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Non c’è libertà senza sicurezza economica. La gente affamata e senza lavoro è la pasta di cui sono fatte le dittature

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Franklin Delano Roosevelt di Ferdinando Adornato

QUOTIDIANO • MERCOLEDÌ 29 DICEMBRE 2010

DIRETTORE DA WASHINGTON: MICHAEL NOVAK

I consumatori lanciano l’allarme: tra alimentari, benzina, tariffe, assicurazioni e servizi bancari, il 2011 sarà un anno nero

L’occasione di Susanna Mentre arriva una stangata da mille euro per famiglia, sulla Fiat si sfidano il riformismo della leader Cgil e l’immobilismo della Fiom. E la Camusso ha un’opportunità storica OLTRE MIRAFIORI E POMIGLIANO

di Francesco Pacifico

Aggiungi un posto al tavolo

ROMA. Da un lato la trattativa per la nuova Fiat, dall’altra una nuova, dura stangata in arrivo sui bilanci delle famiglie italiane. Stavolta i «botti di fine anno» rischiano di far male davvero. Se sul futuro dei lavoratori di Mirafiori e Pomigliano il sindacato rischia una nuova spaccatura (con Susanna Camusso che cerca di smarcarsi dai duri e puri dell Fiom), su quello di tutti gli italiani pesa l’incognita di una serie fitta di aumenti (alimentari, benzina, trasporti, tariffe, servizi bancari) da oltre 1000 euro. Proprio per questo, la nuova leader Cgil ha un’occasione d’oro per rilanciare il volto riformista del sindacato. Non solo nel confronto con Marchionne. a pagina 2

di Savino Pezzotta n questi giorni fa molto discutere l’accordo Fiat. Le posizioni sono contrastanti anche perché non ha avuto la firma della Fiom Cgil. La Fiat ancora una volta ha fatto forzature che forse sarebbe stato opportuno contenere, ma il nuovo ad non ha fatto altro che accentuare questa caratteristica dell’azienda torinese. Comprendo la strategia della Fiat e la sua volontà di restare tra i protagonisti mondiali del settore auto e quindi anche l’esigenza di accrescere le sue capacità competitive in un mercato mondiale in profonda trasformazione e con duri livelli di concorrenza. Tuttavia, queste esigenze non sempre giustificano i comportamenti dell’azienda e le pressioni sul negoziato, tra cui la minaccia di non fare investimenti in caso di mancato accordo. a pagina 4

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Il dilemma della segretaria

L’opinione di Giuliano Cazzola

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a pagina 8

Solo un accordo tra Confindustria e sindacati sulla grande riforma della rappresentanza può fermare il conflitto

Gianfranco Polillo • pagina 5

Giuliano Cazzola • pagina 3

«Il Giornale» rilancia le illazioni sull’«auto-attentato» del presidente della Camera

Fini querela la “bomba”di Libero Bufera su Feltri e Belpietro: «Vogliono annientare Fli», dice Urso di Marco Palombi

seg1,00 ue a (10,00 pagina 9CON EURO

I QUADERNI)

• ANNO XV •

NUMERO

252 •

di Virgilio Ilari

mentari e i suoi quotidiani di battaglia, quelli dell’occhio per occhio, dente per dente. Ne è un caso di scuola (a prima vista di scuola psichiatrica) la due giorni di fuoco inaugurata da Libero, con la prima pagina di lunedì: il titolo a scato «Fini è fallito», l’occhiello «Il kamikaze», a sinistra l’editoriale del direttore Maurizio Belpietro «Su Gianfranco iniziano a girare strane storie». Ossia storie di bombe e di escort.

Nel 1983 Lama perse la battaglia contro Craxi condotta per conto del Pci: la Cgil dovrebbe temere quel precedente

suoi ultimi giorni di vita politica, Silvio Berlusconi non dovrebbe cercare il responsabile tra le opposizioni, i giornali che lo attaccano, le piazze arrabbiate e le fabbriche disperate. Per quanto possa essere triste notarlo, il Cavaliere verrà disarcionato – se mai lo sarà – grazie allo zelo dei suoi sostenitori più scalmanati: gli ex amici di Fini che giuravano che il presidente della Camera non aveva i numeri per costituire gruppi parla-

Putin chiede al Papa di nominare un santo protettore del nucleare on maggior forza rispetto alla Chiesa cattolica, quella ortodossa sottolinea che la “glorificazione” (equivalente ortodosso della canonizzazione) dei santi è un atto di Dio che la Chiesa si limita soltanto a riconoscere. Oltre ai miracoli e alla devozione popolare, tra i segni della scelta divina c’è la condizione incorrotta delle reliquie. Questa Anche circostanza, Berlusconi benché non essenziale, è farà dichiapressione stata rata pure nel sul caso del Santo Beato FyoVaticano dor Fyodorovich Ushakov (1744-1817), glorificato il 5 agosto 2001 nel monastero della Natività di Sanaksary, dove il santo trascorse in preghiera, in una cella solitaria, gli ultimi dieci anni di vita, dopo essersi spogliato delle sue ricchezze a favore dei poveri. Per quanto le foto scattate durante la riesumazione (avvenuta nel 1944) documentino che furono ritrovati solo il teschio, ossa e resti di spalline. Ad oggi la Chiesa cattolica ha proclamato almeno 10 mila santi.

Il Lingotto non sarà La strada dell’unità come la «Scala mobile» non passa dalla Fiom

ROMA. Se questi dovessero essere i

La «beatificazione» di un ex-ammiraglio

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• CHIUSO

IN REDAZIONE ALLE ORE

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19.30


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prima pagina

il fatto Verso la chiusura del contratto per Pomigliano. Rinaldini: «Intesa tra Camusso e Confindustria? Una tattica di corto respiro»

La stangata sul tavolo

Mentre si litiga sul futuro della Fiat (e del sindacato), i consumatori denunciano: il 2011 si apre con aumenti per 1000 euro a famiglia l’intervista di Francesco Pacifico

ROMA. Entro questa sera Fiat e Cisl e Uil chiuderanno sul contratto della nuova Pomigliano. Entro la primavera Susanna Camusso vuole stringere un patto con Confindustria sulle nuove regole della rappresentanza, unica strada per arginare le pressioni di Sacconi e i veti della Fiom. Perché le trattative tra Sergio Marchionne e la trojka sindacale siano così complesse e tanto decisive per gli equilibri e economici e sociali del Paese, l’ha chiarito molto bene Paolo Romani. E non soltanto perché vanno oltre scatti d’anzianità, turni, riposi, malattie e facoltà di indire scioperi. In visita agli impianti della Vinyls di Porto Marghera – ripartita dopo l’accordo «che ha unito forze politiche e industriali» – il ministro dello Sviluppo economico ha spiegato che «questa vicenda non può però essere di esempio a quella Fiat», perché «c’è una trattativa sindacale molto dura» propedeutica a un grande investimento «che vuol dire occupazione, produzione di ricchezza, impianti che funzionano». Quando c’è il privato di mezzo, e investe soldi veri, non c’è potere d’interdizione che tenga. Ed è per questo che Romani ha confermato che «il governo non intende intervenire. Fiat non è in crisi, è una società che intende investire».

Ma lo strappo di Fiat sul contratto nazionale va riportato nel suo alveo naturale: il tavolo tra le parti. Ed è per questo che dalle colonne di Repubblica Maurizio Sacconi si appella al senso di responsabilità di corso d’Italia. «Sono fiducioso», spiega il ministro, «la Cgil alla fine sarà della partita». Più che un’apertura, un tentativo di dare manforte alla segreteria della Cgil, che 24 ore prima e sempre dalla colonne di Repubblica, aveva richiamato la Fiom. E che non può non essere legato alla dura manifestazione del 14 dicembre scorso, quando sono scesi in piazza precari e neolaureati, le categorie più colpite dalla crisi e che hanno potuto usufruire soltanto di un ammortizzatore sociale: la famiglia. E i prodromi di uno scontro sociale senza uguali ci sono già. Michele Gentile, coordinatore del dipartimento settori pubblici della Cgil, ha denunciato che il blocco degli stipendi nel pubblico impiego si

Il numero due della Cisl Giorgio Santini parla della nuova stagione sindacale

«Contro la babele occorrono regole per la rappresentanza» di Franco Insardà

ROMA. La Cisl è pronta ad accettare la sfida della Camusso sulla rappresentanza. Per il segretario aggiunto Giorgio Santini basta «ripartire dall’intesa del maggio 2008 tra Cgil, Cisl e Uil, che aveva definito alcune regole per la rappresentanza come la certificazione degli iscritti presso l’Inps, con l’indice dato dalla media ponderata tra iscritti e voti alle Rsu che, in caso di dissenso, diventava il parametro per misurare la validità degli accordi. Un’intesa approvata da tutti con il voto contrario, anche in quell’occasione, dei tre delegati della Fiom». Un modo per evitare quella che Bonanni ha definito “babele sindacale”? Appunto. Oggi tutti parlano di regole, ma per quanto ci riguarda aspettiamo da quel giorno che quell’intesa diventi un accordo con le organizzazioni datoriali per risolvere tutti problemi anche quest’ultimo di Mirafiori e Pomigliano. Facemmo quella proposta nel 2008 perché la riforma della contrattazione, con l’introduzione del secondo livello, sostanzialmente anticipava quello che è successo in questi mesi. Perché non si è fatto? La Cgil, nonostante avesse firmato quell’intesa sulla quale erano d’accordo tutte le sue categorie con l’eccezione della Fiom, ha sempre rifiutato di firmare quell’accordo. E oggi? Se dopo Mirafiori si capisce l’importanza di quell’accordo siamo contenti che si faccia. E Federmeccanica? Esiste già un tavolo che riguarda il contratto del settore auto che interessa la Fim, Uilm, Fismic e Ugl e, speriamo, in futuro anche la Fiom. Ci sarà un incontro il 24 di gennaio ed è lo sviluppo naturale degli accordi aziendali. E domani definite l’accordo a Pomigliano. È la conseguenza di quello siglato a giugno. Le cassandre sono state clamorosamente smentite e discutiamo di assunzioni.

Ma la Fiom parla di una violazione dei diritti più basilari. Sbagliando. Non si può chiedere la rappresentanza e non firmare gli accordi: da quello nazionale a quello sul welfare. E dal 2003 che ha questo atteggiamento, solo nel 2008 ne hanno siglato uno e non so neanche per quale motivo. Anche gli iscritti alla Fiom hanno avuto gli aumenti contrattuali grazie a chi ha siglato i contratti. Il ministro Sacconi è convinto che la Camusso sceglierà la strada della responsabilità. La Fiom le chiede di indire uno sciopero generale. Come ne uscirà la nuova segretaria della Cgil? Nell’interesse del sindacalismo confederale che per noi è un valore, penso che la Camusso saprà agire responsabilmente. Questa apertura di Sacconi non indebolisce il lavoro di Cisl e Uil? Siamo impegnati a favorire un’evoluzione delle relazioni sindacali. È interesse di tutti che anche la Cgil rientri il più rapidamente possibile nello schema confederale e penso che questa sia l’intenzione della segretaria Camusso. Il problema non è rappresentato da Cisl e Uil, ma da Fiom. L’atteggiamento di Marchionne ha messo in crisi il ruolo del sindacato e di Confindustria? Quello del sindacato no, perché Marchionne chiede il nostro accordo, per Confindustria la questione riguarda il peso che la Fiat ha all’interno dell’organizzazione. Il ministro Paolo Romani conferma che il governo si terrà fuori dal tavolo Fiat. È un bene o un male? La stagione dei sussidi alla Fiat e alle imprese in generale, a priori e senza verifiche, è bene che finisca. Per Pomigliano e Mirafiori si tratta di un atteggiamento corretto. Nel caso di Termini Imerese il governo dovrà, invece, fare la sua parte, perché c’è da organizzare una riconversione e prevedere investimenti.

La Fiom non firma accordi dal 2003: così non si rappresentano gli interessi dei lavoratori

sta traducendo per questi lavoratori «in una perdita di salario complessivo pari a circa 1.600 euro. E sono a rischio 120mila precari del settore». Federconsumatori e Adusbef hanno calcolato che nel 2011 gli italiani spenderanno mille euro in più per l’alimentazione, i trasporti o le utenze. Ma alla Camusso il placet di Sacconi interessa poco. E continua a lavorare per un accordo con Confindustria che abbracci la rappresentanza, le misure per favorire la produttività, forse il numero dei contratti e la politica salariale. E spera di farlo giocando sulle spaccature di una Confindustria divisa sul muro contro muro di Marchionne contro la Fiom. Non a caso ha mandato a dire alla Marcegaglia: «O fa sentire la sua autorevolezza nel sistema delle imprese, o prevarranno le regole della giungla. E non può limitarsi a guardare, perché è in atto un’offensiva pure nei suoi confronti». L’obiettivo di corso d’Italia è quello di definire i rapporti di lavoro con intese ad hoc per i comparti più importanti (come l’auto) da collegare però a un più generale contratto dell’industria, in modo da salvare sia il livello nazionale sia gli incentivi alla produttività. Difficile se questo il modello piacerà alla controparte o a Cisl e Uil, fatto sta che in questa fase per la Camusso è importante aprire un cantiere per togliere la Cgil dall’isolamento nella quale l’ha lasciata Epifani. La controparte come i suoi colleghi sono pronti ad accettare la sfida. Dopo aver giocato in difesa e fatto quadrato sul contratto nazionale di categoria, il presidente di Federmeccanica, Pierluigi Ceccardi, ha invitato «le confederazioni ad aprire un tavolo sulla rappresentanza per pervenire ad un accordo». Perché, come, ha spiegato in un’intervista al Sole24Ore, «un conto è concludere un contratto senza la firma della Fiom, un altro è gestire le relazioni industriali in azienda senza una organizzazione che rappresenta una parte cospicua dei lavoratori». Stessa disponibilità anche da Raffaele Bonanni. Ma interpellato dalla Stampa, il segretario della Cisl ha dettato le sue condizioni: ripartire dalle regole «contenute nel documento unitario del 2008 di Cgil-Cisl-Uil, che per l’appunto considerano i numeri degli iscritti, certificati dall’Inps e i voti alle sezioni delle Rsu».


l’opinione Il punto del deputato pdl, vicepresidente della commissione Lavoro

La strada dell’unità non passa dalla Fiom

Un accordo con i vertici di viale dell’Astronomia può evitare il conflitto perenne con Marchionne di Giuliano Cazzola ergio Marchionne ha buon titolo per ricordarsi del proverbio: «Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io». Infatti, l’ad del Lingotto si è sicuramente accorto che tra le forze ostili al suo progetto non c’è solo la Fiom (il cui gruppo dirigente - sono parole di Dario Di Vico sul Corriere della Sera - insegue altri progetti, è focalizzato sull’esigenza di riorganizzare un’opposizione politica e sociale al berlusconismo, non ha voglia di innovare i ferri del mestiere), ma la stessa Confindustria secondo la quale le intemerate di Marchionne mettono in discussione un sistema di relazioni che giustificano il ruolo e le funzioni di tutti i suoi protagonisti. I dissensi tra la Fiat e l’organizzazione degli industriali covava sotto la cenere fin dall’accordo di Pomigliano d’Arco. In verità la Confindustria non aveva niente da eccepire sui contenuti di quell’intesa. La sue preoccupazioni riguardavano essenzialmente il coro di polemiche - assurde ed invereconde - che accompagnavano l’intesa, tanto di creare ulteriori difficoltà per l’azione di recupero di un rapporto con la Cgil a cui la presidente Emma Marcegaglia teneva (e continua a tenere) moltissimo, in vista del cambio della guardia ai vertici della Confederazione.

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Susanna Camusso ha un’occasione storica per rilanciare il riformismo sindacale anche nel confronto con Sergio Marchionne sulla Fiat. Nella pagina a fianco, il segretario aggiunto della Cisl, Giorgio Santini Spiega Agostino Megale, numero uno della Fisac-Cgil e fino a qualche mese fa membro della segreteria confederale di corso d’Italia: «Lo strappo di Marchionne ha creato vulnus molto ampi alla democrazia sindacale, perché non si può escludere la prima confederazione del Paese. Ma l’unica via per uscire da questo impasse sta in un accordo sulle regole tra le parti di trentiniana memoria. Dopo l’accordo separato sulla riforma della contrattazioni sono state firmate 51 intese che sono andate ben oltre quel documento. Quindi sbaglia chi come Sacconi l’ha considerato insormontabile, perché la Cgil stringe accordi sui 24 turni o sui sabati lavorativi dal 1981».

A ben guardare i trascorsi di categorie come i tessili o i chimici (ma le deroghe volute dai meccanici alla siderurgia) il primo sindacato italiano ha al suo interno l’esperienza e le capacità per gestire un percorso simile. Il nodo resta però ancora una volta l’atteggiamento della Fiom.

Quarantotto ore fa Giorgio Cremaschi ha chiesto alla Camusso di indire contro lo strappo di Fiat «uno sciopero generale». Ma l’ipotesi è stata respinta. Ieri l’area programmatica di minoranza interna ha chiesto attraverso il coordinatore nazionale dell’area, l’ex leader delle tute blu Gianni Rinaldini, «formalmente la convocazione urgente e straordinaria del direttivo Nazionale con all’ordine del giorno la vicenda Fiat». Secondo Rinaldini il consesso va riunito perché «la Cgil possa fare una discussione vera sugli effetti dell’intesa, sulle modificazioni radicali che introduce nel mondo del lavoro e nel sistema di relazioni sindacali, sulla risposta di mobilitazione da predisporre». In questo modo l’ala più intransigente della Cgil vuole evitare che la Camusso possa stringere un accordo con Confindustria. Ipotesi talmente pericolosa che viene bollata come «manovra tatticista di corto respiro rispetto alla gravità storica di un atto palesemente violento e autoritario».

Non è un caso che, quando ancora non erano sopite le polemiche su Pomigliano, la Confindustria abbia avviato un confronto con le centrali sindacali per definire una piattaforma comune di richieste nei confronti del governo. Si è trattato di un negoziato inutile e propagandistico perché non ha senso che dei grandi soggetti collettivi decidano di presentare delle rivendicazioni all’esecutivo, quando, in conto proprio, non sono in grado di accordarsi su alcunché di loro competenza. Ma alla Cgil faceva gioco essere tra i protagonisti di un programma oggettivamente critico nei confronti del governo e si siede al tavolo (da cui peraltro non è ancora uscita una sola idea interessante). Il Lingotto, però, scalpita, non se la sente più di muoversi all’interno dell’assetto contrattuale definito, né considera sufficienti gli ampliamenti alle clausole di deroga previste nel contratto dei metalmeccanici del 2009. Si profila sempre più nettamente l’intenzione di Sergio Marchionne di avere a disposizione uno strumento contrattuale specifico per i suoi stabilimenti e coerente con gli obiettivi strategici del gruppo, anche a costo di «fare da sé», fuori dalla Confindustria. Nasce così l’idea di un contratto dell’auto (formalmente nazionale, sostanzialmente

aziendale), che sarà applicato dalle Newco Fiat-Chrysler, mentre il resto del gruppo rimarrà nell’ambito dei tradizionali vincoli associativi e contrattuali. Il bello è che si incardinano due negoziati paralleli: uno, su iniziativa della Federmeccanica, cerca di accontentare la Fiat attraverso la definizione, in sede nazionale, del profilo del contratto dell’auto; l’altro, direttamente al Lingotto, che chiude il discorso mediante la stipula di un accordo che affronta e risolve, con riferimento allo stabilimento di Mirafiori, i problemi posti da Marchionne.

Ovviamente, la Fiom, pur partecipando al negoziato, si è defilata al momento della conclusione. A questo punto ecco la sorpresa: chi non firma il contratto è escluso dalla sua applicazione e, ai sensi di quanto previsto dall’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori, i renitenti alla firma non potranno partecipare alla elezione delle rappresentanze sindacali aziendali (visto che tale diritto spetta solo alle organizzazioni stipulanti quei contratti che sono applicati nel posto di lavoro). Apriti cielo! Riecco l’orgia di parole a vanvera. Perché, dunque, il progetto del manager italo-canadese ha un profilo «rivoluzionario»? Se seguirà la via indicata da Marchionne ogni azienda, soprattutto se condannata a competere sui mercati internazionali, potrà adottare un contratto su misura, lasciandosi alle spalle l’attuale assetto incentrato su due livelli (nazionale e decentrato) tra loro coordinati.Tale scelta, come a Pomigliano e a Mirafiori, non comporterà necessariamente un peggioramento delle condizioni dei lavoratori: gli accordi determinano un miglioramento retributivo di circa 3,7 mila euro l’anno, tassato con un’aliquota del 10%, per conquistare il quale occorrerebbero, altrimenti, due rinnovi del contratto nazionale e, quindi, un percorso graduale di almeno sei anni. È forte il timore nell’establishment che la Fiat vinca nel referendum e tiri diritto. A questo punto, come potrebbe rientrare in gioco la Cgil? L’unica via consiste nella messa in campo di un nuovo accordo sulla rappresentanza e rappresentatività sindacale che, nei fatti, sconfessi il blitz della Fiat. Ed è quanto Susanna Camusso ha chiesto ad Emma Marcegaglia. Ebbene come scrive il Manzoni - «la sventurata rispose». Ma anche la Cisl e la Uil potrebbero essere interessate a far rientrare nei ranghi una riottosa Cgil. All’altezza in cui si sono spinte, in solitudine, l’atmosfera è troppo rarefatta

C’è anche Emma Marcegaglia, ormai, tra i «nemici» dell’ad di Torino: perché la nuova intesa spiazza anche l’associazione degli industriali


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l’approfondimento

Qualche considerazione sul conflitto tra Marchionne e i rappresentanti più radicali dei lavoratori di Mirafiori e Pomigliano

Aggiungi un posto al tavolo

La sfida della Fiat a un pezzo del sindacato non fa bene a nessuno: tutti devono fare uno sforzo in più per difendere il «sistema Italia» e l’unica base per un accordo è il contratto. Perciò tocca a Susanna rimettere in gioco anche la Cgil di Savino Pezzotta n questi giorni fa molto discutere l’accordo Fiat. Le posizioni sono alquanto contrastanti anche perché non ha avuto la firma della Fiom Cgil. La Fiat ancora una volta ha fatto forzature che forse sarebbe stato opportuno contenere, ma il nuovo amministratore delegato non ha fatto altro che accentuare questa caratteristica dell’azienda torinese. Comprendo la strategia della Fiat e la sua volontà di restare tra i protagonisti mondiali del settore auto e quindi anche l’esigenza di accrescere le sue capacità competitive in un mercato mondiale in profonda trasformazione e con duri livelli di concorrenza. Tuttavia, queste esigenze non sempre giustificano i comportamenti dell’azienda e le pressioni fatte al tavolo del negoziato, tra cui la minaccia di non fare investimenti in caso di mancato accordo. Ogni tanto anche la Fiat dovrebbe ricordare quanto deve all’Italia - compreso il fatto di avere potuto esercitare una presenza quasi monopolistica del settore auto a livello nazionale - e ai lavoratori. Comunque lo si voglia interpretare, l’accordo siglato nei giorni scorsi a Mirafiori - che segue quello di Pomigliano - segna la fine di una fase delle relazioni sindacali nel nostro Paese e non è chiaro quali potranno essere le caratteristiche del nuovo corso. Ora

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resta un problema di fondo: esiste un’altra possibilità che non sia la frammentazione costante o la conflittualità permanente? Il sistema di relazioni degli questi ultimi vent’anni ha sicuramente diminuito e regolato il conflitto industriale e ha creato le premesse per un modello più partecipativo e cooperativo. Non voglio esprimere giudizi e fare la figura della suocera di Cesare avendo fatto per lungo tempo il sindacalista, ma ho qualche perplessità su diversi punti dell’intesa. Penso agli orari di lavoro, alle pause e agli straordinari che dovranno trovare una loro gestione a livello aziendale e molto dipenderà dalla capacità di affrontare le questioni della nuova organizzazione del lavoro che i nuovi investimenti determineranno. Le perplessità e gli interrogativi non mi portano a rigettare questo accordo ma a rilevare alcuni elementi.

Primo. Se non gestita con attenzione, saggezza, prudenza e senza forzature, l’intesa può aprire problemi e incrinature inutili e indesiderabili nelle relazioni sindacali del nostro Paese. Da questo punto di vista è criticabile l’atteggiamento del Governo e di Confindustria che hanno preferito restare alla finestra a fare da spettatori. Le relazio-

ni sindacali, a mio parere, sono un bene comune che va sicuramente ammodernato ma anche tutelato.

Secondo. L’accordo non deve essere utilizzato per forzare i parametri del Contratto collettivo nazionale di lavoro. Non intendo certo negare la necessità di valutare e regolare la specificità del settore dell’auto ma a Torino si sono messe in discussione tutte le interessati proposte sul contratto unico. Oggi un contratto di settore e un rafforzamento della contrattazione decentrata di azienda o di territorio può rappresentare un fattore di flessibilità innovativa se resta nell’ambito di un sistema di relazioni sindacali unitario e con un chiaro riferimento nazionale. Ricordiamo sempre che sul mercato internazionale non compete una singola azienda ma l’intero sistema Italia.

Terzo. Il Contratto collettivo nazionale di lavoro ha rappresentato nel tempo un forte elemento di stabilizzazione e di governo della conflittualità - ivi compresa quella micro - e ha consentito di definire per via contrattuale e non legislativa il trattamento di base delle lavoratrici e dei lavoratori. Proprio per questo la giurisprudenza ha sempre fatto riferimento al Contratto nazionale

nelle controversie che chiamavano in campo l’art. 36 della Costituzione.

Quarto. Ciò non significa che il CCNL debba essere ipostatizzato, che non sia riformabile né adattabile alle nuove situazioni. Andrebbe semplificato, definendo con chiarezza le competenze del livello nazionale e della contrattazione aziendale per evitare le sovrapposizioni e per lasciare aperto lo spazio ai processi innovativi e mutativi che si generano nell’organizzazione del lavoro. Quinto. La questione politica più rilevante per le implicazioni che può avere è quella della rappresentanza sindacale. Escludere la Fiom dalla rappresentanza aziendale perché non ha firmato l’accordo non va bene. È vero che secondo l’art. 19 delle Statuto dei Lavoratori i diritti sindacali in azienda spettano a chi ha firmato accordi collettivi, ma la prassi sindacale non ha mai ricorso a questa modalità e nessun accordo interconfederale l’ha ripresa. Non ritengo corretto escludere una rappresentanza che ha iscritti in un azienda perché rifiuta di firmare un accordo. Infatti la rappresentanza sindacale è determinata dagli iscritti e non dalla firma degli accordi. Questo è


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Alle radici di un confronto che finirà per diventare politico (sulle spalle dei lavoratori)

Purché il Lingotto non sia la «scala mobile» di Camusso

Nel 1983 Lama perse la battaglia contro Craxi condotta per conto del Pci: la segretaria della Cgil dovrebbe temere quel precedente di Gianfranco Polillo opo lo strappo di Mirafiori, cosa farà Susanna Camusso? Contribuirà, esercitando tutta la propria influenza di segretario della Cgil, ad avviare una necessaria riflessione sugli errori compiuti dalla Fiom in questa vicenda, come per altro annunciato? O dovrà piegarsi alle logiche di un’organizzazione sempre restia a forme di autocritica, anche quando tutto congiura contro la riaffermazione di vecchie certezze che non hanno più riscontro nella realtà dei fatti? Non si dimentichi quanto avvenne nel lontano 1983. Si doveva interrompere la spirale inflazionistica che debilitava l’economia italiana. Fu Ezio Tarantelli, poi “giustiziato” dalle Br, a teorizzare la necessità di giocare d’anticipo: si riduca il grado di indicizzazione dei salari – il vecchio meccanismo della scala mobile – e si veda quel che succede a fine anno. Se l’inflazione non diminuirà – come invece avvenne – si restituirà la parte di scala mobile congelata. Bettino Craxi, con il decreto di San Valentino, si fece artefice di quel progetto. Trovò l’accordo di tutte le organizzazioni sociali: sia padronali che sindacali. Di tutte, meno la componente comunista della Cgil. Allora era Luciano Lama che guidava l’organizzazione. Un riformista convinto, forte di un prestigio personale che tutti gli riconoscevano. Ma anche lui – benché restio – dovette piegare la testa. Era il partito che lo chiedeva. Berlinguer in prima persona, per battere o meglio abbattere il suo rivale. Quel Bettino Craxi che aveva osato dichiararsi autonomo da quella grande chiesa comunista, che negli anni passati aveva trasformato i socialisti in una forza puramente residuale.

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Oggi, per fortuna, i rapporti tra il sindacato ed i partiti politici sono cambiati. Nessuna vecchia cinghia di trasmissione, ma reciproca autonomia. Eppure Susanna Camusso il condizionamento di quel vecchio mondo continuerà ad averlo. Non si tratta più di una pressione che avviene dall’esterno della sua organizzazione, ma che si annida nella testa di tanti militanti del sindacato. Allevati a suon di “lotta di classe” hanno perso il contatto con il mondo con-

temporaneo. E non accenniamo all’esperienza laburista – che quel termine non ha mai conosciuto – o socialdemocratica – che quel termine ha formalmente ripudiato – ma a quella dei Paesi che ancora si rifanno all’esperienza storica del socialismo reale. I “compagni” cinesi, così attenti alle liturgie della tradizione, la “lotta di classe” l’hanno bandita in un congresso. Compito del socialismo – disse allora Deng Xiaoping – non è quello di “amministrare la povertà”, ma di far crescere il benesse-

Il mercato del lavoro italiano va riorganizzato secondo standard di carattere internazionale

re e la ricchezza del popolo. Operazione, a quanto pare, in procinto di realizzarsi, visto i tassi di sviluppo conseguiti. A rammentare a tutti quello che poteva essere ma non è stato, rimane solo Cuba, con la sua gerontocratica classe dirigente. Una famiglia al comando e un popolo oppresso dalla mancanza di libertà e da forme vistose di povertà. Basterebbero questi semplici riferimenti per far riflettere. In passato c’era una parte del mondo che, andando in una direzione diversa, poteva legittimare comportamenti eccentrici. Ma oggi dove sono i grandi riferi-

menti internazionali? Veramente alcuni dirigenti della Fiom pensano di essere loro i profeti del nuovo mondo? Supponenza e sussiego, che nascondono solo l’incapacità di convincere i propri supporter dei dolorosi cambiamenti che sono necessari per imparare a leggere una realtà che non è più quella del passato.

Susanna dovrà fare i conti con questo fondo limaccioso. Dovrà quindi utilizzare tutta la necessaria intelligenza politica, ma senza correre il rischio di smarrirsi poi nel labirinto del puro opportunismo. Siamo ben disposti a perdonarle alcune battute nei confronti di Sergio Marchionne, da lei considerato – come ha riferito la stampa – «antidemocratico, autoritario ed illiberale». A condizione, tuttavia, che non ignori le ragioni più profonde che sono alla base di quei comportamenti. Occorre porre fine ad un’asimmetria tutta italiana. Il suo mercato del lavoro va riorganizzato secondo standard di carattere internazionale, tenendo naturalmente conto delle diverse abitudini del nostro Paese, a condizione, tuttavia, che queste ultime non diventino preclusive. Dietro la ruvidezza di un personaggio come Sergio Marchionne c’è tutta questa consapevolezza. La visione di cose che noi stessi non siamo in grado di scorgere. All’estero si lavora e si produce con grande intensità. Non vi sono smagliature o furbizie interessate. Lo sciopero è ancora una cosa seria, cui ricorrere solo in caso estremo. Non ha senso proclamare quello degli straordinari fino al 2012, come nel caso di Pomigliano D’Arco, quasi a voler ridar vita al vecchio istituto dell’imponibile di mano d’opera. Atteggiamenti incomprensibili e, pertanto, giustamente rifiutati dagli altri sindacati e – ne siamo sicuri – da gran parte della stessa Cgil. Di tutto ciò Susanna Camusso dovrà far tesoro, riannodando quei fili che la Fiom cerca inutilmente di spezzare. La sua forza sta nella tradizione che la sostiene – quella del socialismo riformista – ma anche nel sistema di alleanze che saprà costruire per isolare non i “compagni che sbagliano”, ma gli ultimi dinosauri di un mondo ormai andato.

un principio che la Cisl ha sempre sostenuto nel corso della sia storia. Non a caso si è sempre ritenuta un’associazione di lavoratori e ha sempre rifiutato l’idea del sindacato di classe. Non vorrei che quello che oggi si vuol far valere nei confronti della Fiom potesse domani essere richiesto nei confronti di Fim e Uilm. Prudenza.

Sesto. È comunque arrivato il momento di pensare a una nuova regolazione della rappresentanza sindacale, tenendo presente che l’accordo interconfederale del 1993 già prevede la possibilità che alle elezioni delle rappresentanze sindacali aziendali partecipino tutte le liste che abbiano il 5% delle lavoratrici e dei lavoratori. Nella definizione delle nuove regole e nella discussione sul come organizzare il settore auto andrebbe coinvolta anche la Fiom. Le nuove regole dovrebbero misurare il tasso di rappresentatività dato dagli iscritti e dai voti raccolti nelle elezioni, ma non escludere la partecipazione di chi sta oltre una soglia di sbarramento da definire. Si dovrebbe pertanto procedere ad un accordo interconfederale che modernizzi le norme del 1993 da recepire successivamente per legge. Settimo. La Fiom deve fare uno sforzo per uscire da una posizione di isolamento e di scontro con le altre organizzazioni e rischiare la negoziazione e l’accordo. Dovrà, in questa precisa contingenza, tenere in considerazione i risultati referendari. Conto molto su Susanna Camuso. Ne conosco le doti, le capacità e la tenacia. A lei è toccato il compito di riportare la Cgil ai tavoli, anche perché il nostro Paese non può fare a meno del contributo di un grande sindacato. Dopo la rottura sindacale del 1948 un grande sindacalista come Di Vittorio ebbe il coraggio di fare autocritica, di far riprendere alla Cgil il suo ruolo e di confrontarsi con serenità e rigore con le proposte degli altri sindacati e in particolare con la Cisl. Nelle società complesse nessuno può pensare di essere autosufficiente. Questa convinzione porta sempre al declino. Ecco perché mi aspetto molto dalla Camuso. Il bene del sindacalismo, anche quando richiede mediazioni e mutamenti di posizioni, è più grande di quello della singola organizzazione. Ottavo. La Fiat non può vivere solo di sfide nei confronti del sindacato. Deve essere capace di cogliere quelle che il sindacato pone e mettersi nell’ottica di produrre innovazione sui prodotti e nei suoi programmi industriali. C’è l’esigenza di comprendere meglio non solo la quantità ma anche la qualità degli investimenti. Dopo aver forzato la situazione deve anche avere il coraggio di produrre innovazione nelle relazioni sindacali aziendali rendendole sempre più partecipative. L’azienda torinese non deve dimenticare di appartenere alla storia di questo Paese e pertanto deve giocare le sue partite nel mondo per sé, per i suoi azionisti, per i dipendenti ma anche per la comunità nazionale. La vicenda Fiat evidenzia un cambio di fase. Oggi più di ieri il tema della democrazia economica è la nuova frontiera su cui sindacato, imprenditori, lavoratori e istituzioni devono confrontarsi e produrre innovazione per generare una nuova coesione sociale e nazionale


diario

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I Gambirasio: «Ridateci Yara»

Incubo roghi di rifiuti a Napoli

MILANO. «Ridateci nostra figlia». Dopo un lungo silenzio, i genitori di Yara Gambirasio, la ragazza scomparsa ormai da trentasei giorni a Brembate Sopra, si appellano così alla stampa. «Noi imploriamo la pietà di quelle persone che trattengono Yara – fanno sapere – chiediamo loro di rispolverare nella loro coscienza un sentimento d’amore; e dopo averla guardata negli occhi le aprano quella porta o quel cancello che la separa dalla sua libertà». Fulvio e Maura Gambirasio, hanno inoltre voluto rivolgere un sentito rigraziamento a «tutta la gente che con molto amore, con rispetto ci sta sostenendo in questo cammino di speranza», e si sono detti convinti, a colloquio con i giornalisti, che Yara sia ancora viva.

NAPOLI. A Napoli, in vista del capodanno, è allarme roghi temendo che i petardi di capodanno possano incendiare l’immondizia che resta ancora nelle strade. Da un lato l’esercito organizza per il 31 una raccolta straordinaria, dall’altro il Comune coinvolge vigili del fuoco e protezione civile: «Bagneremo le pile di immondizia per strada, in modo che non prendano fuoco». Perché i falò di rifiuti non rischiano solo di incendiare la città, ma produrrebbero anche una nube di diossina sul cielo di Napoli. Intanto ieri è «stata la giornata più nera», secondo l’assessore all’Igiene del Comune, Paolo Giacomelli: fino al pomeriggio i camion non sono riusciti a scaricare da nessuna parte.

Arriva una stangata da mille euro ROMA. È in arrivo una stangata di oltre 1.000 euro sulle tasche delle famiglie italiane. Secondo Adusbef e Federconsumatori, tra rincari di alimentari, benzina, tariffe, assicurazioni e servizi bancari, il 2011 sarà «un anno infelice». Le voci principali che nel corso del nuovo anno incideranno maggiormente sui bilanci familiari, secondo i consumatori, saranno gli alimentari (che con la ripresa della domanda, in assenza di politiche di liberalizzazione del mercato, aumenteranno di prezzo in modo consistente, dopo un anno di sostanziale stasi) e le abitazione (una delle voci che maggiormente risente dei tagli decisi nella manovra di Governo, dato che comprende acqua e rifiuti, oltre a elettricità e gas).

«Il Giornale» rilancia la campagna per screditare il presidente della Camera. Dura replica dei finiani: «Solo fango»

«Vogliono annientare Fli»

Urso risponde a Belpietro. E Fini querela «Libero» sull’auto-attentato di Marco Palombi

Il direttore di “Libero” Maurizio Belpietro, «prima di scrivere del presunto attentato doveva chiamare il portavoce di Fini per chiedere se era prevista una visita ad Andria a marzo, doveva verificare la notizia con il ministro dell’Interno e chiedere lumi alla parte interessata», dice Bocchino

ROMA. Se questi dovessero essere i suoi ultimi giorni di vita politica, Silvio Berlusconi non dovrebbe cercare il responsabile tra le opposizioni, i giornali che lo attaccano, le piazze arrabbiate e le fabbriche disperate. Per quanto possa essere triste notarlo, il Cavaliere verrà disarcionato – se mai lo sarà – grazie allo zelo dei suoi sostenitori più scalmanati: gli ex amici di Fini che giuravano che il presidente della Camera non aveva i numeri per costituire gruppi parlamentari e i suoi quotidiani di battaglia, quelli dell’occhio per occhio, dente per dente. Ne è un caso di scuola (a prima vista di scuola psichiatrica) la due giorni di fuoco inaugurata da Libero, evidentemente in fase erettile dopo il ritorno di Vittorio Feltri, con la prima pagina di lunedì: il titolo a scato «Fini è fallito», l’occhiello «Il kamikaze», a sinistra l’editoriale del direttore Maurizio Belpietro «Su Gianfranco iniziano a girare strane storie». In sostanza si tratta di due, per così dire, «notizie». Qualcuno, forse lo stesso presidente della Camera ma non è chiaro, sta preparando un attentato per ferire Fini in primavera ad Andria con l’obiettivo di screditare Berlusconi: all’uopo sarebbe stato contattato «un manovale della criminalità locale, promettendogli 200mila euro». Non bastasse, viene riportata la storia di una prostituta di Modena che avrebbe avuto un incontro “molto piccante” sempre con l’ex cofondatore. Prezzo: mille euro, cifra topica visto che fu la stessa percepita da Patrizia D’Addario per entrare nel lettone di Putin. Al

momento, va detto, non risultano programmate visite di Fini in Puglia per primavera, né presenze a Modena coincidenti con le memorie della signora di facili costumi. Risultato: due procure indagano sul presunto attentato – quella di Milano e la Dda di Bari – e Fini ha querelato per diffamazione sia Libero sia Il Giornale (che ieri ha ripreso la parte scollacciata della storia).

Il fatto è - e più d’uno nel Pdl ha cominciato ad accorgersene - che al di là delle indagini e delle querele, la nuova sparata di Belpietro sta ridando al “traditore” Fini quel fiato che gli mancava dal 14 dicembre scorso: Libero ricompatta il mondo finiano assai più dei discorsi del leader.

Voci sulle decisione della Consulta a gennaio

La Corte rimanda Silvio? ROMA. Una sentenza interpretativa che respinge il ricorso dei giudici ma impone una lettura obbligata della legge lasciando alle toghe l’ultima parola sul legittimo impedimento. È questa la possibile soluzione che i membri della Consulta stanno vagliando in queste ore in vista dell’udienza dell’11 gennaio. Una soluzione che lascerebbe come oggi ai cittadini la possibilità di rinviare il processo in presenza di una valida ragione. E che accomunerebbe Berlusconi a tutti gli altri normali imputati. Nell’ipotesi ventilata da ambienti vicini alla Corte costituzionale, i procedimenti giuridici a carico del Cavaliere riprenderebbero regolarmente sottomettendo l’imputato al verdetto del giudice. Sabino Cassese, membro della Corte dal 2005, diramerà l’appunto finale che riassume 10mila pagine di ricerca, solo una settimana prima dell’udienza. Ma tra i membri della Consulta, prevale al momento un forte disagio per la lettera vergata da Luigi Mazzella, già commensale berlusconiano, a favore della norma salva-premier.

E non solo: questa immagine di berlusconismo livido e decadente è destinata a comprimere anche qualunque possibile divaricazione tattica o strategica avesse potuto insorgere nel Nuovo Polo. Basti citare a questo proposito la nota diffusa ieri dal capogruppo dell’Udc in Senato Gian Piero D’Alia e dal vice alla Camera Gianluca Galletti: «Dopo il fango di questa estate dobbiamo impedire che si vada verso una nuova stagione di veleni. Sarà la magistratura a fare piena luce; nel frattempo soprattutto chi ha ruoli di responsabilità politica e di governo è chiamato a impedire che queste vicende condizionino la politica italiana». Parole assai controllate in cui è però possibile leggere in con-


29 dicembre 2010 • pagina 7

Il federalismo educherà la dirigenza lamentosa

Scontri a Civitavecchia tra polizia e pastori sardi CIVITAVECCHIA. Ci sono stati degli scontri fra allevatori sardi e polizia ieri mattina al porto di Civitavecchia. Circa duecento membri del Movimento Pastori Sardi sono sbarcati ieri mattina all’alba, decisi a compiere un blitz nella capitale. Ma ad attenderli hanno trovato un presidio delle forze dell’ordine che ha impedito loro di salire sui pullman che li stavano aspettando per condurli a Roma. E li ha bloccati nell’area portuale. Obiettivo dei manifestanti, guidati da Felice Floris, era di bloccare una strada di grande scorrimento. Da tempo i pastori protestano lamentando che il prezzo del latte riconosciuto dagli industriali, ovvero 60 centesimi al litro, non è sufficiente a coprire i costi di produzione. Dalla Sardegna proviene il 60% del latte ovocaprino nazionale. La tensione è salita quando i pastori hanno tentato di sfon-

troluce un nome e un cognome: Silvio Berlusconi. Insomma, Fini dovrebbe ringraziare Belpietro. Curiosamente, ma per motivi diversi e che a menti non raffinate paiono decisamente bizzarri, è la stessa cosa che sostiene lo stesso Belpietro: «Ammettiamo che sia tutto falso – ha scritto candidamente ieri – l’attentato e pure le sedute con la escort. Il presidente della Camera dovrebbe essermi grato per averlo avvisato di un paio di mestatori e calunniatori che vanno in giro per l’Italia a spargere veleni sul suo conto. Ma se al contrario ci fosse qualcosa di vero?», si chiede pensoso Belpietro forse dimenticando quel trascurabile dovere professionale che è il controllo delle notizie, ricordandosi però il diritto di non rivelare la sua fonte al procuratore milanese Spataro. Feltri, dal canto suo, si stupisce: «Quello di Belpietro è un articolo equilibrato che racconta con cautela un episodio degno di rilievo. Non capisco la reazione isterica, portata avanti con virulenza e maleducazione da Fli».

E che avranno detto mai,

g i u d i z il e t t e r ep r o t e s t es u g g e r i m e n t i

dare il cordone disposto da polizia e carabinieri, schierati con diversi mezzi blindati. Ne è seguito un lungo parapiglia, con i poliziotti che hanno cercato di isolare e arrestare alcuni pastori, tra cui Floris, leader del movimento. Imbarazzo e paura tra gli altri manifestanti. Dopo alcuni minuti è tornata la calma, con il rilascio dei due fermati, ma per il momento i pastori restano bloccati nel porto, guardati a vista da polizia e carabinieri.

«Dopo le bombe, le escort: basta confondere le acque» ha commentato Flavia Perina

questi futuristi? Qualcuno, il deputato Nino Lo Presti per primo, ha ironizzato sulla cre-

Dall’alto: Silvio Berlusconi e il «delfino» Alfano; poi i litiganti Belpietro e Bocchino. A sinistra, la «vittima»: Gianfranco Fini

dibilità di Libero in generale e Belpietro in particolare. Italo Bocchino ha aggiunto: «Belpietro aveva l’ansia di tirar fuori queste fandonie prima che lo facesse Il Giornale e così ha fatto la frittata», comunque «spero che si ravveda e chieda scusa al presidente della Camera». L’altro dioscuro finiano, Carmelo Briguglio, passa invece alla presa in giro vera e propria: «Invece di riferire su un fantomatico attentato a Fini con lo scopo altrettanto fantomatico di colpire Berlusconi, Belpietro avrebbe il dovere di informare i suoi lettori sull’attentato contro di lui che, a quanto scrive Il Giornale, sarebbe anche questo fantomatico». E già, perché in tutto questo ieri il foglio di Sallusti sosteneva che la Procura di Milano s’è convinta che il caposcorta del direttore concorrente si sia inventato il tentativo di aggressione denunciato tre mesi orsono. «Vogliono annientarci», si lamenta Adolfo Urso, a cui fa eco Fabio Granata: «Bisogna essere consequenziali e indicare il mandante, che è Silvio Berlusconi». Conclusione: “Altro che moderatismo e responsabilità. Fli deve solo porre fine al berlusconismo». Elegante, infine, l’analisi di Flavia Perina sul giornale online Il Post: «Se il topic degli anni di piombo fu la teoria del doppio Stato, quello dei nostri anni di fango sarà il titolo dell’editoriale di Belpietro: Iniziano a girare strane storie. Le ‘strane storie’ non costano niente alzano polvere più di dieci chili di tritolo e sono perfettamente funzionali allo scopo di bloccare la democrazia italiana nel pantano dov’è». Mentre «una volta – scrive la deputata-giornalista nei passaggi politici più delicati scoppiavano le bombe, oppure venivano rapiti gli statisti, oggi si videoregistrano non meglio identificate escort: il salto di qualità democratico è evidente. Niente vittime, niente sangue, niente dispendiose operazioni di depistaggio, rischi penali bassissimi: l’effetto è lo stesso, ma tutto è molto più pulito, economico, light».

Con l’introduzione del federalismo fiscale ci sarà una stangata per i comuni meridionali? Il senatore Stradiotto fa bene ad usare il verbo al futuro: se pensiamo al presente e al passato dovremmo dire che sono i comuni e i cittadini del Nord ad essere stangati. C’è un’incredibile anomalia in Italia, per cui ci sono realtà che non riescono a uscire dallo stato di perenne emergenza e degrado, nonostante i fiumi di denaro pubblico che vengono convogliati dalle aree produttive. Pensiamo a Napoli che, con trasferimenti pari a 668 euro per abitante, contro una media nazionale di 387 euro, è un caso emblematico. Evidentemente non bastano solo i soldi pubblici a risolvere le situazioni di crisi, ma se noi continuiamo a tappare la falla e le emergenze con provvedimenti tampone, continuando cioè a mandare soldi su soldi, non faremo mai il bene di quelle popolazioni. Nel Sud ci sono tantissime persone oneste e per bene, c’è una società civile che deve essere liberata da una condizione in cui le risorse non sempre finiscono per finanziare i reali bisogni della gente, nemmeno quando servirebbero a risolvere situazioni drammatiche. L’emergenza rifiuti partenopea è il simbolo di un degrado che non si affronta solo con i soldi. Un conto è parlare di giusta solidarietà tra aree del Paese, un altro è voler mantenere una situazione di ingiustizia clamorosa, sottraendo risorse a quelle aree che sono il volano dell’economia nazionale: i vagoni che stanno in fondo al treno, se blocchiamo le locomotive, non avanzano, stanno fermi assieme a tutto il convoglio. Il federalismo fiscale ridistribuisce le risorse secondo criteri logici, adeguati agli standard europei, di quell’Europa avanzata, che non è disposta a finanziare gratuitamente le allegre gestioni altrui. Il federalismo fiscale diventerà, anche per le aree povere del Paese, l’occasione di rilancio, lo stimolo a individuare strade e vie d’uscita da degrado, emergenza e povertà, che oggi forniscono troppi alibi a una classe dirigente del “non fare”, capace solo di lamentarsi, di chiedere soldi allo Stato, spendendoli in maniera dissennata.

Roberto Ciambetti

L’IMMAGINE

Degustatore di cactus Ognuno si diverte come può... Andreas Malzan (nella foto) riesce a indovinare la specie di pianta grassa che ha sotto il naso tastandone le spine con la lingua PER I “BAMBOCCIONI” ITALIANI È L’AFFITTO IL GRANDE SCOGLIO L’Italia sarà anche il Paese dei “bamboccioni”, ma per andare via di casa i giovani hanno come primo ostacolo quello di pagare l’affitto di un alloggio. Se da noi non esiste a livello nazionale un piano organico di incentivi (solo iniziative sporadiche di singoli comuni o province e sempre per bando), in altri Paesi europei la situazione è ben diversa. In Italia, dove gli studenti assorbono circa il 15% del mercato degli affitti, le pochissime agevolazioni si esauriscono alla detrazione del 19% sui canoni di locazione derivanti da contratti stipulati da studenti universitari fuori sede per un importo massimo di 2633 euro, che genera una detrazione d’imposta massima pari a 500 euro. Previste anche detrazioni Irpef (fino a 991,60 euro l’anno) per i giovani, fino a 30 anni che prendono in affitto un immobile. La detrazione spetta, per un massimo di tre anni, e per redditi non superiori a 15.493 euro. In Spagna esiste, invece, la“reddito base per l’emancipazione”, cioè 210 euro di contributo mensile ai giovani tra 22 e 30 anni che vogliono vivere da soli e affittare casa. In aggiunta, altri 600 euro vengono concessi come prestito agevolato per pagare l’anticipo e 120 per i costi della fideiussione. Questo “reddito”può essere concesso per un massimo di quattro anni a chi è titolare di un contratto di affitto che corrisponda alla residenza e disponga di entrate regolari non superiori a 22.000 euro lordi l’anno. L’aiuto scatta in automatico, basta essere cittadini spagnoli o comunitari o stranieri regolarmente residenti in Spagna. Nella vicina Francia, due sono le agevolazioni destinate ai giovani, agli studenti e alle coppie senza figli con basso reddito: l’Apl destinato a chi prende in affitto da privati e l’Asl per chi ha un contratto di locazione per immobili convenzionati con lo Stato. In Germania esiste invece un permesso che dà diritto ad abitare in determinati alloggi, costruiti con fondi pubblici, e quindi con un canone d’affitto più basso. Possono richiedere questo permesso soltanto coloro che dispongono di un reddito esiguo, i quali possono ricevere, in determinate condizioni, anche un contributo per l’affitto, concesso dall’amministrazione locale. Ne beneficiano principalmente i giovani.

Giovanna Rossi e Isabella Tulipano


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on maggior forza rispetto alla Chiesa cattolica, quella ortodossa sottolinea che la “glorificazione” (equivalente ortodosso della canonizzazione) dei santi è un atto di Dio che la Chiesa si limita soltanto a riconoscere. Oltre ai miracoli e alla devozione popolare, tra i segni della scelta divina c’è la condizione incorrotta delle reliquie. Questa circostanza, benché non essenziale, è stata dichiarata pure nel caso del Santo Beato Fyodor Fyodorovich Ushakov (1744-1817), glorificato il 5 agosto 2001 nel monastero della Natività di Sanaksary, dove il santo trascorse in preghiera, in una cella solitaria, gli ultimi dieci anni di vita, dopo essersi spogliato delle sue ricchezze a favore dei poveri. Per quanto le foto scattate durante la riesumazione (avvenuta nel 1944) documentino che furono ritrovati solo il teschio, ossa e resti di spalline. Ad oggi la Chiesa cattolica ha proclamato almeno 10 mila santi, di cui 158 dal 1800 al 1960 e 482 dal solo Giovanni Paolo II (per la quasi totalità preti e monache o laici martirizzati). Dopo il Grande Scisma del 1054 ciascuna delle due Chiese, latina e greca, proclama i propri santi in modo indipendente, senza alcun riconoscimento reciproco. Questo è il retroscena del clamoroso documento, di imminente pubblicazione,

C

Dopo il Grande Scisma del 1054 ciascuna delle due Chiese, latina e greca, proclama i propri beati in modo indipendente, senza alcun riconoscimento reciproco da cui potrebbero dipendere la sorte di Julian Assange e gli equilibri strategici mondiali. Pare infatti che Putin abbia chiesto a Berlusconi di convincere papa Ratzinger a riconoscere la santità di Ushakov e che a tal fine il premier italiano abbia (con la mediazione di Renzi e Cacciari) segretamente convocato Margherita Hack per assistere insieme a lei, in una lussuosa dacia alla periferia di San Pietroburgo, alla proiezione di una versione restaurata di Korabli shturmuyut bastiony (Ships storm the bastions), con la famosa scena dell’entrata dei liberatori russi a Roma, acclamati dai papalini festanti. Come l’attento lettore ricorderà, infatti, nell’ambito dello “strappo” da Mosca, i comunisti italiani hanno diffuso la menzogna che Sebastopoli e la flotta russa del Mar Nero siano state create dal principe Potemkin (1739-91), costringendoci per mezzo secolo ad assistere alla proiezione della pazzesca boiata prodotta nel ventennale della rivolta dell’omonima corazzata e a recitare nei rituali remake girati sulla scalinata di Valle Giulia.

Ci hanno così tenuto nascosto che nell’estate 1943, su suggerimento dell’ammiraglio Nikolai Gerasimovich Kuznetsov (1904-74), Stalin decise di rettificare la verità storica sostituendo l’arrogante e monocolo favorito di Caterina II, con il contemporaneo e più longevo ammiraglio Ushakov, un provinciale che si era fatto da sé comandando il bianco yacht di Caterina II (altro che il panfilo Britan-

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Già patrono della Marina, l’Ammiraglio è stato beatificato nel 2001. M nia! capita l’antifona?) e che in 43 battaglie non aveva perso una sola nave. Creato il 3 marzo 1944, l’Ordine di Ushakov, terzo in rango dopo quelli della Vittoria e della Bandiera Rossa e alla pari con quello di Suvorov (esercito), è stato concesso solo 241 volte. Nel 1953 Kuznetzov mise Sebastopoli e la Flotta del Mar Nero a disposizione del regista Mikhail Romm (1901-71) per girare due film, il primo (Admiral Ushakov) dedicato alla bonifica della Crimea, alla creazione di Sebastopoli e dell’arsenale di Kherson (1783-87), ai conseguenti contrasti con Potemkin e alle grandi vittorie navali di Fidonisi,Tendra, Stretti di Kerch e Capo Caliacria nella settima guerra russo-turca (1789-91); l’altro (Korabli shturmuyut bastiony) alla campagna navale del 1799 nel Mediterraneo, con l’espugnazione di Corfù (donde il titolo “navi contro bastioni”), le crociere su Messina e Malta, e il concorso russo (e ottomano!) alla riconquista sanfedista di Napoli, all’entrata degli alleati a Roma e agli assedi di Ancona e di Genova, con i conseguenti contrasti con Nelson fino alla disgrazia di Ushakov decretata dal nuovo zar Alessandro I. Kuznetzov fu bruscamente rimosso dal comando delle forze navali nel dicembre 1955, quasi certamente a seguito della misteriosa esplosione della corazzata Novorossiysk (ex-italiana Giulio Cesare), saltata in aria nel porto di Sebastopoli il 28 ottobre 1955 con un bilancio di 608 vittime: il fatto, conosciuto in Occidente almeno dal 1956, fu ufficialmente ammesso in Russia solo nel 1986.

Nel 1992 il settimanale Sovershenno Secretno (Top Secret) ipotizzò che una carica esplosiva, collocata a bordo nel dicembre 1948 all’atto della consegna della Giulio Cesare alla marina sovietica come riparazione di guerra, fosse stata attivata a distanza da un commando di reduci della Decima Mas capeggiati da Junio Valerio Borghese (190674) e da Gino Birindelli (1911-2008), futuro capo di stato maggiore della marina italiana e parlamentare, i quali avrebbero forzato le difese della base navale russa per fare pubblicità a un nuovo tipo di barchini d’assalto costruiti dall’industria navale italiana. Forse anche grazie ai film di Romm, il culto di Ushakov sopravvisse alla disgrazia di Kuznetzov. Al punto che nel 1978 il suo nome fu dato al “pianeta 3010”, uno dei 267 asteroidi scoperti presso l’Osservatorio Astrofisico della Crimea da Ljudmila Ivanovna Cernych (1935). Sempre grazie alla cinepresa di Rumm, Ushakov è sopravvissuto pure alle traversie subite dalla Russia nell’ultimo quarto di secolo. Ancora Gorbaciov gli dedicò uno degli ultimi francobolli da 5 copechi emesso nel 1987 dalle poste sovietiche. Malgrado la canonizzazione della famiglia imperiale russa sterminata dai bolscevichi nel 1917, proclamata il 19 ottobre 1981 dalla Chiesa russa in esilio e recepita ufficialmente il 15 agosto 2000 dal Patriarcato di Mosca, e malgrado la rivalutazione politica dei Romanov, la nuova Russia di Putin non ha ripristinato il culto zarista di Potemkin. Insieme alla glorificazione, nel 2001 Ushakov è stato infatti proclamato

Il Santo di Putin

Il Primo ministro russo vuole che il Vaticano riconosca la beatificazione di Fyodor Fyodorovich Ushakov, protettore dei bombardieri nucleari. E ha chiesto l’aiuto di Berlusconi di Virgilio Ilari patrono della Marina russa. Fin qui, sia pure con qualche protesta dell’ala progressista e pacifista, il Vaticano potrebbe pure starci, soprattutto tenendo conto del precedente di Pio XII, che concesse il Patronato Mariano ai militari cattolici delle Forze Armate americane l’8 maggio 1942 (proprio alla vigilia della vittoria di Midway contro la flotta nip-

ponica alleata del Regno d’Italia), e poi all’Arma dei Carabinieri (11 novembre 1949) perdonandole dopo le elezioni del 18 aprile e l’adesione al Patto Atlantico qualche marachella anticlericale del lontano passato. E del fatto che nel 1942, durante l’assedio di Mosca, l’ex seminarista di Tbilisi prese in considerazione la proposta di far sfilare in pro-


il paginone

Ma è su richiesta di Alessio II che è diventato “testimonial” dell’atomica

Nella foto grande, alcuni membri della Chiesa ortodossa russa. Qui sopra, due stampe dedicate a Fyodor Ushakov

cessione l’icona della Vergine, acclamata come protettrice dell’Armata Rossa (del resto nel primo film di Romm c’è la scena della benedizione del vascello San Paolo, ammiraglia di Ushakov: e in Guerra e Pace di Bondarchuk c’è quella ancora più epica della processione prima della battaglia di Borodino, con Kutusov e i veterani che si segnano al passaggio dell’icona della Vergine). In via estremamente riservata, prego i nostri influenti lettori di informare Palazzo Chigi di una circostanza che potrebbe creare Oltretevere un ostacolo forse insormontabile alla canonizzazione cattolica di Ushakov, o quanto meno un forte imbarazzo. Si tratta del fatto che l’Ammiraglio è diventato oggetto di una guerra intestina e spietata tra la marina e l’aviazione russa! Infatti quest’ultima ha ottenuto non solo una nuova canonizzazione dell’eroe, avvenuta nel 2004 nella cappella della 37a Armata aerea a Mosca; ma addirittura, il 25 settembre 2005, la concessione da parte del patriarca Alessio II del patronato dei bombardieri nucleari a lungo raggio! Dopo un consulto con Gianni Letta e Bruno Vespa, mi permetterei di suggerire al Cavaliere di esplorare la disponibilità di Putin a intervenire sul Patriarca e sul colonnello generale Alexander Zelin, comandante in capo della Voyennovozdushnye sily, perché accettino di estendere il patronato pure alle forze nucleari subacquee: se necessario, posso fornire una videocassetta di Caccia a Ottobre rosso. Nel frattempo, vorrei offrire al curioso lettore qualche osservazione storica in margine ai due bei film di Romm,

entrambi caricati in lingua originale su youtube rispettivamente in 11 e 9 video di 10 minuti. Ushakov e Potemkin sono interpretati da Ivan Pereverzev (191478) e Boris Livanov (1904-72), che aveva recitato in Ottobre e Il Disertore. Il personaggio oggi più famoso del cast è però Sergei Bondarchuk (1920-94), il futuro regista di Guerra e Pace (1965-67), che nei film di Romm interpreta Tikhon Alekseevich Prokofiev, un giovane ufficiale che nel film si immagina ucciso a tradimento da un levantino dopo aver appena espugnato la fortezza di Corfù. La scena dello sbarco travolgente dei marines e dei granatieri russi, della scalata alle mura, della bandiera con la croce di Sant’Andrea piantata sul torrione, degli ufficiali francesi che rendono la spada, è davvero bella e ben trovata. Peccato che sia inventata di sana pianta, perché il grosso delle truppe erano ottomani e albanesi, e perché Ushakov rimase inattivo per quattro mesi finché il 21 febbraio 1799 non arrivarono da Messina il commodoro Stuart e un ufficiale inglese del genio. Altrettanto immaginari sono i ripetuti colloqui di Ushakov con Nelson in presenza della dissoluta coppia formata da Lord e Lady Hamilton e con l’occasionale intervento della regina di Napoli Maria Carolina d’Austria, isterica sorella di Maria Antonietta di Francia. Romm suggerisce allo spettatore che Ushakov fosse perseguitato dai monocoli, prima Potemkin e poi Nelson, lui pure geloso dell’ammiraglio russo, nonché un criminale di guerra che faceva fucilare i prigionieri repubblicani. E così pure la spada che il colonnelle Mejan, comandante di Sant’Elmo, avrebbe consegnato a Ushakov; nonché l’ingresso trionfale dell’ammiraglio a Roma; e l’allontanamento della squadra russa dal blocco di Malta (allora occupata dai francesi), voluto da Nelson per non sottostare all’autorità del collega russo, più anziano in grado. La banale verità è infatti che dopo la capitolazione di Corfù (4 marzo 1799) Ushakov rimase inattivo nello Ionio, limitandosi a sbarcare a Manfredonia appena 390 dei 3mila granatieri speditigli via Trieste da Suvorov. Furono quei 390, comandati da Henry Baillie, un irlandese al servizio russo, l’unico sostegno russo, insieme a un contingente ottomano di albanesi musulmani, all’Armata della Santa Fede guidata dal cardinale Ruffo che il 14 giugno entrò in Napoli.

La resa dei Castelli, confermata da Mejan dopo la revoca, imposta da Ferdinando IV e da Nelson, dei patti stipulati da Ruffo che salvaguardavano i repubblicani, fu approvata solo per mera accessione dai comandanti dei contingenti russo e turco, Baillie e Acmet. La resa di Roma fu stipulata il 29 settembre 1799 col comandante di una corvetta inglese che da Fiumicino aveva risalito il Tevere, e sul Campidoglio fu issata l’Union Jack. I romani accolsero festanti, è vero, i 450 granatieri russi entrati nella Città Santa il 3 ottobre: ma furono festeggiati non solo e non tanto perché venivano a restaurare il Papa, ma perché impedivano di entrare ai 2mila briganti capeggiati da fra Diavolo, che furono rimandati in Ciociaria. A volte mi iscriverei al gruppo nostalgico “Addavenì”e co-

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sì mi sono guardato commosso la scena dell’ingresso dei russi a Roma, caricata su youtube da Fatum1963 e da russianpatriot. Ma qui casca l’asino: immaginate le bellezze di Sebastopoli che tentano di fare le trasteverine, una piazza San Pietro col cupolone sfumato sullo sfondo e il colonnato ... non solo poggiato su un basamento preso dai kolossal dell’antichi romani, ma che invece di protendersi dalla Basilica la fronteggia! Senza contare che appena pochi mesi dopo l’idea geniale di Kuznetzov e l’ingresso di Togliatti nel governo Badoglio, a Roma c’era entrato Mark Clark, percorrendo in jeep lo stesso tragitto dei russi del 1799 dal Campidoglio a San Pietro. Quanto all’atteggiamento di Nelson sulla partecipazione russa al blocco di Malta, la questione non stava nella supposta gelosia, ma nelle mire russe sull’arcipelago strategico. Benché ortodosso, lo zar si era infatti autonominato Gran Maestro dell’Ordine Gerosolimitano e aveva dato ospitalità a San Pietroburgo ai cavalieri che non avevano accettato lo scioglimento imposto dalla Lingua francese dopo lo sbarco di Bonaparte e firmato dall’ultimo gran maestro von Hompesch. In ogni modo Nelson sollecitò più volte il promesso arrivo dei granatieri e delle navi russe.

Le navi arrivarono a Palermo il 15 agosto: ma non erano quelle di Ushakov, bensì la squadra del Baltico (Kartzov). Infine i film danno per scontato che il personale della flotta del Mar Nero fosse composto esclusivamente da russi. Questo era vero nel 1905, ma non certo nel Settecento: in realtà sia gli ufficiali che i marinai erano un’accozzaglia di tutte le nazionalità, in cui abbondavano croati, dalmati, veneziani e albanesi. Nel primo film figura pure il conte Giorgio Voinovich, di origine croata ma appartenente ad una delle primarie case commerciali di Trieste e comandante di varie crociere contro i corsari

All’illustre militare conteso anche dall’ Aeronautica Gorbaciov dedicò uno degli ultimi francobolli da 5 copechi emesso nel 1987 dalle poste sovietiche turchi. Non se ne parla invece nel film sul 1799, benché fu proprio dell’anno che comandò una divisione navale russo-turca all’assedio di Ancona. Secondo il diarista francese Mangourit avrebbe commesso ripetute violazioni dell’umanità e del diritto di guerra, ragion per cui gli austriaci accolsero la richiesta francese di escluderlo dall’atto di resa. Fu questo sgarbo a decidere Paolo I ad uscire dalla coalizione e allearsi con Napoleone. Il giorno (23 marzo 1801) in cui fu assassinato, (in una congiura di palazzo avallata dal figlio Alessandro), 30mila cosacchi stavano marciando verso la Persia e l’India per cooperare coi resti dell’Armée d’Orient abbandonata da Bonaparte in Egitto. Di tutto ciò, troppo complicato, Romm non parla; Paolo I compare di sfuggita; e neppure spiega la disgrazia di Ushakov, decretata da Alessandro dopo la pace di Tilsit (1807) che brevemente rialzò le sorti del partito eurasista e antibritannico. Multa renascuntur quae iam cecidere.


mondo

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Se Al Bashir non riconoscerà l’indipendenza, scoppierà un nuovo conflitto. Un’ipotesi tutt’altro che peregrina, visto che il petrolio sta a meridione

Sudan all’ultimo voto Nel Sud cristiani e animisti, nel Nord gli islamici: a gennaio decideranno se separarsi. Con un referendum di Antonio Picasso stato calcolato che, nel caso il referendum per l’indipendenza del Sud Sudan non venisse celebrato, la guerra che di conseguenza ne scoppierebbe verrebbe a costare circa 100 milioni di dollari. Il 9 gennaio del prossimo anno è fissato uno degli appuntamenti elettorali più importanti di tutta l’Africa. Sulla base del Comprehensive Peace Agreement (Cpa), l’accordo firmato nel 2005 alla fine della ventennale guerra civile fra Khartoum e gli indipendentisti delle regioni meridionali del Paese, è previsto che la popolazione scelga se restare sotto la giurisdizione delle autorità sudanesi, oppure staccarsene progressivamente, nell’ottica di formare uno Stato indipendente. A circa due settimane dal voto, si può fare un riepilogo di questi sei anni trascorsi in attesa del 9 gennaio 2011. Il governo di unità nazionale presieduto da Omar al-Bashir, al potere in realtà già dal 1989, ha mancato sostanzialmente tutti gli impegni previsti dal Cpa. In questo periodo di relativa pace, avrebbe dovuto agevolare lo sviluppo economico della regione e favorire l’affermazione di una pubblica amministrazione locale.

È

Grazie alla condivisione delle reddite petrolifere, fra Khartoum e Juba, il Sud Sudan avrebbe dovuto creare un sistema economico autonomo, per quanto simile a quello del Sudan settentrionale. Tuttavia, gli osservatori stranieri concordano nel sostenere che le regioni meridionali del Paese sono cadute nella morsa della corruzione. La presenza di una qualche autorità statuale è percepibile a Juba e comunque solo ai minimi termini. Le zone rurali sono invece infestate dai elementi di criminalità variegata. Banditismo legato al traffico di armi, flussi migratori illegali e tribù rivali fra loro impediscono l’effettiva pacificazione del territorio.

Il Nord del Sudan, al contrario, sta beneficiando, per quanto lentamente, dei proventi petroliferi. La maggior parte dei Paesi asiatici - Cina, India e Malesia in particolare - e quelli della Lega Araba si sono dimostrati indifferenti al fatto che sul presidente Bashir penda un mandato di arresto da parte del Corte penale internazionale (Cpi). Il Tribunale con sede a L’Aja intende procedere contro il leader sudanese per crimini di guerra, contro l’umanità e per genocidio. Reati che Bashir avrebbe commesso proprio durante il conflitto in Sud Sudan e, contemporaneamente, in Darfur. Ebbene, pur di fronte a un’immagine tanto compromessa per le istituzioni sudanesi, molti governi preferiscono

un’eventuale secessione del Paese. Il governo sudanese non ha fatto nulla per costruire un futuro rapporto fiduciario con uno Stato indipendente prossimo venturo. Nel Sud Sudan, a sua volta, non esiste nulla che dia l’idea di un’autorità locale in via di assunzione del potere.

Questioni chiave come la cittadinanza, la gestione delle risorse naturali, idriche e petrolifere soprattutto, ma anche la moneta, la sicurezza e i trattati internazionali, devono essere ancora affrontate. Il Cpa sottolinea che questi argomenti dovrebbero essere impugnati nel periodo di transizione di sei mesi successivi al referendum. Ma l’assenza di un chiaro percorso negoziale preoccupa

In meno di dieci anni i conflitti nel Paese e in Darfur hanno provocato complessivamente 2,5 milioni di morti e 7 milioni di profughi mantenere aperti i canali del dialogo e soprattutto degli scambi economici. Cinicamente, a loro giudizio, non si può rinunciare alle risorse petrolifere del Paese nordafricano per una effimera questione di diritto umanitario e internazionale. Effimera si fa per dire, visto che i conflitti in Sud Sudan e in Darfur hanno provocato complessivamente 2,5 milioni di morti e 7 milioni di profughi. È strano, ma nei calcoli effettuati sull’eventualità di una nuova escalation, ci si è limitati a un bilancio economico. Chissà invece quanti sarebbero i morti. Ecco allora che il referendum rappresenta un redde rationem per Bashir e una possibile conclusione per questo lungo periodo di stallo per il Sud Sudan. Una recente analisi dell’International Crisis Group ha messo in evidenza la totale impreparazione sia di Khartoum sia di Juba per

molti analisti, soprattutto se si considera che la sfiducia tra le parti rimane fortissima. Il problema fondamentale riguarda la definizione dei confini. Gli accordi del 2005 indicavano la necessità di affrontare il problema nel periodo immediatamente successivo alla pace. La separazione territoriale interessa diverse aree aspramente contese fra Khartoum e Juba. Dopo sei anni, però, le relative contro-

A destra, un donna del Sud Sudan si registra per poter andare a votare. In basso: Luis Moreno Ocampo, il procuratore del Tpi dell’Aia che ha incriminato il dittatore sudanese Al Bashir per crimini contro l’umanità

versie restano irrisolte. Spina nel fianco di entrambe le parti è il distretto di Abyei, dove le peculiarità geografiche, etniche e politiche del Sud e del Nord si mischiano inestricabilmente. Un referendum per definire lo status di Abyei, che inizialmente si sarebbe dovuto tenere insieme a quello del 9 gennaio, è stato rinviato a data da destinarsi. Negli ultimi mesi, la regione è stata progressivamente militarizzata, sia da parte dell’esercito di Khartoum sia dalle milizie dei Misseriya; tribù nomadi del Nord che stagionalmente migrano in Abyei per sfruttarne i pascoli, e che rivendicano il diritto di esprimere il loro voto nel referendum che deciderà il destino della regione. A questi si aggiunge il Sudan People’s Liberation Army (Spla), il braccio armato dell’ Sudan People’s Liberation Movement (Splm). Un’altra fonte di tensioni riguarda la spartizione delle risorse petrolifere. Il 75% di quelle a disposizione del Sudan si trova nel Sud del paese. Da qui dovrebbero partire gli oleodotti e i gasdotti diretti a Port Sudan, per rifornire le grandi petroliere dirette in Estremo oriente. In realtà, è l’economia di tutto il Sudan a essere esposta al rischio di separazione del Paese. Si ritiene che circa 1 milione e mezzo di sudanesi del Sud vivano al Nord. Molti di loro si offrono come manodopera di basso costo nelle industrie straniere vicine alla capitale. Vicever-

sa, circa 6 milioni di nomadi del Nord trascorrono otto mesi all’anno nel Sud Sudan, in cerca di acqua e di pascoli per il loro bestiame. Cosa accadrebbe allora se l’appuntamento del 9 gennaio non venisse rispettato? Coloro che hanno calcolato le spese di un potenziale conflitto, ne danno per scontato lo scoppio. Bashir quindi si trova con le spalle al muro. Egli è il primo infatti a non volere il referendum. D’altro canto si può permettere il lusso di una guerra?

La scissione del Sud Sudan provocherebbe la perdita di una miniera d’oro per il suo governo. Petrolio, pascoli e, last but not least, il bacino del Nilo - che proprio a Juba, tra la quinta e la settima cateratta, raggiunge la sua massima portata - verrebbero abbandonate. Tutto questo per il Sudan vorrebbe dire un collasso economico quasi certo. Senza contare, inoltre, lo smacco di immagine che Bashir, già compromesso per la questione del Tpi, riceverebbe. Senza il referendum, però, si aprirebbe un conflitto dalle dimensioni inimmaginabili. Visto il contesto, si tratterebbe di una guerra dalle caratteristiche proprie dell’Africa. Come già accaduto in passato infatti, i due rivali si fronteggerebbero per lo sfruttamento dei campi fertili vicini al Nilo. Utili sia per i pastori nomadi, che fanno riferimento a Khartoum, ma altrettanto utilizzabili dagli agricoltori locali. Sarebbe poi uno scontro in seno al mondo arabo-islamico, quindi religioso. Il Sudan fa parte della Lega Araba e il suo presidente ha imposto la Shari’a. D’altra parte, il Sud del Paese è abita-


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rak in persona sono giunti in visita a Khartoum per incontrare il presidente Bashir. Scopo del summit era sondare gli spazi per un ulteriore compromesso. Né l’Egitto né la Libia sono favorevoli all’indipendenza del Sud Sudan. Temono l’effetto domino che si potrebbe innescare e il coinvolgimento delle istanze indipendentiste all’interno dei loro rispettivi confini.

to da comunità animiste e cristiane, le quali hanno pagato già un duro prezzo di sangue per la loro sottomissione a Khartoum. Infine non si può

dimenticare il tangenziale coinvolgimento dei governi stranieri. Da quello asiatici agli Usa, passando per l’Unione africana. L’Europa, dal can-

to suo, sembra essere l’unica a non essersi impegnata a fondo per evitare un’escalation. Proprio per questo, la settimana scorsa Gheddafi e Muba-

La paura è quella di avere una “Jugoslavia all’africana”. Per questo dal Cairo è giunta la proposta di realizzare una Confederazione sudanese. Questa dovrebbe tenere unite sotto un’unica bandiera le istituzioni di Khartoum e Juba, ma al tempo stesso riconoscerne l’identità autonoma. La soluzione avrebbe il pregio di garantire gli interessi comuni ai due Paesi. Potrebbe smorzare le tensioni nelle aree contese e disinnescare le principali cause di un possibile conflitto. Tuttavia, alla luce dell’attuale livello di sfiducia reciproca fra le parti, una soluzione del genere appare difficilmente realizzabile. Il defunto leader dell’Splm, John Garang, aveva proposto una soluzione di questo tipo ai negoziati di pace in Kenya fra il 2002 e il 2005, ma l’idea era stata rifiutata da Bashir. Solo nel 2008,

Khartoum si è detta disposta a prendere in esame la questione, probabilmente quando era ormai troppo tardi. Del resto, va ammesso che l’adozione di un modello federale per un Paese politicamente così arretrato com’è il Sudan appare anacronistico. Al contrario, ragionando in termini di realpolitik, se Bashir non può evitare il referendum, forse può ancora vincerlo. Promettendo un alleggerimento della Shari’a, proprio nella zona di Juba, ma soprattutto “comprando” gli uomini dell’Splm - facilmente corruttibili - si assicurerebbe il voto di molte comunità locali.

È logico che anche questa opzione ha i suoi rischi. Il presidente sudanese si è dimostrato più volte di essere un Giano bifronte. Ha saputo patteggiare con l’Islam salafita. Tant’è che fu proprio il Sudan a ospitare le prime cellule di al-Qaeda e a dare un esilio a Osama bin laden quando questo fu cacciato dall’Arabia Saudita. Poi però Bashir ha abbandonato il Corano. Ha arrestato Hassan al-Turabi, l’ideologo dell’integralismo. Se oggi scegliesse un orientamento ancora più laico in favore del Sud Sudan, come reagirebbero i suoi sostenitori del Nord?


quadrante

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Messico, rapita l’ultima poliziotta

Khodorkovsky: Mosca furiosa

CITTÀ DEL MESSICO. Era l’ultima poliziotta rimasta a Guadalupe, cittadina di frontiera dello stato di Chihuahua, in Messico, piegata dallo strapotere dei narcotrafficanti. Ed è stata rapita in casa nella notte fra lunedì e martedì da un commando di uomini armati. Lo ha confermato l’ufficio del procuratore generale, precisando che la donna, 28 anni, era entrata in polizia a giugno. Dopo l’omicidio di un funzionario delle forze dell’ordine, infatti, molti agenti avevano rinunciato all’incarico a Guadalupe e la Gandara era rimasta sola. Nella località di circa 10 mila abitanti ci sono stati decine di omicidi quest’anno. La poliziotta, sempre armata, diceva di avere paura come tutti gli altri, ma che doveva fare il suo dovere.

MOSCA. Le critiche arrivate da Washington e dall’Europa per la nuova condanna dell’ex magnate petrolifero Mikhail Khodorkovsky sono «inaccettabili». È quanto ha dichiarato un portavoce del ministero degli Esteri russo puntando il dito contro ogni tentativo di ingerenza nel sistema giudiziario russo. «I tentativi di fare pressioni sul corso del processo sono inaccettabili», ha detto il portavoce. «In relazione alle dichiarazioni di Washington e di una serie di capitali dell’Unione Europea sul processo, vogliamo tornare a sottolineare che questa è una questione di competenza del sistema giudiziario russo». E intanto si aspetta che il giudice Viktor Danilkin decida gli anni di ulteriore prigionia dell’ex magnate.

Iran, impiccata una spia di Israele TEHERAN. Un iraniano condannato per spionaggio in favore di Israele è stato impiccato ieri nel carcere di Evin, a Teheran. Lo ha reso noto la Procura della capitale iraniana, aggiungendo che nella stessa prigione sempre ieri è stato giustiziato un altro uomo, riconosciuto colpevole di appartenenza ai Mujaheddin del Popolo, la maggiore organizzazione di opposizione armata al regime iraniano. Nel omunicato si afferma che la spia di Israele, Ali-Akbar Siadat, ha passato informazioni al servizio segreto di quel Paese, il Mossad, dal 2005 al 2008, quando fu arrestato. Siadat avrebbe incontrato gli agenti israeliani durante viaggi in Turchia, Olanda e Thailandia e avrebbe ricevuto complessivamente 60mila dollari.

Da almeno un mese in Gran Bretagna è scattata una grande operazione antiterrorismo con decine di arresti

Londra nel centro del mirino Fra gli obiettivi, anche l’ambasciata Usa. «Vogliono la strage» di Osvaldo Baldacci a minaccia terrorismo sotto Natale era reale, a quanto pare. Al Qaeda o chi per lei voleva davvero compiere un attentato spettacolare per piegare la Gran Bretagna. Almeno questo è quello che hanno pensato anche i giudici, dopo l’allarme diramato dai servizi segreti e gli arresti compiuti dalle forze di sicurezza. Lunedì nove persone sono state incriminate per terrorismo. Erano stati arrestati all’alba del 20 dicembre dalle forze di polizia in una serie di raid compiuti a Londra, Cardiff, Stoke on-Trent. Tre degli arrestati quel giorno sono stati rilasciati senza alcuna accusa, ma per gli altri nove è scattata l’imputazione per terrorismo. «Oggi ho raccomandato alla polizia che i nove uomini vengano incriminati con l’accusa di aver ordito una cospirazione per compiere attentati esplosivi e per aver adottato una condotta in preparazione di atti di terrorismo con l’intenzione di commetterli o di aiutare qualcun altro a farlo», ha detto in una nota Sue Hemming, capo della divisione antiterrorismo della Procura della Corona. «Ho verificato le prove fornitemi dall’Unità antiterrorismo di West Midlands e sono soddisfatta che siano sufficienti per una realistica previsione di condanna, ed è nell’interesse del pubblico che questi uomini siano incriminati con queste imputazioni», ha aggiunto Hemming.

«Ho chiesto alla polizia che i 9 uomini vengano incriminati con l’accusa di aver ordito un piano per compiere attentati esplosivi e per aver preparato atti di terrorismo con l’intento di commetterli o di aiutare qualcun altro a farlo», ha detto in una nota Sue Hemming, capo della divisione antiterrorismo della Procura

L

I nove già lunedì sono comparsi davanti a un tribunale a Westminster. Secondo gli investigatori tra ottobre e il 20 dicembre, quando sono scattati gli arresti, gli uomini avevano scaricato da Internet informazioni su come preparare ordigni, fatto ricerche e discusso di bersagli potenziali, condotto ricognizioni e «acceso e testato materiale infiammabile». Il comunicato della polizia dice che tra il primo ottobre e il 20 novembre i sospetti hanno cospirato per «provocare un’esplosione di una natura destinata probabilmente a mettere in pericolo vite o a causare seri danni a proprietà». «Sono stati tutti arrestati perché sospet-

tati di commissionare, preparare o istigare atti di terrorismo nel Regno Unito», ha commentato un portavoce della polizia. Ma nel mirino c’era anche l’ambasciata Usa a Londra, come ha confermato ieri da Washington Mark Toner, portavoce del Dipartimento di Stato americano. Secondo il Times la cellula «aveva sospetti legami con figure all’estero», ed era quindi operativamente collegata con le basi di al-Qaeda in Pakistan o in qualche altro paese. Al momento dell’arresto i dodici erano da settimane sotto sorveglianza. Il piano, rivela il Times, non era quello di un assalto armi alla mano stile-commando (come a Mumbay) ma piuttosto un attacco con esplosivi, probabilmente ordigni rudimentali (ma efficacissimi) rea-

lizzati con fertilizzanti. I nove incriminati hanno tra i 19 e i 28 anni e sarebbero in prevalenza britannici insieme ad alcuni originari dal Bangladesh. In Gran Bretagna, quest’anno, l’allarme su possibili attacchi di estremisti è più alto di quanto non lo fosse l’anno scorso: a gennaio il livello di pericolo è stato infatti innalzato da “importante”a “grave”, con attentati considerati “molto probabili”.

Lo stesso ministro degli interni, Theresa May, ha affermato: «Sappiamo di dover affrontare una minaccia seria e molto concreta. Per questo vorrei ringraziare le forze dell’ordine». L’operazione del 20 dicembre sfociata nelle incriminazioni di ieri è la più importante retata antiterrorismo in Gran Bretagna

dall’aprile 2009, quando altre dodici persone furono arrestate per la pianificazione di un attentato in un centro commerciale di Manchester. Tutti gli arrestati però furono in seguito rilasciati senza alcuna accusa a loro carico, anche se alcuni furono espulsi dalla Gran Bretagna. Negli stessi giorni degli arresti inglesi in Svezia si è verificato un attentato suicida che però sarebbe privo di qualsiasi collegamento con l’operazione britannica. L’Inghilterra è già stata teatro di attentati terroristici nel luglio 2005, quando a Londra diversi attentatori suicidi colpirono tre stazioni della metropolitana e una degli autobus facendo 52 morti tra la popolazione. Quindici giorni dopo l’attacco terroristico si ripeté ma senza ottenere un esito


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e di cronach

Direttore Editoriale Ferdinando Adornato

Cristiani, bagno di sangue in Nigeria, oltre 80 morti ABUJA. Sono almeno 80 le persone morte negli attentati e negli scontri alla vigilia di Natale tra giovani cristiani e musulmani a Jos nella Nigeria centrale. Lo ha reso noto l’Agenzia per la gestione delle emergenze nazionali, Nema, spiegando che in questo modo il bilancio nazionale è salito a 86 vittime. Negli ospedali sono 189 i feriti ricoverati. Gli attentati sono stati rivendicati da una setta islamica. In un comunicato su Internet un gruppo dal nome Jama’atu Ahlus-Sunnah Lidda’Awati Wal Jihad,“Coloro che sono impegnati negli insegnamenti del Profeta e nella diffusione della Jihad”, hanno invocato «le nazioni del mondo ad accogliere la verità che gli attacchi a Jos e Borno alla vigilia di Natale» sono stati effettuati dal gruppo sotto la leadership di Abu Muhammad. Nella nota si legge anche che gli attentati sono una risposta «alle atrocità commesse contro i musulmani in quelle aree e nel paese in generale» e che «continueranno

Direttore da Washington Michael Novak Consiglio di direzione Giuliano Cazzola, Francesco D’Onofrio, Gennaro Malgieri Ufficio centrale Gloria Piccioni (direttore responsabile) Nicola Fano, Errico Novi (vicedirettori) Vincenzo Faccioli Pintozzi (caporedattore) Antonella Giuli (vicecaporedattore) Franco Insardà, Luisa Arezzo Stefano Zaccagnini (grafica)

contro i miscredenti, i loro alleati e contro tutti coloro che li aiutano». A Jos intanto la polizia ha evitato una possibile strage in una chiesa.Tre, due di nazionalità nigeriana e uno proveniente dal Ciad, sono stati arrestati dopo essere stati trovati in possesso di bombe. Secondo gli investigatori stavano per colpire una chiesa. Gli arrestati, ha rivelato la Cnn, sono stati bloccati nella zona di Dogon Dutse ed erano anche sospettati per gli attacchi che a Natale.

Da sinistra: il primo ministro David Cameron, un poliziotto e Theresa May, ministro degli Interni

Redazione Mario Accongiagioco, Massimo Colonna, Giancristiano Desiderio, Francesco Lo Dico, Francesco Pacifico, Riccardo Paradisi, Clara Pezzullo (segreteria) Inserto MOBYDICK (Gloria Piccioni) Collaboratori Maria Pia Ammirati, Mario Arpino, Bruno Babando, Giuseppe Baiocchi, Sergio Belardinelli, Stefano Bianchi, John R. Bolton, Mauro Canali, Franco Cardini, Carlo G. Cereti, Enrico Cisnetto, Claudia Conforti, Renato Cristin, Francesco D’Agostino Anselma Dell’Olio, Alex Di Gregorio Gianfranco De Turris, Rossella Fabiani, Pier Mario Fasanotti, Marco Ferrari, Aldo Forbice, Antonio Funiciello, Giancarlo Galli, Pietro Gallina, Roberto Genovesi, Aldo G. Ricci, Filippo La Porta, Maria Maggiore, Paolo Malagodi, Marzia Marandola, Andrea Margelletti, Adriano Mazzoletti, Gabriella Mecucci, Roberto Mussapi, Francesco Napoli, Ernst Nolte, Emanuele Ottolenghi, Jacopo Pellegrini, Adriano Petrucci, Leone Piccioni, Francesca Pierantozzi, Daniel Pipes, Marina Pinzuti Ansolini, Gianfranco Polillo, Loretto Rafanelli, Franco Ricordi, Carlo Ripa di Meana, Roselina Salemi, Katrin Schirner, Emilio Spedicato, Davide Urso, Marco Vallora, Sergio Valzania Società Editrice Edizioni de L’Indipendente s.r.l. via della Panetteria, 10 • 00187 Roma Amministratore Unico Ferdinando Adornato

analogo. La tensione terrorismo in Gran Bretagna è molto alta anche in vista delle Olimpiadi di Londra del 2012, un evento mondiale che sempre attrae grandi attenzioni anche da parte degli estremisti violenti. Anche perché quello che cercano i terroristi è una ribalta internazionale.

Fu proprio su questo piano che i britannici vinsero la sfida del 2005 riuscendo a contenere l’impatto mediatico degli attentati sui mezzi di trasporto durante il G8, tanto da costringere al-Qaeda a ripetere frettolosamente e in modo fallimentare l’attentato. D’altro canto però la Gran Bretagna si trova ad affrontare più di altri una questione spinosa, quella della comunità islamica. Immigrati di seconda o terza generazione, cittadini a pieno titolo, per la maggior parte ottimamente integrati e anzi componente importante del ceto produttivo, i britannici di origine asiatica o africana sono moltissimi e possono nascondere tra loro esponenti estremisti contrari all’integrazione, collegati direttamente a movimenti della galassia qaedista, ma anche semplicemente fanatizzati e desiderosi di compiere imprese eclatanti. Cosa oggi alla portata di tutti, e per questo ancor più pericolosa. Se infatti per il controspionaggio britannico, l’MI5, il gruppo incriminato aveva relazioni con reti internazionali di terrorismo, è altrettanto vero però che sembra che le istruzioni per costruire bombe le hanno potute

La banda aveva già tutte le istruzioni per costruire gli ordigni e aveva condotto operazioni di ricognizione scaricare da Internet, dove hanno imparato a costruire temibili ordigni utilizzando “ingredienti” facilmente acquistabili sul comune mercato. Il mix esplosivo di rancori etnico-sociali e fanatismi religiosi uniti alla facilità di reperire istruzioni e materiali rappresenta per la Gran Bretagna, come per tutto l’Occidente, una minaccia forse ancora più diffusa e quindi grave rispetto alle “normali” organizzazioni terroristiche. D’altro canto non giova la contrapposizione crescente tra movimenti xenofobi e razzisti da un lato e dall’altro movimenti fanatici, come quello che prima di Natale ha lanciato una campagna contro questa festa cristiana con una serie di provocazioni che intendono in un prossimo futuro convertire all’islam l’Europa. E non giova nemmeno la crisi economico e sociale che riguarda il mondo

intero ma che in queste ultime settimane è tornata a farsi sentire pesantemente in Gran Bretagna, anche a causa dell’instabilità che minaccia direttamente l’Irlanda e quindi di conseguenza indirettamente ma pur sempre da molto vicino la Gran Bretagna.

Crisi che pesa anche sul governo, costretto ad approntare misure drastiche tutt’altro che gradite, come hanno dimostrato le violente manifestazioni degli studenti prima di Natale. E come dimostrano i sondaggi, che danno un forte calo di popolarità dell’esecutivo liberal-conservatore guidato da David Cameron. Secondo gli utlimi dai i laburisti per la prima volta sono tornati a superare i conservatori con 39% contro 37, mentre a pagare uno scotto ancora maggiore sono i liberali, che pur essendo riusciti a costringere Cameron al primo governo di coalizione della storia inglese degli ultimi 90 anni, sono ora calati al 13%, su livelli precedenti al 2005. A questo non è estranea forse neanche la crisi con Rupert Murdoch, il tycoon australiano grande sponsor dei conservatori, che è entrato in aperto contrasto con le decisioni governative. Insomma non mancano le gatte da pelare al primo ministro britannico, che come molti suoi colleghi dovrà affrontare un 2011 denso di problemi da affrontare, con l’augurio che quella del terrorismo resti solo una minaccia da tenere sotto controllo e da prevenire con un attento lavoro di intelligence.

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cultura

pagina 14 • 29 dicembre 2010

Libri. Esce per Guanda il nuovo saggio che il docente americano Eric G. Wilson dedica a un sentimento sempre più ridotto ad effimero sinonimo di piacere

Felicità in comode rate Platone ed Epicuro la identificarono nella vita virtuosa, ma oggi la legge del business l’ha trasformata in merce deperibile di Dianora Citi iliardi di persone e miliardi di parole sono stati consumati e torturati nel tentativo di chiarire, inseguire e sognare ciò che è contenuto in una parola breve: felicità. O, se vogliamo essere pignoli, nel prefisso di “felicitas”, in quel “fe” che significa abbondanza, ricchezza, prosperità. Un suono che è anche una radice. E appare strano, dal punto di vista etimologico, ricordare che profonde correnti di pensiero, fiorite in Grecia, nella Roma antica ma anche in Oriente, abbiano insistito nell’affermare che la condizione del benessere spirituale consiste proprio nell’eliminazione dell’“avere”. Grandi pensatori e un’infinità di gente comune sono quotidianamente ossessionati dal seguente quesito: come raggiungere la felicità?

M

L’Occidente opulento e frettoloso continua a coniugare felicità con beni materiali, mentre il fondamento di alcune religioni (e con la filosofia più avveduta) avvertono che non è sulla strada commerciale che l’uomo può imbattersi nel senso di appagamento, di serenità, di stima di sé e di onesto vivere civile. Non solo i singoli si pongono la tremenda domanda, ma anche le istituzioni. Ha destato sorpresa, in questi giorni, la precisazione fatta dal primo ministro del Buthan secondo cui il cosiddetto “Pil” (Prodotto Interno Lordo) debba ormai essere misurato con criteri che vanno oltre quelli meramente economici, così sbrigativi e sostanzialmente inesatti. La ricchezza di un popolo, ha detto, non sta nei numeri e nelle statistiche che registrano la quota del possesso materiale, ma nel grado di felicità vissuta. È un pensiero rivoluzionario, certamente non nuovo. È un segnale importante. Che ci rimanda - volendo restare nell’ambito politico - alla Costituzione degli Stati Uniti d’America, l’unica “Charta” che sancisce il diritto alla felicità. Lo dichiara senza perifrasi. La Costituzione italiana, all’articolo 3, pone come fondamentale obiettivo «il pieno sviluppo della persona umana». Se gli americani sono brutalmente sinceri,

gli europei mostrano di avere alle spalle millenni di pensiero. Dunque il testo italiano non separa la felicità dei singoli dal contesto sociale e interpersonale, ma cerca di porre sullo stesso piano la dimensione soggettiva e quella oggettiva. È la lezione di Socrate. Bisogna ammette tuttavia che gli americani, con quei principi scritti il 4 luglio 1776 come reazione allo sfruttamento coloniale, paiono più dinamici. La dichiarazione di indipendenza d’Oltreoceano si riferisce a diritti inalienabili, quali la vita, la libertà e la ricerca della felicità. Si fa un passo in più laddove afferma che «ogniqualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha il diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzare i poteri nella forma che sembri meglio adatta a procurare la sua sicurezza e la sua felicità». Queste parole contengono l’invito alla ribellione qualora si affacciasse lo spettro del totalitarismo o una qualsiasi forma di oppressione o di sopruso. Tornan-

co (“atarassia”). Tuttavia non è sufficiente. Il filosofo greco affermava che si deve provare piacere. E classificava così i piaceri: 1- piaceri naturali e necessari (amicizia, libertà, il riparo, il cibo, l’amore, il vestirsi, le cure, ecc); 2- piaceri naturali ma non del tutto necessari come l’abbondanza, il lusso, grandi case, cibi raffinati ecc.; 3- piaceri del tutto accessori, come il successo, il potere, la gloria, la fama. Questi ultimi, nella degradata (e globalizzata) cultura occidentale, sono spesso posti in cima alla scala delle priorità.

Sul piacere il romano Seneca scrisse pagine memorabili, insistendo sulla “virtus”. Scriveva in una lettera: «Per quanto poi concerne il piacere, se pure si spande tutto intorno e si insinua in ogni fessura, ci blandisce l’anima con le sue lusinghe e ci mette davanti una tentazione dopo l’altra per sedurci completamente o almeno in parte, c’è forse un uomo, cui resti un briciolo di umanità, che vorrà lasciarsi trastullare giorno e notte e vorrà trascurare l’animo per dedicarsi solo al corpo?». E più avanti: «Chiunque si avvicina alla virtù si dimostra di indole nobile, chi invece segue il piacere è snervato, fiacco, degenerato, pronto ad abbandonarsi ai vizi più turpi se non gli si fa vedere una distinzione fra i piaceri in modo che sappia quali si mantengono nei limiti del bisogno naturale e quali sono sfrenati e senza fine, tanto più insaziabili quanto più si cerca di appagarli». I desideri del corpo sono ben diversi da quelli dell’anima, sosteneva Platone, che nel Simposio precisava: «le persone felici sono felici perché posseggono il bene». Il cristianesimo cominciò ad avvertire l’uomo che la sua felicità coincideva con la felicità del prossimo, mentre lo stato di assoluta beatitudine era raggiungibile nel Regno dei cieli. Introduceva così un elemento scardinante, di tradizione ebraica: Dio. Da Dio non si può prescindere. Sant’Agostino affermava che nella vita quotidiana la felicità la si gusta in modo soltanto fugace. Occorre non tanto collezionare attimi esaltanti, quanto avere una «vita piena». Ci sono coincidenze o comunque verosimiglianze tra la cultura greco-romana e il cristianesimo, a parte ovviamente la presenza dell’unico Dio. Platone relativizzava l’esperienza terrena: era convinto che l’uomo è spirito e la sua anima è immortale. La felicità piena si raggiunge (come si legge nel Fedone) quando con la morte ci si libera dalla prigione corporea. Per il discepolo di Socrate l’esistenza vera è quella dell’aldilà. Già: ma fin quando

L’essere umano allontana istintivamente da sé sia la sofferenza psichica sia quella corporea. Ma non basta spingere lontano l’afflizione per approdare al benessere do al significato del termine felicità e agli insegnamenti dell’antichità classica, ci si accorge immediatamente che lo stato intimo dell’uomo è al centro di tutto e fa da perno alle dottrine morali ed etiche. Queste ultime sono chiamate anche “eudemonistiche”, dal greco “eudaimonìa”, solitamente tradotto come felicità. La ricerca della felicità non tramonta mai. Epicuro, in una lettera a Meneceo, affermava che non c’è un’età precisa per conoscere la felicità. Per occuparsi, o iniziare a occuparsi, del “benessere dell’anima”non si è né mai troppo vecchi né mai troppo giovani. Secondo Epicuro - il cui insegnamento venne travisato non poco, come ebbe a notare anche Seneca - la felicità è un composto di elementi che comprende la conoscenza delle cose. L’essere umano, diceva, istintivamente allontana da sé il dolore sia fisico (con un processo chiamato “aponia”) che psichi-

siamo sulla Terra? Ancora Platone ne La Repubblica: «L’uomo migliore o il più giusto è il più felice, e questi è il più regale, e re di se stesso».

Il filosofo Giovanni Reale, grandissimo divulgatore del pensiero classico, ci ricorda una splendida frase di Democrito: «La felicità non consiste negli armenti e neppure nell’oro: l’anima è la dimora della nostra sorte». E cita Socrate quando diceva: «Se vuoi essere felice, cura la tua anima». Reale ci spiega chiarissimamente: l’“aretè”, o “virtus”, secondo il pensiero greco, «consiste nel perfetto esplicarsi dell’essenza di una cosa, ossia nella piena attuazione di ciò per cui vale, qualunque essa sia. La virtù dell’uomo in senso greco è, pertanto, il pieno e perfetto esplicarsi di ciò che egli è, e di ciò per cui vale. Il vero bene dell’uomo, in tal senso, non può essere se non la virtù della sua anima, il perfetto attuarsi del suo “logos”: solo da qui può derivare ogni bene, e, dunque, la felicità».


cultura

29 dicembre 2010 • pagina 15

Il buddista Ajahn Brahm ci guida alla ricerca della gioia in “Apri il tuo cuore”

Un eterno mistero che si mostra in un sorriso Storie, racconti, emozioni: il paradiso in terra è comprendere gli altri per amare se stessi

he ciascuno aspiri al benessere e alla felicità è una verità innegabile e una circostanza legittima. Il problema è il raggiungimento di questo fine. Lo sa bene Ajahn Brahm, un londinese laureato in fisica teorica a Cambridge e da 30 anni monaco buddista, che in Apri il tuo cuore alla felicità (Armenia Editore, 282 pp., euro 14.50) ha riunito sotto forma discorsiva e piana 108 brevi storie, testimonianze, leggende incentrate sulla filosofia buddhista, illuminanti per il raggiungimento della tanto aspirata felicità e utili per una predisposizione alla ricerca.

C

Lo stesso Buddha 2600 anni fa, un secolo prima di Socrate, sosteneva attraverso aneddoti e racconti, spesso divertenti, che fosse più facile «veicolare le indicazioni in merito al sentiero da percorrere per conseguire la felicità». Da allora le ricette “della felicità” si sono moltiplicate e tanti credono di avere il monopolio di quelle giuste. Come per le diete: potrebbero essere tante quante sono le persone che devono dimagrire, ma l’unica che porta alla sospirata perdita di peso è invariabilmente legata al digiuno. Ajahn Brahm nel corso della sua più che decennale esperienza di insegnamento e meditazione ha molto imparato a contatto con le pene umane. Le sue storie parlano di amore, dedizione, paura, rabbia, perdono, libertà. Le sue storie cercano di indagare su una delle Quattro Nobili Verità del pensiero buddista, che, riveduta e corretta, potremmo indicare come “la causa della felicità”. Credo però fondamentale premettere che in molte di queste storie il ”lato” buddhista sia solo marginale: l’idea principale è individuabile nella volontà di far sorgere spunti di riflessione in noi stessi, lezioni di saggezza, illuminazioni sulla nostra umana umanità, incoraggiamenti a riconoscere nell’umiltà e nella compassione due qualità da esaltare di più e denigrare di meno. Una delle più frequenti cause di infelicità (e dolore) è la vana aspirazione alla perfezione (che è solo divina, aggiungerei): la storia dei due mattoni storti (costruire un muro con mille mattoni e alla fine scoprire che al centro due sono messi storti rispetto agli altri 998) è un esempio di buon senso, un tentativo di ”pacificare”, con il ragionamento, l’insoddisfazione e l’irrequietudine insite nell’uomo. Nel seguire con l’immaginazione la crescita faticosa della costruzione del muro ci immedesimiamo. Chi non ha mai puntato tutto sulla costruzione di un ”muro” e, finitolo,

ha scoperto che dei mille mattoni utilizzati due sono montati storti? Chi non ha avuto la tentazione di buttare tutto all’aria (molti lo hanno fatto e molti altri lo seguitano a fare), di rinnegare come non propria l’opera o di far finta che non esista, di voltarsi dall’altra parte e ricominciare con un altro ”muro” e farlo, questa volta, con molti più mattoni storti? «Quanti cadono in depressione perché le uniche cose che riescono a vedere di loro stessi sono ”due mattoni storti”? […] In verità vi sono [in ciascuno di noi] molti più mattoni buoni […] ma non riusciamo a vederli. [E] tutti hanno due mattoni storti, ma quelli perfetti sono molto più numerosi». Qualunque uomo può essere sbadato, può compiere un errore. L’importante è, partendo da questo errore, capire e imparare qualcosa. Meglio ancora. Importante è capire e riconoscere le priorità della vita, nell’amore coniugale, per esempio. Due storielle. La prima. Quando due persone si fidanzano sono coinvolte tra loro. Quando due persone si sposano sono impegnate tra loro. Ajahn Brahm insegna che la differenza «tra il coinvolgimento e l’impegno è la stessa che intercorre tra la pancetta e le uova». Quando il monaco arriva a questo punto dell’aneddoto tutti (noi compresi, leggendo) iniziano a chiedersi che cosa c’entrano pancetta e uova con matrimonio e fidanzamento. «Con la pancetta e le uova la gallina è solo coinvolta mentre il maiale è impegnato»! Seconda storiella. Moglie e marito innamoratissimi e sempre in accordo perfetto arrivano alle lacrime e alla disperazione quando, durante una romantica passeggiata nel bosco, lei crede di riconoscere il richiamo di un’anatra mentre lui sostiene di sentire quello di una gallina. Nel raccontare questa storia Brahm alternativamente fa accondiscendere all’idea dell’altro una volta la moglie, una volta il marito. Ma il succo della storia è sempre lo stesso: «A chi importa alla fine se è una gallina o un’anatra? Ciò che conta è […] l’intesa, il fatto che possano trarre piacere dal passeggiare insieme in una bella serata […]. Quanti matrimoni finiscono per questioni insignificanti? Quanti divorzi citano argomenti da ”gallina o anatra”? Il matrimonio è più importante dello stabilire se si tratta di una gallina o di un’anatra». Bisogna essere disponibili ad imparare, ad imparare ad aprire il cuore, prima di tutto verso noi stessi, permettendoci di perdonarci, e poi verso gli (d.c.) altri, permettendo loro di amarci.

L’idea è far sorgere spunti di riflessione, imparare da vicende comuni la via umana verso la vera saggezza

Di recente il docente americano Eric G. Wilson (Contro la felicità, Guanda Editore) ha sbeffeggiato i suoi connazionali partendo da un sondaggio condotto dal Pew Research Center secondo cui almeno l’85 per cento delle persone del Nuovo continente si considera molto felice o quantomeno felice. Wilson fa una semplice constatazione: «Tutta questa felicità non può essere reale». Il professore americano rivaluta in un certo senso la melanconia, che Italo Calvino definiva «la tristezza diventata leggera». E cita l’esperienza di Carl Gustav Jung, per il quale melanconia e introspezione sono intimamente connesse. Jung chiamava il Cristo “l’Uomo dei dolori”: la sua melanconica sofferenza era inscindibile dalla sua illuminazione. Lungi dal proporre una visione romantica della depressione, Wilson lancia strali contro i corsi del “self-help”, contro la ridicola industria della felicità. Insomma, “il dolce dolore” di memoria shakespeariana non se ne va con una pillola antidepressiva. Può, anzi, essere una grande ricchezza.

Nella foto grande, un’illustrazione di Michelangelo Pace. A sinistra, dall’alto in basso, Epicuro, la copertina di “Contro la felicità”, e Platone. A destra, il saggio del buddista Ajahn Brahm, “Apri il tuo cuore alla felicità”


ULTIMAPAGINA

Nel cuore della Capitale ricostruito uno splendido presepio (autentico) del Settecento partenopeo

I Magi napoletani arrivano di Gloria Piccioni successo un po’ prima di Natale. Un sacerdote durante la celebrazione della messa domenicale a Garlasco, località già tristemente nota per il delitto di Chiara Poggi, ha annunciato dal pulpito, rivolgendosi ai bambini presenti, che Babbo Natale non esiste, che è una favola e che a lasciare nottetempo i regali sotto l’albero sono i genitori. Inutile descrivere lo sgomento dei piccoli fedeli e le proteste dei familiari. Certo, distruggere i sogni, infrangere quella magia a cui volentieri si riconsegnano ogni anno anche un numero consistente di adulti, non è cosa buona e giusta. In un certo senso quel parroco ha “scandalizzato” quei fanciulli, ha messo precoce scompiglio nelle loro piccole menti, contravvenendo, certo in cuor suo a fin di bene, un precetto proprio da Gesù indicato. Ma c’è da capirlo, il proposito era quello di riportare l’attenzione sulla vera essenza del Natale, cioè la nascita di Gesù che sbadatamente molte famiglie tralasciano di celebrare, almeno attraverso la presenza nelle loro case di un presepe, molto spesso trascurato a favore di più sfavillanti alberi. Un vero peccato, una sicura mancanza nei confronti dei bambini a cui, così facendo, si chiede di rinunciare a quel soprannaturale stupore che ogni presepe, per quanto piccolo, sa puntualmente rigenerare.

È

La tradizione del presepe (dal latino praesepe o praesepium, cioè mangiatoia) è molto italiana e in special modo napoletana. Si ha notizia di un presepio in una chiesa di Napoli nel 1025. Ma il secolo d’oro del presepe napoletano è il Settecento, quando, regnante Carlo III di Borbone, gli scenari si allargarono non limitando la rappresentazione alla grotta della Natività, ma estendendola al mondo profano. Vinai, pescatori, falegnami, zingare e perfino meretrici si aggiunsero agli angeli e ai pastori iniziando così a popolare mercati, forni, osterie, ponti e rive di fiumi che con arte venivano sceneggiati da abili artigiani. Una tradizione, del resto, quella artigianale che tiene ancora stretto in

mano il testimone, nonostante certe debolezze moderne (i personaggi con le facce dei big della politica e non se ne vede il bisogno), nelle botteghe di via San Gregorio Armeno a Napoli, strada ormai celebre in tutto il mondo.

In questi pochi giorni che ci separano più che dall’arrivo della Befana, tanto fittizia quanto Babbo Natale, dalla celebrazione dell’Epifania a cui assistettero i Re Magi, è possibile ammirare a Roma un autentico e son-

orecchini che si credevano irragiungibili. Lui tirava fuori dalla cassaforte-armadio vassoi e vassoi pieni di tutto quello che si può immaginare e di certo si divertiva del nostro entusiasmo che finiva anche col commuoverlo, perché trovava sempre il modo di non farci uscire a mani vuote, benché le nostre tasche fossero tutt’altro che piene.

Quello che ora si può ammirare, dopo settant’anni di accurato collezionismo, in cui spesso un pezzo migliore viene a sotituirsi a un altro, è davvero straordinario: vedere per credere. Resterete incantati e vi perderete nelle tre scenografie, montate a spicchio su una base girevole, in cui si susseguono tre momenti: quello della Natività con i Re Magi, quello del mercato e la curiosa e bellissima new entry della stanza del collezionista, luogo di scambio e di lavoro dove ricevere l’annuncio della venuta del Figlio di Dio. Le figure coi volti scolpiti e le antiche vesti colorate sono immerse in un’infinità di accessori, tutti rigorosamente settecenteschi, di finissima fattura: prosciutti e caciotte che pendono sui banchi del mercato, monete, gioielli, perle, coralli e ori portati dai Magi, piccoli vassoi di argento con tazze appoggiati su un mobile di legno intarsiato e quadri alle pareti nella stanza del collezionista.Tanca allestisce nella sua vetrina il presepe ogni anno: un appuntamento atteso dai conoscitori e dai clienti affezionati che reclamano se l’evento subisce qualche imprevedibile ritardo. Ma l’allestimento questa volta supera ogni aspettativa. C’è da scommetere che lo scostumato Tommasino, figlio scapestrato di Luca Cupiello, indimenticabili personaggi scritti e descritti da Eduardo (anche con l’aiuto di Peppino, interprete magistrale), davanti a questo presepe proprio non ce l’avrebbe fatta a dire: «Nun me piace!».

a ROMA Il paesaggio natalizio viene dalla collezione iniziata negli anni Quaranta da un celebre antiquario romano: Giuseppe Tanca. Ora i suoi figli hanno recuperato tutti i pezzi che sono in mostra presso gli spazi della «bottega storica» tuoso presepe napoletano del Settecento. Fa bella mostra di sé in una delle vetrine di «Antichità Tanca», a via Salita de’ Crescenzi, vicino al Pantheon, uno dei negozi storici riconosciuti dal Comune di Roma con tanto di targa smaltata, un “antro magico” in cui tutto è desiderabile: stampe, gioielli, argenti, oggetti da collezione, dipinti, porcellane, orologi, bronzi, sheffield, marmi. A mettere insieme la collezione iniziò Giuseppe Tanca che nel 1940 insieme alla moglie Vera iniziò l’attività, poi raccolta con passione e amore dai figli Claudio, Milena e Laura (Marisa non c’è più da qualche mese, e ci manca tanto) e oggi dai loro figli. Sembrava severo il Signor Giuseppe, quando in gruppi di adolescenti con buco alle orecchie appena fatto ci si recava come in pellegrinaggio nel suo “antro magico”a desiderare


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