro. Ma ho detto sia a Ruffini sia a Fazio e Saviano: se devo essere un problema mi faccio da parte, il dg me lo fac-
Loris Mazzetti potrebbe pagare caro il rifiuto opposto al Viminale: «Rischio il licenziamento. Ma se devo essere un problema mi faccio da parte» cia sapere. Loro mi hanno detto di restare, ci pensino bene». Mazzetti aveva precisato che «Maroni è un ministro e ha a disposizione telegiornali e altri programmi di approfondimento politico per replicare». Risposta senza peli sulla lingua, che deve aver mandato su tutte le furie Maroni, pronto a muovere pesanti accuse a Mazzetti. «Ebbi già a che fare con lui nel gennaio del 2002 – ha spiegato il ministro a proposito del capostruttura – in piena bufera sull’articolo 18. Enzo Biagi invitò Sergio Cofferati in trasmissione
che fece un comizio contro la riforma dell’articolo 18 e contro di me. Chiesi anche allora una replica in quanto ministro del Welfare e Mazzetti mi rispose, ben tre giorni dopo, che il tema non era più di attualità. Pochi mesi dopo, a marzo, ammazzarono Marco Biagi». Nonostante i toni ammorbiditi di Matrix, Maroni ha spiegato in termini precisi quale debba essere la natura del suo intervento a Vieni via con me. «Io chiedo che sia concesso al ministro dell’Interno uno spazio per dire la sua e parlare di mafia. E non mi accontento certo di video preregistrati o fogliettini con dichiarazioni lette da altri che poi possono essere conditi e commentati come loro sanno ben fare», ha scandi-
to il ministro leghista. La questione Saviano era esplosa anche in commissione di Vigilanza, dove i componenti del centrodestra avevano invocato la tutela del diritto di replica per Maroni, per poi non decidere nulla in merito. Per Zavoli un gesto «grave che viene a ledere la funzione del Parlamento». La presenza di Maroni a Vieni via con me, dovrebbe a questo punto essere controbilanciata non da Saviano, ma dalla stessa magistratura. La fonte da cui lo scrittore campano ha attinto le notizie sui rapporti tra ’ndrangheta e Lega. «Sono stupito e allarmato dalle parole del ministro Maroni – spiega l’autore di Gomorra – Io ho parlato solo di fatti, frutto di un’inchiesta giudiziaria dell’Antimafia di Milano e Reggio Calabria sul nuovo assetto della ’ndrangheta e sulla sua presenza culturale, politica ed economica in Lombardia. Fatti che dovrebbero preoccupare il ministro dell’Interno invece di spingerlo ad accusare chi li denuncia». Brutte notizie anche per i giornalisti Rai. La prima è che il servizio pubblico non trasmetterà più la Champions League. La seconda è che Mauro Masi resta, nonostante l’epocale débâcle. Ieri più di mille giornalisti del sindacato Usigrai hanno espresso la loro sfiducia al direttore generale attraverso un referendum. A volere le dimissioni di Masi sono 1000 su 1400, praticamente un foglio di via recapitato sulla sua scrivania. «Da oggi il direttore generale della Rai è l’uomo più sfiduciato della storia del servizio pubblico – commenta Carlo Rognoni del Pd – Difficile immaginare, per una persona normale, che si possa far finta di niente dopo la valanga di voti contro».
Difficile da immaginare. Per tutti ma non per Masi. Che anzi va al contrattacco: «Non c’era certo bisogno di questo costoso evento per sapere come è schierata politicamente Usigrai – si picca il dg – e soprattutto, ci vuole ben altro e ben altri personaggi per provare solo ad intimorirmi». Forse un’involontaria allusione a ben altri personaggi che facevano ben altre intimidazioni, nelle roventi telefonate all’attenzione della procura di Trani. L’esperienza fortifica.
diario
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In vista dell’assemblea dei centristi di domani
Nella Capitale metà dei minori presenti in tutta Italia
Ciocchetti: «La politica deve ripartire dal territorio»
Allarme bimbi stranieri (e poveri) a Roma
ROMA. «Posso affermare con soddisfazione che il nostro si è dimostrato un partito in forte crescita, che ha confermato e allargato quel trend positivo che in tutti i sondaggi di questi giorni leggiamo»: lo ha detto Luciano Ciocchetti, vicepresidente della Regione Lazio, commentando con soddisfazione le intenzioni di voto dei cittadini del Lazio. «Un aspetto importante - ha aggiunto - perché va ben oltre il valore numerico, è il ruolo decisivo che ha svolto l’Udc in questi anni sia a livello Nazionale che regionale. Eravamo una forza che ha rischiato di scomparire dallo scacchiere politico italiano, ora invece siamo sempre più determinanti e in grado di spostare gli equilibri, influire sui risultati ma soprattutto garantire all’Italia la politica che merita.
ROMA. Dal 2000 al 2008, i minori stranieri che risiedono a Roma sono raddoppiati, passando da 22 a 44 mila. Un vero e proprio boom di presenze emerge dal rapporto di Save the Children presentato a Roma. La mappa de «L’isola dei tesori. Atlante dell’infanzia (a rischio) in Italia» mostra anche che su 11 milioni di minori presenti sul territorio nazionale, 930mila sono stranieri e più della metà, 445mila vivono a Roma. Sul nuovo sito ideato da Save the Children una mappa interattiva mostra i dati per città e regione della condizione dell’infanzia nell’intero paese. Attraverso più di 70 mappe l’Atlante contiene le principali informazioni sugli under 18 nel nostro Paese: dalle
Riferendosi poi alle questioni del Lazio, in particolare, Ciocchetti ha detto: «Il progetto dell’Unione di centro verso il “Partito della Nazione”a Roma nel Lazio prende sempre più corpo definendo una linea politica territoriale chiara e rivolta ai cittadini di questa regione. Le continue adesioni al nostro partito dimostrano la lungimiranza del progetto portato avanti dal nostro leader Pier Ferdinando Casini, pronto ad ascoltare le pro-
Vincono le proteste: niente Terzigno bis Emergenza rifiuti: il governo stanzia 150 milioni di Marco Palombi
ROMA. Ieri a palazzo Chigi è andata in onda l’ennesima puntata dell’immane intervento normativo sulla questione dei rifiuti a Napoli: con questo nuovo decreto, probabilmente la produzione di leggi sull’argomento è seconda solo alla produzione di immondizia nelle zone interessate. Molto rumore, un po’di ciccia e almeno due piccoli casi mediatici: la presenza di Pierluigi Bersani a palazzo Chigi e un giallo su cosa ci sia effettivamente scritto nel testo che ha coinvolto il ministro della Difesa Ignazio La Russa e il governatore Stefano Caldoro. Partiamo da quest’ultima. L’ex colonnello di An, uscito dal Consiglio dei ministri, ha prima fatto sapere per la decima volta che è disposto a inviare più soldati in Campania e poi ha spiegato a modo suo i contenuti del decreto: «Si è creata una situazione commissariale: sono stati affidati alla regione, sentiti gli enti locali, i poteri necessari per andare avanti». Commissariale? Si sono chiesti atterriti in Campania e altrove. Ma quando mai, s’è affrettato a smentire Caldoro: «Non c’è stata alcuna modifica legislativa - ha scandito - né in deroga, né sostitutiva. Semplicemente si attiva una procedura che coinvolge, oltre al governo, anche le Regioni», come peraltro «è già previsto dal Codice dell’ambiente». Oltre a questo, sono stati sbloccati 150 milioni di fondi Fas che, spiega ancora Caldoro, «erano già della regione Campania». Niente a che fare, insomma, con l’emergenza di questi giorni («che si risolve con la responsabilità delle autonomie locali»).
Prestigiacomo - che questo causerà la protesta dei presidenti delle province, ma questa è la decisione». E proprio qui sta il casino di oggi, Bersani compreso. Il decreto per l’emergenza di due anni fa indicava nel livello provinciale quello a cui andava pianificata la gestione del ciclo dei rifiuti, di conseguenza anche la costruzione e gestione dei termovalorizzatori. Non è mai stata una buona idea, ma quel che succede oggi ha a che fare con uno scontro tutto salernitano tra il presidente della provincia Edmondo Cirielli (ex An, quello della legge) e il sindaco Pd della città,Vincenzo De Luca. Il primo sta procedendo come un caterpillar: il bando di gara per l’appalto dell’impianto – situato nel comune di Salerno - è già stato presentato, nonostante De Luca abbia addirittura minacciato di cambiare la destinazione urbanistica dei terreni del termovalorizzatore ad altri progetti: «Non permetterò a nessuno di mettere le mani sulle gare d’appalto per rubare o per creare clientela politica». Il riferimento a Cirielli è volutissimo e proprio di lui è andato a parlare il segretario del Pd, ieri a palazzo Chigi, col ministro dell’Interno Roberto Maroni (stesso dicasi per una telefonata di Dario Franceschini a Gianni Letta): «La provincializzazione è una scelta sbagliata e oltretutto non dà garanzie di trasparenza – ha spiegato Bersani all’uscita - Il comune di Salerno è perfettamente in grado di realizzare il progetto, ha già identificato l’area. Così c’è il rischio di non farlo o di farlo male. A Napoli stesso discorso (presidente il cosentiniano Luigi Cesaro, ndr)». Il richiamo legalitario del democratico deve aver fatto effetto su Maroni perché il decreto se non esautora del tutto la provincia facendo salvi gli atti già compiuti (La Russa e gli ex An si sono assai battuti per questo) - porta tutta la procedura sotto l’egida di Caldoro. Cirielli, dicono a Roma, è incazzatissimo e ha annunciato querela per diffamazione a Bersani, ma non ha ancora perso: il decreto è stato approvato “salvo intesa”, perché il testo va ancora perfezionato. Fuori i secondi.
Mossa a sorpresa di Bersani che va da Maroni per parlare del caos per il termovalorizzatore di Salerno
blematiche dei cittadini e le esigenze della base del partito. L’Udc del Lazio e di Roma continua il suo lavoro che vedrà traghettare l’Udc verso il nuovo partito. Dopo i nuovi assetti regionali e in vista dell’assemblea dei centristi di domani a Milano, siamo pronti a spingere e proseguire con forza nell’operazione di cambiare la politica italiana. Pur conservando fermamente le nostre radici legate all’identità cristiana, stiamo lavorando anche nel Lazio ad una grande rivoluzione politica. In una stagione politica della politica senza territorio, abbiamo voluto scommettere, innanzi tutto per il nostro partito, parlare di rapporto tra territorio e politica».
Ma allora, a che serve questo decreto? Oltre a sbloccare i fondi e cancellare dalla mappa del possibile la seconda discarica di Terzigno (cava Vitiello) e altre due, serve a trovare un compromesso tra le anime del governo sulla questione dei termovalorizzatori: con questo nuovo testo le procedure per mettere a gara la costruzione di tre bruciatori, di cui due nelle province di Napoli e Salerno, sono affidate proprio al governatore. «Sappiamo – ha spiegato Stefania
città più «giovani» ai nomi più diffusi, dai minori soli e a rischio sfruttamento a quelli poveri, dalle città più inquinate al verde pubblico a disposizione di ogni bambino, dagli asili nido alla dispersione scolastica. Ma nel «tesoro» di oltre 10 milioni di bambini, 1.756.000 vivono in assoluta povertà. Dopo Roma le presenze numerose si contano a Napoli con quasi 671mila, Milano, 636.610,Torino con 351.566. E le provincie «più giovani» sono prevalentemente al sud dell’Italia. Del totale dei bimbi stranieri nella penisola, 6 su 10 sono di seconda generazione (cosiddetti G2), cioè nati in Italia.
I minori purtroppo però non reggono al confronto con i tantissimi anziani. Sempre a Roma quattro a uno il rapporto medio cittadino tra anziani e bambini. Ma la Città Eterna detiene anche un altro triste record: «Si segnala tra le capitali d’Europa per i più alti tassi di biossido di azoto ed è anche la città che più di tutte in Italia ha visto crescere l’estensione di suolo cementificato e costruito. Tra il 1998 e il 2006 l’incremento medio annuo è stato di 336 ettari, per un totale di 23 chilometri quadrati di suolo impermeabilizzato».
politica
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Promozioni. Dopo cinque mesi di vacatio Palazzo Chigi indica il successore di Cardia alla Commissione per le società e la Borsa
Il mago dei numeri Un berlusconiano bravo, scampato alle invidie: ecco chi è Vegas, il nuovo capo della Consob di Errico Novi
ROMA. Provate a immaginarla quell’aula di Montecitorio, lacerata dai boatos della campagna acquisti, alzarsi tutta sull’attenti per salutare il nuovo presidente della Consob. È una scena difficile da concepire sempre, a maggior ragione in questi giorni di trame sotterranee e cedimenti inconfessabili. E lo è ancor di più perché il nominato, Giuseppe Vegas, è l’uomo che di solito ferma mani inavidite dalla torta della Finanziaria. Lo fa da quindici anni, da quando cioè fu scelto nel governo di Lamberto Dini come “tecnico” e destinato al ruolo di sottosegretario, prima alle Finanze e poi al Tesoro. Stessa missione gli è capitata sei anni dopo, quando il Cavaliere s’è ripreso Palazzo Chigi, e
tecnico. E che però è sempre rimasto opportunamente al riparo dai riflettori, senza mai esibire voracità per gli incarichi che comunque ha ottenuto.
Ecco, questa forse è stata la sua arma vincente. Se non avesse tenuto un profilo basso, chissà che fine avrebbe fatto, in quel nido di vipere che è la corte del Cavaliere. Dalla sua ha il vantaggio di possedere una competenza troppo “tecnica” per essere facilmente contesa. Ma si sa che nella cerchia del premier quelli bravi finiscono facilmente nel mirino dei più scaltri. Senza scomodare il fuoco amico che con cadenza stagionale si accende per esempio proprio su Tremonti, basterebbe citare l’irrilevanza in
Da quindici anni sbroglia le matasse più intricate della Finanziaria. Ma ora gli toccherà resistere al pressing della Lega che vuole trasferire la sede dell’organismo di controllo a Milano ancora una volta nel 2008. E in tutte e due le circostanze, non appena c’è stata l’occasione di concedere a qualcuno l’upgrade a viceministro, si è pensato innanzitutto a lui.
Eppure non si può dire che il nuovo presidente della Consob (anche se formalmente il Consiglio dei ministri di ieri ha solo «avviato le procedure per la nomina») incarni il profilo classico dell’ambizioso.Tutt’altro. Se oggi in molti, anche tra le file avversarie, gli fanno complimenti e auguri, è per l’infaticabile equilibrio messo in campo in tante estenuanti sessioni di bilancio; per la fermezza con cui ha sottratto i conti pubblici dagli assalti alla dilgenza, ma anche per la capacità di trovare soluzioni alle richieste dei colleghi che invece Giulio Tremonti avrebbe volentieri ignorato. Anzi tra le sue più significative imprese va segnalata proprio la riuscita e costante azione di compromesso tra le attese di Berlusconi, di cui è stato spesso considerato l’ambasciatore al ministero dell’Economia, e il carattere complicato dello stesso Professore di Sondrio. Uno che ha ha acquisito sul campo meriti oggettivi, dunque, e di carattere non solo squisitamente
cui sono stati scaraventati consiglieri di spessore, da Marcello Pera a Giuliano Ferrara.
Tutti questi motivi spiegano perché quasi nessuno osi mettere in discussione le qualità dell’uomo. Pier Luigi Bersani può dire che sì, è «poco elegante transitare da un ruolo di governo a un’autorità indipendente» ma poi aggiunge che Vegas «è una persona con caratteristiche professionali adeguate». Non è necessario ricordare le belle parole a lui destinate da Fini, Schifani, dagli ormai ex colleghi del governo.Vale la pena casomai citare il giudizio di esponenti dell’opposizione più severa, per esempio quell’Elio Lanutti eletto al Senato con l’Italia dei valori e presidente dell’Adusbef che ironizza sugli «appena cinque mesi» impiegati per sostituire il dimissionario Lamberto Cardia (approdato alle Ferrovie), ma poi non si sottrae agli auguri e soprattutto auspica che «Vegas segni una netta discontinuità col passato e riconsegni alla Commissione quella funzione di vigilanza capace di salvaguardare innanzitutto i sudati risparmi degli italiani». E ancora il finiano Benedetto Della Vedova non manca di riconoscere che «Ve-
Risposta a Camusso
Fiat, niente tavolo, dice Sacconi
ROMA. Il Governo aprirà un tavolo sulla Fiat solo se «tutte le parti insieme lo chiederanno». Lo ha detto il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, rispondendo alla leader della Cgil, Susanna Camusso, che ha chiesto un tavolo sul Lingotto. «C’è un dialogo in corso tra le parti ha detto Sacconi a margine del convegno di Fondimpresa La ripersa parte dalla formazione - e il Governo può intervenire se le parti insieme lo chiedono. Se le parti tutte lo chiedono, allora il Governo può intervenire». Commentando poi la decisione della Fiom di attuare uno sciopero entro gennaio Sacconi ha detto: «Non mi sembra una novità». E riferendosi invece alle parole dell’amministratore delegato di Fiat, ha affermato di non voler prendere sberle dall’Italia, Sacconi ha detto: «Se parla del Governo, lui lo sa e lo ha riconosciuto più volte che il Governo ha accompagnato l’intesa delle parti su Pomigliano, come sta facendo sulla detassazione del salario e la cassa integrazione in deroga per i lavori che restano in attesa dell’investimento che, fortunatamente è stato avviato».
gas è un galantuomo che farà benissimo il suo lavoro». Casomai ci si può chiedere, sostiene il vicecapogruppo di Fli, perché l’esecutivo non riesca a «decidere» nemmeno «quando la scelta non richiede molta fantasia ma solo la voglia di occuparsi dei problemi».
Chi esulta in modo particolarmente fragoroso è il leghista Roberto Calderoli: «Habemus papam», dice. E ricorda di aver sollecitato i colleghi del governo, e Berlusconi, in tutti gli ultimi Consigli perché si arrivasse all’investitura dell’ex viceministro. Però qualcuno potrebbe dire che le spinte del Carroccio sono sospette: da qualche settimana il partito del Senatùr ha intrapreso una delle sue spesso perdenti campagne di bandiera,
nio Catricalà, ha spiegato che portare nel capoluogo lombardo la Consob e l’Antitrust costerebbe 70 milioni, troppi visti i tagli della Finanziaria.
Non a caso, con le congratulazioni, il presidente della Provincia di Roma Nicola Zingaretti si è anche raccomandato con Vegas perché non si lasci tentare dalle sirene leghiste. Pesa di sicuro il parere di Catricalà. Che oltretutto rispetto alla partita della Consob non è certo rimasto a guardare. Il suo nome è circolato per mesi come uno dei papabili per il vertice della Commissione. Scelta caldeggiata da Gianni Letta e in tempi più recenti anche da Gianfranco Fini, ben disposto anche verso l’avvicendamento che all’Antitrust avrebbe visto la nomina di Gam-
Oltre che per i lumbàrd, è una vittoria per Tremonti, che aveva sostenuto il viceministro contro il parere di Gianni Letta, favorevole a Catricalà. Il quale passa dall’Antitrust all’Authority per l’energia pretendendo che la Consob venga portata a Milano: un po’come i ministeri. Non si può escludere che sul nuovo presidente della Commissione nazionale per le società e la borsa i leghisti provino ora a esercitare il loro forcing. Ma difficilmente la spunterebbero. Proprio ieri è arrivato un parere contrario anche a un’altra significativa delocalizzazione chiesta dai lumbàrd, quella dell’Antitrust. Nel suo intervento alla commissione Affari costituzionali di Montecitorio, il presidente dell’Autorità garante della concorrenza, Anto-
piero Massolo, direttore generale della Fanesina. A sostenere Vegas , con i leghisti, ha pensato Giulio Tremonti. Nella lunga contesa con Letta ha prevalso dunque il ministro dell’Economia. Ma il sottosegretario ottiene nello stesso giorno che proprio Catricalà passi dall’Autorità della concorrenza a quella per l’energia. Catricalà assumerà il nuovo incarico il 15 dicembre insieme ad altri quattro componenti (Bortone, Biancardi,Termini e Carbone), anche loro nominati dal Consiglio dei ministri di ieri. All’antitrust per ora la reg-
politica
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L’organismo internazionale rivede al ribasso le nostre stime di crescita
Tagliare pensioni e sanità: la ricetta Ocse per l’Italia Intanto Trichet pensa all’exit strategy: «La situazione resta difficile, ma dobbiamo far ripartire l’economia europea» di Francesco Pacifico
genza va al membro più anziano, Antonio Pilati.
Così in fondo la ristrutturazione dei poteri nel governo si conclude sì con un successo di Tremonti ma senza lasciare sul campo alcuna vittima. Certo resta il fatto che per diverse settimane Berlusconi ha tentato di frenare il via libera per Vegas alla Consob, visto il diverso orientamento del sottosegretario alla Presidenza. E che alla fine Via XX Settembre è riuscita a difendere una sorta di primato nella scelta per un settore così vicino alle proprie competenze come la vigilanza sui mercati. Ma al di là delle divergenze tra le figure forti dell’esecutivo, resta la capacità di Vegas nel sopravvivere all’inevitabile caccia all’uomo che nel mondo berlusconiano è sempre aperta contro le persone di qualità. «Poiché sono stato chiamato ad altro incarico», ha detto Vegas in aula subito dopo averne ricevuto l’applauso, «ringrazio il governo e credo non sia opportuno continuare qui. E perdonatemi se vi ho infastidito tutti, in questi anni, per questo o quell’emendamento». E poi: «Come dice il poeta: partire è un po’ morire». Bella furbata, detta da un sopravvissuto.
In alto, Giuseppe Vegas, l’economista che ieri è stato nominato dal governo presidente della Consob, vale a dire l’autorità che vigila sull’attività della Borsa. A destra, il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet. Nella pagina a fianco, il ministro del Welfare Maurizio Sacconi
ROMA. Jean Claude Trichet ha idee diametralmente opposte a quelle di Ben Bernanke. Se in America la Fed mantiene vicino allo zero il costo del denaro e ha iniziato a comprare Tbond per 600 miliardi di dollari, in Europa la Bce accelera l’exit strategy dalle politiche anticrisi. Anche alzando i tassi d’interesse. Il numero uno dell’Eurotower ha spiegato di «non essere costretto a ritirare le misure non convenzionali prima di considerare un aumento dei tassi d’interesse. Possiamo fare una cosa e l’altra, o anche entrambe». Quindi un primo intervento potrebbe arrivare anche all’inizio del 2012. Perché Trichet teme che «le misure prese durante la crisi possano trasformarsi in dipendenza. Quindi, dobbiamo determinare in modo indipendente misure standard e non standard». Lo spettro che aleggia a Francoforte è quello dell’inflazione. E in un contesto di crescita bassa potrebbe congelare la ripresa, facilitare le speculazioni fino a riportare le economie più mature ai confini della stagflazione. Segnali in questa direzione non mancano. Nel suo rapporto d’autunno l’Ocse ha calcolato che il Pil mondiale dovrebbe crescere nel 2011 del 4,2 per cento rispetto al 4,6 con il quale si dovrebbe chiudere l’anno in corso. Alla base di questo rallentamento gli alti deficit scaturiti dopo l’utilizzo massiccio di risorse pubbliche per arginare i debiti bancari, con il risultato che, tranne negli Stati Uniti, «il livello dei tassi d’interesse, eccezionalmente basso, non resisterà a lungo, si dovranno gradualmente riportare la politica monetaria a una situazione di normalità». In quest’ottica deve temere anche l’Italia. Un Paese che secondo il vicesegretario dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, deve guardare con più apprensione al futuro che al presente, visto che «non è a rischio per il debito pubblico. Resta molto elevato, ma si è mosso poco rispetto all’inizio della crisi. E ciò non significa che la situazione possa restare com’è». Ieri l’organizzazione dei Paesi più industrializzati ha ribassato le stime di crescita per il 2010 e il 2011. Nell’Economic outlook di autunno è stato messo nero su bianco che a fine anno il Pil italiano crescerà dell’1 per cento contro l’1,1 precedentemente previsto, mentre tra dodici mesi si incasserà un +1,3% (contro l’1,5 del rapporto di primavera). Parziale inversione di tendenza nel 2012, con il prodotto interno lordo a +1,6 per cento. Nello stesso anno, però, il debito salirà fino al 120 per cento del Pil. Numeri insostenibili per un Paese che, come ha ricordato Padoan, è tornata ai livelli del 2008 e «ha un doppio problema strutturale: debito elevato e basso potenziale di crescita, che vanno affrontati con riforme strutturali». Soltanto rimodulando la spesa intervenendo sui capitoli più onerosi (pensioni e sanità) o rafforzando la
competitività attraverso le liberalizzazioni, l’Italia può crescere in maniera decisa e sistemare i suoi conti. L’Ocse ha calcolato che Roma, per ridurre il debito al 60 per centro del Pil entro il 2025, dovrebbe aumentare l’avanzo primario in misura pari a oltre il 6 per cento del Pil nell’arco dei prossimi 15 anni. Da Parigi ci suggeriscono di ridurre l’incidenza dei salari del settore statale sul Pil, portandola alla media Ocse. Il risultato sarebbe recuperare l’1,3 per cento del Pil, ridurre i trasferimenti sociali del 5,1, migliorare l’efficienza dell’istruzione dello 0,6 e della sanità dell’1,1.
Ma non è soltanto il pubblico a fare acqua. La banca mondiale e la società di consulenza Pricewaterhouse Coopers hanno calcolato che un’impresa in Italia ci impiega 285 ore l’anno per adempiere ai propri doveri fiscali, sessanta in più della media europea.
Lo spettro che aleggia a Francoforte è quello dell’inflazione che potrebbe congelare la ripresa e rendere più facili le speculazioni anche nei Paesi che hanno migliori difese E senza contare le notti, alle nostre aziende necessitano quasi ventiquattro giorni per essere in regola con tutti i pagamenti all’erario e agli istituti di previdenza. Ma la burocrazia, se si somma all’assenza di liquidità, rischia di essere letale per la ripartenza dei settori più prociclici. È il caso delle costruzioni. Ieri il Cipe ha reso noto di aver deliberato lo stanziamento di 21 miliardi di euro per sbloccare una serie di opere strategiche (il Terzo Valico dei Giovi, la Torino-Lione e il Brennero) previste anche nella vecchia legge Obiettivo del 2001. Cantieri che si sarebbero potuti aprire prima se centro e periferia dello Stato avessero trovato un accordo per riprogrammare i Fas, con altissimi benefici in termini occupazionali. Non a caso l’Ance ha segnalato che, a fronte di un calo degli investimenti pari a 29 miliardi, il settore ha visto calare l’occupazione di 290mila unità.
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panorama
ragioni&torti di Giancristiano Desiderio
Ma l’immondizia è un’arte (dice Toscani) l fotografo Oliviero Toscani ci ha abituati alle provocazioni delle sue immagini. E’ un fotografo che ha non solo il senso e il gusto della bella immagine, ma anche quello dell’immagine che fa scandalo e non passa inosservata. In una sola parola: è un pubblicitario. La pubblicità è la cosa più antica di questo mondo, solo che gli antichi la chiamavano in un altro modo: retorica. Con la retorica si possono sostenere le tesi più assurde cioè false. Anche quella insensata che ieri ha sostenuto Oliviero Toscani sul Corriere del Mezzogiorno: l’immondizia è arte e Napoli è la capitale dell’arte contemporanea perché vive e muore di monnezza.
I
Sostiene Toscani: «La creatività è genesi, nascita, forza divina, energia, fantasia, sofferenza, impegno, fede, generosità. La creatività deve essere visionaria, sovversiva, disturbante. La creatività è un surplus di energia, intelligenza e sensibilità, è quella possibilità che sta fra il cuore e il cervello». Fin qui solo luoghi comuni a uso e consumo di tutti. Poi ecco il salto di qualità: «La creatività è Napoli. Non bisogna andare a Bilbao, o al Louvre di Parigi, o al Moma di New York, o al Museo d’arte moderna di Chicago, o di Tokyo per capire l’arte, Napoli in questo momento rappresenta l’espressione più alta e avanzata delle possibilità espressive dell’arte non solo moderna». E perché? «Solamente Napoli, in questo momento, con la sua immondizia riesce a tenere viva la forza dell’arte, in questo caso veramente moderna, concreta e puzzolente. Perché l’arte non è altro che la raffigurazione di vicende umane estreme». Noi credevamo che Napoli fosse solo una grande città priva di governo e buona amministrazione, mentre è addirittura - ma la prosa di Toscani non è facile da capire - la forza dell’arte. Ma siccome al peggio non c’è limite, Toscani aggiunge: «Attraverso l’arte capiamo che c’è una bellezza anche in ciò che non vorremmo mai vedere, una bellezza che ci attira in modo quasi morboso fatta da espressioni estreme: crocifissioni, battaglie, stragi, morti, decapitazioni, sessualità deviata, mostruosità, sangue, monnezze, tutto questo sono stati nei secoli i soggetti principali della pittura classica. Quella grande arte che con le sue bellissime immagini ha descritto la storia e rimane come la memoria storica dell’umanità del passato. Nessuna opera o installazione d’arte moderna ha superato in forza espressiva ciò che abbiamo visto in diretta l’11 settembre del 2001». Capito? Per Toscani l’attentato terroristico delle Torri Gemelle è “forza espressiva” che ha superato tutte le opere dell’arte moderna. L’articolo continua con altre sconcezze che con l’arte non hanno nulla a che fare, ma noi ci fermiamo qui. Anche perché abbiamo l’impressione che il pensiero del fotografo sia solo un modo per fare pubblicità a se stesso. La vera arte di Oliviero Toscani, che per la verità non è granché neanche come fotografo, è proprio questa: sapere come fare per farsi notare. A Napoli si chiama arte di arrangiarsi.
Vendola fa l’americano (ma dimentica la Puglia) In Regione il governatore è messo in difficoltà dal Pd di Lucio Lussi
ROMA. «Ero emozionato davanti a Schwarzenegger. Sembravamo il remake del film I gemelli». È di buon umore Vendola quando parla del suo viaggio in America: del resto, si tratta della sua prima missione mondiale da leader politico e Nichi ha tutto il diritto di bearsi del successo raggiunto. Peccato che sorvolando l’Oceano, Vendola abbia dimenticato l’orto di casa, quel Consiglio regionale che dovrebbe essere la sua culla e invece si sta rivelando una pericolosa trappola. Quando il gatto non c’è i topi ballano ed è successo che in assenza del governatore rosso, la sua maggioranza in Consiglio regionale sia stata impallinata dai franchi tiratori nel corso della votazione sulla proposta del centrodestra di ritirare la riforma dei consultori.
Un vespaio di polemiche
tro tutto pugliese tra l’ala bersaniana e il sindaco di Bari, Emiliano, i cui uomini la settimana scorso hanno abbandonato l’aula durante una votazione. Sono ormai note le aspirazioni dell’ex magistrato a diventare il nuovo Presidente di Regione in caso di un’ascesa governativa di Vendola, ma nel Pd non vogliono sentirne parlare. Bersani è il candidato premier e Vendola il governatore. Per questo motivo Emiliano è visto dall’establishment democratico come una spina nel fianco ed è tenuto a freno, soprattutto dopo la sua rumorosa partecipazione alla conferenza dei rottamatori a Firenze. La maretta in casa democratica, quindi, rende inquieto Vendola, preoccupato adesso di perdere in un sol colpo capra e cavoli. Anche se la situazione non è delle più rosee, a consolare il governatore rosso, e a turbare i sogni dei democratici, sono intervenuti i sondaggi degli ultimi giorni che lanciano Nichi come l’unico leader di centrosinistra capace di battere il centrodestra e Berlusconi. Un altro sondaggio, commissionato da Demos, rafforza la posizione del governatore pugliese, primo leader politico per gradimento con il 48%, e di Sel, stabile ormai intorno al 6,6%.
I democratici cercano rivincite locali nei confronti del leader, che li scavalca di continuo sul piano nazionale
era sorto sin da subito intorno alla riforma, che prevedeva un avvicendamento “forzato” all’interno dei consultori: i medici obiettori di coscienza avrebbero dovuto far posto ai colleghi abortisti. Una gestione troppo spregiudicata delle tematiche etiche ha provocato, inoltre, l’inasprimento dell’opposizione dell’Udc. La riforma dei consultori e il rinvio sine die dell’approvazione del quoziente famigliare hanno spinto i consiglieri centristi a togliere l’aggettivo “costruttiva”dalla loro opposizione. Al momento del voto, infatti, il partito di Casini ha votato insieme al Pdl la mozione che ha affossato la riforma del sistema dei consultori. La maggioranza di Vendola è andata sotto 28 a 26 ed è scoppiata la bagarre. Due consiglieri socialisti sono usciti dall’aula, mentre assessori e consiglieri rintanati nelle loro stanze venivano pregati di correre al capezzale del governatore. Nonostante le contromosse, la debacle della maggioranza è stata imbarazzante durante il voto a scrutinio segreto sull’ordine del giorno, 19 a 33. «È stato uno sgambetto del Pd», si vocifera e del resto non si potrebbe spiegare diversamente il travaso di cinque voti dalla maggioranza all’opposizione.
Già da tempo una frangia del Pd pugliese è accusata di tramare contro Vendola, al fine di detronizzarlo a Bari e comprometterne l’ascesa alla leadership del centrosinistra. E la già risicata maggioranza di Nichi è resa ancora più traballante dallo scon-
Alla luce di questi dati sembra andata a buon fine la strategia vendoliana di risicare voti e consenso al Pd. E un’ulteriore conferma è la vittoria dell’avvocato Pisapia alle primarie di Milano. L’azione politica di Vendola ha dato vita ad una specie di egemonia politico-culturale nei confronti del Pd, ancora una volta dilaniato al suo interno tra i sostenitori di Nichita e coloro che preferiscono un accordo con il centro moderato. Prova ne sia il dibattito in corso a Milano, dove i fioroniani sono attratti dalle sirene di Albertini, probabile candidato alla guida del Terzo Polo con l’appoggio dei democratici contrari al vendoliano Pisapia. L’evoluzione della crisi del governo, il posizionamento del Pd e le mosse di Vendola potrebbero rendere ricco di sorprese il panorama politico dei prossimi mesi. Ora che anche Ferrero ha invitato il governatore pugliese a fare liste unitarie, resuscitando i fantasmi della caduta del governo Prodi, il cammino di Vendola è ricco di insidie.
panorama
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La polemica. Lettera di Benedetto XVI alla comunità degli operatori sanitari ROMA. La Chiesa cattolica torna ad affrontare le grande questioni bioetiche. Lo fa il Papa con un intervento davanti ai partecipanti alla venticinquesima Conferenza internazionale degli operatori sanitari italiani definendo aborto, procreazione assistita e eutanasia come “ferite”. E lo fa il giornale dei vescovi italiani L’Avvenire polemizzando con Saviano. Per Benedetto XVI quelle sopra citate sono scelte che vanno contro la “giustizia sanitaria”. Quest’ultima deve essere “una priorità nell’agenda dei governi e delle istituzioni internazionali”. «Purtroppo – sono ancora parole del Pontefice – accanto ai risultati positivi e incoraggianti, vi sono opinioni e linee di pensiero che feriscono: mi riferisco alle questioni connesse alla salute riproduttiva, con il ricorso a tecniche artificiali di procreazione comportanti la distruzione di embrioni, o con l’eutanasia legalizzata». Poi un’affermazione solenne di Papa Ratzinger, che caratterizza sin dall’inizio lo spirito del suo pontificato: «L’amore per la giustizia, la tutela della vita dal suo concepimento al termine naturale, il rispetto della dignità di ogni essere umano, vanno sostenuti e testimoniati, anche controcorrente: i valori etici fondamentali sono patrimonio comune della moralità universale e base della convivenza democratica». Nella parola controcorrente e nella difesa di una moralità universale contro i rischi di relativismo etico sta appunto una delle cifre più importanti del messaggio di Bendetto XVI. Il Papa ha poi criticato «il consumismo farmacologico» a cui fa drammatico riscontro la carenza di cure sanitarie per milioni di persone: «Nella nostra epoca – sostiene – si assiste da una parte ad un’attenzione alla salute che rischia di trasformarsi in vero e proprio consumismo medico, chirurgico, farmacologico, diventando quasi un culto per il corpo; e dall’altra
Il Papa: «Torni l’etica in medicina» Appello per «sostenere sempre la vita e frenare il consumismo farmacologico» di Gabriella Mecucci
troppo, ancora oggi permane il problema di molte popolazioni del mondo che non hanno accesso alle risorse necessarie per soddisfare i bisogni fondamentali, in modo particolare per quanto riguarda la salute degli uomini».
Da qui la sollecitazione «ad operare con maggiore impegno a tutti i livelli affinchè il diritto alla salute sia reso effettivo,favorendo l’accesso al-
E “Avvenire” polemizza con Saviano: «Una pagina di quella dittatura dei sentimenti che vuole legittimare ogni tragitto individuale» parte, alla difficoltà di milioni di persone ad accedere a condizioni di sussistenza minimali e a farmaci indispensabili per curarsi». Questa sollecitudine verso i poveri e gli ultimi si è fatta sempre più frequente nei più recenti interventi di Papa Ratzinger che ieri ha aggiunto: «Pur-
le cure sanitarie primarie». Se il Papa anche ieri ha riproposto due cardini fondamentali del suo ponficato quali la giustizia sociale, il riequilibrio fra Paesi poveri e Paesi ricchi, nonchè la difesa della vita in tutti i suoi momenti, quasi contemporaneamente è sceso in campo anche L’Avve-
nire. Il quotidiano dei vescovi - in un commento di seconda pagina - critica pacatamente ma fermamente l’intervento di Roberto Saviano. Anche in questo caso la posizione è chiaramente “controcorrente”,vista l’audience oceanica della sua trasmissione. Lo scrittore viene paragonato ad “un vecchio comiziante” e gli si rimprovera non solo il tono, ma anche alcune affermazioni favorevoli all’eutanasia: «Quella di Piergiorgio Welby non era più vita». Scrive Domenico Delle Foglie: «Lunedì sera a “Vieni via con me”è andata in scena una pagina sconcertante di quella “dittatura dei sentimenti” che sembra ormai voler legittimare ogni tragitto individuale e anche ogni scelta estrema, fuori da un contesto comunitario, aldilà del sentire comune, persino oltre i confini della razionalità umana».
Secondo L’Avvenire Saviano, con la sua performan-
ce, «si è reso colpevole del più grave degli addebiti che si possono avanzare nei confronti di un cultore della laicità: ha eliminato con un tratto di penna la cultura del dubbio. Secoli di severa laicità, di continuo sbattuta in faccia ai credenti, bruciati in pochi minuti». Le certezze senza incrinature che ha mostrato lo scrittore di Gomorra, affrontando un tema delicatissimo, che procura sofferenze e profondi interrogativi a tante persone, qual è la fine della vita, ha, secondo l’editorialista, scoperto il «vero volto del moderno giacobino che oscura la ragione».
Saviano è arrivato infatti a suggerire ad altri uomini e donne la via che porta a darsi la morte e a dare la morte. Ma l’eutanasia in Italia non sta facendo molta strada. Dopo la drammatica vicenda di Eluana e dopo Welby, solo una donna è andata in Olanda per darsi la morte. È vero che è costoso e molto complicato trasferirsi all’estero se si è malati terminali, ma è altrettanto certo che in Italia il tema dell’eutanasia non è nè sentito nè invocato. Saviano per la verità ha affermato, nel corso di “Vieni via con me”, che in molti ospedali italiani con una manciata di euro è possibile farsi dare la morte. Lo rimbecca duramente L’Avvenire: «Lui che è un professionista della legalità (e non è il solo) perchè non fa denuncia alla magistratura? Forse condivide questa scorciatoia e tacita la coscienza? Come può chiedere ai taglieggiati di ribellarsi alle mafie se spinge lui a calpestare la legge dello Stato che non consente eutanasia nè suicidio assistito e persegue chi li favorisce con il reato di omicidio del consenziente? Ci sono leggi che secondo il maestro Saviano, e con lui Fazio, il campione dei sornioni, si possono violare senza pagare dazio? Che differenza c’è fra loro e quanti cercano leggi ad personam, o giustificano chi non si sottomette alle leggi?». L’argomentare del commentatore di Avvenire è senza dubbio incalzante e, seppur con qualche esagerazione polemica, è difficile non riconoscere le sue ragioni. C’è ormai in giro una cultura, o forse una subcultura della morte che nemmeno tanti laici possono sottoscrivere. Nulla di più crudele che brandire tetragone certezze nel travagliato, doloroso tramonto di una vita.
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i fa decisamente più seria, con la nomina di Umberto Veronesi a capo dell’Agenzia Nucleare Italiana, la prospettiva che nell’arco dei prossimi dieci anni il Paese si riconverta alla ricerca e all’utilizzo dell’energia nucleare, ma la cautela e l’uso del condizionale, su questo tema, sono obbligatori. Perché in Italia sono ventitré anni che l’argomento è tabù. Da quando, l’8 novembre 1987, tre referendum che chiedevano agli elettori, testualmente, se volevano abrogare la legge che attribuiva al Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) il potere di determinare le aree dove insediare le centrali elettronucleari, nel caso non lo facessero le Regioni; volevano abrogare la legge che autorizzava l’Enel a versare contributi a Regioni e Comuni in proporzione all’energia prodotta sul loro territorio con centrali nucleari o a carbone; volevano abrogare la legge che consentiva all’Enel di “promuovere la costruzione” di impianti elettronucleari “con società o enti stranieri” o anche “assumere partecipazioni che abbiano come oggetto la realizzazione e l’esercizio di impianti elettronucleari” all’estero, ottennero la maggioranza dei consensi degli italiani e decretarono, di fatto, la conseguente chiusura delle centrali italiane e la fine dell’uso del nucleare come fonte energetica. Una decisione che ha portato il Paese dall’essere, nel 1966, il terzo produttore al mondo di energia elettrica di ori-
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La road map per il 2030 - energia prodotta al 50% da combustibili, al 25
La lunga marcia nucleare Dopo 23 anni di inattività, si torna a parlare di energia atomica: e la soluzione, questa volta, convince di Valentina Meliadò
gine nucleare, al maggior acquirente europeo della stessa, per cui ancora oggi il 20% del fabbisogno energetico nazionale viene soddisfatto importando energia elettrica dalle centrali nucleari estere. Il passaggio da un notevole consenso al rifiuto del nucleare fu in buona parte figlio dell’incidente di Chernobyl, accaduto appena un anno e mezzo prima della tornata referendaria; una tragedia le cui conseguenze non sono mai state appurate fino in fondo (ed era probabilmente impossibile farlo), e le cui responsabilità ricadono interamente sulla noncuranza delle autorità sovietiche nel correre rischi e determinare conseguenze che non avrebbero in ogni caso minato il loro potere. Ma lo spettro di un’altra Chernobyl non è una spiegazione sufficiente. Vi fu, probabilmente, un insieme di fattori, tra i quali la deterrenza delle armi nucleari come caposaldo della pace in tempo di guerra fredda, e quindi la visione dell’energia nucleare soltanto sotto il profilo del potenziale bellico, ma anche la non trascura-
bile espansione del movimento ambientalista, di un ecologismo del rifiuto totale, cui non mancava una forte carica ideologica. Ed è stato proprio questo tipo di sensibilità a cavalcare le comprensibili paure della collettività e a rendere qualsiasi riferimento al nucleare una sorta di tabù.
Con la conseguenza di un silenzio ventennale. Nonostante questo, ora che sul ritorno all’atomo si sta facendo qualcosa di concreto, è opinione piuttosto diffusa che la vittoria dei referendum dell’87 fu un errore. Da un lato perché essere gli unici, in Europa, a rinunciare all’energia nucleare poteva avere un valore simbolico, ma nessuna utilità dal punto di vista della sicurezza, con le cinquanta e più centrali francesi disseminate a pochi chilometri di distanza dal confine nazionale; e dall’altro perché questa decisione all’Italia è costata moltissimo non solo in termini economici ma anche sotto il profilo tecnologico e scientifico, con il ritardo cumulato nei molteplici usi, anche medici, derivanti dalla ricerca collegata all’energia nucleare. Questo, tuttavia, non significa automaticamente che la maggioranza degli italiani, oggi, sia convinta di voler tornare all’atomo, o che abbia smesso di temere i pericoli connessi al suo uso, ma almeno, dopo tanto tempo, si è riaperto un confronto e il dibattito si alimenta ogni giorno di più. Con il contributo di alcuni “pentiti” eccellenti dell’87, come Chicco Testa, attualmente a capo del Forum Nucleare Italiano, o il premio Nobel Carlo Rub-
bia, che già nel 1993 ammorbidì la propria posizione, impegnandosi in prima persona nella realizzazione di centrali a costi minori e con meno scorie radioattive. La ricerca di Rubbia, infatti, da allora si concentra sulla sostituzione del torio all’uranio quale combustibile dei reattori nucleari; tale sostituzione porterebbe vantaggi enormi sotto tutti i profili, se si considera che un reattore di terza generazione, per produrre un gigawatt (GW) elettrico, attualmente ha bisogno di 200 tonnellate di uranio naturale all’anno, mentre il torio è in grado di ottenere lo stesso risultato con una sola tonnellata, senza contare che il torio è dieci volte più abbondante dell’uranio sul pianeta e che le sue scorie hanno una “vita” molto più breve (circa trent’anni), il che significa che il loro deposito e il controllo cui dovrebbero essere sottoposte sarebbe dell’ordine di qualche centinaio di anni, non millenni come per l’uranio. L’idea è geniale e la speranza di una sua rapida realizzazione è forse tra gli elementi preponderanti per una riconsiderazione dell’opportunità che l’Italia non rimanga fuori dai fattori che ne possono decretare il successo: ricerca e sviluppo.
Ma rimangono gli oppositori tout court, come ad esempio Greenpeace, colpevole, secondo l’Associazione Italiana Nucleare, di «propagandare falsità e inesattezze riguardo i costi e i benefici che l’Italia trarrebbe dal ripristino di un programma nucleare». E il problema, alla fine, è proprio questo. Disinformare, su questo tema, è facile esattamente
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5 da rinnovabili e al 25 dal nucleare - persuade scienziati e imprenditori
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poco si può fare, ormai, per le scorie che giacciono sul fondo del mare o in altre collocazioni inidonee, ma la ricerca di una soluzione definitiva non si ferma da sessant’anni, e al momento l’idea scientificamente più accreditata è quella del deposito geologico profondo, che consiste nel porre i contenitori delle scorie in tunnel scavati a centinaia di metri di profondità nel sottosuolo, circondati da granito o argilla geologica.
Il Nobel Rubbia, dopo un’iniziale avversione per l’atomica, ha iniziato gli studi sulla sostituzione del torio all’uranio quale combustibile dei reattori nucleari. Tale sostituzione porterebbe vantaggi enormi
quanto è difficile informare correttamente, perché l’argomento, in sé, è estremamente complesso, soprattutto la questione della sistemazione delle scorie radioattive, che è il punto fondamentale su cui l’opinione pubblica si divide e si spaventa. Non si può dare tor-
Nel 1996 l’Italia era il terzo Paese produttore di energia di origine nucleare al mondo. Dopo i referendum abrogativi del 1987 abbiamo iniziato a comprarla, arrivando a essere il più imponente acquirente europeo to a chi si oppone sostenendo che le bollette dei consumatori rischierebbero di aumentare, piuttosto che diminuire, perché è chiaro che la costruzione di nuove centrali e lo smaltimento delle
scorie non potrebbero essere interamente sostenuti dagli investitori, ma è altrettanto vero che le fonti rinnovabili (eolica, solare, geotermica, biomasse) non è e non sarà ancora per molto tempo in grado di sostituire la produzione energetica derivante dai combustibili fossili (petrolio, carbone, gas naturali) e dal nucleare. Per questo, la meta che l’Italia si è prefissata di raggiungere entro il 2030, un mix di energia prodotta per il 50% da combustibili fossili, per un 25 da fonti rinnovabili e per il restante 25 dal nucleare, appare realistica e intelligente, perché renderebbe il Paese autosufficiente e non priverebbe l’opzione ecologicamente preferibile degli incentivi necessari per crescere (oggi l’energia prodotta da fonti rinnovabili si attesta sul 20%). Se si accetta, dunque, l’idea che l’Italia dovrà comunque pagare un prezzo per tornare al nucleare - determinato soprattutto da ventitré anni di inattività - rimane il problema di valutarne l’effettiva convenienza a lungo termine e il reale pericolo che la presenza dei reattori e delle loro scorie comporta. Per quanto riguarda i benefici, è difficile immaginare che l’esistenza di oltre quattrocento centrali nucleari nel mondo, di cui poco meno della metà in Europa, più altre sedici attualmente in costruzione, sia dovuta esclusivamente a ragioni belliche.
Il risparmio energetico, i progressi garantiti dalla ricerca e la produzione di un’energia meno inquinante sono dati di fatto, ma resta la questione delle scorie. Quanta ne produce una centrale,
che cosa ne fa? Per rispondere a questa domanda è necessario spogliare il dibattito di qualsiasi sovrastruttura di ordine personale o ideologica, e guardare al mero funzionamento di una centrale qualsiasi in una qualsiasi parte del mondo. Che è più o meno il seguente: dopo un anno di utilizzo un terzo del pieno di combustibile (uranio arricchito) esaurisce le proprie capacità di fissione (processo di divisione del nucleo di uranio o plutonio tramite bombardamento di neutroni, che libera energia), e deve essere sostituito.
Per questo viene estratto e posto in vasche di acqua calda per circa dieci anni, il tempo necessario per perdere parte della radioattività, ed essere sottoposta al riprocessamento, che consiste nel dividere ciò che è riciclabile da ciò che non lo è. Sorprendentemente, ben il 95-96% del materiale è riutilizzabile, quindi le scorie vere e proprie consistono in un 4-5%, che ha comunque un potenziale distruttivo spaventoso e che deve essere messo in sicurezza. Per fare questo, le scorie, una volta controllate e lavorate, vengono poste in canestri d’acciaio, sigillate e stoccate in pozzi di calcestruzzo, in attesa di una collocazione finale. Tale collocazione, per molti anni, è stata il mare aperto, ma gli esperti hanno stimato che nell’arco di quattro o cinque secoli la temperatura dei contenitori d’acciaio comincerà a salire, e nell’arco di quattro o cinquemila anni i canestri si sfalderanno del tutto, lasciando fuoriuscire la radioattività del loro contenuto. Naturalmente ben
Gli scienziati ritengono che in questo modo ci vorrebbero molte centinaia di migliaia di anni prima che la radioattività raggiunga la superficie, e a quel punto non sarebbe più nociva della radioattività presene in natura. Può essere una soluzione definitiva? I suoi costi sono sostenibili? La sicurezza è garantita? Ancora non ci sono simili certezze, ma è un dato di fatto che la società svedese equivalente dell’italiana Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari) è riuscita a convincere quasi individualmente gli abitanti e le istituzioni locali di una piccola città, già sede di un reattore nucleare, a non temere la costruzione di un deposito sotterraneo per lo stoccaggio finale di 6mila contenitori di scorie radioattive. Ma qui entra in gioco il problema della fiducia nelle imprese e nelle istituzioni, che in Svezia è altissima e in Italia ai minimi termini. Quale città, quale provincia e quale regione, anche la più favorevole all’opzione nucleare, non temerebbe di essere sede di reattori o depositi di scorie? Quanti italiani avrebbero piena fiducia nell’azione degli investitori e di coloro che dovrebbero controllarne l’operato? L’idea che in Italia nulla venga realizzato secondo i criteri può essere forse eccessiva, ma serpeggia oggi più che mai. È con questo che i governi che si succederanno da qui al 2020, se vorranno portare avanti l’attività dell’attuale esecutivo in materia, dovranno confrontarsi seriamente: la costruzione del consenso, non facilmente modificato da una mozione referendaria e che sappia imporsi su un rifiuto del nucleare che è in parte incancrenito da posizioni pregiudiziali e ideologiche. Dovranno dimostrare una serietà assoluta. Sarà difficile, ma è arrivata l’ora di fare definitivamente i conti con la realtà di un problema che riguarda la sopravvivenza del pianeta e delle generazioni future.
mondo
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Terrorismo. L’uomo, ex detenuto del carcere di massima sicurezza, era accusato degli attentati in Kenya e Tanzania
Guantanamo shock La Corte Usa proscioglie Ahmed Ghailani da 285 capi d’accusa. E lo condanna per uno di Antonio Picasso hmed Khalfan Ghailani, ex detenuto di Guantanamo, è stato scagionato da 285 capi di accusa sui 286 che complessivamente pendevano sulla sua testa. La Corte di New York ha assolto parzialmente questo 36enne cittadino tanzaniano dalla responsabilità degli attentati organizzati da alQaeda nel 1998, contro le ambasciate Usa del suo stesso Paese e del Kenya. Gli attacchi, spettacolari e devastanti per gli osservatori dell’epoca pre-11 settembre 2001, provocarono 224 morti. Ghailani verrà processato unicamente per il fatto di aver «cospirato per distruggere beni di proprietà degli Stati Uniti», come si leggeva nella nota del tribunale Usa ieri. Per questo capo di accusa, lo stesso imputato si era dichiarato colpevole.Tuttavia, aveva sostenuto da sempre la linea dell’innocenza in merito al suo diretto coinvolgimento negli attacchi terroristici. I suoi legali hanno sostenuto sempre che Ghailani si sarebbe limitato a fornire il materiale ai responsabili del massacro, pur ignorando i loro scopi distruttivi. Per quanto possa essere fonte di perplessità, non è questo lo spazio per riflettere su una simile considerazione. Certo è che la sentenza del tribunale di New York non mancherà di sollevare polemiche, in Usa come in Europa.
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D’altro canto, ci preme sottolineare come si sia giunti a questa decisione. Comunque inappellabile. Si prevede, infatti, che Ghailani vada a scontare una pena minima di 20 anni di carcere, se non gli verrà comminato l’ergastolo. L’imputato è il primo ex detenuto del carcere militare della base Usa cubana ad apparire di fronte a una Corte civile. Dopo lo smantellamento del primo e il trasferimento dei reclusi sotto giurisdizione della magistratura ordinaria. È il risultato concreto di quel tangenziale cambio di rotta che si è avuto con il passaggio dall’Amministrazione Bush a quella di Obama, nella gestione del “Dossier terrorismo” dal
punto di vista processuale. Con l’affermazione della leadership democratica, il carcere di Guantanamo - che Bush aveva destinato ad accogliere i sospetti terroristi ricollegabili a Osama bin Laden - è apparso come una pagina nera da dimenticare nel più breve tempo possibile. Sull’onda lunga delle torture commesse ad Abu Ghraib e con un’opinione pubblica internazionale palesemente contraria a questa condotta, Obama si é sentito in dovere di dimostrare quanto gli Stati Uniti siano capaci di sbagliare sì, ma anche di correggere i propri errori. L’immagine dei detenuti incappucciati, in tuta arancione e legati mani e piedi si era fatta insostenibile per la più anti-
ritti umani, nei confronti di chiunque - ha deciso di rompere anche questo vincolo con la passata amministrazione repubblicana. Bush e Obama hanno commesso entrambi alcuni errori di procedura. Il primo, spinto dalla necessità di muovere guerra contro il terrorismo, ha compromesso la sua immagine con le ombre del waterboarding.
Abu Ghraib e Guantanamo sono passati dall’essere istituti di detenzione per gli affiliati di al-Qaeda, in bolge infernali made in Usa. L’ultima denuncia di questo scandalo risale all’inizio di quest’anno, quindi già con Obama alla Casa Bianca. Sheikh Issa bin Zayed al-Nahayan, fratello di Abu
Il tanzaniano, 36 anni, è stato dichiarato colpevole solo di “complotto per distruzione di beni americani” ma non di aver partecipato, per conto di al Qaeda, agli attentati del 1998 costati la vita a 224 persone. Rischia 20 anni ca democrazia del mondo. Ormai due anni fa, il nuovo presidente, il primo di colore per gli Usa - quindi personalmente sensibile al rispetto dei di-
Dhabi emir Sheikh Khalifa bin Zayed al-Nahayan, presidenti degli Emirati Arabi ed emiro di Abu Dhabi, ha dichiarato di essere stato vittima
di percosse e violenze fisiche di vario genere durante la sua reclusione nella prigione cubana. È poi di questi giorni la decisione del governo britan-
Sopra, una delle immagini che fece il giro del mondo sui detenuti di Guantanamo, a Cuba. In apertura: il presunto terrorista durante il processo. Sarà definitivamente condannato il 25 gennaio. Foto piccola, Ahmed Ghailani da ragazzo. Nella pagina a fianco, Julian Assange
nico, per quanto presa ob torto collo, di risarcire gli ex detenuti di Guantanamo con passaporto di Sua Maestà. La scelta era stata anticipata dal premier Cameron nei mesi estivi. Ora è ufficiale e manca solo il nullaosta di Westminster. Stando a Londra, i sei ex presunti terroristi cittadini britannici potrebbero ricevere un milione di euro, a compensazione delle violenze che avrebbero subìto sia a Cuba sia prima ancora per mano dell’Mi5.
Certo, in favore della Casa Bianca di allora non hanno giocato né la sensibilità dell’opinione pubblica nazionale, né la mancanza di un supporto giuridico. Bush si è trovato costretto a gestire l’emergenza post-11 settembre pressato dal Paese affinché facesse giustizia. Gli attentati al World Trade Center e al Pentagono - ma a strascico anche i precedenti, inclusi in Kenya e Tanzania - dovevano essere vendicati. AlQaeda doveva pagare il male fatto alla nazione. La detenzione di Guantanamo, gestita dalla giustizia militare, quindi svicolata da molte procedure burocratiche, è apparsa la soluzione migliore. D’altra parte, ancora oggi il terrorismo, per quanto condannato dall’Onu, non è un reato perseguibile a livello di diritto internazionale. Non c’è una legge e tanto meno un tribunale che ne disciplini le procedure di prevenzione e
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La Pm Marianne Nye ha firmato un mandato per violenza e molestie sessuali
E la Svezia ordinò: «Arrestate Assange» Il fondatore di Wikileaks (che ha messo on line documenti top secret) è l’hacker-giornalista più famoso del mondo di Massimo Ciullo l fondatore di Wikileaks, Julian Assange, potrebbe essere rimasto vittima di una honey-trap, un’esca a sfondo sessuale, spesso usata dai servizi segreti internazionali per mettere fuorigioco un avversario. Contro l’animatore del discusso sito web che ha diffuso migliaia di documenti segreti, in particolare sulle operazioni militari Usa in Afghanistan e Iraq (Assange è in testa nei sondaggi del Time per la copertina da dedicare al Man of theYear) potrebbe essere spiccato presto un mandato di cattura internazionale. Dalla Svezia infatti, è arrivata la richiesta di arrestare il 39enne australiano, accusato dalla Procura di Stoccolma di stupro e molestie sessuali. Marianne Ny, a capo dell’ufficio indagini per i reati sessuali della capitale svedese, ha inoltrato l’istanza al Tribunale di Stoccolma, sostenendo che l’imputato finora ha rifiutato di comparire davanti ai magistrati inquirenti per essere interrogato. Se la richiesta venisse accolta, le autorità potrebbero spiccare un mandato di cattura internazionale nei confronti di Assange, secondo quanto ha dichiarato la portavoce della Procura Karin Rosander.
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condanna a livello Onu. L’idea di creare una nuova Norimberga per i jihadisti arrestati non è stata presa in considerazione da Washington.
Un po’ per mancanza di tempo, un po’ per evitare precedenti vincolanti. Gli Usa hanno fatto riferimento alla propria dottrina, abbandonando però i detenuti di Guantanamo in un limbo tra i prigionieri di guerra e i criminali comuni. Washing-
ta la Gran Bretagna, la quale ha dovuto appunto accogliere i suoi concittadini, scusarsi con loro e rimetterci di tasca propria per i torti subìti oltreoceano. Senza contare il fatto che la rispettabilità dell’intelligence inglese sia stata messa a dura prova. Nel frattempo gli ex detenuti hanno riottenuto la libertà desiderata. Molti di loro, dimostrando la propria colpevolezza, sono tornati nei ranghi del
È scontro sulla decisione di Barack Obama di far processare sospetti terroristi da Tribunali civili invece che militari. Insorgono i Repubblicani ton, infine, ha perso il controllo della questione. I carnefici, sono diventati, in un cento senso, vittime di una democrazia la cui istituzioni sono apparse spiazzate dagli eventi. Non c’è dubbio che Obama abbia ridimensionato il problema per quanto riguarda l’immagine del Paese. Chiudendo Guantanamo ha voluto trasmettere un segnale forte. L’errore è da rintracciare nel come quel carcere sia stato smantellato. La tempestività della Casa Bianca si è rivelata precipitosa nel liquidare il problema. Così come Bush aveva agito in modo unilaterale, senza attendere il parere dei suoi alleati europei nel muoversi contro al-Qaeda, Obama ha chiuso il carcere evitando di consultarsi con gli stessi. La prima a pagarne le spese è sta-
jihad. Da segnalare al proposito il caso di Said Ali al-Shihri, oggi leader riconosciuto di alQaeda in Yemen. Altri, sebbene prima fossero innocenti, sono stati cooptati sulla base di una loro nuova fede antiUsa, emersa come rancore per quanto vissuto a Cuba.
In un cert o senso, Obama ha sbagliato a Guantanamo così come in Iraq. Volendo affrancarsi della presidenza Bush, ha accelerato i tempi di exit strategy in entrambi i casi. Ora si ritrova con un Paese arabo seriamente esposto a una ricaduta di guerra civile e una lotta al terrorismo in cui i settori di prevenzione (apparato di sicurezza) e di giudizio (magistratura) non possono confrontarsi.
«Ho chiesto al Tribunale di Stoccolma di arrestare Assange, sospettato di stupro, molestie sessuali e coercizione nei confronti di due donne nella scorsa estate» ha spiegato Marianne Ny, in una nota diffusa ieri. «La ragione della mia richiesta è che voglio interrogarlo e fino ad oggi non ci siamo riusciti», ha aggiunto il Procuratore svedese. Assange, secondo gli inquirenti di Stoccolma, sarebbe responsabile di un presunto stupro, avvenuto lo scorso agosto a Enkoping, oltre a tre casi di molestie a Stoccolma e a uno di «coercizione illegale». Accuse respinte in toto dal fondatore di Wikileaks, che ha ammesso tramite il suo avvocato di aver conosciuto a una conferenza stampa le due donne di 25 e 35 anni che lo accusano, ma ha negato di aver avuto con loro «sesso non consensuale». Un mandato di arresto nei confronti di Assange era già stato emesso il 20 agosto ma era stato subito ritirato. Il primo settembre il Procuratore capo svedese aveva annunciato di voler riaprire l’indagine preliminare per stupro a carico dell’uomo dopo un’ulteriore revisione del caso, ma non aveva richiesto provvedimenti restrittivi nei suoi confronti. Il mese scorso gli inquirenti di Stoccolma avevano chiuso l’inchiesta per stupro,
lasciando invece aperta quella per le molestie. Assange si è sempre detto innocente e ha affermato di esser stato avvertito dall’intelligence australiana della possibilità di false accuse per gettare discredito sul sito. A ottobre Wikileaks ha pubblicato più 400mila documenti segreti del Pentagono sull’Iraq e altri 70.000 sull’Afghanistan. Uno scoop che secondo le autorità statunitensi avrebbe configurato una delle maggiori violazioni di sicurezza di tutti i tempi. Prima delle accuse, Assange aveva chiesto un permesso di lavoro e residenza in Svezia, dove si trovano i server di Wikileaks, ma la sua richiesta è stata respinta il 18 ottobre. Il fondatore del sito più chiacchierato dell’anno, ha definito le accuse provenienti dalla Svezia «senza fondamento» e ha criticato quel che ha definito un circo legale del Paese scandinavo, dove aveva cercato di istituire una sede per poter beneficiare delle ferree leggi svedesi sulla protezione dei giornalisti.
All’epoca delle prime incriminazioni, Assange, aveva interpretato l’inchiesta svedese come una sorta di vendetta trasversale del Pentagono Usa nei suoi confronti dopo la pubblicazione di migliaia di pagine sulle guerre in Iraq e Afghanistan. «Non so chi vi sia dietro a queste accuse - disse - ma sicuramente ci avevano detto che il Pentagono avrebbe cercato di usate sporchi trucchi per distruggerci». Sulla stessa lunghezza d’onda, le dichiarazioni di Mark Stephens, consigliere del fondatore di Wikileaks, che in un comunicato ufficiale rilanciato via Twitter da Wikileaks stesso, ha parlato di «abuso di potere» teso alla «persecuzione» di Julian Assange, messo in atto dal Procuratore Marianne Ny. L’avvocato di Assange in Svezia, Bjoern Hurtig, ha definito la richiesta di un mandato d’arresto «esagerata» e «sproporzionata» rispetto alla necessità di interrogare il fondatore di Wikileaks. Il legale ha assicurato che il suo assistito è «assolutamente pronto a venire in Svezia e a collaborare» e aveva anche suggerito alcune possibili date, ma non era stato trovato un accordo. Hurtig ha spiegato che Assange è molto impegnato con il suo lavoro e subirebbe gravi danni economici se dovesse trascurarlo per un interrogatorio di cui non sia stata concordata la data. Il legale delle due donne che accusano Assange, Claes Borgstroem, si è detto invece «sollevato» per la richiesta di mandato d’arresto.
L’avvocato dell’uomo a Stoccolma, Bjoern Hurtig, ha definito la richiesta di fermo «esagerata» rispetto alla necessità di un interrogatorio
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pagina 16 • 19 novembre 2010
Usa. Sono già tre gli Stati che hanno sancito per legge il rifiuto della legge islamica an mano che la conoscenza sull’Islam si allarga, l’aspetto che gli americani trovano maggiormente inaccettabile non è la teologia (ad esempio, se Allah sia Dio oppure no) né il suo simbolismo (come il centro culturale islamico a Lower Manhattan), ma il suo codice giuridico, ovvero la Shari’a. Al quale, ragionevolmente, si ribellano: dicendo “no” a un codice che privilegia i musulmani a sfavore dei non-musulmani, gli uomini a sfavore delle donne, e che contiene parecchi elementi contrari alla vita Newt moderna. Gingrich, exspeaker della Camera del Congresso Usa, nel luglio scorso ha fatto sì che il pericolo rappresentato della Shari’a ricevesse un’attenzione pubblica senza precedenti. Come? Criticando i suoi «principi e le punizioni del tutto contrarie al mondo occidentale» e chiedendo una legge federale in grado di «proibire alle Corti Usa di poter mai considerare la Shari’a un’alternativa della legge americana». Malgrado alcune avvisaglie in questa direzione, non esiste una legge federale di questo genere. Ma le assemblee legislative di due Stati, il Tennessee e la Louisiana, di recente hanno approvato delle norme che bloccano, nella sostanza, l’applicazione della Shari’a in virtù del fatto che essa viola le leggi esistenti e la politica pubblica. E in un referendum del 2 novembre, anche gli elettori dell’Oklahoma hanno espresso il loro consenso - con il 70 per cento dei voti a favore - a emendare la loro Costituzione.
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Nonostante il plauso da parte di musulmani moderati come Zuhdi Jasser, l’approvazione del “Save Our State Amendment” ha allarmato gli islamisti. Il Council on American-Islamic Relations (Cair), accusato di voler «rovesciare il governo costituzionale degli Stati Uniti», ha convinto un giudice del distretto federale a imporre alla commissione elettorale di Stato un divieto formale ad attestare l’idoneità dell’emendamento. Un’udienza del tribunale potrebbe stimolare ulteriormente il dibattito pubblico sull’applicazione
L’America che vuole dire no alla shari’a Dopo la Lousiana e il Tennessee, anche l’Oklahoma cambia la sua costituzione di Daniel Pipes
della Shari’a. In questo spirito, esaminiamo più da vicino l’emendamento appena approvato in Oklahoma, il cosiddetto State Question 755. Innanzitutto, esso limita i tribunali dell’Oklahoma a fare affidamento solo «sulle leggi federali e statali quando devono deliberare». In più, respinge «il diritto internazionale» in generale, e in particolare «vieta alle corti di considerare o applicare la Shari’a», definendo quest’ultima legge islamica «basata su due fonti principali: il Corano e gli insegnamenti di Maometto». La critica più diffusa dell’emendamento vacilla tra due reazioni contraddittorie che lo vogliono, a seconda dei casi, discriminatorio oppure superfluo. È discriminatorio? Se l’enunciazione è in effetti problema-
L’American Public Policy Alliance ha scritto una legislazione modello da sottoporre a tutti i governatori
tica (la legge internazionale non può ovviamente essere bandita e la Shari’a non dovrebbe essere presa di mira per il suo nome), la State Question 755 insiste opportunamente sul fatto che i giudici basino le loro decisioni unicamente sulla legge americana.
Contrariamente alle dicerie, infatti, l’emendamento non bandisce la Shari’a fuori dal sistema giudiziario: i musulmani possono lavarsi, pregare, mangiare, bere, giocare, nuotare, corteggiare, sposarsi, riprodursi, lasciare in eredità, etc., secondo i dettami della loro religione. Pertanto, l’emendamento non danneggia i musulmani americani. È superfluo? Nessuna ricerca ci dice con quale frequenza i giudici americani facciano affidamento
sulla Shari’a per formulare un giudizio, ma un’indagine provvisoria rileva 17 casi in 11 Stati. Probabilmente il caso più noto è quello della sentenza di un tribunale del New Jersey che riguardava il caso di una coppia di coniugi musulmani del Marocco. La moglie raccontò che il marito la costringeva ripetutamente ad avere rapporti sessuali perché le diceva che «ciò è quanto previsto dalla nostra religione. Tu sei mia moglie, e io posso farti qualsiasi cosa» In breve, il marito musulmano invocava la sanzione prevista dalla Shari’a per stuprare la moglie. Ebbene, in quel caso il giudice gli dette ragione: «La Corte ritiene che il marito abbia agito in base alle sue convinzioni e che il suo desiderio di avere rapporti sessuali quando e come voleva era qualcosa di coerente con le sue usanze e non proibito». Sulla base di ciò, il giudice stabilì nel giugno 2009 che la violenza sessuale non era stata provata.
Nel giugno 2010, una corte d’appello ha ribaltato questa sentenza per il fatto che «il comportamento del marito ad avere dei rapporti sessuali non-consensuali è stato indiscutibilmente intenzionale, nonostante egli pensasse che la sua religione gli permettesse di agire come ha fatto». Nell’analisi più severa di Newt Gingrich, il giudice del processo «era riluttante a imporre la legge americana su qualcuno che sta chiaramente abusando di qualcun altro». E poi incombe l’allarmante esempio della Gran Bretagna, dove due figure di spicco del Paese, l’Arcivescovo di Canterbury e il presidente dell’Alta Corte di Giustizia, riconoscono un ruolo alla Shari’a accanto alla common law britannica, e dove una rete di tribunali della Shari’a già opera. Ma le leggi che bandiscono la Shari’a non sono né discriminatorie né superflue, piuttosto sono indispensabili a preservare l’ordine costituzionale da ciò che Barack Obama chiama «le ideologie cariche d’odio dell’Islam radicale». L’American Public Policy Alliance ha predisposto una legislazione modello che l’assemblea legislativa dell’Oklahoma e quelle di altri 47 Stati dovrebbero approvare.
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19 novembre 2010 • pagina 17
E Londra vuole introdurre un limite all’immigrazione
In aprile “deviato” sui server cinesi il 15% del traffico mondiale
Gran Bretagna, fra 50 anni i bianchi una minoranza
La Cina “sequestra” 18 minuti di Internet
LONDRA. Nel 2066 i britannici
WASHINGTON. L’8 aprile 2010, per diciotto minuti, una quota del 15 per cento dell’imponente traffico internet mondiale, e in particolare statunitense (incluse comunicazioni da e per i siti dell’Esercito, della Marina, del corpo dei Marines, dell’Aeronautica, dell’ufficio del Segretario della Difesa, del Senato e della Nasa), potrebbe essere stato registrato e decriptato dalla Cina. Con conseguenze che potrebbero rivelarsi drammatiche per la privacy e la sicurezza. A renderlo noto il National Defense Magazine dopo la denuncia del pdf di 300 pagine della U.S.-China Economic and Security Review Commission nel rapporto annuale della Commissione Usa-Cina per la si-
di razza bianca passeranno in minoranza se i tassi di immigrazione continueranno ai ritmi attuali. È la previsione ricavata da una analisi delle cifre dell’Ufficio Nazionale di statistica pubblicato sul Daily Mail. Ogni anno entrano in Gran Bretagna circa 180 mila immigrati: con un andamento simile di qui alla metà del secolo la popolazione di bianchi nati in Gran Bretagna calerà dall’80 per cento al 59 per cento. A quel punto gli immigrati bianchi avranno più che raddoppiato le presenze, dal 4 al 10 per cento del totale mentre le popolazioni di altre razze saranno salite dal 16 al 31 per cento. Di qui al 2066 il passo è breve: a quel punto i bianchi nati in Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord saranno passati in minoranza.
Secondo David Coleman, esperto in popolazione dell’università di Oxford, anche nel caso in cui il governo Cameron riuscisse a dimezzare i flussi di immigrazione (è all’ordine del giorno una legge sulla regolamentazione degli ingressi) i britannici bianchi diventerebbero minoranza nel 2080. «La soglia del 50 per cento non ha significati demografici speciali ma avrà un considerevole im-
Nato, i tre vertici (e mezzo) di Lisbona Grande attesa per la posizione turca di Erdogan di Laura Giannone anti temi per un vertice, quello di Lisbona, che di fatto si articolerà in tre summit e mezzo: da quello Nato a quello Nato-Russia, passando per la riunione Ue-Usa e arrivando al bilaterale Usa-Portogallo. In una capitale portoghese per l’occasione blindata da un dispositivo di sicurezza senza precedenti sono attesi, fra oggi e domani, circa 60 capi di stato e di governo dei 28 paesi della Nato e dei paesi associati, accompagnati dai rispettivi ministri degli Esteri e della Difesa. Oggi arriveranno a Lisbona anche il presidente Usa Barack Obama e quello russo Dimitri Medvedev. Nonché il presidente afghano Hamid Karzai. Il primo vertice, oggi all’ora di pranzo, sarà in realtà un incontro bilaterale tra Portogallo e Usa che farà da apripista alla due giorni di lavori a Lisbona. Obama poco dopo il suo arrivo avrà una colazione di lavoro con il presidente portoghese il conservatore Anibal Cavaco Silva e il premier socialista José Socrates. Parleranno, prevede la stampa di Lisbona, di questioni Nato, di problemi bilaterali ma anche delle attuale fragilità della zona euro sul fronte del debito e dei rischi di un contagio irlandese al Portogallo.
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settimane fra Ankara e la Nato sulla proposta di difesa missilistica, suggerisce infatti che Istanbul si stia ritagliando un ruolo affatto peculiare in seno all’Alleanza, il cosiddetto OptOut. Tanto per chiarirci: simbolicamente dentro ma pronta a mettersi fuori. L’Akp di Erdogan, infatti, ha più volte rifiutato l’idea di poter diventare una base di lancio verso attori musulmani: soprattutto Siria e Iran. E questo perché la Turchia di oggi si considera a tutti gli effetti un difensore della “civiltà islamica”e sta costruendo un rapporto sempre più stretto con Damasco e Teheran.
Avendo però già provocato una crisi diplomatica con gli Usa dopo il suo rifiuto di votare - all’assemblea delle Nazioni Unite - l’inasprimento delle sanzioni contro l’Iran, e avendo un forte bisogno del sostegno di Washington in vista delle prossime elezioni nel 2011 - il presidente Gul cercherà oggi di evitare lo scontro diretto. E secondo ogni pronostico dirà probabilmente sì al nuovo progetto di difesa missilistica. Chiedendo però in cambio un’importante contropartita: ovvero che le informazioni ottenute grazie ai nuovi sitemi radar non siano condivise con altri paesi: difatto Israele. La richiesta, peraltro, arriva dopo i due successi diplomatici sponsorizzati dal governo di Ankara: la rimozione di Siria e Iran dal libro nero dell’Alleanza (che in realtà si chiama red book), quello in cui sono “segnati”i paesi potenzialmente più pericolosi per la stabilità mondiale. La trattativa qui è stata all’ultimo sangue, considerando i rapporti non proprio idilliaci di Erdogan con il Segretario Generale Rasmussen, di cui aveva osteggiato l’elezione per via delle vignette danesi contro Maometto. Domani, infine, gli ultimi due vertici: fra Nato e Russia, con Dimitri Medvedev, e fra Ue e Usa. Il summit euro-americano avrebbe dovuto svolgersi a Madrid in giugno, in chiusura del semestre di presidenza europea della Spagna di José Luis Zapatero, di cui doveva essere un momento chiave. Ma la riunione era stata annullata per problemi di agenda di Barack Obama.
In agenda la bilaterale Usa-Portogallo, il summit con Ue, Russia e America e la grande trattativa della Turchia
patto psicologico e politico», ha detto Coleman: «La transizione da maggioranza a minoranza rappresenterà un enorme cambiamento per l’identità culturale, politica e religiosa del paese». Secondo l’esperto di Oxford a Leicester e Birmingham il sorpasso avverà molto prima che nel resto del paese: già nel 2020. Mentre due quartieri di Londra sono a maggioranza non bianca dal 2001. Le proiezioni dell’Ufficio nazionale di statistica mostrano che la crescita del numero degli immigrati assieme ai livelli di natalità e di aspettativa di vita porterà la popolazione britannica complessiva a 77 milioni nel 2051 e a 85 milioni nel 2083.
Il secondo summit, certamente il più importante, sarà oggi pomeriggio quello della Nato. Si terrà, come quelli successivi nel Parque dos Nacoes, che fu la sede della Expo Mondiale di Lisbona, lungo le rive del Tago nella parte esterna e nuova della città. Gli alleati devono lanciare (e approvare) il nuovo concetto strategico Nato, delineare il percorso di consegna delle responsabilità in Afghanistan agli afghani, razionalizzare le strutture dell’Alleanza, cercare di lanciare il nuovo scudo missilistico e definire una “nuova” relazione con Mosca. I nodi al pettine saranno moltissimi, ma certamente uno snodo centrale sarà rappresentato dal problema (e dalle richieste) della Turchia, che soltanto ieri (e dopo le dovute rassicurazioni) ha confermato la presenza del presidente Gul. Le tensioni - mai sopite - delle scorse
curezza presentato al Congresso americano. La stampa però riprende la notizia, chiedendosi perché l’accaduto emerga solo ora, a distanza di sette mesi.
In quei diciotto lunghi minuti infatti i dati internet ad alta sensibilità statunitensi e di molti altri Paesi sono passati erroneamente attraverso i server cinesi, dopo che China Telecom aveva inviato informazioni di routing sbagliate: una mole di traffico impressionante, compresi i delicati dati delle agenzie governative, ha seguito il percorso errato a causa della modifica del routing su internet, approdando sui server cinesi. Il fenomeno in questione è il cosiddetto “IP hijacking” e si verifica quando il router impone una rotta diversa, indicando come percorso migliore un nodo differente da quello abituale. In questo caso dunque il nodo cinese è stato opportunamente configurato per risultare agli occhi di chi inviava il pacchetto come l’algoritmo di routing da preferire. China Telecom ha categoricamente smentito, in un comunicato inviato alla France Presse, «qualsiasi deviazione di traffico internet». Secondo Dmitri Alperovitch, vice presidente della società McAfee, il dolo è quasi certo e si tratterebbe di «uno dei più grandi attacchi di hijacking mai visti».
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pagina 18 • 19 novembre 2010
In libreria. Il volume dà conferma che tra le spie c’erano anche illustri scrittori: Graham Greene su tutti, ma anche Arthur Ransome e W. Somerset Maugham
I segreti dei servizi segreti È arrivata la “biografia” dell’intelligence britannica MI6: un tomo di 800 pagine scritte dallo storico Keith Jeffery di Maurizio Stefanini perazione Embarass: quando i servizi segreti inglesi andarono a mettere bombe nei porti italiani per impedire che gli ebrei scampati ai lager nazisti arrivassero in Palestina. È uno dei segreti più scioccanti che saltano fuori da MI6: The History of the Secret Intelligence Service 1909-1949: un ponderoso volume appena pubblicato dallo storico britannico Keith Jeffery (Bloomsbury, pp. 810, £ 16.50) con rango di storia ufficiale.
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Ovviamente, una mole di materiale del genere non si può soffermare solo sulla guerra sporca ordinata dal governo del laburista Clement Attlee contro il progetto sionista. Il libro dà ad esempio la conferma che scrittori come Graham Greene, Somerset Maugham e Arthur Ransome e il filosofo Aj Ayer hanno lavorato per il Sis. Greene, in particolare, fu sottoposto nel 1941 a un programma speciale di formazione alla vigilia di un viaggio a Freetown. E Somerset Maugham trasformò quell’esperienza nell’antologia di racconti Ashendeen o l’Agente Britannico. In compenso, Jeffery dice di non aver incontrato alcuna prova sulla supposta responsabilità del Sis nell’assassinio di Rasputin. Ma l’Operazione Embarass, è definita dallo stesso Jeffery «la storia più sconvolgente che ho trovato. Un vero e proprio romanzo poliziesco». Certo, bisogna inquadrare il tutto in un contesto in cui molti ebrei non ci andavano a loro volta troppo leggeri. Risale ad esempio all’inizio della primavera del 1939, a un’epoca in cui ancora la Polonia non è stata attaccata ma già il definitivo smantellamento della Cecoslovacchia da parte di Hitler ha fatto capire in che fosca direzione la storia europea si sta incamminando, il famoso duello di volantini in cui sionisti moderati e estremisti si affrontarono per le strade della Terrasanta a colpi di citazioni bibliche. Gli uni, con una laconica citazione dal Decalogo: Quinto. Non uccidere. Gli altri, pescando invece nel terribile codice penale del Levitico. «Prenderai vita per vita, occhio
per occhio, dente per dente». Con sotto un simbolo truce: una carta della Palestina mandataria, che comprende gli attuali Israele, Territori e Giordania tutti insieme, con sopra l’immagine di un fucile mitra-
Il libro poi spiega l’Operazione Embarass: quando gli 007 misero bombe nei porti italiani per impedire agli ebrei di arrivare in Palestina gliatore, e ai lati le parole Rak Kah: “Solo così”. L’emblema dell’Irgun Zvai Leumi, l’“Organizzazione Militare Nazionale” fondata nel 1937 da Vladimir Ze’ev Jabotisnky: un agitatore con gli occhi spiritati e la lucidità del fanatico, che al Congresso sionista del 1921 aveva scandalizzato i delegati con la folgorante brutalità dei suoi slogan. «I pionieri americani
non avrebbero mai colonizzato il Far West se prima avessero dovuto chiedere il permesso agli indiani!». Alla frusta era, in quel momento, la politica giudicata fallimentare del cosiddetto “sionismo generale”, i cui leader avevano concepito la costruzione dello Stato ebraico alla Cavour, come il risultato di una combinazione diplomatica da tessere pazientemente tra le potenze europee e il notabilato arabo. Chaim Wizmann, il leader “generale” che sarebbe poi divenuto il primo presidente di Israele, aveva in effetti ottenuto, grazie al suo impegno di brillante scienziato al servizio della causa bellica alleata nella Prima Guerra Mondiale, la famosa “dichiarazione Balfour”, sulla costituzione di un “focolare ebraico” in Palestina. Ma contemporaneamente gli inglesi avevano fatto analoghe promesse agli arabi e si erano accordati per spartirsi il bottino dell’ex-Impero Ottomano con i francesi, mentre gli “indigeni” palestinesi non si mostravano
Uno scatto effettuato da un fotografo inglese alla famosa nave “Exodus”, nella quale viaggiavano verso la Palestina i padri fondatori del futuro Stato di Israele. In basso Vladimir Ze’ev Jabotisnky, fondatore dell’Irgun Zvai Leumi, l’Organizzazione militare nazionale israeliana. Nella pagina a fianco l’autore del libro, lo storico inglese Keith Jeffery particolarmente recettivi verso l’ondata dei nuovi arrivati, e iniziavano anzi ad armarsi per attaccarli. Da una parte, dunque, ai “generali”, che controllano quell’embrione di “governo” costituito dall’Agenzia Ebraica, aveva iniziato ad opporsi la sempre più influente corrente del sionismo socialista, che mirava a costruire il nuovo Stato ebraico dal basso attraverso le strutture dei sindacati e delle fattorie collettive, e a stemperare l’ostilità degli arabi nella comune solidarietà tra “popoli lavoratori”.
Tra le strutture parastatuali create dalla sinistra sionista c’era anche un embrione di esercito, l’Haganah: “difesa”. Ma, come indica chiaramente il nome, si trattava di una milizia il cui scopo era di rispondere agli attacchi degli arabi. Non di attaccarli a loro volta, e meno che mai di prendere di petto le autorità britanniche. Anch’essa, dunque, fu accusata di inconcludenza, quando nel 1936 i pogrom iniziarono a divenire sistematici, e nel 1937 il governo britannico annunciò un Libro Bianco per mettere fine all’immigrazione sionista nel territorio mandatario. Jabotinsky aveva aderito a sua volta all’Haganah, pur avendo dato vita fin dal 1923 a una terza corrente distinta sia dai “generali”
che dai “socialisti”. La sua uscita da quella milizia e la costituzione dell’Izl come movimento di lotta armata contro inglesi e arabi a un tempo fu appunto lo sbocco finale e logico di questa linea detta del “sionismo revisionista”.
Laburisti e “generali”gli diedero del “fascista ebreo”, ed è in effetti vero che i “revisionisti” portavano in principio la camicia nera, ostentavano il saluto romano e dicevano apertamente che l’opposizione tra sionismo revisionista e generale era della stessa natura di quella tra fascismo e liberaldemocrazia. Mussolini non mancò di simpatizzare per questa tendenza anti-inglese, e addirittura alcuni revisionisti furono invitati all’Accademia della Regia Marina, dove ebbero a disposizione un natante su cui far battere la bandiera sionista. Fu questa l’origine riconosciuta della futura marina israeliana… Ma poi il flirt sarebbe stato interrotto dalle leggi razziali e dall’Asse Roma-Berlino. Non più filo-fascisti, i revisionisti non cessarono però di predicare e praticare la violenza. Più ancora che come strumento politico, come terapia per «scuotere gli ebrei dalla loro millenaria rassegnazione». Dopo aver iniziato ad agire il 24 novembre 1937 con l’assalto a un mercato arabo di Gerusalemme, l’Izl portò la sua
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agisce a colpi di dinamite, facendo saltare la sede della polizia, l’edificio dell’emigrazione, gli uffici delle tasse. A sua volta il Lehi nell’agosto del 1944 ferisce MacMichael, dopo cinque imboscate fallite, e il 6 novembre 1944 riesce a colpire addirittura al Cairo, dove due suoi uomini uccidono a rivoltellate Lord Moyne, ministro britannico per gli affari mediorientali, e il suo autista. «Bisogna riconsiderare l’appoggio ai sionisti, se può provocare un nuovo mondo di assassini degni della Germania nazista», dice Churchill alla Camera dei Comuni, col suo tipico stile pomposo. È un messaggio inequivocabile all’Agenzia Ebraica e all’Haganah, che capiscono e agiscono. Non solo parlano di “crimine rivoltante”, ma l’Haganah arresta e detiene in carceri clandestine tutti gli uomini dell’Izl e del Lehi su cui riesce a mettere le mani addosso, torturandone perfino alcuni, e sulla base delle relative informazioni consegna alla polizia britannica una lista di nomi e associazioni in seguito alla quale finiranno in carcere un migliaio di estremisti. «Ti ripagheremo, Caino» grida Begin, inafferrabile primula rossa, al leader laburista Ben Gurion. Ma poi il primo ottobre 1945, aggirando la leadership “generale” dell’Agenzia Ebrai-
offensiva al culmine il 27 febbraio 1939, quando per sessanta minuti tra le 6,30 e le 7,30 del mattino una serie di esplosioni sconvolgono i quartieri arabi e le linee ferroviarie, uccidendo «in un’ora sola tanti arabi quanti ebrei erano stati uccisi negli ultimi tre mesi», per dirla con le parole di Arthur Koestler.
È a questo punto che l’Haganah decide appunto di volantinare il Decalogo, e che l’Izl risponde controvolantinando il Levitico. Richiami alla religione piuttosto curiosi, per due gruppi entrambi fortemente laici, e in un’epoca in cui la maggior parte dei rabbini giudicava l’idea di riportare il popolo d’Israele nella Terra Promessa prima dell’arrivo del Messia una profanazione. Ma il confronto non si limitò ai volantini. Dal 17 maggio 1939 l’Irgun iniziò ad attaccare anche gli inglesi, che però in poche ore riuscirono ad arrestare tutto lo stato maggiore dell’organizzazione. Si salveranno solo Jabotinsky, al momento negli Usa a raccogliere fondi, e Abraham Stern, che sta in Polonia a negoziare una partita di armi, munizioni e istruttori col governo di Varsavia. Ma anche Stern sarà subito arrestato, quando ad agosto rientra frettolosamente in Palestina per riprendere gli attentati. Tutti quanti verranno però messi su-
bito in libertà con un’amnistia, quando scoppia la Seconda Guerra Mondiale, e il governo inglese propone allora agli ebrei una tregua in nome della lotta contro il comune nemico nazista. Non solo l’Haganah, ma perfino Jabotinsky accetta, pochi mesi prima di morire. Ma l’intransigente Stern esce allora dall’Izl per fondare un gruppo per conto proprio, che continua a considerare gli inglesi peggio di Hitler, e pensa addirittura di entrare in trattative col Führer, per persuaderlo, se proprio vuole liberare dagli ebrei l’Europa, di spedirli tutti in Medio Oriente. È Stern, definito «fanatico estremista pericoloso per tutti» anche dall’Izl, che inizia ad assaltare banche per autofinanziarsi, finché il 12 febbraio 1942 non è preso dalla polizia, e brutalmente ucciso, con il pretesto di un “tentativo di fuga”.
Poco dopo, però, la motonave Struma, carica di ebrei romeni, affonda, dopo che il governatore inglese Harold MacMichael ha rifiutato l’attracco: 746 morti, un solo superstite. Mentre sulle mura delle città compare
una foto dello stesso MacMichael con la scritta “ricercato per omicidio”, un fiume di nuovi aderenti affluisce nel moribondo Gruppo Stern, rivitalizzandolo. Lehi è la nuova sigla, da Lohamei Herut Israel: “combattenti per la libertà di Israele”. E tra i leader c’è Yizhak Shamir. La concorrenza risospinge su posizioni oltranziste anche l’Izl, alla cui testa arriva nel 1943 un ebreo polacco che ha avuto la propria famiglia sterminata dai nazisti, e che ha poi passato anche alcuni mesi in un gulag di Stalin. Il suo nome è Menahem Begin. Per distinguersi dal Lehi, dice di non voler combattere l’Inghilterra ma l’amministrazione britannica in Palestina, e ripudia l’assassinio individuale. Invece,
ca, lo stesso Ben Gurion manderà all’Izl un messaggio in codice, annunciando l’inizio della lotta in comune: i 24.000 uomini e donne dell’Haganah coi 5000 dell’Izl e i 1000 del Lehi, tutti insieme contro inglesi e arabi. Ma le organizzazioni restarono distinte, e i problemi rimasero. Per il famoso attentato all’Hotel King David di Gerusalemme del 22 luglio 1946, ad esempio, l’Izl aveva ottenuto il consenso dell’Haganah, ma poi aveva agito di testa propria anche dopo il contrordine, uccidendo 91 persone, tra cui anche 17 ebrei. Il comandante dell’Haganah fu quindi costretto alle dimissioni, e il rapporto di coordinamento fu interrotto. Gravissimi furono anche i dissensi dopo l’impiccagione da
parte dell’Irgun di due sergenti inglesi, di cui uno di madre ebrea, il 29 luglio 1947, per rappresaglia contro l’esecuzione di tre uomini dello stesso gruppo poche ore prima, nel carcere di Akko. «Vile assassinio di due innocenti commesso da una banda di criminali», fu il commento dell’Agenzia Ebraica.
Già dalla fine del 1946, scrive Jeffery, il governo Attlee aveva però chiesto al MI6 proposte per bloccare l’immigrazione di ebrei in gran parte reduci dai lager che stava creando problemi nel mandato inglese di Palestina: sia alimentando la guerriglia sionista, stia attizzando l’agitazione araba. Qualunque mezzo sarebbe stato consentito, purché non vi fossero perdite di vite umane e non fosse possibile risalire alla responsabilità di Londra. L’idea che alla fine emerse fu quella di sabotare le navi o, in alternativa, di contaminare le vettovaglie o l’acqua delle scorte, attribuendo le azioni a un immaginario gruppo dei “Difensori della Palestina Araba”. Dopo un meeting l’operazione fu effettivamente lanciata il 14 febbraio 1947, con l’avvertenza di “appiccare gli incendi se possibile quando le navi erano vuote”. Budget: 13.000 sterline. Come spiegò un rapporto con stile tiinglese, picamente “un’azione della natura contemplata è, in effetti, una forma di intimidazione, e l’intimidazione ha la possibilità di essere efficace solo se alcuni membri del gruppo che deve essere intimidito soffrono effettivamente conseguenze spiacevoli”. Gli agenti inviati in Francia e Italia se presi dovevano dire di essere stati arruolati a New York da “ricchi anticomunisti americani”. Ma negare comunque sempre ogni connessione con Londra. “Il libro effettivamente mostra il lato alla James Bond di questa storia, “commenta Jeffery.“L’Operazione Embarass tra tutte le storie del libro è quella che più si avvicina allo stereotipo dello spionaggio”. Cinque attacchi vennero effettivamente compiuti in Italia tra 1947 e 1948, una nave fu affondata e altre due furono danneggiate, mentre due ordigni furono scoperti, ma le autorità italiane sospettarono gli arabi. Il Sis non riuscì però a fare l’attentato alla famosa nave Exodus, e neanche a influire effettivamente sul corso degli eventi. Tutto sommato, gli ebrei fuggiaschi ne avevano passate di molto peggio. Nell’aprile del 1948 l’Operazione fu dunque abbandonata, il 14 maggio lo Stato di Israele fu proclamato, e il 15 maggio le ultime truppe britanniche abbandonarono il Mandato.
spettacoli
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Musica. Dopo il successo del primo album “Oltre”, Emma Marrone torna con “A me piace così” e conquista pubblico e critica
La tigre del Salento colpisce ancora di Matteo Poddi me piace così. Sì ma così come? La tentazione di chiedere alla diretta interessata ovvero a Emma Marrone il significato del titolo del suo secondo album è davvero troppo forte! Eppure forse il “così”al quale si riferisce la cantante rimarca l’originalità del suo percorso pur all’interno di dinamiche televisive, ormai, conosciute da tutti. La carriera musica di quella che è considerata la trionfatrice, morale e non, di Amici 8, infatti, prosegue a gonfie vele dopo il successo di Oltre che le è valso il doppo Disco di platino. Emma, il 19 ottobre, si è dunque ripresentata davanti al suo pubblico che l’ha subito accolta con calore ringraziandola dell’uscita del suo primo vero e proprio album.
A
Ma è davvero possibile togliersi l’etichetta del cantante o della cantante da talent show? Forse no. In un primo momento la critica aveva reagito a queste novità del mercato discografico con diffidenza e con una punta di cattiveria. Ora i confini tra quel che è di buon gusto e di cattivo gusto quando si parla di un artista che deve il suo successo alla tv si sono fatti molto più labili. Ora gli stessi giornalisti che, un tempo, ostentavano atteggiamenti snob nei confronti, soprattutto, del talent show di Maria de Filippi accettano, persino, di ingrossare le fila dei “cosiddetti” giudici del programma. D’altronde Emma, e prima di lei molti e molte altre, è un’autentica gallina dalle uova d’oro. Niente di strano se i discografici la osannano. Il disco, in un primo momento, avrebbe dovuto chiamarsi Con le nuvole ovvero con lo stesso titolo del brano che ha anticipato il 24 settembre l’uscita dell’album. Si tratta di un pezzo scritto da Roberto Casalino, già noto tra gli addetti ai lavori per aver collaborato con Tiziano Ferro e Giusy Ferreri. I maligni però dicono che il repentino cambio di titolo sia stato effettuato anche per non danneggiare, in qualche modo, l’uscita dell’album dell’altro astro nascente della Universal ovvero di Alessandra Amoroso di nuovo nei negozi di dischi con il suo Senza nuvole. Emma però non pensa a tutte queste sottigliezze, appagata del disco d’oro ottenuto per le vendite digitali del singolo Calore e
In questa pagina, due immagini della cantante salentina Emma Marrone, vincitrice della scorsa edizione di “Amici”, di nuovo sotto i riflettori con il nuovo album “A me piace così” (qui sopra, la copertina), che segue il precedente successo “Oltre”
per i due Wind Music Award che le sono stati consegnati. Per la cantante salentina dalla voce graffiante e dal piglio polemico questo è un periodo davvero fortunato. In fondo in questi tempi di crisi, anche del mondo discografico, chi può permettersi di far uscire due dischi in un anno? Il secondo album è, poi, in generale un traguardo importante per ogni
ra della televisione: Maria De Filippi. È indubbio in effetti che sia stata proprio la celeberrima presentatrice ad aver offerto alla Marrone un trampolino di lancio prestigioso e un biglietto di sola andata verso il dorato mondo delle classifiche discografiche. Ma Emma Marrone e il suo staff non si perdono in chiacchiere e puntano anche molto sul mer-
L’artista, che ha trionfato alla scorsa edizione di “Amici” battendo Loredana Errore, ha appena vinto il disco d’oro per le vendite digitali del singolo “Calore” e due Wind Music Award artista, anche per il meno affermato. La risposta a tutti questi riconoscimenti Emma l’ha voluta dare incidendo dodici nuovi brani per i quali ha collaborato con autori e arrangiatori noti e meno noti.
Da segnalare la cover de La lontananza, omaggio a Domenico Modugno, celebre conterraneo della cantante. La dedica dell’album? A nostra signo-
chandising e su iniziative in grado di coinvolgere il target di pubblico sul quale la sua musica esercita un forte fascino: i teenager. Così dopo l’istant concert in una scuola media di Roma, Emma Marrone si è impegnata in un tour nelle librerie di
tutta Italia dove non ha esitato a incontrare migliaia e migliaia di suoi fan. Insomma tra le ex vincitrici di Amici è guerra aperta. Chi saprà aggiudicarsi i favori dei labili adolescenti italiani? Emma Marrone ha, dalla sua parte, un album che, già dall’ascolto delle prime tracce si presenta diretto e senza filtri. Un po’ come lei. A rompere il ghiaccio ci pensa subito un brano come Ho toccato il cielo che, con la sua freschezza, fa iniziare la tracklist piede giusto. Cullami, invece, a dispetto del titolo, è un tunnel di suoni elettrici e
distorti mentre Petali, Dimmi che senso ha e Arida rappresentano tre variazioni sui temi cari alla musica italiana. Amore, amicizia, speranza, solitudine e aspettative sono gli argomenti che interessano maggiormente e quotidianamente il suo pubblico. In Emozioniamoci ora e Purché tua Emma ha modo di dimostrare la versatilità della sua bella voce roca con una grande alternanza di ritmi e suoni. Un vero e proprio puzzle nei quali è lei a trovare l’ultimo tassello da incastrare. Per concludere Dalle vene, Colori e On line riescono a mescolare al meglio tutti gli ingredienti precedentemente usati senza risultare ripetitivi ma anzi leggeri e orecchiabili. Il disco della Marrone, in fondo, rappresenta un ottimo prodotto del pop italiano contemporaneo. Emma si presenta per quella che è senza cercare di imitare nessuno. Sicuramente nella sua aggressività molti hanno visto una somiglianza con Gianna Nannini piuttosto che con Loredana Bertè. Emma ringrazia ma, alla fine, appare molto ben inserita nel contesto in cui viviamo.
Non una cantante che scimmiotta un passato che non può tornare ma un’artista in grado di sfruttare a suo vantaggio tutte le peculiarità dell’era digitale. Compreso il grandissimo appeal della televisione. A me piace così è un album che suona bene anche al quinto o al sesto ascolto e in grado di accompagnare egregiamente la nostra vita di tutti i giorni. Un colonna sonora da film? No ma sicuramente un disco che non annoia. E questo sarebbe già un buon motivo per ascoltarlo consapevoli del fatto che, ormai, anche i cantanti provenienti dai talent show sono stati completamente sdoganati. Il pubblico li ama e pensa di conoscerli anche come persone. Questo basta per giustificare le massicce campagne stampa che ne accompagnano ogni uscita discografica. D’altronde, the show must go on.
cultura
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è chi ha fatto la gavetta nella Street Art e chi, l’arte, ha preferito sfogarla sulla pelle ricoperta dai tatuaggi. Chi disegna fumetti e chi fabbrica art-toys. È la New Wave Pop che dipinge, s’incontra su myspace ed è orgogliosa d’esser figlia di Keith Haring, Jean-Michel Basquiat, Kenny Scharf, Takashi Murakami, Futura. Qui, grazie al cielo, c’è la pittura-pittura. Senza trucchi, geniale, talentuosa.
Alcune delle opere esposte a Milano nella mostra “Fantasilandia”: Gary Baseman, “The Acceptance Of Ooga”; Anthony Ausgang, “Which Way”; Nicola Verlato, “Meeting At The Crossroad”; Gabriele Arruzzo, “A Study For Santa Claus With Adam & Eve”; Gary Taxali, “Don’t Even”; Tim Biskup, “The Deep”; Eric White, “The Big Foist”; Heiko Müller, “Enunciator Revisited”
C’
La elaborano otto artisti, fino al 30 novembre, nella collettiva Fantasilandia alla galleria Antonio Colombo Arte Contemporanea di Milano. Uno più bravo dell’altro, accomunati da un dipingere che mette in circolo cultura di strada, cartoons sotterranei, intrecci da film noir, iperrealismo, favole vizio-
Mostre. Fino al 30 novembre, alla galleria Colombo, l’esposizione «Fantasilandia»
A Milano è di scena la “Pop fiction” di Stefano Bianchi blicitari e particelle massmediologiche, ogni sogno diviene visivamente possibile. Gli ospiti-fruitori si specchiano nei loro desideri più reconditi (e inconfessabili) che si animano, sbuffano, sgomitano dentro quadri che a loro volta riflettono quest’ultrarapida società del comunicare-non comunicare via Internet, email, sms, mms.
se in odor di David Lynch e beltà preraffaelite. Il tutto remixato, frullato, pigiato, spalmato, fino a ottenere il succo del Lowbrow (neologismo creato negli anni ’70 dall’illustratore Williams per sottolineare la forza di un movimento artistico nato dall’underground e schierato contro l’Highbrow, ossia l’élite culturale in decadenza) e l’essenza di un Pop Surrealismo che par di vedere Keith Haring mentre chiacchiera con Salvador Dalì, o André Breton scambiarsi complimenti con Andy Warhol e Marcel Duchamp. Fantasilandia cita l’omonima serie televisiva americana che dal ’78 all’84 raccontò di un’isola-vacanze dove gli ospiti potevano realizzare i loro sogni grazie a situazioni create ad hoc dagli eccentrici proprietari vestiti in total white: l’inappuntabile Mr. Roarke (l’attore messicano Montalban) e il nano Tatoo (il francese Villechaize). Bene: nel regno di Fantasilandia, mescolando scarti pub-
E se siete rockettari, mentre il vostro sguardo non potrà che perdersi nei meandri di questa nuova figurazione, penserete al punk, a certe claustrofobiche canzoni dei Cure, alle accelerazioni soniche dei Pixies. In rigoroso ordine alfabetico, in questo happening che
Arruzzo, ex graffitista, pittore dalla calligrafica precisione stile “ex voto”, che riempie i suoi fiabeschi quadri di sogni, incubi, uomini, donne, animali
mansueti e belve feroci. Il tutto accarezzato da purpurei cromatismi, supervisionato da un’orrorifica-burlesca Morte con tanto d’occhialini 3D e liberamente ispirato alla letteratu-
tifica le vetture storiche smaccatamente truccate) e li “psichedelizza” in situazioni pulp, fra Quentin Tarantino e l’ideologia post Pop. Gary Baseman, tra i fondatori del Pop Surrealism californiano nonché artista satirico fra i 100 più influenti secondo la rivista Entertainment Weekly, passa dagli acrilici su tela a tema infantile-morboso, ai personaggi da cartone animato (Chou Chou, Toby, Venison, Dunb Luck) che oltre a incarnare il suo alter ego vivono borderline tra fantasia e schizofrenica realtà, fino agli oggetti seriali (piccole vampiresche sculture in vinile, borse, cappelli) che gli hanno fruttato la definizione di “arti-
Gli artisti, uno più bravo dell’altro, sono accomunati da un dipingere che mette in circolo cultura di strada, cartoons sotterranei, intrecci da film noir, iperrealismo, favole viziose in odor di David Lynch e beltà preraffaelite spettacolarizza in chiave “dark” Alice nel Paese delle Meraviglie calzando a pennello una frase di Robert Williams («I miei quadri non sono stati concepiti per intrattenervi ma per intrappolarvi, mentre cercate di razionalizzarli»), ecco Gabriele
ra folk popolare d’Europa. Anthony Ausgang, guru del Lowbrow, s’inventa invece fumettistici gatti ghignanti alla Tex Avery, li piazza alla guida di bolidi customizzati (cultura “bassa” dell’Hot Rod, letteralmente “bielle roventi”, che iden-
sta pervasivo” ben sintonizzato su ciò che disse il designer pop tedesco Jim Avignon a proposito d’arte democratica: «Meglio vendere mille opere a un dollaro, che un’opera a mille dollari». Tim Biskup, fra i primi pittori contemporanei a ricevere
la “benedizione”di Juxtapoz, rivista californiana fondata nel ’94 da Williams con lo scopo di “archiviare” e dare lustro a tutto ciò che è metropolitano, alternativo e sotterraneo, si rifà all’illustrazione americana degli anni ’50 (nello specifico a Jim Flora, autore di copertine di dischi e libri per l’infanzia) e transita con disinvoltura dai characters cubisti al Modpop (Modernism & Pop Art), intreccio in technicolor che scandisce i suoi arabeschi e i fiori che omaggiano Paul Klee e Joan Miró. Heiko Müller, interconnette icone religiose, pittura fiamminga e comics per dar vita a quadri sgargianti che amoreggiano col fantastico, l’ultraterreno, l’occulto, il mistico. Gari Taxali è probabilmente il più Pop fra tutti i neo-surrealisti. Di più: Vintage Pop. Nel senso che i suoi riferimenti sono i fumetti
del passato e l’arte pubblicitaria, trasferiti su copertine di vecchi libri e corredati da scritte e crittogrammi indiani padroneggiando un tratto essenziale, qua e là coscientemente infantile.
Nicola Verlato è invece il più pittore-pittore. Livido, titanico, michelangiolesco, ha avuto modo di esternare la sua arte alla Biennale di Venezia 2009, Padiglione Italia, con un ciclo di opere dedicate alla morte di James Dean. La sua tecnica, sublime, fa esplodere scenari dell’Apocalisse col rock che spesso balza in primo piano. Eric White è infine il mattatore dell’alterazione percettiva. I suoi lavori, cioè, visualizzano scene di vita sottilmente disturbanti che scrutano l’hollywoodiana borghesia degli anni Cinquanta protagonista di allucinazioni, bizzarrie, incontri di flaccidi corpi nudi. È il Pop Surrealismo, bellezza. Fascinoso, inquietante, tritatutto.
o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g L’IMMAGINE
Inflazione, dati Istat preoccupanti: rincari del carrello della spesa
Pollice su! Se il suo “vicino” dito medio sembra aver conquistato un posto d’onore nel centro di Milano (ci riferiamo alla scultura di Maurizio Cattelan in Piazza Affari) questo pollice monumentale, alto ben 12 metri, non passa certo inosservato nella prefettura di Linyi, in Cina
Nel mese di ottobre l’inflazione è tornata a salire: i prezzi al consumo sono cresciuti dell’1,7% su base annua. In particolare mi preoccupano i rincari del carrello della spesa. Uno studio ha fotografato dei cambiamenti nelle abitudini alimentari negli italiani, dovute all’impoverimento delle famiglie. Se prima il pranzo completo cedeva il posto ai piatti unici e fuori casa si consumavano sempre di più panini o pizza, o insalate, è stata riscontrata una crescita rilevante nel consumo di pranzi al sacco, cucinati a casa. Infatti, il 43% degli intervistati ha dichiarato di prediligere il pranzo al sacco per due motivi: spendere meno e mangiare sano. Una pausa pranzo composta da un primo, un contorno e una bibita costa circa dagli 8 ai 12 euro a persona, rispetto a una media che andava da circa 6 a 12 euro nel 2008 per un aumento di circa il 25% rispetto al 2008. Ritengo siano necessari interventi concreti da parte dello Stato al fine di arginare la grave situazione in cui versano le famiglie Italiane, le quali non riescono a fare fronte neanche agli imprevisti, quali le spese sanitarie. 338mila nuclei familiari sono stati soggetti a fenomeni di impoverimento per spese sanitarie o sociali; altre 992mila sono state costretti a sostenere spese per la sanità molto elevate rispetto ai propri redditi.
Ivano Giacomelli
CHI STA VIOLANDO LA COSTITUZIONE Quale Presidente sta violando la Costituzione? Il presidente del Consiglio che ne invoca l’applicazione, laddove all’articolo 88 essa prevede lo scioglimento di una sola Camera nei casi in cui la vigente maggioranza resti tale nell’altra? Oppure è il presidente della Repubblica ad agire in violazione diretta dell’articolo 94, indicendo immediate consultazioni di rito post sfiducia? Da tale articolo si evince che se c’è un governo in carica, il quale da meno di un mese ha ricevuto l’ennesima fiducia parlamentare, il cui premier non si è dimesso e contro il quale non è stata ancora approvata alle Camere alcuna motivata mozione di sfiducia il Colle non convocherà i presidenti di Camera e Senato come deve - invece - fare alla fine di ogni legislatura; quando o siano passati cinque
anni dalle precedenti elezioni o la (ex) maggioranza governativa sia stata sfiduciata in almeno un ramo del Parlamento. D’altronde la pazienza è la virtù dei forti e i liberi sempre più numerosi preghino e votino affinché la Patria non faccia la fine terrena di Eluana Englaro e della Costituzione italiana.
Matteo Maria Martinoli - Milano
SPEGNERE LA TV Il programma di Saviano ha mostrato ancora una volta che la televisione è scoop e basta. La gente è molto presa dalla diaspora tra destra e sinistra, come se dovesse occupare gli spalti di una guerra tra gladiatori, che è caduta come a Pompei, sopra alla testa di noi cittadini che avevamo votato il governo Berlusconi. Ogni battaglia fratricida sarà adesso l’insana consuetu-
dine dell’allontanamento dalla politica e dalle istituzioni. È mai possibile che se qualcuno, motivandolo con il rispetto verso i cittadini che hanno voluto tale governo, invitasse a spegnere la tv, si parlerebbe poi di dittatura in Italia?
Br
TUTELARE I LAVORATORI ANCHE SE NON SONO SU UNA GRU I lavoratori della Merloni non sono in cima ad una gru, ma meritano comunque attenzione da parte delle istituzioni. Non
L’OCCHIO DEL MONDO - Le opinioni della stampa internazionale a cura di Pierre Chiartano
vorremmo che l’assenza di iniziative estreme escludesse la crisi di questa azienda dalla risonanza mediatica, decretando automaticamente la rinuncia da parte del governo a compiere ogni sforzo possibile per salvare questa realtà produttiva. Quale sarà la sorte di questi operai e delle loro famiglie? Occorre innanzitutto la consapevolezza che una crisi economica comporta anche una crisi sociale. Si attende dal governo un gesto di attenzione attraverso provvedimenti concreti.
Luca F.
dal ”New York Times” del 18/11/10
I boriosi rampolli della nomenclatura cinese a censura non sempre funziona come vorrebbe l’orwelliana missione di ogni controllore di Stato. È successo anche in Cina, dove la storia della morte di una giovane ragazza è diventata la cifra «dell’impunità» del suo giovane assassino. «Sono il figlio di Li Gang» è invece diventata un ritornello ironicamente in voga. Un modo per dire «sono figlio di… ho diritto di non pagare per le mie colpe». Ora diventata una frase di uso comune in tutta la Cina, soprattutto tra i giovani. Ma cominciamo dall’inizio della storia.
la tradizione orale del passa parola è ancora forte e dove i terminale di questo sistema, le persone, sono tante, tantissime. A un mese dall’incidente tutta la Cina ne conosce la triste storia, tanto che la frase «sono il figlio di Li Gang» è diventata di uso comune per evitare grandi e piccole responsabilità. Anche nell’Università di Hebei molti studenti sono arrabbiati che questa vicenda sia scomparsa dai giornali. Fonti di Hong Kong affermano poi che, in Cina, la censura sia diventata veramente impopolare.
L
Alla fine di ottobre, una ragazza di nome Chen Xiaofeng stava andando sui pattini con un’amica. Erano nei pressi dell’Università di Hebei, nella parte centrale del Paese. Quando improvvisamente una Volkswagen Sedan era sbucata da dietro un angolo della strada a folle velocità, investendo frontalmente la poveretta. Chen aveva fatto un volo per l’impatto, l’altra ragazza si era rotta una gamba. Alla guida dell’auto pirata c’era un ragazzo di 22 anni, sotto l’effetto di stupefacenti. Aveva anche tentato la fuga. Fermato dalle guardie giurate dell’Università, aveva avvertito le guardie con quel sinistro monito: «sono il figlio di Li Gang». Vi domanderete, ma chi è Li Gang? Un rappresentante dell’apparato locale, uno che conta, uno il cui nome evoca timore. Si tratta del vicecapo della polizia di Baishi nel distretto di Baoding. Evidentemente un cacicco locale che non ha saputo educare il fi-
glio, se non all’arroganza del potere. Sul selciato della strada il giorno dopo rimaneva solo una piccola macchia di sangue, che sarebbe poi scomparsa come la vita della giovane Chen, figlia umile di una famiglia contadina.
La storia aveva i contorni precisi di un dramma popolare e i responsabili del partito comunista locale ne hanno immediatamente percepito il pericolo. Ragion per cui hanno cercato di mettere in moto la macchina obliteratrice della censura e la notizia, fatto salvo qualche trafiletto sui quotidiani, sembrava scomparsa. Non hanno invece tenuto conto dei meccanismi della comunicazione di un Paese dove
Blog molto conosciuti, come quello dal nome “vagamente” ironico di «Ministero della Verità», fanno sempre più conto per i propri scoop su documenti che vengono forniti dall’interno dell’amministrazione pubblica. Un documento del Dipartimento centrale della censura datato 28 ottobre, dieci giorni dopo l’incidente di Hebei, che impartiva direttive sul caso, è stato reso noto con questo sistema. L’avvocato della famiglia della ragazza morta si è visto revocare il mandato dai genitori di Chen, dopo qualche giorno, evitando così che il caso andasse al processo. Ogni volta che qualche sito web interviene sul caso, viene prontamente chiuso. I Gang sono entrati in azione. Le seconde generazioni delle nomenclature, quelle più arricchite, sembrano non avere freni nell’esercitare privilegi e arroganza. E pare che quando le famiglie dei potenti cinesi calpestino qualche poveraccio, le cose finiscano sempre nello stesso modo. pura.
opinioni commenti lettere p roteste giudizi p roposte suggerimenti blog LE VERITÀ NASCOSTE
Tre figli nati il 09/09/09, l’08/08/08 e il 10/10/10 GRAND RAPIDS. Non faranno certo fatica a ricordarsi la data del compleanno della loro terza figlia i coniugi Chad e Barbie Soper, di Grand Rapids nel Michigan. Infatti la piccola Cearra è nata il 10 ottobre 2010. Come dite? Ci sono tanti bambini che sono tanti bambini nati lo stesso giorno? Certamente. Solo che la coppia ha già altri due figli: Cameron, nata il 9 settembre 2009 e Chloe venuta al mondo l’8 agosto 2008. La coppia si è guadagnata (con un certo loro stesso stupore) una certa notorietà per questa curiosa coincidenza di date. Anche il medico della donna, intervistato, ha spiegato che in diciasette anni di attività non gli è
mai capitato qualcosa del genere. La domanda che viene fatta frequentemente alla coppia è se abbiano in qualche modo “organizzato” le nascite. I coniugi Soper spiegano di no, anche se puntualizzano che mentre la prima figlia è nata in modo completamente naturale, la secondogenita è stata fatta nascere in anticipo perché la madre aveva avuto problemi di emorragia nel precedente parto, e anche per la terzogenita è stata presa la stessa decisione. Ma, spiegano i coniugi, solo per motivi di salute, «non avevamo pensato alle
ACCADDE OGGI
FELICITÀ È SALVARE UNA VITA Il San Raffaele di Milano è da anni impegnato in un progetto sanitario a favore della popolazione colombiana che vive lungo i fiumi della Costa del Pacifico in villaggi spesso privi di elettricità, acqua potabile e fognature. Per raggiungere queste persone e offrire loro servizi sanitari, è stata costruita e varata la Nave Ospedale San Raffaele, una delle poche navi Ospedale non militari al mondo che, tramite missioni periodiche con personale medico italiano e colombiano, offre gratuitamente vaccinazioni, visite specialistiche e piccoli interventi, fermandosi alcuni giorni in ciascun villaggio. Fino al 28 novembre 2010 è possibile sostenere l’Associazione Amici del San Raffaele inviando un SMS solidale al numero 45507 da tutti i cellulari o chiamando lo stesso numero da rete fissa Telecom Italia, e donare così 2 euro in favore del progetto “Nave Ospedale San Raffaele”. L’intervento è finalizzato a potenziare le attività di prevenzione e di educazione sanitaria per bambini da 0 a 5 anni e per le loro mamme, intensificando campagne di vaccinazione e controlli sanitari di base.
www.sanraffaele.org
INSIEME CONTRO LE PELLICCE Scopriti animalista... diciamo no alle pellicce! E se hai ancora qualche dubbio, guarda pure i terribili filmati sulle modalità di allevamento ed uccisione di cani, gatti, visoni e volpi in Europa ma soprattutto in Cina per trasformarli in pellicce o in risvolti per le nostre giacche e souvenir. Invito le donne e gli uomini italiani a riflettere e a rinunciare a comprare sia le pellic-
e di cronach di Ferdinando Adornato
Direttore Editoriale Ferdinando Adornato
19 novembre 1969 Calcio: Pelé realizza su rigore al ’34 della partita fra il Santos (in cui milita) e il Vasco da Gama il suo millesimo goal. Solo Arthur Friedenreich avrebbe fatto meglio: 1329 reti 1977 Il presidente egiziano Anwar Sadat si reca in visita ufficiale in Israele, incontra il primo ministro Begin e parla davanti alla Knesset a Gerusalemme, cercando un accordo di pace 1978 Dopo 46 anni, si stabilisce il congresso a Madrid del Partito comunista spagnolo 1979 L’Ayatollah Ruhollah Khomeini ordina il rilascio di 13 donne e neri americani tenuti in ostaggio nell’ambasciata statunitense di Teheran 1984 Una serie di esplosioni nel deposito di prodotti petroliferi della Pemex a San Juan Ixhuatepec (Città del Messico), innesca un gigantesco incendio che farà circa 500 vittime 1998 L’Autoritratto senza barba (1889) di Vincent van Gogh viene venduto all’asta a New York per 71,5 milioni di dollari
Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Giancristiano Desiderio, Vincenzo Faccioli Pintozzi, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)
date, sicuramente non in modo intenzionale». Non ci resta che aspettare per vedere se Barbie e Chad metteranno in cantiere un altro figlio per l’11 novembre 2011, anche se la coppia assicura che tre figli sono abbastanza…
ce sia i giacconi, i cappotti con quel soffice pellicciotto che spesso non è altro che un cane o un gatto torturato ed ucciso in maniera crudele per la nostra vanità.
Walter Caporale
IMPOSTA/CANONE RAI Il piano straordinario che il direttore generale della Rai, Mauro Masi, ha presentato al Consiglio di amministrazione prevede di recuperare 100 milioni di euro dall’evasione dei canoni speciali, cioè il possesso di uno o piu’ televisori usati “fuori dall’ambito familiare nell’esercizio di un’attività commerciale e a scopo di lucro diretto o indiretto. Per esempio, alberghi, bar, ristoranti, uffici, enti e amministrazioni pubbliche, imprese. I canoni speciali hanno vari importi, che arrivano fino a 6510,13 euro. A questo scopo la Rai userà la struttura già esistente, composta da 120 accertatori, che sarà potenziata con ulteriori 50 agenti mandatari, a costo zero per l’azienda in quanto verranno retribuiti a provvigione. Era ora che la Rai si accorgesse anche degli apparecchi tv che sono in luoghi diversi dalle abitazioni private: un’evasione fiscale, che era tale per esplicita mancanza di iniziativa della Rai stessa, iniziativa che, invece, è sempre stata continua nei confronti delle famiglie. Ma, nonostante le “miti” pretese e gli scarsi mezzi (170 accertatori per tutta Italia), bisogna fare molta attenzione perché Masi ha precisato che queste persone verranno pagate a provvigione.Visto come questi signori si comportano con le abitazioni domestiche, perché non dovrebbero fare altrettanto per gli uffici?
Vincenzo Donvito
Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci, Robert Kagan, Filippo La Porta,
Direttore da Washington Michael Novak
Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni)
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Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale
Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Collaboratori
Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi,
Maria Pia Ammirati, Mario Arpino,
Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci,
Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi,
Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi,
Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi,
Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini,
RELIGIONI A CONFRONTO Il Padre rabbino Piattelli, il Figlio don Righetti, lo Spirito Santo imam Layachi. Così si potrebbe riassumere la perfezione trinitaria o cabalistica del numero tre in un’unica verità. La fusione nel nome della pace di queste tre religioni potrebbe essere una soluzione concreta di un ideale astratto, rincorso nei secoli. Ebrei, Cristiani (Cattolici nello specifico) e Musulmani, amici che desiderano condividere la felicità. Il tutto con la regia organizzativa di Mildred Camarra e la conduzione del dibattito da parte del giornalista Carlo Alberto Delaini. Sala Montanari la sera di mercoledì 10 novembre si presenta esaurita in ogni ordine di posto e Giove Pluvio non ferma la voglia di confronto che si respira alla Società Letteraria di Verona. Abramo èil padre di tutte e tre le discendenze. I giusti di tutti i popoli della terra e coloro che temono Dio guadagneranno il regno dei cieli, approdo premiale d’Israele. Non bisogna cimentarsi su ciò che divide ma affrontare di più i temi che uniscono, ad esempio il rispetto delle minoranze come può essere perfino la condizione femminile nelle varie fedi o la ricerca del trascendente unico pur nella pluralità della radice di Elohim. Don Righetti rimarca che ci sono gli slittamenti in cui una piccola comunità sceglie di santificare non più il sabato ma la domenica, quelli in cui dalla sinagoga si passa alla casa-chiesa e infine la legge che si completa nelle parabole di Gesù. Lo Spirito Santo è il mistero e il principio della comprensione del Cristo. Gesù ridiviene il verbo originale di Dio nel mondo, il Kerigma, e questa è la differenza rispetto all’ebraismo e all’Islam. Tu vali perchè sei amato da Dio. Sentimento comune alle tre fedi. Federico Fellini vedeva nel visionario il vero realista: colui che vive la storia osserva un ampio orizzonte e non si sofferma solo su ciò che può pesare e misurare. Liberamente riesce a spaziare coi propri pensieri oltre il celeste confine! L’Imam si apre al dialogo interreligioso. Il rapporto con la diversità delle credenze altrui ci fa crescere. Allah avrebbe potuto creare un’unica comunità. La pluralità è voluta per la maggior edificazione del fedele. È l’uomo che deve gestire le differenze e trovare in esse il bene. L’essere umano ha bisogno dell’altro. Le stagioni cambiano così come gli uomini ma la scelta del dialogo è irreversibile. I veri credenti sono coloro che cercano di migliorarsi grazie alle persone e alle loro parole. Ecco allora che dobbiamo vivere come figli di Abramo, da cui tutti discendiamo. Le religioni sono venute ormai tutte ad abitare l’Europa Per un impegno comune e concreto ci vorrebbe un’apertura e una crescita delle cosiddette scuole di religione, dove tutti abbiano diritto di domicilio. L’articolo è finito andate in pace. Edoardo Pozzani C I R C O L I LI B E R A L VE R O N A REGOLAMENTO E MODULO DI ADESIONE “VERSO IL PARTITO DELLA NAZIONE” SU WWW.LIBERAL.IT E WWW.LIBERALFONDAZIONE.IT (LINK CIRCOLI LIBERAL)
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ULTIMAPAGINA Curiosità. Ahmadinejad le ama, ma non le ha mai indossate per rispetto al diktat dell’ayatollah Khomeini
Dopo l’atomica, la cravatta MADE in IRAN C di Osvaldo Baldacci
on quelle sue apparizioni sulle tv mondiali, si distingue per la mise. Nonostante le abnormità che dice, l’orecchio non riesce a distrarre l’occhio dallo stile delle vesti del presidente iraniano Ahmanedinejad. L’unico presidente iraniano laico in un regime di ayatollah, nonostante il suo fondamentalismo intransigente. Non può perciò giovarsi dell’abito religioso. Gli tocca trovarsi qualcosa da mettersi, e frugando nell’armadio non pare troppo fortunato nelle scelte. La giacca non manca mai, spesso sciatta. La cravatta invece quella no, non c’è mai, e non è un caso. In Iran il presidente guida la moda di quelli che la cravatta proprio no, ma giacca e pantaloni occidentali, si direbbe di terza scelta, quelli invece sì. Anche se senza cravatta sembrano un po’ trascurati, incompleti. Pare proprio che il presidente sia un po’ a disagio in questi abiti. Sebbene in pubblico sfoggi arditamente il nudo colletto della camicia, pare che in patria invece abbia più volte provato a difendere la cravatta, fino a spingersi a sostenere che nessun leader religioso ha mai chiaramente vietato l’uso di questo capo di abbigliamento. Ma il problema è che sulla cravatta c’è un bando ufficiale. La cravatta, considerata un capo d’abbigliamento occidentale e quindi simbolo della decadenza che dalla nostra cultura minaccia quella degli sciiti persiani, era stata vietata in Iran dopo la Rivoluzione Islamica del 1979.
Nei primi giorni della Rivoluzione chi veniva sorpreso con una cravatta rischiava l’arresto e in alcuni casi i militanti islamici provvedevano a tagliarla in segno di disprezzo. Simbolo di decadenza morale, la cravatta viene considerata una minaccia, potremmo dire un vero e proprio cappio al collo, e se ce lo dice un regime che di cappi al collo se ne intende così bene… Negli ultimi tempi per la verità alcuni iraniani indossano la cravatta in pubblico in occasione di funerali o matrimoni, ma la parte più conservatrice della società biasima questo comportamento. Ovviamente al fondamentale provvedimento komehinista si sono sempre adeguati i dirigenti di quella generazione di figli della rivoluzione di cui Ahmadinejad è il leader. A costo di non poter diventare un’icona della moda. Anche perché il tema è delicato, genera crisi ed evidenzia divisioni nel regime. Anzi le crea, se è vero che quest’estate le aperture del presidente alla cravatta gli hanno provocato una pesante ramanzina dall’ayatollah ultraconservatore Ahmad Khatami. Però qualcuno adesso si è preoccupato anche di questo, di diventare alla moda. E come l’Iran rivendica di dotarsi del suo nucleare, dei suoi aerei senza pilota, dei suoi missili e via discorrendo, così adesso prova a dotarsi anche della sua cravatta. Secondo l’agenzia Aki, la ha inventata Hemat Komeili e avrebbe già ottenuto l’approvazione degli ayatollah sciiti. La cravatta, disponibile in una gamma di colori tenui, ha una forma particolare in quanto ricalca la famosa spada dell’imam Ali, il cugino di Maometto che secondo gli sciiti era il legittimo successore del Profeta. Sul capo d’abbigliamento è ricamato un hadith, un detto tradizionale attribuito a Maometto. Chissà, forse alla fine il presidente Ahmadinejad potrebbe riuscire a
lo una simil-spada di Alì? Se ci si deve modernizzare, perché non un bel missile nucleare? E così è già pronta la prossima moda.
Considerata un capo d’abbigliamento “simbolo della decadenza occidentale” era stata vietata a seguito della Rivoluzione Islamica del 1979 scegliere una bella cravatta da sfoggiare almeno nei suoi viaggi internazionali, ma adesso un nuovo rischio è alle porte (dell’armadio): e sì, perché sbagliare cravatta è peggio che non metterla, e del gusto del presidente è lecito dubitare, se non altro per mancanza di allenamento. E poi il soggetto è incontentabile: siamo sicuri che si accontenterà dimettersi al col-
D’altro canto, non è solo la cravatta vittima di “insoliti” divieti in un Paese che da millenni era patria di gusto, raffinatezza, eleganza, bellezza, poesia. Non soffermiamoci sulla censura politica che ha messo al bando decine di pubblicazioni di informazione e paralizzato internet. È vietato anche presentare statistiche e rapporti su alcuni problemi sociali. Limitiamoci a ricordare che è vietata la parabola satellitare (comunque elemento tipico del paesaggio dei tetti iraniani…). Ma ci sono anche rigide regole tv: niente trucco per le donne e musica trasmessa a basso volume. A vecchie regole come l’obbligo di velo e la messa al bando di alcol, musica pop occidentale, cantanti donne e vendita di carte da gioco, si sono aggiunte nuove prescrizioni. Gli uomini non possono lavorare come commessi nei negozi di biancheria intima femminile. Prese di mira dalla polizia religiosa le giovani donne considerate “malvelate”, ma anche uomini che sfoggino magliette con scritte in inglese o proprietari di cani che portino a spasso i loro amici a quattro zampe, considerati “impuri” dall’Islam. Dai libri di storia sono stati epurati i nomi dei re. Inutile dire che è vietato per uomini e donne stare insieme, ballare, partecipare a feste. Ma la cravatta intanto cerca una sua via.