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L’amore non è un problema,

he di cronac

come non lo è un veicolo; problematici sono il conducente, i viaggiatori e la strada

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Franz Kafka di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • VENERDÌ 24 DICEMBRE 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

Casini risponde alle timide aperture del Cavaliere: «Per trattare, c’è già il Parlamento». «Sarebbe un errore», frena Maroni

Berlusconi di fine stagione «O un tavolo con il Terzo Polo o al voto».«Nel 2013 potrei lasciare».«Mai i miei figli in politica». E poi un classico: «La magistratura è eversiva».Un inedito malinconico premier chiude il 2010 L’INIZIO DEL DECLINO

di Riccardo Paradisi

Il primo “annus horribilis” del Cavaliere

dizionale conferenza stampa di fine anno in una veste insolita: dialogante, mediatore su tutto – tranne che su Fini e magistratura dove tira fuori gli artigli – quasi melanconico, incline a lasciare tutte le porte socchiuse: dall’allargamento della maggioranza alle ricomposizioni in seno a governo e Pdl. Non risparmia il lungo inventario di cose realizzate dal governo: dalla “positiva” riforma dell’università alla tenuta del governo che ha garantito stabilità politica ed economica: «Sarebbe stato irragionevole andare ad elezioni, avremmo messo a rischio i titoli del debito pubblico che invece tengono». a pagina 2

di Maurizio Stefanini eanche lui ce la fa più. A poco più da un anno dalla “duomata”in faccia arrivatagli il 13 dicembre del 2009, Berlusconi ha non proprio gettato la spugna, perché comunque per il momento va avanti. Ma ha chiarito comunque che non si candiderà più alla Presidenza del Consiglio nel 2013, quando avrà 77 anni. E cambierà anche il nome al Pdl: il partito fondato il 29 marzo del 2009 per dare una sigla unitaria a tutto l’arco della maggioranza berlusconiana fuori dalla Lega con l’adesione di Forza Italia, Alleanza Nazionale e un’altra decina di sigle minori. Non solo infatti con la scissione del 30 luglio il Popolo della Libertà ha perso uno dei due cofondatori: quel Gianfranco Fini con cui la questione è diventata largamente personale. a pagina 4

Un testo del “genio” che il Financial Times ha consacrato per il 2010

ROMA. Berlusconi si presenta alla tra-

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I saluti di fine anno di Pier Luigi Bersani

I saluti di fine anno di Raffaele Bonanni

«Prima le alleanze. Solo dopo le primarie»

«Ora il governo non speculi sulla piazza»

Il segretario dei democratici prova a frenare Vendola: «La consultazione la faremo solo se anche tutti gli alleati saranno d’accordo»

Il segretario della Cisl attacca destra e sinistra per l’uso strumentale delle proteste. Poi detta l’agenda: fisco, welfare e crescita

Antonio Funiciello • pagina 3

Francesco Pacifico • pagina 3

Gli inquirenti puntano sulla pista degli ambienti anarco-insurrezionalisti greci

Bombe a Roma sulla diplomazia Colpite le ambasciate di Svizzera e Cile. Gli ordigni in plichi postali di Francesco Lo Dico

ROMA. Antivigilia di Natale all’insegna del terrore a Roma, dove due pacchi bomba sono esplosi davanti alle ambasciate della Svizzera e del Cile, per fortuna senza mietere alcuna vittima. Nel primo pomeriggio si era vociferato anche di un terzo plico esplosivo rintracciato nella sede diplomatica dell’Ucraina, ma le successive verifiche hanno dimostrato come si trattasse di un falso allarme: la busta incriminata era in realtà un semplice biglietto di auguri. Un s eg ue a (10,00 pagina 9CON EURO 1,00

I QUADERNI)

• ANNO XV •

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tranquillo giovedì di terrore, nella Capitale, dove a breve distanza dalle esplosioni sono scattati accertamenti in tutte le altre sedi diplomatiche. «È un fatto grave, una minaccia grave alle sedi diplomatiche». Lo ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, rispondendo a una domanda sui pacchi bomba. «Ora tutte le altre ambasciate accreditate qui a Roma stanno facendo accertamenti immediati».

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Io, uomo dell’anno, vi spiego come un ragazzo può farcela di Steve Jobs ono onorato di essere qui con voi, oggi, alle vostre lauree in una delle migliori università del mondo. Io non mi sono mai laureato, anzi, a dire la verità, questo nostro incontro è la cosa più vicina a una laurea che mi sia mai capitata. Oggi voglio raccontarvi tre storie della mia vita. Solo questo, niente di ecceNon si deve zionale: tre smettere storie. La di sognare. prima ha a che fare con Semmai il mettere restare assieme dei sempre puntini. Ho un po’ pazzi lasciato il Reed College dopo il primo semestre, ma poi ho continuato a frequentare in maniera ufficiosa per altri 18 mesi prima di lasciare veramente. Allora perché ho mollato tutto? È cominciato tutto prima che nascessi.

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• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

segue a pagina 14

BUON NATALE A TUTTI I LETTORI. ARRIVEDERCI IN EDICOLA IL 28 DICEMBRE 19.30


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pagina 2 • 24 dicembre 2010

Ai saluti finali il premier, come al solito, attacca la magistratura. E Vietti risponde: «Questi toni aggressivi sono inaccettabili»

I saldi di Berlusconi

«Aprirò un vero tavolo con il Terzo Polo». Ma Casini gli risponde: «C’è già il Parlamento». E Maroni frena: «Sarebbe un errore» di Riccardo Paradisi erlusconi si presenta alla tradizionale conferenza stampa di fine anno a villa Madama a Roma in una veste insolita: dialogante, mediatore su tutto – tranne che su Fini e magistratura dove tira fuori gli artigli – quasi melanconico, incline a lasciare tutte le porte socchiuse: dall’allargamento della maggioranza alle ricomposizioni in seno a governo e Pdl. Non risparmia il lungo inventario di cose realizzate dal governo: dalla ”positiva”, la definisce, riforma dell’università – «Non è vero che i giovani non hanno avuto un confronto col ministro Gelmini, ne hanno avuti 120» – alla tenuta del governo che ha garantito stabilità politica ed economica: «Sarebbe stato irragionevole andare ad elezioni, avremmo messo a rischio i titoli del debito pubblico che invece tengono». Berlusconi ha poi ne-

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nazionale e chi ci dice che gli avvoltoi non metteranno nel mirino l’Italia nei mesi della campagna elettorale?».

Anche Berlusconi sostiene ”l’irragionevolezza” delle elezioni dicendo di essere in perfetta sintonia con Napolitano, il problema è che vorrebbe evitarle portando nella maggioranza deputati che per ora ne sono fuori. «L’obiettivo dell’allargamento della maggioranza è quello di arrivare almeno a 325 voti alla Camera, attraverso il coinvolgimento di singoli deputati che hanno motivo di delusione o di contrasto con i loro gruppi. Per accogliere i transfughi ci saranno il nuovo gruppo di responsabilità nazionale e forse anche un altro gruppo parlamentare di nuova formazione». Se verso il terzo polo Berlusconi apre una generica disponibilità di negoziato – su cui però il mi-

La verifica di gennaio è dietro l’angolo: ma davvero il Cavaliere crede di poter costruire una maggioranza solida conquistando deputati delusi? gato che ci sia stata una compravendita di deputati e che la maggioranza sia fragile, anche se all’obiezione sulla fretta della Lega di andare al voto risponde che la verifica di gennaio sarà necessaria per capire se è possibile governare con pochi voti di vantaggio.

Messaggio contraddittorio. Ma tant’è. Se ne deduce però che a gennaio delle due una: o la maggioranza si allargherà o si andrà al voto. Non sarebbe meglio allora un accordo col terzo polo? «Si» – dice Berlusconi, che propone di aprire ”un tavolo di confronto”. La replica di Casini arriva a stretto giro: «Non so bene cosa sia un tavolo: gli accordi vanno fatti in Parlamento alla luce del sole». La strada da seguire è quella presa negli Usa dal presidente Obama «che ha fatto su alcune riforme un accordo chiaro e trasparente con il partito repubblicano che sta all’opposizione, senza fare compravendite parlamentari». In ogni caso, per il leader centrista Casini «le elezioni anticipate sarebbero dannose per il Paese, non per il Terzo polo. Dietro l’angolo c’è in agguato la speculazione inter-

nistro leghista Maroni frena – nei confronti di Fini invece è netto e definitivo: «Io con il presidente della Camera ho chiuso». Non parla esplicitamente di dimissioni di Fini il premier ma fa capi-

re che non non sarebbero inopportune: «Il presidente della Camera deve essere un’istituzione super partes e Fini non lo è stato soprattutto ora che è diventato leader di un partito collocato all’opposizione». Berlusconi non crede sia più possibile una ricucitura e respinge il parallelo con il rapporto Prodi-Bertinotti: «Non ritengo che ci possa essere un futuro riavvicinamento». Berlusconi è duro anche sul fronte giustizia: «Nell’ipotesi di una bocciatura della legge sul legittimo impedimento andrò in tv nei convegni e nei comizi di piazza per spiegare la situazione dei processi che sono basati su accuse incredibili, esilaranti» Dappertutto tranne che nelle aule del tribunale? Gli viene chiesto: «Certo, andrò personalmente a difendermi nelle aule di tribunale». Poi l’affondo: «Di fronte a certe dichiarazioni non si può negare che ci sia una volontà e un’associazione nella

magistratura tesa all’eversione. Se dovesse saltare lo scudo processuale presenteremo una richiesta al Parlamento per dar vita a una commissione che stabilisca se esiste un’associazione di magistrati a scopi eversivi». Infine «se dalla consulta dovesse arrivare la bocciatura della legge sul legittimo impedimento sarebbe una sentenza politica». Dichiarazioni cui risponde dopo poche ore il vice Presidente del

non vogliamo ripetere l’esperienza delle scorse amministrative quando alla presentazione delle nostre liste sono stati opposti ostacoli continui». Ma soprattutto la sigla del partito azzurro cambierà «perché è un acronimo e gli acronimi non comunicano emozioni». Sarà un nome insomma «ma non Forza italia perché indietro non si torna». Berlusconi ha poi evocato una sorta di complotto dietro al-

Il premier non parla esplicitamente di dimissioni di Fini dalla presidenza della Camera ma fa capire che non sarebbero inopportune Consiglio Superiore della Magistratura, Michele Vietti, che ha stigmatizzato «il ricorso ad inaccettabili toni aggressivi e polemici che si sperava non tornassero».

«Si candiderà di nuovo premier alle prossime elezioni presidente?» Gli domandano e lui: «Ci sono forze nuove che si stanno appalesando, io potrei partecipare alla campagna elettorale ma interrompendo li’ il mio impegno». Un impegno che però potrebbe continuare altrove: Berlusconi auspica che il prossimo presidente della Repubblica possa provenire dalle file del centrodestra «dopo tre presidenti espressione dell’altro schieramento». A proposito del nome del Pdl: cambierà. «In primo luogo perché Fli ha minacciato ricorsi e noi

l’emergenza rifiuti in Campania: «Sono arrivato a ritenere e sono personalmente convinto che ci sia una volontà precisa per dimostrare urbi et orbi che l’intervento del governo non è stato risolutivo». «Ho il fondato timore - ha aggiunto - che ci sia una manovra politica dietro questo fatto e cioè che faccia comodo a qualcuno far credere che l’intervento del governo non sia stato definitivo». Infine l’ennesimo rilancio della rivoluzione liberale: «Oggi per aprire un albergo, un ristorante una pizzeria occorrono 18 autorizzazioni preventive. La norma, che noi auspichiamo possa diventare legge dello Stato, può mettere in campo questa attività indipendentemente dalle autorizzazioni preventive, con la pubblica amministrazione che si riserva una visita per vedere se sono stati rispettati i regolamenti». E ancora: «la possibilità di operare senza impicci, leggi e burocrazia mi parrebbe un modo concreto per innescare un maggiore sviluppo». Poi una promessa «Non ci sarà nessuna manovra correttiva in primavera. Anche il commissario europeo ha escluso questa possibilità».

Parole a cui il governo dei fatti come lo chiama Berlusconi dovrà far seguire alle enunciazioni appunto i fatti. Ma per poter agire deve esserci la maggioranza, una maggioranza forte per gli obiettivi che il premier ha detto di avere. La verifica di gennaio infatti è dietro l’angolo e la domanda è: ma davvero presidente crede di poter costruire una maggioranza solida cogliendo fior da fiore deputati delusi?


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24 dicembre 2010 • pagina 3

LA CONTROCONFERENZA DI PIER LUIGI BERSANI ...

«Nichi Vendola può attendere» di Antonio Funiciello

ROMA. Doveva esserci, ieri, una riunione della Direzione nazionale del Pd; alla fine, c’è stata solo la conferenza stampa del segretario Bersani. Collocata a ridosso di quella di Berlusconi, è filata via nella stanchezza generale di domande prevedibili e risposte già sentite molte volte, con Bersani a rimandare tutti a gennaio, quando il Pd renderà noto il suo «pacchetto di riforme». Accanto a lui, Letta e Bindi, rimasti in silenzio per tutta la durata della conferenza stampa, un po’ dando la parola segnando a dito i giornalisti, un po’ giocando col telefonino. Una conferenza stampa pensata per dare gli auguri ai giornalisti, ma senza un sorriso: toni dimessi e sguardi cupi quelli di Bersani; ondivaghe e

impensierite le silenti presenze di Letta e Bindi. Il segretario dei Democratici, di suo, replicando a Berlusconi, ha mosso come al solito «da quel mare di chiacchiere in cui navighiamo da una quindicina d’anni». Leit motiv preferito da qualche mese, nonostante comprenda anche i sette anni di governo del centrosinistra, con Bersani ministro di primissima fila. Da lì, un affondo duro all’Italia dormiente: «Questo paese accetta di continuare a prendere il sonnifero o accetta di reagire a questo declino galoppante e silenzioso?». Come faccia il declino - o qualsiasi altra cosa - ad essere insieme galoppante e silenzioso, è metafora poetica che al massimo potrà capire Nichi Vendola, la cui prosa è sembrato Bersani volesse ieri superare in invenzione. Il seguito è stato per lo più contraddittorio. Bersani ha, da un lato, messo all’indice l’improduttività del berlusconismo e della sua «maggioranza galattica»; salvo poi, dall’altro, sostenere che

fare l’opposizione in Italia «è il mestiere più difficile di tutte le opposizioni delle democrazie occidentali». Sulle rivalità interne (vedi alla voce Veltroni) Bersani ha avvertito con ragione che sinora «nel partito non sono emerse linee alternative alla mia», lasciando intendere che non si attende nulla di clamoroso dalla manifestazione del Lingotto convocata dall’ex segretario il 22 gennaio prossimo. Quindi, una parafrasi di Bernstein, per cui «il partito è uno strumento e non è il fine», a cui è seguito un rilancio della prospettiva dell’alleanza repubblicana di tutte le opposizioni contro il demonio.

A sentire Bersani, insomma, non è accaduto niente. Poco importa che Berlusconi non sia caduto il 14 dicembre, meno ancora che Udc e altri abbiano dato vita al Terzo Polo. Su quest’ultimo punto, il segretario democratico è lapidario: «Un’illusione pensare di poter condizionare Berlusconi». Insomma, la stessa conferenza

stampa che Bersani avrebbe potuto tenere all’inizio del mese. Nient’altro aggiunge sulla discussione in corso per rimettere insieme i moderati, mostrando di non considerarla una cosa seria. Di contro, Bersani si “occhettizza” e richiama per il prossimo decennio del secolo un oltrismo d’altri tempi: «bisogna costruire l’oltre-

Il segretario del Pd ai saluti di fine anno frena Vendola: «Sì alle primarie solo se tutti gli alleati sono d’accordo» Berlusconi» afferma, con tanto di stoccata a Vendola che lo scimmiotta. La non curanza per il Terzo Polo si concilia bene con l’assillo delle primarie, su cui Bersani non manca puntualmente di tornare. Parlando in terza persona, come il mitico mister Mazzone, puntualizza:

«La sequenza logica per noi è “programma-coalizione-primarie”; non si venga a dire a Bersani che c’è qualcuno che non vuole farle». Traduzione: caro Vendola, le primarie vengono dopo la definizione dei confini della colazione; se c’è qualcuno nella coalizione che non vuol farle, non si fanno. Bersani pensa che sia sufficiente questo per convincere Casini a stare dentro un cartello di centrosinistra che comprenda tutti. Ed è questo che stupisce ancora, più del resto: l’indifferenza che il segretario democratico mostra per il passaggio di fase ormai prodottosi. Risulta così difficile seguirlo quando ammonisce: «Se volete parlare con noi, prendeteci sul serio». A gennaio si aprirà una fase controversa, aperta a scenari diversa; eppure l’impressione che trasmette il Pd, prima della pausa natalizia, è volerla affrontare con lo stesso armamentario retorico che, nell’anno appena trascorso, non ha prodotto alcun risultato. Non c’è che dire. Auguri.

...E QUELLA DI RAFFAELE BONANNI

«Al governo non bastano tre voti» di Francesco Pacifico

ROMA. «La maggioranza specula sulla violenza dei cortei per spaventare i cittadini. Una certa opposizione spinge sulla piazza per ottenere un premio di consolazione dopo le tante cose dette e non ottenute. Ma sbagliano entrambe». Finisce anche per evocare il “Doppio Stato” Raffaele Bonanni (e ben due ore prima che si materializzassero i pacchi bomba alle ambasciate di Svizzera e Cile a Roma) pur di richiamare il governo a mantenere le promesse fatte e uscire dall’attendismo.

E se l’appiglio è una domanda sugli sconti del 14 dicembre – «Ci sono ragazzi che si sentono autorizzati a picchiare un poliziotto, non ho mai visto un lavoratore bruciare una macchina durante una sua manifestazione» – l’obiettivo è quello di mettere in guardia dalla degenerazione della protesta. Che rischia anche di assorbire un governo che con l’ultima fiducia alla Camera «l’ha solo sfangata». Quasi come un refrain, Bo-

nanni ha spesso ricordato che la responsabilità del sindacato, senza il quale non si sarebbero evitate le dure contestazioni di piazza avvenute, per esempio, in Francia o in Gran Bretagna. Il prezzo è stato l’aver ritardato l’innalzamento dell’età pensionistica, rallentato sulle liberalizzazioni, trasferito parte dei fondi della formazione verso la cassa in-

Il segretario della Cisl suggerisce l’agenda all’esecutivo: fisco, welfare e crescita. «Ma questa volta vogliamo tavoli veri» tegrazione, pur di evitare tensioni e di legare l’occupazione ai luoghi di lavoro in una fase di bassa produzione. In quest’ottica la Cisl ha fatto uno sforzo in più, dando il proprio assenso al congelamento del contratto degli statali – suo bacino naturale d’i-

scritti – pur di aiutare Giulio Tremonti a stabilizzare le finanze pubbliche. Ma tanti sforzi, secondo quello che si respira in via Po, non sono stati ripagati.

E senso di responsabilità il numero uno della Cisl lo chiede anche nel caso Fiat. Ieri l’azienda ha messo in chiaro quello che ormai si sapeva da mesi: uscendo da Confindustria e da un sistema di relazioni scandito dagli accordi confederali, l’azienda può riconoscere la piena agibilità sindacale soltanto alle sigle che firmano le intese. Di conseguenza, un contratto ad hoc dell’auto sarebbe sufficiente a relegare nell’angolo la Fiom. I metalmeccanici di corso d’Italia lamentano l’ennesimo tentativo del Lingotto di attentare ai diritti costituzionali dei lavoratori. Ma anche su questo crinale, Bonanni preferisce fare distinzioni: «Se non c’è investimento, e a Mirafiori l’azienda porterà un miliardo, non c’è lavoro. Se non c’è lavoro non ci sono lavoratori. Se

non ci sono lavoratori, non ci sono diritti. Chiaramente la flessibilità che Marchionne ci chiede, la dovrà pagare». È per tutto questo, per rivendicare il lavoro fatto in questi anni che ieri, incontrando la stampa, Raffaele Bonanni ha voluto ricordare che «un gruppuscolo di ragazzini» rischia di aprire una crepa nella pax sociale, vigente in Italia dall’inizio della crisi. E per respingere quest’ipotesi suggerisce di lavorare in tre direzioni: «Per noi si deve discutere di crescita, di fisco e di welfare». A dargli ragione sono le ultime stime sulla disoccupazione giovanile dell’Istat – il 24,7 per cento, la metà soltanto al Sud –, l’abbassamento dei fondi destinati a ricerca e sviluppo e un’emigrazione verso l’estero dei cervelli più preparati e meglio formati. Ma per comprendere meglio questo quadro aiuta anche un’inchiesta di Nomisma per Solo Affitti, dalla quale si evince che l’Italia è in Europa il Paese con minori detrazioni destinate agli affitti per i più giovani.

La Cisl si accinge a lanciare un manifesto per riforma il welfare. Quindi chiederà di tornare a discutere su ripresa economica e fisco. «Alla ripresa dell’attività», dice il leader di via Po, «vogliamo tavoli veri, e faremo anche iniziative pacifiche ma pressanti».

Welfare e fisco devono diventare nella piattaforma Cisl leve per aumentare la produttività e i salari. Magari confermando quella riforma contrattuale – di fatto superata dai contratti aziendali voluti da Marchionne – che lega l’una agli altri. E guai a pensare che «risolverà le cose Pantalone. Sono atterrito quanto ho saputo dei 20mila posti di lavoro fatti per legge in Sicilia. Così quei territori si desertificheranno ancora di più».


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l’approfondimento

Silvio Berlusconi annuncia il cambio del nome del partito ma esclude una nuova premiership per il 2013 (quando avrà 77 anni)

L’annus horribilis

Il Pdl si è rotto e la maggioranza da 70 voti in più si è ridotta a 3. Si consuma la separazione con la moglie e la figlia Barbara ne critica la condotta. A 12 mesi da quel vigliacco “colpo di Duomo” in faccia, il premier fa i conti con il peggior ciclo della propria vita eanche lui ce la fa più. A poco più da un anno dalla “duomata” in faccia arrivatagli il 13 dicembre del 2009, Berlusconi ha non proprio gettato la spugna, perché comunque per il momento va avanti. Ma ha chiarito comunque che non si candiderà più alla Presidenza del Consiglio nel 2013, quando avrà 77 anni. E cambierà anche il nome al Pdl: il partito fondato il 29 marzo del 2009 per dare una sigla unitaria a tutto l’arco della maggioranza berlusconiana fuori dalla Lega con l’adesione di Forza Italia, Alleanza Nazionale e un’altra decina di sigle minori. Non solo infatti con la scissione del 30 luglio il Popolo della Libertà ha perso uno dei due cofondatori: quel Gianfranco Fini con cui la questione è diventata largamente personale. Anche dopo, la gesione del partito che non si chiama partito ha continuato a essere gravemente contestata addirittura da membri del governo. Prima la Ministro delle Pari Opportunità Mara Carfa-

N

di Maurizio Stefanini gna, che dopo essersi scontrata con Alessandra Mussolini, con la foto dei suoi colloqui col “traditore” Bocchino e l’insulto ormai mitico di “vajassa”, si è sentita attaccata anche sulla questione dei termovalorizzatori, ha minacciato le dimissioni da ministro, e si è vista ulteriormente attaccata addirittura dalla figlia del capo del Governo Barbara Berlusconi. Che, vestita da Jessica Rabbitt, le ha consigliato di smetterla di lamentarsi continuamente, vista una carriera che l’ha portata “dai Telegatti a ministro”. Poi la Ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo, che invece ministro è rimasta, ma dopo che l’hanno messa in minoranza a Montecitorio ha detto che lasciava il partito. Lo stesso Berlusconi è dovuto intervenire personalmente per rassicurare l’una e l’altra: ma non è che è risultato particolarmente convincente il modo in cui ha spiegato tutto col “fatto che le donne ci credono fino in fondo, non

hanno attitudine al compromesso tipica dei professionisti della politica e poi quando si scontrano con fatti concreti e con atteggiamenti utilitaristici di alcune forze politiche, l’idealità prevale sul mestiere”. Ma non sono state solo le botte in testa o i guai di partito. Il 2010, ad esempio, dopo che già il 2009 era stato l’anno di Noemi Letizia, della D’Addario e della separazione con la moglie, ha visto Berlusconi cadere

Se il 2009 era della D’Addario, il 2010 è stato consacrato al bunga bunga

anche nella vicenda del Bunga Bunga: lo scandalo della minorenne marocchina Karima El Mahroug, alias Ruby Rubacuori, che sarebbe finita in mezzo a altre ragazze a una festa col Presidente del Consiglio, avrebbe ricevuto da lui alcune migliaia di euro, e sarebbe stata poi beneficiaria di una telefonata alla polizia che l’aveva arrestata per furto: obiettivo, il farla dare in affidamento con la voce che fosse “nipote del presidente egiziano Mubarak”. Come poi per i casi Noemi e D’Addario, alla fine sembra che non vi siano nella vicenda profili di rilievo penale. Però è sempre più diffusa la sensazione che vi siano poteri forti che ormai vogliono liberarsi del Cav, e sfruttino le sue debolezze per tendergli trappole in cui lui continua a cadere.

Il 2010 è stato poi anche l’anno di Wikileaks. Va bene che lì il fango è schizzato a 360 gradi sul pianeta, e in fondo

Berlusconi non è che ci abbia fatto la figura proprio peggiore di tutti. Risulta comunque di un personaggio che si è sempre vantato sul suo legame di ferro con Washington, accreditandosi addirittura come mediatore tra Usa e Putin, che lungi dall’essere vista con favore questa opera di sensale gli aveva gettato addosso diffidenza e sospetti. “Berlusconi sembra essere il portavoce di Putin in Europa”. E poi: “inetto, vanitoso e incapace come leader; “fisicamente e politicamente debole”; “le sue frequenti lunghe nottate e l’inclinazione ai party significano che non si riposa a sufficienza”. Addirittura, Hillary Clinton all’inizio di quest’anno avrebbe chiesto alle ambasciate americane a Roma e Mosca informazioni su eventuali “investimenti personali”del Cav e di Putin, tali da condizionare le politiche estere o economiche dei rispettivi paesi. Ovvero, il sospetto americano che la politica russa sia nelle mani di Valdimir Putin, giudicato un poli-


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Biagio De Giovanni e Paolo Pombeni commentano il difficile 2010 del Cavaliere

«La guerra di successione sarà certamente traumatica»

I politologi si interrogano sul futuro del sistema imperiale del signore di Arcore e concordano sul fatto che il tempo del “grande pubblicitario” stia finendo di Franco Insardà

ROMA «L’uomo ha sette vite, sembra sempre sul punto di crollare, ma riesce sempre a riprendersi». È questa, per il professor Biagio De Giovanni, l’istantanea oggi di Silvio Berlusconi che aggiunge: «Per come era partito questo 2010 e al punto in cui era arrivato un mese fa il Cavaliere può essere più che soddisfatto per la conclusione. E mentre quasi tutti lo davano per finito, il premier sta dimostrando di essere un osso molto duro che ha di nuovo il pallino in mano. O riesce ad allargare il fronte della sua maggioranza, oppure, come è più probabile arriverà al voto. Dalla scena, invece, è scomparso il governo di transizione e tutto quello che si contrappone appare vecchio». La lettura del professor Paolo Pombeni è un po’ più critica: «Berlusconi è un abilissimo pubblicitario e sa che il messaggio da veicolare deve essere: il mio prodotto è il migliore. Accanto a questo in maniera subliminale e ricattatoria si fa intendere che chi non crede alla bontà del prodotto non può illudersi di poterne acquistare un altro. Tradotto minaccia elezioni anticipate. Uno dei problemi della politica italiana è che da noi è molto difficile ritirarsi e questo provoca dei logoramenti spaventosi. L’unica eccezione è stata quella di Romano Prodi. Inoltre Berlusconi ha un problema in più rappresentato dal macigno delle sue vicende giudiziarie che complica oggettivamente la situazione». Per Pombeni la difficoltà a fare le riforme in Italia va cercata nei «mille interessi ai quali nessuno vuole rinunciare e nella debolezza dei partiti che hanno bisogno di garantirsi grandi pacchetti di voti. L’altro problema è quello di avere un premier che non sa vestire i panni del federatore e che, per ragioni personali, ha scelto di spaccare il Paese. In queste condizioni è impossibile fare le riforme che richiedono un consenso più largo. È in atto un continuo referendum su Berlusconi che per stabilizzare la parte a lui favorevole rende molto difficile il dialogo con chi è contrario. A questo va aggiunto che una parte della sua maggioranza, avendo capito che si trattava di una tattica dal respiro corto, ha provato a smarcarsi. Berlusconi, essendo un personaggio che non sopporta alcun tipo di dissenso, ha reagito in modo violento e la ha scatenato una serie di reazioni a catena che hanno bloccato il Paese. Tra l’altro il sistema berlusconiano scricchiola perché è costruito su un modello di tipo “imperiale”. Nel momento in cui l’imperatore non è più in grado di governare la situazione, comincia la guerra di successione tra chi interpreterà meglio le ultime pulsioni del proprio capo. Un siste-

ma sano dovrebbe, invece, riuscire a produrre delle leadership non legato all’eredità lasciata dal grande capo». I due politologi hanno opinioni diverse anche sull’azione di governo. Secondo Pombeni un governo «organizzato per tribù contrapposte e con un premier che non si sa mai se sta pensando agli affari suoi o a quelli dello Stato non poteva dare segni di efficienza, dando sempre a tutti l’impressione di poter fare come gli pare. E le vicende della ricostruzione abruzzese e dei rifiuti campani sono emblematiche, perché qualsiasi azione del governo in situazioni emergenziali ne esce indebolita, quando invece bisognerebbe mandare dei segnali molto chiari e far capire a tutti che non c’è spazio

De Giovanni: «Il Carroccio non gli permette di allargare la maggioranza. È questo è un freno» per deviazioni». De Giovanni invece sottolinea la capacità di reazione del governo che «in pochi giorni ha approvato la riforma universitaria, il decreto per i rifiuti in Campania».

In questo scenario sia Pombeni che De Giovanni segnalano il ruolo del Carroccio. Per il politologo napoletano l’elemento «di contraddizione maggiore nella vicenda di Berlusconi è il possibile accentuarsi del contrasto con la Lega». E il professore bolognese aggiunge: «Berlusconi è consapevole di avere un problema interno rappresentato dall’alleanza con la Lega che ha il freno a mano tirato, perché il Carroccio capisce perfettamente che accettare altri alleati ridurrebbe in maniera consistente il proprio potere». E anche sulle vicende personali i due si dicono d’accordo. Pombeni ritiene che Berlusconi su questo fronte «si è dato una “calmata”, dopo i fasti dell’estate ha intuito che questa condotta non soltanto discutibile dal punto di vista privato, ma esibita diventava molto controproducente. Ultimamente si limita a battute tipo quella dell’anagramma del suo nome, ma stiamo a livello

quasi goliardico, rispetto all’esibizione della sregolatezza dei mesi precedenti. In questo, probabilmente ha influito la consapevolezza che questi atteggiamenti avrebbero reso molto più difficile a una parte della Chiesa di sostenerlo». E De Giovanni sottolinea la «camaleontica capacità di sopravvivenza del Cavaliere, consapevole del fatto che se perde questa partita ha chiuso». Ma se si dovesse verificare questa possibilità per Pombeni «non ci sarà una continuità del partito berlusconiano che si frantumerà. Come accadde con l’impero di Alessandro Magno che fu diviso tra dodici successori».

tico di stampo autoritario, “il cui stile machista gli consente di collegarsi perfettamente con Silvio Berlusconi”. Poi c’è stata la famiglia. La famiglia sua. Gli strascichi con Veronica, innanzitutto. Barbara Berlusconi, poi, si è già detto. “Amareggiata”dinanzi ad accuse “pesanti” nei confronti del padre, ha ricordato che se questi ha portato le showgirl in Parlamento «gli italiani le hanno votate». Però poi ha ammesso: «Quelle che mio padre chiama ‘debolezze’ hanno inciso sulla sua vita e sulla sua politica».E Marina Berlusconi, che per rendersi simpatica non ha trovato di meglio che farsi fotografare con le tette di fuori da un giornale di famiglia. E poi la famiglia come categoria della politica. Alla fine, è successo infatti che alla Conferenza nazionale della famiglia di Milano dell’8-10 novembre non è andato lui, ma ha mandato il sottosegretario Carlo Giovanardi. Alle polemiche sulle frequentazioni femminili pericolose, che lui ha detto espressamente di non voler abbandonare, si era unita quella su una barzelletta con bestemmia contro Rosy Bindi, che Famiglia Cristiana aveva bollato come «un’offesa a tutti i cattolici».

Naturalmente, non è mancato l’ennesimo scandalo dai risvolti finanziari, con la storia di Antigua. È vero che sembra un po’ troppo assomigliante all’altra vicenda che ha colpito Gianfranco Fini su Montecarlo, per non prenderla con le dovute molle. Sul fronte della politica, poco prima della botta della scissione del Pdl ha invece incassato un successo alle regionali e amministrative del 2010, che ha continuato la serie delle politiche del 2008 e delle europee del 2009. Insomma, l’appeal del Cav sull’elettorato resta forte. E anche la sua capacità di manovrare alle Camere, visto il modo in cui il 14 dicembre è riuscito infine a respingere la mozione di sfiducia che era stata presentata, prevalendo alla Camera per tre voti. Ma resta il dubbio sul che ci debba fare poi, con questa maggioranza. Un po’ di cose il governo le fa con la linea economica di Tremonti: che è abbastanza apprezzata a livello europeo e internazionale, ma che non è che sia propriamente in armonia con quegli slogan sulla “rivoluzione liberale” con cui aveva motivato la sua “discesa in campo”. Un po’ di cose le fa col ministro dell’Interno Maroni, che però vanno soprattutto nel carniere della propaganda leghista. E un bel po’ di altre cose (la maggioranza, probabilmente) non riesce a farle neanche quando ci tiene: vedasi la storia della privacy. Resta il Milan, che è tornato in testa al campionato. Ma l’ultima giornata del 2010, pure i diavoli hanno clamorosamente perso in casa per 1-0 con la Roma.


diario

pagina 6 • 24 dicembre 2010

Roma, approvata la tassa sul turismo

La riforma Gelmini ora è legge

ROMA. È arrivato verso le tre di notte il via libera definitivo dell’Assemblea capitolina al regolamento che disciplina la nuova tassa di soggiorno a Roma. Il contributo, che scatterà dal 1 gennaio 2011, dovrà essere versato da ogni turista che pernotti nella capitale, ma anche dai non residenti che accedono agli stabilimenti di Ostia o prendono un bus sightseeing o un battello sul Tevere. La tariffa giornaliera va dai tre euro a notte negli alberghi a quattro o cinque stelle a un euro per i campeggi. Un emendamento al testo originario approvato in nottata introduce l’esenzione per i bambini fino a dieci anni. Il provvedimento, approvato al Campidoglio con 22 voti favorevoli su 31 presenti, recepisce il decreto legge 78/2010 e la delibera 6772010 con i quali, la scorsa primavera, è stata introdotta la possibilità per il Comune di

ROMA. Le polemiche, le manife-

Roma Capitale di utilizzare un contributo di soggiorno per mantenere in equilibrio il bilancio. Con la “tassa”, il Campidoglio conta di incassare 82 milioni di euro. Risorse che saranno già formalmente quantificate e inserite nella manovra di Bilancio previsionale 2011, che sarà varata dalla giunta all’inizio del nuovo anno.

stazioni e gli scontri non hanno scalfito l’iter parlamentare della contestatissima riforma delle università presentata dal ministro Gelmini. Come previsto ieri, dopo la bagarre due due giorni fa, l’aula del Senato ha approvato, in terza lettura e in via definitiva, il disegno di legge di riforma dell’università con 161 sì, 98 no e 6 astenuti. A favore hanno votato, Pdl, Lega e Fli; contrari Pd e Idv; astenuti Udc, Api, Mpa, Svp e Autonomie (a Palazzo Madama l’astensione equivale a un voto contrario). La senatrice Barbara Contini (Fli) non ha partecipato alla votazione. Soddisfazione per il voto favorevole è stato espresso dai membri della maggioranza e del governo.

Il ministro Frattini allerta le nostre sedi all’estero, mentre gli inquirenti seguono la pista degli anarco-insurrezionalisti

Bombe sulla diplomazia

Inviati ordigni alle ambasciate di Cile e Svizzera in Italia: 2 feriti di Francesco Lo Dico

Ieri, sempre a Roma, altri tre allarmi bomba poi risultati fortunatamente infondati. L’ipotesi avanzata al momento dalle autorità è che il pacco bomba possa essere la risposta alla vicenda carceraria di alcuni esponenti della galassia anarchica attualmente detenuti nelle carceri elvetiche

ROMA. Antivigilia di Natale all’insegna del terrore a Roma, dove due pacchi bomba sono esplosi davanti alle ambasciate della Svizzera e del Cile, per fortuna senza mietere alcuna vittima. Nel primo pomeriggio si era vociferato anche di un terzo plico esplosivo rintracciato nella sede diplomatica dell’Ucraina, ma le successive verifiche hanno dimostrato come si trattasse di un falso allarme: la busta incriminata era in realtà un semplice biglietto di auguri. Un tranquillo giovedì di terrore, nella Capitale, dove a breve distanza dalle esplosioni sono scattati accertamenti in tutte le altre sedi diplomatiche. «È un fatto grave, una minaccia grave alle sedi diplomatiche». Lo ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini, rispondendo a una domanda sui pacchi bomba esplosi in un alcune ambasciate a Roma. «Ora – ha aggiunto – tutte le altre ambasciate accreditate qui a Roma stanno facendo accertamenti immediati».

Poco prima di pranzo l’ambasciata svizzera emette un comunicato stampa che contiene le prime scarne notizie sull’attentato: «A mezzogiorno – recita la nota diramata dai diplomatici svizzeri – un ordigno nascosto in un invio postale è esploso nei locali dell’ambasciata di Svizzera a Roma. L’addetto alla posta è stato ferito alle mani e immediatamente trasportato in ospedale. Al momento non si è a conoscenza di alcuna rivendicazione. Le forze dell’ordine sono subito intervenute e sono al lavoro». Dopo lo scoppio, gli artificieri e i reparti speciali dei carabinieri

sono accorsi in via Barnaba Oriani, sede dell’ambasciata, per avviare le procedure di verifica, ma non si è ritenuto di dovere evacuare gli uffici consolari. Sul posto, sono poi sopraggiunti numerosi cronisti, i mezzi dei vigili del fuoco e alcuni militari dell’Arma. Grande preoccupazione anche per l’addetto alla corrispondenza, un cinquantatreenne svizzero, rimasto gravemente ferito alle mani dall’ordigno. Dopo un rapido trasbordo in ambulanza l’uomo è stato affidato dal 118 al pronto soccorso del Policlinico Umberto I, dove ha fatto ingresso con codice rosso. Il dipendente non rischia la vita, ma i sanitari non escludono l’intervento chirurgico che potrebbe comportare la parziale amputazione dell’arto sinistro.

La mano destra ha riportato solo ferite lievi e ustioni. «Siamo tutti sotto choc», ha commentato una fonte dell’ambasciata. Secondo le prime ricostruzioni degli inquirenti, il plico è immediatamente esploso non appena l’addetto l’ha privato dei sigilli. La procura di Roma ha già aperto un fascicolo sull’episodio. Il procuratore aggiunto Pietro Saviotti, posto a capo del pool antiterrorismo, ha avviato le indagini per attentato con finalità di terrorismo. Le indagini sono affidate ai carabinieri del Ros. Agli esperti del Ris spetterù invece la disamina dei resti del pacco bomba, l’accertamento del potenziale esplosivo dell’ordigno e la sua provenienza. Secondo quanto emerso finora, al vaglio degli inquirenti c’è una pista che conduce

alla matrice anarchico-insurrezionalista, in contrapposizione con quanto dichiarato a caldo dal sindaco di Roma, Gianni Alemanno, che si è recato di persona presso l’ambasciata di via Barnaba Oriani. «Si tratta di un attentato che non ha nulla a che vedere con gli altri episodi e le altre provocazioni avvenute a Roma – aveva annotato il primo cittadino della Capitale –. L’attentato ha una matrice di carattere internazionale. Non dobbiamo confondere e fare un unico brodo di tutte queste vicende perché ci porterebbero fuori strada». Più cauto il ministro degli Esteri, Franco Frattini: «È assolutamente prematuro dire quale sia l’origine, si tratta comunque di pacchi bomba che in almeno due casi sono esplosi, in un caso

con danni molto seri, nel terzo caso vediamo se questo pacco sospetto è della stessa natura degli altri». Il ministro ha esortato tutti a «evitare allarmismi», e ha poi annunciato alla stampa come «tutte le altre ambasciate accreditate qui a Roma stanno facendo accertamenti immediati». Al momento, comunque, regnano sovrane frammentarietà e confusione. L’agenzia Agi parla di“pista greca”, mentre Adnkronos ventila che gli inquirenti avrebbero ricondotto le modalità dell’attentato agli ambienti dell’anarchismo di matrice ecoterroristica.

L’ipotesi avanzata è che il pacco bomba possa essere la risposta alla vicenda carceraria di alcuni esponenti della galassia anarchica attualmente dete-


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Tutelare e favorire la maternità

L’Italia connessa alla Rete resta in coda all’Europa ROMA. È cresciuto in Italia l’uso delle tecnologie nel 2010 ma le famiglie italiane sono ancora indietro rispetto all’Europa per quanto riguarda la penetrazione di internet e della banda larga. È l’indicazione che emerge dall’indagine realizzata dall’Istat sulle tecnologie e il loro utilizzo da parte degli italiani. «Rispetto al 2009 - dice l’Istat - cresce la quota di famiglie che possiede il personal computer (dal 54,3% al 57,6%), l’accesso ad internet (dal 47,3% al 52,4%) e che dispone di una connessione a banda larga (dal 34,5% al 43,4%). Malgrado i progressi, tuttavia, l’Italia continua a rimanere indietro rispetto a molti dei paesi della Ue sia rispetto al possesso di internet sia alla qualità della connessione. Fanno peggio di noi solo Grecia, Bulgaria, Romania». «Il nostro paese si legge ancora nel documento - si colloca al vente-

nuti nelle carceri elvetiche. Tra questi anche Marco Camenisch, militante rivoluzionario antinucleare svizzero, che negli anni ’90 era stato più volte detenuto in Italia per poi essere estradato in Svizzera. È certo però il coinvolgimento del Paese in precedenti attentati accostabili all’ultimo di ieri.Nella stessa sede dell’ambasciata elvetica a Roma, non più tardi del 5 ottobre era stato ritrovato un ordigno incendiario nei pressi del muro di cinta.Rimasto inesploso, conteneva un messaggio minatorio: “Costa, Silvia e Billy liberi”. E cioè i nomi di tre anarchici impegnati sul fronte ecologista radicale, arrestati ad aprile vicino Zurigo con l’accusa di progettare un attentato contro la succursale di una multinazionale. Ma in novembre, era stata ancora l’ambasciata svizzera, stavolta ad Atene, a essere presa di mira dopo l’invio di numerosi plichi esplosivi alle sedi diplomatiche greche. Davanti alla sede diplomatica elevetica, esplose un pacco bomba anche in quella circostanza.

Scenario non dissimile anche in via Po, dove si è consumato il secondo attentato della giornata presso l’ambasciata del Cile. Anche in questo caso il plico è deflagrato tra le mani di un dipendente dell’ambasciata addetto al servizio di corrispondenza. Più lievi, in questo caso, le conseguenze. L’uomo, secondo quanto riferito dai sanitari del 118 accorsi sul posto insieme ai carabinieri, è stato ferito alle mani ma in maniera lieve e le sue condizioni non destano preoccupazioni. Anche per il dipendente della sede diplomatica cilena, viaggio in ambulanza fino al Policlinico Umberto I. Solo tanto spavento, invece presso l’ambasciata Ucraina in via Guido D’Arezzo a Roma, dove le verifiche hanno accertato che il plico sospetto fosse un ben più rassicurante biglietto natalizio. Nel corso della registrazione di Porta a Porta, il ministro degli Interni, Roberto Maroni con-

g i u d i z il e t t e r ep r o t e s t es u g g e r i m e n t i

simo posto sia per quanto riguarda il possesso di internet da casa (con un tasso di penetrazione tra le famiglie con almeno un componente tra i 16 e i 64 anni del 59% rispetto alla media europea del 70%) sia per l’accesso mediante banda larga (con un tasso di penetrazione del 49% rispetto alla media europea del 61%)». Nonostante questo l’Italia è, con la Grecia, tra i Paesi che registrano la crescita maggiore nell’accesso a internet mediante banda larga.

Il funzionario elvetico rischia l’amputazione delle mani. Il cileno ricoverato con ferite lievissime

Dall’alto: il sindaco Alemanno, il ministro Maroni, l’ambasciatore cileno Arcaya e quello svizzero Regazzoni

ferma che è la matrice anarcoinsurrezionalista, quella che ha preso maggior quota dopo i primi rilievi degli inquirenti. Reduce da un breve colloquio con il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il ministro leghista spiega che «sono in corso le attività investigative per verificare se questa pista sia quella giusta. Ma Roberto Marnoni ha anche messo in relazione le esplosioni di ieri con gli attentati ateniesi di novembre. «La pista anarchica è quella al momento seguita – spiega il titolare del Viminale – perché ci sono precedenti analoghi in Grecia». Maroni ha infine ricordato questi gruppi anarchici, «molto violenti», sono presenti in paesi come la Grecia, la Spagna e la stessa Italia e sono «strettamenti collegati. Tutto ciò ci induce a pensare che ci sia questa pista». Nel pomeriggio, si diffondono altri due falsi allarmi su dei pacchi bomba, uno al Campidoglio e un altro presso l’ufficio elettorale di viale Marconi.

Il presidente della provincia di Roma, Nicola Zingaretti ha voluto rassicurare la cittadinanza, scossa dagli attentati veri quanto da quelli presunti, alla vigilia del Natale. «Roma e i suoi cittadini non devono lasciarsi intimorire da chi vorrebbe mettere in atto un piano per innalzare la tensione a ridosso delle feste natalizie – recita la nota da lui affidata alla stampa. Solidarietà ai feriti, da parte del governatore del Lazio, Renata Polverini, che invita a tenere alta la guardia: «Non bisogna sottovalutare questi episodi – commenta – Dopo il finto ordigno alla stazione di Rebibbia, oggi un pacco esplosivo e altri falsi allarmi bomba a Roma sono segnali inquietanti, sui quali aspettiamo che le indagini in corso facciano chiarezza, ma che non ci lasciano sereni». Il questore Francesco Tagliente assicura che «è tutto sotto controllo» e parla di due episodi isolati: «Non si tratta assolutamente di strategia della tensione – conclude Tagliente.

Nei giorni scorsi sono stati notificati e annunciati alcuni ricorsi al Tar contro la delibera della Giunta regionale del Piemonte riguardo la collaborazione più stretta tra associazioni di volontariato, ospedali e consultori per tutelare e favorire la maternità. Noi pensiamo che la vicenda sia l’occasione per costruire in tutto il Paese una corretta visione del ruolo del consultorio familiare, che non è quello di accompagnare le donne verso l’aborto, bensì proteggere il diritto alla vita del figlio concepito aiutando la madre in difficoltà per una gravidanza difficile o imprevista. Per queste ragioni esprimiamo la nostra gratitudine al presidente Cota e all’assessore Ferrero. È stato citato in giudizio anche il mpv di Torino che da oltre 30 anni insieme ai centri di aiuto alla vita svolge gratuitamente assistenza alle donne in difficoltà per una gravidanza imprevista. L’attività di volontariato è correntemente svolta con i consultori e anche in ospedale: annualmente vengono assistite oltre 5700 mamme. Solo una più stretta collaborazione con le associazioni di volontariato, come i centri di aiuto alla vita, così come delineato dalla delibera può avviare finalmente, dopo 32 anni, l’applicazione della legge 194/78 nella sua prima parte, laddove viene prescritto agli enti locali l’impegno a tutelare e favorire la maternità.

Movimento per la vita

MARONI CONFONDE GLI IMMIGRATI CON GLI INTERINALI La proroga di sei mesi è positiva, ma non risolutiva. La vicenda dei 650 precari impiegati negli sportelli unici per l’immigrazione delle prefetture e negli uffici immigrazione delle questure resta aperta nonostante l’impegno del Governo per la proroga di almeno un anno. Non vorrei che il ministro Maroni avesse fatto confusione tra gli interinali del dicastero e i 650 vincitori del concorso attraverso il quale quest’ultimi sono stati poi effettivamente impiegati.

Angelo Compagnon

L’IMMAGINE

Scatole cinesi Immaginate di aprire un pacco che ne contiene un altro, e un altro ancora. Con queste stelle è accaduto qualcosa di simile. L’ammasso aperto Pismis 24 contiene il Pismis 24-1, il “puntino” più brillante al centro dell’immagine

IMPERATIVO CATEGORICO Pensare con la propria testa penso debba essere l’imperativo categorico, non solo di ogni persona civile, intelligente e di buon senso, ma anche e soprattutto di coloro i quali sono impegnati a ogni grado e livello politico. Ciò, troppo spesso, purtroppo, non avviene. Ci si lascia più facilmente “fagocitare”da decisioni prese da qualcun altro, magari agli “alti vertici”per questioni di opportunità, opportunismo o, più semplicemente, perché non si ha alcuna voglia di prendere una posizione coerente con la propria intrinseca intelligenza. Oppure ci si lascia condizionare da altri, dai media ad esempio, oppure dalle “mode del momento”. Ogni scusa è buona, insomma, per non pensare con la propria testa.

Luca Bagatin

MUNNEZZA: REGALO DI BERLUSCONI AI NAPOLETANI Sono trascorsi ben più degli ennesimi 10 giorni annunciati dal presidente del Consiglio come il termine entro cui Napoli sarebbe stata ripulita e oltre 8mila tonnellate di rifiuti giacciono nelle strade della città e della provincia perché non si sa dove scaricarle.Tra le tante promesse non mantenute di Berlusconi, c’è ora anche questa, e così ai napoletani il premier ha fatto un suo specialissimo regalo di Natale perché ciascun cittadino troverà sotto l’albero 2 chili di maleodorante autentica “munnezza” napoletana. A questo punto, dopo avere deciso la cancellazione di tre discariche e invasi per circa 6 milioni di metri cubi dove trasportare i rifiuti, non resta che ringraziare il premier e quando tornerà in città sono certo che i napoletanni non mancheranno di manifestargli il proprio affetto.

Marco Di Lello

ASSUNZIONI LAMPO Le assunzioni-lampo a pochi giorni dall’approvazione della riforma dell’Università sono uno schiaffo agli studenti e ai ricercatori. Il Parlamento si affanna per la non proliferazione della parentopoli, e i rettori de La Sapienza e di Tor Vergata si avvalgono di nuovi professori ordinari che, guarda caso, sono figli o nipoti.

Luca V.


il paginone

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RAGIONANDO SUL NATALE

Le parole del profeta Isaia annunciano la venuta di Cristo e la sua natura salvifica per l’intera umanità. Ecco perché il suo Libro va letto con gioia di Sergio Valzania oce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i vostri sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! (Is 40, 3-5). Questa lunga citazione dal libro di Isaia si trova quasi all’inizio del vangelo di san Luca (3,4-6), in Matteo sono inseriti solo i primi tre versi in 3,3. In entrambi i casi la funzione del riferimento sta nello spiegare la missione profetica affidata a Giovanni e di inserirla nella tradizione veterotestamentaria. Poche pagine dopo, in 4,18, Luca inserisce nel testo un secondo, lungo, passo tratto da Isaia: Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha man-

V

Il salvatore profetizzato nel testo non è un capo politico, né un guerriero vincitore, ma un Servo di Dio mandato per assumersi i peccati di tutti dato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore (Is 61, 12).Sono le parole con le quali Gesù, di ritorno dall’essere stato battezzato proprio da Giovanni, si presenta ai suoi concittadini di Nazaret nella sua nuova veste di annunciatore del Vangelo, della buona novella. È attraverso le parole di Isaia che l’evangelista colloca i protagonisti del suo racconto nella storia della salvezza. L’influenza di questo libro profetico nella tradizione cristiana è stata forte fin dall’inizio, le comunità all’interno delle quali veniva realizzata la redazione dei vangeli riconoscevano in modo preciso il collegamento fra la predicazione, la morte e la resurrezione di Gesù e l’anticipazione che ne viene data nel testo di Isaia, la cui redazione era lontana di oltre mezzo millennio, ma lei cui promesse divine erano ben presenti alla sensibilità ebraica dei contemporanei di Gesù. Il riconoscimento della centralità del testo nell’anticipazione messianica all’interno delle comunità cristiane dei primi secoli è ribadito da un episodio delle Confessioni di sant’Agostino. Sant’Ambrogio consigliò al santo, ancora in preda ai dubbi della conversione, di leggere proprio il Libro di Isaia per giungere a un chiarimento delle proprie convinzioni. Agostino confessa di non essere stato ancora pronto per comprendere un testo

così impegnativo, solo in seguito ne sarebbe diventato un assiduo lettore. Seguendo questo percorso di letture e meditazioni del Libro di Isaia troviamo nella Firenze della seconda metà del secolo scorso Giorgio La Pira che cita a memoria passaggi di Isaia in latino ai suoi studenti durante le lezioni di Storia del Diritto Romano. Negli Atti degli Apostoli troviamo altre lunghe citazioni da Isaia. Quasi in apertura l’apostolo Filippo viene convocato da un angelo del Signore affinché vada a incontrare un etiope, eunuco e alto funzionario alla corte della regina Candace, che si era recato a Gerusalemme per motivi di devozione. Quando i due si incontrano l’etiope sta leggendo un passo del testo biblico, senza riuscire a comprenderlo. Gli Atti riportano l’intero brano: Come una pecora fu condotto al macello e come un agnello senza voce dinanzi a chi lo tosa, così egli non apre la sua bocca. Nella sua umiliazione il giudizio gli è stato negato, ma la sua posterità chi potrà mai descriverla? Poiché è stata recisa dalla terra la sua vita (Is 53, 7-8). Filippo interpreta i versetti in senso cristologico, l’eunuco comprende e chiede di essere subito battezzato.

Assecondata la sua richiesta, l’apostolo viene sottratto miracolosamente alla vista dell’eunuco. Anche la chiusura degli Atti degli Apostoli, con l’arrivo di San Paolo a Roma, è segnata da una lunga citazione da Isaia, che preannuncia la salvezza anche ai pagani, a tutti i popoli della terra: Và da questo popolo e dì loro: Udrete con i vostri orecchi, ma non comprenderete; guarderete con i vostri occhi, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo si è indurito: e hanno ascoltato di mala voglia con gli orecchi; hanno chiuso i loro occhi per non vedere con gli occhi non ascoltare con gli orecchi, non comprendere nel loro cuore e non convertirsi, perché io li risani (Is 6,9-10). Si tratta di conferme ulteriori della centralità del libro di Isaia nella tradizione cristiana primitiva, che ha una considerazione particolare di questo testo all’interno di tutta la scrittura veterotestamentaria. È lì che con maggiore chiarezza viene preannunciato l’avvento del Messia e ne vengono anticipati il carattere di mitezza e la destinazione al sacrificio. Il salvatore profetizzato da Isaia non è un capo politico, né un guerriero vincitore, ma un Servo di Dio mandato per accogliere su di sé tutti i peccati del mondo. Molto importante per i primi cristiani risulta anche la promessa di una chiamata indifferenziata rivolta da Dio a tutti i popoli della terra, superando il

La figura del Messia è presente in tutto il Vecchio Testa

La salvezza rapporto privilegiato con Israele, questione che per noi appare scontata, ma allora costituiva elemento di lacerazione. Qui mi limiterò a proporre una scelta dei passi meglio conosciuti fra quelli del Libro di Isaia riferiti all’avvento di Cristo e alla sua missione di salvezza. Il Libro di Isaia, come quasi tutti i testi biblici, al di là della forma unitaria che attualmente presenta, è il risultato di rielaborazioni, aggiunte e collazioni. Gli studiosi individuano oggi tre parti principali nelle quali l’opera sarebbe stata scritta. Solo la prima di esse, 1-39, è attribuibile alla figura del profeta che dà il nome alla raccolta.

La seconda parte, 40-55, chiamata anche “Libro della consolazione”, sarebbe stata scritta da un discepolo, o da un continuatore di Isaia, denominato Deu-

teroisaia, in epoca successiva. Ancora dopo sarebbe stata aggiunta la parte conclusiva e le opinioni sono divise sulla possibilità di attribuirla a un solo autore, chiamato Tritoisaia, oppure se considerarla come una raccolta di testi provenienti da fonti diverse, anche se di inspirazione comune. Il contesto storico della redazione dei vari blocchi che compongono il Libro di Isaia nella forma pervenuta a noi va riferito rispettivamente alle invasioni assire della Giudea della seconda metà dell’ottavo secolo a.C., alla liberazione del popolo ebraico dalla servitù babilonese a opera di Ciro il Grande, alla metà del sesto secolo, e infine al periodo successivo al rientro dei deportati di Babilonia e ai problemi relativi alla loro integrazione con quanti erano rimasti nel paese, alla fine del sesto e all’inizio del quinto seco-


il paginone sviluppo si attiva con il suo raggiungimento della pubertà. Gli interventi divini nella storia dell’umanità appartengono all’ambito della fede, gli stessi miracoli di Gesù vanno considerati dimostrazioni della sovrabbondanza del suo amore per gli uomini, della sua partecipazione al loro dolore, non lo strumento principale per la conversione. Il Cristo parla al cuore di chi accetta di ascoltarlo, non fornisce prove definitive della sua potenza ma solo del suo amore per gli uomini, questo è un elemento centrale dell’incarnazione divina. Il concetto della salvezza che arriva attraverso una nascita è ripreso in Isaia 9,15, quando si dice Poiché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio, e ribadito in 11,1 Un germoglio spunterà dal trono di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici, pochi versi prima della promessa di un tempo felice, quando: Il lupo dimorerà insieme con l’agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà (Is 11, 6).

amento, e la sua venuta è preparata e gridata al mondo

negli occhi lo a.C. Le promesse messianiche presenti in tutte e tre le parti del testo sono tali che fin dalla stesura dei vangeli il collegamento fra tali anticipazioni e la predicazione evangelica, la morte e la resurrezione di Gesù vengono messe in grande evidenza. Anche se la teologia contemporanea mette in guardia da una lettura cristocentrica dell’Antico Testamento, che rischia di forzare i testi e di attribuire a essi significati impropri, il rapporto fra il Libro di Isaia e la rivelazione cristiana va considerato come storicamente realizzato, nel senso che fin dall’inizio il cristianesimo si è inserito nel filone messianico individuato dal profeta. Per alcuni aspetti i vangeli possono essere considerati la continuazione esplicita del Libro di Isaia, il compimento delle promesse divine in esso contenute. Nella prima parte del testo

troviamo due fra i passi più citati dai Vangeli e spesso ricordati dai padri della Chiesa. In 7,14 c’è il famoso annuncio Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, ripreso da Matteo nell’apertura del suo Vangelo. Di recente la filologia ha messo in dubbio che “vergine” sia la traduzione corretta del termine ebraico utilizzato da Isaia, sostenendo che forse un “giovane donna” sarebbe più corretto.

Questo non modifica il senso della profezia, mentre il tipo di approfondimento rischia di sfociare nel dogmatismo. A volerla cercare esiste una spiegazione scientificamente accettabile per tutte le cose che accadono: non sarebbe impossibile immaginare che una donna possa conservare nell’utero un embrione latente di un gemello, il cui

Sempre nella prima parte del Libro di Isaia troviamo la promessa di un momento nel quale si schiuderanno gli occhi ai ciechi e le orecchie dei sordi si apriranno (35, 5), un passaggio al quale fanno riferimento in senso messianico, sia letterale che simbolico, sia Matteo (11, 5) che Luca (7, 22), che lo riferiscono come risposta data dal Cristo ai discepoli di Giovanni mandati a chiedere Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro? (7, 18), ossia la domanda posta al fondamento di ogni itinerario di fede, che tutti i giorni si ripropone al credente e dà senso alla necessità di una conversione costante. Se il testo attribuibile in senso storico a Isaia è centrato sull’avvento del Messia, è il Deuteroisaia che definisce in modo compiuto la sua missione, dopo aver individuato quella di Giovanni Battista con i versi che ho citato in apertura. La parte più ricca di anticipazioni messianiche del Deuteroisaia si trova nella presentazione della figura del Servo di Dio, il giusto mandato dal Signore perché prenda su di sé i peccati del mondo e venga sacrificato in modo da meritare la salvezza di tutto il popolo, e poi in un passaggio conclusivo, di bellezza luminosa, nel quale viene paragonata la pioggia che feconda la terra prima di tornare al cielo alla Parola del Signore che non risale a Dio prima di aver compiuto la propria missione in modo completo e definitivo. Il testo propone la figura del servo in quattro passaggi distinti (42,1-4, 49, 1-6, 50, 4-9, 52,13-53, 12), dei quali l’ultimo è senz’altro il più significativo. Prima di tutto viene assegnata la missione salvifica Ho posto il mio spirito su di lui, egli porterà il diritto alle nazioni (42, 1). Luca riprende un passo del secondo intervento del Servo, quando nella cosiddetta confessione di Simeone (2, 30) egli dichiara che si è compiuta la profezia per la quale non sarebbe morto prima di vedere il Messia, per farlo utilizza le parole di Isaia i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli (Is 52, 10). Nel quarto intervento dedicato al Servo di Dio la sua missione viene ancora specificata, egli è definito messaggero di bene, che annunzia la salvezza (52, 7); poi arriva la definizione del compito sacrificale: il messaggero diviene strumento della salvezza che annuncia. Prima viene detto del-

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la predicazione e della sua accoglienza favorevole, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato (52, 13), ma la sua missione consiste nell’accogliere su di sé il male del mondo, perciò sarà Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire(53, 3). La contraddizione è stridente, successo e onori si trasformano in disprezzo e dolore. Dio che accetta di essere umiliato dagli uomini costituisce proprio lo scandalo della salvezza, proposta dal basso dell’amore disponibile a ogni sacrificio anziché dall’alto della potenza infinita. Matteo riprende in 8,17 il verso che fa da collegamento fra i due concetti espressi in precedenza e dà ragione del successo iniziale e poi dell’apparente fallimento: Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie (Is 53, 4). Il passaggio profetico si fa sempre più esplicito: e noi lo giudicavamo castigato, percosso da dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui (Is 53, 5). Questo passo di Isaia è stato letto spesso come un sostegno per l’interpretazione retributiva della passione di Cristo, vista come un sacrificio necessario a ripagare Dio dell’offesa subita da parte di Adamo. Dato che la dignità di Dio è infinita, si diceva, solo un sacrificio infinito può cancellare una mancanza commessa contro di lui. Anche nella scrittura del profeta però non è difficile riconoscere una visione più complessa, meglio collegata all’insondabilità del mistero di Dio, della creazione e dei

È molto importante la promessa di una chiamata indifferenziata rivolta da Dio a tutti i popoli, superando il rapporto “privato” con Israele suoi rapporti con il genere umano e soprattutto consonante con il messaggio giovanneo, che pone Cristo all’inizio della creazione oltre che come suo salvatore, ricordando che egli è l’Alfa e l’Omega.Il successo della missione salvifica viene affermato da Isaia in questi termini: Perciò io gli darò in premio le moltitudini, dei potenti egli farà bottino,perché ha consegnato se stesso alla morte (53, 12).

Ancora più puntuale riguardo alla missione del Cristo risulta un passaggio posto quasi in conclusione del testo attribuito al Deuteroisaia. In esso è Dio stesso a parlare agli uomini impiegando la similitudine della pioggia per spiegare il significato salvifico della discesa sulla terra della Sua Parola, quello che diviene il Verbo nel Vangelo di Giovanni. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata (55,10-11). I due versi che seguono sembrano raccogliere per intero il messaggio evangelico, del quale fin qui è stata data ragione: Voi dunque partite con gioia, sarete condotti in pace (55, 12).


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Dopo il terremoto, l’epidemia infettiva ha provocato migliaia di vittime rendendo ingovernabile la situazione. In difficoltà anche i caschi blu

Haiti, è caccia all’untore Colera e ignoranza stanno alimentando episodi di giustizia sommaria sull’isola caraibica di Pierre Chiartano ormai caccia all’untore nell’isola caraibica di Haiti. Almeno 45 persone sono state uccise in linciaggi compiuti dall’inizio dell’epidemia di colera, a metà ottobre, da parte di gruppi che accusavano le vittime di diffondere il morbo. Ma il conto dei morti viene aggiornato di ora in ora. Il nuovo bilancio dei linciaggi - reso noto dal ministero della Comunicazione cultura aggrava un conteggio che segnalava almeno altri 14 episodi. Nell’isola falcidiata dalla carestia del dopo terremoto, la gente si è immersa di nuovo nella vecchia cultura tradizionale, dove riti voodo e giustizia sommaria dominano la vita di una popolazione sempre al limite della sopravvivenza.

pietre e poi bruciati in strada». È il ritorno del peggiore istinto umano. Una deriva che spesso accompagna non solo le tragedie umane, come il terremoto, che rendono più estreme condizioni di vita già difficili, ma anche la diffusione di certe correnti culturali molto diffuse in America latina. Si tratta della corrente culturale nativa che esalta la tradizione delle civiltà locali prima della conquista europea. Un tema spesso sfruttato dalla politica che già qualche tempo fa aveva dato segni d’al-

Le vittime della follia collettiva erano state accusate di stregoneria per favorire la diffusione della malattia, come reso noto dalle autorità governative. Il nuovo bilancio corregge verso l’alto quello fornito dalle autorità haitiane all’inizio di dicembre, quando erano stati segnalati 14 morti. Le vittime, ha spiegato un funzionario del ministero, sono «per la maggior parte sacerdoti voodo, prima picchiati a colpi di machete e

larme. Tra questi il più importante e preoccupante era stato proprio un ritorno al linciaggio, a quella giustizia giustizia sommaria che opera nella totale assenza delle leggi dello Stato. Era successo in Bolivia qualche anno fa. Evo Morales, il leader del movimento sindacale dei cocaleros boliviani - diventato presidente - una federazione di colonizzatori campesinos quechua e aymara coltivatori di coca che si opponevano agli sfor-

È

zi, principalmente degli Stati Uniti, di sradicare le coltivazioni di coca nella regione del Chapare, nella Bolivia centroorientale. Morales si era ftto promotore della cultura nativa in ossequio alla civiltà indigena - utilizzo della coca compreso considerata una parte integrante della tradizione locale.

Ma lo stesso Morales aveva dovuto fare una parziale marcia indietro proprio perché, soprattutto nelle province più sperdute del Paese, la continua

Almeno 45 persone sono state uccise in linciaggi collettivi. E il macabro rito non sembra sul punto di cessare. L’accusa degli stregoni (e della gente) alle vittime: «Diffondete il morbo» evocazione della cultura indigena istituzionalizzata, aveva portato a episodi di linciaggio, addirittura con roghi improvvisati per bruciare ladri e assassini. La situazione ad Haiti oggi è anche peggiore, nonostante la massiccia presenza di caschi blu e Ong. La cultura voodo mischia elementi ancestrali dell’animismo tradizionale africano a concetti liberamente estrapolati dal cattolicesimo. Ha diversi milioni di fedeli nel mondo

ed è addirittura diventata religione ufficiale nel Benin. Ad Haiti è dunque considerata una faccenda piuttosto seria e chi insegue gli stregoni col machete è seriamente convinto che costoro abbiano a che fare con la diffusione del colera. L’Onu si trova oggi nell’imbarazzante situazione di imputato visto che il contingente nepalese sarebbe stato il veicolo dell’infezione, anche la voce è stata quasi subito smentita. Dall’ini-

zio dell’epidemia, secondo un bilancio pubblicato il 17 dicembre, sono morte di colera 2.591 persone e 121.518 altre sono state sottoposte a cure mediche. Le strade della capitale sono semideserte, mentre le forze dell’ordine presidiano molte zone della città, giorno e notte. Eppure in questo clima di calma, forse apparente, accadono episodi che rivelano il malessere intestino di un Paese esasperato dall’incertezza politica, ma

In apertura: un (eloquente) murales per le strade di Port Au Prince. A sinistra: i caschi blu dell’Onu e a destra una bambina in un ricovero per i senza tetto. Nel mese di novembre una folla infuriata aveva attaccato i caschi blu nepalesi dell’Onu, accusandoli di aver introdotto ad Haiti l’epidemia che ha causato da metà ottobre a oggi 2.591 morti


mondo

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gio. Nella comunità di Guatapanal, ad esempio, importante zona dominicana coltivata a tabacco, si respirava una aria pesante e la tensione era altissima. Due «uomini neri», alla fine di settembre di quell’anno, avevano assassinato un lavoratore dominicano: furiosi, i locali dominicani, senza attendere un regolare processo, si erano armati di machete - arma che va per la maggiore da quelle parti - ed era partita la caccia all’uomo. Un tentativo per far fare un passo in avanti verso la modernità ad Haiti era stato fatto, qualche anno. Sempre utilizzando un modello sincretico come quello della religione voodo, ma questa volta pescando in una tradizione più in voga negli anni Sessanta, soprattutto in America latina.

Ci aveva provato un signore occhialuto, magro, di nome Jean-Bertrand Aristide. Un esponente ben conosciuto della Teologia della Liberazione, che aspirava a declinare il cristianesimo con Marx. Un ex salesiano che aveva infiammato le speranze di uno dei Paesi più poveri della terra e che fu capace di stravincere nel 1990 le prime elezioni democratiche pren-

sa Bianca. Neanche l’ideologia progressista coniugata col Vangelo era riuscita a risollevare le sorti dell’isola maledetta. Oggi come ieri la situazione sembra la stessa. «Non abbiamo acqua né corrente elettrica, in più ci portate anche il colera» gridano i dimostranti. Natale è alle porte e il giro di boa del 12 gennaio 2011 è vicinissimo. A un anno dalla prima terribile scossa sismica, il bilancio nell’Isola delle Ong è terrificante: 300mila le vittime del terremoto, a cui dobbiamo aggiungerne altre tremila dell’emergenza colera, oltre ai circa 300mila casi di ricovero già accertati, senza contare che alcuni dei pazienti malati di colera sono anche affetti da tubercolosi, malaria, tifo; 60mila circa il conto degli orfani. Il ciclone Thomas è passato quasi inosservato, pur provocando un’altra decina di vittime e molti danni, ma di fatto ha dato una spinta decisiva all’evacuazione di alcune tendopoli a rischio. I disordini a Port De Paix, a Saint Marc e a Cap Haitien, teatro di scontri tra la popolazione haitiana e i caschi blu dell’Onu e le manifestazioni dei giorni scorsi nella capitale e in molte province, hanno confer-

È il ritorno del peggiore istinto umano. Una deriva che accompagna non solo le tragedie umane, come il terremoto, ma anche la diffusione di certe correnti culturali molto diffuse in Sudamerica anche dalla piaga del colera. E oltre agli stregoni locali anche altri inconsapevoli protagonisti della storia quotidiana di Haiti rischiano la vita. Come nel caso, accaduto qualche settimana fa, di Maxime Corneau e Renaud Philippe, fotoreporter canadesi. Erano ad Haiti per seguire le ultime vicende su quello scenario gotico che è ormai diventata l’isola caraibica. Dovevano fissare le immagini dei «body pick-up crew», le squadre di addetti del comune che raccolgono i corpi dei malati di colera per portarli nelle fosse comuni o nei forni crematori.

Maxime e Renaud erano arrivati alle porte di uno dei quartieri popolari e malfamati della capitale, Leogane, a bordo di un fuoristrada assieme all’autista, al giovane aiutante e al figlio di 14 anni, come si leggeva nel racconto di Francesco Semprini della Stampa. Le loro macchine fotografiche riprendevano e scattavano. Fissavano sul digitale il lavoro di questi moderno monatti. Un lavoro che però aveva attirato l’attenzione della gente del posto. I primi curiosi, dei giovani, erano diventati presto una folla armata di pietre e bastoni. Ancora una volta, ignoranza, disperazione e diffidenza preparavano lo scenario per la vendetta sommaria. La gente era furiosa e girdava: «avete portato voi il colera qui e ora ve la facciamo

pagare».Volavano i primi sassi, mentre con quattro pezzi di cemento venivano bloccate le ruote dell’auto dove si trovavano i due sfortunati. Non potevano scappare e la folla aumentava. «Venite qui con i cadaveri, perché volete gettarli per strada così i contagi aumentano, ci volete ammazzare con questa maledetta epidemia, volete il nostro Paese», gridavano gli abitanti del quartiere. Solo il sangue freddo dell’autista uscito dall’auto a parlare con la folla e l’intervento della polizia, che dovrà fingere di arrestare i due reporter, salverà la situazione. A dimostrazione che in pieno terzo millennio le conquiste di civiltà e progresso possono perdersi in un attimo. Soprattutto quando la dignità umana è annullata dai bisogni primari e da una cultura allo stato minimo e che sa essere solo «contro».

Contro l’Occidente, contro gli Usa, contro chi vuole sfruttare il Paese, contro chi non aiuta, contro chi aiuta, ma non si fa comprendere. Insomma, la grammatica dei rapporti umani

sociali salta. E gli haitiani sono abituati ad essere vittime, non solo di loro stessi, ma anche dei vicini di casa. Nel dicembre del 2005 era sceso in campo anche il noto periodico Usa New York Times per accusare apertamente le autorità dominicane di maltrattare gli immigranti haitiani. Nella Repubblica domini-

cana era in atto un sistematico abuso persino contro i dominicani di discendenza haitiana. I campi di tabacco del Nordest dominicano furono seminati in ritardo, perché gli immigranti haitiani che si dedicavano a quel lavoro erano scappati in massa: rischiavano il linciag-

dendo il posto, con la sola forza delle idee, di uno dei dittatori più corrotti e sanguinari della storia recente, Doc Duvalier. Anche lui però aveva subito la deriva del potere e dopo pochi anni era diventato uno dei leader accusato della violazione sistematica dei diritti del suo popolo, attraverso le frodi elet-

torali, le detenzioni degli oppositori, l’uso generalizzato della tortura. Il popolo di Haiti non era più dalla sua parte. E Washington aveva fatto l’altalena delle posizioni col politico haitiano prima ostile con l’amministrazione di Bush padre, poi amica con Bill Clinton alla Ca-

mato un malcontento stratificato nella popolazione e una situazione ancora conflittuale con la Minustah, degenerata in un clima da caccia alle streghe, subito dopo il giallo del contingente nepalese in Artibonite. Alimentato anche dalle affermazioni di un’equipe medica francese che aveva accusato i baschi blu nepalesi di aver portato per primi sull’isola il morbo del colera.

L’insinuazione è stata quasi immediatamente smentita, ma rischia di essere elevata a notizia certa dalla stampa locale, in un escalation di accuse e infamie contro tutto e contro tutti i potenziali capri espiatori. «La gente pensa che la malattia sia soprannaturale, non segue le raccomandazioni mediche e preferisce andare da guaritori che però magari sono anche loro malati» ha spiegato il responsabile di una struttura sanitaria haitiana. È dunque una battaglia per la profilassi medica, ma soprattutto una battaglia culturale quella che si dovrà combattere nelle sfortunata isola caraibica nei prossimi mesi.


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India, economia a rischio-cipolle

Il Senato Usa ratifica lo Start

DELHI. L’economia indiana si prevede cresca dell’8,5% quest’anno, seconda solo alla Cina. Ma questi giorni la popolazione è furente per il prezzo delle cipolle, che in pochi giorni è passato da 35 a 80 rupie per chilogrammo (da 59 centesimi a 1,35 euro), confermando una forte inflazione per alimentari e carburante. Il robusto sviluppo economico favorisce soprattutto una minoranza dei 1,2 miliardi di indiani, mentre gli altri rimangono poveri e spesso nemmeno hanno abbastanza da mangiare. Analisti ammoniscono che lo sviluppo del Paese non può avvenire esacerbando le differenze e mantenendo intere regioni sottosviluppate. Il pericolo è che esplodano proteste di piazza, in una situazione politica già tesa.

WASHINGTON. Il Senato degli Stati Uniti ha ratificato il nuovo trattato «Start» per il disarmo nucleare tra Usa e Russia. Il via libera rappresenta una vittoria politica per il presidente Usa, Barack Obama. I senatori hanno votato 71 a 26 in favore del nuovo documento punto di partenza per riavviare su un nuovo percorso le relazioni con Mosca. Grande la soddisfazione del numero uno della Casa Bianca, secondo cui la ratifica rappresenta «un potente segnale al mondo». Per Barack Obama, si tratta del «più significativo accordo sul disarmo di questi ultimi anni» ed è ancor più significativo in quanto raggiunto a livello bipartisan. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha elogiato la ratifica del trattato di disarmo.

Videla condannato all’ergastolo BUENOS AIRES. L’ex dittatore argentino Jorge Rafael Videla, 85 anni, è stato condannato all’ergastolo perchè riconosciuto colpevole di aver fatto sequestrare, torturare e fucilare 31 detenuti politici che erano in balia regime in un carcere di Cordoba tra l’aprile e l’ottobre del 1976, cioè poco dopo il golpe da lui guidato il 24 marzo dello stesso anno. Nella sentenza è stato stabilito anche che l’ex generale venga “trasferito immediatamente”in un penitenziario civile. In uno storico processo, nel 1985 Videla era già stato condannato all’ergastolo insieme agli ex generali che si erano succeduti nelle Giunte militari che hanno governato l’Argentina fino al 1983. Cinque anni dopo, era però tornato in libertà.

Wen Jiabao promette non solo capitali per la ricostruzione post alluvione, ma un’alleanza a tutto tondo. Che Islamabad accetta

Pakistan: Pechino pigliatutto

Ignorato dai media, l’accordo fra i due Paesi cambia gli equilibri nell’area di Mario Arpino idillio del Pakistan con la Cina potrà sembrare strano, viste le differenze etniche e culturali, ma è obbligatorio, non ha alternative. Altrimenti, guardando bene, Islamabad non avrebbe amici. A ovest c’è l’Iran, ma sul confine i problemi con i contrabbandieri, protetti dai pasdaràn - notoriamente molto disinvolti quando si tratta di affari - sono quasi quotidiani. A sud c’è il lunghissimo confine con l’India, ma sui rapporti tra i due Paesi è inutile spendere ulteriori parole. A nord corre l’altrettanto lungo confine con l’Afghanistan, che accetta assai più di buon grado il corteggiamento indiano piuttosto che le attenzioni pachistane, dove la contiguità dei territori abitati dalle etnie pashtùn per entrambi è un problema prima ancora che un legame. Resta, a est, il breve tratto di confine con la Cina, che, praticamente bloccato da massiccio del K2 e dai suoi contrafforti, non ha mai posto problemi. Con la Cina, allora, si può essere amici senza timore di ingerenze dirette. Con gli Stati Uniti un rapporto c’è: vedi le visite reciproche e le conferenze periodiche tra il presidente Zardari, il capo di stato maggiore Kayani, il primo ministro Gilani e gli omologhi americani, ma è un rapporto incerto, inficiato da continue diffidenze e sospetti, incentrato più su reciproche convenienze relative alla situazione afgana che su un desiderio sincero di lavorare assieme. Anche l’Arabia Saudita potrebbe essere amica, ma WikiLeaks ci ha confermato - e questo già lo sapevamo - che a Zardari i Saud prferirebbero Nawaz Sharif, più affidabile per ortodossia religiosa, o addirittura un uomo forte come il laicissimo Musharraf. Non resta che la Cina. Con questa, a prescindere dai governi al potere, la collaborazione è assai stretta già da diversi anni, specie nel settore degli equipaggiamenti militari, dei missili, delle centrali nucleari, dell’elettronica e dei velivoli avanzati. Ma, nonostante il recentissimo giro di visite d’affari nell’eterna antagonista Repubblica Indiana - come si

“L’amicizia” fra i due governi non è soltanto di natura economicoindustriale, ma si estende a settori culturali e scientifici, con l’invio di un buon numero di studenti pachistani in Cina, per acquisire know how in vari campi: nanotecnologie, biotecnica, chimica e fisica avanzate e tecnologie spaziali

L’

vede, quando si tratta di business ormai i cinesi lasciano pragmaticamente cadere qualsiasi pregiudizio ideologico - l’incontro di tre giorni avvenuto lo scorso fine settimana a Islamabad tra il primo ministro SyedYusuf Raza Gilani e il premier cinese Wen Jiabao ha portato a risultati che surclassano di gran lunga la collaborazione sinora già in atto.

Per rendersene conto, basta scorrere la stampa pachistana in lingua inglese di questi ultimi giorni. In un press release di venerdì 17, il ministro degli esteri Salman Bashir comincia con l’affermare che il dialogo tra i due personaggi di vertice aveva ecceduto di gran lunga i tempi previsti, essendo stato ampliato il campo dei reciproci interessi. Non solo

affari, quindi, ma anche politica, con valutazione delle rispettive visioni di quelle situazioni regionali e globali che possono rappresentare delle sfide per entrambi i Paesi. Accanto alla cooperazione economica e militare, quindi, anche pieno supporto alla sovranità del Pakistan, alla sua integrità territoriale ed alla sua sicurezza. La Cina si sarebbe anche impegnata ad aiutare sostanzialmente il Paese nel recupero post-alluvione, con la ricostruzione delle infrastrutture danneggiate, come ponti, strade, dighe, l’importante autostrada del Karakorum, il ripristino delle fonti energetiche danneggiate e la costruzione di nuovi impianti, per soddisfare le esigenze crescenti. Ma, questa volta, gli accordi vanno oltre a quelli di natura econo-

mico- industriale, per estendersi a settori culturali e scientifici, con l’invio di un buon numero di studenti pachistani in Cina, per acquisire esperienze nel settore delle nanotecnologie, della biotecnica, della chimica e fisica avanzate e delle tecnologie spaziali. All’incontro hanno partecipato tutti i ministri dei dicasteri interessati, da entrambe le parti, e sarebbero stati firmati ben tredici accordi, per un valore stimato di 24 miliardi di dollari.

Un altro comunicato riporta sommariamente i contenuti degli accordi sottoscritti, che, essendo innovativi, vale la pena percorrere brevemente. Il primo riguarda la reciproca predisposizione di grandi centri culturali in entrambi i Pae-


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e di cronach

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

Manovre e minacce, le Coree alzano i toni SEOUL. Si alzano i toni tra le due Coree, dopo le nuove esercitazioni militari condotte da Seul. Pyongyang ha minacciato una “guerra santa” nucleare contro il suo vicino: «Le forze armate della Repubblica democratica popolare di Corea (Dprk) sono in grado di lanciare una guerra santa di giustizia basata sul deterrente nucleare in qualsiasi momento necessario per far fronte alle azioni dei nemici», ha avvertito il ministro delle Forze armate nordcoreano, Kim Young-Chun, nel corso di un incontro per il 19mo anniversario della nomina di Kim Jong-Il a capo supremo dell’esercito. Per il ministro le esercitazioni militari sudcoreane delle ultime settimane indicano che la Corea del Sud «si sta preparando alla guerra». In un primo momento Pyongyang si era limitata a denunciare i “guerrafondai”del sud per le nuove manovre. Il presidente sudcoreano, Lee Myung-bak, da parte sua, ha ammonito che Seul sferrerà

Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Errico Novi (vicedirettori) Vincenzo Faccioli Pintozzi (caporedattore) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)

uno «spietato contrattacco» se Pyongyang dovesse ripetere un bombardamento a sorpresa come quello del 23 novembre contro l’isola diYeonpyeong. Lee, che ha visitato in tuta mimetica i reparti schierati sul confine fortificato tra i due Paesi, ha affermato che le truppe sudcoreane non dovranno mai abbassare la guardia. «Abbiamo creduto che la pazienza potesse assicurare pace a questa terra, ma non era così».

Da sinistra: il presidente pachistano Zardari, l’alluvione e il capo di stato maggiore Kayani. In apertura: Wen Jiabao con Gilani

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Giancristiano Desiderio, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria) Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Franco Ricordi, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma Amministratore Unico Ferdinando Adornato Concessionaria di pubblicità e Iniziative speciali OCCIDENTE SPA Presidente: Emilio Bruno Lagrotta Amministratore delegato: Raffaele Izzo Consiglio di amministrazione: Ferdinando Adornato,Vincenzo Inverso, Domenico Kappler, Antonio Manzo Angelo Maria Sanza

si. Su questa strada il Pakistan è già in fase avanzata. Il secondo riguarda la cooperazione tecnica in relazione al trasporto su strada e su ferro. Il terzo, di carattere economico, garantisce un forte contributo cinese per le opere di ricostruzione post-alluvione. Il quarto è ancora di carattere culturale, e prevede il lancio dal Pakistan di un programma su China Radio International nelle lingue urdu e inglese. Il quinto prevede uno scambio permanente di informazioni relative alla sicurezza tra l’Agenzia pachistana e quella cinese. Altri accordi stabiliscono la realizzazione di un gruppo di lavoro permanente per l’energia elettrica, il petrolio e le risorse naturali, la concessione a livello interbancario di prestiti per la sicurezza delle grandi città, per lo sviluppo in comune dell’elettronica, per l’impianto reciproco di nuove banche in entrambi i Paesi, per la realizzazione in comune di progetti che riguardano l’agricoltura, per la verifica ai raggi X del contenuto dei carichi commerciali in transito da e per i rispettivi territori. Il fatto che, questa volta, la cooperazione sino-pachistana non si debba fermare a meri accordi commerciali o industriali, ma si sposti decisamente sul piano di un rapporto culturale e di amicizia stabile tra i due popoli viene messo bene in luce in un servizio dell’agenzia Geo Pakistan di sabato 18

Sono 20 anni che gli Usa cercano di controllare il Paese, passando però da insuccesso a insuccesso (nonostante i soldi) dicembre, ultimo giorno di permanenza del premier cinese Wen Jiabao, quando racconta con entusiasmo l’inaugurazione del primo Centro di amicizia sino-pachistana. Si tratta di un’enorme infrastruttura che, con auditoria, sale conferenza, centri commerciali e aree di esibizione con mostre e teatri, si estende su oltre 40 mila metri quadrati di superficie. Se questo incontro di vertice sino-pachistano sarà seguito dai fatti - nel senso che gli accordi verranno effettivamente eseguiti e sviluppati - ci troveremo di fronte ad una scelta di campo definitiva e duratura della politica estera di Islamabad. E siccome, visti i precedenti, non ci sono molti motivi per dubitarne, allora è im-

portante trarne subito alcune considerazioni. La prima è che il Pakistan - a prescindere dai governi in carica - ha deciso di rompere una volta per tutte il proprio forzato isolamento. I tempi della Cento, la cintura di contenimento dei colossi comunisti ideata dagli Stati Uniti in tempo di guerra fredda, è ormai tramontata, non è ricostruibile e con ogni probabilità, anche se lo fosse, non ne varrebbe più la pena.

In questi ultimi vent’anni abbiamo potuto osservare svariati tentativi degli Stati Uniti di controllare il Pakistan, ma, nonostante le sostanziose risorse devolute, sono passati da insuccesso a insuccesso. Forse perché, a differenza dei cinesi, hanno puntato su singoli individui, erroneamente ritenuti affidabili, piuttosto che su una radicazione nel Paese che dimostrasse con fatti concreti, mirati alla popolazione e non al potente di turno, che era conveniente stare dalla loro parte. Favorendo l’abbattimento di Musharraf, per utopie democratiche che in quel Paese hanno un senso assai limitato, potrebbero essersi lasciata sfuggire la loro ultima occasione. Allora, il sud dell’Asia è ormai perduto? Forse, ma potrebbe non essere così se almeno si provasse a trasformare, in un contesto globale, questa prevalenza cinese in una nuova opportunità.

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Il Financial Times lo ha laureato ieri uomo dell’anno 2010. Ecco il testo del suo appello ai ragazzi della Stanford University

Cari studenti, siate folli Il guru della Apple parla agli universitari: «Seguite il vostro intuito. Non le idee altrui» di Steve Jobs segue dalla prima Mia madre biologica era una giovane studentessa universitaria non sposata, e decise di lasciarmi in adozione. Riteneva con determinazione che avrei dovuto essere adottato da laureati e fece in modo che tutto fosse organizzato per farmi adottare fin dalla nascita da un avvocato e sua moglie. Quando arrivai io, questi decidero all’ultimo minuto che avrebbero voluto adottare una bambina. Così, quelli che poi sono diventati i miei genitori adottivi e che erano in lista d’attesa, vennero chiamati nel bel mezzo della notte da una voce che gli diceva: «C’è un bambino, un maschietto non previsto. Lo volete voi?». Loro risposero: «Certamente». Più tardi, la mia madre biologica scoprì che mia madre non si era mai laureata al college e che mio padre non aveva neanche finito il liceo. Rifiutò dunque di firmare le ultime carte per l’adozione. Poi accettò di farlo, mesi dopo, solo quando i miei genitori adottivi promisero formalmente che un giorno io sarei andato all’università.

Diciassette anni dopo andai all’università, ma ingenuamente scelsi un’università costosa quanto Stanford, e tutti i risparmi dei miei genitori furono spesi per pagarmi la retta. Dopo sei mesi non riuscivo a vederne l’utilità. Non avevo idea di cosa fare nella vita e nessun indizio su come l’università potuto avrebbe aiutarmi a capir-

In apertura: Steve Jobs all’Università di Stanford

lo. Eppure ero là che spendevo tutti quei soldi che i miei genitori avevano risparmiato in un’intera vita di lavoro. Così decisi di mollare e avere fiducia che tutto sarebbe andato bene lo stesso. Era molto difficile all’epoca, ma guardandomi indietro ritengo che sia stata una delle migliori decisioni che abbia mai preso. Nell’attimo che mollai il college, potei anche smettere di seguire i corsi che non mi interessavano e cominciai invece a capitare nelle classi che trovavo più interessanti. Non è stato tut-

College all’epoca offriva probabilmente il miglior corso di calligrafia del paese. In tutto il campus, ogni manifesto, ogni etichetta era scritta a mano con calligrafie meravigliose.

Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito il corso di calligrafia per imparare a scrivere così. Appresi la differenza tra i tipi di caratteri Serif e San Serif, della differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, di che cosa rende

Non avevo idea di cosa fare nella vita e nessun indizio su come l’università avrebbe potuto aiutarmi. Eppure ero là che spendevo i soldi che i miei genitori avevano risparmiato lavorando to rose e fiori però. Non avevo più una camera nel dormitorio, ero costretto a dormire sul pavimento delle camere dei miei amici. Riportavo al venditore le bottiglie di Coca Cola vuote per avere i cinque centesimi di deposito, con cui ci compravo da mangiare, e la domenica notte mi facevo più di dieci chilometri a piedi attraverso la città per avere finalmente un buon pasto a settimana al tempio di Hare Krishna. Che bello. Tutto quello in cui inciampai, semplicemente seguendo la mia curiosità e il mio intuito, si rivelarono in seguito di valore inestimabile. Vi faccio un esempio: il Reed

grande una stampa tipografica del testo. Fu meraviglioso, in un modo che la scienza non è in grado di ofrire, perché era artistico, bello, storico, e io ne fui assolutamente affascinato. Nessuna di queste cose però aveva alcuna speranza di trovare un’applicazione pratica nella mia vita, ma dieci anni dopo, quando ci trovammo a progettare il primo Macintosh mi tornò tutto utile. E lo utilizzammo tutto per il Mac. È stato il primo computer dotato di una meravigliosa capacità tipografica. Se non avessi mai lasciato l’università e non avessi poi partecipato a quel singolo corso, il Mac non avrebbe probabilmente mai avuto la possibilità di gestire caratteri differenti o font spaziati in maniera proporzionale. E dato che Windows ha copiato il Mac, è probabile che non ci sarebbe stato nessun personal computer con quelle capacità. Se non avessi mollato il college, non sarei mai riuscito a frequentare il corso di calligrafia e i personal computer potrebbero non avere quelle stupende capacità di tipografia che invece hanno. Certamente all’epoca in cui ero all’università era impossibile unire i puntini guardando il futuro. Ma è diventato molto, molto chiaro

dieci anni dopo, quando ho potuto guardare all’indietro. Di nuovo, non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete unirli solo guardandovi all’indietro. Così dovete avere fiducia che in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire. Dovete credere in qualcosa - il vostro intuito, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza nella mia vita.

La mia seconda storia parla d’amore e di perdita. Sono stato fortunato: ho trovato molto presto che cosa amo fare nella mia vita. Woz e io fondammo la Apple nel garage dei miei genitori quando avevamo vent’anni. Abbiamo lavorato duro e in dieci anni Apple è diventata da un’azienda con noi due e un garage, in una compagnia da due miliardi di dollari con oltre 4mila dipendenti. Avevamo appena creato il nostro miglior prodotto, il Macintosh, un anno prima, e io avevo appena compiuto trent’anni. E fui licenziato. Come si fa ad essere licenziati dalla compagnia che hai fondato? Beh, quando Apple era cresciuta avevamo assunto qualcuno che avesse molto talento e capacità per guidare l’azienda innsieme a me, e per il primo anno le cose sono andate molto bene. Ma poi le nostre visioni del futuro hanno cominciato a divergere e alla fine abbiamo avuto uno scontro. Quando questo successe, i nostri dirigenti si schierarono dalla sua parte. Quindi, a trent’anni, io ero fuori. E in maniera plateale. Quello che era stato il


società

principale scopo della mia vita adulta era andato e io ero devastato da questa cosa.

Non ho saputo cosa fare per alcuni mesi. Mi sentivo come se avessi tradito la generazione di imprenditori prima di me, come se avessi lasciato cadere la fiaccola che mi era stata passata. Incontrai David Packard e Bob Noyce (co-fondatori di Intel, ndr.) e tentati di scusarmi per aver rovinato tutto così malamente. Era stato un fallimento pubblico e io presi anche in considerazione l’ipotesi di scappare via dalla Silicon Valley. Ma qualcosa, lentamente, cominciò a crescere in me, ancora amavo quello che avevo fatto. L’evolvere degli eventi con Apple non aveva cambiato quello che provavo, neanche un poco. Ero stato respinto, ma ero sempre innamorato. E per questo decisi di ricominciare da capo. Non me ne accorsi allora, ma il fatto di essere stato licenziato da Apple era stata la migliore cosa che mi potesse succedere. La pesantezza del successo era stata rimpiazzata dalla leggerezza di essere di nuovo un debuttante, senza più certezze su niente. Mi liberò dagli impedimenti consentendomi di entrare in uno dei periodi più creativi della mia vita. Durante i cinque anni successivi fondai un’azienda chiamata NeXT, un’altra di nome Pixar e mi innamorai di una donna meravigliosa che sarebbe diventata mia moglie. Pixar si è rivelata in grado di creare il primo film di animazione digitale, Toy Story, è adesso è lo studio di animazione di

maggior successo al mondo. In un significativo susseguirsi di eventi, Apple ha comprato NeXT, io sono ritornato ad Apple e la tecnologia sviluppata da NeXT è stata il cuore del rinascimento di Apple. Laurene ed io abbiamo una meravigliosa famiglia. Sono sicuro che niente di tutto questo sarebbe successo se non fossi stato licenziato da Apple. È stata una medicina molto amara, ma ritengo che fosse necessaria per il paziente. Qualche volta la vita ci colpisce come un mattone in testa. Non perdete la fede, però. Sono convinto che l’unica cosa che mi ha trattenuto dal mollare tutto sia stato l’amore per quello che ho fatto. Dovete trovate quello che amate. E questo vale sia per il vostro lavoro che per i vostri affetti. Il vostro lavoro riempirà una buona parte della vostra vita, e l’unico modo per essere realmente soddisfatti è fare quello che riterrete un buon lavoro. E l’unico modo per fare un buon lavoro è amare quello che fate. Se ancora non lo avete trovato, continuate a cercare. Non accontentatevi. Con tutto il cuore, sono sicuro che capirete quando lo troverete. E come in tutte le grandi storie, diventerà sempre migliore mano a mano che gli anni passano. Perciò, continuate a cercare e non vi accontentate.

La terza storia parla di morte. Quando avevo 17 anni lessi una citazione che suonava così: «Se vivrai ogni giorno come se fosse l’ultimo, sicuramente prima o poi avrai ragione». Mi

colpì molto e da allora, per gli ultimi 33 anni, mi sono guardato ogni mattino allo specchio chiedendomi: «Se oggi fosse l’ultimo giorno, vorrei fare quello che sto per fare oggi?». E ogni qualvolta la risposta è «No» per troppi giorni di fila, capisco che c’è qualcosa che deve essere cambiato. Ricordarsi che morirò presto è il più importante strumento che io abbia mai incontrato per fare le grandi scelte della mia vita. Perché quasi tutte le cose, tutte le aspettative, tutto l’orgoglio, tutti gli imbarazzi e i timori di fallire, semplicemente svaniscono di fronte all’idea di morte, lasciando solo quello che c’è di realmente importante. Ricordarsi che dobbiamo morire è il modo migliore che io conosca per evitare di cadere nella trappola di chi pensa che avete qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è ragione per non seguire il vostro cuore. Come tutti sapete, mi è stato diagnosticato un cancro. Ho fatto la scansione alle sette e mezzo del mattino e questa ha mostrato chiaramente un tumore nel mio pancreas. Non sapevo neanche che cosa fosse un pancreas. I dottori mi dissero che si trattava di un cancro che era quasi sicuramente incurabile e che avrei avuto un’aspettativa di vi-

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ta non superiore ai 3-6 mesi. Il mio dottore mi consigliò di andare a casa e di mettere ordine nei miei affari, che è il loro codice per dirti di prepararti a morire. Questo significa che devi provare a dire ai tuoi bambini ogni cosa che pensavi di dirgli nei prossimi dieci anni, in pochi mesi. Questo significa essere sicuri che tutto sia stato organizzato in modo tale che per la tua famiglia sia il più semplice possibile. Questo significa prepararsi a dire ai tuoi addio. Ho vissuto con il responso di quella diagnosi tutto il giorno. La sera tardi è arrivata la biopsia, cioè il risultato dell’analisi effettuata infilando un endoscopio giù per la mia gola, attraverso il mio stomaco sino all’intestino per inserire un ago nel mio pancreas e catturare poche cellule del tumore. Ero sotto

rità. Il vostro tempo è limitato, per cui non lo sprecate vivendo la vita di qualcun’altro. Non fatevi intrappolare dai dogmi, che vuol dire vivere seguendo i risultati del pensiero di altre persone. Non lasciate che il rumore delle opinioni altrui offuschi la vostra voce interiore. E cosa più importante di tutte, abbiate il coraggio si seguire i vostro cuore e la vostra intuizione. In qualche modo loro sanno che cosa volete realmente diventare. Tutto il resto è secondario.

Quando ero un ragazzo c’era un’incredibile rivista The Whole Earth Catalog, praticamente una delle bibbie della mia generazione. È stata creata da Stewart Brand non mol-

Dovete credere in qualcosa: il vostro intuito, il destino, la vita, il karma, qualsiasi cosa. Questo tipo di approccio non mi ha mai lasciato a piedi e invece ha sempre fatto la differenza anestesia, ma mia moglie - che era là - mi ha detto che quando i medici hanno visto le cellule sotto il microscopio hanno cominciato a gridare, perché è saltato fuori che si trattava di un cancro molto raro e curabile con intervento chirurgico. L’ho fatto, e adesso sto bene. Questa è stata la volta in cui sono andato più vicino alla morte e spero che sia anche la più vicina per qualche decennio.

Essendoci passato attraverso posso parlarvi adesso con un pò più di cognizione di causa di quando la morte era per me solo un concetto astratto e dirvi: «nessuno vuole morire». Anche le persone che vogliono andare in paradiso non vogliono morire per andarci. E nonostante tutto, la morte è la destinazione che condividiamo. Nessuno gli è mai sfuggito, ed è così che dev’essere perché la morte è, con grande probabilità, la più grande invenzione della vita. È l’agente di cambiamento della vita. Spazza via il vecchio per far posto al nuovo. Adesso il nuovo siete voi, ma un giorno non troppo lontano diventerete gradualmente il vecchio e sarete spazzati via. Mi dispiace essere così drammatico, ma è la ve-

to lontano da qui, e Stewart ci ha messo dentro tutto il suo tocco poetico. È stato alla fine degli anni Sessanta, prima del personal computer e del desktop publishing, quando tutto era fatto con macchine da scrivere, forbici e foto polaroid. È stata una specie di Google in formato cartaceo tascabile, 35 anni prima che ci fosse Google: era idealistica e sconvolgente, traboccante di concetti chiari e fantastiche nozioni. Ne uscirono vari numeri e quando arrivarono alla fine del loro percorso, pubblicarono il numero finale. Era più o meno la metà degli anni Settanta e io avevo la vostra età. Nell’ultima pagina del numero finale c’era una fotografia di una strada di campagna di prima mattina, il tipo di strada dove potreste ritrovarvi a fare l’autostop se siete dei tipi abbastanza avventurosi. Sotto le foto c’erano le parole: «Siate affamati, siate folli». Era il loro messaggio di addio. Siate affamati, siate folli. Io me lo sono sempre augurato per me stesso. E adesso che vi laureate per cominciare una nuova vita, io auguro a tutti voi: «Siate affamati. Siate folli». Grazie a tutti. Discorso pronunciato da Steve Jobs, Ceo di Apple, il 12 giugno 2005 all’Università di Stanford in occasione della consegna delle lauree.


ULTIMAPAGINA In vista dei brindisi tradizionali, si tirano le fila della produzione

2010, lo spumante vince la sfida delle di Livia Belardelli o spumante ha superato lo champagne: ci risiamo. Ogni anno, con puntuale precisione, qualcuno in tv, in radio o sui giornali, pronuncia con orgogliosa enfasi la storica frase. A voler essere campanilisti, evitando di sbugiardare l’incauto ottimista pro-spumante, il 2010 si chiude con qualche vittoria. D’altronde basta prendere il dato giusto, puntare l’attenzione su una stima piuttosto che su un’altra e il gioco è fatto. Le esportazioni di Champagne sono calate del 10% mentre il Belpaese ha mitragliato l’estero con ben 150 milioni di bottiglie di spumante superando i cugini d’oltralpe nell’export e affiancandoli nella produzione totale che si attesta intorno ai 350 milioni di bottiglie. Queste le belle notizie. Però, e chi parla non è esterofilo ma soltanto oggettivo, le cifre del fatturato pendono ancora a favore dello Champagne. E se è vero che quest’anno gli Stati Uniti hanno brindato italiano quando il discorso si sposta dalla quantità alla qualità – si turi le orecchie il fanatico dello spumante – è tutta un’altra storia.

L

Abbandonati i numeri e le prese in giro, quando si vuole fare un regalo “da bere”, alzi la mano chi sceglie lo spumante. I grandi Champagne nella loro tipologia non hanno rivali perché nascono su un terreno, anzi terroir, con caratteristiche eccezionali – grande profondità e ricchezza minerale, sapidità e capacità di da-

guono per un ottimo rapporto qualità-prezzo. E visto che arriva il Natale, e segue il Capodanno, largo alle italiche catenelle di anidride carbonica per illuminare, come da tradizione, le feste natalizie. Con un pizzico di sano patriottismo ma senza atteggiamenti manichei.

Se poi, tra un brindisi e l’altro, si vuole fare un tuffo nel passato, ecco che la storia del vino petillant per eccellenza offre racconti suggestivi e vanta un’origine leggendaria ri-

BOLLICINE condotta al nome dell’universalmente noto Dom Pérignon. Non c’è da immaginarsi un fraticello beone che, dopo anni di studio matto e disperatissimo, abbia codificato la formula della rifermentazione in bottiglia. In realtà Dom Pérignon era astemio e, si dice, pure vegetariano e cieco. È più probabile che per una serie di fortunate coincidenze – dall’uso del vetro per le bottiglie (il legno era stato vietato perché necessario per la costruzione delle navi) alla diversificazione delle uve che gli provenivano dai differenti terreni dell’abbazia – si trovò tra le mani la fortunata “invenzione” e ne capì importanza e valore. Era il 1668. Da quel momento la Francia non smise più di fare Champagne. A onor di cronaca, ma più che un vanto è assenza di lungimiranza, in Italia, ben 46 anni prima, un

Le esportazioni di champagne sono diminuite, mentre quelle di prosecco sono aumentate. Basta questo a decretare il sorpasso? In realtà, il fatturato dei francesi resta più alto, soprattutto grazie al fascino «del lusso» re struttura – che purtroppo la natura ha dato solo a loro. In 400 anni i francesi hanno saputo fondare un impero del gusto e dell’immagine. Lo Champagne è il vino delle grandi occasioni. Non si brinda a Prosecco. D’altronde mica è una gara, e se i blasonati Champagne sono ineguagliabili lo sono anche per quanto riguarda il prezzo. Così, a voler giocare la partita, è nella fascia media – tenda le orecchie il campanilista convinto – che le bollicine italiane devono entrare in campo. Oltre alle eccellenze come Ca’ del bosco con il prestigioso Anna Maria Clementi, Bellavista e Ferrari con l’elegante Riserva del Fondatore, tante sono le aziende che si distin-

certo Francesco Scacchi, codificò la formula della rifermentazione in bottiglia. Era il 1622. Da quel momento, fino al ‘900, l’Italia non si curò dell’invenzione. Il primo Franciacorta della storia è del 1961. Anche questi sono numeri, e questa volta la bilancia non pende dalla nostra parte. La Francia ha non solo un terreno vocato ma anche alcune centinaia di anni di esperienza in più in cui la produzione di Champagne si è sempre più affinata. È un gap enorme, difficilmente colmabile.

Se proprio vogliamo infierire, ci sarebbe anche un’altra storiellina curiosa che scopre le magagne nascoste dietro ai numeri che tanto ci rendono tronfi sostenitori dello spumante. Il metodo Charmat. È necessario sapere infatti che lo schiumeggiante vino con le bollicine può essere prodotto non solo con la tecnica della rifermentazione in bottiglia – il metodo champenoise per intenderci, o Metodo Classico visto che la prima dicitura è di appannaggio esclusivo dei francesi – ma anche attraverso la rifermentazione in grandi recipienti. Questa metodologia è detta Charmat, non dall’inventore del metodo, che si chiamava Martinotti e guarda caso era italiano, ma dall’astuto francese che la brevettò. Ci risiamo. Si tratta di un metodo qualitativamente inferiore e molto usato in Italia. Così, ecco che di quei 350 milioni di bottiglie con cui “affianchiamo”la Francia, solo 25 circa sono prodotte con metodo classico a fronte dei 300 milioni di bottiglie francesi che utilizzano il metodo champenoise. Detto questo, ristabiliti i termini del confronto – che solo confronto può essere e non ottusa competizione – il panorama spumantistico italiano offre, nella fascia media, bottiglie straordinarie. E poiché non molti possono permettersi un Dom Pérignon del ’59 e probabilmente nemmeno bottiglie che ne valgono un decimo, vale la pena di abbandonare snobismi e brindare italiano. Aiuta l’economia e seduce il palato. E poi siamo Italiani e l’Italia, un tempo, la chiamavano Enotria. Ci dovrà pur essere un motivo.


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