2010_12_11

Page 1

mobydick ALL’INTERNO L’INSERTO DI ARTI E CULTURA

di e h c a n cro

01211

9 771827 881004

di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • SABATO 11 DICEMBRE 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Tutte le nostre rivolte, dice il più anziano dei democratici, «sono iniziate e finite con il sangue. È il momento di Charta ’08»

La rivoluzione di Liu

Obama: «Questo è un grande giorno, merita il Nobel più di me» Evento storico a Oslo: consegnato il premio per la pace alla sedia vuota di Liu Xiaobo E il “padre nobile”della dissidenza, Bao Tong, racconta: «Così stiamo cambiando la Cina» di Bao Tong

Inziativa della procura di Roma. Il Pdl: «Atto gravissimo»

i avvicina il centenario della rivoluzione cinese del 1911. Quella del 1911 è stata una rivoluzione che doveva far terminare la dinastia imperiale dei Qing e stabilire una repubblica. Il risultato è stato la fondazione della Repubblica di Cina, a cui è seguita la fondazione della Repubblica popolare cinese nel 1949. Per entrambe, la legittimità rimane nell’idea di “repubblica”. Un secolo dopo, la repubblica è ancora l’unica forma di governo universalmente accettata da tutti i cinesi. Per [giungere al] cambiamento sociale, i primi rivoluzionari hanno scelto - spesso sbagliando - il cammino della violenza. Fino a che al Sesto plenum del Sesto Congresso del Partito, Mao Zedong ha messo la rivoluzione violenta al livello di verità universale: «La presa di potere con la forza delle armi, risolvendo un problema con un atto di guerra, è il compito centrale e la forma più alta della rivoluzione. Il principio Marxista-Leninista della rivoluzione è valido universalmente, per la Cina e per tutte le altre nazioni». Ma questa non è una verità universale.

Il supermarket S dei voti finisce sotto inchiesta

Fini parla di clima da «calciomercato» mentre il premier ostenta ottimismo: «Noi governeremo fino al 2013» Andrea Ottieri • pagina 8

Intervista al leader dell’Api, Francesco Rutelli

«Comunque vada, non può reggere il governo Berlusconi-Scilipoti» di Errico Novi

«La violenza del Partito non ferma la nostra lotta» La vera storia dei martiri di Tiananmen è scritta per le strade di Pechino e nelle pagine di Charta ’08 Yang Jianli • pagina 3

Il presidente: «I suoi valori sono universali»

L’omaggio di Washington «Pechino lo liberi subito» In un messaggio alla Commissione di Oslo, il leader democratico scrive: «L’economia non basta»

a pagina 4

Barack Obama • pagina 2

Vertice franco-tedesco per una linea comune sul fondo di solidarietà

L’Europa va alla guerra dei bond L’asse Merkel-Sarkozy divide l’Unione sugli aiuti

ROMA. Non ha dubbi, Francesco Rutelli: quale che sia il risultato del voto di fiducia al governo Berlusconi, previsto per martedì 14 dicembre, l’esecutivo non potrà andare avanti: «Non è pensabile un governo retto da Silvio Berlusconi e Domenico Scilipodi». Il leader di Alleanza per l’Italia, unito a Pier Ferdinando Casini dell’Unione di Centro e Gianfranco Fini di Futuro e Libertà, suona il de profundis al premier. a pagina 9 seg1,00 ue a p agina 9CON EURO (10,00

Il discorso del rappresentante del dissidente

di Enrico Singer i rafforza l’asse tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy in vista del vertice di fine anno della Ue che si terrà il 16 e il 17 prossimi a Bruxelles e che dovrebbe definire una strategia si spera unitaria - per aiutare i Paesi più colpiti dalla crisi e per allontanare le minacce che, innescate dalle difficoltà di Grecia, Irlanda e Portogallo, pesano sulla stabilità dell’euro. Il cancelliere tedesco e il presidente francese hanno passato altre cinque ore a tu per tu, ieri a Friburgo.

S

a pagina 26 I QUADERNI)

• ANNO XV •

NUMERO

241 •

WWW.LIBERAL.IT

• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

19.30


prima pagina

pagina 2 • 11 dicembre 2010

La sedia vuota dove ieri Liu Xiaobo avrebbe dovuto ricevere il Premio Nobel per la pace. Alla sua sinistra il presidente della Commissione, Thorbjoern Jagland. In basso il presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Nella pagina a fianco l’installazione con la fotografia del dissidente montata a Oslo. A destra Yang Jianli, che lo ha rappresentato alla cerimonia

Il discorso del presidente della Commissione e il messaggio dagli Usa sono segnali preziosi per il movimento democratico cinese

La Cina è lontana

Premiato in absentia il primo dissidente dell’Impero di Mezzo. E l’Occidente, dopo le minacce di Pechino, riscopre il suo orgoglio a molti punti di vista, quella che si è consumata ieri in Norvegia verrà ricordata come una giornata unica. È la prima volta, infatti, che un cinese vince un qualunque Premio Nobel (quanto meno, cinesi residenti in patria); è la prima volta che alla cerimonia, in una qualunque cerimonia, si trovano insieme uighuri, han e tibetani; è la prima volta che il Premio viene dato a una sedia vuota. La Cina

D

di Vincenzo Faccioli Pintozzi ha perso la partita: quella che doveva essere un’enorme campagna al ribasso, per tenere nel silenzio l’assegnazione del riconoscimento al dissidente Liu Xiaobo, ha collezionato tante di quelle eccezionalità che rimarrà per molto tempo nella memoria collettiva. Un discorso (bellissimo) del presidente della Commissione, una lettura da parte della famosa attrice Liv Ull-

mann e un piccolo concerto di voci bianche, violino e pianoforte. Con questi eventi, e senza il tradizionale discorso del vincitore, si è conclusa a Oslo la cerimonia di consegna del Premio Nobel per la pace 2010.

La Commissione ha deciso di premiare la sedia vuota al posto del dissidente cinese Liu Xiaobo - autore del manifesto

democratico Charta ‘08 condannato a 11 anni di galera per la sua richiesta di maggior democrazia in Cina – per l’impossibilità di avere presente sul posto un qualunque familiare di Liu. Presenti alla premiazione il dissidente Yang Jianli, indicato dalla moglie del vincitore come “rappresentante” della coppia; la leader del movimento uighuro Rebiya Kadeer; il mini-

stro tibetano degli Esteri in esilio e diverse altre personalità della dissidenza cinese. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha inviato un messaggio alla cerimonia: «Liu Xiaobo merita il Nobel della pace molto più di me. Ammiro i grandi sforzi fatti da Pechino per far uscire i propri cittadini dalla povertà, ma anche i diritti umani sono un tema importante. Sono dispiaciuto che Liu Xiaobo e sua moglie non abbiano

Il presidente degli Stati Uniti chiede la liberazione del dissidente: «La Cina deve crescere, nell’economia e nei diritti»

«Merita il Nobel molto più di me» n anno fa, con stupore e umiltà, ho ricevuto il Premio Nobel per la pace. Si tratta di un Premio che ci parla delle nostre aspirazioni più elevate, e che è stato vinto da alcuni fra i giganti della nostra Storia e da attivisti coraggiosi, che hanno sacrificato tutto il possibile per la libertà e la giustizia. Liu Xiaobo merita questo premio molto più di quanto non lo meriti io.Tutti noi abbiamo la responsabilità di costruire una pace giusta, che riconosca i diritti e la dignità che sono insiti nella natura degli esseri umani. Si tratta di una verità che è contenuta anche all’interno della Dichiarazione universale dei diritti umani. Nelle nostre proprie vite, dentro le nostre nazioni e nel mondo, rimane ancora incompleta la battaglia per una pace giusta. Anche se procediamo nel sentiero del progresso. Nell’anno che si sta concludendo abbiamo assistito al rilascio di Aung San Suu Kyi, la leader birmana che ha vinto il Premio Nobel per la pace; eppure, al popolo birmano continua ad essere negata la democrazia che meritano. Jose Ramos Horta, altro grande attivista democratico, ha continuato

U

di Barack Obama nella sua battaglia costante per costruire una libera e prospera Timor Est. E da dissidente ha compiuto la transizione fino al ruolo di presidente. Sempre nell’anno appena compiuto abbiamo assistito anche all’annuncio della “pensione” per l’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, anche lui insignito del Nobel per la pace. La carriera di quest’uomo dimostra il potere universale della libertà e della giustizia, un potere capace di supera-

Il Premio ci parla delle nostre aspirazioni più nobili, ci stimola a dare il meglio di noi stessi nelle battaglie e sfide di ogni giorno

re ostacoli straordinari. I diritti degli esseri umani, connessi alla stessa natura dell’uomo, sono universali: non appartengono a una nazione, a una regione o a una fede specifica. L’America rispetta le culture e le tradizioni particolari che appartengono alle diverse nazioni. Noi rispettiamo lo straordinario risultato ottenuto dalla Cina, che ha tolto dalla povertà milioni di persone, e crediamo che i diritti umani includono quella dignità che deriva dalla libertà. Ma il caso di Liu Xiaobo ci ricorda che la dignità umana dipende anche dal percorso della democrazia, della società comune e dallo stato di diritto. I valori che sposa il dissidente sono universali, la sua battaglia è pacifica e deve essere rilasciato il prima possibile. Sono dispiaciuto dal fatto che a Liu e a sua moglie sia stata negata la possibilità di partecipare a quella cerimonia cui siamo stati io e Michelle lo scorso anno. Oggi, Giornata internazionale dei Diritti umani, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per portare i valori universali a tutti gli esseri umani.


prima pagina avuto la possibilità di partecipare alla cerimonia del Nobel, alla quale io e Michelle abbiamo preso parte lo scorso anno. Liu ci ricorda che la dignità umana dipende anche dai progressi in democrazia, la società aperta e lo Stato di diritto. I valori di Liu sono universali, la sua lotta è pacifica, e deve essere scarcerato appena possibile». Il presidente del comitato Nobel, Thosbjorn Jagland, aveva fatto sapere che - a causa della mancata presenza di Liu o di un suo familiare - non ci sarebbe stata la consegna formale del premio e dell’assegno da 1,5 milioni di dollari e che quindi “sarebbe stata premiata la sedia vuota”. E proprio l’espressione “sedia vuota”, insieme alla parola “Oslo”, è stata vietata sui siti internet cinesi dopo che i blogger locali hanno iniziato a mettere in rete foto di sedie vuote, con evidente riferimento a Liu Xiaobo.Continuano inoltre gli arresti contro gli amici del Nobel. Il regime di Pechino ha messo sotto stretta sorveglianza la casa di Liu Xia,

no intervenuti diversi veicoli della polizia cinese, che hanno sciolto la manifestazione senza tuttavia fare ricorso alla violenza. Certo, come desiderato da Pechino è mancata un’accusa diretta ai metodi anti-democratici del regime cinese; ma ogni cosa, ieri a Oslo, parlava di un’assenza troppo pesante.

A tutto questo va poi aggiunto il prezioso intervento di Bao Tong,“padre nobile” della dissidenza cinese, che ha scelto ieri per fare uscire dalla Cina un poderoso invito a ripartire da Charta ’08 per dimostrare che il Paese è emendabile dai crimini commessi sin dalla fondazione. E le mancate accuse alla Cina si sono trasformate in un lungo biasimo per un Paese che, senza dubbio, domina sull’economia mondiale; ma allo stesso tempo rischia di non cogliere l’ultima occasione possibile per puntare verso uno sviluppo democratico e pacifico. Perché era questa, alla luce dei fatti, la vera assenza pesante alla cerimonia di Oslo: Pechino ha im-

11 dicembre 2010 • pagina 3

Il discorso del rappresentante dell’ex docente alla cerimonia di Oslo

«L’onore della verità a chi soffre per tutti noi» «Questa sedia vuota non sia motivo di tristezza, perché la giustizia e la pace arriveranno in Cina» di Yang Jianli ignore e signori, grazie per essere venuti. Molti di voi hanno affrontato grandi distanze per essere qui a Oslo. Siamo venuti insieme per una causa comune, e spero che potremo incontrarci più tardi per parlare meglio dopo la cerimonia. Vorrei che, al momento di lasciare questo posto, fossimo al punto di salutarci come fratelli uniti per una causa. Innanzi tutto, permettetemi di ringraziare la Commissione norvegese del Nobel per la sua coraggiosa e visionaria decisione: assegnare il Premio per la pace a Liu Xiaobo. Il futuro proverà che questo è uno dei Premi più importanti nella storia stessa dei Nobel.Voi e io siamo qui, insieme, per onorare un uomo che è parte dei nostri pensieri, che si affaccia nel vostro e nel mio cuore. Abbiamo sorvolato cieli e viaggiato per chilometri per dire al mondo che crediamo nei valori in cui quell’uomo crede in maniera così fervente. Siamo qui per il nostro desiderio di pace, giustizia e libertà; un desiderio che brucia con forza nei nostri cuori e nelle nostre menti. La persona che vorremmo onorare ci è stata tenuta lontana. Si trova in un luogo di confine, un luogo che nessuno di noi vorrebbe conoscere. Chi è stato in posti del genere non vede l’ora di poter dire ai propri figli e ai propri nipoti che quei posti non esistono più, grazie al lavoro straordinario di persone come quell’uomo che, con la violenza, è lontano da noi. Siamo qui per festeggiare, ma la nostra gioia è macchiata dal dolore.

S

nezza e porta verso i diritti umani e la democrazia. Non possiamo e non potremo mai dimenticare il 1989. In quell’anno, le bandiere che sventolavano sopra piazza Tiananmen illuminavano il popolo che chiedeva libertà; ma i carriarmati sopraggiunti poco dopo hanno distrutto ragazzi e ragazze, schiacciando i sogni di un’intera generazione. Da allora, le Madri di Tiananmen non hanno mai smesso di piangere.

Fra coloro che hanno sofferto, coraggiosi eroi come Liu Xiaobo hanno continuato a portare avanti quel sogno, conside-

Le storie dei martiri di Tiananmen non sono mai state raccolte in un libro in maniera corretta. Invece, sono state scritte sulle strade della sofferenza e stampate sui muri della prigione

Nel municipio norvegese erano riuniti, tutti insieme, i leader dei democratici han, tibetani e uighuri. Tutti hanno voluto stringersi intorno all’ex docente in carcere, che li ha uniti nella lotta moglie di Xiaobo, e le abitazioni di altri dissidenti per evitare qualsiasi contatto con la stampa estera. Secondo il Chinese Human Rights Defenders, l’attivista e amico del premio Nobel, Zhang Zuhua, gli avvocati democratici Li Fangping e Teng Biao, il giornalista Gao Yu e altre decine di personaggi “pericolosi” sono stati costretti a lasciare la capitale e vengono sorvegliati a vista. Tuttavia, nonostante il ferreo controllo delle autorità, oltre cento persone hanno manifestato davanti alla sede delle Nazioni Unite a Pechino in occasione della giornata mondiale dedicata ai diritti dell’uomo e a poche ore dalla consegna del Nobel della pace.

Lo ha riferito una fonte dell’Onu: «C’era un nutrito gruppo di persone davanti alla nostra sede. Erano molti di più rispetto agli anni passati, in occasione della giornata mondiale dei diritti dell’uomo». Sul posto so-

pedito al proprio buonsenso di partecipare, e ha deciso di ignorare (o reprimere con la violenza) le richieste di un popolo che si affaccia al benessere e non ha più intenzione di vivere sotto il ferreo controllo di un’egemonia egoista e datata. Se Liu si fosse presentato al municipio norvegese, non avrebbe parlato contro la Cina; probabilmente avrebbe ricordato i martiri di Tiananmen, ascrivibili comunque alla presidenza di Deng Xiaoping, e parlato della necessità di una maggiore rappresentatività popolare nei gangli decisionali del Paese. Ma questa è una strada che non può che essere percorsa: la Cina registra decine di migliaia di proteste sociali ogni anno e combatte contro l’inflazione tenendo fermo (sempre con la forza) lo yuan. Senza la cooperazione popolare, il regime non sopravviverà. E senza la ricetta di Liu è destinato a crollare nel sangue.

Una festa è veramente una festa, quando il festeggiato è in galera, lontano dalla sua casa e dalla sua famiglia? E quale persona potrebbe coltivare pensieri felici quando la moglie di quest’uomo, senza alcuna ragione apparente, è confinata in una casa quando – come minimo – dovrebbe essere libera di stare qui con noi? Liu Xia: noi non possiamo dimenticarti. Hai servito con fede ammirevole tuo marito e questa causa. Ci hai invitato tutti qui e sei riuscita a far passare la luce di questo Premio al di là della nebbia che attanaglia la società cinese. La mia mente è piena di ricordi solenni: amici che vivono in Cina, che meriterebbero più di noi di essere qui a condividere l’onore di questo premio. Persone che, proprio come Liu Xiaobo, si sono imbarcate in un viaggio che dura dalla loro giovi-

randolo l’unico destino possibile. Hanno compiuto sacrifici tremendi, combattendo per la dignità umana e per il futuro dell’intera nazione. Le loro storie non sono mai state raccolte in un libro. Invece, sono state scritte sulle strade della sofferenza e stampate sui muri della prigione. A tutti i cari amici e i dissidenti che vivono in Cina, a tutti i prigionieri di coscienza e i loro familiari io dico: siamo qui stasera per ricordarvi. Siamo qui stasera per rendervi l’onore che meritate. Non possiamo dimenticare chi ha sacrificato la propria vita su piazza Tiananmen, coloro ai quali Liu Xiaobo ha dedicato questo Premio. Osserviamo un minuto di silenzio per onorare i nostri fratelli e le nostre sorelle che hanno dato la vita per la causa della libertà. Cari amici, nel vedere questa sedia vuota non sentitevi tristi; prendetevi per mano e sorridete. Perché la nostra lotta per la pace, la giustizia e la libertà continua a brillare con forza nei nostri cuori e nelle nostre menti.


l’approfondimento

pagina 4 • 11 dicembre 2010

Il “padre nobile” della dissidenza cinese sottolinea: «Solo la libertà può salvarci. Ma la libertà va pretesa, non sognata»

Gandhi a Pechino «Ogni rivoluzione cinese è iniziata con il sangue ed è finita peggio. È il turno della non violenza» di Bao Tong i avvicina il centenario della rivoluzione cinese del 1911. Quella del 1911 è stata una rivoluzione che doveva far terminare la dinastia imperiale dei Qing e stabilire una repubblica. Il risultato è stato la fondazione della Repubblica di Cina, a cui è seguita la fondazione della Repubblica popolare cinese nel 1949. Per entrambe, la legittimità rimane nell’idea di “repubblica”. Un secolo dopo, la repubblica è ancora l’unica forma di governo universalmente accettata da tutti i cinesi. Per [giungere al] cambiamento sociale, i primi rivoluzionari hanno scelto - spesso sbagliando - il cammino della violenza. Fino a che al Sesto plenum del Sesto Congresso del Partito, Mao Zedong ha messo la rivoluzione violenta al livello di verità universale: «La presa di potere con la forza delle armi, risolvendo un problema con un atto di guerra, è il compito centrale e la forma più alta della rivoluzione. Il principio MarxistaLeninista della rivoluzione è valido universalmente, per la Cina e per tutte le altre nazioni». Sebbene questo supremo ordine ha cambiato il destino della Cina, [va detto che] purtroppo esso non è una verità universale.

S

Le folle adirate che si rivoltano contro l’oppressione facilmente tendono verso la violenza. La via della rivolta è spesso comprensibile; in alcuni casi essa è un dramma che ispira fino alla grandezza epica. Eppure, anche se le rivolte possono aiutare a liberare l’ira, esse potrebbero non risolvere i problemi sociali. La leggenda secondo cui “uno scoppio di collera spinge la nazione in uno stato di tranquillità”non è altro che un detto con nessuna base di verità. Vi sono stati Chen Sheng Wu Guang; le Sopracciglie rosse; i Turbanti gialli; la setta del Loto bianco; il regno celeste del Taiping; la rivoluzione dei Boxer e diverse altre associazioni ribelli, gruppi, bande e partiti; Zhu Yuan Zhang è divenuto imperatore; Li Zicheng e Yuan Shi-kai avrebbero voluto diventarlo, ma fallirono; Wang Jingwei ha tentato un assassinio politico; Mao Zedong ha depredato i proprietari terrieri.

In duemila anni di uccisioni e conquiste, alcuni sono divenuti re, ma molti altri si sono trasformati in banditi. E cosa prova tutto questo? Che il potere può sorgere dalla canna del fucile; dalla canna del fucile si può fare un imperatore, come pure dittatori di diversi tipi; ma non [possono nascere] le istituzioni di una repubblica, né la protezione dei diritti umani per i propri cittadini. Le transizioni comprate con la lotta violenta non possono riflettere la volontà del popolo, che richiede un meccanismo di dibattito, negoziati, consenso e cooperazione per raggiungere gli scopi dello sviluppo sociale e della coesistenza pacifica. Essendo io stato soggetto a entrambe le repubbliche cinesi, userò la mia personale esperienza per testimoniare che la Repubblica popolare cinese si è allontanata dagli ideali di una repubblica, ancora di più

strie sono semplici strumenti ed estensioni del partito.

Tutti i media devono sottostare a una precisa linea del partito. La Costituzione protegge in modo inequivocabile la libertà di pensiero, di religione, di espressione, di pubblicazione, di assemblea, di organizzazione, il diritto a protestare e a tenere dimostrazioni; eppure nella realtà è molto comune essere imprigionati a causa del pensiero, della religione e del credo politico. Ogni cittadino di ogni professione – scienziato, artista, scrittore, avvocato, imprenditore, politico, soldato, o una persona comune – che abbia pensiero indipendente e amore per la libertà si sentirà senz’altro soffocato. E se sei definito “ostile” o “sospetto”, tutte le tue attività saranno soggette alla sorveglianza da parte del Partito-Stato. Liu Xiao-

Noi promuoviamo i diritti umani di base per tutti: ricchi o poveri, Han o minoranze, burocrati o comuni cittadini. Forti o deboli, i diritti basilari di tutti devono essere rispettati di quanto abbia fatto la Repubblica di Cina prima della cosiddetta “liberazione”. In quel tempo, quando tutta la Cina era Repubblica di Cina, il suo partito al governo, il Kuomintang, non era onnipotente. Oggi, il governo del partito unico del Partito comunista è divenuto molto più avvolgente. Sotto il Pcc, le elezioni offrono solo un candidato; le dimensioni esecutive, legislative, giudiziarie sono tutte sottomesse al Pcc. Intere istituzioni sociali, organizzazioni e indu-

bo ed io ci siamo conosciuti sotto la costante sorveglianza del Partito-Stato. Lui e sua moglie Liu Xia hanno cercato due volte di visitarmi a casa; una volta circa 10 anni fa e un’altra nell’autunno del 2007. In entrambi i casi sono stati fermati dalla polizia che esercitavano in tal modo il ruolo di “garanti della legge”. Siccome le autorità hanno bloccato questi due cittadini ad essere accolti come ospiti nella mia casa, tutti e tre siamo andati in una tea-house. La polizia, con tutta la loro magnanimità, ha permesso questo e si sono seduti circondandoci e osservandoci, alcuni vicino, altri più lontano. Andare fuori a bere un tè una o due volte al mese è divenuta un’abitudine per noi e abbiamo continuato così per più di un anno. Poi nel 2008 Liu Xiaobo è stato “legalmente” arrestato. Siccome lui non poteva più venire a bere il tè, Liu Xia veniva da sola. Dopo l’8 ottobre di quest’anno, quando è giunto l’annuncio che a Liu Xiaobo è stato assegnato il Premio Nobel per la pace, a me e a Liu Xia è stato proibito di prendere il

tè insieme,“secondo la legge”. In effetti, le nostre libertà personali sono state sequestrate da un’autorità che “migliora” di continuo nell’arte di governare secondo “regole” che non sono state mai rivelate a nessuno.

Ma odio mettere in luce questi fatti così banali: se pensiamo al tempo in cui 40 milioni di persone morivano di fame, sembra che noi in realtà viviamo nell’epoca migliore per i diritti umani, sotto la Repubblica popolare cinese, anche se questa è una repubblica senza un governo eletto e senza le istituzioni caratteristiche di una repubblica. Con esempi senza numero di violenze contro violenze nel passato e nel presente, gli estensori di Carta 08 hanno imparato che la violenza non può costruire una società moderna e civilizzata (cfr: Il testo integrale di Carta 08, per i diritti umani in Cina). Perché in Cina nasca l’idea dei diritti umani basilari, l’unico via è la strada della ragione e della pace. Non c’è altro modo. Noi non siamo d’accordo con [la frase]“il potere dalla canna del fucile”, benedetta da Mao come una verità universale. Noi vogliamo osservare i principi di una lotta pacifica, non violenta e legittima per una semplice ragione: usando


l’approfondimento priati delle loro terre e dei residenti delle città cacciati fuori delle loro case. Si dovrebbe riconoscere i diritti basilari delle vittime delle ingiustizie del passato e di quelli soggiogati dalla polizia alla “riforma attraverso il lavoro” (laogai), mediante strumenti extra-giudiziali. Ci dovrebbe essere rispetto anche dei diritti dei prigionieri condannati: non ci dovrebbero essere sparizioni, torture o implicazioni illegali. Perfino la “Banda dei Quattro”avrebbe dovuto avere gli stessi diritti, compreso il diritto alla petizione e rivelare le direttive pubbliche o segrete [ricevute da] Mao Zedong, per rivelare l’ampiezza delle loro responsabilità. A giudici e pubblici ministeri non dovrebbe essere permesso di proibire a una persona di difendere

11 dicembre 2010 • pagina 5

ad altri ogni possibilità di sovvertirla. Liu Xiaobo è stato condannato “secondo la legge” per un “crimine” [che è] tentare di salvare la repubblica, dopo che i suoi principi e ideali sono stati derubati. Questo è tutto. Alcuni possono anche aver pensato che egli volesse salvare la repubblica “sovvertendo il Partito comunista”. In realtà, lo statuto del Partito dice che “il Partito comunista deve condurre le sue attività all’interno dei limiti della costituzione e della legge”. In altre parole, il potere del Partito comunista dovrebbe essere limitato per salvaguardare gli ideali della repubblica e la costituzione e per debellare la corruzione e la degenerazione del Partito. Limitare il potere del partito era uno scopo disciplinare auto-imposto

Ci accusano di “sovvertire la Repubblica popolare”. Ma cos’è una repubblica? Essa è (dovrebbe essere) una forma di governo che mette i diritti politici dei suoi cittadini al di sopra di tutti gli altri se stesso in tribunale, nel loro tentativo di mantenere alta l’immagine gloriosa del Partito.

Alcune persone hanno accusato Liu Xiaobo e gli altri di noi che hanno firmato Carta 08 di “sovvertire la Repubblica popolare cinese”. Ma cos’è una repubblica? Essa è una forma di governo che mette i diritti politici dei suoi cittadini al di sopra di tutti gli altri, come definito dall’art. 2 della Costituzione cinese. Questo è anche lo scopo di Charta ’08. Noi siamo decisi a proteggere la repubblica, non a sovvertirla. metodi incivili è impossibile raggiungere fini civili. Nel partecipare alla stesura di Carta 08, lo scopo di Liu Xiaobo era quello di promuovere i diritti umani e la sua via era quella della lotta non violenta.“Diritti per tutti, attraverso mezzi pacifici”: è questo il proposito di Carta 08 e noi crediamo che questa è l’unica strada verso una società moderna e civile in Cina. Noi siamo grati al Comitato per il Nobel per aver assegnato il premio per la Pace di quest’anno a Liu Xiaobo. Esso è una calorosa benedizione da lontano per questa nazione con un quinto della popolazione mondiale.

In verità, il nostro credo non è condiviso da tutti. Alcuni credono che sia necessario solo opporsi a parole contro gli speciali privilegi, mantenendo in realtà tali privilegi per coloro che“sono fatti di uno speciale sostanza”.Al contrario, noi crediamo che dobbiamo agire per abolire questi privilegi in termini reali, per realizzare l’articolo 2 della Costituzione cinese: “Tutti i cittadini della Repubblica popolare cinese

Operai alla Porta del Cielo. Sopra, foto di gruppo dell’800. Nella pagina a fianco, Bao Tong

sono uguali davanti alla legge”. Noi promuoviamo i diritti umani di base per tutti i cinesi: ricchi o poveri, Han o minoranze, burocrati o comuni cittadini. Una società non è mai un’entità omogenea. Per natura vi diversi saranno gruppi di interesse. Ci possono essere alcuni “uomini fatti di speciale sostanza”, ma ci sono senz’altro molti uomini comuni, fatti di sostanza non speciale. Forti o deboli, i diritti basilari di tutti devono essere rispettati.

Mao Zedong ha creato i “Sei standard”; Deng Xiaoping ha stabilito i“Quattro principi cardinali”; il loro successore ha proclamato le “Tre rappresentanze”. Queste ideologie che vengono a sei, a quattro o a tre, possono essere giuste o sbagliate, e naturalmente vi saranno persone che sono d’accordo o non d’accordo o fortemente contrari. Ci saranno sempre quelli che sono a destra, a sinistra o neutrali.Tutti dovrebbero avere diritti uguali. Si dovrebbe riconoscere i diritti basilari dei contadini espro-

In effetti vi sono persone che hanno sovvertito la Repubblica popolare cinese e due di essi sono piuttosto famosi. Il primo è Mao Zedong che si è vantato di «non essere legato ad alcuna legge o precetto divino». Il sistema che egli ha creato ha concentrato tutto il potere nelle mani del Partito che lui ha guidato, non lasciando nulla al popolo se non il diritto di obbedire. Un altro è Deng Xiaoping che ha iniziato e ha guidato il massacro di Tiananmen. Il sistema da lui approntato era: «Quando Mao era il leader, egli era anche lo Stato; se io sono il leader, io sono lo Stato; e nel futuro, il mio successore sarà lo Stato». «Tutto il potere appartiene al popolo», la garanzia dei diritti per oltre un miliardo di persone è stata resa totalmente insignificante. Questo è il modello cinese e il sistema cinese. Se può essere chiamato repubblica, esso non è quel tipo di repubblica che è universalmente riconosciuto, ma piuttosto una “Repubblica con caratteristiche cinesi”. Nessuno che pensi onestamente potrebbe contare la Rivoluzione culturale e il massacro di Tiananmen come dei prodotti repubblicani. Perciò, è evidente che la Repubblica popolare cinese è da lungo tempo stata sovvertita da Mao e Deng, negando

dal partito stesso. Come si può definire“sovversione”la richiesta che il Partito comunista onestamente e concretamente si comporti secondo i suoi statuti? Coloro che cercano di usare queste accuse contro Carta 08 non conoscono gli statuti del Partito (o gli ideali originali della rivoluzione del 1911). Uno può guardare verso queste persone con commiserazione per la loro ignoranza, ma non dovrebbe prenderli mai sul serio.

Diritti per tutti, attraverso mezzi non violenti. Questo credo determina in se stesso che non abbiamo nemici (e non possono essercene), non alla nostra vista o nei nostri cuori. La costituzione non permette le suddivisioni della cittadinanza. Ciò significa che non ci dovrebbe essere divisione fra il popolo e alcuni “nemici”, nessuna “lotta e violenza” extra-giudiziaria contro qualcuno. Liu Xiaobo è stato bollato come “un nemico dello Stato”. Eppure al suo processo egli ha dichiarato: “Io non ho nemici”. Cosa ha voluto significare con questo? Egli voleva dire che rifiuta totalmente l’antiquato modo di pensare di Mao e di Deng che divide la nazione fra “popolo” e “nemico”. Liu ha dichiarato che “tutti i cittadini della Repubblica popolare cinese sono uguali davanti alla legge”. Ciò che Liu Xiaobo rappresenta non è l’odio, ma la speranza di realizzare i diritti per tutti attraverso mezzi pacifici. Anche se ora viviamo sotto nuvole di ostilità, i credo ancora che coloro che hanno sofferto e tutto il popolo cinese potrà vedere un giorno più luminoso di diritti e di pace. Solo a una nazione che protegge i diritti di tutti i suoi cittadini si può dare fiducia e ritenerla davvero responsabile per la protezione della pace mondiale.


diario

pagina 6 • 11 dicembre 2010

La Sicilia senza finanziaria?

Albertini fa un passo indietro

PALERMO. La Sicilia si avvia precipitosamente verso l’esercizio provvisorio, spettro di tutte le amministrazioni pubbliche. Nell’Isola, infatti, c’e’ il rischio concreto di non riuscire ad approvare in tempi utili (cioè entro la fine dell’anno) la legge Finanziaria. A sostenerlo è lo stesso presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo, che ieri ha spiegato: «Se l’Assemblea regionale siciliana, dopo aver affrontato il disegno di legge sui precari, si metterà a lavorare di buona lena, può darsi che si arrivi in tempo, in caso contrario, come sembra probabile, affronteremo l’esercizio provvisorio modificando il testo attuale ma senza arrivare, come lo scorso anno, a trascinarci fino ad aprile».

Fs vuole crescere in Francia

MILANO. L’ex sindaco Gabriele Albertini rinuncia a correre nuovamente per la guida di Milano come candidato del Nuovo polo contro Letizia Moratti e Giuliano Pisapia. Il parlamentare europeo del Pdl ha pubblicato sul proprio sito personale la lettera inviata ai triumviri del nuovo polo, Gianfranco Fini, Pierferdinando Casini e Francesco Rutelli. «Vi sono immensamente grato per l’altissimo onore che mi avete fatto nel propormi la candidatura a sindaco della mia città - si legge nella missiva di Albertini - Tuttavia, allo stato, non esistono tutte quelle condizioni, che, fin dall’inizio di questo nostro dialogo, vi ho rappresentato come necessarie e indispensabili perché possa svolgere un ruolo utile ed efficace».

ROMA. Ferrovie dello Stato si allargano in Europa. Duro contro l’apertura al mercato italiano a competitori privati, Mauro Moretti, ad di Fs, va all’attacco dei mercati europei: «Stiamo perfezionando un accordo con il nostro partner francese che è Veolia». Questo per dire che oltre che in Germania Polonia e Romania, Fs vogliono consolidarsi in Francia nel settore passeggeri e merci. E poi, non senza orgoglio, Moretti ha sottolineato che nel mercato europeo «non ci sono più solo i francesi della Sncf e i tedeschi dei Deutsche Bahn: ora siamo tre. E noi siamo i migliori e i più temibili perché in tre anni abbiamo fatto un balzo in avanti di due miliardi su tutti e tre i livelli del conto economico».

La Corte affronterà a gennaio lo «scudo» del premier, «in un clima più tranquillo, vista la concomitanza con il voto di fiducia»

Rinviato l’«altro» 14 dicembre

Di Siervo presidente della Consulta. Slitta la decisione sull’impedimento di Riccardo Paradisi i sono volute tre scrutini per arrivare all’elezione, per un voto di scarto, di Ugo de Siervo, il nuovo presidente della Corte Costituzionale, il trentaquattresimo della storia di Palazzo della Consulta. Un’elezione dunque faticosa e controversa al contrario dell’altra decisione chiave presa ieri dalla Consulta che ha confermato ufficialmente la volontà di spostare l’udienza sulla costituzionalità della legge sul legittimo impedimento. Udienza che dunque non si terrà più il 14 dicembre, giorno in cui è in programma la fiducia-sfiducia al governo, ma l’11 o il 25 gennaio. Lo spostamento della discussione, ha detto De Siervo, appare opportuno «per evitare un eccesso di sovraccarico mediatico» data «la curiosa coincidenza con il voto di fiducia alle Camere».

C

Ma chi è Ugo de Siervo? Sessantotto anni, sposato e con quattro figli, il magistrato è nato a Savona ma è fiorentino di adozione. Laureato a Firenze nel 1972 diventa professore incaricato nella Facoltà di giurisprudenza di Sassari e poi di Firenze, mentre nel 1976 vince il concorso a cattedra di diritto pubblico e va ad insegnare nelle Università di Salerno e Firenze. Attualmente è professore (in aspettativa) di diritto costituzionale presso la Facoltà di giurisprudenza di Firenze. Coordinatore del dottorato di ricerca in diritto pubblico presso l’ateneo fiorentino dal 1982 al 1993, è stato direttore di numerosi gruppi di ricerca in vari settori del diritto costituzionale

«Il 14 dicembre ci sarà molta rilevanza dei fattori politici. La Corte fa un altro mestiere e preferisce giudicare in un clima più tranquillo in cui ci siano meno letture improprie che noi favoriamo pinco pallino...». Così il nuovo presidente della Consulta ha spiegato il rinvio della seduta sul legittimo impedimento

e del diritto delle regioni e degli enti locali. De Siervo è anche autore di molti scritti di storia costituzionale, sistema delle fonti, libertà e diritti costituzionali, sistema regionale, processo di costituzionalizzazione dell’Europa. È stato anche componente dal 1970 al ’74 del Comitato regionale di controllo (Coreco) della Toscana, dal 1986 al 1993 del Consiglio superiore della pubblica amministrazione, dal 1997 al 2001 del Garante per la protezione dei dati personali. Il Parlamento lo ha nominato giudice costituzionale su indicazione del centrosinistra il 24

aprile 2002. Il suo mandato novennale alla Consulta scadrà il 29 aprile del 2011. Tra le numerose sentenze scritte come giudice costituzionale, quelle sul conflitto tra Stato e Regioni sul nucleare sono tra le più recenti.

Un favore al governo? il rinvio a gennaio dell’udienza sul legittimo impedimento? Il presidente della Consulta respinge ogni illazione in questo senso come un insulto: «Dire che la Corte abbia orientamenti precostituiti è profondamente offensivo per ciascuno di noi. Noi giuriamo fedeltà al presidente della Repubblica e la pri-

ma fedeltà è quella di essere imparziali, senza vincoli di appartenenza». De Siervo mette in chiaro dunque che la consulta è assolutamente sensibile al fatto di non essere confusa con un organo politico e torna a motivare la decisione di far slittare la pronuncia sul legittimo impedimento a gennaio: «preferiamo giudicare in un clima più tranquillo, spero non ci saranno letture improprie. Non regaliamo nulla, per il presidente Berlusconi lo slittamento del mese non cambia nulla». D’altra parte sono stati i due difensori di Berlusconi, diretto

interessato al provvedimento in quanto presidente del Consiglio, a chiedere in quei giorni di essere liberi. «Certo – dice il presidente della Consulta – la soluzione poteva spostare l’udienza al 15 dicembre ma c’è la sensazione netta che non si possa decidere immediatamente per la complessità della materia e quindi la decisione sarebbe comunque slittata a gennaio».

Meglio dunque avvicinare i due momenti, quello della discussione e quello della sentenza, «che fra l’altro danno a noi la garanzia di essere bene ag-


diario

ragioni&torti di Giancristiano Desiderio

Marchionne ripete: «Senza accordo, via da Mirafiori»

Il paradosso del Sud visto dal Nord

TORINO. Ormai è chiaro: Marchionne non vuole i vincoli contrattuali nazionali dei metalmeccanici sottoscritti sia dai sindacati sia da Confindustria. Dopo aver spiegato che la newco che gestirà lo stabilimento di Pomigliano d’Arco non aderirà a quel contratto, ieri ha spiegato che anche la società che gestirà Mirafiori non avrà vincoli. E ha aggiunto provocatoriamente in tono categorico: «Senza un accordo con i lavoratori dello stabilimento, l’investimento non si farà. Ci sono tantissimi siti produttivi, la Fiat è un grande gruppo con 240 mila dipendenti di cui meno di un terzo in Italia. In ogni caso, la mancanza di un accordo sarebbe un grandissimo dispiacere». Dal canto proprio, Emma Marcegaglia, benché sia di fatto «espropriata» del proprio ruolo di presidente degli industriali, ha commentato: «C’è un

giornati». Ma soprattutto c’è lo scrupolo, già manifestato da De Siervo, di evitare ogni effetto sovrapposizione tra quello che succede in Parlamento e le decisioni della Corte Costituzionale che non vuole essere confusa come un organo politico, mentre il 14, il 15 dicembre saranno giorni di grande rilevanza politica: «Noi facciamo un altro mestiere». Ma sembra davvero impossibile in questo clima surriscaldato, allontanare tutti i sospetti di parteggiamento. Se infatti a sinistra si legge il rinvio dell’udienza come un favore al premier a destra si sostiene invece che lo spostamento di un mese della pronunciamento significhi mantenere una spada di Damocle sopra la testa di Berlusconi. Il rinvio dell’udienza sul legittimo impedimento, comunque, era un’ipotesi già avanzata dal presidente Amirante ed è una decisione già resa nota alle parti per le vie brevi. Insomma, si fa capire dalla Consulta, non si fa un favore a nessuno e chi sostiene polemicamente questa tesi fa solo speculazione politica. A orientare i giudici verso gennaio comunque è stato soprattutto il parere che non si possa decidere in una settimana sul quesito sollevato, e che pertanto è meglio spostare tutto a gennaio.

L’elezione per un solo voto di scarto significa che la Corte è spaccata tra una maggioranza politica di destra o di sinistra? De Siervo replica nettamente anche a questa interpretazione del voto di ieri: «Nessuna motivazione politica: è stata accordata una preferenza alle presidenze brevi che hanno vantaggi soprattutto in un contesto politico così acuto perché diminuiscono il rischio di scontri parapolitici. Certo, le presidenze brevi (De Siervo terminerà il suo mandato alla fine del prossimo aprile) hanno anche controindicazioni perché non si possono programmare molto le attività». Certo, la Corte – ammette De Siervo – «forma i suoi giudizi seguendo una dialettica tra i

11 dicembre 2010 • pagina 7

investimento importante. Non c’è nessuna richiesta folle da parte di Fiat, non c’è nessuna lesione dei diritti». Del resto, Confindustria spera di ricucire lo strappo approntando un contatto specifico del settore auto. Ma Marchionne non ha ancora detto se è favorevole o meno a questa soluzione. La prima reazione sindacale è quella di Raffaele Bonanni che dice sì al nuovo contratto, purché prima la Fiat confermi i suoi investimenti in Italia.

Non si è rimandato il pronunciamento della consulta per fare un favore a Berlusconi

David Mills, l’avvocato inglese che - secondo il tribunale di Milano ha accetatto di essere corrotto per evitare una condanna a Silvio Berlusconi (nella foto in alto)

suoi componenti, la politica, quella dei partiti, incide poco». Anche il fatto che lui stesso sia stato eletto stamane al ballottaggio, superando di un solo voto il giudice Alfonso Quaranta, «vuol dire che ciascuno esprime le sue idee, non ci sono schieramenti rigidi abbiamo idee diverse, malumori, diverse origini professionali, un giudice è un po’ più di destra, un altro un po’ più di sinistra, ma con molta prudenza». A questo proposito pur senza citare apertamente il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, che in passato ha accusato la Corte di essere ”di sinistra”, De Siervo rincara la dose: «Quello che non si può dire è che è pacifico che la Corte abbia un suo orientamento. È sbagliato e profondamente offensivo». La decisione dei giudici costituzionali, «si forma liberamente» e quindi «l’ultima cosa che rileva è la politica intesa come contesa partitica».

Contemporaneamente all’annuncio del rinvio del giudizio sul legittimo impedimento il capo dell’Italia dei valori Antonio Di Pietro dava notizia di aver raccolto quasi due milioni di firme per i tre requisiti referendari ammessi dalla Corte di Cassazione contro la privatizzazione dell’acqua, il nucleare e, appunto, il legittimo impedimento. «Vogliamo chiedere ai cittadini se sono d’accordo con una legge porcata come il legittimo impedimento – dice Di Pietro con il suo stile sobrio – che tutela la casta e va contro i principi di uguaglianza sanciti dalla nostra Costituzione». Intanto le sorti della legge sono nelle mani della Corte Costituzionale. Se i 15 giudici della Corte a gennaio dichiarassero invalidata la legge per Berlusconi riprenderebbero i tre processi istruiti a Milano -- Mills e diritti tv Mediaset in primo grado e Mediatrade in fase di udienza preliminare. In caso contrario, tutto dipenderà dalla capacità del Cavaliere di rimanere in sella al governo, o come premier o come ministro, almeno fino all’autunno del prossimo anno.

di Giancristiano Desiderio e volete sapere chi sono gli uomini e le donne che hanno fatto grande Napoli dovete leggere il nuovo libro di Camillo Albanese: I personaggi che hanno fatto grande Napoli edito da Mursia. Sono settanta figure, dagli Angiò ai Borbone, da Vico a Croce, da Pulcinella a Totò che hanno reso Napoli protagonista nella storia d’Italia e nel mondo. I loro nomi, anche quelli più lontani nel tempo, ad esempio Federico II di Svevia, “stupor mundi”, vi sono senz’altro familiari. Ma chi è Camillo Albanese?

S

Un giornalista, naturalmente napoletano, che vive però a Milano ma ha la sua città nel cuore. La ricerca storica su Napoli e i suoi personaggi rappresenta un capitolo non piccolo del giornalismo napoletano e italiano. Il criterio che ha usato il giornalista per scegliere i personaggi di ieri, di ieri l’altro e di oggi - vi sono anche Sophia Loren e Gerardo Marotta - è più che personale perché si basa sul ricordo e la simpatia. Ma in questa “loggia di busti” vale la pena citare un personaggio che nella grande storia è secondario, ma che per la cronaca odierna di Napoli è esemplare: Nicola Amore. Chi era costui? «Il più grande sindaco che la città abbia avuto». Nel 1884 a Napoli c’era il colera e il sindaco la «sventrò, la modificò, la trasformò, dandogli il volto che noi oggi conosciamo». Nell’agosto del 1884 il colera proveniva dalla Francia via mare: penetrò nei vicoli, nei fondaci, nelle strade principali, nelle case dei poveri e dei ricchi. L’epidemia decimò la popolazione. Due mesi dopo, fatta la festa di San Gennaro, il colera cominciò a scemare fino a scomparire del tutto (ma non per sempre). Mentre Napoli contava i suoi morti, il sindaco Amore lanciò il suo grido quasi di battaglia: «Bisogna sventrare Napoli». Il ventre di Napoli, secondo il titolo del celebre libro di Matilde Serao, era stata la causa della diffusione rapida e incontrollabile del colera. Il grido d’Amore fu raccolto da molti e tra questi c’era anche Salvatore Di Giacomo che compose una delle sue più belle poesie: «Dint’ a stu vico ntruppecuso e storto/ manco lo sole se ce po’ mpzzà…». Il sindaco, che lottò contro il colera in prima persona «girando nei vicoli più oscuri e fetidi della città», ebbe da subito chiara l’idea sul da farsi e quando propose al governo di trasformare e risanare Napoli il presidente del Consiglio, Agostino Depretis - quello del trasformismo, per intenderci - disse: «Faccia Napoli tutti i sacrifici che può, al resto penserà lo Stato». È passato ben più di un secolo, ma i fatti di ieri sembra quasi che siano i fatti di oggi. Chissà che cosa avrebbe fatto oggi «il sindaco più grande di Napoli» con la spazzatura. La domanda, forse, se la sarà posta anche Camillo Albanese. La risposta potrebbe essere materia di un nuovo libro non meno interessante e avvincente: I personaggi che hanno fatto piccola Napoli. Ma la storia, come diceva un filosofo napoletano, non si fa del negativo.


politica

pagina 8 • 11 dicembre 2010

Sempre più invelenito il clima in attesa del voto di martedì. La maggioranza attacca la Buongiorno nentre Catone torna nel Pdl

Inchiesta sul supermarket La procura apre un fascicolo per corruzione sulla compravendita dei voti che Fini chiama «calciomercato». «Fatto gravissimo», tuona Cicchitto di Andrea Ottieri

ROMA. La procura di Roma ha aperto un’inchiesta sulla presunta compravendita di deputati avviata da Silvio Berlusconi per assicurarsi la fiducia in vista del voto di martedì. Si tratta di due fascicoli: uno riguarda l’esposto presentato da Antonio Di Pietro (e riguardante la discussa scelta di due suoi deputati Antonio Razzi e Domenico Scilipoti di passare con la maggioranza), l’altro è stato avviato precedentemente dai pm sulla base delle notizie pubblicate sui giornali in questi giorni. A svolgere le indagini sarà il procuratore aggiunto Alberto Caperna, ma dagli ambienti della procura si fa notare che provare da un punto di vista giudiziario la compravendita di deputati è estremamente difficile: occorrono prove certe dell’avvennuta corruzione in quanto «un parlamentare non ha alcun vincolo di mandato ed è libero di cambiare casacca mille volte». D’altro canto, come si ricorderà, un’inchiesta analoga venne avviata per la presunta compravendita di senatori in occasione della caduta del secondo governo Prodi, nel 2008. Le trombe del Pdl, comunque, si sono subito riempite del fiato di Fabrizio Cicchitto che si levato in protesta – manco a dirlo – contro la magistratura. «L’intervento della procura di Roma è gravissimo e apre una questione istituzionale molto rilevante perché costituisce una gravissima intromissione nella libera dialettica parlamentare». Così ha tuonato il capogruppo del Pdl alla Camera.

L’iniziativa formale della magistratura, comunque, arriva sulla scia di dure polemiche politiche per quello che da più parti viene definito uno spettacolo osceno. Gianfranco Fini, per esempio, ieri ha pesantemente ironizzato sul fatto che «da adesso inizia il calciomercato...» mentre sul fronte opposto l’altro cofondatore del Pdl, Berlusconi, anche ieri ha ostentato ottimismo dicendo che il suo « governo vuole mettere a frutto questi due anni e mezzo che ancora restano alla fine della legislatura e non si lascia prendere dalla temperie delle pazzie in corso». Ma fra i due fa scalpore la polemica

L’appuntamento del 14 dicembre potrebbe servire solo a dare la spallata finale al bipolarismo

Ma di quale vittoria va parlando il Cavaliere? di Enrico Cisnetto omunque vada a finire, sarà un disastro.Tutto congiura negativamente intorno alla data del 14 dicembre. E non solo perché 48 ore dopo c’è un appuntamento – il vertice dei capi di Stato e di governo Ue e l’Ecofin straordinario – che rende decisamente surreale quello del Parlamento italiano chiamato a decidere sulle sorti del Governo. No, il vero problema è che quale delle due ipotesi prevalga, fiducia o sfiducia, gli sbocchi restano oscuri e ben poco utili al Paese (tanto più nella contingenza economica caratterizzata dalla crisi della moneta unica e dell’eurosistema).

C

Vediamo perché. Prima ipotesi: Berlusconi ottiene la fiducia. Magari non quella di “quota 317” ma quella stiracchiata della metà più uno dei presenti. È un guaio, in entrambi i casi. E non solo per i nobili e meno nobili motivi dell’antiberlusconismo militante. È un guaio perché se così fosse, il risultato deriverebbe dallo spostamento di una manciata di parlamentari che certo non andrebbero né sul piano politico né sul terreno della stabilità e continuità di governo a rafforzare l’esecutivo. Insomma, il Cavaliere assesterebbe uno schiaffone sonoro ai suoi nemici, ma non si scrollerebbe di un grammo di dosso il peso dei problemi che lo hanno trascinato in questa situazione. E, di conseguenza, il governo non avrebbe alcuna chances non dico di far meglio di quanto fatto fin qui, ma neppure di continuare a galleggiare. Probabilmente lui stesso, o Bossi in sua vece, si ritroverebbe a fare questa valutazione, staccando la spina subito dopo il voto o un paio di mesi più tardi. Ma intanto la vittoria parlamentare – al di là della soddisfazione personale del premier e dei suoi fedelissimi, che possiamo già immaginare che toni assumerebbe – non darebbe alcun dividendo al Paese, anzi. Non cambia il risultato finale, però, anche nella seconda ipotesi, quella che Berlusconi vada sotto e sia costretto alle dimissioni. A parte che in questo caso Dio non voglia che si riapra la penosa questione della fiducia ottenuta al Senato (dove è probabile vada così) e non ottenuta alla Camera, ma in tutti i casi saremmo di fronte ad una crisi al buio di cui non sappiamo minimamente l’esito e che per questo si presta alle speculazioni dei mercati finanziari. Sarebbe così sia per la testardaggine del premier, che ha fatto abortire tutte le iniziative di mediazione che sono state tentate in queste settimane, sia per la scarsa consistenza tattica e strategica di coloro che han-

no aperto la crisi chiedendo a Berlusconi dimissioni preventive che era ovvio non avrebbe mai dato. Sul piano tattico, aver ascoltato nel volgere di poco tempo le indicazioni più diverse – e, spesso, contraddittorie – non ha certo favorito il cammino né delle opposizioni né dei finiani. Un momento erano per far saltare il banco, un altro per un Berlusconi bis: l’idea che se ne è tratta non poteva che essere quella di una “armata brancaleone”, piena di contraddizioni e senza un’idea precisa in testa di ciò che avrebbe dovuto e sarebbe potuto succedere. Ma, soprattutto, è apparsa desolatamente povera l’indicazione strategica di chi ha voluto la testa di Berlusconi. Si è capito solo la sottolineatura dei difetti del Cavaliere – per carità, tutti veri, ma era facile esporsi all’obiezione che l’uomo fosse così anche prima – mentre poco o nulla l’opposizione, vecchia e nuova, ha saputo dire circa i limiti dell’azione di governo e soprattutto circa le cose che si sarebbero dovute fare (e a maggior ragione si devono fare oggi) in alternativa. Non una proposta un po’ organica in materia di giustizia – proprio quella che si rimprovera giustamente a Berlusconi di non aver messo in campo – non una linea di politica economica che faccia capire cosa succederebbe se il governo cambiasse premier o addirittura “azionisti”.

Certo, da anti-bipolarista della prima ora, non mi sfugge il processo di trasformazione del sistema politico che avvierebbe un cambio a palazzo Chigi. Ma perché questo sia da un lato definitivo e dall’altro costruttivo, ci vuole ben altro che la somma del vecchio e del nuovo antiberlusconismo. Intanto perché così, come insegnano gli 16 anni, si rischia che Berlusconi stia sulla tolda di comando per chissà ancora quanto. E poi perché per aprire quella fase nuova che abbiamo chiamato Terza Repubblica – ultimamente è slogan pronunciato anche da chi non sa bene cosa voglia dire – ci vuole un “progetto paese”, non un po’ di livore a buon mercato. Sì, sono più che mai convinto di quello che ho detto all’inizio: comunque vada il 14 dicembre, sarà un casino. (www.enricocisnetto.it)

durissima innescata dal settimana cattolico Famiglia Cristiana che ha scritto: «I quotidiani sono pieni di dettagli su questo tariffario, rispetto al quale le mazzette di Tangentopoli sono acqua fresca. La sensazione – giunge il settimanale dei paolini - è che, se non tutto, quasi tutto sia vero. E che i trenta denari abbiamo assunto forme più moderne, ma senza cambiare significato».

Ci sono poi gli attacchi personali. Di uno è stata fatta oggetto Giulia Buongiorno, deputata e avvocato del presidente della Camera che il 14 dicembre non sarà in Aula perché è incinta. La Buongior-

Berlusconi adesso è ottimista: «Martedì avremo la fiducia e governeremo tranquillamente fino a fine legislatura» no se l’è presa con chi avrebbe insinuato un’assenza «dolosa non per ragioni legate alla mia gravidanza ma per ragioni politiche. È un attacco maschilista», ha ribadito. Più cauto il neo deputato di Noi Sud Antonio Razzi, uno dei due che giovedì hanno clamorosamente abbandonato l’opposizione dell’Idv per abbracciare Berlusconi pericolante: «Sul voto di fiducia mi rimetto alle decisioni del mio gruppo, Noi Sud. Decideremo lu-


politica

11 dicembre 2010 • pagina 9

Francesco Rutelli guarda oltre lo scontro del 14 dicembre: «Questo continuo mercato di voti per ottenere la fiducia risicata, magari per due voti è un monumento alla stagione dell’immobilismo berlusconiano». Nella pagina a fianco, Gianfranco Fini

Intervista a Francesco Rutelli: «L’abbraccio fra dipietristi e berluscones rappresenta l’atto finale del bipolarismo

«Comunque vada, non può reggere il governo Berlusconi-Scilipoti» di Errico Novi

ROMA. «Berlusconi dimostra ancora una volta di saper suonare un solo spartito. È un limite noto. Ma è anche un lusso che l’Italia non può permettersi». Francesco Rutelli non trascura di soffermarsi sull’ultima degenerazione di questa legislatura, cioè sul calciomercato. Ma esibisce sufficiente sangue freddo per rammentare che il problema vero è un altro. «È la risposta che l’Italia ha dato e continua a dare di fronte alla crisi. Che si tratti di Berlusconi o anche delle scelte strategiche di Tremonti la risposta è sempre la stessa: immobilismo. Ed è contro questo che il nuovo polo si candida a governare il Paese». Presidente Rutelli, certo il gran finale del calciomercato sconcerta e lascia anche impotenti, visto che all’origine di tutto c’è il fatale vizio dell’attuale legge elettorale. Se qualcuno era alla ricerca di una vera e propria sanzione della fine di questo ciclo politico, l’ha trovata nella ricerca di appoggio a Berlusconi da parte di esponenti dell’Idv. Basta questo a dire tutto. È un epilogo farsesco, su questo non c’è dubbio. C’è una distinzione chiara da fare. L’uscita di Fini dal Pdl è una rottura politica, ha un carattere politico. Così come alla categoria della politica vanno ascritte le dissociazioni che costarono la vita al governo Prodi, di cui facevo parte. Se oggi l’esecutivo di Berlusconi è in crisi è perché se ne va il cofondatore del partito di maggioranza. In queste ore invece assistiamo a qualcosa che di politico non ha nulla. Potrebbe esserci qualcosa di penalmente rilevante, forse. I pm non lo escludono. Siamo abituati a guardare al’aspetto politico delle questioni, non a quello penale. Anche all’aspetto etico, certo. Che in una situa-

nedì. Ma la mia opinione, da operaio, è che andare alle urne sarebbe ridare un dispiacere a tutti gli italiani». Oltre che a se stesso, naturalmente, giacché perderebbe i suoi legittimi privilegi di deputato. C’è poi da annotare la fine – per ora – della telenovela di cui è stato protagonista il deputato Giampie-

zione del genere emerge in modo fin troppo eloquente. E ripeto che non è irrilevante la provenienza dei casi più scabrosi, se così si può dire. Si riferisce alla contraddizione tra la retorica censoria dei dipietristi e le scelte dei singoli? Mi riferisco a esponenti di un partito che fanno opposizione in Parlamento con le magliette e i sacchi dell’immondizia e poi vota per Berlusconi. Non per infierire, ma ormai l’Idv ha sviluppato una solida tradizione da De Gregorio in poi. Potrebbe dipendere, direi, dal fatto che forse la selezione in quel partito non viene fatta sulla base della qualità. In Parlamento ma anche altrove. Penso al caso del senatore Carrara, forse il pioniere è lui, come a quello dell’unico rappresentante dipietrista al Consiglio comunale di Roma, passato immediatamente nella maggioranza di Alemanno. Rispetto la vita interna di tutti i partiti ma noi dell’Api conosciamo bene casi di persone assolutamente stimabili uscite dall’Italia dei valori anche perché deluse da questo andazzo e venute quindi nel nostro movimento. Mi riferisco soprattutto a esponenti cattolici. Passiamo al 14 dicembre: crede anche lei che Berlusconi cerchi la vittoria di un soffio per presentarsi al Quirinale e chiedere il voto anticipato? Ci sono tre possibilità. Primo, il governo potrebbe non avere la fiducia. A quel punto dovrebbe nascere una nuova maggioranza, ma dovrà trattarsi di una maggioranza ampia, non della mera somma delle opposizioni. Altrimenti si andrebbe co-

ro Catone, ex Pdl passato a Fli e ora – pare – tornato indietro: «Io non voterò la sfiducia al governo Berlusconi, per non andare incontro a una crisi al buio. In un momento tanto delicato per l’economia europea e anche per quella italiana, c’è bisogno di stabilità, soprattutto per essere credibili sui mer-

munque al voto. Può capitare che invece il Cavaliere se la cavi per il rotto della cuffia. Ma sarebbe una vittoria effimera. Questo caso ne implica in effetti anche un altro: Berlusconi si presenta al Colle presumendo che quei numeri risicati certifichino l’inesistenza di una maggioranza altrernativa. Ma non è detto che sia come lui presume: potrebbe formarsi una nuova maggioranza, con forze significative provenienti da quella attuale. È un’infinita palude, comunque. È così da un anno, se si vuole. Dalla bocciatura del primo Lodo Alfano. Una cosa è chiara: Berlusconi sa suonare un solo spartito. E in un momento di crisi così grave non possiamo permetterci di restare in una condizione simile. Il tono monocorde riguarda anche Tremonti. In particolare la sua convinzione che non si debbano fare riforme in tempi di crisi. È vero l’esatto contrario: proprio queste sono le fasi più adatte a introdurre grandi trasformazioni. Esempi? Prego. Il governo inglese non si sottrae dall’assumere decisioni impopolari. Quello tedesco si trova nella migliore situazione finanziaria, in Europa, eppure taglia 82 miliardi in tre anni mentre destina 12 miliardi aggiuntivi ai comparti della conoscenza. Lei dice: le differenze tattiche all’interno del nuovo polo non mettono in discussione la solidità della strategia complessiva. E aggiungo: è naturale, comprensibile che all’interno di Futuro e libertà ci siano dei turbamenti, delle difficoltà. Loro hanno sostenuto con convinzione lo schema bipolare sul fronte del centrodestra, così come ab-

L’immobilismo trionfa: un monumento alla stagione che ha bloccato l’Italia

cati finanziari italiani ed europei per la collocazione di 120 miliardi di euro di titoli di Stato che entro pochi mesi devono essere risottoscritti». Insomma, la nobile motivazione catoniana porta al governo un voto in più a giustificare l’ottimismo sempre più diffuso nella maggioranza.

biamo fatto noi in passato nel centrosinistra. Ma ora c’è un fatto nuovo: sono loro a essere usciti dalla maggioranza, ad aver sancito con un solenne giuramento, a Bastia Umbra, l’addio al governo. E sono loro ad aver firmato una mozione di sfiducia. Io sono convinto che in Fini e tra i suoi parlamentari ci sia grande determinazione. Lo dimostrano le parole chiare che in queste settimane hanno pronunciato sul governo. Il nuovo polo a Milano può ancora puntare su Albertini o è un’ipotesi archiviata? L’ho sentito oggi (ieri per chi legge, ndr) e mi ha detto: la mia è una rinuncia, non un rifiuto.Vediamo.Vediamo cosa avviene anche nelle altre città importanti, dove sicuramente c’è una grande richiesta di novità. Novità che il nuovo polo si propone di incarnare. Casini per primo ha proposto di dar vita in questa fase a un rassemblement. E noi dell’Api siamo determinati nel portare il contributo di una componente laico-riformatrice e ambientalista, oltre che cattolica e liberale. L’essenziale però è questo: i sondaggi ci dicono che i nostri consensi raddoppiano nel momento in cui ci presentiamo come alternativi agli altri due poli. Anche con tutte le diversità che ci sono al nostro interno. Queste costituiscono piuttosto la nostra forza. L’altra cosa essenziale è non tradire mai la nostra vocazione di coalizione fondata sull’obiettivo della crescita economica e del rigore nei conti. Siamo lo schieramento che mette al primo posto i grandi temi dello sviluppo e delle riforme. E appunto, abbiamo dalla nostra la forza e la potenzialità espansiva di chi unisce. Il merito di unire forze che provengono dal centrodestra, dal centro e dal centrosinistra. In un momento in cui tutti gli altri si dividono e puntano a dividere.

Fin qui, le questioni personali. Più generali, invece, paiono i dubbi del quotidiano del vescovi Avvenire il cui direttore Marco Tarquinio ieri commentava: «Riguardo alla possibilità di una formalizzazione della crisi di governo che è già in atto, io credo che nella situazione attuale dell’I-

talia una disordinata corsa alle urne sarebbe rischiosa e credo anche che soluzioni basate su governicchi risulterebbero quantomeno problematiche». Semmai, preseguiva Tarquinio rispondendo a una lettera di un lettore: «Serve un colpo d’ala e una generosa dose di lucidità».


società

pagina 10 • 11 dicembre 2010

Scaduti altri 30 giorni, per le strade ci sono ancora 1700 tonnellate di spazzatura ROMA. I cassonetti che traboccano. Gli albergatori che si scusano con i loro clienti listando a lutto il lungomare. La politica (di destra e di sinistra) che litiga sulle macerie e non trova un successore di Rosa Russo Iervolino. Persino la stampa romena che consiglia ai tifosi della Steaua di disertare la trasferta di mercoledì prossima. Questa oggi è Napoli. Con la città che, alla scadenza dell’ennesimo ultimatum di Berlusconi per ripulirla, si ritrova 1700 tonnellate di spazzatura ancora nelle strade. Se ci fosse una correlazione tra lo sviluppo e l’immondizia, allora Napoli potrebbe dormire sonni tranquilli: per il mese di dicembre si prevede una crescita del 15 per cento di rifiuti, che potrebbe dissuadere anche quei pochi coraggiosi turisti che intendono passare le festa a Napoli. Le cifre sono drammatiche: il 35 per cento di presenze in meno nei ristoranti, mentre Mario Pagliari, presidente settore turismo dell’Unione Industriali, parla di perdite in termini di presenza alberghiere che, per il solo Natale, ammontano a 300mila euro.

Appaiono davvero risibili le dichiarazioni di Nicola Cosentino, coordinatore campano del Pdl che, presentando la due giorni del suo partito, ha detto: «Saranno occasioni per spiegare come il governo Berlusconi abbia mantenuto le promesse fatte. Napoli è sicuramente più pulita di ieri anche se non sarà rispettato il termine fissato dal presidente Berlusconi. Bisogna però considerare che la burocrazia ha i suoi tempi e se la Puglia, giustamente, vuole verificare la qualità dei rifiuti che ha deciso di prendere, che passino pure alcuni giorni in più». Puglia, Toscana, Lazio, Emilia Romagna, Marche e Molise si sono dichiarate disponibili a ricevere l’immondizia napoletana. Ma il ministro per gli Affari regionali, Raffaele Fitto ha precisato che «l’accordo per accogliere i rifiuti della Campania è con tutte le Regioni alle quali il governo ha chiesto partecipazione. Non possono esserci regioni che non diano la loro disponibilità a prescindere. Ora verificheremo l’attuazione di questa intesa e se dovessero esserci altre esigenze». Con il ministro Fitto ha polemizzato ieri il governatore campano Stefano Caldoro che ha accusato il governo di essere «a trazione nordista. Questo porta a sottovalutare le straordinarie potenzialità che ci sono. Nella logica della gelosia non si fanno progressi e non c’è sviluppo». Uno sfogo che denota la pressione alla quale è sottoposto il presidente Cal-

Sommersi dai rifiuti e divisi sulle candidature Centrodestra e centrosinistra alle prese con le scelte per il successore della Iervolino di Franco Insardà

Una scena ormai consueta delle strade di Napoli; in basso Antonio Bassolino doro che oltre ai rifiuti si trova a fronteggiare il problema dei costi della sanità campana. Le strutture convenzionate, infatti, hanno chiuso per due giorni le proprie strutture a sostegno della richiesta di almeno quattro mensilitàarretrate alla Regione Campania, a fronte di una disponibilità di un miliardo di euro. Tra cumuli di spazzatura e sanità sul piede di guerra la due giorni del Pdl campano è in qualche mo-

do l’inizio della campagna elettorale per le comunali di Napoli, anche se il vice coordinatore regionale Mario Landolfi ha chiarito: «Quella del sindaco di Napoli è una scelta impegnativa che concorderemo sul territorio e anche a livello nazionale. Ma dobbiamo prima definire le alleanze, i programmi, poi penseremo al candidato». Al momento in casa Pdl sembrano essere calate le quotazioni di Marcello Taglialatela, autocandidato da tempo,

di Martusciello, qualche giorno fa ha dichiarato che la scelta sarà fatta durante una riunione tra i vertici nazionali e quello campano del Pdl. Sul versante di Futuro e Libertà, al momento, non sembrano esserci dubbi iper la candidatura dell’europarlamentare Enzo Rivellini, famoso per un suo intervento in napoletano a Strasburgo. Acque ancora più agitate nel centrosinistra dove il peso elettorale di Antonio Bassolino può risultare ancora deter-

pensa che le elezioni vere si vinceranno inventandosi all’ultimo momento coalizioni e poli. Io tutto questo lo lascerei da parte. Quello che è fondamentale è riprendere il dialogo con i napoletani». I riferimenti al “nemico” Bassolino sono chiarissimi nelle parole di Ranieri che in questa corsa alla candidatura dovrà vedersela con i compagni di partito gli ex bassoliniani Andrea Cozzolino e Nicola Oddati. All’orizzonte del centrosinistra negli ultimi giorni si è materializzata la candidatura dell’ex presidente della corte d’Assise di Bologna, Libero Mancuso, sostenuto dai firmatari dell’appello della “Città che vuole reagire”. Intanto Mancuso, in attesa di sciogliere la riserva, questa mattina parteciperà a una manifestazione al cinema Modernissimo.

Nel caos imperante, ieri, si è finito per notare di più il ritorno sulla scena napoletana di Antonio D’Amato. Da presidente del gruppo del Mezzogiorno dei Cavalieri del lavoro, ha organizzato una serie di faccia a faccia tra esponenti locali e nazionali. Aprendo il dibattito tra il ministro Fitto e il governatore Caldoro, ha ottenuto un lungo applauso quando ha sottolineato che «due anni fa Berlusconi è venuto a Napoli per risolvere l’allarme immondizia. Ma purtroppo di strutturale c’era poco, visto cosa è successo dopo». Un fallimento però imputabile soprattutto «alla scarsa responsabilità degli amministratori locali». L’ex presidente di Confindustria ha escluso la possibilità di correre per la poltrona di sindaco di Napoli: «Non c’è alcun rischio per una mia eventuale candidatura. Un imprenditore non può fare politica, ognuno deve fare il suo mestiere. C’è un problema fondamentale di conflitto di interessi.Fare politica è una cosa importante. E che richiede la scelta di terzietà rispetto al proprio mestiere di industriale quindi fare le due cose contemporaneamente non è assolutamente possibile né mi sembra giusto». Però in queste sue parole è stato letto il tentativo dell’imprenditoria locale di ottenere dai partiti prima delle elezioni garanzie sui candidati e sui programmi. Tutto questo e altro ancora mentre il sito rumeno Prospost.ro avvverte i tifosi della Steau: «State attenti». E per essere più chiari pubblica anche un spezzone di Gomorra, con tanto di esecuzione camorristica.

Un sito romeno consiglia ai tifosi della Steaua Bucarest di evitare la trasferta di mercoledì prossimo a Napoli e mette on line una scena del film “Gomorra” mentre anche il nome di Fulvio Martusciello, fratello di Antonio sfidante della Iervolino alla sua prima elezione, capogruppo del Pdl in Consiglio regionale, ha fatto registrare una battuta d’arresto. Infatti Nicola Cosentino, che a ottobre aveva lanciato la candidatura

minante. Intanto l’ex governatore incassa la prima vittoria: le primarie per la scelta del candidato a sindaco sembrano essere tramontate. Un epilogo che non fa piacere a Umberto Ranieri: «Sarebbe un errore rovinoso». Il fedelissimo del presidente Napolitano ha aggiunto: «Che ci sia qualche notabile che gioca al rinvio o qualcun altro che gioca al rimpiattino, chi evoca sospensioni ulteriori delle primarie, o chi


mobydick

INSERTO DI ARTI E CULTURA DEL SABATO

IL CRISTIANESIMO

Guida ai film di Natale

SECONDO ASLAN di Anselma Dell’Olio

offerta di film della stagione natalizia, almeno in teoria, è tra le più esperti di comunicazione del neo-presidente, che gli prognosticavano una ricche dell’anno. Iniziamo con le opere più impegnative, e alla fismagliante vittoria. Dopo essere salito a Downing Street Tony torna in Dal terzo ne diamo conto dei film di cassetta per il grande pubblico. I Usa per incontrare Bill (Dennis Quaid), noto per il suo charme da episodio delle maschio meridionale irresistibile per maschi e femmine; e infatdue presidenti, uscito ieri in Italia, racconta il «rapporti conquista pienamente il suo omologo british. to speciale» tra il presidente americano Bill Clinton, eletto “Cronache di Narnia”, da poco per la prima volta e popolarissimo, con il leaTra di loro si crea subito una salda intesa, basata su vial sodalizio tra Clinton e Blair. der dei laburisti britannici Tony Blair; infatti il tisioni politiche allineate, specie in questioni estetolo originale è The Special Relationship, terre, sulla determinazione di modernizzare la Da “American Life” a “MicMacs”. sinistra e sull’intento di lasciare un segno formine coniato da Winston Churchill per definiDa “The Tourist”, thriller con Depp e Jolie, ad te del loro passaggio nella stanza dei bottoni. Blair re il rapporto privilegiato di due nazioni storicaAldo, Giovanni e Giacomo. Impegnati è Michael Sheen, ormai specializzato nel ruolo dell’ex mente legate dalla lingua e radici culturali comuni. Blair primo ministro e perfettamente calzante, come in The Queen. aveva sconfitto l’estrema sinistra del partito laburista e cono di cassetta, ce n’è per divideva la Terza Via dell’americano, pragmatico, realista e postQuaid ha una parrucca clintoniana perfetta ma è costretto in un tutti i gusti... ideologico come lui. Di qualche anno più giovane e con il suo futuro da trucco pesante, per renderlo più somigliante all’originale, che penalizprimo ministro ancora incerto, prima va negli States per incontrare gli za la sua espressività.

L’

Parola chiave Ultimatum di Franco Ricordi L’arte della transizione trionfa alla Scala di Jacopo Pellegrini

NELLA PAGINA DI POESIA

Kavafis: il tutto in poche, scarne parole di Francesco Napoli

L’Unità d’Italia? Si fa a tavola di Nicola Fano La ricerca di Dio in un quadro di van Gogh di Sergio Valzania

Gli status symbol delle spose fiorentine di Marco Vallora


pagina 12 • 11 dicembre 2010

Il doppiaggio è ben fatto ma era impossibile riprodurre in italiano la vera forza interpretativa dell’attore: accento e calata che danno l’impressione di ascoltare l’affabulatore fantastico Bill. La struttura del copione e la regia sono televisive ma non diminuisce l’interesse per lo sguardo articolato su un rapporto tra due leader, sposati ambedue a formidabili avvocati di rango, Cherie e Hillary. Ripercorrere le crisi vissute dai due giovani leoni che hanno le sorti di due nazioni-guida in mano è di enorme interesse. Il ritmo è buono, e se la sceneggiatura dell’inglese Peter Morgan favorisce il suo connazionale, confidiamo che la sua preferenza sia già, e sarà in futuro, consolidata dalla storia. All’inizio è Bill la figura dominante; ma dopo l’affaire Monica Lewinsky e il ruolo di primo piano di Blair nel convincere l’americano a intervenire in Kosovo per fermare il massacro dei musulmani da parte delle truppe serbe di Milosevic, non c’è più gara. Da vedere.

In un mondo migliore di Susanne Bier ha vinto due volte al Festival internazionale del film di Roma: il premio della giuria qualificata e quello della giuria popolare. Elias, vittima di bullismo a scuola, è figlio di due medici separati; il padre Anton (Mikael Persbrandt) presta servizio umanitario in un campo profughi di una nazione africana in preda ai signori della guerra. La madre Marianne (Trine Dyrhom) sa che il figlio è oggetto di derisione e vessazioni ma le tensioni della coppia e le assenze del padre impediscono un fronte unito nella risoluzione del problema. Elias è soccorso da Christian, un nuovo compagno di scuola che aggredisce il bullo sadico con la pompa della bicicletta. L’autrice danese crea un legame piuttosto forzato tra l’istinto di legittima difesa che travalica e l’orrore di soldati africani che squartano le pance di donne incinte, scommettendo sul sesso del nascituro. La storia è ben articolata e ha ritmo. Lo schematismo pacifista è mascherato quanto basta. Da vedere. Le cronache di Narnia: il viaggio del veliero è il terzo film tratto dalla serie di romanzi per ragazzi di C.S. Lewis. Visto poco dopo Harry Potter e i doni della morte, non vi è dubbio per chi è poco incline al genere fantasy, che Narnia è l’opera migliore. Ci sono somiglianze nella trama, e del resto J.K.Rowling non ha mai negato di essere stata influenzata da Lewis, come molte generazioni di bambini inglesi. Noi propendiamo per il noto sottotesto cristiano di Narnia, che secondo noi è più godibile, interessante e di spessore dell’abracadabra potteriano. I due figli maggiori del clan Pervensie, ormai adulti, non sono più ammessi a Narnia. Il viaggio del veliero, dunque, si concentra sui due figli minori, separati dalla famiglia per lo scoppio della seconda guerra mondiale: Edmund (Skandar Keynes) e Lucy (Georgie Henley) con lo spocchioso cuginetto che li ospita, Eustace (Will Poulter). Diretto da Michael Apted, il terzo episodio ha un ritmo migliore del precedente; ci godiamo di nuovo gli animali parlanti. Il topo, il bisonte e il sublime, mistico leone Aslan sono un’autentica risorsa dei racconti. I tre ragazzi rientrano il magico mondo di Narnia attraverso il quadro di un mare in tempesta che si anima, e si ritrovano riuniti al bel principe Caspian, ora re, col quale partono per ritrovare i sette nobili perduti. La fotografia di Dante Spinotti è splendida, gli effetti speciali ottimi; il 3D non aggiunge e non toglie. Da vedere. Con «American Life» torniamo ai film per adulti. Uscito nel 2009 in Usa, il film di Sam Mendes (American Beauty, Era anno III - numero 45 - pagina II

il cristianesimo secondo

mio padre, Revolutionary Road) e la sceneggiatura di Dave Eggers (L’opera struggente d’un formidabile genio) e Vendela Vida, una coppia di romanzieri trendy e chic come pochi, faceva ben sperare.Verona (Maya Rudolph) e Burt (John Krasinski) sono una coppia di fatto in attesa del primo figlio.Trentenni con mestieri mobili e soldi sufficienti, partono on the road per scoprire il luogo ideale in cui finalmente diventare adulti e crescere una famiglia. Incontrano in giro per il nord America genitori egolatrici e amici frustrati, alcolisti, disperati o più politicamente corretti e insopportabili di loro. Il film è stato stroncato dalla critica ma i cinefili curiosi non vorranno perderlo. È un riassunto à la page di come vogliamo essere e non essere nel nuovo secolo. Da vedere.

«Cyrus» è un piccolo film proveniente da Sundance, con un triangolo d’amore corretto da insidie edipiche, su un anomalo rapporto madre-figlio turbato dall’arrivo di un terzo incomodo. Della coppia di registi della movida di Seattle Jay e Mark Duplass (Baghead), Cyrus vale per l’insolita storia e per i tre protagonisti superbi: John C. Reilly, Marisa Tomei e Jonah Hill. John (Reilly) è un ragazzone abbandonato dalla moglie (Catherine Keener, regina dei film indipendenti) per la sua incapacità di maturare e ancora attaccato alle sue compassionevoli gonnelle. È portato a viva forza dalla ex-moglie e il nuovo marito, stufi della sua molle invadenza fisica e psicologica, a una festa, nella speranza che trovi approdi nuovi. Dopo una serie d’incontri esilaranti quanto imbarazzanti, conosce Molly (Tomei) e si stabilisce subito un’intesa. All’inizio ci si chiede come mai una delizia di femmina come Molly s’interessa a uno zuzzurellone come John. Lei sta volentieri con lui a casa sua, poi sparisce senza spiegazioni, dicendo solo: «La mia vita è molto complicata». John decide di seguirla e incontra il figlio (Hill) fin troppo amichevole e accogliente. Le cose si complicano e prendono corpo con ogni scena e invogliano a vedere come andrà a finire. Ben scritto e ritmato (forse una punta superficiale nelle conclusioni) ma attenzione, il titolo può essere fuorviante. L’evoluzione di Cyrus e John è strettamente legata. Da vedere. L’esplosivo piano di Bazil, in originale MicMacs, è un film francese caotico e over-designed di Jean-Pierre Jeunet, l’autore che ha come biglietto di presentazione Il meraviglioso mondo di Amélie e Delicatessen (co-diretto con Marc Caro). Il simpatico Danny Boon (regista e protagonista di Giù al nord, campione d’incassi in Francia, che ha ispirato Benvenuti al sud) è l’eponimo protagonista. Bazil è figlio di un artificiere della Legione straniera, saltato su una mina nel deserto del Marocco durante un’operazione di bonifica. Da grande il ragazzone rimasto orfano lavora in un video store; mentre attra-

aslan

versa la strada per recarsi al negozio, viene colpito in testa da un proiettile vagante. La sorte (il tiro di una moneta) convince il chirurgo indeciso a lasciare le cose come stanno e a non procedere con l’intervento.. Il mite sognatore Bazil sopravvive con un corpo estraneo conficcato nel cervello, senza lavoro e senza tetto. È adottato all’impronta da una variegata banda di rigattieri accampata in una specie di caverna metropolitana. L’enorme vano è ricolmo di cianfrusaglie da modernariato e i residenti hanno nomi post-moderni come Remington, Calculator, Bust, Slammer; presiede l’allegra combriccola Mamma Chow, cui dà vita la poliedrica artista belga Yolande Moreau, protagonista di Séraphine, esemplare film biografico della pittrice primitive moderne francese uscita qualche settimane fa (e da recuperare se l’avete perso). Si capisce che Jeunet ammira i cartoon della Pixar (però la caverna sembra quella di Giù per il tubo della Dreamworks) e per molti versi al suo film sarebbe più confacente l’animazione della live action. Come si diceva, l’opera iperfantastica è over-designed: c’è un eccesso d’idee immaginifiche che sovraccarica lo spettatore. Ci sono i temi cari a Jeunet; Pollicino, l’orfano che lotta contro il mostro, ossia Davide e Golia. Bazil scopre fortuitamente il mercante d’armi che ha fabbricato sia la mina che ha ucciso il padre, sia la pallottola che alloggia gratis nella sua testa. Inizia la battaglia d’ingenui e ingegnosi improvvisatori squattrinati contro la scaltra macchina da guerra militar-industriale, lorda di vile denaro e di alta tecnologia.Tutto molto nobile e apprezzabile, se solo il «messaggio» fosse meno semplicistico e art direction e script avessero il dono della semplicità di Toy Story, Up e di tutti gli altri capolavori della Pixar, senza eccezione. Da vedere per decidere se amarlo o odiarlo.

Sono 28 anni che i tifosi aspettano Tron Legacy, il seguito del film fantascientifico d’avanguardia del 1982. Tron segnava una pietra miliare: il battesimo per il grande pubblico e per la Disney dell’uso esteso della computer grafica, talmente futuristica che era ammesso agli Oscar solo per costumi e sonoro, non per gli effetti speciali: all’Academy sembravano il frutto non d’intervento umano ma di codici «semplicemente» inseriti nei computer. È lo stato dell’arte della scienza visiva. Seguono fumetti, videogiochi e serie tv. «The Tourist» è un thriller con Johnny Depp, un turista americano in Italia per guarire un cuore infranto, e Angelina Jolie, nel ruolo di una donna che lo aggancia per un disegno tutto suo. La regia è di Florian Henckel von Donnersmarck, che ha stupito il mondo con la sua opera prima Le vite degli altri. Non c’è altro da aggiungere.

«Megamind» è un’animazione della Disney che dimostra quanto sono più divertenti gli eroi cattivi di quelli buoni. Ottimo per grandi e piccini. La banda dei Babbi Natale di Aldo, Giovanni e Giacomo rilancia il trio dopo la mezza delusione di Il cosmo sul comò.

Ma che bella giornata: obbligatorio per i fan di Checco Zalone. Buon Natale.


MobyDICK

parola chiave

11 dicembre 2010 • pagina 13

ULTIMATUM sattamente vent’anni fa, in questo periodo, George Bush Senior aveva lanciato un ultimatum a Saddam Hussein, allora presidente dell’Iraq: se non si fosse ritirato dal Kuwait che era stato invaso la precedente estate e dichiarato diciassettesima provincia dell’Iraq, avrebbe dato via a un’azione di guerra, concordata con gran parte dei suoi alleati, per la liberazione di quell’emirato. La data ultimativa fu in quel caso il 15 gennaio 1991. Le trattative per scongiurare la guerra furono febbrili e molti di noi ricorderanno come Tarek Aziz, allora considerato come il possibile mediatore fra Saddam e il resto del mondo, si prodigò in ogni maniera per fermare lo scontro; insieme a lui anche Arafat e soprattutto Mubarak, il presidente egiziano, cercarono in ogni maniera di evitare quella che poi, a cose fatte, fu definita un’«umiliazione per il mondo arabo». E tuttavia Saddam non arretrò, non concesse nulla, tanto che il 15 gennaio 1991 alcuni iracheni, forse esaltati dalla propaganda del loro tiranno, affermarono che «il fatto di essere arrivati a quel giorno fosse già una vittoria per loro», una vittoria di quella che avrebbe dovuto essere la «madre di tutte le battaglie».

E

L’America e i suoi alleati, tra cui anche l’Italia, non si fecero aspettare: così il giorno 17 gennaio 1991 partì un’offensiva che per la prima volta nella storia fu teletrasmessa globalmente, dandoci più volte l’impressione di un gigante buono, l’America, che puniva i cattivi, il nuovo «Hitler del Golfo» come fu denominato Saddam Hussein. Tuttavia ricordiamo anche come in quei giorni, poco prima dell’attacco, l’opinione mondiale e nazionale fosse assai incerta e divisa: pur dando atto a Bush di aver creato un significativo sistema diplomatico di alleanze, che comprendeva anche la Russia e la Cina che di fatto non intervennero nel conflitto, molti pensarono alla possibilità di una «terza guerra mondiale» (così si espresse, lo ricordo perfettamente, anche Giampaolo Pansa in tv). Qualcuno gridò allo scandalo di una nuova guerra visto che «siamo nel 2000», come se questa cifra potesse esorcizzare alcunché, ma ci furono anche altri che videro meglio le possibilità dell’evoluzione: vedrai, mi disse una persona assai semplice, che «in tre giorni risolvono tutto». Non furono tre giorni, ma poco più di tre settimane e, alla fine, Saddam Hussein si rivelò per quello che era: una tigre di carta. A guerra conclusa, ricordo come il genio satirico del nostro Forattini si espresse in una vignetta che ritraeva Bush, armato di fucile, mentre stanava dal nascondiglio Saddam Hussein,Yasser Arafat, Michail Gorbaciov e addirittura Papa Giovanni Paolo II che, per un momento, sembrava essersi un po’

La drammaticità della nostra epoca sta in una possibilità ultimativa data all’uomo e al suo pianeta per sopravvivere. Ma nella spettacolarizzazione del tutto è un’evenienza che si preferisce rimuovere

La fiction globale ci perderà… di Franco Ricordi

La possibile distruzione di una parte cospicua di mondo è talmente vicina che non si riesce a vedere: e tutti i grandi mezzi di comunicazione di massa, nell’ottimismo dell’audience, servono proprio a nascondere questa realtà. Che ci pare filtrata dal piccolo schermo proprio come la prima guerra del golfo vent’anni fa troppo allontanato dalle prospettive, dai rischi e dalla politica di Israele. La legge del più forte - ma anche del più buono, per come ci illustrarono tutta la vicenda - si era in questo modo imposta. E bisogna ammettere come in quella occasione l’ultimatum funzionò, anche se con tutte le tragiche conseguenze che conosciamo. Ultimatum è quindi sinonimo di tempo a disposizione, quindi di drammaticità: esso si riferisce a un non plus ultra che, una volta superato, può dare origine a quanto di peggio possa accadere, la guerra. E chi sferra un ultimatum ha l’obbligo di rispettarne i tempi e le sanzioni; se si minaccia senza poi colpire si perde di credibilità, e in questa maniera si dà adito a nuove provocazioni, come afferma Raymond Aron nei confronti

del sistema francese nel ’68 che, secondo lui, commise quell’errore. Tuttavia nel XXI secolo crediamo che la parola ultimatum abbia assunto un nuovo significato, che si può definire esistenziale. E si tratta di un ultimatum che l’umanità ha ormai sferrato a se stessa: se non siamo in grado di riconoscere questo ultimatum, vorrà dire che ci saremo illusi di poter continuare nella nostra avventura umana senza tenerne conto. Certo, non si tratta di un data precisa e dell’intimazione di qualcosa di concreto: e tuttavia la drammaticità della nostra epoca si è strutturata proprio nei confronti di una possibilità ultimativa dell’uomo e del suo pianeta, ma che la stessa umanità sembra voler rimuovere, senza comprenderne la portata. Eppure dovrebbe essere chiara, proviamo a de-

finirla: se entro il secolo XXI non sarà trovata un’alternativa al sistema bellico che ancora oggi di fatto regola la nostra vita nel mondo, allora questo stesso sistema bellico potrà produrre catastrofi di tali entità che, in ogni caso, sarà difficile continuare nella vicenda del nostro cammino. La possibilità di distruzione di una parte tanto cospicua dell’umanità è talmente vicina che, evidentemente, non si riesce a vedere: e tutti i grandi mezzi di comunicazione di massa, nell’ottimismo della ragione e nella audience verso la quale per loro stessa natura sono proiettati, servono proprio a nascondere questa stessa realtà, che ci viene passata come una «guerra in televisione», così come la subirono gli iracheni vent’anni fa, ma che per il resto del mondo fu tutto sommato liberatoria, giusta e, soprattutto, innocua: proprio perché filtrata dal piccolo schermo.

Ma ci chiediamo: se un ultimatum di diversa portata, di tutt’altra realtà, fosse inflitto nei confronti dell’intera umanità; allora ci potremo rendere conto come tale rischio non sia soltanto una vicenda televisiva? Quando Pasolini affermava che la tv era come la bomba atomica, probabilmente si riferiva a questo: una sorta di «contro arma», un dispositivo che, nella spettacolarizzazione del tutto, è funzionale proprio alla rimozione di ciò che in realtà si sta producendo a livello bellico, un armamentario (non solo nucleare, ma di tanti altri generi che magari nemmeno conosciamo) dal quale un giorno potremo essere coinvolti. È questo l’ultimatum che l’umanità ha già sferrato contro se stessa, ma che proprio in virtù di tale autoreferenzialità stenta a comprendere. L’uomo del XXI secolo si trova nella situazione di Don Chisciotte, ma in senso inverso: crede di avere davanti a sé dei mulini a vento, tutto sommato innocui, laddove essi sono dei veri e propri mostri di cui ignoriamo l’entità. C’è un bellissimo testo teatrale di Giuseppe Manfridi, Ultimi passi per la salvezza dell’Epiro, che descrive assai bene il senso drammatico dell’ultimatum, il consumarsi lento e inesorabile della possibilità di un attacco di guerra a ridosso di una intimazione di forza: il testo è coevo della prima guerra del golfo e, come spesso avviene delle cose migliori, non è ancora stato rappresentato. Mi auguro che prima o poi lo sarà: ci aiuterebbe a comprendere meglio la scansione temporale della nostra vita, il nostro tempo nei confronti del quale il rischio è sempre quello del rien à faire di Godot. Anche perché in questa colossale fiction che sempre più ci avvolge, a livello totalitario, si sta in realtà rimuovendo spasmodicamente proprio il senso dell’ultimatum, di un ultimatum di cui evidentemente non vogliamo sapere.


MobyDICK

Classica L’arte della transizione trionfa alla Scala pagina 14 • 11 dicembre 2010

M

Jazz

zapping

Gli Elii e quei versi ermetici DALL’ANTOLOGIA DELL’ASSURDO di Bruno Giurato

acciamo cose originali; anche se fanno schifo non importa, importa che siano originali». Con questa sentenza detta illo tempore dal cantante Elio al tastierista Rocco Tanica, si aprì la carriera del più importante gruppo rock italiano degli ultimi trent’anni, Elio e le storie tese appunto. Demenziali e punk, dadaisti e colti, ferocemente postmoderni, cioè orgogliosamente derivati da una tradizione mista di Skiantos e Zappa. Musicalmente stanchini negli ultimi anni, si riprendono inseminando d’intelligenza ogni apparizione in tv (tranne quella di un Elio troppo ingabbiato nelle logiche televisive a X Factor), ogni iniziativa di legittimo marketing, anche. Per esempio è uscito Il visone ha una faccia enorme, la raccolta poetica di Faso sotto le ficte spoglie di Ermes Palinsesto. I versi del «poeta ermetico» appaiono ormai da nove anni su Cordialmente, la trasmissione che gli Elii conducono a Radio Deejay assieme a Linus; il bassista di Elio e le storie tese ne è il messaggero «ufficiale», colui che è incaricato di raccogliere i versi surreali di Ermes. Cose come: «Babbo Natale. Al bambino ricco porterà i tanti regali da bambino ricco; al bambino povero porterà i pochi regali da bambino povero. Caro Babbo Natale, io non ti conosco, e non so come la pensi. Ma di sicuro non sei comunista». La cosa più seria Faso la dice ridendo: «Spero non mi mettano nel reparto di poesia, ma in mezzo ai libri comici. Ma te lo immagini come si potrebbe incazzare uno che scrive poesie sul serio vedendo quel libro messo lì?». La frase è fuori misura, è un altro puzzle dell’antologia dell’assurdo marchiata Elio e le storie tese. In fondo loro sono qui per questo.

«F

Le Valchirie, Wotan (Vitalij Kowaljov) e Brünnhilde (Nina Stemme) ©Brescia e Amisano, Teatro della Scala

di Jacopo Pellegrini i aspettavo, come le altre due volte che ho ascoltato La valchiria diretta da Barenboim, di restare dall’inizio inchiodato alla seggiola. Invece, all’Anteprima dedicata ai Giovani (con tanto di iniziale maiuscola, chissà perché), tre giorni avanti il 7 dicembre - data fissa d’inaugurazione per le stagioni del Teatro alla Scala - ho tardato quasi un atto intero a sentirmi coinvolto, a entrare dentro al flusso musicale dispiegato da Richard Wagner nella Prima giornata della Tetralogia. Colpa mia? della posizione arretrata in un palco laterale? della pestifera vicina di posto, una cronista musicale petulantissima? Può darsi; però, il partito preso di una narrazione lieve e sommessa, inseguito dal podio persino nei momenti più esplicitamente drammatici e fin quasi alle soglie della fuga dei fratelli-amanti, pur bilanciato dalla gioia che deriva dal poter discernere ogni particolare, anche il più minuto, dell’intreccio motivico e della strumentazione (molto più analitica e meno densa di quanto non si pensi abitualmente), ha destato in me qualche perplessità. Certo, lo capisco, occorreva non coprire i cantanti, soprattutto Waltraud Meier, una Sieglinde ridotta al lu-

musica

micino, e spento per giunta. Pure Simon O’Neill, Siegmund, di squillo e potenza non è che ne abbia da scialare; in compenso, vanta legato apprezzabile, emissione corretta (salvo qualche frase calante nel registro medio-grave), dizione chiara. Chi non fa capire una parola è Nina Stemme, Brünnhilde: voce ben piantata, quantunque non quel fenomeno di cui da più parti si favoleggia. Con John Tomlinson siamo al solito Hunding laido (un po’ meno del solito, forse); per parte loro, le valchirie la sfangano. Quanto alla coppia, non proprio felice, dei coniugi divini, Vitalij Kowaljow è un Wotan professionalmente encomiabile (se si escludono gli estremi acuti: la scrittura, tuttavia, è di quelle infernali), ed Ekaterina Gubanova s’impone come l’unica interprete personale e significativa del gruppo: una Fricka severa, anche aspra quando occorra, eppure, nel profondo, macerata, dolente. Ma insomma, devo ribadirlo, il primo atto mi è sembrato quasi per intero poco appassionato e appassionante. Coll’atto secondo e poi col terzo, almeno da quando Wotan e Brünnhilde restano soli in scena, il discorso è cambiato, eccome. Un più intimo coinvolgimento del podio? una maggiore concentrazione degli interpreti o

del sottoscritto? Fatto sta che alla chiarezza e trasparenza già notate si associava adesso un’irresistibile eloquenza lirica (cosa non diventava il motivo della compassione all’uscita della valchiria!). I tempi larghi, il respiro ampio, profondo del racconto, tutti retaggi della scuola storica tedesca, sono funzionali a un fraseggio calcolato su sfumature minime, su velature sapientissime, che possono trasformarsi all’istante in lancinanti esplosioni cantabili. È il trionfo di quella che Wagner, attribuendole un valore centrale, battezzò «arte della transizione»: il passaggio da un motivo conduttore all’altro si compie con una gradualità e delicatezza inimmaginabili, come se sbocciassero da un silenzio primordiale, per poi reimmergersi in esso. Sull’allestimento scenico (regia e scene Cassiers, scene e luci Bagnoli, costumi van Steenbergen, video Klerks e D’Haeseleer, coreografia Lakatos) niente da dichiarare. Nel senso che, come si era potuto leggere nelle interviste rilasciate da alcuni dei cantanti non proprio soddisfatti del lavoro svolto, si tratta d’un guscio lustrato a festa con ambiziosi proclami teorico-estetici preventivi, ma vuoto di contenuto. Peggio che brutto, inconsistente e barboso.

Soul Christmas: Acquapendente sceglie il blues puro l Torre Alfina Blues Festival, manifestazione ormai consolidata e di respiro internazionale, dal 18 dicembre e per due giorni, abbandonerà temporaneamente la sua sede abituale per trasferirsi ad Acquapendente, storico comune del Lazio posto dieci chilometri a nord del Lago di Bolsena, presso la Riserva naturale Monte Rufeno e attraversato dalla via Francigena che, nel tempo, ha consentito alla città di avere importanti scambi culturali. Sabato prossimo dunque al Palazzo dello Sport si esibiranno le blues-bands di Mark Shattuck, Mark Hanna e la Chicago Street Band. Nel pomeriggio di domenica, sotto le logge di Piazza Fabrizio, ancora due gruppi, i Lions of Swing e la Mo’Better Band. Due giorni dedicati al blues e alla Soul Music che Carlo Di Giuliomaria, presidente del Torre Alfina Blues Festival e direttore artistico di questo Soul Christmas, ha

I

di Adriano Mazzoletti voluto organizzare in prossimità delle festività. «È la volontà di estendere il festival sul territorio» - ha dichiarato Di Giuliomaria - e nel caso specifico nasce dal fatto che Acquapendente, rispetto a Torre Alfina, ideale per la stagione estiva, ha delle strutture più idonee considerato il rigore dell’inverno. Inoltre, è il tentativo di creare nei comuni limitrofi, come San Casciano Terme, degli appuntamenti dedicati al blues, forma musicale di grande importanza, assente nel Lazio, mentre è presente in molte regioni italiane come Toscana, EmiliaRomagna, Umbria». La presenza al Soul Christmas dei gruppi di Mark Hanna e Mark Shattuck, ambedue nord-americani, conferisce al festival un carattere autenticamente blues senza deviazioni verso musiche commerciali. Occasione que-

sta per ascoltare musica eccellente, ma anche per ammirare luoghi e momenti del nostro passato remoto di cui la città è ricchissima. Dalla splendida Cripta del Santo Sepolcro risalente alla seconda metà del X secolo, alla Chiesa di San Giovanni del 1149, alla Torre Julia de Jacopo del 1550. Dieci giorni dopo, nella vicina Orvieto, inizierà la diciottesima edizione di Umbria Jazz Winter, quest’anno in parte dedicata a grandi pianisti, ma come di consueto saranno presenti gruppi e musicisti legati al blues o da esso derivati come Chick Rodgers e la Foundation R&B Band o gospel come il gruppo Gospel at His Best. Ma a Orvieto ci si va per ascoltare soprattutto del jazz che quest’anno, come già scritto, è rappresentato soprattutto da Chick Corea in un inusuale duo con Stefano Bollani, Harry Allen, Gary Smulian, Eric Alexander, Dado Moroni e Rosario Giuliani.


MobyDICK

arti Mostre

11 dicembre 2010 • pagina 15

di Marco Vallora

e è vero che i cassoni istoriati del Quattrocento fiorentino vantano un significato più gnomico ed educativo, che non soltanto estetico, è vero pure che ci son mostre che talvolta, oltre il fascino estetico, ci convincono più per delle ragioni storico-didattiche, che non unicamente esteriori. Non che non siano affascinanti, queste madie portatili, che hanno però un alto valore simbolico (come i deschi da parto, più rappresentativi d’uno status symbol della puerpera, che non realmente funzionali), simboli che permettevano alle fanciulle da marito d’andar spose con questo corteo appresso di ricchi e decorati, ingombranti contenitori per stipare la dote (ricordate, nel secolo successivo, la Venere di Urbino di Tiziano, con la servente che fruga simbolicamente nello sfondo, direttamente dentro un cassone, che contiene probabilmente tanto quieta ricchezza quanto inconfessabili segreti?). Così questa bella e scenografica mostra, che ha visto il lavoro incrociato di tre studiose sensibili a queste problematiche del vivere femminile, Paolini, Parenti e Sebregondi, con il contributo d’altri specialisti della materia soprattutto storica, insegna molte più cose di quello che una mostra abituale di manufatti artistici possa donare. Perché qui è in gioco la micro-storia del legame nuziale nella Firenze dell’Umanesimo, il tema dell’araldica, che domina l’aspetto emblematico di questi manufatti, che sono il cuore dell’abitare borghese, l’arte dell’arredare la casa e di sfruttare oggetti pratici come occasione di sfoggio estetico, inglobando l’architettura come scenario di queste «vignette» dipinte. Né può mancare lo studio della figura della donna e il ruolo dei figli, nella società tardo-gotica: aspirante santa o seduttrice demonizzata dalla Chiesa, Eva traditrice, serpente di corruzione, ma

S

tuose suicide quali Lucrezia, della Bibbia, di Ester e Assuero, per esempio (magari magistralmente imbanditi da un disponibile Botticelli, che rappresenta alle soglie del palazzo regale la disperazione desolata dell’ulcerato Mardocheo) o della guerra di Troia, dei Trionfi di Petrarca o del saccheggiatissimo Boccaccio, soprattutto del Decamerone. La storia dell’infelice Griselda, o quella di Nastagio degli Onesti, che permette di sfruttare l’orizzontalità pronunciata di cassoni o spalliere (che governano la vita e la morte di casa, Gianni Schicchi insegna) per rappresentare, come in un film dipinto, i vari fotogrammi della storia-monito. Narrativamente successivi ma visivamente simultanei, di storie che si dipanano nello spazio e lacerano la carne dei protagonisti, scomparto dopo scomparto. La carne, la morte e il diavolo, potremmo dire: e anche noi, che prezioso riepilogo si fa della storia e della mitologia antica! E che artisti si invischiano, da Botticelli, appunto, a Filippino Lippi, dallo Scheggia, fratello più «pratico» di Masaccio, a Pesellino e poi molti Maestri Anonimi, come quello di Marradi, o del Giudizio di Paride, che dopo tanto studio finalmente ottengono una fisionomia più chiara. Introducendo il prezioso catalogo Giunti, Antonio Paulucci evoca la visita del primo vero storico di questo fenomeno d’arredo domestico, a partire dal 1915, il tedesco Paul Schubring, che scopre nel felice disordine della villa dell’antiquario Bardini, a Torre del Gallo, l’imaginifica «riserva» di questi scrigni d’arte nemmeno troppo minore e che avrebbero poi colonizzato il gusto anglofiorentino e americano, berensoniano, di quel torno di secolo. Quasi uno zoo di bauli, forzieri, spalliere, adattissimi a sposarsi negli arredi finto-antico con le ceramiche dei Della Robbia o i copiosi fondi oro sul mercato, in clima venturiano di recupero del «gusto dei primitivi».

Gli status symbol delle spose fiorentine

Fotografia

pronta anche al riscatto della classicità, in un ritorno ai racconti edificanti dell’Antico, quale figura eroica se non martire. Secondo la lezione degli Exempla di Dante, Boccaccio, Petrarca. Ma è molto importante pure lo studio del transito (talvolta solo meccanico, talvolta più che libero) dei testi classici o religiosi, nel linguaggio in evoluzione della pittura: solidificarsi d’una cultura testuale, nel riverbero colorato dell’ispirazione iconografica pittorica. Una sorta di miniatura pantografata, e imprestata al legno e alla pastiglia, che permette alla buona madre

di famiglia di meditare in silenzio (mentre il consorte è alla battaglia quotidiana) i motti esemplari, che provengono dal mondo antico e le consentono di confrontare la propria condotta etica, come in un breviario solidificato. Così Cristina Acidini, immagina quel «palcoscenico» concentrato dei fronti di cassone come una sorta di teatrino domestico, quasi succedaneo di televisione prestorica, che permette alla madri sole d’intrattenere l’ozio dei giovani-nati, raccontando storie almanaccate, visualizzando aneddoti ben noti. Che sono quelli della mitologia, con le vir-

La virtù dell’amore. Pittura Nuziale nel Quattrocento fiorentino, Firenze, Galleria dell’Accademia, fino al 28/12

Tutti i volti del rotolante Mick, icona del rock

iacere di conoscerti; hai capito chi sono, di Angelo Capasso spero», sono le parole del riff più esoterico del rhythm and blues degli anni Sessanta. minile (ben lontano dal caschetto e frangetta di Vidal È il ritornello di Sympathy for the Devil, Sasson lanciato dai Beatles), è certamente uno dei teun classico dei Rolling Stones e un anti-classico della sori della cultura occidentale. Mentre esce Life, la primusica pop. Un brano tribale (cui Jean-Luc Godard ha ma biografia dell’altro Stone, Keith Richards, Sir Midedicato un intero film), uscito il 6 dicembre del 1968, chael Phillip «Mick» Jagger (nato a Dartford il 26 lul’anno della rivolta giovanile, e, per gli Stones, l’anno glio 1943), unico baronetto dei Rolling Stones (l’incorodell’abbandono di Brian Jones (morto in circostanze nazione della regina fu accettata con parole amare da misteriose da lì a poco), contenuto nel diRichards) è protagonista della prisco più significativo degli Stones, Beggars ma grande retrospettiva dedicata a quell’icona che abbiamo visto Banquet, nato come un prodotto della scattare sui palchi di tutto il moncontro cultura più aggressiva, alternativa do. È in corso presso la Fondazioalle melodie intellettuali del White Album ne Forma per la Fotografia di Mila(capolavoro di altra natura) dei Beatles, no Mick Jagger. The photobook, uscito il 22 novembre dello stesso anno. unico appuntamento italiano, doQuel rock misterioso e primitivo (basato po i Rencontres d’Arles, la retrosu tre accordi) deve il suo successo anche spettiva dedicata all’evoluzione e a un volto ormai entrato nel gotha della metamorfosi di quella «faccia da musica rock, quello di Mick Jagger, certarock».\u2028 A partire dal volto mente l’icona del rock. Il volto scavato, il delicato degli anni Sessanta di naso leggermente pronunciato sulla bocGoodwin, Mankowitz e Périer, fino ca carnosa e sensuale da cantante di coloal dandy di Cecil Beaton e alle rere (la bocca aperta da cui scivola fuori una linguaccia è il brand degli Stones) e due centissime rivisitazioni di Annie occhi azzurri che fanno capolino dal manLeibovitz, Karl Lagerfeld, Anton to rigoglioso di capelli neri dal taglio femCorbijn, Mark Seliger e Bryan Mick Jagger © Simone Cecchetti, 2007

«P

Adams, la mostra scorre le immagini dello «spirito vagante» di Mick Jagger (come recita il titolo del suo migliore album da solista, Wandering Spirit) nelle sue diverse trasmigrazioni e incarnazioni in volti da schermo. E in effetti, oltre a essere stato il modello di scatti d’artista, Mick Jagger è stato attore di film di successo (Ned Kelly, Performance, Freejack, The man from Elysian Fields). Quella faccia da Stone è stata oggetto anche di una serie di opere del maestro del Pop Andy Warhol, sedotto dal fascino di Mick e dei Rolling tanto da aver firmato una delle copertine più note, discusse e censurate della storia del rock, quella con il jeans dalla zip apribile, Sticky Fingers, e aver realizzato una serie di ritratti pop per la copertina dell’album del loro tour più spettacolare Love you Live! L’altra faccia da Stone, quella di Keith Richards sfuma nell’inevitabile sigaretta, compagna di tante avventure malsane, sulla copertina di Life, il suo ultimo libro edito in Italia da Feltrinelli. Mick e Keith, i Glimmer Twins (pseudonimo con cui firmano molte delle loro produzioni) sono al centro della scena mondiale, non per la loro musica, ma per ciò che ne è scaturito: cinema, costume, società, arte, cultura. In una parola: la «vita». Da leader della rock’n’roll band più longeva, lo meritano certamente.

Mick Jagger. The photobook, Milano, Studio Forma, fino al 13 febbraio


MobyDICK

pagina 16 • 11 dicembre 2010

Ciausculo, clabuscolo, finocchiona, lonza, lonzino, capocollo, soppressata, mortadella, prosciutto romano, ventricina, cacciatore, cacciatorina, salsiccia, sartizzu, corallina… Non c’è paese sul patrio suolo che non abbia il suo precipuo salame. Che è il vero topos della nostra identità. Dai pasticci di carne al baccalà, dai maccheroni di Cavour al caffè di Garibaldi… è la tavola che unisce davvero

il paginone

I salamini e l’U

di Nicola Fano onzio Bastone, militare genovese, quando morì nell’autunno del 1279 lasciò in eredità una «bariscella plena de macaronis»: è curioso che la parola maccheroni - nella storia di quella che poi sarebbe diventata l’Italia - sia stata annotata per la prima volta al Nord, sia pure in quella Genova che è un po’ la Napoli del Settentrione e che, nella seconda metà del Duecento, s’era da poco appropriata della tradizione cultural-marinaro-commerciale di Amalfi. Strano e curioso, sì, come strana e curiosa è la variopinta parabola dell’Unità d’Italia oggi tanto negletta quanto ignorata. E comunque non erano stati gli amalfitani a «inventare» i maccheroni: erano stati gli arabi. Pare. Anche perché dalle nostre parti, a quel tempo, si mangiava molto più solido nelle dimore dei ricchi e molto più effimero nelle capanne dei poveri.

P

Per esempio, nei ricettari delle origini (dal vecchio Liber de coquina alle ricette del cinquecentesco Bartolomeo Scappi), si apprende che chi aveva danari campava di pasticci. Di carne, ovviamente. E chi denari non ne aveva (forse, perché i ricettari alludono solamente a quel che doveva capitare sulle mense povere) viveva di aria e verdure. Ma poi l’Unità d’Italia l’hanno fatta broccoletti e patate e maccheroni. Molto più che i pasticci di carne o gli intingoli di pesce. C’è una vec-

che non si voglia ben altrimenti appesantirsi. Per esempio c’è una ricetta, tra le tantissime, che qui val la pena ricordare: è quella del pasticcio di volatili che si consumava alla Corte degli Estensi ai tempi di Ariosto. Di fatto era una pizza di pane che andava cotta riempita di fagioli secchi: non perché i fagioli potessero così cuocersi. No, i fagioli erano destinati a essere buttati dopo aver svolto il loro onesto compito di non far gonfiare eccessivamente la base della pizza di pane fortemente lievitata.

Insomma: doveva essere un contenitore ampio e confortevole, al quale bisognava con abilità tagliare la testa in modo da comporre un baule, un cassone di pane. Prima di portare a tavola la meravigliosa pietanza, il cuoco la riempiva di volatili. Volatili veri, piccoli e soprattutto vivi. Indi richiudeva il coperchio del suo cassone, con un po’ di pasta lievita mascherava il taglio precedente e poi portava tutto in tavola. Quando il padrone di casa dava il primo taglio alla meravigliosa pizza, ecco che uno stormo

Il mangiare è tipico di noialtri, sia che si abbiano i mezzi per soddisfare la fame sia che se ne abbiano anche per gli eccessi sia che non se ne abbiano proprio chia antologia di ricettari (L’arte della cucina in Italia), compilata nel 1987 da Emilio Faccioli per Einaudi che descrive quasi letterariamente il passaggio dalla pesantezza della tavola medioevale e rinascimentale alla volatilità di quella a noi più prossima; quella propria italiana, insomma. Ed è un percorso economico, sociale e culturale che spesso dimentichiamo. Come il fatto che per la prima volta nella storia d’Italia i maccheroni compaiono a Genova; non a Napoli o a Palermo come si potrebbe pure pensare. Che qualcuno lo dica ai leghisti. A meno anno III - numero 45 - pagina VIII

d’uccelli impauriti, improvvisamente liberati, usciva dalla propria galera e freneticamente smuoveva l’aria intorno ai commensali. Figuriamoci la sorpresa, la meraviglia, gli ohh! Salvo che poi era prerogativa del padrone sfamare anche gli stomaci o lasciare che i commensali sentissero sazi solo gli occhi. A essere onesti, la concretezza di un maccherone dovrebbe essere giudicata meno spettacolare ma più appagante (anche se in materia di spettacolo, certe pastasciutte non scherzano neanche loro…). Eppure, la vera rivoluzione del maccherone è

un’altra: quella di Garibaldi del 1860. Cavour, che non aveva da preoccuparsi di Wikileaks, scriveva liberamente i propri pensieri a destra e a manca. Sicché il 26 luglio di quell’anno, quando Garibaldi gli stava per conquistare con Messina, di fatto, l’intera Sicilia e s’apprestava a far lo stesso con il resto del Regno borbonico fino a Napoli, scrisse al suo ambasciatore a Parigi: «Le arance sono già sulla nostra tavola e stiamo per mangiarle.

Per i maccheroni bisogna aspettare, poiché non sono ancora cotti!». È tutta una metafora del mangiare, il far l’Italia di Cavour: al di là della toponomastica dell’Unità che li vuole tutti sullo stesso piano, Cavour, Garibaldi e Mazzini ebbero parti affatto differenti nella partita italiana. Mazzini sbocconcellava piccole delizie che in esilio gli preparavano le sue innamorate perpetue inglesi; Garibaldi beveva caffè e mangiava pane e

formaggio (come ogni buon soldato, da Marc’Antonio in poi); Cavour banchettava a suon di arance e maccheroni. Dove le arance sono tradizionalmente la Sicilia e i maccheroni Napoli.

Prova ne sia che oggi la povera Italia che abbiamo sotto agli occhi è quella mangereccia alla Cavour: della morigeratezza di Garibaldi non se ne vede più nemmeno l’ombra come pure, in fondo, della misurata gourmandise di Mazzini. Oggi siamo tutto banchetti e feste smodate, cocktail pirotecnici e fiumi di birra mentre la moderazione sembra ormai confinata al consumo di schifezze etniche racimolate per due lire in takeaway sporchi e inospitali. Ha vinto Cavour, sotto ogni punto di vista. Mentre Garibaldi, l’eroe Garibaldi, il conquistatore Garibaldi, il dittatore delle Due Sicilie Garibaldi lasciava Napoli mesto, su un battello che lo avrebbe riportato solo e intimamente sconfitto a Caprera. Con sé portava il suo personale bottino di guerra; che


11 dicembre 2010 • pagina 17

Unità d’Italia

vate a mantecare un baccalà conservato sotto sale e poi capirete che sto dicendo: impossibile. Il baccalà perde compattezza lì dove lo stoccafisso resta una crema di se stesso pure dopo ore di lavorazione. Ma qui il problema è un altro: è l’Unità d’Italia. Che, anzi, nel caso in specie è l’Unità d’Europa. Allora, cominciamo da Candia (questo era il nome di Creta, all’epoca) il 25 aprile 1431 quando una nave veneziana piena di spezie partì al comando del capitano Piero Querini. Era diretta a Nord, più a Nord di quanto si potesse immaginare all’epoca, però una tempesta sulla Manica costrinse l’equipaggio alla disperazio-

ne. Rotto l’albero, perse le vele e il timone, i 68 marinai si accalcarono sulle scialuppe. Ma solo in 14 arrivarono a terra. Terra, poi: uno scoglio disabitato che seppero essere chiamato Sandoy nelle isole Lofoten: Norvegia del Nord. Avrebbero potuto morire tutti rapidamente, se non fossero stati avvistati dai pescatori locali che li portarono sulla loro isola, Roest. Dicono i veneziani che quello era un paradiso terrestre: «Le donne restavano nude e dormivano con gli stranieri quando i mariti andavano a pescare. Quelle genti vivono il matrimonio come sacramento indissolubile e vivono senza alcuna propria lussuria, né allievamento lo stimolo della carne». Ma il vero tesoro di quel villaggio erano gli stoccafissi, i merluzzi giganteschi pescati in mare aperto e poi lasciati seccare all’aria.

Cento giorni dopo il naufragio, i sopravvissuti guidati da Querini medesimo ripresero la strada del continente portandosi dietro sessanta stoccafissi seccati. Fu un viaggio altrettanto avventuroso per terra e per mare tra Olanda, Germania e Gran Bretagna: ogni volta i nostri furono ospiti delle comunità commercia-

Se il maccherone ha un’epopea artistica (vedi Sordi), e il caffè ha il suo tripudio poetico (in Eduardo), anche il mitico affettato ha il suo monumento: di Petrolini non era uno Stato, non era una villa a Antigua o due stanze e cucina a Montecarlo, né un vitalizio, né i gradi lucidi sulle spalline né una commissione parlamentare, né un consiglio d’amministrazione: «Portava con sé un sacco di sementi, qualche scatola di caffè e zucchero, una balla di baccalà, una cassa di maccheroni…», dice il Bandi, il primo biografo dei Mille. Quel che stupisce è il baccalà, non il resto.

Ma poi anche la faccenda del baccalà norvegese è molto, molto italiana: non fosse stato per un naufrago veneziano forse oggi avremmo meno occasioni per leccarci i baffi (alzino la mano i pochi

che non si leccano i baffi mangiando baccalà). Chiariamo una volta per tutte: al Centro e al Sud dicesi baccalà il merluzzo conservato sotto sale e stoccafisso il merluzzo seccato al sole gelido dell’estremo Nord del mondo.

Nel nostro Nordest vale la regola contraria: nel senso che lì chiamano indifferentemente nell’uno e nell’altro modo i pesci conservati mediante entrambe le tecniche. Al massimo, nell’alta Emilia arrivano a specificare il pesce seccato all’aria con il nome di stocco.Va da sé, invece, che di oggetti diversi si tratta e soprattutto che con ciascuno di essi si producono pietanze affatto differenti. Pro-

li veneziane sparse per il mondo noto e ogni volta raccontarono meraviglie e mostrarono l’eccezionalità del baccalà. Quando tornò a Venezia il 12 ottobre del 1432, Querini si presentò al Maggior Consiglio della città per raccontare la sua avventura e le sue conquiste. Fu festeggiato e premiato per quel che aveva riportato in patria, e divenne un mercante ricco e solitario (nel naufragio sulla Manica aveva perso il fratello). Può sembrare incredibile, ma nel mondo il baccalà è stato introdotto dai veneziani, che dopo l’avventura di Pietro Querini presero a commerciare regolarmente lo stoccafisso. E impararono a cucinarlo a meraviglia, giacché il baccalà mantecato al-

la vicentina è una delle tante eccellenze italiane nella cucina mondiale. Ma se avete passione per queste storie, leggetevi il diario di Viaggio e naufragio di Piero Quirino, gentiluomo veneziano: lo pubblicò nel Cinquecento un erudito veneziano, Giovanni Battista Ramusio, nell’antologia Navigazioni e viaggi (è stata ristampata anche una ventina d’anni fa).

Riassumendo: dopo l’Unità d’Italia dei pasticci (di carne), dopo quella del baccalà norvegese, dopo quella dei maccheroni che Cavour e Vittorio Emanuele II mangiarono serviti in tavola da quel povero Garibaldi che s’erano scelti come cameriere personale, dopo l’Unità d’Italia del caffè dei combattenti, c’è l’Unità d’Italia del salame. E c’è poco da ridere perché non s’ha da fare alcun doppio senso sulla faccenda. Il salame è un topos dell’identità italiana. C’è paese in Italia, al Sud come al Nord, al mare o ai monti, che non abbia il suo precipuo salame? No. Anche perché il salame e i salumi insaccati in genere hanno quasi più sinonimi di Arlecchino. I quali, sia detto per i meno avvezzi, sono: Truffaldino,Trivellino, Tracagnino, Tortellino, Naccherino, Gradellino, Mezzettino, Polpettino, Nespolino, Bertoldino, Fagiuolino, Trappolino, Zaccagnino, Sior Pasquino, Tabarrino, Passerino, Bagatino, Bagolino, Temellino, Fagottino, Pedrolino, Frittellino, Tabacchino… (Come si vede, e sia detto tra parentesi perché sennò andiamo a finire chissà dove, per lo più si tratta di nomi che richiamano cibi: il mangiare è tipico di noialtri, sia che si abbiano i mezzi per soddisfare la fame sia che se ne abbiano anche per gustare eccessi sia che non se ne abbia alcunché e si campi in miseria. L’Unità d’Italia si fa a tavola, insomma, più di quanto si pensi). I sinonimi dei salumi? Vediamo: ciausculo, clabuscolo, finocchiona, lonza, lonzino, capocollo, soppressata, mortadella, prosciutto romano, ventricina, cacciatore, cacciatorina, salsiccia, sartizzu, corallina, coglioni di mulo, kaminwurzen, salamella… A ognuno il suo salame da spellare e affettare o da mangiare a morsi frettolosi. Ce n’è per ogni gusto: un’apoteosi di maiale grasso e magro che ha fatto scuola da noi italiani più di quanto sia accaduto altrove (o vogliamo confrontarci con gli insaccati affumicati, pesanti, irragionevolmente carichi di spezie di scuola germanica?). Al punto che come il maccherone ha un’epopea artistica tutta italiana («Tu m’hai provocato, e io me te magno!» dice Alberto Sordi in Un americano a Roma), come il caffè ha il suo tripudio poetico nel monologo di Questi fantasmi di Eduardo De Filippo, così anche il salame ha il suo monumento popolare: «Ho comprato i salamini e me ne vanto! Se qualcuno ci patisce che io canto, è inutile sparlar, è inutile ridir: sono un bel giovanottin, sono un augellin…». Per cantare tutto ciò Ettore Petrolini si presentava in scena con un’aria un po’ scema, un cappellino rovesciato, un fiocco troppo largo al collo e le scarpe sfondate da poveraccio. Sullo sfondo faceva sistemare un paesaggio pedemontano che poteva essere uno scorcio d’Alpi o del Vesuvio o dell’Etna. E in mano, appesa a un filo, agitava una fila di salsicce di pezza che ancora oggi a vederle (al museo del Burcardo di Roma, se vi capita…) fanno gola. Un antipasto d’Italia. Un antipasto dell’Italia che sempre più raramente poi ci riesce di cucinare e servire. Non solo in tavola.


Narrativa

MobyDICK

pagina 18 • 11 dicembre 2010

libri

Ian McEwan SOLAR Einaudi, 339 pagine, 20,00 euro

il più bel romanzo di Ian McEwan? Sicuramente sì, senza che questa affermazione sminuisca ciò che ha precedentemente scritto il narratore inglese. Se la letteratura ha come basilare fondamento il parlare degli altri «trasformandoci» in altri, ecco che McEwan tocca, con quest’opera, vette sublimi di immedesimazione. Narra dello scienziato nonché premio Nobel per la Fisica Michael Beard e diventa mister Beard. Qualche critico s’è gioiosamente stupito della «svolta comica» dell’autore. Errore: McEwan descrive le peripezie di un uomo goffo e complicato, e inevitabilmente nel registro narrativo include scene che possono far sorridere. Ma la comicità è per così dire sempre laterale, necessaria ma non asse portante. Il nucleo rimane drammatico, intensamente contorto, sfaccettato. Vediamo innanzitutto chi è il signor Beard. Di modesta statura, grassoccio, non bello. Pur con queste sconfortanti premesse è un gran seduttore: «Apparteneva a quella categoria di uomini - tendenzialmente spiacevoli, quasi sempre calvi, bassi, grassi, intelligenti - che, per ragioni misteriose, attraggono certe belle donne». Patrice è la sua quinta moglie, e lui si trova nel panni imbarazzanti del cornuto umiliato. A questo si deve aggiungere la stasi professionale: dopo il Nobel il suo cervello non smette di funzionare, ma nella pratica vive di rendita burocratica, in modo anche noioso. Il rivale è Tarpin, un muscoloso manovale. Tuttavia «il silenzioso epilogo del suo quinto matrimonio» non è affatto semplice perché entra in scena un giovane scienziato, suo allievo: pure lui s’infila nel letto matrimoniale, nella sua casa, nella sua vestaglia. Dopo una spedizione al Polo per studiare cause e rimedi della climatologia sull’orlo della catastrofe, Beard assiste alla morte violenta e accidentale del giovane amante di Patrice, bella e sfrontata come «una donna bella e assassina». Ma succede che il giovane fisico abbia scritto una pila di appunti sull’energia con particolare riguardo alla fotosintesi. Note di un pazzo o di un genio che ha fatto tesoro della lezione del maestro? Beard arriverà ad appropriarsene, dopo aver intuito che in quei fogli c’è un’intuizione di portata storica: come fornire all’umanità «energia pulita, perenne e rinnovabile». Si deve dire grazie al sole e all’idrogeno che piove sul pianeta Terra co-

È

Il bibliofilo

Solar la vetta di McEwan È il romanzo più bello dello scrittore inglese quello appena pubblicato in Italia. Dove si racconta delle ascese e delle cadute del fisico Beard di Pier Mario Fasanotti me una manna finora non sfruttata perché poco compresa. McEwan, con una documentazione e un’osservazione tra le più minuziose alle spalle, descrive il mondo scientifico e finanziario - ci deve essere sempre chi fornisce i denari per la realizzazione di un progetto così grandioso - senza tralasciare alcun aspetto, tra irritanti e rei-

terati idealismi e traffici di poco conto, tra invidie accademiche ed entusiasmi vulcanici. Beard diventa «un ladro» di idee e riacquista notorietà. Ma la sua vita privata si complica a dismisura: c’è l’assedio delle donne, c’è la sua incancellabile inclinazione a osservare qualsiasi donna come una possibilità e insieme una fantasia. Beard ha avuto una madre che per trent’anni s’è infilata in un famelico tunnel erotico. McEwan lo annota, senza azzardare quelle vischiose connessioni che la psicologia tende a evidenziare con superficiale automatismo. È un fatto e basta. Come d’altronde è un fatto «il fiato caldo del progresso». Come è un fatto che la sua mente «nelle decisioni cruciali potesse essere paragonata a un parlamento». La disordinata e vivacissima energia dell’universo è speculare al moto perpetuo delle sue pulsioni, al caos privato, al bellicoso dibattito tra le donne che ha conosciuto in passato e durante la sua fase di mondiale notorietà. Distratto in molte cose, Beard registra meticolosamente e automaticamente le minime ondulazioni dell’umanità che gli scorre davanti. Del resto, scrive l’autore, «la stupidità planetaria era il suo campo». Da altezze scientifiche stratosferiche Beard scende spesso nel tragicomico teatro delle piccole e grandi infedeltà, lui cornuto sdegnato ma anche bellamente fedifrago. Pur alle prese con equazioni difficilissime, Beard non riesce a risolvere la sua equazione personale, ci rimugina sopra, alla fine la teorizza pur costretto ad accettare un’immagine di sé che lo disgusta. Ma alla fine c’è un’onorevole via di salvezza? Una redenzione? Sarà una bambina, sua figlia, a donargli un fremito inusuale: «…percepì un turbamento insolito, una specie di groppo al petto, ma mentre spalancava le braccia ad accoglierla pensò che probabilmente nessuno gli avrebbe creduto se avesse cercato di spacciarlo per amore».

Autobiografia di una collezione privata

l 16 giugno è il compleanno della mia biblioteca». Così inizia il volume di Giuseppe Marcenaro dedicato ai Libri (Bruno Mondadori, 216 pagine, 17,00 euro), scritto da uno dei più importanti collezionisti italiani nonché autore di rilievo che ha al suo attivo numerose pubblicazioni, tra le quali ricordiamo Cimiteri, uscita un paio d’anni fa per i tipi dello stesso editore. Il riferimento è alla data del Bloomsday, il giorno del 1904 in cui si svolge, nell’arco di un’intera giornata, la vicenda rocambolesca dell’Ulysses di Joyce. La raccolta di saggi di Marcenaro si sviluppa intorno a una peculiare forma di collezionismo, in cui l’elemento affettivo o della curiosità, spesso commista a una sorta di esemplare casualità, è quanto mai presente. Non è un caso che l’autore conservi le carte trovate all’interno di volumi provenienti da altre biblioteche e che, intorno all’occasionale rinvenimento di una vecchia cartolina o di un «santino» longanesiano, imbastisca alcune delle pagine più avvincenti del libro. Essendo consapevole che «una biblioteca privata è anche l’autobiografia del suo proprietario», Marcenaro fa l’inventario degli esemplari più pregiati o cu-

«I

di Pasquale Di Palmo riosi della sua collezione, comprendente sia libri introvabili come la prima edizione della Saison en Enfer di Rimbaud, pubblicata a spese dell’autore (anzi dell’odiata madre) in un’oscura tipografia di Bruxelles nel 1873 sia titoli stravaganti, recuperati dall’oblio. Si ripercorrono così, con una buona dose di ironia, i momenti salienti di quella che l’autore stesso definisce una delle innumerevoli Storie di passioni, manie e infamie, come recita il sottotitolo, che caratterizzano le vicende legate alla bibliofilia. Raccontando tali vicissitudini lo scrittore ligure offre un anomalo ma esaustivo spaccato degli eventi che hanno segnato il percorso del libro: dagli incunaboli alla Bibbia di Gutenberg, dalle cinquecentine agli esemplari novecenteschi più rari. Marcenaro non si limita a descrivere gli aneddoti che sottendono una specifica pubblicazione, ma ci introduce, da par suo, in un mondo popolato dalla fauna antropomorfa più eccentrica: dai manuali di Bartolomeo Bosco, «il re dei prestigiatori e il prestigiatore dei re» che, nella prima metà dell’Ottocento, in-

È quella dello scrittore Giuseppe Marcenaro, che la racconta in una raccolta di saggi

cantò le corti di mezza Europa con le sue trovate illusionistiche all’Amphiorama di tal F.W.C. Trafford, scienziato svizzero che asserì, nell’eponima pubblicazione del 1874, di aver contemplato dalla cima della Castellana, «una delle ultime propaggini montagnose che, verso Portovenere, chiudono la baia della Spezia», alta appena 496 metri, nientemeno che gli opposti poli. Oltre a queste amenità Marcenaro passa in rassegna una serie di classici di cui enumera gli avvenimenti correlati a una determinata pubblicazione: dalla detenzione di de Sade conquistato dalla lettura del Petrarca alla figura eclettica di Giovanni Rasori, ispiratore del personaggio di Ferrante Palla nella Certosa di Parma stendhaliana, dalle vessazioni di Louise Colet nei confronti di Flaubert alla presa di distanza effettuata da Leopardi verso le opere «reazionarie» del padre, senza dimenticare la reclusione volontaria di Montaigne in una torre (in compagnia di cosa se non degli amati libri?). L’autore non disdegna poi di parlarci delle opere procuratesi per motivi affettivi, come l’acquisto, avvenuto nell’infanzia, del primo libro, dedicato alla vicenda del Titanic, che gli attirò gli strali dei familiari e che galleggia nella memoria «come un iceberg vagante, a indurci al privato naufragio nell’imbuto del nostro vissuto».


Religione

MobyDICK

11 dicembre 2010 • pagina 19

ALTRE LETTURE

NELL’INFERNO DEL GULAG CON VARLAM SALAMOV di Riccardo Paradisi

di Sergio Valzania

n tempi nei quali in molti si affannano a spiegare in forme diverse le ragioni per le quali non si deve fare affidamento su nessuna trascendenza, esce un libro molto agile che sostiene l’esatto contrario. Dio non esiste! Gli argomenti del nuovo ateismo di Gerhard Lohfink, edito da San Paolo (170 pagine, 14,00 euro), si impegna programmaticamente a smantellare le tesi della vulgata atea, per giungere infine a una conclusione inattesa ma molto profonda. Gli intenti dell’autore sono esposti in modo chiaro e conciso nell’introduzione, dove si legge che «questo libro intende mostrare come l’ateismo non sia un sistema scientificamente fondato, bensì poggi su supposizioni, congetture e pregiudizi privi di fondamento». La tesi centrale del testo consiste nell’affermare che l’ateismo moderno non va considerato come l’assenza di una fede, ma piuttosto come una fede concorrente con quella giudaicocristiana, una sua negazione, che nei tempi recenti si è fatta prima aggressiva e quindi oggettivamente offensiva, al punto da manifestarsi nella forma propria della bestemmia. A riprova viene proposto un testo a larga diffusione nel quale il Dio della Bibbia viene presentato nei termini di «un bulla misogino, omofobo, razzista, infanticida, genocida, figlicida, pestilenziale, megalomane, sadomasochista e maligno secondo il capriccio».

I

Lohfink organizza la sua argomentazione in otto capitoli, ciascuno dei quali è finalizzato a smontare, decostruire, una delle affermazioni abituali dell’ateismo contemporaneo. L’itinerario prende le mosse dal generale, per passare poi a un contenzioso più diretto, nel quale si respingono accuse diffuse e molto rozze, come quella citata prima, di solito basate sull’ignoranza dei testi da parte di chi le sostiene. Leggere un libro vecchio di duemilacinquecento anni come se si trattasse del giornale di oggi conduce il più delle volte a grosse incomprensioni. In questi casi diventa persino difficile distinguere la semplice, anche se colpevole, mancanza di strumenti filologici, esegetici e interpretativi dalla vera e propria malafede. Molto brillante risulta il primo capitolo di Lohfink, intitolato in modo provocatorio Dio nessuno l’ha mai visto, dunque non esiste. Il ragionamento si basa sull’analisi di quello che va considerato il paradigma fondamentale della scienza moderna, posto da Bacone e Galileo e in seguito stravolto nel suo significato da epigoni non all’altezza degli illustri predecessori. La scienza moderna nasce infatti rinunciando a una conoscenza complessiva del mondo per limitarsi allo studio di ciò che «si può contare e misurare». La scelta ha consentito di raggiungere risultati di immenso valore nel campo della fisica, della chimica, della biologia, della medicina, dell’astronomia, ma ha comportato una sorta di accecamento di quanti hanno perso la consapevolezza della sua origine e delle sue finalità. Così che «da una visione selettiva del mondo è scaturita una teoria complessiva della realtà», la quale non poteva che rivelarsi una forma di materialismo radicale. Dal riconoscimento del fatto che siamo in grado di contare e misurare solo materia ed energia si è voluto far di-

rima della discesa agli inferi della Kolyma, la sterminata distesa di ghiacci nella Siberia nordorientale dove il regime sovietico portò al massimo livello di efficienza il sistematico annientamento delle sue vittime, Varlam Salamov aveva già avuto modo di sperimentare l’orrore della repressione comunista: nel 1929 era stato condannato a scontare tre anni nel gulag della Visera, a nord degli Urali. All’inizio degli anni Settanta prende forma il racconto Visera (Adelphi, 233 pagine, 18,00 euro) che insieme a Kolyma costituisce il ditttico indispensabile per comprendere l’abiezione del gulag sovietico: la storia della sua nascita, la mentalità di chi li dirigeva, il meccanismo infernale utile a distruggere moralmente vittime e carnefici.

P

La ricerca di Dio in un quadro di van Gogh Gerhard Lohfink mostra come l’ateismo non sia un sistema scientifico bensì poggi su congetture e pregiudizi privi di fondamento. Ma riconosce anche che l’aspetto autentico del suo radicalismo lo accomuna alla fede cristiana scendere la conseguenza arbitraria che solo energia e materia esistono. Nonostante le evidenza contrarie siano sotto gli occhi di tutti. A dimostrazione del suo assunto Lohfink propone di prendere in considerazione un quadro di Van Gogh. La sua analisi in termini fisici e chimici ci permette di descrivere i materiali che lo compongono fin nelle loro basi sub atomiche, la ricerca storica lo può collocare nel contesto culturale nel quale è stato dipinto, fino a fornirci una datazione puntuale della sua esecuzione. Siamo in grado di ricostruire il pensiero dell’autore al suo riguardo e quello dei contemporanei.Tutto ciò però non ci dice niente del fenomeno artistico, ossia proprio della ragione che ci spinge a interessarci di quel quadro e di quell’autore, invece di uno dei molti altri quadri e autori che pure esistono e che rimangono sullo stesso piano di fronte a un’analisi meramente scientifico-materialista. Da ciò discende che «se le scienze naturali non possono cogliere il senso di un quadro, non possono neppure percepire il senso del mondo». In questo contesto di ricerca del senso del mondo la religione, e quella cristiana in particolare, può vantare un’esperienza millenaria nella ricerca di Dio, condotta con i mezzi propri di questa attività, la preghiera e la meditazione, che sono per forza diversi da quelli della scienza. Perciò attribuire a tale esperienza di Dio la qualità di conoscenza autentica non tradisce la scienza ma nega esclusivamente «la pretesa monopolistica che la vera conoscenza avvenga solamente là dove si calcola e si misura». L’esito di questo riduttivismo gnoseologico consiste in una diminutio antropologica. L’uomo anziché essere senziente si riduce a essere misuratore e

calcolatore. Il ragionamento di Lohfink prosegue affrontando i temi classici dell’antireligiosità, dalla tesi feuerbachiana che vuole Dio semplice proiezione dell’uomo, alla teoria in base alla quale le scoperte dell’evoluzionismo si contrappongono alla rivelazione biblica, fino al grande argomento che i cristiani definiscono come il mistero del dolore. Ma la sofferenza del mondo è un tema così profondo che non può essere affrontato in termini di pura razionalità, merita allo stesso tempo un rispetto silenzioso, un atteggiamento di compassione, nel senso letterale di coinvolgimento, fino al semplice sussurrare delle ipotesi di una sua spiegazione in relazione al peccato e alla libertà.

Il dolore del mondo trova forse la sua radice nel distacco della Creazione dal Creatore, che secondo i cristiani si rimargina nella passione di Cristo, nel sacrificio di Dio che muore per riscattare il mondo creato libero di rifiutarlo. Di fronte al dolore e alla morte il credente non dispone di una spiegazione ultima e proprio questo, sostiene Lohfink nella parte conclusiva del libro, lo avvicina alle posizioni dell’ateismo posto nella sua forma più coerente, non competitiva con le motivazioni e le esperienze del credente, ma capace di condividerne, da un altro punto di vista, le tensioni. «Tra la fede cristiana e l’ateismo autentico, che pone interrogativi radicali ed è al contempo tormentato, vi sono molti punti in comune».Tanto che Lohfink cita Michail Bachtin quando sostiene che «la fede vive al confine con l’ateismo, lo guarda e lo comprende», fino a concludere che «il vero credente comprende l’ateo perché anche lui è un critico delle religioni» dato che «il vero pericolo per la fede sta nell’indifferenza, la tiepidezza, la pigrizia intellettuale, l’arroganza: dall’interno come dall’esterno».

QUANDO L’EUROPA ERA UNA POTENZA *****

Q

uali sono le radici del predominio europeo nella storia mondiale? Rovesciando la prospettiva eurocentrica a lungo egemone negli studi storici, Jack Goldstone in Perché l’Europa? (Il Mulino, 248 pagine, 23,00 euro) utilizza la più recente storiografia internazionale per smentire la visione di uno sviluppo della civiltà che dalle origini greco-latine avrebbe acquisito una dimensione mondiale in forza dell’espansione europea. Il saggio dimostra la superiorità economica e culturale dell’Asia rispetto all’Europa fino a tutta l’età moderna e quindi illustra l’emergere, a partire dal Settecento, del divario tecnicoscientifico ed economico che, innescando la rivoluzione industriale in Gran Bretagna, sostenne l’ascesa dell’Europa e l’affermarsi del primato dell’Occidente.

IL MARTIRE DI SOLIDARNOSC *****

Europa dimentica in fretta i suoi martiri anche se non è facile dimenticare Jerzy Popieluszko, il sacerdote polacco vicino a Solidarnosc che pagò con la vita la sua battaglia per la libertà e la verità. Milena Kindziuk nella biografia dedicata a Popieluszko (San Paolo edizioni, 362 pagine, 26,00 euro) ripercorre i ricordi diretti delle persone che hanno conosciuto il sacerdote negli anni del suo ministero a Varsavia e della vicinanza a Solidarnosc. Il libro della giornalista polacca rappresenta il tentativo di invitare il lettore a compiere un viaggio attraverso la buona battaglia di Popieluszko, dall’apostolato svolto presso i lavoratori durante la rivolta anticomunista degli anni Ottanta alle sue messe per la Patria.

L’


pagina 20 • 11 dicembre 2010

di Enrica Rosso rguto, beffardo, commovente, disincantato, elegante, fervente, gentile e generoso… Si potrebbe comporre e scomporre così, per descriverlo, tutto l’alfabeto, giocando con le parole, come lui egregiamente sa fare, senza tema di restare a bocca asciutta. Mario Scaccia, un grande, 91 anni a Natale - una settantina dei quali dedicati al teatro - in scena al Teatro Arcobaleno di Roma in Interpretando la mia vita tratto dall’omonimo libro (che sottotitola: Il mio teatro, i miei personaggi, la mia storia, Paolo Emilio Persiani Editore, 144 pagine, 14,90 euro). Lo scopriamo in proscenio già accomodato su di una semplice poltroncina da teatro, elegantissimo nel dire e nel fare, a ripercorrere con noi la sua straordinaria avventura artistica inestricabile da quella umana. Non il rimembrare vacuo delle magistrali interpretazioni di cui è costellata la sua vita, ma il racconto, sempre ironico, di un mondo sconosciuto ai più, il pass per l’ingresso degli artisti a cui è dato accesso agli spettatori che possono quindi coinvolgersi con le personalità più significative del teatro del Novecento con i loro vezzi e vizzi: Anton Giulio Bragaglia che dirigeva smoccolando dalla galleria e che Anna Magnani mise a posto in un batter di ciglia; Paola Borboni, grande amica, celebre per le sue attitudini nudiste che cercò di coinvolgerlo in una vendetta ai danni dell’ex amante Salvo Randone, Memo Benassi, Federico Fellini, Eduardo De Filippo che gli cedeva il camerino del direttore, a lui e solo a lui, quando lo ospitava a Napoli nel suo teatro, il San Ferdinando e che gli scrisse una commedia (purtroppo mai rappresentata perché incompiuta).Tutti ricordati con stima e affetto, mai

A

Danza

Teatro Mario Scaccia, MobyDICK

spettacoli

ricordi

di un mattatore

svillaneggiati, compresi e colti come esempi di personalità forti che si davano pienamente al mestiere dell’attore, senza perdere mai smalto. Racconta anche di sé, naturalmente. Edoardo Sala, memoria storica di Scaccia (avendo con lui condiviso decenni di avventure artistiche) oltre che attore, drammaturgo e as-

semblatore della serata, lo stimola nella narrazione. «L’allievo storico» richiama alla mente un percorso, cita aneddoti, prepara i passaggi, con grazia e tangibile affetto; il Maestro non perde un colpo e ci apre il suo scrigno di ricordi snocciolando, con la classe che lo contraddistingue, i dietro le quinte di amici e colleghi da cui si evince a tutt’oggi un attaccamento, un rispetto, un amore profondo per il teatro, che sono alla base dell’espressione artistica, a dispetto dei tanti orribili esempi di sciatteria presupponente e squallida di troppi pseudo attori che abitano la scena contemporanea. Al proposito cito: «Ognuno sta solo nel vasto teatro/ trafitto dal grido di un guitto./ Ed è subito tedio», una composizione tratta dall’Antologia rifatta firmata da Scaccia e pubblicata da Trevi nell’81. A tratti frammenti di interpretazioni memorabili recuperate dalle Teche Rai vengono proiettate sullo schermo alle loro spalle ed entrano in scena Shylock e Petrolini. A conclusione della serata, Mario Scaccia, con incedere lento, poggiandosi al bastone, ma dritto come un fuso, guadagna il cuore della scena, si illumina e ci restituisce vivi attraverso i loro versi, Pascoli, Montale,Trilussa e Belli. Giovani attori: andate e imparate.

Mario Scaccia - Interpretando la mia vita, Roma, Teatro Arcobaleno, fino al 19 dicembre, info: www.teatroarcobaleno.it tel. 06 44248154

DVD

TRA NAPOLI E MILANO L’HEIMAT DI SALVATORES na specie di Heimat all’italiana, un serial di storia patria vista attraverso gli occhi di un ragazzo e lo stile di un nuovo format tv». Nelle parole di Gabriele Salvatores, napoletano cresciuto a Milano, c’è il cuore pulsante di 1960, bel documentario costruito dal regista di Nirvana attraverso materiali di repertorio. Interpolati con l’Italia del boom, i frammenti di realtà si alternano alla storia di due fratelli distanti, in un costante andirivieni tra storia privata, immaginario collettivo e mutamenti sociali. Salvatores rilegge lo stile documentario con la consueta cifra sperimentale: promosso a pieni voti.

«U

DIRETTA TV

TRENT’ANNI DOPO FRATE CIONFOLI rent’anni dopo frate Cionfoli, sbarcano in Italia dalla Francia Les Pretes, un trio religioso che ha già all’attivo mezzo milione di copie vendute, parecchi sold out, e un posto stabile nella top 50 degli album più venduti all’estero. Spiritus Dei, loro album d’esordio, nasce dalla necessità di raccogliere fondi per costruire una chiesa e aiutare una scuola in Madagascar. I 16 brani scelti per il pubblico italiano vantano una doppia versione in italiano e in latino. Chi è curioso potrà ammirarli il 24 dicembre, quando canteranno in diretta in occasione della veglia natalizia di Raidue.

T

di Francesco Lo Dico

Sul palco dell’Opera, la Carmen e l’Arlésienne di Petit on un significativo anticipo rispetto agli anni precedenti, mercoledì 22 dicembre il Teatro dell’Opera di Roma apre la sua stagione di balletti. Per lo spettacolo inaugurale, il teatro capitolino è tornato a interpellare una firma del balletto novecentesco: Roland Petit, dedicandogli una serata a tema in un allestimento in collaborazione con il Teatro alla Scala di Milano. Le serate monotematiche dedicate al grande coreografo sono oramai un classico nei nostri teatri stabili; il sicuro successo del segno del maestro francese lo ha reso particolarmente appetibile e la programmazione natalizia del Teatro dell’Opera appare una scelta culturale ben ponderata che si propone ai ballettofili come una valida alternativa al tradizionale Schiaccianoci. Con la Serata Roland Petit, il Teatro dell’Opera di Roma riporta dunque in scena la fortunata Serata Petit scaligera del 2008. La triade originale è

C

di Diana Del Monte stata tristemente privata del capolavoro nato dalla collaborazione di Petit con Jean Cocteau, Le jeune homme et la Mort, interpretato dal divo della danza Roberto Bolle, per un nuovo programma che lascia il palcoscenico romano in balia di due donne dal carisma prepotente e fatale: Carmen e L’Arlésienne, entrambe accompagnate dalla musica di Bizet.Tratto da un’opera di Alphonse Daudet, L’Arlésienne di Petit ricalca la trama originale del racconto non mo-

strando mai la figura della donna di Arlés; nonostante ciò, la sua influenza su Frederi, il giovane protagonista prossimo alle nozze con la compagna d’infanzia Vivette, è resa in maniera quasi tangibile nella coreografia. Petit rielabora per la sfortunata coppia l’idea del passo a due andando in direzione opposta alla concezione romantica; l’utilizzo dello sguardo di Frederi, sempre più frequentemente perso nel vuoto, e dei disequilibri di Vivette, ultimi disperati tentativi della ragazza di trattenere lo sfuggente fidanzato, trasformano l’emblema della danza d’amore, il pas de deux appunto, in un addio unilateralmente provocato, straziante e indifferente allo stesso tempo. Lapalissiana, in questa coreografia del 1974, l’evocazione del lavoro dei fratelli Nijinskij; se la scelta del bianco e nero per i costumi, con l’utilizzo dell’abbigliamento tradizionale pro-

venzale, sembra quasi una citazione di Les Noces della Nijinskaja, non meno meditati appaiono i richiami al rito nijinskiano del 1913 nei movimenti d’insieme, nelle pose collettive e nell’utilizzo dell’en-dedan. L’apertura della stagione del Teatro dell’Opera punta sul debutto di Eleonora Abbagnato e Ivan Vasiliev sul palco romano. Entrambi impegnati nell’Arlesienne, ma in serate diverse, i due ballerini hanno da tempo nel loro repertorio i due ruoli dei protagonisti; la figura delicata della Abbagnato è certamente vincente in ruoli come quello di Vivette e Vasiliev (omonimo del grande danzatore del passato) è già stato acclamato come il nuovo Nureyev. Interessante notare anche la conferma dell’interprete di Carmen, Polina Semionova, che due anni fa non convinse appieno il pubblico e la critica. La splendida ballerina russa, in realtà, riporta sul palco quella lettura un po’ androgina della sigaraia di Siviglia voluta proprio da Petit che, nel 1949, scelse come prima interprete della sua Carmen la futura moglie Zizi Jeanmaire.


MobyDICK

poesia

11 dicembre 2010 • pagina 21

Il tutto in poche, scarne parole L

Kavafis rientrò definitivamente nella sua terra d’origine, ad Atene, nel 1907, con alle spalle pochi testi pubblicati, 14 in una plaquette datata 1905, e vi visse inseguito dai fantasmi di una vita affettiva turbolenta, nono e ultimo figlio di una famiglia falcidiata dalla morte ancor prima di lasciare l’Egitto; inseguito da una omosessualità sempre più psicologicamente traumatica; e vi visse tra una notorietà internazionale consegnatagli da un saggio di E.M. Forster e una polemica divampata all’alba del 1919 tra letterati alessandrini e ateniesi che lo consumò fino alla fine, sopraggiunta per un cancro alla gola nel 1933, un anno dopo la visita di Ungaretti a quell’amato poeta che nonostante il grave malanno «altro non continuava ad avere, negli occhi e nei gesti, se non forme bellissime di luce». Nel panorama della poesia del Novecento l’opera di Kavafis occupa certamente un posto particolare. Cupo, solitario fino all’autosegregazione, ma allo stesso tempo attratto dalla vitalità e dalla solarità mediterranea, il poeta neoellenico rifiuta in blocco ogni aspetto del suo tempo, tuffandosi invece, con estasiata meraviglia, nelle suggestioni delle leggende mitologiche e della storia antica. Con le sue liriche ricrea il mondo ellenistico pagano-cristiano

il club di calliope

Voci ideali e amate di quanti sono morti, di quanti sono per noi perduti come i morti. A volte ci parlano nei sogni, a volte le ode la mente tra i pensieri.

di Francesco Napoli a sorte ha voluto che Konstandìnos Kavafis nascesse ad Alessandria d’Egitto, nel 1863, venticinque anni prima di Giuseppe Ungaretti che lo ricorda, in un saggio del 1957, in quanto gli «furono d’insegnamento ineguagliabile le conversazioni con lui, per il quale non aveva segreti la sua lingua nel trimillenario mutarsi e permanere». Così si può autorevolmente sfatare il mito di un poeta che, come gli altri grandi neoellenici Solomòs, Kalvos e Palamàs, avrebbe avuto nella tardiva acquisizione della propria lingua d’origine una tara espressiva mai colmata. Un attento vaglio linguistico ancora da compiersi metterebbe di sicuro in luce che per Kavafis e i suoi compagni di poetica sia il contenuto a influenzare l’espressione e quindi: via inutili purismi e uso di voci che apparirebbero assurde fuori dal loro contesto mentre risaltano nel tessuto di una poesia di ungarettiana ineguagliabile forza.

VOCI

dell’antica Alessandria nella sua pienezza, traendone in continuazione simboli e motivi. Gli esiti di questa operazione letteraria sono Col loro suono riemergono un istante la continua, disperata ricerca di una bellezza suoni della poesia prima della vita misteriosa e inafferrabile, un’evocazione di attimi nascosti e di amori cantati ora con accome di notte una musica che centi violentemente sensuali ora accorati e nostalgici, mescolati a una tragica visione in lontananza muore. della storia intesa come eterno scontro tra gli uomini e il destino. Nelle sue poesie campeggiano uomini e donne con i loro sentimenti, i Konstandìnos Kavafis loro dilemmi, la loro umana pietà. La bellez(in Poeti greci del Novecento za delle sue liriche è stupefacente: con poche, scarne parole Kavafis sa evocare tutto traduzione di Nicola Crocetti) un mondo tumultuoso. La sua cultura polisemica ha forse origine dalla consapevolezza che era la storia greca, oltre alla lingua e alla religione, a unire le comunità elleniche della diaspora. Egli frequentava unicamente ambienti mattine d’estate, mercati fenici in cui si commerciano greci, anche nei pochi anni vissuti tra Inghilterra e Istan- madreperle di corallo, di ebano, d’ambra, ma, naturalbul, quasi a non volersi mai allontanare dal mondo ori- mente, il nostos per cui «Itaca tieni sempre nella mente./ ginario. Riconosceva alla comune storia il valore di lega- La tua sorte ti segna quell’approdo»; riattizzando così me che univa tutti i suoi connazionali anche fuori della con nitida linearità il fuoco di un mito risvegliatosi con madrepatria. Sul tema della morte, centrale nella prepotenza nell’Occidente letterario novecentesco. sua poesia («Voci ideali e amate/ di quanti sono morti»), è famosa la lirica Nel mese di In Italia a cominciare dal 1919 si venne a conoscenza Athyr dove Kavafis tenta di decifrare la della sua opera, con qualche poesia mal tradotta, e di lui pietra tombale di un giovane cristiano scrissero Marinetti e, tempo dopo, Ungaretti, Montale, morto ad Alessandria, forse in epoca bi- Caproni. Alfonso Gatto, che lo lesse costantemente, gli zantina. Dalle poche parole che egli rie- dedicò versi nella sua postuma Desinenze, notandone al sce a leggere faticosamente comprende contempo «l’amara lentezza dello sguardo» e «la sagche il giovane fu molto amato. In questa gezza pigra dell’amore». Oggi l’assidua opera critica, ed come in altre liriche l’emozione non ha editoriale, di Nicola Crocetti e Filippomaria Pontani è alcuna mediazione: il solo fatto che il sfociata in un importante quadro d’assieme, Poeti greci defunto fosse giovane e molto amato del Novecento (Mondadori, CIII-1896 pp., 65,00 euro) crea un coinvolgimento emotivo e con- nella prestigiosa collezione dei Meridiani. Primus inter trappone in timide parole il conflitto di pares, i curatori avvertono con forza critica la necessità sempre tra Eros e Thanatos («A me pare di collocare un po’a sé Kavafis, per le sue caratteristiche che Lucio molto diletto fu./ E nel mese di poetiche, certo, ma perché evidentemente la sua opera Athyr Lucio s’addormentò»). La poesia, lineare sta stretta in un qualsivoglia tratteggio delle direttrici nella sua perfezione stilistica, è tra le più ricordate della storia della poesia neogreca del Novecento. E handel poeta e sembra fare il pari con Itaca dove Kavafis no buone ragioni per far questo, perché senz’altro Kavasembra quasi conversare con il grande eroe omerico, sol- fis è «esponente più noto e originale» tra i cosiddetti poelecitando il nobile interlocutore a un rapido ritorno all’i- ti-vati neoellenici e, dunque, «non si lascia inquadrare in sola ed evocando, con lucentezza tutta mediterranea, alcun disegno evolutivo o schema classificatorio».

Amore o come ti deve chiamare uno che ha sul petto collane di lune ubriache e che crede che Dio esista solo se con te sotto i portici delle albe si vede… *** L’amore non ha contrari, nemmeno l’infelicità. Nemmeno gli occhi spenti, amari di luce affranta L’amore sempre, sempre sanguina e canta Davide Rondoni

IL DESTINO DI UN MAESTRO DELL’ANIMA in libreria

di Loretto Rafanelli

Rita Stilli scrive di Roberto Carifi: «È poeta non soltanto per talento, per genio, o per semplice grandezza, ma per destino». Meglio, pensiamo, non si poteva dire dell’autore pistoiese, poeta a noi particolarmente caro, e da considerare, con assoluta obbiettività, tra i maggiori della poesia italiana di oggi. Questo e molte altre cose la Stilli le dice in un libro (Roberto Carifi. La compassione e il pensiero, Edizioni Baba Jaga, 15,00 euro) che non possiamo considerare un saggio critico, come l’autrice peraltro afferma, o una biografia, per quanto romanzata, neppure una mappa, una guida, ma solo una intima, emozionata, adesione a una vita, a una poesia consegnata a chi «è toccato in sorte di essere prescelto fra coloro che hanno qualcosa da dire, qualcosa che non è stato mai detto, che non lo sarà mai più». Carifi è una figura rara che congiunge in sé non solo il dono del verso, ma pure la profondità del pensiero filosofico e la Stilli ritiene che egli sia «il seme di questo nostro tempo», un tempo orfano, e lui, orfano per eccellenza, nella sua «mancanza di appartenenza a qualsivoglia classificazione», ci appare come un grande maestro dell’anima, in grado di raggiungerci e di parlarci, dall’alto di un pensiero caritativo, quello della poesia.


Personaggi

pagina 22 • 11 dicembre 2010

a gli occhi tipici di colui «che ha visto», per usare un’espressione cara agli sciamani. Nessuno gli darebbe i 77 anni che ha. Il suo carisma è evidente, tuttavia lo è anche la sua umiltà benché negli Stati Uniti, dove vive e opera da ormai quant’anni, Stanislav Grof sia una star indiscussa, un personaggio estremamente popolare grazie ai suoi fortunatissimi libri, alle sue affollatissime conferenze e alle sue rare, e seguitissime, apparizioni televisive. Questo singolare psichiatra e filosofo - fondatore assieme a Ken Willberg della psicologia transpersonale, una scuola di pensiero che pone al centro della sua ricerca e della terapia la «quarta dimensione» (il Sé per dirla all’orientale o l’anima per dirla all’occidentale) -, grazie alla sintesi tra scienza e spiritualità, nonché alla rara capacità di rendere chiari concetti e visioni tutt’altro che semplici, è riuscito a influenzare profondamente la mentalità di tantissimi americani (e non solo). Nel suo ultimo libro uscito negli Stati Uniti (già pubblicato in altri Paesi, ma non in Italia), When The Impossible Happens: Adventures In Non-Ordinary Reality (Quando si verifica l’impossibile.Viaggio alla scoperta di realtà straordinarie), un titolo che è tutto un programma, Grof fa il punto su un cinquantennio di ricerche sulla coscienza offrendo una panoramica di fenomeni puntualmente documentati capaci di sconvolgere l’abituale visione della realtà.

H

MobyDICK

ai confini della realtà

Grof,

il nocchiere dell’aldilà

«Da giovane ricercatore ceco - ci ha racconta in occasione di un nostro incontro a Milano - sono stato formato a una rigida visione materialistica della vita e del cosmo. Poi qualcosa è cambiato. Tutto cominciò con le sperimentazioni sulle sostanze allucinogene (Lsd e dintorni), a proposito delle quali colleghi statunitensi mi riferivano novità strabilianti. Così decisi di studiare a fondo l’argomento: con i membri della mia équipe cominciai ad assumere le sostanze che poi, sulla base dei risultati, cominciammo a somministrare ai pazienti». E qui la prima delle due grandi sorprese proveniente dal regno del cosiddetto alterated state of consciousness (stato straodinario di coscienza). Normalmente noi viviamo in una dimensione di «coscienza ordinaria», ossia percepiamo una porzione estremamente limitata della realtà. Grof e i suoi collaboratori si accorsero invece di vivere esperienze che solo in seguito rivelarono la loro portata... Esperienze mistiche e «medianiche» caratterizzate da una fortissima gioia, da uno stato di coscienza che potremmo definire estatico. «Non abbiamo fatto altro che constatare due dati di fatto - spiega Grof - davanti ai quali non potevamo chiudere gli occhi.Innanzitutto, i numerosi riscontri oggettivi di tante esperienze di questo genere... Fra i tantissimi episodi mi colpì in particolare il caso della moglie di un mio carissimo amico e collega morto improvvisamente,

di Marino Parodi che si sottopose a una delle nostre sedute allo scopo di elaborare il lutto. In realtà stabilì un contatto con il marito che si sarebbe potuto interpretare come una fantasia o una proiezione della donna se non fosse che ella ricevette da lui una serie di informazioni, di natura pratica e professionale, a lei del tutto sconosciute, con tanto di dati e cifre.Verificammo subito e constatammo che era tutto esatto! Questo è soltanto uno dei tanti episodi ma è stato possibile un’infinità di volte constatare l’assoluta veridicità delle informazioni ottenute nel corso di questi “viaggi nelle dimensioni superiori”. Penso ad esempio alle descrizioni della vita degli antenati,

nitiva la teoria di Grof? Alla base dell’universo vi è una Intelligenza che tutto sovrasta e ingloba. La natura dell’essere umano è fondamentalmente spirituale e certo la coscienza (o se si preferisce l’anima), la quale coincide con il nucleo più profondo e autentico del nostro essere, non finisce con la morte che altro non è che il passaggio verso nuove dimensioni. Del resto la sopravvivenza della coscienza alla morte fisica è una realtà ampiamente supportata da un altro campo di ricerca che negli ultimi decenni ha compiuto passi da gigante: gli studi sulle Nde (Near Death Experiences), ovvero sui cosiddetti risuscitati. I pazienti reduci dal

Psichiatra e filosofo, negli Stati Uniti è una star indiscussa, capace di guidare anche i più scettici, attraverso le sue terapie, in viaggi alla scoperta di straordinarie realtà, veri e propri incontri ravvicinati con l’altro mondo. Quello della vita dopo la morte... esattissime sul piano storico, antropologico, quasi provvenissero da una telecronaca di un viaggio nel tempo. La seconda prova dell’importanza di tali esperienze consiste nel loro valore terapeutico: in tempi estremamente rapidi tanti pazienti, attraverso questo tipo di sedute guarirono da forme patologiche assai gravi, spesso considerate addirittura inguaribili». Grof e i suoi collaboratori hanno anche constatato - e siamo alla seconda sorpresa - che la sostanza stupefacente non è di per sé necessaria perché le esperienze che si verificavano non erano un prodotto del Lsd o di altre sostanze che fungevano solo da catalizzatori. Gli stessi risultati si potevano raggiungere per via «naturale», attraverso tecniche di meditazione «olotropiche», ossia basate sul respiro, di millenaria provenienza indiana. Così le sostanze allucinogene sono state sostituite da tecniche di meditazione, sia per gli scopi terapeutici che per la ricerca. Ma qual è in defi-

Nde si sono rivelati spesso in grado di riferire fatti verificatisi durante il loro stato di coma o d’incoscienza. Il paziente, indipendentemente dalle sue idee precedenti - poco importa se prima credesse nella vita dopo la morte - è convinto di essere stato nell’aldilà e ciò lo induce spesso a una

visione spirituale della propria esistenza, il che si rivela estremamente significativo anche sotto il profilo terapeutico. Tutte le esperienze di Nde dimostrano l’indipendenza della coscienza rispetto al corpo e alla materia. «Sono tante le scoperte scientifiche - spiega Grof - che vanno in questa direzione, al punto da rendere evidente la totale inadeguatezza e inconsistenza del modello materialistico a cui si ispirava la vecchia scienza. Esplorando gl’immensi sentieri della coscienza, diventa sempre più evidente che la materia non è che uno strato, una delle tante dimensioni, assai più fragile e inconsistente rispetto allo spirito. La spiritualità indiana, che insegna a sollevare il velo di Maja, ovvero ad andare al di là delle apparenze ingannevoli dei cinque sensi, dimostra di avere da vari millenni le idee ben chiare in proposito. Ma anche tradizioni spirituali di altra provenienza - il buddismo zen, lo sciamanesimo, la mistica cristiana - possono essere di supporto in questo percorso. A sostenere ulteriormente questa visione interviene la sincronicità, cavallo di battaglia della riflessione di Carl Gustav Jung. Potremmo definire la sincronicità come il modo in cui la mente divina interagisce con le nostre esistenze: si tratta di quelle “misteriose” e “apparenti” coincidenze, le quali stanno a indicare come nell’immenso gioco cosmico a ciascuno di noi spetti una parte importante e insostituibile».

Questa visione spirituale-scientifica è accessibile a tutti. Non si tratta infatti di «parapsicologia» - scienza nata alla metà dell’Ottocento che ha fatto da apripista in un’epoca in cui si brancolava nel buio circa le potenzialità della coscienza. In quell’ambito si pensava che le facoltà «paranormali», ossia situate al di là delle normali potenzialità della mente, fossero limitate a una categoria assai ristretta di individui. Secondo Grof invece la nostra coscienza, proprio poiché siamo esseri spirituali, è per sua natura dotata di richissime potenzialità le quali sono a disposizione di tutti gli esseri umani. Il problema è scoprirle, divetarne consapevoli e valorizzarle. Psicologia, biologia, fisica e medicina, almeno per quanto riguarda i ricercatori più aperti, stanno ormai inglobando in misura sempre maggiore ciò che una volta era considerato il campo della vecchia parapsicologia. La conclusione di Grof è che «attraverso questo percorso è possibile non solo ampliare la conoscenza di quel regno meraviglioso e infinito che è la coscienza umana, ma anche guarire da ogni dolore e sofferenza: il potenziale terapeutico presente nel profondo di ciascuno di noi è immenso e ancora tutto da scoprire».


o p i n i o n ic o m m e n t il e t t e r ep r o t e s t eg i u d i z ip r o p o s t es u g g e r i m e n t ib l o g

Una speranza a milioni di contribuenti in difficoltà 150 ANNI DI UN PEZZO D’ITALIA Una ragazza giuliana è giunta un paio di mesi fa nella piscina dove faccio il “guardavita”. Io sono nativo di Verona, quindi veneto, e scrivo per una testata con staff tecnico e redazione a Roma. Mia mamma è originaria di Bolzano. Cosa ci accomuna? Il fatto che alla nascita del regno d’Italia, nel 1861 al termine della seconda guerra d’indipendenza e dopo i plebisciti negli altri territori conquistati, mancavano giustappunto il Veneto, il Friuli Venezia Giulia, il Trentino Alto Adige e Roma. Verde come i prati e le nostre colline, rossa come i tramonti sui nostri mari, bianca come le nevi delle nostre cime e… “White”, come Jessie White Mario, pasionaria intransigente e caritatevole, perennemente in guerra: sintesi del simbolo tricolore del patrio stivale. Eroina e figura di coraggio nella concretezza dell’agire per la causa dell’indipendenza. Si conquistò l’appellativo di Giovanna D’Arco della bandiera italiana conferitole da Mazzini. Fu infermiera in quattro campagne con Giuseppe Garibaldi. Dopo la battaglia di Bezzecca si dedicò con ardore e carità alla cura dei numerosi feriti. Si cimentò in ricerche sulle tremende condizioni di vita nei quartieri partenopei, e alla situazione minorile. Studiò le gravi restrizioni a cui erano costretti i minatori delle solfatare siciliane, tanto da non essere spesso idonei al servizio militare. Scrittrice e giornalista, dopo l’unificazione del nostro rinato Paese, si occupò dei problemi sociali che non erano nelle priorità dei primi governi post-unitari. Inoltre miss Uragano, come la chiamò Carducci, non mancò mai ove ci fosse da patire o da osare per un nobile ideale. Da poco è passato il 25 novembre, giornata che dal 1999 l’Onu dedica alle donne, celebrata contro ogni tipo di violenza nei loro confronti. Recentemente è nata Penelope, figlia di Gianna Nannini, simbolo di un certo tipo di femminilità attuale o, come meglio riassumerebbe la mia nipotina Martina, è giunta al mondo una maschia. L’Italia ha bisogno di donne con la D maiuscola e non di brutte storie come quella di Avetrana. L’Italia è di genere femminile, e allora che la brezza soffi sincera su queste centocinquanta candeline! Edoardo Pozzani C I R C O L I LI B E R A L VE R O N A

LE VERITÀ NASCOSTE

Alla mancata capacità della classe politica di cogliere le difficoltà in cui vivono milioni di contribuenti sopperisce la Corte di Cassazione a sezioni unite che ha riconosciuto al contribuente un diritto alla rateizzazione dei propri debiti con Equitalia secondo le proprie possibilità economico-finanziarie, riconoscendo quale condizione l’esistenza delle obiettive difficoltà del contribuente e l’esigenze di mantenimento della continuità aziendale della sua impresa, che l’attuale legislazione non garantisce per tutti. Un’ordinanza importante che può consentire di fare uscire migliaia di imprese e di contribuenti dalla morsa di ipoteche, pignoramenti e fermi amministrativi. Infatti di fronte alla crisi economica si tratta di conciliare gettito erariale e possibilità di pagamento da parte dei contribuenti, allungando i tempi delle rateizzazioni, oggi concedibili fino a un massimo di 72 rate, in funzione delle possibilità economico finanziarie dei soggetti in arretrato con il fisco. Questo consentirebbe a molti più contribuenti di potere pagare e di poter non mettere a rischio la propria azienda e per le famiglie il proprio reddito per potere vivere.

www.federcontribuenti.it

MEZZ’ORA DI LAVORO PRO ALLUVIONATI A nome dei 500.000 veneti colpiti dall’alluvione ringrazio di cuore i lavoratori, gli industriali, i sindacati del Veneto. Grazie all’iniziativa unitaria dei rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori, su base volontaristica, ogni lavoratore del Veneto potrà donare il corrispettivo di mezz’ora di lavoro da far confluire nel fondo istituito per gli interventi a favore delle popolazioni e dei territori colpiti. Una dimostrazione lampante di come il Veneto sappia fare squadra nel momento del bisogno, in maniera coesa e forte, senza tentennamenti, con la capacità di unire le forze al di sopra e al di là dei ruoli.

Ellezeta

SALVIAMO IL SOLDATO RENZI Salviamo il soldato Renzi. È un dovere morale di tutti coloro che fanno politica. Quello che stanno dicendo al sindaco di Firenze dimostra che a sinistra non hanno cultura di governo. Lo stanno distruggendo, gli stanno sparando addosso ed è fuoco amico dei suoi stessi elettori e dirigenti. Cosa avrà mai fatto per meritarsi questo processo sommario e mediatico? Ha incontrato il presidente del Consiglio e lo ha fatto nella sua residenza ad Arcore. E questa volta non gli basta buttarla sul ridere e fare le battute per uscire dalle responsabilità alle quali lo chiama la sinistra. Il messaggio è chiaro e che serva da

lezione a tutti. A sinistra basta poco per essere emarginati e passare al nemico con tanto di processo sommario a mezzo stampa, mail e Facebook. Quanto sta accadendo è però l’ennesima dimostrazione che la sinistra in Italia al massimo può fare opposizione, e neppure troppo bene visti i risultati, ma non riesce ad avere una cultura di governo. Non esiste l’avversario politico bensì il nemico con cui il dialogo è impossibile.

Gabriele

BULLI ALLA RISCOSSA Il fenomeno del bullismo ritorna in auge e nel giro di pochi giorni sono stati tre i casi conclamati dalla stampa, tra questi anche un caso di cyber bullismo. Un’altra notizia eclatante recente è stata quella della condanna di un’insegnate da parte del tribunale di Torino per il noto caso del video-choc contenente vessazioni su un giovanissimo studente con problemi di inserimento. L’insegnante, ora in pensione, è stata chiamata in causa perché era in classe nel momento in cui qualcuno cominciò a riprendere con il cellulare le angherie sul ragazzo. Proprio in merito a questa ultima vicenda, voglio segnalare che molti genitori “soffrono”proprio della riluttanza da parte degli insegnanti ad agire in casi di angherie tra ragazzi. Infatti, anche in casi, pure gravi, di bullismo, alcuni insegnanti al fine di non fare

L’IMMAGINE

REGOLAMENTO E MODULO DI ADESIONE “…VERSO IL PARTITO DELLA NAZIONE” SU WWW.LIBERAL.IT E WWW.LIBERALFONDAZIONE.IT (LINK CIRCOLI LIBERAL)

COLUMBUS. Promemoria: se avete in mente di commettere un crimine, non è una buona idea telefonare a chi dovrebbe fare rispettare la legge per farsi dare una mano. Al 21enne Carlton Rotach, questa regoletta non è passata per la testa quando, per fare un po’ di soldi, ha pensato bene di mettere a punto un piano per il rapimento di una ex-collega. Va dato atto a Rotach che il piano era ben dettagliato, e si era reso conto sia che aveva bisogno di aiuto per prelevare la donna, sia che non aveva un posto sicuro dove tenerla durante la prigionia. Solo che a questo punto Rotach per colmare queste lacune ha pensato bene di contattare una agenzia di sorveglianza (la Ronin worldwide executive protection), spiegando il suo piano per filo e per segno, chiedendo un preventivo per i loro servizi per rapire la donna e affidarla loro finché non fosse stato pagato il riscatto. L’agenzia, chiaramente, ha contattato immediatamente la polizia, e degli agenti si sono finti impiegati della Ronin per andare a parlare con Rotach, fingendo di contrattare i dettagli dell’accordo. Rotach ha abboccato e ha spiegato nuovamente il suo piano agli agenti, che lo hanno arrestato.

emergere le responsabilità della scuola, hanno assunto un comportamento lesivo a danno degli stessi alunni, attraverso il silenzio. In questo modo si tende a rendere il fenomeno ancora più sommerso di quanto non lo sia già. Nonostante le istituzioni stiano facendo un buon lavoro di prevenzione contro il bullismo, è necessario fare di più e soprattutto prevenire il fenomeno attraverso l’ausilio di nuove forme di comunicazione che facciano breccia nel cuore delle nuove generazioni. Ben venga il blog no bullismo, un contenitore e uno spazio rivolto soprattutto ai ragazzi che hanno voglia sia di denunciare che di condividere le amarezze e le gioie della quotidianità.

Monia Napolitano

FERROVIE. I NUOVI DIRITTI DEI PASSEGGERI

APPUNTAMENTI DICEMBRE OGGI ORE 16 - SALERNO - TEATRO AUGUSTEO I Circoli Liberal della provincia di Salerno partecipano all’incontro dell’Udc “… verso il Partito della Nazione” con Pier Ferdinando Casini

Guardie giurate per un rapimento

In sella con Fido La scena che state osservando non è stata fotografata a Manila, dove un motociclista ha deciso di far provare il brivido del motore anche al suo fidatissimo amico. In Italia questa coppia sarebbe subito sanzionata: per la sicurezza di centauri e passeggeri a quattro zampe infatti, non è consentito traportare animali domestici su due ruote a meno che non siano assicurati in una gabbietta da passeggio

In occasione delle vacanze natalizie molti viaggiatori utilizzano il treno per gli spostamenti. Pochi sanno, però, che da poco più di un anno è in vigore il Regolamento CE n.1371/2007 nell’Unione europea sui nuovi diritti per i passeggeri. Vediamoli in sintesi per i treni nazionali. Ritardo in partenza: se il ritardo è superiore a 60 minuti si può scegliere tra il rimborso del biglietto o il proseguimento con il primo treno utile o con servizi sostitutivi, inoltre si ha diritto a pasti sul treno o in stazione e al pernottamento in albergo nel caso il mezzo sia disponibile il giorno successivo. Se il ritardo si verifica all’arrivo: è previsto un indennizzo del 25% del prezzo del biglietto e della prenotazione in caso di ritardo fino a 2 ore e del 50% per ritardi oltre le due ore. Il risarcimento è effettuato entro un mese dalla richiesta e può essere in denaro o bonus. Per ritardi oltre i 60 minuti si ha diritto a pasti e bevande e all’eventuale sistemazione alberghiera.

Primo Mastrantoni


grandangolo

pagina 24 • 11 dicembre 2010

Ha vinto tutto con il Manchester

Da Marsiglia all’Old Trafford Si può ricordare per la formidabile carriera o per il calcio di kung fu al tifoso. Ma senza dubbio Eric Cantona resta un personaggio unico, dentro e fuori il campo. Campione del Manchester con cui vinse quattro titoli in cinque stagioni (più due double), completando i successi con Marsiglia e Leeds. Ovvero sei scudetti in sette anni. Ma partiamo dall’inizio. Dall’Auxerre. Dove esordì nel 1986, due anni prima del suo passaggio all’Olympique Marsiglia con una cifra record per il campionato francese. E subito spiccarono le sue caratteristiche: grande talento e temperamento impulsivo. Così venne spedito in prestito al Bordeaux e poi al Montpellier. In questo periodo fu coinvolto in una rissa con il compagno Lemoult. Ma le ottime prestazioni di Éric convinsero il Marsiglia a chiedere la restituzione dal prestito. Tornato a Marsiglia, Cantona trovò Beckenbauer come tecnico, ma durò poco. E con l’arrivo del sostituto Goethals iniziarono i problemi: così Eric fu ceduto al Nîmes. Nel dicembre 1991 protestando con un arbitro, gli tirò la palla addosso. Sospeso per un mese, insultò la commissione e la squalifica passò a tre mesi. Una decisione che portò Cantona ad annunciare il ritiro. Ma Platini, allora ct della Nazionale, lo convinse a ripensarci. Ed Eric si trasferì in Inghilterra. La nuova avventura iniziò con la maglia del Leeds con cui vinse il titolo nel 1992. E fu decisivo anche nella vittoria sul Liverpool nel Charity Shield, segnando una tripletta. A novembre fu acquistato dal Manchester United per 1,2 milioni sterline. Con lui lo United iniziò una corsa che lo portò a vincere nel 1993 la Premier League e nella stagione successiva arrivò il double con una doppietta di Cantona nella finale dell’FA Cup. Poi l’episodio che ha caratterizzato la sua carriera. In una trasferta contro il Crystal Palace venne espulso dall’arbitro per aver dato un calcio al difensore Shaw. E avviandosi negli spogliatoi colpì con un colpo di kung fu un tifoso avversario. Fu sospeso per nove mesi. Cantona ritornò in campo il 1º ottobre 1995. E il suo rientro coincise con l’accoppiata scudetto-coppa, diventando il primo straniero a vincere l’FA Cup da capitano di una squadra inglese. Il successo in campionato arrivò anche la stagione successiva, ma dopo l’eliminazione dalla Champions League, Cantona annunciò il suo ritiro a soli trent’anni. Più controverso il suo rapporto con la Nazionale a causa del rapporto conflittuale con gli allenatori. Dopo essere stato escluso sia dagli Europei 2004 sia dai Mondiali del 2006 decise di tifare per l’Inghilterra. Collezionò comunque 45 presenze e 20 reti tra il 1987 e il 1995.

Campione ribelle, oggi attore e musicista, Cantona è il nuovo simbolo della lotta ai poteri forti

La storia di Eric, tra calci e Cantonate Indisciplinato ma geniale sul rettangolo verde, suona la tromba, ha recitato per Ken Loach e alterna aforismi filosofici a solenni sciocchezze. Il suo nuovo contropiede è far gol alle banche di Marco Palombi

ric ha giocato, ha vinto, ha perso, ha dato calci al pallone, agli avversari e ad almeno uno spettatore. Ha recitato, ha dipinto, ha suonato la tromba. Ha ascoltato urlare il suo nome da migliaia di persone, è sceso in guerra contro la Fifa e contro le banche, ha scolpito memorabili dichiarazioni prive di senso. Éric non è un calciatore intellettuale come Oleguer (ex Barcellona, oggi all’Ajax) plurilaureato, nazionalista catalano e sostenitore di gruppi autonomi e squatter - Éric non è un calciatore gentlemen come lo fu il nostro Giacinto Facchetti, Éric non è nemmeno un uomo. Lo sostenne lui stesso, in una delle memorabili supercazzole che riservava ai giornalisti in conferenza stampa: «Io non sono un uomo, io sono Cantona».

É

E l o è se m p r e , sempre a modo suo, col cuore di un tizio che fa spesso la cosa sbagliata per i motivi giusti. ex Cantona, star del pallone, inserito da Pelè tra i 125 calciatori più forti di sempre, solo “The King”o “The God” per i tifosi del Manchester United che lo venerano anche più di quell’altro pazzoide di George Best («i soldi li ho spesi per l’alcool e le donne, e gli altri li ho sperperati»), è un calciatore anomalo e non solo perché s’è ritirato a trent’anni sostenendo che non si divertiva più: attento ai problemi sociali, padrino della fondazione Abbé Pierre, gran sostenitore della causa dei senza tetto, non ha

mai rilasciato un’intervista per dire «decide il mister» o «mi farò trovare pronto». L’ultima delle sue ricorrenti sparate è quella antibancaria rilasciata a Presse Océan, quotidiano di Nantes, il 14 ottobre.

L’intervistatore, durante una pausa del suo nuovo film (Les mouvements du bassin di Hervé Pierre-Gustave), gli fa una domanda sulle proteste contro la riforma delle pensioni e Cantona non si fa pregare: «Non mi infastidisce la gente che manifesta, hanno bisogno che li si difenda. Ma oggi a cosa serve scende-

Albert, autore della rapina del secolo nel 1976 alla Société Générale di Nizza, 300 cassette portavalori svaligiate nell’arco di due notti. Comunque, parole di miele per StopBanque, un’associazione francese che s’è data subito da fare per dare vita alla proposta di Cantona: Bankrun 2010, la grande fuga dalle banche, era fissata per martedì scorso, ma è stato un flop. Persino Éric s’è presentato allo sportello solo per un «prelievo simbolico» a Peronne, un paesino nel nord, «lontano dall’assembramento mediatico». Tre giorni prima, invece, aveva prelevato 750mila euro dalla

Si è ritirato a trent’anni perché non si divertiva più: attento al sociale, padrino della fondazione Pierre, ha sempre fatto discutere re in strada? La rivoluzione si può fare in modo semplice oggi. Il sistema gira intorno alle banche, perciò bisogna distruggere il potere delle banche. Ci sono 3 milioni di persone in strada con uno striscione. Se questi 3 milioni vanno in banca e ritirano il loro denaro, le banche affondano». Tutto qui: «Non è complicato. Invece di scendere in strada vai in banca e ritiri i tuoi soldi. E se c’è molta gente che lo fa il sistema affonda. Allora sì che ci ascolterebbero in un altro modo». Poi, siccome è un simpatico sbruffone, ha aggiunto: «Facciamo come Spaggiari», nel senso di

banca d’affari Leonardo, subito ridepositandoli però su un conto a suo nome presso il Credit Agricole. Accoliti e imitatori pochini, nonostante le decine di migliaia di adesioni arrivate su internet. Abbastanza, però, perché Cantona si facesse cazziare per l’ennesima volta da buona parte dell’establishment d’Oltralpe.

La più cattiva, e ficcante, è stata la ministro della Solidarietà, Roselyne Bachelot, che ha ricordato ai francesi che la moglie del rivoluzionario Éric, la bella attrice e regista Rachida Brakni,


11 dicembre 2010 • pagina 25

Eric Cantona colpisce con un colpo di Kung Fu Matthew Simmons, il tifoso del Crystal Palace che lo aveva insultato dopo il fallo al difensore della squadra londinese ha da poco girato uno spot per il Credit Lyonnais, e che lo stesso improvvisato capopopolo è un «simbolo della società dei consumi» visto che presta la sua bella faccia barbuta per la pubblicità di diverse aziende, multinazionali comprese. La stessa fine ingloriosa, peraltro, la fece pure il sindacato mondiale dei calciatori che voleva creare con Maradona (che per l’occasione aveva chiesto consigli addirittura a Fidel Castro), Francescoli e Stoichkov nel 1995: una bella ammucchiata di mattoidi che però fece incazzare assai i vertici della Fifa, il brasiliano Havelange e lo svizzero Blatter, soprattutto per via di certe allusioni sull’uso dei proventi delle grandi manifestazioni calcistiche.

Cantona è così. «Ci sono sempre più strade di quelle che sembra», disse in una delle sue memorabili conferenze stampa, e lui ne ha percorse parecchie, sempre col colletto alzato, come in campo, sempre con quello che lo sceneggiatore di Ken Loach (che lo ha diretto nel 2009 in Il mio amico Éric), Paul Laverty, chiama «umorismo mistico». Cantona è un miscuglio di cose, spesso contraddittorie, è il perfetto figlio di Marsiglia, la città portuale e meticcia che gli diede i natali il 24 maggio del 1966: è francese Éric, ma di padre sardo e madre catalana. È così, sempre un po’ da un’altra parte, sempre in bilico tra

il trionfo e il fallimento, mai pacificato, mai banale. Il carattere è quello che è, fin da ragazzo, fin da

quando - diciassettenne - cominciava a farsi notare nell’Auxerre e poi nella nazionale francese under 21. È all’Olympique Marsiglia, però, nella squadra che tifava da bambino, che Cantona smette di essere un uomo e diventa Cantona: grandi giocate, grandissimi litigi. Memorabili gli scontri col presidente Bernard Tapie (che all’epoca era il Berlusconi francese, ma poi non è riuscito a farsi eleggere all’Eliseo): finì che nel gennaio 1989 gettò a terra la maglia durante un’amichevole con la Torpedo Mosca perché non aveva gradito una sostituzione. Lo sospesero per un mese. Quando rientrò, però, si fece sospendere dalle competizioni internazionali: insultò il commissario tecnico della nazionale francese, Henry Michel, in diretta tv. Tapie allora lo mandò in prestito al Bordeaux e poi al Montpellier, dove giocò benissimo, segnò molto e trovò pure il tempo di prendere a calci in faccia un compagno, Jean-Claude Lemoult, durante una lite in allenamento. L’Olympique, attratto dai goal più che dai calci in faccia, lo riportò a casa e lui gli regalò lo scudetto nella stagione 1990/1991 e infiniti argomenti di chiacchiere per lo scarsissimo feeling, per così dire, che lo

legò ai due allenatori di quella stagione: Franz Beckenbauer e Raymond Goethals. Tapie si decise a venderlo al Nimes e anche lì,

il nostro, trovò modo di farsi notare: durante una partita, era il dicembre 1991, s’arrabbiò per alcune decisioni dell’arbitro e manifestò la cosa prendendolo a pallonate. La Federcalcio francese lo sospese per un mese. Lui commentò sobriamente: sono una manica di idioti. I mesi divennero tre. Lui annunciò il suo ritiro dal calcio e si mise a dipingere, non prima di aver coniato un nuovo motto: «Ora i dirigenti federali hanno un esempio: pallonate agli arbitri».

Fosse finita così sarebbe la storia dell’ennesimo cavallo pazzo del calcio, ma Michel Platini, che era diventato ct della nazionale, lo convinse a ripensarci e ad andarsene a giocare in Inghilterra. È lì che Cantona divenne The King o The God, è all’Old Trafford che il suo nome continua a risuonare nei cori dei tifosi di Manchester («Ne sono orgoglioso, ma ho paura che smettano. Ho paura perché lo amo e ogni cosa che ami hai paura di perderla»). Se ne andò al Leeds United e quelli vinsero lo scudetto: in una delle partite decisive, col Liverpool, segnò una tripletta. Non era quella, però, la casa che gli dei del pallone avevano scelto per lui: pochi mesi ed Éric era a Manchester, sponda United, pronto a diventare un mito sotto lo sguardo paziente di sir Alex Ferguson. Lo scudetto arrivò nel 1993 e poi nel 1994, Cantona segnava e ogni tanto si faceva espellere, i tifosi cantavano, i Red Devils vincevano. Tutto a posto. Il nostro però non è tipo da starsene tranquillo troppo a lungo. Nel 1995, al 48esimo minuto di una partita in trasferta contro il Crystal Palace, l’arbitro gli sventolò il rosso davanti alla faccia per un calcione rifilato a un

avversario. La cosa lo irritò oltremodo, ma la goccia che fece traboccare il vaso fu l’insulto di un tifoso avversario, Matthew Simmons, mentre lasciava il campo: Cantona non disse niente, si limitò a colpirlo con un calcio modello Bruce Lee. Lo squalificarono per nove mesi, la nazionale francese gli chiuse per sempre la porta in faccia e fu condannato a 120 ore di servizi sociali (pure Simmons si beccò sette giorni di galera, non scontati, per l’insulto). In anni recenti se n’è vantato: «La cosa migliore che ho fatto sul campo». Allora il clamore sui media fu enorme. Dopo giorni di silenzio Éric si presentò in conferenza stampa e riassunse il suo pensiero con il suo aforisma più celebre: «Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che verranno gettate in mare delle sardine». Tutto qui: «Era solo un modo per dire che non avevo niente da dire», spiegherà anni dopo. Nei mesi di sospensione s’allenò come un pazzo e suonò la tromba.Tornò contro il Liverpool e fu vittoria per lo United e un assist e un goal su rigore per lui («Ho un metodo infallibile per batterli: li metto dentro»).

Per le due stagioni successive Cantona e la squadra vinsero tutto tranne la Champions League: l’ultima partita ufficiale la giocò l’11 maggio 1997 contro il West Ham, quando non aveva ancora compiuto 31 anni. Non si divertiva più. Da allora ha fatto l’attore («nel calcio hai un avversario, al cinema l’avversario sei tu stesso»), ha prestato la sua faccia alla pubblicità, ha giocato moltissimo a beach soccer e ogni tanto s’è ripreso il gusto di regalare qualche chicca alla stampa: «Domenech è il peggior allenatore francese da Luigi XVI», disse assai prima che cominciassero a pensarlo tutti. Ogni tanto si fa qualche nemico, ma poi se ne dimentica: «La miglior vendetta è il perdono».


mondo

pagina 26 • 11 dicembre 2010

Incontro franco-tedesco a Friburgo per preparare il vertice della Ue che si terrà giovedì e venerdì prossimi a Bruixelles

Il patto Merkel-Sarkozy

No di Francia e Germania all’aumento del fondo salva-Stati Mentre sugli eurobond Draghi si smarca dal ministro Tremonti di Enrico Singer i rafforza l’asse tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy in vista del vertice di fine anno della Ue che si terrà il 16 e il 17 prossimi a Bruxelles e che dovrebbe definire una strategia - si spera unitaria - per aiutare i Paesi più colpiti dalla crisi e per allontanare le minacce che, innescate dalle difficoltà di Grecia, Irlanda e Portogallo, pesano sulla stabilità dell’euro. Il cancelliere tedesco e il presidente francese, che già si erano incontrati meno di due mesi fa, il 18 ottobre, a Deauville, hanno passato altre cinque ore a tu per tu, ieri a Friburgo. Risultato: un no molto chiaro all’emissione di eurobond proposta da Giulio Tremonti e dal premier lussemJean-Claude burghese, Juncker, e un nuovo progetto l’armonizzazione fiscale tra Francia e Germania - che, se realizzato, potrebbe rendere ancora più stretta la cooperazione bilaterale tra le due “locomotive” dell’Europa. Che dall’incontro di Friburgo uscisse un no franco-tedesco all’idea degli eurobond era ampiamente atteso. La Merkel era stata la prima a criticarla scatenando anche un aspro botta e risposta con Jean-Claude Juncker che l’aveva accusata di «essere anti-europea». E il portavoce di Sarkozy aveva anticipato che, secondo l’Eliseo, l’emissione di titoli comuni a tutta l’area dell’euro «accresce le difficoltà, specialmente in termine di con-

S

In alto l’abbraccio tra la Merkel e Sarkozy. Qui a fianco, il governatore di Bankitalia, Mario Draghi. Nell’altra pagina, il ministro Giulio Tremonti e il commissario europeo all’Economia, Olli Rehn

divisione dei costi e dei profitti» e aveva tagliato corto dichiarando che «non è necessario discutere nuove proposte». Meno scontato il no agli eurobond che è arrivato da Mario Draghi in evidente contrasto con il ministro Tremonti. In un’intervista che il Financial Times ha pubblicato ieri, il governatore della Banca d’Italia spiega che un’idea del generae «rischierebbe di far perdere alla Bce tutto quello che ha, fino a compromettere la sua stessa indipendenza e a violare il Trattato della Ue». Per Draghi la «risposta primaria» alla crisi deve essere nazionale: c’è bisogno di un piano fiscale credibile e di riforme strutturali per rilanciare la crescita. «Non c’è altra via e non esistono meccanismi in grado di correggere squilibri strutturali di fondo che sono solo nazionali», dice il governatore di Bankitalia.

Gli E-bond, insomma, non convincono Draghi. Per il numero uno di Palazzo Koch, il lancio di obbligazioni europee non contribuirebbe a risolvere la crisi, che nasce da squilibri nazionali, e minerebbe la stessa indipendenza della Banca centrale europea. Una visione molto diversa da quella di Tremonti che propone una maggiore condivisione delle difficoltà a livello Ue e chiede la costituzione di un’Agenzia europea per la gestione del debito e la nascita di un vero mercato

obbligazionario comune, tanto forte e tanto grande da fare concorrenza ai T-bond americani. Ma proprio questa prospettiva ha fatto alzare le barricate alla Germania di Angela Merkel che, già alla riunione dell’Ecofin della settimana scorsa, ha sottolineato che «gli E-bond non favorirebbero la concorrenza fra i tassi di interesse praticati sui bond nazionali». Quelli della Germania, si sa, sono i più sicuri e la Merkel è ben decisa a difenderli perché avrebbe molto da perdere. Ieri a Friburgo ha trovato l’alleanza importante - ancorché scontata - della Francia di Sarkozy. E non solo sul capitolo eurobond. Francia e Germania hanno ribadito anche il loro no all’aumento delle risorse del Fondo europeo di sicu-

rezza, il cosiddetto “fondo salva-Stati”: la dotazione attuale di 750 miliardi di euro è sufficiente, hanno detto Merkel e Sarkozy ricordando che per gli aiuti all’Irlanda è stato impegnato meno del 10 per cento del fondo.

Totale il sostegno all’euro, naturalmente. E non poteva essere altrimenti, anche per rispondere alle voci che si rincorrono da tempo sulla tentazione tedesca di uscire dalla moneta comune. Nella conferenza stampa finale a Friburgo, Sarkozy ha detto che la Francia «è profondamente legata all’euro e farà tutto quanto è necessario per salvaguardarlo perché l’euro è l’Europa e l’Europa è il nostro futuro». Una frase alla quale la Merkel ha risposto con queste parole: «La Germania difenderà l’euro poiché esso ha un significato che va oltre la mera valuta. Se falli-

sce l’euro, fallisce l’Europa». Sintonia apparentemente perfetta, anche se delle divergenze esistono dietro gli abbracci e i sorrisi. La prima è nota da tempo: l’asse Berlino-Parigi non è compatto sul dossier del dopoTrichet alla presidenza della Bce. Il mandato del francese scade il 31 ottobre prossimo, il candidato della Merkel è l’attuale governatore della Bundesbank, Axel Weber, che Sarkozy considera troppo “intransigente” e proprio questa frattura franco-tedesca rende consistente l’ipotesi Draghi. Ma una certa differenziazione c’è stata anche sulla questionedegli eurobond. chiave Sarkozy ha detto che «non bisogna mettere il carro davanti ai buoi», ha anche rivelato che la Francia «non è stata consultata prima della presentazione della proposta», ma è apparso meno intrasigente della Merkel sulla proposta lanciata da Tre-


mondo

11 dicembre 2010 • pagina 27

Il Pil cresce nel terzo trimestre 2010 dello 0,3%, mentre la produzione industriale registra un ennesimo calo a novembre (-0,1)

Dalla Ue, fiducia risicata all’Italia

Il commissario Rehn: «A gennaio non servirà una nuova manovra. Ma mancano ancora le riforme» di Francesco Pacifico

ROMA. Non sarà la tanto agognata fiducia, ma a Palazzo Chigi deve aver fatto piacere sentire Olli Rehn dire che in Italia non serve la dodicesima manovra dall’inizio della crisi. Il commissario europeo agli Affari economici è venuto ieri in missione a Roma. E qui – accanto a Giulio Tremonti – ha scandito che «in Italia non si renderanno necessari nuovi interventi in merito alle politiche fiscali di bilancio». Parole che fanno leggere in una luce diversa le ultime stime di crescita della Ue, che escludono il pareggio di bilancio nel 2012. Soprattutto smentiscono chi ha profetizzato una richiesta di Bruxelles per una correzione dei conti a gennaio da 7 miliardi di euro. Il commissario è convinto «che il governo italiano ha mantenuto una posizione fiscale prudente ed entro il 2012 le previsioni d’autunno della Commissione dicono che dovreste tornare a tassi di crescita precedenti alla crisi». Giulio Tremonti ringrazia e promette che – nonostante «la dinamica italiana del debito sia inferiore a quella di altri Paesi» – confermerà l’atteggiamento prudente di questi anni. Ma non tutti sono così ottimisti. Stefano Fassina, responsabile economonti e Juncker: «Se un giorno avremo un sufficiente livello di integrazione in Europa, l’idea degli eurobond potrà essere valutata».

La partita del vertice di Bruxelles della prossima settimana si annuncia con una forte convergenza franco-tedesca, ma ancora aperta. Sugli eurobond e non solo. Se la creazione dei titoli europei è un progetto di prospettiva - «se ne parlerà ancora e andrà lontano», come ha detto Tremonti sul tavolo c’è una scelta più urgente da fare: la definizione della consistenza del “fondo salva-Stati”, perché la presidenza belga di turno della Ue è d’accordo sul raddoppio degli attuali 750 miliardi di euro (500

mia del Pd, dice che «è la stessa Commissione a prevedere per il 2011 una variazione del Pil inferiore a quella prevista dal Mef e a mettere in discussione la credibilità del gettito delle misure antievasione. Insomma, per il 2011 mancano 7-8 miliardi di euro». Intanto la locomotiva Italia, pur lentamente, si muove. Ieri l’Istat ha comunicato che il Pil del terzo trimestre è cresciuto dell’1,1 per centro contro l’1 delle stime precedenti, con la crescita ac-

cio e Finanze di Camera e Senato che «il Paese si trova di fronte a una doppia sfida: ridurre il debito verso la soglia del 60 per cento e rafforzare il potenziale sviluppo economico con riforme strutturali». E sottolineato che il percorso per riportare l’Italia sul sentiero della crescita e della stabilita passa per «un monitoraggio rigoroso sulla spesa e le entrate, affinché gli obiettivi fiscali vengano raggiunti nel corso dell’anno».

essa dovrà confermare gli impegni sul rigore dell’attuale governo. Non a caso Rehn ha riconosciuto che da noi «la crisi è stata gestita bene. Perché la situazione è deteriorata meno che in altri Paesi europei». E ha sottolineato i meriti sia di «un settore bancario relativamente solido» sia di chi ha lavorato per tenere «il debito privato relativamente basso». Altrimenti il Paese avrebbe dovuto dare i conti con grandi squilibri». Ma nell’attuale scenario anche l’Unione europea ha bisogno dell’aiuto dell’Italia. Al riguardo Rehn chiede una mano a Roma sulla riforma della governance europea, indispensabile per frenare l’eccessivo rigore della Germania.

L’Unione europea vede un’accelerazione del ciclo entro il 2010. E alla politica ricorda la necessità di salvaguardare il rigore dei conti quisita per l’anno in corso che si mantiene all’1 per cento. Rallenta invece la produzione industriale: -0,1 per cento rispetto a ottobre e +2,9 il tendenziale. Centesimo in più o in meno, nel +0,3 per cento di crescita tra luglio e settembre gli analisti guardano invece alla tenuta del mercato interno: hanno infatti contribuito per 0,5 punti le scorte, per 0,1 i consumi, per 0,2 gli investimenti. Male, come previsto, le esportazioni (-0,5 punti). Quella di Rehn, però, non è una promozione senza riserve. Infatti ha ricordato davanti alle commissioni Bilan-

della Ue e 250 del Fmi) così come sostenuto anche dalla Bce di Jean-Claude Trichet e dallo stesso Fondo monetario internazionale di Dominique Strauss-Kahn che, per rimanere nel campo del totonomine, è un possibile candidato per la corsa all’Eliseo nella primavera del 2012 contro Nicolas Sarkozy. La questione degli eu-

In queste parole un duplice messaggio. Innanzitutto ai mercati, perché l’Italia non ha i problemi della Spagna o dell’Irlanda. E infatti il successo dell’asta di ieri sui BoT annuali – con la domanda che ha doppiato l’offerta – segue un riallineamento della curva dei rendimenti, con lo spread tra i i Btp e i Bund tornato a quota 160 punti base. Alto rispetto al passato, ma tutto sommato contenibile. Eppoi c’è un monito chiaro alla politica. Bruxelles teme scossoni in Italia: elezioni o meno, quale che sarà la maggioranza dopo martedì prossimo,

nistro delle Finanze, Jan Kees de Jager, ha espresso la sua opposizione così come hanno fatto il ministro finlandese, Jyrik Katainen, e quello austriaco, Josef Proell. Dall’altra parte della barricata, oltre all’Italia e al Lussemburgo, c’è il ministro spagnolo, Elena Salgado, che ritiene gli eurobond «una possibilità anche se non di imme-

que, una spaccatura profonda, rivelatrice del tipo di Unione che si vuole costruire.

La divisione attraversa anche gli stessi Paesi che, al livello di governo, sono da una parte o dall’altra. A partire dalla Germania dove i socialdemocratici sostengono la proposta Tremonti-Juncker. Un appoggio in parte inatteso che è arrivato dagli eurodeputati dell’Spd i quali hanno scritto una lettera al presidente del Consiglio europeo, Hermann van Rompuy, e al presidente della Commissione, Manuel Barroso, affermando che «una gestione co-

La cancelliera tedesca ha tranquillizzato tutti dicendo: «Adesso il fallimento dell’euro sarebbe il fallimento dell’Europa» robond, probabilmente, rimarrà dietro le quinte del vertice. Ma gli schieramenti si stanno già delineando. Il fronte dei contrari, oltre a Germania e Francia, comprende l’Olanda che, attraverso le parole del mi-

diata realizzazione», quello greco, George Papacostantinou che «invita a discutere a fondo la proposta», e il Portogallo. È una divisione tra piccoli e grandi? Tra europeisti alla Delors e europeisti a la carte? È, comun-

All’Italia ricorda che «la nostra proposta di riduzione del debito non prevede automatismi». E sui tagli per scendere al 60 per cento di debito sul Pil, promette «una soluzione accettabile per tutti, anche per l’Italia. La questione è delicata, ma dall’entrata in vigore del nuovo pacchetto sulla governance (estate del 2011) ci sarà un periodo di transizione di 3 anni prima dell’attuazione delle nuove regole». mune del debito potrebbe assicurare tassi d’interesse più bassi per tutti i membri dell’eurozona e renderebbe chiaro che dalla moneta unica non si torna indietro». La lettera dice sì anche all’istituzione di un’Agenzia per il debito che dovrà sostituire l’European financial stability facility la cui scadenza è prevista nel 2013. Gli eurobond dividono anche la Bce. Al no del tedesco Axel Weber si unisce da Amsterdam il governatore olandese, Nout Wellink, secondo il quale «gli E-bond indebolirebbero l’eurozona». Ma da Vienna è più cauto il governatore della Banca centrale austriaca, Ewald Nowotny, che «invita a studiare bene la proposta perché, se ben costruita, è da esaminare più a fondo».


quadrante

pagina 28 • 11 dicembre 2010

Assange isolato ma con il pc

Corea, epidemia colpisce i pascoli

LONDRA. Consegnatosi alla giu-

SEOUL. Un’epidemia di afta epi-

stizia inglese martedi scorso, Julian Assange si trova ora in isolamento nel carcere di Wandsworth. Nella sua cella il 39enne fondatore di Wikileaks attende la decisione dei giudici inglesi sulla richiesta di estradizione in Svezia, dove è accusato di violenza sessuale e molestie contro due donne. Assange, cui è stata rifiutata la libertà provvisoria su cauzione, dovrebbe ricomparire in aula martedì prossimo. Lo ha reso noto una dei suoi avvocati, Jennifer Robinson, secondo cui il trasferimento da Londra risale a giovedì, due giorni dopo l’arresto. Assange è stato posto in isolamento“per la sua stessa sicurezza”, spiega il legale, lamentando come al suo assistito venga negata qualsiasi “distrazione”.

zootica ha colpito la pastorizia sudcoreana. Oltre 120mila capi sono stati abbattuti e sepolti negli ultimi due giorni, un evento che ha colpito sia la salute degli animali che l’industria correlata. L’epidemia è nata ad Andong, nella provincia di Gyeongsang settentrionale. Il ministero coreano per l’Agricoltura ha annunciato lo scorso 8 dicembre che il numero totale di animali abbattuti ha raggiunto le 119.915 unità. Si tratta di un dato di poco inferiore rispetto all’ultima epidemia di afta, che ha colpito il Paese nel 2002 uccidendo in 52 giorni 160.155 animali. I 120mila capi abbattuti, infatti, si giungono ad altri 55mila già uccisi nel corso dell’anno. Cresce anche il numero di fattorie colpite.

Asia Bibi, attesa per Zardari ISLAMABAD. Il caso di Asia Bibi è stato ieri al centro della Giornata dei diritti umani a Washington. Intanto in Pakistan Ansar Burney, consigliere dell’Onu per i diritti umani, e già ministro federale per i Diritti umani nel Paese ha chiesto al presidente Zardari di perseguire e portare davanti al tribunale coloro che hanno emanato un decreto islamico illegale ordinando l’uccisione della donna, innocente. La Bibi, condannata a morte per blasfemia, è considerata del tutto innocente da Ong e gruppi per la tutela dei diritti umani, che puntano il dito contro la “gelosia”delle vicine di casa. Queste l’avrebbero accusata ingiustamente di blasfemia per allontanarla dal villaggio. Attesa per la decisione del presidente.

Il presidente francese Sarkozy ha invitato lo sfidante Gbagbo a «farsi da parte per il bene del Paese e della popolazione»

Una sconfitta per due

L’instabilità post-elettorale della Costa d’Avorio rischia di distruggere il Paese di Martha Nunziata n Paese spaccato in due, e di nuovo sull’orlo della guerra civile. La Costa d’Avorio sembra non riuscire a trovare pace, nonostante la potenziale ricchezza (è il più importante produttore al mondo di cacao), e i tentativi, anche della comunità internazionale, di risolvere una crisi politica che, di fatto, dura da oltre dieci anni. È fallito anche l’ultimo tentativo: le elezioni presidenziali della scorsa settimana, interpretate dalla popolazione come l’avvio di una nuova stagione di democrazia e di stabilità, rischiano di far scivolare ancora il Paese in una spirale di violenza. L’esercito, dopo aver imposto il coprifuoco già dalla sera precedente alle elezioni, ha chiuso le frontiere in vista dell’annuncio dei risultati delle elezioni, bloccando tutte le trasmissioni televisive e radiofoniche straniere. «Gli spazi aerei, territoriali e marittimi del paese sono chiusi per chiunque a partire da oggi, fino a ulteriori comunicazioni”, aveva dichiarato il maggiore Babri Gohourou, il 27 novembre scorso, alla vigilia del ballottaggio. «La situazione dopo le elezioni - racconta una fonte locale - è molto tesa. Il Paese rischia un colpo di Stato, ci sono stati episodi di violenza, già otto morti e una ventina di feriti, dopo gli scontri tra la polizia e i manifestanti, di entrambe le fazioni politiche coinvolte, ma i numeri sono destinati ad aumentare, e la situazione potrebbe degenerare da un momento all’altro». Il primo verdetto delle urne, infatti, aveva sancito, al ballottaggio, la vittoria del candidato dell’opposizione, l’ex ribelle, ed ex Primo ministro, Alassane Ouattara, con oltre il 54% dei voti, contro il 45,9 % delle preferenze per il Presidente della Repubblica in carica (da dieci anni), Laurent Gbagbo. Questo risultato, però, ratificato dalla Commissione elettorale indipendente, è stato impugnato dal Consiglio Costituzionale, l’organismo supremo in caso di esiti delle consultazioni elettorali: secondo il Consiglio, i risultati erano stati comunicati dalla Commis-

Accuser eciproche di brogli, affluenza incerta alle urne e due diverse visioni della nazione. Oltre ovviamente alla questione etnica, sempiterno problema africano. I due candidati ivoriani divisi da tutto

U

sione oltre la scadenza prevista, cioè la mezzanotte di mercoledì 1 dicembre. In realtà si è trattato di un espediente creato ad arte dagli uomini di Gbagbo (il presidente del Consiglio Costituzionale è il fedelissimo Paul Yao N’dré) per invalidare il risultato delle urne, e per rovesciarlo, dopo la denuncia di brogli elettorali in tutto il Nord del paese, quello controllato dalla fazione di Ouattara.

Il Consiglio Costituzionale, quindi, ha proceduto al ricalcolo dei voti, proclamando Gbagbo vincitore delle elezioni, con il 51% dei sondaggi, contro il 49% dello sfidante. Una decisione, questa, che ha generato una situazione paradossale: la Costa d’Avorio, di fatto, ha due Presidenti della Repubblica. E nessuno dei due sembra intenzionato a recedere: entrambi hanno già giurato fedeltà alla Repubblica. Uno, Laurent Gbagbo, lo ha fatto sabato scorso, con una cerimonia di autoproclamazione nel palazzo presidenziale di Abidjan, l’altro, Ouattara, lo ha scritto in un do-

cumento ufficiale, nel quale ha spiegato che “circostanze eccezionali” gli hanno impedito di giurare di persona, costringendolo a ripiegare sulla irrituale forma scritta. Nel frattempo il primo ministro uscente, Guillame Soro, l’ex comandante delle Forces Nuovelles, i ribelli che firmarono con Gbagbo, nel 2007, l’accordo di pace di Ouagadougou, ha rassegnato le proprie dimissioni dall’incarico, rimettendo il mandato nelle mani di Ouattara, riconoscendolo quindi presidente e venendo, immediatamente, incaricato di formare il nuovo esecutivo. Una situazione estremamente precaria, come lo stesso equilibrio interno della Costa d’Avorio, dilaniata da decenni di conflitti, oppressa da una guerra civile latente, ostaggio di una lotta politica cominciata nel 1993, all’indomani della scomparsa di Felix Houphouet-Boigny, per trentatré anni leader politico e padre spirituale della nazione ivoriana (diventata indipendente dalla Francia solo nel 1960). Boigny, di etnia Baoulé, famoso anche per aver ideato e realizzato la

copia esatta della Basilica di San Pietro a Yamoussoukro, per il costo di 300 milioni di dollari, aveva designato come suo successore il presidente dell’assemblea nazionale Henry Koran Badié, ex ambasciatore negli Stati Uniti, che aveva avuto la meglio proprio su Alassane Ouattara, lo stesso presidente eletto di adesso, all’epoca primo ministro, ed economista del Fondo Monetario Internazionale. Badié, che nel corso del suo governo aveva portato avanti una dura repressione nei confronti di Ouattara e di tutti coloro che, come lui, non erano in grado di dimostrare di essere ivoriani “puri”, venne rovesciato, nella notte di Natale del 1999, da un colpo di stato militare, per mano dell’esercito regolare ivoriano, il cui comandante in capo era il giovane generale Robert Guei.

Già fedelissimo di Boigny, e pur non avendo partecipato di persona al golpe, Guei venne incaricato di gestire il potere fino alle future elezioni: che avvennero nell’ottobre del 2000, e che videro la


11 dicembre 2010 • pagina 29

e di cronach

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

Il governo iraniano smentisce la liberazione di Sakineh TEHERAN. È ancora detenuta Sakineh Mohammadi-Ashtiani, la donna condannata a morte in Iran per adulterio e poi per complicità nell’omicidio del marito. La notizia della sua liberazione, data due giorni fa da una ong, è stata smentita ieri dalla televisione iraniana in inglese PressTv: Sakineh è stata portata nella sua abitazione solo per realizzare un programma che è stato trasmesso ieri sera. E nel filmato, aggiunge la tv, ha confessato di aver ucciso il marito descrivendo la dinamica del delitto. Il Comitato internazionale contro la lapidazione, che ha sede in Germania, aveva riferito che la donna e suo figlio, Sajjad Ghaderzadeh, anch’egli arrestato nell’ottobre scorso, erano stati visti nel cortile della loro casa di Tabriz, nel nord-ovest dell’Iran. PressTv aveva effettivamente diffuso fotografie di Sakineh e del figlio 2 nella casa, ma dalle autorità di Teheran non era arrivata nessuna conferma dell’avvenuto rila-

vittoria di Laurent Gbagbo, con il 59% dei voti. La vittoria di Gbagbo, ex professore universitario, e leader di un movimento di ispirazione socialista, non venne riconosciuta da Guei fino al 26 ottobre, giorno in cui una rivolta popolare consegnò il potere allo stesso Gbagbo, che divenne il primo presidente eletto nella storia della Costa d’Avorio. Da quelle elezioni, tra l’altro, era stato escluso lo stesso Ouattara, perché non in grado di dimostrare che i propri genitori erano entrambi ivoriani. La pace durò appena due anni, fino al 19 settembre del 2002, quando fallì un nuovo tentativo di golpe, nel quale rimase ucciso lo stesso generale Guei, misteriosamente assassinato due giorni dopo: un mancato colpo di stato, sventato grazie ad un accordo che prevedeva che Gbagbo restasse presidente, ma affiancato da un ministro neutrale. Un accordo che durò appena due anni, fino al novembre del 2004, quando i ribelli del nord si rifiutarono di deporre le armi. Nel 2005, intanto, sarebbe scaduto il primo mandato di Gbagbo, che fu prorogato di anno in an-

Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Errico Novi (vicedirettori) Vincenzo Faccioli Pintozzi (caporedattore) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)

scio. La televisione ha spiegato invece sul suo sito che «contrariamente a una vasta campagna di propaganda da parte dei mezzi di informazione occidentali secondo cui l’assassina Sakineh Mohammadi-Ashtiani è stata rilasciata, una nostra equipe televisiva ha concordato con l’autorità giudiziaria di seguire la Ashtiani nella sua abitazione per produrre una ricostruzione video dell’omicidio sulla scena del delitto». Rimane dunque il dubbio sulla sorte della donna, che dovrebbe essere uccisa “presto”.

no nella speranza di una soluzione del conflitto. Una guerra civile che si trascinò fino all’accordo di Ouagadougou del 4 marzo 2007, dopo il quale Guillaume Soro, il leader delle forze ribelli, venne nominato dal presidente Gbagbo primo ministro. Le previste elezioni, invece, hanno continuato a subire rinvii, anno dopo anno, fino alla scorsa settimana, quando sembrava che la storia potesse finalmente restituire il sogno di democrazia alla gente ivoriana. E invece, come in una perversa nemesi, il presidente eletto non può festeggiare la propria vittoria, per l’opposizione del suo avversario. Ouattara è stato formalmente riconosciuto vincitore dall’intera comunità

espresso tutta la propria preoccupazione, invitando la popolazione a mantenere la calma ma, nel contempo, riconoscendo la vittoria di Ouattara: «Ritengo corretto - ha dichiarato sabato scorso - il risultato elettorale inizialmente proclamato, il cui esito non lascia dubbi».

Tutte le operazioni di voto, peraltro, si sono svolte sotto la supervisione, oltre che dell’ONU, dell’Unione Europea, che, già dal 7 ottobre, in vista del primo turno elettorale, aveva risposto all’invito della stessa repubblica ivoriana, inviando una missione di osservazione elettorale, nell’ambito di un più complesso programma internazionale di aiuti e di sostegno alle nazioni, in tema di diritti umani e di supporto ai processi di democratizzazione. Il rapporto ufficiale della missione verrà pubblicato tra due mesi, ma già nelle conclusioni preliminari gli esperti dell’Unione Europea hanno sottolineato come “la Costa d’A-

Immagini dalla campagna elettorale. Dall’alto un manifesto di Laurent Gbagbo e uno di Alassane Quaitara. Le foto sono di Giovanna Scotton

Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Franco Ricordi, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma Amministratore Unico Ferdinando Adornato Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Bruno Lagrotta Amministratore delegato: Raffaele Izzo Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato,Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Antonio Manzo Angelo Maria Sanza

Ouattara è stato riconosciuto vincitore dall’intera comunità internazionale politica internazionale, dagli Usa alla Gran Bretagna, fino all’Unione Africana e alla Francia, il cui Presidente, Sarkozy, ha invitato Gbagbo a «riconoscere la vittoria di Ouattara e a farsi da parte per il bene del Paese». Anche Barack Obama riconosce Outtara, e si è indirizzato direttamente a Gbagbo per chiedere un suo passo indietro e rispettare la volontà degli elettori. L’Onu e l’Unione Europea stanno cercando di trovare una soluzione pacifica, con un’intensa attività diplomatica per il ritorno ad uno stato di legittimità istituzionale nel paese, anche per evitare rischi ai circa 15mila stranieri presenti in Costa d’Avorio, che rischiano l’incolumità. Il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Giancristiano Desiderio, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria)

Amministrazione: Letizia Selli, Maria Pia Franco Ufficio pubblicità: 0669924747 Tipografia: edizioni teletrasmesse New Poligraf Rome s.r.l. Stabilimento via della Mole Saracena 00065 Fiano Romano Agenzia fotografica “LaPresse S.p.a.”

vorio sia dotata degli strumenti giuridici che le permettono di conformarsi alle norme internazionali in materia di elezioni democratiche”, e che consentano “ai protagonisti delle elezioni di agire in piena responsabilità per portare a termine nel migliore dei modi il processo elettorale”. Un giudizio netto, un invito al rispetto del risultato delle urne, anche se mimetizzato nel linguaggio burocratico. Della missione elettorale facevano parte anche diversi italiani, i quali confermano la regolarità dei risultati. “ La missione dell’UE ha condotto il proprio lavoro secondo gli standard internazionali di osservazione elettorale - dice Giovanna Scotton, una delle osservatrici appena rientrata da Abidjan. Sono state giornate molto intense, sia per il lavoro di osservazione, sia per l’esperienza umana che ci hanno offerto. La Costa d’Avorio è un paese bello, e capace di grandi cose”. L’unica cosa che le manca è un presidente della repubblica regolarmente eletto. Almeno per ora.

Distributore esclusivo per l’Italia Parrini & C - Via di Santa Cornelia, 9 00060 Formello (Rm) - Tel. 06.90778.1 Diffusione Ufficio centrale: Luigi D’Ulizia 06.69920542 • fax 06.69922118 Abbonamenti 06.69924088 • fax 06.69921938 Semestrale 65 euro - Annuale 130 euro Sostenitore 200 euro c/c n° 54226618 intestato a “Edizioni de L’Indipendente srl” Copie arretrate 2,50 euro Registrazione Tribunale di Salerno n. 919 del 9-05-95 - ISSN 1827-8817 La testata beneficia di contributi diretti di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche e integrazioni. Giornale di riferimento dell’Udc

via della Panetteria 10 • 00187 Roma Tel. 0 6 . 6 9 9 2 4 0 8 8 - 0 6 . 6 9 9 0 0 8 3 Fax. 0 6 . 6 9 9 2 1 9 3 8 email: redazione@liberal.it - Web: www.liberal.it Questo numero è stato chiuso in redazione alle ore 19.30


pagina 30 • 11 dicembre 2010

il personaggio della settimana È cominciata la parabola discendente del sindaco che puntava a una leadership nazionale

L’utilizzatore iniziale Alemanno aveva vinto la corsa al Campidoglio promettendo di rompere l’assedio clientelare della sinistra a Roma. Ma ora traballa per aver fatto assumere parenti e amici senza concorso. E annuncia: «Se si dimostreranno mie responsabilità, pagherò» di Pietro Salvatori bbiamo verificato il protocollo sul codice etico per le assunzioni firmato nel 2006 dalla giunta Veltroni. Si tratta di un protocollo insufficiente, da aggiornare e da rendere attuale rispetto alle nuove norme approvate dal ministro Brunetta. Per questo è necessario preparare e firmare anche con i sindacati un nuovo protocollo che preveda l’ introduzione a tutti i livelli di concorsi pubblici». Così il sindaco di Roma Gianni Alemanno si è provato a difendere dallo scandalo parentopoli che rischia di travolgere il Campidoglio. Una difesa d’ufficio, che prova a scaricare in maniera legalistica le colpe sulla giunta che lo ha preceduto. Certo, il codice etico varato dall’ex segretario del Pd potrà anche essere insufficiente per arginare la malversazione che sembra imperare nell’entourage del primo cittadino della capitale, ma non può bastare a giustificare quello che sembra essere un vero e proprio vizietto dei vertici dell’amministrazione che governa sui sette colli. Sarebbero infatti quasi duemila gli impiegati assunti da aziende municipalizzate senza passare per un regolare concorso pubblico. In particolar modo all’interno dell’Ama, consorzio che si occupa della raccolta dei rifiuti, e dell’Atac, l’azienda dei trasporti pubblici di Roma. «Quello messo in piedi dal clan Alemanno è un vero e proprio sistema», ha raccontato negli scorsi giorni una fonte anonima a Repubblica, «un sistema a carattere piramidale». Al vertice di tutte le decisioni ci sarebbe proprio il sindaco, che con un paio di fedelissimi avrebbe provveduto a elargire a pioggia benefit a amici e conoscenti sotto forma di assunzioni spettanti al Comune. Qualche esempio? L’ex capogruppo in aula Giulio Cesare di An ora in Parlamento, Marco Marsilio, ha sistemato alla Direzione Comunicazione dell’Atac la sua compagna, Stefania Fois, che, come si legge nel suo sito personale ha un trascorso da pittrice. Alla direzione dell’Area Normativa e Disciplina siede invece Claudia Cavazzuti,

«A

moglie del senatore forzista Stefano De Lillo, dominus delle tessere azzurre della capitale. In Atac sono entrati anche Nicola Valeriani, genero dell’onorevole pidiellino Vincenzo Aracri, come anche quello dell’ad della società, Bertucci, che ha inoltre piazzato la cognata del figlio primogenito e, in un ruolo di dirigenza al Campidoglio, la figlia della segretaria personale. L’eurodeputato Antonio Tajani ha inserito in Atac la sua ex assistente, Emanuela Gentili. Si può continuare con l’assessore ai Trasporti, Sergio Marchi, che ha favorito lo spostamento in Atac della fidanzata, Flavia Marino, prima impiegata in un’azienda della regione, per poi far assegnare una consulenza di quattro mesi all’Agenzia per la mobilità al cognato.

Ma non si è fermato qui: la moglie del suo capo staff, Enrico Guarnieri, è stata infatti anche lei assunta.“Solo”un contratto a progetto per lei. Si potrebbe continuare con la compagna del consigliere pdl Marco Visconti, assunta al Comune, con il figlio di Antonino Torre, eletto in quota Lista civica per Alemanno sindaco, entrato nell’amministrazione in qualità di informatico. Questo per tacere del gossip legato alla cubista Giulia Pellegrino, oggi assistente del direttore industriale dell’Atac, immortalata in scatti al gusto di spumante insieme a Sammarco e a Cesare Previti. Tutte coincidenze, si dirà. Ma effettivamente la lista di parenti&affini è un po’ troppo lunga perché non possano sorgere dubbi. Che dietro ci sia il sindaco è tutto da verificare. Finora, come possibili direttori d’orchestra, si sono fatti i nomi di Gianni Sammarco, coordinatore cittadino del Pdl, e Vincenzo Piso, deputato, ex An. Sarebbe stato quest’ultimo a supervisionare almeno 850 delle quasi 2000 assunzioni poco trasparenti effettuate negli ultimi due anni. Proprio ieri Alemanno è nuovamente intervenuto sulla vicenda, promettendo che «se ci sono responsabili pagheranno tutti». E se la magistratura accertasse che fra questi ci fosse anche lui? «Pagherò anche io», ha risposto il primo

cittadino, senza però specificare se il prezzo pattuito comprenda anche eventuali dimissioni. Certo è che i numeri del sindaco sono diversi da quelli emersi dalle inchieste giornalistiche: «Non ci sono né centinaia né migliaia di assun-

zioni clientelari. Le assunzioni sospette emerse oggi in Atac e in Ama sono 85: 67 facenti capo a politici, 18 a sindacalisti», ha detto nel corso di una conferenza stampa, garantendo d’altra parte che «noi abbiamo offerto la massima


11 dicembre 2010 • pagina 31

collaborazione e rispetteremo il lavoro dei magistrati. Il Comune cercherà di essere più severo della stessa magistratura». Lo farà (se lo farà) attraverso una commissione composta da quattro tecnici con esperienza nell’ambito giuridico-amministrativo: Liborio Iudicello, Franco Massi, Alberto Stancanelli, Francesco Verbaro. I quattro saggi sono incaricati di presentare, entro la fine di gennaio, una relazione all’assemblea comunale, che, basandosi su di essa, dovrà prendere i provvedimenti del caso. Intanto il suo caposcorta, Giancarlo Marinelli, si è dimesso. E guarda caso i nomi dei suoi figli sono entrati nel calderone di quelli messi sotto osservazione per le assunzioni “allegre”. Anche perché sembra che proprio i figli siano in ottimi rapporti con il primo cittadino, che ha partecipato al matrimonio della secondogenita, di fresca assunzione. Alemanno si difende, pur in termini che hanno del grottesco: «Chi mi conosce può testimoniare la vita che faccio e che spesso mi porta in situazioni in cui mi guardo attorno e non mi rendo conto esattamente di dove sto. Quando sono andato al matrimonio di quella ragazza - ha spiegato - ero convinto di essere alle nozze del figlio maschio, pugile, del mio ex capo scorta. Poi ho visto le foto e ho detto “Oh diavolo”».

Il sindaco va dunque avanti per la sua strada, facendo balenare l’ipotesi di complotti: «Non so se questa attenzione è legata alle voci di miei impegni di carattere nazionale, che io smentisco categoricamente: io voglio fare il sindaco di Roma, fino a quando lo vorranno i cittadini» ha contrattaccato. Qualche malalingua ha letto in quel «fin quando lo vorranno» l’intenzione del sindaco di non escludere del tutto l’ipotesi di un passo indietro. Un consiglio lacerato che non lo sfiducia solo per non perdere il posto e lo scandalo che lo sta investendo ne hanno offuscato un’immagine che solo qualche mese fa sembrava in procinto di spiccare il volo per ben altri lidi. Lasciare prima che la valanga gli piombi in testa potrebbe essere un

buon modo per eclissarsi per un po’, per poi buttarsi nuovamente nella mischia quando le acque si calmeranno. E pensare che solo tre giorni fa, intervenendo alla cerimonia in occasione del cinquantesimo anno della scuola dei gesuiti della capitale, aveva detto che tutta la comunità cittadina è impegnata a costruire «una classe dirigente formata a valori di eccellenza, consapevole e responsabile per guidare la comunità nello sviluppo». Un bello smacco per un’immagine fino a un anno fa tra le più trasparenti di tutto il centrodestra. Anche la difesa del presidente della re-

mentalmente il taglio del 10% di tutti gli stipendi comunali per mantenere intatta la spesa sociale.

Argomento molto caro nella storia politica di Alemanno, che ha improntato tutta la campagna elettorale contro il suo avversario, Rutelli (come anche quella precedente, che lo aveva visto sconfitto da Veltroni), sulla moralizzazione e la razionalizzazione delle spese folli. «Basta opere-cartolina e mega consulenze» sono state le parole d’ordine che hanno pervaso gli ultimi anni di un’attività politica partita da lontano.

Ieri ha dichiarato: «Noi abbiamo offerto la massima collaborazione. Il Comune cercherà di essere più severo della stessa magistratura» gione Lazio Renata Polverini, «Se c’è una parentopoli, c’è in tutta Italia», è ricaduta sulla testa ammaccata del sindaco, letta da molti come un’implicita ammissione di colpe dell’amministrazione cittadina. Anzi, alcune voci nel Pdl sostengono che si tratti di una sottile quanto intenzionale bordata della Polverini nei confronti del sindaco, che non ha mai riscosso particolari simpatie da parte della rampante presidentessa. Era solo giugno quando il sindaco parlava della necessità di «uno scatto morale e alcuni sacrifici» per poter superare la crisi. E prometteva stru-

Alemanno è sempre stato dalla parte “etica”, quella della destra vicina alla gente di borgata, attenta ai problemi del popolo, quello senza fronzoli. D’altra parte era questa la vocazione della corrente Destra Sociale all’interno di An. Un’attenzione, quella ai temi più sociali del panorama destrorso italiano, maturata per convinzione e per amore. No, non amore per la politica, ma quello per una bella e frizzante ragazza, Isabella Rauti, oggi sua moglie (e consigliera regionale), figlia di quella testa dura che era il vecchio e irriducibile Pino. Un amore che non è stato sufficiente a far-

Dal movimentismo al doppiopetto Gianni Alemanno è nato a Bari da una famiglia salentina nel 1958. Nel capoluogo pugliese ha vissuto fino a dodici anni, poi si è trasferito a Roma. Giovane attivista del Fronte della Gioventù negli anni Settanta (quelli di maggior conflitto tra destra e sinistra, nella Capitale), Alemanno ha fatto tutta la sua carriera politica all’interno del Movimento sociale italiano prima e poi di An. Fino a confluire, naturalmente, nel Pdl. Del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile dell’Msi, in particolare, è stato anche segretario nazionale dal 1988 (quando successe a Gianfranco Fini) al 1991. Prima figura di punta dell’anima conflittuale e battagliera della destra romana (è stato più volte arrestato con l’accusa di aver picchiato o aggredito militanti di sinistra e poi prosciolto) è diventato uno dei riferimenti della cosiddetta ala movimentista. Fino a vestire il doppiopetto prima come ministro delle Politiche agricole nei vari governi Berlusconi dal 2001 al 2006, come come sindaco di Roma dal maggior 2008 quando, a sorpresa, vinse al ballottaggio il candidato del centrosinistra Francesco Rutelli. In età molto avanzata, nel 2004, si è laureato in «ingegneria per l’ambiente e il territorio».

gli seguire il suocero nell’avventura radicaleggiante di Fiamma Tricolore, ma che non gli ha mai fatto dimenticare le proprie origini. Storace era il dominus incontrastato, Alemanno l’eterno numero due. Quando c’era da rilasciare un’intervista c’era Storace, quando bisognava accalappiare la poltrona giusta, era sempre il fondoschiena del buon Francesco a piazzarcisi. Come quando ci fu da dare l’assalto alla regione Lazio. Una battaglia persa, secondo Fini, che in questo modo sperava di far abbassare le pretese della propria, rumorosa, minoranza interna. Con Alemanno a guidarne la campagna elettorale, Storace superò Badaloni, e ottenne una vittoria storica. Gianni venne ripagato l’anno successivo, quando divenne, sempre in quota Destra sociale, ministro delle Politiche agricole e forestali. È a partire dal 2001 che il futuro sindaco acquista sempre maggiore autonomia dal suo ingombrante mentore. Quest’ultimo è caduto, come ben sappiamo, nel dimenticatoio. Mentre Alemanno ha acquistato la stima e il favore della destra romana, che lo ha portato a salire sul Campidoglio nel 2008.

La polemica che lo sta investendo rischia di incrinarne anche la fama di pontiere che si stava ritagliando all’interno del Pdl. Non è un caso che proprio in questi ultimi mesi il sottosegretario Augello, che ne aveva curato la campagna elettorale, si sia gradualmente allontanato dal sindaco. Quella che prima era la più affiatata coppia di mediatori tra finiani e berlusconiani, quando ancora la rottura non era stata consumata, oggi sembra solo un ricordo. E si dica anche che Augello ha resistito alle sirene di Fli per rimanere al fianco di Berlusconi. Non una rottura politica dunque. Piuttosto Augello si è smarcato dall’uomo che in larga parte gli deve il successo personale, forse fiutando in anticipo che qualcosa nell’amministrazione capitolina non andava.



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.